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LUNGO I SENTIERI DELLA GRANDE GUERRA IN VALLARSA Una collana dedicata alla scoperta della montagna trentina attraverso i luoghi della Grande Guerra. LA MONTAGNA DEI RAGAZZI 5,00

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LUNGO I SENTIERIDELLA GRANDE GUERRA IN VALLARSA

Una collana dedicata alla scopertadella montagna trentina attraverso

i luoghi della Grande Guerra.

LA MONTAGNA DEI RAGAZZI

€ 5,00

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FONDAZIONE ACCADEMIA DELLA MONTAGNA DEL TRENTINOInsieme per vivere, rispettare e conoscere la montagna di ieri, oggi e domani

L’Accademia della Montagna del Trentino è una Fondazione promossa dalla Provincia autonoma di Trento, per incentivare la conoscenza del territorio montano, valorizzare il patrimonio dell’arco alpino e la salvaguardia della montagna, in particolare del Trentino. Il suo compito è inoltre far emergere il valore storico, culturale, socio-economico e sportivo delle attività alpinistiche, sciistiche ed escursionistiche che si svolgono in montagna. Costituita il 21 dicembre 2009, è operativa dal marzo 2010.

I suoi soci fondatori sono la Provincia autonoma di Trento, la Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura, l’Università degli studi di Trento, il Collegio Provinciale delle Guide Alpine, l’Associazione Accompagnatori di Territorio del Trentino, il Collegio provinciale Maestri di Sci del Trentino, l’Associazione Maestri di Sci del Trentino e l’Associazione Gestori Rifugi del Trentino.

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LA MONTAGNA DEI RAGAZZICONOSCERE LA MONTAGNA ATTRAVERSO LA GRANDE GUERRA

Escursioni E itinErari di scopErta

LUNGO I SENTIERIDELLA GRANDE GUERRA IN VALLARSA

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Progetto: Accademia della Montagna del Trentino Testi: Museo Storico Italiano della Guerra Credits fotografici: Museo Storico Italiano della Guerra [MGR], Museo Civico di Rovereto [MCR], SAT Rovereto, Tiroler Kaiserjäger Museum [TKM], Alessandro AndreolliIllustrazioni: Tommaso SegaProgetto Grafico: Litodelta sas - Scurelle (TN)

ISBN: 978-88-96215-46-3 Si ringraziano per la collaborazione: Fiorenza Aste, Stefania Costa, Associazione Tra le Rocce e il Cielo

Con il contributo di

Accademia della Montagna del TrentinoVia Jacopo Aconcio, 538122 Trentotel. 0461 493175 mail: [email protected]

© 2012, Egondi Emanuela Zandonai Editore s.r.l.via del Garda 32, Rovereto (TN)tel. 39 0464 484500fax 39 0464 484528

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Imparare a conoscere il territorio in cui si vive è una tappa decisiva nel percorso di cresci-ta di ogni persona che risulterà tanto più coinvolgente e appassionante se l’esplorazione avrà inizio fin da giovani, quando è più facile ricordare i luoghi e immaginare le vicende che li han-no segnati. Per questo anche una piccola pubblicazione può diventare un’opportunità formati-va, aggiungendo un’autentica esperienza culturale al piacere di una camminata all’aria aperta. Questa pubblicazione, primo volume di una collana realizzata per iniziativa della Fondazione Acca-demia della Montagna del Trentino in collaborazione con il Museo Storico Italiano della Guerra, non è tuttavia solamente un contributo per accendere la curiosità dei ragazzi verso un passato che ha segnato radicalmente la vita dei loro bisnonni. In questi giorni in cui l’assurdità della guerra continua a insanguinare l’umanità, una visita diretta ai luoghi dove si combatté la Grande Guerra può diventare il discorso più efficace per promuovere un mondo liberato dalla violenza.

