Mani tese verso i poveri...cizione da parte dei singoli individui, di grup-pi sociali e di...

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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 18 giugno 2020 anno LXXIII, numero 25 (4.049) Mani tese verso i poveri

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 18 giugno 2020anno LXXIII, numero 25 (4.049)

Mani teseverso i poveri

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L’Osservatore Romanogiovedì 18 giugno 2020il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

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«Questo Concilio Vaticano dichiara che la perso-na umana ha il diritto alla libertà religiosa».Era il 7 dicembre di 55 anni fa, e i vescovi riu-niti nella basilica di San Pietro approvavanouno dei documenti conciliari più a lungo di-scussi, la dichiarazione Dignitatis humanae sul-la libertà religiosa. «Il contenuto di una talelibertà — affermava il documento — è che gliesseri umani devono essere immuni dalla coer-cizione da parte dei singoli individui, di grup-pi sociali e di qualsivoglia potere umano, cosìche in materia religiosa nessuno sia forzato adagire contro la sua coscienza né sia impedito,entro debiti limiti, di agire in conformità adessa: privatamente o pubblicamente, in formaindividuale o associata. Inoltre dichiara che ildiritto alla libertà religiosa si fonda realmentesulla stessa dignità della persona umana qualel’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivela-ta e la stessa ragione. Questo diritto della per-sona umana alla libertà religiosa deve essere ri-conosciuto e sancito come diritto civile nell’or-dinamento giuridico della società».

Il contributo di Papa MontiniDignitatis humanae è un testo che ha subito

una trasformazione radicale nel corso di bencinque diverse stesure prima di essere approva-to. Il problema fondamentale, che creava mag-giori difficoltà, era il modo di definire questalibertà. Nel secondo degli schemi preparatiquesta veniva presentata come un diritto posi-tivo, come facoltà di agire e diritto a non esse-re impedito di agire. «Ma già nel terzo sche-ma — ricordava il cardinale domenicano Jérô-me Hamer, all’epoca uno degli esperti teologiche aveva collaborato alla stesura — l’ambigui-tà di una libertà religiosa definita come dirittopositivo e negativo era scomparsa. Si parlavaormai di un diritto all’immunità, un diritto anon subire coercizioni da parte di qualsiasipotere umano non solo nella formazione dellacoscienza in materia religiosa, ma anche nel li-

bero esercizio della religione». Un contributodecisivo per la formulazione del documento edella definizione della libertà religiosa comeimmunità era arrivato da Paolo VI, che nel cor-so di un’udienza pubblica, il 28 giugno 1965,descrivendo la libertà religiosa aveva detto:«Voi vedrete riassunta una gran parte di que-sta dottrina capitale in due proposizioni famo-se: in materia di fede che nessuno sia impedi-to! Che nessuno sia costretto!» (nemo cogatur,nemo impediatur).

L’ordine di votare la bozzaIl dibattito in aula era stato acceso, con 62

interventi orali e un centinaio di contributiscritti. Permangono delle difficoltà e gli orga-nismi direttivi del Concilio decidono di nonfar votare il testo, come invece chiedeva il Se-gretariato per l’unità dei Cristiani. I timoriespressi erano sempre gli stessi: uguali diritticonferiti “a chi è nella verità e a chi è nell’er-ro re ”, la proposizione di un modello “di Statoneutro condannato dalla Chiesa”, una dottrina“in opposizione a quella tradizionale dellaChiesa in materia”. È Papa Montini a interve-nire il 21 settembre, impartendo l’ordine di farvotare i padri, e chiedendo loro se il testo pre-disposto potesse rappresentare la base di lavo-ro per la futura dichiarazione. La votazione re-gistra, su 2.222 presenti, la risposta affermativadi 1.997, quella negativa di 224 e un voto nul-lo. Il cardinale Pietro Pavan definirà “storico”l’intervento papale che aveva stabilito di farvotare la bozza.

La dignità della personaIl testo definitivo del documento, al para-

grafo primo, recita: «E poiché la libertà reli-giosa… riguarda l’immunità dalla coercizionenella società civile, essa lascia intatta la dottri-na tradizionale cattolica sul dovere morale dei

Così il Concilio sancìil diritto alla libertà religiosa

#editoriale

di ANDREA TORNIELLI

La dichiarazione«Dignitatishumanae»

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singoli e della società verso la vera religione el’unica Chiesa di Cristo». L’affermazione deldiritto alla libertà religiosa non equivale dun-que né a mettere verità e falsità sullo stessopiano, né ad affermare indifferenza o arbitrioin ambito religioso. «Poiché rimane il doveredi formarsi una coscienza vera — ha osservatopadre Gianpaolo Salvini — non c’è alcuna op-posizione con la consapevolezza della Chiesadi essere l’unica vera religione… Il fondamen-to della libertà religiosa è espresso in modo as-sertivo e viene indicato nella dottrina cattolicadella dignità della persona umana. Inoltre èvisto in modo nuovo il rapporto con i dati bi-blici e con la rivelazione che, benché non parliespressamente di questo diritto (che è una de-terminazione civile e giuridica), tuttavia rivelala dignità della persona umana in tutta la suaampiezza in modo congruo con la libertàdell’atto di fede cristiano».

Contro l’ateismo di Statonei Paesi dell’Est

«Il contributo personale di Paolo VI su queldocumento conciliare è stato determinante»,attesta il cardinale Pietro Pavan. Il Papa eraintervenuto per far votare comunque lo sche-ma in lavorazione e aveva contribuito alla de-finizione di libertà religiosa come un dirittoall’immunità. Il contributo di Montini va lettoanche alla luce dell’importante viaggio all’O nudell’ottobre 1965, e degli iniziali contatti con iregimi d’Oltreocortina finalizzati a migliorarein qualche modo le condizioni di vita dei cri-stiani e più in generale delle popolazioni sot-toposte alla dittatura comunista. La dichiara-zione Dignitatis humanae sulla libertà religiosasarà infatti un utile strumento per rivendicareil rispetto di questo elementare diritto nei Pae-si dove si professava l’ateismo di Stato.

Giovanni Paolo II:tra i testi più rivoluzionari

In un messaggio del 7 dicembre 1995, in oc-casione del trentennale dell’approvazione delladichiarazione, Giovanni Paolo II — che da pa-dre conciliare aveva potuto seguire da vicino ilcammino del documento contribuendo allasua stesura — affermava: «Il Concilio VaticanoII rappresentò una grazia straordinaria per laChiesa e una tappa decisiva della sua storia re-cente. Dignitatis Humanae è senza dubbio unodei testi conciliari più rivoluzionari. Suo è ilparticolare e importante merito di aver appia-nato la strada per quel notevole e proficuodialogo tra la Chiesa e il mondo tanto arden-temente sollecitato e incoraggiato da un altronotevole documento conciliare, la CostituzionePastorale Gaudium et Spes, emessa in quellostesso giorno. Guardando retrospettivamenteagli ultimi trent’anni, bisogna ammettere chel’impegno della Chiesa per la libertà religiosaquale diritto inviolabile della persona umanaha sortito effetti superiori a ogni previsionedei Padri Conciliari». Quattro anni prima, nelmessaggio per la Giornata della pace del 1991,Papa Wo j t y ła aveva ribadito che «nessuna au-torità umana ha il diritto di intervenire nellacoscienza di alcun uomo». La coscienza è in-fatti “inviolabile”, in quanto costituisce la«condizione necessaria per la ricerca della ve-rità degna dell’uomo e per l’adesione ad essa,quando e stata adeguatamente riconosciuta».Ne deriva che «tutti devono rispettare la co-scienza di ognuno e non cercare di imporre adalcuno la propria “verità”... La verità non siimpone che in virtù di se stessa».

Benedetto XVIe l’esempio dei martiri

Da ricordare sono anche le parole che Bene-detto XVI aveva dedicato a questo tema nelsuo primo discorso alla Curia romana, il 22 di-cembre 2005, quando invitava a «considerarela libertà di religione come una necessità deri-vante dalla convivenza umana, anzi come unaconseguenza intrinseca della verità che nonpuò essere imposta dall’esterno, ma deve esse-re fatta propria dall’uomo solo mediante ilprocesso del convincimento. Il Concilio Vati-cano II, riconoscendo e facendo suo un princi-pio essenziale dello Stato moderno, ha ripresonuovamente il patrimonio più profondo dellaChiesa. Essa può essere consapevole di trovar-si con ciò in piena sintonia con l’insegnamentodi Gesù stesso, come anche con la Chiesa deimartiri, con i martiri di tutti i tempi. La Chie-sa antica, con naturalezza, ha pregato per gliimperatori e per i responsabili politici conside-rando questo un suo dovere; ma, mentre pre-gava per gli imperatori, ha invece rifiutato diadorarli, e con ciò ha respinto chiaramente lareligione di Stato». «I martiri della Chiesa pri-mitiva — affermava ancora Papa Ratzinger —sono morti per la loro fede in quel Dio che siera rivelato in Gesù Cristo, e proprio così sonomorti anche per la libertà di coscienza e per lalibertà di professione della propria fede — unaprofessione che da nessuno Stato può essereimposta, ma invece può essere fatta propriasolo con la grazia di Dio, nella libertà della

coscienza. Una Chiesa missionaria, che si satenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti ipopoli, deve impegnarsi per la libertà della fe-de».

Sfida al mondo globalizzatoIn un intervento rivolto ai partecipanti al

convegno internazionale “La libertà religiosasecondo il diritto internazionale e il conflittoglobale dei valori”, Papa Francesco ha affer-mato: «La ragione riconosce nella libertà reli-giosa un diritto fondamentale dell’uomo cheriflette la sua più alta dignità, quella di potercercare la verità e di aderirvi, e riconosce in es-sa una condizione indispensabile per poter di-spiegare tutta la propria potenzialità. La liber-tà religiosa non è solo quella di un pensiero odi un culto privato. È libertà di vivere secondoi principi etici conseguenti alla verità trovata,sia privatamente che pubblicamente. Questa èuna grande sfida nel mondo globalizzato, do-ve il pensiero debole — che è come una malat-tia — abbassa anche il livello etico generale, ein nome di un falso concetto di tolleranza sifinisce per perseguitare coloro che difendonola verità sull’uomo e le sue conseguenze eti-che».

