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mente M SSONICA Rassegna quadrimestrale n.13 Sett.-Dic. 2018 Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia ISSN 2384-9312

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menteM SSONICA

Rassegna quadrimestrale

n.13 Sett.-Dic. 2018 Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia

ISSN 2384-9312

Sommario n.13 Sett.-Dic. 2018

A 80 anni dalle leggi razziali

Contro la “giudomassoneria”

La persecuzione fascista di ebrei e Liberi muratori.......1

di Santi Fedele

Ghetti e leggi razziali

da Mario Jacchia a Ilse Weber.......................................9

di Giovanni Greco

Saggi

Guglielmo Miliocchi, il Mazzini di Perugia .................16

di Sergio Bellezza

Stati Uniti d’Europa,

non utopia ma impegno massonico..............................22

di Francesco Pullia

Il riordino della memoria

Canzio Vannini: un massetano alla guida di Siena ....26

di Gianmichele Galassi

Iscrizione Tribunale Roman.177/2015 del 20/10/2015

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Laboratorio di storiadel Grande Oriente d'Italia

n.13 Sett.-Dic. 2018

menteM SSONICAISSN 2384-9312

Vi è un aspetto della politica fascista nel-l’arco cronologico compreso tra l’entrata invigore delle leggi razziali dell’ottobre del

1938 e la Liberazione del 25 aprile 1945 che nonè stato sufficientemente approfondito dagli stu-diosi né tanto meno divulgato nel vasto pubblicodei non specialisti: la stretta concatenazione che sirealizza ancora prima dello scoppio della Secondaguerra mondiale e che si accentua nella parte fi-nale della parabola fascista rappresentata dallaRepubblica sociale italiana, tra persecuzione an-tiebraica e persecuzione antimassonica. Invero, nonostante risalisse al 22 novembre 1925il decreto col quale, al culmine di un’ondata per-secutoria avviatasi nel 1923 e pochi giorni primache entrasse in vigore la legge che disponeva il li-cenziamento dei massoni dai pubblici impieghi,il Gran maestro Torrigiani aveva disposto il so-stanziale autoscioglimento del Grande Oriente

d’Italia di Palazzo Giustiniani, tra la fine deglianni Venti e l’inizio del successivo decennio nonerano mancate le segnalazioni e le denunce ano-nime sul tema non nuovo delle alte sfere della fi-nanza condizionate da una mai del tutto debellatainfluenza massonica. Come nel caso di Milano,dove a decine si conterebbero gli esponenti delmondo finanziario collegati alla massoneria inter-nazionale1, o di Torino, città nella quale, a dettadegli anonimi informatori della polizia politica, lealte sfere dei vari istituti bancari, pur mostrandosiapparentemente ossequiosi al Regime, sono per-sone affiliate alla massoneria2. In questa fase l’accostamento tra massoneria inter-nazionale e alta finanza ebraica è ancora sottinteso,al massimo appena accennato. Nulla di paragona-bile alla teoria del complotto affermatasi in Ger-mania, dove la tesi secondo la quale l’”invitto”esercito germanico era rimasto vittima della “pu-gnalata alle spalle” subdolamente inflittagli daidue nemici giurati della grandezza della Germaniaimperiale: gli ebrei e i massoni, si era andata dif-fondendo ancora prima dell’avvento al potere diHitler, e in Spagna in cui la “congiura giudaico-massonico-comunista” sarà la giustificazione ideo-logica della sanguinosa caccia al massone messain atto dai franchisti già all’indomani dello scop-pio della guerra civile. Ora invece l’allineamento alla Germania nazistain materia di persecuzione antiebraica determinala ripresa della polemica antimassonica del fasci-smo. Se l’ossessione antimassonica di GiovanniPreziosi che, in una serie di articoli apparsi sullasua rivista “La Vita Italiana” nel corso degli anniVenti e Trenta aveva attuato un costante collega-mento tra “massoneria universale” e “giudaismo”raffigurando la prima come strumento del secondoe ambedue in combutta col bolscevismo3, ha co-stituito sino ad allora nel panorama del fascismoitaliano una presenza marginale, la situazione simodifica con l’introduzione delle leggi razziali. Iltema della congiura giudaico-massonica che mi-naccia l’Italia fascista non è più prerogativa esclu-siva di Preziosi e di coloro che ne condividono lefarneticazioni ossessive, ma si avvia a diventareparte integrante della propaganda di regime. L’ac-

CONTRO LA “GIUDOMASSONERIA”LA PERSECUZIONE FASCISTA DI EBREI E LIBERI MURATORI

di Santi Fedele

A 80 ANNI DALLE LEGGI RAZZIALI 1

Avanguardia. Settimanale della Legione SS italiana

MassonicaMente n.13 - Sett./Dic. 20182

Copertina della rivista “La difesa della Razza”, Anno 1, n. 2 del 20 agosto 1938.

costamento tra i due storici nemici dell’Italia fa-scista si fa sempre più insistito.Il binomio indissolubile ebraismo-massoneria, laraffigurazione della massoneria come operante incombutta col giudaismo internazionale e i suoipiani di dominio del mondo trovano la loro, percosì dire, consacrazione ufficiale nell’appronta-mento della III edizione della Mostra della Rivo-luzione Fascista che il Duce inaugura il 28 ottobre1942, ventesimo anniversario della marcia suRoma, e che chiuderà precipitosamente i battentiall’indomani del 25 luglio 1943.Rispetto alle edizioni precedenti, si è voluto au-mentare il numero delle sale riservando le ultimeai temi di maggiore attualità quali la guerra incorso, le trame intessute contro l’Italia dall’inter-nazionale ebraica, la mai del tutto venuta menominaccia rappresentata da quella massoneriamessa diciassette anni prima fuorilegge. Con ma-teriali che sappiamo in gran parte ceduti dalla Di-rezione della pubblica sicurezza4, viene cosìallestita la sala Ebraismo e Massoneria. Per quanto concerne l’ebraismo mondiale «ne-mico irriconciliabile del fascismo», a illustrarequesta parte della sala sono copertine del quindi-cinale “La difesa della razza”, vignette di satira an-tiebraica e candelabri a sette bracci alternati afotografie di gruppi di ebrei in atteggiamenti te-nebrosi e cospirativi. Il tutto sormontato dalla raf-figurazione, cara all’iconografia nazista, di unatarantola gigante che avviluppa il mondo con lasua terrificante ragnatela e con l’assicurazione che«Anche nella questione della razza noi tireremodiritto».Per quanto attiene invece alla parte della sala de-dicata alla massoneria, lo slogan prescelto è l’af-fermazione categorica secondo cui «Èincompatibile la qualità di fascista con l’apparte-nenza a qualunque setta o società segreta», mentreil logo è rappresentato da una creatura mostruosa,a metà tra il serpente e il drago, che porta raffigu-rati sul ventre squadra e compasso intrecciati e lacui testa cornuta spalanca le fauci e protende lalingua in maniera decisamente disgustosa. Nellasottostante vetrina il consueto repertorio di labari,grembiuli, sciarpe, coccarde, spade, coppe delle li-bagioni, con l’aggiunta, con palesi intenti orripi-lanti, di teschi utilizzati nel Gabinetto diriflessione, mentre una targa a latere riproducebrani essenziali del deliberato del Gran consi-glio del 13 febbraio 1923 che sanciva l’incompa-tibilità dell’appartenenza al Pnf e alla massoneria5.E se non vi è negatività della recente storia italianache non possa essere ricondotta alle delittuose

trame della “tenebrosa setta”, come potrebbe maiessere la massoneria esente da responsabilità nella“congiura” che ha portato al “tradimento” del 25luglio? A indicarla tra i maggiori responsabili è“La Stampa”. Nel quotidiano torinese appare il 18ottobre 1943 un articolo, intitolato La massoneria,che nel rivendicare all’Italia fascista il merito diessere stata «la prima nazione in tutta la storia»che «ha osato gettare il guanto di sfida alla mas-soneria, distruggendo le logge», ripercorre letappe della “vendetta” massonica contro il fasci-smo: prima il tentativo di soppressione del Ducecon l’attentato orchestrato dai massoni Zaniboni eCapello, quindi un sistematico lavoro d’infiltra-zione nella Pubblica amministrazione e nell’Eser-cito favorito dall’indulgenza del fascismo versocoloro che solo apparentemente avevano abban-donato la setta, per finire con un’opera di sistema-tico sabotaggio di cui era stato l’anima Badoglio,«l’ex massimo esponente della massoneria nel no-stro esercito. E come sarebbe facile – continua l’ar-ticolo – scoprire gli antecedenti massonici di granparte di coloro che, iniziati o meno, hanno traditoMussolini, così il gabinetto Badoglio dei 45 giorniinfausti è stato un gabinetto quasi interamente co-stituito da massoni»6. Temi che saranno successi-vamente ripresi su “La Stampa” con un articolodel 14 febbraio 1944 intitolato Come la massoneriapreparò il tradimento, che riconduce la «minuziosa eferoce opera di disgregazione degli spiriti e di sa-botaggio militare economico e finanziario tenace-mente perseguita dai massoni [...] sino alla crisipolitico-militare che ebbe il suo culmine sciagu-rato negli avvenimenti del 25 luglio e in quellidell’8 settembre» a una congiura contro l’Italia fa-scista orchestrata sin dal tempo della conquistadell’Etiopia da un non meglio identificato «su-premo Grande Oriente Universale». Per finire duegiorni dopo, il 16 febbraio, con l’articolo I docu-menti del Grande Oriente che ribadisce come sia statosempre agli ordini del «Gran Maestro del GrandeOriente Universale» che i massoni italiani infil-trati negli alti gradi dell’esercito e persino nei ser-vizi di spionaggio e controspionaggio militarehanno perpetrato il sabotaggio sistematico dellosforzo bellico dell’Italia fascista.Concetti che, pressoché contemporaneamente, èdato riscontrare in altri organi di stampa pubbli-cati nella Rsi, come è il caso, tra i tanti esempi chesi potrebbero portare in proposito, del quotidiano“La Repubblica Fascista”, che nel numero del 13febbraio 1944 sviluppa il tema consueto degli «or-dini di Londra alla massoneria italiana per minareil fascismo e piegare l’Italia».

A 80 ANNI DALLE LEGGI RAZZIALI 3

Mentre la stampa di regime pubblica articoli sif-fatti, Preziosi sta per riprendere il suo posto di al-fiere della lotta senza quartiere contro lamassoneria disciolta in Italia da quasi vent’anni econtro gli ebrei italiani già a migliaia uccisi omandati a morire nei campi di concentramento te-deschi. Reduce da diversi mesi trascorsi in Ger-mania dove si era recato all’indomani del 25luglio intessendo una fitta rete di rapporti con gliambienti più oltranzisti del nazismo e dovel’udienza concessagli da Hitler nel mese di no-vembre aveva rappresentato una sorta d’investi-tura ufficiale del suo ruolo di uomo di fiducia deinazisti nell’opera di repressione antiebraica in Ita-lia, Preziosi ancor prima del suo rientro in Italiaha in un articolo apparso il 26 ottobre 1943 nel“Völkischer Beobachter” attribuito a una congiuragiudaico-massonica la responsabilità della cadutadel fascismo e in una serie di trasmissioni diRadio Monaco rivolto aspre e reiterate critiche diinefficienza nella lotta contro il persistente peri-colo rappresentato da giudei e massoni ad alcunigerarchi di Salò a cominciare dal ministro dell’In-terno Buffarini Guidi da lui definito «massone»ed «amico degli ebrei»7. Quindi il 31 gennaio1944 invia a Mussolini un memoriale sul ruolosvolto dall’ebreo-massonismo negli ultimi tren-t’anni della storia italiana e sull’assoluta necessitàdi una lotta radicale contro ebrei e massoni8, giac-ché a suo dire «l’opera di ricostruzione non potràcominciare se non quando per Ministri, funzio-nari, appartenenti al Partito, ufficiali dell’Esercito,Guardia Nazionale Repubblicana, non che perquanti hanno mansioni non solo di primo ordine,ma di qualsiasi ordine nelle Amministrazionidello Stato, non si esigerà che non abbiano appar-tenuto alla massoneria e non si richiederà la di-mostrazione della loro arianità nel solo modoserio, che è quello costituito dalle tavole genealo-giche, come si fa in Germania»9. Denunciando la presunta arrendevolezza dei ver-tici di Salò nella lotta all’ebraismo e alla masso-neria Preziosi non ottiene però il posto diprimissimo piano nelle ridisegnate gerarchie con-seguenti a un ventilato rimpasto del governo dellaRsi che aveva sperato e ciò non soltanto per la vivaantipatia che ha Mussolini sempre nutrito nei suoiconfronti, ma anche per le diffidenze che in larghisettori dello stesso fascismo repubblicano susci-tava «un fanatico che vedeva ebrei e massoni dap-pertutto e desiderava fare le proprie vendette sucoloro che “ancora” si rifiutavano di riconoscereche tutti i mali e le disgrazie del fascismo fosserofrutto della “congiura ebraico-massonica”»10. Devecontentarsi della nomina, a metà marzo del 1944,

