Mangascienza

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Mangascienza è un libro che si propone di analizzare quarant'anni di animazione seriale giapponese di fantascienza e di portare alla luce le questioni principali del nostro tempo attraverso la rappresentazione dell'industria culturale nipponica.

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LapilliCollana diretta da Marco Pellitteri

«Lapilli» è una collana di volumi che si proponedi percorrere i settori del fumetto e della grafica,del cinema di animazione e delle arti audiovisive,dell’immaginario popolare e dei mass media,attraverso le tre sezioni Segni, Visioni e Culture.

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LapilliSegni • Visioni • Culture

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Il catalogo completo è disponibile on line su www.tunue.com

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Fabio Bartoli

MangascienzaMessaggi filosofici ed ecologici

nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi

Prefazione di Giulio Giorello

Lapilli. Culture 27

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I edizione: settembre 2011

Copyright © Tunué Srl

Via dei Volsci 139

04100 Latina – Italy

www.tunue.com

[email protected]

Diritti di traduzione, riproduzione

e adattamento riservati per tutti i Paesi.

ISBN-13 GS1 978-88-97165-18-7

Progetto grafico: Daniele Inchingoli

Illustrazione di copertina:

Mandarinoadv.com

Grafica di copertina: Tunué

© Tunué

Stampa e legatura:

Stampa Sud S.p.A.

Via P. Borsellino 7

74017 Mottola (TA) – Italy

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Indice

Prefazione di Giulio Giorello

Introduzione

I. Iperestensione culturaleItinerario storico, filosofico, antropologicoI.1 Prologo: Epimeteo, Prometeo

e la doppia paternità dell’uomoI.2 Il cosmo greco e l’equilibrio tra il principio libertà

e il principio necessitàI.3 Primo intermezzo:

la marcia di Alessandro, le strade di Romae le vie del Signore

I.4 L’ordine cosmico medievalee la prevalenza del principio necessità

I.5 Secondo intermezzo:le navi di Colombo, la Bibbia di Gutenberg,le quarantadue mosse del principe Maurizioe il cannocchiale di Galileo

I.6 Rivoluzioni e astrazioni:la definitiva affermazione del principio libertà

I.7 Terzo intermezzo:dal Dottor Frankenstein a Los Alamos,Prometeo si sostituisce a Epimeteo e Zeus

I.8 Atena in bilico tra asservimento e redenzioneI.9 Epilogo:

Deucalione, Pirra e il recupero della nostra maternità

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II. Effetti dell’iperestensione culturaleIl Giappone quale osservatorio privilegiatoII.1 Dalle navi di Colombo a quelle di Perry:

Prometeo bussa alla porta dello shôgunII.2 Wakon yôsai: il tramonto del Sol LevanteII.3 L’imperatore apre la porta a Prometeo

III. Immaginario dell’iperestensione culturaleLa fantascienza nell’animazione giapponeseIII.1 Sulle tracce di Prometeo: il paradigma indiziarioIII.2 Giappone postbellico e industria culturale

III.2.1 Deserto di significati, ricostruzione di valoriIII.2.2 Dalla nottola di Minerva al cigno di PrometeoIII.2.3 Gli alieni messaggeri del destino

III.3 Spie del conflittoIII.3.1 Prometeo VS Gea

III.3.1.1 La Terra: un pianeta da difendere,

una casa da amare

III.3.1.2 I figli di Yukawa

III.3.1.3 Le figure femminili simbolo di Gea

III.3.1.4 I bambini tra rinnovamento e salvaguardia

III.3.2 Prometeo VSMnemosineIII.3.2.1 Una nazione orfana nella vita e nello spirito

III.3.2.2 Il valore del sacrificio:

dall’imposizione di sé al dono universale

III.3.2.3 La ridefinizione di un’identità meticcia

dal riformatorio all’altare

III.3.2.4 Gô Nagai, tra inferi e cielo la nuova storia

del Giappone

III.3.2.5 Leiji Matsumoto: da Doppler a Kirita,

la nuova alleanza tra Atena ed Efesto

III.3.2.6 Nippon Sunrise, la nuova alba del Giappone

III.3.2.7 Neon Genesis Evangelion:

moratorium ningen, shinjinrui,

otaku e hikikomori

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III.3.3 Prometeo VS EpimeteoIII.3.3.1 I nuovi Frankenstein da Astroboy a Project ARMS

III.3.3.2 I supereroi della Tatsunoko:

dal tuffo di Zoltar al volo di Polymar

III.3.3.3 Meganoidi, Zentradi e uomini meccanici:

l’estrema fase dell’evoluzione volontaria

III.3.3.4 Ciò che resta della natura umana

IV. I segnavia di PrometeoIV.1 Il robot/tecnica e il pilota/GiapponeIV.2 Addio, tetsu; benvenuto, kawaiiIV.3 Il presente, il futuro e il ritornoIV.4 I semi degli anime e il futuro di Gea

APPENDICENATURA, CULTURA, TECNOLOGIA, ECOLOGIAIN CINQUANTA SERIE ANIMATE GIAPPONESI DI FANTASCIENZA

1 Astroboy2 Super Robot 283 Kimba, il leone bianco4 Fantaman5 Superauto Mach 5 Go Go Go6 Cyborg, i nove supermagnifici7 Astroganga8 Gatchaman / La battaglia dei pianeti9 Mazinga Z10 Il Grande Mazinga11 Babil Junior12 Doraemon13 Kyashan, il ragazzo androide14 Hurricane Polymar15 Star Blazers16 Tekkaman17 Atlas UFO Robot18 Jeeg Robot Uomo d’Acciaio

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19 La Macchina del Tempo20 Yattaman21 I Predatori del Tempo22 UFO Diapolon23 Ken Falco, il Super Bolide24 Grand Prix e il Campionissimo25 Astrorobot Contatto Y26 Zambot 327 Danguard28 Supercar Gattiger29 Conan, il ragazzo del futuro30 Capitan Futuro31 Capitan Harlock32 Galaxy Express 99933 Starzinger34 Daitarn 335 Gundam36 Daltanious37 Baldios38 Trider G739 Il Dottor Slump e Arale40 Macross41 Nanà Supergirl42 Ken il guerriero43 Juny Peperina inventatutto44 Patlabor45 Neon Genesis Evangelion46 I Cieli di Escaflowne47 Cowboy Bebop48 Project ARMS49 Full Metal Panic!50 Last Exile

Riferimenti bibliografici

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Prefazionedi Giulio Giorello1

Ricordate Genesi 1,26? «Poi Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostraimmagine, conforme alla nostra somiglianza, ed abbia dominio sui pe-sci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e sututti i rettili che strisciano sulla terra”». Comunque si attenui nelle nuo-ve versioni della Bibbia quell’allusione al dominio della creatura umanasulla natura, resta che quel mandato divino (basato sulla «immagine esomiglianza» con il Signore) separa Homo sapiens da ogni altro organi-smo vivente. E se gli odierni teologi tendono a interpretare quel domi-nio come un’assunzione di responsabilità piuttosto che un potere asso-luto, ben strana appare quella divina provvidenza che ha affidato il no-stro Globo alle mani dei discendenti di Eva e di Adamo, i quali si sonorivelati capaci nel corso della storia di tante e tali violenze sull’ambien-te: è un po’ come voler affidare alla responsabilità del (Real) Collegiodelle Fanciulle a… Jack lo Squartatore.Le narrazioni della Bibbia sono miti, anch’essi pieni di fascino e di

mistero non meno che i loro corrispondenti nella cultura greca e latina.In questo libro, Fabio Bartoli valorizza soprattutto la vicenda di Prome-teo, il dio spodestato e condannato per aver troppo amato le creatureumane, donando loro non solo il fuoco (cioè tecnica ed energia) ma an-che l’arte dei numeri (ossia matematica e scienza) e «cieche aspettati-ve» (ovvero l’ignoranza del giorno della propria morte). E chi sono i

1 Giulio Giorello (Milano 1945), filosofo, matematico ed epistemologo, formatosi sotto la guida diLudovico Geymonat, è attualmente professore ordinario di Filosofia della scienza presso l’UniversitàStatale di Milano. È autore di numerose e importanti opere di storia della matematica e della scienza,di epistemologia e di filosofia della scienza, in ambito sia strettamente accademico sia divulgativo. Èanche un competente lettore di fumetti, tema sul quale è da anni attivo con diversi saggi e riflessioni.

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moderni Prometeo? Nella immaginosa rappresentazione di WilliamBlake, quel ruolo è affidato a Isaac Newton, vero e proprio titano dellascienza che quasi confonde le sue membra con le rocce di un’arduamontagna, mentre è intento a mettere su carta calcoli e schemi delle or-bite dei pianeti; per Immanuel Kant toccava all’americano BenjaminFranklin il compito di controllare i fuochi venuti dal cielo (cioè i fulmi-ni), non più saette di Zeus ma fisiche manifestazioni dell’elettricità; perPercy Bysshe Shelley le catene di Prometeo venivano spezzate ognivolta che tecnologia e scienza erano messe al servizio della libertà edell’uguaglianza, mentre la sua consorte Mary già disegnava nel Fran-kenstein il ritratto di un creatore terrificato a tal punto dalla propria«creazione» da dimenticare qualsiasi responsabilità nei suoi confronti.Basterebbero questi brevi accenni alle trasformazioni di Prometeo

nella nostra cultura a indicare come il mito non si riduca a un residuo diepoche non ancora rischiarate dalla luce del progresso, bensì costituiscaancor oggi una potente leva non solo di emozione ma di comprensione,soprattutto là ove Prometeo «scatenato» appare come un benefattoredavvero bizzarro (il primo santo laico del calendario, come amava direKarl Marx), giacché i suoi doni appaiono gravidi di minaccia. «Vivononel terrore gli scienziati / e la mente europea s’arresta», leggiamo nelframmento dal CXV dei Cantos di Ezra Pound: il poeta vergò queste pa-role in quello stesso 1952 cui risalgono i primi test sulla bomba all’idro-geno, ovvero la «superbomba» la cui potenza distruttiva doveva – stan-do ai suoi stessi progettatori – far impallidire quella degli ordigni atomi-ci scagliati dall’aviazione militare statunitense sulle città giapponesi diHiroshima e Nagasaki. Si tende troppo spesso a dimenticare che la Se-conda guerra mondiale è stata pure la prima guerra atomica della storia.In uno dei più intelligenti film di Orson Welles, la trasposizione cine-matografica del Processo di Kafka, alla grottesca uccisione del protago-nista un fungo atomico si leva all’orizzonte. Peraltro, quella colonnamortifera compare in modo ricorrente alla dipartita di questo o quel per-sonaggio dei cicli di fumetti (manga) e serie o film d’animazione (ani-me) citati in questo libro. Spesso suggella la fine di un «cattivo» quasi insenso etimologico: qualcuno che si è lasciato far prigioniero di unascienza o di una tecnologia impiegate in modo perverso. Altrove – è il

X PREFAZIONE

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caso, per esempio, della serie di Ken il guerriero (Hokuto no Ken ingiapponese, alla lettera ‘Il colpo dell’Orsa Maggiore’) o dello scanzo-nato Conan, il ragazzo del futuro del grande Hayao Miyazaki – uno sce-nario post-disastro fa da sfondo allo svolgersi della trama, e la catastro-fe bellica ne è la premessa, che talvolta, quasi fosse stata «rimossa»,viene soltanto accennata, riaffiorando nel corso di ossessivi flashback.Metafore di un’apocalisse prossima ventura o di una genesi maligna,

quelle narrazioni prendono atto del fallimento dei figli di Adamo o deiprotetti di Prometeo. Bartoli ci propone nel libro una continuazione delviaggio «verso il Cipango», inaugurato da Cristoforo Colombo, la cuirotta verso Ovest era stato interrotta… dal continente americano! Fa-cendo proprio lo spirito della frontiera e spingendosi sempre più a Oc-cidente, i coloni degli USA sarebbero poi giunti al vero Giappone, comemostra il successo della spedizione (1853) del commodoro MatthewCalbraith Perry. Doveva così cominciare «il tramonto del Sol Levante».Non è solo un paradosso linguistico (e non dimentichiamo che i dueideogrammi che formano il nome Nihon, Giappone, significano appun-to ‘la radice o l’origine del Sole’), ma la constatazione del dramma diuna civiltà. Bartoli cita Mishima: «Essi contavano sull’ausilio divino,mentre il loro scopo era quello di sfidare con la semplice sciabola le ar-mi occidentali aborrite dagli dèi». D’altra parte, basterebbe ricordareche Perry convinse i rappresentanti dello Shôgun a gettare le premesseper un’intesa commerciale alla guida di convincenti cannoniere!Non è ovviamente il caso di ripercorrere qui la complessa vicenda

della modernizzazione forzata del Giappone, inclusi l’esito – a un tem-po tragico e demitizzante per la figura dell’Imperatore, (ex) discendentedella dea del sole Amaterasu – dell’intervento nipponico a fianco dellaGermania di Hitler e dell’Italia di Mussolini e la conseguente occupa-zione americana. Nel corso del Novecento, il Sol Levante non si è limi-tato a portare all’estremo l’apertura all’Occidente (secondo meccanismiche sono stati ampiamente indagati dalla sociologia), ma ha pure incor-porato i miti occidentali, dandone, con grande successo di pubblico,un’originale versione nei manga e negli anime. Ha spaziato dalla DivinaCommedia riletta da Gô Nagai alle citazioni dal Paradiso perduto diMilton (come nel capolavoro di Yukinobu Hoshino 2001 Nights o nel

XIPREFAZIONE

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popolarissimo Angel Sanctuary di Kaori Yuki), fino alla recente rilettu-ra di episodi del Nuovo Testamento nel Gesù di Yoshikazu Yasuhiko.Resta ovviamente aperta la questione sollevata da Bartoli in tutto il

suo libro: se manga e anime del nuovo Giappone possano dare indica-zioni efficaci nella ricerca di «antidoti» alla componente distruttiva delprometeismo dell’Occidente. Forse non c’è più mandato divino ad as-soggettare la Terra, e la fantascienza giapponese può costituire un inte-ressante repertorio di esempi in cui, per dirla ancora con Pound (CantoCXIV), «la verità sta nella tenerezza», ovvero – fuor di metafora – l’ap-proccio alle conquiste dell’impresa tecnico-scientifica non prescindepiù dall’abbinamento virtuoso di ricerca e solidarietà. Anche tenendoconto di quella che potremmo definire l’altra faccia dell’ecologia: quel-la di un ambiente da cui dobbiamo proteggerci prima ancora di pensaredi doverlo proteggere noi. Pensiamo al Dialogo della natura e di un is-landese di Giacomo Leopardi. Dice l’islandese: «Io sono stato arso dalcaldo fra i tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi tem-perati dall’incostanza dell’aria, infestato dalle commozioni degli ele-menti in ogni dove. Più luoghi ho veduto, nei quali non passa un dì sen-za temporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto euna battaglia formata a quegli abitanti, non rei verso te di nessun’ingiu-ria. In altri luoghi la serenità ordinaria del cielo è compensata dalla fre-quenza dei terremoti, dalla moltitudine e dalla furia dei vulcani, dal ri-bollimento sotterraneo di tutto il paese». Imperturbabile, la natura ribat-te: «Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?».L’ambiente non si cura della felicità degli esseri umani. Opportunamen-te Bartoli conclude con una battuta del biologo evoluzionista StephenJay Gould: viviamo «in un universo che è indifferente alla nostra soffe-renza», ma che proprio per questo «ci offre la massima libertà di averesuccesso o di fallire nella via che abbiamo scelto».

