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ERBORISTERIA domani ISSN 1127-6320 Bimestrale. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI 414 MAG-GIU

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ERBORISTERIAdomani•ISSN 1127-6320 Bimestrale. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI

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Sommario

EDITORIALE • Biodiversità attiva 7

MERCATOFILO DIRETTO • M. Zorzetto 8POST FIERE 13INTERVISTA 17Il potere della cellula • a cura di D. Benelli

PAGINE PROFESSIONALIAGENDA 21

COSMESI BIO 24Informazioni e trasparenza al centro di un consumo consapevole • in collaborazione con NATRUE

CRONACHE COSMETICHE 28

QUALITÀ 31Adulterazioni del Cranberry sul mercato erboristico italiano • A. Scialpi, C. Fachechi e C. Gardana

SCIENZA E TECNICAREVIEW FITOCOSMESI 38Aggiornamenti di fitocosmesi • P. Poggi

SPAZIO FITOTERAPIA 48Fitoterapia e nutrizione: dati ed evidenze dalla ricerca • M. Monti

MONOGRAFIA 58Artemisia annua, la pianta che combatte la malaria • G. Giovannini, P. Poggi

SCHEDE COLTURALI 70Melissa • S. Biffi

CULTURAANTROPOLOGIA 74Etnobotanica, una scienza dalle molte anime • G. Samorini

ERBORISTERIAdomani•

ED FLASH - Aziende in erboristeria 87

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ERBORISTERIAdomani•Direttore responsabile Francesco Redaelli [email protected]

Direttore scientifico Demetrio Benelli [email protected]

Coordinatore redazionaleSerena Ponso [email protected]

Marketing ManagerSara Corigliano [email protected]

Impaginazione e web Serena Dori [email protected] Gilardi [email protected]

AutoriSauro Biffi, Christian Fachechi, Claudio Gardana, Gabriella Giovannini, Marcello Monti, Hana Mušinovic̀, Paolo Poggi, Giorgio Samorini, Antonio Scialpi, Maddalena Zorzetto

Foto di copertina: Artemisia annua L. (Giardino Botanico di Mainz)

Stampa e fotolitoGruppo Stampa GB - Cologno Monzese (MI)Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI

Iscrizioni Elenco Periodici della Cancelleria: Trib. MI n. 264 del 26-6-1978. Registro Nazionale della Stampa: (L 416/1981) in data 28-10-1982 con il n. 467

TiraturaAbbonamenti e diffusione Bimestrale 6 numeri annui (cartaceo + online). L’abbonamento decorre dal primo numero raggiungibile.

• Italia annuo € 80.00 • Italia biennale € 150.00• Online annuo € 40.00

Intesa San Paolo IT 65 U 03069 09501 100000005570

IVA assolta dall’editore.

Copyright CEC Editore - Milanotutti i diritti sono riservati. La riproduzione dei contenuti, totale o parziale, è soggetta a preventiva approvazione della CEC Editore.Legge sulla privacy l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati in suo possesso, forniti dagli abbonati, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi del D.lgs 196/03. L’Editore non assume responsabilità per le opinioni espresse dagli Autori e per eventuali errori riportati negli articoli. Il materiale pubblicitario si intende essere conforme a standard etici: la stampa di tale materiale non costituisce la garanzia della qualità del prodotto e della veridicità dei claim.

CEC Editore pubblica anche:L’Integratore Nutrizionale - Cosmetic TechnologyMake Up Technology - Legislazione CosmeticaLibri scientifici nell’area cosmetica, nutrizionale e erboristica

Laura Cornara

Professore Associato di Botanica Generale, DISTAV Università

degli Studi di Genova

Luca Gelardi

CRO (Chief Research Office) Boniser

Alberto Manzo

Funzionario Tecnico MIPAAF, D.G. Promozione Qualità

Agroalimentare

Fausto Mearelli

Direttore Scientifico - Erbamea

Paolo Morazzoni

Scientific Advisor Indena

Paolo Poggi

Chimico e documentalista

Marinella Trovato

Presidente SISTE, Società italiana di scienze applicate alle piante

officinali ed ai prodotti per la salute

Franco Francesco Vincieri

Professore Emerito Università degli Studi di Firenze

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L’Amande • www.lamande.it 47

L’Erbolario • www.erbolario.com 2

Minardi Erbe • www.minardierbe.it 27

Natural Point • www.naturalpoint.it 37

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EDITORIALE

Erboristeria Domani • 4147

Biodiversità attiva

Maggio è il mese della biodiversità. E questo è un tema, giustamente, sempre più al centro dell’attenzione e delle dinamiche del nostro settore. Si è concluso proprio in questi giorni, come ogni anno, l’incontro organizzato a Savigliano dal Corso di Tecniche Erboristiche dell’Università di Torino, durante il quale il botanico Francesco Maria Raimondo, grazie a una lezione magistrale di quasi un’ora, è riuscito ad aprirci gli occhi sulla ricchezza floristica italiana. Tra le zone del pianeta a maggiore concentrazione di biodiversità, ci ha spiegato, la regione mediterranea è la più popolata di specie vege-tali diverse, sia selvatiche sia coltivate: a partire dalla sua Sicilia, dove questa varietà si manifesta più che mai.Il clima, prima di tutto, consente tale “espressività della vita”, come la chiama il professore. Ma la conoscenza della biodiversità ci porta anche a comprendere come essa sia il prodotto di millenni di intera-zione del mondo vegetale con gli altri viventi, primo fra tutti l’uomo. L’influenza dell’uomo sulla diversificazione delle specie vegetali non è stata, e non è oggi, solo negativa; gli esseri viventi, tra cui le piante, si spostano, migrano, e popolano territori diversi, determinando così la loro trasforma-zione. Il contributo dell’uomo a queste migrazioni è evidente anche in epoche storiche; basti pensare che molte delle specie vegetali che oggi caratterizzano il paesaggio mediterraneo sono arrivate dal mare grazie all’avvento dei viaggi in nave tra il Vecchio Continente e il Nuovo Mondo. Ma il professore, nella sua lezione, ci ha ricordato in modo assai chiaro un altro concetto, ovvero che l’azione dell’uomo influisce sulla vita delle piante in due direzioni: da un lato con la domesticazione, portando specie vege-tali selvatiche nell’ambito della produzione agricola, un sistema biologico controllato dall’uomo che ne assicura però la conservazione e la riproduzione; dall’altro trasferendo, volontariamente o involontariamente, specie da un territorio a un altro e permettendo la diffusione nell’ambiente naturale di genotipi diversi o nati dalla selezione condotta dall’uomo. La biodiversità è la ricchezza di un territorio, si è detto poi, e questo avviene anche per le conoscenze che ne deri-vano nei più diversi campi applicativi. Al centro dell’elaborazione dei provvedimenti di attuazione della legge 75 dello scorso anno, la definizione dell’e-lenco delle specie officinali di interesse sta portando elementi molto significativi. Il Tavolo Tecnico ha voluto ampliare quanto più possibile le fonti da cui includere le specie di interesse officinali. A partire da un elenco ragionato delle specie effettivamente coltivate (alcune centinaia), si è lasciata aperta la possi-bilità di prevedere un’attività di coltivazione di tutte le piante da cui provengono ingredienti ammessi nella formu-lazione di integratori alimentari, delle piante cosmetiche, di quelle utilizzate per la formulazione di farmaci vege-tali tradizionali e di medicinali omeopatici. Un approccio che porta a una visione davvero molto estesa della bio-diversità a cui il nostro settore può attingere. Ma al tempo stesso ci si è posti il problema di definire i criteri per un corretto e sicuro utilizzo di queste risorse: prima quelli finalizzati a regolare la raccolta delle specie selvatiche, garantendo gli aspetti ecologici della loro con-servazione in natura; poi quelli pensati per assicurare la corretta identificazione e la sicurezza d’uso del materiale raccolto.Ed è su questi aspetti che le competenze tecniche erboristiche, più di ogni altro fattore, potranno garantire la valo-rizzazione e la tutela del patrimonio naturale.

Demetrio Benelli

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La Crassula argentea, comunemente chiamata Albero di Giada, pianta appartenente alla famiglia delle Crassulaceae e originaria dell’Africa meridionale, caratterizza la nuovissima linea Albero di Giada, proposta da L’Erbolario, con le cui foglie, lavorate nei laboratori dell’azienda lodigiana, è stato prodotto un estratto idrogli-cerico, ricco di fruttosio e glucosio, che sulla pelle svolge una buona azione idratante ed elasticizzante. Il Detergente Viso e Mani, una delle referenze, è talmente delicato da rivelarsi perfetto per il viso e per le mani. La formula in gel, in cui sono contenuti minuscoli cristalli dall’effetto luminoso, a contatto con l’acqua si trasforma in una soluzione quasi lattescente, che rispetta l’equilibrio dell’epidermide e se ne prende cura. L’effetto seta che ne deriva è dovuto agli ingredienti ottenuti dall’Albero di Giada, ovvero l’estratto dalle proprietà idra-tanti, e all’acqua distillata e addolcente. Rientrano nella formula l’olio di Cotone tensioattivato, naturalmente ricco in acido linolenico e arachidonico; aminoacidi di Orzo tensioattivati dall’azione filmogena e protettiva che, combinati con un tensioattivo derivato dal Cocco, assicurano un’azione detergente delicata e gentile. Nella Crema Fluida per il Corpo, dalla texture gradevolissima, intervengono, oltre ai citati estratti dell’Albero di Giada, altri efficaci ingredienti di origine naturale dall’azione nutriente, compattante ed emolliente come i burri di Cocco e di Karité, la vitamina E dai semi della Soja e la gomma di Tara. L’olio di Cocco, ottenuto dall’endosperma (Copra) del frutto di Cocos nucifera, si presenta simile a un burro (in quanto pastoso a temperatura ambiente) di colore avorio. È per lo più composto da acido laurico, miristico, caprilico e caprinico, nonché da acido oleico e linoleico: è un vero alleato per il trattamento delle pelli alipidiche e infeltrite che, giorno dopo giorno, nutre e ammorbidisce splendi-damente. Completa la formula l’olio di Girasole biologico, emolliente e ricco di sostanze antiossidanti. Il Bagnogel, con i suoi minuscoli cristalli, richiama l’i-ridescenza delle pietre preziose. La formula leggera e avvolgente abbraccia il corpo con delicatezza rendendo la pelle profumata, liscia e morbida. Il merito è degli ottimi ingredienti di origine naturale: l’estratto idratante di Albero di Giada, con la sua acqua distillata e addolcente, insieme all’emolliente olio di Cotone e agli amminoacidi di Orzo dall’azione protettiva. Infine, il Profumo, disponibile in due formati, dalle note di Bergamotto, Rosa gialla, tè bianco, fiore di Giada, Verbena esotica, Ambra, Limone, Arancia amara e Ribes nero.

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presenta simile a un burro (in quanto pastoso a temperatura ambiente) di colore avorio.

MERCATO • Filo diretto

Erboristeria Domani • 4148

a cura di Maddalena Zorzetto

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www.lamande.it

Prendersi cura giornalmente della pelle, soprattutto delle zone più esposte come il viso, è la migliore strategia per minimizzare i segni del tempo. Per ottenere tutto questo L’Amande propone una linea che si concentra sulla bellezza del viso, dalla pulizia alla cura e al mantenimento del tono e della luminosità dell’incarnato, attra-verso, L’Amande Nature, una nuova gamma primaverile, che comprende prodotti specifici per il viso formulati utilizzando ingredienti dermo-compatibili ad elevata tollerabilità cutanea, e con un’alta percentuale di ingre-dienti di origine naturale, molti dei quali derivati da agricoltura biologica. La linea è composta da cinque diverse Maschere in tessuto 100% fibra naturale viscosa biodegradabile monouso, che si associano a sieri, gel e creme per il mantenimento e la cura della pelle. In particolare, per rallentare l’effetto del tempo, Maschera Viso Oro con Filler Antiage abbinabile alla Bustina Bi-Dose Gel Oro, comoda maschera in gel da portare sempre con sé per minimizzare i primi segni dell’età. La formula contiene sodio ialuronato, un complesso con oro e peptidi e sfere con acido ialuronico.Per tutti i tipi di pelle, quando è necessario conferire luminosità allo sguardo, la Maschera Viso Idratante & Illuminante è abbinabile al rispettivo Siero Idratante & Illuminante arricchito con succo di Aloe, rinfre-scante e idratante estratto di scorza di Limone, e acqua di Camomilla biologica. La Maschera Viso Purificante & Riequilibrante è arricchita con allantoina, conosciuta per la spiccata attività calmante e lenitiva; zinco PCA, noto per la sua azione normalizzante e riequilibrante; ed estratto di Spiraea Ulmaria, dalla delicata azione astringente, tutto in sinergia con la Crema Purificante & Riequilibrante.

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Un gel idrolipidico, Remargin Colostrum Gel, viene proposto da Solimè per un’azione lenitiva e riepitelizzante finalizzata a favorire il rinnovamento cellulare in caso di cute, mucose lese e per le parti estremamente sensibili. La sua composizione a base di Aloe e Macadamia nutre, rinfresca e dona immediato sollievo. Il prezioso Colostro, ricco di vitamine, minerali e sostanze attive, rigenera la pelle danneggiata. Gli esiti istologici di VitroScreen su Remargin Colostrum Gel hanno evidenziato una diretta influenza sul derma con immediata neutralizzazione del danno, un incremento dello spessore del tessuto, nonché una visibile ricostruzione dei tessuti. L’eventuale sensazione di bruciore e leggero rossore che possono manifestarsi immediatamente dopo l’applicazione, e persistere per alcuni minuti, sono caratteristiche principali dei principi attivi funzionali contenuti nel prodotto. Il prodotto è naturale e non contiene conservanti e allergeni.

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finalizzata a favorire il rinnovamento cellulare in caso di cute, mucose lese e per le parti estremamente sensibili. La sua composizione a base di Aloe e Macadamia nutre, rinfresca e dona immediato sollievo. Il prezioso Colostro, ricco di vitamine, minerali e sostanze attive, rigenera la pelle danneggiata. Gli esiti istologici di VitroScreen su Remargin Colostrum Gel hanno evidenziato una diretta influenza sul derma con immediata neutralizzazione del danno, un incremento dello spessore del tessuto, nonché una visibile ricostruzione dei tessuti. L’eventuale sensazione di bruciore e leggero rossore che possono manifestarsi immediatamente dopo l’applicazione, e persistere per alcuni minuti, sono caratteristiche principali

Filo diretto • MERCATO

Erboristeria Domani • 4149

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www.helan.it

Dai laboratori Helan arrivano due nuove proposte per la bellezza dei capelli: il Bioelisir Rimpolpante, un elisir in mousse rivitalizzante, condizionante e modellante per tutti i tipi di capelli, e il BioGommage Antipollution, da applicare prima dello shampoo. I pregiati ingredienti attivi quali l’acido ialuronico, il Capelvenere, i semi di Chia ricchi di omega 3, amminoacidi, vitamine e sali minerali, nonché il Rooibos (tè rosso africano), sono degli alleati impor-tanti per rallentare l’inevitabile processo di invecchiamento dei capelli e per ringiovanirli visibilmente. Il secondo prodotto è un detossinante pre-shampoo a base di Capelvenere e Moringa oleifera, foglie di Argania spinosa e Yerba santa, PCA carnitina, olio e fibre di Cocco. Questo gommage con-tribuisce a eliminare le cellule morte, polveri, micro-particelle e ad idratare il cuoio capelluto in modo non aggressivo. I semi di Moringa oleifera esplicano un’azione anti inquinamento, mentre per proteggere dall’ossidazione intervengono Argania spinosa e Yerba santa, il cui

elevato tenore in composti fenolici e glicoproteine difende le cellule dell’epidermide dai fenomeni ossidativi.Le fibre di Cocco e la PCA carnitina, l’esfoliante dolce per eccellenza, non aggressiva, non irri-tante e adatta anche alle cuti più sensibili, svolgono una delicata azione sul cuoio capelluto asportandone le impurità, allontanando le cellule morte e rendendo la cute luminosa e morbida.Il BioGommage è quindi, il prodotto ideale per accelerare il rinnovamento cutaneo del cuoio capelluto, lasciandolo meno grasso e pulito più a lungo.

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Dai laboratori Rimpolpantecapelli, e il I pregiati ingredienti attivi quali l’acido ialuronico, il Capelvenere, i semi di Chia ricchi di omega 3, amminoacidi, vitamine e sali minerali, nonché il Rooibos (tè rosso africano), sono degli alleati impor-tanti per rallentare l’inevitabile processo di invecchiamento dei capelli e per ringiovanirli visibilmente. Il secondo prodotto è un detossinante pre-shampoo a base di Capelvenere e foglie di tribuisce a eliminare le cellule morte, polveri, micro-particelle e ad idratare il cuoio capelluto in modo non aggressivo. I semi di per proteggere dall’ossidazione intervengono

www.specchiasol.it

Due nuovi integratori sono stati formulati dalla ricerca Specchiasol. Primum Mini Drink Dren l’Acquaretico è una novità a base di Ananas e Papaya, che facilita l’eliminazione di scorie e liquidi in eccesso mediante la stimolazione dell’attività renale con piante officinali ad attività specifica (Pilosella, Orthosiphon, Tarassaco, Solidago, Betulla, Meliloto, Ananas, Papaya).In particolare, la Papaya e l’Ananas, grazie alla presenza degli enzimi papaina e bromelina, favoriscono il processo della digestione a livello di stomaco e dell’accumulo di proteine nel tessuto fibroadiposo, caratteristico della cel-lulite che si manifesta come pelle “a buccia d’arancia”. Primum Mini Drink il Depurativo, a base di Curcuma e Zenzero, facilita l’eliminazione delle scorie dall’or-ganismo (alimenti, inquinanti, farmaci, ricambio delle cellule) mediante la stimolazione blanda e prolungata degli organi di eliminazione, con piante officinali (Carciofo, Bardana, Ortica, Betulla, Curcuma, Zenzero). In particolare, Curcuma e Zenzero, grazie alla presenza dei principi funzionali curcumina e ginge-roli, favoriscono il processo digestivo e antinfiammatorio, soprattutto in alcune condizioni come lentezza e difficoltà della digestione, meteorismo, stitichezza, mal di testa, dolori reumatici, stanchezza, stress eccessivo, dovuti a sovracca-rico degli organi di eliminazione. Gli integratori non contengono alcool.

per eliminare scorie e liQuidi in eccessoSpecchiasol

MERCATO • Filo diretto

Erboristeria Domani • 41410

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www.esi.it

Una buona igiene orale è una condizione che influenza fortemente lo stato di salute e benessere della persona, e può avere effetti anche molto profondi sulla vita quotidiana degli individui. Tra le cause principali dei problemi della bocca vi sono la scarsa igiene e un’alimentazione scorretta che favoriscono lo sviluppo di carie, tartaro e lesioni del cavo orale. In natura esistono principi attivi utili per la salute e la bellezza di denti e gengive e per il benessere di tutta la bocca. Dalla ricerca ESI nasce Aloe Fresh Collutorio Whitening che con acqua ossige-nata e Lichene islandico; riesce a contrastare l’ingiallimento dei denti, aiuta a combattere e a prevenire la for-mazione della placca e l’alitosi, protegge le gengive e previene la carie. Contiene estratto di semi di Pompelmo e xilitolo che contribuiscono a evitare la proliferazione batterica assicurando un’azione rinfrescante sull’a-lito; il succo di Aloe vera svolge un’azione lenitiva e decongestionante; infine, la Menta presenta pro-prietà antisettiche naturali.Formulato con ingredienti di origine naturale con azione antibatterica, il collutorio non contiene fluoro, SLS, parabeni. La nuova formula completa la linea dei Collutori Aloe Fresh ESI composta da: Aloe Fresh Collutorio con antibatterico, che riduce placca e alitosi proteggendo le gengive e pre-

venendo la carie. Contiene alcol, Propolis, xilitolo, semi di Pompelmo, Escina, Salvia e Aloe vera con gusto Menta forte.

Aloe Fresh Collutorio Zero Alcol con antibatterico, che riduce placca e alitosi proteggendo le gengive e prevenendo la carie. Contiene Propolis, xilitolo, semi di Pompelmo, Escina, Salvia e Aloe vera. Senza alcol, non brucia ed è piacevole per tutta la famiglia al gusto Menta forte.

acQua ossigenata e licHene islandico in un collutorioESI

www.helan.it

www.erbamea.it

Il magnesio è un minerale essenziale nella nutrizione umana, indispensabile per il corretto funzionamento dell’or-ganismo. Contribuisce infatti al normale metabolismo energetico per la produzione di energia di cui hanno bisogno tutte le cellule, ed è necessario, insieme al calcio, per conservare la corretta struttura di ossa e denti oltre ad una buona funzione muscolare. Aiuta anche un naturale rilassamento e un fisiologico recupero in caso di nervosismo e stress dovuti a impegni incalzanti e ritmi troppo veloci, o nelle donne durante il ciclo e in meno-pausa, perché concorre al fisiologico funzionamento del sistema nervoso e alla regolare funzione psicologica. È un minerale prezioso anche per gli sportivi e per chi svolge lavori che impegnano fisicamente, perché aiuta la riduzione della stanchezza e dell’affaticamento e contribuisce a mantenere l’equilibrio elettrolitico. Il nostro benes-sere dipende quindi da scelte alimentari equilibrate e varie che possono assicurare una sufficiente riserva di questo minerale. Per i momenti in cui è necessario inte-grare questo minerale, Erbamea propone Magnesio Complex in compresse o bustine monodose di polvere solubile formulate con un mix di magnesio carbo-nato, pidolato, citrato e marino. La polvere delle bustine contiene, oltre al men-zionato mix di magnesio, glicosidi steviolici, come dulcoranti, al gusto Arancia.

magnesio da fonti diverseErbamea

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www.aboca.it

Gli integratori della linea Natura Mix Advanced di Aboca sono stati pensati per far fronte ai periodi di maggiore impegno fisico e mentale. Con un mix di centinaia di sostanze vegetali che parlano lo stesso linguaggio dell’or-ganismo umano, Natura Mix Advanced aiuta il fisiologico funzionamento di mente e corpo. Natura Mix Mente contribuisce a supportare la memoria e a migliorare la performance cognitiva grazie all’e-stratto di Ginkgo e, inoltre, può aumentare la capacità della persona di adattarsi allo stress; l’estratto di Rodiola ha un’attività tonico-adattogena che aiuta l’organismo ad adattarsi allo stress emotivo o allo sforzo fisico, a sti-molare il sistema nervoso ed ha un benefico effetto in caso di fatica e mal di testa indotto. La formulazione è arricchita dall’estratto di semi di Uva ad attività antiossidante. L’integratore risulta pertanto utile nei periodi di intenso studio, lavoro e in tutti i casi in cui si desidera supportare la memoria e le funzioni cognitive. Natura Mix Energia aiuta ad avere una maggiore energia fisica e mentale grazie all’Eleuterococco; contrasta la fatica in virtù degli estratti di Ginseng e Guaranà; la formulazione è poi arricchita da un mix di frutti rossi, ad alto contenuto di antociani, costituito dai succhi liofilizzati di Mirtillo, Sambuco e Mora, appositamente selezionati per la loro sinergia d’azione. In particolare, il succo di Mirtillo svolge un’azione antiossidante, mentre quello di Sambuco è utile per le naturali difese dell’organismo. L’integratore è utile per chi pratica sport e in tutte le situazioni parti-colarmente stressanti alle quali l’organismo deve adattarsi. Natura Mix Sostegno con Acerola, fonte di vitamina C che contribuisce alla riduzione della stanchezza e dell’affaticamento, risulta utile nei periodi di spossa-tezza e convalescenza, nei cambi di stagione, e per affrontare attività quotidiane impegnative. Contribuisce, inoltre, al buon funzionamento del sistema immunitario grazie alla vitamina C presente nel succo con-centrato di Acerola. L’integratore contiene anche l’esclusiva pappa reale Aboca, liofilizzata a partire da 600 mg di pappa reale fresca. La formula-zione è arricchita dal mix di frutti rossi Cyanidin-3, ad elevato contenuto di antociani, costituito dai già menzionati succhi concentrati di Mirtillo, Sambuco e Mora. L’integratore è ideale per i bambini ma è indicato anche per gli adulti che necessitano di un supporto privo di componenti che possano provocare agi-tazione oppure ostacolare il sonno.

nuovi multinaturaliAboca

alto contenuto di antociani, costituito dai succhi liofilizzati di Mirtillo, Sambuco e Mora, appositamente selezionati per la loro sinergia d’azione. In particolare, il succo di Mirtillo svolge un’azione antiossidante, mentre quello di Sambuco è utile per le naturali difese dell’organismo. L’integratore è utile per chi pratica sport e in tutte le situazioni parti-

con Acerola, fonte di vitamina C che contribuisce alla riduzione della stanchezza e dell’affaticamento, risulta utile nei periodi di spossa-tezza e convalescenza, nei cambi di stagione, e per affrontare attività quotidiane impegnative. Contribuisce, inoltre, al buon funzionamento del sistema immunitario grazie alla vitamina C presente nel succo con-centrato di Acerola. L’integratore contiene anche l’esclusiva pappa reale Aboca, liofilizzata a partire da 600 mg di pappa reale fresca. La formula-zione è arricchita dal mix di frutti rossi Cyanidin-3, ad elevato contenuto di antociani, costituito dai già menzionati succhi concentrati di Mirtillo,

L’integratore è ideale per i bambini ma è indicato anche per gli adulti che necessitano di un supporto privo di componenti che possano provocare agi-

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Cosmoprof WorldwideBologna 2019, nuovi record

Con la chiusura dell’ultima edi-zione di Cosmoprof Worldwide Bologna, svoltasi dal 14 al 18

marzo scorsi, i risultati confermano che l’e-vento, un punto di riferimento per l’intera industria beauty, è in continua crescita.Gianpiero Calzolari, presidente di BolognaFiere, dichiara: “Cosmoprof Worldwide Bologna 2019 ha raggiunto un importante obiettivo con oltre 265.000 operatori dell’industria cosmetica, e un incremento percentuale di visitatori dall’e-stero di circa il 10%. Questo dato, insieme al record di espositori (3033 aziende da oltre 70 paesi), ci rende orgogliosi dei risul-tati ottenuti e ci dà l’energia per affrontare nuovi progetti. Da Bologna, Cosmoprof raggiunge tutto il mondo con manifesta-zioni in tutti i continenti. Dopo Asia, Nord America e India, dopo le partecipazioni nei mercati del Sud America e del Sud Est Asiatico, e dopo lo sviluppo in Europa, grazie all’acquisizione del gruppo tedesco Health & Beauty, siamo ora pronti per allar-gare le frontiere, grazie anche al supporto del Ministero dello Sviluppo Economico, di ICE – Italian Trade Agency e del nostro partner Cosmetica Italia. Per il 2020 nuovi progetti sono in fase di definizione sia in Asia sia in Africa. La piat-taforma di Cosmoprof si appresta a diven-tare sempre più capillare per rispondere al meglio alle esigenze delle aziende del settore”.“Le imprese associate presenti in manife-stazione” commenta Renato Ancorotti, presidente di Cosmetica Italia “hanno registrato un significativo aumento della qualità dei contatti con gli operatori del

settore. Per rispondere a questa tendenza, le aziende si sono fatte promotrici di un’offerta sempre più mirata di prodotti e di servizi. Trovano quindi nuova con-ferma la natura anelastica e la competitività dell’indu-stria cosmetica italiana sui mercati internazionali. Non a caso, l’export (in crescita del 3,6% per un valore di 4800 milioni di euro) con-tinua a sostenere i fattu-rati, che superano gli 11,2 miliardi di euro, in crescita del 2,1%. Dati che sosten-gono quelli, altrettanto posi-tivi, della fiera promossa dal nostro storico partner BolognaFiere, Cosmoprof: assieme continueremo a

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condividere l’obiettivo della valorizzazione della cosmesi Made in Italy nel mondo”.Nei giorni in cui il mondo intero si è fermato per celebrare la Giornata della Terra, anche Cosmoprof Worldwide Bologna 2019 si è fatta sentire puntando i riflettori sull’importanza di intraprendere un nuovo percorso per l’industria, con una maggiore attenzione alla sostenibi-lità, al risparmio energetico e al corretto utilizzo delle risorse ambientali. Le iniziative in manifestazione come NO. CO. NO COMPROMISE, l’installazione del progetto The Cosmopack Factory, i contenuti espressi durante i Cosmotalks e le installazioni con materiali sostenibili,

hanno evidenziato l’attenzione che la fiera ha rivolto nei confronti dell’ambiente. L’affluenza agli oltre 30 talk in programma al Centro Servizi, e l’interesse esercitato dalle aree speciali dedicate al tema green, ben rappre-sentano la scelta condivisa dagli operatori e dalle aziende del comparto.Dopo il successo di quest’ultima edizione, la manifesta-zione annuncia l’appuntamento per il prossimo anno, sempre a Bologna, dal 12 al 16 marzo 2020.

Per informazioni www.cosmoprof.com

LA NATURA DEL CILE A COSMOPROF 2019Grazie al coordinamento di ProChile, ente pubblico leader nella promozione delle aziende locali all’estero, il grande Paese del Sud America ha presentato a Cosmoprof Worldwide Bologna una collettiva nazionale cilena dedicata interamente al mondo naturale: una selezione di 7 aziende che nei loro prodotti non utilizzano conservanti artificiali, componenti chimici, profumi sintetici, additivi o qualsiasi tipo di sostanze tossiche o potenzialmente nocive non testate sugli animali.ProChile basa la sua strategia di internazionalizzazione considerando le nuove tendenze mondiali e le sempre mutevoli necessità dei consumatori. Per il 2019 le aziende cilene puntano senza dubbio sulla cosmesi naturale, registrando nuovi modelli di consumo sempre più orientati verso prodotti bio, prodotti organici e verso concetti di ecosostenibilità.Non solo, è interessante notare come l’industria della bellezza e quella alimentare siano molto legate. Una ricerca nazionale, condotta da GlobalData, ha infatti indicato che il 56% dei consumatori intervistati sono interessati ai prodotti cosmetici con ingredienti naturali, proprio perché “se li puoi ingerire puoi applicarli sulla pelle”.Un input importante per questo Paese che basa i principi dell’industria cosmetica sulla grande ricchezza del territorio: piante e fiori autoctoni, chilometri di coste che offrono alghe dai molteplici principi attivi ed elevata presenza di rame. Ingredienti ecologici, privi di sostanze chimiche e rispettosi dell’ambiente, che sono diventati la base dell’innovazione cosmetica cilena.Un trend che si consolida sempre di più grazie a piccole-medie imprese indipendenti che hanno sposato il concetto di cosmesi naturale. Una scommessa vincente che sta portando interessanti risultati sui dati di esportazione, soprattutto verso Asia ed Europa.

