Lume v'è da to a bene e a malizia Dante Al ighieri · violenza. Usiamo tutto ciò che di meglio e...

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Numero 3 anno 12 - dicembre 2009 - periodico degli studenti del Liceo Classico G. Prati di Trento Lume v'è dato a bene e a malizia Dante Alighieri La riforma della scuola trentina raccontata dall’Assessore all’Istruzione Marta Dalmaso

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Numero 3 anno 12 - dicembre 2009 - periodico degli studenti del Liceo Classico G. Prati di Trento

Lume v'è da to a bene e a malizia Dante Alighieri

La riforma della scuola trentina raccontata

dall’Assessore all’Istruzione Marta Dalmaso

Prataioli! I lunghi giorni di scuola ormai sono presso-ché finiti e si aprono le tanto sospirate porte delle vacanze di Natale! Come potrete leggere, questo mese sono di-versi gli articoli che trattano l’argomento na-talizio, tanto amato ed atteso. Però come in queste pagine dimostreremo, sono tutt’altri i temi che incuriosiscono ed appassionano le nostre vite da studenti del Prati! Infatti, sulla scia (o forse no?) di quello che sta avvenendo nella nostra regione, abbiamo deciso di dare un contributo, attraverso un’in-tervista, a proposito dell’appena approvata e

largamente contestata riforma scolastica. Proprio per questo numero, infatti, l’Assessore all’Istruzione ed allo Sport, Marta Dalmaso, si è messa a disposizione per rispondere ad alcune domande piuttosto frequenti ed angosciose, spesso anche aleggianti tra le nostre aule, volte a cercare di chiarire, almeno in parte, le caratteristiche, le problematiche, i vantaggi e le criti-cità di questa “mutazione” che a breve subirà la no-stra scuola e tutti gli organi a lei connessi. Oltre a questo, all’interno del numero troverete altri numerosi articoli di informazione, recensione ed in-terviste, tra cui l’ormai consolidata rubrica “da Pra-taiolo a…”, questo mese con la partecipazione di De-lina Goxho ed Eugenia Dal Fovo, ex Prataiole ed entrambe inserite nel mondo delle lingue e delle tra-duzioni. Vengono poi trattati argomenti molto sentiti in questi giorni, come la caduta del muro di Berlino, la conferenza sul clima e l’ambiente di Copenaghen, le problematiche sociali che investono la Nigeria ed il Paraguay sullo sfruttamento delle multinazionali. Inoltre una riflessione sul Natale e tutti gli aspetti ad esso collegati, sull’emancipazione femminile ed altro ancora. Sono poi tanti anche gli articoli considerati più leggeri, che ci permettono di “sdrammatizzare un po’ la situazione quando si fa troppo seriosa”, come l’intervista ai rappresentanti d’istituto ed alla consul-ta, una simpatica serie di domande al nostro amato “paninaro”, e per finire alcuni racconti, articoli di riflessione e molte recensioni culturali, musicali, sportive, e di altri vari generi. Da questo numero ci sembra d’obbligo dare uno spa-zio, sempre maggiormente richiesto e giustamente ritenuto importante e molto apprezzato, dove poter scrivere la propria opinione, idea, critica o considera-zione a proposito di qualsiasi argomento trattato al-l’interno del mensile e di qualunque altra ragione di perplessità o giudizio a proposito dei più svariati ar-gomenti: la rubrica “Cogito ergo… scribo!”. Affrontando poi l’argomento del “vil denaro”, come

già scritto nel precedente editoriale, la raccolta di tutto il ricavato dalla diffusione del nostro giornalino sarà devoluta all’organizzazione umanitaria Save the Children. Infatti è giusto precisare ancora una volta che la nostra redazione è formata da ragazzi e ragaz-ze volontari, e le spese materiali per la realizzazione di Praticantati sono interamente sostenute, dalla scuola: la sua distribuzione è gratuita ed i cinquanta centesimi a copia (o più, o meno, o anche niente) che vengono raccolti, sono infatti un’offerta che ver-rà poi devoluta alla Onlus sopra indicata. Per inciso, la distribuzione del numero di novembre ha consen-tito di raccogliere € 73,90. Un ringraziamento a que-sti contribuenti da parte della redazione e da Save the Children. In conclusione ci sembra doveroso esprimere alcune parole per i noti fatti che sono accaduti alcuni giorni fa, per la precisione il 13 dicembre a Milano, che hanno visto vittima di una brutale aggressione, un noto (il più noto…) personaggio politico italiano. Inutile nominarlo ed inutile pare anche pensare alle motivazioni che l’aggressore potrebbe aver avuto - o meno - per compiere questo gesto, che è stato più che sufficientemente stigmatizzato da parte di tutti: go-vernanti, politici ed opinionisti di tutto il mondo, di tutte le ideologie e schieramenti. E’ su un altro punto che val la pena soffermarsi a riflettere, ovvero sul fatto che nel nostro paese (su ciò che accade nel resto del mondo converrebbe prendere in considerazione le specifiche situazioni che di volta in volta vengono trattate anche su questo giornalino) esista un clima di violenza veramente preoccupante, i cui artefici, veri e propri istigatori, sono sparsi ovunque nel nostro tessuto sociale, politico, imprenditoriale. Noi, giova-ni d’oggi, anziché crescere e formare le nostre con-vinzioni - di qualsiasi segno - in questa purtroppo non virtuale Gotam City all’italiana, con la nostra creatività, la nostra sensibilità e la nostra intelligen-za, possiamo fare molto di più, e soprattutto molto meglio, se solo non ci prestassimo pure noi a com-porre questo mondo negativo e violento. Mondo che ora ci aspetta, ma che domani sarà, dovrà inevitabil-mente essere, il nostro mondo! Non pieghiamoci al ricatto di sostituire il dialogo e la lotta della nostra intelligenza con l’aggressione e la violenza. Usiamo tutto ciò che di meglio e di buono abbiamo in noi per vincere le difficoltà, per creare e non per distruggere, per proporre e non per negare. Sicuramente nessuno di noi, quel giorno, avrebbe voluto essere nei panni dell’uomo aggredito o del folle aggressore: adoperiamoci per non entrarci mai.

Silvio Defant

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E D I T O R I A L E

Redazione

Redattori: Federica Di Giorgio Alessandra Conte Maddalena Argiropoulos Alice Girardini Gaia Manzin Lukas Schulmers Matteo Rivi Alice Pisoni Elisa Demattè Sebastiano Fronza Dario Goxho Angelo Naso Riccardo Schöfberger Stefano Cristelli

Agnese Di Giorgio Davide Leveghi Enrico Dal Fovo Giulia Andreatta Enrico Pozzo Jacopo Sartori Federica Di Giorgio Yassmine Zouggari Marcello Calogero Giorgia Folgheraiter Enrico Sebastiani Ha collaborato: Delina Goxho

PRATICANTATI è il giornalino del Liceo Prati n° 3 anno 12 dicembre 2009

INTERVISTA � 4 Il futuro della scuola trentina. Intervista all’

Assessore all’Istruzione Marta Dalmaso � 10 Da Prataiolo a…. - Studente di Lingue e

Culture � 10 Da Prataiolo a….- Interprete � 17 Intervista ai rappresentanti � 27 Il Paninaro ATTUALITA’ PRATAIOLA � 9 Ecole en France � 13 La voce dei rappresentanti NEL MONDO � 14 Pareva dovesse essere un mondo senza più

muri � 16 Copenaghen sostituisce Kyoto � 20 Due storie diverse, un unico problema � 22 Honduras: chi, cosa, perché? ATTORNO A NOI � 23 Parada: mostrarsi, parare i colpi e ripartire � 24 Natale oggi � 26 Donne du du du MODA � 28 Prataioli di Natale STORIA � 29 Odiate letture � 30 Historie

VIAGGI � 33 Marty, live from Burnaby - parte terza MUSICA � 34 The Bastard Sons of Dioniso � 36 CCCP - fedeli alla linea SPORT � 35 Da nulla a campioni del mondo RECENSIONI � 38 Manga, arte sottovalutata � 39 Parnassus, l’uomo che voleva ingannare il

Diavolo INFO & FUN � 40 Lo sapevi??? � 42 Aforismizzati (!) OPINIONE � 42 Cogito ergo… scribo! RACCONTI � 43 Ricordo POESIA � 43 Piè veloce

Filo d’inchiostro Quasi un miracolo il mio respiro

LA POSTILLA � 44 La messaggeria di Praticantati

In questo numero

Volete informazioni? Ci volete scrivere? Fate così: � contattate la redazione utilizzando la e-mail

[email protected] � usate il box della messaggeria nell’atrio in

sede e nella sala dei distributori automatici in succursale � contattateci direttamente (possibilmente non

durante le lezioni… qualcuno avrebbe da ri-dire.)

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Direttore responsabile: Antonio Di Seclì Caporedattori: Martina Folena & Silvio Defant

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IL FUTURO DELLA SCUOLA TRENTINA Intervista all’Assessore all’ Istruzione ed allo Sport Marta Dalmaso

di Silvio Defant

Buongiorno Assessore e grazie per la la sua disponibilità. Prima di passare alle domande tecniche, ci può spiegare qual è stato il suo percorso di studio e quali le occupazioni svolte dopo la scuola? Ho fatto il liceo classico presso l’Isti-tuto Arcivescovile di Trento, poi mi sono iscritta all’Universi-tà di Lettere Classiche all’Università Cattolica di Milano; sono rientrata in provincia e ho iniziato a lavorare all’Arcivescovile, dove ho insegnato un paio di anni alle magistrali (si, c’erano ancora), poi sono passata al liceo linguistico che in quegli anni stava per nascere e quindi sono arrivata al liceo classico, prima al ginnasio ed infine ho insegnato latino e greco al liceo. Com’è stato il suo ingresso in politica ed il successivo per-corso che la ha portata ad occupare l’assessorato all’Istru-zione, e da quando? Ho iniziato l’impegno dentro alle istitu-zioni da non molto tempo: ho infatti cominciato con le elezioni comunali a Pergine nel 1995 dove sono entrata nel Consiglio Comunale; dopo un paio di anni sono diventata Assessore alla Cultura perché c’era stata la sostituzione di un assessore che si era dimesso e nel corso della consigliatura si sono svolte le elezioni provinciali, era il 1998, e lì mi è stato chiesto di dare la disponibilità a candidarmi. Dopo una serie di riflessioni, anche un po’ complesse, poiché ci sono delle cose che ti cam-biano la vita - io infatti amavo molto il mio lavoro - ho dato la mia disponibilità e sono stata eletta nel 1998, e per cinque anni sono stata Consigliere Provinciale semplice, quindi dentro l’assemblea legislativa e basta. Poi mi sono ripresentata nel 2003 e sono stata rieletta, assumendo l’incarico di Assessore alle Politiche Sociali e al Lavoro. In questa ultima tornata elet-torale mi sono ricandidata e mi è stato affidato questo compi-to. Ci descrive la sua situazione famigliare? Vengo da una fa-miglia numerosa, sono la settima di nove figli, ed ho abitato a Pergine fino a 35 anni, quando mi sono sposata nel 1999, ed ora faccio dieci anni di matrimonio. Ho due figlie, una di sette ed una di nove anni.

Assessore, lei da qualche settimana è al centro di un fuoco incrociato di interviste, critiche, domande ed opinioni: ci può descrivere i punti salienti della riforma della scuola trentina? Innanzitutto bisogna tener presente del momento in cui stiamo vivendo adesso, che è una delle tappe di concretiz-

zazione e realizzazione di quella che possiamo definire la ri-forma della scuola trentina, prevista dalla legge n° 5 del 2006, la cosiddetta “Legge Salvaterra”; si parte da lì, dalle riflessioni e dai contenuti di quella legge. Nel suo contenuto è previsto che la Provincia Autonoma di Trento si doti di propri piani di studio provinciali, che significa “che cosa si fa a scuola e co-me”, in sostanza. Quindi si è partiti alla fine della scorsa legi-slatura con l’elaborazione di un documento di indirizzo, pro-prio per la costruzione dei piani di studio; questo documento di indirizzo, che è un libretto giallo che forse avrete visto an-che voi, perché ha fatto il giro di tutte le scuole ed è stato am-piamente divulgato, si è poi tradotto concretamente nei piani di studio del primo ciclo, che sono già stati fatti e che sono partiti quest’anno in prima elementare, e adesso si sta lavoran-do per i piani di studio del secondo ciclo. Mentre stavamo la-vorando con gruppi di lavoro formati anche da insegnanti e dirigenti per costruire i piani di studio, c’è stato anche il per-corso a livello nazionale con il riordino del secondo ciclo, pro-posto dal Ministro Gelmini. Noi, nella nostra autonomia, ab-biamo però dei vincoli nei confronti dello Stato, perché dob-biamo fare in modo che i nostri percorsi formativi abbiano un esito riconosciuto su tutto il territorio: l’esame di maturità che i nostri ragazzi fanno qua in Trentino deve essere valido ovun-que. Dunque, il momento del riordino nazionale interessava anche noi, perché se a livello ministeriale si dice che non ci saranno più le novecento e più sperimentazioni e indirizzi vari, avremo sei licei ed undici istituti tecnici e professionali molto ben delineati con una semplificazione consistente, anche noi qui abbiamo detto di far riferimento a quel quadro ordinamen-tale, vedendo però se, adottando gli strumenti dell’autonomia, possiamo anche dare degli indirizzi che ci interessano in parti-colare per la nostra scuola. Così abbiamo ripreso i contenuti di quel libretto giallo all’interno del quale c’erano alcuni aspetti importanti, riguardanti ciò che pensiamo in ordine ad un se-condo ciclo di scuole superiori per i nostri ragazzi, che devono essere attrezzati per affrontare la vita compiuta che può essere il percorso universitario, il mondo del lavoro, il mondo delle scelte impegnative. Abbiamo scandito questo quinquennio con delle caratteristiche che dovevano rispettare il fatto che secon-do noi un percorso scolastico deve essere sostenibile dai ra-gazzi, quindi pensare un tempo scuola che sia utile, sufficiente per un’offerta formativa importante, ma tale anche da consen-tire ai ragazzi di riflettere, approfondire e studiare per conto

La trafila non è stata delle più dirette nè delle più brevi, ma con i tempi che corrono, anche nella nostra ridente e paciosa realtà trentina, era meglio non fidarsi troppo; alla fine, per Praticanatati si sono aperte le porte del quinto piano del Palazzo che ospita l’assessorato provinciale all’Istruzione ed allo Sport. D’altronde è comprensibile: non si erano ancora placate le polemiche a livello nazionale sulla riforma del Ministro Gelmini, che anche in Provincia di Trento viene approvata una nuova legge volta a riformare il sistema scolastico provinciale. Generalizzando, possiamo inquadrare in due diverse problematiche le maggiori critiche che vengono mosse a questa rifor-ma, cioè il decadimento qualitativo dell’istruzione e la conseguente diminuzione quantitativa delle cattedre, e perciò una maggior precarizzazione del corpo insegnante. In queste ultime settimane la questione ha sollevato tantissimi interrogativi, ha ottenuto varie e frammentarie risposte, ma soprattutto ha portato tanta confusione. Inoltre, da più fonti mediatiche, emer-ge la carenza di informazione sulla nuova delibera, perciò, per tentare di rispondere ad alcuni quesiti, chiediamo il soccorso direttamente alla fonte, interpellando chi, della riforma della scuola trentina ne è l’artefice: l’Assessore Marta Dalmaso.

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proprio, quindi un tempo scuola adatto, accettabile, sostenibi-le. Un curriculo il più possibile essenziale, quindi non un sape-re enciclopedico, che vuol dire di tutto un po’, ma la possibili-tà di andare a fondo su alcune discipline portanti, di alcuni pilastri che consentano un sapere consolidato, quindi un’acqui-sizione competente che è più del sapere di testa e consente poi di affrontare le scelte che si parano davanti ad una vita di re-sponsabilità. Quindi un curriculo essenziale, che mira a ciò che conta; l’essenzialità, naturalmente vuol dire anche poche materie fatte bene, ed in questo caso noi abbiamo dovuto tener conto di cosa veniva avanti a livello ministeriale: perché se noi dobbiamo arrivare a quella maturità, dobbiamo tener presente quali sono le discipline proposte, che sono tante ancora. Noi le abbiamo recepite, perché diversamente non avremmo potu-to far riconoscere la maturità acquisita dai nostri ragazzi, e quindi ci siamo chiesti come fare, di fronte a tante discipline, a rendere questo quin-quennio utile dal nostro punto di vista. Abbiamo ritenuto opportuno fare un biennio, che è passato come “biennio unico”, considerazione distorta e che non è affatto vera. Si tratta in realtà un primo biennio - ricordiamoci che è ancora scuola dell’-obbligo - che dovrebbe, secondo il nostro pensie-ro, portare consolidamento forte alle competenze di base, fondamentali, ovvero italiano, storia, ma-tematica, scienze, tedesco, inglese, educazione fisica e religione: otto discipline cardine che ogni studente deve avere come consolidate. Poi, però, il biennio d’obbligo non si ferma lì: è un lancio verso il triennio un po’ più specialistico, poiché ci sono alcune materie un po’ più d’indirizzo, che proiettano. Però questo biennio, che ha come zoc-colo duro le materie comuni, consente anche al ragazzo di riorientarsi se a quattordici anni non aveva ancora le idee chiare. Il successivo triennio con le discipline di indirizzo, potenziate con la possibilità, soprattutto negli istituti tecnici, di un raccordo con il mondo del lavoro, si conclude, nell’ultimo anno, con delle ore a disposizione per potenziare degli aspetti che interessano proprio per il dopo superiori, quindi sia per chi va a lavo-rare con percorsi di avvicinamento al mondo del lavoro, che per chi prosegue l’università con po-tenziamento delle discipline che possono consen-tirgli di avvicinarsi in maniera più consapevole e preparata alla maturità. Si dice 2+2+1: due anni del biennio più il triennio con l’ultimo di “lancio”. Ci pare un progetto orientato al successo formativo dei ragaz-zi, che non vuol dire tutto livellato in basso per farci stare den-tro tutto: questo sarebbe un cattivo servizio.

Sono stati previsti accorpamenti propedeutici ed unifica-zioni di indirizzi? Se si, perché? Non abbiamo previsto noi le unificazioni di indirizzi, ma sono previste nel riordino nazio-nale, quindi indirizzi e sperimentazioni che prima erano distin-ti e diversificati, rientrano adesso nei sei licei e negli undici istituti tecnici, perciò è stata operata una semplificazione del quadro che secondo me è anche una maggior chiarezza nei confronti dei ragazzi e delle loro famiglie, che capiscono dove vanno a parare; diversamente, prima, tante sfumature che veni-vano proposte diventavano anche motivo di confusione per la scelta dei ragazzi. Poi, se per accorpamenti si intende la con-

fluenza di ciò che c’era prima in pochi canali, questo è avve-nuto a livello nazionale: noi lo abbiamo recepito per le ragioni che dicevo prima.

Le vengono contestate più argomentazioni: è possibile, fra le varie cose, che l’applicazione di questa riforma possa determinare un decadimento qualitativo dell’istruzione? Io credo che le argomentazioni che abbiamo portato per spiegare le ragioni di alcune scelte che abbiamo fatto e che avevano dei

vincoli, come dicevo prima, da parte del livello nazionale, erano argomentazioni naturalmente per me molto solide e si è obiettato al fatto che noi abbiamo diminuito il tempo scuola per i ragazzi, perché si è passati dalle circa 1050 ore alle 990 e 930; al contrario, noi abbiamo semplicemente cercato di valu-tare qual è il tempo sostenibile per un ragazzo che non deve solo andare a scuola, ma deve anche lavorare di suo. Queste 990 ore sono sulla carta meno di quelle che propone il Mini-stro Gelmini, ma sono però ore che noi abbiamo calcolato su quanto realmente viene offerto ai ragazzi: le ore che voi fate durano in realtà 50 minuti. Se durante una mattina fate 5 lezio-ni, sono 5 lezioni di 50 minuti: è un modello che funziona per-ché è sostenibile, perché si sposa bene con la necessità dei trasporti ed altro; noi abbiamo preso atto di questo modello ed abbiamo constatato che così funziona. Allora il tempo scuola

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non è composto dalle 36 ore settimanali che sono solo sulla carta, perché poi vengono trasformate in ore di 50 minuti (e sono già tre ore in meno la settimana). Infatti abbiamo pensato di prendere il tempo che c’è oggi – ai ragazzi non viene mai offerto meno del tempo che oggi hanno come offerta formati-va a scuola – ed in molti casi ne abbiamo messo di più, più tempo di quanto oggi avviene. Sulla carta abbiamo un numero inferiore di ore rispetto al territorio nazionale, però noi ritenia-mo che in moltissimi casi quelle ore saranno poi trasformate in lezioni da 50 minuti e quindi alla fine siamo convinti che la nostra offerta di formazione è molto consistente e non si tratta assolutamente di una diminuzione rispetto ad oggi per i ragaz-zi che frequentano la scuola. Poi c’è stata l’obiezione sul bien-nio unitario, riguardante la mancanza dell’invito a specializ-zarsi. Noi riteniamo che possa esserci il diritto e il rovescio della medaglia, ma il motivo per cui non abbiamo dato enfasi ad una specializzazione iniziale, mettendo subito forti le materie di indirizzo nel biennio, è stato perché un biennio d’obbligo vuol dire che i ragazzi devono avere l’opportunità di consolidare dei saperi fondamentali a seconda degli indirizzi europei, - non sono invenzioni nostre - ed avviarsi ad un orientamento che però può esse-re definitivo e molto più forte nel momento in cui ci si affaccia al triennio e si procede. Io credo che la discussio-ne fatta sui quadri orari era giusto che ci fosse: mi sono letta tutte le lettere e le osservazioni fatte e su queste os-servazioni abbiamo anche approntato delle modifiche ri-spetto alla prima bozza; la discussione su questo punto è stata però molto parziale, perché la qualità della scuola non la fa solo il numero di ore che uno ottiene in una di-sciplina, ma la fa anche la qualità dell’insegnamento, cioè la formazione dell’insegnante che sa rinnovare la propria didattica, e quindi sa adeguare il proprio modo di interagi-re con lo studente in base ai tempi ed alle esigenze che cambiano. Io credo nei contenuti che scegli, nelle modali-tà con cui il curricolo viene costruito, così come è stato fatto per le elementari e per le medie, mediante la costru-zione del percorso formativo per competenze e non più solo per discipline (italiano, greco, storia, eccetera): le competenze sono qualcosa di più globale, e questo chiede un cambiamento di impostazione anche dai docenti perché non si pensa più solo al docente che insegna, ma si pensa soprattutto al ragazzo che apprende, quindi ai meccanismi che aiutano questo apprendimento. Allora, quando parlia-mo di qualità della scuola, non possiamo fare solo il ragio-namento su quante ore fai: non è quella la variabile unica, nemmeno fosse la più importante. Ci vuole del tempo a scuola perché le discipline si possano affrontare, ma poi ci vuole molto altro; allora, accanto a questa riflessione sui piani di studio, sui contenuti, sulla costruzione dei curricoli e dei profili che andrà avanti ancora per alcuni mesi, siamo par-titi con un’altra realtà importantissima, che è il centro di for-mazione permanente degli insegnanti, a Rovereto, che è l’altro tassello fondamentale perché riteniamo che la qualità della scuola passi in gran parte per la qualità dell’insegnamento.

