Manifesto della Razza ridicolmente ariani · paese e si rifugiò in alta montagna con la banda...
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Né fede né razza
solo persone
Patrizio Vichi
Il Manifesto della Razza, redatto da dieci cosiddetti scienziati fascisti, in
realtà professori di varie università italiane, apparso il 14 luglio 1938, sosteneva,
oggi si può certamente dire ridicolmente, che anche gli italiani, come dicevano
di se stessi i tedeschi, erano ariani. L’aggettivo indicava, secondo i nazisti, ed
ora anche secondo i fascisti italiani, una razza umana superiore alle altre alla
quale i nazisti e fascisti ritenevano appunto di appartenere. Quattro mesi dopo, il
10 novembre, il decreto del governo fascista intitolato “Provvedimenti per la
difesa della razza italiana” fu il primo atto - ne sarebbero seguiti poi molti altri
- che diede inizio all’infame persecuzione contro cittadini italiani e stranieri di
religione ebraica.
Dallo studio “Il Vaticano e l’Olocausto in Italia” di Susan Zuccotti
emerge che la reazione del Vaticano alle varie leggi antiebraiche si limitò a
censurare solo due aspetti del decreto.
Il primo aspetto non accettato dal Vaticano era quello per cui anche i
cittadini ebrei convertiti al cattolicesimo erano considerati a tutti gli effetti ebrei.
Il secondo era la violazione del privilegio della Chiesa garantito dal Concordato
del 1929. L’articolo 34 dei Patti lateranensi stabiliva infatti che tutti i matrimoni
celebrati dalla Chiesa erano validi anche per lo Stato, compresi quelli tra
cittadini ebrei convertiti al cattolicesimo e quelli misti, cioè tra una persona
ebrea convertita e una cristiana. Ora invece il nuovo decreto proibiva i
matrimoni tra cittadini italiani - tra virgolette - ariani, e quelli - sempre tra
virgolette - non ariani, tra cui rientravano tutti i cittadini ebrei anche se
convertiti.
Che questi fossero gli unici due aspetti contestati dal Vaticano, lo si
deduce dai passi fatti presso Mussolini dal padre gesuita Pietro Tacchi Venturi,
incaricato della Santa Sede per tenere rapporti informali con il governo fascista,
passi che si limitarono a chiedere, peraltro inutilmente, la revisione di quei due
soli punti.
Dopo l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943 tra gli alleati e il
cosiddetto Regno del sud, il restante territorio italiano venne occupato
dall’esercito tedesco fino alla linea Gustav, mentre il Fascismo, rinato con la
Repubblica sociale italiana creata dall’alleato nazista, dichiarò che gli italiani di
religione ebraica erano stranieri e nemici dello Stato. In seguito a ciò iniziarono
gli arresti dei cittadini ebrei e il loro internamento in speciali campi per essere
poi trasferiti nei lager nazisti.
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Neanche in questi tragici momenti, dal Vaticano giunsero condanne
formali o direttive ufficiali per le gerarchie ecclesiastiche al fine di soccorrere
quelle persone.
A Roma, nella città del papa, anzi sotto le sue finestre, il 16 ottobre 1943,
i tedeschi arrestarono 1259 cittadini romani ebrei. Di quelle persone, una parte
venne rilasciata, mentre 1023, lunedì 18 ottobre, partirono dalla stazione
Tiburtina per Auschwitz dove nel giro di una settimana, tutte, tranne 149 uomini
e 47 donne, furono uccise col gas. Alla fine della guerra tornarono quindici
uomini e una donna.
Nonostante l’assenza di prese di posizione e di specifiche direttive
vaticane, numerosissimi furono gli appartenenti alla Chiesa cattolica italiana
che, di loro iniziativa e a rischio della propria vita, aiutarono, diedero ospitalità e
salvarono una moltitudine di persone in grandissima e inimmaginabile difficoltà.
Come nel resto d’Italia, nella allora provincia di Aosta che comprendeva
anche Ivrea, la maggioranza della popolazione rimase sostanzialmente estranea
al problema. Alcuni, per criminale convinzione o per infame interesse,
parteciparono attivamente alla persecuzione, mentre altri, tra cui diversi preti,
suore, uomini e donne del popolo si prodigarono per aiutare i perseguitati.
Una di queste persone è il sacerdote Joseph Péaquin parroco di Challant
Saint-Anselme. Presso il Centro di documentazione ebraica contemporanea di
Milano si trova la dichiarazione che, nel 1954, Davide Nissim, cittadino di
religione ebraica, redasse per far conoscere il coraggio di Joseph Péaquin.
Davide Nissim, la moglie e tre figlie per sfuggire all’arresto, avevano lasciato
Biella, la loro città e si erano rifugiati in Valle d’Aosta.
