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1 MONTAN AGOSTINO LA CHIESA PARTICOLARE STRUTTURE E MISSIONE ------------------------------- Materiali per lo studio --------------------------------- Ristampa Roma 2017

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MONTAN AGOSTINO

LA CHIESA PARTICOLARE STRUTTURE E MISSIONE

------------------------------- Materiali per lo studio

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Ristampa

Roma 2017

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LA CHIESA PARTICOLARE: STRUTTURE E MISSIONE

Il corso approfondisce uno dei fatti più importanti del concilio Vaticano II, la riscoperta della Chiesa particolare.

Dopo un rapido excursus storico sul ricupero del plurale “le Chiese” passato da secoli in secondo ordine, sono studiati i testi conciliari che fanno riferimento alla Chiesa particolare (SC; LG; OE; UR; CD; AG). Individuati i parametri fondamentali della Chiesa particolare, viene approfondita la sua incarnazione storica e quindi la sua configurazione canonica nella diocesi e nelle altre figure assimilate.

L’attenzione è, poi, portata sui ministeri ordinati presenti nella Chiesa particolare: il ministero pastorale del vescovo, il ministero dei presbiteri, il ministero dei diaconi e la loro organizzazione.

La figura dei laici è studiata con attenzione alla loro presenza nella Chiesa, che si realizza in un determinato luogo, nel loro duplice impegno di edificazione della comunità cristiana e di testimonianza nel “mondo” (nel senso della Gaudium et spes: famiglia, società, economia, politica, cultura).

A questo punto viene introdotta la riflessione sulla “sinodalità” della Chiesa particolare, richiesta dalla esigenza di dare visibilità storica alla comunione. Sono oggetto di studio il sinodo diocesano e le altre espressioni di sinodalità previste dalla legislazione canonica universale: i consigli pastorali, diocesano e parrocchiale, il consiglio per gli affari economici.

Particolare attenzione è riservata alla comunità parrocchiale e alla sua nuova comprensione nella comunione diocesana.

La riflessione sulla Chiesa particolare non sarebbe completa se si trascurasse un suo elemento irrinunciabile: la vita consacrata. A partire dal concilio Vaticano II, la sua comprensione si è rinnovata in prospettiva ecclesiologica. Lo studio riguarderà anche le principali forme di sequela del Signore.

Il corso sarà concluso con rapidi accenni in riferimento alla missionarietà della Chiesa particolare e al suo impegno per l’ecumenismo. Pontificia Università Lateranense 02.02.07

Agostino Montan P.S. Il testo riproduce l’edizione del 2007. Integrazioni e aggiornamenti sono effettuati nel corso delle lezioni. 02/02/2017

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«I singoli vescovi invece sono il principio visibile e il fondamento dell’unità delle loro Chiese particolari, le quali sono formate a immagine della Chiesa universale: in esse e a partire da esse esiste l’una e unica Chiesa cattolica» (LG 23a). «La Chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli, che, aderendo ai loro pastori, sono anch'esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento. Esse, infatti, sono in un dato luogo il popolo nuovo chiamato da Dio, in Spirito Santo e piena sicurezza (cf. 1 Tes 1,5). In esse la predicazione del Vangelo di Cristo raduna i fedeli, e vi si celebra il mistero della cena del Signore, affinché per mezzo della carne e del sangue del Signore si rinsaldi l'intera fraternità del corpo. Ogni volta che si riunisce la comunità dell'altare sotto il sacro ministero del vescovo, è offerto il simbolo di quella carità e unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza» (LG 26). «L’opera dell’impianto della Chiesa in un determinato raggruppamento umano raggiunge il traguardo quando la comunità dei fedeli, radicata ormai nella vita sociale e in qualche modo conformata alla cultura locale, gode di una certa stabilità e solidità: fornita cioè di una sua schiera, anche se insufficiente, di sacerdoti, di religiosi e di laici del luogo, essa si arricchisce di quei ministeri e istituzioni che sono necessari perché il popolo di Dio, sotto la guida del proprio vescovo, conduca e sviluppi la sua vita» (AG 19).

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---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- AVVERTENZA: Il testo raccoglie materiali per lo studio ad uso degli studenti.

I "materiali", volutamente schematici e sintetici, suppongono le lezioni accademiche. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

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Capitolo 1

LA CHIESA PARTICOLARE: FONDAMENTI ECCLESIOLOGICI.

Sommario: - I. LA COMMUNIO ECCLESIARUM NEL PRIMO MILLENNIO. 1. Il dato neotestamentario. 2. Le

Chiese particolari nel primo millennio. – II. LE CHIESE PARTICOLARI NEL SECONDO MILLENNIO (fino al Vaticano II). 1. Dalla riforma gregoriana all’epoca tridentina. 2. Dal Vaticano I (1869-1870) alla vigilia del Vaticano II (1962-1965). - III. LA CHIESA PARTICOLARE NEI DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II. 1. Gli inizi: la costituzione Sacrosanctum concilium. 2. La riflessione ecclesiologica: la costituzione dogmatica Lumen gentium. 3. Altri testi del concilio Vaticano II sulla Chiesa particolare. - IV. ELEMENTI ESSENZIALI DELLA CHIESA PARTICOLARE. 1. La porzione di popolo di Dio. 2. Il ruolo dello Spirito Santo. 3. Vangelo e Chiesa particolare. 4. L’Eucaristia e la costruzione della Chiesa particolare. 5. Il ministero pastorale. – V. CHIESA PARTICOLARE E CULTURA. 1. Status quaestionis. 2. Chiesa particolare e cultura: la riflessione teologica. 3. Chiesa particolare, liturgia e cultura. - VI. CHIESA COME “COMUNIONE DI CHIESE”: orientamenti e segni di una communio ecclesiarum che cresce.

I - LA COMMUNIO ECCLESIARUM NEL PRIMO MILLENNIO La teologia della Chiesa particolare introdotta dal Concilio Vaticano II, non costituisce una novità in senso assoluto. Se di innovazione si tratta è nel senso del "recupero di valori tradizionali, di una tradizione più profonda di quella dei secoli della scolastica, della controriforma e della restaurazione cattolica post-rivoluzionaria"1. Anche in questo, come in altri capitoli dell'ecclesiologia, il concilio Vaticano II non ha innovato. Piuttosto ha concluso e consacrato un processo di recupero di valori tradizionali imprimendovi un nuovo impulso. 1. Il dato neo-testamentario 1.1 - Una lunga tradizione ci ha abituato a considerare la Chiesa particolare come una parte, subordinata e incompleta, della Chiesa universale. Non è così per il Nuovo Testamento. Quando il Nuovo Testamento parla, direttamente o indirettamente, della Chiesa, pensa sempre alla concreta Chiesa universale o alle concrete singole Chiese locali nelle quali si incarna la Chiesa di Dio. Esiste una mutua presenza della Chiesa universale nella Chiesa particolare e della Chiesa particolare nella Chiesa universale (è lo stesso mistero che si realizza).

Esistono Chiese a Gerusalemme, ad Antiochia, a Corinto, a Roma e nelle regioni della Giudea, della Galazia e della Macedonia. Nessuna di queste ha la pretesa di essere da sola la Chiesa di Dio, ma questa Chiesa di Dio è realmente presente in ciascuna di esse. E' la Chiesa universale, vale a dire l'universale comunità dei discepoli del Signore (Mt 16,18; 1 Cor 12,28; ecc.), che si fa presente ed operante nella particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi. 1 Y.M. CONGAR, «Autonomie et pouvoir central dans l'Eglise vus par la théologie catholique», in Irenikon 53 (1980) 299-300.

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1.2 - I principi o dinamismi che stanno a fondamento dell'unità della Chiesa, per cui si ha un'unica Chiesa, sono così descritti in Ef 4,4-6: "Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (cf. anche vv. 12-13.16). Nelle Chiese locali delle origini era viva la coscienza di avere ricevuto lo stesso vangelo, di praticare uno stesso battesimo e di celebrare ovunque la stessa cena del Signore. Sono elementi che operano la comunione tra i cristiani. Un po’ alla volta, talune regole di condotta si sono imposte, facendo emergere lo stile di vita cristiano. Il fondamento dell'unità della Chiesa è da Dio (ius divinum).

I dinamismi che presiedono invece alle diversità tra le Chiese sono numerosi e di natura diversa. Vari sono i carismi, diversi i ministeri (apostoli e profeti, vescovi e presbiteri, diaconi, maestri, pastori). Le designazioni dei pastori variano secondo i luoghi ed alcuni ministeri possono essere affidati a persone dell'uno o dell'altro sesso. Variano anche le espressioni liturgiche, le sensibilità spirituali. Da queste diversità l'unica fede riceve effettivamente espressioni dottrinali, realizzazioni culturali e sociali molteplici2.

Grazie all'amore diffuso nei cuori dallo Spirito (Rom 5,5), alla frazione del pane (1Cor 10,16-17), alla testimonianza dei dodici, dei quali Pietro, come “primo” (Mt 10,2), ha da Gesù l'incarico di pascere le sue pecore (Gv 21,16-17), grazie alla predicazione di Paolo, continuata dai suoi collaboratori, Tito e Timoteo, e grazie al messaggio dei quattro vangeli, l'unità della Chiesa di Cristo si realizza attraverso tutte le diversità. Essa è la riconciliazione dei popoli divisi dall'odio (Ef 2,14-16). Per la misericordia di Dio, per l'azione del Cristo risorto e per la potenza dello Spirito, l'unità della Chiesa può superare divisioni apparentemente insuperabili. In essa, le diversità legittime trovano una meravigliosa fecondità3.

La comunione ecclesiale è vissuta, dunque, nella diversità. Nella pluralità delle singole Chiese esiste l'unica Chiesa, l'unico corpo di Cristo, l'unico popolo di Dio. 1.3 - Alla stessa conclusione porta l'analisi dell'uso del termine "Chiesa" (ekklesía) nel Nuovo Testamento. Il vocabolo trova due applicazioni fondamentali.

In primo luogo si riferisce all'insieme della comunità salvifica degli uomini redenti da Cristo (= la Chiesa universale). Si veda: 1 Cor 6,4; 10,17.32; 12,28; 14,4.5.12; 15,9; Gal 1,13; Fil 3,6; Ef 1,22; 3,10.21; 5,23.24.25.27.29.32; Col 1,18.24. Lo stesso termine si riferisce anche alla comunità convocata, riunita e, perciò, eletta da Dio e da Cristo. Si veda: 1 Cor 10,32; 15,9; Gal 1,13; 1 Tim 3,15; Rom 16,16.

In secondo luogo e in senso specifico, il termine "Chiesa" indica una comunità particolare localmente limitata (= Chiesa in senso locale). Si veda: 1 Cor 1,2; 11,16.22; 2 Cor 1,1; 1 Tes 2,14; Atti; Apocalisse; 3 Gv vv.6.9.10; Mt 18,17; ecc.; con significato di "Chiesa domestica" cf. Rom 16,5; 1 Cor 16,19b; Col 4,15.

Dall'esame del termine è anche possibile scoprire come la Chiesa comprende se stessa. Una Chiesa locale è considerata Chiesa quando professa la fede apostolica, proclama la parola di Dio attraverso la Scrittura, battezza i propri membri, celebra l'Eucaristia, accoglie i carismi dello Spirito Santo, riconosce i ministri dotati di autorità nella comunità, annuncia e attende il Regno. La Chiesa particolare non è una realtà autarchica. La communio esige che essa mantenga i legami con le altre Chiese locali.

2 Paolo, sempre in Ef 4, considera anche tre pericoli che minacciano l'unità della Chiesa: la discordia tra i cristiani (vv. 1-3), la necessaria divisione dei ministeri (vv. 7-11) e le dottrine eretiche (vv. 14-15). 3 Cf. COMMISSION BIBLIQUE PONTIFICALE, Document L'Église vit aujourd'hui. Unitè et diversité dans l'Église, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988, pp. 7 -28: EV 11/544-643; H. HAUSER, L’Église à l’âge apostolique (Lectio divina 164), Les Éditions du cerf, Paris 1996; R. E. BROWN, The Churches the Apostles Left Behind, G. Chapman, London 1984;vers. it. Le Chiese degli apostoli. Indagine esegetica sulle origini dell’ecclesiologia, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL), 1992 (vers. fr. 1986).

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Chiesa universale e Chiesa particolare non sono tra loro in opposizione, non sono "due" Chiese, bensì sono riferite necessariamente l'una all'altra. Il Corpo di Cristo, la Chiesa universale, si rende concreto nella Chiesa locale; questa è l'espressione o manifestazione della Chiesa di Dio, in un luogo particolare (1 Cor 10,17).

Conclusione - Fin dagli inizi la Chiesa non si comprende soltanto come una pluralità di concrete comunità locali, ma al tempo stesso anche come l'unica e universale "ekklesía di Dio". Il Nuovo Testamento presenta le Chiese particolari in modo molto positivo. La riscoperta biblica sta alla base della nuova valorizzazione delle Chiese particolari. La Lumen gentium fa riferimento a questo dato quando scrive: "La Chiesa di Cristo è veramente presente (vere adest) in tutte le comunità di fedeli, che sono legittimamente riunite attorno ai loro pastori e che il Nuovo Testamento stesso chiama Chiese" (n. 26). 2. Le Chiese particolari nel primo millennio La concezione neo-testamentaria di Chiesa penetra profondamente e resta presente per lungo tempo nella tradizione cristiana. Più che con categorie teologiche, viene espressa con la vita. Ecco alcune testimonianze. 2.1 - Un passo della Didachè riflette una chiara percezione della Chiesa ad un tempo locale e universale (cattolica). Facendo riferimento all'Eucaristia l'autore dello scritto così prega: "Nel modo in cui questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli" (9,4). E più avanti, sempre sotto forma di preghiera, il testo continua: "Ricordati Signore della tua Chiesa, di preservarla da ogni male e di renderla perfetta nel tuo amore; santificala, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno che per lei preparasti. Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli" (10,5). Nella celebrazione eucaristica della Chiesa locale riunita attorno all'altare, nasce impetrata l'unità della Chiesa universale nella speranza del ritorno escatologico alla casa del Padre4. 2.2 – Quest’orientamento si consolida nelle Lettere di Ignazio di Antiochia. Nella Lettera agli Smirnesi scrive: "Dove appare il Vescovo, là si trovi pure la comunità, come dove è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica" (VIII,2)5. Ignazio ricorda ai cristiani che il Vescovo è il vero centro dell'unità perché egli corrisponde, nella sfera locale, a quello che Cristo è nel mondo intero. A immagine di Cristo, capo invisibile della Chiesa universale nella sua totalità, il Vescovo è il capo visibile e il centro focale della Chiesa locale. Ignazio distingue tra l'assemblea eucaristica locale e la Chiesa percepita nella sua totalità. 2.3 - Sono da esaminare anche le testimonianze contenute nel Martirio di Policarpo (16,2), nella Prima Apologia di Giustino (c. 67), nell'opera Contro le eresie di Ireneo di Lione (I,10; III,24,1), nella Traditio apostolica (cc. 2; 4). Il senso della "cattolicità" della Chiesa è espresso con maturo equilibrio da Cipriano, Metodio, Ambrogio, Novaziano. Per Agostino l'Eucaristia è l'espressione sacramentale dell'unità ecclesiale. Nel pane e nel vino c'è l'unico corpo e sangue di Cristo: "Se siete corpo e membra di Cristo, il vostro mistero è posto sull'altare del Signore. Ricevete ciò che siete (il vostro mistero). Dite Amen a ciò che siete" (Serm. 273). Contro il separatismo dei donatisti, Agostino accentua l'universalità della Chiesa (Ep 52, 1; 76 e sim.); contro la loro falsa pretesa di

4 Cf. B. NEUNHEUSER, «La Chiesa locale nella tradizione», in Vita e pensiero 54 (1971)/ 4-5, pp. 56-58. 5 Cf. IGNACE D’ANTIOCHE, Lettres, (SC 10), Les Éditions du Cerf, Paris 1969, pp. 49-52.162. E' controversa l'interpretazione del termine "cattolica" usato da Ignazio: cf. J.M.R. TILLARD, L'Église locale. Ecclésiologie de communion et catholicité, Les Éditions du Cerf, Paris 1995, p. 17-18.

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santità rimanda alla parabola della zizzania in mezzo al grano (Ep. 93,2) e della rete (Civ. Dei 18, 49). La Chiesa nella storia è come un'aia piena di grano e di pula. Nella prospettiva di Agostino l'unità della Chiesa viene data, fondata, espressa nella celebrazione concreta della Chiesa locale (Serm. 229/A,1; 172; 277). Questo significa che le diverse Chiese particolari si trovano nell'unica comunione di comunità eucaristiche, eucaristicamente comunicanti tra di loro. Questo è il significato patristico dell'espressione communio Ecclesiarum: la Chiesa universale (cattolica) è "la comunione delle Chiese particolari". 2.4 - Questo modo di sentire, fortemente legato all'evento eucaristico-sacramentale, progressivamente si oscura soprattutto quando, a partire dall'alto medioevo, la comunione eucaristica diventa più rara e l'attiva partecipazione dei fedeli alla celebrazione eucaristica si indebolisce, quando sorgono e si moltiplicano le messe private e votive6. Ci si avvia verso una crescente de-valorizzazione delle Chiese particolari. 2.5 - La Chiesa antica riconosceva il valore delle Chiese particolari ammettendo delle legittime diversità. Le differenze potevano riguardare i ministeri, il campo liturgico, quello disciplinare, ma anche la teologia e il vocabolario teologico. Si tratta di differenze compatibili con l'unità. Ecco qualche esempio. Giustino prevede che dei fratelli cristiani continuino a praticare osservanze mosaiche (Dialogo, XLVII, 2). S. Ireneo interviene a favore dell'usanza asiatica del digiuno e della data della Pasqua, diversa da quella della Chiesa di Roma, giacché, afferma, "la differenza del digiuno conferma l'accordo della fede" (Eusebio, Storia ecclesiastica, V, 24, 13). Agostino d'Ippona fissa il principio da seguire di fronte alle diverse consuetudini praticate nelle diverse regioni: si deve agire come agisce la Chiesa del luogo in cui ci si trova (cf. Lettere 36,10.14; 54,3; 55,18-19). Gregorio Magno, a Leandro di Siviglia che chiede se per il battesimo siano necessarie tre immersioni o una soltanto, risponde: "In una fide, nil officit sanctae Ecclesiae consuetudo diversa" (Epist. I,43: PL 77, 497). Sempre Gregorio Magno, al monaco Agostino, inviato missionario in Inghilterra (596), che si stupisce della varietà di modi riscontrati nei suoi viaggi nella celebrazione della stessa Messa ("Cum una sit fides - chiede Agostino - cur sunt Ecclesiarum consuetudines tam diversae?"), risponde di adottare, per il popolo pagano degli Angli, la liturgia che riterrà più conveniente (PL 77,1186-1187). Testimonianze simili si trovano in Atanasio, Ilario, Basilio, Cirillo d’Alessandria. 2.6 - Accanto a questa tradizione, si riscontra un movimento che va in senso contrario. C'è chi intende l'unità come uniformità, perciò si tende a imporre a tutte le Chiese gli stessi usi e le stesse pratiche. Una chiara testimonianza, secondo Robert Cabié, si ha nella lettera di Papa Innocenzo I° a Decenzio vescovo di Gubbio (19 marzo 416): «(La lettere d’Innocent I°) c’était un atout considérable pour l’établissement de la centralisation romaine»7. 2.7 - Gli storici annotano che per tutto il primo millennio le singole Chiese hanno un carattere fortemente locale. E' efficiente la struttura episcopale (cf., ad esempio, le liste dei vescovi). Molto intensi sono gli scambi e la coordinazione tra le Chiese. Segni e principi di comunione sono i

6 Cf. NEUNHEUSER,«La Chiesa locale nella tradizione», pp. 64-65. 7 La lettre du Pape Innocent I° a Décentius de Gubbio (19 mars 416). Texte critique, traduction et commentaire par Robert Cabié (Bibliothèque de la Revue d’Histoire Ecclésiastique, 58), Louvain 1973, p. 35.

