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Luigi Lacchè Il tempo e i tempi della Costituzione in G. Brunelli, G. Cazzetta (a cura di), Dalla Costituzione "inattuata" alla Costituzione "inattuale? Potere costituente e riforme costituzionali nell'Italia repubblicana, Materiali dell'incontro di studio, Ferrara 2425 Gennaio 2013, Centro Studi per la storia del pensiero giuridico moderno, Giuffrè, Milano 2013

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Luigi Lacchè Il tempo e i tempi della Costituzione

in  G.  Brunelli,  G.  Cazzetta  (a  cura  di),  Dalla  Costituzione  "inattuata"  alla  Costituzione  "inattuale?  Potere  costituente  e  riforme  costituzionali  nell'Italia  repubblicana,  Materiali  

dell'incontro  di  studio,  Ferrara  24-­‐25  Gennaio  2013,  Centro  Studi  per  la  storia  del  pensiero  giuridico  moderno,  Giuffrè,  Milano  2013  

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Per la storia del pensiero giuridico moderno

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DALLA COSTITUZIONE“INATTUATA”

ALLA COSTITUZIONE “INATTUALE”?

Potere costituente e riforme costituzionalinell’Italia repubblicana

MATERIALI DALL’ INCONTRO DI STUDIOFERRARA, 24-25 GENNAIO 2013

a cura di GIUDITTA BRUNELLI e GIOVANNI CAZZETTA

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LUIGI LACCHÈ

IL TEMPO E I TEMPI DELLA COSTITUZIONE

1. “Inadeguatezza” della Costituzione? Per una visione polittica del fenomeno costitu-zionale. — 2. Il tempio, il tempo e i sacerdoti. — 3. I tempi, le generazioni, laCostituzione. — 4 Il quarto tempo. — 5 Il senso della Costituzione e la melancoliacostituzionale.

1. “Inadeguatezza” della Costituzione? Per una visione polittica delfenomeno costituzionale.

Il mio intervento prenderà in considerazione, selettivamente,solo alcuni dei temi presentati e discussi nel nostro seminario ecercherà di instaurare un dialogo soprattutto con le riflessioniesposte da Massimo Luciani nella sua relazione introduttiva e con ilucidi commenti di apertura di Giuditta Brunelli e Pietro Costa.

Vorrei cominciare da una passaggio della relazione di Lucianiche non è stato sin qui richiamato e che mi sembra utile perriconfermare un’indicazione metodica che questo seminario ha vo-luto approfondire:

Il fatto è che nessun discorso sulle costituzioni, sulla misura della loroprescrittività attuale, sulle loro prospettive storiche, insomma sui lorodestini, può reggere se non è condotto da una molteplicità di prospettive econ l’ausilio degli apporti di molte discipline. È forte, dunque, la sensazio-ne che la tesi dell’inadeguatezza della Costituzione repubblicana rispettoalle sfide del presente e del prossimo futuro (oltre, nessuno sa ragionevol-mente vedere) si appoggi su una serie di semplificazioni teoriche e su unapovertà di acquisizioni probatorie che ne segnano negativamente la capa-cità esplicativa.

Il “discorso” sulla Costituzione è troppo serio per non meritareapprocci disciplinari ben integrati. Il dialogo tra costituzionalisti estorici — che il seminario illustra e rende programmatico — registra

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questa esigenza. L’inadeguatezza presunta della Costituzione segna-la probabilmente anche alcune inadeguatezze nell’analisi e nellaprevisione. Occorre delineare, credo, quello che chiamo un approc-cio polittico (1). Il nostro “quadro di riferimento” è come un grandepolittico che faccia da pala d’altare del tempio costituzionale. Com’ènoto, i polittici sono composizioni multiple. Al centro l’ancona puòraffigurare la Maestà o il Cristo in croce, ma più il polittico è grandee ambizioso più si arricchisce di predelle, cimase, cuspidi, riquadricon immagini di santi, scene di vita, angeli, piccoli paesaggi, rac-chiusi da possenti cornici dorate. Ora, il lavoro di chi mette al centrodell’indagine scientifica la Costituzione e, più ampiamente, il “feno-meno costituzionale” nella dimensione diacronica e geopolitica,assomiglia in fondo a quello dello storico dell’arte che cerca diricomporre e ricondurre ad unità i non pochi polittici che la storiaha smembrato tra luoghi di committenza, musei e collezioni. Ogni“pezzo” ha un senso, un valore, può essere visto a sé stante, ma il“fenomeno costituzionale” è la continua — Luciani parla di “moto”— combinazione/scombinazione delle parti nel tutto, tra passato,presente e futuro. Noi possiamo osservare le “predelle” come ele-menti dotati di una qualche autonomia, di una “vita” propria,eppure tutto cambia quando, per la fortunata coincidenza dell’av-venuta ricomposizione delle parti isolate, possiamo riammirare unpolittico nella sua struttura originaria. Vediamo allora le corrispon-denze, il disegno complessivo, potremmo dire la « molteplicità delleprospettive ». L’ancona del polittico è diventata per noi la Costitu-zione (la Maestà) e tutto attorno stanno le forme e le strutture dellasocietà, della politica, dell’economia, dell’antropologia, della cultu-ra... Per leggere il grande “polittico costituzionale” — spesso bifron-te — mai come oggi occorre un approccio integrato. Ed unadomanda che non si può aggirare è: inadeguata la Costituzione oinadeguato ciò che gli sta intorno (2)?

(1) LACCHÈ 2001, p. 5.(2) CHELI 2012.

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2. Il tempio, il tempo e i sacerdoti.