al vertice dell’Ispettorato generale della razza,nuovo organismo assommante le funzioni razzistee di lotta all’ebraismo già di competenza della Di-rezione generale per la demografia e la razza delministero dell’Interno e dell’Ufficio studi e propa-ganda sulla razza del ministero della Cultura po-polare, che stabilirà il suo quartier generale aDesenzano sul Garda.In una situazione in cui il “lavoro sporco” dell’eli-minazione degli ebrei superstiti era affidato inmani ben più affidabili ed esperte di quelle del“teorico” Preziosi quali quelle delle SS e dei corpidi polizia della Rsi11, la ricaduta “pratica” del-l’Ispettorato in termini di persecuzione antie-braica e antimassonica fu limitata. L’azione diPreziosi nei tredici mesi intercorrenti tra l’assun-zione delle attribuzioni di Ispettore generale perla razza e la Liberazione si svolgerà su due diret-trici principali. La prima rappresentata, in perfettacoerenza con quanto operato nel trentennio pre-cedente, dalla riproposizione ossessiva della tesidel pericolo rappresentato da ebrei e massoni, oracorroborata dalla constatazione che con il “tradi-mento” del 25 luglio e dell’8 settembre si è dimo-strato che «la tragica situazione nella quale èprecipitata la patria è dovuta esclusivamente allemene massoniche e giudaiche». Così per l’ap-punto si legge nel primo numero, datato 18 marzo1944, di “Avanguardia Europea”, che a partire dalsecondo numero assumerà il nome di “Avanguar-dia. Settimanale della Legione SS Italiana”avendo il più noto dei suoi collaboratori in Pre-ziosi, che vi pubblicherà articoli intesi a rivendi-care il suo ruolo di vittima delle persecuzioni cuiera stato oggetto in ragione della sua implacabiledenuncia delle trame massonico-giudaiche12, e aribadire come «per sbaragliare le logge massoni-che occorre una lotta a fondo, una lotta condottaimplacabilmente da un nuovo ente [l’Ispettorato]che nulla abbia in comune con quelli esistenti»13.Temi analoghi a quelli che Preziosi riprenderà almomento in cui nella seconda metà del 1944 daràvita a una nuova serie di “La Vita Italiana”, rivistasostanzialmente monotematica perché quasiesclusivamente incentrata sulla necessità di inten-sificare la lotta contro gli ebrei e di smascherareuna massoneria, strumento dell’ebraismo mon-diale, i cui uomini continuerebbero ad operare in-filtrati financo nelle alte sfere della Rsi14.La seconda direttrice dell’azione svolta da Preziosinella qualità di capo dell’Ispettorato è un’intensaattività intesa all’elaborazione di proposte di leggeche non sono perfezionino i meccanismi della per-secuzione antiebraica ma affrontino il più vastoproblema razziale anche sotto forma di strumenti

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legislativi atti a preservare la purezza ariana dellarazza italiana dall’inquinamento di ogni forma di“meticciato”, dovendosi considerare “meticci” inati da un genitore ariano e da altro ebreo o inogni caso non appartenente alla razza ariana15. Nonostante l’ossessione del “complotto giudaico-plutocratico-massonico” non risparmi ormai lostesso Mussolini che nel suo ultimo discorso pub-blico, pronunciato al Lirico di Milano il 16 dicem-bre 1944, indicherà esplicitamente la massoneriaquale responsabile, in combutta con i circoli dicorte, con i militari “badogliani”, con le correntiplutocratiche della borghesia italiana e con alcuneforze clericali, del “tradimento” che ha portatoprima alla caduta del fascismo e quindi alla resadell’8 settembre16, anche per l’opposizione di set-tori “moderati” della Rsi, le aberrazioni razziali diPreziosi (che nei giorni della Liberazione, braccatodai partigiani, si suiciderà assieme alla moglie)non avranno sanzione legislativa e altrettanto di-casi per la bozza di decreto che stabiliva che «co-loro che appartengono o hanno in qualunquetempo appartenuto alla massoneria di qualsiasi

rito sono esclusi da ogni attività politica», nonchéda ogni forma d’impiego pubblico, venendo pu-niti con la reclusione sino a cinque anni e con laperdita dell’impiego tutti coloro che, «richiestidall’Autorità, negano o con qualsiasi mezzo occul-tano la predetta loro qualità»17.Non alla morte civile cui li avrebbe voluto con-dannare Preziosi ma alla privazione della vita toutcourt andranno incontro i Liberi muratori che nonsi piegheranno al giogo nazifascista. Tra i 335 ci-vili e militari, prigionieri politici, ebrei, semplicisospettati d’antifascismo, trucidati a Roma il 24marzo 1944 alle Fosse Ardeatine dalle truppe dioccupazione tedesche come rappresaglia per l’at-tentato partigiano di via Rasella, diciannove sonoLiberi muratori già appartenuti alle disciolte Co-munioni di Palazzo Giustiniani e di Piazza delGesù. In particolare sono stati i massoni del Goi a rites-sere immediatamente i fili dell’organizzazionemassonica. Già all’indomani, nel senso letteraledel termine, della caduta del fascismo, il 26 luglio1943 si riuniscono infatti un gruppo di massoni

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Mostra della Rivoluzione fascista. III Edizione (1942). Sala Ebraismo e Massoneria.(ACS, Mostra della Rivoluzione Fascista, Archivio fotografico, Album 112, negativo 30399)

romani già appartenuti al Goiche votano un documento,sottoscritto da Umberto Ci-pollone, Giuseppe Guastallaed Ermanno Solimene, colquale, nel dar conto della ri-presa operatività del GrandeOriente d’Italia, se ne ribadi-sce la mai venuta meno fe-deltà a «gli immortaliprincipi di Libertà, di Ugua-glianza e di Fratellanza» e siriconfermano nel «principiodemocratico nell’ordine so-ciale e politico» e nella «lottasenza tregua contro tutti i di-spotismi politici, le intolle-ranze religiose e i privilegi diqualunque genere» le lineeguida dell’impegno dei mas-soni italiani «per l’attuazione di un programma diradicale rinnovamento e rinascita della Patria»18. L’occupazione nazista dell’Italia centrosettentrio-nale, quale si produce all’indomani dell’8 settem-bre, costringe nuovamente i massoni allaclandestinità. A centinaia saranno i Liberi mura-tori che a titolo individuale opereranno nella Re-sistenza militando all’interno di gruppi e brigatepartigiane di vario orientamento politico. Una solaformazione, almeno allo stato attuale delle cono-scenze, ebbe nel panorama della Resistenza ita-liana una specifica connotazione massonica:l‘Unione nazionale della democrazia italiana fon-data dall’antico compagno d’esilio di TorrigianiPlacido Martini19, che opererà nella Roma occu-pata dai nazifascisti annoverando nelle proprie filediverse decine di massoni. Tra essi vanno quanto-meno ricordati Carlo Zaccagnini, Giovanni Ram-pulla, Mario Magri, Giuseppe Celani, SilvioCampanile, Teodato Albanese, Carlo Avolio, valea dire i fratelli che, imprigionati e torturati, an-dranno con Martini il 24 marzo 1944, per comes’intitola una recente pubblicazione, A fronte altaverso l’Oriente Eterno a testimoniare nel martirio illoro amore della libertà20. Ad essi si ricollega ide-almente il nome di Giordano Bruno Ferrari, figliodel Gran Maestro Ettore, che catturato dai nazistie a lungo torturato senza che i suoi aguzzini riu-scissero a strappargli i nomi dei compagni di lotta,sarà fucilato a Forte Bravetta in Roma il 24 maggio1944, vale a dire pochi giorni prima della Libera-zione della Capitale. Anch’egli, al pari di Martini,sarà insignito di medaglia d’oro al valor militare.

Dal lascito ideale del loro sa-crificio si alimenterà la ri-presa della massoneriaitaliana, la cui ininterrottacontinuità organizzativa du-rante la dittatura sarà richia-mata nel decreto col quale il21 marzo del 1947 il Granmaestro della ricostituitamassoneria giustinianea,Guido Laj, «considerato chedurante l’infausto periodofascista, dopo la distruzionedei nostri Templi e le perse-cuzioni delle persone, la con-tinuità della FamigliaMassonica Italiana fu assicu-rata dai Fratelli nostri, resi-denti all’estero, che vicostituirono il Grande

Oriente d’Italia», nomina Albarin, ultimo Granmaestro dell’esilio, Gran maestro onorario advitam del Goi21.Dal disastro immane in cui il fascismo ha trasci-nato l’Italia, da una sequela ininterrotta di perse-cuzioni avviatesi all’indomani della marcia suRoma e conclusesi solo con la definitiva sconfittadel nazifascismo, rinasce la massoneria in Italia.Tra mille difficoltà, non ultima quella rappresen-tata dalla frammentazione nei tanti gruppi e sot-togruppi che ne rivendicano l’eredità storica. Unasituazione che non impedirà tuttavia alla Com-missione delle Grandi Logge statunitensi inviatain Europa nell’estate del 1945 per verificare lecondizioni delle massonerie europee all’indomanidella sconfitta del nazifascismo, di identificaresenza esitazione alcuna nel ricostituito Goi l’eredelegittimo della tradizione massonica nel nostroPaese. Felicemente sorpresi dello scoprire che «ilGrande Oriente si è già riorganizzato ed è opera-tivo» e favorevolmente colpiti dalla forza di carat-tere dimostrata dai fratelli italiani, i commissarine pronosticano la pronta rinascita e formulanol’augurio che in un futuro prossimo si ripari allagrave ingiustizia delle confische operate dal fasci-smo con la restituzione del «bellissimo Tempio»di Palazzo Giustiniani22. Si pongono in sostanzale premesse per quel riconoscimento del Goi daparte delle Grandi Logge statunitensi che rappre-senterà una tappa miliare nel processo di reinse-rimento a pieno titolo della Comunione italiananel consesso della Libera muratoria universale23.