#editoriale

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Nel nostro itinerario sul tema della preghiera,ci stiamo rendendo conto che Dio non ha maiamato avere a che fare con oranti “facili”. Enemmeno Mosè sarà un interlocutore “fiacco”,fin dal primo giorno della sua vocazione.

Quando Dio lo chiama, Mosè è umanamen-te “un fallito”. Il libro dell’Esodo ce lo raffigu-ra nella terra di Madian come un fuggiasco.Da giovane aveva provato pietà per la suagente, e si era anche schierato in difesa deglioppressi. Ma presto scopre che, nonostante ibuoni propositi, dalle sue mani non sgorgagiustizia, semmai violenza. Ecco frantumarsi isogni di gloria: Mosè non è più un funziona-rio promettente, destinato ad una rapida car-riera, ma uno che si è giocato le opportunità,e ora pascola un gregge che non è nemmenosuo. Ed è proprio nel silenzio del deserto diMadian che Dio convoca Mosè alla rivelazio-ne del roveto ardente: «“Io sono il Dio di tuopadre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, ilDio di Giacobbe”. Mosè allora si coprì il vol-to, perché aveva paura di guardare verso Dio»(Es 3, 6).

A Dio che parla, che lo invita a prendersinuovamente cura del popolo d’Israele, Mosèoppone le sue paure, le sue obiezioni: non èdegno di quella missione, non conosce il nomedi Dio, non verrà creduto dagli israeliti, hauna lingua che balbetta... E così tante obiezio-ni. La parola che fiorisce più spesso sulle lab-bra di Mosè, in ogni preghiera che rivolge aDio, è la domanda: “p erché?”. Perché mi haiinviato? Perché vuoi liberare questo popolo?Nel Pentateuco c’è perfino un passaggio dram-matico, dove Dio rinfaccia a Mosè la sua man-canza di fiducia, mancanza che gli impediràl’ingresso nella terra promessa (cfr. Nm 20,12).

Con questi timori, con questo cuore chespesso vacilla, come può pregare Mosè? Anzi,Mosè appare uomo come noi. E anche questosuccede a noi: quando abbiamo dei dubbi, macome possiamo pregare? Non ci viene di pre-gare. Ed è per questa sua debolezza, oltre cheper la sua forza, che ne rimaniamo colpiti. In-caricato da Dio di trasmettere la Legge al suopopolo, fondatore del culto divino, mediatoredei misteri più alti, non per questo motivo ces-serà di intrattenere stretti legami di solidarietàcon il suo popolo, specialmente nell’ora dellatentazione e del peccato. Sempre attaccato alpopolo. Mosè mai ha perso la memoria delsuo popolo. E questa è una grandezza dei pa-stori: non dimenticare il popolo, non dimenti-care le radici. È quanto Paolo dice al suo ama-to giovane Vescovo Timoteo: “Ricordati di tuamamma e di tua nonna, delle tue radici, deltuo popolo”. Mosè è tanto amico di Dio dapoter parlare con lui faccia a faccia (cfr. Es 33,11); e resterà tanto amico degli uomini da pro-vare misericordia per i loro peccati, per le loro

tentazioni, per le improvvise nostalgie che gliesuli rivolgono al passato, ripensando a quan-do erano in Egitto.

Mosè non rinnega Dio, ma neppure rinnegail suo popolo. È coerente con il suo sangue, ècoerente con la voce di Dio. Mosè non è dun-que condottiero autoritario e dispotico; anzi, illibro dei Numeri lo definisce “più umile emansueto di ogni uomo sulla terra” (cfr. 12, 3).Nonostante la sua condizione di privilegiato,Mosè non cessa di appartenere a quella schieradi poveri in spirito che vivono facendo dellafiducia in Dio il viatico del loro cammino. Èun uomo del popolo.

Così, il modo più proprio di pregare di Mo-sè sarà l’i n t e rc e s s i o n e (cfr. Catechismo della Chie-sa Cattolica, 2574). La sua fede in Dio fatutt’uno con il senso di paternità che nutre perla sua gente. La Scrittura lo raffigura abitual-mente con le mani tese verso l’alto, verso Dio,quasi a far da ponte con la sua stessa personatra cielo e terra. Perfino nei momenti più diffi-cili, perfino nel giorno in cui il popolo ripudiaDio e lui stesso come guida per farsi un vitellod’oro, Mosè non se la sente di mettere da par-te la sua gente. È il mio popolo. È il tuo po-polo. È il mio popolo. Non rinnega Dio né ilpopolo. E dice a Dio: «Questo popolo hacommesso un grande peccato: si sono fatti undio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro pec-cato... Altrimenti, cancellami dal tuo libro chehai scritto!» (Es 32, 31-32). Mosè non barattail popolo. È il ponte, è l’intercessore. Ambe-due, il popolo e Dio, e lui è in mezzo. Nonvende la sua gente per far carriera. Non è unarrampicatore, è un intercessore: per la suagente, per la sua carne, per la sua storia, per ilsuo popolo e per Dio che lo ha chiamato. È ilponte. Che bell’esempio per tutti i pastori chedevono essere “p onte”. Per questo, li si chiamapontifex, ponti. I pastori sono dei ponti fra ilpopolo al quale appartengono e Dio, al qualeappartengono per vocazione. Così è Mosè:“Perdona Signore il loro peccato, altrimenti seTu non perdoni, cancellami dal tuo libro chehai scritto. Non voglio fare carriera con il miop op olo”.

E questa è la preghiera che i veri credenticoltivano nella loro vita spirituale. Anche sesperimentano le mancanze delle persone e laloro lontananza da Dio, questi oranti non lecondannano, non le rifiutano. L’atteggiamento

Ponti fra il popolo e Dio

Al l ’udienzag e n e ra l e

il Papa parladella preghiera

di Mosèe della missione

dei pastori

#catechesi

La missione dei pastori è di essere «pontifra il popolo al quale appartengono e Dio».Lo ha detto Papa Francesco all’udienza generaledi mercoledì 17 giugno, svoltasi nella Bibliotecaprivata del Palazzo apostolico Vaticano,senza la presenza di fedeli, a causadella pandemia. Proseguendo nel ciclo di catechesiiniziate il 6 maggio, il Pontefice ha parlatodella preghiera di Mosè.

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Un appello a rispettare la libertà di coscienza «sempre edovunque» è stato lanciato dal Pontefice al terminedell’udienza generale. Rivolgendo i consueti saluti ai fedeli cheattraverso i media hanno seguito l’incontro — conclusosi con larecita del Padre Nostro e la Benedizione apostolica — il Papaha ricordato la Giornata della coscienza e ha esortato icristiani a «dare esempio di coerenza con una coscienza retta eilluminata dalla Parola di Dio».

Saluto cordialmente i fedeli di lingua francese.Venerdì prossimo celebreremo la solennità delCuore di Gesù. Non abbiate paura di presentarglitutte le intenzioni della nostra umanità sofferente, lesue paure, le sue miserie. Possa questo Cuore, pienodi amore per gli uomini, dare a tutti speranza efiducia! Dio vi benedica!

Saluto i fedeli di lingua inglese collegati attraverso imezzi di comunicazione sociale. Invoco su di voi esulle vostre famiglie la gioia e la pace del Signore.Dio vi benedica!

Saluto cordialmente i fedeli di lingua tedesca. Mosènon prega per sé stesso, prega per gli altri, diventail grande intercessore del popolo di Dio. Anche noidobbiamo renderci conto che non siamo maidavanti a Dio solo come individui, ma anche comemembri della Chiesa e figli dell’unica famigliaumana. Questo dovrebbe diventare visibile anchenel nostro modo di pregare, gli uni per gli altri. Diovi benedica!

Saludo cordialmente a los fieles de lengua española,que siguen esta catequesis a través de los medios decomunicación social. Pasado mañana, el viernes, ce-lebramos la solemnidad del Sagrado Corazón de Je-sús; y vinculada a esta fiesta se encuentra la Jornadade santificación sacerdotal. Los animo a rezar porlos sacerdotes, por vuestro párroco, por aquellosque están cerca de ustedes y conocen..., para que através de vuestra oración el Señor los fortalezca ensu vocación, los conforte en su ministerio y seansiempre ministros de la Alegría del Evangelio paratodas las gentes.Que Dios los bendiga.

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di linguaportoghese. Vi incoraggio, con la vostra preghieradi intercessione e il vostro esempio di vita cristiana,

La voce della coscienza

dell’intercessione è proprio dei santi, che, adimitazione di Gesù, sono “p onti” tra Dio e ilsuo popolo. Mosè, in questo senso, è stato ilpiù grande profeta di Gesù, nostro avvocato eintercessore (cfr. Catechismo della Chiesa Catto-lica, 2577). E anche oggi, Gesù è il pontifex, è ilponte fra noi e il Padre. E Gesù intercede pernoi, fa vedere al Padre le piaghe che sono ilprezzo della nostra salvezza e intercede. EMosè è figura di Gesù che oggi prega per noi,intercede per noi.

Mosè ci sprona a pregare con il medesimoardore di Gesù, a intercedere per il mondo, aricordare che esso, nonostante tutte le sue fra-gilità, appartiene sempre a Dio. Tutti apparten-gono a Dio. I più brutti peccatori, la gente piùmalvagia, i dirigenti più corrotti, sono figli diDio e Gesù sente questo e intercede per tutti.E il mondo vive e prospera grazie alla benedi-zione del giusto, alla preghiera di pietà, a que-sta preghiera di pietà, il santo, il giusto, l’inter-cessore, il sacerdote, il Vescovo, il Papa, il lai-co, qualsiasi battezzato, eleva incessante per gliuomini, in ogni luogo e in ogni tempo dellastoria. Pensiamo a Mosè, l’intercessore. Equando ci viene voglia di condannare qualcunoe ci arrabbiamo dentro — arrabbiarsi fa benema condannare non fa bene —, intercediamoper lui: questo ci aiuterà tanto.

a diventare “luce” per i fratelli, specialmente perquelli che sono nel buio delle loro fragilità, affinchési lascino rischiarare dalla misericordia divina. Diovi benedica!

Saluto i fedeli di lingua araba che seguono questoincontro attraverso i mezzi di comunicazionesociale. Mosè ci sprona a pregare con il medesimoardore di Gesù, a intercedere per il mondo, aricordare che esso, nonostante tutte le sue fragilità,appartiene sempre a Dio. E il mondo vive eprospera grazie alla benedizione del giusto, allapreghiera di pietà che i santi elevano incessante pergli uomini. Il Signore vi benedica tutti e viprotegga sempre da ogni male!

Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Oggi ricorre lamemoria liturgica del Santo Fratello Albert Chmie-lowski, protettore dei poveri. Egli aiutava i senzatet-to e gli emarginati a ritrovare un posto degno nellasocietà. Avendo egli imitato l’esempio di San Fran-cesco d’Assisi, viene chiamato il “P o v e re l l o ” p olac-co. Il motto della sua vita era: «Essere buono comeil pane». Seguiamolo nell’amore fraterno, portandoaiuto agli affamati, agli sconfitti della vita, ai poveri,ai bisognosi e soprattutto ai senzatetto. Sia lodatoGesù Cristo.

Ricorre oggi la “Giornata della Coscienza”, ispirataalla testimonianza del diplomatico portogheseAristides de Sousa Mendes, il quale, ottant’anni orsono, decise di seguire la voce della coscienza esalvò la vita a migliaia di ebrei e altri perseguitati.Possa sempre e dovunque essere rispettata la libertàdi coscienza; e possa ogni cristiano dare esempio dicoerenza con una coscienza retta e illuminata dallaParola di Dio.

Saluto i fedeli di lingua italiana. Dopodomani è lasolennità del Sacro Cuore di Gesù: una festa tantocara al popolo cristiano. Vi invito a scoprire lericchezze che si nascondono nel Cuore di Gesù, perimparare ad amare il prossimo.

Rivolgo il mio pensiero agli anziani, ai giovani, aimalati e agli sposi novelli. Volgete lo sguardo alCuore di Gesù e troverete la pace, il conforto e lasperanza. Di cuore vi benedico!

#catechesi

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«Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuoDio, ti ha fatto percorrere» (Dt 8, 2). R i c o rd a -ti: con questo invito di Mosè si è aperta oggila Parola di Dio. Poco dopo Mosè ribadiva:“Non dimenticare il Signore, tuo Dio” (cfr. v.14). La Scrittura ci è stata donata per vincerela dimenticanza di Dio. Quanto è importantefarne memoria quando preghiamo! Come inse-gna un Salmo, che dice: «Ricordo i prodigidel Signore, sì, ricordo le tue meraviglie» (77,12). Anche le meraviglie e i prodigi che il Si-gnore ha fatto nella nostra stessa vita.

È essenziale ricordare il bene ricevuto: senzafarne memoria diventiamo estranei a noi stessi,“passanti” dell’esistenza; senza memoria ci sra-dichiamo dal terreno che ci nutre e ci lasciamoportare via come foglie dal vento. Fare memo-ria invece è riannodarsi ai legami più forti, èsentirsi parte di una storia, è respirare con unpopolo. La memoria non è una cosa privata, èla via che ci unisce a Dio e agli altri. Per que-sto nella Bibbia il ricordo del Signore va tra-smesso di generazione in generazione, va rac-contato di padre in figlio, come dice un belpassaggio: «Quando in avvenire tuo figlio tidomanderà: “Che cosa significano queste istru-zioni […] che il Signore, nostro Dio, vi ha da-to?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamoschiavi […] — tutta la storia della schiavitù — eil Signore operò sotto i nostri occhi segni epro digi”» (Dt 6, 20-22). Tu darai la memoria atuo figlio.

Ma c’è un problema: se la catena di trasmis-sione dei ricordi si interrompe? E poi, come sipuò ricordare quello che si è solo sentito dire,senza averne fatto esperienza? Dio sa quanto èdifficile, sa quanto è fragile la nostra memoria,e per noi ha compiuto una cosa inaudita: ci halasciato un memoriale. Non ci ha lasciato solodelle parole, perché è facile scordare quelloche si ascolta. Non ci ha lasciato solo la Scrit-tura, perché è facile dimenticare quello che silegge. Non ci ha lasciato solo dei segni, per-ché si può dimenticare anche quello che si ve-de. Ci ha dato un Cibo, ed è difficile dimenti-care un sapore. Ci ha lasciato un Pane nelquale c’è Lui, vivo e vero, con tutto il saporedel suo amore. Ricevendolo possiamo dire: “Èil Signore, si ricorda di me!”. Perciò Gesù ci

Guarisce anzitutto la nostra memoria orfana.Noi viviamo un’epoca di tanta orfanezza.Guarisce la memoria orfana. Tanti hanno lamemoria segnata da mancanze di affetto e dadelusioni cocenti, ricevute da chi avrebbe do-vuto dare amore e invece ha reso orfano ilcuore. Si vorrebbe tornare indietro e cambiareil passato, ma non si può. Dio, però, può gua-rire queste ferite, immettendo nella nostra me-moria un amore più grande: il suo. L’Eucari-stia ci porta l’amore fedele del Padre, che risa-na la nostra orfanezza. Ci dà l’amore di Gesù,che ha trasformato un sepolcro da punto di ar-rivo a punto di partenza e allo stesso modopuò ribaltare le nostre vite. Ci infonde l’a m o redello Spirito Santo, che consola, perché nonlascia mai soli, e cura le ferite.

Con l’Eucaristia il Signore guarisce anche lanostra memoria negativa, quella negatività cheviene tante volte nel nostro cuore. Il Signoreguarisce questa memoria negativa, che porta

sempre a galla le cose che non vanno e ci la-scia in testa la triste idea che non siamo buonia nulla, che facciamo solo errori, che siamo“sbagliati”. Gesù viene a dirci che non è così.Egli è contento di farsi intimo a noi e, ognivolta che lo riceviamo, ci ricorda che siamopreziosi: siamo gli invitati attesi al suo ban-chetto, i commensali che desidera. E non solo

Accanto a chi ha famedi cibo e di dignità

La messacelebrata dal Papa

nella basilicaVa t i c a n a

#corpusdomini

Oggi è urgente dar vita a«vere e proprie catene disolidarietà» per prendersi«cura di chi ha fame di ciboe dignità, di chi non lavorae fatica ad andare avanti».Lo ha affermato PapaFrancesco all’omelia dellamessa celebrata nellabasilica Vaticana domenicamattina, 14 giugno,solennità del CorpusD omini.«Signore Gesù, guarda latua sposa, colmala della tuapresenza, e non privarla maidel tuo Corpo e del tuoSangue». È stata questa unadelle intenzioni di preghieraelevate durante il ritoall’altare della Cattedra. Acausa dell’e m e rg e n z asanitaria da covid-19, hapouto partecipare solo unnumero limitato di fedeli.Nelle altre intenzioni si èpregato per i sacerdoti,perché siano santificati dalsacramento eucaristico; per igovernanti, perché ilSignore renda «sapienti iloro progetti» e li aiuti «nelquotidiano servizio deipopoli loro affidati»; per iseminaristi, perchémodellino il loro cuore suquello di Cristo; e per ipoveri e i sofferenti, affinchésiano sostenuti dall’amiciziae dalla speranza del Signoree dalla carità fraterna. Dopola comunione, si è svoltal’adorazione e labenedizione eucaristica. Alcanto del Adoro te devote, èstato esposto nell’ostensorioil Santissimo Sacramento.Poi, al canto del Tantum ergo,il Papa ha benedetto ipresenti e quanti eranocollegati attraverso i mezzidi comunicazione sociale.Dopo le acclamazioni, ildiacono ha riposto ilSantissimo Sacramento,mentre l’assemblea siscioglieva al cantodell’antifona mariana Subtuum praesidium.

ha chiesto: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11, 24). Fa t e : l’Eucaristia non è un sempli-ce ricordo, è un fatto: è la Pasqua del Signoreche rivive per noi. Nella Messa la morte e larisurrezione di Gesù sono davanti a noi. Fa t equesto in memoria di me: riunitevi e come co-munità, come popolo, come famiglia, celebratel’Eucaristia per ricordarvi di me. Non possia-mo farne a meno, è il memoriale di Dio. Eguarisce la nostra memoria ferita. CO N T I N UA A PA G I N A 15

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Oggi, in Italia e in altre Nazioni, si celebra lasolennità del Corpo e Sangue di Cristo, il Cor-pus Domini. Nella seconda Lettura della litur-gia odierna, San Paolo risveglia la nostra fedein questo mistero di comunione (cfr. 1 Cor 10,16-17). Egli sottolinea due effetti del calicecondiviso e del pane spezzato: l’effetto misticoe l’effetto comunitario.

Dapprima l’Apostolo afferma: «Il calice del-la benedizione che noi benediciamo non è for-se comunione con il sangue di Cristo? E il pa-ne che noi spezziamo non è forse comunionecon il corpo di Cristo?» (v. 16). Queste paroleesprimono l’effetto mistico o possiamo dire l’ef-fetto spirituale dell’Eucaristia: esso riguardal’unione con Cristo, che nel pane e nel vino sioffre per la salvezza di tutti. Gesù è presentenel sacramento dell’Eucaristia per essere il no-stro nutrimento, per essere assimilato e diven-tare in noi quella forza rinnovatrice che ridonaenergia e ridona voglia di rimettersi in cammi-no, dopo ogni sosta o dopo ogni caduta. Maquesto richiede il nostro assenso, la nostra di-sponibilità a lasciar trasformare noi stessi, ilnostro modo di pensare e di agire; altrimentile celebrazioni eucaristiche a cui partecipiamosi riducono a dei riti vuoti e formali. Tantevolte qualcuno va a messa ma perché si deveandare, come un atto sociale, rispettoso, masociale. Ma il mistero è un’altra cosa: è Gesùpresente che viene per nutrirci.

Il secondo effetto è quello comunitario ed èespresso da San Paolo con queste parole:«Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benchémolti, un solo corpo» (v. 17). Si tratta della co-munione reciproca di quanti partecipanoall’Eucaristia, al punto da diventare tra loro uncorpo solo, come unico è il pane che si spezzae si distribuisce. Siamo comunità, nutriti dalcorpo e dal sangue di Cristo. La comunione alcorpo di Cristo è segno efficace di unità, dicomunione, di condivisione. Non si può parte-cipare all’Eucaristia senza impegnarsi in una

fraternità vicendevole, che sia sincera. Ma ilSignore sa bene che le nostre sole forze umanenon bastano per questo. Anzi, sa che tra i suoidiscepoli ci sarà sempre la tentazione della ri-valità, dell’invidia, del pregiudizio, della divi-sione... Tutti conosciamo queste cose. Ancheper questo ci ha lasciato il Sacramento dellasua Presenza reale, concreta e permanente, co-sì che, rimanendo uniti a Lui, noi possiamo ri-cevere sempre il dono dell’amore fraterno.«Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9), ha det-to Gesù; ed è possibile grazie all’Eucaristia.Rimanere nell’amicizia, nell’a m o re .