Non v’è alcun dubbio sul fatto che la Costituzione — ovverol’insieme di valori, principi e diritti che essa “contiene” nel suo in-veramento storico — stia al centro della scena. Noi parliamo dell’e-sperienza italiana, ma il dibattito sul Global Constitutionalism ci rivelada anni scenari e controversie continentali e mondiali. Questo semi-nario ha fatto emergere domande sull’identità disciplinare, culturalee civile del “costituzionalista”, di chi cioè per “professione” osserva,studia e delimita il campo della Costituzione. La sua, per certi versi,è una sorta di professione “religiosa” attraverso la quale viene am-messo al “sacerdozio”. La sua Maestà è la Costituzione. Dico questo— con qualche esagerazione — per rilevare tuttavia un’impressione,ovvero che nessun’altra figura di giurista/intellettuale sembra averinstaurato — dopo l’avvento delle costituzioni “forti” del dopoguerra— un legame così stretto e coinvolgente con una “fonte”, o meglio,“superfonte” a più dimensioni. Il grido di dolore che da più di unoè stato levato (« Noi costituzionalisti non contiamo niente... »), evocaa mio avviso un sentimento di disagio di fronte allo smarrimento, realeo dichiarato, di senso e di valore della Costituzione.

Questo “atto di fondazione” evoca una dimensione del “sacro”.L’abate Sieyès aveva còlto per tempo il profilo “teologico” dellamessa in opera del potere costituente inteso quale concetto-sogliadella “nuova” matrice costituzionale. Questo legame forte tra ilcostituzionalista e il suo campo di indagine trova, a mio avviso,anche un risvolto sul piano tecnico-dogmatico. Tanto da far ritenereche l’elaborazione più raffinata e generale della teoria del diritto siapassata in una prima fase, come un testimone, da ciò che risiedevasaldamente, tra la fine dell’Ottocento e una parte del Novecento, nelcampo dei romanisti/civilisti (nel solco della tarda pandettistica),nelle mani della teoria e del diritto che sempre più guardavano allospazio costituzionale (judicial review, rule of law, jurisprudence).Con, tuttavia, un punto critico tutt’altro che piccolo: un progressivocrescente sbilanciamento verso la giurisprudenza costituzionale e lesingole sentenze col rischio di far « perdere le coordinate generalidel complessivo costrutto costituzionale » (3).

(3) CASSESE 2012, p. 621.

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È fondamentale dunque, come si è fatto in questo seminario,problematizzare il rapporto tra la dogmatica, le categorie concettua-li, le « cristallizzazioni culturali » (4) e la dimensione storico-evolutiva. Il rapporto tra Costituzione e tempo — soprattutto nel-l’accezione häberliana di öffentlicher Prozeß (5) — riveste caratteriulteriori e specifici rispetto a quelli che possiamo rubricare sotto lavoce « Diritto e tempo ». Per restare sul piano fenomenologico eparafrasando Heidegger, si potrebbe parlare di esistenzialismo costi-tuzionale, del senso dell’essere nel tempo di una costituzione. Lucianiricorda che la costituzione di ascendenza illuministica, essendo unatto di volontà politica, ha la pretesa di modellare il reale. Essa vuoleplasmare i destini di una comunità politica. Ma questa tensione adaeternitatem si scontra con la sfida della storia e del cambiamento.« Si ha, dunque, che una costituzione non può nascere — senzacontraddire se stessa — né come provvisoria né come eterna » (6). Lecostituzioni sono sempre e comunque destinate al movimento. Lacostituzione esiste e viene “gettata nel mondo”, opera nel concretodel mondo-della-vita. È sulla soglia storica della contemporaneitàche all’idea ambigua e controversa di costituzione si comincia adassegnare un significato più specifico, ponendo il problema delladimensione temporale della costituzione come norma giuridica.Come è noto, la querelle sull’esistenza o meno della costituzione(antica) di fronte al moto per “gettare nel mondo” una costituzionedi tipo nuovo (atto di volontà, razionale, istitutore di un ordine, atendenza prescrittiva) è al centro delle grandi rivoluzioni costituzio-nali, dall’Inghilterra del Seicento alla Francia rivoluzionaria, passan-do per il grande laboratorio americano, seppure con forme ed esitiben diversi.

Per la prima visione la costituzione è il tempo. È la costituzione-tempo. Qui la temporalità storica identifica, costruisce, trasforma ledinamiche e quindi il fenomeno costituzionale. La costituzione sicostruisce nella temporalità storica, rappresenta, nel suo progredire,forme e modi di essere della società e delle sue principali strutture.

(4) Su questa categoria v. HÄBERLE 2001.(5) HÄBERLE 1978.(6) MARTINES 1978, p. 791.

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Per la seconda visione, nella soglia tra moderno e contempora-neo, inizia il cammino della costituzione come vero atto di fonda-zione, atto che istituisce un suo tempo — « tamquam Deus » potrem-mo dire — tale da incidere anche sulla sua stessa evoluzione (ilmoto). Nella forma più “radicale” (che spesso, con un po’ disemplificazione, ribattezziamo “giacobina”) c’è l’idea della costitu-zione come nuova religio societatis. La rivoluzione costituzionalepensa il tempo come ragione e non più come tradizione. Il rapportotra la Costituzione e il tempo presenta forme di eccedenza rispettoalla classica considerazione del diritto nel « tempo storico » (7).

Queste due visioni, che in nuce contengono la dialettica tracostituzione-bilancio e costituzione-programma, si affrontano pertutto l’Ottocento: le costituzioni ottriate e la costituzione liberale erappresentativa ne sono una complessa testimonianza (8).