XII PREFAZIONE

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MANGASCIENZA

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Introduzione

Il mito greco, la scienza moderna e il prodotto culturale nipponico so-no i nuclei tematici intorno ai quali si sviluppa questo libro, che si pro-pone di portare alla luce le analogie presenti nei tre diversi ambiti ri-guardo la concezione dell’essere umano e il suo posto nel mondo.Già nel mito antico di Epimeteo e Prometeo, qui usato come chiave di

lettura primaria, è espressa la tesi generale di questa trattazione: non soloper quanto riguarda la parte – presumibilmente condivisibile all’unani-mità – che vuole l’Homo sapiens determinato da natura e cultura, ma an-che relativamente a quella che vede la seconda peculiarità all’origine del-la sua condotta inevitabilmente perturbatrice, rendendolo il solo esserevivente in grado di alterare l’equilibrio del pianeta proprio perché dotatodella possibilità di trasformarlo. Il vanto maggiore della nostra specie, es-sere appunto l’unica eminentemente culturale, è quindi anche la radice diquelli che attualmente sono i nostri maggiori problemi, fonte della nostrapossibile rovina: in ciò è costituita tutta la radicale e tragica ambivalenzadell’essere umano. Se per gran parte della nostra storia evolutiva la nostrasopravvivenza è stata – come per tutti gli altri esseri viventi – legata allesfide posteci dall’ambiente naturale, oggi che esso ci appare integralmen-te sotto il nostro dominio grazie al progresso tecnologico è dagli sviluppidi quest’ultimo che dobbiamo guardarci affinché la nostra apparente vit-toria non si tramuti in una effettiva e irrimediabile sconfitta.La nostra capacità di essere parte della natura ma di renderci altro da

essa risulta a tutti gli effetti un’arma a doppio taglio, dal momento che lamoderna biologia, inaugurata dalla teoria dell’evoluzione di Darwin eWallace, dimostra la necessaria interdipendenza tra tutte le forme viventie l’inscindibilità del legame che le unisce all’ambiente naturale. Proprioda un biologo, o meglio un sociobiologo, è stato allora preso in prestito il

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concetto intorno a cui ruota questo libro: quello di «iperestensione cultu-rale». Partendo dalla cognizione secondo la quale l’uomo è natura e cul-tura, David P. Barash se ne serve per sottolineare come il rapporto sia og-gi totalmente sbilanciato a favore della seconda, all’inizio sviluppatasiconformemente alla capacità di disporne insita nel nostro retaggio biolo-gico per poi decollare sempre più fino a sfuggire (forse) definitivamenteal nostro controllo. È necessario operare una distinzione importante: inquesto caso è da intendersi come cultura non la nostra capacità di dare unsignificato al mondo e di organizzare di conseguenza la nostra vita, maquella di produrre le nostre estensioni corporee e sensoriali.Il centro nevralgico della questione è, quindi, la tecnologia nel senso

contemporaneo del termine, diventata con l’avvento della modernità ilfulcro del pensiero e dell’azione del genere umano, che si è votato al suopotenziamento sviluppandola così tanto da mettere in pericolo la propriaesistenza biologica e culturale: non più al centro del proprio universosimbolico in un mondo che, perennemente in trasformazione, perde ognisua coordinata, l’uomo rischia per giunta di estinguersi per motivi deter-minati direttamente o indirettamente dal proprio operato. Al fine di giun-gere a una consapevolezza capace di tenere il passo del prodigio tecnolo-gico e di orientarne responsabilmente gli esiti è indispensabile crearequelli che Telmo Pievani, filosofo della scienza e studioso di Darwin, de-finisce «antidoti culturali», per mezzo dei quali dobbiamo fornirci deipossibili appigli per non perdere l’equilibrio sul fragile ponte di lianespalancato sull’abisso della nostra onnipotenza faustiana. Esercitare ilcontrollo della clava è facile, dal momento che il suo utilizzo dipendedalla mano dell’individuo che l’afferra; ma come regolarsi di fronte allabomba atomica, capace di apportare distruzioni immani premendo un so-lo pulsante distante dal luogo dell’impatto? Una comunità composta dapochi individui cacciatori-raccoglitori percepisce in maniera automaticail senso del proprio destino comune e può facilmente discutere ed even-tualmente trovare una strategia atta a risolvere il problema incombente;ma come può organizzarsi in maniera altrettanto diretta ed efficace unasocietà formata da miliardi di esseri umani ed estesa in tutto il pianeta,composta da individui che sugli aspetti primari della propria esistenzanon hanno alcuna voce in capitolo? La moderna rivoluzione scientifica, il

4 INTRODUZIONE

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modo di produzione industriale e il suo impiego orientato in senso capi-talista hanno definitivamente portato a compimento l’opera di Prometeo,rendendo un incendio divampante la fiamma rubata dal titano agli dèi. Ilsuo ridimensionamento dipende esclusivamente dalla nostra volontà edalle responsabilità che sapremo prenderci nell’affrontare un futuro diffi-cile che il nostro sconsiderato agire rende sempre più prossimo.L’«antidoto» qui preso in esame quale oggetto di studio è il prodotto

culturale nipponico e specificatamente il manga. Occorre però subito fa-re una distinzione: in realtà l’analisi verte non sui fumetti giapponesi masugli anime, i disegni animati a essi legati a doppio filo; si è però scelto diinserire nel titolo il nome della prima forma espressiva perché la produ-zione fantastica dell’Arcipelago è per lo più generalmente associata aquesto termine, ormai entrato a pieno titolo nell’immaginario culturalemondiale. Fra tutte le nazioni dotate di un’industria culturale, a essere quioggetto d’analisi è quella giapponese per motivi che subito possono esse-re compresi: il paese del Sol Levante è stato l’unico a provare sulla suacarne viva l’effetto apocalittico della più deleteria iperestensione prodot-ta dall’uomo, la bomba atomica. Con essa è giunta in un certo senso allafine l’infanzia della nostra specie, svegliatasi la mattina del 6 agosto1945 con la consapevolezza di poter porre autonomamente fine alla pro-pria storia. Andato all’inferno e tornato, il Giappone ha prodotto un ele-vatissimo numero di anticorpi per difendersi dal «germe» dell’iperesten-sione culturale al fine di sanare le profonde ferite della propria memoriae scongiurare la possibilità del ripetersi di un evento simile, che coinvol-gerebbe l’intera umanità in maniera probabilmente irreparabile. Non so-lo nella bomba atomica però sono da rintracciare le ragioni di questa spe-cificità dell’industria culturale nipponica: come si vedrà nei Capitoli II eIII, le tesi portanti di questo elaborato trovano asilo nei prodotti per ra-gazzi giapponesi proprio in virtù di una precisa congiuntura storica. L’in-contro/scontro tra la tradizione culturale della terra dei samurai e l’alteri-tà occidentale, alla base del drastico processo di modernizzazione delpaese condotto attraverso l’assimilazione della tecnologia recata dagli«invasori», è infatti alla base del processo catartico di rielaborazione deltrauma dovuto a uno sviluppo vertiginoso successivo a due secoli di iso-lamento politico, culturale ed economico.

5INTRODUZIONE

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Nell’ambito dei manga e degli anime, il genere che naturalmente hadato un apporto maggiore a questo processo è quello fantascientifico,che proprio per questo è il protagonista assoluto di questo volume; il te-ma della science fiction è infatti lo sviluppo della tecnologia, i cui pos-sibili esiti, trasfigurati in una dimensione fantastica, vengono analizzatifino alle estreme conseguenze nel tentativo di porre le basi per una idea-le riconciliazione tra natura e cultura.In questa sede sono prese in esame cinquanta serie animate, comprese

nell’arco di tempo che va dal 1963, data che segna la nascita degli animeper la televisione, al 2003. Un periodo scelto anche per le sue profondeimplicazioni simboliche: se è inevitabile partire dall’anno di realizzazio-ne di una delle primissime serie animate giapponesi (la seconda), Astro-boy di Osamu Tezuka, si è scelto di circoscrivere l’excursus al 2003 sem-pre in omaggio al famoso personaggio creato dal «dio dei manga»,1 dalmomento che questa data vi è legata sia nella realtà sia nella finzione: il2003 infatti è non solo l’anno di produzione del secondo rifacimento diAstroboy dopo quello del 1980, ma è anche quello in cui, nella finzionetezukiana, si «sveglia» il robottino nato dalle spoglie mortali del piccoloTobio. Si è così delineato un percorso lungo quarant’anni che si proponedi analizzare lo sviluppo del Giappone dal dopoguerra fin quasi ai giorninostri, cercando di dedurre gli effetti della tecnologia sul tessuto socialee culturale del paese per trarne spunti di riflessioni generali utili agli abi-tanti di ogni parte del globo. Il metro di paragone adottato è il mito euro-peo, scelta che viene giustificata sia come atto di onestà da parte di chiritiene l’occhio gettato su un’altra cultura sempre e comunque condizio-nato dal retaggio della propria sia come espressione della convinzione di

6 INTRODUZIONE

1 Questo è l’appellativo conferitogli in patria. Sull’opera di Tezuka e lo sviluppo del manga nel do-poguerra cfr. Natsu Onoda Power, God of Comics: Osamu Tezuka and the Creation of Post-World WarII Manga, Jackson, Mississippi University Press, 2009; Philip Brophy (a cura di), Tezuka: The Marvelof Manga, Melbourne, National Gallery of Victoria, 2006; Jaqueline Berndt, Phänomen Manga. Co-mic-Kultur in Japan, Berlin, ed. q, 1995, pp. 45-73. Per familiarizzare con la vita e l’opera del maestroattraverso il medium a lui più congeniale cfr. Tezuka Productions, Tezuka Osamu Monogatari, Tokyo,Asahi, Shinbunsha, 1992, 4 voll. (ed. it. a cura di Igort e I. Pizzuto, Una biografia Manga. Il sogno dicreare fumetti e cartoni animati, Bologna, Coconino Press. 2001). Cfr. anche l’autobiografia: OsamuTezuka, Boku wa manga-ka: Tezuka Osamu jiden, Tokyo, Yamato Shobo, 1979. Per quanto riguarda lasaggistica italiana cfr. Monica Piovan, Osamu Tezuka. L’arte del fumetto giapponese, Mestre (VE),Musa Edizioni, 1996.

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un’unitaria concezione dell’essenza dell’essere umano espressa nelle la-titudini e longitudini più disparate. Proprio in virtù di questa scelta il li-bro non va subito dritto al cuore della questione manga e anime ma intro-duce la loro analisi partendo dal mito utilizzato per interpretare lo svi-luppo della storia prima europea e poi mondiale (Capitolo I), fino adarrivare a quella giapponese (Capitolo II); si chiede per questo un po’ dipazienza ai lettori, con la promessa di un’attesa funzionale a un’adegua-ta contestualizzazione delle tematiche trattate.Oltre a questa scelta di carattere generale ve ne sono altre che riguar-

dano più strettamente il modo di procedere: tra esse, va segnalata la de-cisione di analizzare sempre la prima serie dedicata a un personaggio emai il seguito conformemente all’idea, che viene espressa al CapitoloIII, secondo la quale un anime – al pari di ogni prodotto culturale – nasceper intercettare bisogni psicologici diffusi tra la maggioranza dei suoipossibili fruitori; l’analisi di una prima serie porta quindi alla luce lo spi-rito del tempo in cui è stata realizzata in maniera più consona e veritieradei suoi eventuali seguiti, creati di solito per sfruttare il successo del ca-postipite allontanandosi però spesso dai presupposti che gli diedero vita.Sono state inoltre prese in considerazione, esclusa qualche piccola – egiustificata – eccezione, solo serie giunte e teletrasmesse in Italia: oltre aesigenze legate alla soddisfazione di una buona parte del pubblico a cuiil presente libro è rivolto, ciò è dettato dal presupposto secondo il qualel’utenza italiana e quella giapponese, essendo figlie di due nazioni arri-vate tardi all’appuntamento con una modernità peraltro indotta dal-l’esterno, abbiano maturato dei bisogni simili, che hanno decretando inentrambi paesi il successo di un certo tipo di anime significativamentelegati alla questione dell’iperestensione culturale. Oggetto della tratta-zione sono soltanto prodotti trasmessi e fruiti attraverso il circuito televi-sivo «classico»; si è quindi deciso di escludere i film realizzati per ilgrande schermo e i cosiddetti OAV (original anime video) concepiti perl’home-video. Per ragioni espresse sempre nel Capitolo III in questa se-de interessano infatti prodotti culturali i cui significati raggiungano ilmaggior numero possibile di utenti e il cui impatto sul tessuto sociocul-turale di riferimento sia effettivamente tangibile. Se questo può valereper il Giappone, indiscutibile è la sua pertinenza in riferimento al conte-

7INTRODUZIONE

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sto italiano, in cui le opere di finzione per ragazzi giunte dal paese delSol Levante devono la loro fama soprattutto al mezzo televisivo. Si con-sideri che in Italia il consumo dei manga è un fenomeno nato successiva-mente alla consolidata fruizione di anime, che ha preparato il terreno al-la ricezione degli stilemi grafici e narrativi nipponici educando la sensi-bilità dei futuri lettori – un percorso inverso rispetto a quello sviluppatosinella patria originaria.L’invasione dei disegni animati nipponici nel nostro paese ha infatti

preso simbolicamente avvio il 4 aprile 1978, con la trasmissione sull’al-lora Secondo Programma (oggi RAI Due) di Atlas UFO Robot, evento di-venuto autentico mito fondante di una generazione di telespettatori, defi-nita non a caso «Goldrake-generation».2 Dopo i primi passaggi sulla tele-visione di stato, gli anime hanno infatti trovato un prolifico circuito didiffusione nelle numerose emittenti locali sorte in seguito alla riforma delsistema radiotelevisivo del 1975-’76, garantendo un elevato numero diprodotti a basso costo con cui riempire i neonati palinsesti.3 A questa fa-se, protrattasi per la quasi totalità degli anni Ottanta, segnata appunto dauna massiccia quanto non pianificata ondata di disegni animati giappone-si che hanno trovato asilo sulle reti locali e sui canali dell’allora giovaneFininvest – oggi Mediaset – è seguita una fase di stallo (durante la qualeè iniziata però la circolazione dei manga) interrotta sul finire degli anniNovanta grazie a un particolare evento televisivo a cadenza periodica,l’Anime Night di MTV. Questa programmazione, avviata nel 1999, si ècostituita per una pianificazione più mirata, l’attenzione rivolta a un pub-blico ben definito (composto da adolescenti e giovani adulti) e la colloca-zione nella fascia serale del palinsesto – esattamente come in Giappone,dove l’animazione non è diretta solo a un pubblico infantile4 e proprio per

8 INTRODUZIONE

2 Cfr. Marco Pellitteri, Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation, Ro-ma, Castelvecchi, 1999 (ed. riveduta e ampliata Roma, King|Saggi, 2002; III ed. Roma, Coniglio, 2008).

3 Questo periodo, conosciuto anche col nome di anime boom (1978-’83), rientra in quella che sempreda Pellitteri è stata definita fase del Drago (1975-’95), in cui l’immissione dei prodotti giapponesi nel cir-cuito europeo è stata di tipo pull, ossia determinata dalla richiesta conseguente al loro basso costo. Cfr.Marco Pellitteri, Il Drago e la Saetta. Modelli, strategie e identità dell’immaginario giapponese, Latina,Tunué, 2008.

