L'uovo diColombo e i suoi mestieri · Nei proverbi, è noto, c’è sempre una grande verità e...

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Pulizia e Manutenzione di spazi verdi Allevamento a terra di animali da cortile Produzione di miele Coltivazione ortaggi e erbette aromatiche Servizio di lavanderia e piccoli lavori di cucito Attività di pulizia Piccola produzione di olio Gestione parco naturalistico Accudimento rapaci Attività di grafica ...lavorare qui mi fa stare in pace con me stesso. E’ un bel posto ! E’ un trampolino di lancio, dove nel frattempo “sistemi” le cose dentro di te. Questo lavoro mi stimola,ci metto impegno e passione nel prendermi cura delle mie piante aromatiche:dalla semina alla crescita fino alla vendita ; tutto questo mi dà serenità. Qui se c’è un battibecco passa subito, parlandone, fuori non lo so… fuori ci sono i lupi!! … fuori c’è gente che..altro che cura gli ci vorrebbe! E il bello è che non se ne accorge. ANGELO …mi piace prendermi cura degli animali, e poi da quando lavoro sto meglio. Con alcuni dei miei compagni di lavoro mi ci incontro anche fuori oppure vado a trovarli a casa, siamo diventati amici. Dell’associazione dove lavoro penso che serva anche perché mi evita di restare a casa; qui ora comincerò un corso di computer, mah… non lo so se mi riuscirà. Un altro mestiere che mi piacerebbe fare è l’imbianchino o il meccanico:aggiustare le moto. SIMONE ... io non vedo l’ora di arrivare la mattina per stare con voi. Ci sto bene qui, invece di passare le mattinate al Sert, vorrei lavorare più giorni, non tanto per i soldi quanto per tenermi occupato il più possibile. Il lavoro che faccio mi piace: mi occupo della manutenzione del verde, ma mi piacerebbe tanto accudire gli animali. Il momento più faticoso della mia giornata lavorativa è quello in cui vado via di qui perché vado incontro all’angoscia. MASSIMO ...da quando lavoro qui mi sento più tranquilla, faccio le pulizie, e di questa attività la cosa che mi piace di più è incontrare tutti i miei compagni di lavoro, la cosa più faticosa invece è pulire il pavimento. Dei miei compagni di lavoro quelli a cui voglio più bene sono Nando e Nicola. Dell’Uovo di Colombo penso che è utile perché ci fa lavorare e non solo: io, ad esempio ci faccio anche teatro e un corso di sartoria. TATIANA ...da quando lavoro qui qualcosa è cambiato nel senso che prima mi ficcavo nei guai, oppure erano i guai che trovavano me, chissà.. ora ho una casa e un lavoro che mi responsabilizzano: mi occupo della manutenzione del verde e mi piace tantissimo farlo, siamo proprio un bel gruppo ! Con alcuni di loro ci frequentiamo anche fuori, a farci una pizza o altro; uno di loro in particolare è il mio amico del cuore oltre che compagno di avventure (e anche di sventura). Il momento più faticoso di questa mia attività è quando devo tagliare i grossi rami. Un lavoro che mi piacerebbe fare è nella mensa all’ospedale oppure il barelliere, essere comunque di aiuto agli altri. Della nostra associazione penso che ha delle buone finalità e che può aiutare chi si trova in cattive acque, a volte noi ci aspettiamo più di quanto l’associazione ci possa dare e, viceversa, l’associazione, forse, si aspetta da noi più di quanto possiamo fare, ma tengo in considerazione che i miglioramenti ci possano sempre essere da ambedue le parti. NICOLA ...da quando lavoro sto meglio rispetto a prima; venire qui mi da forza,mi danno forza le persone che ci incontro. Mi occupo della pulizia dei locali insieme ad altre ragazze ma mi piacerebbe anche occuparmi del verde oppure dell’orto. La cosa che mi piace di più è stare con la gente che lavora qua… il buongiorno che mi aspetta la mattina.. quello che mi piace di meno è il ciao di quando, finito il mio orario mi aspetta la Clap e con tristezza ritorno a Pruno dove non c’è nessuno. Ah, un altro lavoro che mi piacerebbe fare è il muratore. ANGELA ...da quando lavoro mi sento sollevata, realizzata: il mio lavoro è quello di tenere pulite le stanze della socializzazione (decoupage, lab. di scrittura, lab. di grafica ecc.). mi piace si, il lavoro che faccio ma mi piace anche la gente con cui lavoro. È bello alzarmi la mattina per venire qui, però mi piacerebbe anche fare un lavoro dove ricevere le telefonate, una specie di segretaria.. dell’Uovo di Colombo penso che sarebbe bene continuasse ad andare avanti sempre nel migliore dei modi. DONATELLA ... lavorare qui mi piace parecchio, mi distende i nervi, al contrario di quando sto a casa. Qui mi sono sentito “riavere”, anche in famiglia va meglio e in questo senso la mia vita è cambiata. Ora è già qualche anno che ci sono e ho fatto quasi tutti i lavori che vengono svolti qua (orto, animali, erbette aromatiche ecc..). Da poco faccio il giardiniere ed è quello che mi piace di più: mi piace stare con i miei colleghi con i quali vado molto d’accordo, loro mi hanno insegnato a usare gli attrezzi del mestiere e ultimamente ho imparato a usare il decespugliatore. Devo dire che non sento la fatica quando lavoro ma la sento quando me ne vado perché so che mi aspettano pomeriggi lunghi e un po’ vuoti. Dell’associazione in cui lavoro penso che sia una bella storia; c’è una buona organizzazione, ognuno porta avanti la sua attività e tutti insieme formiamo un tutt’uno. MARCO L'uovo diColombo e i suoi mestieri: I SOCI-LAVORATORI DELL’UOVO DI COLOMBO PENSANO CHE…. numero 23 Autorizzazione n. 684/18 del 22/2/98 del Tribunale di Lucca Giornale dell'Associazione "L'Uovo di Colombo" con contributi di operatori e utenti dei servizi socio-sanitari Luglio - Ottobre 2005

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Pulizia e Manutenzione di spazi verdiAllevamento a terra di animali da cortileProduzione di mieleColtivazione ortaggi e erbette aromaticheServizio di lavanderia e piccoli lavori di cucitoAttività di puliziaPiccola produzione di olioGestione parco naturalisticoAccudimento rapaciAttività di grafica

...lavorare qui mi fa stare in pace con me stesso.E’ un bel posto !E’ un trampolino di lancio, dove nel frattempo“sistemi” le cose dentro di te.Questo lavoro mi stimola,ci metto impegno epassione nel prendermi cura delle mie piantearomatiche:dalla semina alla crescita fino allavendita ; tutto questo mi dà serenità.Qui se c’è un battibecco passa subito, parlandone,fuori non lo so… fuori ci sono i lupi!! … fuoric’è gente che..altro che cura gli ci vorrebbe! Eil bello è che non se ne accorge.

ANGELO

…mi piace prendermi cura degli animali, e poida quando lavoro sto meglio. Con alcuni deimiei compagni di lavoro mi ci incontro anchefuori oppure vado a trovarli a casa, siamodiventati amici.Dell’associazione dove lavoro penso che servaanche perché mi evita di restare a casa; qui oracomincerò un corso di computer, mah… non loso se mi riuscirà.Un altro mestiere che mi piacerebbe fare èl’imbianchino o il meccanico:aggiustare le moto.

SIMONE

... io non vedo l’ora di arrivare la mattina perstare con voi. Ci sto bene qui, invece di passarele mattinate al Sert, vorrei lavorare più giorni,non tanto per i soldi quanto per tenermi occupatoil più possibile.Il lavoro che faccio mi piace: mi occupo dellamanutenzione del verde, ma mi piacerebbe tantoaccudire gli animali.Il momento più faticoso della mia giornatalavorativa è quello in cui vado via di qui perchévado incontro all’angoscia.

MASSIMO

...da quando lavoro qui mi sento più tranquilla,faccio le pulizie, e di questa attività la cosa che

mi piace di più è incontrare tutti i miei compagnidi lavoro, la cosa più faticosa invece è pulire ilpavimento.Dei miei compagni di lavoro quelli a cui vogliopiù bene sono Nando e Nicola.Dell’Uovo di Colombo penso che è utile perchéci fa lavorare e non solo: io, ad esempio ci faccioanche teatro e un corso di sartoria.

TATIANA

...da quando lavoro qui qualcosa è cambiato nelsenso che prima mi ficcavo nei guai, oppureerano i guai che trovavano me, chissà.. ora houna casa e un lavoro che mi responsabilizzano:mi occupo della manutenzione del verde e mipiace tantissimo farlo, siamo proprio un belgruppo !Con alcuni di loro ci frequentiamo anche fuori,a farci una pizza o altro; uno di loro in particolareè il mio amico del cuore oltre che compagno diavventure (e anche di sventura).Il momento più faticoso di questa mia attivitàè quando devo tagliare i grossi rami. Un lavoroche mi piacerebbe fare è nella mensa all’ospedaleoppure il barelliere, essere comunque di aiutoagli altri.Della nostra associazione penso che ha dellebuone finalità e che può aiutare chi si trova incattive acque, a volte noi ci aspettiamo più diquanto l’associazione ci possa dare e, viceversa,l’associazione, forse, si aspetta da noi più diquanto possiamo fare, ma tengo inconsiderazione che i miglioramenti ci possanosempre essere da ambedue le parti.

NICOLA

...da quando lavoro sto meglio rispetto a prima;venire qui mi da forza,mi danno forza le personeche ci incontro. Mi occupo della pulizia deilocali insieme ad altre ragazze ma mi piacerebbeanche occuparmi del verde oppure dell’orto. Lacosa che mi piace di più è stare con la gente chelavora qua… il buongiorno che mi aspetta la

mattina.. quello che mi piace di meno è il ciaodi quando, finito il mio orario mi aspetta la Clape con tristezza ritorno a Pruno dove non c’ènessuno.Ah, un altro lavoro che mi piacerebbe fare è ilmuratore.

ANGELA

...da quando lavoro mi sento sollevata, realizzata:il mio lavoro è quello di tenere pulite le stanzedella socializzazione (decoupage, lab. di scrittura,lab. di grafica ecc.). mi piace si, il lavoro chefaccio ma mi piace anche la gente con cui lavoro.È bello alzarmi la mattina per venire qui, peròmi piacerebbe anche fare un lavoro dove riceverele telefonate, una specie di segretaria.. dell’Uovodi Colombo penso che sarebbe bene continuassead andare avanti sempre nel migliore dei modi.