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concili o sinodi, menzionati già nella seconda metà del secondo secolo e celebrati con frequenza a diversi livelli (singole Chiese, provincia, regione, a livello di tutta la Chiesa). Un ulteriore segno di comunione tra le Chiese locali è lo scambio di "lettere di comunione": si tratta di strumenti di comunicazione con i quali i vescovi si informano a vicenda su avvenimenti particolari delle loro Chiese (litterae pacis: trasmettevano l'assoluzione per i peccatori; litterae pacis ecclesiasticae: concedevano il permesso di visitare un alto dignitario; litterae festales: comunicavano informazioni sulle feste liturgiche; litterae circulares: erano una sorta di enciclica in onore di un grande uditorio; litterae contessario hospitalitatis: una sorta di lettera di raccomandazione per avere ospitalità presso una comunità cristiana). Anche le decisioni sinodali (canoni disciplinari) sono comunicate alle altre Chiese, che le assumono come disciplina propria. Nell'interno della communio una posizione peculiare occupa la Chiesa di Roma. Il Concilio di Elvira (attuale Granada, Spagna) è il più antico concilio disciplinare dell'Occidente la cui opera legislativa ci sia pervenuta nel suo insieme. Fu celebrato tra il 295 e il 314. I suoi canoni ebbero un notevole influsso proprio per la recezione che di essi venne fatta da parte di altri concili e di altre Chiese8. 2.8 – Per quanto riguarda l’evoluzione storica dell’esercizio del potere legislativo, Charles Munier traccia questo quadro: «Cronologicamente, l’esercizio del potere legislativo si è avuto prima a livello di Chiesa locale, attraverso l’azione dei vescovi; poi, nel quadro più ampio della legislazione conciliare (a partire dalla seconda metà del II secolo); infine, a livello di legislazione pontificale, che tende a farsi universale così come quella del concilio ecumenico»9. Conclusione - Durante tutto il primo millennio unità-pluriformità ha un significato più reale di quanto non accadrà in seguito. Fra Chiesa unica e Chiese molteplici, concretamente locali, c'è unità, ma anche diversità, che si risolve nel regime della comunione. Per molti secoli la Chiesa universale ha vissuto e si è compresa come comunità di molte Chiese locali, con uguale valore dal punto di vista teologico, in comunione le une con le altre. Polo universale e polo locale si presuppongono reciprocamente. Alcune Chiese locali inoltre, a motivo della loro origine apostolica, assunsero una funzione particolare nella conservazione della tradizione e nell'assicurare la pace e l'unità all'interno della communio. Tra di esse la comunità romana crebbe in modo sempre più vigoroso nel suo ruolo di centro e di prima sedes, posizione che le fu riconosciuta come ultimo garante della tradizione e polo di orientamento dell'unità della comunione delle Chiese. Nello sviluppo dell'organizzazione territoriale della Chiesa antica si colloca il concilio di Nicea (325). Nel can. 4 accetta la divisione della Chiesa per metropoli e consacra i diritti dei metropolitani ordinari sui vescovi delle loro province (eparchie). Nel can. 6 si parla delle prerogative di Alessandria e di Roma: non si tratta ancora dei patriarcati. Nel caso di Roma, poi, non si fa riferimento alla sua autorità primaziale su tutta la Chiesa, ma ad un potere esercitato su territori che si estendono al di là del Lazio, probabilmente fino alla Sicilia e alla Sardegna. Su tutta l'organizzazione ecclesiastica di quest'epoca non è estraneo l'influsso dell'organizzazione delle diocesi civili dell'Oriente. Ecco il testo dei due canoni:

"Si abbia la massima cura che un vescovo sia consacrato da tutti i vescovi della provincia. Ma se ciò fosse difficile o per motivi d'urgenza o per la distanza, almeno tre, radunandosi nello stesso luogo e con il consenso scritto degli assenti, celebrino la consacrazione. La conferma di quanto è stato compiuto spetta in ciascuna provincia al vescovo metropolita" (c. 4).

8 Cf. J. GAUDEMET, «Elvire», in Dictionnaire d'histoire et de Géographie ecclésiastiques, XV, Paris 1963, col. 317-348. 9 CH. MUNIER – G. PILARA, «Autorità nella Chiesa», in Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, diretto da A. Di Berardino, Casa Editrice Marietti, Genova-Milano, 2006, col. 669.

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"In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli sia mantenuta l'antica consuetudine per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province, come è consuetudine anche per il vescovo di Roma. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle Chiese i loro privilegi. Inoltre sia chiaro che, se qualcuno è divenuto vescovo senza il consenso del metropolita, questo grande sinodo stabilisce che costui non debba essere vescovo. Qualora poi due o tre, per questioni loro personali, dissentano dal voto ben meditato e conforme alle norme ecclesiastiche degli altri, prevalga la maggioranza" (c. 6)

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II – LE CHIESE PARTICOLARI NEL SECONDO MILLENNIO (fino al Concilio Vaticano II) 1. Dalla riforma gregoriana all'epoca tridentina 1.1 - Il tornante storico che orienta e fissa l'ecclesiologia latina in prospettiva universalistica, con il conseguente oscuramento della teologia della Chiesa particolare, viene in genere indicato nella riforma gregoriana (sec. XI). La situazione della Chiesa nei sec. IX-XI è ampiamente illustrata nei testi di storia, ai quali si rinvia. La riforma prende l'avvio negli ambienti monastici (Cluny, Gorze, Brogne, San Nilo, Camaldoli, Vallombrosa, Canterbury). Sul piano ecclesiale il movimento tende a liberare la Chiesa dal sistema di potere allora dominante (dominio dei laici), ma lotta anche contro la simonia degli uffici, il matrimonio del clero, la ricerca di potere e di fini mondani da parte degli ecclesiastici. Artefice principale della riforma è Gregorio VII (1073-1085). La sua consapevolezza del potere papale si presenta con penetrante intensità nel Dictatus papae del 1075. Di grande importanza è stata la sua lotta per l'unità della Chiesa. Ottenuta la rottura del legame dei Vescovi tedeschi con l'imperatore Enrico IV, viene a cadere la "Chiesa imperiale" a indirizzo nazionalistico, con la conseguente affermazione della libertas Ecclesiae11. 1.2 - Il rapporto tra Chiesa universale e Chiesa locale/particolare è inteso ormai in modo nuovo. Il Kehl così lo descrive:

"Nell'ecclesiologia del cardinale Umberto da Silva Candida, De sancta romana Ecclesia (1053), che ebbe grande influenza nell'XI secolo e nella prassi del grande papa riformatore Gregorio VII, si riprende intenzionalmente l'antica terminologia di Leone Magno: poiché Gesù ha fondato la sua Chiesa su Pietro (secondo Mt 16,18s) e questi continua a vivere nella Chiesa romana e nei suoi vescovi, la Chiesa locale romana deve essere riconosciuta come origine e fonte di tutte le altre Chiese. Essa è madre, capo, cardine, fonte, origine e fondamento - mater, caput, cardo, fons, fundamentum - delle Chiese. Anche se questi concetti nel frattempo erano già divenuti tradizionali, in seguito a questa loro accumulazione massiccia e soprattutto alla possibilità di realizzare pure politicamente il loro contenuto essi portarono a un nuovo modo di comprendere la Chiesa. Secondo tale concezione esiste in fondo soltanto una Chiesa, cioè la Chiesa locale romana diffusa in tutto il

10 Cf. I. ORTIZ DE URBINA, Storia dei concili ecumenici. I. Nicea e Costantinopoli, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1994, pp. 98-100. 11 Cf. K. SCHATZ, Il primato del papa. La sua storia dalle origini ai nostri giorni, Editrice Queriniana, Bresica 1996, pp. 127-133, 134-138; IDEM, «La riforma gregoriana e l’inizio di un’ecclesiologia universalistica», in AA. VV., Recezione e comunione tra le Chiese. Atti del Colloquio Internazionale di Salamanca 8-14 aprile 1996, a cura di H. Legrand, J. Manzanares e A. García y García, Edizioni Dehoniane, Bologna 1998, pp. 147-159. Sul diverso sviluppo tra Occidente e Oriente sulla Chiesa universale e particolare cf. Y CONGAR, «Dalla comunione delle Chiese ad una ecclesiologia della Chiesa universale», in AA.VV., L’episcopato e la Chiesa universale, a cura di Y. CONGAR E B.-D. DUPUY, Roma 1965, pp. 279-322. Il centralismo della riforma gregoriana ha avuto esiti anche positivi: la liberazione della Chiesa dal predominio esercitato su di essa dall’impero, la restaurazione dell’unità del ministero ecclesiastico e del suo carattere spirituale: Cf. J. RATZINGER, Elementi di teologia fondamentale, Brescia 1986, p. 168.

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mondo; essa è l'unico soggetto portante della Chiesa. Tutte le altre Chiese sono sue subdiocesi che derivano da essa, sono permanentemente inserite in essa e da essa sono governate. I vescovi sono solo aiutanti obbedienti e vicari del papa dal quale ricevono la potestà per partecipare alla sua cura della Chiesa universale, dato che egli stesso non può essere dappertutto. Al papa soltanto è conferita la plenitudo potestatis (pienezza di potestà); i vescovi sono chiamati solo in partem sollicitudinis (a partecipare alla responsabiliutà; così si esprime Bernardo di Clairvaux). Il plurale 'le Chiese' in questo modo perde di fatto teologicamente il suo contenuto; come inevitabili sottodivisioni regionali della Chiesa locale romana in ogni caso esse non hanno più alcun ruolo nell'autocomprensione ecclesiologica della Chiesa. Quest’ecclesiologia ha conseguenze assai concrete: la liturgia viene uniformata in modo crescente; questo significa che la liturgia mozarabica in Spagna, l'ambrosiana a Milano, la greca nell'Italia del Sud, la slava antica in Boemia sono abolite. Monasteri indipendenti (esenti) dai vescovi, che sono direttamente sottomessi al papa, sono impiegati sempre più come strumenti per l'esercizio di una giurisdizione papale diretta nelle Chiese locali. La posizione dei legati pontifici è configurata in modo tale che essi sono posti al di sopra dei vescovi e dei metropoliti"

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1.3 - E' a partire da quest'epoca che la Chiesa è concepita come un corpo d’estensione universale, di cui le riunioni particolari dei fedeli sono le membra e la Chiesa di Roma il capo. Significativa la testimonianza del cardinale eremita S. Pier Damiani (1007-1072), incaricato da Ildebrando di Soana (futuro Gregorio VII) di raccogliere tutti i testi sul primato di Pietro. Accanto a elementi teologici radicati nella migliore tradizione (la Chiesa viene descritta come una comunione nello Spirito: Sermo 72, In dedicatione Ecclesiae: PL 144, 909 c), altri ne compaiono che troveranno progressivamente un crescente sviluppo. S. Pier Damiani presenta il papa come il solo vescovo universale di tutta la Chiesa: "Solus omnium ecclesiarum universalis episcopus" (Opus 23,1: PL 145, 474c). Coerente con la sua ecclesiologia universalistica, Pier Damiani così descrive il servizio del vescovo di Roma: «Il papa da solo è a capo di tutto il mondo, mentre dei confini precisi delimitano il territorio su cui i numerosi re esercitano il loro potere; chiunque sia l’imperatore, egli non può che seguire le orme del papa, per quanto sia il re e il primo degli imperatori e a tale titolo sia superiore a tutti i mortali per onore e dignità. Quando muore un re decade soltanto il potere del governo al quale era preposto. Quando invece è il pontefice della Sede apostolica che muore, allora tutto il mondo è come privato del padre comune» (Lettera 108). Nella riforma, la Chiesa di Roma è per tutta la Chiesa "fundamentum et basis". 1.4 – L’ecclesiologia universalistica trova espressione nel Dictatus Papae. Si tratta di 27 proposizioni concernenti privilegi, prerogative e funzioni della Chiesa di Roma, inserite nel registro delle lettere di Gregorio VII (1073-1985). Il Dictatus Papae13 è l’Index di una piccola collezione canonica (non terminata o in seguito perduta) che aveva lo scopo di raccogliere i testi della tradizione canonistica che si riferivano ai diritti del papa e alle sue prerogative di fronte alle Chiese della cristianità latina.

I punti centrali del Dictatus papae rivelano con chiarezza la nuova comprensione della Chiesa. La prima proposizione rappresenta il fondamento della pretesa del papato medievale ad una giurisdizione speciale: la Chiesa di Roma, si legge, è stata fondata da Cristo (I), non può dunque errare (XXII). Coloro che non sono uniti ad essa sono nell’errore (XXVI). Il papa stesso non può essere sottomesso al giudizio di alcuno (XIX); egli è il solo ad avere una giurisdizione universale (II), a poter «creare» un nuovo diritto (VII). Il papa ha il diritto esclusivo di deporre i vescovi e di insediarli di nuovo e questo anche senza sinodo (III); può inviare i suoi legati a presiedere i concili anche se il loro grado gerarchico è inferiore a quello dei vescovi presenti (IV); ha diritto ad una 12

M. KEHL, La Chiesa. Trattato di ecclesiologia cattolica, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, pp. 333-334. 13 Significa «testo scritto dal papa». Per il testo, latino e italiano, del Dictatus cf. nella Storia del cristianesimo. Vol V, pp. 81-83 (citato alla successiva nota 14).

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serie di «privilegi di onore» (II, VIII, IX, X, XI, XXIII); sinodi e concili acquistano valore giuridico solo attraverso la conferma papale (XVI, XVII). L’universalità del campo d’azione del papa non si limita all’ambito ecclesiastico. La proposizione che stabilisce che il papa può deporre l’imperatore (XII) e sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà (XXVII) era gravida di conseguenze politiche. Le affermazioni del Dictatus Papae, lette nella prospettiva biblica e contemporanea, appaiono esagerate. Si coglie in esse l’oscuramento della realtà antica della communio Ecclesiarum. Il Dictatus Papae va giudicato correttamente, all'interno della più ampia situazione storica durante la quale ha fatto la sua apparizione. La centralizzazione servì soprattutto ad affermare la libertas Ecclesiae dall'imperatore e dall'economia feudale. Era necessario rompere un'unità ingenua e indistinta tra Chiesa e potere politico, tra Chiesa e società, per dare alla Chiesa un suo spazio di libertà e adempiere il suo specifico compito spirituale senza impedimenti. Gregorio VII portò avanti il progetto riformatore promovendo la collaborazione dell’episcopato14. 1.5 - Due secoli dopo il Dictatus papae, il canonista laico Giovanni D'Andrea (1270-1347) scriveva: "La Chiesa universale è l'unico Corpo di Cristo (...) il cui capo è la Chiesa di Roma: le Chiese inferiori sono le membra di questo Corpo, le quali (membra) sono o membra del Capo o membra delle membra, così come si ha nel corpo umano nel quale la mano proviene dal braccio, le dita dalla mano, le unghie dalle dita". Parlava del papa in questi termini: «Papa stupor mundi […]. Nec Deus est nec homo, quasi neuter est inter utrumque». Il papa è secondo Giovanni d'Andrea il vero maestro del mondo: «Apostolicus totius orbis est dominus».

1.6 – Progressivamente, sono eliminate o profondamente modificate, quasi tutte le originarie strutture della communio. Il collegio cardinalizio prende il posto dell'antica collegialità e autorità dei vescovi d’origine apostolica. Dai sinodi romani di riforma dell'epoca della riforma gregoriana, a seguito della partecipazione di un numero sempre maggiore di vescovi scelti da altre nazioni, abati dei monasteri e rappresentanti di principi, si passa ai cosiddetti concili generali (concili di tutta la cristianità) ai quali erano invitati tutti i vescovi dell'Occidente. In questi concili venivano annunciate importanti riforme per la Chiesa universale. Il vertice di questo sviluppo è rappresentato dal Concilio Lateranense IV del 1215, con circa 1.200 partecipanti: esso è stato un concilio ecumenico convocato dal papa e svolto sotto la sua guida, che però in fondo rappresentava soltanto un ampliamento su scala universale dei sinodi locali di Roma. La Chiesa era considerata come una sola diocesi di cui il papa era il vescovo e le Chiese particolari come parti dell'unica Chiesa. Nella Summa de Ecclesia, il Torquemada (1388-1468) scriverà: "La Chiesa di Roma è la ecclesia universalis, essa contiene in sè le altre Chiese, le ordina sotto di sé, conferendo loro la solidità della durata"15.

1.7 - Anche l'ecclesiologia tridentina - piuttosto frammentaria, fortemente condizionata dai riformatori, priva d’impianto sistematico - accentua la prospettiva universalistica. Per il concilio di Trento il papa sta sopra i vescovi (la formula ricorrente nei decreti, che il vescovo è ut delegatus sedis apostolicae, ha più valore pratico, favorire la riforma, che ecclesiologico). La riforma della Chiesa è opera del papa e della curia. Queste concezioni stanno all'origine di quello che verrà in seguito chiamato il "centralismo romano"16. 14 Cf. A. VAUCHEZ (a cura di), Storia del cristianesimo. Religione-Politica-Cultura. Vol. 5. Apogeo del papato ed espansione della cristianità (1064-1274), Borla/Città Nuova, Roma 1997, pp. 70-85. 15

Gli studi storici hanno precisato l'influsso che ebbe la disputa degli ordini mendicanti sullo sviluppo della dottrina del primato del papa: cf. Y.M. CONGAR, «Aspects ecclésiologiques de la querelle entre mendiants et séculiers dans la seconde moitié du XIII siècle et le début du XIV», in Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age XXXVI (1961) 35-151; J. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio, Editrice Queriniana, Brescia 1971, pp. 55-80. 16 Cf. A. ANTON, El misterio de la Iglesia. I. En busca de una eclesiologia y de la reforma de la Iglesia, BAC, Madrid-Toledo 1986, pp. 709-714; G. ALBERIGO, La Chiesa nella storia, Paideia, Brescia 1988, pp. 178-196.

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1.8 - Ispirato ad un’ecclesiologia aperta e dinamica è il Catechismus ex decreto Concilii Tridentini ad parochos, più noto come il Catechismo del Concilio di Trento o Catechismo Romano, pubblicato nel 1566 a Roma sotto il pontificato di Pio V. Interessa il commento all'articolo del Credo: "Credo la santa Chiesa cattolica". Il testo non risente della polemica contro i riformatori. La nozione di Chiesa è centrata sul concetto d’elezione, già implicito in ecclesía (§§ 104.105). Richiamandosi a S. Agostino il Catechismo presenta la Chiesa come "il popolo fedele sparso per l'universo intero" e aggiunge: "(La parola Chiesa) è parola che racchiude grandi misteri. Già nel senso iniziale di 'convocazione' di esprime la bontà e lo splendore della grazia divina, come pure si afferma la differenza profonda che passa tra la Chiesa e le altre società. Queste si fondano sulla ragione umana e su umane motivazioni; quella invece è basata sulla sapienza divina e su un divino disegno. Dio chiama interiormente con l'afflato dello Spirito Santo che schiude il cuore degli uomini, ed esternamente con l'opera e il ministero dei pastori e dei predicatori del Vangelo" (§ 105). Dopo aver richiamato altri nomi della Chiesa (arca, Gerusalemme, casa, edificio di Dio, gregge, sposa, Corpo di Cristo: tutti aspetti del mistero del popolo di Dio costituito in Chiesa - § 106), il Catechismo tratta della Chiesa militante e della Chiesa trionfante, e affronta la questione dell'appartenenza alla Chiesa (§§ 107-108). Nel § 110 si fa riferimento alle Chiese particolari. "Con il nome di Chiesa - si legge - si indicano talvolta le varie parti della Chiesa universale, come fa San Paolo quando nomina le Chiese di Corinto (1Cor 1,2), della Galazia (Gal 1,2), di Laodicea (Col 44,16), di Salonicco (1 Tes 1,1), ecc. Talvolta lo stesso San Paolo chiama Chiesa anche le famiglie private di fedeli, come quando scrive di salutare la Chiesa domestica di Prisca e Aquila (Rom 16,4)". Il testo non è privo di interesse, ma per quanto riguarda le Chiese particolari, fa propria l'ecclesiologia dell'epoca. Esse sono "parti della Chiesa universale", ad essa subordinate, prive di consistenza teologica. L’ecclesiologia apologetica, dominante dal secolo XVI al secolo XX e il cui principale rappresentante fu il teologo card. Roberto Bellarmino, considerava la Chiesa particolare una societas imperfecta, in quanto ad essa mancava la pienezza della potestà di giurisdizione. Ciò portava a sottolineare la potestà del Romano Pontefice a scapito di quella dei vescovi. Nel trattato Ius Decretalium, F.X. Wernz – il canonista che maggiormente ispirò l’opera della codificazione del diritto canonico, conclusasi nel 1917 con la promulgazione del Codice di diritto canonico - afferma che al Romano Pontefice «è affidato il mondo intero come una diocesi»17. Conclusione - Tra la communio Ecclesiarum dell'epoca patristica e l'Ecclesia romana del medioevo si nota una profonda differenza. Ormai non ha più senso parlare d’unità nella pluralità. La Chiesa universale s’identifica con la Chiesa della città di Roma. L’intero occidente è solo un’unica comunità locale, la comunità della città di Roma che incorpora tutto l’orbis latino. È quanto constata Joseph Ratzinger nella sua opera Il nuovo popolo di Dio, riflettendo sugli aspetti dello sviluppo della concezione della Chiesa nel Medioevo: "L'intero Occidente – scrive - è per così dire solo più un'unica comunità locale e perde sempre più l'antica struttura dell'unità nella pluralità, la quale diventa infine del tutto incomprensibile"18. Il giudizio deve essere storico. L'evoluzione non è da imputare esclusivamente a un desiderio romano di potere e di centralizzazione, ma è stato il risultato di un complesso di fattori storici e teologici in cui Roma ha avuto spesso un ruolo assolutamente positivo, in grado di liberare la Chiesa e di conservare la sua unità. 17 F.X. WERNZ, Ius Decretalium, t. II, pars 2: Ius Constitutionis Ecclesiae Catholicae, Prato 1915 (ed. 5): «… cui soli universus orbis terrarum datus est in dioecesim» (p. 501). 18 Il nuovo popolo di Dio, p. 148.

