Maggio 2009 - n. 2 - Anno 19° - coeweb.org · nipote di Graziosa Invernizzi. ALESSANDRO POLVARA...

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Sped. in abb. postale ART. 2. Comma 20/C Legge 662/96 Filiale di Lecco - Anno XVI IL COE AL SERVIZIO DELL’UOMO Maggio 2009 - n. 2 - Anno 19°

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IL COE AL SERVIZIODELL’UOMO

Maggio 2009 - n. 2 - Anno 19°

La nostra gioia viene dalle immagini create dai registi e dagli operatori del cinema d’Africa e straripa come nuovo, fresco fremito di vita che arriva a toccare tutto il mondo.

Maggio 2009 - Anno 19° - n. 2Registrazione Tribunale di Milano

n. 245 dell’11 Aprile 1992Bimestrale

Sped. in abb. postale Art. 2Comma 20/C Legge 662/96

Filiale di Lecco - Anno XVI

Direttore responsabileMaria Spoti

RedazioneDino Ticli

Prashanth CattaneoRita BonacinaLisetta Bianchi

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S O M M A R I O3 Far bene qualcosa...

4 “Me ne vado”

56 La bellezza dei popoli

8 Ginette Flore Daleu

9111314 Il Festival del COE

15 Artisti a Kinshasa

16 Bambini di Rungu

17 Breve visita

1819 Un papà camerunese

20 Durga, la dea guerriera

21 Il rickshaw, Jackia ed io

22 Progetto Colombia

23 Libri

1996 - Don Francesco incontrail Card. Carlo Maria Martini

al Festival del Cinema Africano

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IL COE AL SERVIZIODELL’UOMO

Maggio 2009 - N.2 - ANNO 19°

Quasi un decalogosulla famiglia

Africa e Indiala strana coppiaUn evento che ci porta ogni anno in mezzo al nostro mondoLe pellicole e i videoche non dimenticheremo

Piccolo diario illustratodi un ritorno a Mbalmayo

editorialeFAR BENE QUALCOSA...

di Gigi

Nel viaggio in Italia di Goethe si trova la seguente affer-mazione: «Intendere presto qualcosa è una naturale proprietà della mente, ma far bene qualcosa richiede

l’esercizio di tutta la vita». Potrebbe sembrare paradossale, perché intendere potrebbe riferirsi ad ardui argomenti che chiamano in causa il pensiero con le sue arditezze e con certi suoi difficili procedimenti mentre il fare sembra più amabil-mente a portata di mano, qualcosa per la quale siamo più convenientemente attrezzati. Goethe, come si può dedurre da quell’affermazione, era convinto del contrario. Egli, però, non si limita ad indicare il fare, l’azione; specifica che mag-giormente impegnativo è il far bene qualcosa… La differenza è evidente. Ca-pire (“intendere qualcosa”) richiede l’uso delle nostre capacità intuitive e la cono-scenza di processi logici più o meno complessi, ma che sono nella nostra più rapida capacità di apprendimento; fare bene qualcosa esige, in-vece, un impegno che dura una vita intera.Aveva ragione Goethe quando dava rilievo a quel-la differenza? Pensiamo di sì. Far bene qualcosa com-porta non il semplice ap-prendimento di una nozio-ne/situazione ma una sorta di disposizione a verificare continuamente l’esito del proprio operare, un rimodellare continuamente l’atteggiamento che assumiamo sia nei confronti di noi stessi, sia nei confronti de-gli altri. Nei confronti di noi stessi, perché ad ognuno di noi è richiesta una disposizione favorevole a coltivare quanto di po-sitivo la realtà o le varie situazioni dell’esistenza ci consentono di scoprire e di utilizzare per un accrescimento; nei confronti degli altri, perché noi non siamo responsabili solo di noi stes-si. Siamo responsabili anche degli altri, partecipiamo alla loro vita anche quando sembra che essa sia lontana da noi. L’altro esiste e non possiamo non prenderne atto. Egli ci si presenta ogni giorno e nelle più varie circostanze della vita; ri-chiede la nostra attenzione, reclama la nostra comprensione. Far bene qualcosa allora, e ad esempio, può essere proprio il modo in cui ci rapportiamo a lui, la qualità del nostro impe-gno nei suoi confronti. Non è facile né pensarlo (intendere!) né tradurlo in pratica (far bene qualcosa). Non basta. Riferito alla vita stessa, il far bene qualcosa ci invi-ta a renderci conto che la vita stessa, a fronte delle esperienze che in essa volontariamente o involontariamente ci troviamo ad attraversare, richiede una continua riflessione, una rimo-

dulazione dei nostri modi di vedere, un continuo e sensato adattamento alle variazioni che in essa si verificano. Non è, però, questo esercizio, un banale adattarsi alle circostanze dell’esistenza. Adattarsi significa infatti, in questo caso, im-parare a cavarsela in alcune circostanze con un pizzico di fortuna, in altre con le furberie insegnateci dalla conoscenza e dalla pratica dei nostri simili. La furberia è un espediente, e l’espediente è un modo facile per tirarsi fuori momenta-neamente da una situazione di disagio. Quando la usiamo, a vantaggio nostro o altrui, ci accorgiamo che, in fondo, non ci abbiamo ricavato molto rispetto a quello che ci attendevamo

e non possiamo dirci soddi-sfatti nemmeno della nostra eventuale ingegnosità nel porre in atto la furberia. E poi! la furberia è all’inse-gna dell’imbroglio e, certo, non ci allena a realizzare qualcosa di ben fatto, pro-prio perché è una soluzione provvisoria ed arrischiata. Non è far bene qualcosa…Perché il far bene qualcosa sia esercizio di un’intera vita possiamo comprenderlo da noi. Goethe non ci ha det-to qualcosa di straordinario, ma ha fatto bene a ricor-darci con quella massima la serietà occorrente a chi vuol condurre una vita non

all’insegna di una provvisorietà svagata o a quella d’un tirare a campare in cui l’approssimazione in ogni cosa sembra la ri-sorsa più sicura, ma una vita degna di essere vissuta, costruita giorno per giorno in un esercizio talvolta duro di confronto con la realtà. Una vita appagante contro una vita quasi priva di senso. Far bene una cosa richiede impegno, applicazione, pazienza, perseveranza…Occorrono virtù che ci sono state suggerite e mostrate come quelle che contengono in sé un’idea di costruzione, di lavoro continuo ed accurato, di coraggio nel saper vincere le difficol-tà, di applicazione fiduciosa, di speranza nel senso di quello che facciamo e che mira ad un risultato non provvisorio, a qualcosa che duri e non si sgretoli appena uscita dalle nostre mani.Far bene qualcosa, per la quale occorre una vita intera, è cre-dere nelle possibilità della vita stessa, nelle risorse che essa ci offre, nelle domande che ci pone e alle quali degno dell’uo-mo è rispondere. E anche per rispondere alle serie richieste della vita, per far bene quel qualcosa che si chiama ed è vita, occorre prospettarsi una lunga pazienza, una strenua fedeltà al nostro essere uomini.

«ME NE VADO…»

Se ne va il Signore, ritorna al Padre dal quale era venuto, e ci lascia soli sulle nostre strade insicure,

piene di agguati e di tentazioni.Se ne va e ci lascia, ma per metterci in cammino:«Andate!…».Con lui vicino, con la sua pre-senza rassicu-rante, con lui che aspettava il nostro ritorno, ascoltandone il resoconto, era più facile andare senza bastone, senza bisaccia, senza denaro.Ma ora? A chi raccontare le no-stre avventure, il lavoro apostoli-co, i frutti della predicazione?Dove sei andato, mi vedi, mi senti, mi ascolti? Che nostalgia di cielo, là dove tu ora siedi alla destra del Padre.A noi che restiamo tu chiedi la fede: fidarci di un corpo assente, di una Pa-rola che risuona e riaccende nel cuo-re la speranza: «Vado a prepararvi un posto».Ci hai preceduto sulle nostre strade, ci precedi nel tuo essere con Dio, e lì ci aspetti.La nostra vita diventa una viva attesa del ricongiungimento: di nuovo insie-me!E tu con noi ancora a darci forza in questo nostro camminare: «Il Signore operava insieme con loro».Ancora vicino nelle nostre lotte, nel nostro vagare, nella incapacità di an-nunciare, di vivere il tuo Evangelo.Vicino, confermando la Parola dell’an-nuncio con prodigi, perché sei tu che

agisci in noi. La tua assistenza spirituale ci segue, ci consola, perché il tuo spiri-to di Risorto anima il nostro andare.Luca nel suo vangelo ci parla di una nube che ti sottrae ai nostri sguardi,

nube che ri-chiama quella che guidava il popolo del-l’esodo attra-verso il deser-to, quella stessa che avvolgeva il Sinai mentre Dio parlava a Mosè. E, come ci dice il libro del-l ’Apocalisse, la conclusione della storia avrà ancora come protagonis t a una nube: «Io guardai anco-ra, ed ecco una nube bianca e sulla nube uno stava seduto,

simile a un Figlio d’uomo» (14,14).La nube rappresenta la tua infinita tra-scendenza, Dio, legato e nello stesso tempo separato e lontano dalla nostra storia.Ma guardare la nube significa seguire Cristo, tuo Figlio, nel suo movimen-to ascensionale, come ci invita a fare san Paolo: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1).Quindi è bene avere «la testa nelle nu-vole», perché sono troppe le cose che ci chiudono in un orizzonte limitato e mortificante.Non c’è solo la terra, ma anche il cie-lo.Non c’è solo l’oggi, ma anche il futuro di Dio.

Il Signore ha accolto nella pace della sua casa

FRANCESCO BORIS MAKOVECpapà di Nicoletta Makovec.

NICOLETTA RUSCONInipote di Graziosa Invernizzi.

ALESSANDRO POLVARAcognato di Don Giuseppe Longhi.

PEPPINO TAGLIABUEfratello di Maria Rosa e Piera.

PADRE PAOLO TABLINOè partito per il cielo! A Nairobi, in un ospedale il 4 maggio 2009. La notizia ci giunge da Marsabit dove P. Paolo ha vissuto l’ultimo perio-do della sua vita, nel silenzio e nel raccoglimento del Santuario-Cen-tro di Preghiera, sul Monte di Ma-ria Consolata. In molte occasioni abbiamo potu-to godere della sua amicizia e ap-prezzare la sua profonda cultura e grande esperienza di studioso e di missionario tra le popolazioni del Nord del Kenya, particolarmente Gabbra e Borana. Alcune sue ri-cerche sono state pubblicate. Con-servava un ricordo vivo e grato di don Francesco e tante volte ne ha voluto dare testimonianza nelle sue lettere. Lo ricordiamo con grande riconoscenza.

MONS. ERNESTO COMBIun sacerdote amico che volentieri trascorreva qualche momento del-l’anno nella casa di Barzio, da cui partiva per lunghe camminate sulle montagne che tanto amava. La sua serenità, anche durante l’ultima presenza, all’inizio di questo anno, non faceva sospettare la gravità del male.Lo ricordiamo anche per il suo grande servizio alla chiesa come professore, autore di molti testi e, ultimamente, Vicario Episcopale per gli affari economici e Economo della Diocesi di Milano.

