MAGAZINE DOMENICALE DI AMERICA OGGI OGG 777I · zelo e dalla caparbietà di un investigatore avulso...

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MAGAZINE DOMENICALE DI AMERICA OGGI www.oggi7.info 5 LUGLIO 2015 OGGI 7 7 7 7 7 “Io camminerò” Tradimento dall’alto? «Noi, gli uomini di Falcone»: nel romanzo nero di Angiolo Pellegrini, generale “mastino” capo dell’Anticrimine a Palermo nella prima metà degli anni ’80, la collusione-guerra tra mafia e Stato SERVIZIO-INTERVISTA A PAGINA 4

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“Io camminerò”Tradimento dall’alto?

«Noi, gli uomini di Falcone»: nel romanzo nero di Angiolo Pellegrini,generale “mastino” capo dell’Anticrimine a Palermo

nella prima metà degli anni ’80, la collusione-guerra tra mafia e StatoSERVIZIO-INTERVISTA A PAGINA 4

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PRIMO PIANO \ «Noi, gli uomini di Falcone»: nel romanzo nero del generale “mastino” Angiolo Pellegrini, capo dell’Anticrimine a Palermo nella prima metà degli anni ’80, la collusione-guerra tra mafia e Stato

Tradimento dall’alto? 77777

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UN’AMPIA pubblicistica ha accompagnato le nostre consapevolezze nei lunghi annisusseguitisi alla strage di Capaci,

“l’attentatuni”, il grande attentato, la mattanzapiù cruenta della criminalità organizzata in Italia,una data, il ventitré maggio 1992, una dellepagine più buie della storia d’Italia, che il temponon intralcia nella memoria di un noi divenuto spirito collettivo e civile appartenenza. Ilgenerale Angiolo Pellegrini, romano, classe1942, nominato “esperto” della Strike Force Unitdella Procura di Tampa, Florida, in processiriguardanti la criminalità organizzata, chiamatoall’inizio degli anni Ottanta, capitano diquarant’anni, a dirigere la prima SezioneAntimafia di Palermo che non esisteva primadel suo arrivo, proveniva dalla Calabria, doveaveva maturato sul campo una solida esperienzainvestigativa riguardo la ’ndrangheta. Lamalavita e le cosche di Reggio Calabria pareche avessero brindato quando vennero a sapereche sarebbe stato trasferito a Palermo, sisentirono, con tutta evidenza, sollevate dallozelo e dalla caparbietà di un investigatore avulsoda cedimenti e debolezze.

A Palermo era in corso dal marzo 1981 la seconda guerra di mafia, una guerra cruenta tragli emergenti, i villani, quelli che venivano dallacampagna, i Riina, i Corleonesi, i Provenzanoentrarono in città sbarazzandosi della mafia storica, i Bontade, gli Inzerillo, i Badalamenti diCinisi, e i perdenti, tra questi chi non venivaammazzato a Palermo, cercava di espatriare.

Nel contempo era in atto una guerradell’antistato contro lo Stato, sotto i colpi dellamafia erano caduti giudici valorosi, validi uominidi polizia e dei carabinieri, politici di diversoschieramento. Coadiuvato da Francesco Condoluci, Pellegrini ha voluto colmare,attraverso un libro, «Noi, gli uomini di Falcone.La guerra che ci impedirono di vincere»,pubblicato da Sperling & Kupfer, un vuotoattorno ai protagonisti di quell’attività di poliziagiudiziaria che ha riguardato Palermo durantegli anni Ottanta, lo straordinario pool diinvestigatori che lavorarono al fianco del giudiceGiovanni Falcone. Palermo come Beirut,dolorosa, innegabile analogia, dove era facilesaltare in aria all’interno di una macchina in cui era stata piazzata una bomba azionata da untelecomando, una Palermo della malavita chesapeva più di Medio Oriente e di scenarimediorientali.