È nel corso del Novecento che la costituzione assume definiti-vamente una dimensione progettuale organica. Su questo terrenoMassimo Luciani usa un’espressione efficace, parla infatti dell’« ec-cedenza progettuale » della Costituzione italiana. Proprio la ricor-data distinzione tra applicazione e attuazione “chiarita” dalla sen-tenza n. 1/1956 della Corte costituzionale (9) sancisce il riconosci-mento della Costituzione come atto che apre « percorsi di svilupposociale, indica obiettivi, disegna scenari futuri ». Questa eccedenzaprogettuale — vista inizialmente attraverso l’acceso dibattito sulladialettica norme programmatiche/prescrittive — non poteva soddi-sfarsi con la pur fondamentale applicazione, ma richiedeva l’attiva-zione del circuito della volontà politica (costituente). La tensione trala forza progettuale della Costituzione e l’intermittente o, poi,inconcludente, progettualità della politica (con la “p” minuscola) èstata una questione cruciale per la storia italiana del dopoguerra. LaCostituzione incorpora una temporalità eccedente al punto dadovere/volere rinviare al futuro la sua dimensione fenomenologica.

(7) HUSSERL 1998.(8) LACCHÈ 2010b. La prospettiva del carattere politico-programmatico non era

però certo sconosciuta alle konstitutionelle Verfassungen ottocentesche (MANCA 2003).(9) VASSALLI 2006; BARTOLE 2004.

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3. I tempi, le generazioni, la Costituzione.

Se abbiamo parlato di esistenzialismo costituzionale e di Costi-tuzione e tempo, dovremo però approfondire questa riflessione inuna prospettiva nella quale la narrazione si frammenta in temporalitàmultiple. La settimana scorsa ho partecipato ad un seminario coor-dinato da Paolo Pombeni sul “peso della storia” (10) nelle ricostru-zioni del dopoguerra. Il tempo si declina al plurale: sembrano infattiemergere quattro tempi.

Il primo è il tempo dell’agire politico, della politica nuovarappresentata soprattutto dalle forze politico-partitiche. È il tempoche accende il potere costituente. Questo è un tempo che parla illinguaggio della rigenerazione, della rifondazione, della ricostruzio-ne. Nel dibattito di quegli anni s’intrecciano due immagini: quelladelle macerie e quella della fondazione della “casa comune”. Lerovine non sono innocue, come osserva Georg Simmel in un saggiodel 1911 (11). La rovina è produttiva e si può vedere come evento cheacquista autonomia e una precisa capacità di esistenza (12). Costruiresulle macerie non è semplice, bisogna « sgombrare il campo », comedice Calamandrei. Questo tempo è chiamato a enfatizzare la fratturacon il “prima”, se non addirittura a costruire “contro”. Il poteresovrano determina la Costituzione e si trasforma poi come potere delParlamento e quindi come legislatore “attuatore”.

Ma il tempo della Costituzione (13), come detto, è un temponuovo. Come si è già osservato, la Costituzione è figlia del tempodell’agire politico costituente ed è l’architrave per l’attuazione dellademocrazia pluralista. Ma come atto di fondazione, atto che istituisceun suo tempo, essa deve poter determinare le condizioni per la suastessa evoluzione (il moto). In questa prospettiva l’attuazione costi-tuzionale non può che essere il punto d’attacco. L’inattuazione non

(10) Il peso della storia nella gestione del consenso politico. Italia, Austria, Germaniae Francia nel secondo dopoguerra, 17 gennaio 2013, Istituto storico italo-germanico,Fondazione Bruno Kessler.

(11) SIMMEL 1911, p. 122.(12) LACCHÈ 2010a, p. 155.(13) In questa sede non si può affrontare il tema del tempo nella Costituzione. Cfr.

GIOCOLI NACCI 1984.

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potrà che essere vista come tradimento (14) o, almeno, come dila-zione. La Costituzione è storicamente determinata ma essa è desti-nata — una volta “gettata nel mondo” — a diventare movimento,divenendo la “madre” di chi l’ha generata (il tempo dell’agirepolitico). Se l’« l’uomo del futuro » può essere rappresentato dallegislatore, come ci dice Gerhart Husserl, tanto più ciò deve valereper il costituente in quanto massimo pianificatore. La costituzione èuna grande « freccia del futuro » (15). Da qui discende anche lacentralità della Costituzione del 1948 (con cui tutti devono fare iconti), il suo essere vero « riferimento pivotale » (16) per diventareordine consolidato e legittimato.

In questa prospettiva, però, non possiamo ignorare altri due“tempi”, quello dei giuristi e della scienza giuridica e quello deigiudici.

Qui ritroviamo temi che sembrano riecheggiare “lontani” dibat-titi settecenteschi che prefigurano distintamente la tensione tra ladurata della costituzione, il posto della sovranità e il moto impetuosodella democrazia, tra l’Ulisse che si fa legare all’albero della nave eil canto delle sirene. È il tema della vita come dimensione delpresente e del rapporto di commitment tra democrazia e costituzio-nalismo (17). Può ogni generazione voler essere libera di legare a séle seguenti, senza però essere più legata alle precedenti? Per ThomasJefferson la durata non era garanzia di venerabilità. « La vanapresunzione di governare dalla tomba — osservava Thomas Paine —è la più ridicola e oltraggiosa di tutte le tirannidi. L’uomo non hadiritti di proprietà sull’uomo, e nessuna generazione ha diritti diproprietà sulle generazioni a venire » (18).

Questo topos argomentativo (poi “canonizzato” dall’art. 28della costituzione francese del 1793) è rivolto soprattutto contro lacostituzione-tempo e la tradizione, e non contro l’idea di un deter-minato rapporto tra sovrano e revisione (19).

(14) CALAMANDREI 1996.(15) HUSSERL 1998, p. 52.(16) BONINI 2007, p. 23.(17) RUBENFELD 2001.(18) Cfr. ELSTER 1992; ID. 1996; ID. 2004; HOLMES 1996; ID. 1998.(19) FIORAVANTI 2009A, p. 77 ss.