Ci saranno dei tagli, e da cosa scaturisce tale necessità? Ribadisco che il taglio dell’orario, di cui ho appena parlato, è solo sulla carta, perché per i ragazzi non ci sarà un taglio di orario, ma ci sarà talvolta un aumento dell’orario di lezione. La preoccupazione, quando si parla di tagli, è più legata agli insegnanti, i quali sostengono che il computo delle lezioni sia quello indicato, pensando alle lezioni di 50 minuti, traendo la

conclusione che ci saranno molti insegnanti in esubero. Noi abbiamo sempre precisato in maniera chiara la differenza con la previsione del Ministro Gelmini, dettata dal Ministro Tre-monti e perciò derivante da logiche di bilancio: noi abbiamo assicurato che sulla scuola non vogliamo tagliare, quindi gl’in-vestimenti fatti in precedenza rimarranno, e siamo convinti che possa migliorare il modo in cui usiamo questi soldi: potranno esserci delle modalità organizzative diverse, che consentono di fare meglio con le stesse risorse, risorse che vogliamo conti-nuare ad assicurare alla scuola, e c’è un dato che dobbiamo guardare in faccia con grande responsabilità: adesso la spesa sulla scuola annualmente aumenta di sette milioni di euro sen-za che questo significhi che si stanno facendo cose particolari, ma solo perché la scuola esiste, con i meccanismi di oggi. Noi abbiamo la responsabilità di non lasciar sfuggire in maniera

incontrollata questo aumento di spesa, perché poi non si riesce più a contenerlo e non viene più retto. Questa si chiama spesa corrente, che quando esplode non si è più capace di recuperare. La riforma non l’abbiamo fatta con l’obiettivo di tagliare, ma con quello di rimettere in moto meccanismi virtuosi e di poter migliorare la scuola, e non è escluso che sia anche per il riordi-no complessivo che abbiamo recepito. Si stanno trasformando un sacco di sperimentazioni e di indirizzi che c’erano, in po-chi. Cosa succederà con questo? Non è del tutto prevedibile l’esito di questo accorpamento: potrà essere che ci siano classi che si compongono in maniera diversa, quindi problemi legati a qualche insegnante che potrà essere spostato o potrà essere nella necessità di riconvertire la propria classe di concorso

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perché diminuiscono i posti di lavoro sul suo specifico fronte, e potrà essere anche che ci sarà necessità di usare meno inse-gnanti precari. Quelli di ruolo non dovranno avere nessun tipo di preoccupazione, mentre per quelli precari, cioè i supplenti che annualmente vengono assunti, non si può garantire l’occu-pazione piena, però sicuramente l’effetto del nostro intervento sarà di gran lunga meno impattante sull’occupazione dei do-centi, rispetto a quello che sta avvenendo a livello nazionale.

Come varierà l’insegnamento delle lingue straniere? Con i dati assunti fino ad oggi possiamo dire quante ore si faranno, che è solo uno degli aspetti. Abbiamo previsto che nel biennio d’obbligo verrà esteso l’obbligo della doppia lingua straniera per tutti, prevedendo l’obbligatorietà dell’inglese e del tedesco. Qui c’è stata una grande discussione, poiché alcuni erano d’ac-cordo, mentre altri no: noi abbiamo fatto delle valutazioni che in questo caso sono di natura politica, cioè che l’amministra-zione provinciale intende promuovere lo studio di queste due lingue, innanzitutto perché si ritiene fondamentale la conoscen-za dell’inglese poiché lingua universale, poi perché non possia-mo non ricordarci che il Trentino è all’interno della regione Trentino Alto Adige in un contesto europeo di collegamento con paesi che parlano il tedesco e che sono accomunati a noi da una storia e con i quali stiamo lavorando anche quando si parla di Euroregione: è una dimensione che noi riteniamo importan-te, ovvero conoscere la lingua dei tuoi vicini di casa con degli importanti elementi di carattere culturale, di conoscenza delle nostre origini sociali ma anche di opportunità di sviluppo eco-nomico, di rapporti fra paesi. Quindi l’idea di indirizzare con una scelta precisa i nostri ragazzi a studiare tedesco è legata a questa consapevolezza, che noi riteniamo importante. Sono state fatte critiche sul fatto che si toglie la libertà di scelta: è vero che nel biennio si toglie questa libertà; probabilmente, se ci fosse stata libertà di scelta nel biennio, il tedesco si sarebbe studiato molto meno, perché nell’immaginario è una lingua ostica, difficile, molte volte non piace, e ci rendiamo conto che è un intervento che forza in qualche modo la strada. Certo è però che per appassionarsi ad una disciplina - è vero che la disciplina in sé ha il suo ruolo, può piacere o non piacere - ri-tengo si possa lavorare molto anche su come viene proposto lo studio delle lingue e del tedesco in particolare. Sul triennio abbiamo previsto l’obbligatorietà di più lingue: nel tecnico per il turismo, nel liceo linguistico, nel liceo delle scienze umane, in alcuni indirizzi sono previste più lingue al triennio. Al liceo scientifico per esempio, al triennio ne abbiamo prevista una come obbligatoria e riteniamo che laddove ci sono belle espe-rienze di doppia lingua straniera, possano essere attivate dalla scuola, poiché ha una dotazione sua di flessibilità nella gestio-ne dell’orario e che quindi le possa introdurre. Dopo c’è un’al-tra situazione che non riguarda i quadri orari, ma come si inse-gnano le lingue: ci si interroga sul perché si studiano le lingue per un sacco di anni e alla fine tanti ragazzi escono dalla scuola che non parlano la lingua straniera o hanno difficoltà, ed invece ci sono esperienze belle di ragazzi che quando escono, mastica-no la lingua con padronanza. Perciò qui entriamo sempre nella didattica e nella metodologia, negli strumenti che si possono adottare per migliorare, veicolare l’insegnamento di materie di lingua straniera: un lavoro iniziato, ma che va decisamente potenziato.

Per i licei classici, quali saranno i cambiamenti rispetto all’attuale sistema d’insegnamento? Si è discusso molto per il biennio sulla riduzione delle ore di greco e latino: ora avre-

mo quattro ore di italiano, latino e greco. Le perplessità deriva-vano dal fatto che negli istituti tecnici ci sono cinque ore di italiano mentre solo quattro al classico, giudicando questo fatto come un’incoerenza. In realtà noi sappiamo che chi va al clas-sico ha già un orientamento ed una propensione per queste aree disciplinari e quindi le quattro ore di italiano, assieme alle quattro di latino ed alle quattro di greco, compongono assieme un’area che induce ad una grande padronanza della lingua ita-liana. Agli istituti tecnici è importante consolidare invece delle competenze che spesso sono più carenti, e non vengono co-struite da tante altre discipline, come per voi il latino ed il gre-co. Inoltre ci sono stati degli spostamenti nel biennio del liceo classico: abbiamo messo le scienze perché riteniamo che, guar-dando anche il quadro europeo, facciano parte dei saperi fon-damentali che un ragazzo deve poter acquisire anche nel bien-nio dell’obbligo, poi per il resto le discipline sono quelle con-template in un liceo classico. Per quanto riguarda il tema delle domanda, si ritorna a quanto avevo già spiegato in precedenza per quanto riguarda l’insegnamento per competenze, ovvero un nuovo modo di lavorare assieme fra insegnanti, di costruire i vari curricoli dentro la scuola con un lavoro da fare scuola per scuola. Il lavoro di cui stiamo parlando non è dettato da questo Assessorato, ma è un lavoro che cresce e si costruisce direttamente all’interno della scuola da parte dei suoi docenti, e si farà in parte insieme, almeno per i primi mesi di avvio della riforma, fino a quando sarà costituito il regolamento dei piani di studio, e poi il lavoro verrà svolto in ogni singolo isti-tuto.

Come risponde a chi imputa a questa riforma di causare la perdita di specificità degli indirizzi scolastici? Rispondo che forse è bene guardare i quadri orari in maniera più approfondi-ta, perché tra l’altro, dopo la discussione che c’è stata, riguar-dante certe discipline che prima erano previste solo nel trien-nio, come la fisica od altre discipline come l’economia azien-dale, sono state apportate delle modifiche a seguito di un’at-tenta valutazione. Se guardiamo il quadro orario adesso, vedia-mo che c’è una valenza positiva di un biennio strutturato con una forte presenza di materie comuni che è la valenza positiva di un sapere consolidato comune, e poi anche la possibilità di riorientarsi, riaggiustando il tiro senza grossi problemi dopo aver fatto una scelta non azzeccata: se infatti un indirizzo è praticamente a tenuta stagna, effettuare in seguito un cambia-mento è poi molto più difficile. Così si agevola anche un rio-rientamento nel corso del primo biennio e però non se ne perde la caratterizzazione, perché materie caratterizzanti sono già previste nel biennio e vengono esplose nel triennio. Mi pare però che andando a guardare bene i quadri orari, questa rispo-sta venga automaticamente.

Ci sono certi indirizzi di studio, come in particolare quello classico, che derivano da una tradizione che possiamo defi-nire storica: potrebbe esserci il rischio che venga meno questo importante requisito? Questa è stata una delle osser-vazioni che sono emerse: io non condivido il pensiero di chi dice che la salvaguardia di questo patrimonio prezioso sta nel non toccare un’ora di latino o un’ora di greco. Non lo condivi-do perché ritengo che se, senza nessun motivo, noi riduciamo la presenza di determinate discipline, allora si può anche anda-re avanti come si è sempre fatto, ma se noi ci imponiamo un monte ore quotidiano per i ragazzi che non sia massacrante bensì che consenta anche un po’ di far sedimentare le cose, e riteniamo importante la doppia lingua al biennio e mettere uno

sguardo sulle scienze che prima non c’era, io dico che aver ridotto di un’ora di latino ed un’ora di italiano con queste mo-tivazioni, non possa far concludere che sia snaturato il liceo classico. Anche perché, come ripeto, sono convinta che la quantità di ore sia un aspetto, dopodiché c’è tutta la parte che riguarda il come si vive a scuola l’insegnamento e l’apprendi-mento di quella disciplina, fattori ancora più importanti; quindi ritengo che gli elementi per caratterizzare, come fin qui è suc-cesso, un indirizzo come quello del liceo classico, ci siano, siano pienamente riconfermati e che siano stati introdotte delle discipline che riteniamo possano rendere migliore questo pro-filo, non peggiorarlo o appiattirlo su altre offerte.

Quali sono le differenze macroscopiche tra la riforma della scuola trentina e quella ministeriale? Tenendo conto dei vincoli di cui parlavo prima, abbiamo distribuito in maniera diversa le ore per costituire questo biennio unitario ed orienta-tivo, e sul triennio potenziare le materie specifiche, quindi c’è una disposizione diversa poiché c’è un diverso modo di inter-pretare il quinquennio, dopodiché il monte ore nazionale di per sé produce dei tagli che non sono il nostro obiettivo, pertanto direi che la cosa che caratterizzerà in maniera diversa il fare scuola qui, passerà attraverso la costituzione dei piani di studio che sono in fase di elaborazione, e che costruiremo in maniera partecipata.

Perché quella trentina sarà migliore di quella statale? Noi sappiamo che la scuola trentina parte da una posizione miglio-re rispetto a quelle del resto del territorio, ma sappiamo anche che ci sono delle regioni del nord che hanno delle performan-ces, da parte dei loro studenti, molto significative. Diciamo che la nostra scuola è in posizioni “alte in classifica”, e quindi sarebbe veramente irresponsabile pensare che con il nostro lavoro si possa ridurre o mortificare questa qualità; l’obiettivo è quello di migliorarla, come mi auguro che migliori tutta la scuola italiana, che possano esserci delle ragioni per cui anche nella scuola italiana si intraprenda un percorso di maggior uniformità di qualità, perché siamo di fronte ad un’Italia a diversissime velocità, con situazioni di grande degrado e situa-zioni invece veramente buone. Mi auguro quindi che non ci sia la prospettiva di un disinvestimento così forte a livello nazio-nale sulla scuola, poiché si parla di tagli molto consistenti, perché così è molto più difficile pensare che si potenzi la qua-lità. Noi diciamo che non è solo con l’aumento delle risorse che ci metti, che la qualità si eleva, ma vogliamo continuare ad investire, soprattutto in formazione, in misure di accompagna-mento per la scuola che vorremmo continuasse ad andare “in su”.

Quali saranno le differenze fra un liceale formato nel 2009 ed uno del 2015? E’ difficile dirlo generalizzando, ma noi vorremmo che un liceale del 2015 possa essere un liceale con una maggiore padronanza dei saperi e delle abilità conquistate, e con delle acquisizioni di competenze che non siano fini a sé stesse, ma che diventino uno strumento per affrontare il lavo-ro, l’università e la vita. Quindi l’impostare i curricoli per competenze dovrebbe proporre come effetto un’enfasi sul-l’”imparare ad imparare”, non intesa come imparare tante co-se, dimenticandone tre quarti nel prosieguo della propria espe-rienza, ma impararne magari meno ma attrezzandosi di stru-menti che si possono adattare alle situazioni in cui ci si trove-

rà. Questo è legato al percorso scolastico che noi prevediamo costruito per competenze. Per quanto riguarda invece l’impo-stazione del quinquennio diviso in biennio più triennio, noi pensiamo che possa esserci un ragazzo che alla fine del liceo abbia tutti gli elementi per fare in maniera consapevole le pro-prie scelte e che abbia avuto l’opportunità di prepararsi di più alle scelte del dopo maturità, utilizzando percorsi di opzionali-tà anche un po’ autocostruiti. Per esempio, se uno frequenta il classico e volesse poi fare fisica, potrebbe usare delle ore in più per approfondire certe discipline che lo possono aiutare, oppure se invece volesse introdursi nel mondo del lavoro sen-za proseguire con l’università, potrebbe usufruire, avendo stru-menti in più, di altri percorsi che glielo consentano, senza nul-la togliere alla grande valenza che questa scuola ha sempre avuto.

Perché questa riforma ha ricevuto così tante critiche? Io credo che ci siano stati degli iniziali errori di metodo, nel senso che su questi quadri orari si sia riflettuto in maniera troppo informale e senza dare subito un messaggio chiaro di quali erano le ragioni – che forse abbiamo dato per sottintese – perché pensavamo in un discorso precedente, fissato su quel libretto giallo, perciò forse bisognava riproporre quelle rifles-sioni in maniera più esplicita e chiara e comunicarle meglio; credo che in questo caso molte questioni si sarebbero ridimen-sionate nei timori e nei pensieri degli insegnati, degli studenti e delle famiglie, che avrebbero potuto trovare spazio per ri-flessioni più pacate e più serene. Credo perciò che si sia tratta-to soprattutto di una modalità che non ha funzionato in termi-ni di rapporto di comunicazione e quindi da tenerne conto da parte mia nel proseguo dei lavori. Mi auguro che adesso, con i quadri orari approvati, con il piano dell’offerta formativa ap-provato, si possa ragionare su dati certi che penso già, da par-te loro, possano ridurre molti timori e d’altra parte continuare nel lavoro, che adesso riguarda i contenuti dei piani di studio, in maniera più coinvolgente con il mondo della scuola. Non escludo inoltre delle legittimissime divergenze di opinioni: c’è chi dice che il biennio così strutturato non va bene; questa è un’opinione naturalmente legittima che noi abbiamo cercato di confutare argomentando la nostra visione, ma opinioni di-verse possono esistere e continueranno a manifestarsi.

Un augurio agli studenti trentini, ed in particolare a quelli del liceo classico Giovanni Prati di Trento. Un augurio per-ciò agli studenti che ora frequentano già le scuole superiori, per i quali non cambierà nulla perché continueranno nel loro percorso. Auguro che succeda loro quello che io ho vissuto nel fare il liceo classico, cioè di avere la netta percezione che lo studio, anche a volte di materie molto impegnative e che non danno riscontro immediato, che sembra uno studio “gratuito”, comunque sia uno studio che ti costruisce, come persona, nella visione della vita, come maturità interiore, nella solidità uma-na. L’augurio che questo faccia parte dell’esperienza scolastica di ciascuno di voi, che possiate trovare soddisfazione in quello che fate e che possiate ogni giorno rimotivarvi nell’impegno, anche nei momenti di difficoltà e fatica, pensando che questo impegno è la parte di responsabilità che spetta a ciascuno nei confronti non solo di sé stesso ma anche del mondo che lo attende, perché il mondo attende i giovani con il loro apporto responsabile e competente. Questo è l’augurio, un in bocca al lupo speciale ai maturandi, che mi pare doveroso e da parte mia anche molto sentito.

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Eccoci in dicembre... sono passati quasi quattro mesi dal mio arrivo qui e di giorno in giorno l'esperienza di viaggio che sto vivendo si rivela sotto luci diverse. Mi trovo in Francia, in particolare in una regione che si chiama Borgogna (famosa per i vini e per i bei paesaggi bu-colici). A parte le difficoltà iniziali che mi hanno chiuso un po’ gli occhi, adesso comincio a vederci chiaro. Ma scrivo per parlare di qualcosa di preciso: in vista della riforma scolastica messa in atto nella nostra regione, riforma che ha creato e crea ancora scalpo-re, mi é stato chiesto di descrivere il sistema scola-stico francese per vedere le differenze, i punti in comune. Posso dire che la scuola francese é molto diversa da quella italiana, passando dalla forma ai contenuti. Nel mio liceo ad esempio ci sono tre indirizzi: scientifico, letterario ed economico sociale. Io mi trovo in terminal L, per cui all'ultimo anno di liceo. Si perché la scuola qui in Francia finisce con i 18 anni e non con i 19 come in Italia. Dovrei seguire corsi solamente di materie letterarie perché all'ul-timo anno L si abbandonano tutte le materie scientifiche. Ho lezioni di letteratura francese, di filosofia, di storia e geografia, di inglese, d'italia-no (ahaha troppo facileee) e di educazione fisica. Poi ci sono varie opzioni tra le quali danza, musi-ca, lingue straniere, arti plastiche, greco e latino; ed io ho scelto queste ultime. Ma in più seguo un corso di fisica, chimica e scienze perché passerò gli esami qui e devo recuperare quelli dell'anno prima (il bac, l'esame francese é su due anni). Ma non inquietatevi, il livello non é come quello del Prati, per cui ce la si può fare. Gli orari sono stati uno choc all'inizio: tutti i giorni scuola dalle otto di mattina alle cinque di pomeriggio esclusi il mercoledì, dove ho solo mattina e il sabato dove resto a casa (ihi!). Man-gio quindi in mensa. Bisogna dire che qui gli a-lunni hanno una grande libertà: se hanno delle ore libere possono uscire dalla scuola senza chie-dere permessi vari e ci sono dei grandi giardini dove si può camminare e dove si può fumare (i francesi sono gran fumatori..). Ogni professore ha la sua aula, quindi é la classe che si deve spo-

stare e tra un'ora e l'altra c'é la possibilità di avere delle pause. Nella mia scuola c'é una grande hall con tanti tavolini, due stanze studio, una stanza con il calcetto e altro ancora: insomma non manca nien-te!! C'é anche il “cdi”, una specie di grande biblio-teca dove puoi studiare e navigare su internet: tanti spazi per noi giovani insomma. A livello di corsi é anche tutto differente: in primis cambia l'approccio verso lo studio; é privilegiato il ragionamento e la discussione per sviluppare una coscienza critica piuttosto che un sapere piuttosto nozionistico. Que-sto mi piace davvero tanto: mi confronto con gli altri in un continuo scambio reciproco. Dall'altra parte c'é un po’ di ignoranza a riguardo della storia, della geografia e non solo: insomma penso che un connubio tra i due sistemi sarebbe qualcosa di vera-mente buono ma forse ancora irrealizzabile. Con questo concludo il mio articolo perché devo lascia-re il computer alla sorella più piccola. Au revoir et..à bientôt!!

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Ecole en France Ecole en France Ecole en France Ecole en France di Alessandra Conte (corrispondente dall’estero)

Attualità prataiola

DA PRATAIOLO A ….

STUDENTE DI

LINGUE E CULTURE

di Delina Goxho

Frequento la facoltà di lingue e culture per l'editoria a Verona da pochi mesi. Il primo esame è nel giro di due giorni, ma i ritmi di studio e soprattutto il nervosismo per questa prima prova da superare sono molto diversi da quelli che si affrontano alle superiori. In-nanzitutto poiché la facoltà di lingue è molto meno organizzata di tante altre, il clima è ra-dicalmente diverso, si è molto più rilassati (questo anche perché orari e presenze sono

meno fiscali che al liceo) e al contempo molto più ar-rabbiati con l'Ateneo poiché non fornisce un'adeguata pianificazione. Aldilà di queste osservazioni la facoltà è interessante e la durata prevista dei corsi per giungere alla laurea è di 3 anni. Ogni semestre i corsi cambiano, così come i professori e dunque la varietà è tanta. Al termine dei tre anni si può proseguire con una laurea specialistica, in editoria o giornalismo, o cercare un lavoro nel campo editoriale. Per chi fosse interessato, è previsto unicamente un test di valutazione dei saperi minimi, ossia di livello A2 di una delle lingue disponi-bili (inglese, francese, spagnolo, tedesco e russo). Al termine del percorso, si arriveranno a conoscere due lingue al livello di madrelingua (C2) e una terza a li-

vello B2. I corsi sono principalmente linguistici, ma non ne mancano di letteratura italiana, storia dell'arte e geografia politica. Non posso ancora dire molto su quanto il liceo Prati prepari gli studenti che vogliono intraprendere questa facoltà, ma vi posso garantire che dopo i paradigmi di greco, le coniugazioni dei verbi francesi risulteranno una bazzecola. E oltretutto ho buone ragioni per credere che chiunque abbia frequen-tato il liceo classico senta una sorta di desiderio di fare qualcosa di scolasticamente utile ogni giorno. Dopo tanti anni di giornaliera pressione, ci pare assurdo inse-rirci in un mondo che tanta pressione non la richiede e dunque per riconoscenza (verso non si sa quale divini-tà) studiamo anche senza essere costretti. Il programma Erasmus, di cui certamente tutti avrete sentito parlare, è quasi obbligatorio per la maggior parte degli studenti di un’università come questa. Pensare di imparare il russo senza essere mai stati in Russia è praticamente impossibile. Naturalmente bisogna avere un certo nu-mero di crediti e un buon livello di lingua per poter partire, ma prima o poi tutti ci riescono. Per ulteriori informazioni, comunque, vi basterà visitare il sito www.univr.it.