4 Questa errata concezione del medium dell’animazione fu alla base di numerose polemiche nel nostropaese, dove le serie giapponesi furono additate come vettore di educazione alla violenza del pubblico piùgiovane. Atlas UFO Robot fu addirittura oggetto di un’interpellanza parlamentare per volontà dell’allora

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questo la sua trasmissione è collocata in diverse fasce orarie rivolte a spe-cifici segmenti di pubblico suddivisi per età.5 Ciò è dovuto a un precisoricambio generazionale, che ha portato i membri della «Goldrake-gene-ration» dall’altra parte della barricata, dove è stato possibile spendere lecompetenze accumulate al fine di garantire al pubblico la visione di ope-re fondamentali quali Neon Genesis Evangelion e Cowboy Bebop.6

Di sicuro qualcuno dei lettori che si accostano a questo libro in qualitàdi appassionati di animazione storcerà il naso vedendo esclusa la sua se-rie robotico-fantascientifica preferita, ma si giudichi il tutto con la consa-pevolezza secondo cui la scelta è sempre un’ecatombe di possibilità. Dalcanto di chi scrive, queste sono le serie più idonee a illustrare al lettorecome l’industria culturale e la società giapponese tout court abbiano af-frontato la più grande sfida del nostro tempo, paragonabile a quella cheall’alba della storia ci vide lottare per sopravvivere in un mondo ostile. Seci si sente orfani della menzione dell’anime più caro si declini la priva-zione in senso positivo, ricordando ancora una volta l’immensa vastitàdel pantheon degli eroi nipponici, numerosi e forieri di ispirazioni, sen-tendosi fortunati per aver avuto il privilegio di fruire, durante l’infanzia el’adolescenza, di una gamma di storie non circoscrivibili nello spazio diun piccolo libro.

9INTRODUZIONE

deputato Silverio Corvisieri. Per quanto riguarda le sorti dell’opera di Gô Nagai in Italia cfr. AlessandroMontosi, Ufo Robot Goldrake. Storia di un eroe nell’Italia degli anni Ottanta, Roma, Coniglio, 2007. Re-lativamente all’anime boom e alle paure suscitate dall’invasione degli anime giapponesi l’attore e registateatrale Daniele Timpano ha dedicato nel 2007 l’acuto e divertente spettacolo teatrale Ecce Robot! Storiadi un’invasione. Nessuno naturalmente allora si prese la premura di comprendere cosa ne pensassero real-mente i più piccoli, che hanno avuto modo di esprimere la propria opinione una volta divenuti adulti inFrancesco Filippi – Maria Grazia Di Tullio, Vite Animate. I manga e gli anime come esperienza di vita,Roma, King|Saggi, 2002, pp. 64-71.

5 Per quanto riguarda una classificazione dei consumatori di manga cfr. Sharon Kinsella, Adult Manga.Culture & Power in Contemporary Japanese Society, Richmond, Surrey, Curzon Press, 2000, pp. 44-9.

6 Questo periodo, a cui viene anche dato il nome di second impact (termine mutuato dalla catastrofe dacui prende il via proprio Neon Genesis Evangelion, una serie importante per gli anni Novanta e per il ri-cambio estetico degli anime in tutto il mondo, di cui si parlerà in seguito), rientra invece nella fase resa daPellitteri attraverso la metafora della Saetta (1995-oggi), il cui simbolo è il cosmo Pokémon, improntata auna strategia di tipo push da parte dell’industria culturale nipponica, maturata in seguito alla consapevo-lezza del fascino esercitato all’estero dai propri prodotti. Cfr. M. Pellitteri, Il Drago e la Saetta, cit. Perquanto riguarda il second impact cfr. Eleonora Benecchi, Anime. Cartoni con l’anima, Bologna, Hybris,2005, pp. 57-99. Questa fase è caratterizzata anche dalla ristrutturazione dell’offerta di Italia Uno, rete delgruppo Mediaset rivolta a un pubblico di giovani e giovanissimi.

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Occorre un’altra precisazione per guidare meglio il lettore nella suafruizione: le schede dedicate ai singoli anime possono essere consultateanche come piccole trattazioni autonome, ma è doveroso sottolineare chele serie più rappresentative vengono via via sviscerate nel corso dell’inte-ro elaborato: opere come Kyashan il ragazzo androide, Conan il ragazzodel futuro e Galaxy Express 999 sono troppo dense di significati per esse-re racchiuse in una semplice scheda, considerazione che comunque nonvuole sminuire l’importanza dei prodotti che hanno una cornice più defi-nita. Proprio per questo le cinquanta schede sono state raccolte in un’Ap-pendice finale che permettesse di analizzarne i contenuti e i messaggiveicolati sia sulla scia delle argomentazioni esposte nei Capitoli del librosia nelle loro irriducibile unicità. Nel frattempo, alcuni degli anime quianalizzati hanno trovato spazio in volumi generali e addirittura monogra-fici; la peculiarità di questo elaborato consiste nell’affrontare in un volu-me anche serie finora non incluse in prodotti editoriali, oltre a focalizzar-si per la prima volta su aspetti specifici inerenti tutti i cinquanta animecatalogati nell’ultima parte del libro. Si tenga presente che i nomi e i dia-loghi riportati (anche nei Capitoli precedenti) fanno sempre riferimentoalla prima edizione italiana della serie in questione. Come molti lettoriavranno già intuito, questa è una scelta mutuata da un precedente, il cita-to Mazinga Nostalgia di Marco Pellitteri; se questo volume può permet-tersi di contestualizzare l’animazione giapponese all’interno di una te-matica ben precisa è perché prima altri autori nel dibattito italiano (e in-ternazionale) hanno dedicato a questo argomento delle trattazionigenerali conferendogli una dignità in campo accademico e divulgativoriuscendo a scardinare i paletti eretti dai pregiudizi legati a una vetusta, eormai impresentabile, distinzione tra cultura «alta» e «bassa».7

10 INTRODUZIONE

7 Proprio per questo motivo lo stesso Pellitteri ha definito Mazinga Nostalgia un libro «militante».Cfr. Marco Pellitteri, «Premessa», in Il Drago e la Saetta, cit., p. XXV. Per quanto riguarda i saggi di-vulgativi sull’animazione in generale, fondamentale è citare anche Le anime disegnate di Luca Raffa-elli, testo in cui la trattazione dei disegni animati americani (soprattutto quelli prodotti dalla Disney edalla Warner Bros & Co.) e giapponesi si unisce a interessanti considerazioni pedagogiche sulla lorofruizione da parte di più piccoli. Cfr. Luca Raffaelli, Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoons daDisney ai giapponesi, Roma, Castelvecchi, 1994 (ed. riveduta e ampliata Le anime disegnate. Il pen-siero nei cartoons da Disney ai giapponesi e oltre, Roma, Minimum Fax, 2005). Per quanto riguardauna panoramica sul cinema d’animazione in generale cfr. Giannalberto Bendazzi, Cartoons. Il cinemad’animazione 1888-1988, Venezia, Marsilio, 1988; Marco Pellitteri, Conoscere l’animazione. Forme,

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Ringraziamenti

È sempre difficile fare una lista più o meno lunga di nomi, quindi mi limiterò all’essen-ziale. Innanzitutto ringrazio Marco Pellitteri, a cui devo molto di più del semplice proces-so di revisione editoriale: chiacchierate amichevoli, consigli sinceri e la rassicurante con-sapevolezza della presenza di un punto di riferimento costante in questo settore di studi.Grazie soprattutto per questo, Marco, oltre che per un’e-mail giunta dal Giappone tantoinaspettata quanto gradita senza la quale i miei studi non avrebbero ripreso nuova linfa.Ringrazio il professor Giulio Giorello per aver accettato di scrivere la prefazione di

questo libro, un ringraziamento esteso anche al dottor Luca Guzzardi.La mia riconoscenza va anche a Veronica Menelao, con la quale ho da sempre potuto

mantenere un rapporto scevro da ogni formalità che ha molto facilitato la nascita di que-sto progetto.La vocazione multidisciplinare di questo libro necessitava e necessita tuttora di soste-

nitori curiosi, dall’intelletto vivace e aperto a ogni possibile sollecitazione: tali si sono ri-velati – ma questo non lo scopro certo io – il professor Telmo Pievani, Paolo Coccia e tut-ta la redazione di Pikaia. Il portale dell’evoluzione, che hanno dato a questo elaborato ilprimo importante riconoscimento; per questo motivo il mio grazie va anche a loro.Dal momento che si parla di scienza, non posso esimermi dal menzionare gli Stelvi, ai

quali debbo l’amore per questo campo del sapere, precedentemente detestato a causa del-l’aridità con cui lo si insegna a scuola.

11INTRODUZIONE

linguaggi e pedagogie del cinema animato per ragazzi, Roma, Valore Scuola, 2004. Relativamente al-la saggistica accademica in Italia sul manga cfr. Maria Teresa Orsi, Storia del fumetto giapponese vol.1. L’evoluzione dall’era Meiji agli anni Settanta, Mestre (VE), Musa Edizioni, 1998; Gianluca Di Frat-ta, Il fumetto in Giappone. Dagli anni Settanta al 2000, Caserta, L’Aperìa, 2005. In riferimento allasaggistica divulgativa, sempre nel nostro paese, cfr. Cristian Posocco, MangArt. Forme estetiche e lin-guaggio del fumetto giapponese, Genova, costa & nolan, 2005; Francesco Prandoni, Anime al cinema.Storia del cinema d’animazione giapponese 1917-1995, Milano, Yamato Video, 1999; Saburo Mura-kami, Anime in TV. Storia dei cartoni animati giapponesi prodotti per la televisione, Milano, YamatoVideo, 1998; Alessandro Gomarasca (a cura di), La bambola e il robottone. Culture pop nel Giapponecontemporaneo, Torino, Einaudi, 2001; Roberta Ponticiello – Susanna Scrivo (a cura di), Con gli oc-chi a mandorla. Sguardi sul Giappone dei cartoon e dei fumetti, Latina, Tunué, 2005 (II ed. 2007). Ri-guardo la saggistica internazionale, per quel che concerne l’Europa cfr. Jaqueline Berndt – Steffi Ri-chter (a cura di), Reading Manga from Multiple Perspectives, Leipzig, Universitätverlag Leipzig,2006. Per ciò che concerne gli Stati Uniti, si faccia riferimento all’opera di John A. Lent: John A. Lent(a cura di), Themes and Issues in Asian Cartooning: Cute, Cheap, Mad and Sexy, Bowling Green (OH),Bowling Green State University Popular Press, 1999; Id., Animation in Asia and the Pacific, Bloomin-gton, Indiana University Press, 2001; Id. (a cura di), Illustrating Asia: Comics, Humour Magazines,and Picture Books, Richmond, Surrey, Curzon Press, 2001. Fondamentale anche il contributo di Fre-derik L. Schodt: Frederik L. Schodt, Manga! Manga! The world of Japanese Comics, Kôdansha Inter-national, Tokyo, through Harper & Row, New York, 1986; Id., Dreamland Japan. Writings on ModernManga, Berkeley (CA), Stone Bridge Press, 1996. Un punto di riferimento importante è certamente co-stituito dalla rivista annuale Mechademia, edita dalla University Press of Minnesota. Riguardo invecealla riflessione su manga e anime nel paese d’origine cfr. almeno Tomohiko Murakami – Osamu Ta-keuchi (a cura di), Manga hihyô taikei, 4 voll., Tokyo, Heibonsha, 1989.

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Per il reperimento del materiale, invece, costruisco un monumento ai forum Animedb eDownloadzoneforum, soprattutto allo spirito di condivisione dei loro utenti. Restando intema, un posto speciale va riservato agli amici del KBL Forum di Sigletv.net: con molti diloro non condivido solo una passione ma anche un modo di essere, romantico e scanzona-to nello stesso tempo, fondato sulla convinzione che il modo migliore per essere adultosia quello di tenere vivo/a il/la bambino/a che un tempo, tra una fetta di pane e Nutella eun sorso di latte e Nesquik, sognava di salire su un robot per difendere la Terra oppure direnderla migliore con un colpo di bacchetta magica; al di là degli stimoli continui, delsupporto morale e dell’aiuto concreto, il mio pensiero è rivolto a loro soprattutto per que-sto motivo. Continuando a parlare di sigle TV, una nota di merito piena di affetto e simpa-tia non può che andare ai «megafriends» Raggi Fotonici, grazie ai quali il mondo dell’ani-mazione prende costantemente vita nella mia esistenza quotidiana non restando semplice-mente confinato nel seppur già appagante spazio della fantasia.Un grazie anche ad Andrea Maffi, a cui va il grande merito di rendermi costantemente

up do date nonostante la componente «girellara» del mio animo, guidandomi alla scoper-ta delle opere più recenti. Grazie Andrea per le imbeccate, le chiacchierate a voce e inchat e per il prestito di materiali, oltre che per essere stato il vertice del quadrilatero for-mato anche da Enrico, Irene e Luisa sull’asse Roma-Bergamo-Berlino, che tanto ha gio-vato alla stesura finale del libro. Questo, a imperitura gloria dell’Open House.La mia gratitudine va anche a Giulia, per la parte di vita condivisa, gli incoraggiamen-

ti e gli spunti di riflessione che hanno portato alla scelta del titolo, oltre che per la curiosi-tà profana e sincera con cui segue i miei studi.Giungo ora al ringraziamento più doveroso, quello ai miei genitori, un gesto la cui ri-

tualità vuole comunque tenersi ben lontana dall’ovvio e rimanere contestualizzata allapresente opera. Questo libro non sarebbe mai venuto alla luce se quella irradiata dal SolLevante che tanti anni fa penetrò dalla mia finestra fosse stata oscurata con la pretesa difiltrare ciò che è moralmente lecito secondo la pretesa di tanti sedicenti paladini dell’in-fanzia. Per la fiducia concessa all’immaginazione del bambino che sono stato; per averlalasciata libera di esprimersi sciolta dai vincoli di morali adulte castranti e tendenziose; perl’umiltà dimostrata nel saper condividere la mia educazione con un ospite straniero chemolti si rifiutavano di accogliere; per tutto questo, grazie.Infine, un pensiero a coloro che non hanno collaborato più o meno fattivamente alla

stesura di questo libro ma sono comunque presenti tra le sue righe, tutti i fiori di sakurache abbelliscono il ramo della mia vita e senza i quali non sarei diventato quello che sonoadesso riversandone qui una buona parte: per la forma che contribuite a dare al mio esse-re e per la parte del vostro di cui mi fate dono, grazie.

12 INTRODUZIONE

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II. Effetti dell’iperestensione culturaleIl Giappone quale osservatorio privilegiato

Perché non volevo vedere le tue unghie crudeli

strappare i suoi poveri occhi di vecchio,

né la tua feroce sorella conficcare

i suoi bestiali artigli in quella carne veneranda.