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2. Dal Vaticano I (1869-1870) alla vigilia del Vaticano II (1962-1965) 2.1 - La riscoperta della Chiesa particolare operata dal concilio Vaticano II è frutto di diversi fattori di rinnovamento che hanno segnato il pensiero e la vita della Chiesa soprattutto nella prima metà del secolo XX°. Vanno ricordati gli apporti dei vari movimenti - biblico, liturgico, patristico -, le ricerche ecclesiologiche e storiche, le esperienze ecumeniche, l'approfondimento della teologia missionaria e il movimento laicale. Tutto ciò doveva condurre ad una riflessione nuova sulla teologia della Chiesa particolare. Pur nella continuità e tradizione, il cambiamento è stato imponente. Aveva visto giusto Dom Gréa quando all'inizio del secolo aveva affermato: "Il secolo XIX è stato il secolo della Chiesa universale e del papato (...), il secolo XX sarà quello dell'episcopato e della Chiesa particolare" (in "La Voix du Père", Bulletin CRIC, 17 [1947] 133). 2.2 - Il cammino percorso viene meglio compreso se si tiene presente l'ecclesiologia dominante tra i due concili. I teologi sono soliti condensare la concezione di Chiesa di questo periodo nella formula società perfetta di diseguali19. Come tutte le formule, anche questa, accanto ai vantaggi, contiene facili rischi: ridurre tutta l'ecclesiologia di un'epoca a quella espressa dalla formula, oppure ritenere che una formula si opponga ad un'altra (Chiesa societaria a Chiesa carismatica, Chiesa della storia a Chiesa dello Spirito, Chiesa visibile a Chiesa invisibile). Dire ciò che la Chiesa è, va oltre le formule. Il vero problema teologico dell'ecclesiologia è creare la sintesi dei diversi aspetti dell'una sancta20. Ogni epoca esprime, in qualche modo, questa tensione. La comprensione della Chiesa come società è molto antica, risale alla scolastica medievale, ma trova una più insistente valorizzazione soprattutto nell'epoca post-tridentina. Attraverso la categoria società, propria della filosofia sociale, la Chiesa viene descritta nei suoi aspetti visibili e organizzativi, lasciando in disparte le realtà spirituali e sacramentali. A partire da una definizione filosofica di ‘società’, la Chiesa militante è pensata come unione morale stabile di molti che tendono a un fine comune con i loro atti. Pio XI, nella Immortale Dei (1885) così esprimeva questi concetti:

«La Chiesa costituisce una società giuridicamente perfetta nel suo genere e nel suo diritto perché per espressa volontà del suo fondatore possiede in sé e per se stessa tutti i mezzi che sono necessari alla sua conservazione e alla sua azione» (DS 3167).

La qualificazione perfetta (da non intendere in senso morale!) dice che la Chiesa, come lo

Stato, è perfetta nel suo ordine, in quanto dispone di tutti i poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) e di tutti i mezzi per raggiungere il suo fine. Il Billot così definiva la Chiesa: «È la società di coloro

19 Questa formula viene volentieri collegata con la formula con la quale Roberto Bellarmino (1542 -1621), ecclesiologo e teologo della Controriforma, definiva la Chiesa: essa è "l'insieme degli uomini che sono uniti dal vincolo della confessione della medesima fede, della partecipazione ai medesimi sacramenti, sotto il governo dei legittimi pastori e, principalmente, dell'unico vicario di Cristo sulla terra, il romano pontefice" (De controversiis christianae fidei, IV, lib. III, cap. 2). I "tre vincoli dell'unità" (vinculum symbolicum, vinculum liturgicum, vinculum hierachicum), valevoli come decisivi "criteri di appartenenza" al corpo di Cristo, vennero ricollegati alla presentazione biblica della comunità primitiva di Gerusalemme (Atti 2,42), ma senza tenere conto delle profonde differenze esistenti tra le due descrizioni di Chiesa. Cf anche, nella medesima prospettiva, l'enciclica Mystici corporis (1943) di Pio XII: rappresenta il punto più alto e insieme la fine di questa prospettiva ecclesiologica (cf. DS 3802). Va segnalato che nella tradizione canonistica esisteva e tuttora esiste un'altra posizione: l'uomo mediante il battesimo (dovunque esso sia ricevuto) diviene "persona nella Chiesa" e quindi soggetto di diritti e di doveri (cf. CIC 1917, c. 87; CIC 1983, c. 96). Ogni cristiano credente nel battesimo è inserito "costituzionalmente" nella Chiesa di Cristo. 20 La Lumen gentium si è sforzata di mostrare l’inseparabilità dei concetti: - società gerarchica / corpo mistico, assemblea visibile / comunità spirituale, Chiesa terrestre / Chiesa ornata di doni celesti (n. 8). Si tratta di elementi intrinsecamente legati tra loro. Se fossero giustapposti non crebbero nessuna unità.

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che vivono insieme sotto la gerarchia dotata di duplice potestà»21. Il Tarquini, importante esponente della scuola del “diritto pubblico ecclesiastico”, scriveva: «Sulla potestà della Chiesa dedotta dalla sua natura. Per studiare la potestà proveniente da questa fonte, terremo questo metodo. Primo: astraendo dalla Chiesa, dedurremo dal diritto naturale quale e quanto grande sia la potestà che compete a qualsiasi ‘societas’ perfetta in forza della sua natura. Secondo: considerata la natura della Chiesa, dimostreremo che essa è ‘societas perfecta’, e quando questi due punti saranno stati esposti, sarà chiara altresì per logica necessità la potestà della stessa Chiesa, che emana da tale fonte»22. Anche nei documenti dei pontefici di questo periodo torna spesso il concetto di Chiesa come società perfetta23.

Il terzo concetto chiave è quello di societas inaequalis seu hierarchica. L’affermazione ricorre in tutta la manualistica ecclesiologica elaborata tra i due concili Vaticani. Le spiegazioni più compiute risalgono forse a Leone XIII e a Pio X. Scriveva Leone XIII al vescovo di Tours nel dicembre 1888:

"E', in realtà, costante e manifesto che vi sono nella Chiesa due ordini ben distinti per la loro

natura: i pastori e il gregge, cioè a dire i capi e il popolo. Il primo ordine ha per funzione di insegnare, di governare, di dirigere gli uomini nella vita, d'imporre delle regole; l'altro ha per dovere di essere sottomesso ai primi, di obbedire loro, di eseguire i loro ordini e di rendergli onore"24. Pio X nell’enciclica “Vehementer nos” (11.02.1906) scriveva:

«La Scrittura dice e la Tradizione dei Padri conferma che la Chiesa è il mistico corpo di Cristo, amministrato dall’autorità dei pastori e dei dottori, cioè è una societas di uomini, nella quale alcuni sono a capo di altri con la piena e perfetta potestà di reggere, insegnare e giudicare. Perciò questa società, per sua natura è inaequalis… e ammette ordini tra sé distinti, sicché nella sola gerarchia risiede il diritto e l’autorità di muovere e dirigere i membri al fine proposto alla società stessa; dovere della moltitudine dei membri è, invece, quello di sopportare di essere governata e quello di obbedire docilmente ai suoi capi»25. Al concetto di disuguaglianza, altri se ne vennero ad aggiungere, come ad es. il concetto di

«sovranità», che, applicato al papa, minacciò di trasformare il primato giurisdizionale in un monopolio giurisdizionale.

Sempre più la Chiesa è identificata con la sua struttura istituzionale e i due aspetti, quello spirituale e quello visibile, sono tra loro separati. Questo approccio più razionale che teologico alla realtà della Chiesa, ha consentito di poter rivendicare e affermare l'autonomia e l'indipendenza della Chiesa (libertas Ecclesiae) nei confronti dello Stato, ma ha avuto anche la conseguenza di impoverire la comprensione della vera natura della Chiesa.

Inoltre nella prospettiva dell'ecclesiologia societaria non c'è spazio per la Chiesa particolare. Questa viene considerata in modo relativo alla Chiesa universale. La Chiesa particolare, si leggeva nei manuali di ecclesiologia fino al Vaticano II, è "società imperfetta", che deve entrare come parte nella "società perfetta"26. Era considerata priva di consistenza teologica e non avevano alcuna

21 L. BILLOT, Tractatus de Ecclesia Christi, Roma 1927 (5 edizione), p. 277 (la prima edizione è del 1898). 22 C. TARQUINI, Iuris ecclesiastici publici institutiones, Romae 1904, p. 3. 23 Cf. Pio IX, nel Sillabo e nell’enc. Vix dum a nobis (1874); Leone XIII, nelle enc. Diuturnum illud (29.06.19881), Immortale Dei (01.11.1885), Libertas praestantissimum (20.04.1888), Sapientiae christianae (10.01.1890), Praeclara gratulationis (20.06.1894); Pio X, nel Compendio della dottrina cristiana per la provincia di Roma (1905); Benedetto XV, nella cost. ap. Providentissima Mater Ecclesia (1917); Pio XI, enc. Divini illius Magistri (31.12.1929). 24 Acta Sanctae Sedis, XXI (1888), p. 322. 25 Acta Sanctae Sedis, XXIX[1906], pp. 8-9. 26 Alla vigilia del Concilio Vaticano II, l’illustre teologo CH. JOURNET, così si esprimeva: "Les sociétés imparfaites sont celles qui, dans la ligne du bien temporel ou spirituel, sont insuffisantes à conduire

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rilevanza i suoi aspetti peculiari (luogo, cultura, tradizione). A chi l'osservava dall'esterno la Chiesa cattolica appariva come un'unica, vasta diocesi, la diocesi del papa, nella quale i vescovi esercitavano una funzione esecutiva. L’unità era pensata secondo il modello di massima uniformità possibile. La categoria della societas ha determinato l’esperienza e la riflessione ecclesiologica per secoli. La riflessione del concilio Vaticano II mostrerà che si tratta di una categoria inadatta a interpretare in pienezza la ricchezza della vicenda ecclesiale, in particolare l’articolazione tra evento ecclesiale localizzato e Chiesa universale. Altro pericolo presente in questa impostazione: considerare il Cristo più come fondatore della societas che come perenne e attuale fondamento della Chiesa, con gravissimo pregiudizio dell’elemento pasquale e dell’elemento pneumatologico. 2.3 - Tra le poche opere che, tra il concilio Vaticano I e l'inizio del XX° secolo, hanno saputo distaccarsi dall'ecclesiologia ultramontana27 allora dominante per ritrovare il filone di una autentica teologia della Chiesa, va segnalata l'opera di Dom Adrien Gréa (1827-1917) intitolata: L'Église et sa divine constitution, pubblicata nel giugno 1885 e ristampata nel 196528. Il merito di Dom Gréa non è di aver detto cose nuove sulla Chiesa, ma di aver dimostrato che se ne poteva parlare in modo nuovo pur dicendo cose antiche. Si ritrova in lui il linguaggio con il quale i Padri erano penetrati nel mistero della Chiesa. Dom Gréa è un contemplativo della Chiesa. Egli è molto sensibile alla realtà della Chiesa particolare. E' la caratteristica fondamentale del suo pensiero. Ecco alcune espressioni rivelatrici:

"En cette Église particulière nous révérons tout le mystère et toute la dignité de l'Église (...). Aussi le nom d'Église lui appartient-il dans toute la vérité. Elle possède sans diminution ni dégradation tous les biens et tout le mystère de l'Église universelle. (...) Gardons-nous donc de considérer les Églises particulières comme de simples circonscriptions établis seulement pour la bonne police du gouvernement (...)" (p. 69). E ancora:

"En un mot, elle (l'Église particuliére) est véritablement Église: elle a toute la substance de l'Église dans un seul et même mystère avec l'Église universelle; (...). Elle possède, sans diminution ni dégradation tous les biens et tout le mystère de l'Église universelle" (p. 326).

l'homme vers son plein développement. En conséquence, elles doivent entrer comme parties dans une société supérieure. Considérées de ce point de vue, elles subsistent non pas en soi, mais dans une autre société. Leur autonomie et leur incommunicabilité ne sont que relatives. Elles ne sont donc pas au sens propre et rigoureux des personnes. Telles sont, d'une parte, la famille, la commune, etc.; d'autre part, les Églises particulières d'Éphèse, de Smyrne, de Pergame, etc.": CH. JOURNET, L'Église du Verbe incarnè. Essai de théologie spéculative. II. Sa structure interne et son unité catholique, Fribourg, 1962 (2° ed.), p. 482. L'Autore continua definendo la società perfetta, identificata nello Stato e nella Chiesa universale. Alla Chiesa universale, e solo ad essa, applica il concetto di personalità morale. La diocesi era innanzitutto parte necessaria come unità di governo di un tutto unico, la Chiesa. A motivo di ciò, era inevita bile vedere nei vescovi dei legati del papa, al quale era affidato il mondo intero come una diocesi. Il Wernz così si esprimeva trattando del papa: "[…] cui soli universus orbis terrarum datus est in dioecesim" (F . WERNZ, Ius Decretalium, t. II, pars 2. Ius costitutionale Ecclesiae Catholicae, Prato 1915, p. 501). 27 Sul concetto di "ultramontano" e la sua applicazione all'ecclesiologia cf. H.J. POTTMEYER, «Ultramontanismo ed ecclesiologia», in Cristianesimo nella storia 12 (1991), pp. 527-552. Il concetto “ultramontano” ha un ampio campo semantico, caratterizzato, nei diversi autori e nei diversi periodi storici, da un forte accento polemico. 28 Il titolo proposto dal Gréa era: "Du mystère de l'Église et sa divine constitution". Il termine "mystère", su suggerimento del Card. Caverot, venne soppresso per l'ambiguità a cui si sarebbe potuto prestare e visto l'uso che ne avevano fatto teologi come Hermes e Günther, condannati dal Vaticano I (cf. Constitutio Dogmatica "Dei Filius", can. IV,1: DS 1816/3041). Su Dom Gréa cf. P. BROUTIN - P. RAYEZ, «Gréa (Adrien)», in Dictionnaire de Spiritualité, Tome VI, Paris 1967, col. 802-808.

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Alla Chiesa particolare Dom Gréa dedica la quarta parte della sua opera (pp. 287-503).

L'Autore fa sua la dottrina di Ignazio di Antiochia e di Cipriano sulla Chiesa particolare. Centrale è la figura del vescovo. In virtù della mediazione del vescovo, si stabilisce fra Chiesa universale e Chiese particolari una misteriosa identificazione e compenetrazione che fa dire al Gréa che la Chiesa particolare è una stessa cosa con la Chiesa universale, unita a questa in uno stesso mistero. Questa identificazione scaturisce dal fatto che la Chiesa particolare è nella sostanza tutto ciò che è la Chiesa universale, vale a dire Gesù Cristo comunicato agli uomini. A partire da questa prospettiva il Gréa approfondisce l'apostolicità della Chiesa particolare, la sua cattolicità e unità con la Chiesa universale29.

La riflessione sulla Chiesa particolare sviluppata da Dom Gréa ha assunto, nel contesto ecclesiologico della fine del secolo XIX, un’estensione sorprendente. Il p. Henri De Lubac ha definito il libro di Dom Gréa "un classico", "un gran libro, che noi siamo ancora lontani dall'avere esaurito" (La Croix, 20 novembre 1965). Ma occorre anche aggiungere che la dottrina di Dom Gréa non ha avuto quell'accoglienza e quella comprensione che meritava. Il suo pensiero, utilizzato in modo parziale, fu compreso soltanto a distanza di qualche generazione. Oggi se ne auspica una più ampia valorizzazione30. Nel periodo storico che stiamo esaminando, Dom Adrien Gréa è una voce solitaria, ma significativa. 2.4 - Il ricupero della teologia della Chiesa particolare passa attraverso altri apporti. Vanno ricordati, innanzitutto, alcuni studi storici, in particolare del cristianesimo delle origini. P. Battifol, nella sua opera L'Église naissante et le catholicisme (1905), scriveva: "Il cattolicesimo è, a prima vista, per lo storico una dispersione di Chiese locali". In un'altra opera, Cathedra Petri, affermava: "Il cristianesimo non si propaga come una filosofia popolare: si diffonde attraverso la creazione di Chiese, che derivano da Chiese madri, già organizzate; la propagazione del cristianesimo è una moltiplicazione di Chiese ed è come una propagazione di cellule. Il convertito non è cristiano semplicemente per la sua iniziazione battesimale, ma anche per la sua appartenenza a una Chiesa locale, Chiesa visibile e organizzata, Chiesa anche mistica, al di fuori della quale non esiste per lui né culto né Spirito, né salvezza. E poiché tutte queste Chiese si dimostrano ovunque le stesse, nella fede, nelle pratiche, nelle istituzioni, si può parlare della loro unità totale, unità visibile come loro, mistica come loro, unità definita dalla parola 'cattolico', pronunciata per la prima volta da S. Ignazio d'Antiochia"31. Su questa stessa linea si muovono le ricerche di G. Bardy32, L. Duchesne33, A. von Harnack34.

Vanno segnalate, in secondo luogo, le ricerche esegetiche. Un posto di rilievo occupano gli studi di K. L. Schmidt35 e L. Cerfaux36. Ai risultati esegetici raggiunti (viene posto in risalto il concetto di Chiesa particolare come presenza della Chiesa universale in un luogo determinato) attingeranno molti autori. Ne trarrà vantaggio lo stesso Concilio Vaticano II.

Di grande rilievo sono gli apporti del movimento ecumenico. L'opera di p. Y. M. Congar Chrétiens désunis (1937), gli studi che appariranno sulla rivista ecumenica Irenikon e in altre pubblicazioni, contribuiranno ad allargare la coscienza ecclesiologica latina, a far maturare una più

29 Cf. B. MORI, Il contributo di Dom Adriano Gréa allo sviluppo della dottrina teologica sull'episcopato collegiale e la Chiesa particolare (tesi di laurea - Pontificia Università Urbaniana, Roma 1971). 30 Cf. M. SERENTHÀ Gli inizi della teologia della Chiesa locale: "De l'Église et de sa divine constitution" (1885) di dom A. Gréa, un "apax dans la théologie de l'époque" (Y. Congar), Milano 1973. 31 Cathedra Petri. Études d'histoire ancienne de l'Église, Paris 1938, pp. 4-5. 32 La théologie de l'Église de saint Clément de Rome à saint Irénée, Paris 1945. 33 Origines du culte chrétien, Paris 1909. 34 Die Mission und Ausbreitung des Christientums in den drei ersten Jahrunderten, Berlin 1902-1924. 35 Assai nota la voce "Ekklesía", nel ThWNTh, III, 503-516. 36 La théologie de l'Église suivant Saint Paul, Paris 1965.

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armonica concezione di Chiesa, a valorizzare l'ecclesiologia delle Chiese orientali non cattoliche, a considerare come "Chiese" le comunità cristiane separate. Uno dei punti più dibattuti fu il modo di intendere la "pienezza" della Chiesa particolare, e cioè se fossero sufficienti, per considerarla tale, i sacramenti, che edificano la Chiesa, o se si richiedesse anche la comunione (giurisdizionale) con il successore di Pietro.

Una tematica che porta a scoprire la valenza ecclesiologica della Chiesa particolare è la teologia dell'episcopato. Gli studi di J. Lécuyer, B. Botte, J. Colson, P.A. Liégé, A.M. Charue e altri, aiuteranno a comprendere la Chiesa particolare a partire dal ministero sacramentale del vescovo, detentore della grazia della pentecoste per l’edificazione soprannaturale della Chiesa particolare. Muovendo da questa prospettiva la Chiesa particolare non poteva più essere ridotta a una circoscrizione amministrativa della Chiesa universale. Attraverso il ministero del vescovo, tutta la ricchezza di grazia della Chiesa universale si rende presente nella Chiesa particolare.

L'interesse per la Chiesa particolare si manifesta in un'altra area squisitamente pastorale, l'area della missione della Chiesa. Nella Chiesa particolare, si afferma, si concentra la missione della Chiesa: in essa esistono i mezzi di salvezza sufficienti e necessari per la vita dei fedeli e per la edificazione del Corpo di Cristo. La Chiesa particolare è missionaria di sua natura. Il frutto maturo di questa riflessione si troverà nel cap. III del decreto Ad Gentes del concilio Vaticano II: De Ecclesiis particularibus.