DONATELLA

... lavorare qui mi piace parecchio, mi distendei nervi, al contrario di quando sto a casa. Quimi sono sentito “riavere”, anche in famiglia vameglio e in questo senso la mia vita è cambiata.Ora è già qualche anno che ci sono e ho fattoquasi tutti i lavori che vengono svolti qua (orto,animali, erbette aromatiche ecc..). Da poco faccioil giardiniere ed è quello che mi piace di più:mi piace stare con i miei colleghi con i qualivado molto d’accordo, loro mi hanno insegnatoa usare gli attrezzi del mestiere e ultimamenteho imparato a usare il decespugliatore. Devodire che non sento la fatica quando lavoro mala sento quando me ne vado perché so che miaspettano pomeriggi lunghi e un po’ vuoti.Dell’associazione in cui lavoro penso che siauna bella storia; c’è una buona organizzazione,ognuno porta avanti la sua attività e tutti insiemeformiamo un tutt’uno.

MARCO

L'uovo diColombo e i suoi mestieri:

I SOCI-LAVORATORI DELL’UOVO DI COLOMBO PENSANO CHE….

numero 23 Autorizzazione n. 684/18 del 22/2/98 del Tribunale di Lucca

Giornale dell'Associazione "L'Uovo di Colombo"con contributi di operatori e utenti dei servizi socio-sanitari

Luglio - Ottobre 2005

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“Il bisogno aguzza l’ingegno!” recita unvecchio proverbio, a significare come lanecessità innesti processi capaci di superaresituazioni difficili o comunque complesse.Nei proverbi, è noto, c’è sempre una grandeverità e questo è quanto accadde moltisecoli or sono ai pochi abitanti della vastaestensione di folte selve, indicata negliantichi documenti come “Selva Regia” o“Selva Parantina”, che si estendeva nelterritorio dalla foce del Serchio a Motrone. Era una fitta boscaglia, punteggiata dapericolose paludi, infestata da animali, luogodi morte per quei temerari che vi siinoltravano. Passarono molti secoli durantei quali eserciti, mercanti, pellegriniaggiravano l’inospitale fascia costiera,percorrendo itinerari sottomonte, ai piedidel Quiesa, dove correva la celebre via“francigena”. Eppure, in questa terra cosìavversa, dal dodicesimo secolo in poi vi siavventurarono uomini coraggiosi, perrovesciare la totale avversità verso unacondizione di vivibilità.Lucca, potente repubblica di mercanti, habisogno di un efficiente sbocco al mare dadove far partire le proprie mercanzie e dovefar attraccare le imbarcazioni cariche digrani, spezie, vettovaglie. Ferocementecontrastata da Pisa, Lucca invia i primisoldati per conquistare e poi per conservarela propria potestà su quella costa, tantoinospitale quanto strategicamente utile. Iprimi uomini costruiscono capanne difalasco, sfidano animali feroci e in un climainsopportabile, sottraggono centimetro percentimetro la terra alle malsane paludi: i piùmuoiono, non resistendo alle avversità, mala lotta impari alla fine registra il progressivo,lento affermarsi della vita organizzata. Ilprimo ricordo di Viareggio nei documenti èdel 26 novembre 1170, quando in uno deitanti scontri tra Pisa e Lucca, i pisani passatial contrattacco contro l’esercito lucchese“sconfisero Lucha a Viaregi e perdeo Viaregidetto castello a mare”.Da quella data si ha notizia della difficile,ma costante affermazione della vita allafoce del Burlamacca. Sede scelta per imilitari più ribelli e indisciplinati dellaRepubblica, tra il XIV e il XVII secolo,l’insediamento del primo vero nucleoabitativo nasce attorno alla possente Torrequadrata costruita tra il 1534 ed il 1541 eattorno alla piccola cappella di San Pietro.Il governo centrale promuove con ognimezzo Viareggio: concede privilegi edesenzioni fiscali ai coraggiosi che sfidanole avversi tà natural i , fa dono diappezzamenti di terreno, sottratti alle paludi,per la costruzione delle abitazioni. Inizianole prime attività rurali, i primi timidi commerci,si aprono le prime botteghe artigiane. Dopopoco inizia la costruzione delle corde, lalavorazione agroalimentare. Quando CarloV sbarca a Viareggio l’11 settembre 1541,in pochi giorni i viareggini costruiscono unmolo in legno su palafitte, lungo 60 braccia,per accogliere l’illustre ospite e il suo fastososeguito. Dimostrano subito grandemanualità e versatilità che viene riproposta

continuamente sia nella costruzione dei“cascioni” per i moli, sia nell’edificazionedi nuove costruzioni, case, botteghe, piazze.Il trionfo della creatività giunge con l’iniziodell’Ottocento quando Valente Pasquinuccie Pasquale Bargellini nel 1809 mettono incantiere la tartana “San Pietro” per contodi Giovanni Giuseppe Baroni: si tratta dellaprima importante costruzione navale di cuisi abbia notizia ed è quello l’atto di nascitadi un’attività economica che scriverà le piùbelle pagine nella storia delle costruzioninavali in Italia e nel mondo. Maestri d’ascia,calafati, bozzellai, segantini sono alcunedelle figure di artigiani che si fannoprotagonisti della vita economica e socialenei secoli XVIII e XIX, avviando unatradizione di abilità, creatività, innovazionefuori dal comune. In pochi anni aumenta ilnumero dei costruttori navali e con essicresce la capacità di impostare e realizzareimbarcazioni ammirate nel mondo perl’eleganza delle forme, l’affidabilità nellanavigazione, la sicurezza e la velocità.Golette, brigantini, tartane, bovi sono alcunetipologie di barche create sulle darsene dauomini che non hanno studiato, ma chediventano maestri nell’arte della lavorazionenautica. Quella “scuola” è un misto di abilitàmanuale, intelligenza, passione e amoreper l’elemento dominante a Viareggio, ilmare. Con la nautica si sviluppano moltialtri mestieri funzionali alla vita legata allapesca e alla cantieristica.Piccolo villaggio di poche centinaia di animealla fine del '700, nel 1827 la popolazionedi Viareggio è di 4445 unità. Tra il 1820 edil 1828 nella comunità, elevata al rango dicittà da Maria Luisa nel 1819 e divenutasede dei primi bagni pubblici in Italia e forsein Europa nel 1826, furono costruite 234case. Nel 1837 circa 300 persone lavoranonel settore delle costruzioni navali; nasconoe si affermano i cantieri di Achille eAlessandro Raffaelli, Lorenzo Bargellini,Lorenzo Benetti, dei F.lli Codecasa; GinoBenetti e Fortunato Celli (Natino) varanosplendide barche (tra le quali i “barcobestia”)e dal 1880 al 1918 i costruttori viaregginirestano nelle primissime posizioni nelMediterraneo per la costruzione dei velierida carico. Si affermano le industrie dellaproduzione delle vele, delle corde esoprattutto, durante i primi decenni delNovecento viene fondata l’industria dellanautica da diporto, orgoglio e vanto di questaterra.Il legame tra creatività, abilità manuale einnovazione trova un momento significativonel 1873. La città è ormai un importantecentro di vita turistica nazionale edinternazionale; sede di un prestigioso teatromostra una vivacità intellettuale, risultatodella tenacia e creatività locale unita agliinflussi esterni di celebri personaggi dell’arte,della musica, della letteratura. Quell’annoè la data di inizio del Carnevale di Viareggio:giovani lucchesi in vacanza al mare dannovita a un’allegra sfilata di carrozze con belleragazze mascherate lungo la via Regia. E’l’inizio di una delle pagine più significative

della storia locale: alla manifestazionefestaiola voluta da un piccolo gruppo digiovani benestanti, si sovrappone subito lacreatività dei maestri d’ascia, segantini ebozzellai della Darsena. Le eleganti carrozzesono sostituite da possenti carri trascinatida buoi, veri e propri palcoscenici mobilidove venivano rappresentate le piùstravaganti situazioni di vita quotidiana,interpretate in maniera satirica e con grandeilarità. Il carnevale si può dire allora chenasca sul lavoro artigianale dei darsenottie gli attuali “maghi” della cartapesta hannoereditato le loro tecniche, la loro abilità, laloro genialità.Nei primi anni Trenta del Novecento, lastoria dell’Artiglio, magico riferimento alcoraggio e all’intelligenza, è una storia fattadi capacità costruttiva, di abilità artigianaleinnata, di nuovo miste a genialità, passione,dominio della materia. La “torre” del Gianniottiene dei risultati che nessuna aziendasuperspecializzata del tempo, nel mondo,nel settore delle costruzioni di batiscafi,scafandri e marchingegni di rilevamentosubacqueo aveva raggiunto.Credo che dalla genialità del passatoderivino oggi i moderni e affermati costruttorinavali viareggini: quanto meno essi hannotrovato un humus capace di mantenere ilprimato nelle costruzioni per affidabilità,eleganza, sicurezza, vale a dire in queivalori che sono il fondamento del successodi oltre due secoli di storia della cantieristica.Oggi la globalizzazione, i l mondodell’informatica, la realtà virtuale paionoessere distanti anni luce rispetto allamanualità di allora, ma così non è: continuail primato dell’intelligenza, dell’intuizione,dell’abilità “artigianale” nei settori tradizionali,come nei settori “nuovi”, quelli della neweconomy, là dove piccole imprese, quasibotteghe di artigiani, riescono a competerecon colossi delle multinazionali sullarealizzazione di programmi e componentielettronici per la navigazione, piuttosto cheper le telecomunicazioni. Il rischio realeoggi invece è che s i perda laconsapevolezza su quel patrimonio diconoscenza, innovazione e creatività chehanno condotto pochi coraggiosi a costruireuna città con oltre sessantamila abitanti,ricca, invidiata dal mondo non solo per lebellezze della natura, ma per la condizionedi laboratorio aperto nel campo della nautica,della multimedialità, dei fiori, del carnevale.La frase di Marc Bloch riportata in aperturasignifica come la storia serva non perconoscere il futuro, ma per comprendere ilpresente: avere la consapevolezza di ciòche ha originato l’eccellenza di Viareggio,in tutti i campi, significa creare le condizioniperché non soltanto il patrimonio diconoscenza venga preservato dall’oblio,ma soprattutto perché su quelle traccepossano consolidarsi creatività, innovazione,intell igenza di una intera società.

di tommaso fanfani

"Il presente, che si muta senza sosta in passato,

è imperiosamente comandato da ciò che l'ha preceduto.

Considerato in quanto tale, può a rigore descrivere se stesso, ma non comprendersi".