Tutta la comunità del COEli ricorda con affetto ed è vicinaai loro cari con la preghiera.

Ci hanno lasciati

Il dott. Mario Mozzanica, spaziando tra gli scritti di don Francesco Pe-dretti, ha tratto dieci riflessioni sulla

famiglia e ne ha colto profili educativi e profili spirituali.Primo punto. La famiglia oggi non è sostenuta nel suo stare insieme da motivazioni culturali e istituzionali. È necessario ritornare alle radici esisten-ziali della famiglia contro le tendenze disgreganti della società.Secondo punto. La famiglia deve essere aiutata a riconoscersi come tale. Ogni famiglia ha la sua storia ed è luogo di ri-conoscenza e conoscenza: riconoscen-za verso le proprie famiglie di origine che hanno permesso l’incontro di due diversità. La conoscenza di se stessi e della propria identità diventa possibile nella convivialità delle differenze.Terzo punto. La famiglia è come una comunità perfetta che offre ai compo-nenti tempi, spazi, orientamenti per crescere. Le istituzioni, anche a livello organizzativo, dovrebbero aiutare le famiglie. Famiglie amiche tra loro pos-sono aiutarsi sostenendosi vicendevol-mente.Quarto punto. La famiglia è anche luo-go di gioie che vanno scoperte e cu-stodite giorno dopo giorno. In questa intimità, anche i figli devono trovare un luogo sereno di accoglienza.

QUASI UN DECALOGOSULLA FAMIGLIA

di Dino Ticli

Quinto punto. La famiglia è anche luo-go della reciproca fedeltà dove ciascu-no può dire all’altro: mi fido e mi affido a te.Sesto punto. La famiglia è lo spazio di una reciproca promessa: “esci dalla tua terra e vai nella terra che ti indicherò”. Con il matrimonio inizia un viaggio che vede unita la coppia contro fatiche e difficoltà nella promessa di affrontar-le insieme.Settimo punto. La famiglia è il luogo del dono e dello scambio vicendevole;

anche i figli incre-mentano il dono della reciprocità. È importante però che marito e mo-glie abbiano dei momenti e degli spazi propri per curare il loro esse-re coppia e quindi buoni genitori.Ottavo punto. La famiglia è un iti-nerario condiviso. Come è accaduto ai discepoli di Em-maus che hanno riconosciuto il Si-gnore solo quan-

do è scomparso alla loro vista, a volte si riscopre, si riconosce un dono solo quando non è più presente; ad esem-pio, quando un figlio prende la sua strada, seguendo la propria vocazio-ne, la famiglia cambia e si accorge di quanto si è arricchita umanamente e spiritualmente grazie a lui nello scam-bio tra dare e ricevere.Nono punto. La famiglia come garan-zia di appartenenza è il luogo che ci offre una patria, una casa. Non è tutta-via uno specchio che riflette impeden-do che la vista possa spaziare, ma una finestra aperta attraverso cui si può guardare lontano con la sicurezza di avere un posto in cui siamo attesi. Decimo punto. Contro l’assistenzia-lismo, nella cordialità dell’incontro, può nascere la “famiglia di famiglie”; uno stare insieme non troppo struttu-rato, ma al contrario che offra spazio per tutti (ad esempio per chi è separa-to o per chi ha figli problematici). La famiglia di famiglie è luogo di ascol-to, di scambio, di comunicazione, di amicizia. Nella comunità ogni fami-glia deve mantenere la dimensione della riservatezza, dell’intimità per la cura di sé, ma può abbracciare la di-mensione dell’apertura e della condi-visione.

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Ripercorrere gli scritti di don Francesco sull’arte significa ri-trovare alcuni dei riferimenti

fondamentali del suo insegnamento. Nel suo pensiero l’impegno a creare le condizioni che rendano possibile un percorso di sviluppo individuale e collettivo è sempre legato alla crescita culturale di tutti i soggetti che vi sono coinvolti. “La passione fondamentale è quella di cercare il modo migliore non solo di aiutare persone, fratelli di una cultura diversa, ma lo stile più adatto per promuoverne la formazione e la cultura, per destare un impegno vivo per l’autosviluppo e per crescere insie-me.”L’arte ha uno spazio determinante in

LA BELLEZZA DEI POPOLIL’arte negli scritti di Don Francesco

di Bianca Triaca

questa visione: “Il progresso culturale è fondamentale per il cammino di cre-scita di ogni popolo e l’arte offre segni nuovi, visioni diverse del mondo, sti-moli ad andare oltre la linea della me-diocrità, segni leggibili da tutti i popo-li.” Il rispetto per le diverse culture ac-compagna sempre in don Francesco l’impegno a dare loro spazio, ascolto e visibilità.“Abbiamo incontrato Ibraheem Agboo-la, è un giovane pittore nigeriano… At-traverso le immagini… ci fa partecipi di tradizioni antiche e di valori eterni. Si è riacceso in noi il desiderio di dialogo con tutte le culture e abbiamo cercato e raccolto frammenti di poesia che aiu-

tano a scoprire le radici delle figurazio-ni…” Tra questi frammenti ci sono brani della Genesi, del Corano, della cosmo-gonia yoruba, di Sedar Senghor… Ac-compagnano le immagini intense di Ibraheem Agboola, che affiorano da una varietà di culture: Obatala, Adamo ed Eva, l’Arca di Noè, il sacerdote Ifa… “Dobbiamo sentire come ogni tempo, ogni cultura, porta delle luci e dei valori e come tocca a noi lasciarci plasmare, cambiare mentalità per fare una storia nuova..” Avremmo ancora bisogno, oggi, di un messaggio di questo valore, proposto con altrettanta chiarezza e con altrettanta qualità di contenuti.Don Francesco è un uomo di fede, nel suo sguardo sul mondo è sempre

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presente il riferimento a un cristiane-simo profondamente vissuto. La sua apertura intellettuale coraggiosa e la sua illuminata disponibilità a cogliere tutta la ricchezza del Vangelo gli per-mettono di interpretarne con pienezza l’insegnamento. Scrive don Francesco: “Gesù ama parlare e oltre a richiamare le responsabilità le spiega attraverso le parabole… In tutte le culture ci sono fiabe, racconti, tradizioni che cercano di spiegare la bellezza del mondo, del-la vita e lo stile con cui noi dobbiamo comportarci. Non solo non bisogna ave-re paura di usarle ma bisogna ricercare, imparare e avere un ricco patrimonio culturale cui attingere con varietà. E’ questo un metodo insegnatoci da Gesù e presente in tutte le culture.” I miti, le leggende dei popoli sono le “parabo-le” che l’arte racconta fin dall’antichità e di cui la sensibilità culturale di don Francesco sanno cogliere pienamen-te il significato. Scrive in occasione di un’esposizione di Mario Tapia intitola-ta “Pacha Mama”, una divinità venera-ta dai popoli andini: “I dipinti ispirati alla mitologia e alle leggende del Cile, ai sentimenti e ai gesti della gente, agli avvenimenti della quotidianità, intesso-no una storia di uomini e di spirito in cui fioriscono le sofferenze, la poesia e l’arte della vita. Attraverso questo gesto il COE esprime la propria solidarietà e simpatia per un popolo che, nono-stante le pesanti difficoltà, continua ad affermare l’impegno di camminare con tutti verso la piena libertà.” Convivono in don Francesco la passio-ne per la diversità culturale e il dolo-

re par la disparità sociale. “Una per-sonale del pitto-re zairese Tondo Mambengi non è solo una rassegna di opere, la visio-ne di un tratto del cammino di un ar-tista, ma è il luogo in cui si coglie uno dei tanti valori e dei tanti problemi dell’Africa... Mam-bengi ha sentito nel suo cuore il sospirare forte del-la donna, ha visto gli occhi diversi, pieni di infiniti sen-timenti, della don-na zairese, della donna africana. La promozione della donna è diventato problema mondia-le. Mambengi l’ha sentito e visto con i colori della realtà del suo paese afri-cano. I drammi gravi delle donne sfi-nite dal lavoro, esaurite dagli impegni della famiglia numerosa, nell’estrema povertà di mezzi e di cultura e nella fatica di un lavoro immane. …Questi tratti dolorosi della donna africana e della madre africana Mambengi soffre e grida con dolore, col desiderio che la donna sia riconosciuta nei valori come la sua Africa…”Un capitolo molto importante dell’atti-

vità culturale promossa da don France-sco riguarda il cinema. Nel 1991 avvia a Milano il Festival del Cinema Africa-no, che compie 19 anni in questi giorni ed è una preziosa eredità da protegge-re e conservare.“…un Festival del Cinema Africano non è una manifestazione che si so-vrappone alle altre, ma un momento qualificante di una città multicultura-le che non si limita a respingere ogni distinzione e discriminazione razziale, preoccupandosi delle urgenze della prima accoglienza, ma promuove il dialogo interculturale come condizio-ne d’accoglienza e di crescita sociale insieme. Contro i razzismi e le discri-minazioni più sottili non è sufficiente marciare insieme. Occorre promuo-vere una cultura dell’accoglienza, del rispetto e della stima reciproca, della collaborazione dignitosa, della ricerca e dello scambio dei valori. …Il Festival del Cinema Africano a Milano si pone, dunque, in una dimensione di educa-zione al dialogo tra uomini di diverse culture e si afferma come un orienta-mento alla conoscenza aperta degli al-tri, all’ascolto, al dialogo con tutti, in un cammino di armoniosa acculturazione e di fraternità.”Ibraheem Agboola, Il Sacerdote IFA - perline - olio su legno 62x100

Mario Tapia, Pillan

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Sabato 18 aprile 2009, presso il Museo Giuseppe Gianetti di Saronno, è stata inaugurata

la mostra personale di Ginette Flore Daleu “Bessengue: la materia rac-conta”, opere di un’artista cameru-nense che ha frequentato l’istituto IFA (Istituto Formazione Artistica) di Mbalmayo in Cameroun, diplo-mandosi nel 2000. Ancora poco conosciuta in Italia dal grande pubblico, ha però già vinto diversi concorsi nazionali, attiran-do sempre più l’attenzione a livel-lo estero: è stata premiata al Con-corso Nazionale CPS di Mbalmayo nel 2000 e nel 2004 e al Seminario Culturale Spagnolo nel 2005. Ha inoltre partecipato nel 2006 al progetto “Exit Tour”, un viaggio di scambio e di creazioni plastiche che le permisero di esporre le sue opere in cinque paesi dell’Africa dell’ovest.La pittura di Ginette non è una pittura semplice e spoglia, come ci si potrebbe aspettare parlando di “pittura africana”, ma l’artista si

pone come un ponte tra il vecchio e il nuo-vo, rappresentando l’arte africana contem-poranea, divenendo protagonista assoluta del suo tempo e della sua cultura, e vivendo la sua arte quotidia-namente, attivamente e con passione. Tan-to nei ritratti quanto nell’astratto, la pittrice costruisce la sua opera utilizzando tecniche e materiali misti, che le permettano il contatto diretto con la materia: strisce, scalfitture e pieghe, stoffe, cartoni e lamiere.Ispirata dalla pover-tà delle bidonville di

GINETTE FLORE DALEU“La principessa dal pennello d’oro”

di Giuseppe Pizzagalli

INFORMAZIONI: Museo Giuseppe Gianetti - Via F. Carcano 9 - 21047 Saronno (Va)Tel./Fax 02.9602383 - www.museogianetti.it - www. coeweb.org - www. cumse.it

