Lucio Villari - Weimar

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II volume raccoglie gli Atti dei seminário sul tema « Weimar. Lotte sociali e sistema democrático negli anni Venti» organizzato dallTstituto Gramsci - Sezione delFEmi- lia Romagna, svoltosi a Bologna 1'11 e 12 novembre 1977. k WEIMAR , te. . 3| Lotte sociali e sistema democrático nella Germânia áegli anni venti. J J> \ CURA DI Lucio VILLARI 0 l # ,* A 5 3 SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO

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I I volume raccoglie gli A t t i dei seminário sul tema « Weimar. Lotte sociali e sistema democrático negli anni Venti» organizzato dallTstituto Gramsci - Sezione delFEmi-lia Romagna, svoltosi a Bologna 1'11 e 12 novembre 1977.

k WEIMAR

, te. .

3 | Lotte sociali e sistema democrático nella Germânia áegli anni venti. J

J> \ CURA DI Lucio VILLARI

0 l # ,* A

5 3 SOCIETÀ EDITRICE I L M U L I N O

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ÍNDICE

Lucio Villari , Introduzione p. 7

Enzo Collotti, Tendenze recenti delia st ortografia sulla repubblica di Weimar p. 11

Gian Enrico Rusconi, Azione operaia e sistema democrático p. 43

Lucio Villari , La razionalizzazione capitalistica nel-la repubblica di Weimar p. 71

Giacomo Marramao, « Técnica sociale », Stato e transizione tra socialdemocrazia weimariana e austromarxismo p. 93

Ferruccio Masini, « Rivoluzione conservatrice » e ideologia delia técnica nella repubblica di Weimar p. 137

Tomas Maldonado, Le due anime delia cultura

di Weimar p. 153

Bibliografia p. 165

Cronologia p. 191

índice dei nomi p. 209

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Lucio VILLARI

INTRODUZIONE

La risonanza che ha avuto in questi ultimi tempi in Itália la vicenda di Weimar ha i l segno, secondo alcuni, dei malessere delia nostra società e delia nostra democrazia. Tale interpretazione non ha veramente alcun rapporto con le ricerche finora condotte; esse hanno, a mio parere, motivi diversi che non la individuazione di analogie, o l'esorcizzazione dei pericoli che corre 1'attuale si­stema politico italiano.

L^sperienza che la società tedesca ha vissuto tra i l 1918 e i l 1933 non è infatti un « metro » politico-sociolo-gico (che nessuno studioso potrebbe poi realmente usare), ma un insieme di problemi, anche teorici, la cui soluzione storiografica (cioè scientifica) è necessária per correggere, intanto, quelle deformazioni delia storia tedesca che in Itália si sono accumulate per decenni. E poi per sco-prire, se è possibile, le ragioni (mai univoche) di questa stessa storia, per dare un significato meno spettrale a vi-cende precise e di fondamentale importanza: i l nazismo, la scuola di Francoforte, la razionalizzazione capitalistica, la « cultura di Weimar », la socialdemocrazia tedesca.

Sappiamo bene quali possono essere i rischi di una ricostruzione a tesi. delia storia di Weimar. Weimar stessa, d'altronde, si comporta come una lente di ingran-dimento che inganna 1'osservatore. È come se gran parte delle cose avvenute in quegli anni si presentassero ai no-stri occhi in dimensioni piú grandi e « meravigliose » dei normale. Era indispensabile, dunque, che questo nodo di questioni venisse affrontato direttamente. I I convegno pro-mosso dallTstituto Gramsci di Bologna, alia fine dello scorso anno, vuole essere un contributo in tal senso.

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L'iniziativa dei convegno si incontra anche con un momento particolarmente fertile delia ricerca interdisci-plinare in Itália. I I tema « Weimar » è stato forse Poc-casione favorevole per sperimentare la possibilita di ta­le método, che consiste essenzialmente, da una parte nel non separare i problemi gli uni dagli altri, e dalPal-tra nel non totalizzarli. L'indicazione che ne risulta non è una via intermédia ma, al contrario, un rigoroso e uni­tário approfondimento critico.

Prendiamo i l caso, ad esempio, dei rapporto tra econo­mia e politica nella repubblica di Weimar. Sarebbe impensa-bile separare Panalisi politica borghese di Weber o di Rathe-nau o di Sombart, le ricerche fatte nel versante socialdemo-cratico da Hilferding, le lotte sociali, Pimpegno culturale e artístico, dal processo di riorganizzazione degli apparati produttivi dei capitalismo tedesco o dalle « ricette » eco-nomiche dei banchiere Schacht. Sarebbe eccessivo allora dire che Yinsieme di queste cose costituisce la « razionaliz­zazione » che domina gli anni dal 1924 al 1933?

Vari giudizi si danno sulla democrazia weimariana. C'è ancora chi vuole aggettivarla come « improvvisata » o « interrotta »; i l convegno di Bologna dimostra, ci sembra, che la costruzione di un sistema democrático è un processo molto complicato, e che ogni tentativo di analisi storiografi-ca e di enucleazione teórica sarebbe vano senza la consape-volezza di tale complessità. I n tutte le relazioni qui raccolte è presente infatti la scala di rapporti esistenti tra la stabiliz-zazione e lo sviluppo capitalistici, i l « compromesso isti-tuzionale », la strategia dei movimento operaio, le avan-guardie artistiche degli anni '20 e la cultura delia crisi. È supérfluo dire che si tratta di rapporti spesso non dialettici ma di « opposizione ». Può esserne una prova i l fatto che la crisi finale delia repubblica di Weimar e Pavvento dei na­zismo sono stati interpretati da strati diversi delia so­cietà tedesca anche come una « risoluzione » di certi pro­blemi irrisolvibili delia direzione democrática delia Ger­mânia. Primo tra tutt i , naturalmente, quello delia effetti-va capacita dei potere esecutivo di guidare con chiarezza

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e fermezza le sorti dei paese nel momento in cui esso era colpito dalle ondate delia depressione iniziata negli Stati Uniti con la crisi económica dei 1929.

È interessante infatti osservare che Pavvento dei na­zismo, cioè di un potere forte, matura nel momento in cui, con i l cancellierato di Briining (1931-32), viene speri-mentato un modello di direzione politica sia delPeconomia che dei rapporti sociali, formalmente « autoritária». Una politica, però, che seppur attraverso i tanto criticati decreti legge intendeva rivendicare i l principio delPau-tonomia e delia primaria responsabilità delPesecutivo. E noi sappiamo che una delle chiavi di volta dei sistema sta-tuale democrático è nella corretta individuazione e nelPuso eficiente e responsabile dei poteri delPesecutivo. Soprattut-to quando si è in presenza di un'altra « autonomia » (questa volta però ampiamente « irresponsabile ») che si esprime nel potere sociale e politico esercitato dai liberi meccanismi dei capitalismo.

Crediamo di poter dire, perciò, che gran parte degli errori dei movimento operaio tedesco (mutuati dai proto-colli e dalle direttive delia I I I Internazionale) e delle or-ganizzazioni sindacali sia consistito sostanzialmente nella sottovalutazione dei problema dei ruoli istituzionali. Con ciò non vogliamo certo sostenere che Pazione dei governo Briining fosse esterna agli interessi delia razionalizzazione capitalistica e quindi alie servitú che ciò esigeva, ma solo che la via dei decreti legge per una soluzione pianificata o programmata di particolari e importanti questioni eco-nomiche e sociali non poteva che essere inevitabile. Ma sara anche la conclusione dei deterioramento di un sistema pluralistico, egemonizzato dalle potenti forze economiche dei capitalismo.

I n definitiva, dunque, i l giudizio storico sulPultima fase delia storia di Weimar e, in particolare, sulla dire­zione politica impressa al paese dai cosiddetti « governi presidenziali », coinvolge necessariamente tutto i l proces­so sociale che ha avuto luogo in Germânia nel corso di un quattordicennio, irreversibilmente segnato dalPastro ascen-

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dente dei capitalismo organizzato. Un processo che ha visto, in questo quadro rigidamente condizionato, 1'emergere e i l consolidarsi di interessi disparati (il « pluralismo corpora­tivo ») cui non sempre corrispondevano forze antagoniste sociali e culturali omogenee e non subalterne. Per questo aspetto negativo Weimar forse può ancora insegnare qual-cosa. I I corporativismo infatti è una alterazione dei fattori produttivi e sociali d i un paese, poiché crea « scambi non equivarlenti » tra la società (o, se si preferisce, i l sociale) e le istituzioni, provocando anche un progressivo distacco (cosi è appunto avvenuto in Germânia) tra i partiti e le forme politiche dei potere.

La mia opinione è, comunque, che l'obbiettivo inte­resse che ha 1'ultimo periodo delia repubblica di Wei­mar sia dovuto al fatto che esso è come calamitato, nel-1'attenzione degli studiosi, dal suo esito nazista. I n ve-rità, Parco storico che va dalla fine delia prima guerra mondiale al 1924 è altrettanto ricco di problemi e di sug-gestioni. La nascita di una democrazia è sempre un parto laborioso. È lí che si commettono i primi errori ma si pro-gettano anche i nuovi modelli. Non è avvenuto questo in Itália tra i l 1943 e i l 1948? O nelPAmerica dei New Deal tra i l 1933 e i l 1938?

I n sostanza i l convegno di Bologna ha inteso rispon-dere a questi (e ad altri) interrogativi indiretti.

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ENZO COLLOTTI

TENDENZE RECENTI DELLA STORIOGRAFIA í SULLA REPUBBLICA D I W E I M A R

Non ès i l caso di sottolineare Pinteresse che può avere' oggi la riflessione sulPesperienza e sulla crisi delia repub­blica di Weimar. Ora, a parte gli artificiosi accostamenti, le approssimazioni che hanno alimentato, per cosi dire, « una polemica di mezza estate » sulPanalogia Itália-Wei­mar *, la ragione piú profonda mi pare risieda nelPessere stato questo i l primo esperimento di repubblica tedesca ed anche i l banco di prova delia socialdemocrazia negli anni venti.

Non insisterò sui caratteri di esemplarità intrinsechi a questo tipo di esperimento e di crisi, in quanto tali carat­teri sono stati suficientemente, e a mio avviso in modo con­vincente, chiariti nel recente lavoro di Rusconi, al quale quindi rinvio per questo aspetto dei dibattito 2 . M i pare piú opportuno sottolineare lo stretto legame che intercorre tra la storiografia tedesca, alia quale in particolare mi riferirò, sia pure con qualche eccezione che riguarda in modo speci-fico i l lavoro di Rusconi e qualche altro contributo non te­desco, e le motivazioni politiche che ispirano quella stessa storiografia. Motivazioni che, se erano già presenti una decina di anni fa — mi riferisco ad un precedente tentativo di sintesi delia storiografia compiuto a margine delle inter-pretazioni diffuse per i l 50° anniversario delia rivoluzione

1 Sui termini delia polemica, delle analogie e delle differenze tra le due situazioni rinviamo alia nostra rassegna critica Itália e Weimar: aspetti di una polemica e limiti di certe analogie sulla rivista « Itália contemporânea », 1978, n. 2 e alia bibliografia ivi citata.

2 Gian Enrico Rusconi, La crisi di Weimar. Crisi di sistema e scon-fitta operaia, Torino, 1977, pp. V I I - V I I I e passim.

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di novembre3 — , ancor piú pregnanti appaiono oggi. Oggi infatti non si tratta forse piú di ritrovare genericamente ne-gli errori delia prima repubblica la legittimazione pfima dei sistema politico creato dalla seconda, quanto piuftosto di trarre dalla fine delia prima repubblica Pispirazione per la creazione degli strumenti idonei a salvare la seconda dai pericoli di soffocamento che incombono su di esja. E non è certo i l caso di lamentare questo nesso tra sviluripi e orien-tamenti storiografici. Credo però che valga la pena fare una osservazione a propósito delia cultura politica e Storica oggi dominante nella RFT , e in particolare sulla facilita con la quale questo tipo di cultura storica e politica recepisce mo-delli di pensiero, modelli interpretativi imposti dalla classe dominante e dai mezzi di comunicazione di massa da essa controllati, legittimando con i l peso di responsabilità so­ciali — molte volte accademiche — operazioni politiche f onda te su presupposti tutt'altro che scientifici. I n altri ter-mini, Paccettazione dei regime politico esistente, con i l suo quadro politico predeterminato, rischia di proiettare anche sulla repubblica di Weimar i parametri interpreta­tivi oggi di domínio comune. É una osservazione presente anche nel libro di Rusconi, ma sulla quale molti di noi stanno riflettendo da anni, próprio per i guasti e le distor-sioni che sta creando nella storiografia tedesca.

Infatti ritengb che per questa via la validità dello stu-dio storico venga largamente vanificata da una intromis-sione e strumentalizzazione estremamente pesante in fun-zione di valutazioni politiche dei presente. Ora, rispetto al decennio trascorso, próprio perche v i è stato indubbia-mente uno sviluppo politico determinato, questo nesso po-litica-cultura storica si è, se possibile, ulteriormente accen-tuato. Cosi come lo sviluppo di precisi orientamenti politici ha accentuato linee interpretative delPesperienza weimaria-na decisamente funzionaH a questi orientamenti. E su que­sto argomento accenno semplicemente a un paio di esempi

3 Cfr. E . Collotti, Considerazioni sulla storiografia delia repubblica di Weimar, in « Problemi», luglio-ottobre 1970, pp. 947-956.

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per rehdere piú esplicite le linee degli sviluppi cui alludo. Un prjmo richiamo si può riferire al discorso che pronun­cio nelUebbraio 1971 1'allora presidente delia RFT Gustav Heinerrtonn, una personalità alia quale non si possono certo addebitare ombre di ambiguità rispetto al passato, auto-revole eaponente delia chiesa evangélica, uno tra gli espo-nenti soclaldemocratici piú aperti, sempre battutosi per si-cure cause democratiche come quella contro i l riarmo, quel-la per la tíifesa dei diritt i civili ; un uomo, tuttavia, i l cui comportamento è abbastanza rappresentativo degli orienta­menti dei louali dirò súbito. Orbene, nel centenário delia nascita deli primo presidente delia repubblica di Weimar, cioè di Fieíirich Ebert, Heinemann formulo la tesi delia fine delia prima repubblica causata dagli opposti estremismi che avrebbero frustrato la ricerca nella repubblica di una terza via tra capitalismo e socialismo4. I n questo modo anche un uomo come Heinemann eludeva tranquilamente le respon­sabilità delia socialdemocrazia, la collusione con le forze ar-mate tradizionali, i l problema delia trégua di classe, i l pro­blema delia rinuncia ad incisive riforme di struttura; ed elu­deva completamente tutto i l nodo delle responsabilità delia destra económica e politica per Pavvento al potere dei na-zionalsocialismo. Egli evitava, infine, i l complesso problema storico delia continuità delPimperialismo tedesco pure attra-verso le trasformazioni dei regimi politici. Un esempio cosi autorevole come quello di Heinemann, rientra in real-tà in una idea-forza molto piú diffusa e generalizzata, identificabile in sostanza in quella « teoria dei totalitari­smo » che è bagaglio obbligatorio delia cultura storica e civica impartita nelle scuole delia RFT. Bagaglio ampia-mente riflesso nei testi di storia in uso nelle scuole tede-sche. Direi che questa è una preoccupante indicazione va­lida anche per i l nostro paese: se certi bilanci storiografici si facessero non sulle opere piú o meno accademiche ma sui testi di storia, si avrebbe una idea un po' piú chiara di

* Cfr. Gustav W. Heinemann, Zur Reichsgrundung 1877. Zum 100. Geburtstag von Friedrich Ebert, Stuttgart, 1971.

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quella che è la cultura storica media e, quindi, la Jultura politica media che viene impartita alie nuove genarazioni e diffusa a livello di opinione pubblica. Come je stato scritto próprio di recente da uno studioso tedesco che ha analizzato questi orientamenti delia politica sJolastica, nell'opinione politica dominante la fine delia repulbblica di Weimar diviene la prova storica decisiva dell'idea che la democrazia corre costantemente i l pericolo di efcsere stri-tolata tra i radicali di sinistra e quelli di destra s. Da questo tipo di affermazioni discende tutta una serie di/luoghi co-muni attraverso i quali si fanno Strada anche/quelli che sono i nodi reali dei dibattito storiografico. BaW pensare alia valutazione prevalente nei l ibri di testo delia espe-rienza presidenziale dei Gabinetto Briining e che porta im-mediamente a formulare i l quesito: Briining fu , come si suol dire, 1'ultimo bastione delia democrazia o non piut-tosto — come ritengo — un passo decisivo verso i l suo sgretolamento? Un passo decisivo cioè sulla Strada delia restaurazione di una monarchia autoritária e comunque an-tiparlamentare. E quindi Briining non « ultimo bastione delia democrazia » ma semmai Briining battistrada dei na-zionalsocialismo. Ho fatto questi esempi perche evidente­mente la conseguente strumentalizzazione politica própria di queste interpretazioni è di peso tutt'altro che irrilevan-te; come viene sottolineato da un volume, che ha i l titolo significativo Weimar ist kein Argument, nel dibattito sul Berufsverbot e sul terrorismo in corso nella RFT , pró­prio la forza che piú spinge in direzione delia repressione, la CDU-CSU, ha invocato a sostegno delle misure repressive 1'esperienza delia repubblica di Weimar esasperando la te-

5 Cosi Werner Gestigkeit, Die Totalitarismus-Legende von der Zerstôrung der Weimarer Kepublik in den bundesdeutschen Schul-Geschichtsbiichern, nel vol. a cura di Reinhard KúhrJ e Gerd Hardach, Die Zerstôrung der Weimarer Kepublik, Kõln, 1977, pp. 253-284, in particolare pp. 253-254. Un esempio illustre nella piú recente storiogra­fia delle tendenze citate nel testo è offerto próprio dalTopera di uno studioso sicuramente liberale come Karl Dietrich Bracher nei saggi rac-colti con il titolo Zeitgeschichtliche Kontroversen. Um Faschismus, Totalitarismus, Demokratie, Munchen, 1976.

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si dei luo crollo ad opera degli opposti estremismi: comu-nisti d i una parte e nazisti dalTaltra. D i qui la necessita che ogg\a RFT si difenda contro una análoga minaccia per evitare U fine delia prima repubblica6.

Ritelgo che queste premesse di carattere politico-cul-turale supa riflessione weimariana corrente, fossero ne-cessarie per dare una collocazione culturale puntuale ai ter-mini dei dibattito. Detto questo, non intendo affatto pro-cedere ad un catalogo di ciò che si è pubblicato e si conti­nua a pubplicare intorno alia repubblica di Weimar, di quello chetè stato 1'esito delle discussioni piú recenti, né vorrei ripe»correre quelle che sono le principali opere me-morialistiche uscite nell'ultimo decennio, anche se alcune di queste pjresentano un reale interesse e meritano perciò una sia pure rápida citazione. È i l caso, per esempio, delle memorie dei Cancelliere Briining che hanno un significato molto notevole próprio per demistificare e per chiarire tutta una serie di elementi che fino a qualche anno fa con-tinuavano a correre falsamente intorno alia sua esperienza presidenziale7. Lo stesso direi per le memorie di Abend-roth, uno dei vecchi esponenti dei movimento operaio tedesco che ha vissuto gli anni weimariani, una serie di e-sperienze politiche e culturali estremamente interessanti oggi trasmesse alie nuove generazioni, autentica memoria storica dei movimento operaio tedesco8. O delle memorie di Curt Geyer, rilevanti per quella fase di transizione che è stata rappresentata dal movimento dei socialdemocratici indipendenti nel passaggio tra la crisi delia prima guerra

6 Freimut Duve-Wolfgang Kopitzsch, Weimar ist kein Argument oder Brachten Radikale im ôffentlichen Dienst Hitler an die Macht? Texte zu einer gefãhrlicben Gescbichtsdeutung, con una introduzione di Alfred Grosser, Reinbek, 1976, su cui si v. la nostra «scheda» nella « Rivista di storia contemporânea », 1976, n. 4, pp. 616-617.

1 Cfr. Heinrich Briining, Memoiren 1918-1934, Stuttgart, 1970 e la nostra rassegna La fine delia repubblica di Weimar nelle memorie di Briining, ne « II movimento di liberazione in Itália », n. 105, ottobre-dicembre 1971, pp. 79-95.

8 Cfr. Wolfgang Abendroth, Ein Leben in der Arbeiterbewegung, a cura di B. Dietrich e J. Perels, Frankfurt aM., 1976, su cui si v. il nostro articolo ne «La Repubblica», 9 luglio 1977, p. 10.

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mondiale e Paffermazione delia repubblica di Wamar 9 ; o infine, per rimanere ancora nel campo dei movimento operaio, delia significativa autocrítica di quelPauxorevole esponente sociaídemocratico che è W . Hoegner/10. Non vorrei neanche fare un catalogo delle nuove acquisizioni di fonti, anche se in questo campo, che in Germapia viene curato con moita maggiore attenzione di quanti non av-venga da noi — e ciò per ragioni complesse che si riferisco-no e alPorganizzazione e alia struttura delia ricerca e alie possibilita finanziarie che stanno alia base di queste inizia-tive — , oggi disponiamo di alcuni strumenti di lavoro di importanza veramente fondamentale. Basti penpare a quel­la singolare pubblicazione che sono gli A t t i delle Cancel-lerie dei Reich; oggi disponiamo di una decina di volumi che pur non comprendendo ancora tutto Parco delia repubblica di Weimar sono tuttavia piú che sufficienti per awiare un'analisi approfondita su molti dei punti nodali, a comin-ciare dalla politica estera11. Si tratta infatti di materiale, per esempio, per quanto riguarda la politica estera capace di completare ed integrare Pusuale materiale diplomático (già edito per questo período nella serie di documenti di-plomatici tedeschi) in quanto consente di conoscere non i l punto di arrivo di determinate decisioni ma próprio i l processo di formazione delia volontà politica, che si espri-merà, nel suo stadio definitivo, nella documentazione di­plomática. Lo stesso direi per una serie di pubblicazioni,

9 Curt Geyer, Die revolutioriàre Illusion. Zur Geschichte des linken Fliigels der USPD, a cura di W. Benz e H . Graml, Stuttgart, 1976, su cui si v. la nostra « scheda » nella « Rivista di storia contemporânea », 1978, n. 1, pp. 156-157.

1 0 Cfr. Wilhelm Hoegner, Flucht vor Hitler. Erinnerungen an die Kapitulation der ersten deutschen Kepublik 1933, Miinchen, 1977, su cui si v. la nostra « scheda » nella « Rivista di storia contemporânea », 1978, n. 2, pp. 290-292.

1 1 Facciamo riferimento alia serie pubblicata con la collaborazione dei Bundesarchiv di Coblenza con il titolo Akten der Keichskanzlei Weimarer Kepublik a partire dal 1970, nella quale sono apparsi a tutto oggi i volumi dedicati ai seguenti gabinetti: Scheidemann (1919), Muller (1920), Fehrenbach (1920-21). Wirth I e I I (1921-22), Cuno (1922-23), Marx I e I I (1923-25), Luther I e I I (1925-26), Muller I I (1928-30).

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qual i l i Protocolli delia Direzione socialdemocratiça per gli anni 1932-1933, pubblicati dallo Schulze che, a mio av-viso, da soli, suppliscono anche alia assenza di determína-t i studi e sono molto piú significativi di taluni studi sulla fine delia socialdemocrazia nel período weimariano n , co­me conferma lo stesso Rusconi i l quale ha fornito una uti-lizzazionit molto opportuna di questi materiali. Premesse* tutto questo, vorrei ricondurre i l discorso ad alcuni mo-menti essenziali degli studi sulla crisi weimariana, parten-do da un presupposto che oggi mi pare fatto próprio da storici di diversa estrazione, in un arco che chiameremmo genericamente di « storiografia di sinistra ». Potrei fare dei nomi per indicare diversi orientamenti alPinterno di quest'arco, da Gerd Hardach ad Hans-Ulrich Wehler, i quali tutt i nella crisi finale vedono emergere i problemi di legittimazione delia repubblica non risolti f in dall'inizio. Un discorso che alcuni storici rapportano alia alternativa tra repubblica conservatrice e democrazia sociale (è i l di­scorso conclusivo delPopera dei Wehler sulPimpero gugliel-mino) 1 3 e che altri storici riconducono alie linee di conti-nuità delia storia tedesca nelle sue dimensioni strutturali. Questo ultimo è i l caso, per citare uno degli studi piú recenti, delia Hõrster-Philips, Pautrice di uno stimolante saggio complessivo su grande capitale, repubblica di Wei­mar e fascismo, che ha ricordato come dalPimpero bismar-ckiano alia repubblica di Weimar, infine alia RFT , passan­do attraverso i l nazismo, la società tedesca sia stata orga-nizzata entro ben quattro diversi regimi politici mante-nendo costanti i rapporti di classe e i suoi contenutl sociali 1 4. Una impostazione, questa ultima che, evidente­mente, si avvale sostanzialmente di contributi delia sto-

1 2 Cfr. Hagen Schulze, Anpassung oder Widerstand? Aus âen Akten des Parteivorstands der deutschen Sozialdemokratie 1932-33, Bad Godes-berg - Bonn, 1975.

1 3 Hans-Ulrich Wehler, Das deutsche Kaiserreich 1871-1918, Gõttin-gen, 1973, in particolare cap. I I I , par. 8.

1 4 Cosi in Ulrike Hõrster-Philipps, Grosskapital, Weimarer Kepublik und Faschismus, nel vol. cit. a cura di R. Kuhnl e G . Hardach. Die Zerstôrung der Weimarer Kepublik, pp. 38-141, (la cit. è da pp. 40-41)-

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riografia delia DDR, in particolare dell'importante opera di Gossweiler1 5 su industria, banche e capitale monopolísti­co, che a mio awiso rappresenta, dopo gli studi et Kuc-zynski e delia sua scuola, i l contributo piú cospicu© per i l chiarimento delia posizione dei mondo industriale p finan-ziario tedesco di fronte alia crisi. •/

Próprio prendendo lo spunto da questi studi jf da altri che si potrebbero menzionare (ma i l problema érincipale è quello di indicare talune linee di sviluppo delia storio­grafia, non di citare un'arida teoria di autori); mi pare che i l problema principale oggi posto dinanzi alia storio­grafia — un problema che va al di là delTesperienza spe-cifica ma limitata delia repubblica di Weimar — si con-densi nel quesito sulla compatibilità o meno tra concen-trazione e centralizzazione dei capitale e delia produzio-ne e 1'esistenza nella esperienza specifica di un regime de­mocrático parlamentare. Questa incompatibilità nelPespe-rienza specifica delia repubblica di Weimar per certi versi è alia base delia stessa interpretazione di Rusconi. I I crollo di quelli che Rusconi chiama i « patti costitutivi » delia re­pubblica, nel momento delia crisi, non fu che i l risultato delia deliberata volontà di una parte dei contraenti ( i l pa-dronato, le forze armate, 1'apparato burocrático) di butta-re a mare le poche concessioni politiche e sociali fatte alie forze democratiche e ai sindacati, al fine di riappropriarsi in pieno delia liberta di manovra e delPintero potere deci-sionale. I I problema quindi non è quello di discutere un dato di fatto acquisito da tutt i , ma, al caso, di indagare le ragioni per le quali si pervenne a questo risultato e di analizzare i modi in cui questo risultato fu conseguito. Entro questa ottica schematicamente delineata, ancora una volta 1'analisi dei numerosi contributi parziali é per molti versi neutri nel loro tecnicismo, che caratterizzano da qual­che tempo a questa parte le miscellanee di studi sui rappor-

1 5 Cfr. Kurt Gossweiler, Grossbanken Industriemonopole Staat. Oekonomie und Politik des staatsmonopolistischen Kapitalismus in Deutschland 1914-1932, Berlin (DDR), 1971.

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t i tra teconomia e Stato (si tratta di almeno tre grosse rac-colte) r , verrà rimandata a vantaggio dell'approfondimen-to di tre momenti particolari (coevi ma paralleli) e distinti delia crisi. Anzitutto la valutazione dei governi presiden-ziali; inf secondo luogo la valutazione delTazione contem­porânea delle forze politiche, dei sindacati, dei movimenti di massa; in terzo luogo la valutazione degli atteggiamenti delia cultura. L'interesse principale risiede nel fatto che soltanto con lo svincolamento delle forze parlamentari r i ­spetto alia figura dei Cancelliere, si accelera i l processo di saldatura tra interessi agrari e interessi industriali intor­no alia figura dei presidente militarista. Rispetto alie va-lutazioni tradizionali, 1'identificazione di Briining come ul­timo baluardo delia democrazia, a livello storiografico so-stenuta principalmente dal Conze, la vicenda dei governi extraparlamentari oggi viene considerata in modo note-volmente diverso. Gl i studi piú recenti, da quelli raccolti nella recentíssima e già citata miscellanea dei Kúhnl al la­voro di Rusconi, individuano correttamente in questa fa­se lo smantellamento degli istituti anche formali delia de­mocrazia. Lo svuotamento sociale delia democrazia che già aveva portato alia caduta dei governo Muller I I , si prolun-ga in direzione dei governo forte, dei rafforzamento au­toritário delPesecutivo a tutt i i livelli. E, in propósito, mi pare che siffatte analisi abbiano ricevuto una conferma estremamente autorevole dalla pubblicazione delle stesse memorie di Briining per i l período weimariano che avven-ne próprio a pochi mesi dalla scomparsa dello statista cat-tolico, a meta dei 1970. Se mai sono esistiti dubbi sulla

1 6 E precisamente: Werner Conze-Hans Raupach (a cura di), Die-Staats- und Wirtschaftskrise des Deutschen Reiches 1923-1933, Stuttgart, 1967; Ferdinand A. Hermens-Theodor Schieder (a cura di), Staat, Wirtschaft und Politik in der Weimarer Republik, in « Festschrift fur Heinrich Briining», Berlin, 1967; Hans Mommsen-Dietmar Petzina-Bernd Weisbrod, Industrielles System und politische Entwicklung in der Weimarer Republik, Dússeldorf-Bonn, 1977, 2 voll., di gran lunga la piú importante delle tre raccolte, la piú rappresentativa anche delle tendenze nuove che emergono nella storiografia delia R F T soprattutto in direzione delia « storia sociale ».

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volontà di Briining di pervenire ad una vera e própria riforma dello Stato in senso autoritário, come única' scelta possibile per imporre inflessibilmente una politica defla-zionista e sbilanciare quindi decisamente a favoreílel lati-fondo e dei padronato gli equilibri di potere e i Rapporti di classe, le memorie consentono di fugarli completamente. Ora, sulla base delia testimonianza di Briining cjie insiste sulla disponibilità al suo disegno di restaurazioné autoritá­ria mostrata perfino da autorevoli esponenti socialdemo-cratici (Briining fa esplicitamente i nomi di Hilferding e Severing), molti spunti nuovi vengono offerti alia ricerca, sia sotto i l profilo delia valutazione delia rivoluzione di novembre, per quanto riguarda la partecipazione ad essa di componenti moderate, sia soprattutto ai fini delia col-locazione generale delle forze politiche e dei rapporto fra queste e le forze economiche liegli anni delia crisi. Men­tre per quanto riguarda questa fase dei governo Briining noi oggi siamo suficientemente orientati, documentati, al-trettanto non si può dire per le esperienze che riguardano i l governo von Papen, próprio perche anche 1'ultimo tra i pochi contributi dedicati esplicitamente a von Papen, i l libro dei Bach, si presenta come un lavoro di carattere piuttosto scolastico, cronologicamente interrotto alie so-glie dei cancellierato di von Papen 1 7. Motivi di interes­se di questa opera vanno ricercati nella ricostruzione delia vicenda dei giornale « Germânia », cioè dell'organo dei Zen-trum, di cui von Papen nel 1924-25 acquistò i l pacchetto azionario; per quanto i problemi siano affrontati con estre­mo semplicismo e anche con molti eufemismi, tant'è che di fronte alie memorie di von Papen — una vera miniera di menzogne — i l Bach si limita semplicemente a rilevare la presenza di qualche errore. Un esempio da segnalare dei l imit i di autocensura che sono presenti oggi nella storio­grafia tedesca anche in opere di questo genere.

1 7 Cfr. Jiirgen A. Bach, Franz von Papen in der Weimarer Republik. Aktivitàten in Politik und Presse 1918-1932, Dusseldorf, 1977, su cui si v. la nostra « scheda » nella « Rivista di storia contemporânea », 1978, n. 1, pp. 141-142.

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Se\r tutta la fase dei governo von Papen siamo an­cora ábbastanza indietro negli studi, molto interessante risulta^l procedimento di lavoro delia Hõrster-Philipps, la quale rijostra come, parallelamente alia disgregazione dei quadro politico weimariano è delle singole forze politiche, che procede f in dal 1927-'28 al culmine delia fase di mo-nopolizzazione, avanzi anche un complesso processo di r i -strutturazione dello Stato promosso sia dai singoli mono-poli sia dalla Associazione degli industriali tedeschi nel suo complesso. E in questa fase, retrodatando un pro­cesso di unificazione che soprattutto la scuola di Kuc-zynski operante nella Repubblica Democrática Tedesca aveva spostato in anni successivi, si sarebbe già andata formando, sotto la spinta di esigenze interne e di esigenze esterne (si pensi alia spinta delPimperialismo tedesco sot-tesa alia creazione di molteplici organismi di studio e pro-mozione delPespansione económica verso 1'Europa Orien-tale e Sud-Orientale), la saldatura tra industria pesante tradizionale e industria nuova leggera e chimica, quanto meno sotto i l profilo delFattacco al governo Muller. D i fronte alia crisi 1'industria suppliva, in un certo senso, alia sua debolezza politica giocando tutta la sua forza económica. D i qui, 1'offensiva politica generale contro i sindacati e i l sistema parlamentare che, alia lunga, premeva per la revisione delia Costituzione. Una linea di attacco che procede lungo diverse direttrici. Un primo livello è quello delPattacco alPautonomia dei Lãnder, che poi verrà esa-sperato e raggiungerà i l culmine col colpo di stato in Prússia dei luglio 1932, sul quale non a caso si sofferma ampiamente lo stesso Rusconi. Un secondo momento di attacco è portato contro i l bilancio dello Stato, che vede ancora una volta come protagonista i l governo Muller; e direi anzi che nelPattacco complessivo al governo Muller si ha la prova generale di questo piano di rivalsa, di ripre-sa e di contrattacco definitivo delle forze alie quali alludevo dianzi. Interessante è altresí fissare 1'attenzione su questo momento perche probabilmente è tutta la periodizzazione delia storia delia repubblica di Weimar che oggi viene

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modificata, concentrando 1'attenzione sul governo Muller e non sul governo Briining come punto di svolta, memento delia crisi e delia dissoluzione dell'equilibrio ipothjsato al-l'inizio delia repubblica. L'appoggio al governo pri ining fu prestato dalle forze delTeconomia sfruttando Ja dispo-nibilità antidemocrática dei partito cattolico dei Centro, i l quale concepiva i l risanamento económico a ptezzo dei sacrifício delia democrazia. Si trattava comunque di un aPP°ggi° condizionato. L'autrice che ho citato formula una ipotesi suggestiva circa i motivi delia rottura avvenu-ta tra agrari e industria pesante da una parte e Briining dalPaltra sui progetti di colonizzazione delle province o-rientali. Gli agrari v i si opponevano per ragioni di classe, perche non volevano in alcun modo intaccare i loro privi-legi; 1'industria pesante v i si opponeva perche era contra­ria a una genérica politica di maggior occupazione, cioè di mera creazione di posti di lavoro e intendeva viceversa cònvogliare in maniera precisa la forza-lavoro verso una politica dei riarmo. I passi successivi di questo processo sarebbero stati: i l progetto di nuovo Stato di von Papen, i l progetto piú orgânico che venga anticipato, elaborato pri­ma delia trasformazione operata dal regime nazista, che, tutto sommato, ci deve interessare anche oggi, perche è fondato, tra 1'altro, sulla nostalgia corporativa delPaboli-zione delia conflittualità sociale; 1'attacco successivo alia Prússia, i l bastione delia socialdemocrazia e dei parlamen­tarismo, ossia i l Land nel quale si era ancora mantenuta quella formula delia grande coalizione di Weimar poggiante sulla collaborazione fra la socialdemocrazia e i principali partiti borghesi. La esperienza successiva dei cancellierato di Schleicher e i contatti tra 1'ambiente militare e i sinda­cati, preludevano già a una fase qualitativa nuova di crea­zione dei consenso intorno alia dittatura. Non a caso 1'am­biente militare si preoccupava di assicurarsi i l consenso e i l controllo sociale attraverso i contatti con i sindacati: lo stesso Rusconi ha sottolineato come i sindacati in qual­che misura (e via via piú accentuata) avessero abboccato a questi tentativi delPambiente militare. I I risultato sareb-

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be stato una dittatura militare con base di massa, come preludio diretto dei nazismo.

Questo primo filone di lavoro, relativo ai governi pre-sidenziali, ci porta immediatamente alia valutazione delle forze politiche, dei sindacati, dei movimenti di massa. Da questo punto di vista mi pare che gli studi degli ultimi an­ni non abbiano apportato contributi sostanzialmente nuo-v i , per quanto riguarda i l comportamento di determinate forze sociali. Le forze armate, sono forse i l terreno sul quale gli studi si sono orientati sin dalPinizio con una certa sicurezza, per ragioni complesse, legate in gran parte anche alia disponibilità di determinate fonti. Anche un lavoro recentíssimo, i l libro dei Nuss, uscito nella Repub­blica Democrática Tedesca, non fornisce altro che una si-stemazione generale con attenzione particolare alia fasci-stizzazione delia Reichswehr e al suo travaso nel quadro mi­litare dei nazismo, ma non porta contributi fondamental-mente e radicalmente nuovi 1 8 . Del pari, sul terreno poli­tico ritengo che non si sia prodotto nulla di sostanzial­mente nuovo per quanto riguarda la politica dei partito comunista tedesco, argomento sul quale non è possibile ora soffermarci, per cui ci limitiamo a rinviare a lavori precedenti1 9. Viceversa, nelPottica delia crisi, meritano

1 8 Karl Nuss, Militar und Wiederaufriistung in der Weimarer Re­publik. Zur politischen Rolle und Entwicklung der Reichswehr, Berlin (DDR), 1977.

1 9 Per lo sviluppo delia storiografia sulla KPD rinviamo almeno sino all'inizio degli anni sessanta al lavoro bibliográfico di E . Col-lotti, Die Kommunistische Fartei Deutschlands (1918-1933). Ein biblio-graphischer Beitrag, Milano, 1961; neU'impossibilità di procedere ad un compiuto aggiornamento bibliográfico ci limitiamo in questa sede a se-gnalare soltanto alcune delle opere piú importanti (astenendoci da una valutazione analítica dei loro valore) uscite posteriormente sulla K P D , prescindendo comunque dalle opere sulla nascita dei partito comunista pubblicate nel cicquantesimo anniversario delia rivoluzione di novembre: Werner T. Angress, Die Kampfzeit der KPD 1921-1923, Diisseldorf, 1973 (ed. americana 1963); K . H . Tjaden, Struktur und Funktion der « KPD-Opposition » (KPO). Eine organisationssoziologische Untersuchung zur «Rechts »-Opposition im deutschen Kommunismus zur Zeit der Weimarer Republik, Meisenheim a.G., 1964; Ossip K. Flechtheim, Die KPD in der Weimarer Republik, Frankfurt a.M., 1969 (ristampa delia nota opera uscita nel 1948, con una introduzione polemico-storio-

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particolare attenzione gli studi piú recenti sulla socialdemo­crazia, sui sindacati e anche (sottolineo 1'anche perche mi pare un settore che viene ingiustamente, e in modo erra-to, sottovalutato) sulla crisi delle forze politiche borghesi non cattoliche. Parlo di crisi delle forze politiche borghesi non cattoliche perche è noto che in tutta la crisi la tenuta delle forze cattoliche fu indubbiamente una tenuta di sta-bilità rispetto a quella che invece è stata i l processo pro­gressivo di disgregazione di tutte le forze borghesi che si richiamavano al liberalismo o al conservatorismo tradizio-nale. Sulla posizione delia socialdemocrazia nella crisi, i l punto pressoché definitivo è stato fatto, con ottiche e an­che con strumenti di analisi alquanto diversi ma probabil-mente conyergenti nella valutazione finale, da una parte da Rusconi e dalPaltra da Júrgen Harrer 2 0 . M i pare che entrambí questi studiosi mettano in evidenza come la socialdemocrazia frani — ma si tratta di uno dei vizi d'ori-gine delia sua gestione nella repubblica di Weimar —, di fronte alia necessita di procedere alia saldatura tra una strategia tutta istituzionale e lo sfruttamento dei potenziale dei movimenti di massa, grazie alPequivoco delia difesa ad oltranza delle istituzioni esistenti senza promuoverne i l cambiamento che avrebbe potuto essere prodotto soltanto dalla loro vivificazione dal basso e dalla mobilitazione di massa. Ma tra i citati studi v'è anche una differenza fonda-mentale i n quanto, a differenza di Harrer, Rusconi suppo-ne Pesistenza degli elementi lungo i quali la socialdemo­crazia realizzasse questa saldatura. Si tratta, per parte mia, d i muovere un'obiezione fondamentale al lavoro di

gráfica di H- Weber); Hermann Weber, Die Wandlung des deutschen Kommuttisr»us- Die Stalinisierung der KPD in der Weimarer Kepublik, Frankfurt 3.M., 1969, 2 voll. Tra le opere pubblicate nella K D T , da segnalare in particolare i volumi relativi alia repubblica di Weimar delia Geschichte der deutschen Arbeiterbewegung (3 e 4), a cura del-1'Istituto di marxismo-leninismo presso il C.C. delia S E D (1966).

2 0 Alludiamo al contributo di Jurgen Harrer, Die Sozialdemokratie in tiovetnberrevolution und Weimarer Republik 1918-1933, nel volu­me a cura di vari autori, con pref. di W. Abendroth, Geschichte der deutschen Sozialdemokratie 1863-1975, Koln, 1975, pp. 65-179.

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Rusconi: se effettivamente esistevano questi elementi, perche la socialdemocrazia non realizzò mai questa salda­tura? Harrer sembra viceversa escludere a priori una símile possibilita.

Tuttavia, per arrivare alie condusioni cui perviene Harrer, la cui interpretazione è molto schematica, mol­to rigida, non mi paiono sufficienti né i l richiamo alia vo-lontà delia direzione dei partito di stroncare Popposizione interna, né i l richiamo alia tradizione anticomunista dei partito socialdemocratico, tanto piú in quanto quest'ultimo discorso, a sua volta, richiamerebbe la valutazione e Pana-lisi delia politica dei partito comunista tedesco. I I proble­ma è piú generale e ancora una volta sollecita una osser­vazione che può riguardare anche i l lavoro di Rusconi. L'atteggiamento delia socialdemocrazia nella crisi riflette la concezione che essa ebbe delia democrazia weimaria-na come strumento essenzialmente conservatore, come stru-mento, in definitiva, di carattere controrivoluzionario. È questo che, a mio avviso, provoca la estraneazione delle e dalle masse. Ricordiamo che le masse non vengono mai mobilitate rispetto alia democrazia, dopo lo sciopero gene­rale dei marzo 1920: in parole povere si realizza la loro totale smobilitazione. Non si tratta di errori di condotta delia socialdemocrazia, ma di una precisa scelta politica. Nel luglio dei 1932, di fronte al colpo di stato di von Papen in Prússia, già «cordato come momento centrale dello smantellamento delia democrazia weimariana, i l po­tenziale di lotta delle masse, confermato ad esempio dai-lo studio dei Rohe sulPorganizzazione paramilitare social-democratica, sul Reichsbanner21, non venne minimamente sfruttato. Si potrebbe dire quasi che, próprio in questa

2 1 Karl Rohe, Das Reichsbanner Schuiarz Rot Gold. Ein Beitrag zur Geschichte und Struktur der politischen Kampfverbànâe zur Zeit der Weimarer Republik, Diisseldorf, 1966; sulla complessa problemática delia situazione in Prússia, che andrebbe rapportata dei resto al piú ampio discorso sui rapporti tra il Reich e i Lànder, un primo studio è offerto da Hans-Peter Ehni, Bollwerk Preussen? Preussen-Regierung; Reich-Lãnder-Problem und Sozialdemokratie 1928-1932, Bad Godesberg-Bonn, 1975.

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circostanza, la strategia istituzionale dei partito socialde-mocratico operava la sua vendetta. Non avere capito che altro era la cosiddetta « politica di tolleranza » nei con-fronti di Briining, già di per sé pericolosa e capitolarda, altro ancora subire 1'imposizione autoritária di von Papen, non fu un errore tattico delia socialdemocrazia ma la con-seguenza delia sua strategia complessiva. Sostenere ciò è possibile senza cadere in quello schematismo fatalistico che è tipico dei saggio dello Harrer. I I quadro di quella che Rusconi chiama la « rassegnata impotenza delia so­cialdemocrazia » 2 2 piú che dalle ricostruzioni di carattere storiografico2 3, o per quanto riguarda i sindacati, dallo stu­dio di Hannes Heer 2 4 , mi pare che emerga con tutta chia-rezza dalla documentazione che citavo prima, ossia dagli A t t i delia direzione socialdemócratica per i l período 1923-1933 pubblicata dallo Schulze. V'è tuttavia una differenza di comportamento da registrare tra i l partito e i l sindaca­to. Senza entrare nel mérito delia polemica che è stata su-scitata circa 1'autenticità o meno delia documentazione pubblicata dallo Heer, resta i l fatto che egli ha avuto i l mé­rito non solo di aprire una discussione, ma di provocare da parte di altri la pubblicazione di materiali per quel che sembra piú attendibili, ma che a mio avviso finiscono an­che per confermare e non già attenuare le responsabilità dei sindacato.