Questo duplice frutto dell’Eucaristia: il pri-mo, l’unione con Cristo e il secondo, la comu-nione tra quanti si nutrono di Lui, genera erinnova continuamente la comunità cristiana.È la Chiesa che fa l’Eucaristia, ma è più fon-damentale che l’Eucaristia fa la Chiesa, e lepermette di essere la sua missione, prima ancorache di compierla. Questo è il mistero della co-munione, dell’Eucaristia: ricevere Gesù perchéci trasformi da dentro e ricevere Gesù perchéfaccia di noi l’unità e non la divisione.

La Vergine Santa ci aiuti ad accogliere sem-pre con stupore e gratitudine il grande donoche Gesù ci ha fatto lasciandoci il Sacramentodel suo Corpo e del suo Sangue.

Al termine della preghiera, dopo l’appelloper la Libia, il Pontefice ha ricordatola Giornata mondiale del donatore di sangue,definendola «un’occasione per stimolare la societàa essere solidale e sensibile a quantihanno bisogno».

Cari fratelli e sorelle,seguo con grande apprensione e anche condolore la drammatica situazione in Libia. Èstata presente nella mia preghiera in questi ul-timi giorni. Per favore, esorto gli Organismiinternazionali e quanti hanno responsabilitàpolitiche e militari a rilanciare con convinzionee risolutezza la ricerca di un cammino verso lacessazione delle violenze, che porti alla pace,alla stabilità e all’unità del Paese. Prego ancheper le migliaia di migranti, rifugiati, richieden-ti asilo e sfollati interni in Libia. La situazionesanitaria ha aggravato le loro già precarie con-dizioni, rendendoli più vulnerabili da forme disfruttamento e violenza. C’è crudeltà. Invito lacomunità internazionale, per favore, a prende-re a cuore la loro condizione, individuandopercorsi e fornendo mezzi per assicurare ad es-si la protezione di cui hanno bisogno, unacondizione dignitosa e un futuro di speranza.Fratelli e sorelle, di questo tutti abbiamo re-sponsabilità, nessuno può sentirsi dispensato.Preghiamo tutti per la Libia in silenzio.

Oggi ricorre la Giornata Mondiale del Dona-tore di Sangue. È un’occasione per stimolare lasocietà ad essere solidale e sensibile a quantihanno bisogno. Saluto i volontari presenti edesprimo il mio apprezzamento a tutti coloroche compiono questo atto semplice ma moltoimportante di aiuto al prossimo: donare il san-gue.

Saluto tutti voi, fedeli romani e pellegrini.Auguro a voi, e a quanti sono collegati con imedia, una buona domenica. Per favore, nondimenticatevi di pregare per me. Buon pranzoe arrivederci.

P ro t e g g e rei migrantie far cessarele violenzein Libia

L’appellodel Ponteficeal terminedella preghieramariana

#angelus

Un appello per la fine delle violenze in Libia e per la protezione dei migranti è stato lanciato dal Papaal termine dell’Angelus recitato a mezzogiorno di domenica 14 giugno. Prima della preghiera marianail Pontefice aveva offerto ai fedeli — riuniti in piazza San Pietro nel rispetto delle distanze di sicurezzaimposte a causa della pandemia — una meditazione sull’Eucaristia prendendo spunto dalla liturgiadella solennità del Corpus Domini.

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il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 18 giugno 2020

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«T

Nei prossimi mesi, quando si avvertiranno maggiormente le conseguenzeeconomiche e sociali della pandemia, aumenteranno di pari passo lerichieste di aiuto di uomini e donne colpiti nelle loro sicurezze e nella lorodignità. Allora sarà compito della Chiesa «non far mancare ai sempre piùnumerosi poveri che incontriamo» la “mano tesa” dell’attenzione, delsostegno e della solidarietà. Nel presentare sabato 13 giugno, nella Salastampa della Santa Sede, il messaggio del Papa per la quarta Giornatamondiale dei poveri, l’arcivescovo Rino Fisichella ha sottolineato comequesto si innesti direttamente «nel drammatico momento che il mondointero ha vissuto a causa del covid-19, e che molti Paesi stanno ancoracombattendo nella fatica di portare soccorso a quanti sono vittimeinno centi».Per questo, ha detto il presidente del Pontificio consiglio per lapromozione della nuova evangelizzazione, occorre alimentare «i segniquotidiani che accompagnano la nostra azione pastorale, e quellistraordinari che la Giornata mondiale dei poveri prevede e da diversi anniormai realizza».L’immagine del «tendere la mano», richiamata da Francesco si concretizza— ha spiegato il presule ripercorrendo i temi fondamentali del documento— in quella delle tante mani tese che in questi mesi si sono viste operaretra le sofferenze portate dal coronavirus: quelle dei medici, degliinfermieri, dei farmacisti, dei sacerdoti, dei volontari. Una «litania diopere di bene» che è anche un invito a ogni cristiano «ad assumersi laresponsabilità di dare il proprio contributo, che si evidenzia in gesti divita quotidiana per alleviare la sorte di quanti vivono nel disagio emancano della dignità di figli di Dio».Un’immagine, ha detto ancora l’arcivescovo, che si contrappone a quelladi altre mani, quelle avide di coloro che agiscono solo per accumularedenaro e potere e, senza un briciolo di responsabilità sociale, finisconocon il far accrescere a dismisura nel mondo «estreme sacche di povertà».Anche le domande dei giornalisti, intervenuti in diretta streaming viaSkype, hanno insistito sul tema della crisi innescata dal coronavirus. A taleriguardo il presidente del Pontificio consiglio per la promozione dellanuova evangelizzazione ha ribadito come il messaggio del Papa coinvolgain maniera particolare quanti stanno soffrendo di questa situazione in cuinel mondo intero c’è un continuo aumentare di «nuovi poveri». Bastauscire per le strade, ha osservato monsignor Fisichella, per vederesaracinesche abbassate e negozi chiusi. Per questo l’impegno della Chiesa,

attraverso le sue istituzioni, le parrocchie, le associazioni, in questimesi è stato e continua a essere costante. Ed è

un’attenzione che non viene mai meno, come èavvenuto ad esempio nei giorni scorsi — ha

ricordato il presule — con l’istituzione da partedi Papa Francesco del Fondo Gesù Divino

lavoratore in favore di quanti, nella diocesidi Roma, vedono minata, insieme allasicurezza dell’occupazione, anche la

propria dignità. In tale contesto, haaggiunto, occorre avere un’idea dicorresponsabilità, di condivisione e di

Mani tese con generositàper rispondere al grido silenzioso

dei più bisognosi

Nel messaggioper la Giornata

dei poverinuovo elogio

del Papaa chi durantela pandemia

sfida il contagioe la paura per

aiutare il prossimo

#copertina

«Il tempo da dedicare alla preghiera non può maidiventare un alibi per trascurare il prossimo in difficoltà.È vero il contrario... la preghiera raggiunge il suo scopo»quando è accompagnata dal servizio ai più bisognosi.È quanto scrive Papa Francesco nel messaggioper la IV edizione della Giornata mondiale dei poveri —da lui istituita nel 2016 con la lettera apostolica«Misericordia et misera» a conclusione del Giubileodella misericordia — che sarà celebrata il prossimo15 novembre, XXXIII domenica del tempo ordinario.

«Tendi la tua mano al povero»(cfr. Sir 7, 32)

endi la tua mano al povero» (cfr. Sir 7, 32). La sapien-za antica ha posto queste parole come un codice sacroda seguire nella vita. Esse risuonano oggi con tutta laloro carica di significato per aiutare anche noi a con-centrare lo sguardo sull’essenziale e superare le barrieredell’indifferenza. La povertà assume sempre volti diver-si, che richiedono attenzione ad ogni condizione parti-colare: in ognuna di queste possiamo incontrare il Si-gnore Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoifratelli più deboli (cfr. Mt 25, 40).

1. Prendiamo tra le mani il S i ra c i d e , uno dei libridell’Antico Testamento. Qui troviamo le parole di unmaestro di saggezza vissuto circa duecento anni primadi Cristo. Egli andava in cerca della sapienza che rendegli uomini migliori e capaci di scrutare a fondo le vi-cende della vita. Lo faceva in un momento di dura pro-va per il popolo d’Israele, un tempo di dolore, lutto emiseria a causa del dominio di potenze straniere. Es-sendo un uomo di grande fede, radicato nelle tradizionidei padri, il suo primo pensiero fu di rivolgersi a Dioper chiedere a Lui il dono della sapienza. E il Signorenon gli fece mancare il suo aiuto.

Fin dalle prime pagine del libro, il S i ra c i d e espone isuoi consigli su molte concrete situazioni di vita, e lapovertà è una di queste. Egli insiste sul fatto che neldisagio bisogna avere fiducia in Dio: «Non ti smarrirenel tempo della prova. Stai unito a lui senza separarte-ne, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accettaquanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose,perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben ac-cetti nel crogiuolo del dolore. Nelle malattie e nella po-vertà confida in lui. Affidati a lui ed egli ti aiuterà, rad-drizza le tue vie e spera in lui. Voi che temete il Signo-

re, aspettate la sua misericordia e non deviate, per noncadere» (2, 2-7).

2. Pagina dopo pagina, scopriamo un prezioso com-pendio di suggerimenti sul modo di agire alla luce diun’intima relazione con Dio, creatore e amante delcreato, giusto e provvidente verso tutti i suoi figli. Ilcostante riferimento a Dio, tuttavia, non distoglie dalguardare all’uomo concreto, al contrario, le due cosesono strettamente connesse.