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[L]a costituzione si sarebbe attualizzata, nel senso di trovare il propriofondamento di validità non più nel passato ma nella forza dell’incontro divolontà presenti e future. Ed era appunto del futuro che il modernocostituzionalismo puntava a farsi carico, non senza contraddizioni, attra-verso l’engagement, lo scambio di auspici e promesse, l’accordo tra indivi-dui e fra generazioni, di cui la costituzione sarebbe stato l’esito giuridica-mente e politicamente più alto (20).

La dimensione “intra-generazionale” è ben presente nel con-fronto tra culture e “antropologie” dei giuristi negli anni attorno allaCostituente. In un intervento tenuto il 26 ottobre 1945 davanti allaConsulta, Ferruccio Parri osservava: « Io non so, non credo che sipossano definire regimi democratici quelli che avevamo prima delfascismo... [interruzioni, scambio di apostrofi, commenti, rumori].Non vorrei offendere con queste mie parole quei regimi [commenti,interruzioni, rumori]. Mi rincresce che la mia definizione sia maleaccetta. Intendevo dire questo: democratico ha un significato preci-so, direi tecnico. Quelli erano regimi che possiamo definire eritenere liberali [interruzioni, commenti, grida di: Viva Orlando!Vivissimi e prolungati applausi all’indirizzo dell’on. Orlando, gridadi: Viva Vittorio Veneto!] » (21). È altrettanto nota la replica diBenedetto Croce che rivendicava allo Stato liberale italiano (1860-1922) una autentica sostanza democratica.

Gli evviva rivolti all’indirizzo di Vittorio Emanuele Orlando,prima della scelta costituente del 2 giugno 1946, evocavano il mondodello Stato liberale nella sua valenza politica e giuridica. Ma lapartita della Costituzione vide la sconfitta, sul piano concettuale, delmondo “antico” della tradizione costituzionale del Rechtstaat, dellaspecifica forma dello Stato liberale di diritto formatosi in Italia tra idue secoli. La scienza italiana del diritto pubblico di Orlando,Ranelletti, Amorth, Amedeo Giannini e molti altri non ha in manopiù la giusta bussola per navigare nel mare nuovo della Costituzione.L’11 marzo 1947 Palmiro Togliatti in Assemblea Costituente nondovrà più adottare le cautele di Parri.

(20) PERSANO 2007, p. 181.(21) Atti della Consulta Nazionale. Discorsi dal 25 ottobre 1945 al 9 marzo 1946,

Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, p. 18.

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Noi siamo responsabili del futuro verso i nostri figli, verso i nostrinipoti. Per questo facciamo una nuova Costituzione, cioè vogliamo fondareun ordinamento costituzionale nuovo, tenendo conto di quello che èaccaduto, cioè tirando le somme di un processo storico e politico che si èconcluso con una catastrofe nazionale. Questa catastrofe, signori, è stata inpari tempo il fallimento di una classe dirigente, e questa è dunque la veraquestione, che sta davanti a noi e che ci deve orientare in tutto il dibattitocostituzionale. Il popolo italiano infatti oggi non può [fare] a meno dichiedersi se questa sconfitta che abbiamo subìto, questo disastro nel qualeci hanno gettato, era qualche cosa di inevitabile, legata a uno di queicataclismi che travolgono popoli e regimi, come furono nel passato leinvasioni barbariche [...]. Questa sconfitta non era inevitabile. Colleghi, iosento rispetto, e anche più che rispetto, per gli uomini che siedono inquest’aula e che appartengono ai gruppi che furono parte integrante diquesta vecchia classe dirigente [...] però non posso non sentire e nonaffermare che anche questi uomini portano una parte della responsabilitàper la catastrofe che si è abbattuta sul popolo italiano. Perché voi avevateocchi e non avete visto.

Nel corso di questa celebre “requisitoria”, Togliatti critica, nona caso, i giuristi italiani che avevano accolto dottrine dannose.

Oserei dire che nel nostro lavoro non ci hanno dato grande aiuto igiuristi. Non se ne abbiano a male i colleghi che esercitano questa nobileprofessione, che del resto avrebbe potuto essere anche la mia, se la politicanon mi avesse traviato... Negli ultimi venti o trenta anni [...] sono affioratee sono state accolte, soprattutto nel nostro Paese, dottrine diverse [...] chericonoscono e collocano la sovranità non nel popolo, ma soltanto nelloStato, e danno quindi ai diritti individuali soltanto una carattere riflesso. Lascienza giuridica degli ultimi venti anni è stata permeata da queste nuovedottrine, e questo spiega perché, quando abbiamo dovuto scrivere unaCostituzione democratica e abbiamo chiesto l’ausilio dei giuristi, essi nonsono stati in grado di darci un aiuto efficace (22).

In realtà, come sappiamo bene, la critica di Togliatti è manicheae non distingue tra i due “tempi dei giuristi”. Può sembrare unparadosso — ma non lo è — il fatto che i “neoterici” — comeMortati, Crisafulli, Lavagna, Tosato, Esposito, Massimo SeveroGiannini ecc. (tutti protagonisti del dibattito costituente e della

(22) Assemblea Costituente, 11 marzo 1947, in La Costituzione nei lavori prepara-tori dell’Assemblea costituente, Roma, Camera dei Deputati, 1970, pp. 328-329.