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Note1 Archivio Centrale dello Stato, Direzione generaledella Pubblica sicurezza, Divisione Affari generali e ri-servati, 1930-31, categoria K3, busta 440, fascicolo “Mi-lano”.2 “Nota confidenziale” del 14 novembre 1929. ArchivioCentrale dello Stato, Direzione generale della Pubblicasicurezza, Divisione Affari generali e riservati, 1929, ca-tegoria K3, busta 205, fascicolo “Torino”.3 Alcune decine di questi articoli saranno poi raccoltidal loro autore nel volume Giudaismo, Bolscevismo, Pluto-crazia, Massoneria, Milano, Mondadori, 1941.4 Mostra della Rivoluzione Fascista, inventario a cura di Gigliola

Fioravanti, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma,Pubblicazioni degli Archivi di stato, 1990, p. 44.5 Riproduzioni fotografiche di alcuni dei pannelli espo-sti nella sala Ebraismo e massoneria della Mostra sono nelsito dell’Archivio centrale dello Statohttp://151.12.58.148:8080/MRF.6 Mauro Valeri, Il fascismo, il nazismo e la massoneria, inFreemasonry in Europe. Report of the Committee sent abroadin August, 1945, by the Masonic Service Association to ascertainthe conditions and needs of the Grand Lodges and Brethrern inthe Occupied Countries, Washington, The Masonic ServiceAssociation, 1945. Ristampa anastatica dell’originalecon traduzione italiana, Prefazione di Stefano Bisi, Notaintroduttiva di Santi Fedele e un saggio di Mauro Valeri,Milano, Mimesis, 2018, p. 60.7 Renzo De Felice, Mussolini l’alleato. II. La guerra civile1943-1945, Torino, Einaudi, 1997, pp. 513-514.8 Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo,Torino, Einaudi, 1961, p. 512.9 Memoriale di G Preziosi a B. Mussolini, ivi, p. 671.10 Renzo De Felice, Mussolini l’alleato. II. La guerra civile1943-1945, cit., p. 553.11 Mauro Raspanti, L’Ispettorato generale per la razza, in LaRepubblica sociale italiana a Desenzano: Giovanni Preziosi el’Ispettorato generale per la razza, a cura di Michele Sarfatti,

Firenze, Giuntina, 2008, p. 137.12 Giovanni Preziosi, Perché?, in “Avanguardia. Settima-nale della Legione SS Italiana”, 18 marzo 1944.13 Giovanni Preziosi, La massoneria è la quinta colonna cheha tradito l’Italia e il Fascismo, ivi, 27 maggio 1944.14 Francesco Germinario, Antisemitismo senza ebrei. I temidell’attività pubblicistica dell’ultimo Giovanni Preziosi (1943-1945), in La Repubblica sociale italiana a Desenzano, cit., pp.77-107.15 Michele Sarfatti, Le leggi antiebraiche proposte nel 1944da Giovanni Preziosi, in La Repubblica sociale italiana a De-senzano, cit., pp. 141-171.16 Marco Cuzzi, L’ultima crociata antimassonica dei totalita-rismi, “Massonicamente. Laboratorio di storia delGrande Oriente d’Italia”, maggio-agosto 2015, pp.8-13. 17 La bozza di decreto in Aldo Alessandro Mola, Preziosie la Massoneria. Un percorso accidentato, in Giovanni Preziosie la questione della razza in Italia, a cura di Luigi Parente,Fabio Gentile, Maria Grillo, Soveria Mannelli, Rubbet-tino, 2005, pp. 131-132. Si veda anche Romano Canosa,A caccia di ebrei. Mussolini, Preziosi e l’antisemitismo fascista,Milano, Mondadori, 2006, pp. 313-317.18 Il documento in Ferdinando Cordova, Ricostituzionedella massoneria italiana e riconoscimenti internazionali, in Lamassoneria. Storia d’Italia. Annali 21, a cura di Gian MarioCazzaniga, Torino, Einaudi, 2006, pp. 701-702.19 Francesco Guida, Placido Martini. Socialista, Massone,Partigiano, Firenze, Pontecorboli, 2016.20 Mauro Valeri, A fronte alta verso l’Oriente Eterno. Liberimuratori nella Resistenza romana, Milano, Mimesis, 2017.21 Il documento in Augusto Bindi, L’attività del GrandeOriente d’Italia in esilio durante il ventennio persecutorio e com-memorazione dell’ultimo suo Gran maestro Davide Augusto Al-barin, Palermo, 1961, pp. 25-26.22 Freemasonry in Europe, cit., p. 43.23 Ferdinando Cordova, op. cit., pp. 708-712.

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Rifletteremo qui sulla vicenda degli ebrei altempo dei ghetti e durante la secondaguerra mondiale con particolare riferi-

mento al nostro paese perché l’Italia è una dellepoche nazioni al mondo ad avere una storia di pre-senza pressoché ininterrotta degli ebrei nelle no-

stre terre. Non casualmente la comunità ebraica diRoma è ben più remota del papato e della suachiesa – verso il 30 d.c. gli ebrei a Roma eranooltre quarantamila - senza dimenticare le sinago-ghe, le case delle riunioni, le scuole del tempio“con quel correre di bambini da una parte all’al-tra”.Gli ebrei partecipavano sia ai commerci che allavita pubblica, identificandosi completamente,come sempre avevano fatto, con la vita del luogoin cui vivevano. Non va perciò dimenticata la bellafigura di Tobia Levi a Parma che morì combat-tendo per il risorgimento italiano, così come eraaccaduto con la famiglia Todros a Torino, comeAngelo Usiglio che col fratello Enrico collaboròcon Ciro Menotti, operando fattivamente con altriebrei modenesi, Israel Latis, Benedetto Sangui-netti e Fortunato Urbini, mentre a Livorno spic-cava la figura di Moses Montefiore. Del resto ungrande pensatore ebreo, il rabbino Elia Benamo-zegh nel 1847, predicando nel tempio Maggioredi Livorno ebbe a dire agli ebrei presenti che erafondamentale amare l’Italia “dopo Dio, sopra ogniaffetto terreno”.

L’era dei ghetti si era sviluppata fra il 1500 e il1600, ghetti che in genere erano chiusi da tre-quattro porte “provvedimento necessario per im-pedire agli ebrei la propaganda notturna dellapropria religione” e nessun “cristiano in quellopossi star overo tegnir bottega”. Questo non im-pediva alle comunità ebraiche di avere proficuirapporti con la popolazione del luogo, come peresempio nel caso di Pitigliano, “la piccola Geru-salemme”, dove il conte Niccolò IV Orsini con-cesse persino un appezzamento al suo medicopersonale, Davide De Pomis, che vi seppellì lamoglie.Il primo ghetto in Italia fu quello di Venezia forseil più antico ghetto del mondo - tant’è che la pa-rola ghetto viene proprio dal veneziano ghèto,getto, gettata di metallo fuso per fondere il ferro –che principiò nel 1516 col ghetto vecchio, nel 1541col ghetto nuovo. Malgrado i ghetti la comunitàebraica veneziana prosperò con l’apertura di nu-merose sinagoghe e con la costruzione di edificisopraelevati, sino ad otto piani, cosa assai note-

GHETTI E LEGGI RAZZIALI

DA MARIO JACCHIA A ILSE WEBER

di Giovanni Greco

A 80 ANNI DALLE LEGGI RAZZIALI

Telemaco Signorini, Il ghetto di Firenze (partic.), 1882

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vole per l’epoca, manifestando continuamente lanecessità di ampliamenti tant’è che i ghetti diven-nero tre col ghetto detto novissimo del 1663.Numerosi altri ghetti vennero aperti dopo la bollapapale del 1555, a Roma naturalmente (allora erauna frazione del Vaticano) dove dimorava la co-munità ebraica più antica del mondo. Fuori dalghetto gli uomini dovevano portare un pezzo distoffa gialla sul berretto, mentre le donne un velogiallo nel vestito, mentre in certi luoghi, come aSiracusa, era d’obbligo “la rotella rossa”. All’epocagli ebrei potevano fare solo gli stracciaroli, i robi-vecchi, i falegnami e naturalmente i prestatori didanaro. Dal 1572, per volere di Gregorio XIII gliebrei ogni sabato erano obbligati ad assistere allecosiddette prediche coatte per cercare di convin-cerli a convertirsi al cristianesimo.Anche a Bologna, la seconda città del papato, dal1555 vi furono continue cacciate e rientri e allafine la maggioranza degli ebrei della zona venneconcentrata nei ghetti di Lugo, di Ferrara e diCento, dove si recarono soprattutto gli ebrei felsi-nei malgrado che all’Ateneo bolognese sin dal1488 vi fosse una cattedra di ebraismo.Invece a Siena il ghetto aperto nel 1571, era inun’area alle spalle di piazza del Campo, dove gliebrei stettero fino al 1859, ma già all’arrivo deifrancesi le porte del ghetto erano state bruciatesimbolicamente in piazza del Campo nel 1799.Il ghetto di Verona fu messo in essere nel 1599dopo che si era passati da ca. 400 unità a oltremille, a fine settecento, con tanti rinomati studiosinell’arte medica. Agli inizi del 1600 venneroaperti i ghetti di Mantova (con oltre tremila ebrei)e di Senigallia, dove le pene per chi non trascor-reva la notte nel ghetto ammontavano a 25 scudioltre alla galera, senza dire di numerosi debitoriche non riuscendo più ad assolvere al proprio de-bito, così come altrove, scatenavano terribili eccidiantiebraici: ucciso il creditore, estinto il debito.Italiani brava gente! Questi massacri, ammantatida ragioni religiose, erano piuttosto frequenti, in-nescati spesso dalla predicazione di taluni sacer-doti che sollecitavano tumulti e devastazioni,come per esempio nel caso del francescano Gio-vanni Pistoia che nel 1487 si scagliò violente-mente contro gli ebrei di Siracusa provocandoespulsioni e morte. A Padova gli ebrei operarono dal 1603 con 63 bot-teghe, a Ferrara nel 1627 con stamperie presti-giose che produssero opere raffinate come labibbia di Ferrara, a Torino dal 1679 in seguito allaControriforma, e poi il ghetto di Urbino dove,dopo l’arrivo dei francesi, fu piantato l’alberodella libertà, anche se dopo non mancarono an-

cora devastazioni e massacri.Dai ghetti alle leggi razziali, alle uccisioni dimassa del nazismo, del fascismo, dello stalinismoe i morti sono stati milioni.A livello europeo i ghetti più grandi furono quellidi Lodz, di Varsavia, di Cracovia, Lublino, Leo-poli, Vilnius, da dove venivano prelevati per icampi di sterminio provocando devastazioni emorte.Primo Levi amaramente scrisse: “Pochi sono gliuomini che sanno morire con dignità e spesso nonsono quelli che ti aspetteresti”.Dai ghetti alle leggi razziali il passo purtroppo fubreve e desidero almeno ricordare il massone An-gelo Fortunato Formigine a Modena, scrittore ededitore di vaglia, che si suicidò, gettandosi dallaGhirlandina, preso dallo sconforto dopo l’emana-zione delle leggi razziali ed Eugenio e Mario Jac-chia.

Eugenio Jacchia, di origine ebraica, avvocato,nacque a Trieste nel 1869, per aver partecipato aimoti irredentisti per propugnare il ritorno di Trie-ste in Italia, venne cacciato nel 1889. Riparò a Bologna dove prima fu studente all’uni-versità di Bologna e dopo la laurea si sposò conElisabetta Carpi. Andò poi a far parte della sini-stra democratica radicale e venne iniziato in mas-soneria.Nel periodo precedente alla grande guerra fu unodegli esponenti di spicco del movimento interven-tista iscrivendosi al fascio di Leandro Arpinati, giàdal primo dopoguerra diventò uno degli espo-nenti di maggior rilievo della massoneria. Riterràinsieme ai figli Mario e Luigi di aderire al fasci-smo, ma poi il rapporto fiduciario si spensequando nel 1924 gli squadristi fascisti assaltaronola casa massonica bolognese in vicolo Bianchetti4. In quella occasione, il 12 settembre, i fascisti algrido A morte gli Jacchia deposero in una cassa damorto simboli massonici asportati dalla sede di-nanzi alla sua abitazione in via D’Azeglio 58. Datoche queste infami gesta vennero esaltate dal cle-rico-fascista “L’Avvenire d’Italia”, il figlio Marioandò ad affrontare e a schiaffeggiare il direttore diquel giornale, Carlo Enrico Bolognesi.Dalla documentazione della polizia fascista sievince che di Eugenio si dava nel 1930 il seguentegiudizio: “Fu uno dei maggiori esponenti dellamassoneria locale, mantenendosi sempre un libe-rale democratico e antifascista. Gode di un certoprestigio”. Eugenio fu anche l’avvocato di Gu-glielmo Marconi tant’è che vi è un fondo con 29lettere autografe di Marconi che soprattutto si ri-

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feriscono alla tenuta di Pontecchio curata propriodall’avvocato Eugenio. Quando morì il 31 marzo1939 per iniziativa dell’avvocato Ugo Lenzi, poiG.M. del Goi, si fece uscire su “Il Resto del Car-lino” un necrologio per ricordarne le elette virtù. Ilnecrologio venne firmato da 73 avvocati bolognesiprevalentemente ebrei, antifascisti e massoni, maalcuni di questi erano anche iscritti al Fascio e a

loro venne ritirata la tessera. Il 3 aprile in Corted’Appello l’avvocato socialista Roberto Vigni locommemorò ricordando anche il suo impegno nel-l’istituzione latomistica subendo per questo unbreve periodo di detenzione.