I N T E R V I S T A

DA PRATAIOLO A ….

INTERPRETE di Enrico Dal Fovo

Dal 1997 al 2002 hai frequentato il Liceo Prati. Che cosa ricordi di quel periodo? Che domanda ampia (sospira) … Mi ricordo i pomerig-gi, le sere e i weekend passati a studiare, le innumerevoli versioni di greco e latino corrette al telefono, i dizionari sempre presenti in cartella; ricordo gli anni di teatro e la Medea, il contatto continuo con la cultura … E natural-mente le amicizie: quelle vere e salde, e quelle più super-ficiali e passeggere. Ma c’è una cosa che non passa mai e che ci accomuna tutti, noi del Prati: basta uno sguardo e ci riconosciamo gli uni gli altri nella folla; è come un marchio invisibile, una sorta di segno di appartenenza ad un gruppo. Siamo tutti parte del manipolo di quelli che hanno attraversato il Prati e sono … sopravvissuti.

Cosa avresti cambiato del Prati, se avessi potuto? Il mio cambiamento sarebbe stato paradossalmente di garantire una maggior continuità e costanza. Trovo infat-ti che il rigore, lo studio come “duro lavoro”, il ricono-scimento come qualcosa di raro e per questo estrema-mente prezioso, siano elementi fondamentali nella for-mazione di un individuo della scuola superiore. E, per quanto pesante tutto questo possa sembrare (come è stato nel mio caso) e per quanto insofferenti si possa essere ad una situazione di questo genere, trovo che sia un passag-gio obbligato, affinché la persona adulta che si formerà sia onesta, forte, colta, educata. Ancora oggi infatti sono

In questo terzo numero del giornalino prataiolo si è deciso di prendere in esame, nella rubrica “Da prataiolo a …”, la professione dell’interprete. Protagonista dell’intervista è oggi mia sorella, Eugenia Dal Fovo. Frequentata l’Universi-tà di Interpretazione e Traduzione di Trieste, ha sostenuto e vinto il concorso di dottorato di “Ricerca in Scienze d’Interpretazione” (PHD). Trattandosi di una mia parente stretta tornata a casa per le vacanze, l’intervista si è svolta nel salotto.

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convinta che la scarsa “modernità” di un siste-ma sia un prezzo relativamente basso da pagare di fronte al guadagno rappresentato dal suo potenziale formativo. Quanto pensi abbiano influito gli studi clas-sici sul tuo percorso universitario? Moltissimo, non tanto per la scelta dell’Univer-sità, quanto per il modo di affrontare lo studio. Mi riferisco al fatto che fortunatamente trascor-rere sui libri ore e ore, per giorni, è una cosa che non mi ha mai spaventata, grazie alle “ossa” che ci si fa al Prati; inoltre le materie umanistiche aprono la mente, e anche se le di-scipline che ho studiato rappresentano più un sapere pratico che nozionistico, la versatilità che si acquisisce grazie agli studi classici è uti-le non solo per l’apprendimento, ma anche per l’analisi e la “meta-analisi” delle conoscenze. Brevemente, come è stata la tua esperienza universi-taria? Sicuramente impegnativa, ma proficua e positiva; sono stata messa quasi immediatamente in contatto con il mondo del lavoro (sempre riferendosi al discorso di pri-ma su nozioni e pratica). Sono riuscita fortunatamente subito ad operare una cernita tra le cose veramente utili e quelle futili: questo fa risparmiare tempo, e si “impara ad imparare” ciò che serve. Ho trascorso due periodi all’e-stero, di grande valore formativo sia personale che acca-demico. Colgo l’occasione per spezzare una lancia a fa-vore di qualsiasi programma che promuova scambi cul-turali e che permetta agli studenti di soggiornare all’este-ro. Come hai svolto il tuo tirocinio? L’ho svolto presso un’agenzia trentina di traduzione e comunicazione, convenzionata con l’Università di Trie-ste e l’ASL di Trento; il mio tirocinio è durato cinque mesi, quindi un tempo maggiore di quello richiesto dai crediti formativi. Mi occupavo delle attività più varie, che andavano dall’insegnamento di lingue, sia individua-le che collettivo, al curare progetti di pubbliche relazioni internazionali per aziende. Il tirocinio si è poi concluso solo sulla carta, perché la collaborazione è continuata, soprattutto per traduzioni occasionali e insegnamento di lingue. In cosa consiste la tua attività? Io sono laureata in traduzione e interpretazione, e mi sono specializzata in interpretazione di conferenza: ciò significa che sono abilitata a prestare servizi di interpre-tariato e traduzione. In poche parole, traducendo per quanto riguarda la traduzione, mi occupo di tutto ciò che implica il trasferimento di un testo da una lingua ad un’-altra spaziando dalla narrativa, alla biografia, alle cartel-

le mediche, ai manuali di istruzione per le carrucole da deforestazione. Poi svolgo attività di interpretariato, che consiste nel trasferimento orale di un messaggio da una lingua a un’altra e viceversa. Ci sono diverse modalità di interpretazione: per esempio quella detta “di trattati-va”, propria dell’ambito commerciale e fieristico, dove gli interlocutori sono faccia a faccia e si traducono pic-cole porzioni di discorso in entrambe le direzioni lingui-stiche. Concepita in termini più ampi, la trattativa è un sottoinsieme della cosiddetta interpretazione dialogica, che comprende l’interpretazione sociale, cioè in tribu-nali, questure, ospedali, e l’interpretazione televisiva. L’interpretazione di conferenza, invece, può essere svol-ta in modalità consecutiva, cioè durante il discorso dell’-oratore l’interprete si annota i punti salienti del suo in-tervento con tecniche speciali per poi riproporre il di-scorso tutto in una volta; oppure può essere svolta in modalità simultanea (resa famosa, quest’ultima, dal film “The Interpreter” con Nicole Kidman), per cui ci si av-vale dell’ausilio di materiali tecnici specifici, quali cabi-ne di interpretazione con cuffia e microfono, e si inter-preta in contemporanea al discorso dell’oratore. Questa tipologia è tipica dei grandi incontri internazionali e dei vertici delle istituzioni non governative. Per quanto mi riguarda, ho lavorato in cabina in incontri internazionali organizzati sotto l’egida dell’UNICEF e dell’Istituto Europeo per i Trasporti (ISTIEE). Due aneddoti professionali, uno positivo e uno negati-vo. Positivo: durante un incontro dell’UNICEF sulla “Vita in Africa”, che prevedeva interventi di numerose personali-tà del mondo africano che avrebbero parlato in inglese ma la cui lingua madre non era l’inglese, mi sono ritro-vata a dover sostenere un “tour de force” di due giorni, insieme alla mia concabina, rispettivamente di nove e sei ore consecutive. Mentre uno dei relatori riportava la

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situazione delle fognature e la mancanza delle stesse nel-le baraccopoli, ho dovuto variare un’infinità di volte l’e-spressione “feci umane”, termine ricorrente nel discorso ed espresso dall’oratore in termini molto spicci. Inoltre ho avuto un momento di panico, condiviso dalla conca-bina, per l’esclamazione: “We have to get rid of the West” (Dobbiamo liberarci dell’Occidente). Vedendo già incombere una crisi diplomatica internazionale, nei mil-lisecondi di panico seguenti ho rielaborato il concetto e prodotto una frase il più possibile neutra, che mi avrebbe messa al sicuro e mi avrebbe permesso di prendere tem-po, mentre il relatore elaborava il concetto. Dopo qual-che altra frase è apparso chiaro che chi parlava non stava cercando di nuclearizzare i paesi industrializzati, ma semplicemente di liberarsi della spazzatura; l’incom-prensione era nata dal “piccolo” problema di pronuncia, che aveva trasformato la parola WASTE (rifiuti) in WEST (occidente). Crisi sfiorata. Negativo: lavorando in modalità simultanea per la RAI, che, per inciso, non mi aveva fornito una cabina di inter-pretazione ma una consolle con monitor e cuffie (tutto fuorché isolanti), mi trovavo in un edificio adiacente alla piazza dove si svolgeva l’evento, mentre la regia era in una cabina presso un altro edificio. Avevo chiesto e-spressamente di essere in costante contatto con la regia, perché qualsiasi imprevisto o errore tecnico dell’audio avrebbe compromesso la mia performance, e mi era stato assicurato che così sarebbe avvenuto. Sennonché, duran-te l’intervista ad uno dei due ospiti stranieri, qualche tec-nico distratto si è inserito sulla linea d’entrata dell’inter-prete da dietro le quinte, coprendo con la sua voce il di-scorso dell’ospite straniero. Ho immediatamente interrot-to il collegamento con la piazza, mentre mi rivolgevo alla regia con il cuore in gola, della serie “Houston, Hou-ston, abbiamo un problema”; come spesso accade in que-ste occasioni, Houston non rispondeva. Trovandomi in diretta, ho dovuto basarmi esclusivamente sulle parole introduttive e conclusive dell’ospite per ricostruire una versione riassunta e plausibile del suo intervento. Perché hai scelto di diventare interprete? Perché ho sempre guardato con passione allo stu-dio delle lingue straniere, ma l’ho sempre concepi-to come uno studio profondamente ancorato alla pratica. Dopo attente ricerche in vari ambiti, ho concluso che studiare in un’università di lingue non mi avrebbe fatto raggiungere il mio scopo, mentre l’università di interpretazione rappresenta-va il perfetto connubio tra lo studio e l’utilizzo di una lingua, e - perché no?-, anche un’utilità socia-le. Le possibilità di un interprete oggi? Un interprete ha infinite possibilità. Può lavorare in numerosi ambiti, se è disposto a variare sia la propria “situazione spaziale” sia il grado di impie-

go delle proprie conoscenze specialistiche. L’attività più ambita è quella di interprete professionista, o free lance, per uno degli organismi dell’Unione Europea, quali Par-lamento, Consiglio, Commissione, Corte di Giustizia. Da notare: difficilmente un madre lingua italiano troverà lavoro all’ONU finché le lingue ufficiali saranno inglese e francese e finché l’Italia non avrà un seggio permanen-te nel Consiglio di Sicurezza. Bruxelles però non è l’u-nica possibilità: si può fare l’interprete anche accettando impieghi o collaborazioni occasionali presso aziende che intrattengono rapporti con l’estero, o presso enti fieristici che si impegnano a fornire un servizio di inter-pretariato. Anche l’ambito turistico, per quanto ormai al limite della saturazione e dominato da politiche d’assun-zione selvagge, è comunque sempre uno sbocco. Ambiti emergenti di impiego sono la televisione in tutte le sue sfaccettature, dai talk show agli eventi mediatici più va-ri, come dibattiti presidenziali, manifestazioni sportive, concerti, funerali, eccetera, nonché il settore sociale, già nominato. Quindi va ricordata la figura dell’interprete come mediatore non soltanto linguistico, ma anche cul-turale, in ambiti molto delicati come ospedali, tribunali o prigioni. Consiglieresti il tuo percorso di studi a un aspirante interprete? A livello di scuola superiore, lo consiglierei a chiunque (sorridendo). Nota: l’interprete deve sapere le lingue come prerequisito. Non può fregiarsi solamente di una profonda conoscenza delle lingue straniere, ma deve as-solutamente essere anche competente o almeno avere dimestichezza con gli argomenti trattati di volta in volta negli ambiti di interpretazione in cui si trova, e in gene-rale deve sempre essere estremamente informato e ag-giornato rispetto agli avvenimenti politici e di cronaca, nazionale e internazionale. Da prataiolo a prataiola, se potessi tornare indietro, rifaresti il Prati? Si (lapidaria).

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Attualità prataiola

La voce dei Rappresentanti

di Enrico Pozzo e Jacopo Sartori

Salve studenti prataioli! Qui Jacopo ed Enrico. La fine quadrimestre si avvicina, e si può capire dal-le facce stanche di tutti noi studenti, impegnati negli ultimi temi ed interrogazioni di questo primo atto dell’anno scolastico 2009/2010. Facciamo il punto della situazione di tutto quello che è successo nel-l’ultimo mese: l’assemblea d’istituto del 25 novem-bre e quella del 17 dicembre; riunioni varie con altri rappresentanti; festa d’istituto; riforma Dalmaso. Iniziamo con le assemblee d’istituto. Quella del 25 novembre sul tema “L’evasione”: speriamo che sia stata di vostro gradimento, e a chi ha qualche critica è più che ben accetta, essendo stata la nostra prima esperienza di organizzazione di un’assemblea (non facile come potrebbe sembrare); ci scusiamo per eventuali disagi. Mentre in sede si tenevano i gruppi di discussione sull’assemblea spettacolo, dibattiti sull’arte, e visione di film vari ed eventuali, al Cine-ma Roma il ginnasio ha potuto visionare il film “Pa-ra-da” ed assistere allo spettacolo di giocoleria ed intrattenimento di Daniel (uno dei ragazzi rumeni presi dalla strada da Miloud ed aiutato ad uscire da quella realtà a cui era relegato) con racconti delle sue esperienze. Abbiamo lavorato parecchio per questo progetto e speriamo che sia stato un momen-to fruttuoso per mettervi al corrente della realtà dei ragazzi di strada a Bucarest. Il tema che farà da filo rosso all’assemblea d’istituto del 17 dicembre sarà “Gli anni Sessanta”. Vi saranno tre di-battiti nella prima parte della mattinata: lo sviluppo delle relazioni internazionali con l’Italia negli anni ’60 (come si è arrivati all’Unione Europea), tenuto dal professor Dalvit; i movimenti del ’68 a Trento ed alla facoltà di Sociologia, te-nuto dall’ex preside di que-st’ultima, professor Diani; in-fine, il fenomeno “Beatles” e l’invasione mediatica dell’In-ghilterra negli anni Sessanta, tenuta da Alessandro Zadra di II A. Nella seconda parte della giornata, avremo due proiezio-ni (“C’eravamo tanto ama-ti”che presenta la disillusione

degli anni della ricostruzione nel periodo del boom economico, e “I love Radio Rock”, riguardante la prima radio libera inglese nata nel ’68 che trasmet-teva 24 ore su 24 musica rock, facendo concorrenza alla BBC); infine ci sarà un dibattito con il prof. Mario Turri, delegato dell’assessore all’istruzione Dalmaso. Speriamo che quest’assemblea possa es-sere gradita dalla maggioranza di voi! In questi giorni, oltre alle riunioni con i rappresen-tanti di Trento, vi è stato un corso di formazione tra tutti i rappresentanti della Provincia di Trento, dove abbiamo discusso dello Statuto dello Studente, del D.P.R. 567 e delle varie riforme in attuazione nel nostro Trentino: vi consiglio di informarvi a riguar-do, sono i diritti inderogabili degli studenti e che so-no vostri a prescindere. La festa d’istituto di dicembre si terrà il 23 al Lidò, sarà fra 4 istituti (cosa mai successa, se la memoria non ci inganna) e ci sarà da divertirsi: la prossima si terrà verso marzo, in occasione dell’inizio delle va-canze di Pasqua, probabilmente al Caribe. Riforma Dalmaso: diciamo che a riguardo sono state spese fin troppe parole da giornali che ogni giorno ci bombardano di informazioni a riguardo. Cercate di informarvi e di discuterne nelle assemblee di classe; se pensate che sia da cambiare, ditelo. Si ha tempo fino a febbraio, termine ultimo prima della definitiva approvazione od archiviazione della riforma. Quelli

che possono fare il cambia-mento siete voi, non accettate con passività quello che succe-de attorno a voi. Lo sciopero è un ottimo mezzo per dimostra-re il dissenso, ma non basta. Se si vuole un’alternativa, si deve presentare qualcosa di concreto sul tavolo dell’assessorato. Siamo solo capaci di sdegnarci ed indignarci con una palpabile indifferenza alla consapevolez-za che si possa fare qualcosa per cambiare questa situazione. Con questo possiamo conclu-dere, e ci risentiamo a gennaio! Buone vacanze dai Rappresen-tanti!

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Pareva�dovesse�essere�un�mondo�senza�più�muriPareva�dovesse�essere�un�mondo�senza�più�muriPareva�dovesse�essere�un�mondo�senza�più�muriPareva�dovesse�essere�un�mondo�senza�più�muri�

di Agnese Di Giorgio �

Alcuni sono tristemente fa-mosi al punto da aver ispirato cinema e letteratura. Altri so-no meno conosciuti perché lontani dai nostri occhi e dalla nostra memoria. Eppure è be-ne ricordare che sono ancora tanti i muri che dividono, in tutto il mondo, vite e territori. Il muro di Berlino… Il muro sulla striscia di Gaza, che divide Israele e Cisgior-dania; il muro di Gerusalem-me, che divide israeliani da palestinesi; Irlanda del Nord, Belfast; confine tra Cipro e il territorio occupato turco; con-fine tra India e Pakistan; confine tra Corea del Sud e Corea del Nord; il muro di sabbia e pietre sul confi-ne tra Marocco e Mauritania (attorno due cordoni di campi minati); Iraq, il muro che circonda Sadr City, distretto della città di Baghdad; confine tra Marocco e l’enclave spagnola di Ceuta; confine tra Messico e Stati Uniti, in particolare California; confine tra In-dia e Bangladesh. Il muro del pianto; il muro della pallavolo; la Muraglia Cinese; il muro di Padova, che divide immigrati, drogati e prostitute, dai pado-vani per bene; le mura delle carceri; i muri di casa; i muri morfologici (montagne, mari e deserti); le mu-ra di cinta di castelli e città; il cell wall, il muro del-

le cellule. Vi chiedete cosa abbia a che fare il muro di Gerusa-lemme con il muro della pallavolo?!! L’esistere per difendere, o meglio direi, per difendersi. Il primo per gli israeliani in modo da evitare i palestinesi, e viceversa, il secondo in modo da far fronte all’at-tacco della squadra avversaria. E così fin dall’anti-chità, migliaia di mura sono state innalzate per di-fendersi dal nemico, dallo straniero, dal “cattivo là fuori”: basti pensare a quelle ancora ben visibili presso il Castello del Buonconsiglio, proprio nella nostra Trento. Ogni muro sopra citato ha in comune

appunto questo: la necessità di creare, di crearsi, difesa, prote-zione. Necessità tutta umana, perché l’istinto dell’ uomo è quello di sopravvivere, perché l’uomo è fragile ed ha bisogno di sentirsi sicuro. Necessità ben comprensibile quindi. Tuttavia trovo alquanto incomprensibile che, pur avendo festeggiato con commozione internazionale, il 9 novembre scorso, il venten-nio dalla caduta del muro di Berlino (originariamente chia-mato: Schutzwall = barriera di protezione), non ci si sdegni per l’ esistenza di altre mura

Nel mondo

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altrettanto alte e dolorose, o vengano addirittura ignorate. È davvero cambiata la nostra società e la nostra mentalità da quella dei tedeschi dell’est che nel 1961 spinsero per erigere il muro, o è solo auto-convincimento? A Berlino vent’anni fa la storia ha fatto un passo avanti fra picconi e martelli, ma ancora tante mu-ra aspettano d’essere abbattute e tante persone di ritrovare libertà e dignità. Guardiamo allora nel giardino di casa nostra: a Pa-dova, a partire dal 9 agosto 2006, sono state erette in un quartiere di via Anelli, in periferia, delle barriere, a seguito della decisione dell’ amministrazione co-munale di recintare un’area della città per ragioni di ordine pubblico. Si tratta infatti di un muro voluto da abitanti della zona per ragioni di sicurezza rispet-to all’esercizio di azioni illegali (spaccio di droga e prostituzione) da parte di immigrati, che dagli anni ’90 hanno pian piano sostituito gli universitari, da sempre residenti in quel territorio. Tale recinzione si estende per 84 m in lunghezza e 3 in altezza. La via è stata chiusa al traffico non residenziale e al suo ingresso sono stati creati due posti di blocco per i-dentificare eventuali trasgressori. Non è quindi diffi-cile pensare che assomigli a quei ghetti ebraici tanto commemorati, ed ancora una volta faccio fatica a credere che davvero ricordare possa far sì che l’ uo-mo non commetta più gli errori del passato. La necessità di difendersi è porre dei limiti, spesso fisici e quindi evidenti sì, ma altrettanto spesso an-che mentali. Pensiamo di limitare gli altri in nostro favore, ma in realtà limi-tiamo al contempo noi stessi: rischiamo di ne-garci una giusta e più approfondita conoscenza di chi vive accanto a noi, un arricchimento reci-proco, il risparmio di vite umane e dolore (la barriera di separazione tra Stati Uniti e Messico ha causato circa 3000 morti, persone che hanno cercato di varcare quel

muro, il cui ricordo rimane nelle croci attaccate proprio su quella maledetta barriera). La necessità di difendersi, l’in-nalzamento di molte mura, è manifestazione di paura, paura del diverso, di ciò che l’uomo non conosce o teme possa for-se arrivare ad essere superiore, perché no, talvolta anche sotto l’ aspetto economico. Ma si sa,

pur essendo facile a dirsi e difficile a farsi, le paure vanno affrontate per essere sconfitte, costruire un muro è solo un modo di far finta di non vedere, di non provare quel timore, di accantonare il proprio problema. E sicuramente la paura esercita un forte effetto an-che sulle peggiori fra le mura, quelle costruite nelle nostre menti, nella nostra società. Vedere un nero e insultarlo, dare del comunista o del fascista a qual-siasi persona che non condivida le proprie idee po-litiche, la non-informazione, lo snobbare eventi del-la comunità in cui viviamo, non ammettere i propri problemi, non chiedere aiuto, non ascoltare le opi-nioni altrui ed evitare il confronto con il diverso per la paura di scoprire di essere nel torto. Sono tanti piccoli mattoni che creano un muro di pregiudizi e malintesi che non fa bene al nostro mondo, ad una convivenza equilibrata e rende sempre più indiffe-renti. Queste sono mura della vergogna.

Foto del muro tra Israele e Palestina. Solo i graffiti sembrano avere il coraggio di interrompere la monotonia del grigio delle mura, con colori di speranza.