Annibale SalsaPresidente del Comitato Scientificodell’Accademia della Montagna del Trentino

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Soldati austro-ungarici trasportano assi sul Pasubio [TKM]

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LA PRImA GUERRA mONDIALE E IL TRENTINO

La Prima guerra mondiale scoppiò nel 1914 e si concluse nel 1918. Coinvolse tantissimi stati – come la Francia, la Gran Bretagna, la Russia, la Germania, l’Austria-Ungheria, l’Italia, la Turchia, gli Stati Uniti, il Giappone – e possedimenti coloniali come l’India, il Sudafrica, l’Australia.

Venne chiamata anche “Grande Guerra” perché assunse dimensioni che nessun conflitto aveva mai avuto prima. Vennero mobilitati milioni di soldati, si sperimentarono grandi innovazioni tecnologiche, furono introdotte nuove armi e moderni mezzi di trasporto, la vita di milioni di donne e bambini cambiò radicalmente, morirono più di 9 milioni di soldati e moltissimi civili.

Prima della guerra il Trentino faceva parte dell’Impero austro-ungarico e confinava con il Regno d’Italia.

Nel 1914, allo scoppio della guerra, più di 55.000 trentini vennero richiamati alle armi e inviati in Galizia (territorio oggi diviso tra Polonia e Ucraina), dove combatterono contro l’esercito russo. Moltissimi vennero fatti prigionieri, più di 11.400 morirono.

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Soldati austro-ungarici in una trincea presso Zugna Torta [MGR]

Nel 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria. Il Trentino diventò campo di battaglia: si costruirono centinaia di chilometri di trincee, i paesi furono bombardati e i civili dovettero abbandonare le loro case. Per la prima volta si combatté anche in alta montagna e i soldati furono costretti a sopravvivere tra le nevi e i ghiacci.

Circa 700 trentini, chiamati “irredentisti” perché si battevano per unire il Trentino all’Italia, si arruolarono volontari nell’esercito italiano. Tra questi, Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa furono catturati dagli austriaci sul Pasubio e sullo Zugna, furono processati e condannati a morte per tradimento.

Al termine della guerra, alcuni degli antichi Stati scomparvero e ne nacquero di nuovi. Il Trentino divenne parte dell’Italia, uscita vincitrice dal conflitto.

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L’Impero austro-ungarico iniziò a fortificare il Trentino già a partire dal 1860-1861, nell’eventualità di un con-flitto con il “giovane” Regno d’Italia.

Nel 1910 si cominciò a pensare alla difesa dei monti della Vallarsa, ma allo scoppio della guerra, nell’estate 1914, i lavori non erano finiti. Sul monte Zu-gna erano stati costruiti una strada militare, delle caserme e un “implu-vio” per la raccolta dell’acqua piova-na. Il forte di Pozzacchio, sulle pendici del Pasubio, era ancora incompleto. A Matassone era stato realizzato solo un campo trincerato.

Non avendo la possibilità di comple-tare i forti, nel settembre 1914 l’eser-cito austro-ungarico realizzò lungo tutto il confine una potente linea di difesa, composta da centinaia di chi-lometri di trincee.

LA GRANDE GUERRA IN VALLARSA

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Traino di artiglierie sul Pasubio [MGR]

Nel maggio 1915, quando l’Italia entrò in guerra, l’esercito au-striaco era già impegnato sul fronte russo ed in Serbia e, per rispar-miare truppe ed armamenti, abbandonò la Vallarsa, lo Zugna e il Pasubio fino alle porte di Rovereto.

L’esercito italiano poté così avanzare senza ostacoli e nel giugno 1915 occupò le due montagne, compresi l’area di Matassone e il forte di Pozzacchio.

Nel maggio 1916, con un’intensa offensiva nota come Strafexpe-dition, l’esercito austro-ungarico riuscì a riconquistare alcune po-sizioni, tra le quali il forte di Pozzacchio, buona parte del Pasubio e la parte settentrionale dello Zugna (fino al cosiddetto “trincerone”). L’esercito italiano, costretto ad arretrare, riuscì tuttavia a fermare l’offensiva.

Sulle montagne della Vallarsa si combatté aspramente e, come ci ricordano i numerosi cimiteri militari, si contarono moltissimi ca-duti.