Mario Jacchia anche lui avvocato nacque a Bolo-gna il 2 gennaio 1896. Scoppiata la prima guerra

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Case nel ghetto di Siena. Carlo Cainelli (1896-1925). Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento

mondiale, a fianco del padre, prima propugnò l’in-tervento in guerra poi partecipò come ufficiale vo-lontario al battaglione alpini Monte Berico e fucon particolare valore al comando di vari repartiin prima linea. Quando il 13 luglio 1916, per la ri-conquista del Passo della Borcola a quota 1425,venne ferito alla spalla destra ma non lasciò il co-mando fino a quando non venne ferito anche aduna gamba, meritandosi ben quattro medaglie alvalor militare.A Bologna dopo la smobilitazione partecipò aigruppi “Sempre pronti per la patria e per il re” or-ganizzati dal tenente Dino Zanetti. Questi gruppideterminarono gravi disordini nel 1919 che por-tarono alla morte della bracciante Geltrude Grassi.Nel 1920 si iscrisse ai fasci di combattimento gui-dati da Leandro Arpinati.Dopo le angherie del fascismo contro la massone-ria fu rottura aperta con Mussolini in particolaredopo che i fascisti bastonarono il fratello Luigi,militante antifascista. Dopo il discorso del ducedel 3 gennaio 1925 ebbe lo studio attaccato daun’orda di fascisti e si difese da solo sparando tuttii colpi della sua pistola di ordinanza. Arrivato sulposto con le fiamme che divoravano arredi e in-cartamenti, sparò contro i fascisti guidati da Arco-novaldo Bonaccorsi e Giuseppe Ambrosi. Poi fupreso dai fascisti bastonato, torturato, ferito mamai si piegò, come ricorda Ferruccio Parri in oc-casione della richiesta della medaglia d’oro alvalor militare. Dopo le leggi razziali cercò pari-menti di portare avanti una difficile pratica di“arianizzazione” e cercò di rientrare nell’ordinedegli avvocati. Cercò anche di farsi promotore diun colpo di stato che fallì e quindi poi partecipòal movimento partigiano, raccogliendo armi, fi-nanziando uomini e reparti, predisponendo arditipiani, contribuendo alla nascita del CLNAI. A Bo-logna poi assunse il ruolo di Ispettore militaredell’Emilia, organizzando anche collegamenti conil Centro di Milano, operando soprattutto a Bolo-gna e a Ferrara per l’organizzazione delle forma-zioni di “Giustizia e libertà”.Per Ferruccio Parri “per la sua forte personalità,per il suo coraggio, l’intelligenza e la cultura” di-venne uno degli uomini di punta del movimentopartigiano.Il 3 agosto 1944 mentre si trovava a Parma per unaimportante riunione di capi partigiani, vennerocircondati dalle brigate nere che riuscirono ad ar-restare solo lui perché si era attardato per distrug-gere importanti documenti consentendo la fuga ela sicurezza dei suoi compagni. Consegnato poialle milizie tedesche “che lo torturarono perchéparlasse. Non parlò”. Fu caricato su un autocarro

tedesco, poi non si ebbero più notizie di lui e ful’ennesima vittima della ferocia nazista. Nessunopiù di lui ha osato e rischiato, rivelandosi comeuno degli uomini più valorosi e benemeriti dellaresistenza italiana. Il suo corpo, il corpo di “Ros-sini”, questo era il suo nome di battaglia, non hamai ricevuto degna sepoltura. L’ultimo oltraggiofu quello di predisporre da parte degli aguzzini laredazione di una “lista Jacchia”, una lista fabbri-cata ad arte con i nominativi di uomini come Pe-cori, Maccaferri, Busacchi e Vetuschi, uccisi poi dasicari fascisti.

Esther Millesum, detta Ketty, ebrea olandesemorta ad Auschwitz. Figlia di Misha, pianista divalore e di Jacob, medico, Ketty era “il cuore pen-sante della baracca”. Quando era a Westerbork, uncampo di transito, da lì si partiva ogni lunedì coltreno con mille anime per Auschwitz, Ketty cosìracconta: “la locomotiva manda un suono terribile,tutto il campo trattiene il fiato”. Tre giorni di viag-gio, poi marchiati a fuoco come bovini, poi gasatie bruciati. Ketty era andata volontariamente inquel campo dove erano transitati i suoi genitori,ma nel suo diario che venne pubblicato nel 1981non parlò mai di “nessun gesto di pietà” ma di re-lazioni fra persone. Alla fine scrisse: “La miseriache c’è qui è veramente terribile, eppure alla seratardi, quando il giorno si è inabissato dietro dinoi, mi capita spesso di camminare di buon passolungo il filo spinato e allora penso che la vita èsplendida e grande, più tardi dovremo costruireun mondo completamente nuovo”.

David Rubinowicz, ebreo polacco, a dodici anniscrisse il suo diario pubblicato da Einaudi quasivent’anni dopo la sua morte. I suoi genitori eranolattai e finirono in una camera a gas. La sua mae-stra, la signora Krogolec raccontò di lui “biondo,occhi azzurri, un po’ smarrito”. Solo una volta loaveva visto piangere, quando il padre andò ascuola per dire che quello sarebbe stato il suo ul-timo giorno di scuola, niente scuola per i bimbiebrei: “quel giorno” ricorda la maestra “si mise incortile, si sentiva escluso, guardava gli altri gio-care, poteva ancora per l’ultima volta giocare conloro, ma non ne aveva più l’animo”. David cosìscrisse nel suo diario: “da quando c’è la guerra stu-dio a casa da solo. Quando mi ricordo della scuolami viene da piangere”. Una volta David vide daun nascondiglio in un granaio, una guardia cherincorreva una donna ebrea che scappava e lesparò addosso uccidendola. La donna aveva seifigli che assistettero impietriti e disperati. Uno diloro, il più piccolino cercò di raggiungere la

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mamma, ma il gendarme lo tempestò di pugni.Elizier Wiesel, ebreo rumeno naturalizzato statu-nitense, premio nobel nel 1986, fu a Monowitz,un sottocampo di appoggio. Il suo capolavoro è“La notte”, la notte nell’arrivo nel campo, la nottein cui vide cose che gli fecero perdere la fede.“Mai dimenticare quella notte,la prima notte nel campo,che ha fatto della mia vita una notte.Mai dimenticherò quel fumo.Mai dimenticherò i volti dei bambinidi cui avevo visto i corpitrasformarsi in volute di fumosotto un cielo muto.Mai dimenticherò quelle fiammeChe bruciarono per sempre la mia fede.Mai dimenticherò quel silenzio notturnoche mi ha tolto per l’eternitàIl desiderio di vivere.Mai dimenticherò quegli istanti,che assassinarono il mio Dio, la mia anima e i mieisogni,che presero il volto del deserto.Mai dimenticherò tutto ciò,anche se fossi condannato a viverequanto Dio stesso. Mai”.Alla fine sopravvisse e venne liberato dai soldatirussi che lo portarono in ospedale, dove lottò pertre mesi fra la vita e la morte. Finalmente ungiorno poté alzarsi dal letto e passò davanti a unospecchio - era tanto tempo che non lo faceva – eguardò: “ dal fondo dello specchio un cadavere micontemplava. Il suo sguardo nei miei occhi non milascia più”.

Sophie Scholl fece parte del gruppo antinazistanon violento la “Rosa bianca” di cui aveva ideatoil motto: “Uno spirito forte, un cuore tenero”.Quando la Gestapo l’arrestò, le chiesero se non sisentisse colpevole e lei rispose: “credo di aver fattola migliore cosa per il mio popolo. Non mi pentodi nulla e accetto la pena”.

Imre Kertez, ebreo ungherese, scrittore, soprav-visse ai campi di sterminio, premio nobel per laletteratura nel 2002. Nel suo più bel libro “Esseresenza destino”, il protagonista, il suo alter ego,non si indigna, non si dispera, non chiede pietà,ma osserva le cose come se non riguardassero luie sostiene che l’operazione più infame è quella diridurre un uomo a preoccuparsi solo della sua so-pravvivenza: “non vi è assurdità che non possa es-sere vissuta con naturalezza”. Esattamente comeKertez, anni dopo, il grande poeta vietnamitaNguien Thien, autore de “I fiori dall’inferno”, che

per 27 anni aveva patito il carcere ad Hanoi a chigli chiedeva perché persino sotto tortura fosse ri-masto in silenzio, senza invocare pietà, aveva ri-sposto: “Sono rimasto in silenzio quando ilnemico mi torturava, con il ferro e con l’acciaio,l’animo debole in agonia. Le storie degli eroi sonoper i bambini che ci credono. Io sono rimasto insilenzio perché mi dicevo: c’è qualcuno che è en-trato nella giungla e che è stato assalito dalla be-stia feroce ed è così stupido da aprire la bocca echiedere pietà?”.

Irena Sendler, cattolica polacca, “chi salva unavita salva il mondo” e Irena lo ha salvato 2500volte. Irena infatti salvò circa 2500 bambini ebreidel ghetto di Varsavia affidandoli a famiglie dicontadini cattolici, bambini che a volte per motividi sicurezza dovevano cambiare famiglia, tant’èche una volta una bimba le chiese: “signora Irenama fino a quante mamme possiamo avere?”. Arre-stata e torturata, le spezzarono le gambe, resistéper cento giorni prima di essere liberata dalla suaorganizzazione segreta che aveva corrotto un uffi-ciale tedesco. Dopo la guerra nel Kansas un pro-fessore americano protestante, col quale il miogruppo di lavoro è in contatto, il prof. Konrad, conle sue allieve, scoprì questa vicenda e la rese notaal mondo intero, creando anche una bella comme-dia teatrale che a distanza di anni viene ancoramessa in scena. E solo dinanzi alle affettuose in-sistenze delle ragazze americane, Irena uscì dallasua pressoché totale riservatezza raccontando perintero la sua storia. Quando l’ufficiale nazista mifece scappare – così raccontò alle studentesse – “mirifugiai in una farmacia: la farmacista, una giovanedonna, Helena, mi guardò. Non scorderò mai quelsuo sguardo, così terrorizzato che io realizzai ilmio stato. Mi portò nel retro della farmacia senzafarmi domande; mi pettinò i miei capelli annodatie scomposti e poi spruzzò dell’acqua di coloniaprofumata su tutto il corpo, senza dire nulla sulmio odore sgradevole. Mi diede dei vecchi vestitiper cambiarmi, un bastone per camminare e deisoldi per il tram. Restai in quella farmacia percirca un’ora e poi andai verso casa”. Una donna cattolica, rievocata dai protestanti, chesalva bimbi ebrei è la più alta testimonianza dellaricerca del bene in ogni fede. A fronte di nessungesto di pietà, nel colpevole e assordante silenziodi tanti, meravigliose storie d’amore per gli uo-mini ci riconciliano con la vita.

Ha ragione il rabbino di Ferrara Luciano MeirCaro che, nel nostro paese, ci sono stati svariatiuomini giusti, ma quanti, tanti, troppi, una mag-

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gioranza strabocchevole hanno fatto le spie e i de-latori anche per denaro: “il lavoro sporco dellapersecuzione in Italia l’hanno fatto gli italiani, suordine dei tedeschi e molto volentieri”: italianibrava gente! Senza dimenticare che a fronte ditante suore e preti che hanno fatto, a rischio dellavita, la loro parte, papa Pio XII, pur sapendo ognicosa nei particolari, non profferì mai una parola alriguardo. Forse in qualche caso la memoria è stataaffidata meglio alle cose che agli uomini, come nelcaso dell’ippocastano di Anna Frank, memorienon affidate a una pietra, a un monumento, maalla natura stessa addirittura alla natura vegetale.Martin Luther King sosteneva che abbiamo impa-rato a volare come gli uccelli, a nuotare come ipesci, ma non abbiamo ancora imparato a viverecome fratelli e non abbiamo imparato a raccogliereinsieme i frutti del lavoro. Agli ebrei deportati euccisi, va il nostro deferente pensiero: “quando ilrabbino canta, cantano tutti con lui, quando il rab-bino piange, piange da solo”. Perciò è quanto maiil momento per tutti noi di dare il meglio, per quelche resta del giorno, ricordandoci che l’eredità nonsi trasmette, ma si conquista. La vera nobiltà pergli ebrei, e per tutti noi, non è essere superiori adun altro, la vera nobiltà è essere migliori di quelloche eravamo ieri.Fortunati noi che abbiamo potuto evocare le figuredi Irena Sendler o di David Rubinowic conl’animo sincero dei loro amici che gli stringevanoforte le mani leali. E permettetemi infine di ricor-dare le parole di una poetessa ebrea di lingua te-desca, Ilse Weber, che bramava una casa e una vitache le veniva negata, anche pensando a tutti quelliche la casa l’hanno perduta o non ce l’hanno:

“Cammino vagando per Theresienstadt,greve il cuore come piombo,finché brusco il mio tracciato termina,là accanto al bastione.Là ferma sul ponte,rivolgo lo sguardo alla vallata,quanto vorrei proseguire,quanto vorrei andare a casa.A casa – tu meravigliosa parola,tu mi gravi sul petto,me l’hanno portata via la mia casa,non ne ho più una ora.Mi volto affranta ed esausta,quanto affanno in quel gesto,Theresienstadt, Theresienstadt,ma quando avrà fine il dolore,quando saremo liberi di nuovo,quando potrò tornare a casa?