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Nel mondo

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Dal 7 al 18 dicembre la conferenza nella capitale danese

Copenaghen sostituisce Kyoto

I due giganti USA e Cina oggetto di contraddizioni. Lo scetticismo degli studiosi e le speranze degli ambientalisti

di Stefano Cristelli

Che i mutamenti climatici rappresentino una delle più grandi preoccupazioni di studiosi e ambientalisti è un dato di fatto: che gli stati con la maggior influenza nel panora-ma economico mon-diale si mobilitino e accettino restrizioni per porvi rimedio, forse meno. La storia si ripete. E' il 1997 quando a Kyoto oltre 160 paesi, di co-mune (ma non troppo) accordo, firmano il protocollo destinato a diventare famoso con il nome della città che ne ha ospitato gli svi-luppi. L'obiettivo è la riduzione delle emis-sioni di elementi in-quinanti da parte delle nazioni coinvolte nel quinquennio 2008-2012 . La scala di riferimento prende in considerazione le emissioni registrate nel 1990, con una soglia minima di abbassamento del 5 %. Il protocollo mostra da subito difetti di non poco conto: a cominciare dal fatto che proprio gli Stati Uniti, fra gli e-mettitori più rilevanti, non lo siglano. L'adesione era peral-tro stata assicurata dal presidente Bill Clinton: poco dopo l'abbandono della Casa bianca da parte di quest'ultimo, tuttavia, il neoeletto G. W. Bush pensò bene di ritrattare quanto aveva detto il predecessore e si rifiutò di ratificare il trattato. Assieme agli USA, altre due nazioni del calibro di Cina e India, considerate paesi “esonerabili” in quanto non responsabili degli aumenti di emissioni nel periodo di industrializzazione. La sorpresa arriva quest'anno: in dicembre si terrà a Cope-naghen una conferenza con tema il riscaldamento globale. In altre parole verrà stilato un documento che prenderà il posto del protocollo di Kyoto, in un'ottica di revisione e miglioramento per la quale si dovrebbe riuscire ad elimina-re e sostituire adeguatamente le deficienze del primo tratta-to. Paradossalmente, le contraddizioni affiorano ancor pri-ma che la conferenza abbia inizio. E sono sempre i giganti dell'economia USA e Cina a far discutere maggiormente. In forse è stata messa addirittura la loro partecipazione, che è risultata poco probabile dalle parole dello stesso Obama, il quale, dopo aver incontrato il Primo Ministro cinese Hu Jintao, ha convenuto con lui che sarebbe “irrealistico atten-dersi un accordo sul tetto alle emissioni di anidride carbo-

nica entro 22 giorni”. Brusco cambio di marcia alcuni gior-ni dopo, con il presidente americano che garantisce la pro-pria presenza al vertice ed il portavoce del premier cinese

Wen Jiabao che assicura la partecipazione del Dra-gone. L'agenzia di stampa governativa Xinhua riba-disce che si tratta di “un’azione volontaria del governo, un contributo agli sforzi globali contro i cambiamenti climatici”. Niente male, per le due nazioni che da sole con-tribuiscono al 40 % di emissioni mondiali. Sul piano pratico, la Cina s'impegna a diminuire la propria intensità carbonica (l'ammontare di emissioni a effetto serra per unità di Prodotto Interno Lordo,

Ndr) del 40-45 % entro il 2020, mentre gli Stati Uniti si limitano al 20-25 %. E non c'è chi si esenta dal criticare queste scelte, definendole di poca utilità e molto meno “epocali” di quanto possano sembrare. “Quelle di Pechino e Washington sono mosse relativamente piccole” afferma Nick Mabey, direttore esecutivo del think tank britannico sul clima E3G, “la Cina in particolare non si discosta molto da quello che ha sempre fatto nel campo delle emissioni. Con gli impegni assunti, se mantenuti, l’anidride carbonica non raddoppierà come era in previsione, ma aumenterà comunque del 50%”. D'altra parte, vi è anche chi, come l'analista energetico del Global Insight Tom Grieder, non s'illude né si meraviglia dello scenario economico mondia-le: “Questa posizione verrà accettata dal resto del mondo. Tutti vorremmo vedere una Cina pulita, ma nessuno può permettersi che cali la sua produzione industriale.” La conferenza di Copenaghen si preannuncia dunque come un evento dai tratti dubbi e contraddittori sin dalla nascita, caratteristica che la assimila per certi versi ai grandi eventi della storia dell'uomo. Nel momento in cui viene steso que-sto articolo il summit è iniziato da pochi giorni, e azzardare commenti prematuramente risulterebbe certo inadeguato. Suonano tuttavia opportune le parole di Matteo Rizzolli, su Cooperazione tra consumatori del mese precedente: “A dicembre, a Copenaghen, forse non si deciderà del futuro del pianeta, ma certo si deciderà del modo con il quale l'uo-mo continuerà a viverci”.

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n° 3 anno XII

Intervista ai Rappresentanti di Federica Di Giorgio

Domande: Rappresentanti d’istitutoRappresentanti d’istitutoRappresentanti d’istitutoRappresentanti d’istituto Rappresentanti della consultaRappresentanti della consultaRappresentanti della consultaRappresentanti della consulta

Nome e classe: Jacopo Sartori 2A Enrico Pozzo 3C

Fabrizio Lettieri 2C Francesca Pedron 2A

Come ti chiamano? J: Jack E: …

F: Gizzu e/o Gigio.. alcuni Lettieri

Fra: Fra Perché hai deciso di

candidarti?

J:perché credo di poter dare un contributo importante..

E: perché pensavo, dopo 5 anni di Prati, di avere l’esperienza necessa-ria per sapere come “governare” (ridendo)..

F: Mmm... perchè me l'ha chiesto France-sca! Aveva le idee chiare e tanta voglia di fare, perciò ho accettato di darle una mano.

Fra: è una cosa che ho sempre voluto fare.. non so perché.. In quarta ginnasio quando, durante la prima assemblea, si sono presen-tati i candidati mi sono detta: - Un giorno ci proverò anch’io. E così è stato.

Una qualità che bi-sogna avere per fare il rappresentante?

E: capacità organizzativa.

J: pazienza e tempo libero. F: bisogna avere tanta pazienza.

Fra: Molto ottimismo e determinazione.

Com’è fare il rap-presentante?

J: onori e oneri, alti e bassi.

E: esatto.. (concorda con Jacopo) F: nulla di speciale! Hai solo tanti problemi da risolvere.

F: Impegnativo ma ti dà molte soddisfazio-ni.

Dì qualcosa a quelli che ti hanno votato:

J: grazie soci! E: grazie..

F: fessi!! (ridendo) Fra: grazie per la fiducia!!

Cosa pensi della riforma Dalmaso?

J: va bene voler riformare la scuola ma in questi termini non è plausibi-le, in quanto andrebbe scomparen-do l’istituzione del liceo classico..

E: il classico scomparirebbe..

F: inutile e caotica... non ce n'era bisogno..

Fra: A mio parere le riforme sono necessa-rie e indispensabili perché anche la scuola italiana migliori, ma forse questa riforma non ha tenuto abbastanza conto delle pecu-liarità dei vari istituti.

Se fossi ministro dell’istruzione cosa cambieresti?

J: la tipica giornata scolastica.. mi piace il modello finlandese: più at-tività sportive, aria aperta.. lezioni meno cattedratiche..

E: il rapporto studente professore.

F: questa è difficile.. Eliminerei l'ora di reli-gione nelle scuole superiori. Non ho nulla contro la religione ma agli studenti non inte-ressa, non la considerano una vera materia.

Fra: Ci sono tante cose che cambierei: in-nanzitutto toglierei i test d’ingresso all’uni-versità e cercherei piuttosto di fare una sele-zione durante il primo anno accademico in base al merito. Solo in questo modo andreb-bero avanti le persone davvero motivate e si darebbe a tutti l’opportunità di provarci. Poi investirei maggiormente sulla ricerca e in-trodurrei anche un’ora o più d’informatica in tutti gli istituti.

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Rifaresti il Prati? Per-ché?

J: assolutamente.. primo perché mi piac-ciono troppo le materie umanistiche, se-condo perché ha il suo fascino.

E: sì perché è una scuola completa..

F: il Prati m'ha fatto conoscere persone fan-tastiche e vivere tante emozioni ma se dovessi rinascere pen-so non lo rifarei... purtroppo in terza media s'è un po' piccini e le idee su cosa si vuol fare "da grandi" sono ancora troppo acerbe.

Fra: Si e no.. mi ha insegnato molto ma penso che ormai ai giovani vengano richie-ste maggiormente competenze scientifiche.

Gli studenti del Prati sono snob come dicono gli studenti delle altre scuole?

J: no.. però l’alone che circonda il liceo prati colpisce chiunque..

E: assolutamente no.. solo per il fatto che fai il Prati vieni etichettato subito come “snob”.. J: infatti.. non siamo noi che ci riteniamo snob, sono gli altri che ci additano come snob..

F: che dire... non tutti ma ce ne sono! (ridendo) Fra: Un po’.. giustamente..:)

A cosa serve il greco? J: il greco aiuterà, data la sua funzione etimologica, a barcamenarti su qualsiasi cosa farai da grande..

E: io vorrei fare medicina, e ci sarà molto greco.. J: in più studiare greco aiuta a migliorare il ragionamento e teoricamente, secondo recenti studi, chi studia greco e latino dovrebbe essere più bravo in matemati-ca..

F: a tirarsela con chi non lo conosce! no... cultura personale! La conoscenza dei greci era mostruosa! Erano assetati di sapere, studiavano qual-siasi cosa... anche le cose "Inutili"!

Dovremmo fare così anche noi...

Fra: Non so a cosa serva ma penso sia affa-scinante.. a volte..

Una cosa che non di-menticherai mai del Prati?

J: il torneo di calcetto (ironicamente)..

(ripensandoci) il primo giorno di scuola!

E: l’assemblea spettacolo.. i preparativi, stare dietro le quinte dell’assemblea spet-tacolo..

F: l’assemblea spettacolo! Il paninaro, gli amici e i professori..

Fra: i soffitti alti.. non so perché ma è stata la prima cosa che mi ha colpito e.. le ore di Girottoooo!!!

Un tuo pregio e un tuo difetto:

J: difetto: impulsivo pregio: razionale (suggerito da Enrico)

E: difetto: permaloso pregio: simpaticissimo e grande orga-nizzatore (suggeriti da Jacopo)

F: pregio: bellissimo.. difetto: non parlo mai!

Fra: pregio: determinata difetto: troppo orgogliosa

Innamorato/a? J: sì E: no

F: ahahah... professori e amici pensano di sì... forse un pochino..

Fra: no Libro preferito: J: “Vietnam una sporca bugia”.

E: “Camminare” di Thoreau. F: “Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino. Fra: “Due di due” di De Carlo.

Film preferito: J: “Il pianista sull’oceano”. E: “Nuovo cinema paradiso”.

F: …

Fra: ne ho tantissimi.. forse “Match Point”.

Citazione preferita: J: “Al mio segnale scatenate l’inferno!”.

E: “Rem tene, verba sequentur”. Catone. F: "... perchè Ganga è un virtuoso del bas-so: lui non sbaglia, crea!" Federico Bortoli 3D. Fra: l’intramontabile “carpe diem”, no??

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Fumi? J: sincerità? Occasionalmente.. ogni tanto

succede che se sono un po’ nervoso e aiuta a scaricarmi un po’..

E: sì.. (per gli stessi motivi di Jacopo)

F: No. Sono contro il fumo.

Fra: no perché dopo continuo a tossire per un’ora ed è davvero troppo imbarazzante..

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

J: prendere la licenza di volo..

E: farmi la “East Cost-West Cost” da Chicago a Los Angeles.

F: una bella moglie, 3 figli, un cane, una casa spaziosa con piscina, vivere della mia musica...trova una cura per una persona.

Fra: Oh ne ho troppi.. in campo lavorativo mi piacerebbe entrare in politica. Per il re-sto un po’ come tutti: avere una famiglia e viaggiare il più possibile.

Il voto più alto e il voto più basso che hai rice-vuto?

J: 10 di geografia e 1 di greco.

E: 10 di italiano e 3 di geografia. F: 7.5 di filosofia e 4 di fisica.

Fra: 3.5 di greco in una provetta di Guardi-ni.. e 9.5 di storia.

Una cosa che ti irrita profondamente?

J: la mancanza di razionalità.

E: la mancanza di organizzazione delle persone..

F: la domanda precedente..

Fra: il menefreghismo.

Dove vorresti vivere e perché?

E: pensando all’università, Verona o A-merica..però rimarrei qui per la famiglia.

J: anch’io.. andrei volentieri a vivere a Milano ma non saprei staccarmi da Tren-to.. voglio vivere nel luogo cui sono lega-to sentimentalmente, Trento!

F: in una città col mare... la vita è molto più rilassata. Fra: in uno di quei grattacieli enormi di New York con mia sorella.. mi sentirei al centro del mondo.

Chi vorresti conoscere di famoso? o chi resu-sciteresti?

J: Bob Marley! E: Stradivari, Paganini..

F: De Andrè! La sua musica è poesia pura..

Fra: oltre a Robert Pattison ovviamente (ridendo), Roberto Saviano.

Quale superpotere vor-resti avere?

J: capacità di far realizzare i miei pensie-ri.. E: leggere nel pensiero..

F: fermare il tempo. Fra: leggere nel pensiero.

Cosa porteresti con te su un’isola deserta?

J: un cellulare così mi vengono a cerca-re..e una bottiglia di rum per conforto!

E: un localizzatore GPS e “Guerra e Pa-ce” così finalmente lo leggo..

F: una chitarra, “Bob l'aggiustatutto”, una coperta, lo chef Toni, McGyver, carta, pen-na e una foto...

Fra: una macchina fotografica.

Tre cose che devi asso-lutamente fare prima della fine del mondo prevista per il 2012?

J: vincere il torneo di calcetto del Prati, andare sul monte Bianco e prendere il brevetto di volo.. E: visitare tutte le capitali d’Europa, suo-nare su uno Stradivari e fare le “East Cost-West Cost” .

F: suonare davanti a 30.000 persone, visita-re l'Africa, l'Oriente e il Sud America..

Fra: Andare in mongolfiera, a New York e in Giappone.

Vinci €500.000.. come li spendi?

J: compro una macchina e faccio un bel-l’investimento.. E: mi compro una casa..

F: batteria nuova! Una bella macchinina, una casetta e.. non so...

Fra: Non ne ho idea.. comprerei una casetta in riva al mare..

Si avvicinano le vacan-ze di Natale.. dove e come le trascorrerai?

J: non ne ho idea.. Né su come, né su do-ve e né con chi..

E: a fare l’animatore e poi andrò in Ma-rocco.

F: penso resterò qui a Trento con gli amici.

Fra: In famiglia e a casa, perennemente sul divano o a letto..

Saluta! J: Ave Cesare! Ciao!

E: ciao! F: ciao! Fra: ciaoooo!

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Due storie diverse, un unico problema Due storie diverse, un unico problema Due storie diverse, un unico problema Due storie diverse, un unico problema di Davide Leveghi I D

C’è un lungo filo che lega la Nigeria e il Paraguay. Il primo di questi due Stati, situato nell’Africa occidentale, è teatro di guerriglia contro le multinazionali del petro-lio; il secondo, invece, nel profondo cuore dell’America Latina, è inquinato e devastato dalle multinazionali della soia. Il problema è quindi lo stesso, il crearsi di forme di ribellione contro aziende straniere che si impadroniscono di territori che appartengono alle popolazioni locali. Ora spiegherò le due diverse situazioni. In Nigeria l’estrazione del petrolio è iniziata sin dalla

liberazione dal dominio coloniale britannico. Con gli anni entrarono in scena le multinazionali straniere che, individuati i giacimenti, iniziarono a collocare le loro piattaforme per l’estrazione. Tra queste la Shell, la Che-vron e l’italiana Eni (di proprietà statale). Il governo ni-geriano mise a completa disposizione delle società stra-niere le risorse petrolifere, firmando leggi a proposito, ma dimenticandosi delle popolazioni locali. A partire dagli anni ’90, la popolazione del Delta del Niger, stanca dell’invasione straniera e determinata a riprendersi ciò che affermava essere suo, iniziò ad organizzarsi per ap-propriarsi delle risorse. Il Delta del Niger, inoltre, è ca-ratterizzato da un crogiuolo di etnie, che erano vissute in armonia fino all’arrivo degli Europei. È da questo mo-mento che iniziano i problemi. Un’etnia, quella Ogoni, fu protagonista di una serie di manifestazioni non-violente, e alcuni rappresentanti di questo gruppo, tra cui Ken Saro-Wiwa, fondarono “il movimento per la soprav-vivenza del popolo Ogoni” (MOSOP). Le finalità dell’-organizzazione erano il combattere, senza l’uso della

violenza, la distruzione dell’ecosistema della regione, causata dall’inquinamento prodotto dalle multinazionali straniere attraverso l’estrazione petrolifera; inoltre pro-muovere l’autodeterminazione del popolo Ogoni nel controllo economico delle risorse, e la richiesta del ri-spetto dei diritti umani e della loro cultura. Ma nel 1995 Saro-Wiwa ed altri membri del MOSOP furono arbitra-riamente arrestati con un’accusa falsa, formulata dal go-verno pagato dalla Shell, quindi processati e impiccati. Contemporaneamente altre etnie si rendono protagoniste degli scontri: su tutte, quelle Itsekiri e Ijaw. I due gruppi vissero a lungo vicini senza troppi problemi, fino a quan-do gli Itsekiri, meno numerosi, si legarono agli Inglesi, apprendendo da essi le conoscenze necessarie per trarre vantaggio dal commercio, provocando negli Ijaw un sen-timento rancoroso, essendo visti dagli Europei in una posizione predominante. Nemmeno l’indipendenza riuscì a far diminuire gli attriti, ma comunque i contrasti non sfociarono mai in un vero e proprio conflitto, se non do-po il ’97. Da quell’anno, il governo nigeriano, schieran-dosi con gli Itsekiri, si rese protagonista di operazioni militari contro villaggi ijaw, commettendo stragi di civili (tra le quali la più eclatante a Odi, in cui furono massa-crati migliaia di Ijaw). Questi conflitti a sfondo etnico contribuirono alla militarizzazione della regione e alla formazione di diversi gruppi armati, più o meno grandi. Nel 2003, però, ci fu una convergenza delle parti, a cui aderirono anche i leader delle diverse etnie che, resisi conto che il problema alla base restava nel fatto che le risorse fossero in mano agli stranieri, concorsero a fon-dare organizzazioni militari come il NDPVF e l’NDV. Un attacco dei primi, nel 2004, ha causato una crisi pe-trolifera. La tattica più usata per impossessarsi del petro-lio divenne il bunkering, processo illegale per le leggi internazionali che consiste nel tappare le condutture del grezzo, provocando una falla e la fuoriuscita in una chiatta. Ma l’arma dei ribelli fu il nuovo seme della di-scordia su cui speculò il governo, appoggiato sempre dalle multinazionali, che sfruttò le ferite ancora aperte dagli scontri etnici. Il governo appoggiò l’NDV, proteg-gendolo dagli attacchi dell’NDPVF, ed appoggiandolo nei bombardamenti e nelle razzie dei villaggi in cui si presumeva fossero annidati i nemici; come al solito, i civili, inermi ed innocenti, ebbero la peggio. Nel 2005, però, contro ogni pronostico, nasce una nuova organizza-zione estremamente forte e organizzata, senza predomini di alcun gruppo etnico, il MEND (Movimento per l’e-mancipazione del Delta del Niger). Esso è autore di con-tinue azioni di guerriglia come la distruzione degli oleo-dotti e i sequestri di persona, spesso di operatori che la-vorano sulle piattaforme di estrazione. Le sue ragioni sono sempre le stesse, poste anche dai precedenti gruppi

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di ribelli: lotta armata contro la degradazione e lo sfruttamento dell’ambiente da parte di corpo-razioni straniere che, in questa zona, estraggono petrolio dal sottosuolo. Nel 2006, in una e-mail spedita alle compagnie petrolifere, i ribelli di-chiarano: “ Deve essere chiaro che il governo nigeriano non può proteggere i vostri dipen-denti o le vostre attrezzature. Lasciate le nostre terre finché potete o morirete. Il nostro scopo è distruggere totalmente la capacità del governo di Port Harcourt di esportare petrolio”. Uno degli elementi che caratterizzano l’organizza-zione di questa formazione, sta nel fatto che non esiste una scala gerarchica, cosa che la ren-derebbe meno vulnerabile ad eventuali arresti o perdite. Il Paraguay, invece, ha una storia diversa. La situazione politica non è così complessa ed ostica come quella nige-riana. Nel 2008, dopo sessant’anni di dominio del Parti-do Colorado, che fu il pilastro assieme all’esercito su cui poggiò la dittatura del generale Stroessner (regime ap-poggiato dagli Stati Uniti che prese il potere nel 1954 e cadde nel 1989, dopo 35 anni, con un colpo di Stato che aprì la strada alle elezioni presidenziali), Fernando Lugo, definito il “vescovo rosso”, poiché prete sostenitore delle occupazioni delle terre da parte dei contadini (cosa che lo mise contro le gerarchie cattoliche), vinse le elezioni, provocando, specialmente tra i campesinos, un incredibi-le entusiasmo. I campesinos, la popolazione che vive nelle zone rurali e basa la propria vita sull’agricoltura, sono costantemente minacciati dall’uso eccessivo di di-serbanti tossici, che avvelenano il territorio e la popola-zione, criminalizzati e allontanati dai grandi latifondisti e dalle multinazionali della soia. L’elezione di Lugo, per loro, era una speranza di poter finalmente riconquistare le proprie terre, ma fino ad ora così non è stato. Lugo, pieno di buona volontà, rimane solo, e non c’è nessuno disposto ad aiutarlo. Già prima delle elezioni un espo-nente del Partito dei Lavoratori, leader dei contadini in-digeni paraguaiani, auspicò ciò che sarebbe poi successo: “Lugo non risolverà i nostri problemi. La sua vittoria aprirà una breccia, uno spiraglio che consentirà al no-stro movimento di emergere”. E così è stato, Lugo è solo e quindi incapace di poter cambiare le cose e il Partito dei Lavoratori prende consensi. La situazione tuttora in Paraguay è questa: l’83% dei campesinos occupa il solo 6% della terra, mentre 351 latifondisti sono proprietari del 40% di tutte le terre del-la nazione. Gli investitori argentini e brasiliani entrano nel Paese, minacciano armati gli agricoltori costringen-doli ad andarsene, e sfruttano i terreni coltivando soia OGM, utilizzando pesticidi e contaminando il terreno, provocando malformazioni, malattie e morti per intossi-cazione. Un dato allarmante è quello sul numero delle persone che sono venute a contatto con pesticidi tossici

e diserbanti: il 78% delle famiglie delle comunità agricole ha avuto problemi di salute legati alle tossine, e tra questi il 63% ha bevuto acqua contaminata, mentre alcuni bambini, investiti da nu-bi pestilenziali sono morti. Si crea inol-tre un grave problema sociale dettato dalle “cacciate” dei contadini: questi, senza averi e terre coltivabili, sono co-stretti a muoversi verso le città, dove, abituati a ben altro tipo di vita, sono destinati a finire in miseria e ad affolla-re le povere città del Paese sudamerica-no. Al danno umano se ne somma uno altrettanto gravoso, quello ambientale,

che si lega strettamente ai popoli che vivono queste ter-re. Un dato in particolare mi ha sconvolto: la foresta atlantica, una delle più ricche al mondo per varietà bio-logica, copriva un tempo l’85% del Paraguay orientale. Oggi ne rimane solo una minima parte, tra il 5 e l’8%. I colpevoli ci sono anche qui: compagnie multinazionali come le statunitensi Cargill, Archer Daniels Midland e Monsanto, oltre che i latifondisti brasiliani e argentini, che hanno ridotto il Paese ad una distesa verde immensa, tutta di soia biologicamente modificata. Anche qui, come in Nigeria, la popolazione si organizza e lotta per salvare e difendere i propri territori, reclaman-do la terra in nome di un diritto ancestrale dei popoli in-digeni e creando collettivi di agricoltori nel rispetto dell’-ambiente. Anche qui la gente non guadagna nulla da que-sta coltura, come gli abitanti del Delta del Niger non ri-cava niente dall’estrazione del petrolio. E quindi, come afferma il Partito dei Lavoratori, l’unico modo per pren-dersi la propria terra resterebbe “la confisca senza inden-nizzi delle grandi proprietà terriere e la consegna delle terre ai campesinos”. L’unico modo per arrivare a questo è stato individuato nell’occupazione delle terre, poiché nel “Paese della soia” (il Paraguay è il terzo produttore mondiale di soia), “la conquista dei terreni arriverà solo attraverso l’organizzazione, la mobilitazione e la lotta”. “L’unico problema” che accomuna queste due storie di-verse, sono quindi le multinazionali straniere, che sfrutta-no criminosamente risorse che non appartengono a loro. Forse per un occidentale, e per un italiano, risulta difficile immaginare una situazione simile a queste nel nostro Pae-se. Noi non possediamo risorse naturali come la Nigeria, e le multinazionali non invadono le nostre terre conver-tendole alla monocoltura, impoverendo il terreno, come in Paraguay, quindi può essere anche arduo capire la drammaticità della situazione per le popolazioni interes-sate. Ma se qualcuno ci rubasse tutte le nostre risorse, ci costringesse a vivere esiliati nel nostro stesso Paese, in-quinandolo, avvelenandoci e sfruttandoci, come reagi-remmo? Quale potrebbe essere la nostra reazione?