Per informazioniwww.prochile.gob.cl

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ED414.indb 14 23/05/19 16:07

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Cosmofarma Exhibition 2019, visitatori in crescita

Lo scorso mese di aprile si è chiusa Cosmofarma Exhibition, l’evento che, da venerdì 12 a domenica 14, ha riunito a Bologna gli operatori del mondo

della farmacia. I numeri parlano di una manifestazione in costante crescita: +7% di visitatori presenti, oltre 400 espositori e un aumento dell’area espositiva del 15%.“Cosmofarma Exhibition è l’evento di riferimento per gli operatori del benessere e della salute” dichiara Gianpiero Calzolari, presidente di BolognaFiere. “I dati di questa edizione dimostrano come il settore stia interpretando al meglio i cambiamenti dovuti alle recenti regolamenta-zioni. Ancora una volta Bologna si è confermata la capi-tale della salute e, con il supporto di quasi 90 farmacie del territorio che hanno preso parte alla Bologna Health Week, anche i cittadini sono stati coinvolti in attività di prevenzione e screening. Il nostro ringraziamento va al Comune di Bologna e a Federfarma Bologna per aver patrocinato questa iniziativa.La farmacia sta vivendo un periodo di profonda trasfor-mazione e di grandi sfide, e continua ad evolversi per soddisfare le sempre più complesse esigenze di salute della popolazione e mantenere al contempo il necessa-rio equilibrio economico” dichiara Marco Cossolo, presi-dente di Federfarma. “Anche quest’anno Cosmofarma è stata una preziosa occasione di confronto sui grandi temi di interesse del settore, di scambio di informazioni su prodotti e servizi per aumentarne l’efficienza e la profes-sionalità, integrando sempre più la farmacia nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, nella territorializzazione delle prestazioni sanitarie e nei progetti per la cronicità”.Grande affluenza agli oltre 80 convegni in programma durante i tre giorni di manifestazione. Il tema chiave di Cosmofarma 2019, le relazioni umane e l’importanza del rapporto interpersonale, ha risvegliato l’interesse dei visitatori.In particolare, ha riscosso molto successo la Cosmofarma Business Conference con la presenza dello psichia-tra e scrittore Paolo Crepet, che ha portato consigli e spunti agli oltre 300 farmacisti e operatori presenti, per

interpretare al meglio il momento di cambiamento del settore e il nuovo ruolo del farmacista imposto dalla società attuale. Tra i convegni più seguiti l’appuntamento istituzionale di Federfarma, che quest’anno ha voluto celebrare il suo 50° anniversario proprio a Bologna e il convegno di aper-tura, condotto da Gadi Schönheit di Doxapharma, sulla trasformazione della farmacia da canale distributivo a far-macia di relazione. Quest’ultimo ha visto anche la parteci-pazione di Andrea Mandelli, presidente della Federazione Ordini Farmacisti Italiani, e di Marco Cossolo, presidente di Federfarma.Molti i farmacisti che sono intervenuti durante la due-giorni di Nutraceuticals Conference, con le sessioni dedi-cate allo sviluppo del comparto dei nutraceutici e degli integratori, che continua a registrare percentuali di cre-scita importanti.Hanno riscosso notevole interesse le sessioni del Cosmetic Summit sullo sviluppo della dermocosmesi. Sono inter-venuti, tra gli altri, Mintel, con un focus sull’attenzione del consumatore per la cosmesi naturale e il packa-ging sostenibile; Else Corp e Viewtoo, con suggerimenti per sfruttare al meglio le potenzialità del settore all’in-terno del punto vendita; e Myriam Mazza, proclamata “Farmacista dell’anno 2019”, che ha presentato il pro-getto sulla cosmetica oncologica.L’appuntamento è per Cosmofarma Exhibition 2020, dal 17 al 19 aprile, con la città di Bologna ancora una volta “Capitale della Salute”.

Per informazioniwww.cosmofarma.com

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Biologico e sostenibilità ambientaleal centro di TuttoFood 2019 a Milano

FederBio evidenzia come l’attenzione agli alimenti biologici, alla salute e alla tutela ambientale siano stati temi al centro di TuttoFood 2019, il salone

internazionale dedicato al food & beverage che si è tenuto dal 6 al 9 maggio a Fiera Milano, insieme a una crescente consapevolezza sull’importanza di una corretta e sana alimentazione e di processi produttivi sempre più eco-sostenibili.Molte aziende hanno scelto questa manifestazione inter-nazionale per presentare nuove linee bio. In particolare, è emerso come anche le insegne della GDO si stiano sempre più orientando allo sviluppo di linee biologiche a marca del distributore (MDD). Secondo la ricerca Nomisma, presentata nel corso di TuttoFood, sono quattro i temi che rispondono alle attuali sensibilità dei consumatori: oltre alla ricerca di benessere e prodotti naturalmente salutistici, le scelte di acquisto degli italiani sono spinte dalla ricerca di qualità del prodotto e trasparenza della filiera, attenzione agli sprechi e utilizzo di confezioni a basso impatto ambientale.Tra le azioni importanti per contribuire allo sviluppo sostenibile, l’acquisto di prodotti bio è ritenuto, dall’81% dei responsabili degli acquisti alimentari, una delle inizia-tive più efficaci. Ne è testimonianza il dato che in Italia il mercato biolo-gico cresce a ritmi elevati da oltre 10 anni. Nel 2018 il volume totale di vendite di prodotti biologici è stato di 3562 milioni di euro, con un incremento dell’8% rispetto

al 2017 (fonte: Nomisma/AssoBio Osservatorio SANA 2018).FederBio, che è partner di Fiera Milano per TuttoFood, ha contribuito alla realizzazione, da parte del consorzio European Organic Partners costituito dalla propria asso-ciata Assobio, di una collettiva di aziende all’interno di BIOLS.EU, il programma di promozione dei prodotti bio-logici finanziato dall’Unione Europea, che ha l’obiettivo di consolidare il settore agroalimentare biologico europeo in Italia, Germania e Francia nei prossimi tre anni.“L’Italia è il principale Paese trasformatore ed esportatore di prodotti biologici nell’UE, potendo disporre di quasi due milioni di ettari di superficie già coltivata a biolo-gico e oltre ottomilacinquecento imprese di trasforma-zione certificate. Il logo nazionale previsto dal progetto di legge già approvato dalla Camera a dicembre scorso, un forte investimento su un’unica piattaforma di traccia-bilità e la blockchain, come sta facendo FederBio, sono elementi indispensabili per mantenere e rafforzare questa leadership dell’Italia” ha dichiarato Paolo Carnemolla, presidente FederBio.Per sapere quali saranno le innovazioni e i cambiamenti che interesseranno il settore food & beverage nel corso dei prossimi anni, non resta che aspettare il prossimo appuntamento con TuttoFood, previsto a Fiera Milano dal 17 al 20 maggio 2021.

Per informazioniwww.feder.bio

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MERCATO • Post fiere

ED414.indb 16 23/05/19 16:07

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Il potere della cellula

Un approccio biotecnologico alla

produzione di attivi vegetali può

puntare a esaltare le capacità di

biosintesi della cellula vegetale,

scoprendone anche potenzialità

nascoste, senza alterarne

l’equilibrio naturale; e farlo

attraverso un processo industriale

sostenibile, sinergico alla tutela

della biodiversità e orientato a

principi etici. Ne parliamo con

Elena Sgaravatti, co-fondatrice di

DemBiotech®.

In principio c’è una pianta: una sola, singola pianta. In alcuni casi addirittura un unico seme. “Lo mettiamo a ger-

mogliare e coltiviamo con cura la plantula che ne nasce. Sarà in grado di fornirci la linea cellulare madre, dalla quale potrebbe avviarsi in futuro un intero processo

produttivo” ci dice Elena Sgaravatti, CEO, ideatrice e co-fondatrice del progetto DemBiotech®; la green company biotecnologica, parte del gruppo Cereal Docks, sorta esattamente tre anni fa nella campagna vicentina con l’aspirazione, meglio la consapevolezza, di poter diven-tare un modello innovativo e interamente italiano, capace di distinguersi nello scenario internazionale.

Una tecnica coltUrale sostenibile e fortemente orientataQuella realizzata nei laboratori DemBiotech® è a tutti gli effetti una forma di coltivazione alternativa a quella tradizionale in campo, che unisce tecnologia e processi naturali. “Portiamo innovazione in quella che è una pratica antica come l’umanità stessa: la coltura delle piante” ci dice ancora Elena Sgaravatti. La coltura in vitro, in particolare la fermentazione di biomasse vege-tali, è storicamente uno degli ambiti classici di applicazione delle bio-tecnologie. Ma quello che ci interessa in particolare del progetto DemBiotech®, è l’essere finalizzato alla creazione di derivati biologi-camente attivi in campo nutrizionale o delle altre scienze della vita. E il fatto che, come vedremo, questo progetto nasce in una prospettiva di assoluta sostenibilità, dimostrandosi già in grado di aprire nuove porte nello studio di funzionalità dei metaboliti della cellula vegetale, che in natura potrebbero risultare “nascoste”.La sostenibilità è il tema conduttore di tutto il progetto: si esplica in un processo altamente produttivo (la piattaforma lavora oltre tre tonnellate di biomassa vegetale ogni giorno) che non prevede consumo di suolo, si realizza con un ciclo chiuso di utilizzo dell’acqua, e non impiega, quindi non introduce nell’ambiente, solventi.“Ci sono alcuni aspetti innovativi della nostra piattaforma biotech che ci hanno reso più competitivi, prima tra tutti la gestione delle procedure di sterilizzazione” spiega Elena Sgaravatti. “Ma occorre anche dire che sta mutando il contesto in cui operiamo, divenuto in questi anni molto sensibile alla tematica della sostenibilità e più aperto ad accogliere le potenzialità funzionali dei derivati naturali in tutti i settori, dalla nutri-zione alla cosmesi, fino all’impiego farmaceutico. Segnale importante in questo senso è la recente introduzione negli USA della nuova cate-goria dei botanical drugs. Quello che tuttavia caratterizza il nostro processo di creazione di attivi vegetali è un approccio diciamo “olistico”; in effetti, i nostri derivati vengono indotti a formarsi attraverso interazioni e stimoli di tipo bio-logico, e la biomassa, al termine di tutto il processo di accrescimento e biosintesi dei principi attivi, viene solo disidrata, senza essere sottopo-sta ad alcun processo estrattivo. Il risultato è un fitocomplesso ricco di

a cura di Demetrio Benelli Intervista • MERCATO

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ED414.indb 17 23/05/19 16:07

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tutte le benefiche componenti naturali presenti nella pianta, oltre ai composti oggetto della standardizzazione”.

il potenziale vitale della cellUla vegetale“In genere abbiamo una visione ancillare del mondo vegetale piegato alle esigenze dell’uomo. Ma la botanica ci insegna che le piante hanno potenzialità vitali e capacità di adattamento molto superiori agli animali” sostiene con passione Elena Sgaravatti.“Le cellule vegetali sono totipotenti, autotrofe e hanno la capacità di sintetizzare moltissime sostanze che gli animali non possono produrre. Queste capacità vitali della pianta sono alla base del nostro processo produttivo. Partiamo normalmente da tessuti embrionali, germo-gli apicali, naturalmente predisposti alla moltiplicazione. Nelle condizioni colturali di partenza, queste cellule, oltre ai metaboliti primari, sono in grado di sviluppare un’am-pia gamma di altri composti alla base di diversi mecca-nismi vitali della pianta: polifenoli, vitamine e antociani, sostanze presenti normalmente in molte parti dell’or-ganismo di una determinata specie (con l’esclusione, in genere, solo di quei metaboliti che generalmente si formano in natura nei tessuti o nelle strutture più diffe-renziate della pianta, quali gli alcaloidi). Sappiamo che questi metaboliti secondari sono prodotti dalla cellula in risposta, e come adattamento, a stimoli

ambientali quali il freddo o il caldo, la luce, la disponibilità o la scarsità dell’acqua e di certi nutrienti. Il nostro lavoro di ricerca consiste proprio nel modulare questi fattori studiando la reazione della cellula vegetale al loro variare e portando così la nostra pianta, voglio dire la nostra linea cellulare, a indirizzarsi verso la biosintesi di principi funzio-nali di particolare interesse.

Come fa un agronomo in campo, dobbiamo mettere a punto

il terreno e le condizioni ottimali per favorire la

caratterizzazione del nostro “vitigno”.Una volta indivi-duate queste con-dizioni in laborato-rio, inizia il lavoro più difficoltoso e

ricco di ostacoli: tra-sferire lo studio a una

produzione pilota, e poi costruire le modalità per

incanalare l’esperimento in un vero e proprio processo di pro-

duzione industriale”.

la carota è tornata rossaGli estratti realizzati a partire da parti di piante raccolte in natura, o coltivate tradizionalmente, presentano sempre, anche nell’ambito della stessa specie, un profilo fitochi-mico e quindi un’attività biologica molto variabile, prima di tutto per la differenziazione delle popolazioni di par-tenza e poi per le differenti condizioni ambientali nelle quali la pianta è vissuta. “Nel nostro caso” prosegue Elena Sgaravatti “i derivati provengono da linee cellulari identificate geneticamente e conservate nel tempo. Una volta individuate le cor-rette prassi colturali, quello che constatiamo, e la cosa non smette mai di stupirci, è la regolarità della cellula nel riprodurre il profilo fitochimico desiderato: nel trac-ciato analitico il picco di un determinato composto arriva sempre puntuale nel momento preciso in cui è atteso, e con lo stesso range di concentrazione.

La coltura in vitro può permettere la manifestazione di caratteri che la selezione in campo ha nascosto

MERCATO • Intervista

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È questo che, attraverso protocolli di controllo estre-mamente accurati svolti lotto per lotto, ci permette di affermare che la nostra piattaforma biotecnologica, che abbiamo battezzato con l’acronimo CROP (Controlled Release of Optimized Plant), è in grado di riprodurre costantemente derivati standardizzati su basi scientifi-che certe. Cosa interessante, questa modalità di coltivazione può permettere, in certi casi, alla coltura di esprimere alcune potenzialità del suo corredo genetico che la selezione in campo di quella specie aveva nascosto nel tempo. È stato il caso, una curiosità, della Carota, dalla quale ricaviamo un fitocomplesso di grande interesse cosme-tico e nutrizionale. Il nostro derivato presenta un colore rosso intenso e non arancione; il carattere che oggi la identifica per il consumatore, ma che è dovuto a una selezione agronomica.Come nel caso del colore della Carota, alcuni caratteri genetici che in natura risultano latenti possono manife-starsi nuovamente, amplificando le caratteristiche origi-narie della cultivar (si pensi alla ricchezza di polifenoli dei frutti antichi), a beneficio di una determinata funziona-lità biologica dell’estratto.

Queste osservazioni sono quelle che aprono la strada all’innovazione applicativa e ci permettono di avviare una serie di ricerche sperimentali, in collaborazione con diversi centri universitari, che ci hanno già permesso di attestare specifiche funzionalità dei nostri derivati, poten-zialmente molto interessanti in cosmetica ma anche in terapia. Il tutto, naturalmente, anche grazie a una certa dose di serendipity”.

agronomi nella “torre di vetro”Lo stabilimento, disegnato e costruito appositamente per il progetto e da poco inaugurato nella campagna di Camisano Vicentino, unisce la trasparenza e l’eleganza delle pareti in cristallo di tutti gli ambienti dedicati alle fasi di ricerca con una camera bianca perfettamente isolata da ogni possibile contatto con l’esterno. Il laboratorio biologico lavora su linee cellulari di specie largamente coltivate a scopo alimentare, ma anche di piante officinali rare, e studia le modalità di conserva-zione e riproduzione di specie a rischio di estinzione.“Spesso mettiamo a confronto le nostre colture con il metodo di coltivazione biologico, del quale abbiamo

Nel laboratorio si sperimentano le condizioni di crescita che daranno vita al processo di produzione

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Intervista • MERCATO

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rispetto e considerazione, e riscontriamo molte ana-logie: la nostra coltivazione ha impatto ambientale minimo; garantisce assenza assoluta di contaminanti e fitofarmaci, assicurando al contempo elevata pro-duttività e ridotta formazione di scarti; e contribuisce, inoltre, alla conservazione di specie a rischio” osserva Elena Sgaravatti.Una strada che metterà in discussione la coltivazione tra-dizionale delle piante officinali?“Certamente no, ci sarà sempre spazio per tutti, anzi, proprio percorrendo percorsi diversi possono nascere sinergie e collaborazioni con altri protagonisti della filiera. È quanto in effetti è già avvenuto, ad esempio quando ci hanno chiesto di studiare la possibile messa in produ-zione di derivati di specie provenienti da aree protette”.

Un fUtUro sfidanteTre sono i canali attraverso i quali vengono individuate nuove specie potenzialmente interessanti: possono essere prodotti già richiesti dal mercato, ma di cui c’è poca disponibilità di produzioni tradizionali per varie ragioni; altri attivi sono stati messi a punto sulla base di richieste specifiche di clienti e formulatori; e a volte è la ricerca interna che individua nuove possibili funzionalità di componenti fitochimici di una pianta, da proporre in chiave innovativa.

“Oggi abbiamo alcune decine di linee di produzione e in futuro se ne aggiungeranno sempre altre, ma certa-mente l’avvio di un nuovo processo produttivo richiede grande impegno per essere consolidato”.Una particolare linea di sviluppo futuro dell’attività di DemBiotech® segue criteri etici. La conservazione delle specie, soprattutto quelle che potrebbero essere messe a rischio da processi di sfruttamento proprio per i loro prin-cipi attivi, è uno degli aspetti che maggiormente moti-vano la ricerca più avanzata dei laboratori. “Nel mondo esistono alcune specie medicinali che vengono utilizzate per la produzione di farmaci speci-fici finalizzati alla cura di patologie rare o neglette, la cui disponibilità è fortemente limitata, non solo per la diffi-coltà di raggiungerle e raccoglierle, ma anche per limiti dovuti a motivazioni ecologiche e di conservazione della specie.La nostra tecnologia, applicata a casi di questo tipo, potrà permettere di unire la tutela della biodiversità, il ricono-scimento dei benefit sociali legati alle conoscenze etno-botaniche e l’applicazione dei derivati di queste piante rare nella pratica medica moderna; è in questo oriz-zonte che troviamo le motivazioni più forti per lavorare al futuro del nostro progetto” conclude Elena Sgaravatti.

Per informazioni: www.dembiotech.it

La coltura in vitro può permettere la produzione di derivati di piante a rischio di estinzione

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MERCATO • Intervista

Erboristeria Domani • 414

ED414.indb 20 23/05/19 16:07

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Agenda • PAGINE PROFESSIONALI

Erboristeria Domani • 41421

Cosmetici: regole e conoscenze per un’informazione corretta È indubbio che oggi più che mai il mantenimento della salute e del benessere rappresentano esigenze fondamentali al fine di garantire un alto livello pre-stazionale, specialmente nei confronti di una popo-lazione sempre più “anziana” e in costante crescita. La cute e i suoi annessi sono espressione primaria e manifesta del grado di salute dell’intero organi-smo, che risente per primo dei fisiologici segni del tempo, ma anche dell’e-sposizione all’ambiente in cui viviamo.I beauty claims sono le attribuzioni riferite alla salute e al benessere di cute e annessi, usate per promuovere cosmetici, alimenti e integratori ali-mentari al fine di carat-terizzarne la destinazione d’uso e le proprietà legate ad un’efficacia che trova ragione e supporto nella natura dei prodotti stessi e nei loro componenti, ma anche nelle prove che di tali effetti è possibile documentare.Il consumatore è quasi sempre poco consape-vole del peso e della significatività di tali “prove” e spesso continua a restare affascinato dalle affer-mazioni più iperboliche e fantasiose, influenzato dai suggerimenti di più o meno improvvisati imbonitori della rete.Beauty claims: regole, scienza e consumatori è il titolo del convegno organizzato da SISTE (Società Italiana di Scienze Applicate alle Piante Officinali e

ai Prodotti per la Salute) e AIDECO (Associazione Italiana Dermatologia e Cosmetologia), che si terrà il 13 giugno al Centro Congressi Fast (Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche) di Milano.Un mondo complesso e molto variegato quello dei beauty claims; in taluni casi considerati avulsi dalla sfera della salute in generale, in altri, invece, ad essa stretta-mente correlati. In entrambi i casi, i beauty claims si dif-

ferenziano in una miriade di sfu-mature e distinguo dal punto di vista regolamentare.Il convegno, che vedrà la pre-senza di esperti e istituzioni, si distingue in tre sessioni.La prima sessione affronta il tema delle “regole” che, in materia di affermazioni destinate al consumatore, disciplinano ali-menti, integratori alimentari, cosmetici, e di come tali regole vengono applicate alle differenti tipologie produttive.La seconda sessione è dedicata alla “scienza”, ovvero alle evi-denze scientifiche esistenti in tema di bellezza cutanea, al suo mantenimento e a come dimo-strare l’efficacia e gli effetti dei prodotti. L’ultima parte dell’in-contro darà voce ai consumatori, commentando i risultati di un’in-dagine condotta presso un panel di 700 clienti (donne e uomini),

volta a comprendere come sia oggi il comune sentire in tema dei messaggi pubblicitari di prodotti destinati al mantenimento del benessere di pelle e annessi o alla modifica “non chirurgica” dei loro inestetismi, e quali siano i fattori fondamentali che influenzano tale sentire.

Per informazioni [email protected]

ED414.indb 21 23/05/19 16:07

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PAGINE PROFESSIONALI • Agenda

Erboristeria Domani • 41422

Etnobotanica in Valle D’Aosta: a luglio un incontro a Cogne Le originali testimonianze e i dati raccolti con lavoro di ricerca etnobotanica, recentemente condotto nelle Valli Valdostane del Parco Nazionale del Gran Paradiso, ver-ranno presentati domenica 14 luglio presso il Museo etnografico Maison de Cogne Gérard Dayné di Cogne con la conferenza dal titolo L’uso tradizionale delle piante officinali nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, che sarà tenuta dalla docente Laura Cornara e dalla ricercatrice Cristina Danna, entrambe del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Uni-versità degli Studi di Genova.Tramite interviste dirette agli abitanti della zona, è stato possibile recuperare e valorizzare l’uso tradizionale delle piante officinali, strettamente con-nesso alla cultura del territorio. Grazie alla preziosa collaborazione di oltre 60 intervistati, sono emersi gli usi di circa 150 specie spontanee, impiegate in particolare a scopo medicinale e ali-mentare. Questo racconto ben si inserisce nell’atmosfera del Museo Etnografico della Maison Dayné, fornendo un ulteriore contributo alla storia della civiltà alpina. A fine conferenza ci sarà l’assaggio di alcune tisane a base di piante officinali tipiche. Il giorno suc-cessivo, lunedì 15 luglio, gli interessati potranno partecipare a una visita guidata al Giardino Botanico Paradisia. Gli incontri sono realizzati con la collaborazione dell’Ente Parco del Gran Paradiso.

Per informazioni www.pngp.it/luso-tradizionale-delle-piante-officinali-nel-parco – [email protected]

ED414.indb 22 23/05/19 16:07

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Erboristeria Domani • 41423

Cosmetici naturali e biologici: dati in crescita dal mercato tedescoSu un mercato certamente saturo come quello cosme-tico, le linee naturali e biologiche sono state la catego-ria che nel 2018 ha mostrato una maggiore crescita, evidenziando una continua migrazione dei clienti verso i prodotti naturali.Nel frattempo, l’attenzione si è spostata dagli ingre-dienti solo naturali a quelli etici, ecologici e sostenibili, oggi al centro dell’attenzione.Solo nel 2018, più di un milione di nuovi clienti sono passati al consumo preferenziale di questi prodotti

naturali e biologici. In questa dinamica i piccoli marchi sono in grado di reagire più velocemente a questa richiesta e si dimostrano più flessibili delle grandi mul-tinazionali. Questi sono alcuni degli elementi emersi dal Rapporto annuale del mercato del cosmetico natu-rale e biologico in Germania realizzato da naturkosme-tik konzepte di Elfriede Dambacher in collaborazione GfK, risorse informative (IRI), IQVIA (precedentemente imsHealth) e BioVista.

Per informazioniwww.naturkosmetik-konzepte.de

Laboratori Biokyma srlAnghiari - Toscana+39 0575 749989www.biokyma.com

Preparatial Sole

Oleolitodi carotafonte naturale diß-carotene

ED414.indb 23 23/05/19 16:07

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a cura di Demetrio Benelli

Informazioni e trasparenza al centro di un consumo consapevole

In attesa di una definizione

rigorosa della normativa sui

cosmetici naturali e biologici,

gli standard privati stabiliscono

criteri che possono aiutare i

consumatori a prendere decisioni

informate proteggendoli dal

greenwashing, ovvero la tendenza

a spacciare per naturali e bio

prodotti che in realtà non lo sono.

Gli standard privati possono

anche prendere in considerazione

criteri ambientali e di sostenibilità

che non sono ancora contemplati

dalla legislazione ma che sono

sempre di maggior interesse per i

consumatori.

Il consumatore moderno è sempre più con-sapevole e aggiornato; per questo motivo le aspettative nei confronti del cosmetico stanno aumentando: si tende a informarsi dettagliatamente non solo sulle caratte-ristiche del prodotto ma anche sui bene-fici per la salute e il benessere, il valore etico e la sostenibilità ambientale. Questa tendenza può essere definita “consumo consapevole”. La percezione del consumatore può indi-rettamente influenzare anche l’uso di alcune materie prime nei cosmetici. Ciò è

in collaborazione con NATRUE

particolarmente importante per alcune classi di sostanze; ad esempio, alcuni ingredienti sintetici, come parabeni o siliconi, sono percepiti negativamente e considerati indesiderabili. Viceversa, i consumatori percepiscono positivamente le sostanze naturali e biologiche; così dal punto di vista del produttore stiamo assistendo a una tendenza cre-scente, volta a sottolineare nella comunicazione la presenza di ingre-dienti di origine naturale, indicando contemporaneamente l’assenza di alcuni materiali sintetici. Questa tendenza si avverte sia per i cosmetici convenzionali sia per i prodotti naturali e biologici. Per prendere una decisione obiettiva e informata, evitando di essere indotto in errore, il consumatore dovrebbe essere consapevole, come parte di un processo decisionale informato, di ciò che è un requisito legale di base per tutti i cosmetici e di cosa non lo è. Ad esempio, termini come “naturale” o “biologico” non hanno una definizione uffi-ciale; esistono solo norme private, più o meno conosciute o più o meno diffuse, che offrono una guida e definiscono parametri e percentuali grazie ai quali le aziende possono attenersi per presentarsi al mercato con una certa credibilità. Tutto questo su base volontaria. Ecco perché per le aziende diventa importante mantenere l’attenzione sull’autenti-cità del prodotto attraverso una comunicazione trasparente e positiva che permetta ai consumatori di decidere consapevolmente.

Erboristeria Domani • 41424

PAGINE PROFESSIONALI • Cosmesi bio

ED414.indb 24 23/05/19 16:07

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SICUREZZA DEI PRODOTTI COSMETICI

Tutti i prodotti cosmetici, sia naturali e biologici sia con-venzionali, immessi sul mercato dell’UE devono prima di tutto essere conformi alla normativa dell’Unione e rispon-dere al Regolamento UE 1223/2009 che ne regolamenta la produzione secondo una prassi di buona fabbricazione, etichettatura e commercializzazione, definendo l’elenco delle sostanze vietate, di quelle sottoposte a restrizioni, dei coloranti, filtri UV, conservanti, ecc. La normativa richiede che venga effettuata anche una valutazione di sicurezza, e designa che un responsabile debba valutare la conformità complessiva del prodotto, compresa la sua sicurezza, i claims proposti in etichetta e la sua notifica alle autorità per poter essere immesso sul mercato.Ogni prodotto cosmetico venduto sul mercato deve essere valutato come sicuro sulla base dei requisiti di legge: secondo la normativa dell’Unione ci sono 1383 sostanze che non possono entrare nella composizione dei prodotti cosmetici (ad esempio gli antibiotici nella lista dell’Allegato II), 309 sostanze con limiti di restrizioni per l’uso sicuro (Allegato III, ad esempio alcuni ingredienti di fragranza come benzil benzoato o geraniolo) e sostanze per una fun-zione specifica che devono essere approvate per l’uso (pre-viste negli allegati IV, V e VI) e utilizzate solo nei dosaggi consentiti, compresi 153 coloranti (ad es. CI 77489 [ossido di ferro]), 59 conservanti (ad es. salicilico acido) e 30 filtri UV (ad es. biossido di titanio).La sicurezza è il principio di riferimento della normativa, pertanto, in caso di dubbi sull’utilizzo di un ingrediente, questo viene portato all’attenzione della Commissione europea dalle autorità degli Stati membri dell’UE, che suc-cessivamente possono chiedere al Comitato scientifico per la sicurezza dei consumatori (in sigla CSSC) una valuta-zione sui rischi (chimici, fisici, biologici, meccanici e altro). L’organismo valuta la sicurezza degli ingredienti e supporta la Commissione UE nei processi di approvazione, inoltre disciplina o vieta una sostanza vigilando affinché venga sempre tutelata la sicurezza dei consumatori.La normativa cosmetica europea è uno dei primi riferi-menti presenti anche nello standard NATRUE (disciplinare per la cosmesi naturale e biologica) sviluppato dall’omo-nima associazione no profit con sede a Bruxelles e opera-tiva dal 2007. Se è quindi chiaro che sicurezza ed effica-cia di un cosmetico non sono oggetto di norme private, il

provare a definire il concetto di naturalità è stato, invece, (ed è tuttora) terreno di confronto di standard.