Certo è che per quanto riguarda la stella gialladegli ebrei forse sarebbe meglio portarne due, unaper obbligo e una per orgoglio.E così si avverano le parole che un grande comeVictor Hugo pronunciò nel 1848 nel discorso diapertura al congresso della Pace a Parigi: “Verràun giorno in cui si mostrerà un cannone nei museie le sue palle di cannone, come vi si mostrano oggigli strumenti di tortura stupiti che quello ungiorno sia potuto esistere”.Dopo l’entrata dello Shabbat si usa ripetere unacanzone di antichi cabalisti:andate in pace, angeli di pace,angeli dell’altissimoShalom aleichem:la pace sia con voi.

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Ilse Weber

La proclamazione del Regno d’Italia chiu-deva un periodo storico esaltante come ilRisorgimento e ne apriva un altro più diffi-

cile e decisivo per le sorti del nuovo Stato. Finitoil tempo degli eroismi, andava edificata la Na-zione. Raggiunta l’Unità territoriale, si doveva co-struire quella politica. In ultima analisi,parafrasando il D’Azelio, “fatta l’Italia, andavanofatti gli Italiani”. Compito non facile in un Paese con grosse dispa-rità, ad economia prettamente agricola, con milledialetti, tradizioni e costumi tanto diversi, in cuila ridotta viabilità favoriva l’isolamento geograficopiuttosto che l’integrazione. A completare il quadro l’analfabetismo, una verae propria piaga sociale, che in alcune parti del Me-ridione, in Sicilia in particolare, raggiungeva il90%. Fondamentale quindi il ruolo della Scuola per ilnuovo Stato, che estendeva all’intera Penisola lalegge Casati, la quale imponeva ai Comuni d’isti-tuire l’insegnamento elementare, obbligatorio egratuito per tutti. Saranno poi i decreti del Com-missario straordinario Gioacchino Pepoli a rimo-dellare in Umbria la macchina amministrativapontificia, per annullare quelli che indicava comei frutti del malgoverno clericale; con particolareattenzione alla scuola, pubblica e laica, cui lo Statosabaudo assegnava il compito di abbattere l’anal-fabetismo, diffondere la lingua italiana, costruirel’uomo e il cittadino. Anche Morro Reatino, piccolo comune del dipar-timento di Rieti, parte allora della Provincia di Pe-rugia, ebbe la propria scuola elementare, adispetto del magro bilancio e di un’economia ru-rale, che richiamava sui campi i maschi e tappavain casa le femmine, destinate alle faccende dome-stiche. In essa approdava, nel novembre del 1894,Guglielmo Miliocchi, giovane maestro perugino,che vi sarebbe rimasto per due anni scolastici. Fonte della notizia, con l’Archivio Storico comu-nale di Morro andato in parte a fuoco nei primianni ’80, una relazione della sottoprefettura di Pe-rugia. In essa si legge che Guglielmo Miliocchi“[…] quale insegnante a quelle scuole elementari[…] colà non ha dato luogo a lagnanze sulla suacondotta politica, attendendo con diligenza al suo

impiego senza curarsi più di far propaganda […]”.1

Da essa si capisce come lo stesso fosse controllatodalla Polizia politica, e non poteva essere altri-menti per chi, giovanissimo, aveva abbracciatol’ideologia repubblicana, istituzionalmente con-traria alla monarchia, s’era dimostrato particolar-mente attivo e dotato di carisma, con unapreparazione, che gli assicurava un certo seguito. A conferma in un’altra relazione si legge come“[…] appartenuto al disciolto circolo G. Oberdan,sia ora iscritto all’Associazione Repubblicano-so-cialista e al circolo anticlericale “Gesù Cristo” […]”. Appartenenze che confermano le convinzionipolitiche e il forte impegno sociale del Miliocchi,che unite al suo laicismo, ne mettevano in risaltola natura di massone. Iniziato nel 1901 a Perugia nella Loggia Guarda-bassi, compare tra i fondatori della “XX Giugno1859”,2 dove avrebbe ricoperto fino al ’21 la caricadi Oratore. Fu tra i primi ad accorrere nel Tempioprofanato dalla violenza fascista: a settembre del’43 partecipava alla ricostituzione della Loggia

GUGLIELMO MILIOCCHI

IL MAZZINI DI PERUGIA

di Sergio Bellezza

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Guglielmo Miliocchi

Guardabassi, Officina in cui si raccolsero i vecchimassoni perugini, che lo designarono nell’occa-sione 2° Sorvegliante. Nel R.S.A.A. raggiunse il33° grado a riprova della profondità dell’animo edella sua preparazione eroterica. Fu Maestro diMario Angeloni, caduto nel ’36 per la libertà dellaSpagna, e di Mariano Guardabassi, il ricostruttoredella massoneria perugina.Guglielmo Miliocchi era nato a Perugia il 12 set-tembre 1873, autentico “figlio del popolo”, in unafamiglia di artigiani e in quel Borgo Sant’Angelo,sempre ricco di fermenti e tensioni sociali. Educato dal padre, un tempo volontario garibal-dino, a quegli ideali patriottici, impregnati dallapiù schietta idealità mazziniana, scelse la stradadell’insegnamento in perfetta sintonia colla dot-trina del “Maestro”. Anche per lui la scuola costituiva il fulcro del-l’educazione nazionale e il maestro era investitodi funzioni civili, in una scuola in cui andavaescluso l’insegnamento della religione, perché,come ebbe a dire il G:.M:. della Massoneria ita-liana, Adriano Lemmi “[…] lo Stato forma il citta-dino e non il devoto”.3

S’andava affermando l’idea di una scuola laica, in-trisa di un forte anticlericalismo, di cui portatoreera il fronte dei partiti popolari, dove al compitod’istruire s’aggiungeva e si sovrapponeva quellodi educare all’ideale, al lavoro, al senso del do-vere.Una professione, quella docente, che diventavamissione e vissuta come tale dal Miliocchi, a di-spetto dello stipendio limitato, la poca considera-zione per il ruolo d’insegnante, il rischio dellicenziamento per motivi politici, in particolareper repubblicani, socialisti, anarchici, ritenuti“sovversivi” dal Governo nazionale. Rientrato a Perugia come supplente nelle scuoleelementari, tornava all’attività politica e intra-prendeva quella di pubblicista quale corrispon-dente del giornale repubblicano l’Italia delPopolo. Guardato con sospetto dall’ autorità scolastica,aveva manifestato nel 1897 simpatia per la spedi-zione di Ricciotti Garibaldi in Grecia e s’era poirifiutato d’associarsi alla commozione generale perl’assassinio di Umberto I, venne licenziato nel1901, dopo la condanna a quattro mesi di reclu-sione e 200 lire di multa, per aver festeggiato il 1°maggio e cantato in pubblico “l’Inno dei Lavora-tori”. Secondo Carlo Vibi “[…] Ebbero paura i rap-presentanti di un governo tronfio di apparenze evuoto di senso […] Ebbero paura dell’umile inse-gnante, piccolo e malconcio nel fisico, ma tantogrande di sentimento, di virtù, di azione […]”.4

Estromesso dall’insegnamento pubblico, spen-deva erudizione e capacità didattica nell’istruzionedegli adulti all’interno della Società di MutuoSoccorso e nei vari circoli popolari. Ad inizio secolo Miliocchi, superate le simpatieanarcoidi iniziali, trovava collocazione politica nelpartito Repubblicano, erede naturale delle dot-trine mazziniane, partito che lo chiamò ad incari-chi sempre più importanti, come quello diSegretario della Federazione umbra e di Consi-gliere comunale a Perugia. Del Maestro possedeva la fede e lo stile di vita, laconvinzione e l’intraprendenza; “[…] aveva peraula la strada e le piazze affollate dalle genti, cheascoltavano la sua parola […] pura e semplice, chescendeva nei cuori e convinceva […]”5. Punto diriferimento ed esempio vivente per tante genera-zioni di repubblicani, si meritò l’appellativo di“Mazzini di Perugia”.6

Tra il 1895 e 1901 venne arrestato più volte peraver distribuito nel 25° anniversario manifestiniinneggianti al XX settembre, fischiettato l’inno deilavoratori, tenuti comizi non autorizzati. Lo saràpiù volte il ventennio, schedato come “sovversivo”e sottoposto a carcerazione preventiva quando aPerugia arrivava un gerarca fascista o un espo-nente di governo. Nel 1901 fondava con Zopiro Montesperelli il set-timanale “Il Popolo”, organo dei repubblicaniumbro-sabini, di cui avrebbe assunto più tardi ladirezione, tinteggiandone le pagine colla passionedel politico e la forza del propagandista. Tre anni più tardi rappresentava il PRI al comiziodi protesta per i fatti di Innsbruck7, esternandosdegno per l’accaduto e cercando d’imprimerenella cittadinanza sentimenti d’amore e di pietàverso le terre irredente. Nel 1904 partecipava a Terni con Felice Cavallottial Congresso istitutivo della Federazione Nazio-nale della Gioventù Repubblicana, che si diedecome compito specifico la “preparazione rivoluzio-naria”. In analogia al Partito, che in alcune regionialle strutture ufficiali associava organizzazioni se-grete come la Carboneria o l’Alleanza repubbli-cana Universale, nasceva la “Giovane Italia”ispirata alla mazziniana “Falange Sacra”, con acapo Camillo Marabini e Miliocchi responsabiledella cellula segreta umbra.8

Nel 1906 si costituiva il Comitato per le celebra-zioni del Cinquantenario delle “Stragi di Perugia”,in cui ricoprì la carica di segretario. Composto perla maggioranza da fratelli, avrebbe portato tre annipiù tardi all’inaugurazione nei giardini del Fron-tone del monumento ai Caduti del XX giugno1859, opera dello scultore Giuseppe Frenguelli,

SAGGI 17

anch’esso massone. Eletto nel 1911 al Consiglio comunale, due annipiù tardi veniva candidato al Parlamento nazio-nale, in contrapposizione al moderato Gallenga. Scoppiata la Grande Guerra, si arruolava nella Le-gione Garibaldina, a difesa della Francia repub-blicana.Insieme a Massimo Duranti e Camillo Marabini,attraverso la Sardegna e la Corsica, dopo tante pe-ripezie raggiungeva Marsiglia e da qui Parigi. Dal ricordo di Claudio Spinelli recuperiamo unaneddoto carico d’umanità: “[…] Alla stazione diFontivegge ragazze offrivano fiori e abbracci ai vo-lontari perugini, giovani ed aitanti, in partenzaper Civitavecchia. Memmo, piccolo di statura emalfermo fisicamente, se ne stava in disparte se-duto accanto al finestrino […] Ad un tratto una ra-gazza gli si avvicina e ci fu un fiore e un abbraccioanche per lui […]”.9

I repubblicani, al di là di ogni nazionalismo, ve-devano nel nuovo conflitto l’occasione per rag-giungere i confini naturali e portare a compimentoil Risorgimento. Per questo i fratelli Garibaldi si sostituivano al-l’Italia ufficiale, ancora impastoiata nella Triplice.Speravano col loro esempio di provocare in Italiaun ripensamento delle alleanze, certi comunque,col loro sacrificio, di salvare agli occhi del mondoil buon nome della Nazione. Il disegno iniziale era quello di combattere coifrancesi nei Balcani, a fianco dell’esercito serbo,per risalire la Dalmazia e liberare Trento e Trieste. Dopo estenuanti trattative Peppino Garibaldi do-vette accontentarsi di combattere nelle Argonne,colla divisa della Legione straniera e senza camiciarossa, troppo visibile al nemico. A distinguere igaribaldini solamente un distintivo; solo piùtardi, riconoscendone il valore simbolico e laspinta psicologica, gli fu concesso d’indossare lagloriosa casacca, solo però sotto la giubba. Guglielmo Miliocchi ebbe i gradi di sergente evenne impiegato come portaordini. Teneva un dia-rio degli avvenimenti e spediva periodicamenteresoconti al suo giornale, che li pubblicava rego-larmente. Durante il periodo d’addestramentoscriveva “[…] Tra qualche giorno toccherà a me, lospero. Intanto sto benissimo; fatico molto, masono sano e contento. La Francia vincere e vincerà[…]”.10

“Il Popolo” pubblicava persino le sue lettere pri-vate, come quella inviata al vecchio mazzinianoGiovanni Polidori, in cui si legge tutto lo spiritodi sacrificio e l’abnegazione del garibaldino: “[…] sono mezzo finito, ma resisto ancora, mi sorreggela fede che la Francia deve vincere e vincerà!

