MANDURIA E PANDOSIA

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Alessandro I d'Epiro Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Alessandro I d'Epiro, detto il Molosso (362 a.C. circa – 331 a.C. circa), è stato re d'Epiro e zio materno di Alessandro Magno . Biografia [modifica ] Durante le sue nozze avvenute nel 336 a.C. con la sorella di Alessandro Magno, Cleopatra , fu ucciso Filippo II di Macedonia ed il trono fu assegnato al nipote Alessandro Magno che prese il nome di Alessandro III. Venuto in Italia nel 335 a.C. per soccorrere la città magno-greca di Taranto , entrò in conflitto con i Lucani , i Bruzi , i Iapigi ed i Sanniti , nel tentativo di creare uno stato unitario nel Meridione d'Italia. Pur riuscendo a conquistare con i Tarantini le città di Brentesion , Siponto , Heraclea , Cosentia e Paestum , tuttavia il suo progetto non si realizzò, venendo egli ucciso in battaglia a Pandosia (Lucania) [1] o a Pandosia Bruzia , presso Cosenza nel 330 a.C. Leggiamo di seguito quanto ci narra Tito Livio [2] : « Trovandosi il re non molto discosto dalla città di Pandosia, vicino ai confini dei Bruzi e dei Lucani , si pose su tre monticelli alquanto, l'uno dall'altro divisi e lontani, per scorrere quindi in qual parte volesse delle terre dei nemici; aveva intorno a se per sua guardia un duecento lucani sbanditi, come persone fedelissime, ma di quella sorte di uomini, che hanno, come avviene, la fede insieme con la fortuna mutabile. Avendo le continue piogge, allagato tutto il piano, diviso l'esercito posto in tre parti, in guisa che l'una all'altra non poteva porgere aiuto, due di quelle bande poste sopra i colli, le quali erano senza la persona del re, furono oppresse e rotte dalla subita venuta ad assalto dei nemici, i quali poi tutti si volsero all'assedio del re, e mandarono alcuni messaggi ai lucani loro sbanditi, i quali avendo pattuito di essere restituiti alla patria, promisero di dar loro nelle mani il re vivo o morto. Ma egli con una compagnia di uomini scelti fece un'ardita impresa che urtando si mise a passare, combattendo, fra mezzo dei nemici; ed ammazzò il capitano dei lucani, che d'appresso lo aveva assaltato; ed avendo raccolto i suoi dalla fuga, tra essi ristretto, giunse al fiume, il quale mostrava qual fosse il cammino con le fresche riune del ponte, che la furia delle acque aveva

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Alessandro I d'EpiroDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Alessandro I d'Epiro, detto il Molosso (362 a.C. circa – 331 a.C. circa), è stato re d'Epiro e zio materno di Alessandro Magno.

Biografia [modifica]

Durante le sue nozze avvenute nel 336 a.C. con la sorella di Alessandro Magno, Cleopatra, fu ucciso Filippo II di Macedonia ed il trono fu assegnato al nipote Alessandro Magno che prese il nome di Alessandro III. Venuto in Italia nel 335 a.C. per soccorrere la città magno-greca di Taranto, entrò in conflitto con i Lucani, i Bruzi, i Iapigi ed i Sanniti, nel tentativo di creare uno stato unitario nel Meridione d'Italia. Pur riuscendo a conquistare con i Tarantini le città di Brentesion, Siponto, Heraclea, Cosentia e Paestum, tuttavia il suo progetto non si realizzò, venendo egli ucciso in battaglia a Pandosia (Lucania) [1] o a Pandosia Bruzia, presso Cosenza nel 330 a.C.

Leggiamo di seguito quanto ci narra Tito Livio [2] :

« Trovandosi il re non molto discosto dalla città di Pandosia, vicino ai confini dei Bruzi e dei Lucani, si pose su tre monticelli alquanto, l'uno dall'altro divisi e lontani, per scorrere quindi in qual parte volesse delle terre dei nemici; aveva intorno a se per sua guardia un duecento lucani sbanditi, come persone fedelissime, ma di quella sorte di uomini, che hanno, come avviene, la fede insieme con la fortuna mutabile. Avendo le continue piogge, allagato tutto il piano, diviso l'esercito posto in tre parti, in guisa che l'una all'altra non poteva porgere aiuto, due di quelle bande poste sopra i colli, le quali erano senza la persona del re, furono oppresse e rotte dalla subita venuta ad assalto dei nemici, i quali poi tutti si volsero all'assedio del re, e mandarono alcuni messaggi ai lucani loro sbanditi, i quali avendo pattuito di essere restituiti alla patria, promisero di dar loro nelle mani il re vivo o morto. Ma egli con una compagnia di uomini scelti fece un'ardita impresa che urtando si mise a passare, combattendo, fra mezzo dei nemici; ed ammazzò il capitano dei lucani, che d'appresso lo aveva assaltato; ed avendo raccolto i suoi dalla fuga, tra essi ristretto, giunse al fiume, il quale mostrava qual fosse il cammino con le fresche riune del ponte, che la furia delle acque aveva menato via. Il qual fiume, passandolo la gente senza sapere il certo guado, un soldato stanco ed affamato, quasi rimbrottandolo e rimproverandogli il suo abominevole nome, disse: Dirittamente sei chiamato Acheronte. La qual parola, posciaché pervenne alle orecchie del re, incontamente lo fece ricordare del suo destino, e stare alquando sospeso e dubbio, se si doveva mettere a passare. Allora, Sotimo, un ministro dei paggi del re, lo domandò che stesse a badare e l'ammonì che i lucani cercavano d'ingannarlo; i quali poiché il re vide da lungi venire alla sua volta, in uno stuolo trasse fuori la spada ed urtando il cavallo, si mise arditamente per mezzo del fiume per passare; è già uscito dalle profondità delle acque, era giunto nel guado sicuro, quando uno sbadito lucano lo passò dell'un canto all'altro con un dardo. Onde essendo caduto, fu poi trasportato il corpo esamine dalle onde, con la medesima asta insino alle poste dei nemici, ove ei fu crudelmente lacerato, perché tagliato pel mezzo, ne andarono una parte a Cosenza, e l'altra serbarono per straziarla; la quale mentre era percossa da sassi e dardi per scherno, una donna mescolandosi con la turba, che fuori di ogni modo della umana rabbia incrudeliva, pregò che alquanto si fermassero, e piangendo disse: Che aveva il marito ed i figliuoli nelle mani dei nemici e che sperava con quel corpo del re, così straziato come gli era, poterli ricomprare. Questa fu la fine dello strazio; e quel tanto che vi avanzò dei membri fu seppellito in Cosenza, per cura di una sola donna, e le ossa furono rimandate a Metaponto ai nemici; e quindi poi riportate nell'Epiro a Cleopatra sua donna, e ad Olimpiade sua sorella; delle quali l'una

fu madre e l'altra sorella di Alessandro Magno »

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(Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata.)

Note [modifica]

1. ̂ Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia, III, 72, fa rifermento alla Pandosia di Lucania, come luogo in cui perse la vita Alessandro I d'Epiro detto il Molosso: «et Pandosiam Lucanorum urbem fuisse Theopompus, in qua Alexander Epirotes occubuerit».

2. ̂ Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma, Ermanno Loescher, 1889, vol 1 pp. 235-236.

Bibliografia [modifica]

Giacomo Racioppi , Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, vol 1 e vol 2, Roma, Ermanno Loescher, 1889.

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AcheronteDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il fiume Acheronte, in Grecia.

Acheronte (in greco Ἂχέρων, -οντος, in latino Ăchĕrōn, -ontis) è il nome di alcuni fiumi della mitologia greca, spesso associati al mondo degli Inferi. Secondo il mito sarebbe un ramo del fiume Stige che scorre nel mondo sotterraneo dell'oltretomba, attraverso il quale Caronte traghettava nell'Ade le anime dei morti; suoi affluenti sarebbero i fiumi Piriflegetonte e Cocito. Il suo nome significa "privo di grazia".

Indice

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1 Geografia 2 Fonti

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3 Mitologia 4 Altri progetti

5 Bibliografia

Geografia [modifica]

Il principale Acheronte si trova in Epiro, regione nord-occidentale della Grecia, nei pressi della cittadina di Parga, sulla costa che fronteggia l'isola di Corfù. È un affluente del lago Acherusia e nelle sue vicinanze sorgono le rovine del Necromanteio, l'unico oracolo della morte conosciuto in Grecia. Secondo la tradizione un altro ramo dell'Acheronte emerge vicino a Capo Acherusio (ora Eregli, in Turchia): Apollonio racconta che fu visto dagli Argonauti durante la loro avventura. I coloni greci che si stabilirono in Magna Grecia invece identificarono l'Acherusia con il lago d'Averno.