“Espérance” - Technique sur toile sur toile - 55x65cm - 2007

Douala, la materia pren-de forma e diventa così rappresentazione della vita quotidiana della sua gente, della famiglia, del lavoro e dei loro conflit-ti interiori. Ginette, che ama definirsi “la princi-pessa dal pennello d’oro”, vuole anche esprimere attraverso la sua arte la difficoltà dell’essere don-na e artista nella società africana e mostrare la sua estrema sensibilità nel raccontare e rendere omaggio alla vita sempli-ce della sua terra.“Nous“ - Technique mixte sur toile - 80x80cm - 2006

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I dati, intanto, parlano piuttosto chiaro: le relazioni commerciali tra Africa e India sono aumentate di 6 volte negli ultimi cinque anni, ma il loro volume (30 miliardi di dollari nel 2007) è ancora molto lontano da quello cinese (73,3 miliardi di dollari)Nel 2006, l’importazione di petro-lio grezzo dall’Africa ha raggiunto quasi 19 milioni di tonnellate, circa la metà delle importazioni cinesi nello stesso periodo. Ma già oggi l’11 per cento del fabbisogno petro-lifero dell’India viene garantito dal-la Nigeria. La compagnia petrolifera statale Oil and Natural Gas Corpo-ration ha acquistato le concessioni per l’estrazione a lungo termine di petrolio e gas naturale in Nigeria, Angola e Sudan.Ma l’India è interessata anche ad al-tre risorse minerarie africane, come oro, carbone, pietre dure semipre-ziose e marmi. Nonché all’uranio. Secondo il giornale India Today, il Paese è in attesa di ottenere dal Nu-clear Suppliers Group di importare combustibile atomico per le sue nuove centrali. Inoltre, solo per fare

un esempio nel settore privato, la compagnia Vedanta Resources ha acquistato, nel 2004, il 51 per cento della Konkola Copper Mines, la più importante compagnia mineraria in Zambia, dove sta investendo un mi-liardo di dollari per raddoppiare la capacità estrattiva delle miniere di rame.Ma se l’India è bisognosa soprattutto di materie prime, l’Africa, dal canto suo, ha notevolmente incrementato le importazioni di tessuti di cotone, farmaci generici, macchinari e stru-menti agricoli e tecnologie a basso costo. Negli ultimi cinque anni, gli interscambi commerciali tra India e Africa sono passati da 6,5 miliardi nel 2003 a 25 miliardi, circa la metà di quelli cinesi, che hanno ormai raggiunto i 55 miliardi di dollari.Il settore delle nuove tecnologie, insieme a quello delle telecomuni-cazioni, è certamente uno dei più interessanti e promettenti. Gigante a livello mondiale, l’India sta inve-stendo massicciamente in Africa, andando a colmare un vuoto im-pressionante. UA e India hanno così promosso insieme il progetto Pan-African E-Network, in cui il governo indiano ha investito 600 milioni di euro. L’obiettivo è quello di connettere via satellite e fibre ottiche i 53 Paesi africani per promuovere principal-mente l’insegnamento a distanza e la telemedicina (oltre all’e-commer-ce). Si tratta di settori che si stanno rapidamente sviluppando e si af-fiancano all’investimento in campo formativo di stampo più tradiziona-le. Più di 15 mila studenti africani, infatti, stanno già studiando in In-dia.

Governo e privati, coope-razione e finanza. L’India investe in Africa a 360 gra-

di. Per sé e contro la Cina. Mentre l’Africa ne approfitta per smarcarsi dagli ex colonialisti occidentali.La Cina conquista l’Africa? E l’In-dia prova a starle dietro... Pechino si accaparra concessioni petrolife-re e invade il mercato africano di proprie merci? E New Delhi lancia l’idea di un nuovo partenariato più ugualitario e solidale con i governi del continente. I due giganti d’Asia si sfidano a colpi di accordi, con-tratti, prestiti e lusinghe con i rispet-tivi partner africani. Che, dal canto loro, guardano con grande interesse - e molti interessi - a queste inedite e recenti attenzioni. A molti, anzi, non par vero di potersi finalmente affrancare dalle potenze occidentali e dai loro retaggi colonialisti. Lo ha detto chiaramente il presidente del-la Commissione dell’Unione Afri-cana (UA) Alpha Oumar Konaré: «L’Africa ha la necessità di evolversi dal sistema coloniale del commer-cio che ci ha ridotti a un semplice mercato». E così strizza l’occhio ai nuovi potenti d’Oriente. Con tutte le opportunità e le contraddizioni che ne derivano…L’India sta scommettendo sull’Africa a 360 gradi. Una sfida cruciale per il futuro di un Paese che si sviluppa in maniera spettacolare, ma rimane pieno di contraddizioni e problemi e, soprattutto, è bisognoso di molte, moltissime materie prime. A comin-ciare dagli idrocarburi.Secondo il Financial Time, questa nuova corsa alle risorse africane «potrebbe rivelarsi rapace come quella dell’Europa del XIX secolo».

AFRICA E INDIA: LA STRANA COPPIALa scommessa indiana sul continente africano

di Anna Pozzi

Manmohan Singh economista epolitico indiano,Primo Ministro dell’India

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Ma anche nel settore privato si stanno muovendo - tra gli altri - i giganti delle telecomunicazioni in-diane. Primo fra tutti, Bharti Airtel, il maggiore operatore di telefonia mobile (impegnato anche nei setto-ri finanziario, assicurativo e in una joint-venture con Del Monte per l’agro-alimentare), che ha lanciato un’offerta da 20 miliardi di dollari per l’acquisto di Mtn Group, prin-cipale gruppo sudafricano con 68 milioni di clienti in 20 Paesi.Sul fronte industriale è invece il gruppo automobilistico Tata che sta guardando con grande interesse al mercato africano delle auto e delle moto a basso costo (anche in que-sto caso in concorrenza con quelle cinesi). Costituito da 93 società che operano in diversi settori (dall’ac-ciaio all’energia, dai media alla chi-mica sino agli hotel) il gruppo Tata non solo è uno dei più antichi e co-lossali dell’India (nato nel 1874, con-ta oggi circa 250 mila dipendenti), ma si sta imponendo anche a livel-lo mondiale, a colpi di acquisizione importanti e prestigiose. Una delle ultime, quella delle storiche Jaguard e Land Rover, acquistate dalla Ford lo scorso marzo, per la «modica» cifra di 2.3 miliardi di dollari.Infine, una massiccia penetrazione nel continente africano la stanno attuando le industrie farmaceuti-che. Alcune, tra l’altro, producono farmaci antiretrovirali generici - e dunque a basso costo - per la cura dell’Aids. Un business, certo, ma anche una chance per moltissimi africani che hanno contratto il vi-rus (circa 25 milioni) e che possono così avere accesso a questi medici-nali dai prezzi altrimenti proibitivi.Insomma, pubblico e privato, go-verno e imprese stanno giocando una partita grossa sul continente africano, senza nascondere le loro ambizioni. Del resto, secondo il mi-nistro degli Esteri dell’India, Pranab Kumar Mukherjee, è ormai neces-sario «creare un nuovo paradigma di cooperazione che tenga conto della volontà degli africani di crea-

re istituzioni panafricane e dei loro obiettivi in termini di sviluppo».Sul fronte finanziario e della coope-razione allo sviluppo, l’India, infat-ti, è già passata da 2,15 miliardi di dollari di crediti nel 2003-2004 a 5,4 miliardi nel biennio 2008-2009. Serviranno specialmente per la realizzazione di ferrovie, l’introdu-

zione di nuove tecnologie, la pro-mozione di piccole e medie attività imprenditoriali… È già prevista, tra gli altri progetti, la realizzazione di reti elettriche in Mozambico ed Etiopia, una ferrovia in Senegal e Mali, fabbriche di cemento in Con-go, strutture civili in Ghana e mili-tari in Sierra Leone, centri di forma-zione tecnologica in Lesotho.Inoltre, il governo indiano ha intro-dotto un regime di sgravi doganali per i 50 Paesi meno sviluppati al mondo, 34 dei quali sono in Africa. L’iniziativa coprirebbe il 92,5 per cento delle importazioni africane. Questa via di accesso preferenziale al mercato indiano riguarda prodot-ti come diamanti, cotone, cacao, al-luminio e rame, canna da zucchero, anacardi, pesce…Quanto all’aiuto allo sviluppo, sono stati stanziati più di 500 milioni di dollari, da elargire nei prossimi cin-que anni (contro i 5 miliardi della Cina, prevalentemente sotto forma

MADDALENA BAGAROTTIe PAUL ASSAKO

MADDALENA CATTANEOe MASSIMO BRINI

MARCO MERIGHIe SARA PLATINIche nel matrimonio hanno corona-to il loro sogno d’amore.Alle nuove famiglie auguriamoogni bene e tanta felicità.

Oggi Sposi

di prestiti agevolati).«L’Africa e l’India - si legge nel-la Dichiarazione di Delhi - hanno forgiato relazioni di vicinanza, di cooperazione e multisettoriali che coprono gli ambiti della politica, della sicurezza, dell’economia, del-le scienze e delle tecnologie, lo svi-luppo delle risorse umane, l’habitat

sociale e culturale e altre sfere di interesse comu-ne». Tra queste, anche, la riforma delle istituzioni internazionali. E anche in questo caso, le attenzioni dell’India per l’Africa non sono per nulla disinteres-sate. Anzi. In vista di un possibile allargamento del Consiglio di Sicurez-za dell’Onu - di cui l’In-dia vorrebbe diventare membro permanente, insieme a Usa, Cina, Rus-sia, Francia e Gran Breta-gna - l’appoggio dei Paesi africani potrebbe essere determinante. Per que-sto, hanno concordato

di «rafforzare ancora di più la coo-perazione verso la realizzazione al più presto di una vera riforma del-le Nazioni Unite e dei loro meto-di di funzionamento, e soprattutto di rinvigorire e consolidare il ruolo dell’Assemblea generale, la riforma e l’allargamento del Consiglio di si-curezza».

Ministro degli Esteri dell’India, Pranab Kumar Mukherjee

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“Questo festival è l’occasione di avvi-cinarsi ad una cinematografia ancora così lontana dal pubblico. È il festival fiorito dalla nostra sensibilità, dal de-siderio di dare a tutti la possibilità di crescita attraverso la conoscenza e la stima per una società semplicemente più umana”.