Memmo”.11

A Novembre la Legione fu chiamata a sostituirenei boschi delle Argonne le truppe francesi logo-rate da un’estenuante guerra di trincea. Dopo una serie di scaramucce col nemico, il 26 di-cembre il primo vero conflitto a fuoco: un assaltoalla baionetta sotto il fuoco di sbarramento tede-sco, costato ai garibaldini 33 morti, 23 dispersi e105 feriti. Tra i primi anche Bruno Garibaldi, chein camicia rossa guidava i suoi all’attacco sotto ilfuoco implacabile delle mitragliatrici..Era il primodei Garibaldi a morire in battaglia ed unanime fuil cordoglio per la sua scomparsa e quella deglialtri volontari. Compreso L’Avanti! da sempre pa-cifista, che scriveva: “[…] Alcuni crisantemi ca-dranno anche da mani socialiste sulla grande fossadei garibaldini […] facciamo il saluto delle armiall’ideale […] I caduti delle Argonne hanno datoil crisma del loro sangue alla bella dignità, alla na-tura idealistica della loro impresa guerresca”.12

Il 6 gennaio i solenni funerali a Roma, con nonmeno di 2.000 persone in corteo e grappoli umanisui tram, sui lampioni, sui tetti. Uno spettacolo –a detta della stampa - commovente e grandioso.13

Intanto Miliocchi scriveva “[…] abbiamo qualchegiorno di riposo. La morte l’ho veduta a tu per tu,mi ha risparmiato, ma non ha risparmiato pur-troppo parecchi dei nostri amici […]”.14

Il 5 gennaio i volontari tornavano all’assalto. Ilpiano prevedeva che attaccassero dopo lo scoppiodi una mina. Non s’era ancora spenta l’eco del-l’esplosione, che erano già balzati tra le file nemi-che, sbaragliandole con violenti corpo a corpo efacendo 120 prigionieri. Si guadagnano così l’am-mirazione del gen. Valdant “[…] Questi garibal-dini sono meravigliosi […]”, ma anche deitedeschi, che sarcasticamente si facavano beffa deifrancesi “[…] Ci vogliono gli italiani, voi […] nonsareste stati capaci di prenderci […]”. Pesanti ancora una volta le perdite: 47 morti, 240circa i feriti, 108 i dispersi. Tra questi GiuseppeChiostergi, che, creduto morto, venne addiritturacommemorato nella sua Senigallia. Tra i cadutiLamberto Duranti, segretario della sezione repub-blicana di Perugia e “fratello” della XX Giugno1859, che all’indomani del 26 dicembre, in unalettera a Pubblio Angeloni, aveva scritto: “Cisiamo battuti da veri leoni […] Sono veramentevivo per miracolo. Il diavolo non m’ ha voluto consé. […] Presto riattaccheremo: forse domenica.Sarò ancora fortunato? Ci credo poco ma [...]avanti! […]”.15

Il 5 gennaio cadeva anche Costante Garibaldi. Nel1912 aveva combattuto a Drisco, a per la libertà

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SAGGI 19

Corriere della Sera, I grandiosi funerali di Bruno Garibaldi a Roma, 7 gennaio 1915.

della Grecia. Si stabiliva poi Terni, dove “dava ilproprio nome alla Gioventù repubblicana e allalocale Loggia massonica”. Impiegato alle Acciaie-ria, nell’agosto del ‘14 accorreva in Francia, distin-guendosi come Maresciallo nell’inquadramento eassistenza ai volontari. L’ultimo assalto l’8 gennaio all’Abri de l’Etoile,contro un nemico dieci volte più numeroso, ricac-ciandolo sulle posizioni di partenza e liberando iresti del 46° reggimento transalpino, rimasti ac-cerchiati dai tedeschi. Ancora una volta pesanti leperdite, 15 morti, 54 feriti, 42 dispersi, ma tantala gloria e grande la riconoscenza dei francesi, cheinsignivano della Legion d’Onore Peppino Gari-baldi e decoravano i più coraggiosi tra i garibal-dini. Tra questi Ricciotti jr, il capitano Evangelistie il tenente Marabini. L’eco delle loro gesta arrivava anche in Italia, doveuna stampa di parte l’aveva dipinti come “avven-turieri” e “mercenari mangia gavette”. Ora nelclima interventista, che andava montando, diven-tavano “i precursori, la legione “La rossa avan-guardia delle Argonne”, il sangue versato“prefigurazione di un’Italia più bellicosa e po-tente”.16

Il 6 marzo la Legione era sciolta. Cominciava pergli italiani il richiamo alle armi e il ministro dellaGuerra francese restituiva la libertà ai Volontari. All’ingresso dell’Italia nel conflitto ai reduci delleArgonne fu concesso d’arruolarsi nella BrigataAlpi, erede di quei “Cacciatori ” di risorgimentalememoria, che avevano combattuto col Nizzardonella II guerra d’indipendenza. Per questo nelgiugno del ’15 i fratelli Garibaldi si portarono aPerugia, sede del 51° Reggimento, dove la sera del16 nella Guardabassi venne iniziato in Massoneriail giovane Ezio e regolarizzati gli altri come “liberimuratori”.Guidati ancora da Peppino Garibaldi, dal ‘17 co-mandante della Brigata, e con i fratelli Ricciotti jr.,Sante ed Ezio, a capo di compagnie e battaglionidella stessa, rinnovavano il loro impegno di lottae di sangue, distinguendosi in particolare nellaconquista del Col di Lana e ancora sul fronte Oc-cidentale. Miliocchi, scartato per la sua menoma-zione, ottenne di andare al fronte a scavare trinceesul Carso. Tornato dal fronte, costituiva all’indomani di Ca-poretto, con i vari Angeloni, Illuminati, Andreani,Agostini, Bellucci, Silvestrini, Montesperelli, tuttimassoni, il Comitato di Propaganda Patriottica.Coi vari Giuseppe e Terzo Bellucci, Decio Lelmi,Alfredo Baduel, Ulisse Rocchi promosse poi il Fa-scio di Propaganda e Resistenza, chiamando conesso “[…] gli uomini di tutti i partiti e di tutte le

fedi riuniti ad agire nella concordia sacra […] pertenere ben alto il più fiero ideale […] come il san-gue sparso e gl’inumani sacrifici compiuti non de-vono essere vergognosamente dimenticati […]”.17

Toccherà a Lui, avvolto nel suo pastrano nero ecoll’anacronistico fiocco al collo, annunciare allacittà, dalla Loggia della Vaccara, la fine del con-flitto e la sospirata vittoria. Tornato a dirigere “Il Popolo” e a sedere in Consi-glio comunale, Miliocchi come “reduce e sovver-sivo” era sottoposto a stretta vigilanza. Lo saràanche sotto il fascismo, come “repubblicano emassone”: Patirà rappresaglie, umiliazioni e car-cerazioni, che non gl’impediranno di parteciparealle riunioni massoniche in casa del fratello Sca-picci a Ponte Rio, o aderire alla vendita carbonara,costituita da quelli della Concordia. S’avvicineràpoi al cenacolo di Aldo Capitini, da cui sarebbegermogliato nel ’36 a Perugia un embrione di Co-mitato antifascista. Costretto più volte a cambiare di casa, condurràper tutto il ventennio una magra esistenza, man-tenendosi con lavori saltuari e rifornendo di gior-nali le edicole cittadine. “[…] Tanti ricordanod’averlo visto chino sotto pacchi di carta salire af-fannosamente le scalette di Sant’Ercolano per por-tare i giornali appena arrivati dalla stazione diSant’Anna a via della Gabbia […]”. Il XX giugno del ’43 l’arrivo a Perugia degli Al-leati; il loro ingresso da porta S. Pietro, proprionella ricorrenza delle “stragi”, si sovrapponeva aquello degli svizzeri nel 1859 e collegava ideal-mente la lotta dei perugini al papato con quella diliberazione. L’indomani l’Allied Military Gover-nment, dimostrando la propria considerazione perla Massoneria, nominava Fausto Andreani sin-daco, Luca Mario Guerrizio questore, VerecondoPaoletti vice-prefetto, Mariano Guardabassi e Gu-glielmo Miliocchi Consiglieri comunali. Toccavaa quest’ultimo annunciare ai perugini la ritrovatalibertà, a rappresentare poi il PRI nel comitato cit-tadino, incaricato di riposizionare nell’antica si-stemazione quella lapide a Francisco Ferrer, chenel 1913 con un vibrato e applauditissimo di-scorso aveva consegnato al popolo perugino. Nel ’46 il referendum e la nascita della Repub-blica: il sogno di una vita per un mazziniano comeGuglielmo Miliocchi; Repubblica matrigna, che loavrebbe tenuto sotto stretta sorveglianza fino al-l’aprile del ’55, quando nell’ultimo rapporto silegge “[…] ex insegnante elementare […] dibuona condotta in genere […] a suo carico non siprefigurano pregiudizi penali […]” 18. Rieletto nel ’46 in Consiglio comunale, v’era ri-masto fino all’anno prima, rispettato e stimato da

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amici e avversari per la dirittura morale e la coe-renza politica. Doti che gli valsero la presidenzadel Circolo della Stampa di Perugia e il ricono-scimento di Cavaliere al merito della RepubblicaItaliana.Ormai anziano, visse gli ultimi anni in dignitosapovertà, circondato dall’affetto di discepoli, com-pagni di partito, estimatori e borghigiani. Si spe-gneva all’alba del 14 dicembre 1958, nella suacameretta di Corso Garibaldi, dopo qualchegiorno di malattia, assistito amorevolmente dagliamici Luigi Antonelli, Victor Ugo Bistoni e Au-gusto Mori. Sulla sua tomba l’ epigrafe “Ho vis-suto e muoio nelle fede di Giuseppe Mazzini”.Esempio d’onestà e campione di ideali, Gu-glielmo Miliocchi è rimasto a Perugia nel cuoredi fratelli e profani, cui lo ricordano una via nellazona di Prepo e una Loggia massonica. Nel 25°anniversario della scomparsa è stato pubblica-mente commemorato dall’on. Randolfo Pacciardi,l’amico e compagno di tante battaglie politiche;la Società di Mutuo Soccorso ha coniato una me-daglia in bronzo colla sua effige e fatto poi ap-porre a ricordo una lapide in Corso Garibaldi136. Oggi, a sessant’anni dalla scomparsa, un mo-numento da parte dell’Associazione che ne portail nome. Un’idea che prende spunto dai busti delPerugino, di Aldo Capitini e Guglielmo Calderiniin bella mostra nei giardini Carducci, dimostra-zione di come nel capoluogo umbro “fatti e per-sonaggi si facciano Cultura, Tradizione eStoria”19.Sarà collocato nei giardini del Frontone, teatrodelle Stragi del XX giugno, luogo simbolo dellaPerugia laica e sistemazione ideale per un repub-blicano e garibaldino come Guglielmo Miliocchi.Ancor più per il Massone, il cui ricordo verrà ce-mentato da “Parole di Pietra”.

Bibliografia

Sergio Bellezza, I garibaldini da Mentana alle Argonne, As-sociazione Garibaldina Pietro Faustini, Terni, 2016.Ugo Bistoni, Paola Monacchia, Due secoli di Massoneria aPerugia e in Umbria, Editrice Volumnia, Perugia, 1975.Eva Cecchinato, Camice Rosse, Editori Laterza, Bari,2011.Gianluca D’Elia,Miliocchi e il suo tempo, Segni di Civiltà,Sovrintendenza archivistica dell’Umbria, Società diMutuo Soccorso di Perugia, Perugia, 2012.MASSONICAmente, La Rossa Avanguardia delle Argonne,Laboratorio di Storia del Grande Oriente n.3 Mag-Ago2015.