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Il 23 luglio 1944 don Péaquin, per la sua attività, venne violentemente
percosso in parrocchia da quattro militi fascisti. In seguito a tale fatto lasciò il
paese e si rifugiò in alta montagna con la banda partigiana di Tito ovvero di
Celestino Perron1.
1 E. Bérard, Sacerdoti sempre … Il Clero e la Resistenza in Valle d’Aosta, Tipografia Duc,
Saint-Christophe, 2013.
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Nel dopoguerra le comunità ebraiche assegnarono un certificato di
benemerenza a don Péaquin.
Susan Zuccotti, nella sua citata opera, ritiene che la posizione del vescovo
di Aosta Francesco Imberti nello schierarsi contro l’azione del parroco Joseph
Péaquin, sia un’ulteriore conferma che il Vaticano e quindi il papa Pio XII non
fecero e non inviarono alcun specifico ordine alle gerarchie ecclesiastiche per
difendere gli ebrei. Se lo avessero fatto il vescovo Imberti non avrebbe potuto
reagire in quel modo.
Nelle condizioni aggiuntive dell’armistizio di Cassibile (armistizio lungo)
gli alleati anglo-americani, al punto 31, avevano stabilito che …
Tutte le leggi italiane che implicano discriminazioni di razza, colore, fede
od opinione politica saranno, se questo non sia già stato fatto, abrogate, e le
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persone detenute per tali ragioni saranno, secondo gli ordini delle Nazioni
Unite, liberate e sciolte da qualsiasi impedimento legale a cui siano state
sottomesse…
La cancellazione delle leggi razziali da parte del governo del Regno del
Sud, in ottemperanza alle condizioni dell’armistizio, avvenne nel gennaio 19442.
Prima della abrogazione, il 29 agosto 1943, il già visto padre Pietro
Tacchi Venturi, sempre nella sua veste di incaricato della Santa Sede per trattare
con lo Stato italiano, questa volta non più con il governo fascista, ma con il
nuovo governo del Regno del Sud, in una comunicazione al cardinale Luigi
Maglione segretario di Stato di papa Pio XII, affermò che ….
Nel trattare la cosa con S. E. il Ministro dell’Interno mi limitai, come
dovevo, ai soli tre punti precisati nel venerato foglio di Vostra Eminenza del 18
agosto n. 5077/43 (cioè attribuzione di piena arianità alle famiglie miste,
cancellazione del divieto di matrimoni misti e infine la richiesta del
riconoscimento di arianità anche per gli ebrei catecumeni, cioè prossimi alla
conversione) guardandomi bene (continua Tacchi Venturi) dal pure accennare
alla totale abrogazione di una legge (quella antiebraica) la quale, secondo i
principii e la tradizione della Chiesa Cattolica, ha bensì disposizioni che vanno
abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma3.
Joseph Péaquin nasce il 5 marzo 1902 a Montjovet, in una famiglia
contadina. Ordinato sacerdote nell’aprile del 1926, è vicario a Sarre e poi
parroco a Challand Saint-Anselme per sedici anni. Dopo un periodo di attività
come insegnante di religione ad Aosta, dal 1967 al 1981 è parroco a La
Magdeleine. Presso l’associazione valdostana archivi sonori sono presenti circa
5000 fotografie, scattate da don Péaquin4. I soggetti sono di carattere religioso,
ma sono presenti anche ritratti e paesaggi. Don Joseph muore nel febbraio 1987
all’età di 85 anni.
La sua vita appare, vista dall’esterno, quella di un tipico curato di un
piccolo paese di montagna. La vita di un prete, di un uomo che ha scelto
un’esistenza di servizio agli altri, certo gratificante, ma anche, e forse
soprattutto, piena di solitudine e certamente, a volte, molto dura. La durezza di
2 Regio Decreto Legge, 20 gennaio 1944 n. 25.
3 Secrétaire d’Etat de sa Sainteté – Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde
guerre mondiale, Libreria editrice vaticana, Città del vaticano, 1975, pag 459.
4 AVAS, Fondo Péaquin.
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quella vita però non è riuscita a piegare don Joseph che, con coraggio, non si
nasconde dietro una utile e facile obbedienza, ma sceglie di seguire il dettato
evangelico che recita “non le parole, (anche se di professione di fede o di lode a
Dio) ma soltanto le opere, contano”.
I documenti riguardanti Davide Nissim sono depositati presso il Cdec di Milano.
Testi utilizzati
S. Zuccotti, “Il Vaticano e l’Olocausto in Italia”, Paravia Bruno Mondadori
Editori, 2001
M. T. Milano, “Salvatori e salvati”, Le Château Edizioni, Aosta 2013
P. Blet, R. A. Graham, A. Martini, B. Schneider, “Le Saint Siège et les victimes
de la guerre, Janvier - Décembre 1943”, Libreria editrice vaticana, 1975.
E. Bérard, “Sacerdoti sempre … Il Clero e la Resistenza in Valle d’Aosta”,
Tipografia Duc, Saint-Christophe, 2013.