Fonti [modifica]

Caronte nelle acque dell'Acheronte, disegno di Gustave Doré.

Platone nel dialogo Fedone afferma che l'Acheronte è il secondo fiume più grande del mondo, superato solamente dall'Oceano: sostiene che l'Acheronte scorra in senso inverso e dall'Oceano vada verso la terra. Il termine Acheronte è stato talvolta usato come sineddoche per intendere l'Ade nella sua interezza. Virgilio parla dell'Acheronte insieme agli altri fiumi infernali all'interno della sua descrizione dell'Oltretomba, collocata nel libro VI dell'Eneide. Nell'Inferno (canto III) di Dante il fiume Acheronte rappresenta il confine dell'Inferno per chi arriva dall'Anti-Inferno.

Mitologia [modifica]

Figlio d'Helios e Gea, che Zeus trasmutò in fiume d'acque amare, come punizione per aver dissetato i Titani che s'eran ribellati al voler divino cercando di scalar l'Olimpo. Il dio del fiume fu poi a sua volta padre di Ascalafo avuto, a seconda delle leggende, da Orfne o da Gorgira. Destinato per l'eternità a separar il mondo dei vivi dagli inferi. Nella Commedia dantesca vien varcato da quelle anime che avevan avuto degna sepoltura: rappresenta pertanto transizione da vita a morte, ma pure viaggio senza ritorno verso l'Oltretomba

Altri progetti [modifica]

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Wikimedia Commons contiene file multimediali su Acheronte

Bibliografia [modifica]

Anna Ferrari, Dizionario di Mitologia Classica, TEA, 1994, ISBN 8878195391

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Pandosia (Lucania)Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Disambiguazione – Se stai cercando altre città con lo stesso nome, vedi Pandosia.

Lucania antica.

Pandosia (Πανδοσία in greco, Pandosiam in latino) fu un'antica città della Magna Grecia lucana [1] , situata nei pressi dell'attuale Anglona, frazione di Tursi.

Era al centro di importanti traffici commerciali ed in una posizione predominante e strategica, dominava infatti le valli del fiume Agri e del Sinni, a quel tempo navigabili[2], la piana della Conca d'Oro e tutta la campagna sottostante. Dalla cima del colle si può inoltre ammirare il panorama circostante che va dal mar Jonio fino al golfo di Taranto e tutti i paesi della costa e quelli limitrofi fino alle vette del Parco Nazionale del Pollino. L'antica via Herculea [3] , che dalla città di Heraclea risaliva per più di 60 km la valle dell'Agri fino alla città romana di Grumentum, consentiva rapidi spostamenti.

Indice

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1 Storia 2 Note

3 Bibliografia

o 3.1 Fonti primarie o 3.2 Fonti secondarie

4 Voci correlate

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5 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Siritide.

L'antichissima città di Pandosia, fondata dagli Enotri, che la tennero a loro Reggia[4][5], è passata alla storia per eventi bellici combattuti nei pressi delle sue mura. L'Antonini[6] basandosi su passi della Genealogia di Feracite e su passi della Storia antica di Roma di Dionigi di Alicarnasso, ipotizza che Pandosia fu fondata da Enotrio, uno dei 23 figli di Licaone, molti secoli prima di Roma, e che lo stesso signoreggiò su tutta l'orientale parte della Lucania. Da alcune monete si può supporre che Pandosia fosse confederata con Crotone, quando questa stringeva lega con Sibari e Metaponto [7] . Alcune monete di genere incuso, riportano su di un verso il simbolo di Pandosia (una giovinetta, la ninfa che dava il nome alla città) e sull'opposto quello di Crotone (un giovinetto che indicava il fiume Crati), fanno supporre ad un'alleanza tra le due città[8].

Nell'inverno del 331 - 330 a.C. il re epirota Alessandro il Molosso, venne sconfitto ed ucciso dai Lucani, sulle rive del fiume Acheronte (probabilmente l'attuale fiume Agri, chiamato Acheros[9] anche Aciris o Akiris)[10][11][12].

Leggiamo di seguito quanto ci narra Tito Livio [13] :

« Trovandosi il re non molto discosto dalla città di Pandosia, vicino ai confini dei Bruzi e dei Lucani, si pose su tre monticelli alquanto, l'uno dall'altro divisi e lontani, per scorrere quindi in qual parte volesse delle terre dei nemici; aveva intorno a se per sua guardia un duecento lucani sbanditi, come persone fedelissime, ma di quella sorte di uomini, che hanno, come avviene, la fede insieme con la fortuna mutabile. Avendo le continue piogge, allagato tutto il piano, diviso l'esercito posto in tre parti, in guisa che l'una all'altra non poteva porgere aiuto, due di quelle bande poste sopra i colli, le quali erano senza la persona del re, furono oppresse e rotte dalla subita venuta ad assalto dei nemici, i quali poi tutti si volsero all'assedio del re, e mandarono alcuni messaggi ai lucani loro sbanditi, i quali avendo pattuito di essere restituiti alla patria, promisero di dar loro nelle mani il re vivo o morto. Ma egli con una compagnia di uomini scelti fece un'ardita impresa che urtando si mise a passare, combattendo, fra mezzo dei nemici; ed ammazzò il capitano dei lucani, che d'appresso lo aveva assaltato; ed avendo raccolto i suoi dalla fuga, tra essi ristretto, giunse al fiume, il quale mostrava qual fosse il cammino con le fresche riune del ponte, che la furia delle acque aveva menato via. Il qual fiume, passandolo la gente senza sapere il certo guado, un soldato stanco ed affamato, quasi rimbrottandolo e rimproverandogli il suo abominevole nome, disse: Dirittamente sei chiamato Acheronte. La qual parola, posciaché pervenne alle orecchie del re, incontamente lo fece ricordare del suo destino, e stare alquando sospeso e dubbio, se si doveva mettere a passare. Allora, Sotimo, un ministro dei paggi del re, lo domandò che stesse a badare e l'ammonì che i lucani cercavano d'ingannarlo; i quali poiché il re vide da lungi venire alla sua volta, in uno stuolo trasse fuori la spada ed urtando il cavallo, si mise arditamente per mezzo del fiume per passare; è già uscito dalle profondità delle acque, era giunto nel guado sicuro, quando uno sbadito lucano lo passò dell'un canto all'altro con un dardo. Onde essendo caduto, fu poi trasportato il corpo esamine dalle onde, con la medesima asta insino alle poste dei nemici, ove ei fu crudelmente lacerato, perché tagliato pel mezzo, ne andarono una parte a Cosenza, e l'altra serbarono per straziarla; la quale mentre era percossa da sassi e dardi per scherno, una donna mescolandosi con la turba, che fuori di ogni modo della umana rabbia incrudeliva, pregò che alquanto si fermassero, e piangendo disse: Che aveva il marito ed i figliuoli nelle mani dei nemici e che sperava con quel corpo del re, così straziato come gli

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era, poterli ricomprare. Questa fu la fine dello strazio; e quel tanto che vi avanzò dei membri fu seppellito in Cosenza, per cura di una sola donna, e le ossa furono rimandate a Metaponto ai nemici; e quindi poi riportate nell'Epiro a Cleopatra sua donna, e ad Olimpiade sua sorella; delle quali l'una

fu madre e l'altra sorella di Alessandro Magno »(G. Racioppi, op. cit., pp. 235-236)

Nel 280 a.C., in località Conca d'Oro, sotto le mura della città di Pandosia[1], si svolse la battaglia di Heraclea tra le legioni del console romano Publio Valerio Levino e l'esercito di Pirro, venuto dall'Epiro in appoggio ai Tarentini, la battaglia fu vinta da Pirro, ma ad un prezzo altissimo, 4.000 vittime epirote e 7.000 romane[14]. Sempre su questo territorio si sono svolte, nel 214 a.C. le operazioni militari di Annibale durante la seconda guerra punica.

La città sarebbe stata distrutta durante le guerre sociali da Silla [15] o da Lucio Papirio attorno all'81 a.C. [16] , nello stesso periodo in cui fu distrutta Grumentum. Sulle rovine di Pandosia, nei primi secoli della cristianità, tra VII-VIII secolo, nacque la città di Anglona

Per approfondire, vedi le voci Anglona (Tursi) e Tursi.

