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48 Menta e Rosmarino leno… ma il lago era il paesaggio più consono al senso di quella nostra sosta, così, con affluenti stri- minziti, quasi una pozzanghera, alpino, prealpino, montano, morenico, naturale, balenabile, aperto o chiuso, poco importava, ciò che più contava era quella sua magnetica geometria, chiusa da una co- rona di colline immerse in un verde intransigente, tra improvvisi balenii riflessi dall’acqua… Prendemmo allora un altro sentiero… e ini- ziammo a scendere. E proprio su questo sentiero, in uno slargo tra ranuncoli e un tappeto di gialle boc- che leonesche, ci trovammo dinanzi alla sorgente. E se il flusso dei fiumi è quello di portare nel loro letto sempre acque diverse, quello della sorgente ha qual- cosa di più intimo e misterioso… L’acqua sgorga in- tatta, pulita, trasparente, da chissà quali viscere buie e insondabili della terra, ecco che ci accingiamo a bere con le labbra rivolte al lago, tra il concerto di cince, passeri, meli quasi avessero un palcoscenico di strumenti invisibili, mi dissero di una felicità as- soluta, tra i riflessi ramati del sole che passano tra l’acqua e le labbra, come una ferita fondendosi negli occhi dello stupore… Luigi Stadera: LA MENTA E IL ROSMARINO Memorie nella tradizione dialettale N°2 - Marzo 2002 M enta ricorre in dialetto, in italiano e in latino ed è affine al greco minthe, parola che i lin- guisti definiscono “mediterranea” e dunque antichissima; era il nome mitologico della ninfa Minte, amata da Ade e tramutata in pianta da Pro- serpina per gelosia. Tant’è vero che secondo Ippo- crate la menta è un afrodisiaco e non un calmante e un antispasmodico, come argomenta ovunque la me- dicina popolare… Della menta si conoscono molte varietà, che si ibridano facilmente, creando ibridi sempre nuovi. Da noi è spontanea la menta selvadega del Che- rubini, chiamata in italiano mentastro e in dialetto mentàsc; nel Centro-sud è detta invece mentuccia e anche da qui si può arguire la differenza tra l’area greco-romana e quella celto-bossiana. D’altronde in molti luoghi la menta è l’erba diavolina o diavu- lona, “per il gusto acuto” (G.L. Beccarla): spiega- zione che rinvia alla tesi d’Ippocrate. Tutt’altra etimologia ha il rosmarino e direi fine- mente poetica: deriva da ros marinus, rugiada di mare, perché cresce spontaneamente lungo le coste ed è tipico della macchia mediterranea… ma il dia- letto non si lascia sedurre e se ne esce con usmerìn, che raccosta l’originale latino al verbo usmää “odo- rare”(latino parlato osmare, dal greco osmào-mai). Ma l’usmää dell’usmerìn va senz’altro ricondotto alla cucina e a un profumo che esalta le nari; cioè a quella digressione della cultura alla gastronomia di cui si diceva all’inizio. Il rosmarino vanta innumerevoli proprietà, che lo rendono prezioso in cosmetologia e in farmacolo- gia; per tacere della medicina popolare e della tra- dizione. Si racconta che nel secolo XVII la regina Isabella d’Ungheria ritrovò a settant’anni la salute e una seconda giovinezza grazie al rosmarino, che in- fatti con la menta e con la lavanda si usa per distil- lare la cosiddetta “acqua di giovinezza”… Si può anche ridere, ma non va dimenticato che nelle credenze c’è sempre un fondo di verità… Gavirate, panorama del lago. • Flippers • CD Juke-Box - Installazione • Darts (freccette) • Calcetti - Noleggio • Biliardi • Bowling - Assistenza qualificata • Video Giochi - Novità internazionali Centro Commerciale “Le Corti” Varese www.get-in-web.net Internet. Caffè. e non solo ... Internet, posta elettronica, ricerche, chat, messenger... Stampe Laser A/4 (Bianco e Nero / Colori) Salvataggio dati su cd-rom e floppy-disk Scansioni immagini o testi Office per lettere Curriculum, presentazioni... Corsi d’informatica Assistenza di personale specializzato e tanti altri servizi a tua disposizione! ECOSPURGHI s.n.c. Via Pradaccio, 23 Tel/Fax: 0332.666655 Laveno Mombello (VA) e-mail: [email protected]

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leno… ma il lago era il paesaggio più consono alsenso di quella nostra sosta, così, con affluenti stri-minziti, quasi una pozzanghera, alpino, prealpino,montano, morenico, naturale, balenabile, aperto ochiuso, poco importava, ciò che più contava eraquella sua magnetica geometria, chiusa da una co-rona di colline immerse in un verde intransigente,tra improvvisi balenii riflessi dall’acqua…

Prendemmo allora un altro sentiero… e ini-ziammo a scendere. E proprio su questo sentiero, inuno slargo tra ranuncoli e un tappeto di gialle boc-che leonesche, ci trovammo dinanzi alla sorgente. Ese il flusso dei fiumi è quello di portare nel loro lettosempre acque diverse, quello della sorgente ha qual-cosa di più intimo e misterioso… L’acqua sgorga in-tatta, pulita, trasparente, da chissà quali viscere buiee insondabili della terra, ecco che ci accingiamo abere con le labbra rivolte al lago, tra il concerto dicince, passeri, meli quasi avessero un palcoscenicodi strumenti invisibili, mi dissero di una felicità as-soluta, tra i riflessi ramati del sole che passano tral’acqua e le labbra, come una ferita fondendosi negliocchi dello stupore…

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Luigi Stadera:LA MENTA E IL ROSMARINOMemorie nella tradizione dialettaleN°2 - Marzo 2002

Menta ricorre in dialetto, in italiano e in latinoed è affine al greco minthe, parola che i lin-guisti definiscono “mediterranea” e dunque

antichissima; era il nome mitologico della ninfaMinte, amata da Ade e tramutata in pianta da Pro-serpina per gelosia. Tant’è vero che secondo Ippo-crate la menta è un afrodisiaco e non un calmante eun antispasmodico, come argomenta ovunque la me-dicina popolare…

Della menta si conoscono molte varietà, che siibridano facilmente, creando ibridi sempre nuovi.