Con queste parole don France-sco Pedretti - fondatore del COE ed ideatore della kermesse

- presentava il 1° Festival del Cinema Africano di Milano, un evento inter-nazionale sull’arte cinematografica del continente nero che ha animato il ca-poluogo lombardo la prima settimana del febbraio 1991.Il festival del Cinema Africano non do-veva quindi essere semplicemente una rassegna di film africani, ma un vero e proprio evento internazionale capace di far incontrare le persone di culture altre, di promuovere l’Africa partendo dalle immagini dei suoi registi, e non dai documentari occidentali che conti-nuavano a proporre l’Africa dei safari o delle epidemie.Don Pedretti così coinvolge attorno a sé uno staff di esperti, o meglio di ap-passionati capaci di credere nel sogno di una possibile educazione intercul-turale attraverso il cinema dei paesi in via di sviluppo.Tra questi c’è anche Annamaria Gallo-ne, giornalista, africanista che rientrava a Milano dopo diciotto anni vissuti tra l’Angola, il Congo R.D. e la Nigeria a costruire scuole e a conoscere l’Africa e i suoi artisti. “Io e don Pedretti non ci conoscevamo ancora” ci dice Anna-maria, da sempre nella Direzione Arti-stica del Festival del COE, “mi chiamò un giorno e mi chiese se volevo aiutar-lo a progettare un festival sul cinema africano. Non esitai e gli confermai la mia disponibilità. Mi coinvolse l’idea di organizzare un evento dove preva-lesse la relazione e l’incontro con gli artisti, e dove ci fosse fiducia piena ai lavori dei registi. È stato un profeta e

UN EVENTO CHE CI PORTA OGNI ANNOIN MEZZO AL NOSTRO MONDO

Il 19° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milanodi Prashanth Cattaneo

Unico festival in Italia interamente dedicato alla conoscenza delle cinemato-grafie dei tre continenti, la kermesse – realizzata dal Coe con grande fatica a causa del grande taglio dei fondi pubblici per l’educazione allo sviluppo – ha portato sugli schermi della città per un’intera settimana più di 100 tra film e video proiettati, oltre 50 nazioni rappresentate, decine di ospiti di tutti i continenti, in particolare registi, giornalisti, critici cinematografici.Le sezioni sulle quali si è articolato il fittissimo programma sono state le seguenti: “Concorso lungometraggi Finestre sul mondo”, film di fiction rea-lizzati da registi d’Africa, Asia e America Latina; “Concorso documentari Fi-nestre sul mondo”, documentari realizzati da registi d’Africa, Asia e America Latina; “Concorso per il Miglior Film Africano”; “Concorso Cortometraggi Africani”; “Concorso Documentari e Non Fiction Africani”; “Sezione Fuori concorso”, film e documentari su Africa, Asia e America Latina realizzati da registi italiani o non provenienti da questi continenti; “Sezione Speciale: Al Jazeera, l’occhio arabo sul mondo”; “Omaggio al regista kazako Darezhan Omirbayev”. Inoltre presso il Casello ovest di Porta Venezia, detto anche Casa del Pane, ha avuto luogo, dopo il successo dello scorso anno, il “Festi-val Center”, uno spazio d’incontro per ospiti e pubblico con mostre, attività e spettacoli ispirati alle culture dei tre continenti.

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l’unico che non solo credette nel va-lore educativo e culturale del cinema del sud del mondo, ma da questo tras-se un progetto che – nonostante la sua scomparsa – ancora vive con tutto il suo carisma”.Dal 1991 sono ormai passati dicianno-ve anni, un periodo durante il quale il festival è cresciuto in modo esponen-ziale: si sono ampliate le sezioni, sono triplicate le sale per le proiezioni, gli studenti coinvolti con le scuole di ogni ordine e grado superano i millecinque-cento, la stampa che si accredita al-l’evento è notevolmente aumentata… Lo scorso anno, per la prima volta, uno dei caselli di Porta Venezia (a tutti noto come “Casa del Pane”) si è trasformato nel “Festival Center”, un luogo di ritro-vo per tutti gli ospiti e per il pubblico, e questo grazie anche all’organizzazione al suo interno di attività culturali, ri-creative, happy hour etnico compreso! Si potrebbe affermare che il Festival è diventato un luogo di incontro con-creto dove il pubblico può veramente bere un tè indiano o un caffè tunisino con un regista o con un produttore per confrontarsi, per chiacchierare e quin-di anche per crescere.Molto importante è stata l’edizione del 2004 quando il festival si è allargato ad altri due continenti trasformando l’evento in “Festival del Cinema Afri-cano, d’Asia e America Latina”. “È stato un passaggio molto importante” continua Annamaria “ma non ha rap-presentato un cambio di rotta, anzi è stata l’occasione per permettere ad al-tri paesi di gareggiare e di rendere vi-

sibili i propri lavori, creando anche un nuovo ponte Sud-Sud: infatti da alcuni anni avevamo creato la sezione “fine-stre sul mondo” perché molti registi di altri continenti chiedevano di parteci-pare al nostro evento”.La Gallone continua sottolineando che il Festival del COE è molto apprezzato non solo a Milano o in Italia, ma an-che all’estero, e che in tutti i suoi viaggi (e sono veramente molti, dalla Cina al Marocco, dal Brasile all’India…) molti registi le chiedono di poterle far vedere i propri lavori perché per loro il Festi-val di Milano è veramente importante.

“Sono infatti sempre maggiori anche gli enti che chiedono di portare questo festival e le sue pellicole nelle città ita-liane” – continua – “un lavoro che vede il COE impegnato da sempre e che si è formalizzato con “Travelling Africa”.Un dato che non va dimenticato è l’im-pegno dei volontari – oltre duecento! – che prima, durante e alla fine del Fe-stival collaborano in molte attività: dal-l’accogliere i registi a distribuire in sala le cuffie per le traduzioni, dall’accom-pagnare gli ospiti del festival nelle di-verse sale sparse per Milano a vendere i cataloghi e le magliette della kermes-se, e molti di questi sono anche giova-ni studenti che si impegnano, inoltre, a portare nelle proprie università il ci-nema dei tre continenti, coinvolgendo i propri compagni e professori. Oggi questa esperienza si è formalizzata nello “spazio università” (da sempre c’è stato lo “spazio scuola”) che vede coinvolti tutti gli atenei milanesi e al-cuni lombardi, con oltre trenta appun-tamenti complessivi. Un successo, ma anche una sfida formativa che vede da sempre il COE impegnato. “Don Pe-dretti ricordo che insisteva molto sul cinema per la formazione” conclude la Gallone “e il COE ci ha creduto e tuttora lavora in questa prospettiva. La strada da fare è ancora molta, ma que-sta avventura ci affascina perché sono anche i giovani e i registi che ci chie-dono di viverla insieme a loro”.

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Le pellicole e i video che nondimenticheremo . . .

MIGLIOR LUNGOMETRAGGIO FINESTRE SUL MONDOPremio Eni al Miglior Lungometraggio da Africa, Asia e America Latina (15.000 Euro)JERMAL di Ravi L. Bharwani e Rayya Makarim, Indonesia / Olanda / Germania / Svizzera 2008.Il film denuncia una realtà violenta di lavoro minorile, una condizione difficile da filmare per la dimensio-ne claustrofobica di una piattaforma in mezzo al mare. I registi hanno saputo trovare il giusto equilibrio tra estetica, denuncia e tensione drammatica realizzando un’opera di grande poesia e umanità.

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO AFRICANOPremio Eni al Miglior Cortometraggio Africano (7.500 Euro)WARAMUTSEHO! di Auguste Bernard Kouemo Yanghu, Camerun / Francia 2009.Di fronte ad un soggetto rischioso, il regista riesce a restituirne la profonda verità con grande forza, senza cadere nelle trappole della banalità grazie al notevole spessore psicologico dei personaggi. Si premia il coraggio mostrato nell’affrontare una grande tragedia e il tema fondamentale della riconciliazione.

CONCORSO MIGLIOR FILM AFRICANOPremio Regione Lombardia al Miglior Lungometraggio Africano (7.500 Euro)NOTHING BUT THE TRUTH di John Kani, Sudafrica 2008.Per l’esemplare chiarezza drammatica con cui, nella forma del melodramma familiare, racconta la con-traddizione tra Storia e Leggenda nel processo di superamento dell’apartheid nel Sudafrica democrati-co.

CONCORSO DOCUMENTARI FINESTRE SUL MONDOE DOCUMENTARI E NON FICTION AFRICANIPremio Provincia di Milano al Miglior Documentario da Africa, Asia e America Latina (6.000 Euro)NOS LIEUX INTERDITS di Leïla Kilani, Marocco / Francia 2008.Con attenta e paziente indagine, il film mette a fuoco le ripercussioni provocate da decenni di tortura e deportazione politica in Marocco, e la loro persistenza sui vissuti individuali e familiari. Lo sguardo, che penetra l’intimità delle case, è sorretto dalla solidità dell’impianto narrativo e da un severo controllo del tessuto audiovisivo.

CONCORSO DOCUMENTARI E NON FICTION AFRICANIPremio al Miglior Documentario Africano (4.000 Euro)LE TABLEAU di Brahim Fritah, Marocco / Francia 2008.Per l’originalità del soggetto e del suo trattamento. Lo spazio del quadro si trasforma in invito alla visione su cui rifluiscono le immagini della memoria e il racconto di un vissuto, lo spazio dell’infanzia e quello dell’età adulta. La testimonianza individuale, che sostiene il film, partecipa così, senza smarrirsi, all’affre-sco variegato dei vissuti di migrazione.

PREMI UFFICIALIAL 19° FESTIVALDEL CINEMA AFRICANO

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IL FESTIVAL DEL COEUn luogo speciale per incontri indimenticabili

Giorgia Valagussa, volontaria al festival, racconta la sua esperienza

La realtà che ho potuto sperimen-tare al 19° Festival del cinema d’Africa, d’Asia e America Latina

è stata da me sentita come fosse qual-cosa di straordinariamente costruito ad hoc e purtroppo assolutamente fuori dal comune, che Augé avrebbe potuto benissimo definire addirittura un non-luogo, ma un “non-luogo straordina-rio”, aggiungerei io. Un non-luogo dove ciò che è stato respirato apparteneva a qualcosa di nuovo, e splendidamen-te vivo. Dove la comunicazione mi è parsa non subire tutte le sovrastrutture di logiche contemporanee, ma dove si sono venuti a creare spontaneamente continui spazi e non-spazi di scambio relazionale che risultavano magica-mente frutto di una condivisione sem-plicemente desiderata e voluta. E parlo dei momenti in cui il pubblico si è fermato al banchetto, curioso del-la nuova borsa che voleva sfoggiare, del catalogo che sfogliava con enorme cura per scoprire curiosità e dettagli dei film proposti dei quali un instante dopo chiedeva (a noi volontari): l’ora-rio, il regista, l’eventuale concorso in cui era inserito. Forse solo per cercare una parola. E non era ciò che doman-dava a stupirmi, ma come instaurava

con noi una relazione che mi ha col-pito fin da subito e incantata. Quella sincerità, quello sguardo, quello strano rapporto amichevole che si sviluppava con veloci domande. E poi c’era lo spazio del regista, che quasi si confondeva con gli spettatori in sala pieni di colori e portatori di uno sguardo vigile e curioso. Il regista che sembrava un amico, che parlava del suo film come si trovasse ad un tavolo

di compagni, che cercava di sforzarsi di parlare in italiano anche con brevi battute, e che narrava quello che gli passava per la testa, ricordando il suo film, portando un pezzo di sé, senza la paura di arrivare in un modo o nel-l’altro, ma con il desiderio palpabile di mettere in condivisione un qualcosa che poi ci aiutava a mettere un tassello in più a quel racconto di immagini che quasi sempre presupponeva una quali-tà filmica rara e preziosa.Credo che sia stato un respirare forte, un respirare diverso e pieno di tutto quello che uno vorrebbe trovare quoti-dianamente in una sala cinematografi-ca, che è diventata in quel caso un sa-lotto di casa dove raccontarsi, trovarsi, scambiarsi un sorriso di apprezzamen-to all’opera, o accendere un dibattito dai temi più disparati.Il tempo si è dilatato come un amico che allarga le braccia, e le braccia at-torno a cui mi sono sentita fanno par-te di tutti coloro che hanno messo in condivisione un pezzo di sé, e solo per il piacere di sentire quel frammento parte di qualcosa di più grande: un Fe-stival che ha proposto, che ha indaga-to, che ha mostrato, e che ha sedotto. Completamente.

