MA CHE STUDI A FARE!? · PDF fileeconomico assai diverso da quello infernale post-2007...

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1 MA CHE STUDI A FARE!? (Domanda idiota, ovviamente) Fabio Sdogati 2015 10 22 Le persone della mia generazione, diciamo quelle che hanno da 50 anni in su, sono cresciute in un ambiente economico assai diverso da quello infernale post-2007 generato dalla crisi del credito e da cui gli austeri europei non vogliono che usciamo. Un ambiente, quello nostro di allora, assai diverso anche da quello che Joseph Stiglitz ha chiamato I ruggenti anni novanta, (Einaudi 2004, Stiglitz 2003) un libro fantastico per chiunque voglia capire quali furono le grandi svolte nella cultura economica, sia macroeconomica che aziendale, che presero piede in quegli anni. Era, in breve, il nostro, un ambiente in cui l’ottimismo dominava. Non sto parlando, ovviamente, di Poveri ma belli, perché non sono un poeta come lo era Dino Risi, ma il riferimento non è fuori luogo. In quegli anni, diciamo nel quasi mezzo secolo post-seconda guerra mondiale, il paese si veniva trasformando su mille piani: istruzione gratuita per tutti fino ai 14 anni, apertura dell’Università anche ai figli di chi lavorava, peso crescente dell’industria e dei servizi nel totale del prodotto del Paese, miglioramento drammatico della dieta alimentare, diritti sindacali, tassi di occupazione crescente… Certo, tante cose non viaggiavano alla stessa velocitò, eppure ci si muoveva. In avanti. Così era. Ma ciò che voglio sottolineare oggi tra tutte le cose che caratterizzarono quel periodo è l’ottimismo generalizzato circa le variazioni della distribuzione del reddito. Si credeva fortemente allora, quanto meno nei primi trent’anni post-guerra, che la distribuzione del reddito sarebbe divenuta progressivamente ‘meno diseguale’. Le cause erano diverse, e diversamente importanti, ma tutto sembrava lavorare in quella direzione: le lotte sindacali, una cultura imprenditoriale del tipo di quella promossa da Adriano Olivetti, l’avvento dei primi governi di centro sinistra e gli incentivi all’istruzione universitaria ‘per tutti’. Quello della liberalizzazione dell’accesso all’Università fu un fatto dirompente. Sul piano micro, quello delle famiglie, la scolarizzazione crescente veniva percepita (giustamente, per quei tempi) come LO strumento essenziale mediante il quale la riduzione delle diseguaglianze sarebbe avvenuta al passar del tempo. “Che tempi, contessa, anche l’operaio vuole il figlio Dottore!” c’era chi cantava, ai tempi. Si, la regola era che si dovesse fare qualunque sacrificio, qualunque sforzo, qualunque cosa pur di far studiare i figli, per fa fare loro quel ‘salto sociale’ che li avrebbe portati definitivamente fuori dalla vita operaia. Salto. Bello. Ma funziona? NO. O meglio: si, ma per poco, non nel lungo andare. Ma noi, e i nostri genitori con noi, ci illudevamo. Gregory Clark, in un bellissimo libro intitolato The Son also Rises, Princeton University Press 2014, presenta i risultati di anni di ricerche sue e del suo gruppo (grande) di ricercatori sulle variazioni di lungo periodo nella distribuzione del reddito. Basato su ricerca empirica condotta in molti paesi, il risultato strabiliante è che nel lungo periodo c’è una persistenza ostinata della distribuzione del reddito. Mi spiego. Clark mostra, dati alla mano, che è vero che lo studio e gli sforzi imprenditoriali favoriscono la mobilità verticale tra padre e figlio: il reddito del figlio è più alto di quello del padre. Bene, tutti felici, il babbo che vede i sacrifici che ha fatto fruttuosi e misurabili in un reddito del figlio più alto del proprio? Non tutti. Perché Clark mostra anche, e questo non lo sapevamo, che la distribuzione del reddito tra te e me oggi è assai simile a quella che prevaleva tra i tuoi avi e i miei generazioni fa. Sembra Tomasi di Lampedura, no? Tutto cambia, ma tutto resta come prima. Embè? Semplice. Esiste un fenomeno che si chiama ‘regressione’ che a molti richiamerà metodologie oscure per stabilire se esista o meno correlazione tra due o più variabili (dico ‘oscure’ perché oggi, grazie alle moderne tecnologie, le equazioni di regressione vengono stimate anche da chi non ha la minima idea di

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MA CHE STUDI A FARE!?

(Domanda idiota, ovviamente)

Fabio Sdogati

2015 10 22

Le persone della mia generazione, diciamo quelle che hanno da 50 anni in su, sono cresciute in un ambiente

economico assai diverso da quello infernale post-2007 generato dalla crisi del credito e da cui gli austeri

europei non vogliono che usciamo. Un ambiente, quello nostro di allora, assai diverso anche da quello che

Joseph Stiglitz ha chiamato I ruggenti anni novanta, (Einaudi 2004, Stiglitz 2003) un libro fantastico per

chiunque voglia capire quali furono le grandi svolte nella cultura economica, sia macroeconomica che

aziendale, che presero piede in quegli anni. Era, in breve, il nostro, un ambiente in cui l’ottimismo

dominava.