Nel Mondo Honduras: chi, cosa, perché?

di Maddalena Argiropoulos

Mi è capitato di chiedere ai miei compagni e compagne di classe, durante l’ora dedicata alla lettura del giornale, se aves-sero qualche notizia del golpe militare in Honduras, dato che sono un po’ di giorni che non riesco a tenermi informata sulle notizie internazionali. Nessuno mi ha saputo rispondere, nes-suno ne aveva mai sentito parlare o se lo ricordava più. Non ne faccio una colpa a loro personalmente ma questo è indice di quanto i media italiani riservino poco spazio alla po-litica estera e in particolare al terzo mondo. Perciò quello che i giornali, nei migliori casi, tralasciano se non addirittura mani-polano, si scrive sul giornalino della scuola. Lo scorso 28 giugno c’è stato il golpe militare in Honduras, piccolo paese del centro America. Golpe di stato significa che l’e-sercito dello stesso paese prende il potere con la violenza, mandan-do via il presidente in carica. Golpe significa violazione dei diritti umani, povertà, fame, di-sguaglianze. Subito mi è venuto in mente l’11 settembre del ’73, quando il golpe lo aveva fatto Pinochet in Ci-le…… ma questa è un’altra sto-ria. Ci sono stati decine di colpi di stato in America Latina e questo non si può tacere. Dunque, proprio il giorno - dome-nica 28 giugno - in cui il popolo dell’Honduras era stato chiamato a votare per un referendum che avrebbe permesso di convocare un’assemblea costituente per modificare la costituzione, voluta dal dittatore Paz, e permette-re a Zelaya di essere presidente democratico per un’altra volta, Roberto Micheletti prende il potere con la forza dell’esercito. Chiariamo ora i protagonisti di questa vicenda che va ben fuori dai piccoli confini del terzo stato più povero dell’emisfero. L’ALBA (Alleanza Bolivariana delle Americhe) è stata costi-tuita dagli stati di orientamento socialista dell’America latina per rimpiazzare la vecchia unione guidata dagli Usa e formare un’alleanza economica, culturale e militare. Zelaya, presidente di destra dell’Honduras ma liberaldemocra-tico, ha fatto aderire l’Honduras all’Alba, ha attuato riforme e introdotto importanti ammortizzatori sociali per elevare il wel-fare del paese. Gli Usa, il paese economicamente più forte del mondo, hanno versato 18,5 milioni di dollari come finanziamenti militari all’Honduras e ne prevedono altri 1 810 milioni. Obama si è detto subito contrario e non ha riconosciuto Micheletti come nuovo presidente ed Hilary Clinton si detta contraria al ritorno in patria di Zelaya perché avrebbe comportato un altro spargi-mento di sangue. I militari , guidati dal generale Romeo Vazquez, lavorano nel-la base militare Palmerola, la stessa dalla quale sono usciti i soldati che hanno combattuto e ucciso le rivoluzioni del Nica-

ragua, El Salvador e del Guatemala e i torturatori cileni, argen-tini e uruguayani. Roberto Micheletti, di origine italiana, aveva già partecipato a un colpo di stato nel’63; fallito quest’ultimo crea con il fra-tello una ditta di trasporti e si rimette in politica. Si candida alle primarie ma viene sconfitto. I cattolici , in particolare l’arcivescovo di Tegucigalpa, Mara-diaga, forse per vendetta nei confronti dell’indisponente presi-dente che gli aveva negato il vitalizio di 5.000 dollari mensili, chiede che il Presidente Zelaya non ritorni per evitare eventuali spargimenti di sangue. I giudici avevano dichiarato che il presidente, nel tentativo di modificare la Costituzione, agiva contro il bene dello stato.

Porfirio Lobo è il leader del partito na-zionale, ricco proprietario terriero, che il 29 novembre, dopo il colpo di stato, vin-ce le elezioni. Associazioni internazionali per i diritti umani come l’Onu e Rigoberta Menchù appoggiano pienamente Zelaya insieme all’UE e l’Alba. Il presidente viene arrestato dall’esercito in piazza e condotto in Costa Rica. I membri dell’Alba minacciano di fare irruzione nel paese per restituire il potere al presidente eletto. L’esercito lancia lacrimogeni contro i manifestanti della capitale e mitraglia la casa del Presidente. Micheletti prende il potere con l’esercito e impedisce il rientro di Zelaya, ordinan-do all’esercito di sparare contro i manife-

stanti – e uccidendone due – fissa il coprifuoco alle 20.00 e impone il balck-out dei media. Gli Usa riescono a nominare come mediatore Arias, politico della Costa Rica, che non porta nessuna modifica. Zelaya tenta di rientrare dal Nicaragua ma viene nuovamente bloccato. A novembre appare la notizia che il presidente deposto è rien-trato clandestinamente e ha chiesto ai suoi sostenitori di boi-cottare le elezioni del 29 novembre che, a suo avviso, sarebbe-ro state certamente condizionate da pesanti brogli elettorali. Con un forte astensionismo vince Porfirio Lobo a discapito di Elvin Santos, politico honduregno moderato. Il colpo di stato in Honduras attuato da Micheletti e dal suo regime, ha portato con sé 21 persone assassinate, 4.234 denun-ce per violazioni delle libertà fondamentali, 7 attentati, 95 mi-nacce di morte, 133 casi di tortura, 394 persone con lesioni e 211 ferite a causa della repressione, 1.987 arresti illegali, 2 intenti di sequestro e 114 prigionieri politici accusati di sedi-zione. Questi sono i dati che ho reperito, e l’articolo è stato scritto perché ognuno di noi si possa fare la propria idea, per dare un’informazione che andava data.

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Nel 1989 in Romania cade il regime di Nicolae Ceasescu, la crisi economica dilaga e l'effetto si fa subito sentire sulle fasce sociali più deboli. Il numero di bambini ab-bandonati negli orfanotrofi cresce e cresce anche il nu-mero di bambini che, maltrattati, scappano dagli orfano-trofi e si riversano nelle metropoli. Sono i "boschettari", ragazzini che abitano nei sotterranei della città di Buca-rest e sopravvivono grazie a piccoli espedienti, si droga-no con la colla, si prostituiscono. Sono bambini che fug-gono sperando che la grande città possa aiutarli, che ri-servi loro un futuro migliore, in realtà finiscono per vaga-bondare per le strade ed essere vittime di violenze, stupri, in un mondo che a loro non fa sconti.

Sono bambini senza passato ma soprattutto senza futuro.

Nel 1992 Miloud Oukilii arriva in Romania e, in un pri-mo momento, presta Servizio Civile ma dopo pochi mesi inizia ad occuparsi di loro a tempo pieno. Miloud è un clown francese, uscito dalla scuola di circo di Annie Fratellini, un semplicissimo pagliaccio dal naso rosso metà francese, metà algerino, che attraverso la sua sensibilità di artista riesce a comprendere le necessità di questi ragazzini di strada bisognosi di sicurezze e affetto. Miloud non si sente respinto da questo ambiente difficile e problematico e si avvicina a questa complessa realtà con delicatezza e cautela. Il suo intervento non è calato dall'alto ma Miloud diventa uno di loro: gioca, dorme, mangia con loro. Con i ragazzi condivide le giornate

conquistandone il rispetto, la complicità e la fiducia. Con loro affronta le difficili realtà quotidiane di un mondo che ha costretto dei bambini a diventare adulti troppo in fretta. Dopo questo periodo "di formazione", Miloud si convin-ce dell'importanza di avvicinare i "boschettari" attraverso le modalità che ha sperimentato e così, decide di struttu-rare un vero e proprio progetto d'intervento. Inizia insegnando loro tutto ciò che sa del mondo circen-se, per poi arrivare ad organizzare dei veri e propri spet-tacoli dove i ragazzi a loro volta, avendo avuto modo di sperimentare il lavoro e ampliandone le conoscenze, riac-quistano a poco a poco la fiducia in sé stessi facendo riaf-fiorare la speranza nel futuro, il desiderio di riscattarsi da una condizione di povertà alla ricerca di un posto mi-gliore nel mondo. Da questa straordinaria esperienza nasce Parada un’as-sociazione indipendente che aspira a garantire un futuro sereno alle migliaia di bambini e giovani che vivono nel-le strade. Attraverso la realizzazione di progetti concreti, la collaborazione a iniziative con altri Enti e Organizza-zioni si sviluppa un'attività che coadiuva a promulgare la difesa dei "Diritti dell’infanzia". Secondo me, questi ragazzi hanno saputo creare con il sostegno di assistenti sociali, psicologi, educatori e poi avvocati, giornalisti e medici, qualcosa di magico che si identifica e manifesta nell’arte di essere sé stessi, conqui-stando il pubblico ognuno con la propria storia alla ricer-

ca di una rinnovata gioia di vivere. Parada è un conti-nuo spettacolo di vita e di speranza. “Mostrare sé stessi nella propria autenticità vuol dire offrire umanità, cultura, poesia” (dal Manfie-sto di Parada) Grazie all'attività di Parada, oggi: 300 bambini e ragazzi hanno frequentato il primo cen-tro diurno ricevendo assistenza socio- educativa; 600 bambini e ragazzi hanno ricevuto l’assistenza me-dica di primo soccorso attraverso l’ èquipe di Carava-na; 150 bambini e ragazzi sono stati integrati nelle scuole e nelle loro famiglie; 50 ragazzi sono stati reintegrati professionalmente; 85 fra bambini e ragazzi fanno parte della Compagnia del Circo di Parada ed hanno partecipato in Romania, in Francia e in Italia alla campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso queste tematiche.

Parada: mostrarsi, parare i colpi e ripartire di Alice Girardini

"I bambini di strada sono stati il mio miglior pubblico, venivano a curiosare nella mia borsa, per scoprire cosa si nascondeva. Poi sparivano ma puntualmente ricomparivano ad ogni spettacolo" (Miloud Oukili)

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Natale�oggi�…�Yasmine Zouggari

La città è avvolta da un velo di malinconia e di o-scurità, di sera per le strade non si vedono altro che gatti e a volte qualche barbone in cerca di riparo dal vento gelido. Ormai dei colori sgargianti dell' estate non resta più nulla se non le foglie autunnali. La città rispecchia perfettamente l' animo delle per-sone, infatti anche esso è vuoto e stressato dal lavo-ro e a volte nella loro mente riaffiorano i ricordi del-l' estate passata. Ma tutto ad un tratto qualcosa comincia a cambiare, la città comincia ad ornarsi di strani addobbi lucci-canti, appaiono nuovi alberi di un verde acceso e con questo anche gli sguardi delle persone comin-ciano ad illuminarsi, forse è per il bagliore delle luci o forse perchè hanno una meta da raggiungere: la festa più attesa dell' anno in cui tutte le famiglie si riuniscono, dove si dimenticano tutte le cose brutte del mondo e si aiutano i bisognosi. Tutti impa-zienti aspettano il Natale. Nell' ambito religioso il Natale è una festa prettamente cristiana: in-fatti si celebra la nascita del Messia, ossia colui che è stato mandato da Dio per salvare l'umani-tà. In questo giorno tutti i Cristiani sono soliti ad andare alla messa di mezzanotte che si fa la vigilia di Natale, non a caso è stato scelto come giorno il 25 dicembre, infatti questo giorno è il più luminoso di tutto l'inverno e quindi simbo-leggia la nascita di una nuova luce. Questa fe-sta non viene di certo dimenticata dalle altre religioni: infatti, a partire dalle quelle monotei-ste come l' Ebraismo o l' Islamismo a quelle filosofiche come il Buhddismo e fino ad arriva-re a quelle politeiste come l' Induismo, la festa del Natale non viene svalorizzata. Infatti è ri-cordata da molte di queste religioni e nei loro libri sacri, poichè quasi tutte riportano l' evento della nascita: se vi capita di andare in alcuni paesi islamici (come Marocco, Egitto o Tuni-sia), potete trovare addobbi natalizi e Presepi alle entrate delle chiese o qualche bambino che gioca con un pupazzetto di Babbo Natale. La stessa cosa la si può vedere nei paesi Asiatici. Detto ciò possiamo dire che il Natale è quasi una festa internazionale, infatti viene celebrata in molti Paesi del mondo, sia che quest'ultimi

siano cattolici sia che siano di un' altra religione, fatta eccezione per qualche paese molto conservato-re come ad esempio l'Arabia Saudita, ma ora non entriamo nel merito di altri argomenti e concentria-moci su come viene festeggiato il Natale. I simboli natalizi sono molti e alcuni di questi sono l' albero di Natale, il Presepe, la stella di Natale, il vischio e infine lo scambio dei doni. L' albero di Na-tale e il Presepe sono i due simboli più diffusi. Di solito l'albero viene addobbato il 24 dicembre, il giorno della vigilia, e viene tolto il 6 gennaio che è il giorno dell' Epifania (se non lo si fa prima porta sfortuna), ma solitamente in Italia l'albero viene ad-dobbato l' 8 dicembre, il giorno dell' Immacolata Concezione, e nello stesso giorno molte famiglie fanno il Presepe, ossia la rappresentazione del gior-no in cui è nato Gesù Bambino. Lo scambio dei do-ni, infine, contribuisce a rendere il Natale più magi-co, infatti, il regalo diventa simbolo del bene che si

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vuole verso chi lo riceve e non è di certo un modo per valorizzare il pro-prio prestigio. Un simbolo molto im-portante è anche la corona dell' av-vento: questa è stata inventata nel nord Europa, precisamente nella Ger-mania del Nord. La corona rappre-senta l' eternità mentre le candele la luce donata a tutti gli uomini. Come si è potuto notare, il Natale è una festa fantastica piena di amore, solidarietà e gioia, ma molte volte questa festa viene usata per trarne benefici economici. Quante volte è capitato di chiedersi cosa ci fanno tutte quelle luci accese, quando si passa in città presso la me-tà di novembre, ancora in pieno au-tunno. Infatti tutte quelle decorazioni appaiono fuori luogo, a Natale manca più di un mese. Vedere la città così luminosa sembra uno spreco di energia, infatti le luci restano accese tutta la notte e questa contraddi-ce ciò di cui si sente spesso parlare nei media, ossia la mancanza di fonti energetiche e inquinamento. E poi ci si lamenta dell'effetto serra che fonde i pu-pazzi di neve. Per non parlare dei grandi magazzini e dei negozi che giocano con il tema natalizio per proporre con maggior successo i loro prodotti. E che dire poi del-le loro offerte (che non hanno niente a che fare con le vere offerte se non per il nome) che attirano solo grazie alle loro vetrine luccicanti e curiose, a volte sembrano ricordarci dei regali che ci sentiamo in dovere di fare. I regali, appunto, sembrano essere un obbligo che ci fa perdere il vero significato del Natale ed assumono il valore di dimostrare all' altro non il bene che gli si vuole, ma il prestigio sociale. Così molte persone che non godono di una buona posizione economica sono costrette a fare regali al di fuori della loro por-tata. A questo punto è evidente che nel corso del tempo si è perso il significato religioso che in origine aveva il Natale. Ora però si è persa anche la tradizione, infat-ti molte persone, invece che stare a casa con il cami-netto scoppiettante e la neve fuori dalle finestre, de-cidono di lasciare l'atmosfera natalizia per mete più calde. Tra l'altro questi Paesi sapendo che sotto il periodo natalizio molti turisti vengono a visitare le loro loca-lità, ne approfittano per alzare i prezzi. Tuttavia, ol-

tre che a soffrirne i nostri portafogli, ne soffrono molto anche quelli delle popolazioni locali che soli-tamente non sono molto ricche. Il simbolo del natale commerciale, infatti, è proprio l'amato vecchietto che come tutti sanno porta i tanto attesi doni ai bambini, Babbo Natale. Lui è appunto un' invenzione pubblicitaria di una delle più grandi multinazionali, la Coca Cola che lo ha vestito dei propri colori: il bianco e il rosso. Sarebbe bello ricordarsi che il Natale va oltre l'ulti-mo videogioco o l' ultimo paio di scarpe firmate, c'è un significato più profondo che tutti noi siamo invi-tati a ricordare il giorno di Natale.

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1865: Le donne non avevano il diritto di esercitare la tutela sui propri figli, né quello di essere ammes-se ai lavori pubblici. Inoltre, per quanto riguarda i diritti politici, in Italia il dibattito era assai poco ac-ceso. Nel 1879 nasceva una delle prime associazioni femministe italiane: la Lega Promotrice degli inte-ressi femminili. Le donne d’ inizio Novecento vivevano in condizio-ni socioeconomiche di devastante disparità. Purtroppo, infatti, anche il lavoro femminile veniva difficilmente riconosciuto come tale. Riguardo l’i-struzione, solamente nel 1874 veniva consentito alle donne l’accesso ai licei ed alle università, anche se le iscrizioni femminili vennero comunque respinte fino al 1900 quando duecentocinquanta donne ini-ziavano a frequentare l’università e undicimilasette-cento licei e scuole professionali. Sfortunatamente però il titolo di studio non assicurava sempre la pos-sibilità di lavorare. Nel 1903 veniva convocato il primo Consiglio Na-zionale delle donne italiane, distinto in settori ri-guardanti diritti politici, sociali, civili ed economici. Pochi anni dopo si svolgeva il primo Congresso del-le Donne Italiane. Le risoluzioni di esso promette-vano una rigorosa applicazione sull’obbligo scola-stico, l’istituzione di casse d’assistenza e richiesta di ricoprire cariche rappresentative. Maria Montessori era una delle prime donne italiane che si appellava alle pagine del giornale “La vita” nel 1906. Durante la prima guerra mondiale, i posti di lavoro persi dagli uomini richiamati alle armi, proiettavano le donne e nei campi, e soprattutto nelle fabbriche. Malauguratamente, con la fine della guerra, le donne perdevano molti dei po-sti da pochi anni acquisiti. Arriviamo quindi al periodo del fasci-smo, dove i salari del debol sesso in car-riera divenivano la metà di quelli corri-spondenti degli uomini. Infatti durante tutto l’arco fascista, questa macchia di politica razziale limitava moltissimo le donne escludendole dai bandi di concor-

so e concedendo loro un numero di posti limitato (solamente il 10%). Finalmente nel 1945 veniva concesso loro il diritto di voto. Grande scalpore era suscitato da Angela Cingolani, prima donna nominata nel governo in carica del 19-51. Una decina di anni dopo si aprivano alle donne la carriera in magistratura e nel corpo diplomatico. Successivamente nasceva il Movimento di Libera-zione della Donna (MDL), il quale, ironia della sor-te, ammetteva tra i suoi aderenti anche uomini. Co-me notiamo, la società italiana era notevolmente cambiata e le leggi avevano sancito tale cambiamen-to. Oggi le donne sono cittadine di serie A, opposte e complementari agli uomini. Possono accedere a tut-te le professioni ed a tutti gli uffici (escluso il clero). Inoltre dovete sapere che le “nostre” trentine sosten-gono un fantastico primato: sono le più occupate d’Italia; il 58,8% lavora, questo soprattutto grazie al livello d’istruzione che è assai determinante. Infatti, le donne con un elevato titolo di studio hanno mag-giore probabilità di rimanere nel mercato lavorativo dopo la nascita dei figli. Speriamo però che questi nuovi orizzonti non per-mettano alle donne di famiglia, di dimenticare il lo-ro tradizionale impegno di madri, lasciando crescere i figli tra asili nido e baby sitter. Insomma, la mamma è sempre la mamma.

Donne�du�du�du..��controcorrente�(Zucchero)�

di Giorgia Folgheraiter

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INTERVISTA AD UN GRANDE PERSONAGGIO “ PASSATO ALLA STORIA DEL PRATI”

IL PANINARO IL PANINARO IL PANINARO IL PANINARO O PIU SEMPLICEMENTE

“QUELLO DELLE MERENDE”“QUELLO DELLE MERENDE”“QUELLO DELLE MERENDE”“QUELLO DELLE MERENDE” di Enrico Sebastiani

Lo chiamano “il paninaro”; altri preferiscono “merendero”, comunque lo vogliate chiamare lui è Aldo Marchiori ed è facile indovinare quale sia la sua atti-vità anche per chi ancora non lo sapesse. Lo troviamo sem-pre lì nello stesso posto, alla stessa ora tutti i giorni pronto a vendere ogni tipo di merenda

per accontentare tutti quelli che si accal-cano al suo banchetto. Con il sole, la pioggia, la neve o con qualsiasi calamità naturale lui c’è e ci sarà sempre al primo piano del Liceo. Eppure, anche se è ormai una persona nota nella scuola pochi sanno chi è vera-mente il PANINARO. Per questo abbia-mo colto l’occasione per rivolgergli alcu-ne domande, una mini-intervista, mini perché sono le 10.15 di sabato e come tutti sanno a quest’ora è tutto indaffarato nel preparare il suo banchetto.