WILLIAM SHAKESPEARE, RE LEAR

II.1 Dalle navi di Colombo a quelle di Perry:Prometeo bussa alla porta dello shôgun

Scrive Marco Polo nel Milione:

Zipagu èe una isola in levante, ch’è nell’alto mare mille cinquecento mi-glia. L’isola è molto grande, le genti sono bianche, di bella maniera e belle;e la gente è idola, e non ricevono signoria da neuno, se no’ da loro medesi-mi. Qui si trova l’oro, però n’hanno assai; niuno uomo non vi va, e niunomercante non leva di questo oro; perciò n’hanno egliono cotanto. E il pala-gio del signore dell’isola èe molto grande, ed è coperto d’oro, come si cuo-prono di qua le chiese di piombo. E tutto lo spazzo delle camere è copertod’oro, ed èvvi alto bene due dita; e tutte le finestre e mura e ogni cosa e an-che le sale sono coperte d’oro; e non si potrebbe dire la sua valuta. Eglihanno perle assai, e sono rosse e tonde e grosse, e sono più care che le bian-che; ancora v’ha molte pietre preziose, e non si potrebbe contare la ric-chezza di quest’isola.1

Lo Zipagu di cui parla il veneziano è naturalmente il Giappone, anno-verato tra le «maravigliose cose d’India»,2 verso cui originariamente sa-rebbe in seguito salpato Colombo, attratto da promesse d’oro poi man-

1 Marco Polo, Il Milione (1298 ca.), Milano, Lucchi, 1960, pp. 187-8.2 Ivi, p. 186.

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tenute dal piombo dei conquistadores. Navi e armi da fuoco, protagoni-sti della storia occidentale protomoderna, fecero la propria comparsaanche sulle coste giapponesi. Visitatori alquanto insoliti, dal momentoche il paese del Sol Levante, eccezion fatta per gli abituali contatti coifratelli cinesi e coreani, si era tenuto ai margini degli accadimenti chemutavano le altre parti del globo. Nemmeno le navi dell’esercito di Ku-blai Khan riuscirono a invaderne il suolo, respinte da un vento poi ac-clamato come divino, letteralmente kami kaze. Dove non giunsero imongoli conquistatori di terre arrivarono però i missionari cercatori dianime, approdati nel XVI secolo nell’Arcipelago insieme ai commer-cianti portoghesi. Per apprendere la tecnologia delle armi leggere dafuoco introdotte da questi ultimi i giapponesi si convertirono al cattoli-cesimo, prima di proscriverlo una volta raggiunto lo scopo e rispedire acasa preti e mercanti.La vicenda aiuta a comprendere il carattere profondo del popolo nip-

ponico, neppure minimamente scalfito dall’idea di una verità unica dacustodire e propagare. Ciò vale per la sfera religiosa e anche per quellaetica, descritta da Ruth Benedict come «una carta geografica suddivisain varie provincie», in quanto i giapponesi «non fanno riferimento a unimperativo categorico o a una “regola aurea”, cosicché un comporta-mento viene approvato sempre relativamente a uno specifico ambito».3

Questo permise ai pragmatici isolani di mutuare quanto serviva daglioccidentali e respingere quello che non si accordava con il loro torna-conto. Ma i rari contatti esterni erano sul punto di cessare del tutto. Ladinastia Tokugawa, al potere dal 1603 al 1867, mirava alla conservazio-ne del tradizionale assetto sociale, minacciato dall’ascesa della classemercantile4 favorita dallo sviluppo dei commerci marittimi. Così fu av-

50 EFFETTI DELL’IPERESTENSIONE CULTURALE

3 Ruth Benedict, The Chrysantheum and the Sword, Boston, Houghton Mifflin Company, 1946(trad. it. Marina Lavaggi – Ferdinando Mazzone, Il crisantemo e la spada. Modelli di cultura giappo-nese, Bari, Dedalo, 1969, p. 215).

4 Al vertice dell’ordinamento si trovava la famiglia imperiale, seguita dai nobili di corte, dai guerrie-ri (samurai), dai contadini, dagli artigiani, dai mercanti e dagli esclusi. È facile allora comprendere co-me l’ascesa della classe che occupava il penultimo gradino della scala sociale turbasse i detentori delpotere costituito. Riguardo il periodo Tokugawa cfr. Marius B. Jansen, The Making of Modern Japan,Cambridge, Massachusetts, London, England, The Belknap Press of Harvard University Press, 2000,pp. 33-332.

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viata una politica d’isolamento protrattasi per più di duecento anni, cheimmobilizzò il Giappone mentre una parte del mondo esterno cambiavacon rapidità impressionante. Laddove la dinamicità diventò il marchiodi fabbrica dell’Occidente, i Tokugawa mantennero in una dimensionefeudale il paese, il cui modus vivendi era – seppur con le dovute diffe-renze – sostanzialmente analogo a quello dell’Europa medievale.5 Acollegarlo con l’esterno era la sola Nagasaki, sede della colonia olande-se sull’isolotto di Deshima, a suo modo centro di cultura «alessandrina»della nazione dove i rangakusha (‘studenti olandesi’) avevano accessoai testi occidentali.Si torni ora a quel 1492 in cui le navi di Colombo approdarono in

America. Il nuovo mondo nei secoli successivi prese dalle mani del vec-chio il testimone della staffetta della modernità, nei termini così espres-si da Hegel: «L’America è […] il paese dell’avvenire, quello a cui, intempi futuri, […] si rivolgerà l’interesse della storia universale. Essa èun paese di nostalgia per tutti coloro che sono stufi dell’armamentariostorico della vecchia Europa».6 Fase decisiva del processo fu la fonda-zione degli Stati Uniti d’America, paese privo di «pastoie»7 e dotato dispazi sconfinati, terreno fertile per l’ulteriore sviluppo della nostra cul-tura. Invocato non da Abramo, Isacco e dai patriarchi che appesantisco-no le pagine bibliche, il Dio americano è quello «che progetta la frontie-ra e costruisce la ferrovia» del Bufalo Bill di Francesco De Gregori.Proprio quello di «frontiera», «spazio che occorre attraversare trasfor-mandolo mentre lo si attraversa», è il concetto chiave per comprenderel’agire prometeico degli Stati Uniti. «Libertà e frontiera sono tra loro le-gate da una relazione di implicazione reciproca: qualsiasi difficoltà equalsiasi limite della libertà è un ostacolo da superare, un limite da ol-trepassare. Dall’Atlantico al Pacifico si stende una terra ricca e libera,sempre aperta a nuove linee di fuga».8

51DALLE NAVI DI COLOMBO A QUELLE DI PERRY: PROMETEO BUSSA...

5 Si noti a tal proposito come Akira Kurosawa abbia ricalcato il proprio film sulla fine del Giapponefeudale, Ran (160’, Giappone 1985), sul modello del Re Lear.

6 George W.F. Hegel, «Lezioni sulla filosofia della storia», cit. in Michael Hardt – Antonio Negri,Empire, Boston, Harvard University Press, 2000 (trad. it Alessandro Pandolfi, Impero, Milano, RCS Li-bri, 2001, p. 348).

7 Naturalmente eccezion fatta per quella, brutalmente rimossa, costituita dai nativi americani.8 M. Hardt – A. Negri, op. cit., p. 162.

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Quando la terra fino al Pacifico fu interamente soggiogata, le mire sivolsero a quella che si estendeva al di là di esso. Ecco allora che nel1853 il commodoro Matthew Perry giunse in Giappone con la propriaflotta e una lettera che chiedeva l’apertura dei porti a favore delle naviamericane: Prometeo bussò alla porta del paese per conto della borghe-sia (vittoriosa nella rivoluzione del 1776 all’origine della Costituzionestatunitense), la quale «si crea un mondo a propria immagine e somi-glianza», a cui l’«epimeteico» Giappone fu «invitato» a omologarsi.Nel 1854 stipulò quindi dei trattati, integrati da quelli commercialiquattro anni più tardi, talmente favorevoli agli Stati Uniti da essere defi-niti «ineguali». Ciò sconvolse i nipponici, avvezzi sì al concetto di ine-guaglianza dovuto alla loro visione del mondo rigidamente gerarchica,ma non certo a costituire il polo inferiore del rapporto di disparità. Essipotevano infatti permettersi di non concepire assoluti concernenti le va-rie sfere del pensiero e dell’azione per il semplice fatto che ne contem-plavano uno solo: il Giappone, l’unico paese divino, dal momento che«una legittimità metafisica appartiene solo all’essere giapponese, dalsasso all’uomo, dall’astro al pomo. L’entità straniera – essere umano ocosa – non si sa bene come sia comparsa, e resta sempre (almeno in mo-do vago) spuria».9 Si immagini dunque cosa successe quando l’entitàstraniera, per spuria che fosse, comparsa in un modo o nell’altro, potépermettersi di dettare le regole all’unico paese custode di un rapportodiretto con la divinità. Si poneva in maniera quanto meno allarmante ilChe fare? La popolazione un tempo «idola» si ritrovò a fare improvvi-samente i conti con tutta la propria storia a causa di un diktat esterno.

52 EFFETTI DELL’IPERESTENSIONE CULTURALE

9 Fosco Maraini, «Introduzione. Cronache di un Giappone anno zero», in Enrica Collotti Pischel (acura di), L’ascesa del Giappone, Milano, Franco Angeli, 1994, p. 36. Lo stesso Maraini riporta il pas-so iniziale del libro di Kikabatake Chikafusa (1293-1354), Cronache della discendenza diretta dei di-vini sovrani: «Il Giappone è un paese divino. Esso venne fondato dal Celeste Progenitore, e la DeaSolare lo destinò ai propri discendenti, ché lo governassero in eterno. Tutto questo è vero solo per lanostra patria, non esistono simili esempi in altre parti del mondo». Ivi, p. 37. I due libri mitologicidella tradizione giapponese, il Kojiki e il Nihonji, raccontano la creazione del mondo attraverso il mi-to di Izanagi e Izanami riferendosi solo all’Arcipelago, ribadendo l’esclusività del legame tra cielo eterra nipponica.

Page 31: Mangascienza

II.2 Wakon yôsai: il tramonto del Sol Levante

Essi contavano sull’ausilio divino,

mentre il loro scopo era quello di sfidare

con la semplice sciabola

le armi occidentali aborrite dagli dei.

YUKIO MISHIMA, CAVALLI IN FUGA

«Una gerarchia tribale e feudale di tipo tradizionale», scrive McLu-han, «si sfalda rapidamente al contatto con qualunque medium caldo ditipo meccanico, uniforme e ripetitivo».10 Ne seppe qualcosa il regimeTokugawa, tramontato solo quattordici anni dopo l’arrivo delle navi diPerry. Sotto la spinta di slogan quali «Restauriamo l’imperatore» ed«Espellere i barbari»,11 tale fase si concluse con la restaurazione del po-tere imperiale, atto d’inizio del periodo Meiji (1868-1911).12 In princi-pio il Giappone sembrò scegliere la via di un ulteriore isolamento. In-vece furono proprio le forze della reazione a dare avvio allo sviluppodel paese, trasformato in cinque anni in un moderno stato-nazione. Peroperare un tale stravolgimento l’imperatore dovette disporre di un po-tere non soggetto ad alcuna limitazione, conferitogli dall’apparato digoverno nato dall’unificazione burocratica, amministrativa e militaredel Giappone.13 La centralizzazione del potere fu possibile snellendo la«carta geografica» dell’etica nipponica, facendo confluire le sue tante«province» nella «capitale» del chu, l’obbligo verso la persona del-l’imperatore. Il mantello dell’etica velava quindi la struttura del poterecostituente. «Ma il destino», come si vedrà, «fece del mantello unagabbia d’acciaio».14

53WAKON YÔSAI: IL TRAMONTO DEL SOL LEVANTE

10 M. McLuhan, op. cit., p. 33.11 Questi erano gli slogan del movimento Sonnô jôi, che ha trovato una sua singolare riproposizione

nell’anime Gintama (2006).12 Riguardo il periodo Meiji cfr. William G. Beasley, The Meiji Restoration, Stanford (CA), Stanford

University Press, 1972 e M.B. Jansen, op. cit., pp. 333-494.13 Il potere nell’età Tokugawa era decisamente più decentrato. Le tante province del Giappone erano

soggette all’autorità di un daimyô, a sua volta signore degli shôgun ai quali i samurai garantivano lapropria fedeltà.

14 M. Weber, op. cit., p. 305.

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Il nuovo orizzonte politico diede una possibilità ai rangakusha, i qualiproponevano di affrontare la sfida delle navi americane con lo stratagem-ma rivelatosi vincente contro quelle portoghesi, ossia assorbire il buonodella cultura allogena (uno dei punti del programma Meiji era «la ricercadi quanto poteva esserci di buono e utile nella cultura degli stranieri») ri-manendo impermeabili al resto. Queste istanze riprendevano quelleespresse dalla dottrina di Sakuma Shôzan (1811-1864), wakon yôsai, let-teralmente ‘anima giapponese, tecnica occidentale’, che esortava ad adot-tare la seconda conservando gelosamente la prima. La teoria fu messa inpratica dal processo di «nipponizzazione», destinato – seppur all’inizionon fu possibile comprenderlo – a trascinarsi dietro tutta la millenariastoria della nazione. A un unico e immutabile assoluto (il Giappone) siaffiancava quello che lo avrebbe scalzato, la tecnica, descritta da Umber-to Galimberti appunto come «un assoluto che si presenta come un univer-so di mezzi, il quale, siccome non ha in vista dei fini, ma solo degli effetti,traduce i presunti fini in ulteriori mezzi per l’incremento infinito della suaefficienza».15 Si integri tale definizione con l’analisi di Severino:

La funzione originale della tecnica è di essere uno strumento di ecceziona-le efficacia per promuovere un certo ordinamento economico-sociale. […]Ma, rapidamente, l’efficacia e l’importanza di questo mezzo spingono leideologie a organizzare la società in modo che lo sviluppo della tecnica siaostacolato il meno possibile e il più possibile agevolata la sua applicazio-ne alla risoluzione dei problemi economico-sociali. […] La tecnica divie-ne così lo scopo dell’ideologia. E poiché essa rimane anche il mezzo piùpotente, il destino delle ideologie è di dissolversi non solo come scopi, maanche come mezzi.16

Per entrambi i filosofi la tecnica tende a invertire il rapporto tra mezzoe fine. Avendo essa «come scopo l’incremento indefinito della capacitàdi realizzare scopi, e subordinare al proprio ogni altro scopo»,17 non è

54 EFFETTI DELL’IPERESTENSIONE CULTURALE

15 U. Galimberti, op. cit., p. 681. Si noti che il libro è dedicato a Severino.16 E. Severino, Téchne, cit., p. 260.17 Emanuele Severino, «Globalizzazione e tradizione», MicroMega, «Filosofia e (critica della) glo-

balizzazione», n. 5, 2001, p. 110.

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possibile servirsene in maniera neutra senza subire contraccolpi. Quantoaccadde con le navi portoghesi non poté ripetersi con quelle di Perry, dalmomento che la tecnica assorbita da commercianti e missionari non ave-va certo la potenza d’urto di quella impiegata per rendere il paese una na-zione moderna: «Infatti se nel mondo pre-tecnologico la tecnica era im-piegata come strumento per la soddisfazione dei bisogni umani, nelmondo tecnologico è la tecnica a impiegare l’uomo per le sue esigenze difunzionalità».18 E dire che i riformatori dell’era Meiji volevano disporneper conservare intatta la propria anima…In un mondo sempre più prometeico il Giappone non poteva più con-

tinuare a essere una monade isolata, poiché «la tendenza all’espansioneplanetaria appartiene […] all’essenza della tecnica».19 Esigenza, questa,connaturata anche alla borghesia e al suo modo di produzione, quellocapitalista. Una volta che esso fu adottato dal paese dei samurai, l’ag-gressiva politica di espansione che ne conseguì fu inevitabile per unpaese peraltro ricco di bellezze naturali ma assai povero di materie pri-me. Si consideri l’effetto dell’incontro tra il Giappone e l’Occidente al-la luce di quanto scrive sempre McLuhan: «Quando due società esisto-no l’una accanto all’altra, la sfida psichica della più complessa determi-na in quella più semplice un esplosivo scarico di energie».20 Finchérestarono trincerati dietro le barriere innalzate dai Tokugawa i giappo-nesi non vennero a contatto con entità esterne, ma, una volta spinti dal«fascino del mondo dal quale si volevano mutuare soluzioni e la delibe-rata volontà di cancellare l’umiliazione imposta da esso»,21 attaccaronoTaiwan nel 1873, imposero l’apertura a due porti coreani tra il 1875 e il1876 arrivando nel 1894 a vincere addirittura la guerra contro il vecchiofratello maggiore cinese, ormai non più riconosciuto come tale in segui-to alla subalternità nei confronti delle nazioni occidentali sancita daltrattato di Nanchino (1842). Nel 1905 il Giappone incrociò il propriodestino con un’altra nazione in fase di cambiamento, la «grande e cara

55WAKON YÔSAI: IL TRAMONTO DEL SOL LEVANTE

18 U. Galimberti, op. cit., p. 398. Proprio ciò che in questa sede è definito iperesetensione culturale.19 Ivi, p. 345.20 M. McLuhan, op. cit., p. 80. Cfr. il cortometraggio di Pier Paolo Pasolini Le mura di Sana (1970).21 Enrica Collotti Pischel, «Considerazioni sull’ascesa del Giappone nel gioco delle grandi poten-

ze», in Id. (a c. di), op. cit., p. 221.