Lo dimostra chiaramente il brano da cui è tratto il ti-tolo di questo Messaggio (cfr. 7, 29-36). La preghiera aDio e la solidarietà con i poveri e i sofferenti sono inse-parabili. Per celebrare un culto che sia gradito al Si-gnore, è necessario riconoscere che ogni persona, anchequella più indigente e disprezzata, porta impressa in sél’immagine di Dio. Da tale attenzione deriva il donodella benedizione divina, attirata dalla generosità prati-cata nei confronti del povero. Pertanto, il tempo da de-dicare alla preghiera non può mai diventare un alibiper trascurare il prossimo in difficoltà. È vero il contra-rio: la benedizione del Signore scende su di noi e lapreghiera raggiunge il suo scopo quando sono accom-pagnate dal servizio ai poveri.

3. Quanto è attuale questo antico insegnamento an-che per noi! Infatti la Parola di Dio oltrepassa lo spa-zio, il tempo, le religioni e le culture. La generosità chesostiene il debole, consola l’afflitto, lenisce le sofferen-ze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizionedi una vita pienamente umana. La scelta di dedicare at-tenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, nonpuò essere condizionata dal tempo a disposizione o dainteressi privati, né da progetti pastorali o sociali disin-carnati. Non si può soffocare la forza della grazia di

Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre séstessi al primo posto.

Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, maquanto mai necessario per imprimere alla nostra vitapersonale e sociale la giusta direzione. Non si tratta dispendere tante parole, ma piuttosto di impegnare con-cretamente la vita, mossi dalla carità divina. Ogni an-no, con la Giornata Mondiale dei Poveri, ritorno suquesta realtà fondamentale per la vita della Chiesa, per-ché i poveri sono e saranno sempre con noi (cfr. Gv 12,8) per aiutarci ad accogliere la compagnia di Cristonell’esistenza quotidiana.

4. Sempre l’incontro con una persona in condizionedi povertà ci provoca e ci interroga. Come possiamocontribuire ad eliminare o almeno alleviare la sua emar-ginazione e la sua sofferenza? Come possiamo aiutarlanella sua povertà spirituale? La comunità cristiana èchiamata a coinvolgersi in questa esperienza di condivi-sione, nella consapevolezza che non le è lecito delegar-la ad altri. E per essere di sostegno ai poveri è fonda-mentale vivere la povertà evangelica in prima persona.Non possiamo sentirci “a posto” quando un membrodella famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventaun’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve tro-vare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovun-que, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzarecon essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse di-sattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comu-nità.

È vero, la Chiesa non ha soluzioni complessive daproporre, ma offre, con la grazia di Cristo, la sua testi-monianza e gesti di condivisione. Essa, inoltre, si sentein dovere di presentare le istanze di quanti non hanno

il necessario per vivere. Ricordare a tutti il grande valo-re del bene comune è per il popolo cristiano un impe-gno di vita, che si attua nel tentativo di non dimentica-re nessuno di coloro la cui umanità è violata nei biso-gni fondamentali.

5. Tendere la mano fa scoprire, prima di tutto a chilo fa, che dentro di noi esiste la capacità di compieregesti che danno senso alla vita. Quante mani tese si ve-dono ogni giorno! Purtroppo, accade sempre più spes-so che la fretta trascina in un vortice di indifferenza, alpunto che non si sa più riconoscere il tanto bene chequotidianamente viene compiuto nel silenzio e congrande generosità. Accade così che, solo quando succe-dono fatti che sconvolgono il corso della nostra vita, gliocchi diventano capaci di scorgere la bontà dei santi“della porta accanto”, «di quelli che vivono vicino anoi e sono un riflesso della presenza di Dio» (Esort.ap. Gaudete et exsultate, 7), ma di cui nessuno parla. Lecattive notizie abbondano sulle pagine dei giornali, neisiti internet e sugli schermi televisivi, tanto da far pen-sare che il male regni sovrano. Non è così. Certo, nonmancano la cattiveria e la violenza, il sopruso e la cor-ruzione, ma la vita è intessuta di atti di rispetto e di ge-nerosità che non solo compensano il male, ma spingo-no ad andare oltre e ad essere pieni di speranza.

6. Tendere la mano è un segno: un segno che richia-ma immediatamente alla prossimità, alla solidarietà,all’amore. In questi mesi, nei quali il mondo intero èstato come sopraffatto da un virus che ha portato dolo-re e morte, sconforto e smarrimento, quante mani te-se abbiamo potuto vedere! La mano tesa del me-dico che si preoccupa di ognipaziente cercando di trovare ilrimedio giusto. La mano tesadell’infermiera e dell’i n f e r m i e reche, ben oltre i loro orari di la-voro, rimangono ad accudire imalati. La mano tesa di chi la-vora nell’amministrazione e pro-

Scrollarsi di dossol’i n d i f f e re n z a

«“Tendi la tua mano al povero”. La sapienza antica ha posto queste parole comeun codice sacro da seguire nella vita» (@Pontifex_it, 13 giugno)

cura i mezzi per salvare quantepiù vite possibile. La mano tesadel farmacista esposto a tanterichieste in un rischioso contat-to con la gente. La mano tesadel sacerdote che benedice conlo strazio nel cuore. La manotesa del volontario che soccorrechi vive per strada e quanti, puravendo un tetto, non hanno damangiare. La mano tesa di uo-mini e donne che lavorano peroffrire servizi essenziali e sicu-rezza. E altre mani tese potrem-mo ancora descrivere fino acomporre una litania di operedi bene. Tutte queste mani han-no sfidato il contagio e la paurapur di dare sostegno e consola-zione.

7. Questa pandemia è giuntaall’improvviso e ci ha colto im-preparati, lasciando un grande

giustizia. Un «principio etico cheguardi al bene comune» e che deveessere assunto anche dalla scienza nelfronteggiare la crisi. Così, adesempio, nella ricerca di un vaccinoche contrasti il coronavirus, non sipossono favorire interessi personali,né dovranno esserci zone geograficheprivilegiate perché più ricche.L’impegno, ha auspicato, dev’e s s e requello di tutelare l’immagine di Dioche è «impressa in ogni uomoindipendentemente dal colore dellapelle e dal suo conto in banca».La massiccia presenza di tanti volti dipoveri, ha concluso il presidente delPontificio consiglio, richiede che «icristiani siano sempre in prima linea,e sentano l’esigenza di sapere chemanca loro qualcosa di essenziale nelmomento in cui un povero sipresenta dinanzi», e il messaggio delPapa «è un invito a scrollarsi didosso l’indifferenza, e spesso il sensodi fastidio verso i poveri, perrecuperare la solidarietà e l’amore chevivono di generosità dando senso allavita».CO N T I N UA A PA G I N A 10

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senso di disorientamento e impotenza. La ma-no tesa verso il povero, tuttavia, non è giuntaimprovvisa. Essa, piuttosto, offre la testimo-nianza di come ci si prepara a riconoscere ilpovero per sostenerlo nel tempo della necessi-tà. Non ci si improvvisa strumenti di miseri-cordia. È necessario un allenamento quotidia-no, che parte dalla consapevolezza di quantonoi per primi abbiamo bisogno di una manotesa verso di noi.

Questo momento che stiamo vivendo hamesso in crisi tante certezze. Ci sentiamo piùpoveri e più deboli perché abbiamo sperimen-tato il senso del limite e la restrizione della li-bertà. La perdita del lavoro, degli affetti piùcari, come la mancanza delle consuete relazio-ni interpersonali hanno di colpo spalancatoorizzonti che non eravamo più abituati a os-servare. Le nostre ricchezze spirituali e mate-riali sono state messe in discussione e abbiamoscoperto di avere paura. Chiusi nel silenziodelle nostre case, abbiamo riscoperto quantosia importante la semplicità e il tenere gli oc-chi fissi sull’essenziale. Abbiamo maturatol’esigenza di una nuova fraternità, capace diaiuto reciproco e di stima vicendevole. Questoè un tempo favorevole per «sentire nuovamen-

tri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezzain un solo precetto: Amerai il tuo prossimo comete stesso. [...] Portate i pesi gli uni degli altri»(Gal 5, 13-14; 6, 2). L’Apostolo insegna che lalibertà che ci è stata donata con la morte e ri-surrezione di Gesù Cristo è per ciascuno dinoi una responsabilità per mettersi al serviziodegli altri, soprattutto dei più deboli. Non sitratta di un’esortazione facoltativa, ma di unacondizione dell’autenticità della fede che pro-fessiamo.

Il libro del S i ra c i d e ritorna in nostro aiuto:suggerisce azioni concrete per sostenere i piùdeboli e usa anche alcune immagini suggesti-ve. Dapprima prende in considerazione la de-bolezza di quanti sono tristi: «Non evitare co-loro che piangono» (7, 34). Il periodo dellapandemia ci ha costretti a un forzato isola-mento, impedendoci perfino di poter consola-re e stare vicino ad amici e conoscenti afflittiper la perdita dei loro cari. E ancora affermal’autore sacro: «Non esitare a visitare un mala-to» (7, 35). Abbiamo sperimentato l’imp ossibi-lità di stare accanto a chi soffre, e al tempostesso abbiamo preso coscienza della fragilitàdella nostra esistenza. Insomma, la Parola diDio non ci lascia mai tranquilli e continua astimolarci al bene.

9. «Tendi la mano al povero» fa risaltare,per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengo-no le mani in tasca e non si lasciano commuo-vere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essicomplici. L’indifferenza e il cinismo sono il lo-ro cibo quotidiano. Che differenza rispetto al-le mani generose che abbiamo descritto! Ci so-no, infatti, mani tese per sfiorare velocementela tastiera di un computer e spostare somme didenaro da una parte all’altra del mondo, de-cretando la ricchezza di ristrette oligarchie e lamiseria di moltitudini o il fallimento di interenazioni. Ci sono mani tese ad accumulare de-naro con la vendita di armi che altre mani, an-che di bambini, useranno per seminare mortee povertà. Ci sono mani tese che nell’ombrascambiano dosi di morte per arricchirsi e vive-re nel lusso e nella sregolatezza effimera. Cisono mani tese che sottobanco scambiano fa-vori illegali per un guadagno facile e corrotto.E ci sono anche mani tese che nel perbenismoipocrita stabiliscono leggi che loro stessi nonosservano.