Note [modifica]

1. ^ a b A.S. Mazzocchi, op. cit., pag. 104 2. ̂ C.D. Fonseca, op. cit., pp. 239 e 277 3. ̂ R.J. Buck, op. cit., pp. 70-86 4. ̂ come afferma Strabone <<Pandosiam fuisse aliquando regia Oenotrorium>> e riportato in

Geografica, ed. Amsteleadam, 1707, lib. VI 5. ̂ Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti Anno IX - Volume XXV, Tip. Flautina, Napoli,

1840, pag. 39. URL consultato il 25-04-2009. 6. ̂ G. Antonini, op. cit., pp. 46-49 7. ̂ R. Bruno, op. cit., pp. 12-13 8. ̂ E. Mirri, op. cit., pag. 17 9. ̂ D. Romanelli, op. cit., pag. 264-266. 10. ̂ Salvatore Di Gregorio, Anglona e Tursi. URL consultato il 15-01-2009. 11. ̂ Questo evento è alquanto controverso. Aristotele afferma che la Pandosia in questione fosse a 6

ore di cavallo dal mare. L'attuale Anglona dista circa 12km dal mar jonio, sapendo che l'andatura a cavallo è di circa 2 km/h, possiamo dire che questa affermazione è verificata. Tito Livio (Tito Livio, ab Urbe condita , VIII, 24 ) afferma anche che ci sia un fiume denominato Acheronte, che potrebbe essere l'attuale fiume Agri. Fa riferimento a 3 monticelli, sui quali si sarebbero accampate le truppe del molosso successivamente divise dalla incessante pioggia e lo straripare del fiume, consentondo ai lucani di poter attaccare una per volta i tre accampamenti. I monticelli sono individuabili in Cucuzzuta, Sitigliana, e Tufinella da (E. Mirri, op. cit., pag. 44). Da Strabone (Strabone, Geographia, 6.1.5) si apprende anche una certa vicinanza a Cosenza. Quest'ultima affermazione è poco plausibile, poiché Cosenza dista poco più di 100km da Anglona, che con i mezzi dell'epoca erano interi giorni di viaggio, questo fa presumere ad un'altra città con lo stesso nome, forse Pandosia Bruzia, individuata con una certa approssimazione nell'attuale comune di Castrolibero.

12. ̂ Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia, III, 98, fa rifermento alla Pandosia di Lucania, come luogo in cui perse la vita Alessandro I d'Epiro detto il Molosso: <<et Pandosiam Lucanorum urbem fuisse Theopompus, in qua Alexander Epirotes occubuerit>>.

13. ̂ G. Racioppi, op. cit., pp. 235-236 14. ̂ Plutarco, Vita di Pirro, 17. 15. ̂ R. Bruno, op. cit., pp. 14-15 16. ̂ Nicola Crispino, Pandosia, cenni storici . URL consultato il 15-01-2009.

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Bibliografia [modifica]

Fonti primarie [modifica]

Tito Livio , Ab Urbe Condita, libro VIII, 24. Plinio il Vecchio , Naturalis Historia, libro III, 97 e 98. Plutarco , Vita di Pirro, 17. Strabone , Geografia, Amsterdam, 1707, libro VI.

Fonti secondarie [modifica]

G. Antonini, La Lucania , Napoli, 1797 . Rocco Bruno, Storia di Tursi , Ginosa, Tip. Policarpo, 1977, ristampa nel 1989 . R.J. Buck, The via Herculia, in "Papers of the British School at Rome" XXXIX , , 1971 . Salvatore Di Gregorio, Anglona e Tursi , , 1999 . Cosimo Damiano Fonseca, Le vie dell'acqua in Calabria e Basilicata , Catanzaro, 1995 . E. Cantarella, G. Guidorizzi, Corso di Storia dalle origini a Giulio Cesare , Milano,

Einaudi, 1992 . Nicola Leoni, Della Magna Grecia e delle tre Calabrie , , 1845 . Alessio Simmaco Mazzocchi , Commentario sulle Tavole Eracleensi , Napoli, 1754 . E. Mirri, Origini e vicende di Anglona arcaica e romana , Bari, 1973 . Antonio Nigro, Memoria tipografica ed istorica sulla città di Tursi e sull'antica Pandosia di

Eraclea oggi Anglona, Napoli, Tip. Miranda, 1851 . Giacomo Racioppi , Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, vol 1 e vol 2 , Roma,

Ermanno Loescher, 1889 . Domenico Romanelli , Antica topografia istorica del regno di Napoli , Napoli, Stamperia

Reale, 1815 .

Voci correlate [modifica]

Battaglia di Heraclea Heraclea Alessandro il Molosso Pirro re d'Epiro

Collegamenti esterni [modifica]

Storia di Pandosia

Portale Archeologia

Portale Antica Grecia

Portale Basilicata

Categorie: Siti archeologici della Basilicata | Provincia di Matera | Città della Magna Grecia e della Sicilia greca | Tursi

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Pandosia BruziaDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Disambiguazione – Se stai cercando altre città con lo stesso nome, vedi Pandosia.

Pandosia Bruzia è un'antica città del Bruzio, citata dagli storici antichi e di incerta identificazione.

Indice

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1 Fonti antiche 2 Fonti numismatiche

3 L'identificazione della città

4 Note

Fonti antiche [modifica]

Aristotele [senza fonte] dice che Pandosia si trovava a sei ore di cavallo dal mare.

Tito Livio [1] , narrando le vicende di Alessandro il Molosso, descrive il suo insediarsi su tre elevazioni vicine al fiume Acheronte, nei pressi della città di Pandosia, che si trovava a sua volta presso i confini tra le terre dei Lucani e dei Bruzi. In un passo successivo[2] cita la spontanea sottomissione di Cosentia e Pandosia ai Romani nel 204-203 a.C..

Strabone [3] la colloca nei pressi di Cosentia (Cosenza) e la descrive come una città fortificata, riportando la notizia che un tempo fosse stata capitale degli Enotri. Presso la città venne ucciso nel 331-330 a.C. Alessandro il Molosso. La città occupava tre colline e vi scorreva nei pressi un fiume con lo stesso nome dell'Acheronte.

Stefano di Bisanzio [4] , nel V secolo, cita Pandosia come città dei Bruzi, fortificata e con tre "vertices", e ricorda che vi perse la vita Alessandro il Molosso.

Fonti numismatiche [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Monetazione di Pandosia.

Agli inizi del V secolo a.C. furono coniati stateri con lo stesso tipo della città di Crotone, alla quale Pandosia era forse sottoposta. Simili monete furono emesse anche da Crotone con Sibari e con Temesa.

Un secondo statere emesso nel 435-425 a.C. dalla sola Pandosia, riporta sul verso il dio del fiume Crati. Agli inizi del IV secolo a.C. si riferiscono uno statere, una dracma e un triobolo emessi dalla sola Pandosia.

L'identificazione della città [modifica]

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Dai resoconti delle fonti antiche sappiamo che la città si trovava presso un fiume che aveva all'epoca il nome di Acheronte, che era al confine tra Bruzi e Lucani e vicina a Cosenza

Castrolibero [5] : dista pochi chilometri da Cosenza e concorda pienamente con il racconto liviano della fine di Alessandro il Molosso, secondo il quale parte del suo corpo, straziato dai nemici, venne trasportato a Cosenza ovviamente a dorso di mulo. La città di Cosenza doveva essere molto vicina tenuto conto dei mezzi di trasporto di allora. Castrolibero fu inizialmente una fortezza (Castelfranco) situata nei tenimenti di Mendicino. I centri storici dei comuni di Mendicino e di Castrolibero, che confinano tra loro, si trovano a pochi chilometri di distanza l'uno dall'altro.In un documento del 1267 In tenimento Mendicini si trovava il casale di "Pantosa" (all'epoca Pantosa-Castelfranco faceva parte dei tenimenti di Mendicino. Il documento venne emanato in Viterbo, l'8 febbraio del 1267, decima indizione, da papa Clemente IV. In un altro documento del 1278 (documenti della cancelleria Angioina) il toponimo è indicato indifferentemente come "Pantose" o "Pandose", indicando una possibile sopravvivenza del nome dell'antica città di Pandosia. Nel 1412 il casale di Pantosa risulta disabitato[6] in quanto era stato abbandonato a favore di Castelfranco. A conferma della identità Castelfranco=Pandosia, la chiesa di San Nicola, al confine tra Castrolibero e Marano Principato, viene citata nel 1545 (F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, nn. 18965 e 18976) come S. Nicolai de Pantusa de Castrofranco, la chiesa di San Salvatore, ora nel centro storico di Castelfranco è citata nel 1567 in un doccumento del notar Giordano G. Andrea (Cosenza – 6-5-1563 f. 299 come Santis Salvatoris de Pantusa.A Castelfranco sono stati rinvenuti, in località "Palazzotto" i resti di strutture difensive e nel 1877 vi venne trovata una moneta dell'antica Pandosia[7].