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malata»22 Russia, sconfiggendola soprattutto grazie alla superiorità del-la propria flotta nell’importantissima battaglia di Tsushima. Dall’umi-liazione imposta dalle navi al trionfo guadagnato con le navi, il cerchiopoteva così dirsi chiuso. La tecnica occidentale era stata appresa senzaalcun dubbio; ma cosa restava dell’anima giapponese?Soggiornando in Giappone tra la fine degli anni Trenta e il 1941,

Karl Löwith ebbe modo di porsi la stessa domanda, arrivando a questeconclusioni:

Ciò che il Giappone ha preso da noi è stato, come nel caso della ricezionedella cultura cinese, non il fondamento religioso, morale o dottrinario, ben-sì, in primo luogo, la nostra civiltà materiale: l’industria e la tecnica mo-derna, il capitalismo, il diritto borghese, l’organizzazione dell’esercito e imetodi del lavoro scientifico, che rendono possibile tutto questo […]. Lavita autentica degli uomini, il loro modo di sentire e pensare, costumi e va-lori hanno continuato a sussistere accanto a tutto questo relativamente im-mutati. Lo «spirito» europeo con la sua «storia» senza la quale esso nonsarebbe quel che è diventato, non è stato recepito perché ciò può solo avve-nire attraverso una appropriazione che lo trasformi alla radice. Malgrado ilcarattere esteriore di questa occidentalizzazione, che non può non colpireogni europeo, non si deve però disconoscere la sua pervasività. La civiltàeuropea non è un abito di cui ci si può all’occorrenza vestire e poi di nuo-vo, spogliare, ma ha l’inquietante potere di conferire la propria forma alcorpo e all’anima che di essa si riveste. Certo, l’assunzione delle istituzio-ni occidentali è estrinseca (perciò apparentemente innocua), se si paragonala civiltà occidentale in Giappone con quella autoctona d’Europa, infatti èsolo in Europa che la civiltà tecnica ha una base storica e spirituale sullaquale essa poté formarsi all’interno; l’Oriente, invece, si impadronì delprodotto, e di esso soltanto, come di un risultato bell’e pronto. Al tempostesso, però, questa esteriorità è più intima di quel che appare, visto che leconquiste moderne della civiltà occidentale non costituiscono un meromezzo per un fine qualsiasi, ma condizionano la vita e la convivenza degli

56 EFFETTI DELL’IPERESTENSIONE CULTURALE

22 Fëdor M. Dostoevskij, Besy, 1872 (trad. it. Francesca Gori, I Demoni, Milano, Garzanti, 1990,p. 699).

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uomini e dei popoli. Nessuno può sottrarsi alle intime conseguenze dellatrasformazione della vita perpetrate dall’industria e dalla tecnica – entram-be in caso d’emergenza servono alla guerra. La distruzione dei fondamentireligiosi, morali, sociali e antichi, è una conseguenza inevitabile che nes-sun processo di civilizzazione può ignorare. Un «Giappone moderno» è(per gli Europei) una contraddizione in termini, visto che la modernità oc-cidentale non è giapponese e il Giappone autentico è antichissimo. La veraciviltà che sopravvive in Giappone, fatta di nobile semplicità, buone ma-niere e bellezza, non è di oggi, ma un lascito del passato. Il fatto che, in sin-goli casi, la contrapposizione tra vecchio e nuovo abbia raggiunto, talora,una situazione di compromesso esteticamente e moralmente accettabile,non fa che confermare questa regola.23

L’esito dell’applicazione dei principi del wakon yôsai conferma dun-que la bontà dell’analisi di Galimberti e Severino. Non poteva quindiche verificarsi un disallineamento tra la scintilla di Atena e quella diEfesto. Negli stessi anni di Löwith visse nel paese anche Fosco Marai-ni, che poté osservare gli ulteriori sviluppi del binomio «anima giappo-nese, tecnica occidentale», accorgendosi di come una mentalità gerar-chica e «tribale» come quella nipponica non poteva più trovare asilo inun mondo in cui le nazioni non condividevano soltanto il destino politi-co ma anche la forza d’urto. La mancata adozione del punto di vistadell’«umanità» fu una delle cause della Seconda guerra mondiale. allaquale, facendo sempre riferimento all’esperienza di Maraini, il Giappo-ne si approssimava in questo modo:

avevo cominciato a comprendere l’inevitabilità dello scontro; bastava stu-diare un poco nell’intimo la storia del pensiero giapponese per vederemontare nei secoli il dramma. Procedendo verso la metà del secolo vente-simo, sembrava essersi prodotta una mirabile «maturità dei tempi». Nonerano in atto tanto fattori economici, vicende politiche, fattori sociali qual-

57WAKON YÔSAI: IL TRAMONTO DEL SOL LEVANTE

23 Karl Löwith, Santliche Schriften 2. Weltergeschichte und Heilsgescheen. Zur Kritik der Geschi-chtsphilosophie, Stuttgart, J. B. Metzlerche Verlagsbuchhandlung, 1983 (trad. it. Monica Ferrando,Scritti sul Giappone, Messina, Rubbettino, 1995, pp. 102-3).

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siasi, era bensì venuto il momento quando un certo credo doveva porsi allaprova. Il Giappone era o non era terra divina? Ospitava o non ospitava unpopolo eletto, guidato da un Tennô disceso dagli dei? La «pienezza deitempi» reclamava la prova: anche se folle, anche se assurda. Partecipavoallo smisurato dramma con piena comprensione, ma scorgendone fin dal-l’inizio la sicura tragica fine.24

Non c’è da stupirsi allora se Ruth Benedict sottolinei come per i giap-ponesi il conflitto bellico consistesse in uno scontro tra la loro fiducianel proprio spirito, immortale e quindi invincibile, e quella statunitensenella materia transeunte.25 Gli asiatici confidavano sostanzialmente an-cora in Zeus, battuto però da Prometeo, che conferì al nemico l’armacon cui ottenne la vittoria definitiva: la bomba atomica.26 Essa, spazzan-

58 EFFETTI DELL’IPERESTENSIONE CULTURALE

Il disallineamento tra la scintilla di Efesto e quella di Atena è una delle cause principali degli orroriperpetrati durante la Seconda guerra mondiale, inclusi quelli giapponesi. L’eco dei campi di concentra-mento e degli stermini di massa si propaga nitidissimo nella serie Zambot 3: nell’immagine a sinistravi è la rappresentazione di un lager dove sono imprigionati gli uomini-bomba (a destra), armi di distru-zione consistenti in esseri umani al cui interno è impiantato appunto un ordigno, insieme al quale sonocondannati a esplodere seminando morte e distruzione tra i propri simili. © Sunrise, Sotsu Agency eNagoya TV.

24 F. Maraini, op. cit., p. 51.25 Cfr. R. Benedict, op. cit., pp. 29-32.26 Nel suo Diario di Hiroshima, Michihiko Hachiya riporta già il 9 settembre 1945 un articolo con-

tenente questa osservazione: «È impossibile non restare stupiti dalla potenza di una bomba, che è sta-ta in grado di devastare una città come Hiroshima, causando cinquecentomila tra morti e feriti. La no-stra sconfitta è dovuta a una superiorità di ordine scientifico, qualitativo più che quantitativo. È pertan-to consigliabile un’attenta considerazione degli avvenimenti passati e un’indagine sui futuri sviluppidella tecnica». Cit. in Michihiko Hachiya, Hiroshima Diary: The Journal of a Japanese Physician, Au-gust 6—September 30, 1945, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1955 (trad. it. FrancescoSaba Sardi, Diario di Hiroshima, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 170).

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do via la distinzione fra «tribù» e «umanità», recise pure il legame divi-no che garantiva al Giappone la sua esclusività celeste. Una mitica sto-ria millenaria era giunta al termine. Era cominciata con le navi america-ne, finì con la bomba americana. Nel mezzo, appunto, il Sol Levante.

II.3 L’imperatore apre la porta a Prometeo

Col tempo, non c’è dubbio che la civiltà dell’occidente

avrebbe inventato strumenti di morte ancora più micidiali,

e che li avrebbe usati per combattere il Giappone.

YUKIO MISHIMA, CAVALLI IN FUGA

Mentre i sudditi del Tennô (‘Sovrano celeste’) invocavano lo spiritodei samurai, gli americani riponevano le loro aspettative di vittoria nel-la scienza organizzata, capace di ottenere «l’imbrigliatura del poterefondamentale dell’universo»,27 introducendo «un’era nuova nella com-prensione umana delle forze della natura».28 L’orgoglio palesato dalpresidente Truman il giorno dell’impiego della bomba «Little Boy» èben diverso dallo sgomento espresso dallo scrittore Tamiki Hara, che lapotenza dell’ordigno la sperimentò sulla propria pelle:

Uno spazio vuoto e grigio si estendeva sotto un cielo di piombo. […] Nel-l’acqua galleggiavano cadaveri dilaniati, gonfiati. Era l’inferno divenutorealtà. Tutto ciò che era umano, era stato cancellato. […] Si sarebbe credu-to il paesaggio di un sogno. Il cielo sopra di me era di un silenzio assoluto.Ebbi l’impressione di non essere venuto sulla terra che dopo l’esplosionedella bomba atomica.29

59L’IMPERATORE APRE LA PORTA A PROMETEO

27 Harry S. Truman, «Abbiamo vinto la battaglia dei laboratori», in Antonio Desideri, Storia e sto-riografia. Dalla prima guerra mondiale alle soglie del Duemila, con la collaborazione di Mario The-melly, Firenze, D’Anna, 1997, p. 809.

28 Ivi, p. 810.29 Tamiki Hara, «La bomba atomica su Hiroshima. La testimonianza di uno scampato», in ivi, pp.

805-6. Corsivi miei. Hara, scampato alla bomba e poi suicidatosi nel 1951 durante la Guerra di Corea,è stato inoltre l’autore del primo romanzo scritto dopo l’esplosione atomica, Natsu no hana (‘Fiore diun’estate’), dedicato alla moglie morta comunque prima del bombardamento. Relativamente agli ef-

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Vero: un nuovo mondo è anche quello venuto alla luce il 6 agosto1945. Giungendo all’appuntamento col conflitto mondiale proponen-dosi fini diversi, i belligeranti si rivelarono in conclusione tanti mezziimpiegati dalla tecnica per accrescere la propria potenza e sancire lasua totale affermazione. Ancor più di quella sui campi di battaglia, laguerra dei laboratori combattuta per la vittoria delle «tribù» portò allasconfitta dell’«umanità». Per Galimberti l’esperimento nazista costi-tuisce l’«atto di nascita dell’età della tecnica»30 in virtù della pianifi-cazione razionale dei suoi fini del tutto irrazionali (non a caso Andersdefinisce l’olocausto «sterminio istituzionale ed industriale di perso-ne, […] di milioni di persone»).31 Al di là di un giudizio sulle diverseideologie che si contrapposero, non può dirsi altrettanto del Manhat-tan Project?Si torni ora al Giappone, che il 15 agosto annunciò la definitiva resa:

La data del 15 agosto 1945 si presentava come assolutamente unica negliannali nipponici. Nessun altro paese al mondo poteva infatti vantareun’autentica storia di invincibilità protrattasi per 15-16 secoli sicuri, eforse più se ci lasciamo tentare dalla protostoria. […] I giapponesi aveva-no dunque raggiunto una data che imponeva loro un salto cieco di quali-tà su tutta la linea della propria esistenza civile, religiosa, culturale, am-ministrativa, economica. La prova suprema – il Giappone contro il Mon-do – era fallita. Una visione della propria identità, un endocosmo, uncosmo interiore, erano improvvisamente crollati, si erano disfatti in ce-nere: occorreva ripartire da zero, ridisegnare il proprio ritratto e reinven-tare il proprio destino.32

60 EFFETTI DELL’IPERESTENSIONE CULTURALE

fetti della bomba cfr. The Committee for the Compilation of Materials on Damage caused by the Ato-mic Bombs in Hiroshima and Nagasaki, Hiroshima and Nagasaki. The Physical, Medical and SocialEffects of the Atomic Bombings, Tokyo, Iwanami Shoten Publishers, 1979 (trad. ing. Eisei Ishikawa eDavid L. Silvian, Hiroshima City and Nagasaki City, 1981). Per quanto riguarda l’animazione, una te-stimonianza cruda e toccante dell’esplosione dell’atomica e delle sue conseguenze è il film Gen di Hi-roshima (Hadashi no Gen, di Masaki Mori, 85’, Giappone 1983), tratto dal manga parzialmente auto-biografico di Keiji Nakazawa.

30 U. Galimberti, op. cit., p. 47.31 Günther Anders, Wir Eichmannsöhne, München, C. H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1964

(trad. it. Antonio G. Saluzzi, Noi figli di Eichmann, Firenze, La Giuntina, 1995, p. 24).32 F. Maraini, op. cit., p. 54.

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In una sequenza del film Il Sole di Aleksandr Sokurov (Solntse,115’, Estonia 2005) dopo un colloquio con il generale MacArthurl’imperatore Hirohito apre da solo la porta che deve attraversare. Unascena dedicata a un gesto all’apparenza semplice, che però racchiudeun significato estremamente importante. In esso è racchiusa la perditadell’aura divina da parte della massima autorità nipponica, che com-piendo un atto da semplice essere umano riporta l’orizzonte della na-zione in una cornice del tutto terrestre. D’altronde, il nuovo padronedel mondo era ormai Prometeo e non più Zeus, il cui rappresentantedagli occhi a mandorla non poteva che farsi da parte.33 La porta di-schiusa dall’imperatore è il varco lasciato definitivamente aperto alpaladino dell’evoluzione tecnologica.Ma il crollo lascia dietro di sé un vuoto difficilmente colmabile. Per

comprenderlo ci si serva ancora di una pellicola, stavolta autoctona: Ifigli del generale MacArthur (Setouchi Shônen Yakyû-dan, di Masahi-ro Shinoda, 125’, Giappone 1984).34 Esso si apre con una scena in cuigli alunni di una scuola cancellano a colpi di pennello tutti i riferimen-ti al recente militarismo contenuti nei loro libri, fin quando i piccoliprotagonisti Ryûta e Saburo non s’imprimono grossi segni neri anchesulla faccia. Il loro volto è lo specchio dell’identità giapponese, can-cellata e negata in seguito alla sconfitta subita. La conseguente ano-mia non può che avere delle ricadute pesanti sulle menti dei figli delperiodo postbellico, tanto che Saburo annuncia che farà il gangster,non potendo più fare l’ammiraglio. Anche Ryûta è costretto a dare uncolpo di spugna al suo immaginario, bruciando tutti i suoi disegniaventi come oggetto aerei e navi da guerra. Ma uno dei momenti piùdrammatici dell’intera vicenda si consuma quando la giovane maestra

61L’IMPERATORE APRE LA PORTA A PROMETEO

33 La dinastia imperiale occupa ancora il suo trono, sì, ma i suoi rappresentanti non sono più consi-derati delle divinità.