Dunque… quando hai cominciato questa attività ? Attualmente sono in pensione ormai da 20 anni, sono un ex- carabiniere. Ho cominciato da 3-4 anni a fare questa attività per conto del titolare del bar che si trova davanti alle ITI, vicino ai carabinieri, non ricordo di preciso il nome. Come mai quest’idea ? A dire il vero è stato il preside a chiedere questo servizio per la scuola e così io mi sono reso disponibile. Per me è una specie di “ hobby “: lo faccio perché mi piace, dicia-mo che ho la “passione di vendere panini… ” scherzo naturalmente … vengo soprattutto perché vedo tanti stu-denti che ormai conosco, mi piace l’ambiente e mi sono abituato. Ovviamente ci sarà anche un motivo economico ? Diciamo di no . Bisogna tenere conto che i panini e tutte le altre merende mi vengono forniti dal bar. Io faccio solo da venditore ma il ricavato va quasi tutto al bar e a me non più di pochi euro giornalmente, giusto per la me-renda di metà mattina… (scherzosamente) Comunque resta un lavoro impegnativo … come ti organizzi ??

“Non è assolutamente impegnativo !!!” … questo è quel-lo che molti potrebbero pensare ma non è così. In realtà il mio lavoro richiede un certo impegno: non inizia alle 10.35 e finisce 10.50 come pensate. Il mio lavoro inizia alle 8.00 quando vado al bar a ritirare tutto quello che devo vendere. Arrivato a scuola prima vado in succur-sale per distribuire le merende al cambio dell’ora (perché ovviamente non posso stare in 2 posti contem-poraneamente alla ricreazione), subito dopo vado in se-de e lì preparo il mio “banchetto” (2 banchi rubati da una classe e una cassa per i soldi in pessime condizioni). Molte merende come le patatine le tengo in un armadio personale a scuola per non portarmele avanti e indietro tutti i giorni, altre come i panini le porto ogni giorno dal bar. Preparo tutto e per le 10.35 sono pronto a vendere e a incassare (soprattutto!!) . Alle 10.50 me la svigno… Cosa vendi e soprattutto cosa sai dirci riguardo ai prezzi ? Vendo un po’ di tutto, tutto quello che può stare su que-sti 2 banchi: ogni tipo di dolciume dalle caramelle e stu-pidaggini varie (sempre molto apprezzate) ai panini, alle volte anche brioches. Dipende tutto dal bar. A volte ci sono delle novità l’anno scorso, per esempio, se ricor-

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I N T E R V I S T A

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date avevo iniziato a vendere anche gli hot-dogs che alle 10 e mezza erano già freddi… non avevano avuto tanto successo, ma non ne dubitavo, d’altronde chi ha voglia a metà mattina di mangiare un hot- dog?? Molto successo avevano avuto le pizze fredde, quelle venivano 2 euro l’una. Quest’anno devo dire che effettivamente non c’è una vasta scelta, ma vedo che hanno riscosso un gran-dissimo successo le patatine.

Per quanto riguarda i prezzi, bè non li ho decisi io , sono stati concordati tra il preside e il proprietario del bar… comunque, a differenza di quello che si dice, non sono affatto cari, se andate in panificio e chiedete un panino state tranquilli che ve lo fanno pagare ! Sconti?? Neanche per idea forse un mini-sconto a Natale … molto mini… Non hai paura della concorrenza delle macchinette ?? Eh eh … ma perché dovrei ?? non ho affatto paura, è vero che alcune merende hanno prezzi più concorrenziali ma volete mettere il mio servizio con quello di una mac-chinetta?? La macchinetta esegue istruzioni e a volte manco ti dà il resto o la merenda si incastra, io almeno vi saluto in un modo diverso da “Inserisci le monete” e soprattutto non imbroglio… voglio dire: hanno inventato anche la macchinetta che ti fa le pizze, ma io vado in pizzeria se voglio mangiarmene una. Ecco perché non bisogna andare alla macchinetta anche se costa 10 cent in meno!!! Uno slogan finale ??

Non andare alla macchinetta Vai da Lui che ti aspetta

Tutti i giorni sta al primo piano Viva Aldo il paninaro !!

Moda

di Gaia Manzin

Mi sembra inutile informarvi che sta arrivando il Na-tale, dato che anche i più distratti avranno notato gli alberi decorati, comparsi come per magia negli austeri corridoi, o l’atmosfera festosa che aleggia nelle aule. Per prepararvi psicologicamente al Grande Momento della Liberazione (detto anche il GML), abbiamo de-ciso di concentrare questo articolo sulle abitudini nata-lizie dei giovani prataioli. Cominciamo con la classica letterina a Babbo Natale, scritta naturalmente in latino. I più viziati reclamano il dizionario più fashion, i più originali dei fogli di pro-tocollo con intestazione personalizzata, mentre gli altri chiedono semplicemente una scorta a vita di penne e qualche quaderno della Monocromo (rigorosamente grigio). Sotto un persuasivo bicchierozzo di cabernet per “Babbo”, si mette pure una tabella con i voti del primo quadrimestre, mentre i più zelanti fanno anche la me-dia. Qualche settimana prima del GML, quasi tutti prepa-rano con maestria dei festoni, usando come materia prima le brutte copie delle versioni di greco. Quelle veramente brutte vanno invece ad alimentare la stufa accesa. Alla vigilia di Natale le famiglie si ritrovano commos-se davanti al presepe cantando le carole natalizie. A mezzanotte avviene “die Bescherung” ed ogni studen-te scarta lieto il suo bravo regalo, promettendo di esse-re ancora più diligente nel quadrimestre successivo. Buon Natale a tutti! P.S.: guai a chi studia troppo.

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Odiate�Letture�di Marcello Calogero

I giovani e i progetti di vita. 'Più di questo non saprei proprio cosa fare! ho fatto TUTTO quello che potevo! ma tanto è inutile:non è col-pa mia, ho sempre fallito e sempre fallirò'. La pretesa più assurda sta in questo presuntuosissimo 'TUTTO'. Quanti hanno veramente sacrificato tutto il loro tempo, anche quello dell'amore, per poter realizzare il proprio progetto? Quanti sono arrivati a non avere più una vita privata in nome della propria ambizione? Quanti hanno rifiutato la propria famiglia e sono rimasti soli pur di non venire ostacolati nella strada verso il suc-cesso ? Si obietterà che nessuno accetterebbe di annientare in questo modo se stesso, neanche in nome del più spasima-to sogno: il gioco non varrebbe la candela. Nessuno? Eppure qualcuno c'è stato. A scuola lo studio delle diverse discipline è in gran parte basato sull'analisi delle testimonianze di coloro che, per la loro genialità in quel determinato campo, hanno fatto la Storia di quella particolare materia: l'indice della mag-gior parte dei nostri libri di testo altro non è che un elen-co di nomi di scrittori, filosofi, poeti o pittori: di questi è importante conoscere opere, pensiero e innovazioni da loro introdotte, mentre uno dei paragrafi più ignorati (un po' perchè non è richiesto dagli insegnanti o un po' per pura noia) è forse quello intitolato -in maniera non poco riduttiva- "vita". Effettivamente la biografia di un autore non è sempre rilevante ai fini della sua comprensione o quantomeno la conoscenza dei minimi particolari è da considerarsi su-perflua. Tuttavia anche con una lettura approfondita di queste sezioni piene di date e avvenimenti ciò su cui tra-lasciamo di porre la nostra attenzione è proprio...ciò che non c'è scritto. Ossia: aldilà dei lutti ( il cui numero sem-bra essere direttamente proporzionale al genio di chi ne fa esperienza, trovate?), degli spostamenti, delle pubbli-cazioni, quali sono stati i sacrifici e i compromessi che queste "persone" ( di rado considerate in quanto tali) hanno dovuto accettare in nome del successo? Molti di loro hanno rinunciato a una grossa parte della loro vita, altri sono addirittura morti prima che il loro talento venisse riconosciuto. Sono tutti importanti allo stesso modo, resi immortali dal loro genio, ma in questa folla di anime celebri si trova qualcuno il cui sacrificio fu particolare: disprezzabile per gli altruisti, ammirato dagli ambiziosi. Qualcuno che decise di dedicare tutto il suo tempo alla ricerca della gloria e del riconoscimento proveniente dal-

l'esterno. Qualcuno che più di tutto temeva coloro che sapeva esse-re più abili di lui. Qualcuno che arrivò a tranciare a metà il proprio "io", a dividersi fra un'immagine di se stesso da dare al "pubblico" e la propria sfera sentimentale, utilizzando per l'una e per l'altra due lingue differenti. Dove "due lingue" non è una metafora. Sì, perchè Francesco, intorno al 1320, poco più che ado-lescente, stava già imparando autonomamente il latino di Cicerone e di Seneca dai libri che suo padre gli regala-va : questo ragazzino era destinato a diventare il fondato-re della lirica moderna, le cui poesie sarebbero state pre-se a modello praticamente da tutti gli autori italiani -e non solo- che si cimentarono in sonetti fino al 1800 e forse anche oltre. Francesco scrisse la prima elegia in latino dopo la morte di sua madre dopodichè cominciò a intessere una fitta rete di rapporti con gli uomini colti che conosceva, man-tendendo con questi fitti rapporti epistolari. Questi messaggi indirizzati in tutta europa nascono come vere e proprie opere letterarie, corrette, rifinite, modifica-te anche dopo essere state spedite, perfino a distanza di molti anni! E questa revisione maniacale non testimonia solo la ricerca della perfezione formale assoluta, ma è anche sintomo di un modo di agire piuttosto inquietante: nelle sue lettere Francesco presentava la propria vita co-me un esempio morale da seguire, un modello a cui chiunque avrebbe potuto ispirarsi. Leggendole si ha la netta sensazione che colui che scrive tenti di costruire un'immagine di sè impeccabile, inattaccabile sotto tutti i punti di vista e che contemporaneamente questa 'impalcatura' serva a nascondere qualcos'altro. Ancora una volta per scoprire ciò che si cela sotto le parole sia-mo costretti a leggere ciò che non c'è scritto:possibile che in più di 500 lettere Francesco taccia sistematicamente quell'unico sentimento che è comune in tutti gli uomini? Nelle epistole non si trova traccia dell'evento più scon-volgente dell'intera vita dell'autore, nemmeno una riga su quel giorno, quella data i cui anniversari scandirono il tempo di Francesco decennio dopo decennio fino alla sua morte. Il 6 aprile 1327, in chiesa, Francesco vide una donna che sarebbe diventata il centro di gravità del resto dellla sua esistenza e rimase senza parole. Letteralmente. Una mano che aveva dato origine alla prosa latina più brillante del panorama europeo del 1300 si era improv-visamente bloccata a un centimetro dal foglio. Una esplosione di dimensioni colossali stava sconvol-gendo l'anima di Francesco ed egli non poteva esprimer-si. O meglio non voleva.

Storia

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Bisogna considerare che egli si trovava in un epoca in cui ad un testo, per essere considerato coerente, veniva richiesta una precisa corrispondenza tra forma e contenu-to, sulla scia del "plurilinguismo" ( il termine è del gran-de Gianfranco Contini) in virtù del quale Dante (si pensi che Francesco sentì sempre il peso di un così grande pre-decessore, probabilmente nel timore che la gloria del sommo poeta potesse oscurare il suo genio) arrivò ad usare le parole di livello più basso ("puttaneggiar", "cul" , "merdoso") per la descrizione delle malebolge e i termini più aulici per la rosa dei beati nel Paradiso. Mettere in versi ciò che provava in quel momento usan-do il latino avrebbe significato da una parte tentare pa-radossalmente di nobilitare qualcosa che agli occhi di Francesco di nobile non aveva nulla, dall'altra fare crol-lare quell'immagine di perfezione morale che aveva fatto conoscere al suo mondo di intellettuali e che ora veniva messa in discussione da un amore mondano e peccami-noso. Così Francesco si vide costretto ad usare la lingua volga-re per dedicare delle poesia a quella donna che gli cau-sava così tanto dolore mentre desideri opposti e contra-stanti continuavano a combattere dentro di lui, facendo della sua anima un campo di battaglia ridotto in mille

"brandelli". In una situazione contraddittoria ogni rifles-sione non può che nascere come isolata, autonoma, indi-pendente dalle altre, sorda a ciò che gli altri pensieri ten-tano di obiettare. Ciascuna poesia ha origine da un im-pulso ogni volta diverso ed è l'espressione solo di un lato della mente di chi scrive, un "lacerto" esprimente l'emo-zione di un particolare momento. "Brandelli", "lacerti" o meglio..."fragmenta". Ed ecco che nel Canzoniere ( il cui titolo originario è proprio " Francisci Petrarche laureati poete rerum vulga-rium fragmenta") un giorno Laura è la più affascinante delle donne, quello dopo è la gelida personificazione del narcisismo e quello dopo ancora il poeta sembra dimenti-carsene per trattare argomenti del tutto differenti. Anno dopo anno Francesco andava componendo, modificando, riscrivendo poesie d'amore e (fatto più rilevante) ne cam-biava l'ordine continuamente, dando vita ad un diario, il racconto autobiografico di una passione: come non vede-re in questo un disperato e ossessivo tentativo di mettere ordine nella propria anima, di trovare un senso ad una sofferenza, di incollare nuovamente le innumerevoli schegge di una psiche scissa in mille contraddizioni?

H�I�S�T�O�R�I�E�di Lukas Schuelmers

Storia

I più grandi condottieri che la storia antica può annoverare sono molti, ma non tutti riuscirono a creare un impero ed opere gigantesche,che tuttora riteniamo stupefacenti ed incredibili per tecniche e tempi di costruzione impiegate. Infatti solo pochi fra loro ebbero forza ed auda-cia, ma soprattutto si trovarono nel-le condizioni ideali, tanto da essere definiti “Magni” o addirittura esser divinizzati per le loro abilità strate-gico/militari e carismatiche; ma la cosa più sorprendente è che ognuno di essi non venne solamente ricor-dato per queste cose, ma anche co-me figure eccelse dalle quali biso-gnasse prendere spunto. Le tre figu-re che, secondo mio avviso, debbo-no essere menzionate per quanto sopra esposto, sono: Alessandro il macedone (356-323a.C.), Annibale Barca (247-182a.C.) e Gaio Giulio Cesare (100-44 a.C.). Alessandro il macedone fu senza ombra di dubbio il più grande conquistatore che la storia abbia mai avuto. A vent’anni si ritrovò erede di un regno che comprendeva

gran parte del mondo civiliz-zato. Per prima cosa si mobi-litò a sedare quelle città che gli erano ostili, (vedi Tebe 335 a.C.), per poi sbarcare in Asia l’anno seguente e met-tere in atto quella gran cam-pagna che il padre Filippo avrebbe voluto intraprende-re. Ben presto l’esercito ma-cedone si rivelò una vera e propria macchina bellica, tanto che le megalopoli per-siane quali Sardi, Mileto, Tarso, Babilonia e tute le cosiddette “città d’o-ro”caddero una dopo l’altra ai suoi piedi. Sbaragliò uno dopo l’altro tutti i suoi av-versari, tra cui il gran re di Persia Dario nelle celebri battaglie di Isso (333 a.C.) e di Gaugamela (331 a.C) e, per mostrare la propria gran-

dezza, conquistò la città di Tiro,che si ergeva sulla omo-nima isola, facendo costruire una immensa passerella che la collegava alla terra ferma, utilizzando anche per primo

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armi da assedio quali la catapulta e le baliste da lancio. Queste gli servirono per creare delle breccie nelle mura della città. Fu fondatore di numerose città molte delle quali portavano il suo nome: la più celebre è Alessandria d'Egitto;e fu proprio in quell'occasione, durante la spedi-zione in Egitto, che visitò il celebre oracolo di Siwah, la quale pizia lo identificò quale figlio di Osiride (Osiride nel Pantheon greco è il corrispettivo di Zeus) e quindi di natura divina; la qual cosa servì ad accrescere ancor più la sua fama agli occhi del mondo. Anche dopo la sua morte, che è ancor oggi oggetto di studio (vedi anche "La tomba di Alessandro" di Valerio Massimo Manfre-di),venne stimato ed apprezzato talmente tanto, che tutti i grandi condottieri da Cesare a Settimio Severo andarono a porgere omaggio al suo corpo imbalsamato. Anche Giulio Cesare ebbe un destino simile a quello del suo predecessore macedone: infatti anche lui andò sotto le alrmi a vent'anni, prestando servizio come luogotenen-te in Asia Minore, e fin da subito si dimostrò un abile combattente, tanto che prese la corona civica in onore della conquista di Mitilene (80a.C.) (Svet "vita dei cesa-ri" ceas II). Già nel 78a.C.lo troviamo a ricoprire il ruolo di pontefice massimo e, da quel momento incominciò la sua salita al corsus honorum, tanto che acquisita la carica di pretore sedò alcune rivolte scoppiate per mano dei Lu-sitani in Spagna meridionale. Nel 60 ottenne il consolato con l'appoggio dei suoi compagni di giuramento Pompeo e Crasso (primo triunvirato), per poi arrivare a rivestire la carica di proconsole in Gallia per ben 6 anni; è qui che ebbe le sue maggiori soddisfazioni dal punto di vista mi-litare, conquistando una dopo l'altra le popolazioni che abitavano i territori dell'attuale Belgio e Francia, dando modo alle sue truppe di addestrasi e provarsi nei combat-timenti, creando un vero e proprio esercito di veterani. Nei suoi "commentari" descrive la costruzione di un pon-te sul fiume Reno, "visto che un passaggio su navi non era decoroso per lui ed il popolo romano"(Caes IV "De Bello Gallico" 17.3), che consentì "in non meno di 10 giorni" il transito all'esercito proconsolare. Ma la più grande opera militare che equivalse alla "passerella" di Alessandro fu il doppio avvallamento, che allo stesso tempo assediava da un lato e dall'altro difendeva il presi-dio ad Alesia, e tutto il sistema di trappole, fossati e colli-nette circostante (Caes "De Bello Gallico" VII). Dopo il trionfo su Vercingetorige nel 49 il senato sotto il consi-glio di Pompeo impose a Cesare di abbandonare il co-mando delle truppe; e da quel momento Cesare,con l'atto simbolico del passaggio del Rubicone "Alea Iacta Est", sancì l'avvio delle guerre civili. La sconfitta della repub-blica si verificò con la battaglia di Farsalo,la consegna della testa di Pompeo da parte di Tolomeo a Cesare (48a.C) e la definitiva sconfitta senatoria a Munda (45a.C.). Come tutti sanno, Cesare dopo esser stato nomi-nato dittatore a vita e ricevute onorificenze divine tali quelle di Alessandro, alle Idi di Marzo del 44a.C.fu preda di un'imboscata, nella curia del senato, da parte di coloro che aveva graziato nelle guerre civili. Al corpo di Cesare

venne comunque riservata una nobile cerimonia funebre nel foro ed annoverato nella cerchia degli dei. Per Annibale Bar-ca, il discorso di analisi è ben di-verso, poichè, non fu nè proclamato "Magno", nè fu collocato nella cerchia degli dei, ma tuttavia, secon-do il mio punto di vista è obbligato-rio annoverarlo tra i grandi generali del mondo antico, non tanto per i meriti ricevuti dal popolo o dalla propria città ma per il grande inge-gno strategico che ebbe. Sappiamo che fin da tenera età accompagnò il padre Amilcare nella sua campa-gna in Iberia, aiu-tandolo nel consolidamento della regione, ma non prima di aver giurato sull'altare di Baal il proprio odio eterno nei confronti dei romani, atto che secondo il poema epico di Silio Italico,accompagnava la famiglia dei Barca, poi-chè era stata scelta dalla dea Giunone per provar il ranco-re di Didone: infatti Annibale viene propriamente descrit-to "Egli ardeva per sete di sangue umano fin nel profondo delle midolla". Annibale dopo la morte del padre, dovuta ad un'imboscata tesagli nell'attraversamento di un fiume , rimase per ben 7 anni sotto la guida dello zio Asdrubale detto "il bello" fino a quando fu assassinato inspiegabil-mente; da quel momento Annibale venne riconosciuto come il "pater familias" dei Barca, diventando il naturale successore delle mire di conquista della famiglia, cosi l'esercito ed il consiglio degli anziani (organo simile al senato romano) lo riconobbero quale tale. Subito dopo questo riconoscimento, iniziò la campagna militare con-tro i romani assediando per prima cosa Sagunto, unica città alleata ai romani nei territori cartaginesi, per poi attraversare con un immenso ponte di barche l'Ebro, rem-pite con terra e ciottoli per non far imbizzarrire gli elefan-ti che erano a seguito della propria armata (Livio XXI 27). Fu un'impresa colossale vista la suscettibilità degli elefanti. Alleatisi con i galli Senoni, Boi ed altre tribù minori Annibale non volendo rischiare di essere sconfitto via mare, decise di valicare le Alpi, per avere un effetto sorpresa sul nemico. Durante la marcia perse un'ingente quantità di uomini (Annibale partì dalla spagna alla testa di 50.000 uomini e 9.000 cavalieri per poi arrivare in Ita-