(M. Bloch)

pagina due menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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Era l’8 Novembre del 2004.Lui un lavoro lo aveva da ventitré giorni.Prima faceva un mestiere ‘antico’ ilgarzone. Il garzone è il ragazzo dibottega.Il Suo Mestiere era portare il pane dalforno alle altre botteghe, la Sua Arte erafar sentire il profumo del pane.Matteo ci riusciva bene a dare vita a ciòche faceva, perché lo faceva da giovane.Per esercitare quel mestiere doveva fareuna vita da grandi. Doveva alzarsi tuttele mattine quando ancora fuori era buio,proprio a quelle ore che magari ungiovane come lui invece rientra.Così forse per questo, forse perguadagnare di più e magari per avereancor di più una vita da giovane, ungiorno ha deciso di indossare un’altradivisa, non più quella del garzone, maquella dell’operaio.Un altro lavoro, ma non ancora unmestiere, perché sul dizionario c’è scrittoche il mestiere è “l’insieme delle nozioninecessarie per esercitare beneun’attività”.

Da ventitré giorni, Lui, lì, inesperto,giovane, il mestiere non poteva averlo.Il Suo lavoro era preparare la cera.…e così succede che in fabbrica si puòfinire la propria vita da solo, a soli 23anni, così come finisce una candela equi non c’è né arte né mestiere.Il mio mestiere è fare dei percorsi conaltre persone che per il loro disagio osofferenza, si rivolgono a me e allorainsieme alcune volte cerchiamo unsenso, proviamo a mettere dei nomi, atrovare nuovi significati, a vedere le coseda una prospettiva diversa.Ma quali nomi e significati posso metterealla morte di Matteo?Quando guardo negli occhi la suamamma mi sento smarrita, ma forte èancor più il mio disagio quando negliocchi guardo i suoi giovani amici.Ognuno di loro alla ricerca di una vita”…una vita esagerata… piena di guai…”una vita vissuta.Nella loro, oggi più dolorosa ricerca diun senso, non hanno forse diritto disapere? Di sapere come è potuto

succedere e di saperlo ora e non quandoun mestiere l’avranno.Un po’ d’anni fa l’ingresso al lavoro diun giovane, era una festa, un evento dafesteggiare e tutelare, l’iniziazione almondo dei grandi. E gli occhi erano tuttisu di lui, perché potesse imparare ilmestiere e magari anche l’arte e nonimportava chi gliela insegnava, l’adultoc’era, era lì a proteggerlo.Matteo è morto solo, gli amici di Matteosono soli a fare i conti con i loro perchée noi grandi aspettiamo che il tempo,che non è il nostro, possa darci dellerisposte. Non un senso, neppure unaprospettiva diversa, quelle fanno partedella nostra soggettività, io aspetto dellerisposte, aspetto di sapere come siastato possibile, aspetto di dare dei nomiai fatti e alle responsabilità. Lo voglioper me, per guardare ancora con fiducia,con i miei occhi, i loro occhi.E’ il 9 Giugno 2005: oggi Matteo avrebbecompiuto gli anni.

foto di Luciano M

ichelettipagina tre menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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L a s t o r i a d iViareggio è storia dilavoro, di lot tecontro le avversitàdella natura, dii n g e g n o e d itenacia. In questastoria si inserisce,con onore e nobiltà,l ' a t t i v i t à d e l l amarineria, che ebbeil suo momento dimassimo svilupponell'Ottocento, finoai primi anni deinostro secolo.Infatti, la nascita diuna vera e propriamarina mercantilerisale alla primametà dell'Ottocento,quando cioè laDuchessa di Lucca,Mar ia Luisa d iBorbone, rivolse lasua a t tenz ioneall'attività di maredella nostra gente: il 2 ottobre 1819, lasovrana decretò lacostruzione di unadarsena, l'attualedarsena Lucca, chedoveva sostituire lam o d e s t a c a l aadiacente la Torre,considerando "lemolteplici istanzepresentateci percostruzione deibastimenti nel porto di Viareggio e perla facilità di vararli", e convinta che inquel porto mancavano assolutamentele attrezzature per "una mano d'operacosì rispettabile e di tutto interesseper quella numerosa popolazione".Il primo costruttore viareggino dibastimenti fu Valente Pasquinucci.Sappiamo che già nel 1809 avevacostruito, insieme al calafato PasqualeBargellini. la tartana "San Pietro", perconto di Giovanni Giuseppe Baroni efratelli.Subito dopo iniziarono la loro attivitàdi costruttori navali Carlo Pasquinucci(figlio di Valente), Stefano e GiovanniBargellini, che avevano i loro cantierinella vecchia darsena.Dopo i l 1860, i cant ie r i s imoltiplicarono, specialmente perl'opera di Achille ed AlessandroRaffaelli, di Lorenzo Bargellini, di

Lorenzo Benetti e dei fratelli Codecasa.La costruzione dei velieri si sviluppòin seguito, con grandissimo prestigio,grazie all'opera intelligente ed all'estrocreativo di Gino Benetti e FortunatoCelli, il popolare "Natino".In primo tempo, i nostri costruttorinavali si ispirarono, nella tecnica enelle linee, agli scafi sorrentini, poichéquesti bast imenti di modestotonnellaggio, a confronto con quelliliguri, erano universalmente apprezzatiper la loro velocità e per le straordinariedoti nautiche. Più tardi i viareggini, eprincipalmente "Natino" Celli, crearonoun tipo di barca completamentenostrano, sia per la forma dello scafo,più snello ed elegante, quanto per lasuperficie velica, ottenendo un ottimorisultato d'insieme, tanto che moltiarmatori di centri velici di grandeimportanza, sia italiani che esteri,

c o m m i s s i o n a r o n obastimenti nei nostricantieri.t ipi dei bastimenticostruiti a Viareggioerano stati, per lam a g g i o r p a r t e :paranze, navicelle,bovi, e tartane (quellegloriose tartane, verimuli dei mare, sullequali si forgiarono inostri migliori marinai,ma che causarono ilmaggior numero dinaufragi, data la lorofacilità a rovesciarsi conil mare in tempesta).In quel tempo furonorare le golette ed eranoassenti sui nostri scalii brigantini e le navigoletta, chiamate danoi "barcobestia". Sidovrà arrivare al 1860. Da questa data e finoai primi anni del '900,la flotta mercantileviareggina si affermò es i a c c r e b b enotevolmente. I nostricantieri producevanomediamente 10 o 12velieri all'anno, tra iquali apparivano ib r i g a n t i n i , i“barcobestia” ed ibr igant in i golet ta,c h i a m a t i a n c h e"scuneri".

La consistenza dei velieri viareggininel 1863, ad esempio era di 198 legni,dei quali 15 "scuneri", 9 golette, 81tartane, 8 leuti, 12 bovi, 12 navicelli,60 paranze ed un cutter.Con la prima guerra mondiale, iniziail declino della nostra gloriosa e fiorentemarineria velica.Nel corso dei conflitto 1915-18 su 180bastimenti iscritti nel CompartimentoMarittimo di Viareggio ne furono siluratiben 63: la nostra flotta fu quasidimezzata nel tonnellaggio, con graviripercussioni sull'economia della città,se si considera che i marinai eranocirca 6.500 su una popolazione di24.000 abitanti, ai marinai vanno inoltreaggiunti coloro che svolgevano attivitàlegate alla costruzione navale (calafati,maestri d'ascia, funari, bozzellai, velai,fabbri, falegnami, ecc.).

pagina quattro menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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E pensare che da bambino avevo pauradell’acqua!Una mattina di Luglio mio padre, Giuliano,che faceva il bagnino mi prese e mi portòin pattino alle boe, poi improvvisamente migettò in mare. Io, dapprima terrorizzato, poiallarmato, sotto l’occhio attento di mio padre,mi misi a nuotare come si dice a “cagnolino”.Cosa c’entra tutto questo con il mestiere di“bagnino”? C’entra certo poiché da alloraho incominciato ad amare il mare. Daquell’episodio sono passati più di quarant’anni purtuttavia nella mia testa è come sefosse accaduto ieri. Trascorsi pochi anni miopadre disse a mia madre: “Quest’anno il tuofigliolo viene con me sul mare e mi fad’aiuto”. Così cominciò la mia “carriera” dibagnino. Avevo tredici anni e una mattinadi giugno alle sette meno venti mi presentaial bagno da mio padre. Pochi convenevoli,subito a spogliarsi e poi in riva al mare apulire la battigia. Il quel “terribile” primoanno di apprendistato dovetti imparare tuttii segreti di questo mestiere. Mio padre era

un uomo di poche parole. Ricordo ancoraquando mi insegnò a fare lo “strappolo” (ilnodo che lega il remo alla schermiera delpattino). Mi fece vedere come si fa unaprima volta, naturalmente io non ci riusciia rifarlo! Me lo fece rivedere una secondavolta e io non riuscii a farlo! Per la terzavolta mio padre rifece il nodo, ma prima dimettermi la cima in mano per provare a fareil famigerato nodo mi lasciò partire unasberla:incredibilmente riusci a farlo e poiancora a rifarlo! A questo punto mio padredisse: “Ora devi farlo con le mani dietro laschiena” Dio se l’odiavo! Dopo vari tentativiriusci a fare quel maledetto nodo con le manidietro la schiena e d’ allora lo “strappolo”non ha avuto più segreti per me. Quantecose imparai in quell’anno! Imparai arastrellare la sabbia, a piantare i manici degliombrelloni, a cambiare la tela alle sdraio,che prima erano inchiodate: le sdraie eranodi legno! Per qualche stagione fino ai sedicianni continuai a lavorare con mio padre econtinuaia ad apprendere con gli “occhi”

questo lavoro. Poi fui ingaggiato, da unaamico di mio padre, ad un bagno che comesi diceva allora era “d’elitte”. Facevo il‘secondo’ bagnino. In realtà mi trovaiimprovvisamente con la resèponsabilità disorvegliare i bagnanti quando facevano ilbagno. Anche quella fu un estate “terribile”.Ricordo ancora la paura che provai quandofeci il mio primo salvataggio, ma aqnche lasoddisfazione di ricevere i complimenti dimio padre che aveva assistito all’accaduto.A diciotto anni, era il 1974, presi la “patenteda bagnino” o meglio il “brevetto”d’assistente bagnanti e da allora non ho maismesso di esercitare questa professione.D’allora i tempi sono cambiati, lo stessomestiere è cambiato: oggi ci sono materialidiversi, strumenti diversi; ed anche gli stessibagnanti sono diversi, ma la “poesia”, la“magia” e la passione con cui esercito questomestiere e la stessa di quando imparai a farelo “stroppolo”.