Acri è stata identificata con Pandosia da diversi studiosi recenti del XIX secolo e del XX secolo.Prima dall'anno mille, nel (542) dallo storico Procopio e descritta come città fortezza cinta da difese naturale e da validissime mura (Fortezza da Guerra e Presidio),il più antico quartiere della città è Pàdia dove è ubicata la chiesa matrice paleocristiana di Santa Maria Maggiore anticamente titolata Sancta Maria de Padiae,dove nelle immediate vicinanze è ubicato l'antico castello chiamato (Castelvetere).[8],Levi Tiziana., "Produzione e Circolazione delle ceramiche nella sibaritide Preistorica., Grandi Contesti e problemi della Preistoria italiana,Edizione All'Insegna del Giglio Firenze 1999-2000 cod. ISBN 88-7814-139-9.; Cassetta I,Castagna M.A.,Ferrante F, Levi S.T., Luppino S.,R.Peroni., Schiappelli A., A.Vanzetti., "Atti del XXXIX convegno di Studii della Magna Grecia anno 2000( Broglio di Trebisacce cs, Città Vetere di Saracena Cs, Colle Dogna di Acri cs).

In scavi condotti negli anni 1999, 2000 e 2002 e 2008, sono stati rinvenuti i resti di due grossi insediamenti Bruzi, con oggetti di uso quotidiano, con fornaci per la fabbricazione della ceramica e resti di ville romane del II secolo a.C..

Ben tre frazioni portano il nome che senbra derivi da quello dell'antica Pandosia :Pantadia; Pantalea; e Pantano d'Olmo quest'ultima nel 1200 veniva indicata negli archivi dei principi Sanseverino come (Pandosia d'Olmo)(pubblicato sul periodico Confronto Anno XXXIV N° 9 ottobre 2008 pag 4).

Il popoloso quartiere di Pàdia insieme alla sua chiesa viene documentato dalle Platee della Diocesi di Cosenza-Bisignano a partire dal 1264-69 ad opera del Vescovo Ruffino da Bisignano documentate nel regestro Diocesano n°5058-5081,"Ecclesia Sanctae Mariae de Pandiae"nel documento del (De Leo) viene confusa come chiesa censuale, mentre nel registro diocesano del 1271, apparteneva come giurisdizione al vescovo di Bisignano, per diritti feudali,dallo stesso Carlo I d'Angiò,la decima su alcuni castelli ed università compresa la stessa Bisignano. Nella successiva Platea del 1324 del D.Vendola,viene censita nelle chiese(Rationes Decimarum) e chiamata"Sanctae Mariae dictae terrae (scl.Acrii)"Maior Ecclesiae,quam tenet D.Scipio de Bernaudo, D Hyeronimus Pertinimus, e Jacobus Grecus",

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citata fra le 14 chiese censite. E poi documentata nella Platea cinquecentesca e così descritta "Ecclesiae Sanctae Mariae de Pàdiae quam tenet D.Franciscu Casalibus de civitate Bisignani" (c.62v). Dal De Leo "Un Feudo vescovile nel Mezzogiorno Svevo pag.48 Platea 1324; De Vendola "Rationes decimarum Italia", nei secoli XIII e XV,Apulia,Lucania,Calabria,studii e testi n°197,Città del Vaticano 1939 n°5081.

Scavi condotti dalla Sovrintendenza Archeologica della Calabria,condotte dal prof.Renato Peroni dir. della Cattedra di Protostoria presso l'Università La Sapienza di Roma,del prof. A. Vanzetti dir. della Cattedra di Archeologia dell'Università della Calabria di Cosenza,e della dott.M A. Castagna archeologa presso l'Università di Perugia.

Note [modifica]

1. ̂ Tito Livio, ab Urbe condita , VIII, 24 2. ̂ ab Urbe condita , XXIX, 38 3. ̂ Strabone, Geographia, 6.1.5 4. ̂ Stefano di Bisanzio, "De Urbis et Populis". (..Pandosia castellum Brettiorum munitum tres

vertices habens circa quod Alexander oetulus perit ab hujsmodi oroculo decepts:Pandosia tre colles habens,multum aliquando populum perdes...).

5. ̂ Castrolibero e Marano Principato nel XIX secolo costituivano un unico comune, con il nome di "Castelfranco". Gli attuali comuni di Castrolibero, Marano Marchesato e Marano Principato hanno costituito nel 1998 l'"Unione Pandosia".

6. ̂ Pergamena n.57 dell'Archivio Sanseverino di Bisignano nell'Archivio di Stato di Napoli. 7. ̂ Eugenio Arnon, La Calabria Illustrata (ristampa Edizioni Orizzonti meridionali, 1995), IV, p.59. 8. ̂ François Lenormant, Paisage et Historie - La Grande Grecè, 1881-1884, pp.442-446; Davide

Andreotti Loria, Storia dei Cosentini, monografia sul nome di Acri, L'avanguardia, X, nn.3-8, 1895; Ubaldo Valbusa, s.v. Acri, in Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 1929 Vol I p.424; Albert Forbiger: Handbuch der alten Geographie, Leipzig 1842, volume III pp.750,776; Francesco Grillo, Italia antica e medioevale. Ricerche storiche di geografia storica, in Calabria Nobilissima, V, 1951, nn.6-12; 6, 1952, n.21; 7, 1953; Cesare Cantù: Storia Universale Doc. 8, p.218; Leopoldo Pagano "La selva Calabra" ms 27395, bibl. Civ. Cosenza p.11; Giulio Cesare Recupito, "De Vesuviano Incendio Nuntivs", Ivlio Caesare Recupito Neapolitano e Societate Iesusuviana, Neapoli, Ex Regia Egidii Longhi, 1632 (Elenc.FV.C.I.II.25 Invent.6958.Università degli Studi Salerno); L. Bertarelli Guida d'Italia Touring Club italiano,Carta d'Italia,foglio 47 B6,Milano 1938

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I Bruzi (o Bretti o Bruttii) erano un antico popolo di stirpe italica che abitò quella zona settentrionale dell'odierna Calabria che, in epoche successive, fu la parte meridionale della Regio III augustea Lucania et Bruttii.

Indice

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1 Storia

o 1.1 Origini o 1.2 Consentia

o 1.3 Magna Bruttiorum

1.3.1 La guerra con i greci

o 1.4 Conquista romana

2 Territorio: il Bruzio 3 Note

4 Bibliografia 5 Voci correlate

Page 13: MANDURIA E PANDOSIA

6 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Origini [modifica]

Nel corso dell'età del Ferro, gruppi di genti di stirpe indoeuropea penetrarono, in diverse ondate, in Italia, distribuendosi lungo l'arco delle dorsali appenniniche centro-meridionali. Collettivamente sono conosciuti con il nome di Italici. Tra di essi distinguiamo le popolazioni dei Sanniti, degli Apuli, dei Campani e dei Lucani, tutti caratterizzati da una lingua comune, l'Osco.

La tradizione letteraria concorda nell'identificare i Bruzi inizialmente come pastori e servi dei Lucani, molti dei quali a carattere nomade, con alte concentrazioni prevalentemente nella parte settentrionale di quella che sarà la Regio III augustea. Infatti tali li definisce Strabone [1] , e altrettanto Diodoro Siculo e Pompeo Trogo: quest'ultimo autore, inoltre, conferma la loro discendenza dai Lucani e la vittoriosa rivolta contro quest'ultimi intorno al 356 a.C., negli anni della lotta che vedevano Dione di Siracusa opporsi a Dionisio II.[2] Sono proprio i Lucani dunque a dare il nome a questo popolo, infatti i Lucani chiamavano "Bretti" i ribelli.[1] Nel frattempo, da popolo ormai libero, le tribù dei Bruzi si coalizzarono in una lega, ed eressero a loro capitale un luogo che chiamarono Consentia, che sugellava proprio il "consenso" (da cui deriva il nome) delle varie tribù. Consentia ancora oggi è conosciuta con il nome di Cosenza.

Proprio per queste origini, il popolo bruzio viene descritto come un popolo di guerrieri, rude e bellicoso. La storia ce li tramanda come un popolo che ha fatto della sua potenza bellica e della voglia di indipendenza e libertà la sua grandezza, ma anche la sua rovina.

Consentia [modifica]

« Consentia urbs magna Bruttiorum. »(Appio Claudio Cieco)

Una volta consolidatisi in una grande lega, venne il momento di cercare un posto strategico su cui erigere la propria capitale. Essa venne indicata sul colle Pancrazio, che dominava una grande vallata, ed era separata da essa da due fiumi che si univano proprio alla base del colle, e che lo rendeva un posto fortificato naturalmente. Il colle era però occupato da 600 mercenari africani al soldo di Dionisio, alleato dei Lucani. La battaglia conosciuta come "della rocca bretica" vide i Bretti, guidati da una donna, conquistare il colle dopo una sanguinosa battaglia e designò la definitiva resa dei Lucani. Venne sancita la pace, passata alla storia come la pace di "donna Brettia", in onore della condottiera dei Bruzi. Sul colle, dunque, venne eretta Consentia, che prende il nome dal "consenso" dato da tutte le tribù bruzie e gli stessi Lucani che aderirono alla Magna Bruttiorum. In essa coniarono le proprie monete [3] ed iniziò un fiorente periodo per questo popolo.