Figura professionale:

FALEGNAME

dove: ZAMBIA

durata: 3 ANNI

requisiti:ESPERIENZA PROFESSIONA-LE E CONOSCENZA DELLA LINGUA INGLESE

Figura professionale:

EDUCATORE/FORMATORE

dove: R.D. CONGO CAMEROUN

durata: 3 ANNI

requisiti:ESPERIENZA PROFESSIONA-LE E CONOSCENZA DELLA LINGUA FRANCESE

Figura professionale:

MEDICO CHIRURGO

dove: R.D. CONGO CAMEROUN

durata: 2 ANNI

requisiti:ESPERIENZA PROFESSIONA-LE E CONOSCENZA DELLA LINGUA FRANCESE

Figura professionale:

INFERMIERE

dove: R.D. CONGO

durata: 2 ANNI

requisiti:ESPERIENZA PROFESSIONA-LE E CONOSCENZA DELLA LINGUA FRANCESE

AAA VOLONTARI CERCASI !!!l’Associazione ONG COE cerca

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congo

Il COE a Kinshasa è attento da sem-pre alla promozione dell’arte, so-prattutto attraverso l’appoggio dato

all’associazione congolese Apan di N’Djili, le cui opere, di grande valore artistico, ornano i corridoi della casa di Barzio. Purtroppo però, in questi ultimi anni, la vena artistica sembra esaurita e il livello delle opere un po’ scaduto; e l’aiuto che la comunità del COE ha offerto è stato giocoforza limitato dal-

Ceramisti a lavoro

la mancanza d’esperienza artistica dei volontari.È stato perciò con grandi a sp e t t a t i ve che abbiamo accolto l’arri-vo del mae-stro Walter Pasqui, cera-mista faenti-no di enorme esperienza e responsabile della nasci-

ta del Centro d’Arte Applicata e della Scuola d’Arte (IFA) di Mbalmayo in Ca-meroun. Inizialmente l’idea era quella di pro-porre al maestro Walter Pasqui una presenza con-centrata esclu-sivamente sul-l’aiuto agli artisti dell’Apan. Ma la collaborazione iniziata dal COE con l’Accademia di Belle Arti di Kinshasa ci ha suggerito di allar-gare l’aiuto agli allievi dell’acca-demia stessa e al mondo degli arti-sti ceramisti di tutta la città. Quello che poteva essere un’esperienza limitata nel numero e nei risultati si è così tra-sformata in un vero e proprio semina-rio di studio inserito nell’anno accade-mico dell’Istituto, che Walter ha saputo portare a termine brillantemente grazie alle sue solidissime competenze.Gli studenti hanno avuto modo di ap-prendere i fondamenti dell’arte della ceramica e confrontarsi con tecniche sconosciute nel panorama artistico di Kinshasa. Il punto più alto di spettaco-

larità ed interesse è stato raggiunto con la realizzazione del raku, antica tecni-ca giapponese della lavorazione della ceramica, ormai diventata internazio-nale, che unisce gli elementi naturali per la realizzazione di affascinanti ma-nufatti. Senza dubbio, a conclusione di due mesi di costante impegno e di lavoro, la qualità media dell’insegnamento ne ha beneficiato: proprio il corpo inse-gnante ha approfittato maggiormente dei preziosi consigli per aumentare le proprie competenze.Non sono mancate le difficoltà: tal-volta la povertà dei mezzi, la carenza di strutture ed attrezzature, talvolta la scarsa professionalità da parte del corpo docente e la mancanza delle tecniche d’insegnamento. Tuttavia la collaborazione di parte del personale ha permesso di rendere più che posi-

tiva l’esperienza, che si è pur rivolta alla più grande istituzione artistica del paese.Conclusa l’esperienza in accademia, Walter ha continuato a lavorare presso l’atelier di N’Djli, con grande solerzia e coinvolgendo moltissimi giovani e vo-lontari nella parcelle di Limete. Certo due mesi di lavoro sembrano poca cosa, ma ci auguriamo che que-sta esperienza abbia dato nuovo slan-cio ai nostri artisti per un futuro più stimolante e prospero.

Artisti e volontari all’Accademia di Kinshasa

Artisti a KinshasaIl maestro ceramista Walter Pasqui all’Accademia delle Belle Arti

di Marilena Minervini

Il maestro Walter Pasqui

Figura professionale:

FALEGNAME

dove: ZAMBIA

durata: 3 ANNI

requisiti:ESPERIENZA PROFESSIONA-LE E CONOSCENZA DELLA LINGUA INGLESE

Figura professionale:

EDUCATORE/FORMATORE

dove: R.D. CONGO CAMEROUN

durata: 3 ANNI

requisiti:ESPERIENZA PROFESSIONA-LE E CONOSCENZA DELLA LINGUA FRANCESE

Figura professionale:

MEDICO CHIRURGO

dove: R.D. CONGO CAMEROUN

durata: 2 ANNI

requisiti:ESPERIENZA PROFESSIONA-LE E CONOSCENZA DELLA LINGUA FRANCESE

Figura professionale:

INFERMIERE

dove: R.D. CONGO

durata: 2 ANNI

requisiti:ESPERIENZA PROFESSIONA-LE E CONOSCENZA DELLA LINGUA FRANCESE

AAA VOLONTARI CERCASI !!!l’Associazione ONG COE cerca

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congo

Alcuni bambini iniziano la scuola e poi l’abbandonano nel corso dell’anno; al-tri non terminano il ciclo primario per aiutare i genitori nei lavori campestri. Le ragazzine, ancora adolescenti, di-ventano madri, mentre i ragazzi più vivaci spesso scappano di casa e di-ventano degli sbandati, facili prede dei militari che li arruolano nelle file dei gruppi ribelli. La nostra preoc-cupazione mag-giore è proprio per i bambini che abbandona-no la scuola e che, non avendo prospettive per il futuro, perdono ogni entusiasmo. Nell’impegno di dare un avveni-re ai bambini di Rungu ci aiutano alcune famiglie italiane con il so-stegno scolastico

a distanza. Ma i bambini da aiuta-re sono tanti e la scelta del più bi-sognoso è difficile. La nostra attenzio-ne è rivolta soprat-tutto a sostenere i bambini di fami-glie numerose e povere, così con il contributo di una adozione si aiuta tutta la famiglia. Incoraggiamo i genitori a manda-re a scuola anche le bambine e, per essere certi che il bambino frequenti fino alla fine l’an-no scolastico, Il contributo viene

consegnato alla famiglia in tre trime-stri, così che non abbia la tentazione di utilizzarlo per altre necessità, pure tutte importanti. Si collabora con la famiglia perché il bambino senta che è seguito e che la sua istruzione è importante per lui, per la famiglia e per la società.Abbiamo visto bambini rifiorire dopo

Bambini di Rungudi Georgine Benzi

Il COE è pre-sente a Rungu, un villaggio di

una zona tra le più remote del pae-se nella Provincia Orientale della R.D. Congo. Tra le tante attività in cui è impegnato si oc-cupa di Adozioni a Distanza di bambi-ni in età scolare.Prima il governo di Mobutu, poi le ripetute ribellioni e guerriglie che si sono succedute in questi anni nel paese e che perdu-rano ancora oggi, hanno contribuito al deterioramento della situazione economica, politica e sociale del paese. Tutto è a terra: le in-frastrutture sono vecchie o inesistenti; altissimo è il tasso di disoccupazione; altrettanto alto è il tasso di mortalità in-fantile e l’analfabetismo.La ricaduta di questa situazione si ri-sente maggiormente nella Provincia Orientale dove noi operiamo e nel Kivu dove sono particolarmente attivi i gruppi dei ribelli. La popolazione è essenzialmente contadina e vive dei prodotti agricoli. Da vent’anni lo stato congolese non paga il salario agli insegnanti. Sono i genitori degli alunni che si arrabatta-no per dare un contributo alla scuola perché i loro figli imparino almeno a leggere e scrivere. I nuclei famigliari generalmente sono composti dai sei ai nove figli e molti genitori, per mancanza di mezzi, non mandano i figli a scuola o ne mandano solo alcuni. Le bambine sono le più pe-nalizzate: restano senza istruzione con la scusa di dover accudire i fratellini e aiutare la mamma nei lavori domestici.

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congoche hanno avuto la possibilità di anda-re a scuola, orgogliosi di poter mostra-re a tutti il frutto del loro impegno.La vita dei bambini nel villaggio non è per niente facile. Pur godendo di tanta libertà di movimento, maturano molto in fretta perché le circostanze della vita li porta ad assumere responsabilità e di lavorare duramente molto presto. An-che fisicamente si consumano presto, perché la partecipazione al lavoro del-la casa è una condizione quasi d’ob-bligo. Finita la scuola si rientra a casa; talvolta il percorso è lungo tre, sei o anche dieci km. Non hanno compi-ti a casa, ma dopo la scuola lavorano con i genitori: prendono l’acqua alle sorgenti per i bisogni quotidiani, rac-colgono la legna per cucinare, aiutano nella coltivazione dei campi, lavano i propri vestiti ed anche quelli dei fratelli più piccoli, curano i fratellini. A volte si incontrano bambine di sei o sette anni che portano sui fianchi un fratelli-no assai pesante, tutte rigide e piegate nello sforzo di mantenersi in equilibrio per non cadere. In genere le famiglie fanno un solo pasto al giorno nel tardo pomeriggio, quando la mamma torna dai campi. I bambini, lungo la giornata, ingannano lo stomaco mangiucchian-do un po’ di arachidi o qualche frutto selvatico; tante volte, se il pasto della sera non è stato abbondante e per il mattino non è rimasto niente, vanno a scuola digiuni, poi si addormentano sui banchi. La sera si coricano presto, ma nelle notti di luna restano fuori dalla capanna con genitori e nonni ad ascoltare racconti della tradizione, fa-vole e a cantare e danzare al suono del tamburo. Non dispongono di giochi, ma basta poco per farli divertire: da una mucchio di stracci e da sacchetti di cellophane sanno ricavare un pallo-ne, la strada o l’aia diventa un campo di calcio a regola d’arte. La fantasia non manca. Con il tronco del banano o la rafia fabbricano con facilità e sen-so artistico modellini di macchinine e camion, Toyota, Mazda, Iveco, moto Yamaha, biciclette...e girando per il villaggio si divertono mostrando orgo-gliosi le loro creazioni.Il nostro augurio è che possano con-tinuare a sorridere grazie anche alla sensibilità e alla generosità di tante persone.