2 2 G . Rusconi, op. cit., p. 416. 2 3 Ricordiamo che, se si prescinde dal saggio appena citato dello

Harrer, assai carenti SOLO ancora gli studi complessivi sulla socialdemo­crazia nelTintero período weimariano, 1'unico studio esistente essendo sempre quello insuficiente e ormai anche invecchiato di Richard N. Hunt, German Social Democracy 1918-1933, Yale, 1964; non c'è dubbio che molti elementi nuovi e interpretazioni originali apporta il lavoro di Rusconi, dei quale va apprezzata soprattutto 1'analisi dell'ideologia hilferdinghiana.

2 4 Cfr. Hannes Heer, Burgfrieden oder Klassenkampf. Zur Politik der sozialdemokratischen Gewerkschaften 1930-1933, Neuwied-Berlin, 1971; per un aspetto particolare delia politica dei sindacati, la lotta per la creazione di occupazione, si può vedere, ir. una prospettiva assai di­versa, il lavoro di Michael Schneider, Bas Arbeitsbeschaffungsprogramm des ADGB. Zur v. gewerkschaftlichen Politik in der Endphase der Wei­marer Republik, Bad Godesberg-Bonn, 1976.

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Infatti , mentre i l partito registra un cedimento dopo 1'altro in omaggio alia politica dei meno peggio, nel sin­dacato pare di vedere una maggiore intuizione delia dire­zione verso la quale muove la crisi: ossia dello sbocço apertamente dittatoriale che ad essa viene dato. Ma i l r i ­sultato di questa maggiore perspicácia politica non è per questo meno disastroso. La politica dei sindacato non è semplicemente di tolleranza ma di adeguamento e, quindi, di diretta complicità con i disegni di instaurazione autori­tária. I contatti che i l sindacato avrà con Papen, e soprat­tutto con Schleicher, hanno un segno molto preciso. Piú che mai adesso la funzione dei sindacato viene distorta in chiave corporativa. I I sindacato diventa per molti versi la cinghia di trasmissione dei consenso intorno al progetto autoritário, anzi tende a divenire lo strumento di massa piú potente, piú importante in funzione di questo progetto. Con von Papen e Schleicher ha inizio i l processo di addo-mesticamento nei confronti dello Stato autoritário, che porterà i l sindacato al tentativo di patteggiare e conser-vare, umiliandosi al di là di ogni limite, una sua legalità nel quadro dello stesso Stato nazista, come documenterà anche W. Hoegner 2 5. I I risultato sara la sconfitta non sol-tanto sotto i colpi delPavversario, ma anche per i l pró­prio disarmo, senza attenuanti e con conseguenze di lun-ga durata. Sono gli esiti, dei resto, che si stanno scontando ancora oggi quando si consideri lo stato delPorganizzazio-ne delia classe operaia nella RFT e, per certi versi, anche nella RDT. I I discorso intorno alia classe operaia nella crisi deve anche indurci a richiamare 1'attenzione sull'area sinora troppo poco esplorata dello studio dei movimento reale, ossia delia composizione di classe e delia stratifica-

2 5 È importante per altri versi, per capire questo processo, la poli­tica dell'occupazione progettata dai governi Papen e Schleicher, come preludio dei controllo dei lavoro e, al limite, dei lavoro forzato che saranno realizzati dal nazismo; in propósito si v. di Helmut Marcon, Arbeitsbescháffungspolitik der Regierungen Papen und Schleicher. Grundsteinlegung fur die Beschãftigungspolitik im Dritten Reich, Frankfurt a.M., 1974.

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zione sociale delia società tedesca, al di là delia consueta storia istituzionale dei movimento sindacale o dei partiti atttaverso i quali si esprime politicamente la classe operaia, negli anni weimariani, per limitarei al período che stiamo affrontando. È un discorso che non possiamo approfondi-re in questa sede anche perche le incertezze metodologiche che presiedono ancora alPawio di una vera e própria pro-duzione storiografica in questa direzione richiederebbero una piú ampia discussione e disamina. Tuttavia, al di là del­le generiche istanze di rivendicazione delia legittimità del­ia cosiddetta storia sociale nelle sue diverse accezioni * , va sottolineato che oggi v i sono indubbiamente importan-t i spunti nuovi in direzione di ricerche sulle condizioni materiali dei lavoratori e sulla dinâmica dei loro com-portamenti che vanno certamente oltre i canoni metodolo-gici e i risultati acquisiti da Kuczynski e dai suoi discepoli. Da una parte assistiamo ad un primo avvio di studi storico-sociologici spesso segnati nella loro esasperazione analitica da un pregiudizio di neutralità delle categorie e dei crite-r i interpretativi ma generalmente sostenuti da un buon l i -vello di ricerca empírica 2 1 . AlTestremo opposto si colloca 1'indagine provocatoriamente assai interessante di Karl Heinz Roth in cui la ricerca empírica sembra piegata a una forte esigenza ideológica, al di là dei suoi stessi risultati, che pone al centro delTattenzione categorie concettuali e interpretative quali quelle delia spontaneità e autonomia

2 6 Come si può vedere in prima approssimazione dalla rassegna di Heinz-Gerhard Haupt e Hans-Josef Steinberg, Tendances de 1'histoire ouvríère en Republique fêdérale allemande, in «Mouvement social», n. 100, luglio-settembre 1977, pp. 133-141.

2 7 Un buon esempio delle piú diverse tendenze che convergono in questa direzione, quasi un bilancio prowisorio degli studi, è offerto dai contributi (non solo di studiosi tedeschi) raccolti nei due volumi a cura di Mommsen, Petzina e Weisbrod citati alia nota 16 (tra i quali parti-colarmente significativi sotto il profilo delia storia sociale, di una analisi strutturale delia società weimariana, dei movimento operaio e delia com-plessiva stratificazione sociale, i lavori di W. Fischer, D. Petzina-W. Abelshauser, W. Kõllmann, J . Reulecke, L . Albertin, Ch. Maier, M. Poor, R. A. Gates, M. Schneider, R. Wheeler, T. Mason, H . A . Winkler, J. Kocka, L. E . Jones e M. Schumacher).

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operaia e delia insubordinazione operaia e che tende a con-trapporre gli operai non qualificati come soggetto rivolu-zionario alia classe operaia professionalizzata come elemen­to di freno alie lotte 2 8 . I n effetti, come lo stesso Roth deve riconoscere, i l suo lavoro reca un contributo piú alia fenomenologia delia repressione capitalistica e delia re-staurazione moderata operata dopo la rivoluzione di no-vembre dallo stesso sindacato che alia analisi reale delia composizione e stratificazione delia classe operaia tedesca nel período considerato. Ciò anche perche talune genera-lizzazioni sui processi di razionalizzazione dei processi pro-duttivi e di massificazione delia forza-lavoro non trovano ancora riscontro in ricerche puntuali, a cominciare dalla stessa — tuttora incerta — periodizzazione dei processo di ristrutturazione dell'organizzazione aziendale e dei la­voro. Basti pensare che soltanto un anno fa è apparso i l primo complessivo tentativo di impostare un discorso sulla razionalizzazione e sulla organizzazione scientifica dei lavoro nella seconda meta degli anni venti nella repub­blica di Weimar, lavoro che insiste giustamente anche sul­la propensione di una parte almeno dei movimento opera­io ad accettare 1'intensificazione dei ritmi di lavoro nel quadro di una prospettiva di pace sociale29. Detto questo, al di là delle astrazioni e delPideologizzazione che domi-nano sulla ricerca concreta, resta i l fatto che i l libro dei Roth propone linee di indagine e ipotesi interpretative tutte da verificare e degne pertanto delia discussione che intorno ad esse si è intrecciata anche in Itália 3 0 .

2 8 Cfr. Karl Heinz Roth, Ualtro movimento operaio. Storia delia re­pressione capitalistica in Germânia dal 1880 a oggi, Milano, 1976, su di esso la nostra « scheda » nella « Rivista di storia contemporânea », 1977, n. 4, pp. 635-636.

2 9 Q riferiamo alio studio di Peter Hinrichs-Lothar Peter, Indus-trieller Friede? Arbeitswissenschaft, Rationalisierung und Arbeiterbewe-gung in der Weimarer Republik, Kõln, 1976.

3 0 Si vedano i testi ora raccolti da Maria Grazia Meriggi nel volume II caso Karl-Heinz Roth. Discussione sull'« altro» movimento operaio, Milano, 1978, che sottolineano tutti — anche i piú critici (Cacciari, Foa) che sono quelli con i quali maggiormente consentiamo -~ 1'inte-

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Se la crisi delia repubblica si esprime a livello politico attraverso la disgregazione definitiva delia formula delia coalizione di Weimar che era stata riesumata nella sua ultima esperienza negli anni 1928-'30 con i governi Muller, a me pare chiaro che non sia sufficiente lo studio dei com-portamenti delia socialdemocrazia e di quelli dei partito dei Centro che, come dicevo prima, ha rappresentato nella sua stabilità 1'agente piú diretto dei passaggio agli esperi-menti presidenziali Briining-Papen. Dobbiamo constatare viceversa una sostanziale sottovalutazione negli studi del­le altre forze borghesi 3 1. Questo discorso non ha riflessi soltanto politici ma anche sociali. I n sostanza, la crisi dei partiti borghesi è i l riflesso delia disgregazione sociale che vedrà i ceti medi e piccolo-borghesi spostarsi in massa verso i l partito nazionalsocialista. E questo non awiene soltanto per 1'elettorato dei vecchio partito tedesco-nazio-nale, partito estremamente compósito, per un verso parti­to delia grande industria, partito dei grande latifondo ma anche partito dei ceto médio urbano. La crisi investe an­che altre formazioni come i l partito democrático tedesco, la Deutsche Demokratische Partei, che nel 1918-'19 rap-presentava 1'ala sinistra dei liberalismo tedesco che racco-glieva settori notevoli delPintellighenzia e dei politici libe-rali; si pensi ai nomi di Max Weber, Friedrich Naumann, Hugo Preuss, Helmuth von Gerlach, Theodor P. Heuss, Walter Gropius, Ludwig Quidde e altri; c'era tra di essi lo stesso Rathenau, cioè i l principale protagonista dei di-segno di razionalizzazione capitalista; fu ancora i l partito che ebbe, attraverso i l generale Groener e, soprattutto, Otto Gessler, per quasi tutto i l período delia repubblica di Weimar, i l controllo dei dicastero delia Reichswehr. Credo sia necessário soffermarci brevemente su questa formazio-

resse anche metodológico degli spunti offerti dalla ricerca dei Roth per una storia sociale dei movimento operaio.

3 1 Approfittiamo comunque per segnalare la preziosa bibliografia di Martin Schumacher, Wahlen und Abstimmungen 1918-1933. Eine Bi-bliographie zur Statistik und Analyse der politiscben Wahlen in der Weimarer Republik, Diisseldorf, 1976.

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ne politica, perche fu una formazione che ebbe un pe­so superiore a quello che è stato i l suo peso specifico di carattere elettorale, próprio perche ha finito per racco-gliere forze di provenienza la piú diversa e anche le ten-denze piú diverse dei liberalismo tedesco, che tuttavia non si riconoscevano nelle formazioni conservatrici costituitesi dopo i l 1918. AU'interno di questo movimento noi ritro-viamo alcune delle forze piú strettamente legate al tradizio-nale disegno imperialista (basta fare i l nome di Naumann e ricordare i l disegno delia Mittel-europa di Naumann), un fatto sufficiente per avere una idea delle linee di conti-nuità imperialistiche che passavano attraverso i l partito democrático. Ma, al tempo stesso, questo partito era an­che i l contenitore di larghe correnti pacifiste. Per esempio, quasi tutti gli esponenti delia « Lega dei Dir i t t i delFuo-mo » (ho citato i l nome di Gerlach ed è forse uno dei casi piú interessanti) si erano coagulati intorno a questo partito perche non trovavano spazio in altre formazioni, non rico-noscendosi soprattutto nella tradizione socialdemocratiça. E cosi altre espressioni progressiste delia vita politica e cul-turale weimariana — penso semplicemente al movimento femminile nella repubblica di Weimar, attraverso per esem­pio la figura di Helene Stoecker — alPinterno delia DDP. Da qui la complessità di questa formazione e, quindi, la necessita di non trarre su di essa una interpretazione det-tata unicamente dalPapparente omogeneità, dalla sua ap-parente presenza come partito omogeneo, e di operare an­che una periodizzazione alPinterno delia storia di questo liberalismo perche, a partire dalPinizio dei 1930, si ha nel suo âmbito un reale processo di decantazione e di esplo-sione di forze centrifughe próprio di fronte alia crisi.

Non è quindi casuale che negli ultimi anni i l proble­ma delia collocazione politica dei liberalismo di sinistra nella repubblica di Weimar sia stato richiamato da di­versi studi. Cito soprattutto gli studi di Opitz, lo studio dello Stephan, quello dello Hess 3 2. Ora, questa crisi dei

3 2 Cfr. Reinhard Opitz, Der deutsche Sozialliberalismus 1917-1933,

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liberalismo weimariano, riproduce in sostanza la crisi sto­rica dei liberalismo tedesco, quella che lo Snell già alPini-zio degli anni '50 definiva « la tragedia dei liberalismo tedesco » nella sua specificità weimariana 3 3. Nessuno de­gli studi citati appare soddisfacente rispetto alia comples-sità dei fenómeno dei liberalismo tedesco e di quella par­ticolare formazione che fu appunto la DDP. La problema-ticità delia sua collocazione, delia sua composizione mi pare coita, con molti punti interrogativi piú che con rispo-ste definitive, soprattutto nel lavoro dello Opitz sul Sozialliberalismus weimariano. Nei confronti di questo t i ­po di ricerca si possono muovere le critiche piú diverse e la critica fondamentale mi pare la dilatazione dei Concet­to stesso di sozialliberal che in una determinata fase, se-condo Pautore, finisce per comprendere anche esponenti socialdemocratici come Hilferding e Severing e moita par­te delia destra e dei centro sindacale. Questo tipo di dila­tazione non giova certo al chiarimento dei problema af-frontato ma rischia di creare nuova confusione. A parte questo, però, 1'intuizione giusta nel lavoro dello Opitz è i l tentativo di precisare la cesura interna che si opera nelPambito dei liberalismo tedesco alPatto delia trasfor-mazione dei partito democrático in cosiddetta Staatspartei all'inizio degli anni '30 rispetto alPala liberale che promuo-ve, per fare dei nomi, da Koch-Weser a Goerdeler, Pinte-grazione dei ceti medi alto-borghesi nella prospettiva di sistema di governo autoritário, fondato su presupposti cor-porativi, sul rafforzamento dei potere statale, sul capitali­smo cosiddetto « sociale ». È dei resto 1'ala alia quale, in qualche misura, si richiamerà come momento di legittima-zione delia própria validità politica, lo stesso Erhard nel-1'ultimo dopoguerra, alTatto di teorizzare 1'economia so-

Kõln, 1973; Werner Stephan, Aufstieg und Verfall des Linksliberalismus 1918-1933, Gottingen, 1973; Jiirgen C. Hess, Gab es eine Alternative? Zum Scheitern des Linksliberalismus in der Weimarer Republik, in «Historische Zeitschrift», CCXXIII (1976) n. 3, pp. 638-654.

3 3 Friedrich C. Sell, Die Tragôdie des deutschen Liberalismus, Stuttgart, 1953.

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ciale di mercato. Un secondo aspetto che mi pare vada sot-tolineato positivamente nel lavoro di Opitz è 1'ipotesi for-mulata sulla natura degli interessi politici e sociali raccol­t i intorno a questo partito e sulTarea sociale che esso co-pre. I n una prospettiva di lunga durata, la tendenza social-liberale si presenta essenzialmente come 1'espressione poli­tica dei capitale monopolístico di nuova formazione: Fin-dustria leggera, l'elettrotecníca, la chimica. Questa sareb­be la costante delia posizione dei partito come eredità del-Pimperialismo di Naumann. Rispetto a questa costante, 1'opzione per la democrazia weimariana non sarebbe che una variabile contingente, tanto è vero che 1'affezione alia democrazia duro f in quando i l partito democrático pote esercitare una funzione di integrazione verso i ceti picco-lo-medio e alto-borghesi; quando questa funzione venne erosa o rischiò di perdersi e i l piccolo e médio capitale e i lavoratori da esso dipendenti fuggirono verso Hugenberg e poi verso Hitler, i l partito democrático tedesco si dissol-se di fronte alia polarizzazione delTelettorato verso Pestre-ma destra o verso 1'estrema sinistra. Quindi la funzione di centro dei liberalismo fu messa in crisi, ciò che porto i l Sozialliberalismus ad associarsi sempre piú alia generale spinta a destra, al richiamo verso lo Stato forte, nel mo­mento in cui interessi delia grande industria tradizionale e interessi dei monopolismo tendevano a convergere co­munque contro la repubblica democrática. Quindi la rot-tura dei cliché dominante, dalPopera tradizionale dello Eyck 3 4 in poi, di un liberalismo omogeneo e leale senza soluzione di continuità verso la democrazia weimariana, mi pare che sia una delle indicazioni di maggiore importanza per riprendere i l discorso complessivo sulla collocazione dei ceti medi e piú in generale delia borghesia tedesca nel processo di trasformazione politica che ha portato dalPim-pero guglielmino alia RFT . L'ultimo aspetto sul quale mi soffermerò molto rapidamente, e che affronterò sotto una

3 4 Erich Eyck, Storia delia repubblica di Weimar (1918-1933) (1954-56), Torino, 1966.

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angolatura dei tutto particolare, è quello che riguarda la valutazione degli atteggiamenti delia cultura.

I I discorso sulla cultura weimariana, che è uno dei di-scorsi piú ricchi e piú stimolanti di tutta la problemática dei período, è tornato d'attualità in tempi recentissimi. Non alludo tanto alie mostre degli anni Venti e degli an­ni Trenta che si sono susseguite negli ultimi anni, addirit-tura negli ultimi mesi, nella RFT , quanto alie analogie che sono state stabilite tra Patteggiamento degli intellettuali progressisti nella RFT e in altri paesi oggi, e Patteggiamen­to degli intellettuali in senso lato, in genere intellettuali non accademici, di fronte ai fenomeni delia crisi civile e istituzionale delia repubblica di Weimar. Come spesso ac-cade in questi casi, Panalogia non serve tanto a spiegare o a chiarire inesistenti parallelismi storici, quanto a richiama-re Pattenzione su aspetti particolarmente rilevanti dei mo­mento storico, al di là delia loro banale attualizzazione. E non tenterò nemmeno di ricordare, in. termini che sa-rebbero inevitabilmente troppo generali per non essere ge-nerici, Pimportanza delia presenza culturale nella repub­blica di Weimar.

Non mi addentrerò in discorsi specifici di correnti de­terminate o di settori particolari delia cultura o dei mondo intellettuale nel senso piú ampio, ma intendo porre alcuni interrogativi. Come non pensare, ad esempio, che man-cano tutt'ora studi, serie analisi, sul peso che hanno avu-to i mezzi di comunicazione di massa nella esperienza con­creta delia repubblica di Weimar. Nessuno ha ancora studiato seriamente Pimpero di Hugenberg, quello che po-tremmo definire (forse con eccessiva attualizzazione ma tanto per intenderei) lo Springer degli anni venti, e que­sto próprio nel paese che ha visto nascere le teorizzazio-ni di Walter Benjamin e delia scuola di Francoforte. Per cui, pur premettendo tutto questo, credo che si possa convenire con quanti vedono un sostanziale divorzio in questo período tra cultura e società e, soprattutto, tra cul­tura e Stato. L'intellighenzia democrática, socialista, radi-cale, in senso non partitico, è fuori dalle istituzioni non

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perche sia contro la repubblica democrática, come è per certi versi per i comunisti legati alPipotesi di una alterna­tiva radicale — la repubblica consiliare — sorretta forse piú dalla fedeltà ad una tradizione che dalla convinzione di una reale praticabilità politica. Essa pare piuttosto sepa­rata in quanti disposta ad impegnarsi solo nei confronti di uno Stato democrático che fosse e volesse essere real­mente tale. Gli stessi storici, sociologi, giuristi — si pos-sono fare i nomi di una serie di forti personalità che rac-chiudono queste caratteristiche, che gravitano intorno al partito socialdemocratiço, da Sinzheimer a Kirchheimer, a F. Naumann — i quali lavorano per dare alio stato demo­crático una base di legittimità ponendo con forza i l rap-porto tra istituzioni democratiche e contenuti sociali, sono tuttavia al di fuori dei sistema; ne sono tra i critici e gli interpreti piú acuti; lottano perche le istituzioni mobili-tino e realizzino tutte le potenzialità democratiche impli-cite nelPordinamento costituzionale, única condizione per ricondurre una saldatura culturale.

Radicalizzando la nota definizione di Peter Gay (The Outsider as Insider) Cesare Cases ha espresso questo di­vorzio con una drasticità molto efficace: « Gl i intellettuali sono outsider alPinterno delia società data, in qualche modo già pronti per emigrare » 3 5 . Penso che convenga r i -flettere sul senso di definizioni dei genere. I I significato piú profondo mi pare vada rintracciato nelle potenzialità di sviluppo democrático che esprimono o di cui si fanno portavoce e che non trovano riscontro nei livelli e negli strumenti di espressione politica. Forse, c'è da chiamare in causa tutta Porganizzazione delia cultura e la frattura netta tra la cultura accademica e la cultura non accade-mica. Ma i l problema centrale a mio avviso non è di na­tura organizzativa. Gl i autori i quali, consapevolmente o inconsapevolmente, scientemente o anche per franca igno-

3 5 Cfr. Cesare Cases, L'autocrítica degli intellettuali tedesebi e il di­battito sull'« espressionismo », in « Quaderni storici », n. 34, gennaio-aprile 1977, pp. 12-27 (la cit. è tratta da p. 13).

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ranza, imputano agli intellettuali, alia loro « critica cor­rosiva », come sostiene i l Laqueur 3 6, la distruzione delia repubblica di Weimar, ammettendo tutt'al piú che piú corrosivo di loro fu soltanto Hitler, negando la lotta de­gli intellettuali per modificare Pesistente, partono dal pre-supposto che essi dovessero comunque difendere Pordine costituito cosi come esisteva perche era pur sempre i l meno peggio. Ciò significa ignorare i l problema fondamentale per cui affinché potessero essere difese con convinzione le istituzioni andavano soprattutto cambiate, nel senso che dovevano essere riempite di quei contenuti democratici, tendenzialmente socialisti, che erano pur sempre alie ori-gini delia repubblica democrática, anche nei l imiti in cui era uscita dalla rivoluzione di novembre. Come rimprove-rare agli intellettuali le battaglie contro la giustizia di clas­se che non fu affatto un fenómeno sporadico come ritiene Laqueur, ma fu una realtà quotidiana nella repubblica di Weimar? Chiunque abbia letto un quotidiano delPepo-ca sa che cosa emerge dalla cronaca delia vita weimariana. Come rinfacciare agli intellettuali la battaglia antimilitari-sta e pacifista, che lungi dal minare le basi delia democra­zia weimariana mirava próprio a realizzare uno dei pro­cessi fondamentali per la democratizzazione delia società tedesca? Senza valutare questi aspetti, certamente un Tucholsky e un Ossietzky possono fare la figura di solitari visionari, ma oggi anche la pubblicistica comunista, che allora non fu certamente tenera verso quelli che definiva i « pacifisti borghesi », tende al recupero di questo tipo di impegno degli intellettuali che appartiene ai fermenti di democrazia piú vitali delia repubblica di Weimar. E

3 6 Walter Laqueur, La Repubblica di Weimar. Vita e morte di una società permissiva, Milano, 1977; su di esso si v. la nostra recensione ne « La Repubblica», 18 agosto 1977. Piú ampiamente da esso (oltre che dal libro dei Rusconi piú volte citato) abbiamo tratto lo spunto per la nostra rassegna citata alia nota 1, nella quale sottolineiamo come molti degli equivoci suscitati dal libro dei Laqueur nella pubblicistica ita­liana siano stati generati anche dalla disinvoltura con la quale 1'editore delia versione italiana ha manipolato titolo e sottotitolo delTedizione originale (Weimar. A Cultural History).

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10 stesso dicasi per le battaglie relative ai diri t t i civili nel senso piú lato. Basterebbe ricordare la letteratura sulPabor-to, che rappresenta di per sé un capitolo estremamente si­gnificativo nella storia dei teatro e delia narrativa weima-riani. La conclusione mi pare possa essere questa: chi vol-ge unilateralmente contro la cultura weimariana, con una operazione opposta a quella insensata esaltazione degli aurei anni Venti che fu di moda in altri tempi, Paccusa di aver provocato la dissoluzione delia repubblica e in pratica la sua vulnerabilità di fronte alPattacco nazista, dimentica di approfondire la parte che in questo divorzio delia cultura rispetto alia società spetta alie forze politiche e ai partiti. A me pare che sia soprattutto nella politica dei partiti, e non soltanto nell'immobilità dei processo so­ciale e delle strutture economico-sociali, che vada verifi-cata Pestraneità degli intellettuali rispetto al sistema. Ne­gli intellettuali v i può essere stata la coerenza astratta dei richiamo ai principi, alia linearità delle scelte politiche, ma nei politici v i è stato certamente i l disprezzo dei prin­cipi e la riduzione dei riformismo spogliato di ogni slan-cio e traguardo ideale al tatticismo delle scelte giorno per giorno. I I venir meno di ogni mediazione tra le due cate­gorie di giudizio, di comportamento, non è imputabile ai soli intellettuali ma anche (se non soprattutto) alPinsoffe-renza dei partiti. È chiaro che i l discorso riguarda in gran parte la socialdemocrazia, in quanto è semplicemente i l r i -svolto dei fatto che essa aveva effettuato scelte politiche diverse. Tipiche sono le vicende dei riarmo alia meta degli anni '20, in cui la stessa socialdemocrazia si trovo spac-cata. Tipica la politica di tolleranza nei confronti dei go­verno Briining e ancora Pappoggio delia socialdemocrazia alia rielezione presidenziale dei maresciallo Hindenburg. I n questo quadro mi pare non abbia fondamento neppure Paltro motivo polemico che viene rivolto nei confronti de­gli intellettuali weimariani. L'avere cioè essi sottovalutato

11 pericolo dei fascismo, i l pericolo nazista. E ancora una volta mi spiace citare, come punto di riferimento, un te­sto che considero deteriore, ma è i l punto di riferimento,

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di attacco piú facile: i l Laqueur. Qui non si tratta di capo-volgere Pinterpretazione dei Laqueur in una sorta di idea-lizzazione delia cultura weimariana, un pericolo al quale mi pare non sfugga lo stesso Peter Gay, ma di impedire che si ribalti sugli intellettuali una responsabilità storica che spetta tutta intera alie forze politiche. Caso mai, spettò próprio alie avanguardie intellettuali esprimere con sensi-bilità anche troppo acuta, e próprio per questo forse in forme piú letterarie che politiche, e spesso a livello di cri­tica di costume, i l crescere dei nazismo nella società te­desca. Né la '« Welbúhne », né la « Linskurve » furono estranee a questa denuncia. Tutt'altro. La croce uncinata non fu scoperta nel 1933, ma già nel 1919 essa accompa-gnava le spedizioni dei corpi franchi, e tutta la produzione delia cultura democrática weimariana è segnata dalla con-sapevolezza di questa presenza nel corpo sociale delia so­cietà tedesca sin dal 1918-'19. Non si può piú rimprove-rare agli intellettuali di non aver dato alie loro denunce le modalità di una risposta quale quella che avrebbero dovuto dare le forze politiche. Le loro analisi probabilmen-te non furono complete, ma alcune di queste sono le uniche che allora furono elaborate. Se i l messaggio culturale non fu raccolto dai politici, la responsabilità non può essere sol­tanto degli intellettuali, per incapacita o insufficienza di espressione, per parzialità, per estetismo, per molte altre ragioni. La vitalità delia cultura weimariana fu espressa próprio dal fatto che essa non fu strumentalizzata dalle forze politiche. Ma questa fu anche la sua debolezza, per­che rimase isolata e non ebbe possibilita, se non in casi parziali e limitati, come nella vicenda (dei resto aperta sot­to i l profilo critico) delPAssociazione degli scrittori prole-tari, di rapportarsi positivamente e non strumentalmente alia vita politica 3 7 . Questa cultura ebbe una acuta sensi-

3 7 Non è possibile in questa sede segnalare le molte pubblicazioni che negli ultimi anni hanno riesumato, in forma documentaria o mono­gráfica, il dibattito culturale weimariano e in modo specifico quello le-gato alie correnti dei movimento operaio; ci limitiamo comunque a se­gnalare, come esempio di feconda problematizzazione dei dibattiti e

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bilità delia crisi ma, a mio avviso, non poteva fornire gli strumenti per uscire dalla crisi. I n definitiva penso che non spettasse ad essa supplire alie carenze delle forze politiche.

Per concludere, mi pare opportuna una ultimissima pre-cisazione, anche se di rilevanza metodológica e storica certamente non trascurabile. È risultato chiaro dal mio intervento che io ho nettamente privilegiato i problemi del­ia politica interna sottovalutando apparentemente la po­litica estera. Ora, appunto su questo rapporto tra politica interna e politica estera, vorrei dire qualcosa di piú pre­ciso, trattandosi nelPorientare i l mio contributo di una scelta precisa che ho operato in rapporto alio sviluppo ed alio stadio al quale è pervenuta la storiografia sulla repub­blica di Weimar.

Per troppo tempo, próprio sulla falsariga di una tradi-zione storiograftca di segno liberal conservatore, che è quella che si può trovare simboleggiata anche in edizione italiana dalPopera citata di Erich Eyck, si è capovolto i l parâmetro di giudizio sulla repubblica di Weimar, ricer-cando unicamente nella politica estera le cause delle sue difficoltà e dei suo fallimento. I I riferimento d'obbligo è i l Trattato di Versailles e la questione delle riparazioni. Cer­tamente Versailles è stata un errore che ha pesato molto sulla vita delia repubblica di Weimar e, tuttavia, ad esso soltanto non è possibile attribuire la crisi di Weimar. D i questo dobbiamo essere estremamente consapevoli; se vo-gliamo essere paradossali, potremmo dire che Versailles ha ucciso Weimar solo nella misura in cui le forze che hanno ucciso Weimar si sono impossessate dei termini del­ia polemica anti-Versailles, cioè in quanto i l nazionalsocia-lismo ha fatto di Versailles uno dei cavalli di battaglia del­ia sua agitazione nazionalista. Soltanto in questo senso Versailles ha un peso centrale nella storia delia crisi wei­mariana, la cui ragione di fondo va ricercata tutta nelFin-terno delle vicende delia società tedesca.

delle esperienze allora compiute, lo studio di Helga Gallas, Marxistische Literaturtheorie. Kontroversen im Bund proletarisch-revolutionàrer Schriftsteller, Neuwied-Berlin, 1971.

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Paradoisalmente, questo tema delia preminenza delia politica estera nelle difficoltà e nelle disgrazie delia Ger­mânia weimariana è per 1'appunto uno dei temi dominanti delia cultura storica di questo período. Uno dei lavori piú interessanti scritti negli ultimi anni sulla cultura politica di Weimar è próprio i l libro dello Schleier sulle tendenze delia storiografia borghese in Germânia nel período weima­riano 3 8 . Ora, questo libro, che ha anche delle semplifica-zioni schematiche a mio avviso non accettabili, come i l catalogare entro la storiografia liberale storici socialdemo-cratici, dimostra come la storiografia dei período weima­riano abbia sostanzialmente assunto in solido i legami con la tradizione delia grande storiografia tedesca dell'800. Una storiografia che vedeva i l problema delia Germânia unicamente come problema delia Germânia nel concerto europeo. Era una proiezione esterna di tutt i i problemi te-deschi nelPequilibrio delle potenze. E questo è i l risultato delia tradizione bismarckiana. Che cosa è accaduto nella storiografia dell'ultimo dopoguerra? Per molti aspetti e per molto tempo è sopravvissuta piena omertà con la tra­dizione delia questione tedesca come questione esterna alia società tedesca, una questione di politica internazionale, tutt i i parametri di valutazione delia storia tedesca sono stati cioè fondati sul concetto delia Einkreisung, cioè del-Paccerchiamento delia Germânia da parte di altre poten­ze. I I primo a creare una frattura, con questo tipo di inter-pretazione, è stato i l Bracher quando, affrontando i l pro­blema delia repubblica di Weimar, ha affrontato per Pap-punto i l problema dei meccanismi interni, con una chiave piú sociológica che storica, che portano alia dissoluzione la repubblica di Weimar 3 9 . Tuttavia sin dagli anni weima-riani, la consapevolezza che i l problema politico tedesco, i l dilemma delia democrazia tedesca, andasse cercato alFin-

3 8 Hans Schleier, Die biirgerlicbe deutsche Geschichtsscbreibung der Weimarer Republik (I. Strõmungen-Konzeptionen-Institutionen. I I . Die linksliberalen Historiker), Kõln, 1975.

3 9 Ci riferiamo alia primissima opera di Karl Dietrich Bracher, Die Auflõsung der Weimarer Republik, la cui prima edizione è dei 1955.

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terno delia società tedesca e non nei sui rapporti diploma-tici, era stato affermato da uno storico, morto molto gio-vane, che è forse la figura piú interessante di tutta la sto­riografia dei período weimariano, Eckart Kehr i l quale im­posto i l discorso sul primato delia politica interna 4 0 . Col-laboratoré fra Paltro delia rivista d i Hilferding «Die Gesellschaft », ha avuto la intuizione fondamentale di im-postare i l discorso sulla crescita delia società tedesca non secondo parametri indipendenti ed autonomi dalPimperia-lismo. È stato questo, mi pare, i l momento che ha sbloccato certe dispute scolastiche, accademiche, sul primato delia politica interna o delia politica estera. I n questa maniera i l Kehr si collegava molto direitamente a una serie di in-tuizioni che nella storia dei movimento operaio tedesco, ancora una volta per Panalisi di determinati fenomeni so­ciali, erano stati anticipati da Karl Liebknecht.

Perche, che cosa voleva dire impostare i l discorso sul-Pimperialismo in Germânia? Voleva dire esattamente uni-ficare quelli che erano i termini delia politica estera e delia politica interna tedesca attraverso Panalisi di un de-terminato sviluppo económico e sociale. Quindi non fare i l discorso delia politica estera semplicemente come poli­tica di espansione, ma vedere nella crescita delia società tedesca la necessita di superare i l imiti interni che è i l discorso fondamentale per capire anche la crescita alPinter­no delia repubblica di Weimar delle tendenze alia trasfor-mazione delia democrazia. E dobbiamo pure porei questo problema: perche mai ad un certo momento, nella fase di dissoluzione, nella fase di scollamento delle istituzioni, si fanno avanti delle forze che vogliono ad ogni costo di-struggere i l movimento operaio tedesco, distruggere anche soltanto le vestigia formali delia democrazia tedesca. A mio avviso la risposta non può essere trovata unicamente nel-Paffermazione di tendenze irrazionalistiche o di tendenze

4 0 Se ne vedano ora i principali scritti nella ristampa a cura di Hans-Ulrich Wehler in Eckart Kehr, Der Primat der Innenpolitik. Gesammelte Aufsàtze zur preussisch-deutschen Sozialgeschichte im 19. und 20. Jahrhundert, Berlin, 1965.

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genericamente antidemocratiche. La risposta di fondo è una sola: nella fase di crescita delPimperialismo tedesco, che aveva delle direttrici di mareia molto precise, molto eviden-t i , determinate dalla prevalenza di determinate forze eco-nomico-sociali, verso aree precise delTEuropa, la costruzio-ne democrática non era piú 1'attrezzaggio interno che con-sentiva 1'esplicazione piena, totale, delle potenzialità im-perialistiche. La repubblica di Weimar crolla próprio per questo. Crolla perche anche soltanto 1'esistenza di quei re-sidui pluralistici a livello politico e sociale rappresentano 1'ultimo ostacolo al pieno dispiegamento delle forze im-perialiste in direzione delia conquista delTEuropa.

È qui che si saldano i l momento delia crisi weimariana e quello delTavvento al potere dei nazismo. I I nazismo non è qualcosa di demoniaco che ad un certo momento sconfigge le forze buone delia repubblica di Weimar. I I nazismo è i l salto qualitativo che è necessário per portare la struttura interna delia società tedesca alPaltezza dei com-pit i richiesti dalla forza d'urto che 1'imperialismo deve spri-gionare. Perche 1'imperialismo tedesco ha raggiunto or-mai i l livello necessário per scaricarsi sul resto delPEuro-pa. Questo è i l tipo di analisi che occorre fare, lungo la quale dobbiamo ritornare a unificare momento interno e momento esterno.

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GIAN ENRICO RUSCONI

A Z I O N E O P E R A I A E S I S T E M A D E M O C R Á T I C O

1. Democrazia contrattata e capitalismo organizzato

L'esemplarità delTesperienza di Weimar, dal dúplice punto di vista degli istituti di democrazia e dei comporta-menti dei movimento operaio, va ricercata nel nesso par­ticolare che si è stabilito tra la classe operaia (un tipo par­ticolare di classe operaia) e gli apparati di rappresentanza democrática parlamentare. La precisa identificazione di questo nesso è preliminare sia alia individuazione dei ca-ratteri propri delia repubblica di Weimar, sia alie possibili generalizzazioni delia sua esperienza ad altre situazioni. Quella di Weimar è definibile come una « democrazia contrattata » — nel senso che la forma istituzionale, inve-ce d'essere i l quadro politico accettato entro cui si muovo-no e competono le forze sociali, diventa essa stessa ogget-to di contrattazione permanente, in modo ora esplicito, ora ideologicamente camuffato, ora solo latente. I contenuti di questa contrattazione sono gli stessi dei compromessi o patti che si stringono nelle settimane dei crollo dellTmpe-ro, nel clima delia sconfitta, tra le forze dei vecchio potere (elite burocratico-ministeriale, padronato privato, vertici militari) e i rappresentanti delle organizzazioni operaie maggioritarie. Si tratta di veri patti costitutivi delia re­pubblica, la cui dissoluzione segnerà la fine dei sistema stesso. I I concetto di « democrazia contrattata» vuole segnalare da un lato la presenza di certe regole che sono

Questo saggio riprende parzialmente riflessioni e informazioni che sono amplamente sviluppate nel volume La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, Torino, 1977.

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imperativi dei funzionamento dei sistema, dalPaltro la pre-carietà dei sistema stesso, a cominciare dalla sua originaria carenza di legittimazione. V i sono contraenti sinceramente convinti di fronte a contraenti coatti, con ampie riserve mentali che attendono 1'ora e l'occasione di disfarsi degli accordi presi, o quanto meno di snaturarli.

Questi accordi trovano nella Costituzione weimariana dei 1919 una formulazione che gli esperti costituzionalisti giudicano magistrale per equilíbrio e contemperanza di e-sigenze opposte. D i fatto la Carta costituzionale si lascerà strapazzare dalle forze antidemocratiche, soprattutto con 1'abuso delPart. 48 che dà facoltà al Capo dello Stato di emettere ordinanze d'emergenza senza previa approvazio-ne dei parlamento. Con i l sistemático scioglimento dei par­lamento non consenziente al Diktat presidenziale, la lega-lità repubblicana perdera ogni consistenza. Dietro questo scudo pseudolegalistico le forze antidemocratiche porteran-no alia distruzione delia democrazia, ancora prima delia sua abolizione formale nella dittatura (anch'essa « legale ») di Hitler — svuotando e liquidando i patti o compromessi costitutivi delia repubblica.

Accanto al patto militare (che vede i l vecchio corpo militare imperiale assoldato a difesa delia repubblica con­tro la violenza degli « opposti estremismi » — in realtà contro 1'ala piú radicale dei movimento operaio) i l com-promesso o patto di gran lunga piú importante è quello tra sindacati e padronato stipulato, nelle prime settimane dei novembre 1918, con la mediazione delia socialdemo­crazia. Tramite esso e la sua futura espansione, la sinistra istituzionale intende integrare la democrazia politica con quella che vien chiamata la,« democrazia collettiva » — cioè con 1'immissione di contenuti sociali sempre piú qualificanti nelle strutture delia repubblica e nelle leggi di sviluppo di un capitalismo, da controllare tramite lo Stato. È la strada delle riforme coscientemente intrapresa dalla socialdemocrazia, in insanabile contrasto con i l par­tito comunista che, credendo nelTattualità delia rivoluzio-ne, considera la democrazia di Weimar solo un regime

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borghese da abbattere. Sulla natura compromissória delia strada delle riforme

è illuminante la tesi di un (allora) giovane studioso di politica e diritto costituzionale, Ernst Fraenkel: « Non è la stipulazione dei compromesso che è riprovevole o peri-colosa nella costituzione di Weimar. Ciò che minaccia la sua sostanza non è i l compromesso ma al contrario Fim-possibilità di raggiungerlo ». Sono parole scritte nel 1932, sulla rivista ufficiale dei partito socialdemocratico, nel pie-no delia crisi politica quando la socialdemocrazia sta scon-tando passivamente la catena degli errori che le hanno im-pedito di trasformare i compromessi in elementi di demo­crazia progressiva.

D i fatto, dalla rivoluzione dei novembre 1918, la SPD maggioritaria e i l sindacato (inteso qui, per semplicità, co­me unitário, per la prevalenza dei socialisti sui cattolici) so­no la controparte globale dei complesso dei patti. La SPD, senza rinunciare ai suoi obiettivi socialisti (formulati ancora in termini marxisti), assume i l ruolo e Ponere di partito di governo nei l imiti dei parlamento tradizionale, stringendo un patto « politico » con i cattolici dei Zentrum e i libe-raldemocratici (DDP). Si crea cosi la « coalizione di Wei­mar » per antonomásia.

La serie di accordi che i l sindacato stipula con i l pa­dronato — quale concretizzazione dei « patto sociale » — normalizza e istituzionalizza i rapporti di lavoro sulla base dei riconoscimento formale reciproco delle due contro-parti e delia loro autonomia di fronte alio Stato. I caratteri di compromesso di questi accordi consistono, da un lato, nella rinuncia dei movimento operaio organizzato a gettare tutto i l suo peso sulla bilancia delia creazione di un nuovo sistema sociale, in cambio dei riconoscimento dei diritto di rappresentanza esclusiva dei lavoratori e di vantaggi econo­mia e normativi immediati (giornata lavorativa di otto ore, contratti collettivi generalizzati, riconoscimento di consigli di fabbrica e altre istanze di compartecipazione, sussidi con­tro la disoccupazione). Da parte padronale c'è Paccettazio-ne de facto dei regime repubblicano, i l riconoscimento for-

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male dei diritt i sindacali (con Pabbandono almeno ufficiale dei sindacati « gialli ») in cambio dei riconoscimento delia intangibilità delia liberta imprenditoriale, delia proprietà privata e delia indipendenza delle proprie organizzazioni.

Davanti alia insuperabilità delle difficoltà di attuazio-ne di questa serie di accordi, lo Stato, lungi dal rinchiuder-si in una funzione notarile di fronte al bilateralismo dei due partner sociali, è costretto ad intervenire con i l mec-canismo arbitrale che assumerà nel corso degli anni i con-notati di una politica salariale dei governo. Anche per que­sto i l patto tra lavoro e capitale costituirà i l perno d'equili-brio dei sistema weimariano, al di là dello stesso schiera-mento partitico. Diventa elemento-chiave dei « capitali­smo organizzato », che caratterizza in modo sempre piú specifico i l sistema weimariano, con 1'assestamento post-bellico e postrivoluzionario.

Con « capitalismo organizzato » intendiamo la seguen-te configurazione: a) i processi di concentrazione económi­ca e la virtuale estinzione dei mercato concorrenziale, con i l conseguente smisurato e incontrollato potere dei grandi oligopoli; b) i l dislocamento di buona parte dei potere reale fuori dal quadro politico istituzionale a favore di istanze extraistituzionali, determinanti nei periodi di crisi; c) i l processo di concentrazione económica è accompagnato da una parallela organizzazione di massa dei lavoratori, con rilevanti conseguenze sul peso di rappresentanza dei par­t i t i ; d) lo Stato viene responsabilizzato in modo crescente nella gestione económica, non solo con la creazione di set-tori economici pubblici, ma con 1'espansione delia spesa pubblica; in piú e) lo Stato si fa garante dei processo di i -stituzionalizzazione dei conflitti di lavoro, in particolare dei conflitto industriale, arrivando ad una sorta di « in-terventismo sociale » che fa delia funzione arbitrale uno degli elementi decisivi delTequilibrio.

La socialdemocrazia che, tramite le riflessioni di Rudolf Hilferding, possiede gli elementi analitici essenziali di que­sto « capitalismo organizzato », commette pesanti errori di valutazione dei suoi equilibri interni e delia sua dinâmica.