Da noi è spontanea la menta selvadega del Che-rubini, chiamata in italiano mentastro e in dialettomentàsc; nel Centro-sud è detta invece mentuccia eanche da qui si può arguire la differenza tra l’areagreco-romana e quella celto-bossiana. D’altronde inmolti luoghi la menta è l’erba diavolina o diavu-lona, “per il gusto acuto” (G.L. Beccarla): spiega-zione che rinvia alla tesi d’Ippocrate.

Tutt’altra etimologia ha il rosmarino e direi fine-mente poetica: deriva da ros marinus, rugiada dimare, perché cresce spontaneamente lungo le costeed è tipico della macchia mediterranea… ma il dia-letto non si lascia sedurre e se ne esce con usmerìn,che raccosta l’originale latino al verbo usmää “odo-rare”(latino parlato osmare, dal greco osmào-mai).

Ma l’usmää dell’usmerìn va senz’altro ricondottoalla cucina e a un profumo che esalta le nari; cioè aquella digressione della cultura alla gastronomia dicui si diceva all’inizio.

Il rosmarino vanta innumerevoli proprietà, che lorendono prezioso in cosmetologia e in farmacolo-gia; per tacere della medicina popolare e della tra-dizione. Si racconta che nel secolo XVII la reginaIsabella d’Ungheria ritrovò a settant’anni la salute euna seconda giovinezza grazie al rosmarino, che in-fatti con la menta e con la lavanda si usa per distil-lare la cosiddetta “acqua di giovinezza”…

Si può anche ridere, ma non va dimenticato chenelle credenze c’è sempre un fondo di verità…

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MENTA E ROSMARINO & ARTE

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Albino Reggioriartista senza confinidi CONSUELO FARESE

«Mio padre è stato sempre un uomo appassio-nato: lavorava con gioia coinvolgendocitutti, me, mio fratello e naturalmente la mia

mamma, nella intensissima emozione della sua creati-vità». Questa è l’immagine di Albino Reggiori cheemerge con maggior forza dalle parole della figlia An-gela, che non per caso è a sua volta artista. «La mattinaci chiamava a raccolta, a scoprire con lui ciò che du-rante la notte era avvenuto nel chiuso del forno di cot-tura delle ceramiche: mio padre è stato un grandesperimentatore e il risultato di certe sue intuizioni, im-maginato ma non certo, era una sorpresa e grande era

la gioia o viceversa ma raramente, la delusione dellascoperta». Albino Reggiori chiamava la famiglia a par-tecipare all’avventura della creazione, e questa gioiosagenerosità si estendeva a chi fosse interessato al suolavoro: il suo studio era sempre aperto e vi si venivaaccolti senza filtri, poiché l’artista aveva grande pia-cere a mostrare, a spiegare, a condividere le sue emo-zioni e le sue attese, anche se il suo interlocutore, purinteressato, non sarebbe stato un acquirente. Questagenerosità ha avuto una delle realizzazione più signi-

ficative nell’insegnamento: egli fuanche docente di scultura ceramicapresso l’Accademia di Belle Arti diComo.

Di Albino Reggiori colpisce la multi-formità: ceramista, pittore, incisore, do-cente… davvero c’è imbarazzonell’indicare quale dei settori sia stato quello in cui ec-celleva, poiché in tutti questi settori egli ebbe gran suc-cesso e venne molto apprezzato e non v’è nemmenoun primato cronologico nell’una o nell’altra attività: aquattordici anni egli iniziò a dipingere e a plasmare ce-ramica, ci racconta la figlia. «Le opere di mio padresono moltissime; egli nella felicità dell’operare fu fe-condissimo, così che le sue opere sono presenti inmolte case, in tutta Italia. Fu molto amato in queste no-stre zone, ma fu molto amato e molto richiesto anchein Toscana, in Piemonte, in tutto il sud. Davvero il suosuccesso non fu solo locale». Quest’ultima precisa-zione – è sempre ancora Angela Reg-giori che parla – e questa precisazione èdovuta al fatto che senz’altro il padre fu,tra i tanti artisti importanti di questa no-stra zona, colui che vi fu più radicato:realmente abitò e lavorò qui, nella suaMombello, e a Mombello dedicò, con ilpadre, una intensa opera: «Mombello,nostalgia di un paese». Parlando dellesue realizzazioni in zona, come non citare la via crucisa Gemonio e le quaranta formelle per il battistero dellachiesa di Santo Stefano di Mombello, opere di grandeimpegno e di notevolissimo spessore estetico, lascitoimportante, dono speciale di un artista alla sua terra. Etuttavia appunto egli non solo fu apprezzato nella suaterra, in questa nostra terra di confini, ma anche emolto altrove, e sarebbe interessante verificare dovefu più noto come pittore e dove come ceramista, e per-ché: sarebbe un interessante studio dei circuiti del mer-cato dell’arte e, soprattutto forse, del gusto.