ETICHETTATURA

La confezione del prodotto cosmetico è, comprensibil-mente, il primo punto di contatto con il consumatore. Pertanto, è il luogo in cui i consumatori desiderano trovare e dovrebbero acquisire informazioni utili e non fuorvianti sul prodotto. Di conseguenza, sapere come leggere cor-rettamente le etichette e capire che cosa significano le informazioni è anche un passo positivo per agevolare una decisione consapevole di acquisto.Anche i requisiti di etichettatura per i prodotti cosme-tici sono stabiliti dalla legge, e tutti i prodotti cosmetici devono fornire varie informazioni sull’imballaggio come: il nome e l’indirizzo dell’azienda responsabile; un contatto per domande o in caso di problemi con un prodotto; un elenco dettagliato degli ingredienti presenti; il contenuto della confezione (in grammi o millilitri); eventuali avver-tenze che potrebbero essere necessarie su come utilizzare il prodotto in sicurezza (ad esempio, “non essere ingerito”, “da non utilizzare per bambini sotto i 3 anni di età”); una “data di durata minima”, che indica la durata di conserva-zione adeguata del prodotto non aperto o se il prodotto è idoneo a una durata di 30 mesi o superiore; un “periodo di conservazione dopo l’apertura”, espresso mediante un simbolo che mostra il periodo di tempo in cui un prodotto rimane adatto per l’uso dopo l’apertura.La lista degli ingredienti è sicuramente una delle parti più consultate da parte di un consumatore consapevole;

Erboristeria Domani • 41425

Cosmesi bio • PAGINE PROFESSIONALI

ED414.indb 25 23/05/19 16:07

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è standardizzata e utilizza uno schema di denomina-zione per tutte le sostanze: il sistema INCI (International Nomenclature for Cosmetic Ingredients). Poiché i cosmetici sono miscele complesse, ciascuna sostanza è elencata in ordine decrescente, da quella maggiormente presente nel prodotto (solitamente acqua) a quella presente in quan-tità minore (quando una sostanza è al di sotto dell’1% della concentrazione non esiste un ordine particolare). Le miscele di fragranze sono indicate nell’INCI con la dici-tura “profumo”, mentre le miscele di sapore per dentifrici o collutori sono notificate con il termine “aroma”. Se uno qualsiasi dei 26 allergeni indicati nell’Allegato III del rego-lamento è presente, tale sostanza deve essere dichiarata sulla confezione. I coloranti consentiti sono identificati dal loro indice di colore (CI), mentre per i cosmetici a colori come i trucchi, che sono disponibili in un’ampia gamma di tonalità, alla fine della lista vanno indicati tutti i colori utiliz-zati insieme nella gamma di prodotti preceduti dal simbolo “può contenere”, che è un semplice “+/-”; ad esempio per il rossetto rosso carminio va indicato contenente CI 75470.

CLAIMS DEI PRODOTTI

I claims possono aiutare i produttori a promuovere i propri prodotti fornendo al consumatore informazioni sulle caratteristiche del cosmetico. Ciononostante, per ridurre il rischio di indurre in errore con affermazioni non comprovate, esistono requisiti espressi nell’articolo 20 del regolamento cosmetico dell’UE (CE 655/2013) che, uni-tamente a quanto disposto nella normativa comunita-ria sulle rivendicazioni di prodotto, tutelano il consuma-tore. Questo documento regola sei criteri comuni, vale a dire: conformità legale, veridicità, supporto probatorio, onestà, correttezza e decisioni informate. Nessuno di questi criteri può essere considerato singolarmente nella definizione dei claims di un prodotto.Per quanto riguarda i claims, che richiamano l’assenza di test su animali, l’articolo 20, paragrafo 3, fa specifico rife-rimento a quanto siano considerati fuorvianti, poiché la sperimentazione sugli animali è vietata ai sensi del rego-lamento sui prodotti cosmetici dell’UE.Per supportare entrambi i testi legislativi è stato intro-dotto un documento tecnico, non legalmente vincolante. A partire da luglio 2019 saranno applicati due nuovi alle-gati per contribuire a valutare le affermazioni “libere da” e ipoallergeniche fatte nel contesto dei sei criteri comuni.

CLAIMS NATURALI E BIOLOGICI

Come per tutti i prodotti cosmetici dell’UE, anche i pro-dotti naturali e/o biologici devono prima di tutto rispet-tare la legislazione di base per i cosmetici. Ai sensi dell’ar-ticolo 20, le indicazioni relative ai prodotti cosmetici natu-rali/biologici devono essere conformi ai sei criteri comuni per le dichiarazioni sul prodotto. Tuttavia, rimane il fatto che non esistono criteri armonizzati a livello europeo per sostenere la fondatezza delle affermazioni sulle carat-teristiche del prodotto naturale o biologico che riman-gono indefinite ai sensi del diritto dell’UE per i prodotti cosmetici.Di conseguenza, poiché non esiste una soglia per stabilire quanti ingredienti naturali devono essere presenti in un prodotto cosmetico per dichiararlo come tale, si potrebbe attribuire l’indicazione naturale anche in presenza di un solo ingrediente, ma rimane difficile applicarla a un pro-dotto finito senza il rischio che risulti fuorviante.Dal momento che non ci sono criteri ufficiali per i cosme-tici naturali o biologici, non sono presenti neanche dispo-sizioni giuridiche che richiedano la dicitura in etichetta degli ingredienti di origine OGM, così come esistono invece per gli alimenti. Ad esempio, non vi è alcun obbligo legale di garantire che un prodotto che dichiara di essere un cosmetico biologico non contenga ingredienti deri-vati da OGM. Ma se ciò accadesse potrebbe portare a una falsa percezione e all’aspettativa non soddisfatta dei consumatori. Gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) sono organismi che hanno subito modificazioni genetiche in accordo con la direttiva 2001/18/EC. Il quadro norma-tivo europeo stabilisce la necessità della valutazione del rischio, della tracciabilità e dell’etichettatura degli OGM per prodotti alimentari e mangimi che li contengono o che sono stati prodotti attraverso OGM disciplinati dai regolamenti (EC) 1829/2003 e 1830/2003. Per quanto riguarda l’agricoltura biologica, gli OGM sono proibiti dal Regolamento (EC) 834/2007. Nel loro insieme queste norme offrono un quadro normativo chiaro garantendo trasparenza, e soprattutto la possibilità da parte del con-sumatore di fare scelte di acquisto consapevoli.Poiché non esiste una definizione ufficiale di cosmesi natu-rale e bio e le interpretazioni possono variare, vediamo che il settore cosmetico naturale rimane frammentato in molte “sfumature” di verde. Per NATRUE niente di artifi-ciale è ammesso, così come si aspettano i consumatori;

Erboristeria Domani • 41426

PAGINE PROFESSIONALI • Cosmesi bio

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un prodotto cosmetico naturale e biologico deve esclu-dere la presenza di OGM e questo è un requisito base dello standard NATRUE.

NECESSITÀ DI TRASPARENZA PER I COSMETICI NATURALI

Maggiori informazioni non sono sempre sinonimo di una migliore comprensione. Anche se i consumatori più consa-pevoli delle loro scelte di acquisto dedicano tempo e fatica a comprendere le informazioni fornite sulla confezione, essi non possono determinare dalla sola lettura dell’INCI l’origine di ogni ingrediente cosmetico come naturale, parzialmente petrolchimico, oppure OGM.In attesa di una definizione rigorosa della normativa sui cosmetici naturali e biologici, gli standard privati come NATRUE stabiliscono i criteri che possono aiutare i consumatori a prendere decisioni informate e proteg-gerli dal greenwashing, ovvero la tendenza a spac-ciare per naturali e bio prodotti che in realtà non lo sono. Gli standard privati possono anche prendere in

considerazione criteri ambientali e di sostenibilità che non sono ancora contemplati dalla legislazione ma che sono sempre di maggior interesse per i consumatori.Il marchio NATRUE rappresenta un rapido e facile riferi-mento per consentire ai consumatori di identificare con un colpo d’occhio autentici cosmetici naturali e biolo-gici. I consumatori possono essere quindi certi che ogni prodotto con l’etichetta NATRUE abbia superato con successo criteri rigorosi, trasparenti, indipendentemente stabiliti e verificabili.Nell’attesa di una migliore regolamentazione, NATRUE è da anni impegnata nella difesa della cosmesi naturale e biologica, anche tramite la sua attività politica ormai decennale a Bruxelles. Partecipa attivamente ai gruppi di lavoro sui cosmetici della Commissione europea per contribuire direttamente all’evoluzione della legisla-zione, sostenendo che qualsiasi procedura di regola-mentazione per i cosmetici naturali e biologici, inclusa quella sui claims, deve essere rigorosa e trasparente per tutelare le legittime esigenze e aspettative dei consumatori.

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Erboristeria Domani • 41427

Cosmesi bio • PAGINE PROFESSIONALI

ED414.indb 27 23/05/19 16:07

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Erboristeria Domani • 414

a cura di Paolo PoggiPAGINE PROFESSIONALI • Cronache cosmetiche

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Il responso immunitarioinizia dalle cellulecutanee

Secondo recenti ricerche, il responso immunitario inizia dalle cellule cutanee: cherati-noci e fibroblasti iniziano il primo

stadio di tale processo difensivo antinfiammatorio.

Ricercatori della Silab, in collabora-zione con l’equipe dell’Università della California, hanno identifi-cato un sinora sconosciuto mecca-nismo biologico: le cellule cutanee possono attivare il responso

immunitario locale. Secondo gli autori, la comunicazione cellula/cellula svolge un ruolo importante ai fini della protezione della pelle da agenti esterni. In un recente lavoro pubblicato su Experimental Dermatology, era stata verificata l’attivazione di cellule dendriti-che in presenza di Staphylococcus

I cosmetici verdi,attualità e prospettive future

Spinta dalla richiesta dei consu-matori che li domandano, l’indu-stria ha proposto nuovi prodotti naturali con nuove tecnologie di soluzione. Ma esistono anche altri fattori importanti che spiegano l’e-voluzione e il successo della produ-zione di cosmetici naturali.

L’industria dei prodotti naturali sembra godere di buona salute: da almeno 15 anni la sua produzione è in costante crescita e tale trend sembra decisamente destinato a continuare. Statistiche di mercato rilevano che, mentre per il mercato globale dei prodotti per il perso-nal care è prevista una crescita annua tra il 3,5-4,5%, per i pro-dotti di derivazione naturale tale valore è da considerarsi sul 10%. Il che starebbe ampiamente a dimo-strare che i consumatori rivelano un sempre maggiore interesse, e quindi scelta d’acquisto, per questa categoria di prodotti.Sotto un punto di vista pretta-mente tecnico, l’incremento della domanda di cosmetici verdi ha spinto i produttori di materie prime

a fornire sempre più adatte solu-zioni; sotto il profilo psicologico, la ragione di questo successo sta nel fatto che ormai il consuma-tore ritiene il prodotto verde più “naturale”, e quindi più sicuro nell’impiego. A questo punto della relazione, l’estensore della nota, apparsa su un recente numero di Cosmetics & Toiletries, si pone alcune intriganti domande: sarebbe interessante riu-scire a capire quanto incide l’ope-rato dell’industria sulla percezione del consumatore, cosa è veramente cambiato nel mercato dei prodotti cosmetici, cosa chiedono realmente i consumatori a tali prodotti e se è effettivamente avanzata la tec-nologia nella realizzazione di nuovi prodotti.Indubbiamente l’innovazione è indispensabile per attirare nuovi consumatori e sviluppare nuove tecnologie che forniscano prodotti di qualità e prestazioni prima non disponibili. Il settore dei cosmetici verdi è quello che negli ultimi anni ha senz’altro fatto registrare la più marcata evoluzione, soprattutto per quanto concerne la qualità del prodotto proposto. Allo stesso tempo è certamente il settore che

è maggiormente cambiato e che, sotto la guida dei consumatori, ha proposto nuovi prodotti: i “pro-dotti verdi” ai “consumatori verdi” che li domandano con nuove tec-nologie di soluzione.Ma esistono anche due fattori importanti che spiegano l’evolu-zione e il successo della produzione di cosmetici naturali: 1. l’industria dei cosmetici naturali

ha capito che la realizzazione di questo tipo di prodotti è la via del futuro, grazie ad alternative sempre più naturali ai prodotti di sintesi;

2. l’industria dei naturali ha capito, finalmente, che il con-sumatore non vuole il pro-dotto naturale perché è con-trassegnato da tal marchio (le due foglioline verdi, il fiore nel bicchiere di vetro, ecc.), ma ne richiede maggiori prestazioni e performance.

La tecnologia ha ormai aiutato a realizzare un “prodotto verde” che rispetti le esigenze di “natu-rale” del prodotto secondo la richiesta del consumatore, senza comprometterne le credenziali “verdi”, cioè sostenibilità e rispetto dell’ambiente.

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Erboristeria Domani • 41429

Cronache cosmetiche • PAGINE PROFESSIONALI

Strategie formulativeantipolluzione

È ormai da qualche anno che in ogni parte del mondo ci si è accorti che l’inquinamento ambientale può essere deleterio e dannoso anche nei confronti della pelle. Suggerimenti su strategie e formule cosmetiche da adottare per contrastare tale rischio.

Le piccolissime particelle sospese nell’aria provenienti da inquina-mento ambientale, una volta inalate possono creare disagi al nostro orga-nismo, soprattutto di ordine respira-torio e cardiovascolare. È a partire da questa considerazione che da parec-chi anni molti studi sono stati indiriz-zati all’esame su come contrastare e risolvere questo rischio ambientale. Ma è ormai da qualche anno che in ogni parte del mondo ci si è accorti che l’inquinamento ambientale può essere deleterio e dannoso anche nei confronti della pelle.Si è così scoperto che l’azione nociva di particelle sospese nell’aria, soprat-tutto nelle zone riconosciute come quelle a maggiore inquinamento ambientale, può essere correlata all’insorgere di disturbi cutanei come la comparsa di lentiggini, di macchie, di zone (del viso soprattutto) a

disomogeneo colorito e a secchezza della pelle. In particolare, per quanto concerne le lentiggini, recenti studi hanno potuto dimostrare che la loro origine, oltre che ereditaria o dovuta al sole su certi tipi di pelle, è risul-tata anche strettamente correlata ad azione di inquinanti dell’aria.Come difendere la pelle da inqui-nanti atmosferici, da quelle picco-lissime particelle sospese nell’aria che in gergo ormai sono note come PM (particulate matter)? Se ne fa un’ampia disamina in un recente fascicolo di SOFW Journal, review che in sintesi riferiamo. Sono sicu-ramente due le principali “cautele” (chiamiamole così) da rispettare ai fini di ottenere risultati apprezzabili: 1. inibire al massimo la possibilità

di adesione delle particelle inqui-nanti al substrato;

2. rimuoverle (quelle depositatesi) nel minor tempo possibile e nel miglior modo possibile.

A tale scopo sono state realizzate idonee formulazioni cosmetiche e suggeriti i prodotti (materie prime e additivi) più indicati al fine di rendere funzionali tali composizioni. Tipiche formulazioni topiche preve-dono l’impiego di polimeri (carbo-pol, acrilati), emollienti (undecani, tridecani) ed emulsionanti (alcol

cetilico, cetearil glucosidi) come pro-dotti di base integrati da ingredienti a scelta quali filtri UV e bioattivi.La selezione prevede l’uso di ingre-dienti che non creano adesione, ad esempio se scegliamo un umettante non va certamente bene la glicerina. Così come sono indicati compo-nenti che creano un ottimale bilan-ciamento della microflora cutanea.La combinazione di filtri UV dovrebbe quanto meno garantire un valore SPF di 10 e le formulazioni dovrebbero sicuramente contenere antiossidanti (tocoferolo), così come agenti chelanti (EDTA tetrasodico), in modo da ridurre stress ossidativo indotto dalla materia inquinante.Anche i consumatori, e non solo gli addetti ai lavori, si sono resi conto che anche sulla pelle la polluzione può indurre effetti avversi, scossi sicuramente dagli ormai numerosi rapporti che sono stati pubblicati sull’argomento.Pertanto, dare spazio nella docu-mentazione scientifica a suggeri-menti, come quelli di adatti accor-gimenti da seguire e di adatte for-mulazioni cosmetiche da adottare ai fini di contrastare al meglio questo rischio di incolumità della pelle, può risultare efficace e utile sia per il pro-duttore sia per il consumatore.

aureus. Secondo tale articolo, i cheratinociti e i fibroblasti ini-ziano il primo stadio di responso immunitario attivando cellule dendritiche tramite il riconosci-mento di responsi infiammatori. La deregolazione di vari marker indica che componenti struttu-rali di S. aureus sono riconosciuti

dal microambiente cutaneo che, quindi, induce attivazione ed espressione di specifiche citochine.Nel lavoro citato si era visto, dunque, che le tossine secrete da S. aureus, così come suoi componenti strutturali, innescano una risposta del sistema immunitario locale, ma rimaneva da chiarire con quale

meccanismo di azione S. aureus sviluppi un microambiente infiam-matorio che favorisca l’attivazione di cellule immunitarie. I risultati di nuove ricerche hanno sottolineato il protagonismo dei cheratinociti e dei fibroblasti nella prima fase di un responso immunitario verso i componenti del batterio.

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Erboristeria Domani • 414

PAGINE PROFESSIONALI • Cronache cosmetiche

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Probiotici: accorgimenti e osservanzecautelative nel loroimpiego

Si parla sempre della loro effi-cacia e funzionalità. Gli autori di una recente rassegna riferiscono la necessità di una loro adeguata conoscenza e opportuna regola-mentazione su come utilizzarli.

Di probiotici ne abbiamo parlato spesso su questa rubrica, per cui ricordiamoli solo brevemente: si tratta di organismi vivi, normal-mente residenti nell’intestino umano, emessi come sostanze anti-biotico-simili aventi un potenziale antagonistico che fornisce impatto immuno-modulatorio che stimola la normale microbiocenosi.In genere essi sono trattati come “correttori” della normale microflora intestinale.Ormai è provato che i probiotici sono in grado di apportare benefici effetti salutistici generali. Si riferisce, infatti, di una loro positiva interferenza nel trattamento di perdita dell’appetito e di indigestione, di costipazione e di diarrea, di gastroenterite e disagi

di ordine epatico, di infiammazioni dell’intestino e di coliti ulcerative, di dermatiti, e si potrebbe continuare.Giova forse ricordare che i neonati non sono in grado di sviluppare batteri per almeno tre settimane, per cui si ricorre alla somministra-zione di probiotici al fine di garan-tirne lo stato di salute in questi primi momenti di vita.In un’ampia rassegna, apparsa su un recente numero di European Journal of Biotechnology and Bioscience, si parla dell’efficacia dei microrganismi probiotici nella cura di certi disturbi e malattie dovute alle alterazioni del microbiota che genera disbiosi in umani. Per disbiosi, lo ricordiamo, s’intende uno squilibrio microbico sulla superficie o all’interno di un corpo. Più comunemente, la disbiosi è riferita come una condizione ine-rente al tratto intestinale. Vari disturbi e disagi dell’organi-smo umano sono stati curati con il consumo di differenti cibi probiotici contenenti batteri “buoni”. È scritto che questi probiotici sanano il micro-biota alterato senza creare danno e possono, pertanto, essere utiliz-zati sempre e liberamente. Peraltro, siccome tali batteri probiotici si

possono utilizzare in continuazione per curare così tanti disturbi dell’or-ganismo, gli autori della rassegna ritengono necessaria una loro ade-guata conoscenza e opportuna regolamentazione su come utiliz-zarli, come ad esempio nel caso di pazienti malati cronici, di persone anziane o con il sistema immuni-tario compromesso. Un altro caso potrebbe essere quello di pazienti con l’intestino perforato, nei quali si potrebbe rovinare l’eco bilancia-mento della normale flora dell’in-testino usando oralmente quantità superiori al necessario.Così come l’approccio ai probiotici, almeno per certi pazienti dovrebbe essere effettuato sotto rigorosa pre-scrizione medica. Quindi, il probio-tico puro può esser prescritto solo se il potenziale beneficio ne giustifica il potenziale uso da parte del paziente. Finalmente appare evidente che se questi probiotici hanno un così enorme potenziale effetto salutistico nel curare un gran numero di disagi e disturbi dell’organismo umano, è chiaro che ancor maggiore atten-zione deve essere posta alla loro scelta, valutazione e utilizzo di test di effettiva funzionalità.

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Adulterazioni del Cranberry sul mercato erboristico italiano

Le adulterazioni rappresentano

un problema sempre attuale per

il mercato erboristico italiano e

internazionale. Il primo passo per

affrontarlo consiste nel fatto che

imprese e operatori professionali

si abituino a verificare sempre

l’origine e la tracciabilità dei

prodotti che utilizzano, ponendo

la massima attenzione al

percorso analitico che le attesta.

Per far ciò, essi devono attivarsi

direttamente, come nel caso che

pubblichiamo, per realizzare,

in collaborazione con istituti

scientifici indipendenti, ulteriori

controlli in caso di ogni dubbio,

prima di tutto a favore di una

crescita del mercato.

integratori alimentari indicati nel trattamento delle infezioni delle vie urinarie (UTI). Oltre all’azione anti-UTI esercita anche altri diversi effetti benefici per la salute umana, compresa l’azione antiossidante (1) e la riduzione del colesterolo (2). Le infezioni delle vie urinarie costituiscono un problema assai diffuso in tutto il mondo e sono caratterizzate dall’insorgenza di una fase acuta che, anche dopo un apparente trattamento risolutivo con antibiotici, può ricomparire sotto forma di recidiva (3). Data la presenza di studi clinici incoraggianti nei confronti dell’im-piego di Cranberry nel trattamento delle infezioni delle vie urinarie, specialmente per quanto riguarda la capacità di prevenire le recidive, il consumo di Mirtillo rosso è stato valutato tra le strategie non farmaco-logiche per ridurre la recidiva clinica nelle donne con un recente UTI. Nonostante ciò, non ci sono attualmente in Europa claims approvati sugli effetti di trattamenti Cranberry-based sulla salute del tratto urinario. Infatti, tutte le petizioni presentate all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sono state negate a causa di

Il Mirtillo rosso americano Vaccinium macrocarpon (Cranberry) rappresenta oggi una delle piante maggiormente uti-lizzate, prevalentemente sotto forma di estratti secchi, da solo o insieme ad altri principi funzionali, per la formulazione di

di Antonio Scialpi1, Christian Fachechi1 e Claudio Gardana2

1Specchiasol, Divisione Ricerca e Sviluppo2Università degli Studi di Milano, DeFENS

Bacche di Cranberry essiccate ( © Tomtheman5)

Qualità • PAGINE PROFESSIONALI

Erboristeria Domani • 41431

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prove cliniche che hanno portato a risultati discor-danti. L’analisi accurata dei materiali e dei metodi rela-tiva ai molti studi pubblicati riguardanti gli effetti del Cranberry sull’UTI suggerisce, quindi, che la mancata standardizzazione dei prodotti somministrati sia di ostacolo ad una valutazione affidabile dei risultati (4). Pertanto, a garanzia dell’efficacia dei prodotti a base di Mirtillo rosso americano, si rende necessaria la stan-dardizzazione accurata della materia prima, poiché l’in-sufficiente uniformazione dell’estratto a base di Mirtillo rosso americano contribuisce all’impossibilità sia di sta-bilire la preparazione più efficace sia di confrontare i risultati clinici. Affrontare e colmare questa carenza si tradurrà in un più ampio utilizzo e successo dei prodotti a base Cranberry sul mercato.Il costo degli estratti secchi di Cranberry, la cui titola-zione spazia mediamente dall’1% al 35% in proanto-cianidine (PACs) totali, si aggira rispettivamente dai 40 ai 700 euro al chilo in funzione della titolazione qua-li-quantitativa; cifre e differenze elevate che giustifi-cano la presenza sul mercato di numerose sofisticazioni (aggiunta di sostanze estranee), adulterazioni (sostitu-zione di elementi propri con altri estranei) e contraffa-zioni (formazione ex novo del prodotto alimentare con altre sostanze).Nel caso specifico del Cranberry sono stati utilizzati come adulteranti estratti ad alta concentrazione di PACs ma a basso prezzo, come l’estratto di corteccia di Pino (10-25

€/Kg) o l’estratto di arachidi contenente oltre l’80% di PACs e venduto a meno di 35 €/Kg.Sono stati segnalati anche casi di adulterazione con estratto di semi d’Uva, Arachide rossa, Fagiolo nero, Riso nero, Prugna, Gelso, Ibisco, o con miscele di questi (5-11).

DETERMINAZIONE DEI PRINCIPI ATTIVI

Le proantocianidine (PACs) sembrano essere le princi-pali responsabili dell’effetto positivo legato all’uso di estratti di Cranberry nel trattamento delle infezioni delle vie urinarie.Le PACs sono dei polimeri complessi e variegati che nascono dalla combinazione di quattro unità mono-meriche: catechina, epicatechina, gallocatechina ed epigallocatechina.Queste molecole, principalmente catechina ed epicate-china, possono combinarsi in maniera differente in fun-zione del tipo di legame instaurabile tra i diversi mono-meri (che può essere di tipo-A, di tipo-B o misto).Come si può immaginare, con l’aumentare della lun-ghezza della catena polimerica aumenta esponenzial-mente il numero di PACs presenti; a titolo di esempio, statisticamente si nota come da un polimero di 20 unità possano svilupparsi circa cinquecentomila PACs differenti.La letteratura scientifica internazionale attribuisce alle PACs di tipo-A l’efficacia terapeutica nel controllo delle infezioni delle vie urinarie.

Raccolta del Cranberry, Isola di Nantucket 1880 (pittura di Jonathan Eastman Johnson)

PAGINE PROFESSIONALI • Qualità

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I metodi analitici utili al controllo della qualità degli estratti di Cranberry dovranno quindi essere in grado di determinare:1. la quantità totale delle PACs;2. la tipologia (tipo-A e tipo-B); 3. la lunghezza degli oligomeri e dei polimeri (dimeri,

trimeri, tetrameri, ecc.);4. la conformità alla specie botanica.

la qUantità di pacsEsistono numerosi metodi di analisi che permettono di quantificare le PACs totali contenute negli estratti di Cranberry; si tratta di metodi colorimetrici quantitativi, ma non qualitativi, nel senso che indicano la quantità di proantocianidine ma senza poterle distinguere.I metodi più usati sono il Bate-Smith e le sue successive modifiche, la cromatografia liquida accoppiata allo spet-trometro di massa, e il metodo BL-DMAC; quest’ultimo è ritenuto il più adoperato, specifico e riproducibile per la determinazione delle PACs totali del Cranberry. La dimetilammino cinnamaldeide (DMAC) è un reagente che in soluzione acida fornisce un carbocatione elettrofilo fortemente reattivo, in grado di reagire con i gruppi feno-lici meta orientati delle PACs. Questa reazione produce un derivato verde che assorbe a 640 nm.Il metodo Bate-Smith sfrutta l’idrolisi in butanolo delle PACs che produce antocianine, le quali sono poi state rilevate spettrofotometricamente con lettura a 530 nm. I limiti di questo metodo sono la sovrastima delle quantità totali di PACs, l’incompleta idrolisi delle stesse, la lettura come fossero PACs delle antocianine naturalmente pre-senti, e la mancanza di un coefficiente di estinzione ade-guato. Alcuni autori (12) hanno dimostrato che la proan-tocianidina A2 (PA2), lo standard utilizzato nel dosaggio BL-DMAC, porta ad una sottostima delle proantociani-dine ad alto peso molecolare.

tipologia (tipo-a e tipo-b) e lUnghezza di oligomeri e polimeri (dimeri, trimeri, tetrameri, ecc.) nelle pacsSe il metodo BL-DMAC sembra rappresentare il sistema migliore per la determinazione quantitativa delle PACs del Cranberry, per la determinazione qualitativa è neces-sario utilizzare metodi diversi, come ad esempio la cro-matografia liquida accoppiata a spettrofotometria di massa oppure il metodo MALDI-TOF. Questi metodi per-mettono, infatti, sia di differenziare le PACs tipo-A dalle

PACs di tipo-B, sia di stabilire la lunghezza delle catene polimeriche in base al diverso peso molecolare.Il limite di questi metodi è rappresentato dal fatto che gli spettrometri di massa normalmente utilizzati sono in grado di determinare solamente una parte delle PACs, quelle con peso molecolare inferiore a 3000 Da. La frazione da 3000 Da a 50000 Da, che contiene la maggior parte delle PACs, non è quindi né rilevata né tantomeno determinata qualitativamente. Ne consegue che i pesi molecolari e la tipologia di PACs determinati quantitativamente, con metodi come ad esempio BL-DMAC, non possono essere presi come rife-rimento per la determinazione quantitativa effettuata mediante LC-massa.Per fare un esempio, se si determina con il metodo BL-DMAC, in un estratto secco denominato O.M-1, una quantità di PACs totali pari a 360 mg/g, e con la HPLC-massa-fluorimetro si determina che il medesimo cam-pione contiene l’85% di PACs tipo-A, non è corretto dire che O.M-1 contiene 306 mg/g di PACs tipo-A, cioè l’85% di 360 mg/g. Infatti, è necessario tenere in con-siderazione che la HPLC-massa ha rilevato solo la parte di PACs dal peso molecolare fino a 3000 Da (che corri-sponde a polimeri corti) e non ha potuto determinare le PACs con pesi molecolari superiori presenti nell’intervallo

Vaccinium macrocarpon

Qualità • PAGINE PROFESSIONALI

Erboristeria Domani • 41433

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adulterante è presente (ad esempio, estratti di Riso nero, Ibisco, semi o bucce di Uva) (11,15).A questo proposito, diversi metodi LC-DAD validati sono stati pubblicati, e tutti riportano che l’impronta digitale caratteristica del Cranberry contiene cinque antocianine principali (cianidina-3-O-galattoside, cianidina-3-O-ara-binoside, peonidin-3-O-galactoside e peonidin-3-O-a-rabinoside) e due (cianidina-3-O-glucoside e peonidi-na-3-O-glucoside) presenti in quantità molto inferiori.