Ho rivisto Rungu dopo due anni e il mio cuore era colmo di emozioni, volevo rivedere la

mia gente, i miei piccoli e le varie at-tività che il COE anima in quella zona. Che dire? Le parole non sempre riesco-no ad esprimere le sensazioni, la gioia e, perché no?, anche il senso di impo-tenza.Quando sono arrivata sono stata ac-colta con quel calore umano che ti fa sentire a casa, quasi tu non fossi mai partita. Ho rivisto in forma i bambini che avevo lasciato e che frequentavano il Centro Nutrizionale. Altri purtroppo non ce l’hanno fatta. Ho incontrato le mamme giovani che subito mi hanno chiesto di poter incominciare i turni di lavoro per il cucito, le infermiere, i me-dici e tanti ancora.Il mio soggiorno è stato breve, ma vis-suto intensamente e altro non posso dire se non grazie a tutti quelli che mi hanno dato la possibilità di attuarlo. Che dire dei progetti in corso? Seppur con non poche difficoltà si tende a rag-giungere gli obiettivi, in particolare mi soffermo sul Centro Nutrizionale e di

congo

conseguenza sull’allevamento capre. Superati i problemi della moria degli animali, ora si guarda al futuro. La fase critica è ormai passata, le capre sono un bel numero: essendo animali giova-ni producono poco latte, ma sufficien-te per i neonati immaturi che là sono ricoverati. Abbiamo poi acquistato del-le galline poiché ai bimbi diamo una volta alla settimana un pasto a base di uova. Visto che la fattoria è grande, ab-biamo pensato anche di allevare delle anatre per produrre carne: per mante-nerle costa relativamente.Grazie al progetto riusciamo anche a dare un pasto giornaliero ai bimbi del-la scuola materna: per tanti è l’unico pasto, ma garantisce almeno la so-pravvivenza. Così curiamo le mamme ammalate di TBC e/o siero positive e diamo un pasto anche a loro.Mi ricordo una frase di Don Francesco: “Il volontario decide di vivere con dei fratelli, cammina accanto a loro, gioi-sce, soffre con loro”.Ringrazio perciò il Signore di avermi dato questa opportunità e spero di po-terla rivivere ancora.

Breve visitaRungu, piccolo angolo di paradiso

di Maddalena Piccardi Gritti

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cameroun

ne, della Giustizia e della Pace, e la te-matica scelta, che evidenzia l’alleanza tra l’Arte e la Chiesa, ha voluto essere una sorta di prologo, di contributo al prossimo secondo Sinodo Africano. Nei due giorni di studio si è ripercorsa la storia delle arti plastiche e musicali, dell’iconografia cristiana nella Chiesa, le loro sorgenti ecclesiologiche e teologi-che, la loro importanza nella liturgia.In effetti questo colloquio ha segnato an-

che la conclusione del Concorso di Arte Sacra Panafricana, con l’esposizione del-le più di 60 opere che vi hanno parteci-pato, provenienti soprattutto da Camerun e Repubblica Democratica del Congo, la loro selezione e la designazione dei vincitori, le cui opere saranno esposte in ottobre a Roma nelle sale del Sinodo stesso. Tra i due primi premi ex-equo, entrambi congolesi, è bello riconoscere Malenga, il nostro pittore dell’APAN di N’Djili (Kinshasa) che ha presentato 3 opere, nel suo raffinato grafismo, sempre molto espressivo. Come relatore e mem-bro di giuria è stato invitato a Yaoundé Mgr. Evasio ALBERTI della scuola del Beato Angelico di Milano.E’ il 27 febbraio, quando con Pina Airoldi e Alex Mbarga mi ritrovo nella residenza dell’ambasciatore d’Italia a festeggiare

Joseph Atangana al quale la nostra Re-pubblica assegna l’onorificenza e il tito-lo di “Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà italiana”. Atangana è l’unico camerunese, - e per giunta laico - premiato con altri 4 padri italiani, di-stintisi per le loro grandi azioni sociali: la cerimonia che si svolge alla residenza è semplice, ma molto significativa e l’Am-basciatore è grato a questo Camerunese, a questi italiani che valorizzano l’impe-

gno di solidarietà dell’Ita-lia in Camerun. Nel mentre, in altra par-te del giornalino, il figlio Christian esprime la sua commozione, l’ammira-zione e il ringraziamento al governo italiano che ha riconosciuto l’impegno incessante di suo Padre nell’ambito del COE-Ca-merun, qui riprendo alcu-ni passaggi del discorso di Atangana agli amici del CPS e altri che partecipa-no, oggi, alla messa di azione di grazia: “…men-tre ricevevo l’onorificenza, il mio pensiero andava a Don Francesco, fondatore del COE e a Mgr. Paul Eto-ga che ha permesso a que-

sto organismo di arrivare in Camerun. Il premio doveva andare a loro! Semmai, visto che loro sono ormai presso il Padre Celeste, doveva riceverlo Pina, membro fondatore del COE e presente a Mbal-mayo da più di trent’anni: chi meglio di lei era indicato per ricevere il premio? … Mi domando perché il Signore ha voluto che fossi scelto per ricevere l’onorificen-za, proprio nella ricorrenza del mio bat-tesimo. Penso al legame con Don Fran-cesco, con il quale ho camminato per 35 anni, al fatto che il Signore si è servito di me per la discesa del COE in Came-run, che cosa il Signore, con tutto questo vuole comunicare a me, a tutti i membri del COE, a coloro che mi sono cari? E mi è venuto alla mente un passaggio di Benedetto XVI° in “Spe Salvi”: ...La vita umana è un cammino... Verso quale fine?

Sono passati quattro anni e ritorno a Mbalmayo per ragioni di servi-zio al CAA, Centre d’Art Appliqué,

trascinandomi appendici di rapporti per Kinshasa: difficile e faticoso convivere dei due incarichi... sono nervosa, insop-portabile. E allora cerco di cogliere al volo alcune occasioni di “evasione”: infatti c’è da do-mandarsi se Mbalmayo non sia una sorte di happening continuo... l’Africa è anche questo desiderio di festeg-giare tutto e tutti.Sono a Mbalmayo da tre giorni e la cittadina, rico-nosciuta “città studente-sca” per i suoi tanti com-plessi scolastici, alcuni rinomati in tutto il paese, è in fermento perché si celebrano i giorni della “festa della gioventù” (10-15 febbraio): sfide cultura-li inter-scuole, programmi sportivi, teatro, concerti, si susseguono convulsa-mente e i ragazzi a volte non sanno dove devono ritrovarsi. La centralità delle manifestazioni è nel-la grande sfilata dove tutti, proprio tutti gli studenti, dalle scuole materne agli istituti di specializzazione, sfilano per ore e ore. Alcune scuole sono precedu-te dalle loro incerte majorettes in abiti satinati, lucidi di paillettes, in movenze, nastri, cerchi tra ginnastica artistica, Cina 2008 e olimpiadi di Delfo, antica Grecia avanti Cristo... L’allegra fanfara dei ragaz-zini della nostra scuola materna Espoir strappa lunghi applausi.Riincontro gli amici di sempre e Joseph Atangana mi invita a partecipare, il 18 e 19 febbraio, al “Colloque International de l’Art Sacré”. Si tratta di un evento creato in collaborazione tra l’Università Cattolica dell’Africa Centrale, facoltà di teologia, e il nostro Istituto di Formazio-ne Artistica, IFA, di Mbalmayo . E’ un momento di riflessione sul contributo dell’arte sacra inculturata nella Chiesa Africana, al servizio della Riconciliazio-

Ritorno a MbalmayoPiccolo diario per grandi avvenimenti

di Giovanna Bonvini

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camerounCome trovare la strada? Le vere stelle della nostra vita sono coloro che hanno saputo vivere nella dirittura. Queste per-sone sono luci di speranza... Certamente Gesù è la luce per antonomasia..., ma noi abbiamo bisogno anche di luci ravvicina-te, di persone che traggono la luce da Gesù e ce la trasmettono per orientarci nel cammino... E ancora, il Signore e Don Francesco non hanno forse voluto indica-re in questo riconoscimento delle autori-tà italiane che la solidarietà del COE è a vocazione universale?...”Festa della donna (sabato 7 marzo): gran-dissima festa al CPS per il gemellaggio di tutti gli organismi emanati dal COE (Isti-tuto Gianetti, Ifa, CFAS, CEPAD, e poi mamans delle “legioni” della tradizione culturale a Mbalmayo). Difficile dire cosa sia avvenuto sul par terre del collegio: certo è stato un momento unico in sinfo-nie di musiche, di danze tradizionali con interpretazioni diverse a seconda dei giovani e degli adulti e anziani e tanta, tanta festa.Certamente, in ogni caso, l’avvenimento più importante è stata la visita del Papa Benedetto XVI° (17-20 marzo). La gente ha atteso con ansia e gioia questo avve-nimento che rinnova le due precedenti visite papali del 1985 e del 2005, tanto da sentirsi nazione privilegiata e respon-sabile nei confronti della Chiesa tutta a divenire esempio di spiritualità. La gente

ha atteso con preghiere l’avvenimento perché lo si vuole portatore di un rinno-vato impegno di riconciliazione, di giu-stizia e di pace. E’ questo, del resto, l’impegno che il Papa ha sottolineato presentando pro-prio in Camerun, ai Vescovi dell’Africa tutta qui riuniti, l’”instrumentum laboris” di preparazione al II° Sinodo africano che si terrà a Roma il prossimo ottobre. Ed è stato giustamente sottolineato il continuum straordinario tra i due sinodi che si è compiuto in questo Paese, con la consegna, prima, da parte di Giovanni Paolo II dell’esortazione sinodale dopo il I° Sinodo e la consegna, poi, degli stru-menti di lavoro per il II° sinodo da parte di Benedetto XVI.Ho partecipato alla grandiosa celebra-zione eucaristica, tenutasi allo stadio Ahmadou Ahidjo, la mattina del 19 mar-zo. Più di 60.000 persone sono riuscite a entrare per la messa delle 11: alcune attendevano pazienti dalla mezzanotte del giorno precedente. I cancelli si sono aperti soltanto poco prima delle 10h. ed è stato veramente un momento di gran-de panico: poteva ripetersi la tragedia dei due giovani morti in Angola. Pur-troppo l’allestimento non ha permesso una facile veduta dell’altare e, peccato, il protocollo ha voluto che il Papa non ac-cettasse quell’incontro ravvicinato che la gente attendeva, la “papamobile” essen-

Un papà camerunese di Christian Atangana

A Joseph Atangana il riconoscimento di Cavaliere al merito della Repubblica ItalianaIn quanto figlio, mi sono sentito molto felice nell’assistere alla consegna dell’onorificenza al merito della Repubblica Italiana, che fa di mio padre un Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà.

Per noi, la sua famiglia, si è trattato del coronamento di tantissimi anni di lavoro, di sacrifici… insomma il riconoscimento di un lavoro fatto con umiltà e discrezione, ma a partire da solide convinzioni. Ero felice di constatare che per mezzo suo, era quella parte di sforzi, permessa proprio da noi, la sua famiglia, a essere riconosciuta.Sono stato impressionato dalla cerimonia per la sua semplicità e convivialità: proprio ciò che è l’immagine di mio padre.