«Nella vita di mio papà – racconta Angela Reggiori– ci fu un incontro senz’altro epocale, negli anni Ses-santa andò a Roma a ritirare il premio collegato allaMostra dei lavoratori, mostra e premio della Confin-dustria, e mentre aspettava il treno del rientro, curio-sando tra i libri esposti nelle bancarelle all’esternodella Stazione Termini, trovò un testo sulle cattedrali».Il viaggio di ritorno Albino Reggiori lo trascorse as-sorto nella lettura, totalmente catturato dal fascino ver-ticale e dalla suggestiva decoratività delle cattedraligotiche: un incontro non fortuito, nonostante il caso viabbia giocato un grande ruolo. Non può essere un in-contro casuale infatti quello che darà tanto numerosi etanto bei frutti. «L’incontro di mio padre con la catte-drale non è solo un incontro con una architettura sto-rica. Le cattedrali che tornano così frequentementenell’opera di mio padre, sia nella pittura che nella ce-

...una doverosa mostraretrospettiva al

Castello di Masnago.

Acquaforte colorata, 1994.

(Archivio fotografico Luigi Sangalli).

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ramica, sono senza dub-bio evocazioni intense,emozioni profonde, chesi esprimono nell’esperi-mentare lo slancio versol’alto delle guglie e ilruolo di fulcro dinamicodei rosoni, centro diquella energia che soloverso l’alto può risol-versi». Mentre Angelaparla appaiono vivissimealla mente sia le cerami-che dedicate alle catte-drali sia le tele con alcentro i Santi, i cardinali,tele di grande sugge-stione tanto per la fittatessitura delle architet-ture sullo sfondo, quantoper lo stagliarsi ieraticodelle figure in primopiano, figure rese ancorapiù slanciate dalla mitrae dalla scelta e dalla ste-sura dei colori. Il goticoè senz’altro una cifra del-l’opera di Albino Reg-giori, ed è un goticosempre rivisitato, semprepersonalmente declinatoe rivissuto in modo in-

tensamente suggestivo. Anche le vedute venezianehanno nel gotico il loro centro: finestre ad arco acuto,impreziosite da trine leggere tra le quali canta l’ariaascendendo; siamo di fronte al corrispettivo laico dellecattedrali e ci richiama, sia pure con un salto tempo-

rale, al forte impegno anche nel sociale dell’artista diMombello, che negli anni Settanta pose al centro dellasua opera gli emarginati, i fanciulli, le donne. Ma l’im-pegno sociale di Albino Reggiori non è poi così datato,se si hanno presenti le ceramiche in forma di urna chel’artista volle dedicare a chi aveva sacrificato la propriavita per e nel lavoro, pensando anche ai ceramisti la-venesi.

La conversazione di cui racconto è avvenuta nellostudio di Mombello: è lì che incontriamo Angela Reg-giori che ci mostra la tela cui il padre stava lavorando,tela che sta ancora sul cavalletto a fianco del grandeforno per la cottura delle ceramiche; alle pareti le ce-ramiche dedicate ai grandi artisti del Novecento, Mirò,Picasso, Braque tra gli altri, letti con grande finezzainterpretativa e con grande intensa forza rappresenta-tiva: una serie molto apprezzata e ricercata. Uso il plu-rale non certo come plurale majestatis! Tra noi, AngelaReggiori e io, sta sornione Alberto Palazzi, e la con-versazione sull’arte di Albino Reggiori sfocia natural-mente sulla necessità di preparare una mostraretrospettiva, magari tra un paio d’anni, in occasionedei cinque anni dalla morte. La figlia ha ben presentela collocazione delle opere del padre perché ha un ar-chivio ricco e ben ordinato, e dunque è pronta a lavo-rare per una mostra che presenti una articolata sintesidel lavoro del padre; per il gran numero e per la rile-vanza delle opere sarebbe opportuna una sede ampia eimportante. Viene in mente il Castello di Masnago, eAlberto Palazzi e Angela Reggiori di questo sogno di-scutono fiduciosi, e anch’io mi auguro, per me e pertutti, che tutto ciò diventi ben presto dapprima un pro-getto e poi un’occasione importante per gli estimatoridel maestro e per la provincia, perché potrebbe esserequella un’occasione per dare all’artista il giusto rico-noscimento a livello nazionale, senz’altro dovuto.

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Carlo Biasoli: cento penne portatecon onoredi FEDERICA LUCCHINI