di antonio lucchesi

Fin da bambina ho sempre avuto ildesiderio di fare la sarta e disegnare,da sola, gli abiti che cucivo.Ora posso dire che il mio desiderio si èavverato. Certo non sono una stilista!Ma sono felice di essere arrivata al puntoche desideravo.Devo cominciare da principio la miastoria.Da piccola mi piaceva cucire. Mia madremi dava della vecchia stoffa e con essacreavo dei vestitini per me e mia cuginae qualche sua amichetta.Intanto il tempo passava. Arrivata adodici anni, per causa della guerra,avevo interrotto gli studi e pure dopo, imiei genitori, non mi mandarono più.Vicino casa mia, c’era una piccolasartoria; e lì iniziai a cucire su degli abitiveri. Per tre anni, rimasi in quella piccolasartoria. Ada, la mia maestra, mi voleva

bene ed io pure. Per me era come unasorella. Si può dire che la mia vita, pertante cose, è iniziata in quegli anni.Poi, nel paese venne formata una scuolainternazionale di taglio. La scuola erala C.I.M.S. di E. Vinelli di Venezia.Io ero felice di partecipare, ma purtroppoci volevano quattromila cinquecento lireed io, come stipendio, prendevo pocoperché ero lì per imparare. Parlai con idirigenti e riuscii a far dilazionale quellacifra a piccole rate. Ci misi tutto l’impegnoe divenni molto brava. I professori sicongratularono con me e avrebberovoluto impiegarmi a Lucca comeinsegnante.I miei genitori però non erano d’accordo.Mio padre mi comprò una macchina dacucire usata ed iniziai a cucire in casa.Eravamo nell’ottobre del 1948, la genteiniziò a conoscermi e avevo parecchio

lavoro. Lavoravo biancheria intima, abitida donna e da uomo. Avevo quattroragazze ad aiutarmi. Quando il lavorodiminuiva, disegnavo i modelli e li creavocome piacevano a me.Disegnai pure il mio abito da sposa.Dentro di me sognavo di vederli sfilaresu qualche passerella. Sapevo che eraun sogno.Poi per tante ragioni non ho più potutocucire. Ma la fortuna ha voluto che ilmio sogno si avverasse, non con unasfilata, ma con una presentazione deimiei modelli in un mercatino artigianaledove mio marito presentava tante piccolecose.Disegnavo i modelli, compravo la stoffae li esponevo nel gazebo al mercatinodell’artigianato. Mi sono sentita tantofelice perché avevo raggiunto quello cheavevo tanto desiderato.

SARTINAdi pollonimarisaLa

pagina cinque menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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Mi sono laureato nel luglio di questo annopresso il DAMS a Bologna con una tesi inIstituzioni di regia intitolata “ L’allestimentodi Maurizio Scaparro della Bohème di Puccini(2003)”.Essa è arrivata alla fine di un percorso, iniziatocon il Liceo artistico, poi continuatonell’Università, dove, dopo i primi anni distudio solo teorico, ho voluto vedere in chemodo quello che avevo appreso dai libri eche si riferiva a varie esperienze di registi,potesse mettersi in atto in teatro, comeavvenisse cioè la trasformazione del testoscritto in testo vivo con azioni rappresentateattraverso movimenti, gesti, parole, suoni eluci.Ho frequentato così per alcuni anni illaboratorio di regia tenuto, nell’Università diBologna, dal professor Arnaldo Picchi. Quilo studio si è unito alla pratica, che ha portatoalla realizzazione di tre spettacoli teatrali:Enzo Re di Roberto Roversi, Anfitrione diHeinrich Kleist, Il Cimbelino di WilliamShakespeare.Grazie a questa esperienza ho potuto capirequale lavoro compie il regista prima sul testoteatrale, poi con gli attori agendosull’improvvisazione, che tipo di preparazioneè necessaria ad un attore. Mi sono reso contodi come sia possibile utilizzare uno spazionon convenzionale, quale un cortile o l’internodi una chiesa, per l’allestimento di unospettacolo e quali siano le sue varie fasi.Posso dire di aver acquisito unavisione complessiva diquanto è necessariop e r l a

realizzazione di una rappresentazione teatrale.In seguito, con altri ragazzi del laboratorio,ho provato a portare avanti questa esperienza,creando una associazione culturale con laquale abbiamo messo in scena tre spettacoli:Pulcinella amante di Colombina, tratto da uncanovaccio della commedia dell’arte, Agib,da una novella delle Mille e una notte, Lettereall’Abate Violet, tratto dal testo omonimo.Il mio primo incontro con il teatro di tipoconvenzionale è avvenuto al Festival Puccini,quando ho avuto la possibilità di seguire, dastudente, tutto il lavoro complesso diproduzione e di messa in scena della Bohème,con la regia di Maurizio Scaparro.Durante quei mesi ho capito meglio qualeorganizzazione è richiesta, con qualicompetenze, qualifiche e responsabilità. Perl’allestimento di uno spettacolo si può direche è in azione un vero e proprio esercitodella fantasia, disposto a piramide, dove peròi legami tra le varie professionalità sonointrecciati strettamente.Sono felice dell’esperienza fatta in quelperiodo e della grande disponibilità che hosentito nei miei confronti, delcontributo che anche io. nelmio piccolo, hopotuto dare sian e l l a

fase della produzione che durante le prove.Mia è stata l’idea del ragazzo che sopra ilmonociclo nella scena di massa del secondoquadro, percorre per due volte tutto ilpalcoscenico.Ho ripreso con la telecamera le prove generali,perché volevo avere una testimonianza direttae completa di tutto lo spettacolo. Le mievideocassette sono state utili in più occasioniai responsabili del festival e alla regia sia perle rappresentazioni a Torre del lago, sia perla lunga tournée dell’opera in Europa.La mia esperienza con La Bohème è proseguitaprima a Bari, poi con la partecipazioneall’edizione di quest’anno, come assistentealla regia. Ho potuto così dare il mio contributoa quello che è il fine principale della regia diun’opera lirica, cioè realizzare unacorrispondenza armoniosa tra musica, parolae immagine, e trasmetterla al pubblico.L’emozione che si prova, alla fine di un lungopercorso, davanti ad una platea di tremilapersone che applaudono, è fortissima eindimenticabile.

pagina sei menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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Dopo quasi cinque anni di attivitàlavorativa, svolta presso l 'UnitàFunzionale "Per l'inclusione sociale"della Usl 12 di Viareggio e l'Associazione"L'Uovo di Colombo" in qualità dieducatore professionale, mi ritrovoahimè a dover lasciare questo posto dilavoro a me caro. Mi si sono infattipresentate altre prospettive per superareil problema che purtroppo oggigiornoaffligge moltissimi giovani, quello dellaprecarietà del lavoro.La mia non è certo stata una decisionefacile perché l'esperienza fatta pressoi servizi sociali della Usl di Viareggio éstata molto interessante sotto moltiaspetti: prima di tutto ho avuto lapossibilità di mettere in pratica, giornodopo giorno, le conoscenze teoricheacquisite durante il mio corso formativo all'università, mi sono molto arricchitainteriormente nel rapporto umano conpersone utenti del Servizio che, per loronatura, hanno richiesto dedizione,trasmissione di calore umano, capacitàdi entrare in empatia con loro, acumepsicologico, controllo di situazioniimprevedibili, dati essenziali per svolgerein maniera professionale e proficuaquesta attività lavorativa.

Sono tanti gli episodi che mi tornanoalla mente, situazioni difficili da gestire,ma anche tanti episodi gratificanti dovutialla profonda sensibilità umana checontraddistingue le persone utenti conle quali mi sono trovata ad operare.Certamente é stata anche un'esperienzafaticosa ed impegnativa che peròripeterei molto volentieri in quantoampiamente ripagata.Poiché ho profuso il mio impegno inquesto lavoro, spero che ciò abbialasciato anche solo una piccola traccianon solo sui mie "ragazzi", ma anchesui colleghi con i quali mi sono sempretrovata in armonia e dei quali ricorderòriconoscente il costruttivo spiritocollaborativo, cosa non comune negliambienti di lavoro. Ho potuto svolgerecon passione e con dedizione il miolavoro perché ho sempre credutofermamente nella validità e nell'originalitàche l' Unità Funzionale "Per l'inclusionesociale" e l'Associazione "L'Uovo diColombo" hanno dimostrato in questianni, nel più profondo rispetto dellapersonalità e della dignità umana neiconfronti di persone che hanno problemie difficoltà e sono state meno fortunatedi tante altre, moralmente peggiori,

anche se considerate "normali".In questi anni ho potuto toccare conmano i concreti benefici che un adeguatoinserimento lavorativo e altre attivitàidonee alle possibilità di ognuno possonoavere sia per i singoli individui "riabilitati",sia più in generale per la società. Sonoinfatti fermamente convinta che unasocietà capace di reinserire nella vitaquotidiana normale persone conproblemi di disagio é una società degnadi rispetto, in grado di garantire adognuno il prezioso bene della salute cheé un diritto inalienabile.Lunga vita a queste iniziative conl'augurio che possano sempre piùpotenziarsi grazie ad una politica chedifenda fermamente il diritto all'inclusionesociale.Nell 'abbracciare idealmente nelmomento del commiato tutti quanti,"ragazzi" e colleghi che ricorderò semprecon affetto e simpatia, un particolarepensiero e ringraziamento va alla miaresponsabile Ondina Della Martina,promotrice instancabile e feconda dinuove e brillanti idee, nella quale hotrovato non solo un superiore capace eumanamente disponibile, ma anche unavera e sincera amica.

di rossisilvia

Ilian

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"Buon giorno gallina bianca, come mai ti sei alzata così presto stamattina?""A dirti il vero non sono andata a letto questa notte.""Come mai? c’era qualcosa in te che non andava?""No, anzi l’ho scelto. Sai la sera, prima di andare a dormire, esco per darela buonanotte alle cose che mi circondano, che respirano la mia stessa aria.Gli alberi, le api, ai miei amici uccelli rapaci che appena guariti riprenderannoil volo, la sua libertà. Ed io quando essi se ne andranno sarò triste. Poi hoalzato gli occhi verso il cielo… che meraviglia!C’erano tante stelle, la luna era un incanto!E come per incanto ho aperto il becco per rapire una stella ma non ci sonoriuscita…Poi ho accarezzato la luna e lei, con un soffio di vento tiepido ha ricambiatola mia cortesia.Credimi, ho passato una notte felice e sono certa che oggi le mie uova sarannoeccellenti perché avranno il sapore della luna, del vento e delle stelle!"