Devo confessare che al di là del carattere festivo e gioioso della cerimonia, mi sono sentito interpellare personalmente ad agire nella mia vita per lo sviluppo del mio Paese, il Camerun, perché mio padre possa essere fiero di me. Questa interpellazio-ne si radica nella nostra cultura africana e più specificatamente nella nostra cultura Beti, perché noi dobbiamo seguire i passi di nostro padre, al fine, se possibile, di eguagliarlo e, meglio, di cercare di andare ancor più lontano. Bisogna riconoscere che l’impegno è assai arduo, ma noi cercheremo di mantenerlo e di superarlo ul-teriormente. Approfitto di questa occasione per manifestare a questo padre “fuori del comune”, che ci ama tantissimo, tutta la mia gratitudine, e mi spiace che il mio Paese, che beneficia del suo lavoro, sia in ritardo nel manifestare a questo suo figlio meritevole la sua riconoscenza.

cameroundo stata evacuata in grande fretta dopo la celebrazione.Il ritorno a Mbalmayo è anche la parte-cipazione alle bellissime cerimonie della Settimana Santa (6-12 aprile): nella nuova chiesa parrocchiale di Mbokulu, ancora spoglia, essenziale, capace di contenere migliaia di ferventi fedeli, la celebrazione eucaristica del giovedì santo , sottolinea-ta da un alternarsi di bravissime corali, e poi il venerdì santo con una appassionata lettura, cantata e recitata, del Passio, e il sabato santo, in cima alla collina, al nuo-vo santuario della Madonna della Pace, accompagnati dai monaci dell’Oasi, un suggestivo, incantato nelle grandissime fiamme e innumerevoli faville su su in un luminoso cielo africano, il rito della luce. E nel santuario le soavi voce della comu-nità accompagnano la messa notturna di resurrezione, con Père Robert, entusiasta neo-zelandese, che intraprende una dura battaglia con un nugolo di moscerini che vogliono, anche loro, e nel loro modo un po’ invadente e fastidioso, partecipare alla sacra cena.E’ il 30 aprile, siamo ancora tutti insieme con J.A. che condivide la sua investitura a cavaliere con tutti i collaboratori del CPS in una grande messa di azione di grazie. E domani 1° maggio, sarà un’altra occa-sione di festa... che gioia e che... fatica!

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minili della dea Shakti. Nella battaglia sconfisse e uccise il demone Mahisha-sura e restituì agli dei il potere sulla ter-ra. Da allora la dea viene invocata per protezione dal potere dei demoni. In suo onore viene celebrata la festa della Durga Puja che ricorda la vittoria sul demone.La data per la venerazione della dea Durga è stata tratta dalle scritture Hin-du che la indicano a cavallo tra marzo e aprile. Attualmente, però, la forma più popolare, conosciuta anche come “Sharadiya (autunnale) Durga Puja”, viene celebrata nell’ultima parte del-l’anno, tra settembre e ottobre. Il tempo dedicato a questa festa varia a seconda delle zone, si passa da festeggiamenti continui per nove giorni nel nord del-l’India a solo cinque giorni di festeg-giamenti propiziatori in Bangladesh e in Orissa. Nonostante il Bangladesh sia una nazione a maggioranza musulma-na c’è tuttavia un considerevole nume-ro (circa 20 milioni) di Hindus presenti sul territorio di cui circa 6 milioni sono fuoricasta.

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versa. Questi, rivolgendo intense pre-ghiere a Brahma, Mahishasur ottenne il privilegio che mai nessun uomo e nes-suna divinità avrebbe potuto sconfig-gerlo. Il demone impose così il regno del terrore sia in cielo che in terra.Accecato dalla propria potenza, Mahishasur tiranneggiò dappertutto per stabilire la sua supremazia e fu sul punto di sopraffare la terra. Gli dei era-no impauriti da questo demone perché né Vishnu né Shiva potevano prevale-re su di lui. Pareva che l’unione delle energie di Shakti fosse solo in grado di rallentare l’azione di Mahish, per que-sto tutti i più potenti dei unirono le pro-prie forze per creare un’unica sorgente di suprema energia e potenza. Da quel momento solo una donna avrebbe po-tuto ucciderlo, la Santa Trinità Maschi-le scese sulla riva del Gange e pregò questo mantra: “Om Namo Devaye”, implorando la suprema dea Devi di salvare il loro regno dalla rovina. Fu-rono benedetti dalla sua compassione quando dal fiume nacque la dea Dur-ga. Le dieci braccia armate di Durga furono create dalla suprema energia in maniera del tutto casuale, così che si trasformò in un feroce leone di monta-gna per poter sconfiggere il demone e restituire la pace.Durga è uno degli aspetti arrabbiati e aggressivi della dea Shakti, il suo ruo-lo nella mitologia Hindu era quello di combattere e sconfiggere i demoni ed inoltre di rappresentare gli aspetti fem-

Durga è una dea veneratissi-ma presso i “Bengali Hindus” (West Bengal in India e Ban-

gladesh). Per essi Durga è un’espres-sione di Devi, la dea suprema. La dea Durga è anche una espressione di Shakti rappresentata sia nella sua gra-zia come nella sua fierezza. Essa rap-presenta l’infinito potere dell’universo ed è simbolo del dinamismo femmini-le. Durga è la moglie di Shiva. Viene rappresentata in svariate forme corri-spondenti ai suoi due differenti aspetti: compassione e ferocia: Durga è “Uma” (luce), “Gauri” (radiosa come la gialla luce del sole), “Parvati” (abitante delle montagne) e “Jagatmata” (madre della terra); i potenti guerrieri sono Durga (l’inaccessibile), Kali (l’energia oscura), Chandi (la forza feroce o assoluta) e Bhairavi (la forza frenetica). La prima apparizione della dea Durga avvenne sotto forma di bellissima guer-riera seduta sopra un leone. Le ragioni di questa sua miracolosa apparizione sono da ricercare nella tirannia del de-mone-mostro Mahishasur.Si dice che la dea Durga sia infinita-mente bella. Le sue forme sono di una accecante luminosità, con tre fiori di Loto al posto degli occhi, dieci po-tenti mani, una folta chioma di capelli arricchita da bellissimi riccioli, la sua pelle luccica di un radioso rosso oro e un quarto di luna è posto sulla fron-te. I suoi stupendi gioielli sono d’oro intarsiati di perle dell’oceano e pietre preziose. Ogni divinità inoltre le fece dono della propria arma più potente. Secondo gli scritti del Devi Mahatma (le Antiche Scritture Hindu) la forma di Durga è stata creata come una dea guerriera per combattere un demone. Rambha, il padre del demone nonché re di tutti i demoni, una volta si inna-morò di un bufalo d’acqua, da questa unione nacque Mahish Asur (il demo-ne Mahish).Mahish (bufalo) aveva la capacità di trasformarsi da uomo a bufalo e vice-

Durga, la dea guerrieradi Luca Cozzi

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Di ritorno dalla festa della DUR-GA PUJA, molto tardi, stanchi ma felici, io e Peter, che mi

faceva da guida, decidiamo di prende-re un rickshaw per tornare a casa.L’uomo che ci riaccompagna è un Hin-dù fuori casta molto povero. Vive con la moglie e la figlia in un villaggio nel distretto di Bagerhat; per guadagnare qualcosa durante la settimana viene a Khulna, affitta un rickshaw e lavora, la notte la pas-sa dormendo vicino al suo rickshaw per-ché non può permettersi il viaggio avanti indietro dalla sua casa.Ad un cer-to punto mi chiede se io sia un dottore visto che sono straniero e per loro gli stra-nieri di medi-cina “sanno”.Mi racconta quindi la storia di sua figlia.Jackia ha nove anni e una sera di dieci giorni prima, mentre era in casa con la mamma, il suo ve-stitino inavvertitamente ha sfiorato la lampada a olio prendendo immedia-tamente fuoco. Nelle famiglie povere capita spesso perché, per risparmiare, i tessuti che comprano sono completa-mente sintetici. La bimba si è ustionata gravemente le due gambe nella parte posteriore, il sedere, la parte inferiore della schiena e parte di un braccio. Mi dice che non avendo soldi non hanno

potuto portare la bimba all’ospedale e che quindi è a casa da allora sen-za che nessuno l’abbia vista. Essendo oramai abbastanza introdotto tra la gente comune, ho imparato a diffidare sempre delle storie raccontate perché oramai tutti hanno capito che “se fai piangere lo straniero, lui ti aiuta con denaro”; Gli chiedo quindi di tornare il mattino successivo alla mia casa che avrei visto cosa poter fare. Il mattino

seguente quando arriva da me capi-sco che la storia raccontata è reale, gli chiedo quindi di andare a prendere la bambina e di farsi trovare alle tre del pomeriggio davanti all’ospedale segui-to dai missionari saveriani. Il pomerig-gio quando arrivo all’ospedale loro sono già lì, gli occhi della mamma sono timorosi, il papà con in braccio la piccola mi rivolge uno sguardo di speranza, Jackia mi guarda, non riesce

a capire cosa stia succedendo, soffre ed è molto spaventata.Entriamo in ospedale e mentre loro aspettano in sala d’attesa io mi incon-tro con Suor Tecla alla quale chiedo di intervenire. L’instancabile suora viene subito a vedere la piccola e ne deci-de l’immediato ricovero dicendomi che forse sono ancora in tempo per risolvere favorevolmente la situazione. Ai genitori dico di non preoccuparsi

che i costi per le cure del-la piccola li avrei coperti io. Jackia ora è ricoverata da 10 giorni, le cure stanno facendo effet-to, le infezioni sono sparite e un sorriso è tornato sul suo volto. Sono andato a tro-varla due gior-ni fa e le ho portato delle matite colorate un quaderno e alcuni libricini in bengalese da leggere, Jackia, anche se la famiglia è

povera, frequenta regolarmente la se-conda classe. Tra qualche tempo usci-rà dall’ospedale e allora andrò a tro-varla a casa, a vedere la scuola dove studia e le condizioni nelle quali vive con la sua famiglia. Ora Jackia è entra-ta a far parte dei miei pensieri, intendo seguirla ed aiutarla negli studi. Questa è una delle tante storie che si possono incontrare qui, non hai bisogno di cer-carle perché sono loro che trovano te.

Il rickshaw, Jackia ed iodi Luca Cozzi

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Mancano non molti mesi alla conclusione del progetto Coe in Colombia e tutti qui siamo

impegnati a dare il meglio per lasciare un buon ricordo della nostra presenza e del nostro impegno a favore dello svi-luppo di popolazioni con molti disagi.Riassumendo in breve le attivitá ed i ri-sultati finora ottenuti nel 2009 possiamo elencare:

Ad Araracuara in Amazzonia abbia-mo lavorato con la comunità indigena Andoke, circa 60 famiglie molto povere sviluppando la ricerca sulle piante me-dicinali locali, con l’ausilio della Univer-sità Nazionale della Colombia (Istituto IMANI), creando un processo di impre-sa comunitaria e lavorando, soprattutto con donne (novità abbastanza rara nella cultura indigena locale) nella produzio-ne di salse e altri prodotti alimentari.Anche grazie al supporto del nostro progetto, la comunità indigena Andoke ha potuto inoltre elaborare uno Statuto politico ufficiale della propria Comunità che garantisce i diritti della popolazio-ne, la conservazione delle tradizioni e la tutela dell’ambiente e sia soprattutto uno strumento di negoziazione con il Governo per il riconoscimento ufficiale dei loro diritti sulla loro terra.