Un'ulteriore area teologica nella quale viene ricuperata la teologia della Chiesa particolare è quella della teologia sistematica (cf. Ch. Journet, K. Rahner, Y.M. Congar) e della liturgia. In particolare, dall’impostazione dell’ecclesiologia eucaristica consegue quell’ecclesiologia delle Chiese locali, che è tipica del Vaticano II37. 2.5 - Fondamentale è l'apporto di K. Rahner. Alla sua riflessione viene collegata la nascita della teologia della Chiesa particolare negli anni 1950-6038. Un insegnamento fondamentale di Karl Rahner sulla Chiesa particolare è contenuto in Episcopato e primato (l'edizione tedesca è del 1961, la versione italiana, della Morcelliana di Brescia, è del 1966). Nel contesto della riflessione sul rapporto tra episcopato e primato, interrogandosi sulla Chiesa (dove si sviluppa? dove è reale? dove la trovo? dove diventa avvenimento nella forma più intensa e attuale?) Rahner risponde:

"La celebrazione dell'Eucaristia è l'avvenimento più intenso della Chiesa. Poiché in questa celebrazione cultuale non è solo presente Cristo come salvatore del suo corpo, come salvezza e signore della Chiesa, ma nell'Eucaristia diventa manifesto nel modo più percepibile e nel banchetto eucaristico si realizza nel modo più intimo l'unità dei credenti con Cristo e tra di loro. (...) E' una caratteristica essenziale propria della celebrazione eucaristica come atto sacramentale di culto l'avere un luogo come del resto lo è anche degli altri sacramenti, i quali hanno tutti essenzialmente una dimensione corporea. Essa può sempre essere celebrata solo da una comunità radunata in un unico e identico luogo. Ma questo implica quanto segue: la Chiesa, senza compromettere la sua struttura sociale, la sua durata, la sua destinazione e la sua relazione con tutti gli uomini, tende, in forza della sua stessa essenza intima, ad una concretizzazione ed attualizzazione locale. Perciò l'Eucaristia, com’evento locale, non solo avviene nella Chiesa; la Chiesa stessa diviene evento nel senso più intenso proprio nella celebrazione locale dell'Eucaristia. Questa è in fondo la ragione per cui nella Scrittura la stessa singola comunità si può chiamare Chiesa, può quindi essere designata con lo stesso nome posseduto pure dall'unità di tutti i credenti sparsi sulla terra. Non solo è vero che c'è l'Eucaristia, perché c'è la Chiesa, ma è anche vero, se rettamente inteso, che c'è 'Chiesa' perché c'è Eucaristia. La Chiesa c'è e si conserva anche come totalità, solo perché si attua e si compie con

37 Cf. J. RATZINGER, Chiesa, ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1987, p. 14. 38 Cf. i suoi scritti sul parroco, sulla teologia della parrocchia, su episcopato e primato, alcuni dei quali raccolti in K. RAHNER, Missione e grazia. Saggi di teologia pastorale, EP, Roma 1968, 2° ed., pp. 343-382, 383-402.

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costante reiterazione nell'unico e onnicomprensivo evento di quella, cioè nell'Eucaristia. Ma poiché questo evento è essenzialmente di natura locale, in un punto dello spazio e del tempo, in una comunità locale, perciò la Chiesa locale non è solo un'agenzia della Chiesa universale una, fondata in certo qual modo in un secondo tempo, e che potrebbe anche benissimo essere omessa, ma è l'evento di questa stessa Chiesa universale".

Il noto teologo così conclude:

"Una Chiesa locale sorge quindi non per una frammentazione minuta del cosmo proprio dell'intera Chiesa, ma per concentrazione della Chiesa, nel suo tradursi in avvenimento. Perciò anche la primitiva Chiesa locale era una Chiesa episcopale, e a questo proposito si deve notare che i presbiteri (i preti e i parroci) in origine non erano quelli di cui si aveva bisogno per reggere le molte comunità locali, ma costituivano il senato, sin dall'inizio pluralistico, del Vescovo locale, di modo che la comunità locale primitiva (retta dal Vescovo) contenesse solo elementi di fondazione divina: la santa comunità cultuale di Cristo con a capo un apostolo o un successore"

39.

In altro contesto K. Rahner ricorda che tra Chiesa particolare e Chiesa universale vi è una

distinzione fondamentale. Indefettibile è la Chiesa universale, non le singole Chiese particolari. Gesù ha pregato per Pietro ed ha costruito la sua Chiesa su Pietro e il suo amore. Così l'infallibilità e la santità sono note distintive della Chiesa universale. La Chiesa particolare è interamente Chiesa, ma non è tutta la Chiesa. Conclusione - I percorsi esaminati rappresentano la complessa matrice nella quale è stata vissuta e si è pensata la nuova immagine di Chiesa, quella del concilio Vaticano II. Si sono avuti molteplici frutti: "Riscoperta dell'Eucaristia come cuore visibile della Chiesa; del Vescovo come suo capo e presidente; dello Spirito Santo dato a ogni credente, attraverso il suo inserimento nella comunità e a ogni comunità, perché con la santificazione delle preghiere e la trasformazione degli elementi sacramentali, santifichi il credente; della missione come realizzazione e incarnazione della salvezza in un luogo e in un tempo per alcuni uomini attraverso l'annuncio del Vangelo e la celebrazione dell'Eucaristia, cioè con l'instaurazione della Chiesa in un luogo o il sorgere della Chiesa locale, che a sua volta formerà la Chiesa universale"40. Il concilio Vaticano II farà propri questi dati, li affermerà, anche se in modo frammentario, giungendo a tratteggiare una prima teologia della Chiesa particolare. III – LA CHIESA PARTICOLARE NEI DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II

Il concilio Vaticano II non offre un’esposizione sistematica sulla Chiesa particolare, né, nei suoi testi, opera uno spostamento ecclesiologico dalla Chiesa universale alla Chiesa particolare. La stessa terminologia conosce esitazioni e ondeggiamenti. Tuttavia nei testi conciliari si trova una serie di dichiarazioni sulla Chiesa particolare che si riveleranno in seguito veramente fruttuose. I principali testi si trovano nella costituzione sulla liturgia (Sacrosanctum Concilium), nella costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium) e nei decreti sull'ecumenismo (Unitatis redintegratio), sull'ufficio pastorale dei Vescovi (Christus Dominus) e sull'attività missionaria della Chiesa (Ad Gentes). Le affermazioni teologiche sulla Chiesa particolare, sparse qua e la, sorgono

39 Episcopato e primato, Editrice Morcelliana, Brescia 1966, pp. 31-33. 40 O. GONZALES DE CARDENAL, «Genesi di una teologia della Chiesa locale dal Concilio Vaticano I al Concilio Vaticano II», in Chiesa e cattolicità, a cura di H. Legrand - J. Manzanares - A. García y García, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994, p. 57.

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nel contesto di altre questioni ritenute di maggior urgenza teologica (ad es. la teologia dell’episcopato, la collegialità, la missione, l’ecumenismo, la liturgia, ecc.). 1. Gli inizi: la costituzione "Sacrosanctum Concilium" (= SC) 1.1 - In SC 2 troviamo la prima descrizione della Chiesa, a partire dalla liturgia. La liturgia, si afferma, rivela "l'autentica natura della vera Chiesa". Segue l'elenco delle note aporie: "La Chiesa ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di dimensioni invisibili, impegnata nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina…". 1.2 - SC 26 pone in relazione tra loro la Liturgia e la Chiesa. Le azioni liturgiche, afferma il testo, non sono celebrazioni private, ma celebrazioni della Chiesa, riguardano l'intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano. Dunque la Chiesa è liturgica per sua intima costituzione41. 1.3 - SC 41 è il testo cronologicamente primo e più nuovo sulla Chiesa particolare descritta come la più intensa manifestazione della Chiesa universale. Nello stesso vocabolario il testo riprende la concezione di Chiesa propria della più antica tradizione patristica (nella nota 35 si rinvia agli scritti di S. Ignazio Martire). Nella celebrazione dell'Eucaristia compiuta dal Vescovo si ha la più intensa manifestazione del mistero della Chiesa (praecipua manifestatio Ecclesiae) e ciò a causa della presenza del vescovo, del presbiterio, dei ministri e di tutto il popolo santo di Dio. L'Eucaristia celebrata rivela al massimo grado, nella celebrazione locale, la Chiesa universale (per le note della cattolicità e dell'apostolicità, cf. SC 6; 7; LG 23; 26). 1.4 - SC 42 fa un passo avanti, rispetto a SC 41. La concezione ecclesiologica della Chiesa particolare viene estesa alle necessarie comunità parrocchiali: esse "rappresentano in certo modo (quodammodo repraesentant) la Chiesa visibile stabilita sulla terra". La comunità di fedeli, territorialmente individuata nell'ambito della diocesi e avente a capo un pastore che fa le veci del Vescovo, è "quodammodo" rappresentazione della Chiesa. L'avverbio "quodammodo" segnala che la parrocchia non può essere ritenuta Chiesa particolare in pienezza. Solo la diocesi rappresenta in sé perfettamente la Chiesa visibile stabilita nell'universo, mentre la comunità parrocchiale partecipa a questo carattere rappresentativo solo in relazione al vescovo: il pastore che la presiede tiene il posto del vescovo. Conclusione: la costituzione sulla Liturgia ha potuto dare spessore teologico alla Chiesa particolare grazie all'ecclesiologia che la ispira. Nella SC è presente una concezione di Chiesa colta in prospettiva sacramentale (cf. nn. 5; 26; 2), comunionale (cf. nn. 2; 26; 33; 59; 99), organica (cf. nn. 26b; 28; 41) e storica (cf. nn. 5;7). Sono tutti aspetti che troveranno sviluppo e approfondimento della costituzione dogmatica sulla Chiesa. 2. La riflessione ecclesiologica: la costituzione dogmatica "Lumen Gentium" (= LG) 2.1 - Il primo testo della costituzione sulla Chiesa che parla delle Chiese particolari è LG 13c (il capitolo 13 è intitolato Universalità dell'unico popolo di Dio). Il testo afferma che "nella comunione ecclesiastica, vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni" e costituiscono "varietà legittime". L'espressione "Chiese particolari" più che le diocesi indica, in questo contesto, un gruppo di Chiese di un rito particolare; può anche indicare le Chiese di un 41 A commento cf. S. MARSILI, «La liturgia momento storico della salvezza», in Anàmnesis. 1. La Liturgia momento nella storia della salvezza, Marietti Editore, Torino 1974, p. 110.

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grande territorio omogeneo per aspetti socioculturali e di tradizione. L'insieme riguarda anche le singole Chiese particolari (diocesi) la cui comunione deve risolversi nella comunicazione con le altre Chiese delle "ricchezze spirituali", degli "operai apostolici" e degli "aiuti materiali". Sono istanze che troveranno sviluppo nei decreti Christus Dominus, cap. III, e Ad Gentes, cap. III. 2.2 - LG 23 tratta delle Relazioni dei vescovi in seno al collegio. Il primo capoverso è di inestimabile valore ecclesiologico. Contiene una pregnante formula ecclesiologica, tanto breve quanto geniale, che ha avuto un'immensa fortuna. Ecco il testo (in neretto la formula, riportata anche in latino):

"L'unione collegiale appare anche nelle mutue relazioni dei singoli vescovi con le Chiese particolari e con la Chiesa universale. Il romano pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli. I vescovi, invece, singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell'unità delle loro Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali (in quibus et ex quibus) esiste la sola e unica Chiesa cattolica. Perciò i singoli vescovi rappresentano la propria Chiesa, e tutti insieme col Papa rappresentano tutta la Chiesa nel vincolo di pace, di amore e di unità".

L'inciso "nelle quali e dalle quali" esclude nel modo più assoluto non solo l'autocefalia delle singole Chiese particolari, ma anche quell'ecclesiologia che tende a definire la Chiesa una struttura monolitica e uniforme, in cui le singole Chiese particolari sono delle semplici circoscrizioni amministrative, anche se pastoralmente necessarie. La Chiesa particolare non è parte della Chiesa universale, al contrario in essa e da essa esiste la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica (CD 11a). Tutta la realtà ecclesiale sussiste in ogni singola Chiesa particolare e ogni Chiesa particolare concorre per l'edificazione della Chiesa intera, la quale attinge e trae esistenza dalle Chiese particolari. La Chiesa universale è un corpo di Chiese; tra la Chiesa universale e le Chiese particolari si ha una sorta di "pericoresi ecclesiologica", un permanere dell'una nelle altre, ad immagine della Trinità42. Il pensiero più notevole nel testo citato, è dove si parla delle Chiese particolari. Commenta p. U. Betti:

"La portata dottrinale (del testo) non sfugge a nessuno. Prima di tutto: le Chiese particolari sono fatte ad immagine della Chiesa universale. Ciò vuole dire che ciascuna ha un'esistenza propria, anche se non assoluta indipendenza. Non è quindi il risultato di una divisione della Chiesa universale. Al contrario: questa è il risultato della comunione convergente delle Chiese particolari. Non per addizionamento quantitativo, ma per incontro qualitativo. Di conseguenza: la Chiesa una e cattolica deriva la sua esistenza come tale dalle singole Chiese ("ex quibus"), perché esiste in ciascuna di esse ("in quibus"). In secondo luogo: ciascun vescovo rappresenta la sua Chiesa particolare non come delegato, ma come personificazione; perché è lui a dare ad essa il perfezionamento costituzionale e su di lui si riflette la sua completezza ontologica, di cui è e rimane il principio mediante la completezza del suo ministero pastorale. Per lo stesso motivo, e nello stesso senso, la Chiesa universale è rappresentata da tutti i vescovi insieme al papa. Né dal papa senza i vescovi, né dai vescovi senza il papa"

43.

Lo stesso insegnamento è contenuto in LG 23b. Vi si afferma che, ben governando la

propria diocesi, ogni vescovo contribuisce efficacemente al bene di tutta il Corpo mistico, che è anche "corpo di Chiese". Ciò significa che una Chiesa particolare è distinta dalle altre solo dal

42 Cf. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio, pp. 234-235. 43

U. BETTI, La dottrina sull'episcopato del Concilio Vaticano II. Il capitolo III della costituzione dogmatica Lumen Gentium, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma 1984, p. 398; M. SEMERARO, Mistero, comunione e missione. Manuale di ecclesiologia, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1996, pp. 122-124.

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punto di vista amministrativo, non da quello costitutivo. Essendo della stessa natura, ciascuna compenetra continuamente e dinamicamente le altre. 2.3 - LG 26 è il terzo testo dove si parla delle Chiese particolari. Il paragrafo (intitolato: La funzione di santificare del vescovo) ha prevalente tono pastorale e impianto universalistico. L'attenzione alle "legittime assemblee locali di fedeli" giunge inaspettata. Non si parla di "Chiese particolari", ma di "comunità locali" e si mettono in primo piano quelle "piccole, povere e disperse", nelle quali essendo presente Cristo, "si raduna la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica". Il testo mette in luce che Eucaristia e Chiesa sono realtà indissociabili e complete. Commenta il p. Umberto Betti:

"Come in un frammento di pane transustanziato non c'è solo una parte, ma tutto Cristo, così ogni comunità eucaristica, per quanto minuscola o isolata, è la Chiesa cattolica nella sua espressione locale. Isolata, non vuol dire divisa. Essendo della stessa natura delle altre, ogni Chiesa particolare, intesa come comunità dell'altare e quindi anche a livello infradiocesano, tutte le compenetra e da tutte è compenetrata in modo da formare una cosa sola. Analogamente a quanto avviene delle Chiese pienamente costituite, rette cioè ciascuna da un proprio vescovo. Insomma: come la Chiesa fa l'Eucaristia, così l'Eucaristia fa la Chiesa. O meglio ancora: la Chiesa è tale perché fa l'Eucaristia e tale rimane finche può farla. Questa possibilità deriva ad essa dalla congiunzione con il vescovo; mediante il quale, in quanto membro del collegio episcopale, ogni comunità è insignita, anche sul piano istituzionale, di tutte le proprietà della Chiesa: una, santa, cattolica ed apostolica"

44.

Una comunità che celebra l'Eucaristia in tanto è "legittima" in quanto nel contesto della

successione apostolica, di cui il vescovo è il garante, vive nella "communio Ecclesiarum" e così realizza la cattolicità della Chiesa. Nella singola comunità locale di fedeli il presbitero rende, per così dire, presente il Vescovo cui è unito. Sotto l'autorità del vescovo, santifica e governa la porzione del gregge del Signore che gli è affidata, nella sua sede rende visibile la Chiesa universale e porta un grande contributo all'edificazione di tutto il Corpo mistico di Cristo (LG 28). Dunque: è insegnamento del concilio, che il nome "Chiesa" venga riconosciuto alla comunità locale, per la realtà mistica con la quale si manifesta in essa la Chiesa universale, sia nella pienezza del significato, quando si tratta della Chiesa presieduta da un Vescovo, sia nel significato derivato di dipendenza rappresentativa, quando si tratta di comunità locali che stanno sotto un vescovo. 3. Altri testi del Concilio Vaticano II sulla Chiesa particolare 3.1 - Decreto sull'ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus (= CD) - Il decreto ha uno schema lineare ed esprime, nella sua struttura, una delle più importanti acquisizioni del Vaticano II, la collegialità episcopale. Il testo ha un evidente orientamento canonico; viene eliminata la dicotomia tra diritto e pastorale, mentre il diritto viene inserito in una visione di insieme della Chiesa. a) Di fondamentale importanza è CD 11a, testo nel quale si trova la definizione di diocesi:

"La diocesi è una porzione (portio) del popolo di Dio affidata alle cure pastorali di

un vescovo coadiuvato dal presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore, e da lui, per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia, riunita nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una santa cattolica e apostolica".

44 La dottrima sull'episcopato del concilio Vaticano II, p. 430.

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Il testo ha una intonazione kerigmatica e sacramentale, ma è anche una definizione canonica

di diocesi. La descrizione di Chiesa particolare contenuta in CD 11a ha diversi meriti: - è vicina alla Scrittura; - esprime tutta la teologia della Chiesa particolare; - dà giusto rilievo allo Spirito Santo e al Vangelo; - vede nell'Eucaristia la pienezza di manifestazione della Chiesa particolare; - mette bene in luce l'apostalicità della Chiesa e, cosa che qui interessa maggiormente, della

Chiesa particolare (si veda la presentazione dell'ufficio apostolico del vescovo); - evidenzia gli aspetti comunitari e comunionali (porzione di popolo di Dio, presbiterio)

della Chiesa particolare. La teologia della Chiesa particolare espressa in CD 11 si inserisce nella teologia conciliare del popolo di Dio (cf. LG, cc. 2 e 3). I Padri conciliari hanno volutamente preferito il termine portio al termine pars, perchè portio contiene tutte le caratteristiche essenziali dell'intero, ciò che non vale per il termine pars. Ciò significa che la Chiesa particolare ha tutte le proprietà della Chiesa di Dio e non può essere considerata come un ramo della Chiesa universale. La menzione del vescovo rinvia alla comunione strutturale delle Chiese particolari fra di loro; attraverso la sua ordinazione, il vescovo funge da legame della Chiesa: come rappresentante della Chiesa universale nella sua Chiesa e come rappresentante della sua Chiesa di fronte a tutte le altre. La menzione del presbiterio rinvia al carattere collegiale del ministero nella Chiesa particolare. A livello di diocesi si ha una piena realizzazione della Chiesa di Dio.

L'inciso "porzione del popolo di Dio" deriva da LG 23b, ove si definiscono i limiti dell'incarico del vescovo in funzione dell'insieme del collegio dei vescovi e della Chiesa universale sotto la direzione del papa. La potestà di governo del vescovo si esercita sulla porzione di gregge che gli è affidata. Ogni Chiesa è retta da un vescovo proprio e nessuna ingerenza esterna deve ledere i doveri-diritti che a lui competono nel rapporto di comunione. E' un’esigenza pratica, ma anche ecclesiologica. Compete al vescovo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potestà ordinaria, propria piena e immediata che è richiesta per l’esercizio del suo ufficio pastorale (CD 8; 11; CIC can. 381, § 1).

b) I nn. 22-24 del decreto riguardano la delimitazione delle diocesi (revisione dei confini, ecc.). Non si tratta di un problema puramente empirico. Nel delimitare le diocesi ci si deve preoccupare principalmente che si manifesti "la natura della Chiesa", che è di essere "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1). La territorialità della Chiesa particolare deve apparire come una garanzia della sua effettiva cattolicità. 3.2 - Decreto Orientalium Ecclesiarum (= OE), nn. 3, 4, 5, ... 14-15: in questi testi l'aspetto locale passa in secondo piano rispetto al rito (per la nozione di rito cf. ivi, n. 3), ma per esservi poi ricompreso attraverso questa categoria. 3.3 - Decreto Unitatis redintegratio (= UR), nn. 15, 17... Assai denso è il n. 15; il primo capoverso richiama LG 26, SC 41, CD 11. Lo stesso testo afferma che "con la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce (...), e con la concelebrazione si manifesta la loro comunione". Il testo riguarda i cristiani d'Oriente; è chiaro, tuttavia, che esso è significativo per tutti i cristiani. 3.4 - Decreto Ad Gentes (=AG), nn. 4, 8, 9, 22, ...: la varietà delle Chiese particolari fa sì che la Chiesa non sia una realtà universale astratta, bensì concreta. La Chiesa non può essere estranea a nessuno e in nessun luogo (AG 8); deve imparare a esprimersi in tutte le lingue (AG 4). Esprimendo la stessa fede nella varietà delle culture, la Chiesa si realizza come Chiesa universale-cattolica (LG 13).