pagina sette menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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Villa Adelasia è una strutturaresidenziale del Dipartimento delleDipendenze di Lucca. Inaugurata nel2000, con l’intento di sperimentareun percorso innovativo per soggettimultiproblematici, è in grado diaccogliere dodici utenti di ambo isessi con doppia-diagnosi, per i qualisono previsti interventi sanitari,educativi-terapeutici e sociali.Questo progetto ha favori tol ’ in tegraz ione d i due modicomplementari di lavorare con ledipendenze (pubblico e privato),confrontandosi quotidianamente ecooperando per approdare ad ununico fine.La gestione della struttura edell’attività educativa-riabilitativa èaff idata agl i operator i del lacooperativa sociale Giovani eComunità, la cui equipe è costituitada otto educatori ed un coordinatore,che collabora nell’attuazione deiprogetti con l’èquipe tecnico-sc ient i f ica mul t id isc ip l inare.L’intervento educativo-terapeuticoruota intorno all’organizzazionestrutturata del tempo, alla gestionedel quotidiano, alla relazione

educativa, lavorando sul doppiobinario del contenimento e dellasollecitazione.Il programma delle attività settimanaliscandisce le giornate secondo ritmiche, pur tenendo conto dellac o n d i z i o n e d e g l i o s p i t i ,rappresentano una vera rivoluzionerispetto allo stile di vita precedente.Al mattino si svolgono i lavoridomestici e di manutenzione dellastruttura, il pomeriggio è dedicatoalle attività di laboratorio artistico eai gruppi di incontro. Quest’ultimostrumento riveste un’importanzaprimaria per stimolare gli ospiti alconfronto con se stessi e con gli altri,a distinguere e padroneggiare leemozioni e le sensazioni; e tramitegiochi interatt ivi sono spint iall’elaborazione dei propri vissuti edei rapporti familiari.Altro aspetto importante, ogni 15giorni la struttura accoglie le famigliedegli ospiti, e in tale occasione igenitori hanno l ’opportunità,coadiuvati da un educatore, diconfrontarsi e riappropriarsi del ruologenitoriale.Il percorso comunitario prevede una

permanenza di circa un anno. Inquesto arco di tempo l’equipe hamodo di verificare il progettoeducativo individualizzato (PEI) eattraverso le attività sopra citate,l’utente ha acquisito strumenti ingrado di renderlo autonomo,consapevole delle proprie risorse,ed essere in grado di tutelarsi neimomenti di difficoltà. A questoproposito l’attività proposta dallavostra associazione ci ha permesso,tramite lo strumento della scritturanelle sue varie forme, di provare unanuova esperienza al fine di portarealla luce il vissuto più intimo degliospiti, che difficilmente affiora nellaquotidianità.Inoltre, ha permesso ai ragazzi diesprimere la propria creatività espontaneità, dando loro l’opportunitàdi aprirsi e conoscersi meglio,acquisendo in tal modo una maggioreconsapevolezza e sicurezza in sestessi.Nel ringraziarvi per l’opportunità dico l l abo ra re con l a vos t raassociazione, vi presentiamo diseguito alcuni lavori realizzati dainostri ragazzi.

Quasi perso in questo universomi mescolo a milioni di persone

in genere tutti somiglianti, tutti uguali.In questo mio sogno tutto avvoltocome la pellicola di un film vado a

lanciarmi per entrare in onda.

Gino

Ho sognato la luna e la luce filtravanei tuoi occhi blu come il mareHo sognato un amore perfetto

era la pioggia che scivolava sul tettoho sognato il mare e ho imparato ad amare.

Jessica

Oltre ogni oceano, nel profondo degli abissidei mari si genera una luce, che si affonda

va giù, sempre più in profonditàè la luce della luna, quel mondo così vicino,così lontano, che illumina dallo spazio il nostro

intero pianeta.

Gino

Sopra l’onda del mare mi vado a buttareimmergermi nell’azzurro infinito…..

la sera con la luna piena un eccitantebrivido, che ti attraversa la pelle e ti penetra dentro….

per poi chiudere gli occhi ed andarea sognare, quell’emozione che ti vai a cullare

e quel desiderio che si sta per avverare.

Gino

di rovinichiara

pagina otto menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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Ho sognato una vita diversa ma purtroppo questa è la mia vita e la devo accettare per quello che è

Ho sognato un mondo diverso ma questo è quello che è

Ho sognato la pacema la pace, la pace non esisteHo sognato un mondo diverso

da tutte queste cose ma era piccolo piccolo.

Sono come un gabbiano che spaziasulle onde del mare,

le onde sprizzano e zampillano.Sotto l’acqua c’è un mondo diverso dal nostro

senza guerre e senza problemi, la natura.

La luna entra con la sua luce

nelle penombre e negli abissiillumina le magie del mondo

così diverso dai nostri mondi.

Ezio

Voglio danzare sulle onde del Marevoglio volare e la luna toccare

voglio sognare e i miei desideri realizzarevoglio dormire e su una stella morire.

Jessica

Ho sognato un sogno:c’erano luna e mare e tanta

voglia di volare.Ho sognato la luna che porta

fortunaDove sei amico lontano?Perché non mi prendi la

mano?Voglio svegliarmi e subito

innamorarmi.Odio le armi!

Ho sognato il mareun immenso da esplorare

Ah sapessi nuotare.

Ezio, Jessica e Alessandro

pagina nove menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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Anni fa ho fatto esperienza di occupazioni lavorative come operatore nella scuola materna ed elementare, attraverso il mandato del Centro perl’impiego. Ho lavorato anche come operatore presso la biblioteca comunale di Viareggio e per un mese anche ai civici musei; avevo tentato inprecedenza di lavorare anche nei supermercati, come l’Esselunga e la Superal, ma con risultati non positivi nell’attività di cassiera impegnata afare i conti col denaro.Ma prima di tutto ciò ho conseguito la laurea in lettere classiche presso l’università di Pisa. L’ultima attività svolta dopo quel periodo suddetto èstata la nomina a supplente annuale come insegnante presso il Liceo Classico di Viareggio.Dopo la laurea ho svolto queste occupazioni di operatore nelle scuole, con aspetti positivi e in certi momenti forse anche un po’ poco interessantiper me.L’aspetto positivo era stato quello di trovarmi, nelle scuole, a contatto con diverse persone, prima di tutto quelli che lavoravano con me e checercavano sempre di aiutarmi e di comprendermi; mi trovavo anche spesso a contatto con gli alunni, che talvolta anche loro mi salutavano consimpatia e mi venivano incontro facendomi domande e raccontandomi qualcosa.Mi faceva piacere stare insieme agli altri anche se talvolta avevo la sensazione di non essere accolta del tutto bene a causa del mio carattere piuttostointroverso, lasciandomi prendere dalla pigrizia nelle azioni e nei compiti che svolgevo.L’aspetto poco interessante, per me, era la sensazione qualche volta di trovarmi in difficoltà a stare con gli altri e a svolgere certe mansioni.Come insegnamento ho avuto problemi a controllare la classe scolastica e a mantenere la disciplina.Un altro problema per me era anche la preoccupazione di non essere abbastanza preparata nelle materie che insegnavo, infatti in certi casi mi trovavoad avere delle conoscenze un po’ superficiali quando mi facevano delle domande per cui ero nell’imbarazzo di non ricordare neppure quello cheavevo studiato, ma probabilmente anche l’emozione e la timidezza giocavano in questo un certo ruolo.Anche se nonostante ciò i risultati che ho avuto alla fine dei miei studi universitari erano stati positivi.Comunque non posso trascurare, né per me né per gli altri, di aver preso coscienza che l’impegno c’è stato, visto gli anni trascorsi a studiare suilibri passando cosi le mie giornate.

a cura dicinzia petra valleroni e bocci

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"IMPAGLIA SEDIE"di Iliana

Quando ero piccola mio padre mi insegnava il mestiere di impagliatore di sedie. Insieme si andava nelle paludi a raccogliere le foglie di questapianta che si chiama giunco, di cui si facevano seccare le foglie sotto la sabbia. Dopo una settimana si toglievano dalla sabbia e il sole finiva diseccarle. Una volta secche si filettavano con un coltello e poi si attorcigliavano fra di loro. Con i fili attorcigliati si procedeva al restauro dellesedie… ma non posso specificare lo svolgere di questa ultima procedura perché ho regalato ciò che faticosamente avevo ricordato scrivendolo amia figlia che, leggendomi, ha espresso il desiderio, fino ad allora inconfessato, di conoscere la mia infanzia.Di questo mi scuso ma sono sicura che molti di voi conosceranno questa arte, non ancora completamente estinta.

"LA MIA ESPERIENZA LAVORATIVA"di Patrizia s.

pagina dieci menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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"LAVORAZIONE DEL MARMO"di Simonetta

Il marmo è sempre stata la risorsa principale delle nostre montagne versiliesi. Per estrarlo si accendeva una miccia che provocava un’esplosione edurante questa operazione veniva fatta suonare la tuba che era una sirena per avvertire tutti i cavatori. Una volta estratto venivano usati vari macchinariper portarlo a valle dove avveniva poi la lavorazione. Dopo l’esplosione, un cavatore che si chiamava riquadratore, tagliava il marmo a forma diparallelepipedo per facilitarne il trasporto. Per tagliare il blocco veniva utilizzato il filo elicoidale il cui montante era sostenuto da due carrucoleche permettevano di segare nel verso orizzontale. Il filo elicoidale riusciva a tagliare il marmo per sfregamento con l’aiuto dell’acqua e della sabbia. Una volta terminato il blocco, veniva utilizzata la lizza per il trasporto. La lizza era una slitta formata da due tronchi di castagno su cui venivanofatti scivolare i blocchi. La lizza scorreva sui parati che erano dei binari i quali scendevano verso valle. Una volta giunti in pianura, i blocchivenivano trasportati su carri trainati dai buoi. Oggi le cose sono cambiate e tutto il processo di estrazione e lavorazione del marmo viene effettuatoper mezzo di moderne apparecchiature. Comunque fin dal medioevo il marmo ha rappresentato la maggiore risorsa delle nostre zone. Esso è statoutilizzato per secoli nella costruzione di edifici, lapidi, statue, etc. Col tempo il mercato del marmo ha raggiunto livelli internazionali e oggi grandiditte locali esportano lastre, blocchi e sculture in ogni parte del mondo.

"LA LAVANDAIA"di Patrizia

Tanto tempo fa la gente del villaggio si radunava alle pozze a lavare i panni, perché non c’erano le lavatrici. I panni sporchi venivano lavati con ipezzi di sapone di Marsiglia insieme alla cenere. Lo stizzamento delle lenzuola veniva effettuato da due donne che si mettevano ad un capo e all’altrodel telo e lo torcevano. Una volta puliti li caricavano in una cesta che trasportavano sulla testa fino a casa. Qui venivano stesi sui fili e alcunivenivano messi sullo stendino davanti al focolare che faceva prendere ai vestiti un odore di fumo. Quello della lavandaia era un lavoro pesante.Intanto l’acqua con cui si lavava scorreva da un ruscello ed era molto fredda, in più una volta bagnati i panni diventavano molto pesanti e quindial ritorno facevano molta fatica a trasportarli. Per disinfettare il bucato lo facevano anche bollire sul fuoco in un grande paiolo dove veniva versatoun liquido celestino che lasciava un buon odore. Per eliminare lo sporco dovevano contare solo sulla forza dei muscoli e strofinare, perché nonesisteva nessun prodotto apposta per le macchie. Per rendere il lavoro più piacevole le lavandaie intonavano canzoni e i fanciulletti le stavano adascoltare mentre giocavano tutt’intorno.