Note1 Relazione del Sottoprefetto alla Questura di Perugiadal titolo ”Miliocchi Guglielmo maestro elementare a MorroReatino” in ASPg, Questura di Perugia, 1895, apr. 30,c. 142r. 2 Officina nata nel 1909 per gemmazione dalla Guar-dabassi nel cinquantenario delle “Stragi di Perugia”.3Citazione del G:.M:. della Massoneria nel ConvegnoNazionale di Milano del 1882. 4 Ugo Bistoni Paola Monacchia, Due Secoli di Massoneriaa Perugia, Editrice Volumnia, Perugia, 1975, pag. 559. 5 Vedi nota 2.6 Gianluca D’Elia, Guglielmo Miliocchi Il Mazzini di Peru-gia,https//cronologia.leonardo.it/biografia2/miliocc.htm, ultima consultazione 16.09.2018.7 scontri di carattere nazionalista e anti italiano, pro-vocati da studenti austriaci, contrari all’apertura diuna facoltà italiana presso l’università diInnsbruck.(N.d.A.)8G. Chiostergi, Diario Garibaldino e altri scritti e discorsi,a cura di E. Pussi Chiostergi e V. Parmentola, Milano,A.M.I., 1965, pag. 8.9 Gianluca D’Elia, Miliocchi e il suo tempo, Segni di Ci-viltà. Quaderni della Sovrintendenza archivisticadell’Umbria, Perugia, 2012, pag. 78-79.10 Ivi, pag. 76.11 Ibidem.12 F. Ciccotti, Quelli che hanno pagato di persona, Avanti!2 gennaio 1915.13 Corriere della Sera, I grandiosi funerali di Bruno Gari-baldi a Roma, 7 gennaio 1915.14 Gianluca D’Elia, Miliocchi e il suo tempo, Cit., pag. 76.15 Ugo Bistoni, Paola Monacchia, Cit., pag. 375.16 Eva Cecchinato, Camicie Rosse, Edizioni Laterza, Bari,2011, pag. 306.17 Ugo Bistoni Paola Monacchia, Cit., pag. 559.18 ASPg, Questura di Perugia, 19 N.d.A.

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Seguire la via della massoneria speculativanon significa rinchiudersi in una torred’avorio ma, al contrario, impegnarsi nel-

l’attuazione a livello sociale dei principi che ispi-rano il nostro percorso di miglioramento eperfezionamento interiore. La scelta dell’argo-mento trattato in questa tavola deriva dalla neces-sità di offrire spunti di riflessione a chierroneamente ritenga che il nostro lavoro restiesclusivamente circoscritto al rituale d’officina etra le pareti del tempio. Non è così. L’iniziazionemassonica deve condurre, infatti, in quanto tale,a vedere nell’intera società la prosecuzione deltempio, l’ambito in cui operare effettivamente peril bene dell’umanità. Se si legge attentamente econ mente aperta il rituale ci si rende conto che ildivieto di parlare di politica e di religione all’in-terno di una tornata si riferisce giustamente allamodalità profana con cui certe tematiche rischianodi essere affrontate. Ciò non ci esula dal conside-rare in un’ottica radicalmente differente, cioè ini-ziatica, elementi di carattere politico secondoquanto c’insegna la storia della massoneria uni-versale. Ci si può e ci si deve, quindi, volgere allapolitica non per restare prigionieri di ristretti oriz-zonti ideologici ma, al contrario, con l’intento direndere effettuali i nostri principi ispiratori, i no-stri ideali di tolleranza, uguaglianza, fratellanza,libertà. In questa direzione, non ci si può non ac-corgere come i principi massonici costituiscano ilmigliore e più efficace antidoto alle derive di ca-rattere involutivo che affliggono lo scenario at-tuale. Tra queste, una delle peggiori è quellaantieuropeistica, che fa il paio ad una visione po-litica e sociale egoistica, sciovinistica, razzista, pe-ricolosamente riduttiva e autarchica. La prefigurazione di un’Europa unitaria e federa-listica, riconducibile, nelle sue diverse articola-zioni, alla realizzazione degli Stati Uniti d’Europa,ha sempre animato l’impegno massonico. I suoiprodromi si riscontrano nel pensiero illuminista.La rapida diffusione, nel Settecento, delle loggenei vari paesi del continente europeo, con la

spinta proveniente dal fermento costituzionale av-viato in America da Benjamin Franklin, contribuìsenza dubbio ad arricchirne l’elaborazione. Nel suo Progetto per una pace perpetua, Kant auspicò,nel 1795, una federazione di liberi stati che garan-tisse, tra l’altro, la libera circolazione di ogni cit-tadino insieme al diritto all’ospitalità per glistranieri. Hegel andò oltre il filosofo di König-sberg prospettando la creazione di una sovranitàsovranazionale. Wolfgang Goethe, a sua volta, cheera stato testimone delle guerre prussiane controNapoleone, vedeva nel nazionalismo l’humus piùadatto per alimentare l’odio fra i popoli. Il soprav-vento, con il congresso di Vienna del 1815, dellaRestaurazione, nonostante la sanguinaria morsarepressiva, non riuscì ad impedire che le istanzeinnovative si radicassero nell’opinione pubblica.

STATI UNITI D’EUROPA,NON UTOPIA MA IMPEGNO MASSONICO

di Francesco Pullia

Busto di Hugo all'Assemblea nazionalefrancese con estratto dal suo discorso del 1849

E quando, dopo lungo periodo persecutorio, lelogge ripresero vita e vigore, l’ideale di un’Europaunita mostrò d’essere particolarmente avvertitosoprattutto tra i nuovi ceti sociali e intellettuali. Nel 1834, in un periodo storico particolarmentetumultuoso, Giuseppe Mazzini aveva dato im-pulso, nell’esilio svizzero, alla “Giovine Europa”,associazione segreta fondata insieme ad altri esuliitaliani, polacchi e tedeschi. Era convinto che glianni della trascorsa rivoluzione francese avesserolasciato un segno indelebile, proiettando l’uomoverso un avvenire di libertà, eguaglianza, fratel-lanza. Sosteneva che un’epoca nuova si stesse af-facciando, con un’Europa di popoli liberi,indipendenti, accomunati dagli ideali di libertà eeguaglianza e affratellati nonostante l’esistenzadei singoli stati. Mazzini subordinava profetica-mente il concetto di patria a quello più ampio diumanità, nella convinzione che la stessa nazionedovesse essere superata da una “federazione” trapopoli europei che non solo avrebbe contribuitoad allentare e rimuovere le tensioni internazionalie curato le piaghe dei nazionalismi ma avrebbe so-stenuto lo sviluppo dei popoli più poveri.Come lui, anche Carlo Cattaneo - che, di solidamatrice liberale, guardò con grande interesse aglistati federalisti d’America e della Svizzera - arrivòa scrivere che ci sarebbe stata vera pace solo se equando si fossero costituiti gli Stati Uniti d’Eu-ropa. In un celebre discorso, pronunciato il 21 aprile1901 in occasione dell’inaugurazione della sedemassonica di Palazzo Giustiniani, Ernesto Nathan,sindaco di Roma e Gran Maestro del GrandeOriente d’Italia, riecheggiando le voci di Giu-seppe Mazzini, Carlo Cattaneo, Giuseppe Gari-baldi, Cesare Beccaria, Camillo Benso conte diCavour, affermò che noi massoni “siamo il germe deivagheggiati Stati Uniti d’Europa, e ritenendo insufficientequel territorio, guardiamo più in là, oltrepassiamo i marie, nei vincoli di fratellanza, abbracciamo quanti popoli ci-vili abitano il globo. Siamo noi – continuò – che, innome di quel principio di fratellanza, abbiamo iniziato,spinto innanzi il movimento per la pace e l’arbitrato, chenel suo lento incedere, contrastato dagli interessi dei po-tentati, conquista ogni giorno terreno e finirà, quando chesia, per trionfare”. Nel 1923 il conte austriaco Richard Nikolaus Ei-jiro Graf Coudenhove-Kalergi, iniziato due anniprima alla Massoneria nella loggia “Humanitas”di Vienna, pubblicò un pamphlet significativa-mente intitolato Paneuropa in cui difendeva appas-sionatamente la realizzazione dell’unità europea.Si tratta di un’opera anticipatrice che, tra le dueguerre, influenzò personalità come Konrad Ade-

nauer, Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Win-ston Churchill. “L’avversario più chiassoso dell’Europa– denunciava l’autore – è in tutti i paesi lo sciovinismonazionalista che vede nel paneuropeismo l’accerchiamentodella propria nazione, che brandisce il rischio della dena-zionalizzazione e che protesta contro ogni abbandono dellasovranità nazionale”. E, ancora, constatava che “lostato singolo quale si è costituito nel corso dei secoli, è di-ventato troppo piccolo per conservare un’esistenza indi-pendente”. Persistendo nella sua frammentazione,il Vecchio Continente sarà sempre più “impoverito,minacciato, marcio e meschino”, i suoi stati “si rovine-ranno come pizzicagnoli che vogliano separatamente farconcorrenza a dei trust”. Su questa base il francese Aristide Briand proposenel 1929, a Ginevra, alla Società delle Nazioni, unprogetto di Unione Paneuropea con lo scopo diimpedire un nuovo conflitto mondiale. Nel 1925, nel suo Praktischer Idealismus, Couden-hove-Kalergi aveva delineato il continente euro-peo come multietnico e multiculturale, una vera epropria federazione di stati, appunti gli Stati Unitid’Europa. Fu sempre lui a lanciare l’idea, concre-tizzatasi nel 1952, della Comunità europea del car-bone e dell’acciaio e a suggerire nel 1929l’adozione come inno europeo dell’Inno alla gioiadi Friedrich von Schiller musicato da Ludwig vanBeethoven. Fu inoltre autore nel 1930 della pro-posta di celebrazione, nel mese di maggio, dellagiornata europea. In seguito all’Anschluss nazistadel 1938 fu costretto a rifugiarsi in Svizzera dadove partì per gli Stati Uniti d’America. Insegnòall’Università di New York. Tornato, alla fine dellaguerra, in Svizzera, ideò nel 1947 il primo franco-bollo europeo e fondò nel 1948 l’Unione Parla-mentare europea da cui nasceranno, dopo ilCongresso dell’Europa a L’Aia del 1948, il Consi-glio d’Europa e il Parlamento europeo. Intanto,nel 1941, nel confino imposto dal regime fascistaa Ventotene, due uomini straordinari come AltieroSpinelli ed Ernesto Rossi, con l’apporto di Euge-nio Colorni, ispirati da un libro scritto da LuigiEinaudi con lo pseudonimo di Junius e pubbli-cato circa vent’anni prima, elaborarono Il Manifestodi Ventotene, un documento fondamentale, cui nonsono di certo estranee influenze massoniche, chetraccia le linee guida dell’Unione europea. I tre in-tellettuali laici riuscirono a prevedere la caduta deipoteri totalitari e auspicarono che, dopo le espe-rienze traumatiche della prima metà del Nove-cento, i popoli riuscissero a fermare manovreconservatrici e restauratrici attraverso una forzasovranazionale europea con un governo deciso daelezioni a suffragio universale. Il disegno di un’Europa unita nasce, dunque, dal