Sul Pasubio si ricorse anche alla guerra di mine, ma le posizioni dei due eserciti rimasero quasi immutate.

Anche in Vallarsa, come su tutto il fronte italo-austriaco, la guerra terminò ai primi di novembre del 1918.

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TRA GUERRA E DOPOGUERRA

Allo scoppio della guerra con l’Italia, nel maggio 1915, i paesi trentini vicini al confine vennero evacuati. Più di 100.000 persone dovettero lasciare le proprie case e spostarsi verso l’interno dell’Austria o verso l’Italia. La maggior parte di loro, dopo un lungo e faticoso viaggio, trovò ospitalità in paesi e città della Boemia, della Moravia e dell’Austria, oppure in grandi campi di baracche, come a Mitterndorf e Braunau. In queste “città di legno” i profughi vissero in miseria e molti morirono. Una parte della popolazione dovette fuggire verso il Veneto, la Lombardia, la Liguria e altre regioni italiane. Chi non partì, visse l’esperienza dell’occupazione militare e della fame.

La popolazione della Vallarsa fu evacuata tra il maggio 1915 e il maggio 1916: parte verso l’Au-stria, parte verso l’Italia. I profughi poterono portare con sé solo poche cose. I paesi vennero occupati dai militari e subirono pesanti bombardamenti.

Alla fine della guerra, la popolazione trovò distruzioni e macerie. Ci vollero anni prima che la vita tornasse alla normalità. La povertà spinse molte persone a cercare sui campi di battaglia materiali da vendere o con cui ricostruire i paesi. Quello del “recuperante” fu un lavoro faticoso e pericoloso.

Oggi si cerca di conservare ciò che resta di quella guerra. In Vallarsa, anche grazie al lavoro di tanti volontari, sono stati eseguiti molti interventi di pulizia e ripristi-no dei luoghi del conflitto che hanno reso nuovamente visitabili sentieri, trincee e fortificazioni.

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Il paese di Aste distrutto. 1919 [MGR]

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ITIneRARI

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COME PREPARARSI AD UN’ESCURSIONE IN MONTAGNAI monti della Vallarsa, oltre ad offrire un paesaggio e una natura incontaminate, per-mettono di ripercorrere quelli che furono i campi di battaglia della Grande Guerra.Come tutte le gite, anche un’escursione in montagna va organizzata.

ecco alcuni suggerimenti: - indossa un abbigliamento pratico e delle calzature adatte (scarponcini); - scegli un itinerario adatto alle tue capacità e al tuo allenamento; - assicurati che le previsioni del tempo siano buone; - studia l’itinerario prima di partire, porta con te la cartina e mantieni il cammino sui sentieri

segnalati; - in generale non ti addentrare in grotte o gallerie; dove è consentito l’ingresso, fatti accom-

pagnare da un adulto e ricordati di portare una torcia elettrica; - non disturbare gli animali: limitati ad osservarli;- rispetta l’ambiente: riporta a casa i tuoi rifiuti!

Cosa non deve mancare nel tuo zaino: - una buona quantità di acqua;- qualcosa da mangiare durante la giornata;- un cappellino e gli occhiali per ripararti dal sole; - la crema protettiva per evitare scottature; - un kit per il primo soccorso; - una maglia e uno spolverino per la pioggia: in montagna il tempo può cambiare molto velo-

cemente;- una cartina della zona.

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1° ITINERARIOIL CAmPO TRINCERATO DI mATASSONE

L’escursione è “ad anello”, è mol-to breve e semplice, comincia dal paese di Matassone e richiede circa un’ora. Un cartello ricorda che alcuni anni fa la Provincia au-tonoma di Trento ha realizzato dei lavori di ripristino: le trincee sono percorribili proprio grazie a questi interventi.

1. Lungo la prima salita si nota, a sinistra, l’ingresso di una caverna (non visitabile): l’esercito austro-ungarico vi aveva realizzato un deposito per armi e viveri scavato nella roccia e quindi molto sicuro. Poco dopo, sulla destra, si osserva l’ingresso di un camminamento coperto che permetteva ai solda-ti di raggiungere le trincee senza farsi vedere.