Magna Bruttiorum [modifica]

Da quel momento, finita la fase nomade di questo popolo, in meno di un secolo, i Bretti si costituirono in numerosi piccoli villaggi distanti pochi chilometri l'uno dall'altro, intervallati da roccaforti chiamate oppida,nucleo urbano fortificato=oppidum, nelle quali si riunivano le classi sociali più elevate (guerrieri, magistrati e, si pensa, sacerdoti) per prendere decisioni per la gestione

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e la difesa dei villaggi limitrofi. Venne coniata una moneta, e il tessuto sociale iniziò a prendere forma con il consolidamento delle classi sociali. La più importante era quella dei guerrieri. Iniziarono le mire espansionistiche, ed i Bruzi riuscirono ad ottenere importanti successi sia a sud che a nord del loro territorio fino ad impattare ad oriente con le grandi polis della Magna Grecia che verranno anche esse piegate dalla furia bretica. Nasce cosi la "Magna Bruttiorum", il culmine dell'espansione, della cultura e dell'economia dei Bretti. Essa si può identificare nell'attuale intera provincia di Cosenza e parte della Basilicata meridionale, compresa fra il fiume Laos, penetrando nell'attuale Puglia fino a Turi, a nord, ed a sud, fino a toccare l'Aspromonte calabro.

Oltre ad un sistema di monetazione proprio, i Bretti avevano anche adottato formalmente una scrittura basata sull'alfabeto dorico di tipo acheo[4]. Le classi sociali, infine, ricoprivano ora la massima importanza.

Oltre Consentia (l'attuale Cosenza), le principali città erano (in latino, che ricalcava i nomi originali[senza fonte]) : Pandosia (città di cui ancora oggi si cercano le tracce e che forse doveva sorgere fra gli attuali comuni di Castrolibero, Marano Principato e Marano Marchesato o presso l'attuale Acri) sul Crati, Aufugum (l'attuale Montalto Uffugo), Bergae, Besidiae l'attuale Bisignano ed Otriculum [5] . La così detta confederazione dei Bruzi.

La guerra con i greci [modifica]

Tra la metà del IV e la metà del III secolo a.C., i Bruzi attaccarono e conquistarono diverse città magno-greche, (tra cui Terina, Hipponion (l'attuale Vibo Valentia), Sibarys sul Traeis ed altre). Riuscirono ad essere contenuti dalle città greche solo dopo l'alleanza con Dionisio per un breve periodo. I Greci d'Italia quindi tentarono di resistere per l'ultima volta, invocando l'aiuto di Alessandro il Molosso, re d'Epiro, ma anch'esso venne sconfitto dai Bruzi e morì a Pandosia (331 a.C.).

Conquista romana [modifica]

I Bruzi erano ormai riconosciuti come una piccola potenza in rapida ascesa. La loro prerogativa era quella di continuare a svilupparsi come civiltà autonoma e conquistatrice; ciò li spinse all'ostilità verso Roma, quando essi bussarono ai loro confini, ed in seguito,dunque, verso la loro disfatta. Iniziò così una serie di sconfitte, fra cui quella del 275 a.C., quando la confederazione Bruzia si alleò con Pirro re d'Epiro e, tacitamente, con molte delle città della Magna Grecia che non controllava nella guerra contro Roma, in cui cadde per la prima volta Consentia che venne annessa alla Repubblica,il che portò alla caduta definitiva sotto i Romani nel 270 a.C. Non si sottomisero mai del tutto e, riorganizatisi, approfittarono dell'invasione di Annibale nel 218 a.C. con il quale si allearono durante le guerre puniche. Riconquistarono Consentia e, forti del nuovo alleato, mossero guerra contro Roma per riottenere l'indipendenza. Quando Annibale venne sconfitto e costretto a tornare in patria, ordinò ai Bruzi di seguirlo, ma essi vollero rimanere nelle loro terre, così da attirarsi le sue vendette. Una volta ricacciato Annibale, che lasciò terra bruciata, iniziò una nuova massacrante lotta contro Roma che ben presto sedò ogni focolaio bruzio. Venne di nuovo sottomessa da Servilio, e questa volta i Brettii vennero puniti. Roma tolse la carica di città-stato a Consentia, sciolse la confederazione bruzia e confiscò quasi tutto il loro territorio trasformandolo in colonia romana (II e I secolo a.C. Nel 73 a.C. Consentia e i Bretti tentarono un'ultima volta di riconquistare la libertà e l'autonomia unendosi alla rivolta che Spartaco mosse contro Roma, scatenando una guerra civile, trovando proprio nei Bruzi feroci alleati. Nel 71 a.C., dopo due anni di rivolte, Spartaco venne accerchiato e sconfitto dal console Licinio Crasso nei pressi del fiume Sele, tantissimi erano i Bruzi tra i 5.000 morti in battaglia e i 6.000 crocefissi. Roma nuovamente punisce i Bretti, come riferisce Appiano: essi subiscono l'umiliazione di non poter servire negli eserciti

Page 15: MANDURIA E PANDOSIA

romani come soldati, ma solo come attendenti al servizio dei magistrati della Repubblica. Nel 29 a.C. Consentia diventa colonia sotto Augusto, il quale le concesse la cittadinanza romana dopo essersi assicurato delle totale resa dei Bretti.

Territorio: il Bruzio [modifica]

L'antica regione dei Bruttii è spesso indicato come Bruttium[6], o Bruzio, insieme con la Lucania, formava la Regio III, una delle undici regioni in cui era divisa l'Italia augustea e corrisponde grosso modo all'odierna Calabria.

Prima della conquista romana essa era abitata dal popolo italico dei Bruzi e, dall'VIII al III secolo a.C., le sue coste furono colonizzate dai Greci divenendo parte della Magna Grecia; le colonie principali erano Rhegium, Sybaris , Kroton. Il centro nevralgico di questo popolo era Consentia la quale venne eletta dalle tribù dei Bruzi, dopo essersi coalizzate in una lega, "capitale" della regione. Fu occupata dai Romani assieme al resto della Magna Grecia nel 265 a.C., ma durante la seconda guerra punica si ribellò a Roma per allearsi con Annibale, per poi ritornare sotto il saldo controllo della repubblica romana dopo la sconfitta del condottiero cartaginese.

Note [modifica]

1. ^ a b Geografia, VI 1, 4. 2. ̂ Strabone li definiva già liberi prima della rivolta, per indulgenza dei loro padroni. Si veda il citato

passo VI 1, 4. 3. ̂ N. Putortì - Rosarno. Scoperta di monete mamertine-brezie in NSA 1924 pag. 103 4. ̂ http://www.calabriaonline.com/col/lacalabria/regione/storia4.php 5. ̂ F. Lenormant La Magna Grecia Vol. III 6. ̂ Il coronimo Bruttium, da cui deriva quello italiano, sebbene largamente in uso nella letteratura

scientifica, è sconosciuto al latino classico, nel quale viene utilizzato sotto la forma plurale dell'etnico: Bruttii, "[territorio] dei Bruzi" (si veda la bibliografia). A volte viene sostituito erroneamente dal coronimo Brutium.

Bibliografia [modifica]

[1] - Gli spazi geografici della Storia Romana: La Regio III: Lucania et Bruttii

Voci correlate [modifica]

Regio III Lucania et Bruttii Via Capua-Rhegium , la Via Popilia Cosenza Ocricolo

Collegamenti esterni [modifica]

I Bruzi in Calabria

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La Lucania secondo l'Historical Atlas di William R. Shepherd (1911)

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I Lucani furono una popolazione appartenente al ceppo italico e di lingua osca, che giunse, nel V secolo a.C., nella terra che da essi prese il nome di Lucania, territorio genericamente compreso tra i fiumi Sele, Bradano, Laos e Crati, fino ad allora chiamato dai Greci Enotria.

All'inizio del IV secolo a.C. si espansero verso sud-ovest, nell'attuale Calabria, dove vennero in conflitto con i Greci della Magna Grecia, in particolare con Siracusa che riuscì a dividere i Lucani e a sbarrare loro il passo. L'espansionismo del popolo italico si volse allora verso est, dove si scontrò con Taranto. In seguito presero parte alle Guerre sannitiche e alle Guerre pirriche contro la ponteza in ascesa di Roma, che riuscì a sottometterli nel 275 a.C. Tra III e I secolo a.C. i Lucani presero parte a diverse insurrezioni italiche contro il dominio romano, senza riuscire a riacquisire l'indipendenza; a partire dalla decsiva battaglia di Porta Collina (82 a.C.) ebbe inizio la loro definitiva romanizzazione.