Nel suo racconto c’è un’immagine curiosa che hain sé la fantasia e la vivacità infantili: due raster(tridenti), infissi nel prato, a formare assieme ad

un restell (rastrello) legato orizzontalmente alle loroestremità una rudimentale porta. E lui, con i suoi amici,dopo aver rivoltato il fieno, o mentre le mucche pa-scolavano, a cercare di farvi entrare il pallone e di se-gnare un gol. Bastava poco allora per divertirsi. Lo sipoteva fare nei ritagli di tempo dalla scuola e dai lavoridei campi che lo vedevano attivo fin da bambino colsciüeriin (una piccola gerla) intrecciato appositamenteper lui con il quale trasportava l’erba. Oppure a zap-pare la segale, l’orzo, il furment (frumento) o a reserì(a rinforzare con la terra) i pomm de tera (le patate).Sono belli i ricordi di Carlo Biasoli, classe 1918; hannoil sapore della nostalgia e nel contempo di quell’ope-rosità che è alla radice di una vita onesta e laboriosa al-l’insegna dei valori familiari. Mentre parlagesticolando e chiedendo scusa per le espressioni dia-lettali che rendono vivace una narrazione di un mondoche non è più, ci si rende conto di quale patrimonio dimemorie sia depositario. Di quanto quelle spalle an-cora dritte abbiano saputo sopportare pesi e si sianocurvate per lavorare una terra non sempre generosa.Hanno il sapore della dolcezza i suoi ricordi legati algrande camino di casa al cui interno lui bambino se-deva per scaldarsi, alla stalla vissuta non solo digiorno, ma anche la sera, quando l’alito delle muccherendeva caldo un ambiente che permetteva alle nonnedi raccontare le storie e di fare gli scalfin (le calze).C’è il taglio del fieno a maggio (magèen), ad agosto(austan), a settembre (terzö), e l’eventuale quartirö,c’è la semina del mergunin per le galline e i maiali, lecorse in montagna per gustare i balit, (le ciliegie sel-vatiche), à catà i balebrüc (a catturare i maggiolini).Ha tanto da raccontare il Carletto de la Madunina. Ilsoprannome gli è rimasto “incollato” presso gli anziania ricordo di quella cappelletta ancora incorporata nellasua casa nativa, segno di una antica devozione.

Il fiume dei ricordi diventa dirompente quandoemerge il racconto della sua esperienza in Russia du-rante l’ultimo conflitto mondiale nel 3° Savoia Caval-leria, Divisione Celere. E’ una bella figura CarloBiasoli. Quando lo si vede camminare per Gaviratecon il suo passo sicuro, veloce, il sorriso sempre prontoe si sa il carico di esperienze dolorose che porta consé, allora il rispetto e la stima diventano naturali e lo siguarda con un occhio pieno d’affetto.

E’ stato ferito all’alba del 24 agosto 1942 durantel’ultima carica della nostra Cavalleria nei pressi delvillaggio di Jsbuscenskij, nella steppa russa a pochichilometri dal Don. Una pagina di storia destinata adentrare nella leggenda: a pochi anni dal lancio dellabomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, 650 soldatia cavallo con le sciabole sguainate agli ordini del co-lonnello conte Alessandro Bettoni Cazzago e al gridodi “Savoia” si lanciarono contro carri armati sovieticie contro due battaglioni di fanti siberiani forti di 3000uomini che tentavano l’accerchiamento delle truppeitalo – tedesche. Gli squadroni italiani passarono perben tre volte sulle postazioni nemiche e finalmente –scrive lo storico Alberto Parducci – sotto l’urto dellatravolgente carica la seconda linea avversaria cede ei siberiani si danno a precipitosa fuga, sacche di resi-stenza vengono annientate a colpi di bombe a mano esciabolate. Questa eroica battaglia salvò centinaia disoldati italiani in fuga. Biasoli tiene preziose le foto-copie di articoli che parlano di questa carica assiemead un libro che illustra il momento culminante delloscontro. C’era anche lui, attendente e portaordini deltenente Gino Compagnoni e del tenente Franco Toia,

con il suo cavallo Berceto che lo seguiva fin dalla cam-pagna in Jugoslavia. Molte foto lo ritraggono primadella partenza per la Russia (dove ha trascorso dueanni e dieci mesi dei suoi sette di vita militare) con isuoi compagni e il suo cavallo. Una in particolare lo ri-prende con la divisa da cavaliere, la spada lucida,l’elmo elegante posato sul tavolino, dietro una gigan-tografia con lo stemma del suo reggimento fondato nel

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TRA MEMORIA E STORIA

Carlo Biasoli (a sinistra)e il Colonnello Mario Croci.

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1692. Accanto alle foto un libretto con l’elenco di tuttii cavalli del suo reggimento. Nomi curiosi: Ofebo, Pec-cato, Sprillo, Adiroso, Cippero, Ceresa, Zeus che so-stituì Berceto ucciso nella battaglia. Fra tutti idocumenti, testimonianza di una esperienza iniziata acontatto degli ultimi rampolli della Belle Epoque e ter-minata tra il freddo glaciale della steppa russa a con-tatto giornaliero con la morte, ce n’è uno che loriempie d’orgoglio: è la sua piastrina di riconoscimentoche è riuscito a conservare durante il suo lunghissimorientro in Italia, pieno di peripezie e di agguati: 2268(73) C/ BIASOLI CARLO di FILIPPO e di GIOVANNABIASOLI/ CLASSE 1918/ GAVIRATE.