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Proseguendo si giunge sulla parte sommitale del prato: da qui si ha una grandiosa vista su tutta la Vallarsa. Dove oggi corre il confine tra le province di Trento e Vicenza, un tempo c’era il confine tra Impero austro-ungarico e Regno d’Italia. Sulla sinistra si osserva il massiccio del Pasubio, a destra la catena dello Zugna e del Carega.

2. Da qui inizia la visita alle trincee. Il campo trincerato di Matassone fu realizzato dall’esercito austro-ungarico nell’autunno 1914. Era composto da due sistemi circolari di trincee, circondati da fasce di reticolati. Queste trincee sono state rea-lizzate in calcestruzzo, hanno uno scalino che permetteva ai soldati di alzarsi, controllare il territorio ed eventualmente sparare. Sono visibili i resti di una postazione di mitragliatrice. Era previsto anche un os-servatorio e una stazione per segnali ottici per comunicare con il forte Pozzacchio, posto sulla parte opposta della valle.Percorrendo la trincea si nota l’arrivo del camminamento coperto di cui abbiamo visto l’ingresso dalla parte opposta della collina.

3. L’itinerario continua verso est attraverso un sentiero che ricalca l’andamento delle trincee. Dopo la guerra, negli anni, le trincee si sono riempite di materiali, fino a diventare invisibili: in questo tratto non sono state “svuotate” e dobbiamo quindi immaginare il loro percorso.Attraverso un tratto di trincea ripristinata si giunge ad un’altra postazione di mitragliatrice da cui si vedono il paese di Valmorbia e il monte Corno Battisti: questo monte deve il suo nome al fatto che, sulla sua cima, nell’estate 1916 venne catturato Cesare Battisti, importante personaggio dell’irredentismo trentino. Trincee austro-ungariche

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4. Il sentiero prosegue con una breve scala: qui si incontrano i ruderi di un rifugio in calcestruzzo armato (cemento rinforzato con sbarre di ferro) che gli austriaci avevano realizzato prima della guerra come alloggio per i soldati. Per offrire loro massima protezione, era stato costruito in una posizione invisibile al nemico. Le macerie che si notano non sono dovute ai bombardamenti, ma all’azione dei “recuperanti” che nel dopo-guerra smantellarono il rifugio per estrarne il metallo.

5. Da qui è possibile osservare un altro sistema di trincee, orientate in maniera opposta rispetto a quel-le viste finora. Sono trincee italiane: nel maggio 1915, allo scoppio della guerra con l’Italia, l’esercito austro-ungarico abbandonò questa posizione e l’esercito italiano la occupò senza difficoltà. Gli italiani non poterono però riutilizzare le trincee già presenti – orientate in senso opposto alla loro avanzata! – e dovettero realizzarne di nuove.

Noti delle differenze rispetto a quelle austriache? Queste sono state realizzate molto più velocemente e con materiali più facili da recuperare.

Durante l’offensiva del maggio 1916 (Strafexpedition), l’esercito austro-ungarico riconquistò temporanea-mente quest’area, ma il 28 giugno 1916 gli italiani la rioccuparono e la tennero fino alla fine del conflitto.

Dalle trincee italiane, guardando dalla parte opposta della valle, si notano dei buchi nella roccia: sono le cannoniere del forte di Pozzacchio. Per saperne di più, guarda l’itinerario dedicato a questa fortificazione.

Il sentiero ti riporta ora verso il paese di Matassone (direzione ovest), dove si conclude l’escursione.

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lA TRINCEA

Trincea sul monte Zugna [MGR]

La linea del fronte era composta da una se-quenza ininterrotta di trincee, disposte su due, tre o più linee parallele collegate da sen-tieri infossati, detti camminamenti.

Davanti alle trincee venivano posizionati fitti reticolati di filo spinato.