VALUTAZIONE DI INTEGRATORI ALIMENTARI A BASE CRANBERRY PRESENTI SUL MERCATO

Recentemente, un’indagine da noi realizzata in colla-borazione con l’Università degli Studi di Milano, utiliz-zando tutte le tecniche analitiche sopra descritte, ha permesso di effettuare uno studio per valutare possibili adulterazioni di prodotti a base di Cranberry presenti sul mercato. A tale scopo, sono stati analizzati 7 campioni di Cranberry frutto, 17 estratti commerciali di Cranberry e 10 prodotti finiti regolarmente commercializzati che contengono solo Cranberry.Le determinazioni delle titolazioni quantitative con il metodo BL-DMAC sono risultate tutte conformi, mentre

3000-50000 Da. Quindi non è corretto dire che 36 mg dell’estratto O.M-1 in esempio contenga 30.6 mg di PACs-A.I metodi analitici descritti e utilizzati per determinare la quantità totale di PACs (BL-DMAC) o la qualità delle stesse (LC-Massa) non sono in grado di garantire la specie botanica di provenienza delle PACs; cioè non riescono a stabilire se le PACs analizzate appartengano al Cranberry o ad altre specie botaniche ricche di proan-tocianidine come Pino, Uva, Arachide, Ibisco, Gelso, ecc.

CONFORMITÀ DELLA SPECIE BOTANICA

Un approccio scientificamente corretto per autenticare la genuinità dell’estratto del Mirtillo rosso americano consiste nell’utilizzo della cosiddetta impronta digi-tale (finger printing) delle antocianine, ottenuta con la tecnica HPLC-Massa-DAD.Il Cranberry, così come altre bacche, ha infatti un profilo unico relativo alle antocianine (13,14): per questo motivo, il confronto delle impronte digitali tra il Cranberry autenticato e l’estratto di riferimento rappresenta una delle tecniche utilizzate per identi-ficare gli estratti di Mirtillo rosso adulterati. Inoltre, questo metodo consente anche di determinare quale

Figura 1 - Cromatografia TIC degli estratti F1 (bacche di Cranberry) ed estratti commerciali di Cranberry titolati al 27 (E1) e 33% (E2) in PACs totali

PAGINE PROFESSIONALI • Qualità

Erboristeria Domani • 41434

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in diversi prodotti il dato qualitativo relativo al rapporto PACs-A/PACs totali è stato espresso in etichetta in modo inesatto e fuorviante per il consumatore.La determinazione della specie botanica, eseguita con le tecniche cromatografiche sopra descritte, e completata dalla valutazione di markers specifici, è risultata essere non conforme in 4 estratti su 17 e 6 prodotti finiti sui 10 prelevati dagli scaffali delle farmacie.Nella Figura 1 è riportato il tracciato TIC relativo alle bacche fresche di Cranberry (F1) e agli estratti commer-ciali di Cranberry siglati E1 e E2.Come si può notare, il profilo cromatografico dell’e-stratto secco E1 contiene i picchi caratteristici presenti nel Cranberry, mentre il profilo dell’estratto E2 differisce in maniera significativa da quello F1 di riferimento. La procianidina A2 è infatti il dimero tipo-A principale in F1 ed E1, costituendo circa il 90 % dei dimeri totali, mentre in E2 la procianidina A2 non è il dimero tipo-A principale, costituendo solo circa il 24% dei dimeri totali.Secondo la letteratura scientifica internazionale, l’estratto E2 non è stato prodotto da, o non contiene solamente Cranberry.Nel seguente tracciato (Fig. 2) viene confrontato il profilo cromatografico relativo alle antocianine caratteristiche del Cranberry con quello di tre estratti commerciali di

Cranberry (E2, E3, E4). Si nota un’evidente difformità nei profili. Chiaramente, il profilo cromatografico ottenuto analiz-zando gli estratti E2, E3 ed E4 non è comparabile a quello del Cranberry (estratto standard F1). Negli estratti E3 ed E4 si nota la presenza di due picchi (C e D) relativi a molecole (delfinidina e cianidina sambubioside) che nel Cranberry non ci sono e che caratterizzano invece gli estratti di Ibisco.

Figura 2 - Cromatogramma, integrato a 520nm, relativo ad un estratto di bacche di Cranberry (a, F1) e ad estratti commerciali di Cranberry (b, E2 – c, E2, E3)

Picco Antocianina

1 Cianidina-galattoside

2 Cianidina-glucoside

3 Cianidina-arabinoside

4 Peonidina-galattoside

5 Peonidina-glucoside

6 Peonidina-arabinside

A Delfinidina-glucoside

B Cianidina-rutinoside

C Delfinidina-sambubioside

D Cianidina-sambubioside

E Delfinidina-pentoso-pentoso-esoso

F Cianidina-pentoso-pentoso-esoso

Qualità • PAGINE PROFESSIONALI

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CONCLUSIONI

I risultati ottenuti indicano che per l’identificazione di adulterazioni volontarie o involontarie dell’estratto di Cranberry possono essere utilizzati i seguenti markers: 1. il rapporto proantocianidine totali: antocianine totali; 2. il rapporto percentuale proantocianidina A2: proanto-

ocianidine totali (PA2: PACs totali) x100;3. il rapporto epicatechina: catechina;4. la percentuale relativa delle 6 antocianine tipiche del

Cranberry.L’applicazione di questi parametri ai campioni descritti in precedenza porta alle seguenti conclusioni: 13 estratti commerciali di Cranberry sono risultati conformi, 4 estratti commerciali di Cranberry non sono risultati con-formi, 4 prodotti commerciali a base Cranberry conte-nevano effettivamente estratto di Cranberry e quindi erano conformi al dichiarato, 6 prodotti commerciali a

base Cranberry non contenevano estratto di Cranberrye quindi erano non-conformi al dichiarato. In particolare, relativamente alle antocianine, 5 di questi prodotti hanno mostrato un profilo cromatografico sovrapponibile a quello dell’estratto commerciale E2. Il quadro disegnato risulta essere scoraggiante. Sul mercato sembrerebbero esserci numerosi prodotti che non con-tengono solo Cranberry ma altri estratti arricchiti e modi-ficati, contenenti probabilmente mora del Gelso, Ibisco, corteccia di Pino, bucce di Arachide, semi d’Uva, ecc.Sarebbe quindi opportuno che i produttori e le aziende che commercializzano integratori a base di Cranberrystandardizzassero il loro estratto con tecniche cromato-grafiche utilizzando specifici markers per assicurarsi che il prodotto immesso in commercio contenga effettiva-mente estratto di Cranberry.

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PAGINE PROFESSIONALI • Qualità

Erboristeria Domani • 41436

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Qualità • PAGINE PROFESSIONALI

Informazione pubblicitaria.Gli integratori non vanno intesi quali sostituti di una dieta sana, variata ed equilibrata.

Si consiglia di leggere le avvertenze presenti sulla confezione.

Naturalmente Antistress

STRESS E SBALZI D’UMOREDIFFICOLTÀ AD ADDORMENTARSI STANCHEZZACRAMPI E IRRIGIDIMENTO MUSCOLARECOSTIPAZIONEFRAGILITÀ OSSEAFASE PREMESTRUALEil 70% delle persone può manifestarecarenza di magnesio

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aggiornamenti fitocosmesia cura di Paolo Poggi

I semi del Cacao (Theobroma cacao L.) contengono una larga dose di polifenoli, in particolare flavan-3-oli come procianidine e altri poli-meri catechici. Questi ingredienti sono stoccati nelle cellule dei semi e delle foglie.Si ritiene che il potenziale antiossidante dei principi attivi contenuti nei semi del Cacao superi quello del tè verde e del vino rosso, per cui gli inventori del brevetto hanno ritenuto logico sfruttare tale materia prima naturale con lo scopo di realizzare un preparato da utilizzare topica-mente a fini protettivi cutanei ritardanti l’invecchiamento precoce della pelle.Il preparato descritto nel brevetto è quindi presentato come atto a pre-venire e/o trattare l’invecchiamento precoce della pelle (difesa da foto-aging), e può essere utilizzato sia come cosmetico sia come dermofar-maceutico, come ingrediente cosmeceutico o nutraceutico caratteriz-zato dalla presenza, al suo interno, di un metabolita del Cacao, chimi-camente 5-(3’,4’-Dihydroxyphenyl)-R-valerolactone (DHPV).Gli inventori descrivono il preparato come dotato di eccellenti preroga-tive ai fini di regolare l’espressione di proteine correlate all’invecchia-mento cutaneo epigenetico, anche quando utilizzato a bassissime con-centrazioni d’uso (si parla di 1 nM).

Il mercato degli schiarenti cutanei è in continua ascesa; dunque non ci stupisce il fatto che la ricerca dedichi attenzione a un sempre più per-fezionato sviluppo di questi preparati, oggi utilizzati non solo come cosmetici ma anche come cosmeceutici.Si tratta di prodotti funzionali, graditi e accettabili dal punto di vista della sicurezza d’impiego, che prevedono l’osservanza di alcune esi-genze di realizzazione, come l’utilizzo di materie prime che in miscela diano risultati più consistenti potenziando il meccanismo di attività, e che siano gradevoli all’applicazione e sicuri nell’impiego prevenendo il rischio dell’insorgere di effetti secondari come sensibilizzazioni o infiammazioni.Sono tante le sostanze naturali che si prestano a questo scopo in ragione della loro funzione antiossidante che assorbe i radicali liberi e quindi fornisce controllo antinfiammatorio. Si potrebbero fare degli

Frutto di Teobroma cacao ( c Manna Jacob)

Sungkwang Med Found Pochon CHA Univ (2019) Composition for preven-

ting, improving or treating photoaged skin comprising the Cacao metabo-

lite DHPV.

US Pat 20190021976A1

polifenoli antiossidanti del cacao in fotoaging

depigmentanti, schiarenti cUte, Un mercato in crescita

Referenza

SCIENZA E TECNICA • Review fitocosmesi

Erboristeria Domani • 41438

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I polisaccaridi trovano largo impiego in preparati cosmetici a funzione idratante, in quanto ritentivi di umidità. Questi prodotti naturali sono biopolimeri composti da saccaridi multipli che formano una lunga catena, più o meno ramificata e in ambiente acquoso creano una strut-tura a gel nota come idrogel o idrocolloide.I biopolisaccaridi utilizzati in cosmesi vengono pertanto classificati tra i principi attivi o funzionali, e vengono sfruttati per le loro capacità fil-mogene, gelificanti, ispessenti, sospendenti, condizionanti, emulsio-nanti e ritentivi di umidità.Basella alba (della famiglia delle Basellaceae), meglio nota come Spinacio di Ceylon o come Spinacio di Malabar, è da noi una pianta poco conosciuta, mentre è piuttosto popolare come vegetale edule in paesi dell’Asia tropicale e dell’Africa. Nella medicina ayurvedica è sfrut-tato per le sue proprietà idratanti e restitutive in disagi della pelle.Recentemente è stato iscritto tra le piante utilizzate in campo cosme-tico in ragione del suo elevato contenuto in polisaccaridi, e quindi del suo potenziale ritentivo di umidità, idratante e come ingrediente di

DeHaven C (2019) The Bright Side-Formulating

Lighteners to Protect and Maintain Skin

Health.

Cosm & Toil 134(3):50-59

polisaccaridi a fUnzione idratante dallo spinacio di ceylon

esempi citando estratti da Centella asiatica (Hydrocotyle asiatica), da Liquerizia (Glycyrrhiza glabra), Vitamina E, C e molti altri. Siccome le piante devono proteggere sé stesse dal sole, è difficile, se non impossi-bile, trovarne una che non possegga una certa attività antiossidante. La lista iniziata sopra potrebbe continuare con la citazione di una miriade di altre specie. Una seconda lista di prodotti naturali efficaci ai fini della realizzazione di schiarenti cutanei è poi rappresentata da estratti da piante che ini-biscono la sintesi della melanina bloccando l’attività della tirosinasi. Come esempi di sostanze da piante che inibiscono tirosinasi sono citati gli estratti di Liquerizia e Vitamina C che, come ricordato sopra, sono anche antinfiammatori, ma anche in questo caso la possibilità di scelta è ampia.Una volta formatasi la melanina, i pigmenti che la costituiscono sono impaccati nei melanosomi e trasferiti ai cheratinociti basali più vicini da melanociti che, con le loro ramificazioni (dendriti), si incuneano nei cheratinoci e vi riversano il pigmento che trasportano. Sono stati sco-perti principi attivi naturali quali niacinamide, luteolina e verbascoside, che riducono la formazione dendritica di melanociti riducendo, di con-seguenza, il processo di sviluppo melaninico. Anche certi derivati algali sono dotati di tale proprietà inibente la formazione dei dendriti.Alla riuscita dell’effetto depigmentante, schiarente cutaneo, può anche concorrere l’incorporazione in uno specifico preparato di α-idrossiac-idi (AHA) che, in ragione della loro attività esfoliante, contribuiscono all’eliminazione, di cellule morte, devitalizzate, dalla parte superficiale della pelle, rendendo quindi il substrato più levigato a colore più chiaro e omogeneo.

Glycyrrhiza glabra

Referenza

Review fitocosmesi • SCIENZA E TECNICA

Erboristeria Domani • 41439

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facile reperibilità, ecosostenibile e di sicurezza di impiego. Praticamente una pianta paragonabile, come funzionalità cosmetica, alla Malva o al Gombo.Attraverso l’analisi fitochimica, l’estratto da foglie della pianta è risul-tato ricco di polisaccaridi, oltre alla presenza di tannini, vitamine (A e C) e sali minerali.Dopo aver attestato la non tossicità, l’azione sensibilizzante o il potere irritante degli estratti, l’efficacia idratante di polisaccaridi da Spinacio di Ceylon è stata valutata su volontari utilizzando dosi variabili di princi-pio attivo (da 0,05 a 0,1%), e determinata con corneometro operando su diverse zone cutanee.L’idrogel ha mostrato di sviluppare una forte attività gelificante e riten-tiva d’acqua; da qui la sua idoneità ad essere impiegato nella realiz-zazione di preparati cosmetici come agente gelificante, viscosizzante, sospendente e idratante cutaneo.Si è potuto inoltre stabilire che, per quanto il TPC (total polysaccharide content) del vegetale preso in esame (370 µg glucosio/g) fosse inferiore a quello della Malva, esso è in grado di sviluppare un maggiore effetto rigonfiante e una maggiore viscosità, il che suggerisce che possa espli-care anche una più elevata attività idratante.È stato determinato anche il valore TTC (total tannin content) dell’e-stratto, che ne ha giustificato la riscontrata attività astringente e l’ele-vata capacità ritentiva di oli; attività, questa, correlata al suo possibile e idoneo impiego in preparati per il controllo di eccessivo stato sebor-roico della pelle.

Lourith N, Kanlayavattanakui M, Luag MF

(2019) Hello, Hydration: Spinach Hydrogels

Deliver Saturated Skin.

Cosmet & Toil 134(2):60-69

Basella alba ( c Anneli Salo)

Marrubium vulgare ( c Agnieszka Kwiecien)

Referenza

La polluzione oggi è considerata il maggiore rischio ambientale per la salute. Tra i più vistosi disagi che causa, oltre a quelli di ordine respira-torio, polmonare e del cuore, non sono da trascurare anche quelli che interessano i danni cutanei.Il finissimo materiale particolato (PM, particulate matter), depositan-dosi sulla pelle, entra attraverso i follicoli e porta, a contatto di chera-tinociti e melanociti, metalli e sostanze organiche inquinanti dell’aria e dannose per l’organismo.Al fine di realizzare preparati cosmetici protettivi da polluzione, come ingrediente attivo è stato selezionato un estratto preparato da piante selezionate in coltura di Marrubio (Marrubium vulgare), una piccola pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Labiateae.Il preparato è titolato in modo da assicurare una concentrazione costante in forsitoside B, un glucoside feniletanoide noto per le sue marcate proprietà antinfiammatorie, oltre che antiossidanti, antisetti-che e neuroprotettive.Si è valutato, operando su cheratinociti umani in coltura, quello che poteva essere il potere rinforzante la pelle e la funzione barriera da disagi indotti da polluzione dell’aria. Cheratinociti, stressati con DPMs

dal marrUbio Un attivoper cosmetici antipollUzione

SCIENZA E TECNICA • Review fitocosmesi

Erboristeria Domani • 41440

ED414.indb 40 23/05/19 16:07

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Mondon P, Debaene F, Ringenbach C et al

(2019) Anti-pollution, attained: Marrubium

vulgare neutralizes particulate matter and

ozone.

Cosm & Toil 143(3):19-30

Referenza

L’acido ialuronico è un importante costituente della matrice extracellu-lare cutanea e svolge numerose attività biologiche, idrata e contribui-sce alla fermezza e tonicità della pelle. La riduzione di acido ialuronico nelle papille dermiche e sovraespres-sione di HYBID (hyaluronan binding protein involved in hialuronan depolimerization), una proteina coinvolta nella degradazione dell’a-cido ialuronico nei fibroblasti dermici, sono implicate nella formazione di rughe facciali nelle donne giapponesi e caucasiche. Peraltro, sono scarse le informazioni che abbiamo circa le sostanze che possono agire da inibenti della degradazione mediata da HYBID.In uno studio si è valutato il potenziale inibente la degradazione di acido ialuronico mediata da HYDIB da parte di un estratto da radici di Sanguisorba officinalis e di un suo componente isolato, Ziyu glucoside I.Sanguisorba officinalis, da noi nota come Salvastrella maggiore (o Sanguisorba), è una comune erba da prato facile a reperirsi ovunque e nota in campo officinale per sue proprietà diuretiche, toniche e astrin-genti (contiene tannini). Lo studio in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo, è stato condotto su una ventina di donne giapponesi sane che sono state trattate per via topica con una formulazione contenente estratto da radice della pianta su un lato del viso (compresa la zona cutanea ove principalmente si concentra la formazione di “zampe di gallina”), e con preparato placebo sull’altro lato. Per valutare l’espressione di mRNA e attività di HYBID si è utilizzato il metodo PCR quantitativo, un test che consente di misurare in modo rapido e sicuro la quantità di una speci-fica sequenza di DNA presente in un campione biologico.Si è potuto verificare che l’estratto in toto stoppa la degradazione di acido ialuronico tramite inibizione dell’attività di HYBID sui fibroblasti

salvastrella maggioreelimina le rUghette del viso

(diesel engines particulate matter) o ozono, mostrano un forte incre-mento nella produzione cellulare di ROS (reactive oxigen species); quando trattati con il preparato contenente l’estratto, si registra una riduzione di ROS intracellulare di oltre il 75% e di oltre il 50% di ozono.Il contatto con DPMs sui cheratinociti induce anche un forte incremento in proteine carbonilate: l’estratto riduce significativamente (di circa il 30%) anche tale produzione.In un’altra serie di esperimenti si è valutato anche l’effetto di DPMs sulla perossidazione lipidica, che aumenta significativamente come attestato dall’incremento di produzione di malondialdeide. L’estratto riduce la perossidazione lipidica indotta dall’inquinante di circa il 38-40%.L’estratto di Marrubio, quindi, ha dimostrato di essere in grado di sti-molare le difese naturali dell’organismo agendo, pertanto, da detossifi-cante sulle cellule, rinforzando la barriera cutanea, contrastando quindi l’insorgere di disagi causati da inquinanti dell’aria e operando, pertanto, in ultima analisi, da principio attivo antiaging.

Sanguisorba officinalis

Review fitocosmesi • SCIENZA E TECNICA

Erboristeria Domani • 41441

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Gherardini J, Wegner J, Chéret J et al (2019)

Transepidermal UV radiation of scalp skin

ex-vivo induces hair follicle damage that is alle-

viated by the topical treatment with caffeine.

Int J Cosmet Sci 41(1), online

Coffea arabica, bacche in maturazione ( c Forest Starr)

Referenza

Mentre gli effetti delle radiazioni UVR sulla cute umana hanno goduto di vasti studi, molto poco è noto circa l’impatto che tale tipo di radia-zioni può avere sull’omeostasi dei follicoli dei capelli. Quindi, si è inda-gato su quale possa essere tale impatto, i suoi effetti deleteri e la sua possibile riduzione tramite l’impiego topico di un noto ingrediente nutraceutico, la caffeina.La cute umana dello scalpo, con i terminali follicolari, è stata trattata topicamente con un preparato contenente caffeina (0,1%), e quindi irradiata con UVA, UVB e UVR, per poi venire trattata con un’altra appli-cazione dell’estratto tre giorni dopo l’irradiazione.Precedenti e consistenti studi hanno confermato che la radiazione UVR transepidermica esercita tossicità cutanea e danno epidermico. Il trat-tamento con dosi di radiazioni UVA/UVB, sia alte sia basse, induce danno da stress ossidativo e citotossicità sui follicoli capillari, così come una diminuita proliferazione e attivata apoptosi di follicoli capillari nella parte superiore della radice e nella matrice dei cheratinociti capillari, deregolazione di espressione di fattori di crescita e induzione di degra-nulazione di mastociti perifolliclari.Ricordiamo cosa s’intende per degranulazione: è un processo cellulare che rilascia antimicrobici citotossici, o altre molecole, da vescicole secre-torie chiamate granuli che si trovano all’interno delle cellule.Danni ai follicoli dei capelli indotti da UVR sono più severi dopo irraggia-mento con dosi elevate, e raggiungono strati più profondi della radice del follicolo. Si è visto che l’applicazione topica di caffeina (0,1%) non induce citotossicità sulla pelle o sui follicoli piliferi, mentre stimola l’e-spressione di IGF-1.IGF-1 (insuline-like grouth factor-1), lo ricordiamo, è un gene che regola la sintesi dei fibroblasti e stimola la sintesi di acido jaluronico e con-droitin solfato.

la caffeina protegge i follicoli capillari dai raggi Uv

cutanei umani, mentre non risulta attivo l’ingrediente isolato singolar-mente (Ziyu glucoside I).Sulla zona di pelle tratta con placebo i fibroblasti hanno prodotto acido ialuronico polidisperso, mentre si è visto che le cellule trattate con l’e-stratto da radici della pianta hanno espresso acido ialuronico a elevato peso molecolare. L’estratto ha quindi operato da idoneo ingrediente attivo inibente la degradazione indotta dall’attività di HYBID, esplicando una funzione che comporta un migliore aspetto e funzionalità della pelle (più elastica e tonica) e una visibile riduzione dei segni di rugosità cutanea, con particolare effetto nell’angolo esterno della zona perio-culare ove si forma quello spiacevole raggruppamento di piccole rughe denominate “zampe di gallina”.

Yoshida H, Yamasaki K, Komiya A et al (2019)

Inhibitory effects of Sanguisorba officinalis

root extract on HYBID (KIAA1199) - mediated

hyaluronan degradation and skin wrinkling.

Int J Cosmet Sci 41(1):12-20

Referenza

SCIENZA E TECNICA • Review fitocosmesi

Erboristeria Domani • 41442

ED414.indb 42 23/05/19 16:07

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Rhada GV, Sadhana B, Trideva Sastri K et al

(2019) Bioactive umbelliferone and its deriva-

tives: an update.

J Pharmacogn Phytother (8)1:59-66

Schaelzel M, Fu Y, Michoux F et al (2019)

The fusion of ancient wisdow with advanced

technology.

SOFW J 145 (1-2):8-12

Daucus carota ( c Isidre Blanc)

Withania somnifera ( c salicyna)

Referenza

Referenza

Nella frazione attiva di Carota è contenuto umbelliferone, una cuma-rina (7-idrossicumarina) che si ritrova in numerose piante, in partico-lare della famiglia delle Umbelliferae (da cui il nome), come Carota, Coriandolo e Angelica.Questo principio attivo è dotato di marcata attività antibatterica a largo spettro verificata nei confronti di una gamma vastissima di microrgani-smi, compresi alcuni tipi di batteri meticillin-resistenti (Staphyloccocus aureus R., ad esempio).Numerosi sono i lavori nei quali viene attribuito all’olio essenziale di Carota anche una marcata attività antifungina rilevata nei confronti di vari ceppi (Candida, Aspergillus) con un meccanismo d’azione che prevede l’inibizione di formazione dei germi così come la distruzione di biofilm preformati. A questo proposito, del resto, è ben noto che le cumarine agiscono già in natura come difesa antifungina delle piante. All’attività antibatterica e antifungina dell’umbelliferone si aggiunge anche la sua marcata attività antiossidante. Ai fini di migliorare la loro biodisponibilità e praticità d’uso (e il rilascio controllato), preparati cosmetici e dermofarmaceutici vengono realiz-zati incorporando il principio attivo in forma liposomale, fitosomi e SLN (solid lipid nanoparticles).

Una ricerca, che si rifà ad antiche conoscenze delle proprietà terapeuti-che degli estratti di una pianta orientale, riporta in auge pratiche ayur-vediche di altri tempi, ora corroborate dai dati della moderna ricerca scientifica.Withania somnifera, della famiglia delle Solanaceae, è una pianta tipica delle regioni asiatiche (Nepal, India e Pakistan) di regolare uti-lizzo nell’antica medicina popolare e nell’ayurvedica per le sue pro-prietà rivitalizzanti, stimolanti il sistema immunitario e riducenti lo stress. Dalla sua radice si ottiene un estratto che viene utilizzato quale prin-cipio attivo di preparati cosmetici antiossidanti e protettivi del DNA, ai fini di conservare alla cute benessere, elasticità, tono, levigatezza e aspetto giovanile.Nella radice della pianta sono stati identificati oltre 30 principi attivi di interesse tra i quali witaferina A, witanolidi e composti steroidei.I cosmetici utilizzanti i principi attivi di Withania si sono rivelati ideali in preparati che mirano a protettegere la cute, che inibiscono l’espres-sione di ROS e in preparati che proteggono da stress ossidativi e psico-logici, da radiazioni solari e da inquinamento ambientale.L’efficacia dei preparati (emulsioni O/A contenenti l’attivo in dosi varia-bili di 2,5 e 5%) è stata testata su soggetti volontari (donne tra i 30 e 60 anni) con applicazioni 2 volte/dì per un periodo di 4 settimane. Dopo tale applicazione si è verificato un sensibile miglioramento dell’aspetto estetico, della tonicità ed elasticità della pelle, oltre ad una netta con-trazione di rugosità e delle cerchiature scure in zona perioculare rispetto all’effetto di formulazioni placebo di controllo.

nella carota UnacUmarina antimicrobicae antifUngina

Withania somnifera: dalla pratica ayUrvedicaalla moderna ricercascientifica

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Erboristeria Domani • 41443

ED414.indb 43 23/05/19 16:07

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Li Z, Yu C, Lin Y et al (2019) The Potential

Application of Spring Sargassum glauce-

scens Extracts in the Moisture-Retention

of Keratinocytes and Dermal Fibroblast

Regeneration after UVA-Irradiation.

Cosmetics 6(1), p.17

Sargassum spp (Stefano delle Chiaie, 1829)

Referenza

Sargassum glaucescens è un’alga bruna marina con marcate proprietà antiossidanti; al fine di valutarne il potenziale protettivo della cute si è operato su fibroblasti dermici e su cheratinociti epidermici.L’effetto antiossidante dell’ingrediente si è rivelato via soppressione di produzione di ROS (reactive oxigen species) indotto da H2O2 su fibro-blasti dermici e mediante test in vitro col radicale libero DPPH (difenil picrilidrazile).Al saggio di efficacia su guarigione di ferite si è visto che l’impiego dell’ingrediente marino in dosaggio di 2 mg/ml ne stimola la rigenera-zione e la cicatrizzazione. Il trattamento con preparato contenente da 0,25 a 2 mg/ml di attivo promuove la rigenerazione cellulare dopo un danno indotto da irraggiamento con UVA.A livello molecolare, 1 mg/ml di estratto induce l’espressione di enzimi antiossidanti naturali (SOD, superossido dismutasi e GPX, glutatione perossidasi) e la riparazione di geni regolatori quali XRCC-1 (X-ray repair cross-complementing protein-1) e ERCC-6 (Excision repair cross-com-plementation group-6) su cellule senescenti dopo irraggiamento UVA.Quindi, il derivato marino sviluppa un benefico effetto sia sulla rigene-razione cellulare sia sulla protezione di cellule dermiche da danni indotti da radiazioni UVA. Sulle cellule epidermiche stimola la proliferazione di cheratinoci epidermici primari.L’applicazione del preparato contenente 0,03 mg/ml di attivo induce l’espressione di geni correlati alla funzionalità della barriera cutanea, quali transglutaminasi e cheratina, e agisce quale attivante l’espressione di filaggrina, che promuove la produzione di fattori idratanti naturali (NMF) indispensabili al mantenimento del livello idrico della barriera cutanea e della sua funzionalità.

Zingiber officinale (lo Zenzero) è una pianta assai nota per i suoi usi in campo medicinale, oltre ad essere impiegata come aromatizzante in cucina. È il rizoma che contiene i principi attivi della pianta; un olio essenziale composto prevalentemente da zingiberene, gingeroli, sho-gaoli (responsabili del sapore pungente), resine e mucillagini.Si riferisce di uno studio tendente a dimostrare le marcate proprietà antimicrobiche della droga della pianta nei confronti di alcuni ceppi batterici farmaco-resistenti, con test del metodo a diffusione su agar misurando le zone di inibizione.L’estratto della pianta ha rivelato un’attività antimicrobica nei confronti di cinque ceppi testati, che è paragonabile a quella dei farmaci antibio-tici. La minima resistenza è stata opposta da Staphylococcus aureus, mentre per altri quattro tipi di batteri, fortemente resistenti a vari anti-biotici (Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter aeroge-nes e Klebsiella pneumoniae), il derivato vegetale ha dimostrato positiva attività quando impiegato a varie concentrazioni, con effetto massimo quando utilizzato a dosaggi di 9 mg/ml.

dalle acqUe del mare Un potente antiossidante protettivo cUtaneo

proprietà antimicrobiche dei metaboliti dello zenzero

Zingiber officinale (Medical Botany, 1847)

SCIENZA E TECNICA • Review fitocosmesi

Erboristeria Domani • 41444

ED414.indb 44 23/05/19 16:07

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De Oliveira Lopes M, Da Silva AF, Cerdeira CD et al (2019) Chemical cha-

racterization and evaluation of antioxidant and antimicrobial activities of

Litchi chinensis sonn.