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lia con 42.000, poichè alcuni disertarono ed altri moriro-no a causa del freddo), e quasi la totalità degli elefanti (da 37 a 14). Sceso in Italia sconfisse le legioni consolari di Scipione Maior, Sempronio e Caio Flaminio nelle celebri battaglie del Ticino Trebbia e Trasimeno, rispettivamente nel 218 e nel 217a.C., aiutato dalle popolazioni galliche schieratesi nelle fila del suo esercito. Dopo qualche anno passato a cercar di aggraziarsi le popolazioni italiche, acquisì il più grande successo della sua vita: la battaglia di Cannae, dove alla testa di soli 24.000 uomini (una buo-na parte dell'esercito cartaginese venne decimata dalle rappresaglie di Quinto Fabio Massimo, detto il "cunctator") riuscì a sbaragliare un esercito romano, che contava, secondo le fonti storiche, ben 80.000 uomini. Dopo che si conobbe tale sconfitta presso i romani, il terrore si sparse in tutta l'Urbe, tanto che venne nominato proconsole un giovane Scipione (in seguito ricordato co-me l'africano) col fine di isolare Annibale dal resto della famiglia, che era in Spagna per organizzare i rifornimenti ed un'eventuale via di fuga,(Visto che Cartagine non si sbilanciava a fornirgli aiuti poichè intimorita da una pos-sibile sconfitta). Come sperato dal senato, Publio sconfis-se i due dei fratelli Barca in Iberia, conquistando così la penisola e la capitale Cartago Nova, mentre Claudio Ne-rone sconfisse Asdrubale facendone recapitare la testa al generale cartaginese. Successivamente, Scipione appro-fittando del momento e dello stallo di Annibale nella sua campagna in Italia, riarruolò le legioni che erano in Sici-lia (erano i residui delle legioni che avevano perso nelle 4 battaglie contro il generale cartaginese, e quindi esperte nel modo di combattere che adottava il Barcide), e dopo essersi affrettato nel far costruire una flotta, si diresse in Africa per portar via dall'Italia il nemico. La seconda guerra punica terminò con la sconfitta di Annibale a Za-ma (202a.C.).La ripercussione su Annibale, dopo l'incari-co di suffeta appositamente ottenuto per trattare i termini della resa, fu l'esilio dalla madre patria. Annibale dopo molti anni passati alla stregua di un reietto si suicidò nel 182a.C.(stranamente anche l'unico uomo in grado di sconfiggerlo, Scipione, morì nello stesso anno ripudiando la patria che salvò dal più temibile dei nemici, dicendo: "O ingrata patria non avrai le mie ossa") per non finire nelle mani dei suoi infidi nemici, i romani. Dopo questo breve riassunto sulla vita,le grandi battaglie e le epiche opere di tali condottieri, passiamo al nocciolo della mia e-sposizione, porgendovi questa domanda: chi tra loro avrebbe prevalso sull'altro in battaglia? Ipotizziamo che questi tre eserciti si fossero trovati uno difronte

all'altro ed avessero utilizzato le tattiche militari narrateci dagli storici dell'epoca. Sicuramente Alessandro poteva contare su due fattori dal-la sua parte: la falange macedone e la temutissima cavalle-ria reale capace di mettere in rotta qualsiasi tipo di unità. Probabilmente se il suo esercito avesse l'opportunità di fare un combattimento frontale contro un altro esercito ordinario, vincerebbe senz'ombra di dubbio, adottando l'usuale tattica alessandrina: la falange schierata al centro impegnando il nemico, impedendogli di vedere l'aggirare della cavalleria che, successivamente avrebbe premuto il nemico da dietro opprimendolo su 2 lati ed arrivando ad una rapida vittoria. In una battaglia contro le legioni di Cesare, invece, adde-strate rigorosamente e capaci di cambiare velocemente l'assetto e la disposizione delle schiere, questa tattica si sarebbe dimostrata infruttuosa e controproducente. Cesare infatti era assistito da un seguito che informava rapida-mente le mosse da eseguire alle legioni servendosi di trombe. Inoltre le legioni romane infiltravano tra le prime linee gruppi scelti di veliti che servivano sia ad eliminare la falange sia gli elefanti. Anche contro un esercito alla testa di Annibale il figlio di Zeus avrebbe avuto la peggio; infatti il generale cartaginese avrebbe schierato come di consueto, gli elefanti in prima linea, creando scompiglio e frammentazioni nella falange (e si sà una falange che vie-ne frammentata non ha più quell'efficacia difensiva ed offensiva che ha solitamente da compatta), quindi sareb-bero succeduti gli attacchi della legione sacra (unità com-poste esclusivamente dai più forti nobili cartaginesi) deva-stando così la fanteria macedone; anche la cavalleria reale non funzionerebbe come dovuto, poichè si sarebbe ritro-vata di fronte una cavalleria numida capace di eguagliarla. Alessandro dunque avrebbe perso sia contro un esercito cesariano sia contro uno barcide. Uno scontro frontale fra Cesare ed Annibale durerebbe moltissimo, visto che en-trambi i generali erano due strateghi capaci di prevedere le mosse dell'altro e dunque vanificarle pianificando nell'im-mediato un controattacco. Tuttavia l'esercito di Cesare rimarrebbe incalzato dal genio militare di Annibale, poi-chè il cartaginese approfittando della polvere generata dagli elefanti nella carica e dalle manovre controffensive

romane, rinforzerebbe le ali spostando li i suoi veterani, facendo credere al nemico di sfonda-re il centro, per poi accerchiarlo comprimerlo e sagittarlo (tattica adottata da Annibale a Can-ne). Per tali ragioni penso che lo stratega il quale prevarrebbe su tutti sia Annibale Barca. FONTI UTILIZZATE: Arriano "Anabasi di Alessandro" Cesare "De bello Gallico" "De bello Civili" Livio "Storia di Roma libri XXI-XXIII" Plutarco "Vite parallele Alessandro- Cesare" Svetonio "Vite dei Cesari" Silio Italico "Le guerre puniche" Valerio Massimo Manfredi "La tomba di Alessandro" Gianni Granzotto "Annibale"

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Nevica!! Oggi ha nevicato tutta la mattina e buona parte del po-meriggio. La neve qui è così di-versa da quella trentina. Assomiglia di più al pongo, la pasta da mo-dellare, avete presente? Ha una consistenza di-versa. È bellissima. Sono andata in giardino con le mie sorelline e mi sono distesa per ter-ra e sono rimasta dieci minuti a fissare il cielo e a mangiarmi la neve con gli occhi. Abbiamo fatto a palle di neve e costruito una specie di pappagallo di neve che Kat ha chia-mato Jack Frost. E abbiamo decorato l’albero - anche le decorazioni sono diverse, sembrano uscite da un tipico film americano di Natale di quelli che la mediaset manda in onda in dicembre - e messo le lucine sulla facciata della casa. Le vedo dalla mia fine-stra di notte. Sono di una poesia incredibile. Fa freddo, decisamente freddo, tanto freddo, ma ad esse-re sincera ormai ci ho fatto l’abitudine. Alcune giapponesi sfidano ancora il fato andando a scuola con gli short. Mi vengono i geloni solo a guardar-le. Tra l’altro ultimamente sono stata a scuola per sette o otto ore filate, viste tutte le prove che ho fatto per le per-formance imminenti. Già, l’otto e il nove dicembre sono di nuovo salita sul palco, martedì recitando una scena e mercoledì con una rappresentazione breve scritta e diretta da me. Ero mol-to, molto più preoccupata e concentrata sulla seconda che sulla prima. È successo di tutto - commenti terribili da parte della prof, momenti miei di depressione nera, e poi un caos relazionale con uno dei miei attori, un sacco di tagli di copione, le luci tutte da cambiare… alla fine però la rappresentazione serale è andata proprio bene. Era la prima volta che dirigevo uno spettacolo e ne os-servavo lo svolgimento. Non mi sono neppure resa con-to del tempo che passava, tant’ero assorbita dalla scena. Quando le luci si sono spente alla fine, mi è sembrato di

aver trattenuto il fiato per tutta la durata dello spettaco-lo. Sono orgogliosa dei miei attori, così come sono or-gogliosa della rosa rossa che ho ricevuto dopo la messa

in scena, degli applausi e dei commenti entu-siasti. Sì, ne sono davvero fiera. Quante volte ho avuto voglia di dimostrare chi ero - tra le mura del Prati, ad e-sempio, quante maledette volte - e ora l’ho fatto, lo sto facendo. È merav ig l i oso . Auguro con tutto il mio cuore a chiunque stia leggendo queste parole di avere

dei momenti come quelli che ho vissuto io, prima o poi. Ma quanti dolci mangiano qui!? Omini di marzapane, biscotti, marshmallows, cioccolate calde da tutte le parti, ciambelle, pancakes, pies, cialde, sciroppo (il mio prefe-rito è quello di raspberry)… si fanno delle mega colazio-ni - la mia host sister di sette anni si mangia un paio di uova con un toast imburrato e un sacco di bacon. Pazze-sco!!! Be’, non sembra male, ma io una colazione così ancora non sono riuscita a farla. La mattina mi viene vo-glia di cose dolci, e alla vista del bacon grondante di grasso mi viene un po’ la nausea. I marshmallows nella cioccolata però sono buonissimi. Penso di non avervi ancora detto che qui quando attra-versi la strada ci sono i secondi contati. In tutti i sensi. Praticamente quando compare il verde, sul semaforo scatta un conto alla rovescia elettronico. C’è un display con i secondi che hai a disposizione per attraversare. Di solito sono venti, più comunemente quindici. Be’, fate-melo dire, questi nord americani sono organizzatissimi! A volte mi capita di “realizzare” il fatto di essere in Ca-nada. Ormai è diventato talmente normale per me fare certe cose, da prendere il bus alla mattina a pranzare alle undi-ci e mezza a imburrare il pane, tutto ormai rientra così profondamente nella mia vita che mi dimentico sempre che questa non è la vita in cui sono cresciuta. Mantengo

Marty, Live from BurnabyMarty, Live from BurnabyMarty, Live from BurnabyMarty, Live from Burnaby Parte terza Parte terza Parte terza Parte terza

di Martina Folena (in trasferta)

Viaggi

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sempre certe abitudini italiane, ma sento questa casa come la mia casa. Ogni tanto realizzo il fatto di essere così lontana dalla mia “vera” casa, di non abbracciare mia madre da quattro mesi, di non tradurre una versione di gre-co da giugno (…have mercy of me) e di pensare in inglese per il 60% della giornata. A volte mi viene addirittura più facile parlare in inglese che in italia-no.

Allora realizzo quante cose abbia fatto da quanto sono arrivata qui, quanto sia cresciuta, forse cam-biata.

Di brutti momenti ne ho avuti, di tristezza e mal di cuore anche - ma quello è perché ho sedici anni, starei così anche se fossi in Italia, è nella mia crea-tura, cercare sempre un motivo per stare male, che ci volete fare, sono scema, ecco. Le difficoltà vere, quelle legate all’anno all’estero, sono state compli-cate da superare, ma non vi immaginate la soddisfa-zione di poter dire di averle distrutte.

Sono felice di essere qui. Vale la pena stare male all’inizio, soffrire la nostalgia e la fatica, se poi rice-vi delle soddisfazioni tali. A volte mi rendo conto che sto facendo tutto questo e mi spavento quasi. Mi sembra ieri che andavo in quinta ginnasio e la mia amica Fucsia faceva il semestre in Costa Rica e io pensavo “accidenti, lei sì che è una grande. Ma-gari anche io lo faccio, il semestre all’estero…”.

Il tempo è una cosa bizzarra, ma in fondo meravi-gliosa. È crudele solo se non sappiamo sfruttarla. Succhiare il midollo della vita, diceva un poeta. Magari con un po’ di sciroppo d’acero sopra.

The Bastard

sons of Dioniso

Di Matteo Rivi

Noi conosciamo i cosid-detti “tbsod” da quando hanno fatto il loro debutto ad “X Factor “, la popola-re trasmissione in onda su Rai 2, ma in realta i “The bastard sons of Dioniso” erano già un gruppo musi-cale collaudato. Infatti i tre componenti della band suonano sin dall’infanzia e la loro storia nasce dalla grande amicizia che li lega, dalla voglia di fare musica assieme e soprattutto di esprimere ciò che loro sono con un’autenticità ed una semplicità che non si riscon-trano facilmente al giorno d’oggi, specialmente in un am-biente come quello della discografia dove l’importante è vendere. L’attesa è finalmente finita: i rockers made in Trentino sono usciti con il loro nuovo cd “In stasi perpetua” e il mese scor-so è iniziato anche il loro primo tour italiano. I giovani artisti quest’ estate sono rimasti nell’ ombra, lonta-ni dalle scene musicali per cavalcare l’onda del loro primo album (L’ amor carnale ) e incidere il loro vero disco d’e-sordio da professionisti assieme al loro mentore musicale Gaudì, loro vocal coach a ” x Factor”. Il loro nuovo lavoro è una raccolta di canzoni già pubblicate a partire da 2003 a oggi e molti brani inediti , sette in italia-no e quattro in inglese per un totale di undici pezzi .Il singo-lo di lancio del cd è “Mi par che per adesso”, che è stato scelto come cavallo di battaglia perché è la canzone che rap-presenta al meglio lo spirito degli artisti e dell’ album stesso. Anche la grafica della copertina è molto originale, vi trovia-mo infatti la fotografia di uno dei loro migliori amici e la location del video e molte altre immagini di copertina sono state scattate in una cava di porfido della Valsugana . Io credo che questi ragazzi abbiano il meritato successo per-ché rappresentano i nostri sogni, quello ad esempio di suona-

re in una band e di suonare canzoni scritte da noi. Il fatto che loro ce l’abbiano fatta a porsi all’attenzione di un pub-blico più ampio è per tutti i musicisti giovani ed appas-sionati uno stimolo a non mollare mai, a non scorag-giarsi, a non cedere alle ten-tazioni musicali commercia-li, ma a fare una musica au-tenticamente nostra. Il giorno dell’esordio l’album in Trentino ha venduto più di quello di Sting. Ma perché non propongono una data a Trento con una disponibilità di accesso molto più ampia rispetto ai due concerti in provincia? Speriamo!

Musica

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Gli ultimi anni hanno visto l’entrata in scena dell’Itas Diatec Trentino sul palcoscenico della pallavolo a li-vello internazionale. In serie A1 dal 2000, questa squadra non ottiene gran-di risultati fino al 2007, quando l’arrivo di alcune im-

portanti figure sembra dare una svolta alla sua storia. Primo fra tutti il coach bulgaro Radostin Stojčev, con alle spalle già importanti vittorie in Bulgaria e in Rus-sia. Poi l’assistant coach Sergio Busato, e i numerosi nuovi acquisti che si riveleranno veri e propri fenome-ni, come Michał Winiarski, Matey Kaziyski, Emanue-le Birarelli e Nikola Grbic. Poco tempo dopo, il 7 maggio 2008 spetta proprio al capitano Nikola Grbic l’onore di alzare al cielo la cop-pa di Campioni d’Italia, strappata alla Copra Nor-dmeccanica Piacenza dopo un sudato 3–0. Alla finale assistono più di 4.000 tifosi, che dai primi inizi nel 2000 aumentano ad ogni vittoria. E’ proprio grazie a queste vittorie che la pallavolo prende piede in Trentino, suscitando interesse e curio-sità e conquistando tifosi sempre più appassionati. La loro fedeltà viene dimostrata nell’aprile 2009, quando l’Itas arriva ai quarti di finale nel campionato europeo. Il pullman che li deve portare in trasferta a Praga si ritro-va seguito da ben altri otto mezzi, pieni di fan che non hanno voluto rinunciare a sostenere i loro eroi. E le loro aspettative non vengono deluse: dopo aver battuto il Mace-rata in semifinale, il 5 aprile 2009 scendono in campo contro i finali-sti greci dell’Iraklis Salonicco, sconfiggendoli per 3-1.

E’ la realizzazione di un sogno: in soli due anni sono riusciti a conquistare l’Italia e l’Europa. Lo stesso anno però perdono la finale di scudetto con-tro Piacenza per soli due punti. L’inizio del campionato 2009/2010 vede schierata una formazione che ha subìto diversi cambiamenti. Radostin Stojčev rinnova il contratto con la Trentino Volley fino al 2014, ma due tra le figure più presenti in campo, Michał Winiarski e Nikola Grbic, cambiano società. La loro assenza viene riempita da nuovi elementi, co-me il cubano Osmany Juantorena, a cui viene final-mente concesso da Cuba il nulla osta per giocare, il palleggiatore Raphael de Oliveira, e ancora Gallosti, Sala, Corsini, Herpe, Sokolov e il giovane Fedrizzi. E’ quindi una squadra tutta nuova quella che si pre-senta al Club World Cup di Doha (in Qatar), che ha avuto luogo dal 3 all'8 novembre di quest'anno. E nonostante tutto, resta lo spirito combattivo che con-traddistingue questa società e che la porta a vincere, di nuovo, e ad alzare stavolta la coppa del mondo in quella storica domenica dell'8 novembre, sotto lo sguardo incredulo di quel gruppo di supporters che é riusciti a partire addirittura per il Qatar e delle centi-naia di tifosi che li seguivano a distanza. Perché il bel-lo di questa squadra, oltre alle grandissime vittorie, é il tifo da cui é supportata: centinaia di persone che si ritrovano tutte le domeniche alle sei davanti all'entrata del Palatrento, che mettono il cuore per sostenere i loro ragazzi fino alla fine, anche quando la partita sembra ormai persa; persone che fanno file lunghissi-me per conquistarsi un biglietto delle finali, e che sono disposti a svegliarsi all'una di notte per poter seguire la propria squadra e vedere i colori gialloblu sopra il cie-lo di Praga (come noi il 4 aprile); persone che si sono iscritte a centinaia di siti e sintonizzate alla radio per poter vedere o sentire stralci delle partite del mondiale

(che nessun canale in Ita-lia trasmetteva). Questa e l'Itas Diatec Trentino. Non solo una grande squadra fatta di grandi campioni ma anche una grande famiglia fatta da tutti i suoi tifosi, tutti i Trentini che amano lo sport vero e genuino. Ora i ragazzi dell’Itas resi

Dal�nulla�a�campioni�del�mondo�-�la�scalata�al�successo�della�squadra�trentina�-�

di Alice Pisoni e Elisa Demattè

Sport

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sempre più forti e convinti dai loro successi, aspettano di riconquistare la coppa perduta l’anno scorso, e dopo chi lo sa? Come dice scherzosamente Presidente della Trentino Volley Diego Mosna “Ci é rimasto da conquistare solo

Marte”. Del resto, com’é successo qualche settimana fa, i turi-sti a Trento non chiedono più di Piazza Duomo o del Castel del Buonconsiglio, ma dove si allenano i neo-campioni di Stojče.

I C.C.C.P. sono un gruppo Punk-rock/New-wave italiano formatosi nel 1982 per poi sciogliersi nel 1990 dando vita ai CSI (Consorzio Suonatori Indi-pendenti) e, in seguito, ai PGR (Per Grazia Ricevu-ta). I componenti originari sono il mitico cantante Gio-vanni Lindo Ferretti, il chitarrista Massimo Zambo-ni, il bassista Umberto Negri e il batterista Zeo Giu-dici. In seguito fecero il loro ingresso nel gruppo la cantante e showgirl Annarella Giudici, il showman Danilo Fatur, il chitarrista Carlo Chiapparini, Igna-zio Orlando e il batterista Mirka il Capo. Il cantante e il chitarrista, entrambi emiliani, si in-contrarono per caso in una discoteca berlinese, sco-prirono di essere musicalmente affini e decisero di formare un gruppo che combinasse le sonorità e la mentalità provinciale della loro Reggio Emilia con le avanguardie berlinesi, la musica dell'Europa o-rientale e il mondo sovietico. Il risultato è un complesso che nei propri dischi al-terna ballate emiliane a musica elettronica, punk inglese e canti gregoriani a rifacimenti di inni sovie-tici. Il nome che scieglieranno, C.C.C.P., è uno storpia-

tura della sigla in alfabeto cirillico dell'URSS, come la avrebbe potuta pronunciare un contadino emilia-no (cì cì cì pì). La storia del gruppo iniziò con vari concerti in locali di Berlino, città con la quale i C.C.C.P. mantennero sempre uno stretto legame, arrivando a dire che con-sideravano Reggio l'estrema periferia di Berlino, partendo da lì l'autostrada del Brennero. Tornati in Italia, fecero uscire alcuni 45 giri auto-prodotti, come "Ortodossia", "Ortodossia II" e "Compagni, cittadini, fratelli, partigiani". Due anni più tardi esce il loro primo album vero e proprio, con un titolo a dir poco allucinante: "Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi-Del conseguimento della maggiore età". Questo disco contiene alcune tra le canzoni più importanti del gruppo, come "Emilia Paranoica", "Trafitto", "Valium tavor serenase" e "Mi ami?". Dopo "Affinità-divergenze eccetera" i C.C.C.P. fir-mano con una major, cosa che gli costerà pesanti critiche da tutto il mondo underground, ed esce

C C C PC C C PC C C PC C C P

Fedeli alla lineaFedeli alla lineaFedeli alla lineaFedeli alla linea di Riccardo Schöfberger

Musica

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"Socialismo e barbarie". Anche questo disco si rivela ottimo, con canzoni co-me la ironica-feroce "Oh!Battagliero", "Stati di agi-tazione" e soprattutto "A Ja Ljublju SSSR" ("Amo l'URSS"), pezzo che nell'intro ricalca le note dell'in-no sovietico, ma che in realtà è una pesante critica all'URSS. Ci si potrebbe chiedere se i C.C.C.P. siano filo-sovietici oppure se in realtà la loro sia solo ironia. Bisogna ricordarsi che uno degli scopi del gruppo alla sua formazione era di collegare in qualche modo le tradizioni contadine e, in parte, comuniste dell'E-milia e della Toscana con l'unione sovietica. Già il nome tradisce l'ironia che sta dietro a questa scelta e, se non bastasse, varie canzoni come "Live in Pan-kow" (voglio rifugiarmi sotto al Patto di Varsavia, voglio un piano quinquennale, la stabilità) o la stor-piatura di una frase di Lenin in "Manifesto" (i soviet più elettricità non fanno il comunismo...anche se or-mai è evidente che a Stalingrado non passano, lunga vita al presidente). Indubbiamente i C.C.C.P. sono più di sinistra che di destra e provano simpatia sia per la loro provincia "rossa" che per l'Europa orien-tale ma, da liberi pensatori, tendono a ironizzare sul tutto. Nel 1989 esce "Canzoni, preghiere e danze del II millennio-Sezione Europa", dove la musica elettro-nica e le tastiere hanno la meglio sulle sonorità punk degli esordi. Dopo quest'album fanno ingresso nei C.C.C.P. tre componenti dei Litfiba ed esce "Epica Etica Etnica Pathos", album che segna la tra-sformazione del suono in qualcosa di più vicino a quello del gruppo che gli ex-C.C.C.P. più gli ex-Litfiba formeranno alla caduta del muro di Berlino, i C.S.I. Secondo un aneddoto, i C.C.C.P. capirono che il gruppo non aveva più niente da ottenere e quindi do-veva sciogliersi dopo che, a un loro concerto a Mosca, durante l'intro di "A Ja Ljublju SSSR", le guardie sovietiche, sentito il loro inno, scattarono in piedi. Nel 1996 è uscito un disco, "Live in Punkow", che raccoglie varie registrazioni live

dei C.C.C.P. in Germania. Il titolo del disco e dell'o-monima canzone deriva dal quartiere berlinese, Pan-kow, dove il gruppo ebbe inizio. Personalmente ritengo che questo sia il loro disco migliore, in quanto rappresenta quello che i C.C.C.P. erano, musica fuori di testa, genialità, iro-nia, spettacoli teatrali e filastrocche emiliane. La perla di questo disco è "Valium tavor serenase", do-ve Ferretti riesce, non si sa come, a incastonare due minuti di canti gregoriani in latino all'inizio del pez-zo punk. Giovanni Lindo Ferretti, il cantante, ha donato mol-to alla musica moderna italiana, col suo stile vocale, coi suoi testi assurdi e geniali, colla sua visione del-la musica e del mondo. Una sua celebre frase è: "Il mondo moderno è con-vinto che la massima libertà possibile sia uguale alla massima creatività possibile. Io sono assoluta-mente convinto del contrario. La massima creatività possibile viaggia entro regole le più rigide possibili. Devi vivere in una situazione che ti obbliga a tirare fuori solo quello che assolutamente deve venire fuo-ri". Putroppo attualmente sembra che le troppe droghe e la vita che conduceva lo abbiano fatto impazzire del tutto: vive da solo in un casolare in Toscana coi ca-valli, ed è più fuori di testa di quanto fosse già.