Era un uomo delle istituzioni, un carabiniereun po’ sui generis, Angiolo Pellegrini,autodefinitosi uno spirito anarchico-individualista, a cui chiesero se avesse unatessera della P2, era tipico anche negli ambientidegli investigatori possederne una, e lui dovetterispondere di non avere avuto mai nessunatessera nella sua vita. Un “uomo solo al comando”, soprannominato in Calabria“mastino”, un segugio che stava dietro ailatitanti e non li mollava, valgono qualcosanomignoli affettuosi, epiteti come “Billy theKid”, “La Banda Pellegrini”, il primo glieloaffibbiarono i suoi ragazzi, prima che lui lovenisse a sapere, pensarono di chiamarlo comeil pistolero del Far West americano, proprio percercare di commutare questa sua figura irruenta,molto dura, ma allo stesso tempo solidale con isuoi uomini, leale, era il capitano dei carabinieriche andava a mangiare con i suoi sottoufficiali,era quello che la mattina, se le cose nonandavano come diceva lui, perché magari unlatitante era sfuggito alla cattura, si infuriavacome una iena, però poi andava a mangiare inpizzeria con i suoi collaboratori per festeggiareil buon esito di un’operazione.

“La Banda Pellegrini” era una specie dibanda incontrollata d’investigatori, di ufficialidei carabinieri che imperversava per le strade diPalermo, riuscendo a spremere tutto quello chec’era da spremere per ottenere informazioni. Liaveva scelti uno per uno, secondo dellecaratteristiche particolari, i suoi ragazzi, entratia far parte di quella mitica SezioneAnticrimine,c’era quello che era bravo a sentire le telefonate

intercettate e ci stava anche tutta la giornata adascoltarle ed era capace di decifrare già da unasola sillaba chi potesse essere il latitante a cuiapparteneva quella voce; qualcun altro, invece,era bravo ad andare sulla strada a spremere gliinformatori. Il capitano Pellegrini capì subito cheil metodo d’investigazione fino ad allorautilizzato, cioè quello di andare dietro alleemergenze, non andava bene, era inutile eaddirittura fuorviante porre in campo il solitomassiccio dispiegamento di forze dell’ordine suiluoghi degli omicidi. Egli comprese che se questiomicidi non venivano interpretati attraverso unachiave di lettura che li mettesse in collegamento,trovando i nessi tra uno e l’altro, non si sarebbemai riusciti ad avere un quadro chiaro e a capirechi potevano essere i mandanti, quello che c’eraoltre la superficie.

Era diverso,Angiolo Pellegrini, dagli ufficialidei carabinieri che in quell’epoca investigavanosulla mafia, su Cosa Nostra, a parte qualcuno,come il colonnello Russo, ucciso a Ficuzza diCorleone alla fine degli anni Settanta, tutti glialtri tendevano ad osservare quelle che eranole linee guida dei metodi d’investigazione. Luimise subito in chiaro le sue condizioni con i superiori e anche con l’Ufficio Istruzione in cuic’era Giovanni Falcone, dicendo che avevabisogno di lavorare a briglie sciolte, che non glichiedessero, pertanto, di fare le cose comeandavano fatte perché aveva un suo metodo e

poteva garantire che, se lolasciavano lavorare, avrebbeportato dei risultati.

All’inizio venne guardatocon un po’ di diffidenza, però,quando cominciò a portare iprimi risultati, si resero contoche effettivamente questogiovane ufficiale dei carabinierinon vendeva fumo. Palermo,racconta il generale alla plateadi “Trame 5 Festival dei libri sulle mafie”, era una cittàaddormentata, nemmeno gliomicidi che si erano verificati negli anni precedenti eranoriusciti a risvegliare questaspecie di torpore, a farcomprendere che la mafia era una questione estremamenteseria, non era qualcosa chepoteva andare a finire nellatradizione dei Beati Paoli,vendicatori giustizieri operantinel XII secolo, qualcuno locredeva, ma qualcun altrocominciava a capire che non sipuò uccidere un procuratore

della Repubblica solamente perché ha emessoun ordine di cattura nei confronti di uno dei boss principali, Inzerillo, che per vendetta lofece uccidere, non si può uccidere un giudiceistruttore, un capitano dei carabinieri, un vicequestore della polizia di Stato, Emanuele Basile.