Pharmacogn Res 11(1):1-7

Abuga H, Gaobotse G (2019) Antibacterial

potential of extracts of the roots of Zingiber

officinale against bacterial strains commonly

associated with nosocomial infections.

J Medic Plants Res 13(2):41-46

Litchi chinensis

Referenza

Referenza

Il Litchi (Litchi chinensis) è una pianta, come dice il nome, di origine orientale e da anni viene consumata nei paesi occidentali come deli-zioso frutto esotico. Nella medicina tradizionale cinese esso gode di larga popolarità in ragione delle sue numerose proprietà terapeutiche, antinfiammatorie, antidiabetiche, analgesiche e antiossidanti.In cosmesi, al Litchi è stata riconosciuta, da recenti ricerche, una fun-zione importante; ossia quella di favorire la sintesi del collagene, dell’e-lastina e dell’acido ialuronico, bloccando l’attività degli enzimi che con-corrono alla demolizione di queste molecole strutturali della matrice extracellulare.Nello studio in oggetto ci si riferisce ad una ricerca in grado di verifi-care e confermare l’attività antiossidante e antimicrobica degli estratti della pianta.All’analisi fitochimica sono stati identificati, nella frazione attiva della pianta, flavonoidi e tannini condensati, con un totale in contenuto fenolico piuttosto elevato (oltre 500 mg/g, praticamente metà della droga totale).Un estratto alcolico ha rivelato un significativo potere antiossidante (IC50 = 3,45 mg/ml) e un potenziale antimicrobico rilevato nei confronti di vari ceppi (Bacillus subtilis, Bacillus cereus, Staphylococcus aureus, Proteus miralibils) variabile da 50 a 1500 µg/ml.

litchi, il cinese, antiossidantee antimicrobico

L’analisi fitochimica dell’estratto ha rivelato la presenza di metaboliti secondari (saponine, tannini, flavonoidi, glicosidi, terpenoidi e alcaloidi) quali responsabili di suddetta attività. L’estratto di Zenzero, quindi, potrebbe trovare uso quale antimicrobico in vari settori (cosmetico compreso) utilizzato, sia da solo sia in associa-zione ad antimicrobici di sintesi, ai fini di creare una relazione ad atti-vità sinergica più marcata e, utilizzando meno prodotto di sintesi, più sicura nell’impiego dal punto di vista tossicologico.

Review fitocosmesi • SCIENZA E TECNICA

Erboristeria Domani • 41445

ED414.indb 45 23/05/19 16:07

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De Oliveira Lopes M, Da Silva AF, Cerdeira CD

et al (2019) Chemical characterization and

evaluation of antioxidant and antimicrobial

activities of Litchi chinensis sonn.

Pharmacogn Res 11(1):1-7

Vari oli vegetali

Referenza

Gli estolidi sono esteri derivati da oli vegetali o acidi grassi e la loro struttura è quella di un estere legato a una seconda struttura estere.Il legame secondario estere dell’estolide è più resistente all’idrolisi di quello dei trigliceridi.Tipiche basi di partenza per la preparazione di estolidi sono l’acido rici-noleico, l’acido 12-idrossistearico e l’acido lesquerolico (quest’ultimo, un idrossiacido come il ricinoleico, si ritrova in numerose specie vegetali).Nella nota si riferisce di un estolide chiamato Ethylhexyl Polyhydroxystearate, secondo denominazione INCI, ottenuto utilizzando acido 12-idrossistearico derivato da acido ricinoleico.Questi estolidi sono presentati come corpi lipidici di promettente inte-resse per il loro utilizzo in campo cosmetico: a struttura liquida, non eccessivamente untuosi, per cui con una apprezzabile gradevolezza cosmetica che, dopo l’applicazione, lasciano una sensazione morbida al tocco, liscia e non appiccicosa.Sono state valutate formulazioni in emulsioni O/A sino al 5% di sostanza attiva riscontrando, in particolare, caratteristiche di buona ritenzione idrica sulla pelle (con rilevata diminuzione di perdita di acqua per via transepidermica) e di aumentata capacitanza. È da mettere in evidenza il fatto che tale attività si è rivelata a lungo termine, con un massimo livello di ritenzione dopo 4-5 ore.Il potere idratante e ammorbidente degli estolidi si è dimostrato supe-riore rispetto a quello di normali oli vegetali (da semi) di comune uso cosmetico.L’impiego è anche previsto in preparati per capelli, di cui ne attenuano la secchezza, riducono cariche elettrostatiche, ne migliorano la lucen-tezza (pari all’effetto dei siliconi) e la pettinabilità.Infine, l’uso di estolidi è indicato anche per preparati da make up (trucco) in ragione della loro proprietà disperdente dei pigmenti, legante e filmogeno-protettiva.

estolidi, corpi lipidicidi interesse cosmetico

SCIENZA E TECNICA • Review fitocosmesi

Erboristeria Domani • 41446

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fitoterapia e nutrizione:dati ed evidenze dalla ricerca

a cura di Marcello Monti

trattamenti terapeutici

Ann. (2019) Centella asiatica: entering a new

era.

Docum tecnica Indena, Milano, Feb 2019

Referenza

Gli estratti di Centella asiatica (Centella asiatica (L.) Urban) sono da secoli elementi essenziali della medicina tradizionale popolare per le loro proprietà antibatteriche, antivirali, antipertensive, diuretiche, antiul-cera e antinfiammatorie. Contengono principi attivi di primario interesse quali asiaticoside, madecossoside e acido asiatico, che promuovono la sintesi del collagene, inibiscono l’infiammazione, normalizzano l’iper-proliferazione di cheratinociti e ristorano l’omeostasi dell’epidermide.Una monografia di recente pubblicazione, mentre sottolinea la vasta disponibilità di studi preclinici, clinici e conferma le già ben note pro-prietà della Centella e i suoi usi tradizionali, preannuncia nuove impor-tanti possibilità di applicazione nel trattamento di neuropatie diabeti-che, di protezione cardiovascolare e di striature dopo il parto. Queste aree applicative potrebbero aprire nuove frontiere di ricerca e sviluppo per gli estratti della pianta, la quale, per quanto utilizzata da secoli, presenta certamente un potenziale terapeutico non ancora del tutto valorizzato.Una prima importante evidenza riguarda il campo cardiovascolare, ove le proprietà sanitizzanti della Centella asiatica possono ispirarsi a nuovi concetti. L’estratto, similarmente alla modulazione di cheloidi sulla pelle, è stato provato che agisce sulle placche aterosclerotiche così da prevenire complicazioni trombotiche o emboliche incrementando la densità e la stabilità di placche aterosclerotiche ecolucenti in pazienti con aterosclerosi.Un altro campo ove la Centella può trovare nuove ampie applicazioni è quello neurologico. L’efficacia degli estratti della pianta a fini pre-servanti funzioni cognitive e della memoria è ormai bene accertata: prevenzione di degenerazione neuronale, specialmente di β-amiloidi. Inoltre, la Centella sembra in grado di sviluppare un effetto neuropro-tettivo nei confronti di danni cognitivi indotti da ictus, e nel caso di morbo di Parkinson.La Centella asiatica è poi da considerarsi un nuovo potenziale candi-dato nel trattamento di riduzione dei danni neurologici indotti da iper-glicemia diabetica.Ulteriori possibilità di impiego degli estratti della pianta sono previ-ste nel trattamento di strie, visibili segni depressivi della pelle correlati a disfunzione dei fibroblasti che, con frequenza, compaiono durante o dopo la gravidanza. Il trattamento con creme contenti estratti della pianta ha evidenziato un netto beneficio al disagio.

centella asiatica: nUove prospettive in terapeUtica

Centella asiatica ( c Marcia Stefani)

Erboristeria Domani • 41448

SCIENZA E TECNICA • Spazio fitoterapia

ED414.indb 48 23/05/19 16:07

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Rodriguez C, Karmali A, Machado J (2019) The

extracts of Gentiana lutea with potential cyto-

toxic effects on human carcinoma cell lines: A

preliminary Study.

Europ J of Integr Medic 27(4):34-38

Referenza

Gentiana lutea L. (Genziana maggiore) è una pianta officinale piutto-sto nota sin da epoche lontane, in particolare per le proprietà terapeu-tiche delle sue radici, molto sviluppate, amare e profumate, dotate di proprietà digestive, e pertanto assai usate in liquoristica (per la produ-zione di amari).L’intento di uno studio è stato quello di verificare l’effetto citotossico di estratti (acquoso ed etanolico) ottenuti da Genziana su due linee di cellule cancerogene umane: cellule HeLa (linee cervicali cancerogene) e MCF-7 (linee adenocarcinoma del seno). Gli estratti sono stati valu-tati su cellule in coltura, a diverse concentrazioni (da 30 a 500 µg/ml), operando come controllo con cellule non trattate.I risultati dei test hanno rivelato un’iperbolica correlazione tra l’inibi-zione di crescita di HeLa, MCF-7, e la concentrazione dell’estratto eta-nolico con evidente e più elevata attività alla più alta concentrazione d’uso (500 µg/ml), e con un più elevato livello di inibizione (25%) per le cellule MCF-7. L’estratto acquoso della pianta si è comportato in modo diverso, con addirittura un incremento nella proliferazione cellulare (del 15-20%) usando l’estratto a basse concentrazioni, mentre l’effetto ini-bente si è sviluppato (15-25%), anche in questo caso, utilizzando l’e-stratto a più elevati livelli di concentrazione.Lo studio starebbe a confermare che per certe specie vegetali la citotos-sicità dei loro estratti nei confronti di cellule carcinoma, e la loro effica-cia inibente la proliferazione, può dar luogo a una relazione anomala, addirittura iperbolica. Per cui, nel verificarsi tali casi, è necessario un ulteriore studio al fine di chiarire e capire l’andamento di certi mecca-nismi molecolari.

L’Epilobio (Epilobium angustifolium L.), una delle tante specie (oltre 200) del genus Epilobium, è una pianta officinale usata in tutto il mondo nella medicina tradizionale per il trattamento di vari disturbi e malattie.Studi sperimentali hanno dimostrato che i suoi estratti sviluppano un’ampia gamma di effetti farmacologici e terapeutici, in particolare antinfiammatori, antiproliferativi e antibatterici. Flavonoidi ed ellagitan-nini sono considerati i componenti a più vistosa attività biologica della frazione attiva della droga della pianta.Nella medicina tradizionale cinese l’Epilobio è una pianta a cui è stata rivolta tanta attenzione per quanto concerne la sua potenziale fun-zionalità ai fini del trattamento della prostata. Recenti studi hanno inoltre confermato il benefico effetto terapeutico degli estratti di questa pianta, soprattutto nel trattamento di BPH (benigne prosta-tic hyperplasia), al suo insorgere e durante le prime fasi di sviluppo, nonché nell’infiammazione dell’uretra e della prostata, così come in problemi di minzione.Le ricerche attuali sono intese soprattutto alla valutazione di un com-ponente importante della pianta: l’enoteina B, un ellagitannino.

gentiana lUtea inibisce la proliferazione di cellUle cancerogene

epilobio nel trattamentodella prostata

Gentiana lutea ( c Bernd Haynold)

Epilobium spp ( c Sturm42)

Erboristeria Domani • 41449

Spazio fitoterapia • SCIENZA E TECNICA

ED414.indb 49 23/05/19 16:07

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Nello studio si fa riferimento a test effettuati con estratti della pianta in etile acetato e butanolo, mediante saggi volti a evidenziare il loro effetto al fine di determinare la soppressione di cellule prostatiche epi-teliali (valutazione della vitalità cellulare) e di cellule prostatiche cance-rogene epiteliali (metodo ELISA); sono state inoltre valutate le altera-zioni istopatologiche, ossidative e infiammatorie. Il trattamento è stato effettuato previa somministrazione orale, in dosi variabili (100, 200 e 400 mg/kg pc) per 28 gg. degli estratti.Si è visto che i due estratti esibiscono un significativo effetto anti-BPH (test in vitro); ulteriori studi in vivo hanno dimostrato che l’estratto buta-nolico sviluppa un marcato effetto terapeutico contro BHP (indotto da tossina, su ratti) via deregolazione di livello di androgeni, espressione di Nf-kB e correlata alleviazione di stato infiammatorio dovuto a stress ossidativo.L’analisi fitochimica sui due estratti ha portato all’identificazione di oltre 50 componenti; test in vitro hanno poi confermato che almeno la metà di questi sono in grado di esibire un effetto antiproliferativo in cellule BHP-1, e altrettanti mostrano di attivare l’inibizione di PSA su cellule LNcap. Come a dire che l’Epilobio sviluppa un effettivo potenziale tera-peutico contro BHP sotto multiformi aspetti, ed è correlato all’attività di molti principi attivi operanti in sinergia.

Deng L, Tao X, Zong W et al (2019) Evaluation

of the therapeutic effect against benign pro-

static hyperplasia and the active constituents

from Epilobium angustifolium L.

J of Ethnopharmacol 232(5):1-10

Referenza

La psoriasi è un disordine infiammatorio autoimmune che porta ad un incremento della proliferazione cellulare. Si tratta di una patologia frequente e cronica che, nella maggior parte dei casi, si presenta con chiazze di pelle molto desquamate, di colore rosso o più chiare (bian-castre). Nel fenomeno sono coinvolti sia i vasi sanguigni sia gli strati più profondi dell’epidermide.L’uso di erbe medicinali nel trattamento della psoriasi ha avuto un posi-tivo riscontro con l’identificazione di numerose piante officinali cui è stata ampiamente riconosciuta tale funzionalità biologica.Nell’ampia rassegna vengono riportate un certo numero di piante, ben note e figuranti in formulazioni; oggi tra le più accreditate sul mercato.Si parte dalla Mahonia aquifolium (Uva dell’Oregon), una pianta ad elevato potere infiammatorio, antirossore, e quindi Indigofera tinc-toria L. (indaco), una fra le piante della medicina tradizionale cinese più note nel trattamento della psoriasi: non solo riduce l’infiamma-zione, ma è anche in grado di arrestare la crescita cellulare incontrol-lata dell’epidermide. Non poteva poi mancare da questo elenco l’Aloe vera, la pianta dalle mille proprietà: anti irritante, emolliente, rigenerante e risanante cutanea. Il gel incorporato in creme è già attivo a dosaggi dello 0,5%. Lo stesso discorso vale per un’altra regina tra le piante officinali: la Curcuma (Curcuma longa), grazie alle superiori proprietà antinfiam-matorie e antibatteriche della sua curcumina.

trattamento della psoriasi: le piantedelle ricette più comUni

Mahonia aquifolium, frutti ( c VIEX)

Erboristeria Domani • 41450

SCIENZA E TECNICA • Spazio fitoterapia

ED414.indb 50 23/05/19 16:07

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Bae SJ, Rho GJ, Kim KM et al (2019)

Pharmacological effects of active saponins

from Panax ginseng Meyer.

Trop J Pharma Res 18(3):555-561

Grace F, Mohan M, Kumar HR et al (2019)

Treatment of psoriasis - A herbal approach.

Int J Pharm Sci Rev Res 55(1):58-60

Referenza

Referenza

Lo studio descrive l’estrazione, la preparazione e l’uso di saponine atti-vate ottenute da radici di Ginseng (Panax ginseng C.A Meyer) attivate.Le saponine tipiche del Ginseng sono quelle ad elevata solubilità in acqua. Dunque, queste saponine inattive, altamente idrosolubili, non sono facilmente assorbite dall’intestino, con la conseguenza di un loro limitato effetto farmacologico. Quando le saponine sono attivate la loro solubilità in acqua diminuisce, ma aumenta il loro interesse dal punto di vista farmacologico. La somministrazione intraperitoneale di saponine attive di Ginseng induce un aumento del 30% nella conta di cellule rosse del sangue (test su animali) e un decremento del 55% della concentrazione di tri-gliceridi nel sangue.ÈĖ stato inoltre dimostrato l’effetto soppressivo di saponine attivate sullo sviluppo e sulla crescita di cellule cancerogene, così come il loro effetto riducente la concentrazione intercellulare di β-galattosidasi su cellule HTS. La β-galattosidasi è un enzima idrolitico che catalizza l’idrolisi dei residui terminali del β-D-galattosio nei polisaccaridi.Pertanto, la somministrazione di saponine attivate del Ginseng può rappresentare un’importante soluzione in grado di prolungare la vita delle cellule, con promossa differenziazione di cellule staminali mesen-chimali, soppressione di differenziazione di cellule cancerogene, ridu-zione di trigliceridi ed espressione di β-galattosidasi associata a feno-meni di invecchiamento della pelle.

saponine del ginseng:effetti farmacologici

Il Capsicum annuum (il peperoncino rosso) presta al gioco la sua cap-saicina, che modera e attenua stadi di psoriasi anche accentuata.Tra le piante antipsoriasi la rassegna include anche l’Aglio (Allium sativum L.), forte antinfiammatorio, e l’Angelica polymorpha, meglio nota come Angelica cinese, che contiene psoralene, una potente furo-cumarine. In presenza di UVA agisce come un fotosensibilizzante: la velocità di sintesi epidermica del DNA diminuisce per l’esposizione alle radiazioni UV, dopo che la crema, che contiene la droga della pianta, è stata posta sulla parte da curare fornendo una sensazione di sollievo.La Matricaria chamomilla L. sviluppa, con il suo camazulene, un effetto antinfiammatorio inibente l’espressione di mediatori infiammatori quali leucotrieni.

Panax ginseng

Erboristeria Domani • 41451

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ED414.indb 51 23/05/19 16:07

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La Mangrovia è una formazione vegetale costituita da piante prevalen-temente legnose, che si sviluppa su litorali bassi di coste marine tropi-cali, in particolare sulla fascia costiera periodicamente sommersa dalla marea.Il WWF considera la Mangrovia un bioma, ovvero una delle quattor-dici maggiori tipologie di habitat in cui viene diviso il globo terrestre. Le Mangrovie, con l’evoluzione, si sono adattate a combattere condi-zioni ambientali ostili come carenza di ossigeno, alta salinità ed elevata temperatura. Questo comportamento di adattabilità si ricollega al fatto che esse sviluppano metaboliti secondari che le aiutano a mantenersi e a sopravvivere anche in condizioni estreme.I metaboliti delle Mangrovie sono una ricca sorgente di composti bio-attivi quali terpenoidi, alcaloidi, derivati fenolici, saponine, flavonoidi e steroli; tutte molecole di potenziale e interessante sfruttamento indu-striale. Queste Mangrovie, pertanto, possono essere viste come una possibile, e altamente ecosostenibile, fonte di approvvigionamento di prodotti utili per la medicina, la cosmetica e l’alimentazione. Aggiornate ricerche riferiscono di principi attivi, isolati dalle Mangrovie, di grande interesse per le loro funzionalità gastroprotettive, citotossiche, antios-sidanti, antibatteriche, antifungine e antivirali; vi sono poi altri principi attivi isolati quali attivatori o inibitori di specifici enzimi, immunosop-pressivi e antinfiammatori.

La Curcuma (Curcuma longa) è una pianta che la medicina cinese sfrutta da millenni per le sue innumerevoli e diversificate proprietà terapeuti-che validate dalla moderna ricerca. La Curcuma, infatti, non finisce mai di stupirci grazie a sempre più aggiornate scoperte e segnalazioni che mettono in luce le sue nuove proprietà e i suoi potenziali usi, riportati poi sulle riviste specializzate. A questa pianta abbiamo dedicato un’am-pia rassegna sulle pagine di questa rivista (Erb Dom n.407 e 408/2018).Segnaliamo uno studio con il quale si è voluto determinare l’effetto di frazioni dal rizoma della pianta, le quali favoriscono la circolazione san-guigna, l’attenuazione del dolore e la mitigazione della depressione.I risultati dei test, effettuati con varie frazioni (olio volatile, in etere di petrolio, etile acetato, butanolo e acqua), hanno mostrato che tali pre-parati sono in grado di promuovere la circolazione del sangue e per-mettono di sopportare al meglio la sensazione di dolore.Si è visto, inoltre, che la frazione contenente l’olio volatile e quella in etere di petrolio sono quelle che si esprimono meglio rispetto ad altre attività eguali. In esse sono stati identificati tre componenti essenziali: bis-desmetossi-cumarina, de-metossicumarina e curcumina, per quanto nelle frazioni siano stati identificati altri componenti quali turmerone, curlone, cicloesene ecc.

mangrovie: Una “volUminosa” fonteecosostenibile di bioattivi

ancora sUlle mille proprietà della cUrcUma

Formazione di Mangrovie lungo la costa proteg-gono la riva dall’erosione, Everglades Natural Park (USA)

Curcuma longa, rizomi

Dahibhate NL, Saddhe AA, Kumar K (2019)

Mangrove Plants a Source of Bioactive

Compounds: A Review.

The Nat Prod J 9(2):86-97

Chen Z, Quan L, Zhao Y et al (2019) Screening

of active fractions from Curcuma Longa Radix

isolated by HPLC and GC-MS for promotion of

blood circulation and relief of pain.

J of Ethnopharmac 234(6):68-76

Referenza

Referenza

Erboristeria Domani • 41452

SCIENZA E TECNICA • Spazio fitoterapia

ED414.indb 52 23/05/19 16:07

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antiossidanti, antibatterici e antinfiammatori

Camomilla selvatica

Della Camomilla si enumerano una miriade di proprietà farmacologi-che; basterebbe citare quella antifiammatoria, antiossidante, antipro-liferativa (induzione di apoptosi in cellule cancerogene), neuroprotet-tiva, antimicrobica, sedativa, per ricordare le più eclatanti. In uno studio si è valutato il contenuto in flavonoidi e totale in fenoli, e l’attività antiossidante e antiproliferativa di un estratto etanolico da Camomilla. L’esame fitochimico dell’estratto ha rivelato un elevato contenuto in polifenoli, con marcata attività antiossidante (21.4 mg GAE/g), e in fla-vonoidi (ca 158 mg QE/g).L’attività antiossidante, determinata col metodo del radicale libero DPPH (difenil picrilidrazile), ha rivelato un potenziale inibente antiradi-calico di circa l’84% a concentrazione d’uso di 0,15 mg/ml, valore che sale al 94% a concentrazione d’uso di 1,5 mg/ml, dimostrando quindi che l’attività dell’estratto è fortemente dose-dipendente.Si è quindi valutato il potenziale antiproliferativo con test su cellule epato-cancerogene umane (HepG2). Si è visto che la vitalità delle cellule si riduce in maniera dose-dipen-dente a seguito trattamento con l’estratto, che è in grado di rego-lare l’angiogenesi tumorale deregolando l’espressione di alcune pro-teine coinvolte nel processo. L’estratto inibisce in modo significativo il livello di importanti marker angiogenetici, sia a seguito di esperimenti su cellule HepG2 sia in ex-vivo.

proprietà antiossidanti della camomilla

Al-Dabbagh B, Elhaty IA, Elhaw M et al (2019)

Antioxidant and anticancer activities of chamo-

mile (Matricaria recutita L.).

BMC Res Notes 12:3

Referenza

Hypericum perforatum ( c Isidre Blanc)

L’Iperico (Hypericum perforatum L., famiglia delle Hypericaceae) è da tempo considerato un tradizionale agente terapeutico ad azione rigenerante cutanea efficace, ad esempio, nel favorire la guarigione di ferite, tagli e bruciature, così come di disturbi allo stomaco (mal di stomaco), ulcere, ecc.Per quanto esistano numerosi studi che accertino le proprietà antibat-teriche degli estratti della pianta, vi sono altre ricerche intese a validare le proprietà inibenti “quorum sensing” di questi estratti. Cosa s’intende per quorum sensing mechanism? I batteri comuni-cano tra loro utilizzando molecole chimiche segnale. Tale comunica-zione porta ad una sincronizzazione del proprio comportamento e ad una loro più marcata attività, da intendersi quindi come una loro maggiore diffusione, virulenza, resistenza a farmaci, capacità di for-mazione di biofilm, ecc.Come a dire che, in molti casi, il disagio causato da infezioni è guidato, regolato e aggravato da questo meccanismo, ed è quindi importante conoscere gli agenti attivi in grado di inibirlo.

estratti di ipericoanti-qUorUm sensing

Erboristeria Domani • 41453

Spazio fitoterapia • SCIENZA E TECNICA

ED414.indb 53 23/05/19 16:07

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Dogan S, Gokalsin B, Senkardes I et al (2019)

Anti-quorum sensing and anti-biofilm activi-

ties of Hypericum perforatum extracts against

Pseudomonas aeruginosa.

J Ethnopharmacol 235(7):293-300

Referenza

In effetti esistono molte sostanze naturali in grado di limitare tali meccanismi: ad esempio l’olio essenziale di Eucalipto, gli estratti da Moringa, e molti altri estratti vegetali. Nello studio si parla, dunque, della valutazione di attività “anti-quorum sensing” (anti-QS) e antibiofilm di vari estratti (etanolico, metanolico e acetone) ottenuti da parti aeree di Iperico; inoltre, sempre con questi solventi, sono state ottenute estrazioni separate per via ultrasuoni.L’attività anti-QS è stata valutata tramite differenti test con diverse dosi di estratto, mentre l’attività antibiofilm è stata valutata operando direttamente su un fenotipo naturale (wild type) di Pseudomonas aeruginosa-O1.È stato possibile stabilire l’effetto anti-QS degli estratti tramite la veri-fica di una ridotta espressione di segnali intracellulari, importanti ai fini del controllo e della regolazione di un ciclo cellulare e direttamente cor-relati alla quiescenza delle cellule, alla loro vitalità, alla loro prolifera-zione, allo sviluppo di formazioni cancerogene e a tutte le funzioni su cui l’attività del QS incide. Per contro, non è stato confermato l’effetto degli estratti ai fini inibenti la formazione di biofilm di Pseudomonas.

L’azadirachta indica, meglio conosciuta col nome volgare di Neem, è una pianta molto nota nella medicina tradizionale, soprattutto orien-tale (compresa quella ayurvedica), per le sue proprietà antinfiammato-rie, antifungine e anti-iperglicemiche.Nella medicina indiana gli estratti di Neem sono utilizzati da millenni contro i disordini del tratto intestinale, urinari e delle vie respiratorie, per combattere infezioni, bruciature, e contrastare l’elevata pressione del sangue.Degli estratti della pianta si fa riferimento a marcati effetti antimicro-bici, antifungini e antiparassitari. Di questi estratti è stata valutata la funzione inibente l’attività di Helicobacter pylori, uno sgradevole batte-rio spiraliforme che può colonizzare la mucosa gastrica e il rivestimento dello stomaco umano. Tale infezione, spesso asintomatica, può, tal-volta, provocare gastrite e ulcere a livello dello stomaco e del duodeno. A lungo termine, l’infezione da Helicobacter pylori può anche essere associata allo sviluppo di carcinoma gastrico. La resistenza di questo batterio a farmaci si è fatta più energica in questi ultimi anni, per cui è sempre viva la ricerca di principi attivi naturali che lo possano contra-stare e debellare.Nei test sono stati utilizzati vari tipi di estratti commerciali di Neem (acquosi, metanolici, in dietiletere) e se ne è valutato il valore MIC (minimun inhibitorial concentration) e il valore MBC (minimum bacte-ricidal concentration), operando su vari ceppi (nove) del suddetto bat-terio, ma la caratterizzazione degli estratti è stata effettuata sul ceppo H. pylori G27.

proprietà antibatteriche degli estratti del neem

Azadirachta indica, Neem ( c Vinayaraj)

Erboristeria Domani • 41454

SCIENZA E TECNICA • Spazio fitoterapia

ED414.indb 54 23/05/19 16:07

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Il Kiwi (Actinidia chinensis Planchon), pianta originaria della Cina, figura da sempre, non solo come un tradizionale frutto da tavola ma come supplemento dietetico terapeutico adatto a prevenire e contrastare vari disordini dell’organismo, in particolare, di tipo infiammatorio.L’intento di uno studio è stato quello di esplorarne il suo potenziale antinfiammatorio in ragione del suo elevato contenuto in polifenoli, e di analizzare l’intrinseca capacità di bloccare i meccanismi coinvolti nell’evolversi del processo infiammatorio. L’estratto ottenuto da scorza del frutto è stato utilizzato su linee cellulari monociti stimolate da lipopolisaccaridi.L’esame fitochimico ha messo in risalto l’elevato contenuto in procia-nidine come componenti principali del totale polifenolico della droga (oltre il 92%). L’estratto inibisce la produzione di mediatori infiammatori quali inter-leuchine (IL-6, IL 1β) di THF-α, oltre a prevenire l’attivazione di STAT-3 e promuovere l’autofagia. Ricordiamo che STAT-3 (signal transducer and activator of transcription) sono fattori trascrizionali che controllano i processi infiammatori, ma peraltro sono dotati di multiple e anche contrastanti funzioni. Infatti, tali fattori, se troppo attivi, potrebbero indurre a un’infiammazione maggiore, e la loro deregolazione è signi-ficativa a questo fine.I risultati dello studio confermerebbero, pertanto, un forte e largo profilo antinfiammatorio di estratti ottenuti dalla scorza del frutto del Kiwi, da considerarsi pertanto un utile elemento naturale, integrativo e nutraceutico atto, soprattutto, a contrastare lo svilupparsi e l’evolversi di tali disordini infiammatori.

procianidine antinfiammatorie del KiWi

Actinidia chinensis

D’Eliseo D, Pannucci E, Bernini R et al (2019) In vitro studies on anti-inflamma-

tory activities of kiwifruit peel extract in human THP-1 monocytes.

J of Ethnopharmacol 233(6):41-46

Referenza

I valori MIC e MBC dell’estratto nei confronti di vari ceppi di H. pylori sono risultati piazzati rispettivamente tra 25 e 51 µg/ml e 43–68 µg/ml, con il rilevamento che l’attività battericida era concentrazione-di-pendente. Alla più elevata concentrazione di estratto valutata (75-105 µg/ml), non si è notata la presenza di batteri per 6 ore. L’attività dell’e-stratto è risultata reversibile, indipendente dalla crescita del batterio, e si è visto che incrementa a bassi valori di pH. L’estratto ha rivelato un non apprezzabile effetto emolitico pertanto, esso presenta requi-siti favorevoli per quanto può concernere la sua considerazione come antagonista allo sviluppo e crescita di H. pylori.

Blum FC, Singh J, Merrel DS (2019) In vitro acti-

vity of neem (Azadirachta indica) oil extract

against Helicobacter pylori.