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Sopravvaluta 1'automatismo dei processi di concentrazione monopolistica e di razionalizzazione portando i l movimen­to operaio ad una passiva subalternità, incapace di vedere i l progetto politico iscritto in tali processi. Viceversa so­pravvaluta Faccrescimento di potere delle organizzazioni operaie, chiuse nel quadro istituzionale, e la capacita dei loro controllo sullo Stato — anzi dello Stato come tale, co­me istituzione formale. Da qui la strategia iperistituziona-lista, statalista, socialtecnocratica, su cui ritorneremo.

Contro i l progetto socialista e sindacale di « democra-tizzazione delPeconomia », di creazione di uno Stato demo­crático sociale non c'è semplicemente un padronato arroc-cato in un potere privatistico senza controlli, per Paltis-sima concentrazione oligopolistica delTindustria e delPeco-nomia in generale. Contro ci sono anche 1'élite burocrati-co-ministeriale e 1'esercito. Sono queste forze che negli an­ni decisivi delia crisi (1930-33) metteranno in ginocchio la democrazia, contestualmente alia ribellione dei ceti me­di e alPapparizione dei movimento nazionalsocialista, cui sara demandata 1'esecuzione dei colpo di grazia.

Ripetiamo che i patti costitutivi delia repubblica ver-ranno meno ancora prima che la « forma democrática » del­ia repubblica sia stata rinnegata. La caduta delPultimo go­verno parlamentare (la Grande Coalizione dei 1928-30) sa­ra preceduta e accompagnata dali'attacco al patto sociale tra padronato e sindacato. I I regime presidenziale, inaugu-rato dal cancelliere cattolico Heinrich Briining, nonostante i l suo tono moderato e la salvaguardia di certe forme co-stituzionali, rappresenta già la rottura sostanziale dei con-tratto democrático. I I patto sociale è annullato dalPuso a senso único di una strategia económica che nelFarbitrato trova uno strumento coercitivo di compressione salariale. I I patto militare è vanificato dalPirreversibile autonomiz-zazione dei vertici militari in grado di condizionare direita­mente o indirettamente i l governo. I I patto politico è dis-solto con Pemarginazione dei parlamento e la concentra­zione di tutto i l potere istituzionale nel Capo dello Stato di cui i l cancelliere si fa interprete diretto.

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v ' Çj/í i l decorso delia crisi disvela retrospettivamente lajAfiéra natura dei rapporti che hanno retto la repubblica

,jdãfla sua nascita. È insufficiente parlare di « pluralismo » viziato e reso ineffettivo dalla dinâmica imperialista, come fa Franz Neumann nel suo Behemoth, che pure coglie per­feitamente la natura compromissória dei regime e delia costituzione weimariana. I I limite di spiegazione dei Con­cetto di « pluralismo » sta nel fatto che esso è adeguato per singoli, separati universi rappresentativi (pluralismo di partiti, pluralismo delle organizzazioni sociali, pluralismo dei soggetti economici). Ma non è in grado di fissare criti­camente i l nesso sotterraneo tra queste forme di rappre-sentanza. O meglio, si aspetta che i singoli pluralismi siano speculari, si rispecchino e si combinino in un pluralismo superiore. Cosa che non awiene mai — tanto meno a Wei­mar. Qui i l patto sociale (che sanziona i l pluralismo socio­económico) è stipulato da un padronato che fa di tutto nel-1'ambito dei pluralismo partitico-politico per dissolvere o rendere ineffettivo Poriginario patto politico (la « coalizio-ne di Weimar »), per poter ritorcere un eventuale successo in questo âmbito contro i l patto sociale stesso. I I gioco plu-ralistico è sempre a piú livelli, è condotto con risorse e con sottili riserve mentali nei confronti degli stessi istituti de-mocratici. Per questo adottiamo i l termine di « democra­zia contrattata », da collegare — come si è visto — a quello di « capitalismo organizzato ».

2. Uazione operaia nella costituzione dei sistema

Per capire Pazione (o Pinazione) delia classe operaia in questo contesto è opportuno raccogliere altri elementi di analisi.

Dobbiamo innanzitutto acquisire le caratteristiche del-Pazione operaia e delPazione collettiva in generale, a par-tire dalla fase rivoluzionaria. Sia la creazione che la dissolu­zione di un sistema sociale e politico si possono sempre r i -condurre a processi di mobilitazione (movimenti collettivi)

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contro le istituzioni preesistenti. Nel caso di Weimar, Pon-data consiliare dei 1918/20 può entrare nel novero delle « azioni collettive » nel senso técnico di agenti di nuove identità sociali con la creazione (almeno tentata) di nuovi istituti. Ma analogamente anche la crisi finale di Weimar può essere letta come cedimento e trasformazione di resi-due strutture istituzionali sotto Purto delia « azione col­lettiva » veicolata dal movimento nazionalsocialista. Que­sto approccio tuttavia ha grossi l imiti perche lascia inde-terminato i l rapporto tra composizione sociale dei movi­menti collettivi, la loro differente técnica espressiva e la loro intenzionalità politica. I movimenti di matrice ope­raia si esprimono prevalentemente tramite gli scioperi o co­munque in stretta connessione con essi, anche quando as-surgono a forme insurrezionali. I movimenti di matrice piccolo-borghese o anche — fatte le debite differenze — di matrice sottoproletaria si sviluppano con una fenome­nologia piú complicata, in cui la violenza dimostrativa di piccoli gruppi trova la connivenza di un supporto di massa mobilitato in forme convenzionali (manifestazioni di mas­sa, campagne di stampa ecc). La diversità di técnica espres­siva e di efficacia dipendono sia dalla collocazione materia­le dei soggetti nel sistema globale, sia dalla loro finalità politica.

Fatta questa premessa generale, a propósito dei mo­vimento collettivo dei 1918/20 si possono constatare due elementi di fondo: a) Pazione operaia si esprime e si di-sperdé lungo tre linee che chiameremo istituzionalizzabile (e istituzionale), extraistituzionale e antiistituzionale; b) i l fattore che contiene, media e dirotta Pazione operaia sono le organizzazioni operaie stesse, direttamente o in rappre-sentanza dello Stato. Le azioni istituzionali sono quelle mi-ranti al miglioramento delle condizioni economiche e so­ciali nel quadro delia struttura esistente; esse comprendo-no la stragrande maggioranza degli scioperi economici pro-clamati dai sindacati. Istituzionali dovrebbero essere con-siderate anche le azioni di sciopero politico in difesa delia repubblica. I n realtà per i l loro carattere ambivalente mol-

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te di queste iniziative innescano processi extra e antiistitu-zionali. L'esempio piú evidente è dato dallo sciopero ge­nerale dei marzo 1920 contro i l tentativo di colpo di Stato di Kapp, cui sono seguite lotte armate nella Ruhr. I n questa nostra terminologia, « extraistituzionali » do-vrebbero considerarsi gli scioperi spontanei o selvag-gi, spesso antisindacali, per i l raggiungimento di obiet-t ivi mancati per vie convenzionali. Antiistituzionali, infine, sono da considerarsi le vere e proprie rivolte operaie ar­mate, siano esse spontanee o semiorgahizzate dai comuni-sti. Che queste azioni siano praticamente sempre intreccia-te con manifestazioni di tipo istituzionale o extraistituzio-nale, è un fatto che ammonisce a non cedere a indebite sem-plificazioni nella loro valutazione.

È chiaro che con questa tipologia non si pretende af-fatto di definire o addirittura di esaurire le caratteristiche (e le potenzialità) dei « movimento consiliare ». È una leitura consapevolmente riduttiva, perche risponde ad una lógica « esterna » al movimento. Utile, però, contro certo ideologismo consiliarista che ha mitizzato « quello che a-vrebbero dovuto essere » i consigli con i l risultato di non farei capire i l imiti e le contraddizioni dei movimento reale \

1 Una di queste contraddizioni sta nella pretesa di radicale inno-vazione, anche istituzionale, da parte di uomini formatisi nella piú schietta tradizione socialdemocratica, priva — come è noto — di con-creti modelli di transizione. Una esperienza strettamente condizionata dal dúplice confine delia « fabbrica » e delTorganizzazione dei « partito » non sa diventare esperienza di nuove strutture societarie, politiche, se nor,1 proiettando un «gabbione » di consigli. II movimento rischia di configurarsi come un meccanismo iperistituzionalizzato. Oscilla tra la primaria esigenza di gestione di fabbrica e la proiezione sulla società politica. Al primo congresso dei consigli, nella seconda meta di dicem-bre 1918, a stragrande maggioranza si decide per la convocazione solle-cita delTAssemblea Nazionale. Quella che «avrebbe potuto/dovuto essere la nuova Costituente proletária », proseguendo la tradizione rivo-luzionaria piú clássica, esautora se stessa a favore di una Costituente liberal-borghese. Non è un atto di debolezza casuale. È il segno incon-futabile che il movimento consiliare non è alTaltezza dei momento storico.

Per il resto, è noto come nel congresso nor. fossero ammessi neppu-re come osservatori gli uomini di pun ta delia rivoluzione dei novembre:

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Per dare un'immagine delia mobilitazione operaia nel período 1919/23 diamo i l numero delle giornate di lavo­ro « perdute » (in milioni) per scioperi classificati come « politici » e come « economici ».

n. giorni di sciopero (milioni)

anno n. partec. (migliaia) politico económico totale

1918 925 3,8 1.5 5,3 1919 2.562 12,9 35,1 48,0 1920 6.762 36,5 17,7 54,2 1921 502 3,8 26,3 30,1 1922 352 0,3 28,9 29,2 1923 318 1,0 14,6 15,6

Gli oltre due milioni e mezzo di partecipanti agli scio­peri politici dei 1919 dicono plasticamente i l grado di mo­bilitazione delia classe operaia, anche se la sua azione è stemperata lungo tutto i l território dei Reich con partico­lare concentrazione a Berlino, nella Ruhr e nella Germâ­nia centrale. Facile da decifrare è la punta di 6,7 milioni di mobilitati in occasione dei ricordato sciopero generale dei marzo 1920. Con i l 1921 è evidente i l riflusso, anche

Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht. II núcleo operaio consiliare radicale che milita nel partito socialista indipendente si organizza in modo semi-autonomo attorno ai Revolutionâre Obleute, diffida degli sparta-chisti, soprattutto delFala quasi-anarchica, putschista che vede «il potere nelle strade » (secondo le tesi di Otto Ruhle). La tragedia dello spartachismo è stata, da un lato, il non essere riuscito ad agganciare tempestivamente, nei primi mesi delia rivoluzione il quadro operaio consiliarista (con i suoi capi i Muller, i Daúmig, i Ledebour) e, dal-1'altro, il non aver controllato gli elementi awenturisti che innescando azioni insurrezionali senza prospettive hanno dato spazio alia controffen-siva controrivoluzionaria culminante negli assassini delia Luxemburg e Liebknecht e migliaia di altri militanti.

II passaggio degli ex-cor.siliaristi alia KPD nell'ottobre 1920 sara tardivo, e soprattutto non segnerà un reale mutamento di linea dei par­tito comunista. Molti di loro torneranno negli anni seguenti nella so­cialdemocrazia, come fará dei resto lo stesso Paul Levi che guida il par­tito comunista dopo la morte delia Luxemburg.

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se la tentata insurrezione di marzo nella Germânia cen-trale segnala la partecipazione di oltre 375.000 operai in appoggio o concomitanza. Nel 1923 i 300.000 mobilitati per un numero di giornate di» sciopero politico che toccano i l milione indicano verosimilmente le manifestazioni duran­te la crisi delTestate-autunno di quelPanno. E segnano nel contempo la conclusione dei periodo rivoluzionario.

Le cifre che abbiamo riportato sono quelle ufficiali, difficili da sottoporre a verifica. È significativo che le au-torità competenti non registrino dopo i l 1923 alcuno « scio­pero politico ». Questo non vuol dire, beninteso, che non ci siano piú manifestazioni di massa. Gl i ultimi anni delia repubblica saranno piene di tali manifestazioni organizza-te da socialisti e comunisti. Ma ognuno capisce la diffe­renza tra questo tipo di manifestazioni (magari concluse con sanguinosi scontri con le squadre naziste o con la po-lizia) e azioni di sciopero politico « ufficiali » dichiarate e sostenute dalle organizzazioni sindacali.

Veniamo al comportamento dei sindacato. La sua re-sistenza passiva e attiva dinanzi al movimento dei novem­bre non nasce solo dalla paura di scatenare incontrollabili spinte eversive. Manca innanzitutto di un progetto di poli­tica económica realístico, efficace. Ci sono i vaghi discorsi sulla « socializzazione » e la necessita di un « piano » che corregga 1'anarchia capitalistica. D i fatto i l sindacato è in balia di processi economici e sociali incontrollati. È prigio-niero delia contráddizione da esso stesso creata di ricono-scere, con gli accordi dei novembre, 1'autonomia delia con­traparte padronale e quindi contestualmente 1'ordine capi-talistico (con i suoi postulati delia libera iniziativa e delia proprietà privata dei mezzi di produzione) próprio nel mo­mento in cui mette alPordine dei giorno i l socialismo con la richiesta di socializzazione delle industrie-chiave. È cosi introdotta una grande ambiguità nelle aspettative, nelle prospettive e negli obiettivi d'azione degli operai. Molt i non capiscono le incertezze dei vertici sindacali; ne respin-gono le proposte contrattuali, arrivano a rifiutare 1'idea stessa di contratto nella prospettiva di una prossima im-

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mediata socializzazione che ai loro occhi assume i tratti di socialismo realizzato.

I I risultato è la frantumazione delPazione operaia nei metodi e negli obiettivi, una mobilitazione di massa in gran parte spontanea che non trova egemonia, ma va ad approfondire i l divario crescente tra gruppi operai piú professionalizzati, legati alie organizzazioni sindacali tradi-zionali, e gruppi operai meno qualificati o professionaliz­zati in modo peculiare (minatori delia Ruhr, delia Germâ­nia centrale e portuali dei Nord) disponibili ad azioni di-rette, anche insurrezionali. È una spaccatura complessa in cui sembra dominare la discriminante etnico-geografica e socio-professionale (per altro non assolutizzabile come Ín­dice di un « altro movimento operaio » contrapposto fron­talmente a quello « ufficiale » — come è stato sommaria-mente fatto). Qui va cercata una delle ragioni (ma non la sola) delia divisione insuperabile tra socialisti e comuni­sti e la incapacita delia SPD e delia ADGB di egemonizzare strati operai che non siano di media e alta professionalità (senza con ciò identificare i militanti comunisti semplice-mente con lavoratori di bassa o nulla qualificaziohe, o ad-dirittura disoccupati — come awerrà invece nei primi anni Trenta).

3. La socialdemocrazia e le trasformazioni dei proletariato tedesco

Allarghiamo i l discorso al movimento socialdemocratico nel suo complesso. Esso è piú che una « organizzazione »; è un « mondo di rapporti sociali», un insieme di valori culturali e pratici che si biforca tra partito e sindacato. Do­po i l dibattito dei primo decennio dei secolo nel movimen­to socialdemocratico non si sente i l bisogno di una ulte-riore chiarificazione sui ruoli e le strutture organizzative. AlPesterno, ufficialmente, sindacato e partito sono piú che mai indipendenti e autonomi. I I sindacato, pur pro­clamando finalità socialiste, si sforza di apparire apartiti-

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co. D i fatto lo stretto intreccio dei personale dirigente tra le due organizzazioni, 1'indispensabile supporto finanzia-rio che può venire solo dalla rete associativa gestita dal sindacato, la struttura sociológica stessa dei partito — fanno sí che i l sindacato abbia un enorme potere di influen­za e di veto, pur non sviluppando una própria strategia politica e ideológica. Solo nel 1932/33 si arriverà — a livello di vértice — ad una profonda lacerazione circa la linea da assumere ingenerando cosi ulteriori motivi di para-lisi dei movimento,

Detto questo, la SPD weimariana può considerarsi un partito operaio, industrialista, aggregante una consistente minoranza non operaia di ceti impiegatizi e intellettuali, caratterizzata da una spiccatissima sensibilità di classe in modi e formule subculturali, sostenute da una ideologia di matrice marxista, corretta però da una forte attenzione ver­so i valori delia comunità nazionale; un partito incline alie mediazioni istituzionali, culminanti in una strategia glo-bale riformista, mirante cioè alia attuazione degli ideali so­cialisti tramite un'azione dentro e attraverso le istituzio­ni esistenti; leale verso la repubblica democrática pur sen­za riuscire a superare 1'ambivalenza di principio e tattica verso quello che è pur sempre uno « Stato borghese ».

Quanto alia classe operaia che costituisce la base dei movimento, dobbiamo constatare che i l suo travolgente sviluppo quantitativo registrato, a cavallo dei secolo, nei primi decenni dei novecento, e nello sforzo bellico, subi-sce una sostanziale paralisi dopo la guerra, con frequenti alti e bassi occupazionali, in connessione con le vicende e-conomico-finanziarie. Cosi tra i l 1925 e i l 1933 la forza-lavoro nelTindustria e artigianato (a prescindere dalPanda-mento congiunturale) stagna attorno a 13 milioni di unità. Questa stagnazione è contrassegnata da un'intensa disarti-colazione interna. Attorno al núcleo degli operai professio-nalizzati di mestiere (assai piú omogeneizzati nel proces­so produttivo di quanto non pretenda la loro ideologia i l -lusoriamente coltivata da parte sindacale e astutamente con-fermata da parte padronale) sempre piú netta si delinea la

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categoria dei lavoratori non qualificati e comuni. Piú che di creazione dell'operaio-massa2, si tratta di una degrada-zione sempre piú profonda delia forza-lavoro preesisten-te.

A questo processo contribuisce in modo determinante, a partire dalla meta degli anni Venti, la razionalizzazione delPindustria. Razionalizzazione, nel período qui conside-rato, non significa innovazione tecnológica, modernizzazio-ne strutturale ma utilizzazione massimale degli impianti esistenti, risparmio massimale di forza lavoro, concentra­zione amministrativa in grandi complessi oligopolistici. È una strategia dettata non solo da necessita tecniche, ma dalla volontà politica dei potere económico privato di sot-trarsi definitivamente alie velleità di controllo dello Stato democrático e delle organizzazioni operaie. La razionaliz­zazione porta, da un lato, alia rápida ripresa di produtti-vità di alcuni settori industriali (soprattutto pesanti), ma dalTaltro crea disoccupazione strutturale o tecnológica, con scarse prospettive di riassorbimento. Nel 1926 basta una breve recessione per buttare sul lastrico 2 milioni di ope­rai che non saranno piú in gran parte riassorbiti.

Da qui la singolarità dello sviluppo dell'economia te­desca degli anni weimariani. Se confrontiamo 1'intero pe-

2 II Concetto di operaio-massa non è un Concetto univoco che possa essere ^eneralizzato a tutte le situazioni storiche di capitalismo, sia pure « organizzato ». Se il modo d'essere operaio è prodotto dal modo di produzione, se la sua scala professionale è determinata dai livelli tecnologki di volta in volta esistenti, il Concetto di operaio-massa va sempre relativizzato, soprattutto nei suoi risvolti culturali e di com­portamento.

L'uso che ne fa una certa storiografia marxista-operaista risulta assai dubbio perche retrodata situazioni e comportamenti (o attese di compor-tamenti) pienamente comprensibili solo nel contesto di oggi. La massa operaia delia Germânia anni venti non è 1'equivalente dell'operaio-massa di oggi, perche 1'apparato produttivo tedesco dei tempo dequa-lifica la forza lavoro in modo assolutamente diverso da oggi. Preferisco parlare — dinanzi ai fenomeni di recessione, stagnazione, razionaliz­zazione di quegli anni — di disgregazione, decomposizione delia classe operaia, nel senso clássico. La massa dei disoccupati, infine, per la persistenza di una tenace subcultura socialista-tradizionale — nono-stante tutto — non si lascia mai identificáre con quei caratteri che oggi attribuiamo alToperaio-màssa, anche nella condizione di non-occupazione.

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riodo delia repubblica con i l trend prebellico e i l ritmo d i sviluppo dei secondo dopoguerra, 1'economia weimariana segna una stagnazione complessiva. Se prendiamo invece singoli indicatori degli anni Venti (indice delia produzione industriale e dei reddito nazionale), registriamo ritmi im-petuosi di crescita, accanto alia persistenza delia disoccu-pazione di massa. NelTottica particolare in cui ci muovia-m o 3 , è questo i l punto che ci interessa. La distorsione del-1'apparato industriale diviso tra un protetto settore pe­sante, un forte ma subalterno settore leggero e un debole settore di beni di consumo, si traduce in blocco delia espansione delia classe operaia. A ciò si aggiungano la ra­zionalizzazione che espelle e ridimensiona le mansioni meno qualificate e la politica di esplicita divisione salariale.

Analizzato piú da vicino questo fenómeno segnala nul-la di meno che la decomposizione delia classe operaia co­me soggetto sociale unitário. I I continuum tra classe e orga-nizzazione — che è uno dei postulati dei marxismo — viene

3 È_ evidente che qui non ci proponiamo un'analisi delTeconomia weimariana nel suo complesso, per la quale occorrerebbe parlare delia situazione agrícola in crisi crónica e dei precário sistema creditizio-finan-ziario. Ci limitiamo a segnalare qualche indicatore globale. L'indice-base è 100 riferito al 1913.

anno indice produ- indice reddito n. disoccupati zione industriale nazionale ufficiali (milioni)

1919 42 67 0,7 1920 61 74 0,4 1921 73 79 03 1922 78 84 0,1 1923 52 74 0,8 1924 77 87 0,9 1925 92 94 0,7 1926 87 97 2,1 1927 110 105 1,4 1928 113 109 1,4 1929 114 108 1,9 1930 99 104 3,1 1931 82 92 4,5 1932 66 82 5,6 1933 74 86 4,8

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Interrotto in modo deciso da una serie di fratture di cui quella politica tra socialisti e comunisti è la piú evidente. Ma le linee di scomposizione sono assai piú pervasive di questa frattura. Le ragioni vanno ricercate nelle trasfor-mazioni portate dalla guerra. La monoliticità delia socialde­mocrazia prebellica era piú apparente che reale, perche indotta dal sistema autoritário dellTmpero. Essa cioè na-sceva dalTimpatto delia subcultura proletária, spontanea-mente solidale, con le forme di repressione poliziesca e po­litica che contribuivano a cementare dalTalto la compat-tezza di classe. Lo scatenamento delia guerra, la reazione di rigetto dal basso, sia pure ritardata, le compromissioni dei vertici sindacali e partitici con la vecchia classe diri­gente, la sconfitta militare, la creazione delia repubblica tolgono ogni puntello alia concentrazione spontanea delia classe operaia dietro una organizzazione unitária, di tipo prebellico. Le differenze si esprimono ora in tutta la loro durezza anche sulla base di esperienze di tipo nuovo. M i ­lioni di soldati smobilitati stentano per ragioni economiche obiettive e per ragioni psicologiche soggettive ad inserirsi nel processo produttivo: sono essi, soprattutto i piú gio-vani, meno qualificati professionalmente, ad essere esposti alie variazioni congiunturali. I I problema giovanile e quello dei residui psicologici delia violenza legittimata dalla guer­ra saranno motivi di costante preoccupazione per la lea-dership socialdemocratica. Ma quando questi problemi e-sploderanno in tutta la loro virulenza, provocati anche dai comportamenti dei movimento nazionalsocialista (che fará breccia col mito giovanile), la socialdemocrazia si troverà disarmata. La « questione giovanile » si configura come uno dei momenti delia decomposizione delia classe prole­tária nel suo insieme. Trend generazionale e livello tecno­lógico delPapparato produttivo sono le coordinate en­tro cui si struttura e destruttura la classe operaia come soggetto sociale.

I n sintesi, i l proletariato industriale delia Germânia di Weimar arriva alia vigilia delia crisi degli anni Trenta rallentato nella crescita, squilibrato nelle sue componenti,

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minacciato nella sua coesione culturale e politica da strati' di lavoratori marginalizzati e politicamente instabili. A ciò si aggiunge i l salariato impiegatizio in crescita quantitativa, ' ma ancora incerto sulla própria identità socio-politica, per cui opterà di fatto per posizioni antioperaie.

4. Cicli delia conflittualità dei lavoro

Aila luce di queste considerazioni possiamo tornare a considerare i cicli di sciopero che coprono 1'arco delia re­pubblica weimariana. Dopo i primi mesi delia rivoluzione, la lotta operaia decanta i connotati piú esplicitamente poli­tici per concentrarsi su obiettivi salariali e normativi. « La rivoluzione è degenerata in rivendicazionismo salariale » — lamentano i liberali, cui fanno eco i socialdemocratici, senza rendersi conto delTassurdità di pretendere di frenare i salari dopo la lunga compressione forzata dei período bel-lico. Soprattutto non comprendono che le forme selvag-ge di rivendicazione sono lo scotto da pagare per una po­litica che si è limitata a restaurare un presunto « libero » mercato dei lavoro in una situazione di potere económico oligopolistico. La cosiddetta degenerazione salariale è i l se-gno delia impotenza delia politica social-liberale. La grande mobilitazione operaia, inizialmente stimolata da confuse idealità antiautoritarie e libertarie socialiste, si trova re-spinta dalle nuove istituzioni politiche neUalveo di un conflitto económico convenzionale, con un sovraccarico di frustrazioni che nasce dalPoscura sensazione che la rivo­luzione è stata « tradita ». Quella partecipazione diretta che è stata negata in termini politico-istituzionali viene ricercata ora nel conflitto sul posto di lavoro.

Se osserviamo 1'andamento delia curva dei conflitti di lavoro (scioperi e serrate), i l 1923, anno che viene consi-derato conclusivo delia fase rivoluzionaria, segna solo un momento di un ciclo che prosegue con valori alti, fino ad esaurirsi solo nel 1926. Gl i scioperi dei 1924 e 1925 hanno la stessa intensità di quelli dei 1923 e non

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i l discostano molto da quelli dei 1920. Anzi, se sommia-Itio agli scioperi le serrate, cioè se consideriamo i l totale delle giornate di lavoro perdute, i l 1924 con i suoi 36,4 milioni di giornate, supera addirittura i livelli dei 1919 di scioperi « puramente economici». È nel mutamento di qualità, nella comparsa massiccia delia serrata padro-nule che i l primo ciclo weimariano rivela la sua natura com-plessa. I I 1923 è i l punto di inversione delia tendenza dei conflitto. I due vertici dei 1919 e dei 1924 segnalano l'of-fensiva di due soggetti sociali diversi e antagonisti: la clas-NC operaia prima, la classe padronale poi, che la spunta. L'inflazione dei 1922/23 e soprattutto i modi dei suo su-peramento rappresentano infatti un netto successo per i l capitalismo weimariano. Vediamo brevemente i fatti.

L'inflazione era innescata già dalla guerra e non era mai stata bloccata nei primi anni delia repubblica, sia per mancanza di volontà politica, sia per i benefici indiretti che ne derivavano alia ripresa produttiva. Ma in conco-mitanza con 1'entrata delle truppe francesi nella Ruhr, per rappresaglia a inadempienze nelle riparazioni di guerra, e con la conseguente decisione dei governo di Berlino di dichiarare la resistenza passiva delllntera regione, accol-landosene i costi economici, Pinflazione tocca ritmi iperbo-lici. Questo processo minaccia di travolgere con 1'economia 1'intera struttura politica di Weimar; Fesasperazione tra gli operai è grande; i comunisti pensano a forme insurrezionali, la destra minaccia colpi di Stato con 1'aperta connivenza delPapparato statale, militare e burocrático. I sindacati so­no sull'orlo delia bancarotta, non riescono a controllare nessuna vertenza. La SPD si lascia convincere a partecipare ad un governo di Grande Coalizione, oceupando delicati ministeri quali 1'interno, la giustizia, le finanze. Hilferding pone le basi per la creazione di una nuova moneta, men­tre i l governo accetta un piano per le riparazioni, sotto l'egi-da americana, che prevede i l massiccio intervento di capi-tali stranieri, statunitensi innanzitutto. L'economia viene rimessa in sesto. Ma i costi per la classe operaia, minaccia-ta dalla disoecupazione, sono 1'abbandono delle otto ore

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e la percuta dei vecchi livelli salariali. Anche gli istituti repubblicani vengono difesi solo a prezzo di iUegittimi in-terventi militari repressivi contro le coalizioni socialcomu-niste dei governi regionali delia Sassonia e Turingia, mentre si scende ad ambigui patteggiamenti con le forze delia de­stra (Hitler, dopo i l suo fallito putsch di Mónaco, è rin-chiuso in galera per qualche tempo). La protesta dei socia­listi, che si ritirano dal governo, è un gesto dimostrativo, che nulla toglie al fatto cPaver permesso, con i l loro com­portamento nelle settimane cruciali delia crisi, la conserva-zione — si — delia repubblica ma a prezzo delia mera re-staurazione politica e delia ripresa económica secondo le classiche ricette capitalistiche (riduzione dei salário, aumen­to delle ore lavorative). La SPD si è prestata a questa opera-zione per evitare i l tracollo delle istituzioni democratiche con la certezza di poter contare comunque sulla solidità delle proprie strutture. I n effetti negli anni successivi si hà la « rincorsa » dei salari, con i l rafforzamento delle orga­nizzazioni socialdemocratiche. Sembrerà la conferma delia giustezza delia linea dei 1923. I n realtà si è cancellata la vera lezione di quella esperienza: che i socialisti si sono trovati dinanzi ad una crisi acuta dei capitalismo senza propri strumenti conoscitivi, diagnostici e senza strategie alternative.

I I secondo ciclo dei conflitti di lavoro (1927-32), che segue i l período cosiddetto delia « stabilizzazione », segna súbito un'impennata nel 1928 (20,4 milioni di giornate di lavoro perdute, di cui 11,8 per serrata). È Poffensiva pa-dronale che sfida persino Popinione pubblica moderata e porta alPintervento straordinario dei parlamento. Siamo in clima di seconda Grande Coalizione (come vedremo); i l duro scontro tra industria pesante delia Ruhr e sindaca­to si conclude con un arbitrato solo in apparenza a meta strada tra le opposte richieste. I n realtà è una sostanziale affermazione delle tesi padronali, chiaro segnale politico alia vigília delia grande crisi.

A partire dal 1929 la conflittualità tende a cadere. Contro di essa giocano almeno tre elementi: la disoccu-

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r

rr/Ione a livelli minacciosi (1929:1,9 milioni; 1930:3,1; 931:4,5; 1932:5,6; 1933:4,8); la politica rigidamente

dcflazionistica dei governi; Pimpotenza dei sindacati che si •fíldano praticamente alia benevolenza degli arbitrati sta-trtll. Si è detto che le sentenze arbitrali, almeno dei primo período delia crisi, abbiano protetto i lavoratori organiz-Mttti da una caduta di salário che, lasciata a se stessa, sa­rebbe stata assai piú drástica. Questa è, in parte, Pinter-prctazione dei sindacati che vedono giustificata la loro politica di appoggio alParbitrato. Non mancano però in-terpretazioni diametralmente opposte che imputano alPin­tervento governativo — guidato da una strategia económi­ca depressiva — un calo salariale che in un mercato «libero » sarebbe stato piú contenuto. Un fatto è certo: i vincoli arbitrali, originariamente cercati per garantire un mínimo salariale agiscono alia fine come fattore di para-lisi dell'iniziativa operaia stessa, esasperando un diffuso senso di impotenza e rassegnazione. È un problema che diventerà drammatico con i l peggiorare delia crisi econó­mica, quando al governo presidenziale dei cattolico Brii­ning succederanno governi esplicitamente antisocialisti e antioperai.

Ma andiamo con ordine. Vediamo ora in linee succinte Pesperienza delia Grande Coalizione e, quindi, Patteggia-mento dei movimento socialdemocratico di fronte al de-corso delia crisi económica e politica.

5. La dissoluzione delia democrazia. Dalla Grande Coa­lizione ai governi presidenziali

Le elezioni dei maggio 1928 segnano un avanzamento delia SPD, non tale però da assicurarle una posizione di netta egemonia nello schieramento politico. I socialdemo-cratici vanno al governo con democratici, cattolici e libe-rali (tedesco-popolari) innanzitutto per garantire la con-clusione rápida e definitiva delle trattative per le riparazio­ni di guerra. Dietro la facciata relativamente unitária delia

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politica estera è in pieno svolgimento i l braccio d i ferrp tra padronato e sindacati su problemi strettamente sala*; riali, accentuati da importanti scadenze contrattuali. I i ^ questo contesto e di fronte ai primi segni di recessione» presto aggravata in vera e própria crisi, i l governo ha scar-se possibilita di mediazione e scontenta sempre piú i sinda­cati (mediazione dopo la serrata delia Ruhr, polemiche sulla assicurazione contro la disoccupazione). I I gover­no è prigioniero di obiettivi contrastanti (soprattutto nel­la sua ottica « prekeynesiana »): risanamento e pareggio dei bilancio, salvaguardia dei livelli salariali, sostegno ai di-soccupati (ormai awiati ai 3 milioni) e, infine, incentivi alia ripresa económica. Questo difficile nodo di problemi è affrontato dai socialisti senza prospettive alternative r i ­spetto alie proposte «liberali », deflazioniste sostenute praticamente da tutt i gli esperti economici tedeschi dei tempo. I I terrore delPinflazione in particolare scoraggia in anticipo ogni proposta di tipo anticongiunturale. Que­sto è uno dei l imit i storici dei socialisti di Weimar, non la loro presunta leggerezza (rimproverata da moita storio­grafia) nel sacrificare gli equilibri parlamentari agli inte­ressi particolari dei sindacati che, rifíutando ogni ridimen-sionamento dell'assicurazione sulla disoccupazione, costrin-gono alio scioglimento delia Grande Coalizione. Úalterna-tiva tra scaricare i costi delia crisi económica sulla classe operaia, in particolare sui disoccupati, o sacrificare con la Grande Coalizione i l parlamentarismo stesso — è una al­ternativa che si configura tale, con drasticità, solo ex post per specifica volontà delle forze antidemocratiche (o tiepi-damente democratiche).

La soluzione presidenziale, cioè un governo che segue le direttive dei Capo dello Stato creando di fatto una gestio-ne extraparlamentare, è voluta e resa possibile a fron­te di una profonda depressione dei movimento operaio e democrático nel suo complesso. D'altro lato una mobili-tazione di massa può aver luogo a due condizioni: a) che si crei un governo di concentrazione democrática con un pro-gramma di lotta alia crisi económica che non si riduca

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ília compressione dei salari e dei consumi: b) che i l siste-Iflrt democrático appaia veramente minacciato nei suoi fon-dfttucnti. Nessuna di queste due condizioni è pienamente W«li/,zata nel 1930. A parte 1'incapacità di formulare pia-nl nnticongiunturali (che diventerà presto motivo di ten-llonc e divisione nel campo socialista), la stessa difesa del-1'lntegrità dei funzionamento delia democrazia incontra re-nUlcnza non solo nei partiti di centro di tiepida fede de­mocrática ma — per ragioni soggettive diverse — nella llcssa base socialista. I socialdemocratici, reduci dalla Cirande Coalizione, non sono in grado di suscitare entusia-Nini nella difesa militante dei corretto funzionamento delle Utituzioni democratiche presso masse operaie e popolari che essi stessi hanno mortificato nelle loro richieste sala­riali. D'altro lato, a dispetto dei continui appelli alia vi-KÍlanza antifascista, i l pericolo nazionalsocialistanon ha an­cora acquistato quella virulenta materializzazione che lo caratterizzerà próprio nel corso delPanno (in particolare dopo le elezioni dei settembre 1930). I n sintesi, 1'esperi-mento delia Grande Coalizione (o di altre formule analo-ghe) avrebbe avuto successo se fosse riuscito a rivitaliz-zare i l rapporto tra apparato politico istituzionale e dina-miche sociali extraistituzionali. Ma questa nuova vitalità, a sua volta, sarebbe stata possibile solo in presenza di un « piano » económico e sociale innovatore ed efficace, in grado di agganciare gli interessi di una parte almeno delia piccola borghesia. Questo nesso viene confusamente intra-visto ma non realizzato dai socialdemocratici weimariani.

La tolleranza dei primo governo presidenziale dei cat-tolico Briining diventa per la SPD una tormentosa neces­sita alPindomani delle elezioni dei settembre che registra-no 1'imprevisto successo dei partito nazionalsocialista. Lo spazio, in termini aritmetici, per la formazione di un go­verno parlamentare è drasticamente ristretto — data la intransigente opposizione dei comunisti al sistema weima­riano. Briining costruisce tutta la sua azione politica sul ricatto delle forze democratiche, in particolare delia SPD. I n questa fase centrale e decisiva delia crisi politica ed eco-

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nomica delia repubblica la SPD ha come obiettivo di vare ad ogni costo i l resíduo funzionamento dei pari mento, per aprire la strada ad una rápida normalizzazic e contenere al massimo i sacrifici imposti alia classe of raia dália politica governativa. Ma non ha un progetto politica económica alternativo — combatte anzi duramente contro i Piani dei lavoro elaborati negli ambienti sinda-C cali.

Non è questa la sede per addentrarci nella storia tor­tuosa dei tempi e dei modi in cui si fa strada i l primo pro­getto sindacale di Piano dei lavoro, i l cosiddetto WTB-Plan, che sara salutato come i l capostipite dei piú famosi « pia­ni » belgi e francesi oppure come 1'atto di nascita delP« e-conomia sociale di mercato ». I n realtà nel campo di quelli che si chiamano i Reformer, i « riformatori», c'è moita eterogeneità politica e scientifica, al di là delPistanza co-mune di « creare lavoro » tramite 1'intervento dello Stato. Tra i riformatori ci sono pubblicisti ed economisti di for­mazione liberale, sindacalisti, ma anche nazionalsocialisti di sinistra. I n modo contorto e spesso contraddittorio tut­t i costoro hanno di mira quella che, con la chiarezza keyne-siana di oggi, si definisce una « politica statale anticongiun-turale », intesa come stimolo delia domanda globale trami­te Pampliamento delia domanda statale non sostitutiva ma aggiuntiva alia domanda normale. La domanda statale, in forma di commesse e lavori pubblici, deve essere finan-ziata non attingendo alie entrate normali ma con Pespan-sione e la creazione di credito. Cade in questo modo i l postulato dei pareggio come norma: i l deficit statale non è solo necessário ma programmato. Si tratta di posizioni inaccettabili per i l marxista ortodosso socialdemocratico, scrupolosamente legato al concetto liberale di « economia sana » come presupposto per qualunque iniziativa statale. Ma sarebbe superficiale ridurre la confusione nel movimen­to socialdemocratico al contrasto tra dogmatici marxisti, che da posizioni in apparenza radicali confluiscono di fatto con gli economisti ortodossi liberali, e innovatori spregiu-dicati come Woytinsky, i l piú noto degli autori dei WTB-

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«li, I I punto nevrálgico dei Piano dei lavoro sta nel HcKiimento delia problemática tecnico-finanziaria con i ol presupposti operativi politici. Ed è un punto tut-

'lliro che chiaro agli stessi « riformatori ». Al centro delia riflessione critica infatti non vanno

jK>Mc le tecnologie delFintervento dello Stato in astratto, mo lc intenzioni e la sostanza politica dello Stato storica-Itteruc e politicamente determinato. Ora, la deflazione dei joverno Briining (e le timide correzioni dei governi suc-SCHNJvi) non sono « carenze tecniche », ma elementi strut-turitli di una politica che si differenzia da altre possibili non |ln per Passenza dello Stato in assoluto, ma per i l mecca-nlmno messo in moto per tenere insieme la própria base lociule. Le misure deflattive, cosi deleterie per le classi po­polari, corrono parallele alie misure di sovvenzione alPagri-coltura e alPesportazione. Ciò che conta non è Pintervento In se" dello Stato (come nominalisticamente insistono i sin­dacati) ma i contenuti di tale intervento.

I I quesito allora è 11 seguente: uno Stato semidemocra-tlco, a regime presidenziale, è in grado, anzi, ha interesse H mettere in atto misure che — almeno secondo le inten-xloni dei riformatori — favorendo le classi popolari, porte-rebbero ad una « normalità » democrática? La risposta è negativa. Una politica orientata su scale di priorità sociali non sarebbe stata possibile senza la rimessa in discussione delle basi sociali e istituzionali dei regime presidenziale. Siamo cosi alia contraddizione insuperabile delia proposta sindacale: i l programma esige un coinvolgimento dello Stato nella difesa diretta degli interessi popolari con un minimo di partecipazione attiva democrática próprio nel momento in cui tutta la tattica socialista mira al congela­mento dello status quo istituzionale per « timore dei peg-gio ». I leader dei partito, ossessionati dalla malvagità delle misure di credito per Poccupazione, considerate senza altro inflazionistiche e quindi destabilizzatrici degli equi­libri precari esistenti, non prendono in considerazione la ipotesi che próprio un intervento anticongiunturale possa spostare a favore delia democrazia quegli stessi equilibri. La

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problemática dei Piano mette cosi a nudo la impasse d strategia socialdemocratica che pretende di superare i l stema capitalistico continuando a svolgere la funzione " stabilizzazione politica, rinunciando alFunica arma di dispone: la mobilitazione di massa delia sua base oper (e naturalmente la ricerca di una intesa con i comunis La impasse è celata dal verbalismo radicale che, favor do sottobanco i l ritorno delia « subcultura dei crollo », p clama la irreversibilità delle condizioni create dalla crisi esalta i l ruolo crescente ed insostituibile dello Stato. Un statalismo dottrinario ad oltranza caratterizza in modo p ticolare le prese di posizione sindacali — in un momen in cui 1'apparato statale funziona apertamente contro g interessi popolari ed è sottratto ad ogni controllo dem cratico-parlamentare.

Alie parole seguono i fatti. I vertici sindacali dispi " gano un grande sforzo pubblicistico per darsi una imma' gine « nazionale », vantando d'aver conciliato la classe operaia con la Nazione e lo Stato; prendono le distanze dal partito socialdemocratico e dalla « politica » in gene» rale, ribadendo la própria autonomia funzionale e istitu-, zionale anche in un regime politico diverso da quello de-mocratico-parlamentare; fanno caute aperture verso la si­nistra nazionalsocialista accettandò la tesi dei « sentimenti anticapitalisti » delia stragrande maggioranza dei popolo tedesco, ceti medi in testa; soprattutto faranno credito al governo dei generale von Schleicher di una politica per l'oc-cupazione che l i vedrebbe protagonisti come organi quasi-statali.

Due episodi esemplari nella seconda meta dei 1932 se-gnalano la strada senza uscite imboccata dal movimento socialdemocratico e sindacale. I I 20 luglio i l governo di centro-sinistra delia Prússia (il Land di gran lunga piú im­portante dei Reich), minoritário ma nel pieno esercizio delle sue funzioni amministrative, viene deposto d'autorità, in dispregio delia legge, dal governo centrale di Berlino gui-dato da von Papen. E un « colpo di Stato » che mette al-1'ordine dei giorno 1'eventualità di uno sciopero politico

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1 tipo di quello contro i l putsch di Kapp dei 1920). H i>artito e sindacato accettano i l fatto compiuto, per-ntlo di colpo la credibilità di organizzazioni democrati-c in grado di ostacolare i l processo di fascistizzazione

i t l l o Stato. Si approfondisce ulteriormente i l divario con Fl partito comunista che insiste per un « fronte único » antifascista, anche se non fornisce indicazioni precise e lllidttbili circa 1'esito politico-istituzionale di tale fronte. 11 secondo episodio è quello dello sciopero Selvaggio dei IfttNporti pubblici berlinesi nella prima decade di novem­bre, che vede fianco a fianco comunisti e nazionalsociali-I t l imiti contro i « bonzi» sindacali. Lo sconcerto tra le file operaie è grande, mentre i sindacati mostrano di non ivcre piú i l controllo di settori sempre piú ampi.

I I 30 gennaio 1933 accade quello che la strategia so­cialista aveva cercato di evitare da almeno due anni e tnezzo a prezzo delia própria paralisi politica: la nomina di Hitler a cancelliere.

I mesi successivi sono per i l sindacato una storia di degradanti tentativi di adattarsi alie pretese dei nuovi governanti fino alia ingloriosa adesione alia mistificazione dei I o maggio in « festa dei lavoro nazionale ». I I giorno dopo le sedi sindacali sono invase e oceupate dalle squa-dre naziste, i sindacati sono aboliti — senza resistenza.

Si instaura allora una perfetta divisione dei lavoro tra tecnici ministeriali finanziari e politici per la creazione di una grande « congiuntura di Stato ». Garantito i l quadro politico, ora si possono attuare impunemente tutte quelle pratiche nel bilancio statale e nella manipolazione delia rinanza, prima ritenute eterodosse ed esiziali per 1'eco-nomia e lo Stato. I risultati delia politica económica te­desca dal 1933/34 non discendono da una intelligenza económica superiore a quella corrente. I capi dei nazional-socialismo sono assolutamente agnostici in economia e i l mito autarchico copre e giustifica i l voluto e inevitabile isolazionismo económico tedesco. I I Piano dei lavoro na­zionalsocialista elaborato nel 1932 — dei resto rapida­mente superato — ha gli stessi pregi e difetti di quelli

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elaborati in altre sedi politiche. È i l cambiamento poli a dare nuove coordinate ai problemi economici. I I ria voluto contemporaneamente dal Fuehrer dei movir e dalla grande industria come ideale deficit spending tale è — con la repressione delle organizzazioni oper — la base delia ritrovata armonia tra politica ed econo" La democrazia di Weimar muore anche perche i suoi miei hanno saputo realizzare i l primato delia politica una strategia ad un tempo istituzionale ed extraistituzi nale, legale ed extralegale, creando i l presupposto per 1' tervento diretto dello Stato nella « formazione delle 1 gi » dei capitalismo organizzato.