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prima attuazione) — si siano formati durante il fascismo e da lìabbiano cominciato, tra gli anni ’30 e ’40, a porre le basi per unanuova dottrina della costituzione (23) che muove dalla teoria delpotere costituente, dalla riflessione sull’indirizzo politico e sullaforma-partito. La generazione orlandiana (che abbraccia almeno duegenerazioni della giuspubblicistica italiana) prova disagio verso ciòche sta prendendo forma. Nel campo dei giuristi, pur senza lavisibilità dello scontro politico, si affrontano infatti visioni e culturediverse della Costituzione. Dalla parte degli uni riaffiora la culturadella costituzione-tempo, progrediente, elastica, elaborata in chiaveanticostruttivista dalla Staatslehre italiana. Dalla parte degli altriri-emerge la dottrina della costituzione-atto, manifestazione forte delpotere costituente di cui è depositario il popolo sovrano per fondarela democrazia costituzionale. Gli uni hanno bisogno di una costitu-zione capace di governare una temporalità senza strappi violenti, glialtri vogliono un progetto per costruire il presente e orientare ilfuturo (24). La visione degli uni separa diritto e politica, quella deglialtri li integra.

Il dibattito sulla qualificazione delle norme costituzionali, certiinterventi giurisprudenziali (si pensi alla sentenza del 7 febbraio1948 della Cassazione penale a sezioni unite), i commenti dottrinalimostrano come la posta in gioco fosse, in ultima istanza, il valore/posizione della Costituzione (25). L’eccedenza progettuale dellaCostituzione era proprio ciò che procurava “disorientamento” esuscitava resistenze, anzitutto culturali, da parte di tutti coloro cheleggevano il testo con gli occhiali del paradigma statualistico. Rie-cheggiava la formula che Carl Schmitt aveva affibbiato alla costitu-zione di Weimar come dilatorische Formelkompromisse. Il concettodi « compromesso costituzionale », ampiamente utilizzato in sedecostituente, poteva essere interpretato in vari modi e strumentaliz-zato. Ma normatività piena della Costituzione e progettualità eranodue facce della stessa medaglia. In questa prospettiva, l’azionabilitàdelle norme della Costituzione diveniva il terreno di confronto.Proprio la novità delle norme definite, polemicamente, “program-

(23) FIORAVANTI 2001.(24) COSTA 2012, pp. 134-137.(25) GREGORIO 2006.

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matiche” e direttive — considerate enunciazioni politico-ideologiche e sociali, sorta di proclami e di promesse per un futuroindeterminato — consisteva nel loro essere indirizzo di politicacostituzionale aperto al futuro.

L’istituzione della Corte costituzionale e il dialogo con i giudicifurono momenti decisivi per affermare i nuovi e originali caratteridella Costituzione repubblicana (26). Non fu uno scontro tra “buo-ni” e “cattivi” — come Luciani sottolinea — ma si trattò piuttostodi un processo di transizione che non poteva non avvertire il “pesodella storia”. La Corte costituzionale fece valere la supremazia dellaCostituzione nei riguardi delle altre fonti normative. L’applicazioneprendeva così la propria strada, ma l’attuazione sarebbe rimasto ilvero problema di fondo.

4. Il quarto tempo.

La forte dimensione prospettica della Costituzione ha contras-segnato quelli che possiamo chiamare i primi Trenta anni “gloriosi”.In questi decenni le retoriche dell’attuazione e dell’inattuazionesono state le due facce di una stessa medaglia, coniata dall’eccedenzaprogettuale della Costituzione e dalla sua spinta in avanti. Entrambesono state politiche costituzionali nell’ambito di un gioco complesso.È nel corso degli anni ’70 — come ha ben messo in luce MaurizioFioravanti (27) — che la spinta in avanti comincia a indebolirsidestando la preoccupazione di alcuni padri della Costituzione, acominciare da Costantino Mortati. Già sul finire degli anni ’60Mortati denunciava il fatto che « la forza di rottura, potenzialmentecontenuta nel testo costituzionale, radicalmente innovatore rispettonon solo alla ideologia fascista ma anche a quella liberale, non hatrovato forze sufficienti a metterla in opera, sicché la costituzionemateriale, quale si è di fatto realizzata, ha privato di efficacia, nonsolo e non tanto singoli precetti costituzionali, quanto la sua piùprofonda essenza » (28). Il problema non risiedeva tanto nelle singole

(26) FIORAVANTI 2007.(27) FIORAVANTI 2007; ID. 2009b, p. 20 ss.(28) MORTATI 1969, p. 467.

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inattuazioni quanto nell’indebolimento materiale delle forze chequella Costituzione avevano voluto.

Per Massimo Luciani la ragione dell’indebolimento risiede an-zitutto nella progressiva delineazione di uno squilibrio. Nella fase ditake-off — pur con limiti ed episodici scantonamenti — l’applica-zione giudiziale della Costituzione e l’azione riformatrice del poterepolitico-parlamentare hanno avuto uno stesso indirizzo. I problemisono cominciati quando l’attuazione costituzionale — riservata alcircuito della sovranità popolare — ha imboccato con forza crescen-te la strada delle aule di giustizia. Questo processo avrebbe ingene-rato uno squilibrio tra politica e diritto tale da incidere sullafisiologia dello Stato costituzionale democratico. E ciò avrebbeprodotto l’avvio di un’altra retorica, quella dell’inattualità dellaCostituzione e della necessità della “grande riforma”, destinata acaratterizzare sterilmente gli ultimi venticinque anni della nostra vitacostituzionale.

Il quarto tempo, ovvero la quarta delle scansioni temporalievocate all’inizio, è quello che chiama in causa la giurisdizione e igiudici. La crisi della politica (Mortati avrebbe detto delle forzeinsufficienti) è stata vista come il contrappunto, in Italia, dellamontée en puissance della giurisdizione. Il fenomeno è certamentecomplesso e dipende — come lo stesso Luciani osserva nella suarelazione — da una pluralità di fattori. L’“aristocratizzazione” (29)per via giurisdizionale della Costituzione mette in discussione ilprimato della politica democratica e la sua prerogativa in chiave diattuazione. La supplenza della giurisdizione diventa così effetto edalibi al tempo stesso, fenomeno “necessitato” e accompagnato daprese di posizione della dottrina costituzionalistica.