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Conclusione: La rinnovata ecclesiologia del concilio Vaticano II ha consentito di poter ricuperare la Chiesa particolare al suo autentico valore teologico. Si tratta di un punto di arrivo che ha richiesto molteplici fondamentali acquisizioni: - l'affermazione della sacramentalità e della collegialità dell'episcopato e la giusta collocazione del vescovo nell'ordo episcoporum e nella sua Chiesa (LG cap. III); - la corretta comprensione e collocazione del presbiterium e del presbitero (LG 28; PO); - la dottrina del sacerdozio comune del popolo di Dio dal quale differisce il sacerdozio ministeriale, pur essendo i due sacerdozi ordinati l'uno all'altro (LG 10). Grazie agli elementi che è possibile raccogliere dai differenti documenti del concilio Vaticano II, ormai si è in grado di scorgere nella Chiesa particolare il "sacramento" della Chiesa universale. Ritroviamo l'ecclesiologia antica: la Chiesa, sulla terra, sussiste simultaneamente sia come l'universale congregatio fidelium, sia come il corpus Ecclesiarum. Il concilio Vaticano II, designando la Chiesa come "il popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4), ha superato la teologia divenuta dominante durante il secondo millennio (detta anche 'cristomonistica') richiamandosi al suo carattere trinitario e alla sua vocazione ad essere essa stessa communio tra gli uomini, sia nella sua forma sociale, sia nel servizio alla riconciliazione universale dell'umanità e dell'intera creazione (LG 1)*. * Per una ricostruzione della teologia della Chiesa particolare (“diocesana”) cf.: - S. PIÉ-NINOT, Eclesiología. La sacramentalidad de la comunidad cristiana, Ediciones Sigueme, Salamanca 2007, pp. 333-369. IV – ELEMENTI ESSENZIALI DELLA CHIESA PARTICOLARE La riflessione teologica seguita al concilio Vaticano II ha dato sistematicità all'insegnamento conciliare. Uno dei suoi primi impegni è stato quello di individuare gli elementi essenziali della Chiesa particolare e di porli in relazione tra loro45.

Punto di riferimento è diventato il n. 11 del decreto Christus Dominus, già citato: «La diocesi è una porzione (portio) del popolo di Dio affidata alle cure pastorali di un vescovo coadiuvato dal presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore, e da lui, per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia, riunita nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una santa cattolica e apostolica». Gli elementi essenziali della Chiesa particolare sono: la porzione di popolo di Dio, lo Spirito Santo, il Vangelo, l'Eucaristia e la presidenza del vescovo. Questi elementi non sono posti tutti sullo stesso piano: il popolo di Dio (elemento sostanziale) è radunato nello Spirito Santo che ne è il primo edificatore, grazie al Vangelo e ai sacramenti (fattori genetici), mentre il pastore (elemento ministeriale) è al servizio del tutto. Ognuno degli elementi che costituisce la Chiesa particolare, come pure il loro insieme, mostra che la Chiesa particolare è certamente Chiesa di Dio in senso pieno, ma la Chiesa particolare non può pretendere di essere tutta la Chiesa di Dio. La Chiesa particolare non è una realtà a sé

45 Il dialogo ecumenico evidenzia che fra la posizione cattolica e quella di altre Chiese sul mo do di intendere la realizzazione concreta della Chiesa di Dio considerata dal punto di vista sincronico, cioè qui e ora, esistono divergenze: cf., a titolo esemplificativo, COMMISSIONE CONGIUNTA CATTOLICA ROMANA – EVANGELICA LUTERANA, Chiesa e giustificazione (13.9.1993), in Enchiridion Oecumenicum, 3, Edizioni Dehoniane, Bologna 1995, pp. 594-603, marginali nn. 1314-1334 (Regno documenti XXXIX [1994], pp. 603-640, nn. 85-103). Per i luterani, la comunità locale è Chiesa in senso pieno, mentre per i cattoli ci Chiesa in senso pieno è la Chiesa particolare guidata da un vescovo.

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stante, autosufficiente. Inserita nel rapporto di comunione, la Chiesa particolare mantiene la sua realtà di Chiesa, stabilendo dei rapporti con le altre Chiese particolari. Fa parte della sua natura il fatto di essere in effettiva comunione con le altre Chiese particolari, nonché con la Chiesa universale. Analizziamo brevemente i singoli elementi, tenendo presente che i principi che generano ciascuna Chiesa particolare, generano anche le altre Chiese particolari e la comunione tra di esse, vale a dire l'unica Chiesa cattolica. 1. La porzione di popolo di Dio (Portio populi Dei)

«In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera per la sua giustizia. Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella santità» (LG 9: EV 1/308).

Con queste parole inizia il capitolo secondo della Lumen gentium, intitolato «Il

popolo di Dio» e dedicato all’identità dell’intera Chiesa. Il termine portio (“Dioecesis est populi Dei portio”: CD 11), che a prima vista potrebbe essere ritenuto sinonimo di pars, è stato introdotto in sintonia con LG 23 (EV 1/339) e va spiegato nel contesto di tutta la definizione di diocesi. Se si afferma che nella porzione di popolo di Dio «veramente e pienamente opera l’unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa di Cristo», è chiaro che la diocesi non è una frammentazione o parte della Chiesa universale, giacché in essa c’è il mistero nella sua pienezza. Alla porzione di popolo di Dio che costituisce la Chiesa particolare si applica il bel testo di LG 9b, come pure l’intero capitolo della costituzione conciliare:

«Questo popolo messianico ha per capo Cristo (…), ha per condizione la dignità e libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito santo come in un tempio, ha per legge il nuovo precetto di amare come Cristo ci ha amati (…) e finalmente, ha per fine il Regno di Dio (…)».

Si tratta di un popolo sacerdotale (LG 10-11), che partecipa alla funzione profetica di Cristo (LG 12) e ha il carattere dell’universalità (LG 13). La categoria “popolo di Dio” è utilizzata come categoria interpretativa della Chie sa e non semplicemente descrittiva: non è una similitudine, perché designa l’essenza 46. Anche la Chiesa delle origini e la Chiesa antica si autocomprendevano come “popolo di Dio” indicando con la formula sia la continuità-discontinuità con l’esperienza religiosa d’Israele, sia la forma sociale assunta, i criteri d’appartenenza, la natura storica ed escatologica del soggetto collettivo. La costituzione dogmatica LG al n. 32 afferma:

«Uno solo è il popolo di Dio (…); comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola la salvezza, una sola la speranza e un’unità senza divisione. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o alla nazion e, alla condizione sociale o al sesso (Gal 3,28) (…)».

Nella misura in cui una Chiesa si incarna nel popolo, si fa sempre più essa stessa popolo di Dio. Nella misura in cui il popolo e specialmente i poveri si riuniscono nell’ascolto della parola di salvezza e di liberazione, essi costituiscono nel concreto della

46 Cf. G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero, Edizioni Jaca Book, Milano 1982, p. 99.

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storia la Chiesa di Gesù Cristo. È nel popolo di Dio che si realizza il mistero della Chiesa (LG cap. II-I). Mistero è, da un lato, la vicenda storica di Gesù di Nazareth, dall’altro la vicenda storica dei cristiani (popolo di Dio).

Nella Chiesa particolare la porzione di popolo di Dio è il soggetto unitario che annuncia la Parola di Dio, che celebra il culto e in particolare i sacramenti, e che si organizza mediante la funzione dell’autorità per l’ordinato svolgimento della sua vita e della sua missione. Il fondamento dell’unità della porzione di popolo di Dio al suo interno e con le altre porzioni di popolo di Dio sparse nel mondo, è la fede in Cristo. L’universalità dell’unico popolo di Dio, si compie, nella porzione locale, in duplice direzione: verso l’esterno, adoperandosi affinché tutti gli uomini abbiano a formare il nuovo popolo di Dio, verso l’interno raccogliendo gli uomini che appartengono a diverse stirpi, lingue e culture. 2. Il ruolo dello Spirito Santo nella porzione di popolo di Dio che è la Chiesa particolare (Ecclesia in Spiritu Sancto congregata) Questo principio richiama l'elemento trinitario, che sta all'origine della Chiesa particolare. Dicendo che la Chiesa particolare è la porzione del popolo di Dio "unita nello Spirito Santo" il Vaticano II mette in evidenza che il "soggetto" convocante la Chiesa è precisamente il Padre, che la raduna per Cristo nello Spirito Santo (LG, nn. 2-4). Lo Spirito Santo dona ai credenti la fede in Gesù Cristo, li riunisce in un solo corpo e li rende figli nel Figlio, capaci di invocare il nome del Padre. La Chiesa è "comunione dello Spirito Santo" (2 Cor 13,13), sia perché comunione generata dallo Spirito sia perché il medesimo Spirito unisce ciascun fedele a Cristo e agli altri fedeli47. La communio è resa possibile dallo Spirito Santo. Il posto dato allo Spirito Santo permette: - di pensare la Chiesa come il noi profondo dei cristiani, i quali tutti sono chiamati a prendere

parte alla sua costruzione, ciascuno secondo i propri carismi; - di fondare teologicamente i consigli e gli altri organismi che intendono tradurre in forma

istituzionale il noi ecclesiale; - di dare il giusto rilievo ad una diversità di ministeri, situando il ministero ordinato non al di

sopra della Chiesa, ma in essa, anche se di fronte ad essa (Pastores dabo vobis, n. 16), e al servizio della Parola, dell’Eucaristia e dello stesso Spirito;

- di percepire che la vita delle Chiese (testimonianze di fede, usanze, ecc.) deve essere retta dal vicendevole riconoscimento, essendo lo stesso Spirito dato a ciascuna Chiesa;

- di comprendere che lo Spirito Santo, protagonista di tutta la missione ecclesiale, rende missionaria la Chiesa (Redemptoris missio, nn. 21-30)48.

3. Vangelo e Chiesa particolare (Ecclesia per Evangelium congregata) La Chiesa nasce dal Vangelo, ma nello stesso tempo fa parte della sua missione portarlo fino ai confini estremi della terra, nella sua integrità e con tutte le sue esigenze. Il Vangelo è parola e messaggio, è pratica e comunione. L'annuncio della parola di Dio mira alla conversione, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo vangelo mediante la fede (Mc 1,15). La conversione si esprime con una fede totale e

47 Cf. SEMERARO, Mistero, comunione e missione. Manuale di ecclesiologia, p. 105. 48 Cf. H.M. LEGRAND, «La Chiesa si realizza in un luogo», in Iniziazione alla pratica della teologia . 3. Dogmatica II, sotto la direzione di B. LAURET - F. REFOULÉ, Queriniana, Brescia 1986, pp. 164-165. Cf. anche KEHL, La Chiesa. Trattato sistematico di ecclesiologia, pp. 61-72.

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radicale, che non pone né limiti né remore al dono di Dio. Si perpetua, infatti, l'evento della Pentecoste: Atti 2,37-38. L'annuncio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto. E' questa la buona novella, che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. La salvezza e la liberazione, che Cristo ha portato, riguardano l'intera vita dell'uomo nel tempo e nell'eternità, cominciando già ora, qui e trasformando la vita delle persone e delle comunità con lo spirito evangelico. L'annuncio delle beatitudini genera una nuova comunità, una nuova società. Va però tenuto presente che il Vangelo non offre modelli politici e soluzioni tecniche da esso deducibili meccanicamente. La Chiesa non lega la sua missione a nessuna strategia temporale di difesa o di conquista del potere politico. Diversamente da come l'Islam si è pensato fino ad oggi nella sua relazione al Corano, nel quale trova una legislazione politica e familiare di diritto divino, non esiste alcuna politica, per i cristiani, estratta dalla sacra Scrittura: tra il Vangelo, la morale e la legge statale, sono sempre necessarie molteplici mediazioni, le quali derivano dal lavoro della ragione in contesti sociali e storici sempre in movimento49. Qui si apre un vasto campo d'azione soprattutto per i laici chiamati a inventare nuove vie per la solidarietà, la realizzazione della dignità e lo sviluppo integrale degli uomini e dei popoli. 4. L'Eucaristia e la costruzione della Chiesa particolare (Ecclesia per eucharistiam congregata)50 Insieme con il Vangelo, la celebrazione dell'Eucaristia è l'altra grande azione che, vitalizzata dallo Spirito, costruisce la Chiesa in un "luogo" determinato. La liturgia eucaristica è il punto culminante della manifestazione della Chiesa locale. Secondo 1 Cor 10,16b-17 la comunione eucaristica è la fonte del corpo ecclesiale. Il Vaticano II ha riproposto con vigore questo insegnamento paolino: cf. LG 11; CD 30; SC 10; 41; PO 5. Dall'Eucaristia deriva un'altra importante conseguenza: la Chiesa particolare, luogo dove si compie l'Eucaristia, non può essere considerata come una parte della Chiesa. L'Eucaristia sta a fondamento dell'unità o comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale. Tale unità "è radicata nell'Eucaristia perché il Sacrificio eucaristico, pur celebrandosi sempre in una particolare comunità, non è mai celebrazione di quella sola comunità: essa infatti, ricevendo la presenza eucaristica del Signore, riceve l'intero dono della salvezza e si manifesta così, pur nella sua perdurante particolarità visibile, come immagine e vera presenza della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica" (Communionis notio, n. 11). Proprio l'Eucaristia rende impossibile ogni autosufficienza (autocefalia) della Chiesa particolare. Infatti, l'unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l'unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile.

49 LEGRAND, «La Chiesa si realizza in un luogo», pp. 166-167. 50 Hanno contribuito allo sviluppo dell’ecclesiologia eucaristica: H. DE LUBAC, Paradoxe et mystère de l’Église, Paris 1967 ; IDEM, Corpus Mysticum. L’Eucharistie et l’Église au Moyen Age. Étude historique, Paris 1944; IDEM, Méditation sur l’Église, Paris 1952 (= Meditazione sulla Chiesa, Milano 1979) ; J. HAMER, L’Église est une communion, Paris 1962. Vanno ricordati alcuni ecclesiologi ortodossi : N. AFANAS’EV (L’Église du Saint-Esprit, Paris 1975), J. ZIZIOULAS (L’Eucharistie, l’Évêque et l’Êglise durant les trois premiers siècles, Paris 1994, ma del 1965). Studi : L. SARTORI, «La Chiesa locale nel Vaticano II. Riflessioni sulla “Sacrosanctum concilium”», in Ut Unum Sint 33 (1971), 2-11; E. LANNE, «Le mystère de l’Êglise dans la perspective de la théologie Orthodoxe», in Irenikon 35 (1962), pp. 171-212 ; A. MAFFEIS, «La Chiesa locale e l’Eucaristia. L’ecclesiologia eucaristica nella teologia ortodossa contemporanea», in AA.VV, La parrocchia come Chiesa locale, a cura di G. Canobbio e altri, Brescia 1993, pp. 149-180; B. FORTE, La Chiesa nell’Eucaristia. Per un’ecclesiologia eucaristica alla luce del Vaticano II, Napoli 1975; J.-M.R. TILLARD, L’Eucharistie, pâque de l’Église, Paris 1964 (= L’Eucaristia Pasqua della Chiesa, Roma 1975).

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A partire dall'Eucaristia, bisogna considerare l'insieme delle Chiese come una comunione di Chiese locali, attraverso lo spazio e il tempo. "Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni Chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nelle braccia aperte del Signore, ne consegue l'inserimento nel suo Corpo, unico ed indiviso. Anche per questo, l'esistenza del ministero petrino, fondamento dell'unità dell'episcopato e della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l'indole eucaristica della Chiesa" (Communions notio, ivi). NB. Nella Lettera Communionis notio (28.05.1992) [in AAS 85 (1993), pp. 838-850] si sottolinea la priorità della Chiesa universale rispetto alle singole Chiese particolari: «La Chiesa universale non è il risultato della comunione delle Chiese particolari, ma, nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare» (cf. n. 9) 51. Su questo testo è caduta una «gragnola di critiche» (J. Ratzinger) da cui ben poco riuscì a salvarsi 52. Il dibattito, sempre aperto, vede teologi a favore della priorità della Chiesa universale, altri d i quella particolare, altri preferiscono parlare di simultaneità tra Chiesa universale e Chiesa particolare. L’interesse suscitato dalla questione manifesta l’impegno con cui i teologi cercano di portare a maturazione la riscoperta della Chiesa particolare operata dal concilio Vaticano II, con tutto ciò che essa comporta. Si tratta di riequilibrare il rapporto tra Chiesa universale e Chiesa particolare, di superare la visione universalistica che predominava prima del Vaticano II, di valorizzare la presenza delle legittime diversità all’interno della Chiesa, di rendere le Chiese locali consapevoli della loro missione e della loro responsabilità nell’edificazione della Chiesa 53. 5. Il ministero pastorale (Ecclesia episcopo cum cooperatione presbyterii pascenda) Il ministero pastorale fa parte della struttura della Chiesa particolare, come ne fanno parte lo Spirito Santo, il Vangelo e l'Eucaristia. Tuttavia, per quanto strutturante la Chiesa particolare, il ministero pastorale non è collocato al medesimo livello del Vangelo e dell'Eucaristia. In rapporto ad essi, infatti, quello del vescovo è un ruolo ministeriale. Egli non può disporre a piacere del Vangelo e dell'Eucaristia54. Il vescovo sta a capo della Chiesa particolare in virtù dello spiritus principalis, che gli è dato nell'ordinazione, come testimoniano le antiche fonti liturgiche (Traditio apostolica, n. 3). Tale

51 L’affermazione è ripresa da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica in forma di «motu proprio» Apostolos suos (21.05.1998), n. 12 nota 54. Si tratta di insegnamento papale. 52 Cf. J. RATZINGER, «L’eccleisologia della Lumen gentium», in L’Osservatore Romano, 04.03.2000, p. 6. 53 Cf. A. CATTANEO, La Chiesa locale. I fondamenti ecclesiologici e la sua missione nella teologia postconciliare, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, p. 131, nota 264. 54 Il servizio del ministero pastorale ordinato viene indicato con il concetto di "gerarchia" (potere sacro). Il concilio Vaticano II definisce la Chiesa una "communio ierarchica". La formula ricorre in LG, n. 21 e con essa il concilio intende spiegare immediatamente l'inserimento del singolo vescovo nella comunione del collegio episcopale e con il papa, implicitamente la relazione delle singole Chiese particolari con la comunione della Chiesa universale. La formula usata dal concilio Vaticano II ha lo scopo d i integrare l'ecclesiologia sacramentale e di comunione della Chiesa antica, con l'ecclesiologia unitaria giuridica del secondo millennio. Dal punto di vista sistematico oggettivo, tuttavia, la conciliazione non pare riuscita in modo convincente (cf. A. ACERBI, Due ecclesiologie. Ecclesiologia giuridica ed ecclesiologia di comunione nella 'Lumen gentium', Edizioni Dehoniane, Bologna 1975). Il Vaticano II intendeva, inoltre, prendere le distanze da una concezione romantica di communio, svuotata dalla dimensione sacramentale-giuridica (anche questa propria dell'ecclesiologia antica). In ultima analisi si tratta non di contrapporre, ma di integrare nella concreta struttura della Chiesa, a tutti i livelli, l'unità e la pluralità, la società gerarchica e il corpo mistico, il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale. Ci sono concetti, come quello di gerarchia, carichi di molteplici significati storicamente superati; si continua a usarli perché mancano concetti migliori, capaci di salvaguardare i molteplici contenuti ad essi attribuiti.

