Luciano Bandini: Professione enologo

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Luciano Bandini: Professione enologo La nascita in una cittadina come San Gimignano è, talvolta, foriera di un percorso di vita quasi obbligato nel mondo della viticoltura. Lo è stato anche per Luciano Bandini che, nella cittadina Toscana, è nato e, tutt’oggi, vanta collaborazioni con importanti aziende del settore. L’amore per la professione di enologo inizia a prendere forma già dalla scuola superiore, nel 1981 a Conegliano Veneto con il diploma di perito agrario, specializzato in viticoltura ed enologia, per poi, nel 1992, conseguire l’ambito titolo. Nella professione, svolta a contatto con colleghi di grande esperienza, ha sempre creduto, e ne ha fatto una filosofia professionale, ritenendo che i migliori risultati qualitativi si ottengano solo da una materia prima di elevata qualità, e con una profonda conoscenza della terra che la produce. Ad avvalorare quanto detto ha sempre sostenuto che la sua opera professionale non dovesse mai scindere il lavoro in vigna da quello in cantina, l’uno non può essere fatto senza l’altro: in una sorte di simbiosi naturale. Luciano Bandini è un’altra eccellenza Italiana nel settore dell’enologia. Uno di quei talenti che l’estero ci invidia e che dà valore all’Italia del vino.

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Luciano Bandini: Professione enologo

La nascita in una cittadina come San Gimignano è, talvolta, foriera di unpercorso di vita quasi obbligato nel mondo della viticoltura. Lo è statoanche per Luciano Bandini che, nella cittadina Toscana, è nato e, tutt’oggi,vanta collaborazioni con importanti aziende del settore.

L’amore per la professione di enologo inizia a prendere forma già dallascuola superiore, nel 1981 a Conegliano Veneto con il diploma di peritoagrario, specializzato in viticoltura ed enologia, per poi, nel 1992,conseguire l’ambito titolo.

Nella professione, svolta a contatto con colleghi di grande esperienza, hasempre creduto, e ne ha fatto una filosofia professionale, ritenendo che imigliori risultati qualitativi si ottengano solo da una materia prima dielevata qualità, e con una profonda conoscenza della terra che la produce.

Ad avvalorare quanto detto ha sempre sostenuto che la sua opera professionalenon dovesse mai scindere il lavoro in vigna da quello in cantina, l’uno nonpuò essere fatto senza l’altro: in una sorte di simbiosi naturale.

Luciano Bandini è un’altra eccellenza Italiana nel settore dell’enologia. Unodi quei talenti che l’estero ci invidia e che dà valore all’Italia del vino.

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© Luciano Bandini Winemaker

Come e quando è nata la passione per il vino?

Sono figlio di produttori di vino, perciò è stato abbastanza naturaleappassionarmi a questo lavoro. Fin da piccolo amavo osservare le varieoperazioni che faceva mio nonno in cantina: le fermentazione, la svinatura,travasi, filtrazioni. E poi il lavoro in vigna, la continua variabilità delleannate, la cura per l’attenzione per le viti ed il raccolto. Mi affascinavaquesto lavoro mai monotono, sempre a rischio per il meteo o per qualcheimprevisto nel ciclo di produzione, e per questo, alla fine, anche moltogratificante.

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© Luciano Bandini Winemaker

Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?

In quel periodo, mi riferisco agli anni settanta, la professione dell’enologoera quasi sconosciuta, e fare vino era più una tradizione, un’istruzionetramandata da padre a figlio, piuttosto che susseguente a studi tecnicoscientifici. Molti produttori, o imbottigliatori facevano poche analisi.Spesso i laboratori erano gestiti dai negozianti di prodotti per agricoltura,senza alcuna professionalità. Solo le grandi aziende avevano un laboratorioprivato. All’epoca, adolescente, vedevo molta approssimazione, perciò feci levalige e, allontanandomi dalla mia famiglia, iniziai il corso di studi aConegliano Veneto.

Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che

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curano quella vigna e quelle colline?

Diciamo che è fondamentale per raggiungere un obbiettivo prefissato, inparticolare se il rapporto è quello di consulente. A mio parere, ci deveessere perfetta sintonia tra chi guida le scelte tecniche di produzione, chiopera materialmente in vigna e in cantina, e la proprietà. Molto spessobisogna essere tempestivi nelle scelte, dare la giusta importanza aiparticolari, ed è quindi necessario avere la stessa sensibilità neiconfronti dell’intera filiera produttiva. Solo se si fa parte di uningranaggio ben affiatato possiamo dare il 100%.

© Luciano Bandini Winemaker

Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, nonprofessionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena“vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la suaesperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, alcontrario, sono (se lo sono) complementari?