[B]asta dire — afferma Luciani — che quella che sembra esaltazionedella prescrittività costituzionale è, in realtà, radicale alterazione del mo-dello disegnato dalla Costituzione repubblicana, che è strutturato secondole linee direttrici prima indicate ed è fortemente caratterizzato dal positivoapprezzamento dell’agire politico, inteso anzitutto come strumento dicompimento del percorso di sviluppo della personalità di tutti e di ciascunotracciato dall’art. 3, comma 2.

(29) LUCIANI 2011, p. 5.

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Il costituzionalismo polemico è legato all’ineliminabilità del con-flitto che non può essere delimitato dalle aule dei tribunali ma deverestare al centro di una politica politico-parlamentare rigenerata allaquale conservare l’arduo compito di identificare tempi e modi delcompimento del percorso indicato dalla Costituzione, nel rispettodei suoi contenuti di valore.

Ho parlato del tempo della giurisdizione come quarto tempo,per sottolineare che nello sviluppo della Costituzione italiana ilrichiamo ai tempi “al plurale” ci può tornare utile per coglierne lesfasature, le aritmie. Solo in parte, e in alcuni momenti, i tempi nel“tempo storico” della Costituzione procedono in maniera “coordi-nata”. Anzi, come abbiamo visto, le tensioni e i conflitti fanno parteintegrante del processo di legittimazione. Non bisogna allora dimen-ticare che lo spazio della giustizia costituzionale, la posizione, lanatura e le funzioni della Corte non erano, in origine, né univoci néampiamente legittimati. Nel contesto di costituzioni democraticherampollate da una manifestazione forte del potere costituente esegnate, a livello ideologico, da una decisiva marcatura del primatodella politica, la giustizia costituzionale doveva conquistarsi una suafisionomia. Le obiezioni e le perplessità sollevate nel corso deldibattito costituente avverso l’ipotesi di una Corte costituzionaleerano accomunate, pur partendo da posizioni ideologiche anchemolto distanti, dal timore che la nuova istituzione (per natura,composizione, ecc.) fosse inadeguata. Di gran lunga più forte avreb-be dovuto essere la dimensione politica della Corte per coloro cheintendevano assegnarle un pieno fondamento democratico (lungo ilcircuito sovranità popolare-partiti-parlamento-legge sovrana); piùtecnica invece — quindi più giudiziaria — per chi ne temeva alcontrario la “politicizzazione”. In realtà questi timori erano spessodettati dalla difficoltà oggettiva di pensare un organo del tutto nuovoche avrebbe dovuto al tempo stesso salvaguardare la tradizione“classica” del costituzionalismo liberale — il limite e la garanzia —e rendere attuabile l’indirizzo costituzionale ispirato dal livello su-periore, rigido, dei principi e dei valori. La Corte costituzionalenasceva all’incrocio di due costituzionalismi, quello liberale e quellodemocratico, ne assumeva i dilemmi, le tensioni, le grandi sfide. LaCorte si incuneava, quale snodo essenziale, nella storica tensione tra

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democrazia politica e Stato costituzionale, tra voluntas e ratio (30).Aveva ragione La Pira quando diceva che senza la Corte costituzio-nale l’edificio sarebbe rimasto “senza tetto”. La giustizia costituzio-nale è diventata non a caso uno degli emblemi delle democraziecontemporanee (e lo è a livello “estetico” anche quando si tratta dicostruire democrazie solo sulla carta) proprio perché rafforzando alivello costituzionale la cultura del limite (contro l’assolutismo poli-tico) e della garanzia (dei diritti, soprattutto dei soggetti più debolie delle minoranze) ha consolidato lo sviluppo stesso dei principicostituzionali.

La via italiana alla giustizia nella costituzione è tra le piùinteressanti per la sua sostanziale originalità. Ibridazione empirica dimodalità e di strumenti, mixtum compositum (da subito con la leggen. 1 del 1948) di accentramento e di incidentalità del giudizio, noninquadrabile dentro gli schemi del principio “astratto” di separazio-ne dei poteri (31), « snodo elastico tra le due sfere, tra la giurisdizionee la politica » (32), flessibile nei suoi presupposti di indeterminatezzadel testo costituzionale, la Corte italiana è nata ed ha poi cominciatoad operare pragmaticamente in un quadro di riferimento incerto econtraddittorio. La non applicazione dell’art. 28 della legge n. 87 del1953 — che escludeva ogni valutazione di natura politica e ognisindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento — è unchiaro esempio di quanto detto (33).

Riflettere sull’avvio della Corte non è un ozioso problemastorico-giuridico. La tesi dell’« ostruzionismo di maggioranza » —assunta tradizionalmente, sulla scia di Calamandrei e di numerosialtri protagonisti — quale cifra della prima legislatura repubblicanaha molto influito anche sull’inquadramento storico della Corte.Fermo restando il dato politico dell’inattuazione costituzionale,l’anno 1953 è stato percepito più come l’anno della cd. “leggetruffa” che delle leggi costituzionali in materia di giustizia costitu-zionale. È lo stesso Parlamento, però, ad approvare, a grandissimamaggioranza, le leggi attuative. Già Livio Paladin aveva còlto i limiti

(30) COSTA 2006.(31) PASQUINO 2006.(32) CHELI 1999, p. 31.(33) PINELLI 2006.

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di un’interpretazione puramente “ostruzionistica” (34) e ricercheulteriori sembrano confermare quei dubbi (35).