Indice[nascondi]

1 Etnonimo 2 Storia

o 2.1 Le tribù lucane o 2.2 L'espansione verso la Calabria

o 2.3 Lo scontro con i Tarentini e gli Epirioti o 2.4 I rapporti con Roma

2.4.1 Le Guerre sannitiche 2.4.2 Le Guerre pirriche 2.4.3 Le Guerre puniche

2.4.4 La guerra sociale e la guerra civile

3 Società 4 Religione 5 Economia 6 Lingua 7 Cultura

o 7.1 Arte

8 Note 9 Bibliografia

o 9.1 Fonti primarie o 9.2 Letteratura storiografica

10 Voci correlate

Etnonimo [modifica]

Le origini del nome restano oscure. Poco convincenti sono infatti sia la tesi che esso derivi dal termine latino lucus ("bosco sacro") sia quella che lo farebbe derivare dal termine greco λυκος ("lupo")[senza fonte]. Quest'ultima fa riferimento all'uso delle popolazioni sabelliche di adottare un animale totemico come guida nelle loro migrazioni, secondo l'uso della Primavera sacra; tuttavia, proprio l'esempio dei loro vicini settentrionali, gli Irpini - il cui nome deriva dal termine osco hirpus ("lupo") -, rende poco probabile questa ipotesi[senza fonte]. I Lucani infatti, pur avendo adottato presto l'alfabeto greco, mantennero sempre l'osco come lingua.

Page 19: MANDURIA E PANDOSIA

Storia [modifica]

Le tribù lucane [modifica]

Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia [1] , compila una lista di popoli dell'antica Lucania: Atinati, Bantini, Eburini, Grumentini, Numestrani, Potentini, Sontini, Sirini, Tergilani, Ursentini, Volcentani.

L'espansione verso la Calabria [modifica]

Poco sappiamo dei rapporti dei Lucani con le popolazioni preesistenti dell'interno (chiamate dai Greci Enotri). Al contrario sappiamo che le relazioni con le colonie greche furono decisamente conflittuali. Conquistata alla fine del V secolo a.C. Poseidonia, che i Lucani chiamarono "Paistom" (la Paestum dei Romani), ben presto caddero sotto il loro potere tutte le città della costa tirrenica fino a Laos, con la sola eccezione di Velia.

Nel 389 a.C., i Lucani, alleati di Dionisio il Vecchio tiranno di Siracusa che cercava di imporre il suo predominio sulle città della Magna Grecia, mossero contro le polis nemiche di Siracusa. Questo scatenò la reazione di Thurii, potente città sorta sulle ceneri di Sibari, che, senza attendere l'aiuto di altre città della Lega sorta proprio per difendersi dai Lucani, cercò di riconquistare la sua antica colonia, Laos, subendo una disastrosa sconfitta ed evitando lo sterminio dei prigionieri solo grazie all'intervento del siracusano Leptine [2] . I Lucani estesero in tal modo il loro predominio su tutta l'attuale Calabria interna a nord dell'istmo.

Questa situazione non era tuttavia destinata a perdurare. Per prima cosa mutò l'atteggiamento di Siracusa che, da alleata dei Lucani, divenne loro ostile; inoltre scoppiò una violenta rivolta servile che provocò una lunga guerra civile che avrebbe indebolito notevolmente la potenza lucana. Secondo Strabone la rivolta provocata da Dione di Siracusa, fu causata dall'avere i Lucani armato i loro servi dediti alla pastorizia per sostenere le numerose guerre[3]. La rivolta di quelli che i Lucani chiamarono Bretti ("ribelli" in osco, corrispondenti ai Bruzi) provocò l'etnogenesi di un nuovo popolo, che si consolidò intorno a Cosentia e sui monti della Sila, privando i Lucani del territorio a sud della linea Laos-Thurii.

Lo scontro con i Tarentini e gli Epirioti [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Storia di Taranto e Tarentum.

Interrotta ogni possibilità di espansione verso sud dalla nascita dei Bretti (i Bruzi dei Romani), i Lucani diressero le loro attenzioni verso lo Ionio, entrando in collisione con la principale potenza dell'area: Taranto. I Tarantini per reggere l'urto dei Lucani sul loro territorio e mantenere la posizione di predominio nello Ionio settentrionale dovettero ricorrere all'aiuto della madrepatria, Sparta. Il primo a soccorrere Taranto fu Archidamo III, re di Sparta che, nel 338 a.C., avrebbe trovato la morte sotto le mura di Manduria, combattendo i Messapi.

Nel 323 a.C. in aiuto dei Tarantini giunse Alessandro I d'Epiro, detto "il Molosso", zio di Alessandro Magno. Alessandro, dopo aver privato i Lucani delle città ioniche e restituito Heraclea a Taranto, conquistò l'Apulia; quindi, attraversando la Lucania, giunse sotto le mura di Poseidonia (Paestum). Qui i Lucani ed i loro alleati sanniti affrontarono in campo aperto la falange macedone uscendone completamente sconfitti. Alessandro, in questa occasione, probabilmente liberò, anche se

Page 20: MANDURIA E PANDOSIA

temporaneamente, Poseidonia; prese inoltre numerosi ostaggi fra le famiglie aristocratiche lucane deportandone molte in Epiro.

Con la battaglia di Poseidonia all'alleanza fra Lucani e Sanniti, da poco usciti dalla Prima guerra sannitica contro Roma, si contrappose un'alleanza tattica tra Alessandro ed i Romani[4]. Era ormai evidente il tentativo di Alessandro di realizzare in Occidente un dominio su tutte le città magnogreche e siceliote. In tale contesto, o proprio per questo, i Lucani trovavano nuovi alleati a sud nei Bruzi. Per evitare il congiungimento delle forze lucane con quelle bruzie, Alessandro si posizionò a Pandosia, ai confini tra i territori dei due popoli. Nel 338 a.C. il suo esercito, diviso in tre parti isolate fra loro a causa di un'alluvione, fu completamente distrutto da Bruzi e Lucani ed egli stesso trovò la morte, trafitto dal giavellotto di un ostaggio lucano[5].

Alcuni anni dopo, nel 323 a.C., i Lucani insieme ad altri popoli dell'Occidente, come narra Arriano, mandano legati a Babilonia in segno di amicizia alla corte di Alessandro Magno [6] .

I rapporti con Roma [modifica]

Le Guerre sannitiche [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Guerre sannitiche.

Durante la Seconda guerra sannitica i Lucani oscillarono fra l'alleanza con i Romani e quella con i Sanniti. In realtà la società lucana del tempo era divisa tra una fazione aristocratica filoromana ed una democratica vicina a Taranto e ai Sanniti[7].

Nel 302 a.C. Romani e Lucani sono di nuovo alleati contro l'ennesimo condottiero greco, Cleonimo, re di Sparta chiamato da Taranto. L'alleanza proseguì anche durante la Terza guerra sannitica, anzi questa fu causata proprio, come narra Tito Livio, dalla richiesta d'aiuto dei Lucani a Roma contro i Sanniti che, devastando i loro territori, cercavano di costringerli ad un'alleanza contro Roma[8].

Le Guerre pirriche [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Guerre pirriche e battaglia di Eraclea.

Al termine delle Guerre sannitiche, in prossimità dei confini settentrionali della Lucania i Romani fondarono la colonia latina di Venusia; intanto, anche grazie all'aiuto dei Tarantini, la fazione democratica prese il sopravvento fra i Lucani. Alleati con i Bruzi e con l'appoggio di Taranto attaccarono così Thurii, tradizionale nemica di Taranto e alleata di Roma. Thurii chiese l'intervento romano contro i Lucani nel 285 a.C. [9] e ancora nel 282 a.C. In questa seconda circostanza fu inviato il console Gaio Fabricio Luscino per respingere i Lucani, in un primo tempo alleati dei Romani, e porre nella stessa Thurii una guarnigione romana[10]. Non passò molto tempo prima che il principe lucano Stenio Stallio fosse sconfitto, com'è ricordato anche nei Fasti triumphales [11] [12] ; fu l'inizio della Guerra tarantina, che vide da un lato Roma e dall'altra Taranto con Lucani, Sanniti, Bruzi e soprattutto Pirro, re dell'Epiro.

Ad Eraclea, in territorio lucano, si scontrarono l'esercito romano e quello di Pirro; lo scontro fu favorevole a Pirro grazie all'uso degli elefanti da guerra, sconosciuti ai Romani, che li chiamarono "buoi lucani". Tuttavia la guerra si concluse favorevolmente ai Romani, che estesero la loro egemonia su tutta l'Italia meridionale. Nel 275 a.C. Marco Curio Dentato celebrò il trionfo sui

Page 21: MANDURIA E PANDOSIA

Lucani e nel 273 a.C. venne dedotte colonie a Poseidonia, che divenne la romana Paestum, e a Grumentum. I Lucani divennero socii, cioè alleati dei Romani, mantenendo i loro costumi ed istituzioni come tutti i popoli della penisola.