34 Il titolo si riferisce al periodo immediatamente successivo al conflitto mondiale, durante il quale ilGiappone fu occupato dall’esercito americano (1945-’52). Al generale MacArthur furono concessipieni poteri per gestire la difficile fase del paese e traghettarlo verso un nuovo ordinamento politico edeconomico. Nonostante l’imperatore fu lasciato al suo posto, la cultura tradizionale nipponica fu mes-sa al bando in quanto ritenuta colpevole dell’aggressiva politica militarista condotta nel Pacifico. Cfr.Toshio Nishi, Unconditional Democracy. Education and Politics in Occupied Japan 1945-1952, Stan-ford (CA), Stanford University Press, 1982.

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Komako annuncia in lacrime ai suoi alunni l’ormai avvenuta occupa-zione del paese, invitandoli però a non demordere: «Il nostro spirito nonsarà mai occupato». Ma il Giappone era ormai diventato una frontierada trasformare ulteriormente. Dopo le navi e le bombe, arrivò anche ilmodello economico americano, portatore di una crescita vertiginosa edi una ventata di euforia che coinvolge non poco il fratello di Saburo, ilquale si lancia nel mondo dell’imprenditoria volta alla «ricostruzione»di un paese distrutto, sulle cui macerie si posero le basi per un decollovertiginoso:

Per la prima volta i giapponesi sperimentavano un clima nel quale l’arric-chirsi, l’aver successo nel mondo del denaro, la ricerca del benessere e delprofitto furono considerate virtù. Macchine fotografiche, radio a transistor,automobili non furono più riservate soltanto ai ricchi ma si diffusero a tut-ti i livelli della popolazione che cominciava a sperimentare un benesseremai visto.35

62 EFFETTI DELL’IPERESTENSIONE CULTURALE

35 Piero Corradini, Il Giappone e la sua storia, Roma, Bulzoni, 1999, p. 405.

Il Giappone del dopoguerra è presentato da Gô Nagai in Jeeg Robot Uomo d’Acciaio in bilico tra i ri-gurgiti nazionalisti del passato (i nemici Haniwa, a sinistra nella prima immagine) e una decadentemodernità rappresentata dal protagonista Hiroshi, vestito all’americana col tipico look alla Elvis Pre-sley. Un’immagine simile è presente in Zambot 3, in cui la rockstar (ritratta nel quadro dell’immaginea destra) è mentore dello spietato e grottesco Killer the Butcher. © Kôdansha Limited e Tôei Anima-tion; Sunrise, Sotsu Agency e Nagoya TV.

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Il giovane narikin36 però è destinato a essere travolto dalla prima on-data di benessere: si toglie infatti la vita impiccandosi. Quando il suofratello minore si trova al cospetto della salma, sfila le sue scarpe lucide– bene di consumo – e le porta via con sé; ma non per impossessarsenecome in principio potrebbe sembrare, bensì per gettarle in mare insiemea tutto ciò che esse rappresentano.Un «figlio di McArthur» può ritenersi a pieno titolo Toyoharu Yoshi-

da, alias Ippei Kuri, nato nel 1939 e fondatore nel 1962 con i fratelliTatsuo e Kenji della celebre Tatsunoko Production, una delle storichecase giapponesi di produzione di disegni animati. Ecco come il suo im-maginario infantile elaborò il contatto con la nuova civiltà:

«Con la resa del 1945 avevo visto crollare tutti i miei valori di bambino disei anni. E poi c’erano questi soldati americani: giganteschi, con un saccodi roba da mangiare, il chewing-gum… E noi dall’altra parte, scheletritidalla fame. Come potevamo credere di vincere contro gente simile? […] cisentivamo vuoti, nel fisico per la fame, e nello spirito per la sconfitta deinostri valori. Gli americani sembravano invece avere tutto. Mach Go GoGo […] riflette questa aspirazione verso quella che ci sembrava una socie-tà incredibilmente prospera: frigoriferi pieni di roba da mangiare, enormiautomobili, un mondo che stava al di là dell’oceano e che noi potevamo ve-dere attraverso i loro programmi televisivi. Per noi disegnare quelle coseera un modo per farle nostre. Per quanto riguarda lo stile del disegno, fu de-cisivo l’incontro con i fumetti americani di Superman che giravano neimercati subito dopo la guerra: nella mia ingenuità di bambino ero convintoche tutti gli americani fossero fatti così! I muscoli di Tekkaman, comunque,vengono da lì».37

Ecco invece quello che, cinquantatre anni dopo, egli poté considerarequando il processo di ibridazione tra il suo Giappone e gli Stati Unitid’America era ormai concluso:

63L’IMPERATORE APRE LA PORTA A PROMETEO

36 Termine, questo, nato nel periodo della prima industrializzazione del Giappone, quando i nuovivalori consumistici non erano ancora assurti al rango di norme guida della società. Il narikin è sostan-zialmente l’ultimo arrivato, il nostro parvenu. Cfr. R. Benedict, op. cit., pp. 107-8.

37 Intervista su Man-ga!, n. 5, marzo 1998.

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«L’immagine che ho dell’America non è molto cambiata. Ma c’è qualcosache mi sfugge in quello che sono diventati i giapponesi. Noi disegnavamo inostri sogni, mentre con Evangelion mi sembra piuttosto che si entri in unincubo. Se è vero che chi ha visto la serie ha simpatizzato con i problemiche vi sono raccontati, mi chiedo a cosa ci ha portato questo eccesso di ric-chezza, e se tale possiamo chiamarla».38

La dialettica tra sogni e incubo e la sua rappresentazione nella fanta-scienza nipponica sarà l’oggetto dei prossimi Capitoli.

64 EFFETTI DELL’IPERESTENSIONE CULTURALE

38 Ivi.

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IV. I segnavia di Prometeo

Prendendo in prestito un termine da Martin Heidegger, si vogliono in-fine offrire al lettore dei Wegmarken, dei ‘segnavia’,1 che possano sug-gerire il cammino da seguire lungo un sentiero di cui ancora non si puòscorgere la fine. Si è quindi scelto di isolare dei singoli percorsi che at-traversano il corpus degli anime trattati nell’Appendice, attraverso iquali ricostruire il mutamento della società giapponese determinato dal-l’impatto dell’iperestensione culturale sull’Arcipelago.

IV.1 Il robot/tecnica e il pilota/Giappone

La metafora più doverosa è quella della rappresentazione del robot edel vincolo che lo lega al proprio pilota come specchio del rapporto trail Giappone e la tecnica. Gli anime robotici2 infatti presentano diversemodalità di connotazione del gigante meccanico e della sua compatibi-lità con l’essere umano, rappresentazioni grafiche che nel corso dei de-cenni testimoniano lo sviluppo della società giapponese determinatodall’impatto con l’invasore.I primi due anime di genere nel senso ormai classico del termine, Su-

per Robot 28 e Astroganga, raccontano di una tecnica percepita comeestranea e dotata di un alone magico, a testimonianza di un paese nonancora consapevole del proprio destino e, seppur in grado di avvertire il

1 Cfr. Martin Heidegger, Wegmarken, Frankfurt am Main, Klostermann, 1976 (trad. it. Franco Volpi,Segnavia, Milano, Adelphi, 1987).

2 Per ciò che concerne il genere cfr. Arianna Mognato, Super Robot Anime. Eroi e robot da Mazin-ga Z a Evangelion, Milano, Yamato Video, 1999; M. Pellitteri, Il Drago e la Saetta, cit., pp. 151-89.Cfr. anche la Enciclo*Robo*Pedia al sito Encirobot.com.

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pericolo incombente, ancora soggiogato dal miracolo tecnologico.Shôtarô pilota sì il Super Robot 28 ma da lontano, con un radiocoman-do che ne direziona i movimenti, mentre Charlie è addirittura assorbitoda Astroganga che è il vero protagonista dello scontro; non è un casoallora se i piloti di questi due robot siano molto giovani, come lo è lastoria del dopoguerra del Giappone, ancora «stordito» dal proprio radi-cale rinnovamento.Le cose cambiano a partire da Mazinga Z, realizzato nello stesso an-

no di Astroganga ma decisamente più avanzato rispetto alla tematizza-zione del rapporto tra l’uomo e la macchina. L’opera di Nagai inauguralo stilema del vincolo simbiotico tra il pilota e il suo robot, con il primoche arriva addirittura a soffrire per le ferite inferte al secondo, segno diuna percezione più chiara del conflitto in atto. Scrive Di Fratta:

Nel corso degli anni Settanta, il Giappone è nel pieno processo di trasfor-mazione da società industriale a società post-industriale. Valori e schemi divita cambiano radicalmente, gli ideali e le speranze del dopoguerra stannolentamente declinando per lasciare il posto a una società fondata sui consu-mi ma che conserva anche abitudini, costumi e visioni del mondo tradizio-nale. I robot anime della prima generazione si pongono proprio in questaprospettiva, come rappresentazione del dualismo nipponico di quegli anni,piuttosto che come espressione di un disagio che, forse senza consapevo-lezza, mirano a nascondere. Probabilmente, i robot sono l’aspetto che piùincarna le contraddizioni di questo Giappone. La loro natura tecnologicarichiama l’aspirazione nipponica di creare il «regno dei robot» e una relati-va proiezione verso il futuro ma, al contempo, essi conservano il loroaspetto tradizionale, i loro atteggiamenti samuraici. I due opposti conver-gono e i robot giganti si rivelano, alla fine, come il simbolo di un’era ditransizione: da una parte uno stretto ancorarsi alla storia idealizzandola edall’altra la rappresentazione di una società che segue il suo corso.3

132 I SEGNAVIA DI PROMETEO

3 Gianluca Di Fratta, «Robot anime. Robofilia e tecnocentrismo nel cinema di animazione giappo-nese», in Id. (a cura di), Robot. Fenomenologia dei giganti di ferro giapponesi, Caserta, L’Aperìa,2007, pp. 54-5.

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I piloti nagaiani sono infatti adolescenti: il Giappone postbellico cre-sce di pari passo ai suoi eroi animati. Kôji, Tetsuya e Actarus sono stret-tamente legati al proprio mezzo, ma va sottolineato che è in Jeeg RobotUomo d’acciaio e Gakeen, il robot magnetico (Magne-Robo Ga-kin,1976) che l’invasività della tecnica e il suo conseguente ridimensiona-mento trovano una rappresentazione più adeguata: da una parte c’è Hi-roshi che diventa la testa del suo Jeeg mentre dall’altra Takeru e Mai sifondono insieme a Gakeen, trasformazione dotata anche di allusionisessuali che testimoniano una progressiva perdita d’«innocenza».Interessante nell’ottica di questo discorso è anche una serie non di

Nagai, UFO Diapolon, in cui il pilota si fonde col suo robot aumentandole dimensioni del proprio organismo per renderle pari a quelle di un gi-gante dalla foggia americana. Il corpo del Giappone, quindi, si sviluppaper aderire al vestito confezionato dallo straniero.Solo in pochissimi anni si assiste a una decisiva inversione di tenden-

za, il passaggio di consegne tra quelle che Alessandro Gomarasca e DiFratta, sulla scorta del dibattito giapponese in tema, hanno definitoscuola ortodossa e scuola realista. Quest’ultima fa capo a YoshiyukiTomino, il quale con Zambot 3 inizia la «desacralizzazione» del robotsamuraico (Kappei vi entra dai piedi) proseguita dal Daitarn 3 e le sueespressioni facciali, che riportano sulla Terra un automa precedente-mente dall’aspetto invulnerabile e idealizzato. Ma è soprattutto con lapiù volte citata Gundam che si assiste a un avvicendamento decisivo,quello che porta dal robot al mecha, non più estensione tecnologica delpilota e dello spirito da samurai da esso incarnato ma semplice arma ri-

133IL ROBOT/TECNICA E IL PILOTA/GIAPPONE

La fusione del corpo di Takeshi in Ufo Diapolon è la metafora perfetta di un Giappone costretto a svi-lupparsi per aderire al letto di Procuste confezionatogli dall’esterno. © Eiken.

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producibile in serie e priva di ogni attribuzione valoriale.4 La tecnicaqui è parte integrante e ordinaria delle vicende raccontate, segno di unaprogressiva acquisizione dell’elemento esogeno da parte del Giappone.Essa però è causa di sempre maggiori distruzioni ed è privata dellacomponente salvifica che l’aveva contraddistinta fin dal primo Astro-boy. Il «germe» appare quindi propagarsi sempre più e l’«antidoto»perdere la sua capacità curativa. Termina la dialettica tra passato e pre-sente di stampo nagaiano e si cercano soluzioni in un futuro ignoto eprivato del rassicurante riferimento alla cultura tradizionale. Il fatto poiche il mecha, a differenza del robot, non sia una diretta estensione delproprio pilota la dice lunga sulla difficoltà dell’essere umano di con-trollare una cultura tecnologica che si accresce esponenzialmente. Nonè allora un caso se l’anno successivo vengano alla luce i due robot chelavorano diversamente ai fianchi il mito dei giganti meccanici decre-tandone il knock-out: la serie più allegra, Trider G7, e quella più dram-matica, Baldios, presentano un robot privato di ogni connotato di asso-lutezza, che nel primo caso viene usato come banale mezzo di traspor-to (a volte per dei giocattoli, per giunta) e nel secondo non basta asalvare l’irresponsabile umanità.Dopo Gundam, nella cornice della scuola realista va collocata Ma-

cross (altra serie che dell’assimilazione dell’elemento straniero fa unodei suoi cardini), in cui gli aerei-robot Valkyrie sono strumenti di guer-ra prodotti in serie e intercambiabili, tendenza che si fa ancora più radi-cale con Patlabor (Kidô Keisatsu Patoreiba, 1988).5 I Labor sono robotdi dimensioni ridotte rispetto alle immense montagne di acciaio prece-denti, così come lo sono anche i Gaimelef dei Cieli di Escaflowne e gliArm Slave di Full Metal Panic!. Queste estensioni dell’essere umano,però, anziché essere foriere di quel rasserenamento che si potrebbe au-spicare, lasciano traspirare un’inquietudine: un robot a misura d’uomo,

134 I SEGNAVIA DI PROMETEO

4 Cfr. ivi, pp. 55-6. In realtà il termine mecha compare in diversi anime antecedenti: si pensi, solo perfare alcuni esempi, ai mechasatan di Danguard o ai mecha burst/mecherbusuto di Zambot 3. Resta ilfatto che in ogni caso è con Gundam, serie spartiacque da più punti di vista, che tale concetto prendecompiutamente forma discostandosi dai canoni precedenti.

5 Non a caso altra serie della Sunrise, la casa di produzione più rappresentativa della scuola realisti-ca come la Tôei lo è di quella ortodossa.