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spiritus principalis è il carisma già accordato "ai santi apostoli che hanno fondato la Chiesa in ogni luogo" (Traditio apostolica, ivi). Il carisma che egli riceve in linea con gli apostoli ne fa "il dispensatore della grazia del sacerdozio supremo" (funzione di santificare: LG, n. 26), il pastore di una determinata Chiesa (funzione di governare: LG, n. 27) e il responsabile primo dell'evangelizzazione (funzione di insegnare: LG, n. 25). Il testo di CD n. 11, riprendendo implicitamente un tema fondamentale della Chiesa antica (in particolare di Sant'Ignazio martire), alla ministerialità propria del vescovo unisce quella del suo presbiterio. Ciò obbliga a evidenziare i vincoli esistenti tra l'ordine dei vescovi e quello dei presbiteri. Questi sono definiti dal concilio Vaticano II "premurosi collaboratori dell'ordine episcopale, suo aiuto e strumento, chiamati a servire il popolo di Dio" (LG n. 28; cf. anche Presbyterorum ordinis, n. 7). I presbiteri, con il loro vescovo, costituiscono un unico presbiterio destinato a diversi uffici. Significa che il ministero episcopale non è solo personale ma anche sinodale e che il vescovo, per compiere il suo compito pastorale nella Chiesa particolare, ha bisogno del presbiterio. "Il vescovo quindi sta alla testa della Chiesa locale in virtù di un carisma situato in una Chiesa che lo Spirito costruisce mediante molti altri carismi ancora: dalla sua carica di presidenza deriverà la sua sollecitudine del loro vicendevole riconoscimento. Certo egli sta alla testa della Chiesa, ma da questa Chiesa, fedele alla tradizione, riceve la parola che proclama e trasmette con gli altri cristiani. Spetta a lui inoltre presiedere l'assemblea eucaristica della sua Chiesa; consacrando però il corpo e il sangue che l'assemblea offre, egli non solo celebra per essa, né solo con e in essa, ma anche per mezzo di essa: in tal modo egli è il ministro del Cristo che fa l'unità del suo corpo, creando la comunione per mezzo del corpo del Cristo. Tutto ciò si svolge in un cammino in direzione del Regno, cammino nel quale la Chiesa è chiamata, in un contesto sociale e culturale determinato, ad essere l'abbozzo di una comunità umana rinnovata"55. Ho già fatto notare che la Chiesa particolare non è dissociabile teologicamente dalla comunione delle Chiese. Ciò si verifica in modo particolarmente evidente nel ministero episcopale. In forza della consacrazione episcopale e della comunione gerarchica il vescovo è costituito membro del corpo episcopale (LG, n. 22a). Di conseguenza il vescovo diventa il legame della Chiesa, poiché rappresenta tutte le Chiese presso la propria e rappresenta la sua Chiesa presso tutte le altre. Partendo da questo livello, la conciliarità della Chiesa trova la sua espressione nella partecipazione dei vescovi al concilio. Conclusione: a livello di Chiesa particolare si ha una piena realizzazione della Chiesa di Dio, ed anche la sua manifestazione più intensa; tuttavia la Chiesa particolare non può essere Chiesa di Dio isolatamente. Può essere Chiesa di Dio solo in quanto mantiene dei legami viventi di comunione con le altre Chiese particolari le quali sono, anch'esse e alle stesse condizioni, la Chiesa di Dio. La relazione di reciproca interiorità che esiste tra la Chiesa particolare e la Chiesa universale, non distrugge né l'esistenza propria della Chiesa particolare né la sua appartenenza alla Chiesa universale, ma le rafforza entrambe; così come la responsabilità ultima di ciascun vescovo per la sua Chiesa particolare davanti a Dio e ai fedeli non pone in discussione la sua appartenenza al collegio dei vescovi uniti al papa. Il vescovo è il principio visibile e il fondamento dell'unità della Chiesa particolare; il vescovo di Roma è il principio visibile e il fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. Le Chiese particolari sono formate a immagine della Chiesa universale (LG, n. 23a). La Chiesa è un'unità nella diversità e a partire dalla diversità; essa è un corpus ecclesiarum (LG, n. 23b), una communio di Chiese. È parere di diversi autori che il concilio Vaticano II non abbia offerto molto di nuovo sulla Chiesa particolare riguardo a quanto acquisito prima del suo annuncio di convocazione. Se è vero che non c’è novità di contenuti, è pur vero che è stato un grande

55 Ivi, p. 174.

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guadagno l’autorevolezza che il Vaticano II ha impresso all’incipiente teologia della Chiesa particolare. Ciò ha consentito i passi successivi. V – CHIESA PARTICOLARE E CULTURA 1. Chiesa particolare e cultura: "Status quaestionis" Il carattere universale dell'invio in missione nel Nuovo Testamento (cf. Mt 28,19 e ppll) comporta la pluriformità delle Chiese particolari in seno alla catholica. Per usare l'immagine fatta propria dal concilio Vaticano II nel decreto Ad gentes, si deve riconoscere che caratteristica della catholica è quella di parlare tutte le lingue, tutte intenderle e comprenderle nell'amore, superando la dispersione di Babele (AG, n. 4a). Sono una necessità sia il pluralismo culturale e il policentrismo ecclesiale, sia l'unità della Chiesa. Ciò comporta il riconoscimento, di diritto e di fatto, di un modello sinodale di Chiesa, nel quale le Chiese particolari, in comunione tra loro e con la Chiesa di Roma e il suo vescovo, sono affermate uguali nella dignità, nel rispetto della identità propria di ciascuna. Il carattere di universalità che caratterizza il popolo di Dio è un dono del Signore e le Chiese particolari debbono essserne la realizzazione. Le Chiese particolari sono cattoliche in senso pieno solo inculturandosi in modo critico in seno alla cultura e alla società in cui sono inserite, e, contemporaneamente, portando i propri doni alle altre Chiese con cui sono in comunione e vivendo nell'unità (cf. LG, n. 13b). Il concilio Vaticano II prende molto sul serio le peculiarità proprie delle Chiese particolari tanto da aspettarsi da questo pluralismo un impulso per il ristabilimento dell'unità dei cristiani. Nella costituzione sulla Chiesa si legge: "Questa varietà di Chiese locali, fra loro concordi, dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa" (23d); e il decreto sull'ecumenismo constata: "Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato a ognuno, sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi, anche nell'elaborazione teologica della verità rivelata, pur custodendo l'unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa osservino la carità. Poiché, agendo così, manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e insieme l'apostolicità della Chiesa" (UR, n. 4g). Le espressioni: "varie forme di vita spirituale e di disciplina", "diversità di riti liturgici", "elaborazione teologica della verità rivelata", fanno riferimento alla cultura propria di una Chiesa particolare o di un insieme di Chiese particolari. Come intendere il rapporto tra il concetto di Chiesa particolare e la cultura? Quale posto occupa la cultura tra gli elementi che compongono la Chiesa particolare? Come intendere il policentrismo ecclesiale, dal punto di vista della cultura, così da salvaguardare l'unità della Chiesa? Su questi interrogativi si è molto discusso dopo il concilio Vaticano II e molto ancora si discute. Non pare siano stati raggiunti risultati pienamente soddisfacenti, soprattutto sul piano del vissuto ecclesiale.

Nella breve riflessione che propongo, assumo un concetto generalissimo di cultura, in prospettiva socio-antropologica. Per cultura intendo "l'insieme dei prodotti e dei valori creati e socialmente integrati da un gruppo umano; ossia il complesso delle istituzioni e delle forme del vivere umano presenti in un determinato ambiente e in un determinato periodo storico, le quali condizionano e caratterizzano i costumi e l'organizzazione sociale di un gruppo etnico"56. Cultura è dunque quella forma comune di espressione delle intuizioni e dei valori che storicamente si è

56 M. MONTANI, «Cultura», in M. SODI - A.M. TRIACCA (a cura di), Dizionario di omiletica, Editrice LDC-VELAR, Leumann (Torino) - Gorle (Bergamo), 1998, p. 355.

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sviluppata e che caratterizza la vita di una comunità. Da questo concetto di cultura deriva che non può esistere una fede senza cultura, così come non può esistere una cultura senza fede57. 2. Chiesa particolare e cultura: la riflessione teologica 2.1 - La ricerca degli elementi che compongono la Chiesa particolare può essere sviluppata in base a criteri essenzialmente teologici (è l'orientamento della definizione di diocesi che troviamo in CD, n. 11a), oppure ponendo l'accento sugli elementi socioculturali (è l'orientamento che prevale in LG, n. 26; in CD, nn. 22-23, 36-40; nel Codice di diritto canonico, cc. 370-372; 431; 433; 448). Qualunque prospettiva venga scelta58, sono due le posizioni estreme da evitare: o sottovalutare la cultura fino a considerarla irrilevante nella costituzione della Chiesa, o esaltarla tanto da non sfuggire alla sua sopravvalutazione e al pericolo dell'esclusività rispetto alle altre culture59. La cultura va compresa nella logica della "sacramentalità" della Chiesa. 2.2 - Nella realtà complessiva della Chiesa si distingue la struttura essenziale della Chiesa, dalla sua figura concreta e mutevole (la sua organizzazione)60. Scrive al riguardo la Commissione Teologica Internazionale:

"La struttura essenziale comprende tutto ciò che nella Chiesa deriva dalla sua istituzione divina (iure divino) mediante la fondazione operata da Cristo e il dono dello Spirito Santo. Benché non possa essere che unica e destinata a perdurare sempre, questa struttura essenziale e permanente riveste sempre una figura concreta e un'organizzazione (iure eclesiastico), frutti di elementi contingenti ed evolutivi, storici, culturali, geografici, politici. Perciò la figura concreta della Chiesa è normalmente soggetta a evoluzione ed è quindi il luogo ove si manifestano legittime, anzi necessarie, differenze. La diversità delle organizzazioni rimanda all'unità della struttura"

61.

Distinguere la struttura essenziale dalla figura concreta non significa separare le due

dimensioni della Chiesa.

"La distinzione tra la struttura essenziale e la figura concreta (organizzazione) - approfondisce la Commissione Teologica Internazionale - non significa che tra di esse vi sia una separazione. La struttura essenziale è sempre implicata in una figura concreta, senza la quale non potrebbe sussistere. Per questo motivo la figura concreta non è neutra nei confronti della struttura essenziale, che deve poter esprimere con fedeltà ed efficacia, in una determinata situazione. Su

57 “Cultura” è da intendere nel senso indicato in Gaudium et spes 53 (EV 1/1493) e nell’assemblea di Puebla (Puebla. L’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina, EMI, Bologna 1979, p. 164, n. 387). 58 Per una inquadratura della questione cf. D. VALENTINI, «La cattolicità della Chiesa locale», in ASSOCIAZIONE TEOLOGIA ITALIANA, L'ecclesiologia contemporanea, Edizioni Messaggero, Padova 1994, pp. 69-133 (con bibl.). Cf. anche G. SILVESTRI, La Chiesa locale “soggetto culturale”, Edizioni Dehoniane, Roma 1998 (bibl. pp. 283-316). 59 Scrive il p. Legrand: "L'esperienza storica ci insegna (…) che identificare la Chiesa secondo criteri nazionali e culturali, pur essendo un'esigenza di cattolicità, rischia di indebolire molto seriamente questa stessa cattolicità della Chiesa, come testimonia la carta dei vari scismi che hanno lacerato l'unità della Chiesa cristiana: essa coincide costantemente e quasi perfettamente con la carta delle grandi aree culturali. Le sfide di Babele sono terribili ed esigono risposte diversificate e dinamiche": La Chiesa si realizza in un luogo, p. 161. 60 E' una distinzione comune tra i teologi. Appare nello studio della COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Temi scelti di ecclesiologia. In occasione del XX anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, 7 ottobre1985, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1985 - Cf. anche La Civiltà Cattolica IV (1985), pp. 446-482; EV 9/1668-1765. 61 Ivi, p. 30 (La Civiltà Cattolica IV [1985], p. 462; EV 9/1711).

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alcuni punti, specificare con certezza ciò che dipende dalla struttura e dalla forma (o organizzazione) può richiedere un delicato discernimento"

62.

2.3 - Tenendo conto delle precisazioni appena fatte, nella realtà complessiva della Chiesa particolare possiamo distinguere: - elementi che appartengono alla sua struttura essenziale (cf. CD, n. 11a); - elementi che la integrano necessariamente (la cultura); - elementi che concorrono a delimitare o determinare secondo precise modalità la Chiesa particolare, la sua figura concreta e la sua organizzazione: territorio, lingua, rito, ecc. Queste distinzioni risultano utili e funzionali alla riflessione che stiamo sviluppando. 2.4 - Il rapporto tra la Chiesa particolare e la cultura è un rapporto necessario63. La relazione può essere spiegata facendo riferimento, in senso analogico, al Verbo incarnato: come l'incarnazione del Verbo è stata un’incarnazione culturale, così il sorgere della Chiesa non può attuarsi che attraverso la sua incarnazione nella "carne" di una cultura. Ma si deve aggiungere: - come la Parola di Dio non si identifica e non si lega in maniera esclusiva con gli elementi della

cultura che la veicolano; - come Cristo stesso, pur legandosi alle condizioni sociali e culturali degli uomini con cui visse,

non si isola dalla restante famiglia umana, ma, anzi, raggiunge ogni uomo nell'unità che noi formiamo e nel suo Corpo tutte le culture, nella misura in cui sono animate e rinnovate dalla grazia e dalla fede, trovano accoglienza;

- così ogni Chiesa particolare, culturalmente caratterizzata (con una sua dottrina, una sua spiritualità, una sua liturgia, una sua disciplina, un suo linguaggio, un suo spazio geografico e culturale), in forza della comunione con le altre Chiese, deve essere attenta che la "cultura" (la "carne") non faccia velo al mutuo riconoscimento nella fede apostolica e alla solidarietà nell'amore64.

2.5 - La cultura non va pensata soltanto come qualcosa che si pone a servizio dell'evangelizzazione. La cultura deve essere integrata nella totalità del mistero di Cristo. L'uomo divenuto in Gesù "figlio" del Padre non è un essere astratto, "superculturale". E' un uomo inculturato. Questa cultura, prigioniera del peccato, vive la sua gestazione per essere rinnovata. Così è della Chiesa, sacramentum mundi. Essa è "nelle doglie" (Rom 8,18-25): la cultura che integra la Chiesa particolare viene ad essere il luogo ove l'uomo e il mondo sono chiamati a ritrovarsi nella gloria. La cultura è così in situazione escatologica: tende verso il proprio compimento nel Cristo, ma non può essere salvata se non associandosi al ripudio del male. 2.6 - “Ogni Chiesa particolare o locale ha la vocazione di essere, nello Spirito Santo, il sacramento che manifesta il Cristo, crocifisso e risorto, nella carne di una cultura particolare:

62 Ivi. 63

Dico "necessario" ("imprescindibile") e non "costitutivo", perché "costitutivi" sono gli elementi teologici che strutturano la Chiesa particolare. Diversamente, ACHIEL PEELMAN, professore all'Università Saint-Paul di Ottawa, in un volume di notevole interesse, afferma che la cultura dei popoli è uno dei fattori percepiti sempre più come un "elemento costitutivo della Chiesa" (cf. L'inculturation. L'Église et les cultures, Paris-Ottawa 1988, p. 29 - Versione italiana: L'inculturazione. La Chiesa e le culture, [Giornale di Teologia, n. 216], Editrice Queriniana, Brescia 1993, p. 26). Anche se non elemento costitutivo, la cultura non può essere ridotta a elemento "determinativo" (come il territorio, la lingua, il rito: a questi elementi si ricorre per delimitare le Chiese particolari. Cf. CIC can. 372, §§ 1-2). Sugli elementi determinativi mi soffermerò nel capitolo 2: 64 Cf. COMMISSIO THEOLOGICA INTERNATIONALIS, Fides et inculturatio, in Gregorianum 70 (1989) 625-646 - Versione italiana in La Civiltà cattolica I (1989), pp. 158-177; EV 11/1347-1395, 1396-1422.

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a) La cultura di una Chiesa locale – giovane o antica – partecipa al dinamismo delle culture e alle loro vicissitudini. Proprio perché è in situazione escatologica, essa rimane sottoposta alle prove e alle tentazioni (cf. Ap 2 e 3).

b) La “novità cristiana” genera nelle Chiese locali espressioni particolari culturalmente caratterizzate (modalità delle formulazioni dottrinali, simbolismi liturgici, tipi di santità, direttive canoniche, ecc.). Ma la comunione tra le Chiese esige costantemente che la ‘carne’ culturale di ognuna non faccia velo al mutuo riconoscimento nella fede apostolica e alla solidarietà nell’amore.

c) Ogni Chiesa inviata alle nazioni testimonia il proprio Signore solo se, tenuto conto dei propri vincoli culturali, si conforma a Lui nella prima kenosi della sua incarnazione e nell’umiliazione ultima della sua passione vivificante. L’inculturazione della fede è una delle espressioni della tradizione apostolica di cui Paolo sottolinea a più riprese il carattere drammatico (1 e 2 Cor passim)”65.

Conclusione - La cultura (l'humanum) è elemento integrativo necessario della Chiesa particolare. La fede in Cristo non richiede a colui che diviene credente l'abbandono della propria cultura per adottare la legge mosaica (come esigevano gli ebreo-cristiani dell’epoca delle origini della Chiesa) o la cultura della Chiesa madre nella fede. Egli deve purificare ciò che non è compatibile con la buona novella di Gesù. Le diversità culturali sono pienamente legittime, anzi necessarie, ma devono anche lasciare trasparire la comune fede apostolica. Fu questa l'esperienza dell'apostolo Paolo. Ebreo nato nella diaspora ellenica, discepolo di Gamaliele a Gerusalemme, cittadino romano, egli ha saputo annunciare il Cristo crocifisso, "scandalo per i Giudei, follia per i Greci", nelle comunità umane più differenti, facendosi tutto a tutti al fine di annunciare a tutti il messaggio della salvezza. Con Giovanni Paolo II si può affermare: "Il cammino vero della Chiesa è l'uomo: un cammino intessuto di profondo e rispettoso dialogo interculturale"66. Quando si parla di ‘Chiesa locale’ l’attenzione non è rivolta tanto al territorio in quanto tale, ma alla comunità-soggetto, a quello ‘spazio di umanità’ che ha le sue caratteristiche specifiche, proprie radici culturali e tradizioni. La Chiesa è sempre la realtà concreta di questo gruppo di uomini e donne, in questo tempo e in questo luogo. 3. Chiesa particolare, liturgia e cultura La declinazione antropologico-culturale della liturgia è uno dei temi più dibattuti a partire dal concilio Vaticano II. Sia per il concilio sia per la riflessione successiva, il rinnovamento della liturgia passa attraverso una costante ed efficace inculturazione del messaggio della fede nei valori dei popoli, una inculturazione che sveli più pienamente il mistero di Cristo Signore e che renda possibile, in ogni lingua e in ogni cultura, la proclamazione delle sue lodi e delle sue opere. In questa materia riveste particolare importanza la quarta istruzione sulla liturgia romana e l'inculturazione "Varietates legitimae", pubblicata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il 25 gennaio 199467. Il documento interessa direttamente tutte le Chiese particolari per quanto riguarda l'inculturazione del culto. 65 Ivi: EV 11/1394. 66 Discorso rivolto ai pellegrini giunti per le canonizzazioni dei centoventi martiri in Cina e di altri santi, in L'osservatore romano, lunedì-martedì 2-3 ottobre 2000, p. 11. Il papa non teme di chiedere perdono degli eventuali limiti ed errori eventualmente presenti nell'azione missionaria dei nuovi santi canonizzati. Quale esempio di dialogo interculturale in Cina il papa cita il p. Matteo Ricci. 67

L'istruzione porta il seguente titolo: De Liturgia romana et inculturatione. Instructio quarta "Ad exsecutionem Constitutionis Concilii Vaticani Secundi de Sacra Liturgia recte ordinandam" (Ad Const. art. 37-40), in Notitiae 332, vol. 30 (1994) 80-115 - Versione francese: ivi, pp. 116-151 - Versione italiana in Regno documenti XXXIX (1994), pp. 262-270. Sull’inculturazione della liturgia cf.: A. CHUPUNGO,

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L'istruzione si occupa dei rapporti tra la "liturgia romana" (= rito romano) e l'inculturazione. Il concetto di "inculturazione" è spiegato nelle osservazioni preliminari dell'istruzione ai nn. 4-5. Ecco il testo: "4. La Costituzione Sacrosanctum Concilium ha parlato di adattamento della liturgia indicandone alcune forme (nn. 37-40). In seguito, il magistero della Chiesa ha utilizzato il termine "inculturazione' per designare in modo più preciso 'l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone e nello stesso tempo l'introduzione di queste culture nella vita della Chiesa"68. "L'inculturazione significa un'intima trasformazione degli autentici valori culturali attraverso la loro integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle differenti culture"69. Si comprende quindi il cambiamento di vocabolario, anche nel campo liturgico. Il termine "adattamento", ripreso dal linguaggio missionario, poteva far pensare a dei cambiamenti soprattutto di punti singoli ed esteriori. Il termine "inculturazione" può meglio servire a indicare un duplice movimento: "Attraverso l'inculturazione, la Chiesa incarna il Vangelo nelle diverse culture e, nel contempo, introduce i popoli con le loro culture nella propria comunità"70. Da una parte, la penetrazione del Vangelo in un dato ambiente socioculturale "feconda come dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità dello spirito e le doti di ciascun popolo" (GS n. 58). Dall'altra parte, la Chiesa assimila questi valori, nel caso essi siano compatibili con il Vangelo, "per approfondire l'annuncio di Cristo e per meglio esprimere nella celebrazione liturgica e nella vita multiforme della comunità dei fedeli" (ivi). Questo duplice movimento operante nell'inculturazione esprime così una delle componenti del mistero dell'incarnazione”71". "5. Così intesa, l'inculturazione ha il suo posto nel culto come negli altri campi della vita della Chiesa, costituendo uno degli aspetti dell'inculturazione del Vangelo che domanda una vera integrazione, nella vita di fede di ciascun popolo, dei valori permanenti di una cultura, più che delle sue espressioni transitorie. Essa deve dunque essere strettamente connessa con una più vasta azione, con una pastorale concertata, che consideri l'insieme della condizione umana". In riferimento alla liturgia, l'istruzione afferma che nel rito romano possono essere adattati il linguaggio, la musica e il canto, i gesti e gli atteggiamenti, l'arte (cf. nn. 38-45). L'istruzione indica poi le diverse celebrazioni che richiedono in priorità l'adattamento alla mentalità e agli usi sociali dei differenti popoli: l'iniziazione cristiana, il matrimonio, i funerali, le benedizioni, l'inserzione di taluni riti e talune feste nel corso dell'anno. La «celebrazione» delle azioni liturgiche deve essere il luogo d’incontro fra liturgia/teologia e cultura. Gli adattamenti non possono essere realizzati che nella comunione con la Chiesa universale e tenendo conto del dato biblico. Per il Nuovo Testamento la Pasqua non è la festa della primavera, ma la festa della morte e della risurrezione del Cristo, che ebbe luogo nella primavera dell'emisfero boreale. L'adattamento non potrà mai oscurare il dato fondamentale di questa festa72. Concludo rilevando che il Vangelo non può esprimersi solo nei riti liturgici di un popolo, ma in tutta la sua cultura, per cui il processo di inculturazione deve riguardare anche la spiritualità, la

L’adattamento della liturgia tra culture e teologia, Piemme, Casale Monferrato (AL), 1985; IDEM, «A Historical Survey of Liturgical Adaptation», in Notitiae, 174, vol. 27 (1981), pp. 28-43; IDEM, «A definition of liturgical inculturation», in Ecclesia orans V (1988), pp. 11-23. 68 GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Slavorum Apostoli (2.6.1985), n. 21, in AAS 77 (1985), pp. 802-803: EV 9/1596-1597. 69 GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris missio (7.12.1990), n. 52, in AAS 83 (1991), p. 300: EV 12/651-652. 70 Ivi, p. 300: EV 12/651-652. 71 GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Catechesi tradendae (16.10.1979), n. 53, in AAS 71 (1979),pp. 1319-1321: EV 6/1886-1889. 72 Cf., in questo senso, P. JOUNEL, «Une étape majeure sur le chemin de l'inculturation liturgique», in Notitiae n. 334, vol. 30 (1994), pp. 260-277.