In questo panorama, «gli esclusi continuanoad aspettare. Per poter sostenere uno stile divita che esclude gli altri, o per potersi entusia-smare con questo ideale egoistico, si è svilup-pata una globalizzazione dell’i n d i f f e re n z a .Quasi senza accorgercene, diventiamo incapacidi provare compassione dinanzi al grido di do-lore degli altri, non piangiamo più davanti aldramma degli altri né ci interessa curarci di lo-ro, come se tutto fosse una responsabilità anoi estranea che non ci compete» (Esort. ap.Evangelii gaudium, 54). Non potremo esserecontenti fino a quando queste mani che semi-nano morte non saranno trasformate in stru-menti di giustizia e di pace per il mondo inte-ro .

10. «In tutte le tue azioni, ricordati della tuafine» (Sir 7, 36). È l’espressione con cui il Si-ra c i d e conclude questa sua riflessione. Il testosi presta a una duplice interpretazione. La pri-ma fa emergere che abbiamo bisogno di teneresempre presente la fine della nostra esistenza.Ricordarsi il destino comune può essere diaiuto per condurre una vita all’insegna dell’at-tenzione a chi è più povero e non ha avuto lestesse nostre possibilità. Esiste anche una se-conda interpretazione, che evidenzia piuttostoil fine, lo scopo verso cui ognuno tende. È ilfine della nostra vita che richiede un progettoda realizzare e un cammino da compiere senzastancarsi. Ebbene, il fine di ogni nostra azionenon può essere altro che l’amore. È questo lo

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te che abbiamo bisogno gli uni degli altri, cheabbiamo una responsabilità verso gli altri everso il mondo [...]. Già troppo a lungo siamostati nel degrado morale, prendendoci giocodell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà[...]. Tale distruzione di ogni fondamento del-la vita sociale finisce col metterci l’uno control’altro per difendere i propri interessi, provocail sorgere di nuove forme di violenza e crudel-tà e impedisce lo sviluppo di una vera culturadella cura dell’ambiente» (Lett. enc. Laudatosi’, 229). Insomma, le gravi crisi economiche,finanziarie e politiche non cesseranno fino aquando permetteremo che rimanga in letargola responsabilità che ognuno deve sentire ver-so il prossimo ed ogni persona.

8. «Tendi la mano al povero», dunque, è uninvito alla responsabilità come impegno diret-to di chiunque si sente partecipe della stessasorte. È un incitamento a farsi carico dei pesidei più deboli, come ricorda San Paolo: «Me-diante l’amore siate a servizio gli uni degli al-

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scopo verso cui siamo incamminati e nulla cideve distogliere da esso. Questo amore è con-divisione, dedizione e servizio, ma cominciadalla scoperta di essere noi per primi amati erisvegliati all’amore. Questo fine appare nelmomento in cui il bambino si incontra con ilsorriso della mamma e si sente amato per ilfatto stesso di esistere. Anche un sorriso checondividiamo con il povero è sorgente di amo-re e permette di vivere nella gioia. La manotesa, allora, possa sempre arricchirsi del sorrisodi chi non fa pesare la propria presenza el’aiuto che offre, ma gioisce solo di vivere lostile dei discepoli di Cristo.

In questo cammino di incontro quotidianocon i poveri ci accompagna la Madre di Dio,che più di ogni altra è la Madre dei poveri. LaVergine Maria conosce da vicino le difficoltà e

le sofferenze di quanti sono emarginati, perchélei stessa si è trovata a dare alla luce il Figliodi Dio in una stalla. Per la minaccia di Erode,con Giuseppe suo sposo e il piccolo Gesù èfuggita in un altro paese, e la condizione diprofughi ha segnato per alcuni anni la santaFamiglia. Possa la preghiera alla Madre deipoveri accomunare questi suoi figli prediletti equanti li servono nel nome di Cristo. E la pre-ghiera trasformi la mano tesa in un abbracciodi condivisione e di fraternità ritrovata.

Roma, San Giovanni in Laterano,13 giugno 2020, Memoria liturgica

di Sant’Antonio di Padova.

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Risvegliarsi dal letargodella responsabilità

di ANDREA MONDA

«Ho osservato la miseria del mio popoloin Egitto e ho udito il suo grido a causadei suoi sorveglianti; conosco infatti lesue sofferenze. Sono sceso per liberarlo».Le parole che Dio, dai rami di un rovetoche arde senza consumarsi, rivolge aMosè nel terzo capitolo del librodell’Esodo segnano l’inizio della storia, diuna storia veramente umana, una storia disalvezza. Prima di queste parole non c’erauna vera “storia”, l’uomo era solo unelemento naturale in mezzo ad altriviventi suoi simili, aggiogato al ritmociclico della natura, all’interno di unadura lotta per la sopravvivenza chesfociava sempre in una legge, quella delpiù forte. Gli Egiziani e gli Ebrei. Oraaccade un fatto nuovo. Qualcuno, al disopra della natura, il suo creatore stesso,inter-viene, viene dentro, “scende” p erliberare l’uomo di cui prova compassioneper la sua “miseria”. Questa discesaavviene perché si realizzano, insieme, treazioni: osservare, udire, conoscere. Equindi si passa alla liber-azione. Questo èl’inizio della storia di Israele che hanell’avvento di Cristo il compimento, unastoria che vede sempre l’uomoprotagonista insieme a Dio. «Chi hacreato tutto senza di te, non salverà tesenza di te» ricorda Sant’Agostino.Questa storia di salvezza, può avveniresolo con la risposta attiva dell’uomo, solose il cammino è un sin-odo, una viapercorsa insieme: Dio cammina con il suopopolo che accoglie la sua proposta dilib ertà.Questa storia, come tante altreraccontate dalla Bibbia, avviene sempre,ogni giorno. Dio chiama e propone,l’uomo risponde. Può farlo perché ne ècapace, è respons-abile. A volte lo fa, manon sempre, e quando l’uomo nonrisponde ritorna ad essere un elementosolamente naturale. Lo si riconosce dalfatto che mette a dormire la propriaresponsabilità, la mette “in letargo”. Èquesta l’espressione che il Papa hautilizzato nel suo ultimo Messaggio perla giornata mondiale dei poveripubblicato sabato 13 giugno: «Le gravicrisi economiche, finanziarie e politichenon cesseranno fino a quandopermetteremo che rimanga in letargo la

responsabilità che ognuno deve sentireverso il prossimo ed ogni persona».Interessante questo verbo: “noncesseranno”, come a dire che lo sviluppoeconomico, affidato solo agli uomini,diventa un naturale “flusso continuo” digravi crisi, di lotte per il potere al fine disoddisfare l’inestinguibile avidità. Sel’avidità non dorme mai, per realizzarsinecessita che tutto il resto, cioè lacoscienza, dorma, stia in letargo inmodo che anche la responsabilitàdell’uomo si affievolisca fino ascomparire. C’è bisogno di un interventosoprannaturale per interrompere questociclo apparentemente ineluttabile equesto puntualmente avviene grazie alfatto che, come ricordava Pascal,«l’uomo supera infinitamente l’uomo».Questo intervento si esprime in un gestoche il Papa ha voluto indicare cometitolo del suo messaggio: il tendere lamano al povero. Un gesto che oggi,anche in questo momento di drammaticacrisi, avviene spesso, ogni giorno, soloche non ce ne accorgiamo. Il Papa citaben sette esempi di “mani tese”: quelladel medico, dell’infermiere, «di chilavora nell’amministrazione e procura imezzi per salvare quante più vitepossibile», del farmacista, «del sacerdoteche benedice con lo strazio nel cuore»,del volontario, «la mano tesa di uominie donne che lavorano per offrire serviziessenziali e sicurezza. E altre mani tesepotremmo ancora descrivere fino acomporre una litania di opere di bene.Tutte queste mani hanno sfidato ilcontagio e la paura pur di dare sostegnoe consolazione».Cosa hanno fatto tutte queste persone?Hanno fatto come Dio: osservato, udito,conosciuto la sofferenza, sono accorsi perliberare gli altri da quel dolore, oquantomeno accompagnarli contro unmale che faceva di tutto per distruggerela possibilità stessa di questa compagnia.Quelle mani tese sono state le mani diDio che chiede, per accarezzare l’uomo,la collaborazione delle mani di altriuomini. Il gesto di tendere la mano alpovero, osserva il Papa, «fa risaltare, percontrasto, l’atteggiamento di quantitengono le mani in tasca e non si lascianocommuovere dalla povertà, di cui spesso

sono anch’essi complici. L’indifferenza eil cinismo sono il loro cibo quotidiano».Si diventa collaboratori della tenerezza diDio o indifferenti non tutto di un colpoma attraverso un “cibo quotidiano”.«Non ci si improvvisa strumenti dimisericordia» continua il Papa nelMessaggio: «È necessario un allenamentoquotidiano, che parte dallaconsapevolezza di quanto noi per primiabbiamo bisogno di una mano tesa versodi noi. Questo momento che stiamovivendo ha messo in crisi tante certezze.Ci sentiamo più poveri e più deboliperché abbiamo sperimentato il senso dellimite e la restrizione della libertà. Laperdita del lavoro, degli affetti più cari,come la mancanza delle consueterelazioni interpersonali hanno di colpospalancato orizzonti che non eravamo piùabituati a osservare. Le nostre ricchezzespirituali e materiali sono state messe indiscussione e abbiamo scoperto di averepaura. Chiusi nel silenzio delle n o s t recase, abbiamo riscoperto quanto siaimportante la semplicità e il tenere gliocchi fissi sull’essenziale».Tenere gli occhi fissi, cioè osservare. Eob-bedire, cioè mettersi in ascolto, perchèc’è un grido nella storia degli uomini chedeve essere ascoltato. Così si arriverà a

conoscere le sofferenze degli altri. Questoforse è il passaggio più delicato: il mondooggi sembra essere diviso in due parti chetra loro s’ignorano, gli uni non sannoniente della vita degli altri, non riesconoa trovare un punto di incontro (questosarebbe il “luogo” della politica), e il lorourtarsi diventa inevitabilmente unoscontro. Ma solo se si conoscono lesofferenze, se le si ri-conoscono, si puòveramente passare all’azione del venireincontro, soccorrere, salvare. Su questopassaggio il Papa ha parole quanto mainette e inequivocabili: «Non possiamosentirci “a posto” quando un membrodella famiglia umana è relegato nelleretrovie e diventa un’ombra. Il gridosilenzioso dei tanti poveri deve trovare ilpopolo di Dio in prima linea, sempre edovunque, per dare loro voce, perdifenderli e solidarizzare con essi davantia tanta ipocrisia e tante promessedisattese, e per invitarli a partecipare allavita della comunità». È un discorso cheha senz’altro conseguenze politiche maprima ancora è profondamente umano eautenticamente cristiano, rivolto alpopolo dei cristiani, che per loro naturanon possono, su questa terra, sentirsi “ap osto”.