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totalmente integrato nella vita quotidiana, non perde forse la capacità difrapporsi fra l’umanità e il pericolo che la minaccia?6 Ciò non potrebbeinvece – si potrebbe obiettare – testimoniare l’estinzione di quest’ulti-ma, in seguito a uno sviluppo finalmente sereno e armonioso?In questa sede non si può far altro che imputare questo fenomeno alla

piena propagazione del «germe» del progresso nel tessuto epitelialenipponico, ormai invaso dalla «malattia» e perciò impossibilitato a pro-porne la cura:

Come nella storia della modernizzazione del Giappone, anche nelle sagherobotiche la «pressione aliena» determina il cambiamento. Il mutamentoconcerne tecnologia e corporeità, implicando un processo di identificazio-ne con l’aggressore […] Per far fronte alla minaccia esterna, la societàumana deve incorporare gli strumenti tecnologici del nemico (come abbia-mo osservato, molte saghe robotiche ritraggono un processo di transfer tec-nologico fra alieni e terrestri che potrebbe essere letto come una metaforadella trasformazione tecnologica del Giappone moderno); contemporanea-mente, il corpo dell’eroe deve trasformarsi così da assumere le stesse di-mensioni e gli stessi poteri delle forze straordinarie che minacciano la so-cietà. […] Il meka[mecha]-corpo costituisce l’immagine ultima di una lun-ga storia di costruzione politica del corpo (individuale e nazionale)cominciata più di un secolo fa con l’apertura del paese e caratterizzata dauna specifica ossessione per la crescita […] in una tensione competitivacon il modello occidentale. Nel corso della modernizzazione giapponesequesto modello è divenuto l’Altro interiorizzato e ha generato una serie ditensioni dinamiche come quella fra tecnologia e cultura, modernità e tradi-zione, carne ed anima.7

135IL ROBOT/TECNICA E IL PILOTA/GIAPPONE

6 Proiettandoci oltre il lasso di tempo oggetto d’analisi, si pensi che nella scanzonata serie della Gai-nax Sfondamento dei cieli – Gurren Lagann (Tengen toppa Guren Ragan, 2007) sono presenti popola-zioni che vivono nel sottosuolo e altre che occupano la superficie. Il protagonista Simon, giovane sca-vatore che opera per ampliare il suo villaggio ancora più in profondità, rinviene il mecha Lagann gra-zie a una chiave luminescente a forma di trivella. Il mecha è giunto dalla superficie al sottosuolo e dalì viene usato per fuoriuscire. Non dalla terra verso il cielo, quindi, ma dal sottosuolo verso la terra.

7 Alessandro Gomarasca, «Robottoni, esoscheletri, armature potenziate: le metafore del “meka”-corpo nell’animazione giapponese», in Id. (a c. di), op. cit., pp. 254-5.

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Più che un simbolo reale di cambiamento e ibridazione [...] la robotizzazio-ne giapponese può essere interpretata come il risultato di un adattamentoepidermico del corpo giapponese alla pressione straniera. In definitiva, ilrobot è semplicemente una corazza difensiva, una parete esterna che servea preservare l’integrità dell’ego nipponico e proiettarlo verso il futuro.8

Ecco dunque che gli anime robotici si rivelano essere uno specchiodello sviluppo del Giappone. Da un primo stordimento si passa alla con-sapevolezza per la propria dolorosa situazione, per poi alla fine realizza-re di avere completamente assorbito l’elemento perturbatore. Quandoallora compare un robot dotato di dimensioni ortodosse e peculiaritàrealistiche (si pensi al lungo processo che il pilota deve compiere perfarlo semplicemente deambulare), l’«unità Eva» di Neon Genesis Evan-gelion, ecco che esso non deve più difendere Tokyo e la natura che la cir-conda; tutto è stato spazzato via dal catastrofico evento Second Impact erimpiazzato da Neo-Tokyo 3, fortezza costruita per difendere quello cheresta di un’umanità che si percepisce come già condannata. Si tengainoltre presente che in questa serie la corazza del robot non difende il pi-lota ma contiene l’espansione della sua massa, dal momento che gli Evasono esseri organici che si servono di chi li manovra per far emergere lapropria natura. La tecnica anziché proteggere l’essere umano lo inghiot-te al suo interno; i fattori del processo si sono alla fine invertiti.Non si può però evitare di sottolineare anche gli aspetti positivi di que-

sto processo: nel passaggio da società industriale a postindustriale v’è an-che, assumendo un altro punto di vista, una riduzione dell’impatto dellatecnologia dovuto alla sua miniaturizzazione e alla sua assimilazione indinamiche quotidiane concernenti la sfera affettivo-relazionale. L’umani-tà non è ancora in grado di riprendere in mano le redini dell’evoluzioneculturale tout court, che anzi galoppa con passo sempre più spedito; ciònon toglie che alcuni congegni possano essere integrati in maniera indo-lore nell’alveo delle singole esistenze. Non più legata alle grandi questio-ni etiche ma ai vissuti individuali, la tecnica si rivela un’alleata fedeledell’essere umano apportando benefici alla sua psiche.

136 I SEGNAVIA DI PROMETEO

8 G. Di Fratta, Robot anime, cit., p. 68.

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IV.2 Addio, tetsu; benvenuto, kawaii

In principio nell’animazione giapponese la tecnologia è collocata inuna dimensione prettamente etica, all’origine quindi di un’inevitabileadozione di responsabilità. Già dal primo Astroboy ciò si avverte in ma-niera piuttosto chiara, in occasione del passaggio del meteorite controcui si scaglia Astro, appuntamento epocale al quale l’uomo deve esserepresente per scongiurare la propria estinzione. Questo è il Leitmotiv delprimo ventennio della fantascienza animata nipponica, l’epoca delle se-rie Tôei che ospitano i grandi robot di Nagai e i viaggi interstellari diMatsumoto, in cui l’agire degli eroi è sempre iscritto in un orizzonte disenso preciso e legato a domande relative al futuro che ci attende. È an-che l’epoca in cui la tecnologia viene rappresentata attraverso stilemigrafici giganteschi, spia della percezione del poderoso impatto di Pro-meteo sul mondo in cui viviamo e sulle nostre stesse vite; non a casouno dei termini più ricorrenti del periodo è tetsu, ‘ferro’, che si riscon-tra nei nomi dei robot (Tetsujin 28-Gô e Kôtetsu Jeegu) e degli eroi co-me Tetsuya Azuma (Kyashan, il ragazzo androide) e Tetsuya Tsurugi(Il Grande Mazinga). Il tetsu è simbolo della modernità e della societàindustriale, della «modernità solida» messa da Bauman in contrapposi-zione a quella «liquida».9 Tale differenza è resa anche dal passaggio dalmoderno al postmoderno, finora non tematizzato perché giudicato inin-fluente nell’ottica della storia riletta alla luce del concetto di iperesten-sione culturale, ma che presenta delle distinzioni da prendere in consi-derazione contestualmente a questo segnavia. Fondamentali, in propo-sito, sono il passaggio dalla centralità della produzione a quella deiconsumi (almeno per le nazioni più sviluppate), e la fine delle grandinarrazioni, di cui si era appunto alimentata la modernità (cfr. la schedasulla serie Cowboy Bebop).10 Scrive Pellitteri:

137ADDIO, TETSU; BENVENUTO, KAWAII

9 Cfr. Z. Bauman, op. cit.10 E, naturalmente, cfr. Jean-François Lyotard, La condition postmoderne. Rapport sur le savoir, Pa-

ris, Les Éditions de Minuit, 1979 (trad. it. Carlo Formenti, La condizione postmoderna, Milano, Feltri-nelli, 1981). Cfr. inoltre il Paragrafo II.2 in relazione all’analisi di Severino e Galimberti sul rapportotra lo sviluppo della tecnica e il dissolvimento delle ideologie.

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in Giappone la familiaritàcon l’automazione, con lemacchine e con i robot nonsi declina solo nella di-mensione industriale. Ol-tre alla componente mate-rialista, massiva, relativaalla produzione, è forte nelSol Levante un orienta-mento postmaterialista allarobotica e agli oggettimeccanici, elettronici, chepur nel loro essere sinteticisostituiscono relazioni af-

fettive. Questa tendenza alimenta dal secondo dopoguerra una poderosa in-dustria del voluttuario, che nei decenni ha trovato sbocchi commerciali edestetici in culture giovanili come il kawaii con i suoi fancy goods […].11

Quella del cosiddetto kawaii, legata ai fenomeni accennati al Paragra-fo III.3.2.7, è una cultura giovanile nata tra la fine degli anni Settanta el’inizio degli anni Ottanta. Questo termine può essere reso attraversol’inglese cute o l’italiano ‘carino’.12 Come si può quindi facilmenteevincere, essa predilige tutto quanto vi è di infantile e tenero e ciò si tra-duce, nell’ottica della centralità del consumo, nel possesso di innumere-voli beni di consumo che hanno proprio tali fattezze. Un’icona di talecultura è il gatto robot dalle tenere sembianze tondeggianti Doraemon,protagonista della serie omonima (1973), da cui ha origine il filone del-la tecnica kawaii inscritto nel solco di quello tetsu, affiancato negli anni

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11 Marco Pellitteri, «Promemoria per un discorso sul robot e sull’uomo artificiale», in G. Di Fratta (ac. di), Robot, cit., p. 163.

12 «Esplosioni di rosa. Caramelle e bolle di sapone. Scarpe di vernice o sandali di gomma coloratis-simi. Mollette per capelli di plastica rubate alle confezioni delle Barbie. E vestiti da bambini. Il tuttoschizofrenicamente accoppiato a ombretti verdi color verde elettrico […] Il kawaii è uno stile, un’este-tica, una moda giovanile. E insieme un modo di pensare, di essere, di parlare, di scrivere, di atteggiar-si. […] Kawaii è tutto ciò che finisce in “ino”, che è infantile, asessuato, dolce, indifeso, che è oggettodi coccole». Alessandro Gomarasca, «Sotto il segno del kawaii», in Id. (a c. di), op. cit., pp. 57-61.

Icona primigenia della cultura kawaii e parto dell’animismotecnologico dei giapponesi, Doraemon è stato insignito deltitolo di ambasciatore del paese di cui è a tutti gli effetti undegnissimo rappresentante.

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Settanta e soppiantato nel decennio seguente. Già i ciusky del gatto ro-bot sono emblemi di una tecnologia «tascabile» e legata non alle sortidell’umanità ma a piccole storie di vita quotidiana, non certo apportatri-ce di danni incalcolabili malgrado l’uso operatone dal maldestro Gu-glia. Si capisce facilmente che questa serie, dalla vocazione piuttostopedagogica, è rivolta a un pubblico infantile e preadolescente e il suoprotagonista zooide è amato da chi adotta un’estetica legata a tale stadiodello sviluppo. Anche le Time Bokan series, in particolare Yattaman,strizzano l’occhio allo stesso pubblico, dando asilo a un’analoga conce-zione della tecnica, circoscrivibile al motto «piccolo è bello».Ma è con gli anni Ottanta che il kawaii prende a dominare la scena,

soprattutto a partire da Il Dottor Slump e Arale. La cornice che delimitale vicende è totalmente cambiata rispetto a quella del primo Astroboy,di cui la versione del 1980 termina non a caso con l’innamoramento delprotagonista anziché con la sua eroica morte. Quando nasce Arale sichiede dove siano le armi con le quali deve salvare il mondo, di cui na-turalmente è sprovvista poiché non v’è alcuna minaccia da scongiurare.Tutto è inscritto all’interno di dinamiche non etiche ma affettive, a par-tire dall’intenzione del Dottor Slump di creare la simpatica protagonistaper un qual certo senso paterno, espresso in modo buffo. Anche NanàSupergirl è lo specchio di questo mutamento; da notare che nel corsodella serie la ragazza venuta dallo spazio si accompagna a due piccolipets robotici di nome Seven e Eleven, tipici esempi di estetica kawaii. Sipassi poi a Juny peperina inventatutto, in cui la piccola inventrice portacon sé sì una scatola di comandi come Shôtarô (Super Robot 28) dotataperò della forma di un cuore, foggia che vale più di mille parole. Esem-pi di tecnologia kawaii sono anche i robottini Floppy e Flappy, le cuipiccole dimensioni sono inversamente proporzionali alla tenerezza chesanno ispirare. Di questi ultimi si era già scritto in III.3.3.1, collocando-li sullo stesso piano di IQ 9 (Star Blazers) e altri piccoli automi. Il di-scorso intrapreso in questo Paragrafo si lega quindi a quello relativo almito di Frankenstein, poiché entrambi traggono origine dall’atavico so-gno dell’essere umano di infondere la vita, che secondo il credo animi-sta è ospitata in ogni ente, anche inorganico. Se essa viene infusa aestensioni da noi controllabili non solo in virtù della loro ridotta dimen-

139ADDIO, TETSU; BENVENUTO, KAWAII

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sione ma anche del patto emotivo che sappiamo stringere con esse, siestingue il rischio di poter diventare, nel bene e/o nel male, demoni odèi come Rio/Kôji Kabuto in Mazinga Z. L’essere umano può così in-staurare un rapporto equilibrato con quanto lo circonda.Ma non è tutto oro quel che luccica: ci sono infatti anche altri fattori

da considerare.

IV.3 Il presente, il futuro e il ritorno

Una fondamentale peculiarità della fantascienza è la proiezione deiproblemi attuali in una dimensione futura nella quale essi possano tro-vare una immediata soluzione simbolica presentata come cura per i ma-li presenti. Le ambientazioni sono quindi, molto spesso, necessariamen-te futuriste. Nel caso della fantascienza animata giapponese, fulcro diquesto discorso, si pensi alle serie di Matsumoto, che trovano colloca-zione in un remoto domani in cui i viaggi interstellari la fanno da padro-ne, oppure a quelle che prendono il via da un dopoguerra, come Conan,il ragazzo del futuro e Ken il guerriero; ci sono poi gli anime che spin-gono alle estreme conseguenze le possibilità dell’ingegneria genetica equelli che fanno altrettanto con i rischi dell’inquinamento; infine quelliche, tra passato e futuro, tramite il topos narrativo dell’invasione alienaportano alla materializzazione di tutte le inquietudini della società.Tutti gli assunti finora espressi sono pienamente rispettati fino alla fi-

ne degli anni Settanta, epoca il cui epilogo è decretato dalla farsa (Tri-der G7) e dalla tragedia (Baldios), che in modi opposti ma complemen-tari decretano l’allentamento della forte tensione etica del decennio inquestione. Dagli anni Ottanta lo scenario subisce una mutazione, a cuiconcorrono anche i fattori analizzati nel Paragrafo precedente, i quali,nonostante le ricadute positive, concorrono alla fine delle grandi narra-zioni moderne; la conseguente centralità del quotidiano porta a un so-stanziale abbassamento della guardia, determinato anche dall’avanzatadel «germe» a discapito della capacità curativa dell’«antidoto». Le seriedegli anni Ottanta non presentano più scenari futuribili: persino gli ani-me che hanno per tema scontri tra civiltà che abitano mondi diversi, co-

140 I SEGNAVIA DI PROMETEO

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me Macross, vengono situati in un futuro piuttosto prossimo (inizio an-ni Duemila), per non parlare di Patlabor, che si svolge nel 1998, solodieci anni dopo la sua effettiva realizzazione. Va sottolineato che ancheuna serie come Daltanious ha un’ambientazione piuttosto ravvicinata(1995), al pari di Ken il guerriero (fine anni Novanta) e Conan, il ragaz-zo del futuro (2008), le quali però prendono il via da una guerra totale,potendo così affrontare subito il nucleo centrale della questione. Certo,per quanto riguarda questa tematica va sottolineato che essa era comun-que destinata a perdere la sua importanza conseguentemente al trascor-rere del tempo che ha portato alla ribalta una generazione edotta sul-l’ecatombe di Hiroshima e Nagasaki solo attraverso immagini e raccon-ti lontani dalla reale percezione dell’accaduto; il fatto però che laminaccia non sia più avvertita in tutta la sua effettiva entità chiaramen-te non cancella la sua permanenza. A livello mondiale la distensione traUSA e URSS nella seconda metà degli anni Ottanta ha reso la bomba ato-mica un’ossessione meno presente nella mente degli esseri umani, maquesto non ha certo scongiurato la sua esistenza e ancor di meno ha po-tuto farlo l’affievolirsi del suo impatto nella memoria collettiva giappo-nese. E anche se così fosse, di sicuro non sarebbe scomparso l’altro pe-ricolo che grava sulla testa del genere umano, la possibile catastrofeambientale, il cui impedimento solo a parole trova posto nelle prioritàdella politica mondiale. Queste osservazioni tendono a sottolineare ilfatto che gli anime prodotti in questo decennio sono sì spie di una rela-tiva pacificazione del Giappone con sé stesso e con il resto del mondo,ma anche di un ottimismo – seppur corroborante – ingiustificato, sognofugace bruscamente interrotto dall’«incubo» narrato in Neon GenesisEvangelion (ambientato nel 2015).Le ambientazioni futuriste cominciano quindi a mischiarsi con quelle

retrò in Cowboy Bebop, vera summa del postmoderno, anime la cui raf-finatezza è direttamente proporzionale all’amara disillusione che si per-cepisce nel finale e durante l’intera visione della serie. In Full Metal Pa-nic! si arriva addirittura al paradosso di riesumare la passata Guerrafredda pur di creare un contesto conflittuale la cui pedagogica risoluzio-ne solo in parte riabilita la sterilità dei contenuti (la presenza della bom-ba atomica appare un mero espediente narrativo, fine a sé stesso).