Le Guerre puniche [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Guerre puniche.

Durante la Seconda guerra punica, dopo la battaglia di Canne i Lucani, come buona parte dei popoli e delle città del Sud Italia si schierarono con Annibale, più per evitare i saccheggi degli invasori che per inimicizia verso Roma. Era un atteggiamento più che comprensibile considerata la strategia del logoramento adottata dai Romani che permise ad Annibale di restare diversi anni nell'Italia meridionale.

Puniti blandamente per il loro "tradimento", i Lucani tornarono ad essere socii dei Romani per lunghi anni fino a quando, nel 90 a.C., stanchi di partecipare alle numerose guerre romane senza ottenere vantaggi, chiesero la cittadinanza romana come gli altri popoli della penisola.

La guerra sociale e la guerra civile [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Guerra sociale e Guerra civile tra Mario e Silla.

La Guerra sociale che seguì al rifiuto del Senato romano di concedere agli Italici la cittadinanza vide i Lucani in guerra contro Roma, guidati da Marco Lamponio. Questi sconfisse presso Grumentum Licinio Crasso e più tardi la stessa città fu presa e saccheggiata. Lucani e Sanniti furono gli ultimi ad arrendersi e, quando i Romani nell'88 a.C. concessero la cittadinanza agli Italici, i due popoli furono gli unici ad esserne esclusi.

Pur avendo ottenuto successivamente la cittadinanza romana, i Lucani tornano a prendere le armi durante la guerra civile fra Mario e Silla, schierandosi con il primo, più favorevole agli Italici. Al ritorno di Silla in Italia tentarono, guidati ancora da Marco Lamponio, l'ultima carta con gli alleati Sanniti, guidati da Ponzio Telesino, soccorrendo il figlio di Mario assediato a Preneste, che preferì restare all'interno delle mura della città. Mentre una legione lucana guidata da Albinovano passò a Metello, gli altri Lucani affrontarono con i Sanniti Silla nella battaglia di Porta Collina, dove furono sconfitti.

La guerra sociale e la guerra civile furono devastanti per la Lucania, che subì le rappresaglie dei Romani e in particoalre di Silla; intere città, come Pandosia, furono rase al suolo. Ancora anni dopo quegli eventi, Strabone narra che «in seguito a queste disfatte i loro insediamenti sono assolutamente insignificanti, senza alcuna organizzazione politica e i loro usi, in fatto di lingua armamenti e vestiario, completamente tramontati».

La battaglia di Porta Collina fu l'ultimo atto dei Lucani come popolo autonomo; dopo di allora, le loro vicende si confondono con quelle dell'Italia romana. Il loro territorio venne organizzato con quello dei Bruzi nella Regio III Lucania et Bruttii.

Società [modifica]

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Questa sezione sull'argomento popoli antichi è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia.

Nella sua Geografia, Strabone afferma[senza fonte] che avevano istituzioni democratiche, tranne che in tempo di guerra, quando i magistrati in carica sceglievano un dittatore. Strabone descrive una terra ormai in decadenza, con poche città, ormai prive di qualunque peso e prosperità, ricoperta di foreste abitate da cinghiali, orsi e lupi. L'attività principale era la pastorizia.

Religione [modifica]

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Dal punto di vista religioso, oltre al culto di Mamerte (il Marte dei Romani), era particolarmente diffuso il culto di Mefite, dea delle acque.

Economia [modifica]

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Gli usi dei Lucani erano in tutto simili a quelli delle altre popolazioni sabelliche: abitavano città poste su alture e vivevano prevalentemente di pastorizia, anche se, nel secolo successivo al loro insediamento, alla pastorizia si associò l'agricoltura e si diffuse l'uso di abitare in fattorie sparse sul territorio.

Lingua [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Lingua osca.

I Lucani parlavano l'osco, una lingua indoeuropea del gruppo osco-umbro diffusa tra numerosi popoli italici ad essi affini, come i loro vicini Sanniti, che avevano assorbito gli Osci nel V secolo a.C.

Appresero l'uso della scrittura dai Greci; le loro iscrizioni, pur essendo in lingua osca, utilizzavano perciò l'alfabeto greco.

Cultura [modifica]

Arte [modifica]

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Page 23: MANDURIA E PANDOSIA

Dagli scavi di Paestum, e particolarmente dalle tombe lucane, è possibile avere testimonianza dagli arredi funebri e dai dipinti. Il tema principale è quello del ritorno del guerriero; diffuso appare l'uso del cinturone di bronzo, elemento distintivo dei maschi in età adulta, della corazza a tre dischi e dell'elmo corinzio, spesso adornato con penne d'uccello (costumi tipici delle popolazioni sannite)[senza fonte].

Note [modifica]

1. ̂ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 98. 2. ̂ Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, XIV, 10. 3. ̂ Strabone, Geografia, IV, 5. 4. ̂ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VIII, 17. 5. ̂ Livio, VIII, 24. 6. ̂ Arriano, Anabasis Alexandri, [senza fonte]. 7. ̂ Livio, X. 8. ̂ Livio, X, 11. 9. ̂ L. Pareti, A. Russi, op. cit., pag. 314. 10. ̂ Tito Livio, Periochae degli Ab Urbe condita libri, libro XII, 2. URL consultato il 17-04-2009. 11. ̂ Fasti triumphales celebrano per il 282/281 a.C.: Gaio Fabricio Luscino, console, trionfò su

Sanniti, Lucani e Bruzi, alle none di Marzo (5 marzo). 12. ̂ A. Piganiol, op. cit., pag. 181.

Bibliografia [modifica]

Fonti primarie [modifica]

Plinio il Vecchio , Naturalis Historia Strabone , Geografia Tito Livio , Ab Urbe condita libri Diodoro Siculo , Bibliotheca historica Arriano , Anabasis Alexandri Appiano di Alessandria , Storia romana

Letteratura storiografica [modifica]

Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità , Ed. di Storia e Letteratura, 1997. ISBN 9788887114232

André Piganiol, Le conquiste dei Romani , Milano, Il Saggiatore, 1989 . ISBN 88-04-32321-3

Voci correlate [modifica]

Bruzi Lingua osca Lucania Osci Popoli dell'Italia antica Sanniti

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Page 24: MANDURIA E PANDOSIA

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MANDURIA

 

Manduria è considerata uno dei centri messapici più significativi,

tanto da aver ottenuto un finanziamento dell'Unione Europea per la

realizzazione del Parco Archeologico.

L'originario abitato di Manduria,, uno dei cui primi nuclei dovette

essere tra l'altro ubicato, per così dire, fuori mano, nei pressi del

cavalcavia per Lecce dove recentemente è stata scoperta una necropoli

alto-arcaica (VII sec. a.C), priva di fortificazioni. Solo intorno al 500

a.C. Manduria venne dotata del muro di fortificazione più interno, per

una circonferenza di almeno 3300m. Al periodo della contrapposizione

di Taranto ai messapi e ai restanti popoli apuli dalla metà del IV sec

a.C., viene attribuita la cosiddetta seconda cerchia. Una raffinata

muraglia da intendersi quale rinforzo e restauro della prima cinta.

Il muro  più esterno risulta il più imponente e capace di incutere

notevole suggestione per le poderose dimensioni. Infatti essa, con

perimetro  orientativamente di cinque chilometri e mezzo, presenta

una larghezza fra i cinque e i sei metri ed è costituita da due parametri

esterni di blocchi isodomici e da un riempimento di pietrame informe

e terra. E' dotata contemporaneamente di un altrettanto poderoso

fossato spesso quattro metri e mezzo e profondo tre. Allo stato attuale

sono ben evidenti due interruzioni  in rapporto con la presenza di

porte in coincidenza delle antiche carraie che dall'interno dell'abitato

si dirigevano verso il territorio circostante. Queste porte murarie

dovevano essere chiuse da battenti lignei come comprovano i fori dei

cardini tuttora evidenti ed erano rinforzate da torri. Di cui possono

distinguersi sia allineamenti di fondazione, ma anche l'evidenza

diretta di un torrione circolare ancora conservato in via del Fossato.

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L'altra testimonianza che Manduria preserva sono le estese necropoli

tutt'attorno alle mura antiche. Tombe del tipo a fossa rettangolare in

numero di diverse centinaia raccolte in gruppi presumibilmente in

relazione alle stesse appartenenze familiari. In origine coperte da

lastroni, di cui non resta alcuna traccia per il probabile riuso nel corso

dei secoli passati, in molti casi sono ben intonacate e con tracce di

pittura a piccole fasce e linee. Sono dotate di pozzatti in cui spesso si

sono rinvenuti gli oggetti di corredo.