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riflessione teologica, la catechesi, il diritto particolare, la religiosità popolare, in breve tutta la vita della Chiesa particolare73. VI – CHIESA COME “COMUNIONE DI CHIESE”: ORIENTAMENTI E SEGNI DI UNA “COMMUNIO ECCLESIARUM” CHE CRESCE 1. Mutamenti in atto

In connessione con la comprensione della Chiesa come communio Ecclesiarum, si va

registrando un riordinamento verso una Chiesa che si realizza su scala mondiale come comunione di Chiese.

Il prof. Mario Midali, pastoralista attento all'evoluzione ecclesiale a raggio mondiale, così descrive il passaggio da una Chiesa monocentrica e monoculturale a una Chiesa policentrica e interculturale:

"Il passaggio da una Chiesa monocentrica, dominata dalla cultura euro-americana, a una

Chiesa pluricentrica in cui le Chiese e culture locali rivendicano propri spazi vitali è uno dei fenomeni più rilevanti e problematici dell'attuale congiuntura storica. La Chiesa e, in essa, varie istituzioni (ivi compresi gli istituti di vita consacrata), stanno cessando di essere maggioritari in contesti europei e nordamericani, mentre sono in espansione in vari contesti dell'emisfero sud e dell'oriente. Nuove sensibilità dovute all'incorporazione di culture regionali stanno acquistando diritto di cittadinanza con ricadute provocatorie e cariche di seri interrogativi sull'intera compagine ecclesiale". L'Autore passa a elencare le cause dei mutamenti. Scrive:

"Questo passaggio è stato favorito dal Vaticano II e da vari sforzi di rinnovamento del periodo postconciliare con particolare riferimento ai seguenti fenomeni: l'affermarsi dell'ecclesiologia di comunione, l'approfondimento della teologia della Chiesa particolare, l'enfasi posta sull'inculturazione del Vangelo e della Chiesa nelle varie culture comprese quelle minoritarie, la difesa dei diritti della persona umana e in modo speciale della libertà religiosa a tutti i livelli, la progressiva attenzione alla situazione femminile.

Questo cambio di mentalità - annota ancora il prof. Midali - si è intensificato negli ultimi anni ed i sinodi dei vescovi con i connessi documenti dedicati rispettivamente ai fedeli laici (1988), ai presbiteri (1992), alla vita consacrata (1996), alla Chiesa di ciascuno dei cinque continenti:

73 AA.VV., Chiesa locale e inculturazione nella missione, EMI, Bologna 1991; J. BOSCH DAVID, Trasforming mission. Paradigm schifts in Theology of Mission. American Society of Missiology - Series n° 16, Orbis Book, Maryknoll, New York 1991; B. BERNARDI, Uomo cultura società, Angeli Editore, Milano 1985; B. BUJO, African Theology in its social context, St. Paul Publications, Africa (s.d.); H. CARRIER, Vangelo e cultura, Città Nuova, Roma 1990; C. KLUCKHON - A.L. KROEBER, Il concetto di cultura, Il Mulino, Bologna 1972; W. JENKINSON - H. O'SULLIVAN (ED.), Trends in Mission. Toward the Third Millenium, Orbis Books, Maryknoll, New York 1991; L.J. LUSBETAK, The Church and Cultures. New perspectives in Missiological Antropology, Orbis Books, Maryknoll 1988 (vers. it.: Chiesa e culture. Nuove prospettive di antropologia della missione, EMI, Bologna 1991); O.A. ONWUBIKO, African thought, Religion and Culture, Enugu 1991; A. PEELMAN, L'Inculturation. L'Église et les cultures, Desclée, Paris 1988; P. POUPARD, Il vangelo nel cuore delle culture, Città Nuova, Roma 1988; J. RATZINGER, «Cristo, la fede e la sfida delle culture. Meglio dire "inculturazione" o "inter-culturalità"», in Asia News, n. 141, 1-15 gennaio 1994, pp. 20-34; P. SCHNILLER, A handbook of inculturation, Paulist Press, New York 1990. Su missione e linguaggio cf. Ad Gentes, Teologia e antropologia della missione, IV (2000/2), numero monografico dedicato al tema (di particolare interesse è l’intervento di C. Molari, «Cosa significa dire oggi al mondo l’evento Gesù», pp. 215-236).

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all'Africa (1994), all'America (1997), all'Asia (1998), all'Oceania (1998), all'Europa (1999) lo hanno variamente registrato"

74.

Con la formula monocentrismo culturale è designata la situazione dominante della cultura

occidentale così come si è imposta in ambito ecclesiastico e come è stata diffusa in altri continenti attraverso una plurisecolare missio ad gentes. Con la formula policentrismo culturale si intende invece il fatto che le Chiese particolari rivendicano propri spazi vitali nella difficile e complessa impresa di incarnarsi nelle proprie culture con l'elaborazione di un proprio pensiero teologico, di proprie forme di vita cristiana e di azione evangelizzatrice dei contesti sociali del posto. Indicatori significativi del policentrismo culturale sono in concreto gli orientamenti peculiari proposti dalle conferenze episcopali (nazionali e continentali), l'emergere di nuove "teologie"75, i tentativi di nuove forme di vita consacrata inculturata76, l'emergere della coscienza femminile, la ricerca di nuove forme per la trasmissione della fede, il rinnovamento delle istituzioni. Di non minore rilevanza sono le nuove forme di comunità e lo sviluppo dei "ministeri" laicali.

Complessa e problematica si va rivelando la messa in opera dell'ecclesiologia di comunione. Il Sinodo straordinario dei vescovi del 1985 ha indicato alcune aree particolarmente bisognose di riflessione: l'unità e la pluriformità nella Chiesa, la collegialità, le conferenze episcopali, la partecipazione e la corresponsabilità nella Chiesa, la comunione ecumenica77. 2. Verso una prassi di unità e cattolicità

Un percorso non facile si rivela oggi l'armonizzazione dei rapporti delle Chiese particolari, che, come si è visto, sono "Chiese", con la Chiesa di Roma, incaricata del ministero dell'unità e della comunione universale78. Osserva giustamente il Kehl: "Non meraviglia nessuno il fatto che questa relazione reciproca, dopo una prassi unilaterale durata secoli, non sia facile da realizzare. Ogni parte è esposta quasi inevitabilmente al pericolo di attribuirsi autonomamente troppa importanza e di compromettere così quell'equilibrio precario che può essere mantenuto solo nel dialogo costante, aperto e senza paure"79.

La molteplicità non può coinvolgere l'essenza, bensì le modalità esteriori; non la sostanza, bensì la forma; non la verità, bensì la sua espressione (la teologia, la devozione, ecc.); non il mistero dell'Eucaristia, ma la sua celebrazione rituale e la forma liturgica.

Le questioni maggiormente discusse in questi anni riguardano: - la rivalutazione del sinodo dei vescovi, dei concili particolari e delle conferenze episcopali; - la richiesta di nuove vie per la scelta dei vescovi; - la riqualificazione dei ministeri ordinati, ivi compreso il diaconato permanente; - il dialogo sul ministero del vescovo della Chiesa di Roma; - la partecipazione dei laici nell'edificazione della Chiesa; - l'approfondimento di questioni quali la sessualità, il matrimonio, la penitenza; 74 M. MIDALI, Teologia pratica. 2. Attuali modelli e percorsi contestuali di evangelizzazione, LAS, Roma 2000, 3° ed., p. 66. Cf. anche M. KEHL, Dove va la Chiesa? Una diagnosi del nostro tempo, (Giornale di teologia, 225), Editrice Queriniana, Brescia 1998. 75 Cf. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, Editrice Queriniana, Brescia, 1996 (3° ed.); M. AMALADOSS-R. GIBELLINI (edd.), Teologia in Asia (Giornale di Teologia, 322), Editrice Queriniana, Brescia 2006. 76 Cf. A. FAVALE, Comunità nuove nella Chiesa, Edizioni Messaggero, Padova 2003. 77 SYNODUS EPISCOPORUM, Relatio finalis Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, 7 decembris 1985, Libreria Editirce Vaticana, Città del Vaticano 1985: EV 9/1800 -1808. 78 Cf. H.M. LEGRAND, «L'articolazione tra Chiese locali, Chiese regionali e Chiesa universale. Chiarimenti su alcuni dibattiti all'interno della Chiesa cattolica dopo il Vaticano II, con particolare riguardo alla collegialità episcopale», in Ad Gentes. Teologia e antropologia della missione 3(1999), pp. 7-31. 79 Dove va la Chiesa? Una diagnosi del nostro tempo, p. 95.

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- la ri-comprensione della vita consacrata. Sono questioni di gran rilevanza per le Chiese particolari e per il loro futuro. Nelle Chiese

particolari i tratti della communio si vanno delineando: 1° nel modo di realizzarsi delle Chiese particolari come Chiese locali80 (di qui la riorganizzazione delle parrocchie nel territorio e il sorgere di nuove comunità: Small Christian Communities81, Petites communautés chrétiennes82, Comunidades de base83, Comunione di comunità84, ecc.), con la conseguente valorizzazione dei laici85; 2° nella rinnovata sequela di Cristo, riconosciuto presente soprattutto nei poveri ("opzione per i poveri"); 3° nell'impegno per l'inculturazione e l'evangelizzazione; 4° nello sviluppo di forme sinodali sia tra vscovi e fedeli, sia all'interno delle stesse Chiese particolari (Sinodi, consigli, ecc.).

Si tratta di fenomeni connessi tra loro, costitutivi della forma attuale della Chiesa intesa come communio.

Concludo citando ancora il prof. Midali: «Una prassi efficace di “comunione di Chiese” richiede che le Chiese locali siano disponibili all'integrazione e suppone, insieme, che chi presiede la comunione tra le Chiesi “tuteli” la differenziazione (cf. LG 13c). Unità e cattolicità vanno perseguite congiuntamente e non separatamente, sia a raggio di Chiesa locale che da parte di chi presiede la comunione delle Chiese»86.

NOTA

Chiesa universale, particolare, locale:

la questione terminologica E' necessario delimitare il concetto di Chiesa particolare. Tra gli studiosi e nel linguaggio corrente, infatti, non vi è uniformità di vocabolario per indicare la Chiesa che si realizza in un luogo determinato. La questione non è puramente formale.

Preciso subito che per Chiesa particolare intendo una Chiesa locale cui presiede un Vescovo, vale a dire una Chiesa nella quale si manifesta e si realizza la salvezza per tutti gli uomini di quel luogo, mediante l'annuncio della Parola e la celebrazione dei sacramenti, specialmente dell'Eucaristia. Si tratta di una comunità riconosciuta come Chiesa dalle altre Chiese e ultimamente dalla Chiesa di Roma. Si tratta della Chiesa diocesana (CD 11). Per designare questa forma di Chiesa i teologi usano termini differenti.

80 Cf. M. GUASCO - E. GUERRIERO - F. TRANIELLO (A CURA DI), Storia della Chiesa. XXV/2. La Chiesa del Vaticano II (1958-1978), Parte seconda, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994, pp. 529-534, 535-569, 649-658. 81 Cf. J. O'HALLORAN, Small Christian Communities. A pastoral companion, Orbis Books, The Columbia Press, Dublien 1996. 82 Cf. B. UGEUX, Les petites communautés chrétiennes. Une alternative aux Paroisses? L'expérience du Zaïre, Les Éditions du Cerf, Paris 1988; Small Christian Communities. 20 years later. Insights from an Amecea Survey and Workshop in Small Christian Communities, in AMECEA, Documentation Service, Nairobi, Kenya, June/July 1997. 83 Cf. F. L. COUTO TEIXEIRA, «Les communautés de base du Brésil au tournant», in Études, décembre 1992 (3776), pp. 677-687; AA.VV., As comunidades de base em questão, Paulinas, Saõ Paulo 1997. 84 Cf. A. FALLICO, Progetto parrocchia comunione di comunità, Edizioni Chiesa-mondo, Catania 1990. 85 Cf. L. SANTEDI, «L'actualité des ministères laïcs dans l'Église. Homage au cardinal I. A. Malula», in Telema, N° 98-99, Avril-septembre 2-3/1999, pp. 66-88. 86 MIDALI, Teologia pratica. 2. Attuali modelli e percorsi contestuali di evangelizzazione, p. 73.

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1. Il vocabolario dei teologi 1.1 - Molti teologi di lingua francese per indicare una Chiesa locale guidata da un Vescovo usano l'espressione "Chiesa locale" (Église locale), escludendo che questa abbia lo stesso significato fondamentale di "Chiesa particolare" (Église particulière), termine adottato nei documenti ufficiali della Chiesa di Roma. Per giustificare la loro scelta questi teologi portano molteplici ragioni. Affermano: - "particolare" rinvia a pars, termine volutamente escluso dai Padri del Concilio Vaticano II, i quali invece avevano preferito il termine portio (porzione) per sottolineare che in una comunità locale guidata da un Vescovo sono contenute tutte le caratteristiche essenziali della Chiesa di Dio; - "particolare" si oppone a "universale": la contrapposizione, mentre compromette la "cattolicità" della Chiesa locale, rischia di far credere che questa sia una parte o una circoscrizione amministrativa della Chiesa universale; - il Concilio Vaticano II usa la voce "diocesi" un numero di volte maggiore rispetto a "Chiesa particolare" e poiché la diocesi è connotata dal luogo, "Chiesa locale" è da preferirsi a "particolare". Per queste ragioni, concludono questi studiosi, il teologo non è vincolato all'espressione "Chiesa particolare", utilizzata in modo sistematico in molti documenti ufficiali della Chiesa di Roma, in particolare dal Codice di diritto canonico della Chiesa latina, promulgato nel 1983. 1.2 - L'espressione "Chiesa locale" (Local Church) è preferita anche dai teologi di lingua inglese. Secondo questi teologi il termine sottolinea l'importanza del luogo (locus), inteso sotto l'aspetto geografico, senza escludere i fattori sociali, storici e culturali meglio messi in luce dalla voce "particolare". I vocaboli "particolare" e "locale", sostengono, non sono sinonimi. Entrambi si riferiscono alla manifestazione concreta della Chiesa universale, ma con sfumature diverse: "locale" fa riferimento al luogo, "particolare" agli aspetti sociali, storici e culturali. La parola "locale" si applica a diversi livelli di estensione, per esempio alla parrocchia, alla diocesi, alla Chiesa di una nazione, ecc. Di conseguenza diverse realtà di diversa ampiezza possono essere chiamate "Chiesa locale". 1.3 - La maggioranza dei teologi italiani per indicare la diocesi e le circoscrizioni ecclesiastiche assimilate, usa l'espressione "Chiesa locale". Non mancano teologi che considerano le espressioni "Chiesa locale" e "Chiesa particolare" come sinonimi, anche se con accentuazioni diverse. Alcuni pongono l'accento sul fatto che "locale" si riferisce al luogo di esistenza della comunità con le sue caratteristiche storiche e culturali, mentre "particolare" indica la comunità intesa in senso teologico (sarebbe questo il significato della voce "Chiesa particolare" usata dal Codice latino: cf. cann. 368-374). Altri sottolineano che il termine "locale" va interpretato in relazione a "cattolico", mentre "particolare" va visto in relazione a "universale". 1.4 – Nella lingua tedesca si parla tanto di 'Chiesa particolare' (Teilkirche) (Chiesa locale come parte della Chiesa universale) come di 'Chiesa membro' (Gliedkirche) (Chiesa locale come membro della Chiesa universale) oppure di 'Chiesa locale' (Ortskirche) (Chiesa in un determinato luogo)87. Alcuni teologi precisano che 'Chiesa particolare' (Teilkirche) si riferisce più esattamente di 'Chiesa locale' alla Chiesa episcopale. In ogni caso, nell'uso del termine deve essere rimosso l'equivoco che ecclesia particularis significhi ecclesia partialis. 1.5 - Tra le differenti proposte formulate per chiarire il vocabolario vanno segnalate, per l'influsso che hanno avuto, quelle del p. Y. M. Congar e del p. H. de Lubac. 87 S. WIEDENHOFER, La Chiesa. Lineamenti fondamntali di ecclesiologia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 1994, p. 270-271.

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Il primo scrive:

"Le Chiese locali e particolari - Né il Concilio Vaticano II né numerosi documenti hanno un vocabolario ben definito. Per quanto sta in noi, crediamo che sia fondata e chiara la seguente distinzione: la Chiesa locale è la Chiesa di Dio in un certo luogo; la bella definizione della diocesi data dal Vaticano II le si applica perfettamente (cf. LG 23,1 e 26; CD 11). Si può chiamare Chiesa particolare quella che presenta una caratteristica particolare, per esempio di lingua (supponiamo: la lingua basca), di reclutamento dei suoi membri (per esempio: dei militari)... Può essere una diocesi, una porzione di diocesi, può essere un insieme di diocesi, un patriarcato (per esempio la Chiesa armena). Da noi la riscoperta, la valorizzazione delle Chiese locali e particolari è stata fatta dal Concilio"88.

Diversa è la proposta del p. H. de Lubac. Dopo aver attentamente esaminato il vocabolario del Concilio, non uniforme nell'uso di "Chiesa particolare" e "Chiesa locale", scrive:

"Nonostante queste eccezioni e queste imprecisioni di linguaggio, possiamo, per una maggiore chiarezza ed annettendovi solo una importanza pratica, mantenere la maniera più generale di parlare impiegata dal Concilio, riservando il nome di Chiesa particolare alla Chiesa a cui presiede un vescovo"89.

A ulteriore conferma della sua scelta il p. H. de Lubac cita la terminologia adottata da Dom Gréa nella sua opera L'Église et sa divine constitution, pubblicata agli inizi del pontificato di Leone XIII (1884) e nuovamente edita nel 1965. "Il vescovo, scriveva Dom Gréa, è il capo della Chiesa particolare", e "la Chiesa particolare è sostanzialmente tutto ciò che è la Chiesa universale"90. Conclusione: la rapida rassegna mette in luce che i teologi sembrano orientati a riservare l'appellativo "Chiesa particolare" alle riunioni di Chiese caratterizzate dalla loro particolarità culturale e a designare invece la Chiesa presente in un luogo sotto la guida di un Vescovo con l'espressione "Chiesa locale", sottolinenadone la cattolicità. 2. Chiesa particolare, Chiesa locale e Chiesa universale nei documenti del Concilio Vaticano II, nei Codici latino e orientale e in altri testi. 2.1 - La terminologia usata dal Concilio Vaticano II nei suoi documenti per indicare le diverse forme di Chiesa (Chiesa domestica, comunità di base, parrocchia, diocesi, più Chiese di una stessa regione, l'intera Chiesa, ecc.) non è uniforme e manca di rigore concettuale. Nei testi ricorrono le seguenti voci: a) Ecclesia particularis: l'espressione è usata per indicare prevalentemente la diocesi (cf. CD 3, 11, 23, 28, 36; LG 23, 27, 45), ma indica anche un gruppo di Chiese di un rito particolare (cf. OE 2, 3, 4, 10, 16, 17, 19), oppure le Chiese di un grande territorio omogeneo per aspetti socioculturali (cf. AG 22). b) Ecclesia localis: l'espressione a volte è usata per indicare la diocesi (cf. AG 19, 27, 32; PO 6, 11), altre volte ha un senso imprecisato (cf. LG 26). c) Ecclesia universalis e Ecclesia universa: la prima espressione ricorre in numerosi testi (cf. LG 2, 19, 23, 25, 28; UR 15; CD 10, 23; OT 2); anche la seconda è frequente (cf. SC 89, 111, 112; LG 4, 22, 23, 24, 25, 45; OE 1, 3, 5, 10; CD 2, 3, 4, 5, 9, 35; PO 20). In questi testi il riferimento è alla Chiesa considerata nella sua "universalità", a volte intesa in senso geografico (= estensione della Chiesa in tutto il mondo, concetto non molto importante in teologia), altre volte nel

88 Credo nello Spirito Santo. Tomo 2. "Egli è il Signore e dà la vita". Lo Spirito come vita, Queriniana Editrice, Brescia 1988, p. 34 [226]. 89

Pluralismo di Chiese o unità della Chiesa?, Brescia 1973, p. 34. 90 Ivi, p. 35.