Il territorio compreso fra le trincee più avan-zate dei due schieramenti era definito “ter-ra di nessuno”. In alcuni casi la distanza si riduceva a poche decine di metri, in altri si estendeva fino ad alcuni chilometri.

La trincea è uno dei luoghi-simbolo della Grande Guerra.

Serviva a proteggere i soldati e a difendere le posizioni occupate. era composta da un fosso mimetizzato e protetto con muretti di pietra, di sacchi di terra e con scudi d’acciaio; pote-va avere delle feritoie da cui sparare. Veniva scavata a zigzag per ridurre gli effetti delle esplosioni, ma spesso consisteva solo in uno scavo improvvisato.

Immediatamente dietro alle trincee c’eranoi ricoveri, cioè gli alloggiamenti dei soldati che combattevano in prima linea. In una zona più arretrata, nelle retrovie, si trovavano invece i posti di comando, gli ospedali, i cimiterie i depositi.

La vita nelle trincee era durissima: si soffriva il caldo d’estate e il freddo d’inverno; non ci si poteva lavare né cambiare; spesso si viveva nel fango e in compagnia di topi, pidocchi e altri insetti.

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2° ITINERARIOIL mONTE zUGNA

Il monte Zugna, che separa la Vallarsa dalla valle dell’Adige, ebbe una rilevante importanza sul fronte trentino della Grande Guerra.

Nel punto più stretto del cri-nale, gli italiani costruirono un sistema trincerato denominato “Trincerone”, che interrompeva la strada che da Albaredo porta alla cima della montagna. Nella primavera del 1916, questo sbar-ramento permise di fermare l’a-vanzata austro-ungarica. Dall’e-state 1916 al novembre 1918,i due eserciti combatterono su queste posizioni.

Salendo in auto lungo la strada che da Albaredo porta al Rifugio

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Monte Zugna si giunge all’area del “Trincero-ne-Kopfstellung”, dove si può parcheggiare. Grazie a un progetto di recupero promosso dalla Fondazione Parco Botanico del Cengio Alto, i manufatti militari sono stati ripuliti dalla vegetazione e dai detriti e sono stati predispo-sti numerosi pannelli illustrativi. Il percorso ad anello è molto semplice e richiede circa un’ora.

1. L’itinerario parte dalle linee austro-ungari-che: si percorrono camminamenti e trincee, si vedono i resti di posti di osservazione e posta-zioni di mitragliatrici. Percorrendo un tratto di strada asfaltata si attraversa quella che un tempo era la “terra di nessuno” e si giunge alle linee italiane. Il “Trincerone” italiano, estrema difesa contro l’offensiva austro-ungarica del maggio 1916, era stato pressoché cancellato dai bombardamenti: ora è stato in parte rico-struito per mostrarne la forma e la funzione.

2. Dopo aver attraversato i camminamenti, le trincee e gli avamposti italiani, il percorso torna verso la linea austro-ungarica dove, all’interno di una struttura metallica che riproduce la trin-cea originaria, alcuni pannelli didattici illustra-no l’organizzazione di questo tratto di fronte.

La prima linea austro-ungarica

Il “Trincerone”, prima linea italiana

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3. Concluso l’anello si può proseguire a piedi verso il Rifugio Monte Zugna: si continua lungo la strada asfaltata fino al tornante con le indicazioni relative al cimitero militare italiano di San Giorgio. Da qui il percorso prosegue nel bosco: si passa davanti ai resti del cimitero e seguendo la segnaletica, in poco più di mezz’ora, si raggiunge il rifugio.

4. Chi invece preferisce riprendere l’auto, può rag-giungere il rifugio, e salire a piedi verso la cima. Dal rifugio si segue il segnavia 115 (“Sentiero del-la Pace”) e in circa 20 minuti si giunge al “Parco della Pace”. In questa zona, prima del conflitto, gli austriaci avevano progettato di realizzare un forte e avevano costruito una serie di manufatti, tra i quali un impluvio per la raccolta dell’acqua piovana e delle caserme. All’ingresso in guerra dell’Italia, non avendo completato i lavori, gli austriaci decisero di abbandonare l’intero monte Zugna. Gli italiani occuparono la zona e realizzarono le proprie postazioni. In quest’area si vedono tracce di trincee, ricoveri scavati in roccia, postazioni di artiglieria e i resti di un ospedale militare e di un cimitero.