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recepimento degli ideali massonici. Probabil-mente anche due padri dell’Unione europea comeJean Monnet e Robert Schumann erano massoni.Entrambi erano fermamente convinti che l’Europasarebbe stata davvero unita quando avesse avutouna politica estera comune e un unico esercito. LaConvenzione per la salvaguardia dei diritti del-l’uomo e delle libertà fondamentali, firmata aRoma nel 1950 ed entrata in vigore nel 1953, laconvenzione internazionale di Schengen, sotto-scritta nel 1990 ed entrata in vigore cinque annidopo, la Carta di Nizza del 2000, lo stesso trattatodi Lisbona del 2007 attestano chiaramente in-fluenze massoniche. Sono espressione di un processo non ancora con-cluso che ci auguriamo culmini in un’entità tran-snazionale, sovranazionale, che garantisca aicittadini, non soltanto europei, libertà, pace,uguaglianza nel rispetto di ogni diversità. In un articolo uscito lo scorso anno sul Corrieredella Sera1, Maurizio Ferrera si è chiesto se la di-saffezione nei confronti dell’Europa così tantosbandierata da schieramenti populistici e reazio-nari sia davvero così estesa, profonda, irreversi-bile come si vuole far credere. I risultati di unrecente sondaggio d’opinione condotto in settePaesi membri (Italia, Spagna, Francia, Germania,Regno Unito, Polonia e Svezia) attestano chel’Unione europea può ancora contare su un largosostegno diffuso. Gli euroscettici fanno, certa-mente, sentire la propria voce: il 20% del cam-pione crede che l’Unione europea sia ormai «unanave che affonda» (con punte superiori al 30% nelRegno Unito e – attenzione - in Francia).Una quota più ampia di elettori (il 23,8% inmedia; in Italia il 38%) si colloca però all’estremoopposto e considera l’Unione europea come «casacomune» di tutti gli europei. E un altro 30% lavede, quanto meno, come «un condominio». Ognipopolo ha il suo appartamento, ma su molte cosesi decide insieme. Esiste un fondo per le spese co-muni e le emergenze. Su alcuni temi specificiemerge una inaspettata disponibilità all’aiuto re-ciproco. Ad esempio, una schiacciante maggio-ranza (77%) si dichiara a favore di un fondoeuropeo che aiuti i Paesi in difficoltà a combatterela disoccupazione e il 90% ritiene che sia compitodell’Unione europea fare in modo che nessun cit-tadino rimanga senza mezzi di sussistenza.“Un’Europa meno ossessionata dai decimali di deficit epiù attenta alla dimensione sociale”, ha scritto Ferrera,“potrebbe riguadagnare consensi persino fra i sovranisti”.La maggioranza filo-europea ha idee chiare anchesulla controversa questione della immigrazione edell’accesso al welfare. Il 43% si dichiara contro

ogni discriminazione nei confronti dei residentistranieri, anche extracomunitari. Un altro 38% da-rebbe priorità ai cittadini dell’Unione. Meno del20% è «nativista», ossia a favore della chiusuradei confini («prima noi» o «solo noi», come pur-troppo mi è capitato di leggere, non senza disagioe profonda amarezza, sui social network persinoin alcuni post, sui social network, di qualche fra-tello). Che succederebbe, dunque, in caso di un referen-dum sull’uscita dalla Ue? Con buona pace deglieuro-pessimisti, nei sei Paesi coperti dal sondag-gio (Regno Unito escluso, ovviamente) nette mag-gioranze voterebbero per rimanere: in Germaniail 75%, in Spagna il 74%, in Polonia il 72%,in Ita-lia il 63%, in Svezia e in Francia il 57%.C’è una consistente base sociale ed elettorale perrilanciare il progetto europeo. Quello che, invece,manca clamorosamente – come ha annotato Fer-rera - è un’offerta politica capace di rappresen-tarlo: “L’Unione europea rischia oggi di affondare perchéle sue élite non riescono a elaborare una proposta alter-nativa al sovranismo, da un lato, e all’austerità fiscale,dall’altro lato. Si tratta di un pauroso deficit di idee, diiniziativa, di responsabilità, che pagheremo tutti moltocaro condannando i nostri figli a vivere in una piccola Eu-ropa divisa, irrilevante sulla scena globale e impoveritasul piano economico e sociale”. Speriamo che la sag-gezza e l’impegno di noi massoni prevalgano. Neva del nostro futuro e soprattutto di quello dellegenerazioni che seguiranno.

1 M. Ferrera, C’è ancora voglia d’Europa ma non va tradita,Corriere della Sera, 3 febbraio 2017.

MassonicaMente n.13 - Sett./Dic. 201824

Ricordo da piccolo, avrò avuto all’incirca 6 anni,quando questo signore dall’aria distaccata miprese sulle gambe e mi disse: “sei nato nel Drago,devi farne parte, ci penso io…”. Era una di quellesere in cui con la moglie venivano a cena a casamia, con loro spesso erano presenti anche i miei“zii” Giordano e Giuseppina Angiolini. A queltempo non avrei mai potuto capire che quel si-gnore così gentile con me era proprio il sindacodella mia città. Solo molti anni dopo lo ritrovai frale colonne della Loggia massonica senese “Arbia”che mi accolse poco più che ventenne. Al mo-mento rimasi stupito di vederlo; già da un po’ ditempo frequentavo alcuni Fratelli di quella Loggiae nessuno mi aveva detto nulla, Canzio men chemai. Mi abbracciò e fu in quell’istante che rico-nobbi nei suoi occhi quella luce che avevo vistotre lustri prima e ricordai la sua gentilezza.Nell’adolescenza talvolta mi era capitato di an-darlo a trovare a casa, dove la moglie Elisa mi ac-coglieva sempre festosamente: con i miei ilrapporto di amicizia non era mai cessato neglianni.Con l’esperienza maturata, avrei dovuto immagi-narlo, uno come Canzio non poteva che esseremassone e per giunta un ex Maestro Venerabile…Mai sopra le righe, uomo attento, acuto osserva-tore, mai invadente, si metteva ad ascoltare fino ache nei momenti di pausa interveniva con acume;non privo di autoironia, sapeva sempre quando ecosa rispondere a chi erroneamente pensava chela sua innata umiltà e riservatezza fossero segni didebolezza. Era un politico si, ma soprattutto unuomo dietro il cui aspetto serio e pacato celava illato più affettuoso ed amicale. Lo ricordo ancoraridere, con la sigaretta sempre in mano e la vocebassa e profonda dei fumatori più accaniti.Sebbene Canzio avesse per ben due volte rico-perto la massima carica cittadina, nel ‘68 per pochimesi e dal ‘74 fino al ’79, non si era mai dimenti-

cato le proprie origini, aveva saputo fare moltastrada nella vita. Da Massa Marittima, un piccolocomune molto importante nel territorio marem-mano, sede vescovile dall’XI sec. e con un grandeospedale che un tempo serviva una vastissimazona, era arrivato quarantenne a Siena e come SanBernardino, sei secoli prima, ha saputo lasciare lapropria impronta nella storia di questa città.“Canzio Vannini - ricorda il compagno di partito BenitoGuazzi - non era uno zar, non era un leader vistoso, masapeva ascoltare il prossimo, sapeva dialogare con tutti,

CANZIO VANNINI:UN MASSETANO ALLA GUIDA DI SIENA

di Gianmichele Galassi

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Il seguente contributo, pubblicato col permesso dell’editore, fa parte del volume (pag.345 e segg.):Giovanni Greco (a cura di), “Maestri per la città. I sindaci massoni nel Novecento.”, edito da Bonanno Editore,pp. 524 (40€).

Canzio Vannini, 1977

IL RIORDINO DELLA MEMORIA 27

Aculeo, periodico della Contrada dell’Istrice, articolo “Un francobollo per il Palio”, 1981.

era semplice e paziente”. E della sua disponibilità qual-cuno abusava. Infatti il telefono di casa Vannini squillavain continuazione anche la sera. La sua abitazione era unpunto di riferimento per i cittadini, al di là dell’ufficio delpalazzo comunale. […]“Un giapponese uno che non ha mai smesso di professarela sua appartenenza politica anche nei momenti difficili,perché credeva nella libertà, nell’uguaglianza, nella soli-darietà, valori che non saranno mai antiquati o superati”1

Riguardo alla sua carriera politica a Siena, con-viene ricordare che “Il socialista Canzio Vannini,dopo le elezioni del 17 novembre 1968, tentò unagiunta di centro-sinistra ma con una maggioranzainstabile. Dc e Psi avevano infatti 20 seggi, Pci ePsiup 19 e 1 il Msi. Vannini si dimise nel giugno1969;”2. Poi dopo il mandato di Barzanti delPSIUP, viene di nuovo eletto sindaco e questavolta porterà il mandato a termine. Poco dopo,Vannini di concerto con l’assessore all’urbanistica,da incarico all’arch. de Carlo di progettare il quar-tiere di San Miniato che, fra l’altro, oggi ospita ungrande centro didattico dell’Università, dando cosìil via allo sviluppo della periferia cittadina.E’ poi proprio il sindaco Vannini, il 24 ottobre1976, ad inaugurare il nuovo Palasport di Sienache ancora oggi accoglie i tifosi della squadra diBasket della Mens Sana che al tempo si chiamava“Sapori” prendendo il nome dalla nota ditta dol-ciaria della città.Una curiosità che pochi sanno e ricordano che diCanzio Vannini parlò anche il New York Times3 aproposito di un’ordinanza che il sindaco avevaemesso contro i piccioni per debellare una formadi salmonella pericolosa per i cittadini di Siena.Infine… “Lo ricorda Massimo Lenzi, alla commemora-zione in Comune nel 2001, anno in cui Canzio ci ha la-sciato: “Un sabato mattina nel periodo della pubblicazionedelle liste, passeggio con il distintivo della massoneria al-l’occhiello della giacca. Incontro Canzio davanti all’edicoladi piazza Salimbeni. Vede il distintivo e mi sorride: “Vaivai con questo affare, vedrai che ti succede”. Poi mi prendea braccetto e dice: “Bravo. Ci vuole gente capace di soste-nere le proprie idee”. E mi offrì un caffè. E parlando diquelle liste disse che si sarebbero rivelate un autogol, chequando avranno visto chi siamo, capiranno e le cose cam-bieranno. Il tempo è galantuomo”. Fu facile profeta. Qual-che tempo dopo, sul quotidiano La Nazione l’alloraarcivescovo Gaetano Bonicelli scrive che “la massonerianon è il diavolo” e l’amministrazione provinciale, insiemealle logge massoniche senesi, porta aiuti alle popolazionimartoriate del Kosovo. Qualche barriera era caduta.Anche grazie a massoni come Canzio Vannini, uomo diprofonde qualità umane che seppe mostrare ogni giornonella attività di amministratore pubblico. Come quando,

da sindaco, nel ‘77, non esitò a frapporsi fisicamente aicontradaioli di Oca e Torre in uno dei ricorrenti tafferugli.Si fermarono per rispetto al primo cittadino che era scesoin pista.”4

Infatti, come si intuisce all’inizio di questo scritto,Canzio era un contradaiolo del Drago, dove fueletto anche Capitano nel 1980, poco dopo la finedel mandato da Primo Cittadino. Sempre fu pre-muroso riguardo la tradizione senese: presente epuntuale nell’ascoltare ciò che la città gli chie-deva. Basti fare riferimento a quanto riportato dal-l’Aculeo, il periodico della Contrada dell’Istrice,nell’articolo “Un francobollo per il Palio” nel1981, proprio per l’occasione di una emissionecommemorativa: “La voce […] venne raccolta di buongrado dall’allora sindaco Canzio Vannini, il quale, sempreattento e particolarmente sensibile a tutte le aspirazionicontradaiole, si adoperò fattivamente, riuscendo ad otte-nere la promessa per l’emissione (per la prima volta,ndr), in occasione di qualche ricorrenza commemorativa,di un francobollo del Palio.”Infine, non si può negare che per tutti quanti loabbiano conosciuto, amici, rivali5 o semplici cit-tadini che fossero, Canzio ha sempre rappresen-tato un esempio su valori quali il rispetto per leidee altrui, l’umiltà nell’agire e il dovere del pub-blico servizio.

Note1 S. Bisi, Sindaci in bianco-nero. Appunti di un cronista,ePub, Betti Ed., Siena, 2012, p. 23.2 A. Cardini. Socialisti e socialismo a Siena. Dalla liberazioneal centro sinistra (1945-1969). Riv. Storia e Futuro, Vol. 19,2009.3 “Condemned Pigeons of Siena Are Given a New Lease onLife”, The New York Times, 10 Aprile 1977, p. 4. (fonte:https://www.nytimes.com/1977/04/10/archives/con-demned-pigeons-of-siena-are-given-a-new-lease-on-life.html)4 S. Bisi, op. cit., 2012, p. 24.5 Trent’anni dopo Aurelio Ciacci, che è stato parlamentare co-munista, confessa: “Canzio era certamente un moderato ma eraanimato da un senso di concretezza: anche nel breve periodo incui aveva guidato la giunta di centrosinistra aveva curato la cor-rettezza dei rapporti con l’opposizione comunista. Vannini nonera il diavolo ma una persona con cui si poteva ragionare”. (S.Bisi, op. cit., 2012, p. 26)

MassonicaMente n.13 - Sett./Dic. 201828

Allegoria della Storia e suo trionfo sul tempo (1772)Affresco di Anton Raphael Mengs, Camera dei Papiri, Musei Vaticani