J Ethnopharmacol 235(5):236-243

Referenza

Erboristeria Domani • 41455

Spazio fitoterapia • SCIENZA E TECNICA

ED414.indb 55 23/05/19 16:07

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integratori alimentari

Pinus pinaster

Il melasma è un disordine pigmentario cutaneo, cronico e acquisito, caratterizzato dalla formazione sulla pelle di macchie, o chiazze più scure, causate da una non omogenea pigmentazione. Per quanto generalmente presente in zone esposte al sole (il viso in partico-lare), e nelle parti a maggiore ricchezza di ghiandole sebacee, esso può apparire anche in altre aree del corpo, come l’avambraccio e il collo. Il fenomeno è più frequente nelle donne e nelle persone dalla pelle più scura. Si tratta sicuramente un “disordine” cutaneo imba-razzante e indesiderato che può influire negativamente anche sulla qualità della vita.Lo scopo di trattare il melasma è, quantomeno, quello di minimizzarne l’effetto riducendo l’iperpigmentazione nell’area affetta. Obiettivo di uno studio è stato quello di utilizzare un supplemento nutrizionale a base di sostanze naturali che, in forza delle loro bioproprietà antiossi-danti, antinfiammatorie, e per di più coinvolte nei processi di pigmen-tazione della pelle, fornisse un adeguato mezzo in grado di moderare l’indesiderato effetto cutaneo.È stato così realizzato un preparato composto dall’estratto da scorza di Pino marittimo (Pinus pinaster) e da succo d’Uva (Grape seed extract); un complesso di vitamine E, C e B3 e selenio.Vediamo i vari componenti: l’estratto di Pino contiene proantociani-dine e altri antiossidanti, e vari studi hanno dimostrato che i preparati che lo contengono possono avere un effetto positivo nei confronti del melasma, già dopo 30 gg di trattamento, l’estratto da succo d’Uva è anch’esso ricco di proantocianidine, e anche per questo ingrediente precedenti studi hanno potuto dimostrare un’attività riducente l’iper-pigmentazione a seguito della sua somministrazione orale, le vitamine C ed E sono note per il loro effetto fotoprotettivo riducente le reazioni dannose indotte dai raggi UV, mentre l’aggiunta di selenio è giustifi-cata da una potenziata attività riparativa di DNA.Il preparato prevede, infine, l’associazione di idonei filtri protettivi UV ad elevato SPF come barriera fisica fotoprotettiva contro la fotosen-sibilizzazione indotta dai raggi UV.L’assunzione di una così abbondante associazione di componenti bio-attivi non poteva che portare a un confortante risultato: un significa-tivo decremento, come prevedibile, del valore ΔM (differenza dell’in-dice di melanina tra zona con melasma e la zona circostante), la ridu-zione per unità d’area del numero di macchie pigmentate, e il miglio-rato aspetto visivo della zona trattata, che risulta più protetta e meno esposta a rischi di ordine fotochimico (eritema e perossidazione).Per concludere, una supplementazione orale con l’associazione di principi attivi biofunzionali in combinazione con un’adeguata asso-ciazione di filtri UV protettivi non può che rappresentare una stra-tegia di trattamento efficace e sicuro in stati di melasma facciale da tenue a moderato.

composizione nUtraceUticacontro il melasma

Aladrén S, Garre A, Valderas-Martinez P et al

(2019) Efficacy and Safety of an Oral Nutritional

(Dietary) Supplement Containing Pinus pina-

ster Bark Extract and Grape Seed Extract in

Combination with a High SPF Sunscreen in the

Treatment of Mild-to-Moderate Melasma: A

Prospective Clinical Study.

Cosmetics 6(1):1-13

Referenza

Erboristeria Domani • 41456

SCIENZA E TECNICA • Spazio fitoterapia

ED414.indb 56 23/05/19 16:07

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Tessuto adiposo ( c Ganimede)

Il tessuto adiposo è da considerarsi come un tampone che accumula e poi rilascia energia in accordo con le necessità del corpo umano. In un contesto non fisiologico, lo sviluppo di obesità è correlato ad uno squilibrio nell’omeostasi tra le calorie assorbite e l’energia consumata.La rassegna in oggetto punta la sua attenzione sul comportamento di composti naturali ed estratti da erbe usati quali complementi di diete destinate a sopprimere l’appetito e a promuovere la perdita di peso corporeo. Questi integratori, quando utilizzati sia da soli sia in idonee miscele, agiscono attraverso differenti meccanismi molecolari che sono discussi da un punto di vista biochimico. Le numerose ricerche in merito riferi-scono, infatti, di una funzione correlata all’attività di recettori adrener-gici, alla modulazione di recettori adenosinici, a interferenze varie nel metabolismo del glucosio e dei lipidi, alla regolazione del ciclo di cellule adipocitiche e all’inibizione della fosfodiesterasi; una miriade di diffe-renti meccanismi che possono, in maniera differente, influire sui processi fisiologici portando a una conseguente diminuzione del peso corporeo.

come agiscono i derivati da piante, qUali integratori, in nUtraceUtici ai finidella diminUzione del peso corporeo

Ribaudo G, Ongaro A, Zagotto G (2019) Natural Compounds Promoting

Weight Loss: Mechanistic Insights from the Point of View of the Medicinal

Chemist.

The Natur Products J 9(2):78-85

Referenza

Erboristeria Domani • 41457

Spazio fitoterapia • SCIENZA E TECNICA

ED414.indb 57 23/05/19 16:07

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ARTEMISIA ANNUA, LA PIANTA CHE COMBATTE LA MALARIAGabriella Giovannini1, Paolo Poggi21Biologa, ricercatrice2Chimico, pubblicista

Il premio Nobel assegnato nel

2015 alla scienziata cinese Tu

Youyou, per avere identificato

il composto antimalarico di

Artemisia annua a partire dal

suo uso tradizionale, ha sancito

per tutta la comunità scientifica

il dovuto riconoscimento del

ruolo essenziale dei derivati delle

piante, e delle conoscenze ad

essi correlate, per la medicina del

futuro.

Per questo, parlare oggi di

questa specie significa passare in

rassegna i numerosi studi che si

rinnovano sull’artemisinina, e le

diverse problematiche legate alla

produzione e alla disponibilità del

principio attivo.

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SCIENZA E TECNICA • Monografia

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Artemisia annua L appartiene alla famiglia delle Asteraceae. Il genus Artemisia comprende oltre 400 specie,

tra le quali l’Artemisia annua che è l’unica a ciclo annuale (da cui prende il nome). Dello stesso genere ricorderemo alcuni altri esempi illustri: Artemisia dragunculus (il dra-goncello), Artemisia genepì (il genepì, usato in liquori-stica) e Artemisia absinthium (l’assenzio).Trattasi di una pianta cespuglioso-arbustiva con fusto eretto, su cui si sviluppano ramoscelli sottili che portano foglie di colore verde vivo, pennatosette, a margine dentato; l’infiorescenza è a pannocchia, con numerosi capolini penduli che reggono piccoli fiori tubolosi e gialli.L’origine della pianta si fa risalire alla Cina; in Italia è piut-tosto rara ed è presente in modo discontinuo. Cresce in luoghi sabbiosi, ghiaiosi, lungo i margini delle strade e nelle macerie.La droga della pianta è contenuta nelle foglie e nelle infiorescenze.

L’ARTEMISININA

Per la maggior parte delle piante, quando si scrive di esse, ci si trova ad esporre sempre un elenco più o meno lungo di principi attivi interessanti a fini terapeutici e cosmetici; ma affrontando Artemisia annua L. ci si trova di fronte a una componente del fitocomplesso che, per impor-tanza e notorietà, sovrasta di gran lunga e fa “passare nel dimenticatoio” tutte le altre. In effetti, scorrendo la letteratura tecnico-scientifica, qualche riferimento ad alcuni flavonoidi antiossidanti, o all’attività antibatte-rica dell’olio essenziale, ogni tanto si incontra; ma l’ape regina, la incontrastata dominatrice del campo, rimane lei, l’artemisinina. L’artemisinina deve la sua popolarità al fatto di essere riconosciuta come il più importante ed efficace principio attivo naturale per combattere la malaria.Trattasi di un sesquiterpene lattone con una porzione endoperossido e con una struttura, pertanto, diversa dalle altre droghe antimalariche che, in genere, hanno una struttura ad anelli eterociclici azotati. L’uso medico più antico della droga di Artemisia annua si ritiene sia da attribuire alla Cina. Dati circa l’impiego di Qinghao (denominazione del rimedio in Medicina Tradizionale Cinese) nel trattamento della malaria si ritro-vano in un documento rinvenuto in una tomba del 168 a.C. e, più tardi, in un testo dell’antico autore cinese Ge

Hong (341 d.C.), ma qui si parla, come detto sopra, di droga in toto dalla pianta. La pratica consisteva nell’as-sunzione di una bevanda tipo tè ottenuta per infusione in acqua delle foglie. L’artemisinina sarà isolata per la prima volta nel 1972 dalla cinese Tu Youyou, tramite estrazione a bassa pressione dalle foglie dell’Artemisia annua. In seguito si scoprì che, oltre all’Artemisia annua, solo altre due specie (A. apiacea e A. leucea), tra le oltre 400 conosciute del genus Artemisia, contengono arte-misinina (1,2).È datato qualche anno più tardi (1979), un primo impor-tante attestato scientifico della validità dell’artemisinina:

Formula Artemisinina

La scienziata cinese Tu Youyou a cui nel 2015 è stato attribuito il Premio Nobel per la Medicina per le ricerche su artemisinina

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Monografia • SCIENZA E TECNICA

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Page 62: MAG-GIUerboristeriadomani.it/wp-content/uploads/2019/PDF_Riviste/ED_414.… · Mirtillo rosso americano • Antropologia Quale etnobotanica? • Schede Colturali Melissa ERBORISTERIA

LA MALARIA La malaria è la più diffusa delle malattie indotte da infezione di parassiti, endemica in almeno un terzo della Terra, con estensione maggiore nelle regioni tropicali africane, ma anche nei paesi asiatici e nei mari del Sud. Il quadro clinico è di malattia febbrile acuta che si manifesta con segni di gravità diversi a seconda della specie infettante.Causa dell’infezione è un protozoo parassita (Plasmodium falciparum), scoperto nel 1880 dal francese Alphonse Laveran, che viene trasmesso per puntura della femmina della zanzara Anopheles.Le prime testimonianze della malattia si fanno risalire addirittura a 2000 anni a.C. in Cina. Ippocrate (400 a.C.), in un suo scritto, ne fa una prima descrizione del “quadro clinico” definendola come causa di febbre intermittente. Nel 1596 il medico cinese Li Shizen, in un suo trattato che tradurremo come Compendio di materia medica, raccomanda un tè fatto con foglie della pianta di Artemisia (qing hao) per trattare i sintomi della malaria. Nel 1600, come antimalarico di origine vegetale, si conosce una tintura estratta dalla corteccia di Cinchona, una specie tipica delle Ande usata come antifebbrile, che viene introdotta in Europa da Lima, dai Gesuiti spagnoli. Nel 1696 Norton traccia una descrizione dettagliata del quadro clinico della malattia e del suo trattamento con Cinchona. Nel 1820 il chinino, un alcaloide naturale, viene isolato dalle foglie di Cinchona officinalis dai francesi Pelletier e Caventou. Sarà il farmaco più utilizzato per le cure antimalariche sino all’avvento della clorochina (una forma di cloro-chinolina).Circa il coinvolgimento delle zanzare nella diffusione della malattia, i primi ad ipotizzarlo sono stati, nei primi anni del 1800, il medico italiano Giovanni Lancisi e, alcuni decenni più tardi, il francese Manzu. Nel 1898 Giovanbattista Grassi, scienziato italiano, botanico ed entomologo, identifica sicuramente il vettore della malaria nella zanzara Anopheles femmina.Qualche anno prima (1885) a Pavia, lo scienziato italiano Camillo Golgi (sarà Premio Nobel nel 1906) aveva dimostrato l’associazione tra periodicità delle febbri malariche e il ciclo del Plasmodium, chiarendo inoltre che i due tipi di malaria, terzana e quartana, sono dovute a due distinte specie del parassita.Nella costante e mai interrotta lotta tra microbi e uomo, grande attenzione è stata sempre posta alla ricerca e alla produzione di nuovi farmaci anti-malarici per combattere questo terribile morbo che, ancora nel 2010, secondo World Health Organization (WHO) ha causato oltre 600.000 decessi.

un’équipe di ricercatori e medici cinesi pubblica su The Chinese Medical Journal un dettagliato rap-porto circa le sue proprietà terapeutiche antima-lariche. Tale pubblicazione altro non era che l’e-numerazione dei validi risultati conseguiti nella Repubblica Popolare Cinese, a partire dal 1960, nel trattamento della malattia, risultati che anda-vano a confermare positivamente quelli riscontrati

Tavola del Museo di Pechino che ritrae l’antico medico Ge Hong Zhichuan (1360 ca)

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in quella nazione a seguito l’uso secolare, popolare e tra-dizionale della droga della pianta (3,4).Si deve arrivare al 2012 per spiegare quanto sia stata presa in considerazione l’efficacia dell’ingrediente attivo. In un rapporto del The New York Times si legge per la prima volta che: “... sarebbe bene prendere in consi-derazione l’eventualità di assegnare agli scienziati, che l’hanno maggiormente studiata e proposta, il Premio Nobel per la fisiologia o medicina”. Un’osservazione pro-fetica alla luce del prestigioso riconoscimento effettiva-mente assegnato alla scienziata cinese e alla sua équipe nel 2015 a Stoccolma.Negli ultimi anni la terapia antimalarica a base artemisi-nina è stata definita come quella più efficace tra quelle sinora conosciute, in quanto in grado di sopprimere il parassita in maniera più veloce di ogni altro trattamento (5-7).

I FARMACI ACTS

Ma anche altri fatti sono da riferire per spiegare la storia, il percorso e il successo dell’artemisinina nel trattamento della malaria. Quella di realizzare farmaci che utilizzano l’associazione di più principi attivi funzionali non è cer-tamente una tecnica nuova, essendo da tempo sfrut-tata nella cura della tubercolosi, della leprosi, dell’AIDS e del cancro, tanto per citare alcuni tra gli esempi più emblematici. Il più importante beneficio da ascrivere a tale forma di “terapia combinata” consiste nel fatto di ridurre il rischio di assuefazione alla droga, e quindi la resistenza da parte dei microrganismi che deve combat-tere; questa evenienza è più rara se i farmaci usati con-temporaneamente sono più di uno. La terapia combi-nata può essere più dispendiosa ma, se usata appropria-tamente, può apportare indubbi vantaggi che alla fine potrebbero risolversi anche nella considerazione di un minor costo (8). Nasce da qui l’idea di realizzare farmaci antimalarici a base dell’associazione di artemisinina e droghe sintetiche, proposta che accolse l’approvazione e il plauso interna-zionale, in quanto tale pratica avrebbe comportato due inconfutabili vantaggi: il primo consiste nel risparmiare sul consumo di artemisinina, principio attivo a contenuto assai basso nella droga della pianta da cui si ricava (un dato: 0,4-0,6% in media su foglie essiccate); il secondo nell’ottenere prodotti rinforzati nella loro attività per la sinergia tra i due componenti.

Nel 1990 il colosso farmaceutico Novartis comprò dai cinesi un brevetto per realizzare un farmaco antimalarico che prevedesse l’associazione di artemisinina con lume-fantrina (un farmaco antimalarico allora in uso). Qualche anno più tardi, approvata la richiesta, nascerà quello che è probabilmente da considerarsi il primo farmaco ACTs. Approfondiamo l’esposizione. Un efficace controllo della malaria richiede sforzi su vari fronti e anche le droghe vegetali hanno, per lungo tempo, svolto una funzione importante in questa lotta; basti pensare all’impiego del chinino. Ma varie droghe vegetali, e anche farmaci speci-fici, hanno perduto efficacia con il formarsi di ceppi resi-stenti alla loro azione inibente.Si è scoperto così che il rimedio antimalarico più efficace poteva consistere nell’impiegare l’artemisinina, il princi-pio attivo naturale estratto dall’Artemisia annua, combi-nata con farmaci specifici. Questa associazione naturale/sintetico, definita dalla sigla Artemisinin-based combina-tion therapies (ACTs), è riconosciuta sin dal 2001 dalla World Health Organization (WHO) che non solo approva, ma consiglia l’uso di questo abbinamento farmaco/fito-attivo (9,10).Il vantaggio dell’impiego di tale associazione risiede nel fatto che all’artemisinina venga attribuito un veloce e rapido attacco nei confronti del parassita che causa la malaria (Plasmodium falciparum), il quale verrebbe rapi-damente eliminato dal corpo. L’inclusione del farmaco consentirebbe una più elevata protezione, in particolare nei confronti di mutanti droga-resistenti.Nell’aprile 2013 la Amirys Biotech ha annunciato la pro-duzione di 70 milioni di dosi di composto antimalarico a base di artemisinina.

Sommità, la droga di A. annua

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IL MECCANISMO DI AZIONE DI ARTEMISININA

L’artemisinina e alcuni suoi derivati (artene, artemetere, artenolide, artecimolo, artesunato, diidroartemisinina) agiscono nei confronti del parassita infettante secondo diverse vie. La prima descritta prevede una combinazione della frazione endoperossido dei sesquiterpeni lattoni con ioni ferro dell’eme che, rilasciando una cascata di intermedi citotossici (praticamente radicali liberi, uno o più intermedi ferro-oxo altovalenti e agenti alcalini elet-trofili) come risultato finale, causa danni fatali all’organi-smo del parassita.Ricorderemo che eme è una ferro-porfirina, cioè una molecola contenente ferro e coordinata ad un gruppo organico comprendente atomi di azoto, ed è importante per legare l’ossigeno all’emoglobina (11).Altre vie descritte in letteratura prevedono la distruzione del catabolismo dell’emoglobina del parassita, il danneg-giamento del sistema di detossificazione dell’emeossi-genasi del Plasmodium, e l’alchilazione di proteine intra-cellulari nel parassita, sia da parte di radicali liberi sia di complessi eme-artemisinina. Il fitofarmaco viene descritto sicuro nell’impiego anche quando viene utilizzato in dosi

sostenute contro Pasmodium droga-resistenti. Oltre l’ar-temisinina, nella droga della pianta sono stati identifi-cati almeno altri 13 terpenoidi lattoni (alcuni li abbiamo citati sopra), al di là di altri monoterpeni e flavonoidi glu-cosidi, la maggior parte dei quali sotto forma metilata, i quali potrebbero esercitare un effetto sinergico poten-ziando così la funzione terapeutica del componente di base (12,13).In effetti, questa eventualità è stata confermata speri-mentalmente: un trattamento con estratto di foglie essic-cate di Artemisia annua, contenente 24 mg/kg di ingre-diente attivo, ha portato allo sviluppo di un’attività tera-peutica superiore a quella sviluppata da pari quantità di artemisinina utilizzata allo stato puro.Esperimenti hanno anche dimostrato che tale effetto può dipendere da un’accresciuta biodisponibilità dell’artemisi-nina contenuta nell’estratto in toto (anche 40 volte supe-riore) rispetto a quella del prodotto puro.Si è visto, inoltre, che flavonoidi presenti nella droga di Artemisia annua L. sono in grado di sopprimere l’azione di un enzima (CYP-450) responsabile di alterare la capa-cità di assorbimento e il metabolismo dell’artemisinina nel corpo umano. Ad essi è stato attribuito un benefico effetto immunostimolante su soggetti affetti da disturbi indotti da parassiti o cronici in genere.

INTENSIFICAZIONE DELL’ATTIVITÀDI ARTEMISININA

Numerosi studi volti a incrementare i contenuti di artemi-sinina nella droga della pianta, e la sua efficacia quando applicata, sono reperibili in letteratura.Sono stati valutati con successo vari sistemi a rilascio con-trollato di artemisinina, inglobata in etosomi, niosomi, nanocapsule, al fine di aumentarne la biodisponibilità e quindi l’efficacia (14).Tra gli stimolanti (elicitors) viene segnalato il metil jasmo-nato e, come precursori, un idrolizzato di caseina acida e sodio acetato addizionati alla biomassa da cui viene estratto l’ingrediente.In effetti, il contenuto in artemisinina della droga della pianta è molto basso; inoltre, anche la disponibilità della pianta è soggetta a limitazioni stagionali e commerciali. Si è poi visto che la massa concentrata in attivo è locata principalmente nelle radici aeree della pianta, per cui si dovrebbe ricorrere anche a strategie capaci di favorire il loro sviluppo. Artemisia annua (© KristianPeters)

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Vari esperimenti hanno dimostrato che anche l’acido salicilico è in grado di attivare la biosintesi di artemisi-nina nella droga di Artemisia annua. Si è visto che la sua aggiunta per via esogena alle foglie della pianta induce sviluppo di ROS (specie di ossigeno reattive) e una con-seguente conversione di acido diidro-artemisinico in arte-misinina. Si ritiene anche che l’acido salicilico sia in grado di sovraregolare l’espressione di geni coinvolti nella sintesi dell’artemisinina (15).Ai fini di aumentare il contenuto di artemisinina nella droga di Artemisia annua, si è fatto ricorso anche a tec-niche di ingegneria transgenica sopprimendo un enzima (squalene sintasi) competitivo con la biosintesi dell’arte-misinina (16).In piante transgeniche ottenute per trasformazione mediata da Agrobacterium tumefaciens, si è visto che il titolo in artemisinina aumenta anche di tre volte rispetto a quello di piante non trattate. Il sistema, denominato AMTS (Agrobacterium-mediated transformation system), consiste nel trasferire agli ormoni della pianta un certo numero di geni correlati alla biosintesi della melanina (17,18).Nel 2011, sotto l’impulso di ANAMED (Action for natural medicine), venne sviluppato un ibrido (sarà denominato A3), il quale fornisce piante di maggiore grandezza (sino a tre volte il normale) e con una produzione di artemisi-nina sino a 20 volte superiore rispetto alla varietà selva-tica; l’ente opera con varie associazioni mediche ai fini di istruire i produttori alla coltivazione tramite tale tecnica (19,20).

ARTEMISININA: NATURALE VS SEMISINTETICA

Con il crescente consumo di artemisinina, anche in con-siderazione del suo sempre maggiore impiego in prepa-rati ACTs, ci si rese presto conto che la quantità di ingre-diente ottenuto per via naturale (estrazione dalle foglie e infiorescenze di Artemisia annua) sarebbe presto risul-tato insufficiente. Nel 2006, il Royal Tropical Institute of the Netherlands prospettava che per soddisfare la crescente richiesta si dovesse necessariamente provvedere ad un significa-tivo aumento della disponibilità di principio attivo; per ottenerlo, secondo le stime più attendibili, sarebbe stato necessario un incremento di produzione dai più piccoli, oltre 500, a quelli su più elevata scala, per arrivare a una nuova superficie investita a piantagioni di almeno di

17.000 ettari, che sarebbe potuta auspicabilmente cre-scere nel tempo sino a 27.000. In quegli anni la produ-zione di artemisinina da coltivazione era stimata tra le 150 e 170 tonnellate.Controversa, almeno nei primi tempi, l’idea di produrre l’artemisinina per via semisintetica. La preoccupazione maggiore a questa eventualità era manifestata dai piccoli produttori di Artemisia nelle loro tenute agricole, per i quali tale attività rappresentava la principale, e in molti casi addirittura l’unica, fonte di sostentamento. Se ciò fosse avvenuto, sarebbero state le potenti industrie far-maceutiche a fornire la materia prima per i farmaci anti-malarici e non più le piccole farmer di estrazione povera africana e asiatica.Queste preoccupazioni dei coloni permangono tuttora. L’evidente accresciuta disponibilità di questo nuovo tipo di principio attivo potrebbe sicuramente portare, oltre che a un calo delle loro vendite, a una diminuzione del suo prezzo di mercato; il che potrebbe danneggiare i piccoli produttori e, di conseguenza, scoraggiarli a inten-sificare la loro produzione, con il rischio di una vera e propria destabilizzazione del mercato (21).Per contro, a favore dello sviluppo di artemisinina bio-sintetica si schierano i produttori di ACTs, il cui costo, a parere di molti, è piuttosto elevato per poter essere acquistato anche da potenziali utilizzatori a basso o scarso reddito; l’avvento dell’ingrediente di base semisin-tetico più economico diminuirebbe quindi anche il costo del prodotto finito.Anche da altre categorie di operatori nel campo, pro-duttori e commercianti, questa eventualità è vista in maniera meno pessimistica: la produzione semisintetica dovrebbe considerarsi solo come un supplemento alla tradizionale di estrazione naturale, ed essere disponibile solo in carenza di questa. Si tratta di una visione meno pessimistica o utopistica? Opteremmo per la seconda ipotesi visto che, nel con-tempo, primari gruppi farmaceutici multinazionali si sono dati da fare nel progettare processi di bioingegneria al fine di produrre artemisinina sintetica partendo da un suo precursore, l’acido artemisinico (22).Una di queste vie prevede, ad esempio, un processo di foto-ossidazione che riproduce l’azione della luce solare. È stato possibile realizzare un impianto che consente l’ac-celerazione del processo di conversione dell’acido arte-misinico, precursore dell’artemisinina, ottenuto chimica-mente in artemisinina semi-sintetica. L’acido artemisinico

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viene ottenuto per via biotecnologica mediante la com-binazione di geni delle piante di Artemisia annua con un lievito. L’acido precursore così ottenuto può poi essere convertito dal microrganismo in artemisinina. Oggi la produzione industriale di artemisinina par-tendo da acido artemisinico ottenuto per biosintesi è un fatto compiuto, un’impresa di notevoli proporzioni. Un esempio emblematico: nello stabilimento Sanofi di Garessio (Cuneo) era stata annunciata una produzione nel 2013 pari a 35 tonnellate, che sarebbero salite a 50-80 nel 2014. Questa quantità corrisponderebbe alla possibilità di realizzazione tra gli 80 e i 150 milioni di farmaci ACTs.

ALTRE TERAPIE A BASE ESTRATTI DI ARTEMISIA ANNUA

È facile, dopo quanto detto, interpretare quella anti-malarica come la prima e basilare funzionalità terapeu-tica della droga di Artemisia annua, e dell’artemisinina in particolare. Peraltro, la letteratura tecnico-scientifica di questi ultimi anni ci ha rivelato la potenzialità di sud-detta droga ai fini di contrastare, o quantomeno alleviare, numerosi altri mali che affliggono l’umanità.In breve rassegna enumereremo quindi, di seguito, quelle che possono considerarsi altre utili applicazioni, oltre quella antimalarica, della droga di Artemisia annua.

attività antielmintica Tale attività dell’artemisinina fu scoperta per caso in Cina, mentre si ricercava un nuovo efficace antielmin-tico per combattere la schitosomiasi, una grave malat-tia infettiva indotta da parassiti del genere Schistosoma. L’artemisinina si è rivelata efficace nel contrastare l’atti-vità di tali parassiti che, dopo quelli della malaria, sono quelli a maggiore potenziale infettivo.

La funzione antielmintica dell’artemisinina è stata testata e validata anche nel confronto di altri ceppi, in partico-lare trematodi (Fasciola hepatica, Schistosoma japoni-cum, ecc.) (23).

attività antimicrobica e antivirale L’olio essenziale estratto dalle parti aeree dell’Artemisia annua contiene vari ingredienti attivi (li abbiamo enume-rati nella tabella riportata) la cui funzione antimicrobica è ampiamente accertata.L’olio essenziale testato su ceppi, sia Gram-positivi (Enterococcus sp, Streptococcus sp, Staphyllococcus sp, Bacillus e Listeria) sia Gram-negativi (Escherichia, Shigella, Salmonella, Pseudmonas, Klebsiella) sia su lieviti e funghi (Candida sp.), ha rivelato di esplicare un’atti-vità inibente nei loro confronti, anche se con potenziale diverso da ceppo a ceppo e a seconda della concentra-zione impiegata.Per quanto concerne la sua attività antivirale, è stato riportato che gli estratti di Artemisia possiedono marcato effetto inibitorio nei confronti di numerosi ceppi virali quali Human cytomegalovirus, cui appartiene il virus dell’herpes, protozoi, come Toxoplasma gondii; ed elminti, come Schistosoma sp. e Fasciola hepatica (24-26).

attività antiossidanteIl potenziale antiossidante dell’olio essenziale di Artemisia annua, sottoposto ai vari test specifici, è risultato pari al 18% di quello espresso da eguale quantità di α-tocof-erolo (27).È stato evidenziato che nella droga dell’Artemisia annua è presente anche un polisaccaride a marcata funzione antiossidante. L’effetto protettivo antiossidante di tale ingrediente attivo è stato accertato nei confronti di danni

Formula Acido Artemisinico

Composizione (%) Olio Etereo di Artemisia annua

Canfora 44

Germacrene 16

trans-pinocarveolo 11

β-salinene 9

β-cariofillene 9

Artemisia-chetone 3

Altri in dose minore: - Canfene idrato, trans-cariofillene,- crisantenone, 1,8-cineolo, mircene,- α-pinene, β-farnesene e altri

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ossidativi al fegato (test su ratti con itterizia). Sono state valutate, a conferma, l’espressione di antiossidanti natu-rali (SOD, CAT, glutatione perossidasi) e di emissione di malondialdeide con risultati altamente positivi (28).L’attività antiossidante di un estratto da Artemisia annua è stata valutata anche come protettiva di oli vegetali di tradizionale uso cosmetico e loro conservazione dopo lungo stoccaggio. Testata un’emulsione O/A contenente olio di Girasole dopo prolungato stoccaggio (45 gg) ed esposizione a 32°C. L’estratto, usato in dosaggio di 2 g/L, ha sviluppato un’attività antiossidante paragonabile a quella di BHA (butil idrossi anisolo) in concentrazione di 0,02 g/L. Dai risultati di questo test, verrebbe da dire che l’attività antiossidante del prodotto naturale è abba-stanza lontana da quella potente e ben nota del pro-dotto di sintesi. Per contro, secondo altri autori, in parti-colare di scuola cinese, l’estratto integrale di A. annua è uno tra i quattro da piante officinali a più elevato valore ORAC (oxygen radical absorbance capacity).Da registrare pure uno studio effettuato al fine di deter-minare il potenziale antiossidante di un estratto otte-nuto da foglie di Artemisia annua usando come termini di confronto Vitamina C e rutina, noti antiossidanti di uso comune. Si è visto che l’estratto inibisce perossidazione lipidica con valori di efficacia dal 79 all’86% ed emolisi

eritrocitica dal 40 al 50%, con attività bloccante i radicali liberi (idrossidi, acqua ossigenata, NO) con valori supe-riori agli standard (29-31).

attività antinfiammatoria L’attività antinfiammatoria, di agenti non steroidei come principi attivi naturali, si esplica attraverso una reazione inibente l’attività di recettori che favoriscono lo svilup-parsi di espressione di mediatori infiammatori quali cito-chine e ciclossigenasi-1.Gli estratti della pianta contenenti artemisinina svilup-pano tale effetto inibendo l’espressione di NO indotto da lipoperossidazione, prostaglandina E-2 e citochine (IL-β, IL-6, IL-10). In un test su neutrofili attivati sino a infiammazione con lipopolisaccarridi, si è visto che un trattamento con estratto a concentrazioni crescenti inibisce sino al 90% la produzione di TNF-α (tumor necrosi factor-α) e di pro-staglandina PG-2 in maniera dose-dipendente (32-35).

attività antitUmoraleRicerche, sia datate sia recenti, hanno dimostrato l’effi-cacia di trattamenti a base estratti di Artemisia annua anche nei confronti del cancro. Si ritiene che tale attività sia da attribuire ad alcuni flavonoidi contenuti nella droga

DA ARTEMISIA PRINCIPI ATTIVI ANTIMELANOGENI Artemisia capillaris, ovvero Artemisia a foglie fini, è una delle tante della specie Artemisia (famiglia delle Asteraceae, certamente la più nota Artemisia annua, la pianta antimalarica). Si tratta di una pianta assai nota nella medicina orientale per sue proprietà diuretiche ed epa-toprotettive in genere.In uno studio sono state valutate le proprietà antimelanogene di un suo estratto etanolico, usandolo a differenti concentrazioni (da 35 a 150 µg/mL).Si è visto che il trattamento inibisce melanogenesi indotta da α-MSH (α-melanocyte stimulating hormone) su cellule melanoma B16. Ricordiamo che α-MSH è un ormone secreto dall’ipofisi che agisce, attivandoli, sui melanociti cutanei, inducendo la sintesi della mela-nina e quindi della pigmentazione cutanea.Quindi, l’estratto riduce l’attività della tirosinasi senza interferire sulla vitalità delle cellule e agendo in maniera dose-dipendente; praticamente deregola l’espressione di proteine melanocito specifiche, come tirosinasi e TRP-1 (tyrosinase-related protein-1), che catalizzano la velocità della reazione di ossidazione da tirosina a melanina.Il principio attivo contenuto nell’estratto, e ritenuto il maggiore responsabile dell’evolversi di tale funzione, è stato identificato in leukodina, un derivato della matricarina (una molecola a struttura azulenica). In pratica, l’ingrediente attivo agisce quale inibente l’attività di enzimi melanogenici.