La mafia non era più quella sconosciuta, deitanti delitti senza riscontro nella stampa locale,era diventata seria specialmente a Palermo, manon solo, per almeno due anni ancora si negò,infatti, che la mafia esistesse a Catania, chepotesse esistere a Trapani, erano, si diceva,bande di criminali dedite alle rapine e al trafficodella droga. Noi, ricorda il generale, avemmo lanecessità di scontrarci con le forze di polizia diqueste città perché ci accusavano di voleraddirittura portare la parola “mafia” dove la mafianon era mai esistita e solo dopo la strage dellaCinconvallazione, compiuta a Palermo il 16giugno 1982, in cui venne ucciso il detenutoAlfio Ferlito, insieme a tre carabinieri di scorta eall’autista della vettura che lo trasportava, sicominciò a capire che forse c’era qualcosa dipiù serio di una banda dedita soltanto allerapine e al traffico di droga. Incominciammo adire di voler fare un rapporto che parlasse dimafia, distinguendo la mafia attuale, la mafiache comanda, la mafia che ha addentellatipolitici, addentellati nelle istituzioni e qualcunoci guardò, confessa Pellegrini, in modo un po’strano, per fortuna trovarono un giudice che

dette loro il via e li sorresse sempre nell’impresa,era il giudice Falcone.

Racconta, il generale, di quando propose alcommissario di polizia Ninni Cassarà, suo amico,ucciso dalla mafia nell’85, di voler procedereuniti in un lavoro seriamente ricognitivo diquanto stesse accadendo, mettendo insieme irispettivi fascicoli, e firmando insieme unrapporto unitario, lavorando quarantaquattronotti nella caldissima estate del 1982, a seguitodel quale vennero emessi ottantanove ordini dicattura, cosa mai successa a Palermo, Falconeprese questo rapporto e non lo abbandonò più,ne fece le fondamenta e l’impalcatura di quelloche diventerà il Maxiprocesso, vi sisovrapposero tutte le altre indagini, tutti gliscontri, un’attività frenetica, infine anche iverbali di Tommaso Buscetta.

Un rapporto coraggioso che mettevaMichele Greco, che frequentava i migliori salottidi Palermo, che era il responsabile della sezioneDC di Croce Verde-Giardini, quale capofilamafioso, intanto si era verificato un altro fattogravissimo, l’omicidio di Dalla Chiesa nelsettembre 1982, un generale eccezionale che siera distinto nella lotta al terrorismo, vennemandato da solo, privo di quei poteri che gliavrebbero consentito di coordinare le forze di polizia, fu lasciato solo, nonostante le suerichieste, lui che aveva detto subito,comprendendo perfettamente il fenomenocriminale, che la mafia non era solo a Palermo,era in tutta la Sicilia, in tutta Italia e oltre i confinidell’Italia.

Durante la guerra di mafia, a Palermo, tra iperdenti espatriati c’era Tommaso Buscetta, neconfronti del quale Angiolo Pellegrini giocò unruolo fondamentale per ottenerne l’estradizionedal Brasile e la possibilità che Buscetta parlasse.Tra Pellegrini e l’emblema del pentitismo di CosaNostra si stabilì una comprensione per nullascontata, Buscetta capì che il suo interlocutorelo aveva compreso come essere umano, perquello che aveva passato, gli avevano uccisodue figli e un cognato con il metodo dellaLupara Bianca, grazie alla sua collaborazionefurono decapitati i vertici di Cosa Nostra, scrivePellegrini: “Li abbiamo arrestati e potevamoarrestarli tutti, mafiosi e pezzi infedeli dello Stato,ma qualcuno in alto si è tirato indietro sul piùbello”.

E di quella lotta per la giustizia e la legalitàrimane in lui vivido il ricordo di Giovanni Falcone, della sua integrità, e l’epilogo tragicodi quel giorno a Punta Raisi, quando atterròpoco dopo l’arrivo del giudice che sulla stradadi Capaci venne fermato dalla mafia/Stato cheaveva sempre combattuto.

Nelle foto, il generale dei CarabinieriAngiolo Pellegrini

in abiti civili e in divisa e la strage di Capaci che costò la vita

al giudice Giovanni Falconee agli uomini che lo scortavano