Non sto parlando, ovviamente, di Poveri ma belli, perché non sono un poeta come lo era Dino Risi, ma il

riferimento non è fuori luogo. In quegli anni, diciamo nel quasi mezzo secolo post-seconda guerra

mondiale, il paese si veniva trasformando su mille piani: istruzione gratuita per tutti fino ai 14 anni,

apertura dell’Università anche ai figli di chi lavorava, peso crescente dell’industria e dei servizi nel totale del

prodotto del Paese, miglioramento drammatico della dieta alimentare, diritti sindacali, tassi di occupazione

crescente… Certo, tante cose non viaggiavano alla stessa velocitò, eppure ci si muoveva. In avanti. Così era.

Ma ciò che voglio sottolineare oggi tra tutte le cose che caratterizzarono quel periodo è l’ottimismo

generalizzato circa le variazioni della distribuzione del reddito. Si credeva fortemente allora, quanto meno

nei primi trent’anni post-guerra, che la distribuzione del reddito sarebbe divenuta progressivamente ‘meno

diseguale’. Le cause erano diverse, e diversamente importanti, ma tutto sembrava lavorare in quella

direzione: le lotte sindacali, una cultura imprenditoriale del tipo di quella promossa da Adriano Olivetti,

l’avvento dei primi governi di centro sinistra e gli incentivi all’istruzione universitaria ‘per tutti’.

Quello della liberalizzazione dell’accesso all’Università fu un fatto dirompente. Sul piano micro, quello delle

famiglie, la scolarizzazione crescente veniva percepita (giustamente, per quei tempi) come LO strumento

essenziale mediante il quale la riduzione delle diseguaglianze sarebbe avvenuta al passar del tempo. “Che

tempi, contessa, anche l’operaio vuole il figlio Dottore!” c’era chi cantava, ai tempi. Si, la regola era che si

dovesse fare qualunque sacrificio, qualunque sforzo, qualunque cosa pur di far studiare i figli, per fa fare

loro quel ‘salto sociale’ che li avrebbe portati definitivamente fuori dalla vita operaia. Salto. Bello. Ma

funziona?

NO. O meglio: si, ma per poco, non nel lungo andare. Ma noi, e i nostri genitori con noi, ci illudevamo.

Gregory Clark, in un bellissimo libro intitolato The Son also Rises, Princeton University Press 2014, presenta

i risultati di anni di ricerche sue e del suo gruppo (grande) di ricercatori sulle variazioni di lungo periodo

nella distribuzione del reddito. Basato su ricerca empirica condotta in molti paesi, il risultato strabiliante è

che nel lungo periodo c’è una persistenza ostinata della distribuzione del reddito. Mi spiego. Clark mostra,

dati alla mano, che è vero che lo studio e gli sforzi imprenditoriali favoriscono la mobilità verticale tra padre

e figlio: il reddito del figlio è più alto di quello del padre. Bene, tutti felici, il babbo che vede i sacrifici che ha

fatto fruttuosi e misurabili in un reddito del figlio più alto del proprio? Non tutti. Perché Clark mostra

anche, e questo non lo sapevamo, che la distribuzione del reddito tra te e me oggi è assai simile a quella

che prevaleva tra i tuoi avi e i miei generazioni fa. Sembra Tomasi di Lampedura, no? Tutto cambia, ma

tutto resta come prima.

Embè? Semplice. Esiste un fenomeno che si chiama ‘regressione’ che a molti richiamerà metodologie

oscure per stabilire se esista o meno correlazione tra due o più variabili (dico ‘oscure’ perché oggi, grazie

alle moderne tecnologie, le equazioni di regressione vengono stimate anche da chi non ha la minima idea di

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che cosa voglia dire invertire una matrice, perché lo si faccia, o come). Mentre molti usano la tecnica di

regressione, pochi, pochissimi sanno che il termine ‘regressione verso la media’ risale al XIX secolo e fu

usato dai biologi del tempo per descrivere quel fenomeno per cui i figli di genitori con caratteristiche

‘estreme’ possedevano quelle stesse caratteristiche, ma in forma meno estrema di quella in cui la

possedevano i genitori. Banalizzando un poco: il figlio di un padre molto alto sarà molto alto, ma in media

lo sarà meno del padre. Il figlio ‘regredisce’ dunque verso la media.

Ciò che Gregory Clark trova a proposito della distribuzione del reddito in periodi diversi, e lontani nel

tempo, è che a lungo andare si regredisce verso la media. Ora, attenzione, questo risultato non può essere

interpretato a favore di un atteggiamento rinunciatario o attendista del tipo ‘è tutto inutile, in questa classe

di reddito sono nato e in questa classe di reddito morirò’. Niente affatto. La corretta interpretazione dei

risultati di Clark è che essi consentono di identificare con grande probabilità di azzeccarci “…chi, dato il suo

background familiare, avrà probabilità maggiore o minore di possedere lo spirito necessario ad avanzare e il

talento necessario a prosperare” (p. 10).

L’immagine che forse da conto della mia interpretazione? Nel lungo periodo, la struttura sociale si muove

verso l’alto (redditi più alti) con tutti i gruppi sociali che rimangono tuttavia all’interno di un ordinamento

dato e, certo non immutabile, ma fortemente resistente al cambiamento. Detto diversamente: è necessario

lottare nel breve periodo, per poter mantenere nel lungo la posizione sociale relativa del nonno.