FONTE: MIN WOO S ET AL, 2019 (39)

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della pianta, e in particolare ad un C-glucosil-flavonoide a riconosciuta attività antiossidante protettiva.In Vietnam, un’équipe di medici ha sviluppato un pro-gramma nutrizionale antitumorale col quale sono stati trattati un gruppo di malati di tumore. Il tempo di terapia è stato piuttosto lungo (due anni), con assunzione gior-naliera di un preparato (non meno di 200 mg). Gli esiti del test sono risultati soddisfacenti, con marcata atte-nuazione del disturbo, almeno per quanto concerne il 60% dei pazienti trattati. L’esperimento ha anche messo in luce che la presenza di ferro attiva l’effetto citotossico della droga nei confronti delle cellule malate (36,37).Sono tuttora in atto varie altre ricerche al fine di stabi-lire l’entità di efficacia della droga di Artemisia annua nel trattamento di forme tumorali. Il suo effetto è stato dimostrato clinicamente su modelli sperimentali di car-cinoma epatocellulare. Il meccanismo di azione è stato così spiegato: la frazione endoperossido del sesquiter-pene lattone artemisinina, quando in contatto con un’e-levata concentrazione di ioni ferro (comune nelle cellule cancerogene), diventa instabile e rilascia ROS (Specie di Ossigeno Reattive). È stato dimostrato che tale reazione riduce angiogenesi ed espressione di fattori di crescita sull’endotelio vascolare (test su tessuti in coltura); prati-camente si sviluppa uno stress ossidativo citotossico nei confronti delle cellule malate (38).Abbiamo parlato di angiogenesi. Ricorderemo che con questo termine s’intende un processo fisiologico che

consiste nello sviluppo di nuovi vasi sanguigni a partire da altri già esistenti. È di fondamentale importanza in molti meccanismi fisiologici quali la crescita del tessuto, lo sviluppo embrionale, la cicatrizzazione delle ferite, ecc. É invece da bloccarsi quando un maggiore flusso san-guigno potrebbe favorire l’alimentazione indesiderata di cellule malate come, in questo caso, le tumorali. Si è potuto verificare che uno dei componenti la droga di A. annua, l’artesunato, presenta proprio una particolare atti-vità inibente l’angiogenesi concorrendo all’azione bloc-cante lo sviluppo di cellule tumorali, e quindi la crescita di tumori. Anche detto artesunato, è stato ampiamente valutato in un programma di ricerca sulla sicurezza terapeutica promosso dal National Cancer Institute, e si è rivelato efficace nel trattamento di varie malattie, anche estre-mamente gravi, quali leucemia e il cancro al colon, con risultanze di efficacia paragonabili a quella di specifici farmaci di sintesi. Anche un altro componente la droga di A. annua, la quercetagenina trimetil etere, agisce in maniera cito-tossica nei confronti di cellule tumorali, con un mecca-nismo di azione paragonabile a quello dell’artesunato (40,41).

attività antiUlcera É stata verificata l’attività antiulcera di estratti metano-lici, e loro frazioni, ottenuti da parti aeree della pianta. Queste frazioni, contenenti il sesquiterpene lattone artemisinina, si è visto che sono particolarmente attive, quando somministrate per os, nei confronti di ulcere indotte da indometacina (test su topi).Ad analisi cromatografica su colonna, si è potuto veri-ficare che la frazione attiva è costituta da tre frazioni a diversa polarità: polare, mediopolare e non polare, le quali operano con differenti livelli di inibizione delle lesioni ulcerative (42).

trattamento topico di manifestazioni dolorose Spesso si è potuto verificare che l’impiego di preparati ad uso topico nel trattamento del dolore risulta più effi-cace rispetto all’assunzione di farmaci. Quantomeno, è certamente più sicuro dal punto di vista tossicologico e del possibile insorgere di manifestazioni secondarie inde-siderate a seguito dell’assunzione del farmaco.Linimenti a base di estratti di Artemisia si sono rivelati

A. annua in coltivazione

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SCIENZA E TECNICA • Monografia

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efficaci nel contrastare manifestazioni dolorose cutanee, con un’attività che è perdurata per diverse ore. Tale lini-mento è da utilizzare in quantità moderata al fine di evitare un’eccessiva penetrazione sistemica indeside-rata di parte del preparato. Infatti, tale linimento, con-tenente terpenoidi, è dotato di una notevole penetra-zione cutanea, anche in considerazione della sua strut-tura lipofila (34,35).

ARTEMISIA ANNUA IN COSMESI

In genere, nelle monografie dedicate alle piante, dopo la disquisizione su quelle che sono le proprietà interessanti il trattamento terapeutico con i loro estratti o i loro oli, passiamo a una descrizione del loro potenziale interesse dal punto di vista cosmetico.Per quanto concerne Artemisia annua, ospite di questa nostra monografia, ci troviamo in serio imbarazzo ai fini di poter rispettare la sopradetta regola. Infatti, nella nostra abbondante ricerca bibliografica, nulla di quanto abbiamo reperito ci è sembrato degno di citazione, o tale da giustificare l’inserimento di una pianta tanto impor-tante tra quelle interessanti dal punto di vista di un loro impiego in campo cosmetico. Solo recentemente abbiamo reperito uno studio attinente l’applicazione di attivi di Artemisia, quali antimelanogeni, in campo cosmetico. Alla suddetta ricerca abbiamo dedi-cato un riquadro a cui rimandiamo la visione.Ripiegheremo, per il resto, su una logica considerazione rifacendoci ad alcune di quelle che sono le proprietà

farmacologiche ascritte alla droga della pianta: l’antimi-crobica e l’antiossidante. È in ragione di queste due pro-prietà che gli estratti di questa pianta potrebbero essere presi in considerazione nella realizzazione di preparati a tale funzione.Da ricordare invece l’impiego del suo olio essenziale in profumeria, dentifrici e prodotti per l’igiene personale.

ALTRI CAMPI DI IMPIEGO

La droga di Artemisia annua è stata anche considerata dal punto di vista di un suo potenziale impiego in campo dietetico-nutrizionale.Foglie e infiorescenze della pianta contengono la percen-tuale maggiore in proteine, acidi grassi e frazioni dige-ribili, ma un basso valore in fibre “pulenti”. Il tessuto fogliare e i fiori sono anche gli organi della pianta che contengono la maggiore quantità di oligoelementi (man-ganese e rame in particolare).Il contenuto in aminoacidi e vitamine riflette un apprez-zabile bilancio energetico nutrizionale e capacità antios-sidante. Interessante pure la notazione che la frazione attiva funzionale della pianta non contenga fattori anti-nutrizionali (tipo ossalati o ftalati) presenti a concentra-zioni praticamente inerti, assai inferiori ai livelli tossici di assunzione raccomandati.In campo erboristico, la droga dell’Artemisia annua è conosciuta per sue varie e interessanti funzioni: diure-tica, antispasmodica, sedativa, antielmintica, astringente e favorisce la digestione. In liquoristica, invece, viene uti-lizzata nella preparazione di amaro tonici.In agricoltura gli estratti da Artemisia annua si sono rive-lati efficaci quali fitofarmaci non selettivi, con meccani-smo di azione non ben stabilito; inoltre, la loro attività scompagina lo sviluppo e la crescita di insetti che, ad esempio, attaccano grani di cereali in stoccaggio.Sono note anche le formulazioni di preparati a fun-zione insetto-repellente a base completamente natu-rale, in particolare per combattere la fastidiosa presenza di zanzare, realizzati con olio essenziale di A. annua in associazione ad altri oli, come quelli di Eucalipto, Rose e Neem (42,43).

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Monografia • SCIENZA E TECNICA

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MELISSASauro Biffi

Direttore de Il Giardino delle Erbe di Casola Valsenio

DESCRIZIONE

La Melissa, nota con il nome di Cedronella o Erba Limona, è una pianta erbacea, perenne, alta da 40 cen-timetri a un metro, spontanea e più spesso coltivata. Le foglie sono picciolate, di colore verde chiaro con pochi peli nella pagina superiore, glauche nella pagine inferiore. Hanno odore gradevole di limone e sapore leggermente amaro, aromatico e piccante. I fiori sono raggruppati in glomeruli nella sommità della pianta, di color bianco-giallo all’inizio e leggermente screziati rosa in seguito. Di Melissa officinalis si riportano alcune sot-tospecie con caratteri meno gradevoli e anche varietà ibride. Le foglie contengono un’essenza, la cui azione

dapprima è debolmente eccitante e poi calmante. Il frutto è un achenio, il seme è piccolo e di colore scuro. Non possiamo non porre in evidenza l’importanza di questa pianta apparentemente modesta che, cono-sciuta fin dagli antichi tempi, ha fornito ottimi rimedi per l’uomo, quali la famosa “Acqua delle Carmelitane” e l’insuperabile “Spirito di Melissa”. I fiori della Melissa sono visitati moltissimo dalle api per la loro ricchezza di nettare e polline.

PROPRIETÀ E IMPIEGHI

Alla Melissa sono attribuite numerosissime proprietà: antispastiche, sedative, carminative, coleretiche,

DENOMINAZIONEMelissa officinalis L.

FAMIGLIALabiatae

Foto dei filari di Melissa a Casola Valsenio (Sauro Biffi)

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SCIENZA E TECNICA • Schede colturali

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eupeptiche, stomachiche, toniche, emmenagoghe, dia-foretiche, colagoghe, stimolanti, antiasmatiche, cica-trizzanti e antibatteriche. Essa trova impiego nell’in-dustria cosmetica, alimentare e liquoristica, in farma-ceutica e in erboristeria. I preparati a base di Melissa sono utilizzati per i disturbi gastrointestinali di origine nervosa, flatulenza, spasmi viscerali, nelle emicranie e nei disturbi del sonno. Inoltre, trova impiego nelle affe-zioni reumatiche, nelle nevralgie e serve per purificare e decongestionare la pelle irritata. Dalla pianta verde si ricava per distillazione, con rese estremamente basse, l’olio essenziale utilizzato per la preparazione di bibite e liquori. Nel passato la Melissa veniva somministrata sotto forma di alcoolato, che costituiva il rimedio popo-lare già ricordato come “Acqua delle Carmelitane”.

TECNICHE COLTURALI

terreno e ambienteÈ una pianta spontanea e facilmente coltivabile ovunque. Predilige terreni profondi, freschi, fertili, e con esposizione a mezz’ombra; cresce facilmente in vari

ambienti, fatta eccezione per i terreni eccessivamente siccitosi e quelli in cui si verifica il ristagno delle acque.

propagazioneLa Melissa si propaga per seme e per divisione del cespo. Le semine possono essere eseguite direttamente in campo oppure in semenzaio. La prima tecnica è poco adottata, in quanto la germinabilità del seme non è mai molto elevata, e la semina diretta in campo richiede quantitativi di seme molto elevati. In pieno campo la semina può essere eseguita in autunno oppure a marzo, inizio di aprile. Le giovani piantine nascono spesso sca-larmente; laddove fossero troppo fitte, occorre inter-venire con un diradamento. Più diffusa è la semina in semenzaio, che può essere eseguita in diversi periodi dell’anno. Per un metro quadro di semenzaio servono 2-2,5 g di semente, dal quale si ottengono dalle 500 alle 700 piantine circa. La semina può essere effettuata a giugno-luglio sotto un ombrario o in inverno in locali riscaldati. Il trapianto delle piantine potrà avvenire in autunno o in primavera inoltrata con pane di terra; durante tutto l’inverno fino agli inizi di aprile anche a radice nuda. La divisione di cespo si può eseguire su piante di 2-4 anni di età. Da ogni pianta madre si ottengono 20-40 nuove piantine; questa procedura si esegue quasi sempre alla fine dell’inverno fino agli inizi di aprile. Questa tecnica è consigliata solo per piccoli impianti, poiché troppo costosa.Il peso di 1000 semi è di 0,5-0,6 g. La semina diretta in campo richiede quantitativi di seme variabile in fun-zione della densità adottata: per bassi investimenti possono essere necessari circa 2-2,5 kg/ha di seme, per alte densità d’impianto possono essere necessarie anche 4,5-5 kg di seme. Prima di ogni semina diretta in campo è consigliabile eseguire una prova di germinabilità.

sesto d’impiantoNegli impianti di Melissa destinati alla produzione di foglia per uso erboristico e per la produzione del seme, le piantine sono poste a distanza di 60-75 cm fra le fila e lungo la fila a 20-25 cm circa. Sono state propo-ste anche forme di investimento maggiori, con piante distanziate fra le fila 40-50 cm, per la distillazione del prodotto. Le foglie più ricche di olio essenziale sono quelle basali, e questo tipo di investimento andrà a ridurre lo sviluppo delle stesse, ma il maggior numero di sfalci ne aumenterà la quantità.

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Schede colturali • SCIENZA E TECNICA

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fertilizzazioneDurante la lavorazione principale possono essere apportati 400 q/ha di letame maturo. L’azoto è impor-tante per stimolare la ripresa vegetativa e potrà essere distribuito in primavera e dopo ogni sfalcio. Sono con-sigliati apporti complessivi di 100-120 unità ad ettaro. L’apporto di fosforo e potassio è limitato al momento dell’ultima lavorazione del terreno, prima del trapianto o della semina, in quantità di 80-100 unità ad ettaro. Eventuali piccoli apporti di fosforo e potassio potreb-bero avvenire in primavera durante le lavorazioni.

cUre coltUraliLa semina diretta in campo può essere eseguita anche a macchina con seminatrici per semi minuti. Il

seme, cadendo ravvicinato e in abbondanza, originerà spesso una quantità eccessiva di piantine sulla fila che dovranno essere diradate. Le piantine eliminate col diradamento potrebbero servire per fare nuove par-celle. Necessari sono gli interventi per rinettare le infe-stanti, che dovranno essere eseguiti con maggior fre-quenza fino a quando le piante non avranno raggiunto uno sviluppo tale da chiudere le interfile. In condizioni climatiche normali si richiedono 3-4 inter-venti all’anno. Al momento della raccolta delle parti epigee le piante devono essere prive di erbacce, soprat-tutto se la Melissa viene raccolta meccanicamente. Dopo ogni sfalcio sono importanti l’esecuzione di una sarchiatura e di una irrigazione per stimolare il ricaccio. Le irrigazioni a pioggia sopra chioma sono consigliate

solamente dopo lo sfalcio e dopo il trapianto. Nei restanti stadi vegetativi è preferi-bile l’esecuzione di irrigazioni sottochioma. RACCOLTA E RESA

La raccolta si esegue facil-mente a macchina mediante l’impiego di falciatrici o fal-ciacaricatrici, preferibilmente con carico dall’alto. La Melissa dovrà essere raccolta ben asciutta. Al primo anno di vita dell’impianto si eseguono 1 o 2 sfalci al massimo, di cui il primo è molto scarso e ha il semplice scopo di facilitare l’accestimento delle piante. La coltura entra in piena pro-duzione al secondo anno di vita, e la durata media di un impianto è di 5-7 anni. Il taglio delle piante può essere eseguito raso terra, in quanto gli organi deputati al ricac-cio sono dislocati nella por-zione di pianta subito sotto il terreno. La raccolta per l’uso erboristico e per la distilla-zione avviene poco prima

Erboristeria Domani • 41472

SCIENZA E TECNICA • Schede colturali

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Il Giardino delle Erbe di Casola Valsenio, inserito nel circuito Museale della provincia di Ravenna, annovera circa 480 specie di piante officinali utilizzate in cucina, nella medicina e nella cosmesi fin dal basso medioevo, quando venivano lavorate nelle officine dei conventi.Il complesso costituisce un centro di conoscenza e valorizzazione riguardo alla coltivazione e all’uso delle piante officinali, grazie ad attività e finalità che spaziano dalla ricerca alla divulgazione e dalla sperimentazione alla didattica, coinvolgendo sia esperti sia visitatori di ogni età.Il Giardino produce, inoltre, piantine di officinali e aromatiche, sia in vasetto sia a radice nuda. I semi raccolti vengono messi a disposizione del pubblico. La disponibilità delle sementi e delle piantine può essere verificata volta per volta sul sito.La scheda che pubblichiamo è basata su anni di sperimentazione e pratica colturale realizzata presso il Giardino.Per contatti e maggiori informazioni: www.ilgiardinodelleerbe.it

della fioritura e possibilmente nelle ore del pomerig-gio; a maturazione completa e nelle ore del mattino per la produzione di seme.La produzione di massa verde, prodotta a partire dal secondo anno di coltivazione, può variare dai 160 ai 220 quintali per ettaro (q/ha) ottenuti dai due sfalci. Il calo verde secco è di 4 a 1, rimanendo in totale 30-40 quin-tale di prodotto secco. Il rapporto massa secca e foglia monda è di 3/1, per un totale di circa 10-12 q/ha. Il pro-dotto fresco che si ricava da una coltura a prato fatta su terreni rispondenti alla pianta può arrivare fin dal primo raccolto a 80 q/ha, per raggiungere i 200 e oltre q/ha negli anni successivi. La produzione media di seme è di 5 q/ha, con punte di 6,5 q/ha nei terreni particolar-mente fertili. La produzione di seme va aumentando dal primo al terzo anno per stabilizzarsi nei successivi 2-3 anni. La resa in olio essenziale può variare in fun-zione di vari fattori; in particolare, la percentuale di essenza nella Melissa aumenta con l’altitudine. Una resa indicativa può essere dello 0,01-0,03% per foglie e sommità fiorite. La distillazione in corrente di vapore va eseguita con attenzione per via della bassa resa. Il secondo sfalcio, eseguito in agosto, dimostra di con-tenere una maggiore quantità di essenza rispetto al primo sfalcio fatto nel mese di giugno.

AVVERSITÀ

Fra i patogeni si ricorda Erysiphe spp., agente del mal bianco della menta, e la Septoria melissae Desm., che si manifesta con un ingiallimento delle foglie che dall’a-pice si estende fino alla base del lembo. Le foglie in breve tempo disseccano e cadono. Quando l’attacco è forte le piante vanno incontro ad un limitato accresci-mento. La Puccinia menthae Pers., agente della ruggine della menta, compare già in primavera, ma l’attacco maggiore con distruzione delle foglie avviene in estate. Il microrganismo sverna come micelio o come teleu-tospora nelle vecchie piante. La Phleospora melissae Desm. Paris compare alla fine dell’estate arrecando danni alle sommità fiorite; i sintomi sono macchie fogliari piccole, numerose, prima gialle e poi brune sulla pagina superiore. Le foglie colpite prima si decolorano, poi si accartocciano, e quindi si seccano cadendo a terra. Tra gli insetti sono da ricordare alcuni coleotteri, tra i quali il Cryptocephalus ocellatus Drap. e il Cassida viridis L. che causano danni, sia gli insetti adulti sia le larve, alle foglie per erosione della pagina inferiore e successiva formazione di fori, e Oeacanthus pellucens Scop., ortottero che provoca anch’esso erosioni sulle foglie e sui fusti più teneri in seguito all’ovodeposizione.

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Schede colturali • SCIENZA E TECNICA

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ETNOBOTANICA, UNA SCIENZA DALLE MOLTE ANIME

di Giorgio Samorinietnobotanico - [email protected]

CULTURA • Antropologia

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L’anno successivo, il botanico francese Alphonse Rochebrune (3) usò l'espressione “etnografia botanica” per delineare lo studio delle piante ritrovate in asso-ciazione ad antiche mummie peruviane, dando quindi origine al filone di studi che oggi rientrano nelle catego-rie di “archeobotanica” e “paleobotanica”.

È solo sul finire del XIX secolo che fu coniato il termine “etnobotanica”, oggi maggiormente accettato e impiegato per designare questa disciplina; un voca-bolo usato per la prima volta nel 1896 dal botanico sta-tunitense John W. Harshberger. Egli assegnò a questo campo d’indagine il compito di delucidare la posizione culturale delle tribù che hanno usato le piante come cibo, riparo o vestiti, e comprese come questo tipo di studi sarebbe stato utile per gettare luce sulla distribu-zione antica delle piante, sulle antiche rotte attraverso le quali le piante si sono diffuse per opera dell’uomo, e per suggerire impieghi utili e nuovi per la cultura occiden-

tale, quali le tecnologie di mani-fattura basate sull’uso delle piante. Per quest’ultima opportunità offrì il caso dello studio delle tecnologie tradizionali delle fibre tessili. Inoltre, suggerì che i musei si dotassero di sezioni riguardanti l’etnobotanica con collezioni di semi, e di un giar-dino etnobotanico dove poter colti-vare e studiare le piante impiegate tradizionalmente (4).

Mezzo secolo più tardi, Jones (5) ridefinì il concetto di etnobota-nica dato da Harshberger come: “lo studio delle interazioni dell’uomo pri-mitivo e le piante”.

Durante il XIX secolo, una nuova disciplina iniziò a insinuarsi fra la botanica e l’etnografia; una branca della ricerca che si occupava di racco-

gliere e studiare le conoscenze delle popolazioni tribali in materia di piante. I primi tentativi di definizione di questa disciplina si videro già agli inizi del XIX secolo, in pieno sviluppo delle discipline botaniche ed etnografi-che su tutto il globo.

Nel 1819 il botanico svizzero Augustin de Candolle usò il termine “botanica applicata” per indicare lo studio dell’uso umano delle piante, un termine che ebbe un suo successo sino a essere impiegato attualmente per indi-care lo studio di certi aspetti dell’etnobotanica (1).

Nel 1875 Stephen Powers definì “botanica aborigena” il campo di indagine degli impieghi nativi delle piante, facendo notare come in questo contesto il termine “bota-nica” fosse poveramente comprensivo, che utilizzò in mancanza di un concetto migliore. Sotto questo termine egli includeva tutte le forme del mondo vegetale che gli aborigeni usavano come medicina, cibo, per fabbricare tessili, ornamenti, ecc. I suoi studi si focalizzarono sulla conoscenza del mondo vege-tale di alcuni gruppi nativi della California, osservando quanto queste conoscenze fossero pro-fonde, al punto che Stephen Powers affermò senza esita-zione: “un indiano di intelli-genza media, anche se non è un medicine-man, conosce un catalogo di nomi di piante maggiore di quello noto al 90% degli Americani occiden-tali” (2).

Le diverse linee di ricerca e i differenti campi di interesse nello studio delle relazioni e delle interazioni tra l’uomo e

il mondo vegetale possono in generale essere racchiusi nel termine etnobotanica, ma rispondono a criteri diversi e si

pongono obbiettivi molto eterogenei tra loro. Un approfondimento storico e metodologico di queste differenti aree e delle

relative competenze può essere un aiuto prezioso per valutare l’importanza, passata e futura, di questo patrimonio di

conoscenze. Con l’avvertenza di non confondere la disciplina stessa con l’oggetto dei suoi studi.

John William Harshberger ( c Geoff)

Antropologia • CULTURA

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Da questo breve prospetto storico si evince come i concetti originari dell’etnobotanica fossero indirizzati verso le conoscenze dei popoli “altri”, al punto che, per molti decenni, per etnobotanica si intense esclusivamente la raccolta e l’elenco di ciò che riportavano le popolazioni native sulle piante e sui loro impieghi.

Già dai primordi della sua storia, l’etnobotanica è stata soggetta a un forte spettro interpretativo e defi-nitorio circa i suoi compiti e ruoli; che cosa sia l’etnobo-tanica e di cosa si occupi varia ancora oggi a seconda degli interessi specifici dell’etnobotanico che la definisce.

Per Lipp (6) l’etnobotanica è lo studio delle relazioni interattive fra le società non industriali e il loro ambiente floristico, e si occupa principalmente dell’impiego delle piante da parte delle culture non occidentali e dei seguenti temi: tassonomia folclorica, rimanenze vegetali archeologiche, origine delle piante addomesticate e col-tivate, effetti ecologici dell’attività umana sulle comunità vegetali, e il ruolo simbolico delle piante nella religione, folclore e nei monumenti delle prime civiltà.

Per Toledo (7) l’etnobotanica si suddivide in “bota-nica economica”, quando praticata dai botanici, e in “etnoscienza”, quando praticata da etnologi e linguisti. Nel primo caso si tratta di una disciplina orientata verso l’esplorazione di nuove fonti vegetali di interesse indu-striale (alimentare, tessile, farmaceutico, ecc.), mentre nel secondo caso diventa uno strumento per comprendere il ruolo delle piante nella cultura materiale.

Anche Wickens (8) parla di ”botanica economica” definendola come: “lo studio delle piante, funghi, alghe e batteri che, direttamente o indirettamente, positiva-mente o in maniera avversa, influiscono l’uomo, il suo bestiame e il mantenimento dell’ambiente. Gli effetti possono essere domestici, commerciali, ambientali, o puramente estetici”. Il termine ”economico” è qui inteso in senso utilitaristico piuttosto che meramente econo-mico, e nell’etnobotanica confluirebbero quindi tutti gli studi che riguardano le mutue relazioni fra le popolazioni tradizionali e l’uso passato e presente delle piante indi-gene e dei cultivar primitivi, questi ultimi non necessaria-mente indigeni. Come conseguenza di questo approccio economista, Wickens giunge a considerare l’etnobotanica come una sezione interna alla botanica economica (9).

Per Jacques Barrau l’etnobotanica è un campo appar-tenente all’etnologia e non alla botanica, mentre Hurrell ne da la seguente definizione: “L’etnobotanica è una disciplina che spesso si sovrappone agli scopi di altre

discipline, ma presentante l’analisi dell’associazione, inte-razione, relazione e contatto fra la gente e le piante come fattore comune, indipendentemente dal senso indirizzato nello studio di questa relazione” (10).

Anche le origini dell’etnobotanica vengono indivi-duate in differenti ambiti storico-culturali a seconda degli interessi specifici degli studiosi che le definiscono.

Lipp (11) considera il primo studio etnobotanico il testo cinese del III secolo d.C., scritto da Hi-Han e intito-lato The condition of the flora of the Southern Region, dove viene riportata l’introduzione e l’impiego cinese di numerose piante dall’Asia sud-orientale. Davis (12) considera come primo etnobotanico il medico greco Dioscoride, che operò nella Roma imperiale del I secolo d.C. Il suo De materia medica fu la base pratica e teorica della fitoterapia per i 13 secoli successivi. Schultes e Reis (13) considerano Aristotele come il padre dell’etnobota-nica occidentale. Stranamente, nessuno di questi etno-botanici ha considerato l’opera di Teofrasto, lo scrittore greco che visse a cavallo fra il IV e il III secolo a.C e autore di un doppio trattato sulle piante (Storia delle piante e Cause delle piante), che sono da considerarsi rispettiva-mente il primo saggio di botanica e di etnobotanica della cultura occidentale.

Frontespizio della traduzione latina di Teodoro di Gaza dell’opera di Teofrasto Historia planatarum, manoscritto di Budapest

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Ma se l’etnobotanica ha inizio là dove comincia l’e-lenco e lo studio delle piante da parte delle antiche popo-lazioni, dovremmo allora indietreggiare maggiormente nel tempo raggiungendo le culture mesopotamiche e gli antichi Egizi. Tuttavia, in questo viaggio nel tempo alla ricerca delle origini dell’etnobotanica, si corre il rischio di confondere la ricerca con il soggetto della ricerca, dato che: “la conoscenza circa le relazioni fra la gente e le piante nel passato è confusa con la nostra attuale defini-zione di una disciplina scientifica. In termini di linguaggio naturale o colloquiale, potremmo dire che l’etnobotanica è esistita da quando gli uomini e le piante entrarono in contatto; tuttavia, nel linguaggio scientifico non lo pos-siamo dire. È dunque un errore confondere la disciplina con il suo oggetto di studio“ (14).