5. Dal “Parco della Pace”, in circa 15 minuti, si può raggiungere la cima dello Zugna. Qui, oltre ad am-mirare uno stupendo panorama dal gruppo dell’Adamello a ovest alle cime dolomitiche ad est, si vede tutta la Vallarsa, il “Pian delle Fugazze” e, dietro, la pianura veneta. È facile comprendere l’importanza strategica di questa montagna: controllarla significava chiudere le porte per Vicenza da un lato, per Ve-rona dall’altro.

Il rientro avviene lungo lo stesso sentiero dell’andata.

L’impluvio

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Il moNTE ZuGNA: uNA moNTAGNA RICCA DI sToRIA E NATuRA

Lo Zugna è una montagna interessante non solo dal punto di vista storico, ma anche geolo-gico e naturalistico.

Circa 200 milioni di anni fa, all’inizio del Giuras-sico, l´attuale roccia calcarea del monte Zugna costituiva la riva limacciosa del Mare di Tetide. Centinaia di dinosauri carnivori ed erbivori, di forme e dimensioni differenti, correvano su queste rive lasciando impronte nel fango. Oggi queste tracce sono ancora visibili ai Lavini di Marco, sulle pendici del monte, a sud di Ro-vereto. Quest’area, venuta alla luce a seguito di una serie di frane risalenti a epoche diverse, costituisce il più grande giacimento di impron-te fossili di dinosauro mai rinvenuto in Italia.

Lo Zugna è conosciuto anche per il suo Osser-vatorio astronomico. Attivo dal 1997, effettua ricerche a livello internazionale: nella cupola di quattro metri di diametro si trovano tre tele-scopi e un telescopio solare che permette di ammirare il cielo, il Sole e le altre stelle.

notevole è anche l’interesse botanico e fau-

nistico di questa montagna. La passeggiata permette di osservare una grande varietà di fiori, tra i quali le orchidee selvatiche. Sai ri-conoscerle?

Per saperne di più:www.museocivico.rovereto.tn.it

Le orme dei dinosauri [MCR]

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3° ITINERARIOIL mONTE TESTO (GRUPPO DEL PASUbIO)

Il Pasubio è stato uno dei campi di battaglia più tormentati della Prima guerra mondiale.

Nel 1915, a seguito dell’arretra-mento della linea di difesa, fu abbandonato dall’esercito au-stro-ungarico e occupato intera-mente dall’esercito italiano. Con l’offensiva della primavera del 1916 gli austro-ungarici riusci-rono a riconquistarne una buona parte, tra cui il monte Testo.

Tra il 1916 e il 1918 il Pasubio fu teatro di cruente battaglie; in quest’area vissero poco meno di 100.000 soldati, che tracciarono strade e sentieri, costruirono te-leferiche e acquedotti, villaggi di baracche e centinaia di gallerie.

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Più di diecimila soldati morirono su queste cime: in combattimento, per malattie e incidenti, travolti da valanghe. Qui si combatté anche la più lunga guerra di mine di tutto il fronte europeo.

1. Questa escursione è la più impegnativa tra quelle presentate in questa guida: richiede l’intera giornata, ma ti permetterà di ammira-re un panorama straordinario.

Con la macchina si risale lungo la strada provinciale che, passando da Trambileno e da Giazzera, porta fino a Malga Cheserle (1402 m). Qui si parcheggia e si prosegue lungo la strada forestale (sentiero 101) che, in poco più di un’ora, porta al Rifugio Lancia, dove è possi-bile fermarsi per una sosta.

2. Dal rifugio si segue il segnavia E5 102. Dopo circa 10 minuti c’è un bivio: a sinistra il sentiero prosegue per la Bocchetta delle Corde e la parte sommitale del Pasubio; il nostro itinerario ci porta invece verso destra in direzione del monte Testo (segnavia 102A). In breve si cominciano a vedere resti di manufatti militari; percorrendo alcuni cam-minamenti che partono sulla destra del sentiero, si arriva in prossimità della cima (1999 m).