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“Manga” è un termi-ne giapponese che noi usiamo in modo generico per indicare i fumetti provenienti dal Giappone, ma nella sua madrepatria questo termine viene usato per tutti i fu-metti appartenenti a qualsiasi genere. In estremo oriente il manga non è solo un passatempo come può esserlo per noi occi-dentali, ma è un’arte vera e propria alla pari della letteratura e del cinema che si ra-dica nella storia del Giappone. In Italia il manga ha avuto la sua prima ribalta negli anni Novanta, grazie a serie televisive, chiamate anche anime, come Dragon Ball, che tutti conosco-no; infatti se oggi si possono contare milioni di fan di questo genere, lo si deve anche alla grande in-fluenza della televisione, dove ormai vengono tra-smesse solo serie animate basate su manga. Per quanto riguarda la mia esperienza personale ho cominciato ad appassionarmi a questo mondo da poco, ma ne sono stato immediatamente travolto, finché ho cominciato ad apprezzare veramente l’a-

bilità artistica dei grandi autori. A me piace pensare ad una serie manga come ad un libro, dove o-gni volume corrisponde ad un ca-pitolo e dove le parole prendono forma per diventare immagini rea-li. In questo modo riesco a entrare in un altro mondo, separandomi dalla realtà e a vivere avventure dove l’impossibile non esiste e posso divenire parte di storie sem-pre diverse, che spaziano dalla fantascienza alla normale vita di uno studente. Tuttavia credo che oggi il manga sia un’arte sottovalutata da molti; infatti per chi non ne è lettore può sembrare un qualcosa di infantile, immaturo e senza senso. Questi

non sono altro che pregiudizi, poiché vi sono manga che non si limitano ad offrire del divertimento, ma a modo loro indagano con estrema accuratezza sui problemi della nostra società. Quante volte poche vignette mi hanno fatto riflettere più di un articolo di giornale! Sicuramente come in qualsiasi campo si trovano prodotti migliori e altri di peggior qualità, quindi bisogna sapere dove cominciare a leggere e non rinunciare dopo una lettura insoddisfacente; inoltre nel manga non è abbastanza trovare una buo-na storia, poiché l’essenziale è che siano i disegni e lo stile dell’autore a piacere. Un’altra incredibile caratteristica dei fumetti giapponesi, infatti, è l’infi-nita varietà di stili, pregio che quelli occidentali non possiedono. Sulle differenze fra il mondo fumettistico occiden-tale e quello orientale si potrebbero scrivere libri, ma voglio spezzare una lancia a favore dei manga; infatti non si può paragonare l’assoluta originalità di questi con l’evidente staticità delle opere occidenta-li. Esse sono focalizzate su pochissimi generi, quali il poliziesco e le saghe dei supereroi, che a me per-sonalmente annoiano moltissimo. Con queste mie poche righe spero di aver chiarito le idee sul fantastico mondo dei manga ai lettori alle prime armi e di aver intrattenuto degnamente chi ha avuto il coraggio di leggere il mio articolo fino alla fine!!!

MANGAMANGAMANGAMANGA Arte sottovalutataArte sottovalutataArte sottovalutataArte sottovalutata

di Sebastiano Fronza

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Recensioni

Recensioni

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TRAMA Il dottor Parnassus, uomo millenario e immortale, viaggia per il mondo con il suo straordinario Imagi-norium, una specie di fiera itinerante composta da lui, sua figlia Valentina, un ragazzo di nome Anton e da un nano chiamato Percy. Parnassus possiede l'incredibile capacità di far vivere alle persone delle esperienze irripetibili facendoli attraversare uno specchio magico. Inoltre può anche guidare l'imma-ginazione del prossimo grazie ad un patto fatto con Mr. Nick, alias il Diavolo in persona. Per avere que-sti poteri , Parnassus ha dovuto promettere a Mr. Nick l'anima di sua figlia il giorno in cui lei avrebbe compiuto 16 anni. Il sedicesimo compleanno della dolce Valentina si avvicina e di conseguenza anche il momento fatidico. Parnassus stringe però un nuo-vo patto con il diavolo , nella speranza di salvare la sua amata figlia: Valentina sarà di colui che per pri-mo riuscirà a sedurre 5 anime . Alla compagnia si aggiunge anche Tony Shepard , salvato dalla morte da Valentina . Quest'ultimo è un abile truffatore che ha seri problemi con la mafia russa, ma è anche molto affascinante, e cercando di aiutare Parnassus entrerà varie volte nello specchio, ogni volta cambiando aspetto ( Johnny Depp, Jude Law, Colin Farrell). CAST Per quanto riguarda il cast, ci so-no state moltissimi problemi a causa della prematura morte di Heath Ledger ( Tony Sheppard). Si decise di non costruire imma-gini di Ledger in digitale, ma bensì di dividere ciò che restava da recitare della sua parte in tre attori ( Johnny Depp, Jude Law, Colin Farrell), che reciteranno nel ruolo di Tony nei suoi viaggi al-l'interno dello specchio. CRITICHE

Sia la critica estera che quella italiana giudicano il film come il migliore che Terry Gilliam (regista) abbia mai creato, sottolineando l'incredibile bravura di Ledger e la profondità della trama. Todd Mccarthy (Variety) parla di un epico dramma sulla vita e sulla morte di Heath Ledger nel corso della produzione del film e considera il risultato finale abbastanza buono, possedendo forti e curiosi aspetti sostenuti dalla recitazione e da eccellenti effetti speciali. Emma Jones (BBC) appare entusia-sta del film, spiegando che il mondo immaginario di Gilliam ha creato attimi di meraviglia, sia per il

cast sia per gli spettatori che aspettano di vederlo. Ken-neth Turan (Los Angeles Times) giudica Imaginarium il migliore e più divertente tra i film di Gilliam degli ultimi anni. In Italia Gian-carlo Zappoli (mymovies) parla di Gilliam e del suo omaggio davvero particola-re all'attore scomparso. Spiega inoltre che questo film è un inno alla vita e all'immaginario che debbo-no poter vincere i lati oscuri delle fantasie. Federico Gi-roni (comingsoon.it) ha ac-clamato il regista«dotato di uno stile tanto personale e riconoscibile».

PA R N A SSU S PA R N A SSU S PA R N A SSU S PA R N A SSU S

L 'U O M O CH E V O L E V A IN G A N N A R E IL D IA V O L OL 'U O M O CH E V O L E V A IN G A N N A R E IL D IA V O L OL 'U O M O CH E V O L E V A IN G A N N A R E IL D IA V O L OL 'U O M O CH E V O L E V A IN G A N N A R E IL D IA V O L O

di Dario Goxho “Nulla è per sempre; nemmeno la morte” - Tony (prima trasformazione) “Daresti un prezzo ai tuoi sogni?” - Tony

LO SAPEVI????LO SAPEVI????LO SAPEVI????LO SAPEVI????

Open day 2009 – Il 22 gennaio e il 22 febbraio la scuola sarà aperta per le visite in vista delle nuove iscrizioni dopo la scuola media primaria. Dopo un incon-tro con il dirigente Di Seclì e con lo staff di dirigenza in Aula Magna, sarà possibile per i ragazzi delle medie visitare la scuola e avere informazioni e dimostrazioni sull'organizza-zione dei corsi e sulla didattica. E’ uno dei pochi momenti dell’anno in cui anche noi già liceali, parlando di ciò che la scuola offre, possiamo renderci conto che, in fin dei conti, il buon Prati non è così male.±

Olimpiadi della Fisica - Nella mattinata di martedì 15 dicembre, al Liceo Prati e nelle scuole di tutta Italia che aderiscono all’iniziativa, si svolge la prima fase delle Olimpiadi della Fisica, organizzate dall’Associazione per l’Insegnamento della Fisica per conto del Ministero della Pubblica Istruzione. La gara è rivolta agli studenti interessati allo studio della fisica e che abbiano già avuto contatti con la materia (appartenenti a tutte le classi terze e alle sole seconde A, B ed E). In bocca al lupo a chi si cimenterà in questa prova e complimentoni per gli otti-mi risultati conseguiti da alcuni nelle gare di matematica del 18 novembre!

Natale 2009: il 40% per cento del cibo va buttato.-Quanto cibo del Pranzo di Natale va a finire nella spazzatura? Ce lo dice PloS ONE, che ha condotto una ricerca che ci dice che nei paesi occidentali almeno il 40 per cento di ciò che portia-mo in tavola va a finire nella spazzatura. Cifre davvero molto impressionanti, che ci dimostrano quanto sprechiamo quando si parla di cibo: quasi la maggior parte degli acquisti alimen-tari che verranno fatti per i pranzi e le cene di Natale 2009, finiranno nell’immondizia. Uno spreco che si puo’ pero’ evi-tare, basta fare un po’ d’attenzione. =S

Egittomania - L'Egitto porta bene, anzi benissimo. Se ne ha conferma al Buoncon-siglio alla mostra "Egitto mai visto” che ha già superato i 123 mila visitatori, "stracciando" il precedente record detenuto con 113mila presenze dalla splendida esposizione "Ori delle Alpi" allestita nel lontano 1997. Per questo l'apertura è pro-rogata fino al 10 gennaio. Mummie, sarcofagi bastoni, archi, frecce, parti di statue, ma anche vasellame per alimenti, specchi, tuniche femminili pieghettate e sandali hanno attirato e continuano ad attirare visitatore da tutta l’europa. Approfittiamo di questa inedita mostra a casa nostra!

Info & Fun

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Giochi sportivi studenteschi: nuoto - Complimenti a Eva Frate, Giulia Valgoi, Karin Piffer, Federica Troncon, Anna Laurentis, che hanno parteci-pato alla staffetta 6x50 di stile libero e specialmente a Marta Roggio, cam-pionessa provinciale nei 50m. a delfino, che andrà ai nazionali e a Leonardo Tomasi, secondo ai provinciali Juniores, nei 50m. a dorso.

Segreti della Vista - Avete mai provato a guardare gli oc-chi di uno spettatore a teatro? O di qualcuno intento a studiare un quadro in un museo? Le pupille guizzano qua e là a velocità altissime (ogni spo-stamento dura al massimo un decimo di secondo) e si fer-mano per appena 2-4 decimi di secondo poi ripartono per un nuovo spostamento. Per esempio nel quadro di Degas "Ritratti in un ufficio" qui a sinistra è stato riportato quello che è il percorso dello sguardo di una persona intenta ad ammirarlo. E' stato registrato da un'apparecchiatura particolare appog-giata all'occhio e che riesce a rilevare i movimenti della pupilla.

Smart card - Trentino trasporti, da ormai quasi un anno, mette a disposizione, con una minima spesa di 4€ più la rica-rica, una comoda e praticissima SMART CARD, tessera che, ricaricandola nelle biglietterie delle stazioni, permette di viaggiare su treni, autobus e corriere nella nostra regione, senza dover ogni volta comperare il biglietto; utilissima in-somma per noi giovani viaggiatori!

Ehi mela! Chi di voi non ha visto il video su facebook dell’arancia fastidiosa, che assilla in ogni suo video un povero e malcapitato frutto? Ormai è uno spassosissimo tormentone che impazza in rete e soprattutto sull’amato “faccialibro”. Il video è stato anche tradotto in italiano da soltanto qualche settimana, ed è già uno dei filmati più cliccati su You tube! Andate anche voi a farvi contagiare dalla simpatia un po’-molesta dell’”Annoying Orange”!!

Festa studentesca - Mercoledì 23 dicembre 2009, alla discoteca “LIDO' DISCO” (s. Cri-stoforo - lago di Caldonazzo TRENTO), si ter-rà la festa di natale dei licei Prati, Galilei, Da Vinci e Rosmini di Trento. Per raggiungere il luoga, sarà previsto un servizio di Navetta par-tendo da Piazza S. Severino , alle ore 22.30 - 23.15 - 24.00. Per ulteriori info, contattte i Rappresentanti d’istituto. Venite numerosi!

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Cogito ergo… scribo!Cogito ergo… scribo!Cogito ergo… scribo!Cogito ergo… scribo!

Opinione

La redazione di Praticantati inaugura, col mese di dicembre, una nuova rubrica fissa, volta a dare uno spazio maggiore, più usufruibile, comodo da confrontare e di facile accesso, per dare spazio a tutti i tipi di idee, opinioni, critiche o com-menti che ogni lettore, sia esso uno studente, insegnante, redattore o semplicemente persona interessata, voglia far sentire e commentare, aprendo nuovi dibattiti, contestazioni o consultazioni, a proposito di qualsiasi argomento ed articolo trattato nel giornalino, ma anche di temi non approfonditi tra queste pagine e ritenuti importanti. Facciamo in modo che questo spazio diventi una specie di “zona franca”, dove chiunque possa trattare e discutere dei fatti, sempre appellan-dosi al buon senso, al rispetto ed alla dignità di ogni singolo, anche di quelli più graffianti, polemici o controversi. Buoni pensieri a tutti...

La scorsa settimana è arrivata, sull’e-mail della redazione, una lettera anonima, di critica ed opinione nei confronti della nostra scuola, delle sue attività e di tutte le persone che, docenti, studenti e dirigente, frequentano il nostro istitu-to. Sarebbe molto interessante se fosse possibile pubblicarla, in modo che tutti ne possano prendere atto, per poi dare una risposta e alcune delucidazioni; ma questo sarà possibile solamente se l’autore riporterà il proprio nome, pur richie-dendo che quest’ultimo non venga pubblicato.

Opinione sull’articolo “Due storie diverse, un unico pro-blema” di pagina 20. Io credo fortemente che la mia reazione sarebbe la stessa dei campesinos e degli indigeni nigeriani, reazione a mio modo di dire giustificabilissima. Queste situazioni ci devono far pensare. Anche in base al fatto che il nostro Stato, con un gruppo petrolifero che è la quinta multinazionale di pe-trolio al mondo, si sta macchiando di crimini non da poco. L’unica circostanza nella quale i guerriglieri appaiono sui nostri schermi è quella dei sequestri di persona, che li met-tono in cattiva luce, mostrandoli come semplici terroristi. Non lo sono. Perché dietro a quel sequestro c’è qualcosa di più, che sicuramente la maggior parte dei media, non sente il bisogno di farci sapere.

Davide Leveghi

Opinione sull’articolo “Honduras, chi, cosa, perché?” di pagina 20. Nel golpe dell’Honduras ci hanno guadagnato gli Stati Uniti, che sostenendolo hanno riconfermato la loro politica estera e il loro possesso indiretto dell’America Latina e promuo-vendo la mediazione (fallita) si sono guadagnati un diffuso consenso internazionale. Ci hanno guadagnato i proprietari terrieri honduregni che senza le leggi di Zelaya riusciranno a spendere meno soldi per la manodopera e a speculare sui prezzi. Ci hanno guadagnato le multinazionali, soprattutto la Chi-quita, che operano in Honduras, così potranno far lavorare di più la popolazione e non preoccuparsi dell’inquinamento. Ci hanno perso gli honduregni e le honduregne che dopo una storia ricca di golpe e dittature chiedevano di poter eleggere il proprio presidente e formare un paese più giusto dove non ci siano solo sfruttati e sfruttatori ma persone.

Maddalena Argiropoulos

Aforismizzati (!)

Info & Fun

La speranza è per l’uomo ciò che la carica è per l’orologio: senza, si fermerebbe.

(anonimo)

Il giorno più sprecato è quello in cui non abbiamo mai riso.

(Nicolas Chamfort)

Dare ad un figlio mille monete d’oro, non equivale ad insegnargli un mestiere.

(proverbio cinese) La ricchezza di rapporti dà felicità, e più avvicini persone, meno ne scarti, più le comprendi, più sa-prai godere.

(Silvio Ceccato) I sogni consentono di abbandonarsi impunemente alla follia tutte le notti della settimana.

(anonimo) Numerosi sono i sentieri che portano alla cima di una montagna, ma sempre è uguale il panorama che si gode da quell’altezza.

(proverbio cinese) Una cosa è non darsi mai per vinti, un’altra è sapere quando è il momento di rinunciare.

(anonimo) L’uomo che il suo destin fugge di raro.

(Ariosto) Chi lotta contro di noi ci rinsalda i nervi e acuisce le nostre capacità. Il nostro antagonista diventa così il miglior collaboratore di noi stessi.

(Edmund Burke)

Più importante dell’opera d’arte in sé è il seme che essa pianterà. L’arte può morire, un dipinto può scomparire. Quel che conta è il seme.

(Joan Mirò)

Si arriva alla perfezione, non quando non c’è più niente da aggiungere, ma quando non c’è più niente da togliere.

(Antoine de Saint-Exupéry)

Racconti

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PIE’ VELOCE

Un lampo incolore che spazza le strade, Percorre fulmineo boscaglie e contrade.

Gli occhi non colgono, soltanto l’udito Sente che rapido qualcosa è passato.

Tutti si chiedono, che cosa sarà? Niente è più semplice della verità;

Né supereroe, né fulmine o lampo, Ma chi da condanna ricerca lo scampo:

Quel ch’è veloce più dello sguardo E’, nientemeno, uno studente in ritardo.

Enrico Dal Fovo

QUASI UN MIRACOLO IL MIO RESPIRO Quasi un miracolo il mio respiro, diretto verso le intruse pianure ferite dal cemento. Una donna dal cespuglio più lontano sussurra il mio nome alle luci della notte: libero svanisce sulle sommità dei monti e si attarda sulle rive di una stella infuocata, il profumo del cielo soffiato dai venti del sud. Ho corso per sempre nel passato danzando sugli accordi di un violino annusando le pennellate profumate di rosa fiorite sulle ossa dei miei morti. E gridando “addio” dal lago più profondo mi volto verso le mie storie raggelate, la vecchiaia dei verbi arenati.

Angelo Naso

FILO D’INCHIOSTRO

L’immensità senza screzi né offese di un tessuto bianco e poroso

accoglie serena la punta di un ago: Il ricamo s’addensa,

né un graffio sgarbato può turbarlo. All’arcolaio della mente

l’arazzo di carta si intesse con filo d’inchiostro.

Enrico Dal Fovo

Poesia Ricordo di Angelo Naso

All'improvviso sentii il profumo di un'ombra dietro me, come se qualcuno mi stesse venendo incontro per abbracciarmi. Quando mi voltai vidi soltanto gli alberi e i frutti vermiglio. Ma proprio davanti a me, appena pochi metri più in là, c'era una grotta in mezzo a tutto quel verde riflesso nel vento bagnato. Il crepuscolo aveva già sbiadito il colore smeraldo della vegetazione, e i miei occhi riuscivano a perce-pire sempre meno luminosità. Ma mi colpì il ba-gliore che fuoriusciva da quella grotta: era uno splendore stretto e compatto, che mi ricordava il sole opaco di gennaio. Attratto da quella luce, mi feci strada tra le fitte erbe e poco dopo mi trovai a pochi passi dalla caverna da cui svaniva tanta inten-sità. Avvicinandomi man mano respiravo prove-niente dalla caverna lucente un vento caldo, che disegnando aromi impercettibili nell'aria diveniva sempre più intenso ed accogliente. Arrestai il passo. Le sensazioni cominciarono a rarefarsi e le palpebre a socchiudersi, accecate da tanto sole acquattato. Era come trovarsi in un bellissimo sogno. Una potente folata di calore mi accolse nella grotta. Le nuove percezioni dei sensi mi avevano portato a dimenticare il bosco al di fuori, ogni mio respiro era concentrato sul cammino futuro. Mi diressi ver-so la profondità della grotta, dove la luce era più soffice. Alzai lo sguardo e scorsi una scala irradiata da luce infinita; su di essa, all'ultimo gradino, una donna mi aspettava. In quell'istante una strana sen-sazione di ansia pervase ogni mio senso, smarren-domi. Ma il sorriso di quella magnifica creatura angelica scacciò la paura, invitandomi a raggiun-gerlo. La sua bellezza fioriva ad ogni gradino di più. Indossava una veste argentata che abbagliava la luce dileguatasi negli anfratti più remoti. Mi tese la mano per accogliermi tra le sue braccia. Toccarla fu come accarezzare il paradiso. Avvicinandomi mi sussurrò all'orecchio di proseguire per quella strada, che mi avrebbe portato dalla Regina. Dopo avermi indicato il cammino scomparve come polvere al vento. Mentre mi allontanavo sentivo la luce, da bollente che era, diventare sempre più fredda e te-tra; presto mi trovai avvolto nell'oscurità più pro-fonda. Cominciai a percepire il gelido sospiro della morte, eppure una forza silenziosa continuava a spingermi per quel percorso. Ma di tanta luce che mi strinse tra le braccia non rimase più molto nel mio vago ricordo, né nello sguardo che voltandomi posavo su quell'immenso punto indifeso. Forse sarà proprio questa luce a salvarmi.

Complimenti per l’im(maturità), ra-gazzi! Chi ha o-recchie per inten-

dere…. Ritenta! Sarai più fortunato!

Ehi Mela! Tu lo sai fare? Da da da da…

ehi pera!

VOLETE CONTATTARE LA REDAZIONE DI PRATICANTATI?: FATE COSI: � contattate la redazione utilizzando la e-mail

[email protected] � usate il box della messaggeria nell’atrio in

sede e nella sala dei distributori automatici in succursale � contattateci direttamente (possibilmente

non durante le lezioni… qualcuno avrebbe da ridire.)

messaggeria di

PRATICANTATI

PRATICANTATI

TI CERCA!!! Se ti piace comunicare, informare,

interagire ed essere sem-pre in contat-to con molte persone

44 � PRATICANTATI

E’ impossibile!!

O gni giorno non passa senza che io non in-

croci il tuo sguardo, i tuoi passi, il tuo sor-

riso, e quando questo avviene, non vedo l’o-

ra che un’altra giornata com inci... P er D .

Se sei un’ap-passionato

viaggiatore e vuoi condivide-re le tue espe-

rienze

Michele cos’è il MOMA? Il Museo di

Arte Moderna di New York?! Grande!!

Dove c’è Lucio c’è casa!

Se vuoi dare di più perché senti di poter cam-biare in meglio il mondo

The new john

lennon???

Pozzo!!!

Faco-

cero

blu! ???

impubblicabile�Un bambino cadde, si sbucciò

un ginocchio e se lo mangiò...

W the Pink House!!! By

President, Sfinge, Conny,

Momà, Pirla!

Piero Xxx è pregato di recarsi alla cassa!

Se sei a cono-scenza di fatti strani, inquie-tanti, con trop-pi interrogativi e nessuna ri-sposta

La XXX è una XXX

Se sei ap-passionato di sport, musica, spettacolo , arte, e desi-deri far co-noscere ad altri la tua passio-

Praticantati�è�il�giornalino�degli�degli�degli�degli�

studenti�del�Prati,�perperperper�gli�stu-

denti�del�Prati,�fattofattofattofatto�dagli�stu-

denti�del�Prati!!!�

se sei un di-segnatore di fumetti e vuoi pubbli-care le av-venture del tuo perso-

naggio

Se ti piace la fotografia e pensi di poter dare un nuo-vo volto a Praticantati

Dicembre 2009

PRATICANTATI PRATICANTATI PRATICANTATI PRATICANTATI WANTS YOU!

(meglio noi che lui!!!)

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Vivo�di�tante�

cose:�l’amicizia,�

la�famiglia,�la�

scuola,�ma�so-

prattutto�di�

te…�ciò�che�mi�

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no�i�tuoi�sorrisi,�

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