Alcuni autori usano l’espressione “conoscenza etno-botanica” per denotare il corpo di conoscenza delle società tradizionali o indigene, altri usano “conoscenza botanica tradizionale o locale”, oppure “etno-botanica” con la lineetta.

Nell’etnobotanica appaiono quindi due approcci, due “anime”, riguardanti rispettivamente le “loro” e le “nostre” conoscenze; punti di vista differenti che non sono conflittuali e che convivono nella medesima disci-plina scientifica.

Attualmente, la maggior parte del lavoro etnobota-nico si sviluppa su tre principali direttive: studi descrittivi, di causalità e diagnostici.

Gli studi descrittivi si occupano di definire un set di piante utili di una data comunità umana, internamente a un ampio spettro di categorie utilitarie o all’interno di un certo dominio culturale.

Gli studi di causalità cercano di individuare i fattori che potrebbero spiegare l’uso e la conoscenza delle piante.

Gli studi diagnostici cercano di verificare l’efficacia e la validità delle tecniche e dei metodi; ad esempio, si preoccupano di verificare se un campione intenzionale di informatori sulle piante medicinali è più efficiente di un campione probabilistico della popolazione soggetta di studio (15).

ETNOBOTANICA ECOLOGICA

Le piante non sono esseri viventi immutabili, poiché sono soggetti a continui cambiamenti in risposta alle variazioni dell’ambiente circostante e alle loro intera-zioni con gli umani. Anche le piante hanno quindi dei

“comportamenti”. Ed è proprio per questo motivo che dall’iniziale studio della relazione dell’uomo con le piante, l’etnobotanica, a un certo punto, iniziò ad occuparsi dell’interazione fra queste due categorie di esseri viventi, con profondi risvolti ecologici, al punto che c’è chi vede l’uso umano delle piante come una risposta comporta-mentale alle piante (16), e chi considera l’etnobotanica un sottocampo dell’etnoecologia (17).

Senza dover prendere questa posizione forse un poco estrema, l’etnobotanica ha effettivamente incluso fra i suoi interessi l’ecologia e l’etnoecologia, con aspetti quali le interazioni piante-animali, la coevoluzione, i meccani-smi di difesa, le dinamiche forestali, la dendro-demogra-fia, ecc. (18); si potrebbe dunque parlare di “un'etnobo-tanica ecologica” che riunisca tutti questi nuovi indirizzi d’indagine.

Secondo Davis (19), l’etnobotanica deve registrare non solamente liste di piante usate ma una visione stessa della vita. Deve cioè: “capire non tanto come uno spe-cifico gruppo etnico usa le piante, ma come questo gruppo le percepisce, come interpreta queste percezioni, come queste ultime influenzano le attività dei membri di quella società umana, e come queste attività a loro volta influenzano la vegetazione e l’ecosistema sulle quali la società dipende“.

Vi sono casi dove il termine etnobotanica viene asso-ciato nei contesti di sviluppo dei moderni nativi, ad esempio internamente a programmi di preservazione ecologica di certi habitat. Pari e colleghi (20) hanno coniato il concetto di “mitigazione etnobotanica” per un progetto che comprende la protezione e il trapianto di fonti vegetali di valore per i nativi americani, il quale è diventato un componente maggioritario dei programmi federali di gestione e impatto ambientale.

L’etnobotanica è molto sfaccettata, e si presentano casi di definizioni a volte forse un poco personalisti-che. Parrebbe esserne un esempio la “fitoantropolo-gia“ definita da due studiosi indiani (21), secondo i quali questa disciplina si dovrebbe occupare delle differenze d’impiego delle medesime piante da parte di differenti gruppi sociali o etnici, e delle ragioni di queste differenze. L’etnobotanica e la fitoantropologia sarebbero inter-re-lazionate e a volte si sovrapporrebbero, senza tuttavia essere discipline identiche. La comprensione dei motivi, ad esempio, per cui in India il Ficus religiosa L. venga con-siderato un albero sacro da parte dei Buddisti, al punto che questi si rifiutano di tagliarlo in alcun modo, mentre

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alcune etnie indiane impiegano le foglie come abortivo, dovrebbe essere di competenza della fitoantropologia.

Schultes e Reis (22) hanno chiamato “socioetnobota-nica” la preoccupazione di fornire una qualche forma di ricompensa da parte delle compagnie commerciali occi-dentali nei confronti delle popolazioni etniche, ogni qual volta queste compagnie comincino a fare mercato di un prodotto scoperto originalmente dalle etnie tradizionali.

Toledo (23) ha elaborato il concetto di “etnobota-nica politica”; una nuova frontiera dell’etnobotanica che dovrebbe sostituire la tradizione accademica e indurre una nuova metodologia di ricerca volta ad aiutare e pro-teggere le popolazioni native dall’invadenza e dai disfat-tismi della cultura occidentale.

Resta indubbia l’importanza della ricerca etnobota-nica nelle strategie globali per la conservazione della biodiversità, tenendo in considerazione che le popola-zioni tradizionali hanno una conoscenza di gran lunga maggiore delle nostre conoscenze scientifiche, soprat-tutto in temi ecologici, al punto da esser sorta una spe-cifica disciplina che le studia, l’etnoecologia. Anche per quanto riguarda le tassonomie aborigene, pur non coin-cidendo con quella linneana, esse risultano ugualmente complesse e basate fermamente sulla biologia (24). “L’etnobotanica non riguarda meramente la produzione di liste di piante e dei loro impieghi, ma, in una maniera più visionaria e affascinante, riguarda la comprensione profonda di come lavorano i microsistemi socio-ecolo-gici; l’esplorazione di come, nei secoli, la complessa inte-razione fra i biota e le società umane ha promosso la cre-azione di territori, costumi alimentari, strategie emiche di comportamenti ricercanti la salubrità, le relazioni sociali, e anche concetti di bellezza; in altre parole, la diversità della vita in tutte le sue forme“ (25).

L’etnobotanica è perfino rientrata recentemente nella gestione aborigena dei campi coltivati. Fra le etnie amaz-zoniche è stata osservata una consapevole gestione dei campi abbandonati, a differenza di quanto considerato dagli “esperti” occidentali delle colture. Ad esempio, i Kayapó del Brasile visitano frequentemente i campi abbandonati per reperirvi fonti vegetali di primaria impor-tanza come alimento e come medicine, oltre che come ricettacoli di animali che vengono quindi cacciati come fonte alimentare. Nella lunga fase di riforestazione dei vecchi campi abbandonati, si creano catene ecologiche piante-animali utili come fonte di sussistenza, alla pari se non maggiori dei nuovi campi che vengono coltivati

per qualche anno. I Kayapó non fanno una distinzione netta fra selvatico e domestico, bensì hanno un sistema generale di classificazione delle risorse ecologiche che formano un continuo fra quelle selvatiche e quelle dome-stiche. Il 94% delle 368 piante raccolte dai Kayapó nei vecchi campi coltivati abbandonati è da loro usato come medicina (26).

Un esempio delle maggiori conoscenze tradizionali rispetto a quelle agronomiche occidentali riguarda la coltivazione del Guaraná (Paullinia cupana var. sorbi-lis Ducke, famiglia delle Sapindaceae). I nativi avevano da lungo tempo acquisito conoscenza del fatto che le giovani foglie di questa pianta producono essudati zuc-cherini che vengono visitate dalle formiche, le quali in tal modo contribuiscono a proteggere la pianta da altri insetti nocivi per il suo sviluppo, e che le piante crescono meglio e offrono quindi un maggior rendimento di semi, che sono la fonte commerciale caffeinica, in presenza di queste formiche. Gli agronomi occidentali impiegano invece dei pesticidi per proteggere le piante di Guaraná da tutti i tipi di insetti, e in tal modo il rendimento risulta ridotto (27).

L’etnobotanica non poteva non incontrarsi anche con le teorie evolutive, dato che l’applicazione di molti aspetti della teoria evolutiva ai problemi etnobotanici può gran-demente rafforzare molte aree della ricerca. “Gli etno-botanici hanno molto da apprendere, non solo in termini di consapevolezza nell’evoluzione biologica, ma anche in termini di evoluzione culturale, nella medesima maniera di altre discipline interfacciate, quali l’ecologia culturale e l’antropologia ecologica” (28).

Ficus religiosa del Monastero di Jetavana, Sravasti, Uttar Pradesh, India uno dei tre esemplari più sacri per il Buddismo

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Con un così articolato impiego del termine etnobo-tanica, e con un grado di interdisciplinarità ormai così ampio, è difficile definire confini settoriali sia interna-mente all’etnobotanica sia nelle sue relazioni con le altre discipline.

SISTEMATICA DELL’ETNOBOTANICA

Presento ora una classificazione dei sottoargomenti di cui si occupa l’etnobotanica “classica”, cioè quella che si interessa della relazione dell’uomo con le piante, senza la pretesa di sviluppare un affine approccio sistematico per l’etnobotanica ecologica. Questa classificazione non vuole essere esaustiva, riunendo tutte le tipologie di rela-zioni causali dell’uomo con le piante, ma intende indivi-duare solo una parte di queste tipologie, possibilmente le principali.

Altri autori si sono cimentati in siffatte classificazioni di natura funzionalistica, e vi è certamente da fare ancora molto lavoro di concordanza e di autenticità delle griglie di sottocampi.

Ad esempio, per Nurez (29) l’etnobotanica si suddivide nelle seguenti principali sub-aree: etnobotanica generale (concetto e metodologia, etnotassonomia, psicoetnobo-tanica, socioetnobotanica, piante e folclore), archeobota-nica e paleobotanica, agroetnobotanica, gastroetnobota-nica, tecnoetnobotanica, farmacoetnobotanica, etnotos-sicologia delle piante, vegetali stimolanti e allucinogeni, piante aromatiche e profumeria, giardinaggio, piante e gestione ambientale, piante e pubblica educazione.

Personalmente riconosco le seguenti aree di ricerca:- archeoetnobotanica;- etnobotanica alimentare e agronomica;- etnobotanica medicinale;- etnobotanica tossicologica;- etnobotanica religiosa, mitologica e folclorica;- etnobotanica psicoattiva;- etnobotanica utilitaristica e manifatturiera;- etnobotanica etologica e veterinaria.

Le sub-aree di ricerca non sono compartimenti stagni, e in più casi condividono luoghi e tematiche comuni sia di altri sottocampi dell’etnobotanica sia di altre discipline. È del resto evidente come lo studio etnobotanico, in diversi casi, non possa fare a meno di inoltrarsi in campi di inda-gine comuni ad altre discipline, quali l’etnografia, l’etimo-logia, la dialettologia, e non vi è necessità di accaparrarsi presunti primati, o precedenze d’impiego, dei rispettivi insiemi di dati con lo scopo di subordinare una disciplina alle competenze di un’altra.

archeo- e paleobotanicaSi interessa dello studio delle antiche relazioni

dell’uomo con le piante, utilizzando i dati archeologici e le sempre più sofisticate tecnologie analitiche.

Quando si incontrano dei resti vegetali in un sito archeologico, un primissimo problema risiede nel com-prendere se si tratti di una presenza casuale (ambientale) o di una presenza causale (antropica), cioè dovuta alla sua interazione con l’uomo.

Brocca con raffigurazione di graminacea da Tera-Santorini, 1500 a.C.

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Anche in questo campo d’indagine vi è una certa variabilità di definizioni. Day (30) denomina reperti “pale-obotanici“ quelli ambientali e “archeobotanici“ quelli antropici, partendo dal presupposto che l’archeologia si occupa di tutto ciò che è stato in relazione con l’uomo e con gli ambienti antropici. Altri considerano sinonimi i termini “archeobotanica“ e “paleoetnobotanica“, asso-ciandoli entrambi all’attività umana, mentre alcuni stu-diosi li considerano distinti, indicandovi rispettivamente i reperti ambientali e quelli antropici. Altri ancora impie-gano il termine archeoetnobotanica esclusivamente per indicare l’attività agricola dell’uomo antico (31).

Personalmente preferisco seguire la distinzione adot-tata da quegli studiosi (32) che distinguono i reperti “archeobotanici“ da quelli “archeoetnobotanici“, dando quindi enfasi alla particella “etno” per denotare la rela-zione causale con le attività antropiche. I primi riguar-dano quei vegetali che facevano parte dell’ambiente naturale, come nel caso di pezzi di tronco d’albero o di semi di piante selvatiche, la cui presenza nei contesti antropici sottoposti a scavo archeologico è accidentale; un caso affine riguarda la presenza di pollini o di fram-menti vegetali nei carotaggi (prelievi di campioni) dei suoli vergini, cioè non inquinati dalla presenza umana, con lo scopo di studiare la flora e i cambiamenti clima-tici del passato. I reperti archeoetnobotanici sono quelli che invece riaffiorano dagli scavi e la cui presenza è stata causata dall’uomo in maniera intenzionale e non accidentale; appartengono a questo gruppo le granaglie di piante coltivate dall’uomo ritro-vate nei magazzini delle antiche abitazioni, i fiori delle ghirlande della mummia di Tutankhamon e i tronchi d’albero dei villaggi palafitticoli neolitici dei laghi alpini (33).

etnobotanica alimentareL’etnobotanica alimentare si

occupa dei metodi di raccolta delle piante eduli e delle cre-denze ad esse associate, delle tecnologie usate per la loro conservazione e preparazione, la nomenclatura popolare, ecc. Questo settore della ricerca

entra in sinergia con varie aree della ricerca ecologica. Infatti, più di tutte le altre, le piante alimentari si adattano e si modificano; in altri termini, “rispondono“ all’am-biente antropico che le promuove.

Trattandosi di una funzione biologica primaria, cibarsi di fonti alimentare di natura vegetale è un comporta-mento diffuso in tutte le popolazioni di ogni tempo, a partire dagli ominidi, e come tutti i comportamenti umani, anche questo viene mediato nell'uomo dalla cultura: cultura nel non avvelenarsi, cultura nelle tecni-che di preparazione del cibo, cultura della condivisione sociale, ecc.

Una recente scoperta avvenuta in una grotta della Cordigliera Cantabrica, in Spagna, riguarda il ritrova-mento dell’inumazione di una donna, chiamata affet-tuosamente dagli studiosi la “Signora Rossa”, vissuta nel periodo paleolitico Magdaleniano, circa 18.700 anni fa. Dall’analisi dei suoi calcoli dentali si è potuto determi-nare un tipo di dieta alimentare costituita da un misto di fonti vegetali e animali, un dato che corrobora l’ipo-tesi, già sospettata da tempo, di una stretta relazione con il mondo vegetale dell’uomo dell’Età della Pietra, a discapito della stereotipata visione dell’esclusività car-nivora della sua dieta, dettata per troppo tempo da una certa archeologia “ortodossa”. Sorpresa nella sor-presa, fra i frammenti vegetali individuati nei calcoli dentali erano presenti tessuti di una specie di fungo, forse un boleto (34). Ciò evidenzia come l’uomo pale-

olitico avesse già fatto rientrare nella sfera delle sue osserva-zioni e conoscenze il mondo dei funghi, riuscendo a distin-guere quelli velenosi da quelli eduli. Su questo reperto della “Signora Rossa” si incontrano e si confondono i due sottocampi dell’etnobotanica alimentare e dell’archeoetnobotanica.

etnobotanica medicinaleL’etnobotanica medicinale si

occupa dell’impiego tradizionale delle piante per scopi di cura; una pratica diffusa presso le popolazioni di tutti i continenti.

Radice di yucca

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Quest’area d’indagine non va confusa con la fitotera-pia e la medicina tradizionale. Queste ultime studiano le proprietà medicinali delle piante, usate sia tradizional-mente che non, e fra i loro compiti vi sono la raccolta sul campo dei dati circa l’impiego delle piante, e la veri-fica in laboratorio delle supposte proprietà medicinali riportate tradizionalmente. Le conoscenze popolari che ruotano attorno a una determinata pianta medicinale, i tempi e i metodi di raccolta, le ricette casalinghe usate dal volgo senza coinvolgimento di un medico, i nomi e le relative etimologie associate alla pianta, i meccanismi di trasmissione di queste conoscenze, ecc., sono i soggetti di studio dell’etnobotanica medicinale.

Il concetto di cosa sia una medicina può variare note-volmente da cultura a cultura, una diversità che estende e dissolve in più punti i confini d’indagine fra medicina, magia, folclore e religione. Lo studio dell’impiego tradi-zionale di una pianta per scopi medicinali richiede un’ap-profondita conoscenza del medesimo concetto di malat-tia e delle sue classificazioni a opera di chi impiega quella pianta.

etnobotanica tossicologicaLe piante possono essere tanto belle quanto perico-

lose e velenose; un dato ancestrale acquisito nei periodi ominidi e preominidi. Lo studio delle deduzioni, dei pas-saggi di conoscenza, dei comportamenti, di tutto ciò che ruota attorno al “prestare attenzione” e al non diventare vittima di avvelenamenti dalla flora circostante, fa parte dell’etnobotanica tossicologica. Rientra nelle sue compe-tenze anche lo studio dei veleni e degli avvelenamenti; una ricerca che spesso comparte con gli studi tossicolo-gici e forensi. Famosa è stata la scoperta occidentale del curaro, un veleno per frecce impiegato in Amazzonia e ricavato principalmente da specie di Strychnos; una scoperta che indusse nuove e importanti acquisizioni di conoscenze per la farmacologia e la tossicologia, e nel cui studio etnografico, che si è occupato di studiare la maniera nativa di approccio a questo fenomenale veleno naturale, l’etnobotanica ha avuto un ruolo preponde-rante. Nella storia di questi studi, a più riprese hanno dato validi contributi équipe di ricerca italiani, in partico-lare quella guidata da Ettore Biocca, che giunse a orga-nizzare una spedizione italiana patrocinata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, mediante la quale studiosi di diverse discipline poterono entrare in contatto con varie etnie del Rio Negro e dell’Orinoco, fra cui Tukano

e Yanomami, con tanto di raccolta sul campo di un con-siderevole insieme di dati e materiale etnografici, inclusi quelli relativi al curaro (35).

etnobotanica religiosaIn ogni sistema di credenze religiose, le piante sono

emanazioni divine, portatrici di gioia e di conquiste cul-turali. Vi sono piante, alberi, fiori, che sono stati oggetti di venerazione, di pellegrinaggio, di fermento religioso, di simbolismi e di immedesimazioni spirituali. Un siffatto ruolo sacrale è ascrivibile all’albero del Pipal, Ficus reli-giosa, sacro agli Induisti e ai Buddisti. Per gli Induisti, infatti, le varie parti dell’albero rappresentano la tri-murti divina induista: le radici sono Brahama, il tronco è Shiva, e i rami sono Vishnu. In tutta l’India si è svilup-pato attorno a questo albero un articolato insieme di cre-denze e di comportamenti, quali il fatto che i suoi rami tengano lontani i nemici, e che la sua vicinanza porti figli maschi. Un’altra grande pianta religiosa asiatica è il loto (Nelumbo nucifera), fiore nazionale dell’India, conside-rato sacro dagli Indù, dai Giainisti e dai Buddisti. Fu creato nel momento cosmogonico noto come “Frullamento dell’Oceano” e rappresenta l’universo; quasi tutte le divi-nità maschili e femminili induiste sono ritratte sedute o in piedi su un fiore di loto, molte tengono in mano dei fiori di loto, e l’immagine più nota è quella del Buddha

Strychnos nux-vomica

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seduto su un fiore dischiuso di loto. Gli studi etnobota-nici hanno evidenziato come, sebbene d’origine tipica-mente indiana, la sacralità del loto non sia indoeuropea ma pre-ariana, probabilmente autoctona, affondante le sue radici nel neolitico indiano (36).

etnobotanica mitologica e folcloricaL’etnobotanica mitologica studia la presenza delle

piante nella letteratura orale e in quella scritta.Presso numerose etnie il cosmo è sostenuto da un

gigantesco albero (l’albero cosmico) e da piante dalle pro-prietà magiche, portentose, “totemiche”, ecc., che sono presenti nelle cosmogonie e nelle antropognonie, ovvero nei miti di cre-azione di tutte le popolazioni. Piante più specifiche, e piante che risultano importanti per motivi alimentari, medicinali, o visionari, sono general-mente dotate di un racconto mito-logico che tratta della loro origine o dell’origine della loro relazione con l’uomo; un racconto che, attraverso il rito, rifonda continuamente le origini culturali del gruppo etnico (37).

L’etnobotanica folclorica studia la presenza delle piante nei riti e nei costumi tradizionali, nei proverbi, nelle filastrocche e nei detti popo-lari. Ad Avola, nella Sicilia meridio-nale, fino a non molto tempo fa, e forse tutt’ora in maniera residuale, veniva praticato un gioco divinato-rio con gli steli secchi della zizzania

(Lolium temulentum L.): percorrendo le spighe del loglio dalla base all’apice, e dicendo “M’ama?”, “Num m’ama?”, le giovinette innamorate riuscivano a capire se i loro amanti dicevano il vero o il falso. Questo gioco veniva eseguito anche dalle donne anziane per vedere cosa sarebbe accaduto loro nell’aldilà, e nel percorrere la spiga pronunciavano queste parole: “Nfernu?”,“Purgatoriu?”, “Paradisu?” (38). È compe-tenza dell’etnobotanica folclorica comprendere i motivi che hanno fatto scegliere per questo gioco lo stelo della zizzania e non quello di un qualsiasi altro stelo di grami-nacea selvatica; se si tratti di casualità, di motivi pratici,

o se non ci sia qualche relazione con la sfera simbolica, semantica e psi-co-farmacologica che ruota attorno a questa pianta. Potremmo forse essere in presenza di una forma resi-duale, di un “fossile etnografico” o di una qualche antica pratica divi-natoria dove veniva impiegata come fonte d’ispirazione l’inebriante zizza-nia? - una questione che in tal caso sarebbe più propriamente di perti-nenza dell'etnobotanica oracolare (39).

È di competenza dell’etnobota-nica folclorica anche lo studio dell’im-piego ludico delle piante (etnobota-nica ludica), quali possono essere i numerosi giochi che i bambini fanno con gli steli, i petali o altre parti delle

Fiori di loto, pesci e uccelli in un miniatura coreana del XIX secolo

Lolium tumulentum

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piante, per produrre dei suoni o per giochi individuali o collettivi.

In provincia di Viterbo, i bambini più piccoli prende-vano fra le mani un fusticino di Cynodon, quella grami-nacea che ha come spiga una rosa di sottili spighette, (mediamente cinque) dispiegate a mo’ di dita della mano, e chiamavano “manine” ed “eliche” rispettivamente il fusticino e le cinque infiorescenze filiformi. Essi face-vano ruotare il fusticino e in tal modo le “cinque dita” della manina giravano insieme al fusticino, e i bambini vi vedevano un’elica, chiamandolo elicottero. Un gioco per ragazzi un po’ più grandi, sempre nel viterbese, riguar-dava il suonare la parte apicale di una canna per tirarne fuori un bel fischio; si prendeva ”il tratto con le foglie ancora chiuse in punta. Stropicciandolo alla base e roto-landolo tra le mani, le foglie si allentavano e soffiandovi dentro ne usciva un bel fischio. Fra ragazzi, poi, se lo pas-savano, divertendosi magari a produrre suoni differenti da bocca a bocca” (40).

etnobotanica psicoattivaUn gruppo di piante interagisce con l’uomo in una

maniera così particolare da dover includere il suo studio in un sottocampo specifico: l’etnobotanica delle piante psicoattive o etnobotanica psicoattiva. Si tratta di piante che inducono effetti di stimolazione psicofisica, quali la coca o le numerose piante caffeiniche; effetti sedativi e narcotici, quali il papavero da oppio e le fonti alcoliche; o effetti visionari, quali le piante allucinogene. Si tratta di piante che agiscono nelle sfere umane delle emo-zioni, delle percezioni, delle rivelazioni e analisi dedut-tive, e perfino della spiritualità e delle interpretazioni della realtà. Si tratta di effetti tanto immateriali quanto fon-danti la cultura umana.

L’uomo assume fonti inebrianti per i più svariati motivi, e i loro effetti hanno spesso inciso sulle azioni umane più folli o criminali, ma anche quelle più salvifi-che, sublimi o comunque costruttive. Mantenendo l’os-servazione su tutte le culture umane del globo, sia attuali sia del passato, ho sinora individuato le seguenti finalità d’uso: spirituale-religioso, sciamanico-terapeutico, esor-cistico, divinatorio-oracolare, terogeno (per fini bellici), iniziatico-pedagogico, come correttivo del carattere, per il controllo psicologico, criminale, come viatico e tana-togeno, sacrificatorio, giudiziario, come socializzante e regolatore della socializzazione, ludico, e infine per scopi sessuali. A queste vanno poi aggiunte le finalità prefe-renziali delle società moderne industriali e post-indu-striali: produttivo-prestazionale, cognitivo-psiconautico, tolstojano (per fuggire la realtà e sé stessi).

etnobotanica Utilitaristica e manifattUriera L’impiego utilitaristico di un vegetale riguarda la sua

semplice raccolta e il suo uso diretto senza alcuna ela-borazione del prodotto, se non al massimo la sua natu-rale essiccazione o manipolazione per dargli una deter-minata forma.

È il caso della raccolta delle parti legnose di un albero per farne della legna da ardere o della raccolta, essic-cazione e riduzione in piccoli pezzi di funghi a mensola con lo scopo di impiegarli come esca nell’accensione del fuoco. Per accendere il fuoco, gli uomini dell’Età della Pietra e gli ominidi che li hanno preceduti hanno utiliz-zato diversi tipi di esca, ovvero di materiali facilmente infiammabili adatti a ricevere le scintille prodotte dallo sfregamento di due pietre focaie, producendo quindi la prima fiamma. Una delle esche più diffuse in Eurasia era costituita da pezzi secchi di funghi della famiglia delle Polyporaceae, quali il Fomes fomentarius. Un caso famoso a noi vicino è quello del cosiddetto “Uomo di Similaum” (Ötzi), il cui corpo mummificato fu ritrovato nel 1991 fra i ghiacciai delle Alpi Venoste. Datato al periodo Calcolitico (attorno al 3200 a.C.), quest’uomo preistorico, sperdutosi fra le vette alpine, portava con sé alcuni pezzi di funghi, fra cui è stato riconosciuto il Fomes, molto probabilmente usato per accendere il fuoco a quelle elevate altitudini.

L’etnobotanica manifatturiera studia l’impiego umano di fonti vegetali come materiale per la costruzione di

Coltivazione messicana di henequen (Agave fourcroydes) per ricavare un filo tessile

Antropologia • CULTURA

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oggetti più o meno complessi, e dalle più svariate funzioni che vanno dall’e-laborazione di fibre tessili per pro-durre vestiario all’intaglio di un ceppo di legno per ricavarne una scultura per motivi artistici; dalla trasformazione delle piante mature di sorgo (saggina) in scope e spazzole a tutta l’arte deco-rativa floreale.

etnobotanica etologicaA quest’area d’indagine appar-

tiene lo studio dei comportamenti tra-dizionali dove avviene un’interazione uomo-animale mediante le piante, qual è il caso di alimentare con forag-gio un cavallo, o di propinare una pianta a una mucca per scopi medicinali, in definitiva veterinari (etnobotanica veterinaria). Per quest’ultimo aspetto, non sempre risulta chiaro quanto in tali interazioni “a tre” (uomo-pianta-a-nimale) ci sia una funzione magica accanto a quella più prettamente medica. Nell’Alta Val di Cecina i contadini prendono un pezzo appuntito di fusto di Helleborus foe-tidus L. e lo infilzano a livello del padiglione auricolare nel bestiame che soffre di stati febbrili e di debilitazione, tenendolo fissato con resina e mantenuto per circa 2 giorni (41). In Calabria le foglie e i semi di stramonio (Datura stramonium L.) vengono appesi nelle stalle per gli animali che si sentono soli o che hanno paura del buio (42).

In diverse parti del mondo l’uomo cacciatore utilizza delle droghe, dagli effetti per lo più stimolanti (chiamate “droghe da caccia”), che assume durante la caccia con una differenziazione funzionale notevole, come nel caso dei Masai. Questi ultimi, infatti, distinguono un articolato insieme di fonti vegetali: quella adatta per cacciare l’ele-fante, quella per la caccia dei piccoli mammiferi, sino a quella adatta per il combattimento umano (43). Spesso i cacciatori propinano droghe vegetali stimolanti anche ai propri cani, con lo scopo di acuirne i sensi, l’aggres-sività e la coesione di gruppo. Le droghe vengono date oralmente, fatte inalare dal naso, e anche somministrate per via rettale (44).

L’etnobotanica etologica si incontra con quella ali-mentare nello studio del procedimento per condire la lattuga praticato da alcune etnie native della California, le quali raccolgono come fonte di cibo le foglie di

Claytonia perfoliata Donn ex Willd. (Montiaceae), nota agli occidentali come “lattuga dei minatori”, poiché fu un’importante fonte di cibo (e di vitamina C) fra i minatori durante il periodo della “corsa all’oro” della metà del XIX secolo. Questi minatori avevano appreso la commestibilità della pianta dai nativi, ma non adot-tarono il loro modo di condirla: una volta raccolta la pianta in quantità, la appoggiavano sul suolo attorno ai nidi di certe specie di formiche rosse per

far sì che vi circolassero attorno per un po’ di tempo. Dopodiché, raccoglievano le piante, le agitavano vigo-rosamente in modo da eliminare le formiche, e quindi le mangiavano. Secondo quanto da loro riportato, questo trattamento dava alla pianta un sapore aspro, quasi di aceto, molto apprezzato (45).

Trementinarie, raccoglitrici di trementina, Trentino Alto Adige

Claytonia perfoliata

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Antropologia • CULTURA

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ED414.indb 85 23/05/19 16:07

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Erboristeria Domani • 41486

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ERBORISTERIAdomani•ISSN 1127-6320 Bimestrale. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI

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