A partire dal 1916, il monte Testo fu un importante caposaldo austro-ungarico: oggi, grazie ai lavoro di recupero dei soci della SAT di Rovereto e del Gruppo Grotte “E. Roner”, è nuovamente possibile

Trincea sul monte Testo

Il monte Testo dalla Bocchetta delle Corde

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percorrere i manufatti della cima. L’opera di ripristino ha fatto emergere un notevole complesso di gallerie, trincee, punti di os-servazione. Da queste postazioni di artiglieria scavate in roccia i soldati austro-ungarici avevano un controllo strategico sulla Vallarsa e il Pasubio. Dalle feritoie lo sguardo si apre sulla conca di Cosmagnon e sulla catena di monti che dal Roite prosegue verso il Dente Austriaco, il Dente Italiano e Cima Palon. Su queste cime tra l’autunno del 1917 e la primavera del 1918, i due eserciti si scontrarono, oltre che nelle trincee, anche in una drammatica guerra di mine. Dieci terribili esplosioni - cinque italiane e al-trettante austriache - mutarono il profilo del Dente Italiano. Il 13 marzo 1918 una mina austriaca, caricata con più di 50 tonnellate di esplosivo, provocò la morte di oltre 50 soldati italiani.Le feritoie orientate verso ovest permettono invece di inquadrare tutta la dorsale dello Zugna.

3. Dopo aver visitato le postazioni della cima, si segue il sentiero 102A in direzione Bocchetta dei Foxi, dove si giunge in 30 minuti circa.

Da qui, chi desidera allungare il giro, può proseguire fino al Cor-no Battisti, dove nell’estate del 1916 vennero catturati gli irredentisti trentini Cesare Battisti e Fabio Filzi. Anche questa montagna, a lungo contesa tra i due eserciti, conserva ancora molti resti della presenza dei due eserciti (centinaia di metri di gallerie la cui visita richiede un notevole impegno e una guida esperta).

4. Da Bocchetta dei Foxi, il rientro avviene lungo il sentiero 122 in direzione Malga Zocchi; da qui, in circa 40 minuti si arriva al parcheggio di Malga Cheserle.

Ingresso al sistema di gallerie

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lA GuERRA IN moNTAGNA

Fino al 1915 si riteneva impossibile combattere in alta montagna. nella Grande Guerra, inve-ce, le prime linee del fronte trentino correvano spesso a quote superiori ai 2.000 metri e molti soldati vissero e combatterono sui ghiacciai.

Per loro l’ambiente di montagna - il freddo, la mancanza di rifornimenti, le difficoltà nei colle-gamenti e nell’assistenza - divenne il principale nemico da cui proteggersi. Talvolta le bufere di vento e di neve erano così violente che le

sentinelle dovevano legarsi alla postazione per resistere. I rischi maggiori erano rappre-sentati dal congelamento e dalle valanghe, che anche in Vallarsa causarono molti morti.

Il primo inverno di guerra colse gli eserciti impreparati: i soldati non avevano indumenti adatti, vivevano in baracche leggere o addi-rittura in tende. Col tempo vennero costruiti baraccamenti, gallerie in roccia o nel ghiac-cio, strade e sentieri. nei trasporti vennero impiegati soldati e prigionieri ma anche donne e ragazzi, oltre a muli e cani. Si realizzarono robuste tele-feriche per collegare il fondovalle alle cime. Sul Pasubio e sullo Zugna se ne contavano decine.A causa delle temperature molto basse anche le armi funzionavano male o si inceppavano.