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Molti bambini sono costretti a lavori inadeguati alla loroetà, che li privano della loro infanzia e ne mettono

a repentaglio lo sviluppo integrale. Faccio appelloalle istituzioni affinché compiano ogni sforzo

per proteggere i minori. #NoChildLabourDay

(@Pontifex, 12 giugno)”colte e aiutate nella struttura dell’Alveare diSanta Rita che è parte del monastero.

SA B AT O 13«È la prima volta che assisto a un pellegrinag-gio virtuale». In serata Francesco è intervenu-to telefonicamente, per l’ottavo anno consecu-tivo, all’edizione numero 42 del pellegrinaggioMacerata-Loreto, che quest’anno però si èsvolta con una modalità inedita a causa delcovid-19.

Il Pontefice si è rivolto direttamente «ai caripellegrini virtuali, ragazzi e ragazze, uomini,donne, tutti voi che siete in questo momentofuori del santuario della Madonna di Loreto,la Madre della speranza, la Madre che aiuta aguardare oltre, in questi momenti tanto diffici-li abbiamo bisogno di guardare oltre con spe-ranza». E il Papa ha proseguito il suo inter-vento con queste parole: «Vi sono vicino inquesto pellegrinaggio virtuale e prego con voie per voi, e voi pregate per me. Abbiate corag-gio! I tempi che si avvicinano, dopo questapandemia, non saranno facili, ma col coraggio,la fede, la speranza potremo andare avanti.Coraggio! Chiedete alla Madonna questo co-raggio oggi. Io sono con voi pregando». Perpoi concludere: «Grazie a voi e a tutti coloroche collaborano in questo pellegrinaggio vir-tuale. Che il Signore vi benedica, la Madonnavi custodisca. Vi benedico e, per favore, prega-te per me, non dimenticatelo».

L’edizione virtuale dell’ormai tradizionalepellegrinaggio ha avuto luogo soltanto a Lore-to, precisamente dalla piazza della Madonnafino all’interno della basilica della Santa Casa,con il passaggio attraverso la porta santa. Era-no presenti a questo momento soltanto ventigiovani, in rappresentanza delle migliaia dipellegrini che ogni anno danno vita a questoappuntamento spirituale. Con loro c’eranomonsignor Giancarlo Vecerrica, vescovo emeri-to di Fabriano-Matelica, e monsignor FabioDal Cin, arcivescovo prelato di Loreto. Fran-cesco ha concluso il suo messaggio con un si-gnificativo saluto a tutti i partecipanti: «Siete ipellegrini della Madonna».

#7giorniconilpapa

VENERDÌ 12«Che i fratelli e le sorelle segnati dall’afflizio-ne riprendano ad affluire a codesta oasi di pa-ce per intraprendere nuove strade verso la ve-rità che ci fa liberi». È l’auspicio di PapaFrancesco per una riapertura del santuario diSanta Rita al flusso dei pellegrini che abitual-mente giungono a Cascia da tutto il mondo. IlPontefice lo ha affidato a una lettera indirizza-

ta alla priora del monaste-ro delle agostiniane, suorMaria Rosa Bernardinis.

Un filo invisibile di af-fetto e di preghiera si è in-fatti intrecciato nei giorniscorsi tra la cittadina um-bra e il Vaticano: il 22maggio le religiose aveva-no inviato al Ponteficecinque rose benedette, co-me da tradizione, in occa-sione della festa della pa-trona. Un gesto pensatonon solo dalle monachema anche dai padri agosti-niani per unirsi al Pontefi-ce nell’invocare l’i n t e rc e s -sione di santa Rita su tut-ta l’umanità colpita dallapandemia. E pronta è arri-vata la risposta di France-sco, che ha fatto giungereall’«intera comunità mo-nastica, i padri agostinianie le Apette dell’Alveare diSanta Rita» la propria be-nedizione «quale segno divicinanza e di gratitudine

per la preghiera a sostegno del mio ministe-ro». L’omaggio floreale, «simbolo dei cinquecontinenti» — si legge nel messaggio — è stato«deposto ai piedi della Madonna» e si è subi-to trasformato in una preghiera comune, affin-ché «l’intercessione della Mamma del cielo edella Santa dei casi impossibili ci ottenga diadempiere alla volontà di Dio a cui tutto èp ossibile».

Il pensiero del Pontefice, ancora una volta,è andato a chi ha subito le conseguenze delcontagio da covid-19. «In questo tempo dipandemia — scrive — annunciamo a tutti cheGesù è la nostra unica speranza» e che «nelSignore risorto il Padre realizza tutte le pro-messe e ci offre la prova più grande della suafedeltà». Pertanto, prosegue il Papa, «non cirassegnamo alla sofferenza, né alla morte, maci mettiamo in cammino per costruire il futuroche Dio vuole realizzare per tutti i suoi figli».

Una rosa, come segno di premura per l’Ita-lia, drammaticamente colpita dal coronavirus,era stata inviata anche al presidente della Re-pubblica, al presidente del Consiglio, ai presi-denti delle regioni e ai presidenti delle confe-renze episcopali regionali. E alla vigilia dellamanifestazione «Porte aperte all’A l v e a re »(martedì 16 giugno), le suore hanno particolar-mente apprezzato l’attenzione rivolta da Fran-cesco alle “Ap ette”, bambine e ragazze prove-nienti da famiglie in difficoltà che vengono ac-

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di ANDREA TORNIELLI

La dichiarazione conciliare Nostra aetate a p p ro -vata dai padri del Vaticano II e promulgata daPaolo VI il 28 ottobre 1965 ha segnato unasvolta irreversibile nei rapporti tra la Chiesacattolica e l’ebraismo sulla scia dei passi intra-presi da Giovanni XXIII, e ha cambiato in mo-do significativo l’approccio del cattolicesimonei confronti delle religioni non cristiane. È ri-tenuto un testo fondativo per il dialogo con lealtre fedi religiose, frutto di un lungo lavorore d a z i o n a l e .

Relazione unicatra cristianesimo ed ebraismo

La parte centrale del documento è quella ri-guardante l’ebraismo: «Scrutando il misterodella Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vinco-lo con cui il popolo del Nuovo Testamento èspiritualmente legato con la stirpe di Abra-mo... Essendo perciò tanto grande il patrimo-nio spirituale comune a cristiani e ad ebrei,questo sacro Concilio vuole promuovere e rac-comandare tra loro la mutua conoscenza e sti-ma, che si ottengono soprattutto con gli studibiblici e teologici e con un fraterno dialogo».Parole che rappresentano il riconoscimentodelle radici ebraiche del cristianesimo e dellarelazione unica che esiste tra la fede cristiana el’ebraismo, come aveva sottolineato GiovanniPaolo II nell’aprile 1986 visitando la Sinagogadi Roma. Un tema sul quale ha riflettuto dateologo anche Joseph Ratzinger, il quale, daVescovo di Roma, visitando la Sinagoga dellacapitale nel gennaio 2010, ha ricordato come«la dottrina del Concilio Vaticano II» abbiarappresentato «per i cattolici un punto fermoa cui riferirsi costantemente nell’atteggiamentoe nei rapporti con il popolo ebraico, segnandouna nuova e significativa tappa. L’evento con-ciliare ha dato un decisivo impulso all’imp e-gno di percorrere un cammino irrevocabile didialogo, di fraternità e di amicizia».

Finisce l’accusa di deicidiorivolta al popolo ebraico

Un’altra affermazione decisiva contenuta neldocumento riguarda la condanna dell’antise-mitismo. Oltre a deplorare «gli odi, le perse-cuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemi-tismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo eda chiunque», la dichiarazione conciliare spie-ga che la responsabilità per la morte di Gesùnon deve essere attribuita a tutti gli ebrei. «Ese autorità ebraiche con i propri seguaci si so-no adoperate per la morte di Cristo, tuttaviaquanto è stato commesso durante la sua pas-sione, non può essere imputato né indistinta-mente a tutti gli ebrei allora viventi, né agliEbrei del nostro tempo».

Il raggio di veritàche riflettono le altre religioni

Nella parte iniziale di Nostra aetate si citanoinduismo e buddismo e in generale le altre re-ligioni, spiegando che esse «si sforzano di su-perare, in vari modi, l’inquietudine del cuoreumano proponendo delle vie, cioè dottrine,precetti di vita e riti sacri. La Chiesa cattolicanulla rigetta di quanto è vero e santo in questereligioni. Essa considera con sincero rispettoquei modi di agire e di vivere, quei precetti equelle dottrine che, quantunque in molti puntidifferiscano da quanto essa stessa crede e pro-pone, tuttavia non raramente riflettono un rag-gio di quella verità che illumina tutti gli uomi-ni».

La stimaper i credenti dell’Islam

Un paragrafo importante è dedicato alla fe-de musulmana. «La Chiesa guarda anche constima i musulmani che adorano l’unico Dio,vivente e sussistente, misericordioso e onnipo-tente, creatore del cielo e della terra, che haparlato agli uomini. Essi cercano di sottomet-tersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anchenascosti, come vi si è sottomesso anche Abra-mo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce.Benché essi non riconoscano Gesù come Dio,lo venerano tuttavia come profeta; onorano lasua madre vergine, Maria, e talvolta pure lainvocano con devozione. Inoltre attendono ilgiorno del giudizio, quando Dio retribuirà tut-ti gli uomini risuscitati. Così pure hanno instima la vita morale e rendono culto a Dio, so-prattutto con la preghiera, le elemosine e il di-giuno».