141IL PRESENTE, IL FUTURO E IL RITORNO

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Il ribaltamento del topos narrativo presente nella serie dello studioGonzo viene estremizzato da un’altra opera della stessa casa di produ-zione, Last Exile: non è certo l’anime in sé a sancire questo passaggio,ma il genere in cui si inscrive, lo steampunk. Sua tipica collocazionetemporale è l’età paleoindustriale, epoca in cui il mito della macchinaera agli albori e quindi nel pieno della sua esaltazione riverberantesinelle vanship, vere coprotagoniste dell’anime. L’ambientazione dellevicende in un tempo storico in cui il conflitto tra Epimeteo e Prometeoinizia a inasprirsi potrebbe apparentemente suggerire una sua impropo-nibile risoluzione, che invece avviene nel modo più «classico», con il ri-torno alla natura. L’Exile infatti è ciò che «guida il bambino smarrito al-la mano della madre» fino a «il luogo in cui tutto ha origine, il luogo incui tutto ritorna». Il riferimento al passato si radicalizza allora come «ri-torno» e non come mero rifugio di un’immaginazione che non tiene piùil passo della realtà. Il tempo ripiega su sé stesso e riscopre la propriacircolarità, arrivando alle stesse conclusioni delle serie che ne imple-mentavano la concezione lineare. Giungono così degli spunti di rifles-sione che lasciano ben sperare per il futuro.

IV.4 I semi degli anime e il futuro di Gea

La riproposizione dell’invito a un ritorno alla natura è uno dei meritidi Last Exile. Ai Paragrafi III.3.1 e III.3.1.1 si è analizzata la costantepresenza del monito al ripristino di un sereno rapporto con Gea nel-l’animazione nipponica. È bene sottolineare che nel rimarcare questoconcetto non si perde la cognizione della realtà e si è ben lontani dal ri-tenere che attualmente sia possibile il ristabilimento di una convivenzaarmoniosa con l’ambiente circostante. Ciò è dovuto anche alla consape-volezza dell’essenza già di per sé perturbatrice dell’impatto umano sul-l’ecosistema, che la modernità, seppur a ritmi vertiginosi, ha soltantoaccelerato. Il conflitto tra evoluzione biologica e evoluzione culturale èstato scelto in questa sede quale cifra riassuntiva della costituzione on-tologica dell’Homo sapiens anche in considerazione delle teorie «ne-gantropiche», secondo cui la nostra specie è sostanzialmente incompa-

142 I SEGNAVIA DI PROMETEO

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tibile con il resto della biosfera.13 Nonostante questo è però necessariotentare di ristabilire una relazione più sana con l’ambiente che ci acco-glie e verso il quale continuiamo ad adottare un atteggiamento di totale– e irrazionale – antagonismo.Essendo il paese che nel corso dell’era moderna ha subìto il processo

di industrializzazione più drastico, il Giappone ha avvertito più di ognialtro le implicazioni di questa tendenza. Ha così prodotto una vastissimagamma di «anticorpi» in pieno accordo con lo spirito della fantascienza,i cui esemplari sfociano (quasi) sempre in una soluzione positiva, ossiail totale risanamento della frattura. Basti pensare che il primo anime te-levisivo a colori, Kimba, il leone bianco, verte proprio sul rapporto tral’essere umano e le altre specie, cercando di guidarci sulla via del rispet-to reciproco. Anche le avventure dei supereroi della Tatsunoko ci metto-no costantemente in guardia sui pericoli del deterioramento ambientale,conformemente allo Zeitgeist degli anni Settanta, decennio simbolo del-la produzione animata inerente la problematizzazione dell’iperestensio-ne culturale. Pure tutta l’opera di Nagai e Matsumoto del periodo è uncostante monito a non sovvertire eccessivamente i delicati equilibri na-turali, per non parlare – tra gli altri – di Conan, il ragazzo del futuro, se-rie in cui sono già presenti tutte le tematiche che Hayao Miyazaki svi-lupperà nei suoi successivi lungometraggi. Ma al di là delle opere chevedono la partecipazione di questi artisti e/o si ispirano direttamente ailoro manga, è l’intero corpus dei prodotti culturali giapponesi a presen-tare sempre soluzioni che, in pieno accordo con la sensibilità nipponica,suggeriscono il ristabilimento del contatto con la «madre».Eppure, anche in questo caso negli anni Ottanta v’è un forte calo del-

l’attenzione riguardo questa istanza, che permane per lungo tempo. Ciòpotrebbe essere dovuto semplicemente alla crisi del genere dopo la suaprecedente inflazione, ma è presumibile che fattori quali il ricambio ge-nerazionale e il progressivo e inesorabile sviluppo del paese abbianoavuto il loro peso nel processo. Parlando di generazioni, però, si deve

143I SEMI DEGLI ANIME E IL FUTURO DI GEA

13 Cfr. T. Pievani, op. cit. A riguardo, risulta emblematica la storia della Foresta Rossa, pineta situa-ta nei pressi di Černobyl’: così chiamata per il colore assunto a causa dell’enorme dose di radiazionisubita in seguito al disastro nucleare, sembrò condannata a essere un luogo di morte. Lentamente, in-vece, grazie all’assenza dell’essere umano, ha ripreso vita e oggi è un’oasi di biodiversità.

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tener presente la loro successione, che mantiene viva la speranza nellafioritura di una nuova consapevolezza; se quella del dopo-bomba è sta-ta educata dalla storia recente, non è certo una farneticazione augurarsiche la sua produzione culturale abbia influenzato chi ne ha fruito a suotempo e magari oggi si trova dall’altra parte della barricata, dove torna-re a produrre gli «anticorpi» necessari, che a loro volta «preserveranno»anche l’impegno delle generazioni a venire.Di certo queste dovranno confrontarsi con gli eventi successivi al ter-

remoto sottomarino dell’11 marzo 2011, che inevitabilmente segneran-no la coscienza collettiva giapponese. In ogni caso ora è troppo prestoper poter presumere in che modo e in che misura ciò avverrà. Conti-nuando ad adottare il paradigma indiziario per far emergere significatida opere già edite, diventa facile rinvenire la paura per le catastrofi na-turali nei prodotti partoriti da un paese situato in una delle zone più si-smiche del pianeta. La loro esortazione a prepararsi materialmente epsicologicamente ad affrontare tali situazioni cede il passo di fronte al-l’imprevedibile forza d’urto della natura, che in alcuni casi supera ognigenuina capacità di previsione. Il senso di smarrimento coglie così l’es-sere umano, il quale vede spazzate via le barricate erette dal suo pensie-ro e dalla sua azione per difendersi da una Gea che, pur sempre madreanche se a volte «matrigna», non si cura delle ricadute che lo sviluppodella propria morfologia possa avere sui suoi figli. Nel 2009 lo studioBones ha infatti prodotto un anime di Natsuko Takahashi basato suipossibili esiti di un terremoto a Tokyo, traducendo in forma audiovisivaattendibili studi scientifici e le previsioni basate su di essi: il suo nomeè Tokyo Magnitude 8.0, grado inferiore a quello da cui è scaturito il ma-remoto che ha travolto la prefettura di Miyagi, di magnitudine 9.0. Unabreve serie realistica e toccante,14 che sviluppa presupposti molto similia quelli da cui si dipana il manga del 2006 di Usumaru Furuya 51 modiper salvarla (Kanojo wo Mamoru 51 no Houhou), edito in Italia nel2010: il sisma qui è di grado sostanzialmente analogo e la trama si svi-

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14 Qui, tra l’altro, i robot sono rappresentati come amici dell’uomo, dal momento che vengono im-piegati su larga scala nelle operazioni di soccorso. Inoltre i giovanissimi protagonisti Mirai e Yûki sitrovano sull’isola di Odaiba al momento della violenta scossa perché spintisi fin lì per visitare una mo-stra di robot, di cui il piccolo Yûki è grande appassionato.

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luppa a partire dallo stesso luogo, l’isola artificiale di Odaiba, situatanella baia della capitale. Altra opera del filone catastrofista prodotta inquesti ultimi anni è l’OAV in due parti della Madhouse Taiyô no Moku-shiroku (tit. internaz. A Spirit of the Sun, 2007), tratto dal manga eponi-mo di Kaiji Kawaguchi, dove una scossa tellurica spacca letteralmentein due l’Arcipelago. Va inoltre menzionato il manga di Gô Nagai Vio-lence Jack, in cui si registra nel Kantô, regione di Tokyo, il finzionaleterremoto di grado 9.0 che distrugge la città: sembra che la vocazioneapocalittica del mangaka di Washima, nelle cui opere la coltre della ci-viltà è spesso annientata dall’eruzione di forze oscure, sia stata in gradodi anticipare la realtà in misura più prossima delle proiezioni di scien-ziati e tecnici.Ma in questo studio più del terremoto, sul quale l’uomo non ha alcun

potere se non quello di proteggersi al meglio delle sue possibilità (in que-sto caso il progetto di dominio tecnologico della natura si rivela un ca-stello di carte), interessa la questione del conseguente incidente alla cen-trale nucleare di Fukushima:15 anche in questo caso la cultura è sfuggitaal controllo dell’essere umano. Occupato e smilitarizzato, il Giappone fuprivato della possibilità di esercitare un peso sullo scacchiere politico emilitare, lanciandosi dunque in uno sviluppo industriale e tecnologicosenza precedenti a fondamento anche della qualità delle sue avanzate in-frastrutture, in grado di evitare alla propria popolazione guai peggiori inoccasione dei frequenti cataclismi. La politica dell’energia nucleare fuimplementata pure per questa ragione, per trainare la locomotiva di unpaese privo delle risorse sufficienti per perseguire tale fine (si consideriinoltre il forte impatto che su di esso ebbe la crisi petrolifera del 1973). Indiversi anime qui analizzati, come mostrato in Appendice e come in par-te anticipato al Paragrafo III.3.1.2, si pone l’attenzione sull’uso che l’es-sere umano può fare di grandi fonti di energia, anche quella nucleare:

145I SEMI DEGLI ANIME E IL FUTURO DI GEA

15 Considerando quanto argomentato finora, appare quasi «naturale» il fatto che in Giappone sia sta-to spiegato ai più piccoli quanto stesse succedendo tramite un cortometraggio a disegni animati realiz-zato da Kazuhiko Hachiya, dal titolo Nuclear Boy. Qui il reattore nucleare prende le fattezze di unbambino alle prese con un mal di pancia causa di flatulenze indesiderate, metafora delle perdite diagenti radioattivi. Il cortometraggio ha il merito di essere nel contempo comprensibile e rassicurante:Nuclear Boy non avrà la diarrea come Černobyl’ Boy, sia perché il suo mal di pancia è meno grave siaperché gli adulti si stanno impegnando a contenerne le perdite.

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non si dimentichi che, nella versione originale, il protagonista di Astro-boy si chiama Atom. Sperimentati i tragici effetti del nucleare a uso mili-tare, il Giappone ha pur lungo tempo coltivato la speranza che il suo usocivile fosse portatore solo di vantaggi: oltre all’anime di Tezuka, sugge-stioni a riguardo giungono da serie quali Astroganga, Mazinga Z, UFO

Diapolon, Starzinger, Supercar Gattiger… Di fronte al propagarsi di ra-diazioni nocive per la salute, a prescindere dalla portata del loro impatto,la linea di demarcazione che separa i due volti di Prometeo tende però afarsi più labile, ad annacquarsi. Presumibilmente i prodotti culturali di làda venire rifletteranno le inquietudini che ne conseguono.Il premier nipponico Naoto Kan ha affermato che nel marzo 2011 il

paese è stato chiamato ad affrontare la crisi più grave dal 1945. Il Giappo-ne si prepara, durante la stesura finale di questo libro, a una nuova rico-struzione su un nuovo deserto, su nuove macerie, seppur di causa e natu-ra diverse rispetto a quelle scaturite dal pikadon. Forse gli anime fruiti nelcorso degli anni aiuteranno psicologicamente i figli di Amaterasu nel-l’adempiere tale compito, magari anche influenzando e ispirando il con-cepimento di opere in grado di riportarci a porre domande riguardo il no-stro posto nel mondo, a riconsiderare il nostro rapporto con la natura me-diato dalla tecnica. Se l’analogia fra fiaba e prodotto culturale è pertinenteper quanto riguarda il rapporto fra produzione e consumo, perché non po-trebbe dirsi altrettanto per quanto riguarda la loro funzione all’internodella società? Riguardo le fiabe, scrive così ancora Bettelheim:

Ascoltare una fiaba e recepire le immagini che essa presenta può essere pa-ragonato a uno spargimento di semi, che solo in parte germogliano nellamente del bambino. Alcuni di essi hanno immediatamente effetto nella suamente; altri stimolano processi nel suo inconscio. Altri ancora hanno biso-gno di riposare a lungo fino a che la mente del bambino abbia raggiuntouno stato idoneo alla loro germinazione, e molti non metteranno mai radi-ci. Ma quei semi che sono caduti sul terreno adatto produrranno fiori mera-vigliosi e alberi gagliardi – cioè daranno validità a importanti sentimenti,incoraggeranno intuizioni, ridurranno ansie – e così facendo arricchirannola vita del bambino nel presente e per il resto della sua vita.16

146 I SEGNAVIA DI PROMETEO

16 B. Bettelheim, op. cit., p. 151.

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Ancora una volta il Giappone si configura come microcosmo delmondo intero. La sequenza finale dell’appena citato Tokyo Magnitude8.0 reca suggestioni simili a quelle appena riportate: l’adolescente Mi-rai, ‘futuro’, annaffia l’ippocastano piantato dal fratello Yûki, morto nelsisma che ha ricompattato la famiglia Onozawa, riavvicinatasi per af-frontare la tragedia. Dalle difficoltà del presente possono dunque anco-ra una volta giungere, nella riproposizione della dialettica tra «germe» e«antidoto», le risposte per affrontare il futuro. Si prepara un nuovo rac-colto? È presto per dirlo. Di certo la salvezza non ci giungerà dal cielo.Non sarà l’evoluzione biologica a ricondurci al grembo materno; è allacultura, la stessa forza che da esso ci ha allontanati, che dobbiamo affi-darci per vincere queste sfida. Dipende tutto da noi. Soltanto da noi.

Noi siamo figli della storia, e dobbiamo seguire il nostro cammino in que-sto, che è il più diverso e interessante degli universi concepibili: un univer-so che è indifferente alla nostra sofferenza, e che ci offre quindi la massimalibertà di avere successo, o di fallire, nella via che abbiamo scelto.17

147I SEMI DEGLI ANIME E IL FUTURO DI GEA

17 S.J. Gould, op. cit., p. 334.

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