Va, perciò, quantomeno corretto un diffuso giudizio sulla istituzionedella Corte: questa nuova istituzione repubblicana nasce, certamente, in uncontesto politico dominato da un fortissimo contrasto tra maggioranza edopposizione, probabilmente, nasce tra sospetti e ostilità politiche, ma, inprimo luogo e soprattutto, nasce circondata da una diffusa incomprensione delsuo ruolo e da una radicale incertezza sulla sua natura (36).

È stato acutamente osservato che la Corte, non potendo pro-porsi, in quel momento, né come custode dei valori fondamentali nécome arbitro tra gli interessi in conflitto (37), ha scelto il ruolo“obbligato” (38) di “motore delle riforme”. Svolgendo una funzionedi supplenza del potere politico e del legislativo, l’alta giurisdizioneha rivolto lo sguardo anzitutto verso il passato (39) consolidando lasua posizione “riformatrice”. Il Presidente della Corte GaetanoAzzariti, nel corso della conferenza stampa del dicembre 1957,affrontava il problema della posizione della Corte nel sistema costi-tuzionale:

Poiché si tratta di un organo nuovissimo, il suo collocamento nelquadro dell’ordinamento può dare luogo a perplessità. Non è certo agevolerendersi subito conto delle novità. Bisognerà, però, tenere presente che lafamosa tripartizione quale è a base della teoria della divisione dei poteridovuta a Montesquieu non è più sufficiente a caratterizzare nella lorointegrità gli ordinamenti presenti dello Stato: perché vi sono degli organiche sono fuori di tutti e tre i poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.Quali sono questi organi? Uno è il Capo dello Stato, l’altro la CorteCostituzionale (40).

La storicizzazione problematica dell’esperienza costituzionale

(34) PALADIN 2004, p. 98.(35) BISOGNI 2004, p. 71 ss.(36) SIMONCINI 2006, p. 298.(37) CHELI 1999, p. 33.(38) BARTOLE 2004, p. 118.(39) ONIDA 1977, p. 506 ss.(40) AZZARITI 2006. Il testo della conversazione con la stampa raccolto in forma

stenografica fu pubblicato nella « Rivista di diritto e procedura civile », 1957, p. 1443.

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italiana ci fa vedere meglio, io credo, la struttura profonda dellaquestione che Massimo Luciani ha inteso mettere al centro della suarelazione. Alla metà degli anni ’70 Nicola Matteucci aveva còlto iltema come questione centrale del costituzionalismo contemporaneo:

Questo spostarsi dell’equilibrio costituzionale dal legislativo al giudi-ziario, questo nuovo rapporto fra il potere e il diritto, segna certo unarottura con la nostra tradizione politica più recente; una rottura che non èancora pienamente chiara ed evidente alla nostra cultura politica. Questoera necessario, proprio per l’avvento della democrazia (41).

Struttura originaria o “alterazione” successiva? Probabilmentel’una e l’altra. Le inerzie della ragione politico-rappresentativa han-no determinato uno “squilibrio” o hanno rivelato una Costituzioneche vive alla ricerca di un dinamico punto di equilibrio tra il polodella Costituzione indirizzo/programma e la Costituzione-garanzia?È sufficiente il ritorno al circuito — rigenerato come? — dellapolitica e della legis-latio per rimettere a posto le cose, per ritornaread una attuazione “virtuosa”, per evitare le “alterazioni”? E qualelegislazione, quella del Parlamento o quella, sempre più emergen-ziale, del governo?

5. Il senso della Costituzione e la melancolia costituzionale.

Ritorno, in conclusione, alla domanda di partenza, alla qualenon so dare una risposta. Inadeguata e inattuale la Costituzione oinadeguato e inattuale ciò che gli sta intorno? Il nostro polittico dipartenza ci fa vedere immagini che non possono non renderecomplessa l’interpretazione dell’intero manufatto. Nel corso delseminario sono state evocate alcune questioni cruciali come, peresempio, il rapporto tra la Costituzione e la “nuova” costituzioneeconomica del mondo; gli irrisolti problemi del rapporto tra autoritàreligiosa e potere “laico”; il movimento tellurico che viene dall’Eu-ropa e le fonti multilivello ormai lontane dal ceppo del poterecostituente; la complessità dei casi della vita che sono — non

(41) MATTEUCCI 1976, p. 272.

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dimentichiamolo — il vero oggetto “pointilliste”, come ha osservatoqui Roberto Bin, della giurisdizione.

Come è stato “amministrato”, dunque, il cospicuo patrimonioche i Costituenti ci hanno lasciato? Che uso ne abbiamo saputo fare?Più di sessant’anni di vita corrispondono a più generazioni. Le forzecostituenti sono un ricordo storico e i loro più diretti eredi hannoperso ogni presa materiale sul testo costituzionale. La formula della“Seconda repubblica” è stato il segnale semantico, ma sostanziale, diuna perdita di senso della Costituzione. Le ragioni sono profonde emolteplici. La lettura “scettica” o “indifferente” o, al contrario,aggressivamente “difensiva” della Costituzione hanno finito — den-tro il discorso inconcludente e stereotipato delle riforme — permettere in primo piano la dimensione contingente mentre nel di-scorso pubblico la Costituzione perdeva le sue grandi potenzialità.

Più ancora che da calcoli partigiani e veti incrociati, il dibattito sullaCostituzione è impoverito da questo circolo vizioso tra “conservatori” e“innovatori”, caricatura dell’antico dibattito sul perché le scelte dei padridebbano vincolare i figli. L’assenza di un legame fra tradizione e muta-mento costituzionale nella consapevolezza collettiva ha dunque bisogno diuna spiegazione. Possiamo cominciare provando a ricostruire la parabola disignificato che certe formule hanno assunto nel discorso pubblico, quali“Costituzione nata dalla Resistenza” e “attuazione della Costituzione” (42).