Retrospettivamente, la dissoluzione dei sistema di W mar (la crisi-di-sistema in senso técnico e forte) si la decifrare come i l risultato di tre dinamiche diversamen dislocate al suo interno: a) scioglimento graduale dei pat costitutivi delia repubblica; b) perdita progressiva dei co senso di massa tra le forze democratiche e nel movimenti operaio a fronte delPattivarsi di un'azione di delegittir zione esplicita, guidata dal movimento nazionalsocialist (movimento popolare di rivolta dei ceti medi); c) 1'accumui lârsi di tre crisi specifiche di gestione dei potere nelPap-' parato istituzionale visibile — crisi che chiameremo r i -spettivamente di efficienza, di autorità e di integrazione.

La crisi di efficienza è rappresentata dal governo pre­sidenziale dei cattolico Briining (marzo 1930-maggio 1932) che gode di una debole legittimazione istituzionale, essen-do « tollerato » dalla SPD, e di un ancora piú debole consenso popolare. È un governo incapace di risolvere la crisi económica e di contenerne i costi sociali (disoccu­pazione, decurtazione dei salari e dei consumi). Questa in­capacita non è solo técnica (imputabile ad errori di stra­tegia económica univocamente deflazionistica) ma soprat­tutto politica, perche legata ad un progetto di restaura-zione conservativo-autoritaria con la mortificazione dei parlamento e delia socialdemocrazia. Qui stanno le radiei delia successiva e cumulata crisi d'autorità dei due gover­ni presidenziali seguenti (von Papen e von Schleicher,

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1932, fine gennaio 1933) caratterizzati da una rottura con le strutture qualificanti dei sistema de-

tlco (gestione antiparlamentare e antioperaia, salvo gludicata proposta di un nuovo « fronte sindacale >>

Htit da Schleicher). D i fronte alia estraneità e ostilità jiwwlva che attiva) dei movimento socialdemocratico,

mobllitazione ostile dei comunisti e alia strategia com-|M (eversiva e istituzionale) dei nazionalsocialisti, la cri-1 sistema weimariano non tarda ad assumere la forma

Vtrn c própria crisi di integrazione (o disintegrazione), dcll'incapacità di reggere alie dinamiche dissolutiye.

Imi mesi dei cancellierato di Hitler (enormemente im-lunti per i l gioco interno delle forze antidemocrati-) non faranno che togliere e strappare i l velo legalistico unn situazione irreversibilmente deteriorata.

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Lucio VILLARI

LA RAZIONALIZZAZIONE CAPITALISTICA NELLA REPUBBLICA D I W E I M A R

Vorrei premettere una riflessione su una questione che, nelle piú recenti ricerche sulla Germânia di Weimar, lembra svanire ma che non è affatto secondaria rispetto •I problema storico complessivo delia crisi tedesca. M i rlfcrisco al rapporto fra i trattati di pace di Versailles e la fine delia repubblica di Weimar e in particolare alia tesi che tale rapporto, anche se in qualche misura CHiste, non è tuttavia cosi orgânico da minare le strut-ture politiche e ideologiche dello Stato weimariano.

Questa tesi non può non suscitare qualche perplessi-là perche penso si debba finalmente dire che 1'anti-Versail­les non appartiene esclusivamente al bagaglio dei revan-scismo fascista e dei militarismo tedesco. I I concetto che I trattati di pace siano la causa di tutte le sofferenze del popolo tedesco e che le classi lavoratrici siano state le vere vittime del meccanismo repressivo usato nei confron­ti delia Germânia dalle potenze vincitrici, tale concetto ha trovato nella classe operaia tedesca ampio consenso. Con cpnseguenze politiche facilmente comprensibili, co­me quando si incrociano pericolosamente, come è avve­nuto a Weimar, rancore nazionalistico e lotta di classe; orgoglio militarista e « difesa sociale » nei confronti dei paesi ricchi oltre che vincitori (e non dimentichiamo che Hitler ricorderà, poi, ai tedeschi, in ogni momento, che la Germânia era un paese « povero » accerchiato dalla pre-potenza e ricchezza delle altre nazioni capitalistiche).

Per queste ragioni negli anni di Weimar i lavoratori tedeschi hanno sempre covato una profonda diffidenza ver­so le cosiddette democrazie occidentali non operando spesso una chiara distinzione tra gli strumenti di oppressione eco-

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nomica usati contro la Germânia e gli istituti politici questi paesi. Non va affatto sottovalutato, dunque, ques sentimento verso 1'Occiclente che opera come un tarlo si nello schieramento delia destra che in quello delia sinis tedesca. Un tarlo che permette, ad esempio, a H u Stinnes di invitare gli operai delle sue acciaierie ad apprez^ zare 1'esperimento politico ed económico in atto nelPUnio* ne Soviética, strumentalizzando in tal modo lo spirito an­ti-Versailles dei lavoratori per seminare la sfiducia nella, democrazia, in tutta la democrazia e quindi anche in quel­la che si tentava di costruire a Weimar. Tutto i l contra-, rio perciò di quel che Walther Rathenau aveva cercato-di fare ayvicinando, tra i l 1921 e i l 1922, la Germânia, alia Rússia soviética per dare alia nazione tedesca, e quin­di anche ai lavoratori, i l senso che un paese capitalistico, pure se vinto, poteva sperimentare, senza barriere ideolo-giche, forme di solidarietà internazionale e di giustizia sociale.

Una diffidenza dunque che diverrà sempre piú gran­de verso la possibilita di fare delia repubblica uno Stato solidamente democrático, con punti di riferimento e ídeaU abbastanza precisi e in equilíbrio tra loro: lo Stato e i l Ca­pitale per la destra; i l Lavoro, i l Socialismo per la sinistra. Ma con la differenza che in questo clima di sfiducia i l Capitale era comunque un fatto concreto mentre i l Socia­lismo non lo era. Ammettendo quindi che sia ai vertici del potere económico che tra le classi lavoratrici tedesche v i fosse stata la volontà di rafforzare, pur seguendo ottiche e obbiettivi diversi, le istituzioni di Weimar, la comune sfi­ducia nelle possibilita delia democrazia di permettere da una parte 1'espansione di un capitalismo pienamente libero e autónomo e dalPaltra di lasciare spazio alia realizzazione di una società socialista, rendeva questa volontà oggettiva-mente debole e sfrangiata. Sara per questo che la mobili-tazione di massa e le lotte sociali organizzate, tra i l 1919 e i l 1933, dai socialisti, dai comunisti e dai sindacati senza però 1'obbiettivo di un sostanziale rafforzamento e svolgi-mento delia democrazia di Weimar porteranno in definitiva

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loro esatto contrario: la smobilitazione di massa e la nfitta delle istituzioni.

11 riferimento a Versailles serve quindi da veicolo ana-tlcci per cogliere le ragioni delia crisi finale di Weimar e,

||» particolare, delia crisi dei partiti delia sinistra e del Wovimento operaio organizzato. I I problema di Versailles f\\t), nello stesso tempo, introdurci, attraverso strutture piú specificamente politiche e ideologiche, nel tema piú jjpncrale del sistema sociale che si veniva costituendo nella repubblica di Weimar e che, nel discorso storico, non do-Vrebbe essere artificiosamente scomposto privilegiandone llcune parti rispetto alie altre. Per tale motivo anche i l tema, su cui ora mi soffermerò, delia razionalizzazione, rion sara, almeno nelle intenzioni, separato dalla contrad-cll/.ione politica, istituzionale e ideológica in cui maturava la democrazia d i Weimar.

Aila domanda su che cosa siano state effettivamente le forme delia razionalizzazione in Germânia negli anni di Weimar, non è facile dare una risposta adeguata. Si sa che lu razionalizzazione dell'apparato produttivo tedesco ha avu-to una profonda influenza sulla società tedesca. Si è trattato di un progetto, produttivo e politico insieme, ancorato a un articolato processo sociale nel cui âmbito 1'organizza-zione scientifica delia produzione e del lavoro oceupa senza dubbio un posto centrale. Senza volere schematizzare si potrebbe dire che negli anni '20 la Germânia ha assor-bito piú degli altri paesi industriali una concezione « allar-gata » del taylorismo, nel senso che tutte le forze produt-tive, dai produttori capitalisti al proletariato, alia cultura, hanno avvertito tutte le possibili concordanze tra gli stru-menti del taylorismo e la tradizionale « razionalità » te­desca. Basti pensare come 1'arte, la ricerca sulle arti ap-plicate, la letteratura riflettano 1'immagine, sempre piú dominante nel panorama economico-sociale delia Germâ­nia, delia organizzazione scientifica delia produzione e del lavoro.

La grande vitalità delia cultura weimariana, la sua va­sta eco sociale, la sua stessa « degenerazione » (in fondo

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1'insulto nazista aveva un fondamento poiché questa tura non voleva affatto essere « pura » e sterile) rispei vano 1'intenzione di fondo delia razionalizzazione, cioè svolgimento cinemático di una società, i l raggiungimen del punto piú avanzato delia sua trasformazione tecnologi D i tale trasformazione la cultura fu in gran parte interpre e stimolatrice alia pari di altre forze sociali a cominciare, a[ punto, da quelle piú immediatamente inserite nelPorganizza-zione capitalistica delia produzione. E a questo propósito non mi sentirei di dire che, nel suo insieme, la cultura di Weimar (al contrario di quanto era avvenuto nella cul­tura tedesca agli inizi del '900) sia anticapitalistica nella stessa misura e con le stesse tensioni con cui fu antibor-ghese.

Valutando tutte le componenti di questo processo oc-corre però calibrarne i pesi diversi. Certo, se un sistema produttivo potente come quello tedesco procede spedita-mente sulla strada delia própria razionalizzazione, è evi­dente che próprio la forza di questo apparato garantirá i l successo dell'operazione. Mentre la classe operaia o la cultura che si ispira al marxismo, muovendosi secondo i l progetto di questa razionalizzazione capitalistica, sono co-strette, in sostanza, a stare a rimorchio delia forza traente.

Questo dato di fatto è incontestabile e lo si coglie chia-ramente nelPanalisi socialdemocratica del « capitalismo or­ganizzato ». I n generale, nei confronti delia razionalizza­zione sia i l partito socialdemocratico che i sindacati sono in una posizione subalterna, non riuscendo essi a cogliere di questo processo che gli aspetti tecnico-produttivi piú appariscenti. Ed è singolare che questo giudizio venga an­cora accettato. Neila sua importante ricerca su Weimar, Gian Enrico Rusconi, ad esempio, accoglie la definizione socialdemocratica («i l capitalismo organizzato non sono altro che i processi di concentrazione e la virtuale estinzio-ne del mercato concorrenziale ») che sembra chiaramente riduttiva quanto sconcertante per Pimmagine che crea di un mercato concorrenziale che tanto piú si estingue quanto piú si organizza. La contraddittorietà di tale giudizio (tra

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l i tro i l mercato concorrenziale esiste anche tra i mono-II) è la prova delia subalternità delFanalisi socialdemo-

ifutlca. Solo cosi può essere spiegata anche Paltra affer-Uiwlone di Rusconi che « i l sindacato è in balia di pro-fOMi economici e sociali incontrollati »; basta intendersi se Incontrollati siano i processi o se siano i sindacati incapaci (li controllarli. Se si riconosce infatti che la razionaliz-Iwilone tedesca tendeva al superamento delPanarchia del­ia, produzione e delia distribuzione, allora ai sindacati incitava un grande compito; ma essi non furono alPaltezza al svolgerlo \

La razionalizzazione può essere certamente iscritta tra le cause delia crisi politica di Weimar ma, vorrei ribadire, CHNU non è coinvolta in questa crisi. D i fronte a questa real­tà non è azzardato dire che i l movimento operaio tede­sco, nonostante i suoi meriti, non è riuscito (pur avendone ||ll strumenti teorici) a stabilire legami profondi con i l movimento reale delia società tedesca negli anni '20.

Se riconosciamo, infatti, che la razionalizzazione è sta­ta un processo sociale e non solo un processo produttivo (industriale), appare evidente che la scissione o la non dialetticità tra le forze traenti e quelle trainate ha costi-tuito un grave elemento di perturbamento del sistema so­ciale stesso. E non perche sia necessária la collaborazione tra capitale e lavoro e la fine delia lotta di classe perche In una società capitalistica le cose vadano bene, ma perche nella repubblica di Weimar la lotta di classe non ha tro-vato un movimento operaio adeguato alie forme istitu­zionali che lo Stato stava maturando, ed ai rapporti sociali di produzione. D'altro canto, quello che è avvenuto in Germânia dimostra che chi si è rafforzato dentro la de­mocrazia weimariana è stato i l capitalismo e non certo i suoi awersari sociali e culturali.

Cade cosi un'altra tesi, avanzata di recente, che dal 1915 al 1936 i l trend delPeconomia tedesca sia di sostan-

1 Cfr. G. E . Rusconi, La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, Torino, 1977.

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ziale stagnazione. Questa tesi non sembra « autónoma ».* ma nasce per analogia con le note posizioni di Steindl sulla' sostanziale stagnazione dell'economia americana o con le convinzioni espresse negli anni scorsi da Foa e Grifone circa i l mancato sviluppo del capitalismo italiano nel pe­ríodo fascista. Si tratta di ipotesi che muovono da indagi-ni micro-economiche che però non possono assolutamente essere dilatate fino al medio-lungo período. Ed è próprio i l caso tedesco a smentire giudizi del genere. Pur conside­rando tutti i periodi di grave depressione delia Germânia (dalla grande inflazione del dopoguerra alie ripercussioni delia crisi del 1929), bisogna concludere che la crescita deli'economia in questo paese e lo sviluppo capitalistico sono stati fatti organici e non puramente congiunturali. Se cosi non fosse non potremmo occuparci delia razionaliz­zazione nel senso che si è detto nelle pagine precedenti, e si dovrebbe pensare che perfino la razionalizzazione in­dustriale (che è i l dato visibile e piú appariscente di essa) sia stata ben lungi dal rappresentare una completa ristrut-turazione e trasformazione produttiva delle imprese e delle società. Domandiamoci allora: e i Konzern, le multi-nazionali tedesco-americane, la massiccia importazione del­ia tecnologia americana, lo sviluppo di un'alta tecnologia tedesca, i crediti americani; tutto quello che a partire dal Piano Dawes del 1924 è avvenuto nel tessuto del capitale tedesco, come possono essere interpretati? Le cifre parla-no chiaro. Tuttavia, si può ammettere che i nudi dati sta-tistici sulle curve di produzione, le concentrazioni indu-striali, la produttività del lavoro, i l numero dei nuovi bre-vetti, e cosi via, possano non dare piena testimonianza del­lo sviluppo sociale di un paese. Ma in questo momento a noi interessa stabilire con la massima approssimazione stori­ca se i concetti di « crisi del capitalismo » o anche, per dir­ia con Grossmann, d i progressiva « svalorizzazione » del capitale, usando i quali la socialdemocrazia tedesca ha orientato la própria strategia politica e la própria teoria, possano giungere fino a noi intatti e non debbano invece essere sottoposti a severa revisione.

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Ê facile dire che la massa delia forza-lavoro non au­menta nella Germânia di Weimar, mentre aumentano i « colletti bianchi» e che questo è, perciò, i l segno socia­le di una crisi strutturale. È una verità che non prova molto, poiché 1'aumento dei servizi e la terziarizzazione dcll'economia sono fenomeni che caratterizzano la fase piú sviluppata del capitalismo, quella neo-capitalistica. E In questo senso, nel bene o nel male, la repubblica di Wei­mar ha anticipato processi economico-sociali che si svi-lupperanno negli Stati Uniti e in Europa soprattutto dopo la seconda guerra mondiale e sono ancora in corso di svol-gimento.

Insomma, 1'esperienza storica delia razionalizzazione capitalistica, che dalla meta degli anni '20 (cioè dalla Htabilizzazione guidata con mano sicura dal banchiere Iíjalmar Schacht) porta direitamente all'« economia milita­re razionale » (cosi verrà chiamata) dal Terzo Reich, non può essere analizzata partendo solo dal comportamento del movimento operaio tedesco, né dalla sua composizione (o decomposizione). Bisogna essere convinti delia estrema complessità di un problema che, a questo punto, non pos-siamo considerare esaurito nel breve e drammatico ciclo weimariano.

Esiste infatti una sorprendente « cultura delia raziona­lizzazione » che ha poco a che vedere con le teorie econo-miche e che è sorta in Germânia prima di Weimar e non si estinguerà con Weimar. Penso immediatamente alia figu­ra e alPopera di Walther Rathenau che solo da brevíssimo tempo cominciano ad essere conosciute in Itália.

Ho espresso altrove i l mio giudizio su ciò che Rathenau rappresenta nella fase di transizione che i l sistema sociale del capitalismo tedesco ha attraversato tra i l 1914 e i l 1924 2. È un giudizio positivo anche perche quella di Rathenau è stata la prima e única analisi dalTinterno delia transizione di cui io sia a conoscenza. A l contrario di

2 Cfr. W. Rathenau, Veconomia nuova, a cura di L . Villari, Torino, 1976.

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quanto è detto in un saggio recente sulla Die Neue-Wirtscbaft di Rathenau3, penso che i l fallimento de l ; «progetto» di Rathenau, delia sua Versõhnung n o n ' possa essere assimilato alia debolezza delia sua analisi. I Se si dovesse sempre stabilire un rapporto necessário tra 1 cause (teoriche) e effetti (pratici), la storia sarebbe un de- 1 serto di eventi. La critica di Rathenau è, in realtà, totale, | e i l suo progetto di ristrutturazione economico-sociale è al- 1 trettanto totale. Con Rathenau, e con i suoi interventi 1 « pratici » sia alia direzione delia Kriegsrohstoffabteilung | (l'ufficio per la distribuzione delle materie prime alie in- | dustrie) durante la guerra, che nella commissione per la 1 socializzazione, che al ministero delia ricostruzione, era 1 iniziato lo smantellamento di un certo modo di intendere | i l capitalismo tedesco; veniva messo in crisi Pintoccabile I principio delia sua autonomia e attaccato in alcuni dei suoi 1 aspetti violenti, asociali, irrazionali. L'assassinio di Ra­thenau non spiega aífatto i l suo fallimento sostanziale, con-ferma piuttosto la « pericolosità » delle sue idee contro le quali i suoi colleghi capitalisti trovarono un grande alleato nelPinflazione.

D'altronde, per quale motivo Pipotesi di Rathenau a-vrebbe dovuto necessariamente fallire? I I suo piano di ra­zionalizzazione prevedeva la creazione d i un cartello gene­rale delia produzione: una serie di cerchi concentrici che awitavano, intorno a una programmazione nazionale, le materie prime e le industrie trasformatrici. Da parte delia destra liberista questo piano fu visto come un processo di desertificazione delia società. I n verità era cosi funzio-nale da essere applicato negli Stati Uniti nella prima fase del New Deal, quando furono varati progetti di ristruttu­razione monopolística per settori delia produzione con lo scopo appunto di evitare la concorrenza e gli sprechi, d i calmierare i prezzi, di indirizzare la produzione; i l tutto sotto i l controllo pubblico.

3 Cfr. M. Cacciari, La nuova economia di Walther Rathenau, in « Democrazia e Diritto », 1977, n. 2.

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Una esperienza del genere Rathenau Paveva comunque filtra durante la guerra. Ma di fronte alie lacerazioni so­ciali ed economiche del dopoguerra egli non escluse affat-to che un'economia di guerra potesse benissimo funzio-narc nella pace. E tecnicamente anche Peconomia di guer­ra nazista avrebbe potuto non condurre necessariamente al­ia guerra. Si pensi che ancora nel 1938 era diffusa, alPe-Hterno delia Germânia, Pimpressione che Peconomia te­desca non fosse indissolubilmente legata al riarmo 4 e che, fino a Mónaco, gli industriali inglesi e francesi avevano «cambi di visite con i colleghi tedeschi e precisi program-mi di cooperazione técnica e commerciale. Non è quindi « responsabile » Rathenau se Fritz Todt prima e Albert Speer poi si serviranno del principio dell'« autoresponsa-bilità deli'industria », dei modello degli anelli incrociati tra le industrie e del decentramento produttivo, elabora-ti da Rathenau, per portare avanti con successo Porga-nizzazione delia produzione industriale e la politica degli armamenti per almeno un decennio, dal 1936 al 1945. Non a caso Speer ricorda che « alPultimo piano del ministero di Todt aveva i l suo ufficio un vecchio collaboratore di Rathe­nau, che nella prima guerra mondiale si era oceupato del-Porganizzazione delia fornitura delle materie prime e che in seguito aveva riunito e ordinato in un'organica docu­mentazione la sua esperienza in matéria. Era lui la fonte di informazione del dottor Todt » s . Ma queste « informa-zioni » tecniche non prevedevano, naturalmente, né i l con­trollo poliziesco sulla forza lavoro, né la fine delle liberta politiche, poiché la ipotesi di razionalizzazione di Rathe­nau era, non lo si può negare, incardinata in un sistema de­mocrático di equilibri sociali e politici.

Quella stessa mflazione che ha contribuito alia demo-Iizione delle idee di Rathenau ha generato Schacht, un rac-cordo, questo sí, esemplarmente funzionale tra politica

4 Cfr. G . W. Guillebaud, The economic recovery of Germany from 1933 to the incorporation of Áustria in march 1938, London, 1939.

5 W. Speer, Memorie del Terzo Reich (1969), trad. it., Milano, 1971, p. 276.

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borghese e economia capitalistica; un garante delia razio­nalizzazione « senza awenture », 1'interprete di un mo-dello capitalistico che dalla Germânia guglielmina condu-ce direitamente, attraverso Weimar, al regime nazista del quale egli fu alto esponente. Credo che i l successo di Schacht nel superamento delPinflazione sia dovuto anzitutto al fat­to che 1'inflazione del 1922-23 fu piú súbita che voluta dalle forze economiche delia Germânia. E 1'avere i l go­verno di Weimar affidato a Schacht (come presidente del­ia Reichsbank) la tutela delia dignità económica delia Germânia nei confronti degli altri paesi capitalistici, ha anche legittimato in via definitiva i principi e gli «idea-l i » del capitalismo tedesco. « Socialismo e capitalismo — scriveva Schacht nel 1926 — erano, prima delia guerra, le due grandi correnti sociali antitetiche, destinate a dare i l benessere al genere umano. Prima del conflitto mondiale, signoreggiava i l capitalismo pressoché illimitatamente. Es­so spinse alia guerra, con i suoi dolori indicibili, perche si era alleato alPimperialismo politico, anziché seguire i l giusto disegno mentale del benessere realmente económi­co, materiale e morale dei popoli. Dopo la guerra, parve che i l socialismo, transitoriamente, fosse per soppiantare i l capitalismo, ma i l socialismo deviò poi nella china pe-rigliosa del bolscevismo, la cui crudeltà e i cui orrori sor-passano quelli delia stessa guerra. I I sistema capitalistico è ineluttabile, traendo esso la própria ragion d'essere dal­la natura delia produzione ognora progrediente, tuttavia dobbiamo rendere tale sistema tollerabile, elevandolo al di sopra delia mera finalità materiale, grazie al senso d i responsabilità morale » 6 .

Per Schacht i l rinnovamento del capitalismo tedesco andava regolato da un centro non-politico, la Reichsbank, alia cui azione era dovuta la stabilizzazione del marco ini-ziata alia fine del 1923. Un'operazione complessà, decisa fuori delia Germânia tra Stati Uniti , Inghilterra e Francia

6 H . Schacht, La stabilizzazione del marco, trad. it., Milano, 1931, p. 269.

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e sviluppatasi per tutto i l 1924, ma con la diretta collabo-razione e sotto la sorveglianza di Schacht. I I comitato d i finanzieri presieduto dalPamericano Charles Dawes fu la chiave di tutta 1'operazione e segnò i l concreto inizio delia razionalizzazione deH'economia tedesca; però questa chia­ve fu data in mano a Schacht. I I Comitato Dawes si riuní per Ia prima volta a Parigi i l 14 gennaio 1924. I I 22 gen-naio i giornali pubblicavano questo comunicato: « La com-missione è giunta alia conclusione che sia necessário creare in Germânia una banca autónoma con copertura áurea, in parte mediante la mobilitazione di una frazione delle r i -serve disponibili in oro e in valute estere, in possesso d i Cittadini tedeschi e che presentemente non esercitano al-cuna funzione económica, in parte con 1'aiuto di capitali esteri. La Commissione è del parere che una siffatta fon-dazione rappresenti una parte del programma orgânico,, ideato con lo scopo del futuro pareggio del bilancio statale e deiristituzione di una valuta Stabile. A tal fine la Com­missione è d'avviso che alcune parti del piano predisposto dal dott. Schacht possano essere, nel momento propizio, felicemente utilizzate. La Commissione sarebbe lieta se avesse i l privilegio di potere nel suo lavoro, in tutto o in alcune parti, valersi delle idee del dott. Schacht. Pertanto i l presidente delia Commissione ha affermato la necessita che gli Alleati debbano accordarsi su d i un comune pro­gramma ».

Le idee di Schacht, muovendo dalla premessa del bloc-co delPinflazione, andavano diritto a una razionalizzazione a tempi brevissimi delia produzione industriale. Questo do-veva avvenire (come avvenne) con una Kontingentirungs-politik, in particolare con i l « razionamento » del credito. Già nel maggio 1924 Schacht affermò che la Reichsbank doveva convogliare i crediti verso le aziende o società a « maggiore potenzialità produttiva ». La risposta a questa concentrazione fu immediata: i fallimenti di imprese (pic-cole e medie) che nelPaprile erano stati 133, a maggio sa-lirono a 322, a giugno 579, a luglio 1.173. I n questi stes­si mesi arrivavano a pioggia i crediti esteri, a breve e a

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lungo termine, alie banche e alie imprese tedesche, e le r i -serve in oro e divise delia Reichsbank, che in apríle erano di 592 milioni di marchi-oro, ad agosto erano già saliti a 1.256.

Tra i l 1924 e i l 1930 i l Piano Dawes metterà cosi a di sposizione del capitalismo tedesco circa dieci miliardi di dol

lari. Non si trattava di aiuti, ma di prestiti pubblici e pri-vati per investimenti o di investimenti tout court da parte soprattutto d i società americane, ma anche inglesi, francesi svizzere, che trovavano nei cartelli tedeschi quel terreno fecondo che nessun altro paese capitalistico poteva met-tere in quel momento a disposizione del grande potenziale finanziario degli Stati Uniti . I risultati furono cosi rapidi che rispetto al 1923 la produzione industriale tedesca au­mento, nel 1928, del 168% e i l potenziale industriale fu del 30-40% superiore a quello del 1913. AlPinterno di queste quote le punte piú alte si registravano owiamente soprattutto nelFindustria pesante. Un raffronto con Pana-logo settore produttivo inglese e francese rende ancora piú evidente la portata delle cifre indicate. Tra i l 1924 e i l 1929 la produzione tedesca delia ghisa aumento di circa i l 160% e quella delPacciaio del 158%. I n Gran Bretagna Paumento fu invece del 2 % e del 13%; in Francia del 9 0 % e deU'83% 7 .

Una riorganizzazione cosi rápida delPindustria di base i n Germânia funzionò naturalmente da volano anche per Pindustria leggera altamente specializzata (elettricità, chi-mica, meccanica). Ambedue i settori, però, sia per la po­litica di concentrazione che per quella d i specializzazione tecnológica non avevano bisogno di tutta la forza lavoro esistente sul mercato. È per questo che, in coincidenza con gli indici in rialzo delia produzione, la Germânia si ritrova nel 1928 con oltre due milioni di disoccupati8.

Questa forbice sociale che la razionalizzazione ha aperto

7 Cfr. W. Link, Die Amerikanische Stabilisierungspolitik in Deutschland 1921-1932, Diisseldorf, 1970.

8 Cfr. R. Brady, The Rationalization Movement in German Industry, Berkeley, 1933:

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non si chiuderà mai piú. Essa non è una incomprensibile «nomalia, ma la conseguenza direita delia razionalizza-

I zione. Ecco perche i l tentativo di sanare i l dramma del-^ l a disoccupazione per via politica, con la costituzione

nello stesso anno di una coalizione di governo che vede in posizione di rilievo i l partito socialdemocratico e le forze sindacali, trova gli industriali tedeschi, protetti dagli inve­stimenti americani e dai piani di Schach, in una posizione nettamente awersa. Qualunque progetto sociale di riassor-bimento delia forza lavoro nel ciclo económico non è, ai loro occhi, che un ostacolo a un modello di sviluppo che risponde a obiettivi esclusivãmente produttivistici. Insom-ma, la politica non può assolutamente interferire sulPeco-nomia: la democrazia e i l capitale sono sí, per i l fronte degli industriali, delle variabili indipendenti, ma nel senso che sono indipendenti Puna dalPaltra.

Per far bene intendere al governo delia repubblica que­sta verità gli industriali e Io stesso Schacht diffidano pub-blicamente le autorità dal prendere qualsiasi iniziativa di natura sociale che richieda grossi investimenti pubblici. Ecco i l punto che inganna qualche storico che vede in Schacht i l critico degli investimenti tedeschi. Aila fine del 1928 i l presidente delia Reichsbank dichiara infatti che la banca nazionale non appoggerà nessuna spesa pubblica eccedente e nessun aumento del carico fiscale nei confronti delle imprese. È una sfida alia quale la coalizione governa­tiva non riesce a obiettare nulla e che trova sia i socialde­mocratici che i sindacati assolutamente inermi. È chiaro che la ricordata insufScienza di analisi del « capitalismo or­ganizzato » si ripercuote gravemente sulFiniziativa politica e sindacale socialista. Schacht ha vinto senza sforzi ecces-sivi una battaglia che avrebbe dovuto essere decisiva per lo sviluppo delia democrazia weimariana. Sara decisiva, in­vece, come abbiamo detto alFinizio, solo per le ragioni opposte, poiché segnerà i l declino delle uniche forze sociali che avrebbero potuto stimolare quello sviluppo.

Per una contraddizione solo apparente, i l fallimento po­litico delia coalizione di governo nei confronti delia raziona-

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lizzazione dell'eeonomia apre alie forze economiche private^ e quindi agli esponenti del capitale, anche degli spazi politi­c i , nel senso che ora i l prestigio delia rinascita tedesca non è-affidato tanto alia democrazia delia repubblica di Weimat;, quanto alia capacita e alia forza del suo capitalismo. È que­sto uno dei motivi fondamentali del rápido dislocamento del. potere económico privato al di fuori del quadro istituziona­le. Qui è i l principio delia fine delia repubblica di Weima^í L'opinione pubblica mondiale si convince-definitivamente' delia possibilita delia Germânia d i pagare sia i crediti esteri{ che le riparazioni di guerra. Era quanto i l Piano Dawes eí Schacht si erano ripromessi d i raggiungere.

Lo scopo di Schacht era infatti quello di persua-? dere i prestatori stranieri che i l loro denaro non sa­rebbe stato in alcun modo dirottato su spese sociali1

che, próprio perche tali, erano considerate «improduttive ». Lo confermerà autorevolmente, nel 1932, Charles Mit-chell, uno dei maggiori lanciatori di prestiti e di titoli te­deschi nel mercato americano. Nella sua veste di presidente delia National City Bank di New York e delia National City Company, cosi dichiarerà alia Commissione senatoriale di inchiesta sugli investimenti bancari americani: « Posso dirvi , nella mia migliore scienza e coscienza, che noi non concedemmo mai alcun préstito alia Germânia senza prima averne intrattenuto i l signor Parker Gilbert [Agente ge­nerale delle riparazioni operante nelTambito del Piano Dawes], un uomo che teneva fermo i l principio che gli Stati Uniti non dovessero accordare prestiti altro che per scopi produttivi. Inoltre anche i l dott. Schacht sosteneva i l punto di vista che la Germânia non dovesse assumere prestiti airestero, se i l denaro non era destinato a scopi produttivi. Noi sottoponemmo al dott. Schacht i nostri progetti di prestiti e non operammo senza i l suo giudizio favorevole » 9 .

Naturalmente i prestiti esteri alia Germânia visti dal-

9 Cfr. su questo aspetto anche J. Kuczynski, Wall Street und die deut­schen Anleihen, Leipzig, 1933.

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la parte di quest'ultima erano debiti. E lo erano anche se ll trattava di investimenti, poiché la creazione di società mlste tedesco-americane e i trasferimenti di capitali da un paese alPaltro presupponevano una serie di condizioni: an-«itutto uno stretto rapporto tra i l mercato (non solo azio-nario) americano e quello tedesco, poi una costante espan-dlone del commercio mondiale e un rendimento crescente, in termini di profitto, degli mvestimenti fatti , infine la de­finitiva sistemazione di tutt i i debiti internazionali che risalivano alia guerra comprese le riparazioni che ancora la Germânia doveva ratealmente versare a vari paesi europei c anche agli Stati Uniti .

La questione delle riparazioni non era stata mai dimen-ticata dalla Francia e dallTnghilterra, anche se la crisi te­desca del dopoguerra aveva mostrato la obiettiva impossi­bilita delia Germânia di far fronte alie richieste. Ma ora, alia fine degli anni '20, grazie alTintervento del capitale straniero e al Piano Dawes la Germânia era, agli occhi delle potenze vincitrici, perfeitamente solvibile. Anzi, próprio la razionalizzazione e lo sviluppo dell'economia tedesca, ac-crescendo la concorrenzialità del capitalismo tedesco, erano un valido motivo per esigere i l dovuto. Una prova storica di piú, questa, che i l fronte internazionale del capitale non è omogeneo in tutt i i momenti delia sua avanzata. Ma, per i l problema delle riparazioni v i erano anche ragioni po­litiche che spingevano soprattutto la Francia a tallonare la sua vicina per impedirne un eccessivo rafforzamento. Le prime awisaglie v i erano già state nel 1926, nel corso di un incontro tra i ministri degli esteri dei due paesi (« Me lo lasci dire — cosi si rivolgeva Briand a Streseman — : voi ayete ancora da provvedere al pagamento delle ripa­razioni »). Pressioni di questo genere facevano tutt'uno con la convinzione, maturatasi tra i l 1927 e i l 1928, che la Ger­mânia dovesse nel suo stesso interesse chiudere la partita delle riparazioni e che, nello stesso tempo, fosse nelle con­dizioni di poterlo fare.

Non è facile, neanche oggi, ricostruire con esattezza quel che è avvenuto in quei due anni. Un dato sicuro è che

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né i paesi creditou né la Germânia sapevano con cert a quanto ammontasse la cifra delle riparazioni: Pinflazi prima (1920-23) e poi la fluttuazione dei cambi e le v zioni delle valutazioni dei beni e delle merci rispetto a q le fatte originariamente, avevano reso le cose piú complica A partire dal 1928, poi, gli Stati Uniti e la Francia avev molto rallentato la apertura dei crediti esteri e ritirato p te dei crediti a lungo termine. I I fenómeno, naturalmen' si andrà accelerando nel 1929, col ritiro anche dei cre:1

a breve termine delia Germânia (da 1 miliardo e 92 milí ni di marchi del 1929 a 32 milioni del 1930). Secon PAgehte generale delle riparazioni la questione andav comunque posta e risolta nel quadro del Piano Dawes^ appunto perche essendo le riparazioni nient'altro che d~; b i t i , essi si incrociavano con gli altri debiti contratti dali Germânia per i l próprio sviluppo produttivo. La difficoP: tà dei problemi posti sul tappeto suggerí la creazione d i ' una commissione di esperti finanziari internazionali che? procedesse alia stesura di un (cosi fu poi chiamato) « NUCH vo Piano ». Aila fine del 1928 si riuní a Ginevra un co­mitato di tecnici, compreso Schacht, che elesse alia presi-denza un uomo d'aflari americano, Owen D. Young, che aveva partecipato al Comitato Dawes e aveva preceduto Parker Gilbert alTAgenzia generale delle riparazioni.

Tra i l 1928 e i l 1930 i l Piano Young mise a punto, tra discussioni e polemiche che coinvolsero Popinione pubbli­ca tedesca e rafforzarono Pagitazione antidemocrática dei nazionalsocialisti, un progetto che prevedeva la scadenza in 37 anni del debito complessivo delle riparazioni. G l i Stati Uniti , però, vollero stabilire un amichevole accordo se-parato con la Germânia rivelando cosi la profondità dei rap­porti che intercorrevano tra i due paesi. Gl i interessi del ca­pitale americano in Germânia non potevano infatti essere coinvolti nel meccanismo delle riparazioni. Perciò, costitui-tasi una Banca dei regolamenti internazionali (con sede a Ba-silea) per trattare tutte le operazioni relative alia liquida-zione delle riparazioni, gli Stati Uniti non parteciparono ufficialmente ad essa preferendo costituire un gruppo d i

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hc (la J. P. Morgan & C. e la First National Bank di York, e First National Bank di Chicago) che trattas-

dlrcttamente con le autorità politiche e gli imprendito-tedcschi.

(1 Piano Young non fu súbito compreso in Germânia, mmcno da Schacht, che, temendo i controlli sui crediti

| i ilímise dalla Reichsbank. (Ne parlerà a lungo, nel 1931,

Sei M I O libro Das Ende der Reparationen)10. Come i l Piano lawcs era stato un potente stimolatore delia razionalizza-

Rlonc industriale, cosi i l Piano Young voleva essere un ra-llonulizzatore del mercato finanziario delia Germânia (e questo era un motivo di inquietudine per i banchieri tede­schi). E tale sarebbe stato realmente se nel 1930 non fosse itilziata nel mondo capitalistico la grande crisi.

Questo fatto nuovo sconvolgeva le prospettive delle riparazioni e alterava tutt i i progetti di riorganizzazione ílnanziaria. Le annualità delle riparazioni che la Germâ­nia avrebbe dovuto pagare erano, nelle intenzioni degli esperti del Piano, chiaramente subordinate alio sviluppo dclPeconomia tedesca e non potevano perciò essere intese come elementi provocatori di crisi. Lo chiarí ufficialmente 11 Comitato Young in una relazione pubblicata alia fine del 1931 in seguito alPinvito del governo tedesco di so-spendere i trasferimenti di capitali dalla Germânia sotto forma di riparazioni. « I I Piano Young presupponeva una costante espansione del commercio mondiale, non soltanto in volume, ma anche in valore; espansione di fronte alia quale le annualità da pagarsi dalla Germânia sarebbero di-venute ún fattore di sempre minore importanza. I n realtà si è verificato i l contrario. Da quando i l Piano Young è entrato in vigore, non soltanto i l commercio mondiale è diminuito di volume, ma la caduta veramente eccezionale dei prezzi in oro sopravvenuta negli ultimi due anni ha, d i per se stessa, accresciuto di molto Ponere reale cosi delle annualità dovute dalla Germânia come di tutt i i paga-

w Cfr. anche The United States in World Affairs, 1931, a cura di W. Lippmann, New York and London, 1932.

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menti commisurati sulla base áurea. I n queste circostat i l problema tedesco, che ha influito cosi notevolmente sui la paralisi finanziaria del mondo, esige una azione a r certata che solamente i Governi possono intraprendere, A questo riguardo ci sembrano molto importanti alcunfr considerazioni. Prima di tutto, i trasferimenti [ d i capitali^ da un paese alTaltro, su scala cosi vasta da sconvolgere la( bilancia dei pagamenti, non possono che accentuare u , caos attuale. Ancora, la sistemazione d i tutt i i debiti tra í vari Governi (riparazioni ed altri debiti di guerra) in re-i lazione alia grave situazione del mondo [ . . . ] è la sola m k sura durevole che possa stabilire la fiducia, condizione pri­ma delia stabilità económica e delia pace ».

Per intendere i l senso di queste affermazioni (che ac-coglievano le tesi tedesche e si tramuteranno in quello stes­so anno nella « moratória Hoover » decisa dal presidente; degli Stati Unit i per tutt i i debiti di guerra) bisogna sa-pere che con le annualità delle riparazioni i trasferimenti di capitale dalla Germânia erano d i notevole portata. Per i l 1931 era stata fissata, ad esempio, la somma d i 1 miliar-do e 641 milioni di marchi fino a un massimo di 2 miliardi e 352 milioni di marchi previsti per i l 1936. L'annualità prevista per i l 1931 costituiva i l 6% di tutto i l debito e-stero delia Germânia che ammontava a quasi 24 miliardi di marchi. Tuttavia grazie alia crisi económica, alie sva-lutazioni monetarie e al progressivo abbandono del gold standard da parte di numerosi paesi industriali, la Germâ­nia riuscirà lentamente a ridurre i l suo debito estero (da quasi 24 miliardi di marchi del 1931, a 20 e mezzo del 1932, a 19 del 1933) e a far quasi scomparire i l saldo passivo nella bilancia dei pagamenti esteri (dai 3 miliardi 367 milioni del 1928 ai 642 milioni del 1931). Questi, tuttavia, erano gli unici vantaggi che la repubblica di Wei­mar poteva ricavare dalFallargamento delia crisi capitali­stica internazionale. Per i l resto i problemi sociali e poli­tici provocati dalla vasta disoccupazione cominciavano a far sentire tutto i l loro peso. Fino al Piano Young i due milioni di disoccupati non avevano intralciato la crescita

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del sistema monopolístico e, curiosamente, la loro esisten-M veniva considerata perfino tra i sindacati come un'ar-mn per bloccare la pressante richiesta delle riparazioni di

(jiicrra da parte dei paesi creditori. Ma ora indubbiamente e cose si complicavano e spettava al cancelliere Briining

e al partito socialdemocratico tentare di risolverli. Credo non sia del tutto errato dire, a tale propósito,

t*lic tra i l 1930 e i l 1932 la Germânia era tra i paesi capi-lulistici avanzati quello meglio attrezzato per far fronte al-lu grossa ondata delia crisi. La positiva azione del can­celliere Briining nel tentativo di controllare e ridurre i prez-

delle materie prime industriali e dei prodotti di consumo fu resa certamente possibile grazie alPesistenza dei cartelli Industriali e degli apparati produttivi razionalizzati. Questi si ttrarono dietro anche i settori non cartellizzati dato che almeno la meta delle materie prime industriali e degli ar-ticoli semilavorati appartenevano al primo settore.

Briining si pose i l problema di evitare ad ogni costo alia Germânia i rischi di un'inflazione come quella di dieci anni prima che per i tedeschi era ancora una esperienza bruciante. L'atteggiamento del governo fu perciò molto fermo, ma non avrebbe potuto manifestarsi se non attra­verso strumenti legislativi eccezionali come i decreti-legge. « I n Germânia — ricorda un documento ufficiale del 1932 delia Società delle Nazioni — i prezzi cartellizzati sono ca-lati un po' piú rapidamente nel 1931 che nel 1930 in se-guito alie pressioni esercitate dal governo nonché dalle condizioni economiche. I I ribasso avvenuto tra i l gennaio 1931 e i l gennaio 1932 è stato quasi interamente provo-cato a seguito del decreto-legge del dicembre 1931, che ha imposto a tutt i i cartelli una riduzione ulteriore del 10% dei loro prezzi rispetto a quelli praticati fino al 30 giugno 1931. L'indice dei prezzi cartellizzati (1926 = 100) è stato del 93,4 nel novembre 1931, ma è sceso all'84,4 nel gennaio 1932 ed è calato ancora leggermente nel mese di febbraio. Conviene osservare, tuttavia, che ad eccezione delPItalia, nessun altro grande paese industriale ha anco­ra fatto ricorso, nel modo che abbiamo detto, alTazione

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del governo per ottenere una riduzione dei costi di pro­duzione e dei prezzi dei manufatti » 1 1 . Quest'ultima af-fermaziohe e estremamente utile per comprendere i l ca-rattere originale che ha, sul piano del rilancio del pri­mato delia politica, i l governo di Briining. L'esperimen-to Bruning è probabilmente 1'estremo tentativo di con-trapporre, mediante i l rafforzamento dell'autorità del­le istituzioni, un fronte politico-giuridico alia disarticola-zione delle forze sociali e alPavanzante crisi económica.

I I problema del governo presidenziale di Bruning è perciò centrale nella crisi di Weimar; e non ci aiutano molto le critiche che i l movimento operaio tedesco rivolse a Bruning perche esse furono spesso piú provocate da una contestazione giuridico-formale degli atti del governo che da una esatta visione del momento politico che la Re­pubblica stava attraversando.

Bruning è certo responsabile di ciò che gli veniva ad-debitato dai sindacati e dalla sinistra, cioè di aver voluto depotenziare i l sistema degli equilibri istituzionali, ma attacchi analoghi verranno fatti poco tempo dopo a Roose-velt e alia legislazione del New Deal da parte delle forze conservatrici degli Stati Uniti .