Paolo VIe i “confessori della fedemusulmana”

Tra i passi significativi compiuti negli annisuccessivi dai Pontefici nel dialogo con ilmondo islamico vanno citate le parole pronun-ciate nel luglio 1969 da Paolo VI in Uganda,quando il Papa rese omaggio ai primi martiri

E il Vaticano II aprì la viaal dialogo con le religioni

Gerusalemme, 26 maggio 2014:Papa Francesco al Murooccidentale con il rabbinoAbraham Skorka e l’imam OmarAb b o u d

La dichiarazione«Nostra aetate»

#editoriale

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cristiani africani facendo un paragone che as-sociava anche i credenti musulmani al martiriosubito per opera di sovrani delle tribù locali.«Noi siamo sicuri di essere in comunione convoi», disse rivolgendosi agli esponenti di fedeislamica nella nunziatura di Kampala, «quan-do imploriamo l’Altissimo, di suscitare nelcuore di tutti i credenti dell’Africa il desideriodella riconciliazione, del perdono così spessoraccomandato nel Vangelo e nel Corano». Ag-giunse Papa Montini: «E come non associarealla testimonianza di pietà e di fedeltà deimartiri cattolici e protestanti la memoria diquei confessori della fede musulmana, la cuistoria ci ricorda che sono stati i primi, nel1848, a pagare con la vita il rifiuto di trasgre-dire le prescrizioni della loro religione?».

“Discendenti di Abramo”Nel novembre 1979, incontrando ad Ankara

la piccola comunità cattolica, Giovanni PaoloII aveva ribadito la stima della Chiesa perl’Islam e aveva detto che «la fede in Dio, pro-fessata in comune dai discendenti di Abramo,cristiani, musulmani ed ebrei, quando è vissutasinceramente e portata nella vita, è sicuro fon-damento della dignità, della fratellanza e dellalibertà degli uomini e principio di retta con-dotta morale e di convivenza sociale. E vi è dipiù: in conseguenza di questa fede in Diocreatore e trascendente, l’uomo sta al verticedella creazione».

Il discorso di CasablancaUna pietra miliare di questo cammino è

rappresentata da un altro discorso di GiovanniPaolo II, pronunciato nell’agosto 1985 in Ma-rocco, a Casablanca, di fronte ai giovani mu-sulmani. «Cristiani e musulmani — aveva dettoPapa Wojtyła in quella occasione — abbiamomolte cose in comune, come credenti e comeuomini. Viviamo nello stesso mondo, solcatoda numerosi segni di speranza, ma anche damolteplici segni di angoscia. Abramo è per noiuno stesso modello di fede in Dio, di sotto-missione alla sua volontà e di fiducia nella suabontà. Noi crediamo nello stesso Dio, l’unicoDio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi eporta le sue creature alla loro perfezione».Giovanni Paolo II aveva ricordato che «il dia-logo tra cristiani e musulmani oggi è più ne-cessario che mai. Esso deriva dalla nostra fe-deltà verso Dio e suppone che sappiamo rico-noscere Dio con la fede e testimoniarlo con laparola e con l’azione in un mondo sempre piùsecolarizzato e, a volte, anche ateo».

Ad Assisicon Giovanni Paolo e Benedetto

L’anno successivo, il 27 ottobre 1986, il Pon-tefice aveva convocato ad Assisi i rappresen-tanti delle religioni del mondo per pregare perla pace minacciata, un incontro diventato unsimbolo per il dialogo e l’impegno comune tracredenti di diverse fedi. «Il trovarsi insieme ditanti capi religiosi per pregare è di per sé uninvito oggi al mondo a diventare consapevoleche esiste un’altra dimensione della pace e unaltro modo di promuoverla, che non è il risul-tato di negoziati, di compromessi politici o dimercanteggiamenti economici. Ma il risultatodella preghiera, che, pur nella diversità di reli-gioni, esprime una relazione con un potere su-premo che sorpassa le nostre capacità umaneda sole». Celebrando ad Assisi il 25° anniver-

sario di quell’evento, Benedetto XVI metteva inguardia dalla minaccia rappresentata dall’abu-so del nome di Dio per giustificare odio e vio-lenza, citava a questo proposito l’uso della vio-lenza perpetrato dai cristiani lungo la storia(«lo riconosciamo, pieni di vergogna»), ma os-servava pure che «il “no” a Dio ha prodottocrudeltà e una violenza senza misura, che èstata possibile solo perché l’uomo non ricono-sceva più alcuna norma e alcun giudice al disopra di sé, ma prendeva come norma soltantose stesso. Gli orrori dei campi di concentra-mento mostrano in tutta chiarezza le conse-guenze dell’assenza di Dio».

Dal Concilioal documento di Abu Dhabi

La dichiarazione conciliare Nostra aetate siconclude con un paragrafo dedicato alla “Fr a -ternità universale”: «Non possiamo invocareDio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiu-tiamo di comportarci da fratelli verso alcunitra gli uomini che sono creati ad immagine diDio. L’atteggiamento dell’uomo verso Dio Pa-dre e quello dell’uomo verso gli altri uominisuoi fratelli sono talmente connessi che laScrittura dice: “Chi non ama, non conosceD io”. Viene dunque tolto il fondamento aogni teoria o prassi che introduca tra uomo euomo, tra popolo e popolo, discriminazioni inciò che riguarda la dignità umana e i dirittiche ne promanano». A questa tradizione si ri-chiama il documento sulla Fratellanza umanafirmato da Papa Francesco e dal Gran Imamdi Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb il 4 febbraio2019 ad Abu Dhabi, scritto «In nome di Dioche ha creato tutti gli esseri umani uguali neidiritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chia-mati a convivere come fratelli tra di loro, perpopolare la terra e diffondere in essa i valoridel bene, della carità e della pace».

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#editoriale

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Nulla è troppopiccoloLa Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricordauna verità: ci costruiamo una vita con quello chediamo.

È impossibile vivere senza dare agli altri qualcosadi sé. Se non abbiamo dato nulla, non possiamopretendere di chiedere qualcosa.

Gesù usa un paragone che suona attuale. Dice:«Chi avrà dato anche un solo bicchiere di acqua fre-sca...» (Vangelo). Può sembrare strano, ma «tutto ilVangelo è anche in un bicchiere d’acqua!» (ErmesRonchi).

Ma nulla è troppo piccolo per il Signore. Noipossiamo dare anche le nostre ricchezze; possiamodare un dono prezioso, ma se non diamo il cuore,non diamo nulla!

Diceva don Primo Mazzolari: «Se tu anche midessi tutto ciò che possiedi, e poi non mi ami, nonmi dai niente!».

È urgente allora che rivediamo i nostri comporta-menti e la nostra mentalità. Perché forse anche noicristiani abbiamo perduto il sapore e la gioia del da-re !

Donare senza amare è un’offesa. E donare a chi siama è gioia, ma donare a chi non si ama è amore!

Riscopriamo il dono generoso, perché alla finedella vita porteremo con noi non ciò che avremoammucchiato, ma ciò che avremo donato.

28 giugnoDomenica XIII

del Tempoo rd i n a r i o2 Re 4, 8-11.14-16Sal 88Rm 6, 3-4. 8-11Mt 10, 37-42

#spuntidiriflessione

di LEONARD OSAPIENZA

perché Lui è generoso, ma perché è dav-vero innamorato di noi: vede e ama ilbello e il buono che siamo. Il Signore sache il male e i peccati non sono la no-stra identità; sono malattie, infezioni. Eviene a curarle con l’Eucaristia, che con-tiene gli anticorpi per la nostra memoriamalata di negatività. Con Gesù possia-mo immunizzarci dalla tristezza. Sempreavremo davanti agli occhi le nostre ca-dute, le fatiche, i problemi a casa e al la-voro, i sogni non realizzati. Ma il loropeso non ci schiaccerà perché, più inprofondità, c’è Gesù che ci incoraggiacol suo amore. Ecco la forza dell’Eucari-stia, che ci trasforma in portatori di Dio:portatori di gioia, non di negatività.Possiamo chiederci, noi che andiamo aMessa, che cosa portiamo al mondo? Lenostre tristezze, le nostre amarezze o lagioia del Signore? Facciamo la Comu-nione e poi andiamo avanti a lamentar-ci, a criticare e a piangerci addosso? Maquesto non migliora nulla, mentre lagioia del Signore cambia la vita.

L’Eucaristia, infine, guarisce la nostramemoria chiusa. Le ferite che ci teniamodentro non creano problemi solo a noi,ma anche agli altri. Ci rendono paurosie sospettosi: all’inizio chiusi, alla lunga

cinici e indifferenti. Ci portano a reagirenei confronti degli altri con distacco earroganza, illudendoci che in questomodo possiamo controllare le situazioni.Ma è un inganno: solo l’amore guariscealla radice la paura e libera dalle chiusu-re che imprigionano. Così fa Gesù, ve-nendoci incontro con dolcezza, nella di-sarmante fragilità dell’Ostia; così fa Ge-sù, Pane spezzato per rompere i guscidei nostri egoismi; così fa Gesù, che sidona per dirci che solo aprendoci ci li-beriamo dai blocchi interiori, dalle para-lisi del cuore. Il Signore, offrendosi anoi semplice come il pane, ci invita an-che a non sprecare la vita inseguendomille cose inutili che creano dipendenzee lasciano il vuoto dentro. L’Eucaristiaspegne in noi la fame di cose e accendeil desiderio di servire. Ci rialza dalla no-stra comoda sedentarietà, ci ricorda chenon siamo solo bocche da sfamare, masiamo anche le sue mani per sfamare ilprossimo. È urgente ora prenderci curadi chi ha fame di cibo e dignità, di chinon lavora e fatica ad andare avanti. Efarlo in modo concreto, come concreto èil Pane che Gesù ci dà. Serve una vici-nanza reale, servono vere e proprie cate-ne di solidarietà. Gesù nell’Eucaristia sifa vicino a noi: non lasciamo solo chi cista vicino!

Cari fratelli e sorelle, continuiamo acelebrare il Memoriale che guarisce lanostra memoria — ricordiamoci: guarirela memoria, la memoria è la memoriadel cuore —, questo memoriale è: laMessa. È il tesoro da mettere al primoposto nella Chiesa e nella vita. E nellostesso tempo riscopriamo l’adorazione,che prosegue in noi l’opera della Messa.Ci fa bene, ci guarisce dentro. Soprat-tutto ora, ne abbiamo veramente biso-gno.

La messa del Corpus DominiCO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 6

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La pandemia del #COVID19 ha evidenziatoche le nostre società non sono abbastanza

organizzate per fare posto agli anziani,con giusto rispetto per la loro dignitàe la loro fragilità. Dove non c’è cura

per gli anziani, non c’è futuro per i giovani.#WEAAD2020

(@Pontifex, 15 giugno)

#controcopertina