I padri della Costituzione sono quasi tutti scomparsi, restano ifigli e i nipoti. Quale narrazione è dunque possibile nella temporalitàdel post-moderno? Come esiste oggi la Costituzione? Ci può bastarela via ermeneutica (43) in capo alla scienza giuridica (nel suo com-plesso) per trovare punti di equilibrio fra testo e contesto, fracertezza del diritto e concretezza di un ordinamento sempre piùinformato alle dinamiche complesse e “conflittuali” del pluralismosociale e istituzionale? È questo l’unico modo per far parlare oggi laCostituzione, interpellata dalla realtà? O la Costituzione deve ritro-vare — come auspica Luciani — un percorso nel quale l’« l’attua-zione [...] possa distinguersi dalla sua applicazione solo se [...] nonsi riduce all’occupazione degli spazi di libertà lasciati dalle norme

(42) PINELLI 2012, p. 118.(43) ZAGREBELSKY 1996, p. 77 ss.

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costituzionali, ma si qualifica per la consapevole intenzione direalizzare un voluto costituzionale dinamicamente proiettato nelfuturo »?

Talvolta si parla della Costituzione come di una bussola perorientare i naviganti. Dal nostro seminario emerge un quadro con-trastato nel quale le stesse categorie dottrinali classiche (a comincia-re dal trinomio rigidità/flessibilità/elasticità) appaiono meno produt-tive di quanto si vorrebbe.

La Costituzione che oggi utilizziamo è fatta di disposizioni scritte,delle relative scelte ermeneutiche, dei regolamenti parlamentari e delle leggiordinarie che hanno concretato le scelte delle assemblee legislative, delleelaborazioni concettuali che vi si sono sovrapposte, delle convinzioni eprassi poste in essere dagli organi governanti, dalla giurisprudenza spessoadditiva e certamente innovativa della Corte costituzionale (44).

I soggetti “manipolatori” — nel senso di rendere vivente laCostituzione e i suoi valori e principi — sono più numerosi delprevisto. La generazione del 1947-48 aveva, per motivi storici,politici e culturali, uno sguardo proiettato in avanti. Lo stessoCalamandrei — tutt’altro che tenero rispetto a talune scelte concrete— usò un’immagine “architettonica” molto efficace parlando dellanecessità che la futura Costituzione accogliesse un principio. « Macome gli architetti nel costruir l’ala di un edificio che dovrà essercompiuto nell’avvenire, lasciano nella parete destinata a servired’appoggio certe pietre sporgenti che essi chiamano “ammorzature”,così è concepibile che nella costituzione italiana siano inserite...cosiffatte ammorzature giuridiche » (45).

Ascoltando qui gli interventi che si sono succeduti, ho tratto unapercezione che vorrei evocare, in conclusione, con un rinvio allostraordinario ciclo pittorico allegorico sugli effetti del buono e delcattivo governo che Ambrogio Lorenzetti ha lasciato, quasi a metàTrecento, in Palazzo Pubblico alla sua potente committenza senese(e a tutti noi). Catalogo visivo e concettuale di un medioevo urbano,dinamico e costituzionalmente fazioso, il Buongoverno è l’alchimiadelle virtù che fa uscire o mai cadere la Città nella discordia che è

(44) BARTOLE 2004, p. 445.(45) CALAMANDREI 1945, p. 168.

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esasperazione, sregolata, del conflitto. Nel ciclo pittorico di Loren-zetti è ben presente — come ha dimostrato con grande acumePierangelo Schiera (46) — la dimensione del Timor, di quel senti-mento “melancolico” che fa temere per la perdita di un bene carocome la Pax. E forse potremmo parlare, anche per i nostri giorni, dimelancolia costituzionale, di uno stato d’animo dubbioso, in bilico,tra la Costituzione come bene comune, res publica, e nostro princi-pale “strumento di convivenza” e la doverosa presa d’atto dellarealtà, con le sue gravi impasse e le sue minacce. Non è scontato daresenso a ciò che la Costituzione è diventata. Sentiamo echi premo-derni che evocano la vicenda della iurisdictio in una logica nuova digaranzia; la complessità del mondo e dei casi della vita rendonomeno “direzionale” la Costituzione dei costituenti e la Costituzione-arena fa coesistere e confliggere valori, principi e interessi immagi-nati nel passato ma da ribilanciare nel presente; percepiamo lanecessità di non perdere il legame politico, fondativo, con il poteresovrano, pur nella crisi delle sue forme di attuazione a livello dirappresentanza e sistema politico. Melancolia costituzionale significaallora avere piena coscienza di ciò che si ha e di ciò che si puòperdere. Non mettiamo contro tradizione e mutamento, perché nonè questo il vero problema.

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(46) Schiera 2006; anche Schiera 1999.

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INDICE SOMMARIO

G. CAZZETTA, Premessa. Dalla Costituzione ‘inattuata’ alla Costituzione ‘inattua-le’? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V

G. BRUNELLI, Ancora attuale. Le ragioni giuridiche della perdurante vitalità dellaCostituzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

P. COSTA, Dalla “inattuazione” alla “inattualità” della Costituzione: qualche con-siderazione introduttiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

M. LUCIANI, Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della Costituzionerepubblicana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

INTERVENTI

E. CATELANI, I problemi di attuazione/applicazione della Costituzione fra interpre-tazione “conforme” e prospettive di riforma costituzionale . . . . . . . . . . 75

F. CERRONE, L’attesa dell’attuazione costituzionale e la crisi della politica. . . . . 87

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I collaboratori di questo volume . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 429

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