A Guapi (zona della costa pacifica) con alcune comunità afrocolombiane costi-tuite principalmente da donne stiamo costitutendo una specie di cooperativa

per la produzione e la commercializ-zazione di prodotti naturali quali sham-poo, creme anti micotiche, saponi ecc. Tutti i prodotti agricoli sono coltivati con metodi organici e il personale addetto è stato formato e questa tecnologia con specifici corsi.Grazie all’unità delle donne, ben guida-te dalla coordinatrice locale, possiamo affermare che vi sono buone prospettive di sviluppo futuro dell’iniziativa.

Ad Ibagué (Tolima) abbiamo terminato il laboratorio per la produzione specializ-zata di estratti di piante medicinali loca-li che ha ottenuto l’importante risultato dell’approvazione INVIMA (Ente Nazio-nale per la Vigilanza di Medicamenti e Alimenti). Un aspetto particolarmente significativo è che il laboratorio è stato costruito all’interno di una scuola agri-cola per campesinos i quali potranno beneficiare a livello di apprendimento assieme alle comunità di produt-tori locali e desplazados (persone che hanno dovuto abbandonare le loro terre a causa dei conflitti interni).

A Yotoco (Cali – Valle) il labora-torio realizzato per la produzione di oli essenziali ed altri prodotti naturali tra cui: un repellente per insetti, creme antidolorifiche, sa-poni, spezie essicate ecc., ha ini-ziato a produrre in base a un piano di marketing che speriamo possa

dare buoni risultati per la commercializ-zazione locale di questi prodotti.È stata creata una rete di comunità ed associazioni campesine con vocazione alla coltivazione delle piante medicinali in modo da incentivare, stimolare e sup-portare l’attività di una impresa campe-sina comunitaria formata da campesinos e desplazados.Con la realizzazione di queste attività si pensa di poter concludere in modo positivo una prima fase, lasciando una buona base di lavoro alle controparti locali che continueranno con il loro ap-poggio alle comunità campesine, dando continuità al processo avviato di miglio-ramento delle condizioni di salute e del medio ambiente ed anche procurando degli introiti economici derivanti dalla produzione e commercializzazione di piante e alimenti. Certamente i bisogni che sono moltissimi continueranno e questo è per il Coe un motivo e una sfi-da per continuare seppur con iniziative meno gigantesche.Una bella novità è che a Popayan un gruppo di giovani volontari locali coor-dinati dal nostro collaboratore Cristian Caicedo ha in programma di continuare come Coe Colombia, il lavoro di appog-gio alle comunità più vulnerabili prose-guendo quanto iniziato in questi anni e costruendo nuovi progetti futuri.Un altro piccolo seme del nostro don Francesco che speriamo dia buoni frut-ti!

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Progetto ColombiaConclusioni e prospettive future

di Pietro Mariani

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colombia libriSEMBÈNE OUSMANENuova pubblicazione a cura del COE

di Prashanth Cattaneo

Thierno I. Dia (a cura di),in collaborazione con Alice Arecco,Annamaria Gallone, Alessandra Speciale, SEMBÈNE OUSMANE,Editrice Il Castoro, Milano, 2009.

Segue: Introduzione al volume (pp. 5-6)di Alessandra Speciale, Direzione Artisti-ca del Festival Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano, COE

Sembène Ousmane, scrittore di fama mon-diale, è il primo grande cineasta dell’Afri-ca sub-sahariana. Alla indiscussa qualità artistica delle sue opere, Sembène ha sempre accompagnato un profondo impegno sociale e morale. Considera-to il padre del cinema africano, è stato un attento osservatore della realtà del suo continente. Con i suoi film e ro-manzi ha dato volto e voce al popo-lo africano, alla sua storia e alle sue culture.«LAfrica del passato non tornerà più: come comprendere una nuova Afri-ca? Come parlare a tutti gli africani? Le lingue limitano la comprensione. Il cinema è l’arte che ci è più vicina: passiamo dall’oralità all’immagine... Il cinema dovrebbe essere la scuola serale dei giovani africani»: Sembène Ousmane.L’anno scorso il Festival del Cinema Afri-cano, d’Asia e America Latina ha dedicato un omaggio al grande regista recentemen-te scomparso mostrando tutti i suoi film. Quest’anno, con il contributo del Comune di Milano - Ufficio Cooperazione e Solida-rietà Internazionale Gemellaggio Milano Dakar con la collaborazione della casa editrice Il Castoro, il Festival pubblica la prima opera monografica sul regista.Nel maggio del 2005 le doyen des doyens del cinema africano è invitato dal Festival du cinéma di Cannes a tenere la tradizio-nale lezione di cinema, evento che il festi-val dedica ogni anno ai più grandi registi del mondo. Il regista è presentato al pub-blico come «iniziatore e testimone» della cinematografia del suo continente. Sempre a Cannes, l’anno precedente, il regista è stato insignito per la prima volta di un pre-mio, il prix “Un certain regard”, assegnato al suo ultimo film Moolaadé (2004).Eppure sono passati più di quarant’anni dal

suo primo film, Borom Sarret, ed il regista ha già alle spalle una lunga carriera di scrit-tore e cineasta apprezzato e premiato nel mondo intero. Il riconoscimento del pre-stigioso festival francese sembra giungere molto in ritardo, e non è un caso.Sembène è l’unico cineasta africano a non aver beneficiato delle facili opportunità produttive offerte dal governo francese e a non essersi mai allineato nelle sue scelte tematiche alle tendenze del cinema della cooperazione internazionale. Per realiz-zare Camp de Thiaroyé (1997) ha dovu-to pazientare per ben dodici anni. Il suo

obiettivo era quello di denunciare, senza compromessi con la Francia, un episodio tragico e violento della colonizzazione, realizzando quindi per la prima volta una produzione cinematografica interamente africana grazie alla cooperazione di tre Stati (Senegal, Tunisia e Algeria). Il film ri-mane un episodio produttivo unico nella storia del cinema dell’Africa sub-sahariana ed è presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dove vince il Gran Premio Speciale della Giuria.Quattro anni più tardi con Guelwaar con-tinua la battaglia che permea tutta la sua opera cinematografica e letteraria - dal primo libro Le docker noir (1956) all’ultimo film Moolaadé - la lotta contro l’ingiustizia e lo sfruttamento in tutte le sue forme, la lotta per la dignità. Anche questo film non è selezionato a Cannes.Per la sua onestà intellettuale, per la fedeltà ai principi e per l’amore viscerale per l’Afri-ca e per il suo popolo, Sembène è un mito per tutti gli africani.

Come stupisce il ritardo nell’attribuire un vero riconoscimento all’icona Sembène, sorprende anche il fatto che per così tanti anni non siano state pubblicate in Francia monografie sulla sua opera cinematogra-fica, a eccezione del libro pubblicato da Présence africaine nel 1972, Ousmane Sembène cinéaste, a cura di Paulin Sou-manou Vieyra. La maggior parte degli studi critici sull’opera di Sembène arriva invece dagli Stati Uniti, dalle facoltà di African stu-dies delle università americane. Dobbiamo aspettare il 2007 per trovare in libreria in Francia il primo tomo della biografia di

Sembène a cura di Samba Gadjigo: Ousmane Sembène, une conscience africaine.Mancava quindi un testo che ne sa-pesse cogliere la tensione tra estetica e impegno politico, la ricerca delle radici profonde dell’Africa e la neces-sità della relazione con l’altro; un testo che abbracciasse l’opera cinemato-grafica di Sembène in relazione con quella letteraria sotto un’angolatura più aperta rispetto alla radicalità del-l’approccio militante afro-americano. Nasce così il libro che presentiamo “Sembène Ousmane” pubblicato dal Festival con il contributo del Comune di Milano - Ufficio Cooperazione e

Solidarietà Internazionale Gemellaggio Mi-lano Dakar e la collaborazione della casa editrice Il Castoro.Il curatore Thierno Ibrahima Dia è un gio-vane critico cinematografico senegalese formatosi alla scuola di Africultures, rivista francese di cultura africana, senza alcun dubbio la più importante fonte di informa-zione e approfondimento sul cinema afri-cano attualmente in commercio. Thierno raccoglie un’interessante varietà di sguardi sull’artista Sembène con l’obiettivo di re-stituirci in un unico libro quella ricchezza di approcci disciplinari e culturali che stu-diosi, giornalisti, professori e professionisti del cinema del mondo intero hanno dedi-cato in questi ultimi anni al grande artista recentemente scomparso. Sembène ci ha lasciato il 9 giugno del 2007. Il libro, nella versione francese pubblicata da Africultu-res, sarà presentato in marzo al Fespaco 2009. Questa nostra edizione italiana co-stituisce la prima e unica opera monografi-ca su Sembène Ousmane in Italia.

In occasione del 50° del COE e del 10° anno dalla scomparsa di don Francesco Pedretti, suo fondatore, vogliamo riscoprire la ricchezza e la sorprendente attualità del patrimonio spirituale, culturale e sociale che egli ci ha trasmesso per renderne partecipi uomini e donne vicini o appartenenti ad altre tradizioni. Con fiducia e coraggio cerchiamo strade nuove per vivere il nostro impegno e renderlo sempre più condiviso e rispondente alle sfide di oggi.

Alcuni momenti particolari segneranno i prossimi mesi:invitiamo soci, amici e collaboratori a viverli con noi.

9 Luglio - ore 21.00nella chiesa parrocchiale di Barzio: Celebrazione Eucaristica nel decimo anniversario della morte di don Francesco Pedretti,presieduta da Sua Ecc. Mons Carlo Redaelli, Vicario Generale della Diocesi di Milano 10-11-12 Luglio - al COEConvegno internazionale “Da una scelta profetica, un futuro possibile”aperto a soci, amici e collaboratori italiani e a responsabili e collaboratori dei vari Paesi del Suddel mondo nei quali il COE è impegnato.Obiettivo del Convegno è individuare le prospettive per un impegno futuro, capace di risponderealle esigenze di società nuove, nella fedeltà ai valori che hanno dato vita all’esperienza del COE

11 Luglio - ore 21.00in piazza Garibaldi a Barzio: Concerto un omaggio di giovani africani a don Francesco e al COE per il suo impegno nella promozionedelle espressioni artistiche di tutte le culture

14 Luglio - ore 21.00, al COEPresentazione del libro “COE, cinquant’anni e oltre”

19 Luglioore 16.00Incontro di Sua Eminenza il Card. Arcivescovo Dionigi Tettamanzi con il COE

ore 17.30 nella Chiesa Parrocchiale di BarzioCelebrazione Eucaristica per il 50°del COE presieduta dal Cardinale

8 Agosto - a Santa Caterina Valfurva“Cinquant’anni di presenza del COE in Valfurva”

Settembre in ValsassinaIncontro con le comunità della Valle

9/10/11 OttobrePellegrinaggio a Romapreghiera in San Pietro e visita alla città. Il COE incontra i vescovi africani con cui collabora, presentazione dell’esperienza COE a autorità, associazioni e amici

Ottobre in VaticanoMostra d’Arte Sacra Cristiana di Artisti AfricaniLa mostra verrà allestita in occasione del Sinodo dei Vescovi Africani