Il suo racconto, ricco di dati e di tantaumanità non ha tinte cruente. Vuole ri-cordare gli amici gaviratesi, corpi senzanome nell’immensa steppa russa o feriticome lui durante i combattimenti. Nonparla con odio dei russi, in particolaredegli ucraini, anzi ricorda con doviziadi particolari le loro usanze, le illustracon rispetto. E così il suo racconto di-

venta un grande caleidoscopio dove la vita militare sifonde con usi e costumi della popolazione ucraina nonostile agli italiani. Gli uomini, caduti prigionieri, sup-plicavano di non essere consegnati in mano tedesca.Volevano restare con gli italiani ai quali, quando c’eraabbondanza di cibo, offrivano in segno di ospitalità,semi arrostiti di zucca e girasole, vodka, uova, latte,pane, nelle loro case costruite con la terracreta tenutasalda dai gambi di girasole. E quando il cibo cominciòa scarseggiare anche per gli italiani, il Biasoli si as-sunse il compito di andare a cercare il cibo anche peri compagni presso le case, offrendo in cambio sigarette

e le poche gallette rimaste, molto ambite dagli ucraini.Anche le uova rotte venivano mangiate. Lo stomacoormai era abituato a tutto: si beveva caffè in cui era in-zuppato il mangime dei cavalli, si macinavano i car-rubi, si mangiava la carne dei cavalli ormai mortiinfilzata sulla baionetta e abbrustolita giusto il tempodi far morire gli insetti. Il suo racconto raggiunge tintedrammatiche quando ricorda il freddo eccezionale del’41 con un equipaggiamento assolutamente non ade-guato alle circostanze: i pellicciotti venivano assegnatisolo ai soldati di guardia. Il loro compito non duravapiù di un quarto d’ora, rischio il congelamento. Si cam-minava sempre, non si dormiva mai. Ricorda come lafortuna dei cavalieri fosse costituita dalla coperta, in-trisa del sudore del cavallo, posta sotto la sella: si fa-cevano buchi nella neve lunghi come le persone e,durante le bufere, ci si copriva con queste. Ricorda ildivieto assoluto di scaldarsi le mani congelate sopra lestufe nelle case ucraine: la mancanza di sensibilità fa-ceva sì che cadessero sulle stufe e venissero ustionateirrimediabilmente. Da ultimo, di questa lunga espe-rienza russa iniziata nell’agosto del ’41, dopo un lungoviaggio in treno attraverso la Romania e con una mar-cia di 1200 km durata 35 giorni per giungere sul Dnie-per alla conquista di Stalino, ricorda i giorni trascorsiall’ospedale di Millerovo, ferito dopo la battaglia diJsbuschenskij, l’incontro con i feriti gaviratesi AldoFuriga, Libero Baranzelli, Enrico Bianchi, il ferimentodi Antonio Bravo. “Siamo passati con i nostri cavalli suponti formati da barche alla cui costruzione avevanopartecipato il sergente Maggiore Mario Molinari di Fi-gnano e Pietro Cavalieri. Se quest’ultimo mi avesse se-guito durante il ritorno in Italia, forse si sarebbesalvato”.

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A piedi o in bicicletta nelterritorio dei laghidi FULVIO FAGIANI

Terra di laghi e di colline, ricca di natura e storia,spesso sconosciuta ai suoi stessi abitanti. Dirim-pettaia della più famosa e celebrata sponda grassa

frequentata fin dall’Ottocento da regnanti ed artisti, lasponda magra ha sempre coltivato un’insoddisfattasmania di piacere. Oggi prevalentemente meta di fret-tolosi vacanzieri domenicali, attirati soprattuttod’estate dall’incantata atmosfera dei Laghi, ha spessovagheggiato modelli di attrattiva turistica tratti daesempi di successo.

Come goderne, come attraversarla, conoscerla, per-correrla se non a cavallo delle due ruote o a piedi?Come avviene in molti posti d’Europa, soprattutto delNord.

Ecco allora il sistema delle Vie Verdi dei Laghi rea-lizzato dai 19 Comuni associati in Agenda21Laghi.

Più di 110 Km di itinerari, a piedi o in bicicletta, pervisitare l’ampio territorio che circonda il Lago Mag-giore (da Sesto Calende a Laveno), il Lago di Monate,il Lago di Comabbio.

Il cuore del sistema è la dorsale, il sentiero del Ver-bano, 40 Km dalla Chiesa di San Donato, a Sesto Ca-lende, fino all’imbarcadero dei traghetti a LavenoMombello.

Da quest’anno sono stati aperti 7 nuovi tracciati col-legati alla dorsale principale che coprono l’intero ter-ritorio. Ogni sentiero ha associato un suo specificotematismo che segnala al visitatore la particolarità chelo contraddistingue.

Ci sono così:

• l’anello di Santa Caterina, da Cerro a Monvallepassando per il celebre Eremo, le scogliere sullago, il Sasso Moro;

• il sentiero dei mulini, dal Lido di Monvalle finoalla pista ciclabile del Lago di Varese attraversoBrebbia, Malgesso, Bregano e Bardello, toccandoi mulini di Turro, di Brebbia e Malgesso;

• il sentiero delle pesche, da Capronno a Cassinetta,attraverso Cadrezzate, Monate e Travedona, toc-cando anche i pescheti dove nascono le famose“Pesche di Monate”;

• l’anello delle Fornaci, che con partenza ed arrivoad Ispra, costeggia il Lago Maggiore con vistasulle fornaci;

• l’anello di San Quirico, una circumnavigazionedel colle di San Quirico attraverso Ranco e An-gera, con puntata sulla vetta, tra splendidi pano-rami del Lago Maggiore, i vigneti da cui siricavano i Ronchi varesini e la famosa Rocca Bor-romea;

• il sentiero dei lavatoi, che conduce da Capronno,sovrapponendosi per un breve tratto al sentierodelle pesche, fino ad Osmate e Comabbio, inclu-dendo nel percorso il Monte Pelada ed i lavatoi diCapronno, Osmate e Comabbio;

• il sentiero delle castagne, che da Sesto Calende,poco dopo l’inizio della dorsale del Verbano,compie un lungo giro attraverso i boschi di SestoCalende e Taino, ritorna a Sesto Calende, all’ora-torio di San Vincenzo, sfiorando Lisanza.