"LA PROSTITUTA"di Dante Agabiti

Il mestiere più antico del mondo è la prostituta, quella donna che vende amore ad ore e che amore non è.La prostituta risale già ai tempi degli antichi romani; persino nel vangelo, Cristo, si trova davanti ad una prostituta rea confessa e che per questovolevano lapidare. Io ammiro queste donne che corrono grandi pericoli poiché sono esposte al rischio di malattie e anche al rischio di essereassassinate. Esse vengono reclutate da uomini senza scrupoli e fra i clienti ci sono liberi professionisti, avvocati, politici, e tante persone insospettabili.Ma anche io devo dire che più di una volta sono andato a prostituta, spinto dal bisogno di avere un’amica con cui fare l’amore ed avere una vitauguale agli altri esseri umani. Facevo tutto di nascosto, ma dopo camminavo guardando il cielo e pensando dentro di me :“ Ma perché sono triste?Perché mi nascondo dietro un dito?”. Non so dove, ma in qualche stato le prostitute, per tutelare i propri diritti di donne lavoratrici d’amore, siunirono in sindacati. Beh, avrò fatto come al solito dei discorsi a bischero ma per me è una questione importante. Io, rispetto a questo argomento,mi sento anche in colpa nei confronti della religione perché anche se sono di tendenza politica di sinistra, rimango un cattolico con i suoi valorimorali e civili. Per quanto riguarda la situazione attuale, ritengo che i casini non dovrebbero essere chiusi come fece la Merlin negli anni subitodopo la guerra, ma proporrei di riaprirli almeno per poter contare sulle cure mediche e su un tetto sopra la testa. Ma tutto ciò non mi sembrarealizzabile perché l’Italia è una fogna per conto suo, o meglio è una Prostituta Borghese.

"IL CONCIATEGAMI" di Paola

Il conciategami era un mestiere che veniva svolto quando le pentole erano bucate, per renderle utilizzabili di nuovo. Il lavoro consisteva nel saldaredel rame nel buco da riparare, con la fiamma ossidrica. Il conciategami lavorava nella sua officina che era in paese. Oltre ad aggiustare le pentolevecchie, lui stesso ne costruiva di nuove con il rame: pentole, paioli e padelle che poi vendeva alla gente del posto. Le persone potevano ammirarela sua produzione poiché una volta al mese veniva effettuata una mostra dei suoi capolavori.

"TESSITURA" di Lisa e Paola

Il procedimento di una volta, per svolgere la tessitura, parte dalla lavorazione della canapa e della lana. La canapa è contenuta all’interno di unapianta, i cui fusti sono dei piccoli bastoncini. Questi bastoncini vengono messi in ammollo nell’acqua per una settimana e poi vengono posti su unceppo e battuti con un bastone. A questo punto viene sfilata la canapa dal fusto e viene raffinata con uno strumento chiamato gramola. Per quantoriguarda la lana, questa si ottiene dalla tosatura delle pecore: con delle apposite forbici si taglia il mantello degli animali, chiamato vello. La tosaturaviene fatta in Aprile in modo che le pecore tosate non soffrano il freddo e durante l’estate il vello abbia tutto il tempo di ricrescere. La lana tagliatain pezzi viene lavata in acqua calda e detergente. Poi per renderla più soffice viene cardata e quindi viene fatta la filatura. Una volta ottenuto ilfilo lo si passa nell’ orditoio e si ottiene la matassa. La matassa viene allora trasferita sul telaio dove la massaia passa al lavoro della tessitura. (Lisa)Per quanto riguarda il telaio, la lavorazione della canapa o della lana, è eseguita per mezzo della navetta. La navetta è un contenitore in cui vengonomessi i gomitoli e che viene passato da parte a parte del telaio per poter creare il tessuto. Questo telaio, tengo a precisare, ha dei pedali di legnodove viene messo il piede destro e il piede sinistro, i quali vanno in su e in giù in modo alternato e fanno muovere i fili del telaio che intreccianoil tessuto. (Paola)

"LAVORAZIONE DELL’UVA"di David

La vendemmia è il momento in cui si raccoglie l’uva e si effettua verso ottobre. Una volta raccolta l’uva, i contadini, mettono i grappoli in contenitorichiamati bigonce, che una volta erano di legno e adesso sono di plastica. A questo punto avviene il processo di ammollatura dell’uva la quale vienemessa nelle bigonge dopo che quest' ultime si sono allargate a contatto con l'acqua avvenuto per parecchi giorni, da quì il processo di pigiatura: ilcontenuto delle bigonce viene rovesciato in una grossa botte e poi pestato con i piedi scalzi per fare uscire il succo dagli acini. Il succo che si forma,chiamato mosto, viene allora passato nel tino: un altro contenitore nel quale avviene il processo di fermentazione. Questo processo naturale, che èdato dal contatto del mosto con l’aria, permette di trasformare il semplice succo di uva in sostanza alcolica, ossia di produrre il VINO.Una volta formato il vino lo si versa in damigiane di vetro per essere conservato.

pagina undici menotre Giornale dell'Associazione "L'uovo di Colombo"

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La data ufficiale di nascita del carnevale di Viareggiorisale al 1873. Prima non vi erano le sfilate dei carri,ma soltanto feste rionali e veglioni che si svolgevanonel corso delle cosiddette “vegliette”, tenute nellecase private o in qualche locale pubblico, dove siballava fino alle ore piccole, magari mascherati convecchi indumenti, con la faccia infarinata o tinta conil carbone.Si andò avanti così fino al fatidico 1873, quando unacomitiva di giovani frequentatori del Regio Casino,propose, un po’ per scherzo, un po’ per scacciare lanoia, di organizzare per l’ultimo giorno di carnevaleuna sfilata di carrozze, dando vita così al primo,improvvisato, corso mascherato.Il corteo delle carrozze ebbe successo e nel 1874 enegli anni successivi, il “corso”, non più organizzatonell’arco di una sera, fu ripetuto e migliorato, dandoorigine a quella tradizione popolare che è sopravvissutafino ai nostri giorni.Nel 1877 i corsi mascherati furono due: domenica 11e martedì 13 febbraio e la sfilata delle carrozze percorsela via Regia, la piazza della Dogana (oggi piazzaPacini) e la piazza dell’Olmo. Nel 1882 il carnevalesi festeggiò sempre con due corsi mascherati, si trattòancora di sfilate di carrozze, presenti anche alcuni tiria quattro e varie mascherate; vinse quella intitolatei piccoli zulù perché “benissimo trovata edegregiamente eseguita”.L’anno dopo, assieme alle carrozze fecero la comparsa

anche i carri figurati. Uno dei primi, quasi sicuramenteil più antico, fu quello realizzato dalla Regia Marinae raffigurante I quattro mori, il celebre monumentoche si ammira in una pizza di Livorno.Successivamente furono realizzati anche carri acarattere trionfale, come ad esempio Il trionfo deifiammiferi, del 1885, che intendeva magnificare larecente invenzione dei “cerini”, e Il trionfo dellabicicletta, costruito nel 1897 da O. Sadun, dedicatoal mezzo meccanico allora in voga.Questi carri, trainati da cavalli o da buoi, erano strutturestatiche, costruite non con la carta come si fa oggi,ma con gesso, scagliola, legno e ferro, ed erano perciòpiuttosto pesanti, anche se piccoli. Tuttavia, spessovenivano realizzate costruzioni plastiche di rilevantevalore artistico.Del 1906 erano i carri: La dea dei fiori, di A. Tofanelli,un carro – oggi diremmo ecologico – che esaltava labellezza della natura incontaminata, Il trionfo delcarnevale di A. Fontanini, forse il primo carro asoggetto squisitamente carnevalesco. Questo carroproponeva Re Carnevale attorniato dalle principalimaschere italiane, mancava Burlamacco, la mascheranata nel 1930 dalla penna di Uberto Sonetti e divenutapoi il simbolo del carnevale viareggino. Del periodofra il 1907 ed il 1910 ricordiamo i carri Il trionfodell’agricoltura, di R. Tolomei, e La coppa dei fiori,di P. Tofanelli.Nel 1910, anche il Comune partecipò finanziariamente

Il carnevale di Viareggionella storiaa cura del CentroDocumentario Storico

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all’organizzazione dellemanifestazioni, perchèèi corsi mascherat icostituivano “un veicolopubblicitario per la cittàe facevano affluire daipaesi vicini numerosepersone che portavanoutili agli esercenti ed i l e t t o a l l acittadinanza”.l’annodopo si rimarcò ancora:“Il carnevale ha segnatol’inizio di una stagionedi feste invernali chedeve cont inuare ep r o s p e r a r emaggiormente fino arendere il soggiornoinvernale di Viareggiouno dei più frequentatie preferiti dalla coloniagirovaga dei forestieri”.E per il carnevale del1911 si fecero grandicose: otto veglioni, corsicon carri, carrozze,automobili e biciclette,nonché un concorso peri l miglior balconeaddobbato e con migliorgettito di coriandoli. Frai carri di quell’anno Iltrionfo del progresso, di G.Baroni, Le tentazioni diSatana, di A. Fontanini, Nettuno al carnevale, di P.Gemignani e Il trionfo della vita, di D. Ghiselli.Alla realizzazione di quest’ultimo partecipò anche LorenzoViani disegnando le figure allegoriche che formavano ilbasamento della costruzione. Immagini grottesche, secondo

l’iconografia vianesca,che davano forza erisalto al trionfo dellaVita, rappresentato dauna leggiadra fanciulla,attorniata da mascheredanzanti.Daql 1915 al 1920 sie b b e , p u r t r o p p o ,l’interruzione dellem a n i f e s t a z i o n icarnevalesche, a causadella prima guerramondiale, ma, nel 1921,la tradizione fu ripresagrazie ad un comitatocittadino.Sempre nel 1921 ilvecchio percorso dellav ia Reg ia venneabbandonato, ed i carris f i l a r o n oesclusivamente sui vialia mare. Viareggio stavadiventando la capitaledel Carnevale italiano.Il successivo passaggioalla tecnica della cartaimpastata, “cartapesta”,favorì costruzionisempre più belle, piùgrandi e spettacolarigrazie al movimentodei vari elementi checomponevano il carro.

Da quel momento i costruttori – “maghi” – hanno fattoa gara nell’escogitare nuove soluzioni dinamiche e sonogiunti a realizzazioni che lasciano sempre incantato estupefatto lo spettatore, decretando, in oltre cento anni divita, dai carri “trionfali”, il trionfo del Carnevale diViareggio.