Una analogia del genere potrebbe non avere alcun si-gnificato, ma in realtà sia Briining che Roosevelt avevano davanti problemi simili, che anzi Roosevelt affronterà con una « disinvoltura » maggiore del cancelliere tedesco. Non è un caso però che i l governo Bruning comincerà a desta-bilizzarsi solo quando gli imprenditori, un po' prima del movimento operaio e per ragioni opposte, si accorgeranno che la politica del cancelliere portava lentamente a un piú orgânico intervento dello Stato nell'economia. Con Briining e con le numerose misure di intervento (quello sui prezzi è uno dei tanti) per riassorbire la disoccupazione (ricordiamo i numerosi « piani di lavoro ») e per controllare la produzio­ne e i l mercato ci troviamo di fronte a un esperimento uni-

1 1 Cfr. La situation êconomique mondiale 1931-1932, Genève, 1932, pp. 143-144.

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co, per quel tempo, di pianificazione o programmazione di sistemi di controllo delia congiuntura económica e sociale. Su questo dato conviene meditare a lungo in sede storio-grafica ma anche di riflessione teórica sulle strategie mes­se in atto dal capitalismo nei confronti delia grande crisi internazíonale. Infatti quando Franz von Papen succederà, nel 1932, a Bruning presentandosi come i l restauratore delPautonomia delle forze economiche dagli interventi po­litici (« i l governo ha di mira i l ritorno ai princípi delPeco-nomia di mercato ») non fará che accelerare i tempi delia crisi politica delia Repubblica. Perciò, nonostante tutt i i suoi tentativi di rendersi benemérito agli industriali (ad esempio con i l condono delle imposte alie industrie) non ottenne alcun risultato che potesse presentarlo come capa-ce di elaborare una qualsiasi strategia anticongiunturale

Per quanto possa sembrare paradossale la « pianifica­zione » di Briining partiva già da una pianificazione esi-stente alPinterno del sistema produttivo tedesco. Si trattava di operare una saldatura tra la razionalizzazione capitali­stica e la razionalizzazione delle forme politiche e istitu­zionali delia Germânia. Era una ipotesi, per quanto con-traddittoria, d i salvezza delia democrazia. La realizzerà Hitler ma per la Germânia sara la fine delia democrazia.

1 2 Cfr. K . E . Poole, German Financial policies 1932-1939, Cambridge Mass.» 1939.

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GIACOMO MARRAMAO

« T É C N I C A S O C I A L E » , S T A T O E T R A N S I Z I O N E T R A S O C I A L D E M O C R A Z I A W E I M A R I A N A

E A U S T R O M A R X I S M O

L'idea di « transizione » própria delia socialdemocrazia weimariana è ormai comunemente individuata nella rela-zione di Rudolf Hilferding al Congresso di Kiel del 1927. In questa relazione — dedicata a I compiti delia socialde­mocrazia nella Repubblica — vengono infatti tracciate, per la prima volta in modo orgânico, le linee del passaggio dal nuovo assetto « organizzato » del capitalismo degli an­ni Venti alia forma socialista. I presupposti del socialismo si trovano per Hilferding già consegnati negli elementi di organizzazione presenti nello sviluppo maturo del capita­lismo, rispetto ai quali la strategia del partito operaio non può piú presentarsi come rivoluzionaria soluzione di con-tinuità: «Capitalismo organizzato (...) significa sostitu-zione del principio capitalistico delia libera concorrenza con il principio socialista delia produzione pianificata » l . I I socialismo non è dunque altro che i l capitalismo organiz­zato portato al suo estremo compimento. Ma i l fatto che la forma di razionalità latente negli elementi di organizzazio­ne deli'economia capitalistica sia già la razionalità socialista non significa che i l passaggio alia durchorganisierte Wirt-schaft — a quell'« economia compiutamente programma-ta » che già due anni prima, al Congresso di Heidelberg, era stata equiparata al Sozialismus2 — sia scontato o au­tomático. Hilferding si dimostra anzi assai tempestivo nel

1 R. Hilferding. Die Aufgaben der Sozialdemokratie in der Republik, in Protokoll der Verhandlungen des sozialdemokratiscben Parteitages 1927 in Kiel, Berlin, 1927, p. 168.

2 Cfr. R. Hilferding, Das Parteiprogramm, in Protokoll der Verhand­lungen des sozialdemokratiscben Parteitages 192? in Heidelberg, Berlin, 1925, pp. 272-283; 293-298 (v. specialmente p. 297).

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criticare i postulati del vecchio attendismo socialdemocr tico anteguerra, tanto da avvertire, nelle prime battu delia sua relazione, che « i l marxismo non è mai s ta W f

fatalismo, ma al contrario sommo attivismo » 3 . f Un ruolo importante nelle riflessioni hilferdinghiane di

questi anni è giocato infatti dalla temática del rapporto clas­se operaia-sviluppo. Centrale è nei suoi scritti politici Pa-spetto relativo alia funzione avuta dal movimento operaio! nella trasformazione delia dinâmica interna del sistema ca-' pitalistico e nel risvegliare in esso le « tendenze rivoluziona-; xie »..L'ingresso di grandi masse organizzate introduce nella lógica dello sviluppo una variabile decisiva, un elemento qualitativamente nuovo. L'effetto che in tal modo si produ-ce non è però di rottura rivoluzionaria (la tradizionale «co-scienza di classe» secondinternazionalista, che fa precipitare un presunto decorso catastrófico), bensí di potenziamento delle capacita adattive dei meccanismi del sistema. La pre-senza organizzata e « attiva » delia classe ha inverti to i l trend verso Pimmiserimento e, risvegliando le tendenze r i -voluzionarie (modernizzatrici) del capitale, ha portato i l mo­vimento operaio a significative conquiste sul terreno sala­riale e legislativo.

Questa trasformazione interna delia dinâmica capita­listica non può non avere incidenza sulle forme politico-isti-tuzionali. Cade dunque per primo i l vecchio caposaldo ideológico del marxismo, la tradizionale distinzione fra struttura e sovrastruttura: « Neila forma delia repubbli­ca », aveva affermato Hilferding intervenendo al I I Con­gresso delia Internazionale Operaia Socialista (ios), « la sovrastruttura viene infatti influenzata dal potere, dalla coscienza di classe, dalla forza organizzativa del proleta-riato » 4 . I n questo quadro di relazioni interattive Pattua-zione delia prospettiva del socialismo non è garantita da alcuna necessita, ma è soltanto possibile. La Gesetzmàs-

3 R. Hilferding, Die Aufgaben der Sozialdemokratie in der Repu­blik, cit., p. 165.

4 Zweiter Kongress der Sozialistischen Arbeiter-lnternationale in Marseille 22.-27. August 1925, Berlin, s.d., p. 260.

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ilgkeit dello sviluppo económico produce, con i l capitali­smo organizzato, delle premesse oggettive che rappresen-liino per i l movimento operaio una chance politica (in senso wcberiano). La trasformazione socialista — ossia la piani-liuizione totale, armonica e acontraddittoria — delia so­cietà cessa di essere garantita da una legalità storico-natu-rulc per divenire matéria di un progetto consapevole. Ma ciò implica che i l luogo in cui questo progetto si dispiega NÍn al di fuori — e al di sopra — delia Gesetzmãssigkeit económica. È qui che Hilferding fa entrare in campo la categoria di « Stato democrático », come posta in gioco delia lotta politica tra classe capitalistica e classe operaia: « Ciò non significa altro che alia nostra generazione si pone il compito di trasformare, con Pausilio dello Stato, ossia di una consapevole regolamentazione sociale, questa economia organizzata e direita dai capitalisti in un'economia diretta dallo Stato democrático » 5.

Lo Stato si presenta qui anche come riedizione delia lassalliana «leva del socialismo» — strumento e istanza fun-zionale alia realizzazione storica del Fine delia « società regolata ». Ma soprattutto esso appare come un soggetto esogeno alia dinâmica económica (oggettiva, autoregolativa) del sistema. I I problema delia retroattività del livello del Politico rispetto a quello delPEconomico si distende lungo gli estremi: economia organizzata in forma burocratico-au-toritaria versus economia organizzata in forma democratico-partecipativa. L'istanza del Politico (o meglio: delia Macht, del potere, come lo chiama Hilferding) può svolgere una funzione determinante nei periodi di transizione dalPuna al-Paltra « forma » — può essere cioè simultaneamente ga­rante e strumento di una trasformazione in senso socialista delia società — próprio in quanto indipendente dalla « Ne­cessita económica ». La dinâmica interna delia necessita/ oggettività autoregolativa delPeconomia (dkonomische Ge­setzmãssigkeit) tende allora a configurarsi come una sorta

5 R. Hilferding, Die Aufgaben der Sozialdemokratie in der Republik, cit., p. 169.

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d i sottosistema potenziale delia politica: se capitalismo e classe operaia formano, insieme, i l contesto del processo di trasformazione (che si sviluppa, secondo la legalità sua própria, in termini di adattamento), i l soggetto che ne at-tualizza le virtualità storiche latenti è lo Stato.

Lo Stato democrático appare dunque, al tempo stesso, strumento e invólucro formale («garantista ») del pro­cesso di transizione. A tratti (come al Congresso di Hei­delberg del '25), Hilferding sembra rispolverare i l topos tardo-engelsiano delia repubblica democrática come « ter­reno piú favorevole » per la lotta delia classe operaia6. Da Engels si distacca tuttavia nel momento in cui vede nella democrazia la forma politica própria delia fase di passag­gio al socialismo. Ma la democrazia è per Hilferding so­prattutto una técnica. Nel senso che, in essa, forma e mé­todo fanno tutt'uno. La democrazia è, ad un tempo, sistema formale di garanzie giuridiche e complesso di funzioni amministrative — Macht e principio « razionale » di or-ganizzazione. Assai opportunamente alcuni studi recenti 7

hanno posto 1'accento sul fatto che queste posizioni hilfer-dinghiane sono ben piú rappresentative dei problemi poli­tici delia socialdemocrazia weimariana di quanto non lo siano quelle coeve di un Kautsky (le quali, come vedremo piú avanti, hanno una curvatura prevalentemente dottri-naria, per cui si presentano scollate dai nodi pratici reali e dalle loro drammatiche implicazioni). Ma altrettanto in-dispensabile è la sottolineatura delle diferenze specifiche che — al di là dell'indiscutibile permanenza di alcuni Leit-motive delia tradizione — intercorrono tra la problemática delia socialdemocrazia weimariana e quella delia SPD ante-guerra.

Queste differenze sono d'altronde ben espresse dal ta-

6 Cfr. Protokoll der Verhandlungen des sozialdemokratiscben Partei­tages 1925 in Heidelberg, cit., p. 296.

7 Penso soprattutto alie eccellenti pagine che ha dedicato alie analisi hilferdinghiane di questo período Gian Enrico Rusconi nel suo libro La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, Torino, 1977, pp. 177 sgg.; 337 sgg.

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glio politico-culturale di « Die Gesellschaft », la rivista che dal 1924 prende — sotto la direzione di Hilferding — i l posto delia « Neue Zeit », e che testimonia non solo delia maggiore ' modernità ' dell'impostazione hilferdinghiana, ma anche del sensibile spostamento che essa aveva accu-sato rispetto agli anni del Capitale finanziario (1910). Dal-1'indeterminatezza delia definizione dello Stato come « or-gano esecutivo » (Vollzugsorgan) delia società, Hilferding perviene negli anni successivi a una progressiva specifica-zione in senso gradualistico del rapporto tra forma politica e sviluppo económico. Le tappe di questa riflessione sul « capitalismo organizzato », che ha i l suo punto d'approdo nella citata relazione al Congresso di Kiel, sono state cor-rettamente individuate nel 1915, nel 1920 e nel 1924-25 8 . Distendendosi lungo questa linea, la riflessione di Hilfer­ding passa dalFanalisi critica del riformismo prebellico e dalla spigolosa constatazione delPaffermarsi, negli anni del conflitto mondiale, di un'economia organizzata in for­me gerarchico-autoritarie (herrschaftlich)9 all'individuazio-ne — a partire dalla relazione tenuta i l 5 ottobre 1920 al I Congresso dei Consigli di fabbrica — delia contraddizio-ne tra nuovi elementi di organizzazione (tendenziale supe-ramento delle sproporzioni intersettoriali e tendenza sem­pre piú accentuata a sostituire, nelle funzioni di controllo, 1'imprenditore con i l Wirtschaftsfúhrer, ossia i l manager delia produzione in possesso di una tecnologia avanzata) e permanenza del postulato privatistico delia proprietà1 0. I I

8 Cfr. G. E . Rusconi, op. cit., pp. 177-230. Le date sopra ricordate si riferiscono alFarticolo Arbeitsgemeinscbaft der Klassen? (pubblicato nel 1915 in « Der Kampf » e sul « Vorwarts »); alia relazione al I Con­gresso degli Arbeiterrãte a Berlino (1920); alTeditoriale Probleme der Zeit, che apre il primo faseie-lo di «Die Gesellschaft» (1924); e infine alTintervento al congresso di Heidelberg delia SPD (1925). Sugli sviluppi delia teoria hilferdinghiana del «capitalismo organizzato» si veda anche il contributo di H . A. Winkler, Einleitende Bemerkungen zu Hilferdings Tbeorie des Organisierten Kapitalismus, in A A . W . , Organisierter Kapitalismus, Gottingen, 1974, pp. 9-18.

9 Cfr. R. Hilferding, Arbeitsgemeinscbaft der Klassen?, in «Der Kampf », V I I I (1915), p. 322.

1 0 Cfr. R. Hilferding, Die Sozialisierung und die Macbtverhâltnisse

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compito immediato del movimento operaio è di appropri si delle tecniche consegnate dai piú recenti svilupj àeWorganisierter Kapitalismus. Ed è próprio in queste processo di appropriazione strumentale che si radica i l sen* so di una strategia democrática di transizione. Nel sugge-; stivo editoriale che apre i l primo numero di « Die GeselU schaft » — e che porta i l significativo titolo Problemi del tempo — Hilferding definisce la democrazia come gestione sincronica di specialismi che devono tuttavia restare tali: in questo uso/recupero funzionale dei vari « linguaggi » di-sciplinari consiste Pobiettivo principale del « controllo de­mocrático deli'economia », che segna i l « passaggio dal so­cialismo scientifico al socialismo costruttivo » 1 1. I due poli di riferimento del discorso hilferdinghiano sono dun­que, a questo punto, Stato ed Economia. Tra di essi si si­tua però un campo di tensione che la classe operaia deve, tramite i l suo partito, tradurre nella razionalità del linguag-gio istituzionale próprio dello Stato democrático. La con-tinuità evolutiva che era stata negata per i l processo ma-crostorico viene adesso recuperata nell'âmbito delle fun­zioni esogene del Politico, nella sfera di autonomia delia Macht. La transizione al socialismo viene cosi a coincidere con la progressiva « liberazione » dello Stato dai condizio-namenti socioeconomici (« esterni ») del capitalismo pri-vato o monopolistico, perche esso possa esercitare — in conformità al próprio statuto di universalità ed uguaglian-za — la funzione di « macchina amministrativa » capace di por tare a compimento la Rationalisierung delia società 1 2 .

La tappa di passaggio fondamentale di questa strategia di transizione è costituita dalla estensione del modello del­ia «Parlamentarisierung» dalPambito politico a quello económico. La democrazia politica trova non solo i l próprio

der Klassen [1920], Berlin, s.d., pp. 7-15 (su cui v. G . E . Rusconi, op. cit., pp. 182-185).

1 1 R. Hilferding, Probleme der Zeit. Ein Geleitwort, in « Die Gesells­chaft », I , (1924), p. 3.

1 2 Cfr. R. Hilferding, Die Aufgaben der Sozialdemokratie in der Kepublik, cit., p. 171.

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nuturale complemento, ma la realizzazione delia própria cHdcnza, nella democrazia económica. Non a caso la conce-zlone hilferdinghiana del capitalismo organizzato sara as­sunta Panno successivo come base teórica delia Wirtschafts-ilcmokratie al Congresso sindacale di Amburgo B . I I lavoro — riscontro sul terreno económico delPuniversalità dello Stato — s'inquadra a pieno titolo nel sistema delia rap-presentanza in quanto figura sindacale e politica: i l lavo-ratore è, al tempo stesso, « Cittadino dello Stato » e « Cit­tadino delPeconomia », Staatsburger e Wirtschaftsbiirger M.

Ma è próprio questa strutturologia lineare in cui viene impostato i l rapporto Stato-Economia a sottrarre alie piattaforme strategiche socialdemocratico-sindacali elabo-rate durante la Stabilisierungsperiode qualsiasi margine di autonomia alia politica delia classe operaia. Detto ciò, non si può tuttavia esorcizzare i l problema che questa stra­tegia pone tacciando Hilferding di subalternità a una con-cezione liberale o ingenuamente formalistica delia demo­crazia. Lo Stato democrático del capitalismo organizzato non è per lui soltanto un invólucro garantista, ma è anche un Parteienstaat, uno Stato che comprende in sé simulta­neamente tanto i partiti quanto le organizzazioni sindacali delia classe operaia: « I partiti », aveva affermato Hilfer­ding a Kiel, « sono parti costitutive dello Stato esattamen-te come i l governo e Pamministrazione » 1 5. Hilferding, inol-tre, non nega la permanenza dentro la forma democrática delia lotta di classe, di cui i partiti sono anzi la massima espressione e traduzione. Ma, poiché i partiti sono intera-mente assorbiti nello Stato, la lotta di classe continua ben-sí a sussistere, ma tutta dentro le (cioè tutta tradotta nelle) forme istituzionali. Questi temi l i ritroviamo riproposti in

1 3 Cfr. Protokoll der Verhandlungen des 13. Kongresses der Ge-werkschaften Deutschlands (3. Bundestag des Allgemeinen Deutschen Gewerkschaftsbundes), abgehalten in Hamhurg vom 3. bis 7. September 1928, Berlin, 1928, pp. 20-22; 170-224.

1 4 Cfr. Th. Leipart, Auf dem Wege zur Wirtschaftsdemokratie, in « Gewerkschaftszeitung », 7 luglio 1928, n. 27, pp. 417-418.

1 5 R. Hilferding, Die Aufgaben der Sozialdemokratie in der Republik, cit., p. 171.

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blocco — con un'ulteriore accentuazione del profilo gra-' dualistico — nella trattazione delia « democrazia econo-;' mica » svolta da Fritz Naphtali nel suo omonimo libro del 1928. Qui i l rapporto tra capitalismo organizzato e pro­cesso di transizione al socialismo è stigmatizzato nei termi-ni di un riformismo lineare: la Durchorganisierung gerar-chica del capitalismo produce automaticamente una Ge-genbewegung — un « contro-movimento », una tendenza simmetrica e contraria — che mira ad abolire i l limite po* sto al potere politico dalPinteresse dei monopoli, realiz-zando 1'essenza riconciliativo-comunitaria dello Stato 1 6 .

Llnquadramento statuale del sindacato e delle varie istanze di partecipazione (che appaiono come veri e propri Gemeinschaftskôrper, « corpi comunitari ») e la funzione razionalizzatrice delia « politica sociale » (Sozialpolitik) r i -cevono a pieno titolo la qualifica di momenti costitutivi delia trasformazione socialista dell'economia 1 1. Questo pro-gramma di istituzionalizzazione dei sindacati nel quadro di un modello di partecipazione di tipo cogestionale venne ele-vato, come si è detto in precedenza, a dottrina ufficiale del sindacalismo weimariano al Congresso di Amburgo del-1'ADGB.

L'ascendenza teórica hilferdinghiana era visibile nel­la doppia valenza assegnata alia forma-Stato, che veniva a configurarsi per un verso come razionalità amministra-trice — punta emersa di un iceberg che aífondava la sua base nei processi subcutanei di razionalizzazione delia pro­duzione e di Vergesellschaftung del processo lavorativo — , per Paltro come autentico Gemeinwesen, entità collettiva e soggetto-fattore delia transizione, in quanto dispositivo di garanzie universali indipendente dalla 'legalità' económica 1 8 . Ma questa impostazione lasciava aperta la questione — che

" Cfr. F. Naphtali, Wirtscbaftsdemokratie, Berlin, 1928, p. 30 (ri-stampa: Frankfurt am Main, 1966). _

1 7 Cfr. H . Potthof, Sozialpolitik ais Rationalisierung der Wirtschaft, in « Gewerkschaftszeitung », 7. Mai 1927, n. 19, p. 254.

1 8 Cfr. Protokoll der verhandlungen des 13. Kongresses der Ge-werkschaften Deutschlands, cit., pp. 172 sgg.

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si rivelerà cruciale negli sviluppi successivi delia repubblica di Weimar — se i l quadro politico democrático fosse « esso stesso momento di contraddizione », oppure soltanto « un campo entro cui hanno spazio delle contraddizioni, o me-glio dei conflitti di classe » I 9 . La fede socialdemocratica e sindacale nella traducibilità progressiva di tutte le espres-sioni del conflitto sociale nella dialettica concorrenziale própria delia democrazia politica (rafforzata dal supporto comunitario-partecipativo) lasciava in ombra 1'interrogativo generale che stava a monte delia nuova piattaforma strate-gica: quello relativo, cioè, alie nuove implicazioni politiche delPintreccio tra egemonia capitalistica e razionalizzazione.

Le gravi aporie implicite in questa visione neoevoluzio-nistica del capitalismo organizzato prevalsa al Congresso di Kiel vengono messe in evidenza da una lúcida critica svolta in quello stesso anno da Otto Leichter su « Der Kampf », 1'organo teórico delia socialdemocrazia austríaca. Assumendo i l nuovo assetto organizzato dello sviluppo ca­pitalistico come un dato oggettivamente valido e positivo per i l movimento operaio, i deliberati di Kiel aprivano, per Leichter, una pericolosa forbice tra movimento (Bewegung) e scopo finale {Endziel), con 1'effetto di ipostatizzare da un lato la forma democrática e di appiattire dalTaltro la politica del partito entro gli orizzonti di un programma di riforme parziali, viste trionfalisticamente come tappe gra-duali di avvicinamento al socialismo. La debolezza di que­sta strategia — incapace di produrre una prospettiva in-sieme realística e di lungo período — discendeva dalla in-terpretazione ideológica dei capitalismo postbellico fornita da Hilferding, alia cui relazione andava assegnato, secondo Leichter, un forte rilievo, in quanto da essa era possibile evincere « non solo la valutazione di una situazione tattica contingente, quanto piuttosto la concezione generale del partito sulla via al potere » 2 0 . I I carattere ideológico del-Panalisi hilferdinghiana consisteva nel ridurre a un lineare

1 9 G . E . Rusconi, op. cit., p. 200. 2 0 O. Leichter, Kiel und Linz, in « Der Kampf », XX, (1927), p. 303.

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incremento di « organizzazione » quello che era in realtà un processo contraddittorio di « politicizzazione » (Politi-sierung) dei rapporti di produzione capitalistici e delia funzione dei Wirtschaftsfuhrer: non di « capitalismo otr ganizzato » si doveva dunque parlare, bensí di « capitalismo politicizzato » (politisierter Kapitalismus)21. I n tal modo Leichter mirava a colpire Yindistinzione presente nel con­cetto hilferdinghiano di democrazia — visibile nel rifiuto di assegnare alia democrazia politica 1'appellativo di « for­male » — ponendo al centro delPattenzione la problemati-cità del rapporto democrazia-sviluppo nella fase del « capi­talismo politicizzato », allorché Pinterdipendenza tra ca­pitale e Stato tende a farsi piú stretta. D i qui la necessita per i l movimento operaio di assumere una concezione non ingenuamente ricompositivo-comunitaria, ma dualistico-an-titetica delia forma democrática, in quanto campo attraver-sato dalPantagonismo fra le classi2 2.

La critica di Leichter colpiva senza dubbio i due po-stulati di fondo delPanalisi hilferdinghiana: la prognosi ottimistica sul decorso del capitalismo organizzato e la scon-certante fiducia nella possibilita di trasformare Pimpalca-tura istituzionale weimariana in un Rechtsstaat sociale. I n effetti, i l primo di questi postulati riposava — è bene pre­cisar lo súbito — su un dúplice errore: quello di ritenere i l capitale finanziario un fattore di organizzazione e di miti-gazione delPanarchia capitalistica, e quello di considerare un dato definitivamente acquisito e irreversibile la « fun-zione-guida delia grande industria chimica » 2 3 , che costi-tuiva la sozialstaatliche Komponente, Pala avanzàta del-Pimprenditorialità weimariana, favorevole a un patto so­ciale con la socialdemocrazia e disposta a collaborare con i sindacati. L'errore di Hilferding non fu dunque soltanto — come sostiene Franz Neumann 2 4 — quello di non av-

21 Ibidem, pp. 307-308. 2 2 Ibidem, pp. 309-311. 2 3 R. Hilferding, Politische Probleme, in «Die Gesellschaft», I I I ,

(1926), p. 292. 2 4 Cfr. F. Neumann, Behemoth. Struttura e pratica del naztonalso-

cialismo [1942], con introduzione di Enzo Collotti, Milano, 1977, p. 292.

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vedersi delia netta tendenza al predomínio del capitale in­dustriale sul capitale finanziario che emergeva nella Ger­mânia degli anni Venti (i grandi Konzerne razionalizzati erano infatti in grado di autofinanziarsi o di ricorrere per via diretta ai prestiti stranieri: ragion per cui le banche fi-nirono per svolgere a Weimar la funzione di istituti di tra-sferimento del capitale estero); i l limite del teórico social­democratico fu anche quello di sottovalutare la rilevanza delle contraddizioni ' interne ' fra i diversi settori indu­striali, e in particolare i l ruolo delPindustria pesante delia Ruhr, da cui partirá negli anni delia crisi i l contrattacco che condurrà alia dissoluzione delia prima repubblica 2 5. I I se­condo postulato avrebbe palesato tutto i l suo carattere i l -lusorio al cospetto delia crisi, allorché Hilferding, nel pe­ríodo in cui terra i l ministero delle finanze (1928-29), si rifiuterà di procedere ad interventi anticongiunturali, in conformità con la própria concezione dello Stato come fat­tore esogeno ' non perturbativo ', che può organizzare dal di fuori e dalPalto i l ciclo económico, ma non sconvolger-ne Pintrinseca legalità intervenendo in esso 2 6 .

I I parallelismo tra riduzione delia Politisierung alia Parlamentarisierung e individuazione del contenuto autó­nomo delia Macht nella mera « gestione » (nel semplice Organisieren tecnico-amministrativo)27 delPEconomico non potrebbe essere piú perfeito. La crisi viene allora ricon-dotta a incapacita di gestione, a un insuficiente uso da parte del capitalismo organizzato degli strumenti di controllo di cui esso potenzialmente disporrebbeM. Politica non è la morfologia delia crisi, ma la causa delia sua mancata solu-zione: « La crisi económica », scrive Hilferding nel 1930,

2 5 Per tutti questi problemi — e per la discussione teórica e sto-riografica ad essi connessa — mi permetto di rinviare alia mia introdu­zione a A. Sohn-Rethel, Economia e struttura di classe del fascismo tedesco, Bari, 1978.

2 6 Cfr. R. Hilferding, Probleme der Kreditkrise, in «Die Gesell­schaft », V I I I , (1931), p.241.

2 7 Cfr. R. Hilferding, In Krisennot, in ibidem, p. 8. 2 8 Cfr R. Hilferding, Geséllschaftsmacht oder Privatmacbt iiber

die Wirtschaft, Berlin, 1931, p. 27.

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« non appare piú determinata economicamente, come un fenómeno che accompagna periodicamente lo sviluppo ca- % pitalistico. Essa è piuttosto una cattiva prova dello Stato, delia politica » M . Assai pertinente appare, dunque, 1'os- ] servazione relativa alia presenza, in Hilferding, di una stretta implicazione reciproca fra traduzione operativa del problema delia crisi in problema di « gestione di meccani-smi quasi apolitici » 3 0 e affermazione del primato del po-litico-istituzionale come formalizzazione astratta del con­flitto di classe. Le conseguenze d i questa disarticolazione (da Leichter soltanto intuita) delPambito statale dalle con­traddizioni organiche che attraversano i l meccanismo delia riproduzione sociale si sarebbero drammaticamente mani-festate nella paralisi delia SPD negli ultimi anni delia re­pubblica di Weimar, espressa emblematicamente dalla co-siddetta « politica di tolleranza » nei confronti del governo presidenziale di Briining.

A i deliberati di Kiel Leichter aveva polemicamente contrapposto nel suo articolo la piattaforma prevalsa Pan­no prima al Congresso di Linz delia socialdemocrazia au­stríaca, ove erano state completamente rivedute le linee programmatiche adottate nel 1889 al Congresso di Hainfeld ed emendate nel 1901 al Congresso di Vienna. I I nuovo programma sanciva ufficialmente la leadership delia tenden-za « austromarxista » di Otto Bauer formalizzando quel di-stacco dal vecchio evoluzionismo secondinternazionalista di Victor Adler che era di fatto già maturato negli anni del­ia guerra (si ricordi, al riguardo, i l celebre attentato com-piuto da Friedrich Adler nel 1916 — esattamente a un anno di distanza dalla Conferenza di Zimmerwald — con­tro Stiirgkh, capo del governo delPlmpero asburgico)31.

2 9 R. Hilferding, In der Gefahrzone, in «Die Gesellschaft», V I I , (1930), p. 290 (v. anche G. E . Rusconi, op. cit., p. 362).

3 0 G. E . Rusconi, op. cit., p. 350. 3 1 Per una ricostruzione storica delle vicende e dei dibattiti politici

deiraustromarxismo mi permetto di rinviare una volta per tutte al raio Austromarxismo e socialismo di sinistra fra le due guerre, Milano, 1977.

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Prima facie i l Programma d i L inz 3 2 si presenta come una demistificazione radicale dello Stato democrático — dun­que, agli antipodi delia Illusionspolitik delia SPD weima­riana e delia sua feticizzazione delPistanza democratico-formale. Lungi dalPessere inteso come fattore di razionalità scevro da contraddizioni, lo Stato democrático appare, in questa linea strategica, come un campo attraversato da an-tagonismi di classe che hanno non soltanto — ovviamente — una radice, ma anche una autonomia di organizzazione e di azione extraistituzionale. Bauer aveva pertanto — in accordo con i l teórico delia sinistra, Max Adler — introdot-to nel dibattito congressuale la nozione d i « duplicità di senso delia democrazia » 3 3 , che egli aveva negli anni im-mediatamente precedenti riassunto nella teoria delia forma democrática come espressione di uno « stato di equilíbrio delle forze di classe » i*.

I I precipitato pratico di questa concezione — segno, co­me vedremo, di un'incongruenza politico-strategica che por-terà la SPÕ a delle conseguenze opposte ma simmetriche, cioè egualmente fallimentari, a quelle delia socialdemocrazia weimariana — era costituito dalla clausola delia « violenza difensiva » che, accolta nel bel mezzo del programma, su­scito non poco scalpore e scandalo negli ambienti delia SPD. Questa clausola, che contemplava la possibilita da parte del partito di ricorrere alPuso delia violenza, nelPe-ventualità di una minaccia alPordinamento costituzionale delia repubblica, era in realtà i l corollario di una teoria del­ia fase di transizione che si era venuta sempre piú definendo nei termini di una strategia fondata sul dualismo di potere, e tesa alia salvaguardia delPautonomia sociale ed extrapar-lamentare del blocco operaio contro i l blocco borghese. Le

3 2 II testo del Programma di Linz si può leggere ora nel volume anto-logico Austromarxismus, a cura di von H.-J. Sandkiihler e R. de la Vega, Frankfurt a.M.-Wien, 1970, pp. 378-402.

3 3 Cfr. Protokoll tiber die Verhandlungen des Sozialdemokratiscben Arbeiterpartei Deutschôsterreicbs, abgehalten zu Linz 1926, Wien, 1926, p. 272 e passim.

3 4 Cfr. O. Bauer, Die õsterreichische Revolution, Wien, 1923, pp. 196 sgg.

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espressioni piú emblematiche e drammatiche d i questi nea furono da un lato i l rifiuto di dar luogo a nuovi gove di coalizione — dopo i l primo fallimentare esperim diretto dalla SPÕ (e i l conseguerite arroccamento n amministrazione ' esemplare ' delia « Vienna rossa ») dali'altro la creazione (avvenuta nel 1923) del RepubP nischer Schutzbund, 1'organizzazione paramilitare degli i rai socialdemocratici guidata da Julius Deutsch (che tava su un contingente di 120-150 mila uomini armati

Dal momento che le aporie di questa strategia de ' « violenza difensiva » — che, come si è detto, sboccheHi

in un esito altrettanto trágico di quello weimariano — í f evidenziano già nei famosi fatti del luglio 1927 (quando 4 ebbe 1'incêndio del Palazzo di Giustizia e la repressic sanguinosa delia protesta popolare contro 1'assoluzione dèi fascisti che avevano sparato contro un corteo uccidendo du operai), sara opportuno procedere schematicamente ad u n V , nalisi critica sia degli apporti originali delia linea austrok marxista, sia degli aspetti aporetici che ne hanno cosi ne*',' gativamente condizionato gli sbocchi.

Lo spartiacque tra la posizione « austromarxista » di Max Adler e Otto Bauer (il quale sul finire del 1918 —# cioè alia morte del vecchio Victor Adler, avvenuta in con-comitanza con la proclamazione delia Repubblica — aveva assunto la direzione del partito) e quella di Karl Kautsky appare chiara sin dal 1920. Mentre Kautsky — in questo stesso arco di anni — imposta una teoria delia transizione in cui la Costituzione di Weimar viene considerata un va­lido strumento per la realizzazione del socialismo e in cui la tappa intermédia non è piú costituita dalla dittatura del proletariato, comunque intesa, ma dal governo di coali­zione 3 5 , Bauer e Adler si rifiutano recisamente di ipostatiz-zare la forma democrática, distinguendo al suo interno Pa-spetto politico dalPaspetto sociale, e arrivando cosi alia conclusione che dittatura e democrazia non sono antitesi

3 5 Cfr. K. Kautsky, Die proletarische Revolution und ihr Programm, Berlin, 1922, pp. 105-106.

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irustiche — essendo la democrazia politica nient'altro che Una forma storica reale di esercizio delia dittatura socio-fconomica delia classe capitalistica (e, di conseguenza, an-t'hc una forma di esercizio potenziale delia stessa « ditta-(

tura del proletariato »). Inoltre, mentre Kautsky era arri-vnto, nella sua crociata contro i l bolscevismo, a definire la Rússia soviética dei primi anni Venti un regime bonapartista « deteriorato » e « reazionario » — che aveva inaugurato un vero e próprio sistema di «schiavitú di Stato» 3 6 — per Bauer c Adler invece i l partito di Lenin è un partito « autenticamen­te socialista », che ha operato con una strategia rivoluzio-naria assolutamente adeguata alie condizioni storiche delia

fTlussia. Fino alPultimo, gli « austromarxisti » terranno fer­ino alia distinzione tra universalità delPOttobre, in cui essi ravvisano súbito una rottura epochemachend, un punto di non-ritorno delia storia mondiale, e specificità nazionale

[(dunque, non generalizzabilità) del « modello bolscevico » 3 1 . T^nche quando nel '36, in pieno regime staliniano, scriverà nelPesilio la sua opera forse piú importante (Tra due guerre mondiali?), Bauer considererà — assumendo una posizione affatto anómala nelPambito delia socialdemocrazia europea — i l regime di dittatura non un'alternativa assoluta alia de­mocrazia, ma al contrario una fase necessária di sviluppo ver­so di essa, in una prospettiva che tenderá a stabilire un lega-me diretto di reciprocità fra la prospettiva internazionalista e la democratizzazione interna delPuRSS: « I I processo di trasformazione delia società capitalistica in quella socialista che si sta svolgendo in Unione Soviética sara compiuto solo quando la dittatura, che è stata necessária a mettere e te-nere in movimento questo processo, sara smantellata e so-stituita da una democrazia socialista che, sulla base del r i -pristino dei diritt i dell'individuo, delia piena liberta del

3 6 Cfr. K. Kautsky, Von der Demokratie zur Staatssklaverei, Berlin, 1921, dove Kautsky riprende i temi di Terrorismus und Kommunismus, Berlin, 1919, replicando alie critiche rivoltegli da Trotskij nel suo orno-nimo scritto (Terrorismo e comunismo, Milano, 1964).

3 7 Cfr. soprattutto H . Weber (pseudónimo di Otto Bauer), Die russis-che Revolution und das europãische Proletariat, Wien, 1917; M. Adler, Democrazia e consigli operai [1919], Bari, 1970.

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singolo e delia direita autodeterminazione delia collettività, fará finalmente delle masse le protagoniste del processo lavorativo, vitale e culturale in cui sono inserite » 3 8 . Pro-muovere i l processo di democratizzazione (per Bauer ne­cessariamente « graduale ») delia Rússia soviética non deve tuttavia equivalere alPinvocazione di un ritorno alie for­me storiche delia democrazia politica (come vorrebbero i critici liberalborghesi del socialismo), poiché « qui non si tratta delia conquista delia democrazia sulla base delPordi-namento sociale capitalistico, bensí (...) sulla base delPor-dinamento sociale socialista » 3 9 . Questi giudizi di Bauer si ponevano in perfetta continuità con lo spirito delPanalisi da lui impostata nel 1920 in Bolscevismo o socialdemocra­zia? 4 0 — dove aveva previsto che i l sistema soviético avreb-be dato luogo a « forme sociali miste che la nostra scienza, risultante da un processo di astrazione operato sulla base delle esperienze del passato, non è ancora in grado di clas-sificare » — e ampiamente sviluppata nel '31 in Rationali-sierung-Fehlrationalisierung (che avrebbe dovuto essere i l primo volume di una grande opera sulle trasformazioni av-venute nel capitalismo e nel socialismo dopo la guerra mon­diale), dove si mette in luce, d i contro a tutte le critiche dottrinarie à la Kautsky, che i successi delia costruzione económica in URSS rappresentavano la migliore confuta-zione delia scienza económica borghese, per la quale un si­stema di economia centralmente pianificata era struttural-mente incapace di funzionare 4 1.

Questi rapidi cenni vogliono servire a dimostrare co­me non sia possibile afferrare 1'anomalia del caso austro-Tnarxista e delia sua idea di transizione se si prescinde dal­lo straordinario impatto avuto dalla guerra e dalla rottura del '17 sulPintero dibattito teórico del movimento operaio

3 8 O. Bauer, Zwischen zwei Weltkriegen?, Bratislava, 1936, p. 327. 3 9 Ibidem. 4 0 Lo si può leggere adesso, in una nuova versione italiana, in ap-

pendice a G . Marramao, Austromarxismo e socialismo di sinistra fra le due guerre, cit., pp. 143 sgg.

4 1 Cfr. O. Bauer, Kapitalismus und Sozialismus nach dem Weltkrieg. vol. 1: Rationalisierung-Fehlrationalisierung, Wien, 1931.

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| europeo. E ciò vale per l'« area socialdemocratica » non meno che per l'« area leninista ». Senza questa cesura ito* rica non si afferra la nuova costellazione teórica, nella qual* le stesse tematiche che avevano occupato i l Revisionismus-streit anteguerra (dalla Bernstein-Debatte in avanti), allor­ché vengono riprese, acquistano un significato diverso e un'inclinazione politico-pratica assolutamente nuova. Ma 1'Ottobre è anche 1'inizio di una complicazione inaudita del rapporto tra capitalismo e movimento operaio. Una com­plicazione che produce, in Occidente, nodi davvero ' ine-d i t i ' . Per aff errare la portata di questi, serve ormai a ben poco Pan tico e sicuro colpo di rasoio tra rivoluzionari e riformisti (per non dire delia scolastica politica e storiogra-fica che tende a fare del « revisionismo » una sorta di ar-chetipo). Occorre invece aff errare lo spessore, per cosi dire, politico-strutturale dei problemi che di lí emergono.

I I significato di spartiacque del '17 si evidenzia in mo­do tutto particolare nel caso delPaustromarxismo. La sua vicenda acquista pregnanza politica próprio nel momento in cui esso — dietro la spinta delia guerra e delia rivoluzione d'ottobre — si rompe come Geistesgemeinschaft, come gruppo intellettuale omogeneo, per aífrontare direttamente i problemi delia direzione del partito e del rapporto con lo Stato. Non a caso, benché la posizione ideologico-culturale delia cosiddetta Wiener Marxsche Schule fosse maturata già prima delia guerra, è solo dopo Pottobre che essa si qualifica a pieno titolo come una originale tendenza politi­ca del socialismo europeo, che verrà allacciando rapporti or-ganici con settori sempre piú larghi delia stessa « area so­cialdemocratica » weimariana (con la USPD, prima, con Pala sinistra del Partito socialdemocratico riunificato, poi): si pensi soltanto alia breve ma significativa vita delPUnione dei partiti socialisti per Pazione internazionale — meglio nota con Pironico appellativo di « Internazionale 2 1/2 » assegnatole da Karl Radek 4 2 — , le cui posizioni ' terzafor-

4 2 K. Radek, lheorie und Praxis der 2 1/2 Internationale, Hamburg, 1922.

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ziste' continuarono ad operare anche dopo i l suo riassor-bimento nelPios (1923). Né va dimenticato che è próprio negli anni delia guerra e delia rivoluzione che viene coniato dagli ambienti borghesi — secondo la testimonianza dello stesso Bauer 4 3 — i l termine « austromarxismo », per de-nunciare le tendenze radicali e ' filoleniniste ' (o « au-strobolsceviche», come venivano anche chiamate) che si erano venute formando alPinterno delia SPÕ, e che, con i l crollo delPImpero, avevano assunto la leadership del partito. Questa svolta spiega, d'altronde, perche i l movi­mento operaio ebbe in Áustria, a differenza che nella Ger­mânia di Weimar, un carattere fortemente unitário (soprat­tutto dopo la pratica autoemarginazione del partito comu­nista dal movimento di massa, in seguito ai maldestri ten-tativi putschisti del '19, organizzati di concerto con Pallora capo delia Repubblica dei Consigli ungherese Béla K u n 4 4 ) .

Aila luce delPimpatto straordinario delPOttobre sulla riflessione teórica delPaustromarxisma è possibile verificare retrospettivamente in che senso e in qual misura le diver-genze con la concezione kautskiana delia transizione demo­crática non fossero sottese a mere questioni tattico-organiz-zative, ma implicassero invece una valor izzazione strategica di quella visione originale del rapporto tra sviluppo capita­listico e politica del movimento operaio che la « comunità intellettuale » austromarxista era venuta definendo già pri­ma delia guerra attraverso un organo teórico come le « Marx-Studien » (dove avevano visto la luce opere come 11 capitale finanziario di Hilferding, La questione delle na-zionalità e la socialdemocrazia di Bauer e Causalità e teleo-logia nella disputa sulla scienza di M . Adler) e, soprattutto, attraverso la rivista « Der Kampf » che, fondata nel 1907 da Otto Bauer, Karl Renner e Adolf Braun, aveva awiato un serrato confronto con la cultura e la scienza borghese delPepoca, nel bel mezzo di quella scintillante fucina di co-

4 3 Cfr. [O. Bauer], Austromarxismus, in «Arbeiter-Zeitung», 3. November 1927, ora in AA.VV., Austromarxismus, cit., pp. 49-52.

4 4 Cfr. A. D. Low, The First Austrian Republic and Soviet Hungary, in « Journal of Central European Affairs », XX, (1960), n. 2, pp. 184 sgg.

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noscenze che fu la « grande Vienna ». Con la sua originale e autónoma politica culturale, la nuova rivista divenne pre­sto la maggiore concorrente delia « Neue Zeit » nelParea del socialismo di lingua tedesca, dando voce e organizzazio­ne a quella seconda generazione di intellettuali marxisti i l cui approdo al movimento operaio era stato mediato dalle suggestioni delia Bernstein-DeBatte e, soprattutto, dalla critica al marxismo svolta dal filone « neokantiano » degli Stammler, dei Rickert e dei Kelsen, come pure dalla critica al materialismo meccanicistico svolta da Mach. Per aff erra­re i risvolti piú propriamente teorico-politici di questo at-teggiamento culturale e misurare i l diaframma che la se­para dalla « prima generazione marxista » dei Mehring, dei Cuno e dei Lafargue, sara utile prendere un attimo in esame una discussione che si svolse nel 1909 tra Bauer e Kautsky sul problema delia « via al potere ».

I n un articolo-recensione alPomonimo e celebre opu-scolo kautskiano, uscito sul fascicolo del primo maggio di « Der Kampf », Bauer muoveva alPanalisi del « Maestro » una serie di obiezioni che — al di là delle assicurazioni di-plomatiche di accordo sostanziale — ne rovesciavano di fat­to Pintera impostazione teórica. I n quello scritto, com'è noto, Kautsky aveva rifiutato la tattica del governo di coa­lizione in base alia previsione per cui, trascorso un período di efíimera attenuazione, Pantagonismo fra borghesia e proletariato sarebbe in procinto di riacutizzarsi. Lo schema teórico kautskiano era sorretto dal paradigma delia dipen-denza inevitabile tra concentrazione capitalistica e rivolu­zione proletária: « quanto piú procede in modo necessário e inarrestabile Pespansione continua del modo di produzio­ne capitalistico, tanto piú diviene inevitabile e inarrestabile la contrapposizione decisiva a questa espansione: la rivolu­zione proletária » 4 5 . I I momento delia rivoluzione prole­tária non si sarebbe, tuttavia, verificato con uno scoppio insurrezionale ma, nei paesi dove capitalismo e movimento operaio erano sviluppati, avrebbe avuto luogo in forme piú

4 5 K. Kautsky, La via al potere [1909], Bari, 1969, p. 9.