Come si vede un insieme unico di natura, paesaggi,storia, cultura ed architettura, concentrati nei pochi chi-lometri quadrati attorno ai tre laghi, spesso sconosciutonon solo ai turisti, ma anche agli stessi abitanti.

Tutti questi sentieri hanno una loro segnaletica benidentificata con il nome del sentiero, il chilometrag-gio, i tempi di percorrenza, le mete più prossime.

La realizzazione della rete sentieristica integrata haprevisto come prima fase l’identificazione ed il rileva-mento satellitare dei sentieri, effettuato mediante stru-mentazione GPS submetrica palmare.

I dati raccolti hanno permesso successivamente dieffettuare una rappresentazione informatizzata (GIS)della rete sentieristica, compatibile con i principali

Marco Costantini,Laveno, bulino.

MENTA E ROSMARINO & AMBIENTE

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standard applicativi adottati sia a livello regionale chenazionale. Questo ha permesso di codificare e carto-grafare un reticolo di itinerari che, pur avendo caratte-rizzato da sempre il territorio, non sono mai stati nèvalorizzati nè censiti.

Parallelamente al rilievo e alla mappatura di tutto ilsistema sentieristico, è stato studiatoun preciso piano di posa per unanuova segnaletica verticale, capacedi fornire informazioni chiare e di-versificate a tutti gli escursionisti.Tale segnaletica è stata creata se-condo quelli che sono i dettami dellarecente normativa regionale, laquale, a sua volta, si rifà alle lineeguida del consiglio centrale del CAI,da sempre all’avanguardia in ambito

di sentieristica. Gli intenti che sono alla base dell’intero progetto

sono volti innanzitutto alla salvaguardia e alla valoriz-zazione del patrimonio ambientale, storico e paesag-gistico.

Le interazioni e le potenzialità di questo networksentieristico sono ben più ampie di quanto possa ap-parire. Infatti i sentieri realizzati costituiscono ancheun ponte strategico tra le già esistenti Vie Verdi delParco Ticino (a sud) e l’Anello Anulare Valcuviano (anord). Va così prendendo forma un asse cliclopedonalelungo tutto il Verbano che, in maniera più o meno di-retta, metterà in comunicazione la parte più occidentaledella nostra Provincia con il Canton Ticino, costi-tuendo una via di comunicazione “dolce” tra l’area me-tropolitana milanese e la Svizzera. Verso est le VieVerdi si connettono alle piste ciclabili del Lago di Va-rese e di Comabbio.

Il progetto è nato e si è sviluppato secondo lo spiritopartecipativo tipico di Agenda21, con il concorso deisingoli Comuni, dei gruppi di escursionisti e trekkerlocali, delle persone che abitano e lavorano lungo ilpercorso, dei proprietari delle zone attraversate, cia-

scuno dei quali ha contribuito con passione suggerendoil tracciato, fornendo preziose indicazioni, predispo-nendo quanto serve per la migliore fruizione.

Il visitatore, turista od abitante, ha anche gli stru-menti per orientarsi e costruirsi i propri itinerari per-sonalizzati.

Per i beni di natura storica ed architettonicaAgenda21Laghi ha pubblicato già due quaderni ed è inprocinto di pubblicare il terzo; ogni quaderno descrivei valori territoriali suddividendoli in: sistema dei nu-clei di antica formazione, sistema dell’architettura ru-rale, sistema delle ville, dei palazzi e castelli, sistemadell’architettura religiosa, sistema dell’archeologia in-dustriale.

Ciascun bene è presentato in una scheda che ne de-scrive il contesto, le notizie storiche, l’epoca di co-struzione, le caratteristiche architettoniche edartistiche.

Il sistema delle Vie Verdi dei laghi ed i valori terri-toriali vengono rappresentati anche con un visualizza-tore 3D con il quale chiunque potrà “volare”virtualmente sul territorio, informandosi sui percorsi,sulle bellezze da vedere e costruirsi il suo itinerario infunzione dei gusti, delle difficoltà, del tempo di per-correnza, delle cose di maggiore interesse.

Per finire una carta escursionistica guida il cammi-natore/ciclista nelle sue visite, strumento più tradizio-nale, ma non per questo meno utile, e comunquestrettamente integrato con la segnaletica locale e lostrumento informatico.

Per ogni dettaglio rimandiamoal sitowww.agenda21Laghi.ite alle sue due sezioni dedicaterispettivamente alle Vie Verdi dei laghie al visualizzatore 3D “Agenda21Laghi a 360°”.

Il sistema delleVie Verdi dei laghi ed i

valori territoriali vengonorappresentati anche conun visualizzatore 3D con

il quale chiunquepotrà “volare” ...

Il “Centro Studi e Documentazione per la Valcuvia e l’Alto Varesotto Giancarlo Peregalli” nasceda un sogno nel cassetto, un sogno custodito e coltivato per tanti anni da Giancarlo Peregalli e da un gruppo di amici ap-passionati di storia e tradizione locale. Ad un anno esatto dall’improvvisa scomparsa dell’archivista e storico valcuviano, il 22gennaio 2003, davanti al Notaio Vito Candiloro in Cuveglio, il gruppo culturale “La corte dei Sofistici” insieme alla vedova ealla figlia di Giancarlo danno vita alla nuova associazione priva di fini di lucro, connotazioni politiche, partitiche, sindacali econfessionali. La creazione di un centro di documentazione non solo vuole ricordare l’impegno e il lavoro prezioso per la con-servazione della memoria storica della Valcuvia di Giancarlo, ma vuole anche concretizzare l’idea di costituire un centro cheriunisca in un’unica sede, fisica e virtuale, le fonti documentarie presenti sul territorio e le notizie che le riguardano, ora di-sperse tra enti, parrocchie, archivi privati e familiari, per favorirne lo studio e la consultazione.