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Cerco sopravvivenza in cortecce disimile aspetto; figure immobili dipassata vitalità intrecciata a terra.Circondato da parti inferiori di corpismembrati con metallica linearità,assaporo afrori di colla naturale chesi insinua come ultimo gridodell’imponente, reso mansueto. Miavvicino ad un pezzo disteso di cerchiaannuali, fissità di tempo, memoria.Ne tocco il cuore, scendo giù fino almidollo, mentre le mie dita si fannolargo in un sangue polveroso che siattacca ai vestiti.Scelgo due tagli di medie dimensionie, mi dirigo nel laboratorio perintrappolarli in volti e destini che nonhanno mai chiesto. Proseguol’ulteriore ridimensionamento tantoda formare morbidi mattoni sbiaditi.Traccio linee ricurve che finisconoper ricongiungersi. Disegno piccolicerchi, inusuali volti, paradossale

umanità su inerme vegetazione. Tagliovia eccessi di quel rettangolo nonsegnato e li congedo in mucchi dispazzatura. Affondo le mie sgorbieappuntite in quella carne spigolosa,ricca di venature, per consentirgli didivenire figura rassicurante perl’occhio umano. La materia allo statogrezzo non ha utilità o bellezza pergli uomini, ma deve poter essereinglobata nella dimensione civile comedecorazione artificiosa da sfoggiare.Nel maneggiare quel corpo ruvido,concedo alla superficie calore chefedelmente mi ricambia, anche se lamia presunzione non mi impedisce dipensare che sia essa ad averne di più.Il bulino scorre veloce sugli angoliappuntiti della forma maltrattata.Saltano scaglie sottili, lasciandoondulate nervature che si inseguono,prive di meta, lungo i fianchi di unafisicità senz’anima. L’energia della

modellatura passa nuovamente per lemie mani, che spingono pezzi di cartagranata su piccoli avvallamentid’imperfezione. Si sgretolano inminute particelle di polvere che sialzano spinte dalla forza del gesto percadere, esauste, sulle incolpevolisuperfici che le fissano dal basso. Imiei arti ne sono nuovamente cosparsia corollario dell’interminabilemattanza. Ciò che era tangibile si faetereo ed indomabile. Applico unapatina lucida, scudo protettivo cheaccende le sfumature, ma ne soffocail respiro. L’umido pianto si attaccaai lineamenti del nuovo oggetto,maschera di se stesso.Al termine della giornata, ne homol t ip l ica to i l numero perdisinteressata necessità. Quello cheresta, calca il piacere, solo mio, delcontatto puro tra uomo e natura, tralegno e scultura.

di simone moncini

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Il mercato il giovedì mattina alPiazzone è un appuntamentosettimanale a cui non si può mancare,perché oltre ai soliti banchi fissi sene aggiungono altri e il mercato siestende in via Fratti fino a piazzaManzoni.Visto dall’alto dovrebbe sembrareuna stella cometa fatta di un maredi ombrelloni aperti, e le strade unformicaio in movimento, non si trovaun posto per parcheggiare e se vuoicircolare devi andare in bicicletta.È uno spasso camminare tra lebancarelle, curiosare tra le mille coseche ti offrono, i l vociare deicommercianti ed il brusio della genteè simile ad uno sciame di apiimpazzito, tutti si affannano espingono per comprare l’affare dellamattinata, per poi scoprire magari,che a tre bancarelle dopo che lovendono a qualche euro in meno.Al banco delle ciccione poi c’è lacalca fitta fitta, non si arriva neanche

a vedere la merce, il mercatino dellepulci è il più richiesto, già alla mattinapresto viene preso d’assalto daragazze assonnate prima di entrarea scuola (anch’io lo facevo) e damassaie uscite all’alba per il rito delgiovedì.Mi piace osservare la gente il loromodo di fare, i loro volti, il mercato èun pozzo di ispirazioni, tanta gentecosi diversa tra loro, gente scesa giùdalle colline, stranieri, signore conpellicce i nostri extracomunitari e…i viareggini sempre meno doc.Ci sono i mercanti in fiera, le varieassociazioni, i mangiatori di fuoco,gli illusionisti, gli stocchisti, le firmetaroccate, il banco dei decori natalizie quello della frutta secca, tutti allavoro per invogliare i passanti, congrida di richiamo e con sorrisiaccattivanti. L’ambulante è unmestiere che nel tempo ha perso iltema del baratto vendendosi alcommercio, ma una cosa è rimasta

immutata; lo spirito della lumaca, ilportare con se tutto quello chepossiede e il ripetere giorno dopogiorno gli stessi gesti le stesse fatiche,curare il proprio banco con minuziosaabilità, sopportando il caldo e il gelocon il sorriso stampato adatto perogni incontro fatto di una insistenzaesasperante.Il mercato ha un fascino particolarei suoi vari profumi e i colori che sifondono tra di loro, lo sventolio degliabiti appesi e il rumore assordanteda fiera di bestiame,se provi a tappartigli orecchi e ti giri su te stessa perpiù volte ti sembrerà di essere dentroad un film di Fellini dove non ci sonoprotagonisti ma solo scenografia,una scenografia montata all’alba damani intirizzite dal freddo con lasperanza racchiusa nel palmo, diracimolare la cosiddetta giornata.

Adi sirio

foto di Luciano M

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di carla bertoli

La casa fu acquistata nel 1919danonno Pietro, cavatore in pensione,per poche migliaia di lire. Mia madreArmida aveva allora 15 anni, era dapoco finita la prima guerra mondialee Vittoria Apuana contava poco piùdi una decina di famiglie. In quellacasa nacqui nel 1928, fu lì chenacquero i miei due fratelli Carduccioe Pietro, dove morirono i miei nonniPietro ed Anna. Fu lì che nel 1944 cisorprese la guarra. Ricordo ibombardamenti di quegli aerei chechiamavamo “picchiatelli”, babboCarlo aveva costruito un rifugio nelcortile dove anche i vicini venivanoa rifugiarsi. Fu lì che conobbi Alfredoil mio futuro marito fuggito da LaSpezia, occupata dai tedeschi, con igenitori, la nonna e un seguito divecchie zie e cugine. Nell’ottobre del’44 fummo costretti a sfollare perchéda lì passava la “Linea Gotica”. Ilbabbo aveva sotterrato nell’orto tuttoquello che poteva per risparmiarlo aibombardamenti e alle razzie.Tornammo il 25 aprile del ’45. Lacasa era stata gravemente colpita alcentro da una bomba, aveva il tettosfondato e nell’interno gra parte dei

mobili erano bruciati ed anneriti.Nel cortile trovammo tre poveri soldatitedeschi uccisi, cui demmo sepolturae preghiere.Ero giovane, pensavo al futuro,all’amore, avevo tanta voglia di vivereallora! Insieme ai miei familiari mirimboccai le maniche e ricostruimmo.Negli anni la casa si riempì dei suonie delle voci nuove dei figli, dei nipoti.Diventava più grande e più viva manmano che la famiglia cresceva.Eravamo in 4 poi in 12 poi 15 eancora……Mamma Armida se ne andò.Dopo di lei molti sono pariti, altrisono arrivati, ma io sono sempre stataqui nel mio paese, nella mia casa, cheora avevo voluto ricosctruire piùgrande e più bella per accogliere tutticoloro che amo, per ricordare eritrovare tutti insieme quelle nostreradici che ci hanno aiutato a vivere ea crescere con amore ed equilibrio.Il 18 marzo 2005 quando l’aereo èprecipitato sulla mia abitazione mitrovavo in chiesa, il Signore ha volutoancora una volta che io mi salvassi.Tornando a casa ho rivisto ladistruzione e la morte degli anni di

guerra. Tra fuoco, fumo e macerie, misembrava di udire delle voci, mapurtroppo erano solo echi del passato,quei due poveri piloti erano già morti.Da allora nella mia preghiera sonosempre presenti i nomi di quei dueeroici uomini Claudio Rossetti eStefano Bandini.Vedere oggi questa mia casa ferita,distrutta, bruciata, abbandonata mi fasentire ferita, distrutta, bruciata eabbandonata.

Oggi a 77 anni non ho più l’energia,l’ardore e la speranza dei 17 anni etemo di non poter vedere la mia casaricostruita, ho paura di non vedere piùla mia famiglia riunita nel giorno diNatale intorno al tavolo con la letterinadei bambini sotto i piatti e la zuppierafumante dei tordellini fatti in casa.Non voglio credere che a 60 anni dallaLiberazione la collettività e leistituzioni mi lascino morire nella miatristezza, ma voglio sperare con tuttoil cuore che mi aiutino a ricostruire lamia vita-casa e a non dimenticare ilsacrificio di chi ha dato la vita per ilbene comune nell’esercizio del propriodovere.

Sessantanni dalla Liberazione fra distruzione ericostruzione.

La dicasa Carla

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Fino agli otto anni la mi avita era di color rosacome la serenità.Dai nove ai quattordici anni la mia vita era azzurracome il colore del gioco.Dai quattordici ai ventidue era di color rosso,studio, lavoro ed altre attività.Dai ventidue ai trenta il colore era il nero perchépersi la testa troppo lavoro, troppo studio troppeattività.Dai trent'anni ai quarantacinque mi sonorealizzata, in tutti colori abito in una casa laKairos, lavoro all’Uovo di Colombo, con tantavolontà così il rosa, l'azzurro, il rosso, il nero eblù sono passati e per me é tornato di nuovo ilverde come la speranza.Donatella

Fino agli otto anni la mia vita è stata rosa perchéstudiavo molto ma vivevo una vita giocosa; ilmare dopo lo studio.Dai 14 ai 22 lavoravo tanto come impiegata, ofacendo la stagione e procedevo anche neglistudi il colore di questo periodo era azzurro anchese non andavo al mare purtroppo lavoravo duroper essere indipendente.Dai 22 ai trenta preparavo il mangiare in famigliae stavo molto male, perché vivere lavorandocontinuamente.Ero guardinga e passeggiavo per le strade allevolte andavo a vedere un film.Dai trent'anni fino ai quaranta cinque piangevotanto perché mi portarono in un altro posto dove

c'era di tutto….Ed era tutto un color marrone.Poi mi ripresi cominciai una vita….molto rosa èla mia vita.Mariella

Il mio mestiere era la mia arte, quand’ero giovanefacevo l’attrice a Roma che era stupenda, la seraandavo spesso nei locali frequentati da attori eregisti ne ho conosciuti parecchi….avevovent’anni e tutto mi sembrava possibile. Vorreitornare a vent’anni e viverne cento.Quest’ultimo periodo della mia vita è celesteperché nonostante la nebbia della mia malattiaè stato bello.A.