Trasporto con muli sul Pasubio [MGR]

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4° ITINERARIOIL fORTE POzzACChIO (VALmORbIA WERk)

Il forte di Pozzacchio è una del-le più importanti fortificazioni realizzate dall’esercito austro-ungarico. Mai completata, que-sta “macchina da guerra” venne pesantemente danneggiata dai bombardamenti. Alla fine del conflitto, gli abitanti di Pozzac-chio e Valmorbia lo demolirono per recuperare il metallo e altri materiali utili per ricostruire i paesi distrutti. Il forte divenne però anche meta di pellegrinag-gio di reduci. Ancora oggi, ogni anno nel mese di luglio, l’As-sociazione culturale ricreativa “Il forte” organizza una mani-festazione commemorativa per ricordare i caduti.

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Dopo un importante lavoro di restauro, dal 2013 il forte è nuovamente visitabile.

1. Il percorso di visita richiede mezza giornata. L’escursione parte dal parcheggio nei pressi del paese di Pozzacchio: da qui si imbocca la strada militare realizzata tra il 1912 e il 1913.

In circa 30 minuti di cammino si arriva nell’area dove un tempo sorgevano le caserme, di cui oggi si vedono i ruderi. Pannelli con testi e fotografie illustrano la storia del forte, raccontano le principali vi-cende belliche e spiegano l’intervento di restauro.

2. Il forte di Pozzacchio, interamente scavato in roccia, rappresentava la più moderna fortezza proget-tata dall’esercito austro-ungarico. La sua posizione consentiva un efficace controllo sulla Vallarsa: da lì l’esercito avrebbe potuto sbarrare una possibile avanzata italiana verso Rovereto.

Area didattica nei pressi del forte Il fossato

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Il forte era articolato su due piani: all’interno c’erano magazzini di viveri e munizioni, officine, locali per l’impianto elettrogeno e una centrale telefonica. Nelle caverne c’erano anche dormitori per più di 200 soldati e 7 ufficiali, ricavati in baracche di legno oggi ricordate da strutture metalliche arancioni.

Dalla galleria centrale si diramavano i collegamenti alle po-stazioni per artiglierie e mitragliatrici e ai riflettori impiegati per illuminare il territorio antistante.

Il forte doveva essere armato con 2 obici costruiti dalle ac-ciaierie “Skoda” di Praga, posti in cupole corazzate girevoli, 6 cannoni, 10 mitragliatrici, 8 riflettori. Un pozzo verticale dava accesso al piano superiore dove erano previste le artiglierie in cupola.

L’esercito italiano lo occupò già nel giugno 1915. Nel maggio del 1916 il forte fu ripreso dagli austro-ungarici. Gli italiani tentarono poche settimane dopo di riconquistarlo, ma venne-ro respinti.

Scala interna al forte La passerella sulla parte sommitale del forte

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ComE sI vIvEvA IN uN foRTE

I forti della Prima guerra mondiale erano strutture molto complesse e dovevano essere autosufficienti. Al loro interno c’erano magaz-zini per viveri, depositi di munizioni, cisterne per l’acqua, impianti elettrogeni, officine e ricoveri per i soldati (il forte di Pozzacchio po-teva contenerne 200!), perfino un locale per i caduti. Comunicavano con altre fortificazioni attraver-so collegamenti telefonici e ottici. A loro servizio si realizzarono strade e telefe-riche: prima per la costruzione, poi per il tra-sporto dei rifornimenti.La vita dei soldati in queste strutture era mol-to dura: la paura maggiore era di rimanervi intrappolati.

I forti erano armati con obici, cannoni e mitra-gliatrici. Le artiglierie erano collocate in posta-zioni scavate nella roccia o in cupole d’acciaio.

Allo scoppio della guerra alcuni dei forti non erano ancora stati completati e non vennero

perciò utilizzati; altri, costruiti molti anni prima della guerra, risultarono inadeguati e vennero abbandonati. Le cupole corazzate previste per il forte di Pozzacchio non furono mai installate.

Durante la guerra molti di questi forti vennero pesantemente danneggiati dai bombardamen-ti. nel dopoguerra, i recuperanti che cercava-no metalli completarono l’opera di distruzione.

Forte di Pozzacchio [MGR]

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Finito di stampare nel mese di agosto 2012Grafiche Stile – Rovereto