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lente e graduali, nei termini di quella che Panno successivo avrebbe chiamata, in polemica con la Luxemburg, « strate­gia del logoramento » 4 6 . Pur accogliendo formalmente le conclusioni « gradualistiche » delPanalisi kautskiana, Bauer ne respingeva con decisione i l presupposto teórico che fondava la politica del movimento operaio sulla inevitabili-tà del radicalizzarsi degli interessi economici immediati del­le classi antagonistiche: « Próprio perche consideriamo giu-sto i l risultato a cui perviene la ricerca kautskiana sulla ' via al potere ', ci sembra pericoloso appoggiarne la dimo-strazione su presupposti errati o assai precari. Noi non cre-diamo che i l proletariato diventi maturo per sferrare la lotta decisiva per i l potere solo quando esso non può piú con-quistare nessun successo parziale sotto i l domínio borghese. A l contrario! » 4 7 ' . Ma a monte — e diplomazia a parte — stava una ' lettura ' completamente diversa delle tendenze

TTi sviluppo del capitalismo. I processi di concentrazione capitalistica non sono per Bauer dei processi ciechi che semplificano la dinâmica strutturale e la stratificazione so­ciale del capitalismo. Essi sono piuttosto i l segno di una novità sostanziale, di un elemento di coscienza (di intenzio-nalità politica) e di organizzazione che entra nel meccani-smo dello sviluppo, producendovi complicazioni e dissim-metrie sostanziali, che spezzano la linearità del vecchio au­tomatismo concorrenziale. Mentre nella precedente fase del « capitalismo individuale » le « leggi delia concorren-za » operavano come « potenze naturali che sfuggivano al controllo. non solo del singolo o di un'organizzazione, ma dello stesso Stato », ora esse devono passare « per le teste degli uomini»: ogni accadimento económico diviene cosi « un atto cosciente delle organizzazioni » 4 8 . « I I liberismo di Manchester è morto », esclama Bauer in conclusione del suo ragionamento. Ma di fronte alia complessità delia nuo-

« K. Kautsky, Was nun?, in «Die Neue Zeit», XXVIII , (1909-10), vol. 2, p. 37.

4 7 O. Bauer, Der Weg zur Macht, in «Der Kampf», I I , (1909), p. 340.

« Ibidem, p. 342.

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va configurazione organizzata delPeconomia capitalistica 1* politica del movimento operaio non può piú risolversi in un'agitazione propagandistica dello Endziel socialista (in quanto non v i era piú — come continuava a sostenere Kaut­sky — una indistinta massa proletarizzata e immiserita che vi si sarebbe raccolta attorno), ma deve piuttosto rispon-dere al salto di qualità compiuto dal domínio capitalistico con un salto di qualità delia própria organizzazione, con una riadeguazione organizzativa e « culturale » degli stru-menti consegnati dalla própria tradizione. Lo stesso Endziel necessita di essere dis-aggregato, perche possa penetrare i vari segmenti separati delia « scienza organizzata ».

^ La critica di Bauer a Kautsky non si comprende se non nel contesto delia reimpostazione generale, che gli austro-marxisti stavano operando próprio in quegli anni, del rap­porto intellettuali-socialismo. È del 1910, infatti, i l signifi­cativo opuscolo maxadleriano dedicato a questo tema, in cui — capovolgendo di 180 gradi i l piatto economicismo kaut­skiano, che risolveva la questione àúYintellighentsia scien­tifica in un'analisi delia proletarizzazione del ceto intellet-tuale — Paccento fondamentale verteva sulla specificità del ruolo sociale delVintellettuale come « portatore di scien­za »49. L'apporto degli intellettuali alia lotta di classe — che in Kautsky coincideva con la propaganda di socialismo (e con la costruzione separata di una visione sistematico-enciclopedica del mondo) in attesa che la concentrazione si compisse, recando immancabilmente con sé i l corollario ' sociológico ' delia proletarizzazione, che avrebbe semplifi-cato Pintero tessuto sociale nella dicotomia capitalisti-ope-rai — veniva cosi a configurarsi come funzione di ridefini-zione dei ruoli specifici delVintellighentsia, in un progetto di riunificazione tendenziale dei segmenti separati del « cervello sociale ». D i qui i l senso politico delia dis-aggre-gazione delia previsione morfológica di Marx e del confron-

4 9 Cfr. M. Adler, Der Sozialismus und die Intellektuellen, W"ien„ 1910 (trad. it. in M. Adler, 11 socialismo e gli intellettuali, Bari, 1974; •i veda su questo problema il saggio introduttivo di Leonardo Paggi).

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to con i l neokantismo che Max Adler aveva awiato sin dal principio del secolo. E di qui pure i l recupero baueriano del «núcleo razionale» presente nel revisionismo di Bernstein: i l compito delia socialdemocrazia non poteva piú essere soltanto, come diceva Kautsky, quello di « coordi-nare tutte le diverse reazioni del proletariato contro i l pró­prio sfruttamento » 5 0 ; doveva essere piuttosto quello di produrre nella classe operaia la consapevolezza delia com-plessità delle connessioni sociali e istituzionali in cui era inserita — delia nuova interdipendenza tra economia e poli­tica.

Visto da questa angolatura, Yiter di Kautsky si presenta súbito caratterizzato da una straordinaria coerenza, che conferma pienamente quei recenti studi che hanno respinto lo schema interpretativo terzinternazionalista del « tradi-mento », favorito d'altronde dalla stessa distinzione leni-niana tra un Kautsky « ancora marxista » e un Kautsky « rinnegato » 5 1 . Solo che questa coerenza assume per noi — a differenza che per questi studi — un profilo tutto ne­gativo, che suona da ulteriore e definitiva conferma delia debolezza del « marxismo » secondinternazionalista, delia sua impotenza ad afferrare i l senso determinato e profondo delle grandi trasformazioni capitalistiche. È sintomático al­lora che la lógica di Kautsky si mantenga miracolosamente intatta nella « svolta » del 1922, quando si limita a « so-stituire » i l governo di coalizione alia dittatura del proleta­riato, come forma politica própria delia fase di transizione: « Nel suo celebre articolo Zur Kritik des sozialdemokratis­cben Parteiprogramms Marx scrive: ' Fra la società capi­talistica e quella comunista sta i l periodo delia trasforma­zione rivoluzionaria dell'una nelPaltra. A d essa corrispon-de del pari un periodo di transizione politica, i l cui Stato non può essere null'altro se non la dittatura rivoluzionaria del proletariato '. Sulla base delle esperienze degli ultimi

5 0 K. Kautsky, La via al potere, cit., p. 9. 5 1 Mi riferisco soprattutto alia ricerca di M. L . Salvadori, Kautsky

e la rivoluzione socialista, 1880-1938, Milano, 1976.

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anni noi possiamo oggi variare questa frase per quanto con­cerne i l governo, cosi da dire: ' Fra 1'epoca dello Stato pu­ramente borghese e quella dello Stato democrático retto su base puramente proletária sta un periodo di transizione po­litica, i l cui governo di regola sara dato sotto forma di un governo di coalizione ' » 5 1 b i s . Mutata la formula, la lógica restava però quella di sempre, la solita, vecchia lógica delia Naturnotwendigkeit del processo rivoluzionario: è « l ' in-cessante rafforzamento del proletariato » — precisa Kaut­sky 1'anno dopo — a fondare 1'inevitabilità dello stadio del governo di coalizione, i l quale « deve prima o poi diventare una realtà in ogni paese con una industria capitalistica » 5 2 .

Llmpostazione di Bauer, come si è visto, era già nel 1909 proiettata oltre gli orizzonti di questa ingénua neces­sita lineare, alia quale è — detto per inciso — tutt'altro che estranea la riduzione del « sistema marxiano » al I libro del Capitale: ogni qual volta la storia si complica, basta per Kautsky adattare das Marxsche System con qual­che emendamento o aggiustaggio empírico. I n Bauer è in-vece visibile 1'attenzione al carattere « sociale complessivo » dei processi di trasformazione capitalistica. I I limite delia sua posizione negli anni precedenti la guerra sta tuttavia nel prevalere di una sorta di simmetria strutturale nelPanalisi del rapporto politica-economia. La nuova rilevanza delia po­litica risiede tutta nel suo carattere di espressività speculare delle trasformazioni economiche. Decisiva rimane quindi la funzione económica dell'intervento statale. L'attenzione è ancora interamente rivolta al ruolo dei Wirtschaftsfúhrer e alia nuova ' committenza ' tra le grandi organizzazioni in­dustriali e finanziarie e lo Stato: « Tutte le organizzazioni economiche », aveva affermato nell'articolo su Kautsky, « tentano di porre lo Stato al loro servizio: non chiedono piú che si l imiti a proteggere la proprietà, ma vogliono che esso intervenga direitamente nella vita económica ». La

5 1 b i s K. Kautsky, Die proletarische Revolution und ihr Programm, Berlin, 1922, pp. 105-06.

5 2 K. Kautsky, Die Marxsche Staatsauffassung, Jena, 1923, p. 5.

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conclusione è che « anche lo Stato si sta trasformando in un'organizzazione di questo tipo » M . ;j

Resta fuori, dalPanalisi baueriana, la considerazione: delle funzioni specifiche del Politico, delia relativa autono­mia (o meglio: dei modi di ' autonomizzazione ') del suo âmbito rispetto alia dinâmica economia-classi sociali. E non è un caso che 1'austromarxismo pervenga a questo tipo di considerazione soltanto dietro la spinta delia rivoluzione d'Ottobre e nel confronto con i l leninismo, e — fatto im­portante — dopo essersi imbattuto in una serie di ostacoli e d i resistenze nel primo impatto con i compiti di direzione dello Stato. Sintomático in questo senso i l fallimento del piano di socializzazione di Bauer (allora presidente delia-Staatskommission fiir Sozialisierung, oltre che ministro degli esteri) — un piano che presentava tutte le ingenuità e i l i -miti utopistici del dibattito consiliare mitteleuropeo. Esso puntava infatti a una combinazione tra programmazione centrale e controllo « dal basso » attraverso commissioni miste di rappresentanti dei produttori e rappresentanti dei consumatori: i l tutto in un meccanismo di reciproco aggiu-staggio regolato dalla mediazione statale, nell'assoluta as-senza d'indicazioni circa le strumentazioni concrete con cui realizzare i progetti di esproprio e le misure graduali di so­cializzazione (tanto che i l governo di coalizione capeggiato dai socialdemocratici naufrago — dimostrando tutta la fra-gilità delia própria piattaforma programmatica — nella po­lemica con i cristiano-sociali sulla nazionalizzazione delia A l -pine-Montangesellschaft, la maggiore impresa mineraria au­stríaca, e delPindustria carbonífera ed edilizia) M . I l simul­tâneo fallimento del piano di socializzazione e del progetto d i annessione deli'Áustria tedesca alia Germânia (tenacemen-te perseguito da Bauer nel breve ma intensíssimo periodo del

5 3 O. Bauer, Der Weg zur Macht, cit., p. 342. 5 4 O. Bauer, La realizzazione del socialismo, Città di Castello, 1920,

pp. 29 sgg. Gli stessi limiti è dato riscontrare nelTidea maxadleriana di Sozialisierung, imperniata sul programma — próprio delia sinistra so­cialdemocratica — di una «combinazione» tra consigli e Assemblea Nazionale: cfr. M. Adler, Democrazia e consigli operai, cit., p. 91.

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suo ministero, non solo per rinverdire i l sogno bebeliano di una Grossdeutsche Republik democratico-popolare, ma anche per spezzare 1'isolamento e allargare le basi del pro­cesso di transizione), cui fa seguito i l ritiro da parte delia SPÕ delle proprie trincee dallo Stato, per arroccarsi nel-1'amministrazione esemplare delia Municipalità viennese55, spingono dunque gli austromarxisti ad affrontare Panalisi specifica delia forma politica.

È nella prima meta degli anni Venti, infatti, che i l di­battito austromarxista sul rapporto Stato-transizione de­mocrática tocca i l suo livello piú alto, misurandosi in un

•3 confronto diretto con le posizioni di Hans Kelsen. È próprio i l grande giurista viennese a mettere in evi-

denza i taciti risvolti di « revisione » che erano presenti nella teoria delia fase di equilíbrio delle forze di classe elaborata da Bauer in rapporto alia situazione storica spe­cifica delia repubblica austríaca nel periodo 1919-1922. I I carattere di Volksrepublik dello Stato austríaco risiedeva per Bauer nel fatto che nessuna delle due classi antagoni-stiche era in grado di piegare le istituzioni democratiche a mero strumento dei propri interessi. Lo Stato democrático costituiva pertanto Pespressione di una situazione in cui classe operaia e classe borghese si trovavano a condividere un potere, le cui funzioni risultavano di fatto autonomizzate rispetto ai loro rispettivi interessi di classe. Poiché lo Stato democrático non rappresentava piú « né uno strumento del domínio di classe delia borghesia sul proletariato, né uno strumento del domínio di classe del proletariato sulla bor­ghesia », PAustria poteva definirsi a pieno titolo una « re­pubblica popolare » 5 6 . Riprendendo le tesi formulate nel suo testo del '20 Socialismo e Stato57 (a cui aveva già dato una prima, significativa risposta Max Adler in La concezio­ne marxista dello Stato 5 8 ) , Kelsen rivolgeva alia linea di

5 5 Si veda al riguardo il mio già citato volume, pp. 52-58. 5 6 O. Bauer, Die òsterreichische Revolution, cit., pp. 243-244. 5 7 H . Kelsen, Sozialismus und Staat, Leipzig, 1920. 5 8 M. Adler, Die Staatsauffassung des Marxismus, in « Marx-Studien »,

IV/2, Wien, 1922.

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Bauer la dúplice obiezione di essere sostanzialmente diver­gente dalla « concezione marx-engelsiana delPessenza, delia nascita e del tramonto dello Stato » (che vede in quest'ul-timo uno « strumento specifico delia lotta di classe », i l . quale, pur rappresentando la principale posta in gioco da conquistare, dovrà tuttavia scomparire una volta portata a termine la Sozialisierung e soppresse le antitesi di classe), e di contraddire questa sua importante e feconda revisione nel momento in cui pretende di mantenere integra la pro­spettiva del Zukunftsstaat, di uno « Stato del futuro » in­ter amente egemonizzato dalla classe operaia 5 9. La conce­zione dello Stato democrático come « repubblica popola­re », come Stato « non-di-classe » — obietta ancora Kel­sen — non esiste nelle opere di Marx ed Engels, i quali, consideravano 1'unità del popolo nient'altro che « un'ingan-nevole finzione delia borghesia »; inoltre, dal momento che Bauer fonda la sua analisi sulla considerazione dei rapporti di forza, e dunque degli aspetti quantitativi connessi alie conquiste delle classi lavoratrici, egli dovrebbe coerente­mente ammettere che i l momento di rottura non è inter-venuto soltanto con i l crollo deli 'impero e Pavvento delia repubblica, ma è piuttosto « i l risultato di un lento pro­cesso iniziato, ben prima delia guerra, con i l rafforzamento del proletariato » 6 0 . Ma — e qui i l ragionamento di Kel­sen mirava a disarticolare i l rapporto tra « movimento pra­tico » e « scopo finale » in una sottile operazione di « deri-voluzionamento» (come scriverà lo stesso Bauer molti anni piú tardi) del movimento operaio — se la classe ope­raia aveva già iniziato un processo di dislocamento dei rapporti di forza prima del '18, conquistando quella fon­damentale « riforma » che è i l suffragio universale, ciò significa che in realtà non v i è nessuna differenza qualita­tiva, ma soltanto una differenza quantitativa, fra lo Stato « prerivoluzionario » e quello « postrivoluzionario », e, di conseguenza, che parimenti « sara soltanto una differenza di

0 5 9 Cfr. H . Kelser., Otto Bauers politische lheorien, in « Der Kampf », XVII , (1924), pp. 50-56.

«> Ibidem, pp. 51, 55.

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grado quella che distinguerà questo Stato dalla forma so­ciale (soziales Gebilde) futura rispondente alPideale socia­lista: differenza di grado che è possibile colmare attraverso una risoluta riforma, ma che non deve necessariamente sca-turire dalla rottura qualitativa di una rivoluzione » 61. Con­tro i l marxismo rivoluzionario « clássico » (di cui sarebbe-ro oggi eredi i bolscevichi e i loro seguaci nella socialde­mocrazia austríaca, come Max Adler), Kelsen rivendicava i l principio delia distinzione tra possibilita e necessita, ascri-vendo questa a una visione ancora mitico-ideologica delia storia moderna, che « vede antitesi di principio, qualitati-ve, là dove esistono soltanto differenze quantitative » M, quella a una visione piú autenticamente dinâmica del fe­nómeno sociale, e próprio per questo aperta ad un'attiva e consapevole azione riformatrice. Neila nuova linea delia socialdemocrazia austríaca Kelsen crede pertanto di rav-visare (malgrado le contraddizioni rilevate) una chiara ten-denza al superamento delia vecchia teoria politica del mar­xismo — che egli non esita a definire una « teoria anarchi-ca », própria di « un'opposizione ancora ristretta che, non avendo influenza alcuna sulla direzione dello Stato, con-duce ideologicamente la própria lotta come lotta contro lo Stato in generale » — e ad operare « una svolta da Marx a Lassalle», attraverso i l significativo riconoscimento che « questo Stato può essere anche, anzi è, i l ' suo ' Stato » 6 J . Con la sua sottile critica di quelle che riteneva essere delle residue incongruenze, imputabili ad elementari esi­genze pratico-ideologiche di non recidere i l cordone ombe-licale con la tradizione, Kelsen puntava a separare netta-mente le « teorie politiche di Bauer » dal radicalismo teó­rico « filoleninista » di Max Adler, assimilandole alia posi­zione delPintellettuale socialista che a suo avviso piú di ogni altro aveva avuto i l mérito di « riconoscere nello Stato un mezzo indispensabile delia técnica sociale » M , e che in

6 1 Ibidem, p. 56. 6 2 Ibidem. « Ibidem. 6 4 H . Kelsen, Sozialismus und Staat, cit., p. 67.

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effetti era, fra tutt i gli austromarxisti, i l piú incline ad ac-1

cogliere le suggestioni del formalismo kelseniano: Karl Renner.

Già nel suo volume del '17 Marxismo, guerra e Inter­nazionale, questi aveva incominciato a delineare una con­cezione del rapporto Stato-transizione che avrebbe poi con esemplare coerenza sviluppato nel corso degli anni Venti. Sin dagli anni delia guerra Renner vede — non dissimil-mente da Hilferding — i l nodo del problema strategico nel nuovo diagramma delle relazioni che collegano Pistanza statale alPambito tecnico-ptodutúvo delPEconomico. Stato ed economia non formano però un contesto, poiché i l loro rapporto non produce una complicazione morfológica del ' meccanismo único ', ma si presenta invece come una rela­zione sostanzialmente estrinseca, come un campo di inter-ferenze e di tensioni che attende i l governo di una ratio funzionale. Lo Stato è infatti, per Renner, proiettato per la sua intrínseca essenza alia realizzazione deli'interesse collet-tivo: i l suo limite non è dunque interno ma indotto dalla strumentalizzazione che ne opera Pihteresse di classe (vale a dire « privato », « ristretto ») dei capitalisti e dei grandi monopoli. Imboccare i l processo di transizione significa allora restituire alio Stato i l ruolo ad esso próprio di sog­getto delia trasformazione sociale, liberandolo dai condi-zionamenti « esterni » delPinteresse privato o delle « brame corporative »: « La conquista del potere politico da parte del proletariato», esclama Renner, «viene pertanto a coincidere con la liberazione del potere statale dal domínio del capitale » 6 5 . Non diversamente Eduard Bernstein aveva impostato, sin dal 1910, una analisi delle « trasformazioni del rapporto tra i l movimento operaio e lo Stato », identi­ficando la funzione del primo nelPatteggiarsi « come uno Stato nello Stato », come una forza che « protegge » lo Stato e « lo appoggia dalPinterno contro gli interessi parti-colari di influenti gruppi economici o di altre coalizioni

6 5 K. Renner, Marxismus, Krieg und Internationale, Stuttgart, 1917, p. 29.

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sociali sfruttatrici» 6 6 . E, nel '22, aveva portato a compi-mento questo intreccio — solo apparentemente parados-sale — di sfatalismo e garantismo, sanzionando come un risultato storico definitivamente acquisito e irreversibile la forma democrática, nella quale egli credeva di scorgere la salda struttura di « uno Stato popolare (Volksstaat) non piú strumento delle classi e dei ceti superiori, i l cui carat­tere viene determinato dalla grande maggioranza del popolo attraverso i l suffragio universale »: in questo senso — con-cludeva Bernstein su un terreno di perfetta convergenza con Kelsen — le concezioni del vecchio Lassalle sono state « confermate dalla storia » 6 7 .

Gl i sviluppi delia riflessione renneriana vanno precisa­mente in questa direzione. D i conseguenza essi presentano una analogia molto piú spiccata con la linea teórica di Hilfer­ding che non con quella di Kautsky. Hilferding, d'altron-de, era stato prima delia guerra uno degli esponenti di maggior rilievo di quella « comunità intellettuale » austro-marxista che — come scriverà Bauer nel '37 — « si tro­vava piú vicina ai filoni culturali del tempo di quanto non lo fosse la precedente generazione marxista dei Kautsky, dei Mehring, dei Lafargue e dei Plechanov » 6 8 e, pertanto, aveva saputo individuare tanto i l « nocciolo razionale » presente nella critica ' borghese ' di Marx, quanto i livelli di realtà (cioè i nuovi problemi posti dalle trasformazioni capitalistiche e dalPespansione del movimento operaio) r i -flessi dal « revisionismo » bernsteiniano — al quale non si poteva, di conseguenza, rispondere nei termini ortodos-samente difensivi di Kautsky. Rispetto ad Hilferding Ren­ner opera un'accentuazione del momento delia técnica sociale — e dunque una intensificazione ulteriore del confronto positivo con le teorie di Max Weber e di Hans Kelsen. Con i l risultato, però, di una riduzione an-

6 6 E . Bernstein, Die Arbeiterbewegung, Frankfurt a.M., 1910, p. 200. 6 7 E . Bernstein, Der Sozialismus einst und jetzt, Stuttgart-Berlin,

1922, p. 88. 6 8 O. Bauer, Max Adler. Ein Beitrag zur Geschichte des « Austro­

marxismus», in «Der Kampf» (Prag), IV, (1937), p. 297.

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cora piú nitida e inequivocabile del momento politico in ' quello giuridico.

Le tesi contenute nel suo volume del '24 L'economia come processo complessivo e la socializzazione paiono per molti versi anticipare la relazione hilferdinghiana di Kiel, da cui abbiamo preso le mosse. Anch'egli come Hilferding ' legge ' lo sviluppo capitalistico postbellico come progres­siva attenuazione delle contraddizioni (facendo leva su una interpretazione in senso gradualistico-lineare delia teoria marxiana del ciclo — la quale sarebbe « ancora va­lida sotto i l profilo metódico e applicabile praticamente, anche se i l suo campo di applicazione si è enormemente di-slocato » w . A consegnare i presupposti delia Sozialisierung è la stessa « automática del capitale » {Automatik des Ka-pitals)70'. Questa priva progressivamente i l capitalista del próprio ruolo direttivo, sostituendolo con la nuova intel-lighentsia tecnico-scientifica delia produzione: affiora cosi con nettezza di contorni quello che sara i l tema príncipe deli'analisi schumpeteriana delia transizione dalla raziona­lizzazione capitalistica degli anni Venti al socialismo, i l tema del « mutamento di funzione delTimprenditore » 7 1

(né va dimenticato che Schumpeter fu ministro delle finan-ze nel primo governo di coalizione, presieduto próprio da Renner, e che, per quanto i l dibattito austríaco sulla so­cializzazione non avesse toccato le punte alte d i quello te­desco — si pensi soprattutto a Walther Rathenau — , è nella « Vienna rossa » che si svolgono le famose polemi-che su economia di mercato e pianificazione accese dal « manifesto liberale » di von Mises e le discussioni sul-1'economia di guerra come primo esperimento di « capita­lismo organizzato » e sul calcolo económico in un'economia socialista, che Otto Neurath aveva portato addirittura den-

6 9 K. Renner, Die Wirtscbaft ais Gesamtprozess und die Sozialisie­rung, Berlin, 1924, p. 357.

» Ibidem, p. 368. 7 1 J . A. Schumpeter, Capitalismo socialismo democrazia, [1942],

Milano, 1967.

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tro i l consiglio operaio di Mónaco di Baviera) 1 1. L'automa-tismo organizzativo-adattivo non si limita tuttavia alia ra­zionalizzazione delia grande impresa, ma produce una ten-denza alia regolamentazione complessiva delia stessa sfera delia circolazione: se 1'epoca di Max Weber — afferma dunque Renner — è stata quella delia socializzazione delia produzione, i l dopoguerra è l'epoca delia socializzazione del mercato L'« automática del capitale » crea però soltan­to i « presupposti », ma non può produrre da sé, « spon-taneamente » {naturwiichsig), i l compimento delia Ratio-nalisierung (dalla produzione alia circolazione) e i l pas­saggio al socialismo. Fin qui la corrispondenza del ragiona-mento renneriano con quello di Hilferding è pressoché perfeita. Piú netta che in Hilferding è invece la torsione tecnicistico-giuridica del problema. I I limite del capitalismo organizzato sta nel dar luogo ad associazioni economiche, ad unità razionalizzate, che sono « società » soltanto de facto, ma non de fure. Se 1'esis'tenza di fasce di società di-rette e controllate de facto dalla nuova intellighentsia scien­tifica fa crollare tutte le obiezioni libero-concorrenziali al socialismo (dimostrando come sia lo stesso capitalismo che, con i l dispiegarsi delia «razionalità» in esso implíci­ta, emargina dal processo económico la figura del singolo imprenditore), ciò non deve tuttavia far perdere di vista la distanza che separa questo stato di fatto dal « de jure », dallo Stato di diritto. Colmare questa distanza è appunto // compito delia socializzazione. E la transizione altro non è che i l período di riforme graduali che sara necessário a coprirla 7 4 .

7 2 Cfr. L . von Mises, Die W irtschaftsrechnung im sozialistischen Gemeinwesen, in «Archiv fur Sozialwissenschaft», 1920 (poi in Cóilectivist Economic Planning, London, 1935); O. Neurath, Wesen und Wert der Sozialisierung, Miinchen, 1919; K. Polanyi, Sozialistiscbe Recbnungslegung, in « Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik », XII , (1922), pp. 377-420. Su tutto il complesso dei problemi connessi al dibattito austríaco sulla socializzazione si veda W. Ellenbogen, Die Fortschritte der Gemeinwirtscbaft in Osterreich, Wien, 1922.

7 3 Cfr. K. Renner, Die Wirtscbaft ais Gesamtprozess und die Sozia­lisierung, cit., p. 369.

7 4 Cfr. ibidem, pp. 370 sgg.

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Un progetto complessivo e consapevole di socializza­zione deve muovere pertanto dalle premesse oggettive con-segnate dallo sviluppo del capitalismo organizzato per: 1) imporre 1'eguaglianza giuridica delle unità socializzate delia produzione e delia circolazione; 2) portare a compimento i l processo di destituzione dei proprietari di ogni funzione direttiva e passare alia loro graduale espropriazione; 3) ap~ propriarsi delle tecniche del capitalismo organizzato per estendere la razionalizzazione alia società intera. Nella fase attuale dello sviluppo capitalistico, scrive Renner, «Pan-tagonismo principale che riporta a un comun denominato-re tutte le singole contraddizioni è dato dalPantitesi fra economia privata incontrollata (capitalismo) e economia so­ciale consapevole (socialismo) (...). I n questa lotta i l proleta­riato è i l portatore di quella che noi abbiamo chiamata — in-tendendola come sistema di provvedimenti successivi —

f socializzazione » 7 S . Ma, se i l proletariato è i l « portatore » (Tràger), i l soggetto del processo di transizione/socializza-zione, che elimina le residue « irrazionalità » e « disfunzio-ni » capitalistico-private del sistema, è lo Stato. Uimpasse in cui si verrà a trovare Hilferding quando dovrà definire i l rapporto tra economia e politica, capitalismo organizzato (con la sua «legalità » immanente, ma anche con le crisi e i íiuovi « bisogni sociali » che esso sprigiona) e Stato democrático (con i « suoi » partiti e i « suoi » Gemein-schaftskõrper), viene qui ' risolta ' preliminarmente me­diante una traduzione senza residui del Politico nel Giu-ridico. Coincidendo con la regolazione giuridica dei rap­porti di scambio, la Sozialisierung ha nello Stato garanti-sta/amministratore i l vero protagonista di una trasforma­zione di cui la classe operaia è soltanto i l supporto: « I/au­tentico problema delia socializzazione sta nel processo gra­duale di sostituzione, da parte dello Stato, del ' vecchio sistema delia circolazione ' con una ' nuova organizzazione delia distribuzione ' » 7 6 .

« Cfr. ibidem, p. 378. Ibidem, p. 379.

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Partito dalPambizioso programma di saldare P« impe­rativo categórico delia socializzazione » (di assicurare, cioè, la continuità ad ogni costo del meccanismo económico) con 1'assunzione da parte del movimento operaio dello Stato esistente nella totalità delle sue funzioni giuridico-am-ministrative, Renner approdava cosi a una tacita identifi-cazione delia « técnica sociale » con i l « prowedimento le­gislativo ». La sua ipotesi è, pertanto, ancor piú schietta-mente di quella hilferdinghiana, « socialtecnocratica ». Ma, per questo stesso motivo, essa appare anche piú utopistica: 1'idea delia socializzazione come sviluppo senza crisi, pro­gresso senza rotture, che in Hilferding si fondava su un aggiornamento dello schema delia Parlamentarisierung at­traverso la funzione integratrice delle istanze partecipative dentro i l formalismo istituzionale del Parteienstaat, si pre-senta in Renner come mera traduzione del « de facto » nel « de jure », come razionalizzazione normativa delia sfera delia circolazione, dunque: come una vera e própria utopia redistributiva.

È próprio per combattere questa visione statalista del­ia transizione alPinterno del partito che Bauer aveva invece sviluppato la sua teoria dello Stato democrático come e-spressione di una fase di equilibrio del rapporto di forza tra le classi. Netta è la riconduzione — nella sua impor­tante risposta a Kelsen — di questa tesi alPanalisi marxia-na del « cesarismo », costruita sulla base delPesempio fran-cese del dicembre 1851, in cui entrambe le classi sareb-bero assoggettate ad un potere statale autonomizzato

7 7 Cfr. O. Bauer, Das Gleichgewicht der Klassenkràfte, in «Der Kampf», X V I I , (1924), pp. 57 sgg., ora in AA.VV., Austromarxismus, cit., p. 87. È importante notare come questa ripresa del discorso sullo Stato a partire daU'analisi marxiana del « bonapartismo » accomuni certe posizioni delia sinistra socialdemocratica (da Bauer a Rosenberg) a quelle delia c.d. « opposizione di destra » del Partito comunista tedesco (Thalheimer) e polacco (Stawar). In un'analoga direzione vanno anche le analisi del fascismo di Trotskij e di Gramsci. II fatto che anche questa línea di rilancio delTanalisi marxista dello Stato — che pure rappresenta negli anni '30 il filone piú vitale e originale del movimento ope­raio — denunci gravi aporie e insufficienze, apre un problema assai ri-

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E qui Bauer introduce una significativa critica a quello che egli chiama « marxismo volgare » {Vulgàrmarxismus), consistente in una reductio delPintero complesso catego-riale marxiano agli « assiomi generali », i quali, « estrapo-lati dal loro contesto storico-sistemático », vengono da es­so « affastellati » e « dogmatizzati » 7 8 . Uno di questi assio­mi è appunto quello dello Stato come strumento delia dit­tatura di classe, che, propagatosi con la vulgata (resa sto-ricamente necessária dalPesigenza di trasmettere alie mas­se in lotta lo scheletro delle teorie marx-engelsiane), viene identificato dai critici come la sola proposizione che i l mar­xismo abbia saputo emettere attorno alia natura e alia di* namica dello Stato moderno: « L a critica corrente di Marx », scrive Bauer, « conosce soltanto questo marxismo, volgare, ed è pertanto soltanto esso a costituire Toggetto delia sua critica. I I procedimento di Kelsen ne è un típico esempio: Kelsen sa di Marx, per 1'appunto, solo quel che í sa i l marxismo volgare: che Marx ha rappresentato lo Stato! come organizzazione del domínio delia borghesia. Delle; molteplici modificazioni di questo assioma generale, delle: ulteriori approssimazioni ai fatti, cui Marx stesso è per-'; venuto nelle sue indagini particolari, Kelsen non sa mente, -:

o quantomeno non le prende in considerazione. E appena s'imbatte, come nel nostro caso, in una di queste modifica­zioni, la considera un abbandono di Marx, qualcosa di in-j; conciliabile con Marx! » 7 9 . ,J

L'efficaria del marxismo critico nei confronti del « mar-,; xismo volgare » sta dunque n*eN Annàherungsverfahren, in/ quel « método deU'approssimazione » o « procedimento;! d'approccio », che Bauer mutua direitamente dalPepisteMt mologia di Ernst Mach *°, le cui tesi egli trasferisce sul te£ !

levante di aggiornamento e di revisione sostanziale di alcune catego" teoriche.

™ Ibidem, p. 90. 7 9 Ibidem. 8 0 Dopo un breve periodo «neokantiano» (attestato dall'arti

Marxismus und Etbik, in « Die Neue Zeit», XXIV, (1905-06), vol. pp. 485-499), Bauer aderi, attorno agli anni delia guerra, al machr forse sotto l'influenza di Friedrich Adler, i l quale aveva tentato

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reno delia « scienza politico-sociale ». Tener presente la necessita di rapportare gli assiomi generali ai fatti, attra­verso tappe graduali d i avvicinamento, è per Bauer indi-spensabile, se si vuole dare una risposta veramente adegua-ta alPattacco di Kelsen, nella cui critica egli scorge la pre-senza di un nodo reale, connesso alia novità dei processi storici in atto (e dei compiti politici inediti che si pongono alia socialdemocrazia). D i fronte a questi nuovi problemi e compiti i l movimento operaio non può piú continuare a cul-larsi nell'alveo di ottimismo in cui lo aveva morbidamente adagia to, nel periodo delia gloriosa ascesa prebellica, una visione cosmico-storica (própria, diremmo oggi, delia for­ma di « razionalità » dominante nella Seconda Internazio­nale) che — ponendo una identificazione (o una dipenden-za lineare) tra piano morfológico delle leggi dinamiche so­ciali (gesellschaftliche Bewegungsgesetze) e piano storico delia loro operatività effettuale — prescriveva alia lotta di classe un decorso ineluttabile al culmine del quale stava i l socialismo. I I movimento operaio deve invece superare la « stagnazione » teórica producendo uno sviluppo del mar­xismo, determinando e articolando, cioè, quella teoria po­litica che Marx ha soltanto imposta to, attraverso i l con­fronto con una costellazione storica assai piú complessa. Sviluppare concettualmente e pratiçare analiticamente — attraverso V Annàherungsverfahren — i l 'campo di ten-sione ' situato tra gli « assiomi generali » e i « fatti » sto-rico-sociali è i l solo modo per rivitalizzare i l marxismo, re-stituendogli la capacita esplicativa delia « situazione spe­cifica ». D i conseguenza, lo stesso « stato d i equilíbrio »

fusione delle teorie di Mach con il marxismo: cfr. Ernst Machs Vber-windung des mechanischen Materialismus, Wien, 1918 (ora in trad. it.: F. Adler, Ernst Mach e il materialismo, a cura di Antimo Negri, Roma, 1978). È interessante notare come VAnnàherungsverfahren fosse stato tradotto in quel periodo sul terreno delia teoria sociale da diversi intel­lettuali marxisti. La temática del « procedimento d'approccio » come base metódica del criticismo marxiano — in polemica contro ogni forma di en­ciclopedismo e di « pretesa al sistema » — si ritrova infatti anche in un economista che avversò fortemente il « neoarmonicismo » baueriano: H . Grossmann, Saggi sulla teoria delle crisi, a cura e con un'introduzione di G. M. Bonacchi, Bari, 1975.

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(Gleichgewichtszustand) non deve essere soltanto formula-', to nei termini di una teoria generale, ma piuttosto ' predi*' cato' negli aspetti particolari che esso assume nella fase) odierna 8 1.

L'espressione peculiare dello « stato di equilibrio » nel»1' 1'attuale época storica è per Bauer la crisi delia democrazia * formale: « La crisi generale del parlamentarismo tradizio* • nale è una forma di manifestazione dell'equilibrio delle, Í forze di classe » 8 2 . Le procedure formalizzanti delia Parla* mentarisierung entrano in crisi in due modi: 1) in una siÊ1

tuazione in cui Pequilibrio si traduce in un forte controllqt1

reciproco delle classi — controllo reciproco che può contit nuare (come di fatto era accaduto in Áustria e in Germar anche dopo la rottura delia coalizione governativa — , _ cui si ha non solo uno svuotamento degli istituti rappt£jf sentativi, ma anche delPesecutivo (con un venir meno ddbi Pefficacia decisionale delia democrazia); 2) in una sit zione in cui Papparato di Stato si « autonomizza » eser tando una dittatura su tutte le classi. Questa seconda i luzione è presente in due espressioni statali opposte per it contenuto di classe, ma simmetriche per la forma: lo Stat fascista e lo Stato bolscevico. Come in Itália, infatti, 1| borghesia ha dovuto al principio degli anni Venti cons©< gnare i l potere statale nelle mani del partito fascista, ifl^ cambio delia salvaguardia dei propri privilegi dalla mina©» cia proletária, cosi lo Stato delia Nep ha dovuto assoggejt̂ tare sotto la própria dittatura tutte le classi, bilanciando ít$\ loro gli interessi degli operai, dei contadini e delia « nuova,' borghesia » 8 3 . 1

Non v i è dunque per Bauer risposta al problema istitu* zionale che possa eludere i l dato di fatto storico del faliu mento del parlamentarismo ed evitare di porsi Pobiettivo di « garantire Paccordo fra governanti e governati in mo­do piú compiuto di quanto non avvenga con la democrazia

8 1 Cfr. O. Bauer, Bas Gleichgewicht der Klassenkrãfte, cit., pp. 88-90» 8 2 Ibidem, p. 91. 8 3 Cfr. ibidem, pp. 91-92.

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puramente parlamentare » M . Nel suo libro del '23 La rivo­luzione austríaca, egli aveva indicato la soluzione del pro­blema in una combinazione delle due forme di democrazia che si erano sviluppate parallelamente dal grembo delia so­cietà capitalistica: la « democrazia politica » e la « demo­crazia industriale », o « democrazia funzionale ». Mentre la prima, che consiste nelPorganizzazione democrática dello Stato rappresentativo e delle sue articolazioni istituzionali, « conosce soltanto i l Cittadino genérico », la seconda, co-stituita dal tessuto delle grandi organizzazioni sindacali e di consumo operaie, dalle associazioni professionali degli impiegati e dei tecnici e dalle cooperative contadine, orga-nizza i lavoratori secondo la loro collocazione e funzione nel processo produttivo M . Proporre una tale combinazione non significa — chiarisce Bauer rispondendo a Kelsen — abbracciare la tesi organicistica e antimarxista dell'« unità del popolo »: « La democrazia funzionale era la forma spe­cifica delPesercizio del potere da parte delia classe operaia. E Kelsen fraintende la mia esposizione a tal punto da rite-nere che la mia teoria delia democrazia funzionale sia i l r i ­sultato di una concezione organicistica dello Stato, incon-ciliabile con la dottrina delia lotta di classe! » M . È stata próprio questa presenza organizzata delle masse a- deter-minare quella rottura qualitativa rispetto al vecchio Stato e ai vecchi rapporti che Kelsen vuole invece negare e ridurre a un mero dato di incremento evolutivo: « I n realtà i l rivoluzionamento del modo complessivo di operare e di atteggiarsi dello Stato in Áustria è stato cosi completo anche perche non si è trattato di un semplice spostamento dei rapporti di potere nelPambito di uno Stato già esisten-te, bensí di una vera e própria fondazione di un'organizza-zione statale completamente nuova. (...) Tutta la critica di Kelsen nega la differenza essenziale tra lo Stato prerivolu-zionario e quello postrivoluzionario. Egli non vuole rico-

8 4 Cfr. O. Bauer, Die ôsterreichische Revolution, cit., p. 187. 8 5 Cfr. ibidem, pp. 188-189. 8 6 O. Bauer, Das Gleichgewicht der Klassenkrãfte, cit., p. 94.

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noscere questo mutamento sostanziale per i l passato per­che intende scuotere la fiducia in una futura trasformazione sostanziale dello Stato » 8 7 . Kelsen mira pertanto, al pari di tutta la nuova e piú avvertita critica borghese di Marx, a « derivoluzionare » (entrevolutionieren) — scriverà Bauer nel suo già ricordato articolo del '37 8 8 , introducendo un concetto per molti versi análogo a quello gramsciano di « rivoluzione passiva » — i l movimento operaio, inducen-dolo a rinunciare definitivamente alio Endziel e alia « vec-chia dottrina marxista delia lotta di classe » e delPestin-zione dello Stato (dottrina fondamentalmente « anarchica », própria di un'opposizione ristretta, ancora corporativa), accogliendo la forma-Stato garantista come un dato storico definitivamente acquisito e, al tempo stesso, come i l model-' lo piú « razionale » (nel senso delia razionalità formale we-beriana) e « progressivo ». La « storia degli ultimi anni » basta invece, per Bauer, a sfatare questa illusione e a di-mostrare che 1'equilibrio dei rapporti di forza tra le classi, lungi dal costituire una situazione armonica o uno « stato normale », rappresenta invece un momento dinâmico: men­tre nel 1918-19 si era avuta in Europa la prevalenza delia classe operaia, e quindi del momento « consiliare » delia democrazia funzionale, cui era subentrata negli anni suc-cessivi una situazione di equilíbrio, a partire dalPautunno del '22 tende a prevalere una « oligarchia funzionale » che riflette i l contrattacco delia borghesia protesa a restau-rare in nuove forme (e qui Bauer pensava probabilmente soprattutto all'awento del fascismo in Itália, ma forse anche alie tendenze alia stabilizzazione capitalistica che si erano profilate, a partire dal '23, nella stessa Germânia di Weimar), smantellando o minando alie basi le postazioni democratiche costruite dalla classe operaia nella società e nello Stato 8 9.

L'impostazione baueriana, nella misura in cui concet-

87 Ibidem, p. 95. «8 O. Bauer, Max Adler, cit., p. 298. 8 9 Cfr. O. Bauer, Das Gleichgewicht der Klassenkrãfte, cit., pp. 93-94. 130

tualizzava i l rapporto dinâmico che si era venuto a stabilire tra Stato e classi sociali, presentava una maggiore comples-sità politica rispetto alia pur notevole risposta che aveva dato due anni prima a Kelsen Max Adler in La concezione marxista dello Stato. La ridefinizione adleriana del rappor­to dittatura-democrazia (che si verrà poi ulteriormente pre­cisando nel '26 e nel '33 per quanto fondata su una magistrale lettura dei testi di Marx, non andava infatti ol-tre — come d'altronde quella di Karl Korsch 9 1 — i l r i -lievo delia indeterminatezza istituzionale delia nozione mar-xiana di « dittatura del proletariato ». Momento costituti-vo di questa operazione — che per Adler avrebbe dovuto avere un'efficacia dirimente nella controvérsia tra social­democrazia e leninismo — era la distinzione tra « democra­zia politica » e « democrazia sociale »: mentre la prima, e in genere « tutte le altre forme che vengono designate come democratiche », rappresenta (in quanto muove dal presupposto liberale delPatomizzazione delia società in in-dividui astratti) la costituzione formale di una « volontà generale » in funzione degli interessi particolari di una classe che domina sulle altre, e pertanto una forma di dit­tatura, la seconda viene a coincidere con la democrazia reale, possibile nella sua pienezza soltanto in una società senza classi. Ragion per cui la democrazia politica, cosi come è stata una delle forme in cui si è storicamente eser-citata la dittatura borghese, può essere anche una delle forme di esercizio delia dittatura del proletariato: la « so-stituzione delia dittatura borghese con la dittatura prole­tária », dunque, non deve necessariamente aver luogo nel­la forma delia dittatura aperta del bolscevismo, ma può svolgersi anche (e questa è per Adler la strategia di transi­zione adeguata ai paesi ad avanzato sviluppo capitalistico)

9 0 Cfr. M. Adler, Democrazia politica e democrazia sociale [1926], Ro­ma, 1945; Id., Linkssozialismus, Karlsbad, 1933 (trad. it. in appendice a G . Marramao, op. cit., pp. 258 sgg.).