 

PREISTORIA ED ETA' DEL FERRO

Se incerta e' l'attribuzione al territorio della città, di un'ascia

paleolitica dalla Collezione Arno', consistente e' la documentazione del

periodo Neolitico a "Monte Maliano", "Borraco", "Li Castelli".

Significative sono pure le emergenze relative all'età' del Bronzo, cui

fra l'altro si riferisce il ripostiglio di utensili metallici rinvenuto nella

contrada "li Strazzati".

Al popolamento diffuso delle fasi preistoriche, fa seguito, nel periodo

"iapigio - messapico", la nascita di due nuclei abitati l'uno presso la

moderna Manduria, l'altro a "Li Castelli". In questa ultima località,

notizie recenti, ma ancora ufficiose, parlano del rinvenimento di

ceramica "Micenea" e ceramica greca d'importazione della seconda

metà del VIII secolo A.C.

Inoltre si ipotizza che, almeno per un certo periodo, "Li Castelli"

abbiano potuto svolgere la funzione di avamposto fortificato sullo

Ionio, dipendente dalla colonia greca di Taranto, fondata nel 703 A.

C.    Il periodo Iapigio, tra Bronzo Finale ed età del Ferro, comincia

appena a ricomparire, sono invece innumerevoli le evidenze che fanno

di Manduria una tra le più importanti città messapiche.

 

Page 26: MANDURIA E PANDOSIA

L'ETÀ  MESSAPICA

  La città partecipa pienamente al quadro storico relativo all'antico

Salento "iapigio - messapico", sviluppandosi e assumendo rilevanza

tale da essere citata nell'opera di Plutarco, Tito Livio e Plinio.

Manduria, dopo la pacifica convivenza iniziale con la vicina colonia

spartana di Taranto e con le altre città greche limitrofe dell'arco

ionico, inevitabilmente partecipa alle guerre che oppongono Tarantini

e Messapi sin dagli inizi del V secolo A. C. Quando cominciano una

serie di scontri, a motivo delle ripetute razzie tarantine per

l'approvvigionamento di cavalli e di manodopera servile in terra

messapica. Più o meno nel 500 A. C. si colloca la distruzione tarantina

di Carbina (attuale Carovigno). Col bottino dei vinti i Tarantini fanno

erigere un primo Donario bronzeo presso il Santuario di Delfi, opera

dello scultore Agelades di Argo. Ma i Messapi fanno fronte comune

contro i Tarantini e i loro alleati Reggini. In una battaglia indicata

dalle fonti come la più tremenda sconfitta subita da un popolo greco

nel 473 A. C. ottengono la loro rivincita. Un nuovo scontro, in cui i

Messapi sono di nuovo sconfitti, fa seguito nel 460 A. C. Anche questa

volta, Taranto celebra la sua vittoria con un gruppo bronzeo

commissionato a Onatas di Egina e ad un'altro scultore' offerto ancora

nel santuario di Delfi. Circa un secolo dopo Taranto  costretta dalla

pressione dei Lucani e dei Messapi insieme, si rivolge a diversi

condottieri stranieri, fra i quali Archidamo re di Sparta, figlio di

Agesilao. Costui, alla guida degli ospiti e della cavalleria tarantina,

muore in combattimento presso le mura di Manduria nel 338 A. C.

Nella circostanza le spoglie del re non sarebbero state restituite ai

Tarantini, un'ipotesi e' quindi che la tomba di Archidamo di Sparta si

trovi in territorio di Manduria, ma non e' stata mai rinvenuta fino ad

oggi.

 

L'ARRIVO DEI ROMANI, LA II GUERRA PUNICA, FABIO MASSIMO

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C'e' spazio per un altro cinquecento di pace, ma nella prima metà del

III secolo A. C. Taranto i Messapi debbono allearsi contro le legioni

romane che, già impossessatesi di tutto il territorio italico, minacciano

l'estremo lembo salentino.

 E' l'epoca della presenza di Pirro, re d'Epiro, il cui intervento in aiuto

di Taranto e della Lega Italiota (cui dovettero aderire gli stessi

Messapi), dopo alterne vicende si conclude nel nulla di fatto. Roma

sottomette il Salento messapico per la prima volta nel 260 A. C. Nel

corso della II Guerra Punica, Manduria e altre città messapiche e

apule  si alleano con Annibale, confidando di potersi liberare della

soggezionea Roma.  Una speranza vana. Nel 212 A. C., il console

Quinto Fabio Massimo si impossessa di Manduria, deporta 4000

Manduriani e la priva delle sue ricchezze. Saccheggia l'intero Salento,

nel 209 A. C. conquista Taranto, con un ricchissimo bottino di tesori

d'arte che contribuiscono a rendere fastose le celebrazioni del suo

trionfo a Roma. I Messapi tentano l'ultima disperata e inutile rivolta

contro Roma attorno all' 80 A. C., nel corso della Guerra Sociale.

Contro l'ipotesi della totale distruzione di Manduria antica ad opera di

Quinto Fabio Massimo, depongono ora alcuni rinvenimenti

archeologici che sembrano dimostrare come, in epoca romana il suo

territorio non restò deserto venendo adibito alla produzione agricola. 

Avviene a Manduria sostanzialmente qualcosa di simile alle limitrofe

aree messapiche conquistate. Il popolamento ritorna sparso per lo più

per nuclei rurali, come quello indagato dalla Soprintendenza alle

Antichità di Taranto in località "La Staffa" (Manduria). Dove sembra

confermata la frequentazione fino ad età Imperiale, nel III secolo D. C.

 

TARDO ANTICO MEDIOEVO

    Il Tardo Antico e l'Alto Medioevo, in una Manduria di per sé già

oltremodo impoverita, sono fasi oscure, caratterizzate dalla scorrerie e

Page 28: MANDURIA E PANDOSIA

dai saccheggi ad opera di Saraceni, Goti  ed Agareni, come di consueto

narrano gli autori di Storia Patria. Per ricostruire le vicende nei secoli

che dividono dalla sua rinascita, nel 1090 col nome di Casalnuovo (per

volontà di Ruggiero il Normanno), vanno prese in considerazione e

attentamente studiate le molte tracce di popolamento sparse in tutto il

territorio cittadino. tracce di vita di epoca medioevale sono state

recuperate attorno alla chiesetta di S. Pietro Mandurino e attorno al

Fonte Pliniano. Ed esistono tracce ed anche citazioni in documenti sui

Casali di "Bagnolo", "S. Anastasio" e "S. Sebastiano". Ruggiero il

Normanno, nonno di Costanza d'Altavilla, madre di Federico II,

nell'ambito dell'iniziativa di rafforzamento e ripresa delle terre

conquistate, verso la fine dell'XI secolo A. C., avvia lo sviluppo del

piccolo nucleo di Casalnuovo. Questo nome da' il capostipite della

famiglia Normanno - Sveva al piccolo borgo medioevale che viene

edificato nella parte sud - occidentale della città antica, al riparo delle

ancora possenti Mura Messapiche di Manduria. Sorgono il Castello e la

Chiesa medievali ed il piccolo abitato di povere case noto, da allora,

come "la Terra". Un muro difensivo che cingeva Casalnuovo ad Est,

all'epoca di Ruggiero, e' stato individuato di recente tra scantinati e

giardini di edifici attuali. L'impianto medioevale si manifesta inoltre

nella strutturazione di piazzette, "larghi" e "vicini" del Centro Storico.

Archidamo IIIDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Busto di Archidamo III, già attribuito ad Archimede; Napoli, museo nazionale.

Archidamo III (greco Αρχίδαμος; ...) figlio di Agesilao II, fu re di Sparta dal 360 a.C. al 338 a.C..

Archidamo comandò le forze spartane sia prima che durante il suo regno. Archidamo guidò le forze mandate ad aiutare l'esercito spartano sconfitto dai Tebani alla battaglia di Leuttra nel 371 a.C. e successivamente fu comandante durante i combattimenti avvenuti nel Peloponneso. Archidamo sconfisse gli Arcadi nel 367 a.C. ma a sua volta fu da loro sconfitto nel 364 a.C. a Cromnus. Nel 362 a.C. mostrò grande coraggio nella difesa di Sparta contro il comandante tebano Epaminonda. Durante il suo regno Archidamo sostenne i Focesi contro Tebe nella guerra sacra del 355-346 a.C. Nel 346 a.C. andò a Creta per aiutare la città di Lyttos nella lotta contro Cnosso durante la cosiddetta guerra straniera. Nel 343 a.C. la colonia spartana di Taranto chiesto aiuto a Sparta nella guerra contro le popolazioni italiche, soprattutto contro i Lucani. Nel 342 a.C. Archidamo arrivò in Italia con una flotta e un esercito e combatté contro tali popolazioni, ma nel 338 a.C. fu ucciso sotto le mura della città messapica di Manduria.

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