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senso della proprietà o nota della "cattolicità". I termini universale-particolare sono talvolta usati in coppia, il che non è privo di inconvenienti. Nei testi del Concilio Vaticano II la Chiesa universale viene descritta come il corpo delle Chiese (cf. LG 23,2). Non si trova, però, nei testi del Concilio la definizione di Chiesa cattolica universale. Vi si afferma, tuttavia, che la Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato dall'unità (<de unitate> = attingendo dalla unità e vivendo in essa) del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4,2). Questo popolo, si precisa, è uno e unico e al suo interno connota varietà di ministeri e pluralità di Chiese particolari (cf. LG 23,1). Questo popolo è l'universalis congregatio di tutti i battezzati, di coloro cioè che "sono pienamente incorporati nella società della Chiesa", in quanto "avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e nel suo corpo visibile sono uniti a Cristo - che la dirige mediante il Sommo Pontefice e i Vescovi - dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti, del governo ecclesiastico e della comunione" (LG 14,2). Questi tre vincoli connotano, per i cattolici, la piena ecclesialità. L'insieme di questi elementi essenziali costituisce la Chiesa cattolica. Questi elementi non mutano se la Chiesa viene considerata, oltre che a livello universale, a livello particolare o a livello locale. Ciò significa che la Chiesa è una e sempre la stessa nei suoi elementi essenziali, ma si presenta diversamente a seconda delle attribuzioni fatte con gli aggettivi "universale", "particolare" e "locale". La Chiesa in astratto non esiste. Si trova nelle specificazioni di "Chiesa universale", "Chiesa particolare" e "Chiesa locale", nella misura in cui si ritrovano gli elementi indicati. 2.2 - Il Codice latino (Codex Iuris Canonici = CIC [25.1.1983]) non usa mai l'espressione "Chiesa locale". Con l'espressione "Chiesa particolare" il principale testo legislativo della Chiesa latina indica "in primo luogo (imprimis) le diocesi", ma non esclusivamente. Alle diocesi sono "assimilate (assimilantur) la prelatura territoriale, l'abbazia territoriale, il vicariato apostolico, la prefettura apostolica e l'amministrazione apostolica stabilmente eretta" (c. 368). A queste circoscrizioni va aggiunto l'ordinariato militare (Cf. Spirituali militum curae, 21.IV.1986: AAS 78 [1986] 481-486, in particolare art. II § 1). Il CIC non conosce neppure l'espressione Ecclesia universalis. Opera sempre con la coppia di concetti "ecclesia particularis" - "ecclesia universa"91. Il Codice, preferendo l'espressione Chiesa particolare, ha inteso seguire l'uso linguistico che si trova nel concilio Vaticano II in alcuni testi ecclesiologici fondamentali della costituzione dogmatica Lumen gentium (nn. 23, 27, 45), nonchè estesamente nel decreto Christus dominus92. La teologia della Chiesa particolare contenuta nel Codice risulta molto ricca (cf. c. 368 primo frammento = LG 23a; c. 369 = CD 11a) e segna un notevole progresso per la legislazione. E' alla luce di questa teologia che va interpretata tutta la normativa sulla Chiesa particolare. Le coordinate teologiche della categoria "Chiesa particolare" sono lo Spirito Santo, la Parola, la porzione di popolo di Dio, i sacramenti e in particolare l'Eucaristia, il vescovo e il presbiterio. Il criterio delimitativo principale delle Chiese particolari adottato dal Codice è il territorio, così da comprendere tutti i fedeli che vi abitano (c. 372 § 1). La distinzione tra le Chiese particolari può avvenire anche sulla base di altri criteri, quali la lingua, il rito, ecc. (c. 372 § 2). Se la Chiesa particolare è essenzialmente ed esistenzialmente la manifestazione della Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica, allora l'aggettivo "particolare" è da intendere in riferimento alla realizzazione della Chiesa particolare, e quindi con riferimento al luogo (locus) e agli aspetti sociali, storici e culturali che lo caratterizzano.

91

Cf. X. OCHOA, Index verborum ac locutionum Codicis iuris canonici, Libreria Editrice Lateranense, Città del Vaticano 1984, alle voci Ecclesia, Ecclesia particularis, Ecclesia universa. 92 Cf. Communicationes, IV (1972) 40.

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2.3 - Nel Codice orientale (Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium = CCEO) l'eparchia (= diocesi) è chiamata "Chiesa particolare nella quale veramente è presente e opera la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica" (can. 175 § 1). La Chiesa particolare non va confusa con le Chiese sui iuris. La Chiesa particolare, spiegano gli Orientali, è la "manifestazione della Chiesa", un "divenire visibile e operante" nello spazio e nel tempo dell'unica Chiesa universale ossia cattolica. Anche nella prospettiva del CCEO la Chiesa universale non è la somma delle Chiese particolari, né le Chiese particolari sono "parti" che assommate tra loro danno il "tutto" che è la Chiesa universale. Le Chiese particolari sono "realizzazioni particolari" - non "parziali"! - dell'unica Chiesa, che in esse e attraverso esse si rende compiutamente presente e operante nei rispettivi ambienti "particolari". Le Chiese sui iuris sono invece una "parte" della Chiesa universale, sono Chiese di diritto proprio, cioè autonome (cf. CCEO can. 27). Nascono quando più Chiese particolari che condividono la stessa cultura umano-cristiana e hanno un comune patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare, si configurano come una entità giuridicamente accolta e approvata (CCEO can. 28 §§ 1-2)93. 2.4 - La formula "Chiesa particolare" con riferimento alla diocesi ricorre in altri documenti. Vanno segnalati: - COMMISSIO THELOGICA INTERNATIONALIS, Themata selecta de ecclesiologia occasione XX anniversarii Concili oecumenici Vaticani II, Libreria Editrice Vaticana 198594. Si legge nel testo:

"Rifacendoci all'uso più comune del Vaticano II, ripreso dal nuovo Codice di diritto canonico, in questo studio adottiamo la seguente distinzione: 'La Chiesa particolare' (Ecclesia peculiaris aut particularis) è in primo luogo la diocesi (cfr. can. 368) 'vincolata al suo pastore e da lui riunita per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia nello Spirito Santo' (CD 11). Il criterio, qui, è essenzialmente teologico. Secondo un certo uso, d'altronde non accettato dal Codice, 'Chiesa locale' (Ecclesia localis) può indicare un insieme più o meno omogeneo di Chiese particolari, la cui costituzione risulta per lo più da elementi geografici, storici, linguistici o culturali"95.

- GIOVANNI PAOLO II, Costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia romana (28.6.1988)96; - Catechismus Catholicae Ecclesiae, Libreria Editrice Vaticana 1997, nn. 832-835, 882, 886, 893, 1202, 1369; -PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI, Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo (25.3.1993). Alla nota 8 si legge:

"Salvo indicazione contraria, l'espressione 'Chiesa particolare' è usata in questo direttorio per designare una diocesi, una eparchia o una circoscrizione ecclesiastica equivalente"97.

2.5 - I termini Chiesa universale - Chiesa particolare sono presenti nella Lettera della Congregazione per la dottrina della fede "Communionis notio" su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, del 28 maggio 199298. Di particolare importanza è il capitolo II: Chiesa universale e Chiese particolari. Assai denso l'articolo 7:

93

Cf. D. M. A. JAEGER, Alcuni appunti in margine al nuovo Codice dei canoni delle Chiese orientali, in Communio 123, maggio-giugno 1992, 56-58; D. SALACHAS, Istituzioni di diritto canonico delle Chiese cattoliche orientali, Edizioni Dehoniane, Roma-Bologna, 1993, p. 57-74. 94 Versione italiana in La Civiltà Cattolica, IV (1985) 446-482; cf. anche EV 9/1668-1765. 95 La Civiltà Cattolica, IV (1985) 462; EV 9/1710. 96

AAS 80 (1988) 841-930. 97

AAS LXXXV (1993) 1041. 98 AAS 85 (1993) 838-850; vers. it. presso Libreria Editrice Vaticana, 1994.

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"La Chiesa di Cristo che nel Simbolo confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica, è la Chiesa universale, vale a dire l'universale comunità dei discepoli del Signore (Mt 16,18; 1 Cor 12,28; ecc.), che si fa presente ed operante nella particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi. Tra queste molteplici espressioni particolari della presenza salvifica dell'unica Chiesa di Cristo, fin dall'epoca apostolica si trovano quelle che in se stesse sono Chiese (cf. At 8,1; 11,22; 1 Cor 1,2; 16,19; Gal 1,22; Ap 2,1,8; ecc.), perché, pur essendo particolari, in esse si fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali. Sono perciò costituite 'a immagine della Chiesa universale' (LG 23,1; AG 20,1), e ciascuna di esse è 'una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio' (CD 11a)".

La Chiesa universale è dunque "l'universale comunità dei discepoli del Signore", è, come dice la stessa Lettera all'articolo 8, il Corpo delle Chiese (LG 23,2), è come una comunione di Chiese. Nella prospettiva della Lettera la Chiesa particolare è innanzitutto la Chiesa affidata al ministero pastorale del vescovo (n. 13). Per essere pienamente Chiesa, cioè "presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali", la Chiesa particolare deve riconoscere la suprema autorità della Chiesa (ivi). La Chiesa particolare è soggetto in se stesso completo solamente nella misura in cui possiede interiormente tutti i vincoli della comunione universale. La Lettera per indicare le Chiese fondate dagli Apostoli, usa l'espressione "Chiese locali", e dice che sono nate nella e dalla Chiesa universale (n. 9). Aggiunge che i fedeli appartengono, dal punto di vista canonico, "alla diocesi, alla parrocchia o ad altra comunità particolare" (n. 10). Nell'art. 15 sono elencate le diversificazioni e le pluralità compatibili con l'unità. Si riferiscono sia alla diversità di ministeri, di carismi, di forme di vita e di apostolato all'interno di ogni Chiesa particolare, sia alla diversità di tradizioni liturgiche e culturali, tra le diverse Chiese particolari (LG 23,4). La promozione dell'unità, ribadisce la Lettera, non deve essere di ostacolo alla diversità, così come il riconoscimento e la promozione di una diversificazione non deve ostacolare l'unità. Promozione dell'unità e della pluralità non solo non si oppongono, ma si arricchiscono nella misura in cui mirano insieme all'edificazione dell'unico Corpo di Cristo. 3. Chiesa locale - Chiesa particolare nei documenti ecumenici. Anche in campo ecumenico viene privilegiata l'espressione "Chiesa locale" per indicare la realizzazione della Chiesa in un luogo. 3.1 - Nel documento "Chiesa e giustificazione", sottoscritto il 13.IX.1993 dalla Commissione congiunta cattolica romana - evangelica luterana99 , in riferimento alla concezione della comunità locale si afferma:

"Fra la posizione cattolica e quella luterana esistono divergenze sul modo di intendere la realizzazione concreta della Chiesa di Dio considerata dal punto di vista sincronico, cioè qui e ora. Per i luterani, la comunità locale è Chiesa in senso pieno, mentre per i cattolici Chiesa in senso pieno è la Chiesa locale guidata da un vescovo" (n. 87).

Il testo così continua:

"Secondo la concezione luterana, la una sancta ecclesia si realizza esteriormente e visibilmente in tutti i luoghi dove degli uomini si riuniscono attorno al Vangelo proclamato nella predicazione orale e nell'amministrazione dei sacramenti. Nella sua celebrazione liturgica, la comunità locale è quindi, secondo la concezione luterana, realizzazione visibile e manifestazione concreta della Chiesa come communio sanctorum in senso pieno. Non le manca nulla di ciò che fa di una riunione di uomini la Chiesa: la predicazione della Parola e la distribuzione dei sacramenti, realtà mediante le quali i fedeli comunicano nello Spirito Santo con il Cristo, nonché il ministero che, per ordine di Cristo e al posto di Cristo, annuncia la Parola, amministra i sacramenti e guida così la comunità" (n. 85).

99 Testo italiano in Regno documenti XXXIX (1994) 603-640.

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Dunque: se in ambito cattolico l'espressione "Chiesa locale" suppone una struttura fondata sul vescovo, in ambito evangelico-luterano suppone una struttura presbiterale o congregazionale [l'espressione 'congregazione locale' indica la comunità che si riunisce nell'ascolto della parola o nella celebrazione del culto: Mt 18,17]. La comunione tra le Chiese, fondata sulla comunione data loro da Cristo, viene così descritta:

"Le comunità locali luterane sono raggruppate in comunioni più grandi, che sono dotate di strutture giuridiche e che, in base a realtà geografiche, storiche, nazionali o politiche, presentano la forma di Chiese regionali, nazionali o diocesane, ad esempio giuridicamente autonome. Che sia la comunione con Cristo a tenere unite queste più ampie comunioni di Chiese appare dalla comunione che esiste fra le comunità locali a proposito della comprensione della fede apostolica (comunione nella confessione della fede), della predicazione e dei sacramenti, soprattutto la cena del Signore (comunione di pulpito e altare) e del ministero ecclesiastico (comunione di ministero o di servizio)" (n. 87).

Il documento, nel presentare la concezione cattolica della Chiesa locale, chiama la Chiesa presente in un determinato luogo affidata a un vescovo "Chiesa locale". In essa, sottolinea il testo, è veramente presente e operante la Chiesa di Dio (cf. SC 41; LG 23, 26; CD 11), anche se non può essere intesa come tutta la Chiesa di Dio (nn. 91-104). 3.2 - La teologia ortodossa sviluppa i concetti di Chiesa locale, Chiesa particolare, Chiesa universale a partire dalla ecclesiologia eucaristica, per cui la Chiesa manifesta la sua pienezza (cattolicità e unità) nell'assemblea eucaristica della Chiesa locale (Afana'sev). Per Zizioulas sono due i principi ecclesiologici di base che esprimono il senso della Chiesa locale: la natura cattolica dell'Eucaristia e la natura geografica di essa (Chiesa della città, Chiesa domestica, Parrocchia). Anche per la teologia ortodossa l'espressione "Chiesa locale" intesa come entità dotata di uno statuto ecclesiologico pieno è la diocesi episcopale (cf. in bibliografia lo studio di Galeota-Mancia)100. Nella Carta fondamentale sulla dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa, approvata dall’Assemblea Giubilare del Sinodo dei Vescovi tenutasi a Mosca dal 13 al 16 agosto 2000, il concetto di «Chiesa particolare» viene ulteriormente precisato nel senso di «Chiese nazionali autocefale» (n. II.2). Queste Chiese nazionali autocefale posseggono un loro territorio, che resta circoscritto entro i confini della nazione e che diventa spesso oggetto di contestazione soprattutto quando si verificano capovolgimenti politici (W. Kasper). 3.3 - Per la teologia anglicana il termine "Chiesa locale" rinvia a una struttura fondata sul Vescovo. Vi è dunque convergenza con la posizione cattolica. Per la tradizione anglicana, come per le Chiese della Riforma, la comunità locale che si raduna settimanalmente per il culto costituisce l'unità fondamentale della Chiesa. Conclusione - Nel nostro corso l'espressione Chiesa particolare viene assunta nel significato di Chiesa a cui presiede un Vescovo. Si tratta della diocesi e delle figure ad essa assimilate (CIC can. 368). Il termine viene usato nei documenti ufficiali della Chiesa di Roma a partire dal Concilio Vaticano II. E' fatto proprio anche da molte Chiese, che lo usano nei loro documenti, da molti teologi e canonisti. La scelta ha una evidente utilità pratica: viene indicato con chiarezza il soggetto Chiesa di cui si parla. L'aggettivo "particolare" non va contrapposto a "universale" (c'è mutua interiorità tra Chiesa particolare e Chiesa universale), né la Chiesa universale va pensata come una somma di Chiese / parti. "Particolare" dice riferimento agli aspetti peculiari di una Chiesa. Il riferimento è sia agli elementi teologici costitutivi della Chiesa 100 Sulla concordanza fra Ortodossi e Cattolici su questo punto ci si può riferire al documento del dialogo cattolico-ortodosso conosciuto come Documento di Monaco: Il mistero della Chiesa e dell'Eucaristia alla luce del mistero della Trinità II,1Cf. Enchiridon Oumenicum, 1/2190.

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particolare (Spirito Santo, Vangelo, Eucaristia, porzione del popolo di Dio, vescovo con il suo presbiterio), sia alle caratteristiche sociali, storiche e culturali proprie di una determinata porzione di popolo di Dio. Breve nota bibliografica (con particolare riferimento alla questione terminologica) - BEYER J., «Chiesa universale e Chiesa particolare», in Vita consacrata 18 (1982) 73-87. - CATTANEO A., La Chiesa locale. I fondamenti ecclesiologici e la sua missione nella teologia postconciliare, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003. - CERETI G., Per un'ecclesiologia ecumenica, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996, pp. 183-195. - Chiese locali e cattolicità. Atti del Colloquio internazionale di Salamanca (2-7 aprile 1991), a cura di H. Legrand - J. Manzanares - A. Garcia y Garcia, Edizzioni Dehoniane, Bologna 1994, pp. 319-323 (il volume è edito nelle lingue inglese, francese, castigliana). - CHOUINARD P., «Les expressions "Eglise locale" et "Eglise particulière"», in Studia Canonica 6 (1972) 116-161. - DE LUBAC H., Les Eglises particulières dans l'Eglise universelle, Les Éditions du Cerf, Paris 1971, p. 29-42 (vers. it.: Pluralismo di Chiese o unità della Chiesa?, Morcelliana Editrice Brescia 1973, pp. 27-38). - DIANICH S. – NOCETI S., Trattato sulla Chiesa, Queriniana Brescia, 2002 (bibl. pp. 558-564) - Enchiridion Oecumenicum. Documenti del dialogo teologico interconfessionale. 1. Dialoghi internazionali 1931-1984. 2° Dialoghi locali 1965-1987, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1986-1988. - Iglesia universal e Iglesias particulares. IX Simposio Internacional de Teologia de la Universidad de Navarra, Pamplona 1989. - GALEOTA G. - MANCIA A., «La Chiesa locale nell'ecclesiologia ortodossa contemporanea», in Asprenas XXXIV (1987) 267-284. - KEHL M., La Chiesa. Trattato sistematico di ecclesiologia cattolica, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1995. - LANNE E., «L'Église locale: sa catholicité et son apostolicité», in Istina 14 (1969) 46-66. - MILITELLO C., La Chiesa «Il corpo crismato». Trattato di ecclesiologia, Edizioni Dehoniane, Bologna 2003. - MÖRSDORF K., «L'autonomia della Chiesa locale», in La Chiesa dopo il Concilio. Atti del Congresso internazionale di diritto canonico. Roma 14-19 gennaio 1970. I. Relazioni, Giuffrè Editore, Milano 1972, pp. 163-185. - NEDUNGAT G., «Ecclesia universalis, particularis, singularis», in Nuntia n. 2 (1976) 75-87. - PAGE' R., Les Eglises particulières. Tome 1. Leurs structures de gouvernement selon le code de droit canonique de 1983, EP, Montreal-Paris 1985, pp. 13-21. - PIÉ-NINOT S., Eclesiología. La sacramentalidad de la comunidad cristiana, Ediciones Sígueme, Salamnaca 2007. - PRUSAK B.P., «The Theology of the Local Church in Historical Development», in Proceedings of the Catholic Theological Society of America 35 (1980) 287-308. - ROUCO VARELA A.M., «Iglesia Universal - Iglesia Particular», in Ius Canonicum 22 (1982) 221-239. - ROUTHIER G., «"Eglise locale" ou "Eglise particulière"?: querelle sémantique ou option théologique?», in Studia Canonica 25 (1991) 277-334. - SLENCZKA R., «Ecclesia particularis: Erwagungen zum Begriff und zum Poblem», in Kerigma und Dogma 12 (1966) 319-332. - TILLARD J. M. R., L'Église locale. Écclesiologie de communion et catholicitè, Les Éditions du Cerf, Paris 1995. - VALENTINI D., «La cattolicità della Chiesa locale», in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA, L'ecclesiologia contemporanea. Atti del II Corso di aggiornamento per i Docenti di Teologia Dogmatica, Roma 3-4 gennaio 1992. A cura di D. Valentini, Edizioni Messaggero, Padova 1994, pp. 71-77. - WIEDENHOFFER S., La Chiesa. Lineamenti fondamentali di ecclesiologia, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (MI), 1994, pp. 267-330.

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