9 1 Cfr. K. Korsch, Kevolutionâre Kommune II, in «Die Aktion », XXI (1931), nn. 3-4, p. 64; trad. it. in K. Korsch, Scritti politici, 2 voll., a cura di G. E . Rusconi, Bari, 1975, pp. 265-266.

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« nelle forme delia democrazia politica » n . Ma, una volta stabilito che 1'inconciliabilità di principio non è tra ditta­tura e democrazia politica, bensí tra dittatura e democrazia sociale, si dice ben poco circa i reali meccanismi di fun­zionamento dello Stato nel capitalismo organizzato: di qui la difficoltà di produrre, a partire da questa impostazione teórica, delle indicazioni strategiche determinate per i l « periodo di transizione ». Questa impasse è d'altronde te-stimoniata dai successivi sviluppi delia riflessione di Adler, i l quale — nel tentativo di fornire uno statuto teórico coe­rente ed orgânico al Linkssozialismus — approderà ad una riassunzione surrettizia dei temi delia teoria catastrófica e ad un irrigidimento propagandistico-dottrinario dello Endziel93.

Non meno problematici — malgrado la maggiore deter-minatezza e complessità — si presentano gli esiti delia r i ­flessione baueriana. I I carattere dinâmico delia « situazione di equilibrio » viene infatti praticamente sviluppato solo nei termini delia sua provvisorietà H. Ma, una volta affer-mato i l carattere transitório delPequilibrio delle forze di classe, Bauer non si interroga sulle cause che in Áustria (e in Germânia) hanno fatto perdere alia socialdemocrazia la battaglia nel governo di coalizione, rendendo possibile la sua emarginazione da tutte le principali istanze di controllo degli apparati statali. E non è un caso che dal suo teorema dello Stato democrático come parallelogramma del rappor­to di forza tra le classi, la socialdemocrazia austríaca sap-pia ricavare soltanto 1'esile corollario delia necessita di sal-vaguardare, contemporaneamente ma separatamente, l'au-

9 2 M. Adler, Die Staatsauffassung des Marxismus, cit., p. 191. 9 3 Ir» un saggio scritto al principio degli anni Trenta, come contri­

buto al dibattito interno al «socialismo di sinistra» mitteleuropeo (nella fase che prelude all'ultima scissione dalla SPD e alia nascita delia SAP) , Adler parla delia crisi mondiale in corso come delia « fase finale del sistema capitalistico » — in termini, dunque, non molto diversi da quelli di Varga e del Comintern. Cfr. M. Adler, Die soziale Revolution, in AA.VV., Die Krise des Kapitalismus und die Aufgaben der Arbei-terklasse, Berlin, s.d. (ma 1931), p. 141.

9 4 Cfr. O. Bauer, Das Gleichgewicht der Klassenkrãfte, cit., p. 94.

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tonomia « sociale » delia classe e la « legalità costituziona­le » dello Stato, dando luogo — próprio nel '23 — alia costituzione delia organizzazione paramilitare dello Schutz-bund. Ma i l paradosso delia « custodia delia Costituzione » con mezzi completamente extraparlamentari e extraistitu-zionali non poteva non portare a un progressivo arretra-mento di quella che si presentava come una linea di mera « difesa » dell'« ordine repubblicano » — fino al totale immobilismo politico del « blocco operaio ». Aila disarti-colazione di « sociale » e « politico » che caratterizza — su sponde opposte — la tattica delia SPD e delia SPÕ fa riscontro un contrattacco capitalistico che, facendo leva sugli apparati di potere, da esso saldamente controllati a partire dal '23-24, organizza — come in Áustria — i l con­senso antioperaio del « ceto médio » e delia « piccola bor­ghesia agraria », o strumentalizza — come in Germânia — 1'insubordinazione sociale (che la Kpd weimariana si limi­ta, negli anni delia crisi, a « rappresentare », enfatizzando i l « primato delPeconomia »), ritorcendola contro una so­cialdemocrazia oggettivamente compromessa con lo Stato. L'ottimistica fiducia nella possibilita di edificare un Rechts-staat sociale, che porto Hilferding alia fatale sottovaluta-zione del pericolo nazionalsocialista (come ricorda Franz Neumann nel Behemoth 9 5) e a un non meno fatale rifiuto delle misure anticongiunturali proposte da Woytinsky 9 6 , trova per noi i l suo riscontro nel rifiuto baueriano di for-mare nuove coalizioni sotto i l cancellierato di Seipel, la cui azione di lento logoramento delle trincee « sociali » delia socialdemocrazia austríaca mostro la sua efficacia al­lorché Dollfuss sciolse nel marzo 1933 i l parlamento, sman-tellando nel giro di un anno tutti gli strumenti di « contro-potere » delia classe operaia. Per questo motivo, la famosa

9 5 Cfr. F . Neumann, Behemoth, cit., p. 51. 9 6 Sulla proposta di politica anticongiunturale avanzata nel '31 da

Wladimir Woytinsky cfr. — oltre alie sue stesse memorie (Stormy Passage, New York, 1961) — L. Valiani, La sinistra socialista nella crisi finale delia repubblica di Weimar, in « Rivista storica italiana », 1970, n. 3, pp. 704-713, e G . E . Rusconi, op. cit., pp. 382-384.

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insurrezione del febbraio del '34, che vide la resistenza ope­raia contro Pesercito condotta fino alPestrema difesa delle « rocche rosse » viennesi, fu un gesto, prima che eroico, disperato: Pui timo atto di un grande movimento che, par­tito con Pambizioso progetto di tracciare una « terza via » tra i l modello soviettista del leninismo e la democrazia senza qualità del Sozialismus weimariano, aveva finito per r i -produrre gli errori di entrambi, con un'oscillazione involon-tariamente confermata dalPorgogliosa (e al tempo stesso rassegnata) aífermazione fatta da Bauer dopo la sconfitta: « Noi abbiamo dato al socialismo riformista la grande opera delia Vienna rossa, al socialismo rivoluzionario Patto eroico delPinsurrezione di febbraio in difesa delia repubblica » 9 7 .

Questa frase fu scritta da Bauer nella sua già ricor-data opera dei '36, nella quale i problemi che i l Linksso-zialismus aveva imposta to nel '27 con la rivista « Der Klassenkampf » (coordinata da Paul Levi e Max Adler), senza tuttavia risolverli (approdando, negli anni delia gran­de crisi, a un economicismo catastrofista non dissimile da quello delia Terza Internazionale), vengono autocritica-mente riconsiderati attraverso una ricognizione delle tre crisi che attraversano Pepoca contemporânea: « la crisi eco­nómica mondiale, la crisi delia democrazia, la crisi del so­cialismo ». Ma anche in questo ultimo tentativo — che rimane uno dei piú importanti documenti del dibattito in­terno al movimento operaio fra le due guerre — , la ricchez-za e pertinenza delle analisi (particolarmente lúcida ed ef-ficace, ad esempio, quella del fascismo) non è sostenuta da un autentico progetto politico, bensí dalla vecchia ideolo­gia di un « socialismo integrale », inteso come sin tesi di riforme e rivoluzione, democrazia politica e democrazia sociale: segno di una patológica scollatura che aveva radice nella originaria incapacita del movimento socialdemocrati--co di definire i problemi strategici e organizzativi a partire dalla modalità specifica in cui le trasformazioni capitalisti-che e la nuova morfologia del nesso economia-politica s'in-

9 7 O. Bauer, Zwischen zwei Weltkriegen?, cit., p. 350.

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trecciano con la composizione e la dinâmica complessiva delle classi modificando profondamente anche i termini del rapporto tra Stato e « blocco dominante ».

Ed è questo rapporto che va oggi tutto ripensato, alia luce delVattualità in cui si presentano i nodi teorici di que­ste due esperienze fallimentari del movimento operaio mit-teleuropeo: poiché se la debolezza delPipotesi di un Hilfer­ding (o di un Renner) sta nel fatto di restituire la faceia piú pallida e datata del weberismo — Pillusione di un'integra­zione tutta parlamentare d i una dinâmica sociale profon­damente mutata dalla razionalizzazione98 —, i l fallimento di Bauer ci impone di verificare se la causa di molti dei r i -tardi delia teoria marxista rispetto alPodierna complessità e crucialità del problema istituzionale non stia próprio nei limiti di dottrinarismo insiti nel teorema dello Stato come parallelogramma del rapporto di forza tra le classi.

9 8 Per questi aspetti si vedano gli importanti contributi critici di M. Cacciari, Sul problema deli'organizzazione. Germânia 1917-1921, in-troduzione a G . Lukács, Kommunismus 1920-1921, Padova, 1972, e B. De Giovanni, Lenin, Gramsci e la base teórica del pluralismo, in « Cri­tica marxista », 1976, nn. 3-4, pp. 29-54. Entrambi questi saggi mettono a fuoco — da angolazioni diverse — il rapporto Lenin-Weber e sottoli-neano la necessita per il movimento operaio di produrre un confronto teorico-politico con 1'impresa weberiana.

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FERRUCCIO MASINI

« R I V O L U Z I O N E C O N S E R V A T R I C E » E I D E O L O G I A D E L L A T É C N I C A

N E L L A R E P U B B L I C A D I W E I M A R

Se si considera la situazione degli intellettuali nella re­pubblica di Weimar nella prospettiva del rapporto man-cato, fallimentare o irrealizzato tra cultura e società, o meglio ancora, tra cultura e politica, è indubbiamente le-gittimo ricondurre alPisolamento delia intellighentzija — un isolamento anche ' voluto ' e aristocraticamente o ni-chilisticamente esaltato — una delle cause del progres­sivo declino delia democrazia e infine, nel '33, delia sua distruzione. Ma è appunto Pentità e i l differenziarsi dia-lettico delle posizioni ideologiche, cosi come si sono an-date configurando nel quadro di quest'isolamento, e quin­di la portata stessa di questa divaricazione tra la ' causa' delPintellettuale e quella delia democrazia, a costituire un problema ancora suscettibile di approfondimento. Lo iato tra cultura e società ha alia sua base i l fallimento delia r i ­voluzione di novembre e quindi la progressiva disgregazio­ne di quella sinistra comunista e di quel radicalismo di si­nistra (Lmksradikalismus), che ad onta degli sforzi per Pelaborazione e la realizzazione di progetti alternativi po-litico-culturali, non potevano uscire indenni dai contrac-colpi sociali delia sconfitta e dal persistere degli antagoni-smi e delle contrapposizioni massimalistiche.

Basterà rkordare la c.d. Kumtlump-Kontroverse, la polemica nata tra John Heartfield e George Grosz a pro­pósito delPappello rivolto da Kokoschka ai partiti, nel qua­le si protestava per i l danneggiamento di un dipinto di Rubens a causa delle sparatorie avutesi a Dresda durante i l putsch di Kapp nel 1920. AlParticolo di Heartfield-Grosz, apparso in « Der Gegner », nel quale si esponeva la tesi

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di una radicale rottura con.Parte e la cultura borghese, con-, dannando la « masochistica venerazione » dei loro « valori storici », rispondeva, sulle colonne delia « Rote Fahne Gertrud Alexander in difesa del recupero, da parte del proletariato, delPeredità artística del mondo borghese.

Richiamandosi alia distinzione, già operata da Mehring, tra fase ascendente e fase di decadenza delia borghesia, la Alexander riaffermava la necessita di tener salda un'esté­tica normativa, capace di innalzare le sue proposizioni uni-versali anche oltre i l presente, al di sopra di qualsiasi ten­tativo di surrogare Parte, nei suoi contenuti di emancipa-zione sociale, con le nuove filiazioni delPavanguardia. Se si considera come la tendenza massimalistica, presente in un primo tempo anche alPinterno delia KPD, avesse intro-dotto nuove divisioni nella classe operaia, con la creazione delia AAU {Allgemeine Arbeiter-Union) e con un nuovo partito comunista, la KAPD {Kommunistische Arbeiter-Par-tei Deutschlands), e se si ricordano le posizioni di uno scrittore come Max Herrmann-Neisse, già appartenente al circolo espressionista delia « Aktion » e molto vicino ai gruppi dellVltra-Linke — posizioni che sottolineavano i l rifiuto, sia di un'appropriazione trasformatrice delia cul­tura borghese da parte delia classe operaia, sia di una dif-ferenziazione tra arte borghese in ascesa o in decadenza, ai fini di una utilizzazione rivoluzionaria — se si considera tutto questo non sara diíEcile comprendere come la bat-taglia per una definizione teórica delia letteratura rivolu-zionar-proletaria fosse pesantemente condizionata dalPa-strattezza delle sue ipotesi metodologiche e dalPacuirsi del­le tendenze scissioniste e settarie. I n questo contesto dove-vano restare sterili anche alcuni momenti di ricomposizione, quale fu la fondazione, da parte dei due partiti comunisti, degli anarco-sindacalisti delia FAUD [Frei Arbeiter-Union Deutschlands) e delle altre organizzazioni estremiste, di una ' Comunità di lavoro delle organizzazioni operaie ber-linesi per un Teatro Proletário ' (1920). Si tratta di una iniziativa strettamente connessa al teatro fondato da Erwin Piscator e Hermann Schúller dopo i l fallimento del ' Bund

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fiir proletarische Kultur ' e del primo ' Teatro politico '. Sullo sfondo delia rivoluzione di novembre e del pro­

gressivo rarefarsi delle istanze spontaneistico-rivoluzionarie, favorite nel loro sviluppo dalla debolezza delia KPD, si pro-filano i tratti caratteristici di quella intellighentzija radicale piccolo-borghese, destinata ad allontanarsi, dopo i l '23, dalla classe operaia e dalle sue organizzazioni. Insieme a Hermann-Neisse si potrebbero ricordare, a questo propó­sito, Julian Gumperz, Hermann Schúller, Franz Jung, Franz W. Seiwert, Oskar Kanehl. A l t r i intellettuali, non privi a suo tempo di simpatie per Pultrasinistra, come Johannes R. Becher e Friedrich Wolf, finiranno invece per legare le loro sorti alia politica culturale delia KPD, dopo i l consoli-damento operato in essa da Thãlmann.

DalPanalisi delle « dinamiche politiche » — come le chiama Gian Enrico Rusconi — presenti nella « democra­zia contrattata » di Weimar x, risulta evidente che le linee di movimento ideologico-culturale gravitano non già su una letteratura proletar-rivoluzionaria e neppure sulPinse-rimento degli intellettuali comunisti in una strategia rivo­luzionaria capace di egemonizzare i ceti medi anche attra­verso un'analisi piú spregiudicata e realista delle compo-nenti teoriche e storiche delPideologia borghese. Queste linee di movimento passano invece attraverso i l confuso caleidoscópio — « un caleidoscópio tedesco » 2 , lo definisce Kurt Sontheimer — delia intellighentzija nel tempo delia repubblica di Weimar. Un comune denominatore è indub-biamente identificabile nelle molteplici e anche opposte sfrangiature ideologiche: Postilità e la critica ad un siste­ma che è appunto impostato sugli squilibri strutturali pro-pri di un patto sociale di fondazione, per i l quale « i l po­tere reale » risulta « dislocato fuori dagli istituti politici in senso stretto, verso le grandi organizzazioni, padronali in-

1 Si veda G . E . Rusconi, La crisi di Weimar. Crisi di sistema e scon­fitta operaia, Torino, 1977.

2 K. Sontheimer, Weimar-ein deutsches Kaleidoskop, in Die deutsche Literatur in der Weimarer Republik, a cura di W. Rothe, Stuttgart, 1974, pp. 9 e ss.

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nanzitutto » 3 . Non basta dire — come fa Sontheimer — che i l « signum » delPetà weimariana è Y irrazionalismo, nel quale si esprimerebbe « una disordinata aspirazione alia totalità »*. Questa espressione rischia di esaurirsi in una connotazione tanto genérica quanto velleitariamente onni-comprensiva, nella quale è difficile cogliere i processi di dis­soluzione del quadro ideológico umanistico-liberale e di contemporânea reimpostazione di un nuovo assetto sopra-strutturale. I n quest'ultimo le motivazioni centrali delPir-razionalismo tedesco, quali i l culto di una comunità popo­lare (Volksgemeinschaft), nella quale si dissolvono le clas­si con i loro conflitti, risultano strettamente intrecciate al­ia progressiva degradazione del conservatorismo apolitico e alia spinta tecnológica delia razionalizzazione capitalistica.

Occorre pertanto individuare i tramiti attraverso i quali questo irrazionalismo ' libera ' energie primordiali, barba-rizzanti, cupamente distruttive: le forme nelle quali esse si dimostrano capaci di strutturare un mito politico; occor­re seguire i percorsi sotterranei deli'irrazionalismo per co-glierne i l loro sbocco nella reazione militante e soprattutto è necessário verificare se non fu una degenerazione ulte-riore delPirrazionalismo, i l nichilismo, a cementare, sul piano ideológico, le molteplici tensioni antagonistiche e ec-centriche latenti in quel campo di forze che è la società te­desca dal 1918 al 1933, esposta, per la stessa lógica dei suoi processi di decomposizione sociale e di riorganizza-zione del capitale su basi imperialistiche, a terr ib i l i ' tempe-ste magnetiche '. Inutile dire che questi tramiti appaiono molto complessi e persino contraddittori e che Pelemento agglutinante non è costituito dalPirrazionalismo come tale, quasi dovesse essere accettata, senza riguardo alie differen-ze specifiche, Pequazione irrazionalismo-barbarie, bensí dalla saldatura tra Pespropriazione delia cultura da un lato e la mitizzazione delPapolitico (o delia apolitía) dalPaltro, con la conseguente clôture delle elites intellettuali in un

3 G . E . Rusconi, Lezioni di Weimar, in « Rinascita », 30 settembre 1977, p. 33.

4 K. Sontheimer, art. cit., p. 17.

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mondo reso inabitabile, piú che dalla crisi esistenziale e dalla perdita delia ' sicurezza ', da un ottuso disprezzo ver­so le masse.

Ancora una volta gli intellettuali si rendono complici delia conservazione borghese, anche se disdegnano di as-sumere un ruolo ben definito nella reazione militante svi-luppantesi sulla linea di una tradizione ininterrotta, dai Freikorps alie SA. I n una sua opera antiprogressista del 1918, Betrachtungen eines Unpolitischen, Thomas Mann aveva detto che solo la forza conservante delPironia può dare alia dialettica tra spirito e vita i l suo equilibrio, cosi da impedire alia radicalità dello spirito di distruggere la vita medesima. I I borghese ' irónico ' (« Pironia è lo spirito del conservatorismo ») è Popposto esatto delPesteta poli­ticizzato — secondo Mann — próprio perche Pironia è quella « politica interna » che lo preserva dalPazione e gli consente di avere un rapporto di convenienza e di decoro con la sua stessa figura come artista 5. Nella sua ideale tra-sfigurazione di uno stato guglielmino come Kulturstaat che garantisce quel rapporto ironico-erotico delPartista con se stesso, sul quale si fonda Pessenza del conservatorismo, Mann si sforzava di esorcizzare Pinsidia democrática da lui intesa come « radicalismo utópico », per legittimare in ter­mini metastorici la stretta interdipendenza di spirito con-servatore e spirito apolitico. La parábola ideológica del-Pintellettuale radicalconservatore negli anni delia repubbli­ca di Weimar trova nelle tesi del giovane Mann i l punto di partenza di un'irreversibile degradazione, che mette ap-punto in luce Pambiguità sofistica di quelle ideali premes­se. Equivoca risulta dunque Paffermazione di Sontheimer, secondo i l quale quel che resta delia cultura degli ' anni v e n t i ' è solo Popera degli Aussenseiter, degli isolati, degli scrittori à 1'écart, degli apolitici. Riprendendo un'espressio-ne di Peter Gay 6 , Sontheimer scrive che la cultura weima-

5 Th. Mann, Considerazioni di un impolitico, a cura di M. Maria-nelli, Bari, 19773, pp. 502 e ss.

6 Die Republik der Aussenseiter, Frankfurt a.M., 1970, p. 44.

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riana fu «una danza sulForlo di un vulcano », le cui fi­gure eíEmere oggi ci affascinano. E conclude: « Per quanto la storia politica voglia prendere in esame i gorgogli e le eruzioni del vulcano, anche in futuro esisteranno per noi buone ragioni per studiare soltanto quella danza... » 7 . I n realtà se per Aussenseiter si deve intendere gli intellettuali dalla « politica interna », nel senso manniano di una apo-litía mediata o tradotta nelle mediazioni ideologiche pro-prie del conservatorismo borghese, quella danza acquista ben presto 1'aspetto di un macabro balletto, non soccorso piú neppure dal rituale delia ' decenza ' del grande scrit-tore di Lubecca.

Sono questi Aussenseiter a costituire i l ' caleidoscópio tedesco ', la cui ambiguità irrazionalistica è identificabile, paradossalmente, próprio nelle sue tensioni anticapitalisti-che e antiborghesi. A l tipo di critica delia cultura esercitata su basi conservatrici negli anni delia repubblica di Weimar non è estranea la tendenza delia « coscienza singola », come nota Adorno a propósito delia Kulturkritik in generale, a sviluppare « i l lato negativo delia sua liberta », cioè « l'e-redità delia situazione anarchico-monadologica, Pirrespon-sabilità » 8 . Acutamente Adorno aveva sottolineato i l mo­mento intrinsecamente irrazionalista di questa critica delia cultura. « Se questa ha strappato lo spirito dal suo intrec-cio dialettico con le condizioni materiali, del pari lo con-cepisce univocamente e rettilineamente come principio del­ia fatalità, con ciò reprimendo la resistenza sua própria. Precluso è al critico delia cultura i l riconoscere che la rei-ficazione delia vita stessa non riposa tanto su un eccesso, bensí su un difetto di rischiaramento [Aufklãrung] e che le mutilazioni che all'umanità vengono inferte dalPattuale razionalità particolaristica, altro non sono che i marchi d'infamia delPirrazionalità totale » 9 .

7 K. Sontheimer, art. cit., p. 18. 8 T. W. Adorno, Critica delia cultura e società, in Prismi, Torino,

1972, p. 6. 9 Ibidem, pp. 9-10.

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È stato detto che la cultura weimariana venne portata alia sua própria fatale autodistruzione dal progressivo estendersi di quella corrente che uni anche la cultura alia politica 1 0. Ma se si tiene presente che la Kulturkritik piú imponente esercitata contro lo Stato e Ia società civile in questo periodo è quella espressa dalla cd. « rivoluzione conservatrice », nella quale è compreso peraltro anche i l Mann delle Considerazioni di un apolitico, è legittimo af-fermare che la divaricazione tra cultura e politica, lungi dall'essere superata nel quadro di un'appropriazione critica dei problemi e delle contraddizioni reali, venne esasperata dalla politicizzazione irrazionalistica dei temi propri delia Lebensphilosophie. Nota infatti Priimm: « Le categorie delia filosofia delia vita si spostano a causa delia forzata politicizzazione in campi metafisici e trasmettono alia rivo­luzione conservatrice 1'illusione di essere un movimento che pensa e agisce in termini politici » La critica delia cul­tura, come critica destabilizzatrice dello Stato weimaria­no, porto per questa via alia capitolazione delia cultura di fronte alia brutalità pragmatico-demagogica delle ' camicie brune ': la stessa capitolazione si determina, per altro ver­so, anche in quelle frange delia rivoluzione conservatrice in cui questa politicizzazione non avvenne o awenne solo parzialmente. I n altre parole, vennero in questo modo ipo-statizzate o sublimate le contraddizioni per effetto del cli­ma di disfacimento e di catástrofe epocale che isolo ulte­riormente la cultura rispetto alia politica e forni un alibi alia sua irresponsabile indiíferenza di fronte alPimpotenza delle istituzioni democratiche e alia paralisi dei movimenti di massa delia sinistra. Qualcosa di simile era avvenuto anche nel tentativo liberale di prefigurare gli intellettuali come un'elite sospesa al di sopra delle classi e investita del compito di tener viva la tensione verso 1'utopico di fronte alia mistificazione ideológica degli interessi di classe e ai

1 0 K. Sontheimer, art. cit., p. 17. 1 1 K. Priimm, Die Literatur des Soldatischen Nationalismus der 20

er ]ahre (1918-1933), 2 voll., Kronberg Taunus, 1974,1, p. 34.

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minacciosi processi di razionalizzazione capitalistica. M i riferisco al tentativo, teorizzato da Karl Mannheim, di proiettare al di sopra delle classi una « freischwebende Intelligenz », xm'intellighentzija sospesa nel suo spazio di liberta, e piú ancora alie conseguenze di quella dissocia-zione delPideologia borghese dalla prassi del capitalismo che già Brecht aveva acutamente intravisto. « Le intenzio-ni delia borghesia — cosi annota — non comportano, per esempio, conclusioni di alcuna specie in ordine alia bor­ghesia stessa. Una gran parte delia borghesia ritiene sporco, per esempio, i l puro guadagno di denaro, ma si guarda bene dal fare qualcosa. I n realtà le sue azioni sono molto piú razionali delle sue intenzioni » n .

Aila crisi del liberalismo corrispondeva i l senso d'impo-tenza dinanzi al « vuoto dei valori», la sfiducia profonda nella possibilita delia cultura d'integrare in un quadro ideológico, ristrutturato in senso antiumanista, quelle forze attive che erano scaturite dal declino delle istituzioni de-mocratico-liberali per mettersi al servizio delia destabiliz-zazione politica. Perche questa integrazione fosse possibile occorreva appunto la liquidazione di quel liberalismo che è strettamente annodato alia anarchia del regime di con-correnza deli'economia capitalista e ai pericoli costituiti dai miti democratici del Zivilliterat e delia Zivilisation, contro cui Th. Mann aveva combattuto da posizioni, tutto som-mato, arretrate. L'integrazione doveva passare attraverso una riconfigurazione sostanziale delia Kulturkritik gestita dalla rivoluzione conservatrice fino alie sue punte piú rea-zionarie, dal « soldatischer Nationalismus » alia filosofia politica di un Moeller van den Bruck e di un Carl Schmitt. Solo 1'instaurazione dei valori eroici dello stato forte e solo 1'avvento di una nuova totalità plasmata all'ombra ca­rismática di un Fiihrer (il c.d. Fuhrerprinzip) avrebbe po-tuto non già accorciare la distanza tra cultura e politica, bensí trasfigurarla in una misteriosa identità capace di rea-

u B. Brecht, Gesammelte Werke, 30 voll., Frankfurt aM., 1967, vol. XX, p. 16.

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lizzare una mobilitazione totale di tutte le energie piú pro-fonde delia ' comunità' e di spazzar via ogni residua i l lu -sione umanistica.

Quest'appello al Fuhrerprinzip si presenta in Ricarda Huch, una scrittrice non certo sospettabile di simpatie naziste, come sottile mistificazione di una ' terza via ' tra dittatura del capitale e dittatura del proletariato: « Non dominio e schiavitú — scriveva nel 1932 — bensí a ognuno i l suo diritto, non costrizione, ma vincolo, non dittatura del capitale, né dittatura del proletariato, ma volontaria sotto-missione a un Fiihrer, non eguaglianza, ma stabilizzazione,, iniziativa privata e privata aspirazione alia potenza, con­trollo dello Stato a protezione e rafforzamento delia dignità. del tutto »

I n questo modo i l conservatorismo apolitico subordina alia sicurezza e alie garanzie di un indisturbato godimento dei privilegi inerenti al próprio status economico-sociale qualsiasi altra esigenza: ma alia radice di questa ossessione piccolo-borghese delia sicurezza sta appunto quel disprezzo per le masse che ritroveremo anche in un filosofo come Jaspers, di cui è ben nota 1'avversione al nazismo: « Nei punti di svolta delPordine esistenziale, laddove i l problema è quello di scegliere tra creazione nuova o catástrofe, de­cisivo è l'uomo che in forza del suo valore originário può afferrare i l timone anche contro la massa » 1 4.

È evidente che in questa prospettiva la depoliticizzazio-ne delle masse torna utile, e KulturphiloSophen come Eu­gen Diesel e Emil Utitz si preoccuperanno di sublimaria nel­la superiore armonia di una nuova ' classicità ' nella quale arte e società, capitale e lavoro convergono in una pacifica e feconda consonanza. L'apoteosi di questa depoliticizza-zione trova la sua consacrazione ascética nell'armonia d'ac-ciaio delia Neue Sachlichkeit. « Quando cessa 1'ascesi —

1 3 R. Huch, Geschichte und Gegenwart, in Krisis. Ein politisches Manifest, a cura di O. Muller, Weimar, 1932, pp. 8-9.

1 4 K. Jaspers, Die geistige Situation der Zeit, Berlin-Leipzig, 1931» p. 64.

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diceva Eduard Spranger nel '26 — cessa la cultura: quando muore i l pensiero del dovere, muore la cultura » 1 5 .

Allorché Hugo von Hofmannsthal impiegava, in un suo celebre scritto del '27, Das Schrifttum ais geistiger Raum der Nation, i l concetto di « rivoluzione conservatri­ce », per riproporre 1 ' ' identità ' tedesca nella sua origi-nalità letteraria e linguistica al vértice di un processo sto­rico che ne aveva offuscato i l senso, non immaginava cer­to che próprio nei termini di una ' comunità di popolo ', capace di restaurare creativamente 1'eredità delia sua tra­dizione, si potesse costruire 1'ideologia di una totalità or­gânica, superiore alie classi e misticamente assunta come potenza plasmatrice di ogni destino individuale. Questa ideologia offre tuttavia una sorta di supporto tradizionale ali'integrazione deli'organizzazione capitalista, apparente-mente decontaminata delle sue contraddizioni, nel quadro delia società industriale di massa. Essa si presenta come compensazione ideale delle rivendicazioni deluse e delle frustrazioni piccolo-borghesi e al tempo stesso come coro-namento di una regressione che trascende lo stadio preca-pitalistico-feudale per ribaltare nelPingannevole paradiso di un regno millenario, nel quale Pidentità del sangue cancella 1'anonimo grigiore delia socializzazione capitali­stica.

È in questo orizzonte che la rivoluzione conservatrice si presenta come la componente fondamentale di una r i -strutturazione del quadro ideológico del capitalismo mono­polístico e imperialistico. Ma resta da vedere come in que­sto quadro trovino posto i processi di razionalizzazione tec­nocrática delPeconomia. Sappiamo che próprio i l problema delia técnica costituisce Paspetto piú oscuro e controverso delia rivoluzione conservatrice: nella tecnologia si teme infatti un'insidia alia conservazione delPordine esistente, eppure è dalla tecnologia che derivano le forme e gli stru-menti piú raffinati di domínio.

1 5 Cit. in E. Utitz, Die Vberwindung des Expressionismus. Charakte-riólogische Studien zur Gegenwart, Stuttgart, 1927, p. 115.

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Su questo terreno, dunque, si gioca i l trapasso delia rivoluzione conservatrice verso la sua fase finale netta-mente antidemocrática, coincidente, di fatto, con Paffer-marsi di quella reazione militante che troverà nel nazio-nalsocialismo la sua fisionomia piú própria e piú abietta. Quando, dopo i l '29, frazioni sempre piú consistenti dei ceti piccolo-medio borghesi si portano sulle posizioni delle punte pubblicistiche piú radicali delPideologia totalitária e nazionalista del Frontserlebnis, non solo la caduta dei va­lori delia cultura liberale alto-borghese è un fatto accertato e ratificato. Si pronuncia con compiacenza Patto di morte su quei valori come umanità, scienza, arte, liberta d'opinione e di critica che appartenevano appunto a quel mondo già tramontato ' 6. Basti pensare alia diffusione, anche tra ap-partenenti ai partiti democratici, delle opere di Moeller van den Bruck, di Oswald Spengler, di Othmar Sann (Der wahre Staat, 1921), di Edgard Jung (Die Herrschaft der Minderwertigen, 1927), di Hans Freyer (Revolution von Rechts, 1931) di Friedrich Hielsen (Das Reich), di Ernst Júnger (Der Arheiter).

L'integrazione delia técnica nel nuovo assetto ideoló­gico del capitalismo monopolistico passa attraverso un ve­ro e próprio ' mercoledí delle ceneri' delPumanesimo libe-rale-borghese, sommerso dalla brutalità di una prassi con cui non sono piú compatibili le tesi ideali di una cultura incentrata sulla liberta delPuomo.

Si comprende di qui come la meccanizzazione delPor-ganico si rovesci nella demonizzazione delia técnica e sara uno dei massimi esponenti delia rivoluzione conservatrice, Ernst Júnger, a saldare questo nesso tra la guerra, come espressione compiuta di una prassi di domínio legata al-Pannientamento, e la técnica. La guerra segna appunto, per Júnger, i l definitivo superamento tecnológico compiuto dalla moderna società industriale di massa nei confronti del­le formazioni economico-sociali precapitaliste.

1 6 F. Sternthal, Was steht noch von den burgerlicben Ideálen, in « Literarische Welt», V I I (1931), n. 41, p. 2.

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È dalla guerra che si diparte 1'esaltazione delia ' fun­zione ' sulla qualità spirituale e quindi i l superamento del ' borghese ' da parte del guerriero-operaio, attuato me­diante i l rapporto con la morte che è altresí costitutivo del fatto tecnológico come tale. « I I rapporto con la morte — scrive Júnger in Der Arbeiter — si è trasformato: la sua estrema vicirianza è priva di ogni tonalità intima che an­cora possa essere interpretata come carattere d i festa. L'individuo viene raggiunto dalPannientamento in prezio-si attimi nei quali sottosta ad una somma estrema d'esigen-ze vitali e spirituali. La sua forza di lotta non è un valore individuale, bensí un valore funzionale [. . .] » 1 7. Questo motivo oscuramente apocalittico è ripreso da Niekisch: « Técnica è violentazione delia natura; essa si pone al di sopra delia natura e fuori di essa. I I progresso delia técnica consiste nel carpire un palmo di terra dopo 1'altro alie l i ­bere potenze delia natura: quel che per essa è trionfo, è per la natura obbrobrio e desolazione. Abbattendo passo su passo i confini che la natura ha posto, la técnica uccide la vita [ . . . ] . La técnica divora uomini e tutto quanto è umano. Essa viene riscaldata con i corpi e sangue è la sua acqua refrigerante. AlPinterno delPetà delia técnica, la guerra assume conseguentemente la forma di un massacro omicida. L'individuo ávido di record e disinibito, che lo spirito delia técnica ha ricolmo di sé, si vede in possesso delle piú perfette armi tecniche di annientamento [ . . . ] . Nella moderna concezione delia guerra i l demonismo delia técnica, nemico delia vita, si manifesta nel modo piú gran­dioso, indubbiamente in quello piú spaventevole: la sua efficienza operativa è alPaltezza del tempo, in guisa tale che appena suona Pora essa è in grado di estirpare total­mente in modo rápido, radicale ed esatto, dovunque si tro-v i , tutto quanto è orgânico » 1 8 .

1 7 E . Junger, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt, Hamburg, 1932, p. 106.

1 8 N. Gõtz (E. Niekisch), Menschenfresser Technik, in «Wider-stand», V I (1931), p. 110.

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La demonizzazione delia técnica, cioè Paccettazione to­tale dei suoi processi irreversibili, di quello che Júnger chiama i l suo « splendido istinto di conquista », non r i -sponde soltanto ad una esteticizzazione, che nel fascismo diventerà piú propriamente esteticizzazione delia politica, ma anche e soprattutto alPaffermarsi, nel ristrutturarsi del quadro ideológico capitalistico-borghese, del carattere im­perialista delia técnica e del sistema económico. L'opera fondamentale di Júnger, Der Arbeiter, segnerà, con la con-sacrazione imperialistica delia técnica, i l trapasso dalla fase ' elementare ' dell'« annientamento meccanizzato » a quel­la delia dittatura tecnológica presiedente ad un ordine rea­le e ' visibile '. È importante sottolineare che al termine di questa ' meditazione ' sulla técnica, come nodo nascosto, ma determinante, delle implicazioni immediatamente pre-naziste delia rivoluzione conservatrice, — meditazione già avviata in Júnger con Das abenteuerliche Herz e Die to­tale Mobilmachung — sta i l riconoscimento che la « téc­nica [. . .] non è in alcun modo uno strumento del progres­so, bensí un mezzo per la mobilitazione del mondo median­te la figura delPoperaio e fintantoché osserva ancora Júnger — durerà questo processo, si può predire con sicu­rezza che non sara possibile rinunciare a nessuna delle sue peculiarità distruttrici. Per i l resto, anche i l massimo po-tenziamento dello sforzo técnico non è capace di conseguire niente di piú che la morte, la quale è, in tutt i i tempi, egualmente amara » 1 9 .

Sotto le mascherature metafisiche di Júnger Patteggia-mento di fronte alia técnica nella cultura weimariana risul­ta fondamentalmente elusivo, tanto da far pensare a una ' fuga ' nei confronti del problema reale delia técnica. I I ruolo delle tecnologie non è visto in rapporto a un pro­cesso di sviluppo delia società e quindi nel quadro delle contraddizioni che lo intralciano: la trasfigurazione barba-rizzante ed eroica delia técnica mira appunto ad occultare la precisa incidenza di questa in quel nodo di contraddizioni

1 9 E . Júnger, Der Arbeiter, cit., p. 183.

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impònenti e drammatiche che sono inerenti al modo capi­talistico di produzione. È próprio perche si elude la que­stione, che ci si può convincere che Pinsidia ' rivoluzionaria' delia técnica, cosi come si presenta a chi teme i pericoli sociali delia destabilizzazione, può e deve essere esorcizzata ricorrendo alParsenale mitico. La feticizzazione mitica del­ia técnica è solo un aspetto di questa esorcizzazione che occultandone o mistificandone la natura di forza produtti-va trasferisce le implicazioni potenzialmente rivoluzionarie del suo ruolo nelPottica delle strumentazioni sociali del potere di classe e nella lógica ' imperialistica ' del domi-nio in generale. I I grado relativamente inferiore di svilup­po dei metodi tecnologici nelPapparato industriale tedesco negli anni delia repubblica di Weimar rispetto agli stadi piú avanzati raggiunti in altri Paesi europei — come nota Rusconi — corrisponde ad un grado relativamente primi­tivo, ad una fase di momentâneo ' congelamento ' nelPevo-luzione delia coscienza tecnológica. È in questa prospettiva che va vista Passolutizzazione delia técnica in termini di fascinazione demoniaca. Questa mitizzazione, esemplar-mente presente nelPopera di Júnger, conferma un dato d i ordine generale: che tutte le ottiche smitizzanti usei te dalParsenale delPirrazionalismo postnietzscheano e delle ' filosofie delia vita ', anziché aprirsi sul futuro, rovesciano in realtà la parábola utópica, si rivelano, cioè, sostanzial-mente regressive. Non a caso alcuni romanzi júngeriani come Heliopolis e Le api di vetro e anche alcuni saggi co­me Die totale Mobilmachung contengono già in nuce al­cuni motivi totalitari, concentrazionari, ipertecnologici, che saranno propri di certa letteratura fantapolitica e fanta-scientifica americana, dalla tetralogia di G. R. Dickson ai romanzi di F. Herbert.

Tanto piú significativa è dunque la collocazione del problema delia técnica, in Benjamin, a chiave di volta di un progetto inteso ad agganciare la critica delia cultura non già ad una semplice ' riforma ' del modo di produzione in-tellettuale, bensí alia strumentazione necessária per predi-

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sporre quest'ultimo agli obiettivi delia rivoluzione prole­tária 2 0 .

Che la funzione delia técnica come forza produttiva sia quella di far saltare le catene dei rapporti capitalistici di produzione e che la técnica non sia quindi, per i l proleta­riato, un « feticcio delia catástrofe », bensí « una chiave per la felicita » — come scriveva Benjamin nel 1930 2 1 — tutto questo non rappresenta soltanto Pesatto rovesciamen-to delle tesi júngeriane, ma i l punto d'approdo di un pen-siero dialettico espresso da quegli altri outsider, da Brecht a Tucholsky, da H . Mann a Becher, che passarono attra­verso gli anni travagliati delia repubblica di Weimar con la precisa consapevolezza che — per usare ancora le parole di Benjamin — «la lotta rivoluzionaria non si svolge tra i l capitalismo e lo spirito, ma tra i l capitalismo e i l prole­tariato » 2 2 .

2 0 W. Benjamin, Uautore come produttore, in Avanguardia e rivolu­zione, Torino, 1973, p. 216.

21 In « Die Gesellschaft », V I I (1930), u. 2, p. 41. 2 2 W. Benjamin, Uautore come produttore, cit., p. 217.

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TOMAS MALDONADO

L E D U E A N I M E D E L L A C U L T U R A D I W E I M A R

Si assiste oggi ad un rinnovato interesse per la Repub­blica di W e i m a r U n fenómeno di moda ovviamente. Ma un fenómeno che non si presenta ovunque con le stesse ca­ra tteristiche. Nel nostro paese, ad esempio, la moda di Weimar non va intesa esclusivamente come una rivisitazio-ne nostálgica del costume, delParte e delia letteratura dei « goldene Zwanziger Jahre ». C'è questo, è vero, ma c'è anche delTaltro. C'è anche una componente che, per in­tenderei, chiameremo politica. È ormai abbastanza eviden-

1 Le opere a cui si fa riferimento, nel corso del saggio, sono le seguenti: P. Behrens, Kunst und Tecbnik, «Elektrotechnische Zeitsch-rift», XXII, (1910); G. Benn, Provoziertes Leben, Berlin, 1955; E . Bloch, Erbschaft dieser Zeit, Frankfurt am Main, 1962; E . Bloch, Geist der Utopie, Frankfurt am Main, 1964; F. Dessauer, Technische Kultur, Kempten, 1907; A. Dõblin, Berlin Alexanderplatz. Die Geschichte vom Franz Biberkopf (1929), Berlin, 1963; A. Gramsci, Americanismo e fordismo (1934), in Quaderni dal cárcere, Torino, 1975; H . von Hofmannsthal, Das Schrifttum ais geistiger Raum der Nation (Í927), in Erzãhlungen und Aufsãtze, Frankfurt am Main, 1957; E . Kapp, Grundlinien einer Philosophie der Tecbnik. Zur Entstehungsgeschicbte der Kultur aus neuen Gesichtspunkten, Braunschweig, 1877; L . Klages, Der Geist ais Widersacher der Seele, Bonn, 1972; R. Kuhnl, G . Hardach (a cura di), Die Zerstôrung der Weimarer Republik, Kõln, 1977; G . Lukács, « Grôsse und Verfall» des Expressionismus, in Essays iiber Realismus, Neuwied, 1971; G . Martens, Vitalismus und Expressionismus, Stuttgart, 1971; L . Mittner, La letteratura tedesca del Novecento, To­rino, 1960; H . Muthesius, Die Weltwirtschaft. Ein Jahr- und Lesebuch, Leipzig-Berlin, 1906; J . M. Palmier, Uexpressionisme comme revolte, Paris, 1978; J . Popper, Technischen Fortschritte nach ihrer ãsthetischen und kulturellen Bedeutung, Leipzig, 1888;W. Rathenau, Tagebuch 1907-1922, Dússeldorf, 1967; W. Rothe (a cura di), Expressionismus ais Literatur, Bem, 1969; W. Sombart, Tecbnik und Kultur, «Archiv fur Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», XXXIII (settembre 1911), n. 2; M. Weber, Uetica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, 19654; J. Wiesner, Natur-Geist-Technik, in Ausgewãhlte Reden, Vortràge und Essays, Leipzig, 1910.

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te che nella nostra curiosità per Weimar afEora, in sordi-na, la preoccupazione di molti per i l destino del nostro ordinamento democrático. Molt i infatti sono allarmati dal­le presume analogie tra certi sviluppi dellTtalia di oggi e quelli delia Repubblica di Weimar; molti temono (mentre altri sperano) che tali sviluppi possano aprire la strada, nel nostro paese, appunto come avvenne a Weimar, ad una involuzione autoritária.

Pur ammettendo la presenza di tali analogie, non cre-diamo che possano di per sé avallare la tesi di un paralle-lismo di fondo tra i due periodi storici, e nemmeno che la nostra democrazia debba necessariamente avere la stessa sorte di quella di Weimar. Ma la questione, oltre che po­litica, è squisitamente storica. Sara dunque meglio lasciare agli storici i l compito di dimostrare (molti lo hanno già fatto) Passoluta infondatezza di tale parallelismo. Noi ci riserviamo in questa sede un compito piú limitato: quello di esaminare alcuni aspetti delia cultura tedesca degli an­ni Venti, tentando di contrastare, per quanto possibile, Pimmagine che di essa ha contribuito a creare Pattuale moda di Weimar: un'immagine che poco (o nulla) ha a che vedere con la realtà. I n breve: un'immagine folklo-ristica di Weimar, una « Weimar in technicolor », come Pha definita Cesare Cases.