Se il presente è rosa il futuro è celeste, serenoe dolcecome un cavallo da soma che porta una donnae tre ragazzelungo i sentieri della vita.Paolo

I colori della mia vita.Il primo colore della mia vita è stato il biancocome le nevi della Sassonia dove ho vissuto lamia infanzia, il secondo colore della mia vita èstato il verde come le speranze della gioventù,il terzo colore è stato il rosso come la passioneamorosa della maturità, il quarto colore è statoil giallo della gioia solare per la nascita delle miefiglie, il quinto colore è stato il nero di cui si ètinta la mia vita nella seconda maturità, il sestocolore della mia vita è il celeste della mia attualeserenità.Paolo

Oggi è una bella giornata calda e rosa come ilcolore dei miei anni più spensierati fino agli otto,(che io ricordi), poi fino ai quattordici il coloreche più gli si addice è l’azzurro come la calma,l’azzurro lascia il posto al viola come la santitàche arriva fino ai vent’anni per arrivare al grigiocome l’inverno dei miei trent’anni, poi verde…..epoi nero come il mistero del mio non capire piùniente nei troppi caffè dei miei quarantacinqueanni….la mia passione è la vita, cerca di nonschiacciarmi piccola formichina.Silvia

Il colore della mia vita è stato il viola chematurando si è trasformato in rosso, crescendole cose sono migliorate anche se prima i mieiparenti mi prendevano in giro perché pregavo

per guarire. Ma io da quando prego e prendo lemedicine diverse mi sento meglio, sono menonervoso e penso meno al passato, pensare alpassato mi fa stare male.Luigi

L’arte di dipingere è il mio mestiere, è unacondanna o una grazia?! E’ una condanna perchéhai poche soddisfazioni, è difficile dipingere cosebelle, ma è sempre stata dentro di me. Ho iniziatoche ero un ragazzo il mio primo quadro eraun’isola nel mare, i miei pittori preferiti eranoPicasso e Van Gogh. Una passione è difficiledire smetto è come bere una droga, hai bisognodi provare quei momenti in cui si stende il colorealla ricerca di qualcosa che da emozione,cercando di vedere quello che ti prende l’anima.Ma fino ad oggi è proprio lei la pittura, quella chemi ha rubato tempo e soldi, un’illusione gigantescache mi brucia, mi travia. Ho un amico pittoreanche lui ogni tanto ci incontriamo e ciarrampichiamo su per le nostre vite tutte e dueschiacciati dalla nostra passione dipingere- illusie persi attaccati al vetro delle nostre discussionisui grandi pittori. Vorrei avere un lavoro normale,la famiglia no, oggi ho cinquant’anni capisco chela famiglia è un impegno troppo pesante per me.Forse la soluzione è chiudersi in un convento….Giacomo

Il mio lavoro è all’uliveto della Rocca di Pietrasantala mia passione è sempre stata la pittura, i mieigenitori dicevano che costava troppo. Mi sarebbepiaciuto fare l’architetto fin dall’elementari, manon è stato possibile perché mi sono ammalatoe dopo i miei genitori avevano paura di troppecose. Così da grande l’ho ritrovata al centrodiurno: dove ho iniziato a dipingere nature morte,

paesaggi, ritratti, faccio anche teatro e scrittura.Luigi

L’Amore e il rispetto si tingono di…

L’amore una domanda rossa il rispetto unarisposta blù.Gianluca

Il rispetto è rosa, l’amore è viola tutti e due sonodoni che Dio ha fatto agli uomini per restareinsieme.Luigi

Il rispetto è bianco come la neve, silenzioso comeil sole, lieve come il vento e caldo come un corpoumano…l’amore è rosso come il fuoco diretto,e nutre come un vino liquoroso.Paolo

La mia passione è sempre stata la musica allavisione di “Fantasia” immagini e musica il miosogno di bambino era quello di diventare direttored’orchestra, ma venni smontato dall’impegnoche richiedeva. Con il trascorrere degli anni inuna famiglia dai tanti interessi, iniziai a coltivarele arti figurative, la mia passione è diventata lacreatività in tutte le sue forme d’espressione, dalteatro, al la scr i t tura al l ’art ig ianato….Gianluca

Il rispetto veste di giallo perché è il sole, l’amoreviola perché è un grattacielo di tremila piani finoalla LUNA…..com’è difficile amarci.Giacomo

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La nostra esperienza nasce nel 2001 con il progetto di “Re Lear” messo in scena da un gruppodi utenti dei servizi di salute mentale su iniziativa dell’Unità Funzionale Inserimenti Lavorativie socializzazione della USL Versilia in collaborazione con la Cooperativa CREA.Negli anni successivi l’esperienza si consolida, il laboratorio viene gestito in proprio dalla UnitàFunzionale con l’aiuto di esperti esterni; vanno in scena, in quel periodo: ”Condoglianze edintorni” di A.Campanile, in collaborazione con la Compagnia “Tony Filippini”, rappresentata alTeatro Estate di Viareggio e la “Gatta Cenerentola”, in collaborazione con L’Ottavo Laboratorioe il Teatro dell’Imbarazzo, rappresentata al Centro di Aggregazione “Il Fienile” e nella Palestradel Ceser.

Nel 2004, partecipando ad un bando del Cesvot, riusciamo a finanziare il progetto ”Il TempoRitrovato” di cui il Laboratorio Teatral-mente è parte, interamente ideato e realizzato all’internodell’Associazione “L’uovo di Colombo” e dell’Unità Funzionale per l’inclusione sociale dell’AziendaUSL12.In Teatral-mente confluiscono le energie dei volontari dell’Associazione L’Uovo di Colombo, delServizio Civile, degli operatori della Asl e soprattutto degli utenti.

...e quelli specifici:se l’inclusione sociale è intesa come un processodi reale appartenenza alla società, bisognasottolineare l’importanza di una condivisione delleesperienze e delle attività con gli altri, evitando diriproporre modell i e contesti esclusivi estigmatizzanti.Quindi la prima tappa del percorso per creare culturadi inclusione è il lavorare insieme.Teatral - mente può diventare un laboratorio stabilein cui l’approccio al teatro sia il più completo ecoinvolgente possibile per gli utenti, investendoanche la scelta/elaborazione del testo e lascenografia.

La storia

I nostri obiettivi generali...:Teatral-mente fa parte di un progetto più ampioche l’Unità Funzionale per l’Inclusione Sociale starealizzando affinchè le persone in stato di disagioe a rischio di marginalità sociale possano esercitareil pieno diritto di cittadinanza.Infatti tra i molti aspetti della vita che ci consentonodi essere cittadini ci sono anche quelli delle relazioniinterpersonali, delle capacità e possibilità diespressione della creatività, dei sentimenti, deivissuti e della fruibilità/partecipazione agli eventiculturali del territorio.

LABORATORIO "TEATRAL - MENTE"

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LABORATORIO "TEATRAL - MENTE"

e come lo facciamo...

- lavoriamo insieme tutti i martedì pomeriggio, c/o il Ceser, dalle 14 alle 18 e ogni qualvolta ci sia la necessità di fare qualcosa- creiamo un contesto favorevole all’espressione personale anche nell’accettazione dei propri limiti- ci relazioniamo con gli altri senza timore di pregiudizio e di giudizio- favoriamo l’espressività corporea con tecniche di rilassamento

per aiutare la concentrazione e l’impegno- si prova e”si aggiusta il tiro” di volta in volta- qualche volta ci si arrabbia, spesso si ride e così si va avanti

insieme- ognuno impara dall’altro, senza distinzione di ruolo.

L’aspetto che riteniamo qualitativamente positivo di Teatral-menteè che nel fare insieme si creano le condizioni per l’inclusionesociale: stare con gli altri e condividere gli obiettivi, cooperareper real izzar l i è fare cul tura di convivenza civ i le.

Cosa facciamo....

Il gruppo di “Teatral-mente”è composto da tutti, operatori, utenti, volontari che insiemelavorano sui testi, sulle parti, sui costumi, sulle scene....E insieme si esce per conoscere e imparare, da spettatori attenti, le esperienze esterne: abbiamofrequentato il Teatro Verdi di Pisa, il Teatro Jenco di Viareggio e vari spettacoli estivi.Ogni persona del gruppo è coinvolta nel processo di crescita e di scambio, trovando spazi perlo sviluppo di potenzialità altrimenti non espresse/esprimibili.

IldeLucianaDaniloIliana

AlessandraDavid

CesareTatianaSerena

MariaLuisaClaudio

FelicitaNicolaEnricaAlberto

SaraBeatriceRenataMarcoLuca

Aurora

Teatral-mente è, in ordine sparso, :

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Redazionevia Comparini, 6 c/o CESER 55049 VIAREGGIO

tel. 0584 385905 fax 0584 385931

Direttore responsabileChiara Sacchetti

Consiglio di redazioneAlberta Albertini

Petra BocciIlde Bigicchi

Debora CodecasaOndina Della Martina

Paola DinelliLuigi Guidotti

Luciana MadrigaliLuciano MichelettiFranca Rovini Papi

Cinzia Valleroni

Hanno collaborato:Carla Bertoli

Daniele D'onofrioTommaso FanfaniGianluca FercioniPaolo Fornaciari

Antonio LucchesiSimone MonciniStefania PariginiMarisa Polloni

Silvia RossiChiara Rovini

SirioLaboratorio Kairos

Laboratorio Lessico SedatoScrivere a Zigozago a PietrasantaCentro Documentario Storico

Giornaledell'Associazione "L'Uovo di Colombo"con contributi di utenti e operatori dei servizi socio - sanitari

Comune di ViareggioAssessorato alla cultura

Assessorato alle politiche sociali

Assessorato al volontariato

Sta decollando l’attività di sartoria: con il contributo di soci-lavoratori e soci - volontari l’Associazioneha organizzato, a Viareggio, presso la sede di via Comparini, un laboratorio per piccoli lavori oriparazioni su capi di abbigliamento, tende, tovaglie ecc. I prezzi sono modici.

Negli stessi locali, ha preso avvio da qualche mese la lavanderia, gestita da due socie - lavoratrici: ilservizio offre, a prezzi contenuti, il lavaggio ad acqua di indumenti, piumoni e coperte.

Sono riprese le attività dei laboratori di socializzazione: “Arti minori”, laboratorio di scrittura“Lessicosedato”, laboratorio “Teatral-mente”.

Il laboratorio teatrale, che vede impegnati soci - utenti, soci - volontari, servizio civile, rappresenteràprossimamente “Il piccolo Ulisse”, libero adattamento dell’opera di Saint - Exupéry “Il Piccoloprincipe”.

Nel mese di ottobre prenderà avvio il nuovo laboratorio “La Clessidra”, che prevede attività di tempolibero e rivolto a persone con particolari difficoltà di inserimento sociale.

Ricomincia anche l’attività di Cultura di base con il maestro Francesco Pieruccetti: quest’anno hannoaderito otto soci - utenti che saranno impegnati in attività di recupero delle capacità di scrittura ecalcolo al fine di fornire alcuni strumenti di base per favorire la loro inclusione sociale.

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE

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