Centro Studi e Documentazioneper la Valcuvia e l’Alto Varesotto

“Giancarlo PeregalIi”

Comunità Montana della Valcuvia

archivio storico Valcuvia www.archiviostoricovalcuvia.it • [email protected]

COCQUIO T. (VA) - Vicolo Mulini, 2 - Tel. 0332.700110 - Fax 0332.702182GEMONIO (VA) - Via Castelli, 2 - Tel. 0332.700110 - Fax 0332.702182

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LA RUBRICA DEI LETTORI

Valentino Del Grande, vice Sindaco del Comunedi Bardello, ci ha inviato alcune sue riflessioni cheproponiamo ai lettori.

L’ITALIA, IL BARBAROSSAE LA BATTAGLIA DI LEGNANO(Equivoci, cenni e precisazioni storiche,riflessioni e commenti)

Dal 9 ottobre 2009 è stata proiettata nei cinema lapellicola di Renzo Martinelli dal titolo “Barba-rossa”, (La libertà non si dona. Si conquista), rea-

lizzata con il sostegno del Ministero per i beni e leattività culturali.

Tra le comparse, quasi a significare, con molta ap-prossimazione l’attualità delle gesta di quel periodo,anzi con una breve partecipazione come quella di un at-tore famoso (Cameo) vi è anche il Senatore Bossi.

Sicuramente tra i precedenti sipuò annoverare la partecipazionedel compianto Cav. Pancera, giàSindaco di Cuvio, nel film “Vengaa prendere il caffé da noi”, magi-stralmente interpretato da Ugo To-gnazzi nella parte di EmerenzianoParonzini, tratto dal libro “Laspartizione” di Piero Chiara.Quella però era una pellicola delgenere comico-brillante che de-scriveva abilmente la vena gode-reccia e festaiola del nord dellanostra provincia.

Molte delle polemiche politicheche ci affliggono periodicamentesono in realtà un concorso a premisu chi le spara più grosse.

Trovandomi per una riunionedel Consorzio Acquedotto BBBMpresso il Comune di Bardello, nel-l’ormai lontano gennaio 1994, co-nobbi in quella sede il Dr.Goffredo Mameli, segretario generale, appena nomi-nato, di quel comune e di quello di Gavirate, e discen-dente del più famoso Goffredo Mameli, autore dell’innonazionale italiano.

Il ventenne biondo poeta genovese, quindi anche“nordista”, la sera dell’8 settembre 1847 decise, ma cipensava già da tempo, di scrivere un inno del popoloitaliano, facile e travolgente. Poche settimane primaaveva guidato a Genova, come capo degli studenti, uncorteo davanti al mortaio di Portòria, che rammentaval’ardire di Balilla e la cacciata degli austriaci avvenutacent’anni prima. Quella sera, in casa del console ameri-cano a Genova, egli chiese un pezzo di carta, una matita,sedette all’angolo di un tavolino e, dopo qualche mo-mento, incominciò a scrivere. I primi versi dicevano:“Evviva l’Italia, l’Italia s’è desta…”.

Ma il poeta aveva bisogno di raccoglimento e volleritirarsi nel suo studio. Promise che l’inno sarebbe stato

pronto per il giorno successivo. Mantenne la promessa.Il primo verso venne sostituito con un altro, che rac-chiude tutto un programma ed il segreto della vittoria:“Fratelli d’Italia….”. Tutto il programma e il segretostanno in quella «parola tremante nella notte», «fogliaappena nata»: Fratelli.

Le istituzioni dello Stato italiano, no-nostante le dichiarazioni ufficiali, non simostrano troppo riguardose nei con-fronti dell’eroe di tante battaglie del-l’indipendenza italiana. Infatti a 161anni dalla sua composizione, il “Cantodegli Italiani” di Mameli, musicato bal-danzosamente da Novaro, non ha ancoraottenuto il crisma dell’ufficialità. Adottato per consue-tudine, manca di un atto formale del Parlamento. Nelnovembre di tre anni fa il Senato aveva approvato inprima lettura un progetto di legge, ma alla Camera nonfu più votato e “Fratelli d’Italia” finì per arenarsi nellesecche della provvisorietà

Anche qualche recente esterna-zione del sen. Umberto Bossi, fa-cendo torto alle sue indubbiequalità politiche, miste di istinto escaltrezza, infastidisce per lascempiaggine, e rischia forse didanneggiare anche le legittimeaspettative federaliste delle nostrepopolazioni: il federalismo è unacosa troppo importante per scher-zarci sopra senza far danni. Al ri-guardo basterebbe leggere il menoconosciuto inizio della terza strofadell’inno di Mameli: “Dall’Alpi aSicilia dovunque è Legnano; ogniuom di Ferrruccio ha il core e lamano”. A questo punto l’ignoranzaè inammissibile. E come sempre lastoria cerca impietosamente dimetterci davanti alla verità.