Fermiamoci un momento ad esaminarla piú da vicino. La Weimar che ci viene oleograficamente presentata si identifica, in ultima analisi, con la città-emblema delPin-tero periodo: Berlino. O meglio, con un particolare mito di Berlino. Ma quale? Ci sembra di poterlo individuare nella Berlino diventata mito per opera del romanzo Berlin Alexanderplatz (1929) di Alfred Dõblin. Basti ricordare, in propósito, che Dõblin, servendosi di una técnica narra­tiva che ricorda i l Manhattan Transfer (1925) di John Dos Passos, ha contribuito a creare di questa città una immagine certo suggestiva, ma anche vistosamente ambí­gua. Una Berlino che solo apparentemente assomiglia alia tradizionale Berlino protestataria, tante volte raffigurata da

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Grosz, Heartfield, Dix, e certo anche da Brecht, con la sua vociferante giungla umana di mendicanti, ubriachi, inva-l id i , straccioni, prostitute, dementi, ladri, vagabondi, ruf-fiani. Apparentemente, dicevamo, perche i miserabili di Dõblin, a differenza di quelli delia Berlino protestataria, si rivelano piuttosto concilianti, e raramente ormai esprimo-no avversione nei confronti dei simboli del potere costitui-to. Per intenderei, tutti quei simboli che nel quadro di Grosz Deutschland, ein Wintermãrchen (1917-19) stanno ad effigiare le forze delPoppressione e dello sfruttamento. L'ex-ergastolano Franz Biberkopf, i l protagonista di Ber­lin Alexanderplatz, esorta la plebaglia sottoproletaria alia rassegnazione: « Siete brava gente! Ma non siate tanto selvaggi. Statevene un po' tranquilli. Abbiate un poco di pazienza a questo mondo ».

È cosi che si passa, in modo quasi indolore, dallo stre-pito di una estética delia insubordinazione alia quiete di una estética delia subordinazione; da un cabaret a un altro. Ê cosi infatti che si apre la strada alPuso pittoresco di quel­la sottocultura « Lumpen » che piú tardi finirà, tramite la sottile mediazione del « Goodbye to Berlin » di Christo­pher Isherwood, nello specchiante cabaret holliwoodiano di Bob Fosse. Dalla Lola-Marlene Dietrich alia Sally-Liza Minnelli.

Qui i l cerchio si chiude: parodiando spregiudicatamen-te Berlino, la tormentata Weimar tardo-espressionista fini-sce per diventare una Weimar frivola, insomma una Wei­mar da « musical » — ormai presentabile nel salotto pi-gliatutto delPattuale società capitalistica.

Ma in questo modo si illumina farsescamente al neon, mistificandola, solo una delle due anime delia cultura di Weimar, e si lascia in ombra Paltra. Perche, va ricordato, due sono le anime di Weimar. Un'anima riprende con nomi diversi la « cultura delPespressione ». Le sue radiei vanno ricercate nel protó-romanticismo dello «Sturm und Drang », nella filosofia romântica di Jacobi, di Fichte e di Schelling, nella « Lebensphilosophie» che trova i l suo

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profeta in Nietzsche, i l suo sistematico-antisistematico in Dilthey, i l suo sociólogo « trágico » in Simmel. E ovvia-mente nelPespressionismo degli anni precedenti la prima guerra mondiale. Riassumendo: un'anima portata dal « fa­natismo dell'espressione », per diria con Gottfried Benn. L'altra anima, invece, prospetta una « cultura delia razio­nalizzazione » destinata, in modo piú o meno mediato, a farsi interprete delle nuove esigenze, appunto di raziona­lizzazione, dello sviluppo delPapparato produttivo di quel periodo. Mentre la prima si richiama soprattutto alia tra­dizione artistico-letteraria, la seconda tenta di avvincere la tradizione dello spirito che ricerca, scopre, inventa, pia-nifica e progetta.

Questa polarità delia cultura di Weimar non deve trarre in inganno; non si tratta di una scissura invalicabile: sono bensí due realtà contrapposte, ma reciprocamente dipen-denti. Ogni tentativo di rendere autónoma Puna dalPaltra porta fatalmente ad una visione distorta (e mistificante) sia delPuna che delPaltra. La problemática delia cultura di Weimar risulta poco trasparente se non si tiene conto del rapporto dialettico che intercorre tra « cultura delPe-spressione » e « cultura delia razionalizzazione ».

Ma tutto ciò non riporta alia vecchia dicotomia « Kul-tur-Zivilisation », tanto cara da sempre ai tedeschi? Certa­mente. Eppure i l contesto storico è mutato. Non le è piú garantita, come prima, Pimpunità. Dietro la spinta delPin-calzante sviluppo politico, sociale ed económico delia re­pubblica di Weimar, essa appare ora sottoposta, per cosi dire, alia « prova delia verità ». I n breve: è forzata a mi-surarsi, senza scampo, in termini di una sempre maggiore coricretezza.

Agli albori del secolo H . S. Chamberlain e Ludwig Klages, due grandi esponenti « ante litteram » delPideolo-gia nazista, avevano esasperato la distanza tra << Zivilisa-tion » e « Kultur », giacché, come diceva Klages, la « Z i -vilisation » sarebbe i l regno negativo dello « Spirito (« Geist »), mentre la « Kultur » sarebbe i l regno positivo

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dell'« Anima » (« Seele »). Questa visione romantico-idealistica, con tutto i l suo

vastíssimo spettro di implicazioni reazionarie, si collega direttamente al dibattito intorno al problema delia mac-china. Dopotutto la macchina, secondo tale ottica, è i l punto focale delia « Zivilisation », e pertanto va giudicata realtà nemica, per antonomásia, delia « Kultur ». I n poche parole, la prova delia verità di cui parlavamo incomincia a farsi sempre piú sentire, a partire dal momento in cui si è costretti a definire (o ridefinire) i l ruolo delia macchina, cioè delia técnica, nel contesto delle tradizionali categorie delia cultura tedesca. Processo che, ovviamente, si fa stra­da ben prima delPavvento delia repubblica di Weimar. Ri-cordiamo, a questo propósito, i contributi relativi alia que­stione del rapporto tecnica-cultura di E. Kapp (1877), E, Popper (1888), G. Simmel (1901), M . Weber (1905), F. Dessauer (1907), J. Wiesner (1910) e W . Sombart (1911). A partire dagli anni Dieci, e soprattutto dopo Pavvento delia repubblica di Weimar, la questione tecnica-cultura diventà sempre piú la « questione delia razionalizzazione ».

A questo punto, ci sia consentito un chiarimento termi­nológico. I I termine « razionalizzazione » è usato spesso, ancora oggi, con significati assai diversi. Segnaliamo, tra i piú frequenti, la razionalizzazione intesa come concentra­zione orizzontale e verticale di un certo numero di imprese industriali aventi interessi comuni o convergenti; la razio­nalizzazione come incremento delia produttività del lavoro e come sequenzialità lineare nel processo produttivo, ossia come « catena di montaggio »; la razionalizzazione intesa come intervento sulla forma dei prodotti, per renderli piú adatti alie esigenze specifiche delia produzione di massa. Le ultime due modalità costituiscono gli elementi cardine di quella filosofia delia produzione nota come « fordismo » o « taylorismo-fordismo ».

Walther Rathenau, presidente delia AEG (AUgemeine Elektrizitãts-Gesellschaft) e ministro delia repubblica di Weimar, è un esempio di come gli uomini piú illuminati

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del capitalismo tedesco — e Rathenau era tra í primi —-cercassero di far avanzare i l tema delia razionalizzazione, senza infirmare la sacrosanta dicotomia « Kultur-Zivilisa-tion ». Egli propone i l fordismo, ma con « cattiva coscien-za ». A differenza di Henry Ford, che notoriamente non aveva rimorsi nei confronti del próprio fordismo, Rathenau vi aderisce con riserve mentali di ogni genere. Con riserve anzi tutto « culturali». Mentre i l capitalismo americano delPepoca di Ford avanza sicuro di se, convinto del suo ruolo nel processo delia « grande trasformazione », i l capi­talismo tedesco dei periodi guglielmino e weimariano ap­pare spesso incerto, tormentato, pauroso di far violenza ai valori culturali del suo passato pre-capitalista. Rathenau si muove in questa Knea: vuole i l fordismo, ma si rifiuta di assumere la responsabilità, almeno pubblicamente, delle volgari stridenze delle « fanfare del fordismo », come le ha chiamate Gramsci.

Le sue riflessioni sulla « meccanizzazione del mondo » appaiono colori te di una ténue malinconia crepuscolare. D i fronte al mito delTuomo rapsodicamente solo delPespres-sionismo; Rathenau fa notare la difEcoltà pratica di vivere tale ruolo nel contesto dei paesi industrializzati, quei paesi che egli chiama « civili »: « Nei paesi civili , osserva, non si può immaginare mestiere piú complicato o piú difficile di quello deli'eremita ». Ma in altri momenti fa capjre che nel vasto processo di « meccanizzazione del mondo » un accordo tra « meccanizzati » ed « eremiti » sarebbe auspi-cabile, almeno in parte. Ciò che ha in mente è una sorta di patto di non-aggressione, soprattutto di non-interferenza nei compiti specifici di ognuno. Fuor di metáfora: una vera e própria « divisione del lavoro », giacché ciò significhe-rebbe in pratica assicurare ai « meccanizzati » 1'autonoma regia delia « cultura delia razionalizzazione » e agli « ere­miti » quella delia « cultura dell'espressione ». Tale dise­gno dovrebbe portare ad una maggiore efficacia operativa delia prima, e ad una maggiore liberta creativa delia se­conda.

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Ma che cosa si nascondeva realmente dietro a questo confronto tra efficienza e liberta? Senza voler essere troppo riduttivi, si può affermare che la strategia delia « raziona­lizzazione industriale » — intesa soprattutto come fordi­smo — è tutt'altro che estranea a questo confronto. Anzi: è alia sua radice. Basterebbero a riprova i termini in cui si è svolto i l dibattito sul rapporto arte-industria, arte-tec-nica nei primi quindici anni di questo secolo. Gl i artisti, in particolare i rappresentanti delia sedicente « arte appli-cata », volevano intervenire sulla forma dei prodotti fab-bricati in serie, tramite un mero trasferimento delle mo-dalità formali (o stilistico-formali) elaborate nella pratica artistica pura. Ma la pratica artística di quegli anni, forte­mente condizionata dal « fanatismo delPespressione », a-vanzava proposte in aperto conflitto con quelle modalità formali del prodotto che 1'industria considerava piú adatte alie nuove esigenze delia razionalizzazione produttiva.

I I migliore interprete di quest'ottica delia grande indu­stria è stato forse Hermann Muthesius. Nel 1906 scrive-va: << La macchina è perfettamente in grado di intrapren-dere la fabbricazione di oggetti industriali soddisfacenti, purché non si prefigga di imitare i l lavoro manuale. La macchina ha forme sue proprie. Sono le forme che derivano ovviamente dalle modalità stesse del processo di fabbrica­zione. Saranno forme essenzialmente lisce, dalle superfici pulite, perche in questo consiste la forza delia macchina. Esse incarnano la modalità di fabbricazione quanto le pic-cole imprecisioni e 1'individualità costituiscono i l fascino delPoggetto prodotto a mano. Da quanto abbiamo detto deriva che per gli oggetti fabbricati dalla macchina si deve creare un nuovo universo formale ».

Molto vicina alia posizione di Rathenau, almeno per certi versi, è quella assunta agli inizi degli anni Dieci da Peter Behrens, architetto e disegnatore industriale delia AEG. Come avveniva per Rathenau, si fa sentire a tratti an­che in Behrens una cattiva coscienza, ma non è lo stesso i l modo in cui si manifesta. Nel primo Pambiguità — lo

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abbiamo visto — sembra sciogliersi, apparentemente, nel-Pastuta (e salomonica) proposta di una « divisione del lavo­ro ». Non cosi in Behrens. La trasparente ambiguità delia sua posizione sembra non destargli imbarazzo alcuno: con «strema disinvoltura infatti lo vediamo oscillare tra i l motto « la forma segue Pelettricità » e Padesione entusiástica alia filosofia delPanti-civiltà (cioè delPanti-tecnica) di H . S. Chamberlain.

Ma i l piú grande sforzo analítico sulla natura del con­flitto tra « cultura delPespressione » e « cultura delia razio­nalizzazione » è stato compiuto da Ernst Bloch, con lo scritto Geist der Utopie (« Spirito delPUtopia ») (1918-1923). Bloch, seguendo in un certo senso le tracce di Sim­mel, suo maestro, avanza Pipotesi che la compresenza di questi due mondi — i l mondo delia « grande espressione » (« grosse Expression ») e i l mondo delia « grande técnica » (« grosse Technik ») — sia « trágica », cioè fatale e neces­sária. Egli rifiuta però — e qui sta la sua originalità — qualsiasi forma di trégua tra le due forze in campo. Ri­fiuta dunque le posizioni del tipo Rathenau ed owiamente anche del tipo Muthesius. Ma rifiuta soprattutto gli atteg-giamenti di doppiezza consolatoria, di sermoneggiante me­diazione tra la « Zivilisation » delia AEG e la « Kultur » di Chamberlain e Klages, riscontrabili negli scritti d i Behrens intorno al 1910. L'interesse di Bloch è di eternare Panta-gonismo. Non solo: egli cerca di esasperarne la virulenza. Perche sarebbe questa esasperazione Púnica capace di man-tenere vivo nella storia, appunto, i l « Geist der Utopie ».

Ma neppure Bloch si mostra conseguente fino in fondo, lasciando intravvedere ciò che gli sta veramente a cuore: imporre agli oggetti d'uso prodotti dalPindustria i l servag-gio stilistico — forse un ibrido tra « Biedermeier » e « Ju-gendstil » — delPespressione. Con la complicità di un'« ar­te applicata di livello superiore » (« Kunstgewerbe hõhe-rer Ordnung »), che si situerebbe, come egli dice, tra la sedia (oggetto d'uso) e la statua (oggetto di espressione). Per Bloch la « cultura delPespressione » sarebbe capace,

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tramite tale strategia, di permeare tutta la « cultura delia razionalizzazione ». L'espressionismo smetterebbe cosi di essere una forma artistico-letteraria, dal raggio di influenza assai circoscritto, per diventare una strategia complessiva dello « spirito delPutopia ». Una strategia non transeunte, ma intramontabíle perche ugualmente intramontabile è Pe-spressionismo — sempre secondo Bloch. Cosi i l suo « Geist der Utopie » finisce per identificam con i l « Plan der Vorsehung » (« piano delia provvidenza ») di Hegel.

Questa visione non deve stupirci: Bloch fu di fatto uno dei piú tenaci sostenitori delPestetica (ed anche del-Petica) espressionista. Basti ricordare a questo propósito i l suo contributo al famoso « Expressionismus-Debatte » degli anni Trenta, che vide implicate, oltre a Bloch, perso-nalità come Lukács, Klaus Mann, Kurella, Brecht. I n quella occasione Bloch constatava: « L'eredità delPespres-sionismo non è ancora finita. Perche non è ancora inco-minciata ». (E bisogna ammettere che i l riemergere di certi orientamenti delPattuale neo-avanguardia e di certe forme di comportamento nelle attuali sotto-culture giovanili, di indubbia matrice espressionista, fanno pensare che la pre-dizione di Bloch non fosse tanto infondata).

L'approccio blochiano privilegia dunque, ancora una volta, la « cultura delPespressione ». Dobbiamo dire però che, da allora, non si sono fatti grandi progressi nelPap-profondimento delia questione relativa alPaltra anima di Weimar, come Pabbiamo chiamata: cioè la « cultura delia razionalizzazione ». I n realtà si continua a sapere ben poco (o nulla) sul rapporto di reciproca influenza intercorso tra questa cultura e la vera e própria razionalizzazione delPap-parato produttivo. Né si sa quale ruolo abbia svolto nel progressivo indebolimento delia democrazia di Weimar — oltre owiamente ai ben noti fattori strutturali — i l non aver saputo individuare uno spazio di azione culturale al di fuori dello scontro tra espressione e razionalizzazione. E i l punto non va sottovalutato: come ali'época delia re­pubblica di Weimar, anche nella nostra è uno spazio che manca.

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188

Page 95: Lucio Villari - Weimar

CRONOLOGIA D E I PRINCIPALI A W E N I M E N T I DELLA REPUBBLICA D I W E I M A R

1918

9 novembre - Proclamazione delia Repubblica

10 novembre - Congresso dei Consigli degli operai e dei soldati

11 novembre - Armistizio tra la Germânia e PIntesa dicembre - Definizione delia Zentralarbeitsgemeinschaft,

« Comunità di lavoro » tra padronato e proletariato

22-23 dicembre - Repressione delia rivoluzione dei Con­sigli a Berlino

31 dicembre - Si costituisce i l Partito Comunista Tedesco

1919 16 gennaio - Assassínio di Karl Liebknecht e Rosa Lu­

xemburg. Repressione del movimento spartachista 19 gennaio - Elezioni delTAssemblea nazionale. Sconfitta

delle sinistre 6 febbraio - Primo dibattito alPAssemblea Nazionale

12 febbraio - Ebert designato Presidente del Reich. Go­verno Scheidemann (coalizione di centro)

21 febbraio - Assassinio di Kurt Eisner a Mónaco

6 marzo - Prima legge sulla Reichswehr provvisoria

marzo - Sciopero generale e agitazione rivoluzionaria

191

Page 96: Lucio Villari - Weimar

a Berlino. Fallito tentativo finanziario di Erzberger sabotato dai gruppi dominanti

marzo-aprile - Repubblica dei Consigli in Baviera

28-30 aprile - Repressione del movimento rivoluzionario.

aprile - Creazione delPUnione Nazionale delllndustria Tedesca

7 maggio - Consegna del trattato di pace

20 giugno - Dimissioni del Governo Scheidemann. Gover­no Bauer (coalizione di centro)

22 giugno - Ratifica del trattato di pace da parte del-1'Assemblea Nazionale

11 agosto - Entra in vigore la Costituzione delia Repubblica di Weimar

8 ottobre - Assassínio di Haase, capo dei socialisti indi­pendenti I n conseguenza del Trattato di Pace la Germânia vede

ridotta del 40% la própria capacita produttiva. L'indice delia produzione industriale scende a 57 (1913 = 100), i l debito fluttuante raggiunge 50 miliardi alia fine del 1918, 86 nella primavera 1919. Nel corso delPanno i ser-vizi statali esaminano 40.000 brevetti industriali. Gropius fonda a Weimar la Bauhaus. Sorge i l Novembergruppe. Prima edizione de Considerazioni di un apolitico, di T. Mann. Rathenau scrive La Nuova Economia, mentre O. Spengler pubblica la prima parte de 17 Tramonto deWOc-cidente. A. Rosenberg e D . Eckhart avviano la Campagna antisemitica.

1920

gennaio-febbraio - Riprende 1'agitazione rivoluzionaria. Grandi manifestazioni dinanzi al Reichstag in occasio-ne delia discussione sui consigli d'impresa. La legge relativa è varata i l 18 gennaio.

192

Processo Helfferich-Erzberger.

20 gennaio - Entra in vigore i l Trattato di Versailles men­tre è approvato i l nuovo regolamento delia Reichswehr.

13-16 marzo - Putsch di Kapp. I I Governo si rifugia a Dresda e Stoccarda. Lo sciopero generale salva la Re­pubblica.

27 marzo - Dimissioni del Cancelliere Bauer e caduta di Noske. Governo Muller ( I ) . Coalizione di centro. Gessler ministro delia Reichswehr.

6 giugno - Elezioni generali per i l Reichstag. Avanzano la destra e i socialisti indipendenti.

21 giugno - Dimissioni del Cancelliere Muller e costitu­zione del governo Fehrenbach, di centro.

5-16 luglio - Conferenza internazionale di Spa.

8 agosto - Congresso di Salisburgo del NSDAP.

ottobre - Scissione delia USPD ad Halle.

4-7 dicembre - Nasce a Berlino dalla fusione tra partito comunista e sinistra dei Socialisti Indipendenti i l Par­tito Comunista Unificato di Germânia. Organo del partito è la Rothe Fahne.

I I debito fluttuante sale a 153 miliardi di marchi. For­te aumento del cos to delia vita. Agitazioni sindacali in tut­to i l paese. È pubblicato i l manifesto del dadaismo tede­sco: Che cos'è il dadaismo e cosa vuole in Germânia. A giugno è allestita la prima grande mostra Dada. Mentre viene messo in scena i l Guglielmo Tell d i Schiller nella versione di L . Jenner, Piscator fonda a Berlino i l Teatro proletário. R. Weine gira II gabinetto del dott. Caligari.

1921

gennaio-marzo - Conferenza interalleata sulle riparazioni.

193

Page 97: Lucio Villari - Weimar

marzo - « Azione di marzo » del movimento comunista.

Agitazioni nella Germânia centrale, ad Amburgo, nel­la Ruhr.

10 maggio - Dimissioni del Cancelliere Fehrenbach. Go­verno Wirth ( I ) . Inizio delia politica di esecuzione.

28 maggio - Rathenau ministro per la ricostruzione.

26 agosto - Assassínio di Erzberger.

7 ottobre - Accordo internazionale sulle riparazioni tede-sche per un ammontare di 132 miliardi.

31 ottobre - Pagamento agli Alleati delia prima quota, pari ad un miliardo di marchi oro.

8 dicembre - Hitler al National Klub di Berlino. L'NSDAP non supera i 4000 iscritti.

Ripresa « artificiale » delTagricoltura. Problema delle Ferrovie. Rottura del Patto Sociale. A l Congresso di Górlitz la socialdemocrazia si proclama fedele al marxismo. Sviluppi delia « cartellizzazione »: H . Stinnes controlla i l 16% delPindustria carbonífera. G. Grosz pubblica II volto delia classe dominante, mentre escono i Principi fondamentali per la ricostruzione delia nostra forza mili­tare di H . von Seeckt.

1922

6 gennaio - Conferenza Internazionale di Cannes.

31 gennaio - Rathenau, ministro degli esteri.

marzo - Sciopero nelle ferrovie.

aprile-maggio - Conferenza económica d i Génova.

16 aprile - Trattato di Rapallo tra Germânia e Unione so­viética; avvia la collaborazione tra Reichswehr e Arma-ta Rossa.

194

24 giugno - Assassínio di Rathenau.

18 luglio - Legge sulla «protezione» delle istituzioni repub-blicane.

luglio - Crisi del marco. I I dollaro quotato a 493,20 marchi contro i 191,80 del gennaio.

18 agosto - Grande manifestazione del NSDAP.

ottobre - Rapporti unitari tra socialisti maggioritari e in­dipendenti.

24 novembre - Dopo la crisi del governo Wir th provocata dalla socialdemocrazia, costituzione del governo di tec-nici presieduto dal cancelliere Cuno.

Crisi inflazionistica. I I costo delia vita è aumentato 70-80 volte rispetto agli indici del 1914. Defiicit comples-sivo di 157 miliardi di marchi. Progressi delia concentra­zione monopolística: accordi Stinnes-Lubersac.

1923

6 gennaio - Conferenza dei partiti comunisti a Essen sulla questione tedesca.

10 gennaio - La Germânia è dichiarata insolvente.

11-13 gennaio - Occupazione franco-belga delia Ruhr. Re-sistenza passiva tedesca.

27-29 gennaio - Primo Congresso nazionale del NSDAP.

gennaio-marzo - Crollo del marco e agitazioni in tutto i l paese.

9-15 marzo - Dibattito al Reichstag sul « compromesso fiscale ». Rottura tra padronato e socialdemocrazia.

26 maggio - Memoriale degli industriali a Cuno sulla que­stione delle riparazioni.

195

Page 98: Lucio Villari - Weimar

11 agosto - Dimissioni di Cuno e costituzione del Gabi-netto Stresemann. R. Hilferding assume i l dicastero del­le Finanze.

agosto - Manifestazioni di destra in Baviera.

12-14 agosto - Sciopero generale nel paese.

14 settembre - Mobilitazione eversiva delia « Reichswehr nera » e crisi del governo.

16 settembre - Cessazione delia resistenza passiva nella Ruhr.

27 settembre - Stato d'assedio nel Reich per reprimere 1'azione delia « Reichswehr nera ».

6 ottobre - Secondo governo Stresemann.

15 ottobre - Decreto sul Rentenmark.

22-23 ottobre - Sciopero dei portuali di Amburgo.

25 ottobre - Scioglimento delia « Reichswehr nera ».

29 ottobre - Repressione del movimento popolare in Sas-sonia e Turingia. Nuova legislazione sui contratti col­lettivi.

2 novembre - La socialdemocrazia esce dal governo.

novembre - I disoccupati superano i 3,5 milioni mentre i l dollaro è quotato 4,2 biíioni di marchi.

.8 novembre - Putsch di Hitler e Luddendorff a Mónaco.

16-20 novembre - Conversione del marco.

23 novembre - Crisi del governo Stresemann. Gabinetto di centro del Cancelliere Marx.

8 dicembre - Legge di « autorizzazione ».

21 dicembre - Abrogazione governativa delle 8 ore di la­voro. Schacht direttore delia Reichsbank.

196

30 dicembre - La Commissione per le riparazioni accetta d i creare un comitato per la situazione tedesca.

Proletarizzazione delle classi medie e disoccupazione nel Reich. K. Kollwitz, H . Filie, G. Grosz collaborano al-1'album Fame. Viene costituito a Francoforte lTstitu-to per le scienze sociali, mentre escono Storia e coscienza di classe d i G . Lukacs, e Marxismo e Filosofia d i K. Korsch. Benjamin pubblica II dramma barocco Tedesco. Mostra di Klee a Berlino. Prima grande esposizione delia Bauhaus: Arte e Técnica - una nuova unità.

1924

13 gennaio - Fine dello stato d'assedio.

marzo - Processo a Hitler e Luddendorff.

16 aprile - I I governo si pronuncia a favore del piano Dawes.

24 aprile - Morte di Stinnes.

4 maggio - Elezioni al Reichstag.

3 giugno - Secondo Gabinetto Marx.

giugno-luglio - Conferenza di Londra e convenzione sul piano Dawes.

29 agosto - Ratifica parlamentare del piano Dawes. Pré­stito USA di 800 miliardi di marchi oro.

23 settembre - I I governo si orienta per Pingresso nella Società delle Nazioni.

7 dicembre - Elezioni al Reichstag.

dicembre - Crisi del governo prussiano di sinistra.

15 dicembre - Dimissioni del Cancelliere Marx.

20 dicembre - Hitler è rimesso in liberta.

197

Page 99: Lucio Villari - Weimar

Razionalizzazione capitalistica in espansione. A w i o del piano Dawes e inizio delia ripresa económica. Riorganizza-zione del sistema monetário. Thomas Mann pubblica La Montagna incantata, mentre Toller termina in cárcere L'Uomo massa. Avvia le pubblicazioni i l periódico social­democratico Die Gesselschaft.

1925

15 gennaio - Governo Luther (I) con la partecipazione dei Tedesco-Nazionali.

20 febbraio - Sconfitta delia grande coalizione in Prússia.

28 febbraio - Morte del Presidente Ebert.

26 aprile - Hindenburg Presidente del Reich con i voti delia destra.

4 luglio - Evacuazione delia Ruhr.

18 luglio - Hitler pubblica Mein Kampf.

13-18 settembre - Congresso delia SPD ad Heidelberg.

12 ottobre - Trattato commerciale con PUnione Soviética.

5-16 ottobre - Conferenza di Locarno.

ottobre - Crollo del gruppo Stinnes.

Forte ripresa industriale e intensificazione delia mo-dernizzazione produttiva. Difficoltà creditizie nelPagricol-tura. I I dirigibile Zeppelin LZ 126 vola senza scalo a New York. La Bauhaus si trasferisce a Dessau.

1926

19 gennaio - Secondo governo Luther dopo Puscita dei Te-desco-nazionali.

198

10 febbraio - Nota di Stresemann sulPingresso delia Ger­mânia nella Società delle Nazioni.

5 maggio - Ordinanza sulla questione delia bandiera.

11 maggio - Syelato un piano eversivo nazionalista.

17 maggio - Caduta del Governo Luther ( I I ) . Gabinetto di centro del Cancelliere Marx.

22 maggio - Assemblea nazista di Mónaco. Adozione del Fuhrerprinzip.

20 giugno - Fallimento del referendum sulPespropriazio-ne dei principi.

8 settembre - La Germânia entra nella Società delle Na­zioni.

8 ottobre - Dimissioni di von Seeckt da capo delia Reichswehr.

3 dicembre - Legge contro la letteratura oscena e porno­gráfica.

23 dicembre - Legge sui Tribunali del lavoro.

Prosegue la ripresa industriale, ma la disoccupazione registra 1.300.000 unità. Protezionismo agricolo e caro-vita. La Reichswehr viene definita « stato nello stato ». Riorganizzazione delia Deutscher Normendusschuss. V . Kandinsky pubblica Punkt und Line zu Flàche, mentre na­sce i l movimento delia Nuova Oggettività. F. Lang gira i l film Metropolis.

1927

31 gennaio - Quarto Gabinetto Marx con la partecipazione dei Tedeschi-nazionali. Hindenburg appoggia esplicita­mente la destra. Fine del controllo militare Alleato sulla Germânia.

199

Page 100: Lucio Villari - Weimar

gennaio - Contratto tra I G Farben e Standard Oi l .

13 maggio - Caduta dei titoli in Borsa.

maggio - Conferenza económica internazionale di Gine­vra.

22-27 maggio - Congresso delia SPD a Kiel. Discorso di Hilferding sui compiti delia socialdemocrazia nella Re­pubblica.

luglio - Legge sulle assicurazioni contro la disoccupazione.

17 agosto - Accordo per la cooperazione económica tra Francia e Germânia.

Investimenti e prestiti americani aiutano la ripresa tedesca. Produzione di prototipi per le armi nuove e col-laborazione industria-esercito. Dibattito sulla riorganizza-zione territoriale del Reich. Prima edizione di Essere e Tempo di Heidegger. A . Zweig pubblica Lo strano caso del sergente Grischa.

1928

14 gennaio - Dimissioni di Gessler dal Ministero delia Guerra. Gl i subentra von Groener. Intensificazione del riarmo.

gennaio - Conferenza nazionale dei Lãnder.

febbraio - Crisi delia coalizione di destra.

22 febbraio - Consiglio agricolo alia presenza di Hinden­burg.

20 maggio - Elezioni generali e avanzata socialdemocratica.

28 giugno - Secondo Governo Muller, di grande coalizione.

27 agosto - Patto Briand-Kellog di rinuncia alia guerra,

settembre - Orientamento per la revisione del piano Dawes.

200

20 ottobre - Hugenberg assume la direzione dei Tedesco-nazionali.

novembre - Conflitti sindacali nella Renania e sentenza arbitrale di Severing.

La produzione industriale supera gli indici del 1913. Si accentua 1'indebitamento con Testero. DifEcoltà dell'a-gricoltura. La stabilizzazione è precária, ma si diffonde un certo ottimismo económico. I I transadantico Bremen con­quista i l « nastro azzurro » nella traversata atlântica. Re­marque pubblica AlVOvest niente di nuovo. Prima rap-presentazione de UOpera da tre soldi, d i B. Brecht e K. Weil .

1929

1 maggio - Disordini comunisti a Berlino e agitazioni con-tadine nello Schleswig.

26-31 maggio - Congresso delia SPD a Magdeburgo.

7 giugno - Sottoscrizione del piano Young. Rateizzazione delle riparazioni.

14 giugno - Concordato con la Chiesa in Prússia.

9 luglio - Alleanza tra Hugenberg e Hitler.

6 agosto - Conferenza Internazionale sul piano Young all'Aia.

9 ottobre - Morte di Stresemann.

24 ottobre - Crollo delia Borsa di New York. Ha inizio la Grande Crisi.

6 dicembre - Memorandum di Schacht sul piano Young. Dimissioni d i Hilferding.

22 dicembre - Agitazione nazionalistica contro i l piano Young e disgregazione del partito Tedesco-nazionale.

201

Page 101: Lucio Villari - Weimar

La crisi ha effetti immediati sull'economia tedesca. I disoccupati superano i 2 milioni; i l carico degli interessi per i prestiti stranieri grava per oltre 1,2 miliardi di R. M . Al congresso di Magdeburgo la sinistra socialdemocratica ot-tiene larghi consensi. Dibattito sul militarismo. Pubblica-zione di Democrazia Económica, curata da F. Naphtali per l 'ADGB. I I KPD adotta la linea del « socialfascísmo ». Mentre viene attribuito i l Premio Nobel a Thomas Mann, escono Deutschland, iiber Alles di Tucholsky e II Teatro politico di Piscator.

1930

gennaio - Seconda Conferenza dell'Aia per Pattuazione del piano Young.

25 febbraio - Decreto di Groener contro comunisti e na-zisti.

7 marzo - Dimissioni di Schacht. Suo avvicinamento a Hitler.

12 marzo - Ratifica tedesca del piano Young.

27 marzo - Crisi del Governo Muller e costituzione del Gabinetto Bruning (I) di Centro.

1 luglio - Proclamazione delia liberazione delia Renania.

18 luglio - Scioglimento del Reichstag. Riorganizzazione del Partito Democrático con la denominazione di Staats-partei.

26 luglio - Decreto sulla cartellizzazione.

settembre - I disoccupati raggiungono i 3 milioni.

14 settembre - Elezioni generali. Forte avanzata nazista.

23 settembre - Processo di Ulm.

16 ottobre - Secondo governo Bruning.

202

ottobre - Crisi del governo di coalizione in Prússia.

dicembre - 1 disoccupati superano i 4,5 milioni.

Espansione del ruolo dello Stato nelPeconomia e di­battito sulla pianificazione a ridosso delPaggravamento del­ia crisi che sconvolge 1'apparato creditizio e produttivo. Dif-fusione del nazismo nelle campagne. Escono i N . S. Monat-shefte, mentre A. Rosenberg pubblica Der Sumpf. Muore i l dirigente comunista P. Levi.

1931

10 febbraio - Secessione parlamentare dei nazisti sulla questione del piano Young.

19 marzo - Progetto di Unione doganale con 1'Austria o-steggiato in sede internazionale.

31 marzo - Manifestazione degli « Elmi d'acciaio » a Bre-slavia.

29 giugno - Moratória Hoover.

9 luglio - Incontro Hitler - Hugenberg.

13 luglio - Crollo delia Danatbank e crisi bancaria.

9 agosto - Fallimento delia campagna degli « Elmi d'ac-ciaio » contro la Prússia socialdemocratica.

19 settembre - Nomina del Commissario del Reich sulle imprese creditizie.

- Dimissioni di Curtius - Groener Ministro degli Interni.

10 ottobre - Incontro Hkler-Hindenburg. Si forma i l « Fronte di Harzburg » Alleanza tra nazisti, tedesco-nazionali ed Elmi d'acciaio.

8 dicembre - Decreto per la sicurezza delPêconomia e del­ia finanza e per la difesa delia pace interna.

203

Page 102: Lucio Villari - Weimar

Caduta delle riserve auree. La disoccupazione supera i 6 milioni di unità. Crollo dei titoli azionari e rovina del si­stema produttivo. Destabilizzazione delPassetto istituzio­nale. Aperta collusione tra apparati statali e forze eversive: crisi delia Repubblica. Congresso delTSPD a Lipsia. È fon-data la Zeitschrift fi ir sozialforschung.

1932

gennaio - La violenza nazista si sviluppa in tutto i l Reich.

2 febbraio - Conferenza di Ginevra sul disarmo.

10 aprile - Rielezione di Hindenburg alia Presidenza del Reich.

24 aprile - Elezioni in Prússia.

13 maggio - Dimissioni di Groener. Cresce rinfluenza di von Schleyer, legato ai nazisti. Schlange-Schõningen commissario del Reich per la Osthilfe.

30 maggio - Hindenburg licenzia i l governo Bruning.

4 giugno - Formazione del Gabinetto von Papen. Sciogli-mento del Reichstag. Agonia delia Repubblica.

14 giugno - Revoca del decreto di scioglimento delle S.A. e S.S.

16 giugno - Conferenza per le riparazioni a Losanna. La Germânia ha versato 32 miliardi di marchi oro.

19 luglio - Congresso di unità antifascista promosso a Ber­lino dal KPD.

20 luglio - Colpo di Stato di von Papen in Prússia.

26 luglio - Discorso di von Schleyer sul riarmo e sulla r i -strutturazione delPesercito (Umbau).

31 luglio - Elezioni al Reichstag. Successo nazista.

204

9 agosto - Decreto contro i l terrorismo politico.

13 agosto - Nuovo incontro Hindenburg-Hitler.

29 agosto - Von Papen rivendica per la Germânia la parità degli armamenti.

30 agosto - Goering presidente del Reichstag.

12 settembre - Caduta del governo von Papen.

27 ottobre - Hitler espone i l programma nazista all'As-semblea degli Industriali tedeschi a Diisseldorf.

6 novembre - Nuove elezioni generali.

3 dicembre - Gabinetto von Schleyer.

11 dicembre - Risoluzione delia Conferenza sul disarmo: riconoscimento delPuguaglianza d i dir i t t i tra Germânia e Alleati.

1933

gennaio - Crisi del Governo Schleyer.

30 gennaio - Hitler diviene Cancelliere del Reich.

I disoccupati raggiungono i 6 milioni. Crollo delia produzione industriale, del reddito nazionale (40% rispet­to al 1929), dei salari (35%). Fallimenti e socializzazione delle perdite; mancanza di sbocchi alTinterno e alVestero. La Germânia scende al 5° posto nella produzione mondiale.

205

Page 103: Lucio Villari - Weimar

INDICE D E I N O M I

Page 104: Lucio Villari - Weimar

INDICE DEI NOMI

Abelshauer, W., 28 Abendroth, W., 15, 24 Adler, F., 104,126,127 Adler, M., 105, 106, 107, 110,

113, 114, 116, 117, 119, 131, 132, 134

Adler, V., 104,106 Adorno, T. W"., 142 Albertin, L. , 28 Alexander, G. , 138 Angress, W. T. , 23

Bach, J . A., 20 Bauer, O., 24, 104-108, 110-113,

115-119, 121, 125-130, 132, 134, 135

Becher, J. R., 139,151 Behrens, P., 143, 159,160 Benjamin, W., 34,150,151 Benn, G., 153,156 Benz, W.,16 Bernstein, E . , 114,120, 121 Bloch, E„ 153,160,161 Bonacchi, G. M., 127 Bracher, K . D . , 14, 40 Brady, R., 82 Braun, A., 110 Brecht, B., 144,151,155,161 Briand, A., 85 Bruck, M. van den, 144, 147 Bruning, H. , 9, 14, 15, 19, 20, 22,

26, 30, 47, 61, 63, 65, 68, 89-91, 104

Cacciari, M., 29, 78,135 Cases, C , 35,154 Chamberlain, H . S., 156,160 Collotti E . , 12,23 Conze, W., 19 Cuno, W., 16.111

Dawes, C , 81 De Giovanni, B., 135 De La Vega, R., 105 Dessauer, F., 153 Deutsch, J., 106 Dickson, G . R., 150 Diesel, E . , 145 Dietrich, B., 15 Dilthey, W., 156 Dõblin, A., 153-155 Dollfuss, E . , 133 Dos Passos, J., 154

Ebert, F., 13 Ehni, H . P., 25 Ellenbogen, W., 123 Engels, F., 96,118 Erhard, L . , 32 Eyck, E . , 33, 39

Fehrenbach, K., 16 Fichte, J. G. , 155 Fischer, W., 28 Flechtheim, O. K., 23 Foa, V., 29, 76 Ford, H. , 158 Fosse, B., 155 Fraenkel, E . , 45 Freyer, H. , 147

Gallas, H. , 39 Gates, R. A., 28 Gay, P., 35, 38,141 Gerlach, H . von, 30,31 Gessler, O., 30 Gestigkeit, W., 14 Geyer, C , 15,16 Goerdeler, K. F., 32 Gossweiler, K., 18 Graml, H. , 16

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Page 105: Lucio Villari - Weimar

Gramsci, A., 125, 153,158 Grifone, P., 76 Groener, G . W., 30 Grosz, G. , 137,155 Gropius, W., 30 Grosser, A., 15 Gumperz, J., 139 Grossmann, H. , 76,127 Guillebaud, G. W., 79 Gumperz, J., 139

Hardach, G. , 14,17,153 Harrer, J., 24, 25, 26 Haupt, H . G. , 28 Heartfield, J., 137, 155 Heer, H , 26 Hegel, G. W. F., 161 Heinemann, G. , 13 Herbert, F., 150 Herrmann-Neisse, M., 138, 139 Hermens, F. A., 19 Hess, J. C , 31, 32 Heuss, T. P., 30 Hielsen, F., 147 Hilferding, R., 8, 20, 32, 41, 46,

59, 93-99, 101-104, 110, 120-125, 133, 135

Hindenburg, F. M. P. von, 37 Hinrichs, P., 29 Hitler, A., 33, 36, 44, 60, 67,

69, 71, 91 Hoegner, W., 16, 27 Hofmansthal, H . von, 146,153 Hõrster-Philips, U„ 17, 21 Huch, R., 145 Hugenberg, A., 33, 34 Hunt, R. N., 26

Isherwood, C , 155

Jaspers, K., 145 Jones, L. E . , 28 Jung, E. , 147 Jung, F., 139 Junger, E . , 147-150

Kanehl, O., 139 Kapp, E„ 50, 67,137,157 Kautsky, K., 96, 106-108, 111-115,

121

Kehr, E . , 41 Kelsen, H. , 111, 117-119, 121, 125-

127, 129-131 Kirchheimer, O., 35 Klages, L. , 153,156,160 Kocka, J., 28 Kokoschka, O., 137 Kõllmann, W., 28 Kopitzsch, F. D. W., 15 Korsch, K., 131 Kuczynski, J., 18, 21, 28, 84 Kiihnl, R., 14,17, 153 Kun, B., 110

Lafargue, P., 111,121 Laqueur, W., 36, 38 Lassalle, F., 119,121 Leichter, O., 10-1, 102, 104 Leipart, Th., 99 Lenin, V. I., 107 Levi, P., 51,134 Liebknecht, K., 41, 51 Link, W., 82 Low, A. D„ 110 Lukács, G. , 135,153,161 Luther, H. , 16 Luxemburg, R., 51

Mach, E. , 111,126,127 Maier, Ch., 28 Mann, H. , 151 Mann, K., 161 Mann, Th., 141,143,144 Mannheim, K., 144 Marcon, H. , 27 Marianelli, M., 141 Marramao, G. , 108,131 Martines, G. , 153 Marx, K., 118, 119, 121, 126, 127,

130 Marx, W., 16 Mason, T., 28 Mehring, F., 111, 121,138 Meriggi, M. G. , 29 Mises, L . von, 122,123 Mitchell, C , 84 Mittner, L. , 153 Mommsen, H. , 19,28 Muller, H . , 16,19, 21, 22, 30 Muller, O., 145 Muthesius, H. , 153, 159, 160

210

Naphtali, F., 100 Naumann, F., 30, 31, 33, 35 Negri, A., 127 Neumann, F., 48,102,133 Neurath, O., 122, 123 Niekisch, E. , (N. Gotz) 148 Nietzsche, F., 156 Nuss, K., 23

Opitz, R„ 31-33 Ossietzky, C. von, 36

Palmier, J. M., 153 Papen, F. von, 20-22, 25-27, 30,

66, 68, 91 Parker, G. , 84, 86 Perls, J., 15 Peter, L. , 29 Petzina, D., 19, 28 Piscator, E . , 138 Plechanov, G., 121 Palany, K., 123 Poole, K. E. , 91 Poor, M., 28 Popper, E . , 157 Popper, J., 153 Potthof, H. , 100 Preuss, H. , 30 Priimm, K., 143

Quidde, L. , 30

Radek, K., 109 Rathenau, W., 8, 30, 72, 77-79,

122, 153, 157-160 Raupach, H. , 19 Renner, K., 110, 120-125,135 Reulecke, J., 28 Rohe, K., 25 Roosevelt, F . D . , 90 Rosenberg, A., 125 Roth, K. H. , 28,29, 30 Rothe, W., 139,153 Ruhle, O., 51 Rusconi, G . E . , 11, 12, 17-19, 21,

22, 24-26, 36, 74, 75, 96-98, 101, 104, 131, 133, 139, 140, 150

Salvadori, M. L. , 114 Sandkuhler, H . J., 105 Sann, O., 147 Schacht, H. , 8, 77, 79, 80, 81, 83,

84, 86, 87 Scheidemann, P., 16 Schieder, T., 19 Schleicher, K. von, 27, 66, 68, 69 Schleier, H. , 40 Schmitt, C , 144 Schneider, M., 26, 28 Schulze, H . , 17, 26 Schúller, H. , 138,139 Schumacher, M., 28, 30 Schumpeter, J. A., 122 Seipel, I., 133 Seiwert, F. W., 139 Sell, F. C , 32 Severing, C , 20, 32 Schelling, J., 155 Simmel, G. , 156,157 Sohn-Rethel, A., 103 Sombart, W., 8,153,157 Sontheimer, K., 139-143 Speer, A., 79 Spengler, O., 147 Spranger, E„ 146 Steinberg, H . J., 28 Stephan, W., 31, 32 Sternthal, F., 147 Stinnes, H. , 72 Stoecker, H. , 31 Streseman, G. , 85

Thalmann, E . , 139 Tjaden, K. H. , 23 Todt, F., 79 Trotskij, L., 125 Tucholsky, K., 36,151

Utitz, E. , 145,146

Valiani, L. , 133

Weber, H , (vedi Bauer, O.) Weber, M , 8, 30, 121, 123, 153,

157 Weisbrod, B., 19, 28 Wehler, H . U., 17, 41 Wheeler, R., 28 Wiesner, J., 153, 157 Winkler, H . A., 28, 97 Wirth, J., 16 Wolf, F., 139 Woytinsky, W., 64, 133

Young, O., 86

211