Senza dimenticare il Ferrucciche morì per la libertà di Firenzenel XVI secolo, Legnano e la sua

battaglia vittoriosa del 1176 contro l’imperatore germa-nico divennero nell’Ottocento il simbolo stesso dellagiusta guerra di liberazione dallo straniero. La Lega deiComuni, che combatterono contro Federico I, detto ilBarbarossa, era formata inizialmente dai comuni che“giurarono in Pontida”:

«L’han giurato. Gli ho visti in Pontida convenuti dalmonte, dal piano.

L’han giurato; e si strinser la mano cittadini di venticittà.

Oh, spettacol di gioia! I Lombardi sono concordi, ser-rati a una lega.

Lo straniero al pennon ch’ella spiega col suo sanguela tinta darà.» (Giovanni Berchet)

A questi comuni si aggregarono successivamenteanche altri comuni e signori, quali Bologna, Rimini epoi Viterbo. Riflettendo si potrebbe quindi dire, para-

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Agostino ZalianiIllumination, acquaforte.

Non risulta dai documentiche oggi possiamo

consultare che Albertoda Giussano partecipò

alla Battaglia di Legnano.

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frasando l’inno di Mameli, “non dall’Alpi a Sicilia do-vunque è Legnano» bensì «dagli Appennini alle Alpiovunque è Legnano».

Va anche ricordato che la Lega Lombarda fu soprat-tutto lo strumento di una rivolta fiscale, poichè Milanovoleva che le tasse dei comuni a lei soggetti non finis-sero nelle tasche del Barbarossa; cosa che, per esempio,non andava affatto bene a Como, che parteggiò quindiper l’imperatore.

Certo è che la battaglia di Legnano (29 maggio 1176)e le gesta del celebre condottiero Alberto da Giussano,diedero spunto ed ispirarono, insieme a poeti ed artisti,anche il movimento risorgimentale. La vittoria dei Lom-bardi della Lega, per l’analogia delle situazioni, assursea simbolo dell’indipendenza italiana contro l’oppres-sione straniera quando sette secoli dopo si fece vera-mente l’Italia.

Ancor oggi a Legnano possiamo ammirare un monu-mento commemorativo con la statua di un guerriero cheinnalza la sua spada contro lo straniero. Anche qui i fattie le coincidenze vanno portati alla luce. Il monumentodi Legnano fu infatti ideato e proposto, in occasione diuna sua visita alla città, il 16 giugno 1862, nientemenoche da Giuseppe Garibaldi, che dal balcone della casaBossi (Bernardo allora Notaio in Legnano) nel suo di-scorso deplorò che tale città non avesse ancora un mo-numento a ricordo della vittoria di Legnano.

L’appello venne accolto dai cittadini: il monumento inricordo dello storico episodio avrebbe dovuto essere

inaugurato nel settimo centenario della battaglia, e lostesso auspicio venne espresso anche da Felice Caval-lotti. Sorsero però varie difficoltà, a seguito delle qualinel 1876 potè essere realizzata solo una scultura postic-cia in gesso e cartapesta che si squagliò con le primepiogge con la costernazione di tutti (ma era prevedibile!).Il definitivo monumento in bronzo fu realizzato da En-rico Butti (1847-1932), grazie ad una sottoscrizione pub-blica, estesa a tutti i Comuni d’Italia e fu inaugurato il29 giugno 1900, alla presenza di un’immensa folla, e conle rappresentanze ufficiali di molte città italiane.

Il guerriero, appartenente alla Compagnia dellaMorte, con la spada sguainata, è noto a tutti come Al-berto da Giussano, complice una famosa poesia di Car-ducci che tutti, o quasi, abbiamo studiato a scuola,dove il capitano della Compagnia della Morte ricordaai Milanesi («vi sovvien dice Alberto da Giussano?»)la loro rovinosa sconfitta e li eccita all’ultima battagliacontro l’oppressore.

Anche per lui la storia non fa sconti. Non risulta infattidai documenti che oggi possiamo consultare che Albertoda Giussano partecipò alla Battaglia di Legnano. Certoquesti documenti non ci autorizzano ad escludere talepartecipazione, ma la cosa è ancora tutta da provare.

Ed è quantomeno paradossale che gli stessi simbolidell’unità d’Italia possano essere efficacemente usati insenso contrario. Sono certo gli inconvenienti dei sim-boli, ma anche l’ignoranza ci mette la sua parte.

VALENTINO DEL GRANDE

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NativitàSignor,se te gh’e de vegnì anmò süla tèradim due te vö nass.A Betlemme due la paasla se fa cui füsil e cui sas?In Italia due gh’è tanti paesche paren presepi, ma la tèra la balae è resta in pee nanca una stala?O in America due Dio te se’ mia tìma petroli e daneee anca lì i toor stan mia in pee?Sto Natal vegn giò in due te vöretma mia de gessnas anmò in carne e osse fam sentì ‘na növa preghierache poda salvà nünch e la tera.

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Marco Costantini,Arcumeggia - La chiesa,bulino.

Dott.ssa BORGHI SilviaMedico VeterinarioPer visite su appuntamento e urgenze - cell. 333-2129145Iscrizione Albo n° 447 VA - P.IVA: 02919550125

Via Motto dei Grilli, 48 - Cocquio Trevisago (VA)

La Redazione di Menta e Rosmarinoaugura a tutti i lettori un sereno Natale

ed un felice Anno Nuovo.

L’ANGOLO DELLA POESIA DI PIETRO PAPA