Questa domanda mi fa sorridere, ancora oggi alcune persone (non molte perfortuna) quando mi chiedono che professione svolgo, mi scambiano per unsommelier. Nell’immaginario collettivo non professionista è più conosciuta lafigura del sommelier che dell’enologo. Per rispondere alla domanda le dico,con assoluta certezza, che le due figure sono assolutamente complementari.Noi enologi ci dobbiamo occupare di fare l’uva, e poi il vino, nel migliormodo possibile, alle volte anche presentarlo e guidare degustazioni, sempre

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allo scopo di far conoscere il prodotto nei suoi lati più tecnici. Ilsommelier, invece, deve aiutare il consumatore a degustare quel vino nel modoe negli abbinamenti più congeniali e ideali al vino stesso. Deve aiutare ilconsumatore a conoscere il territorio di produzione, la storia, e lecaratteristiche di quel vino nel modo più oggettivo possibile. Poi, sarà ilconsumatore che deciderà se è un buon vino o no, non il sommelier.

Quanto è cambiata, più o meno positivamente, la sua professione, rispetto aisuoi esordi?

Se parliamo tecnicamente direi che è molto cambiata, e positivamente. Oggi,c’è molta più attenzione alla qualità dell’uva. Più consapevolezza che unottimo vino non può nascere da una pessima uva. Casomai, il contrario. Unavolta, si tendeva più a migliorare i vini in cantina con correzioni, tagli,aggiunte varie o chiarifiche. Era consentito l’uso del torchio continuo perspremere le bucce delle uve in modo esagerato. C’erano molti meno controlli etutela del consumatore. Mi riferisco al periodo pre-scandalo metanolo. Perfortuna, poi, tutto è cambiato e, gradatamente, siamo arrivati ai giorninostri, dove utilizziamo un approccio molto più conservativo e rispettosodelle caratteristiche positive delle uve. Sono cambiati i vigneti, aumentandole densità d’impianto e la disponibilità di un’ampia selezione clonale, sista diffondendo una cultura sempre più biologica e rispettosa dell’ambiente.Ma molta strada c’è ancora da fare, ed il futuro ci riserva molteinnovazioni, soprattutto in agricoltura.

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© Luciano Bandini Winemaker

Pandemia e stato di salute del comparto vinicolo (Italiano e Internazionale),la sua esperienza attuale cosa può raccontare?

Inutile dire che anche il comparto vinicolo è uno dei periodi più bui cheabbiamo mai attraversato. In particolare, per tutte quelle aziende cheavevano impostato il loro mercato sul canale dell’HORECA, con vini dieccellenza. Ovviamente, c’è stato un blocco delle vendite e serviranno anniper smaltirlo. Diverso è il discorso per il mercato del vino sfuso, allamescita, o in bag in box. In questo settore si registra un aumento dellevendite, come anche per i vini di bassa o media gamma venduti in GDO. Con iristoranti chiusi si beve di più tra le mura domestiche e ci si accontenta diun vino più a buon mercato. Per il futuro, sarebbe importante un programma dipromozione statale del vino Italiano nel mondo per aiutare le aziende aripartire.

L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggettodi forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devonosoddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppurec’è , in alcuni casi, una base di verità?

Se torniamo indietro agli anni ’80/’90 molte aziende agognavano di prenderepremi sulle guide specializzate, in particolare i tre bicchieri del GamberoRosso. Per questo, a volte, effettivamente, la produzione era indirizzataper produrre lo stile di vino che piaceva ai degustatori delle varie guide.Vini corpulenti, ricchi di colore, muscolosi, e con l’immancabile tostato dellegno. Poi, improvvisamente, dagli anni 2000, le guide hanno iniziato apremiare l’esatto opposto, vini eleganti, non eccessivamente colorati,morbidi, con tannini setosi, senza legno. Ovviamente, quindi, è cambiatoanche lo stile di produzione delle aziende. Penso che siano stati fattidegli errori sia da parte delle guide, sia da parte degli enologi peraccontentare i produttori. Ma non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio.Per fortuna, oggi, le guide hanno molto meno potere sulle aziende. Oggi,prevale la linea di esaltare quanto più possibile le caratteristiche di undeterminato territorio, renderlo riconoscibile, unico. In ogni caso, semprearmonici, piacevoli al palato, esenti da difetti, indipendenti dai canonifissati dalla guida di turno, così che ogni azienda possa ritagliarsi il suospicchio di mercato preferito.

Un suo pregio e un suo difetto, professionalmente parlando.

Non so se sono pregi o difetti, mi ritengo molto pragmatico e meticoloso. Mipiace l’ordine e la pulizia delle cose. Non sono capace di mantenere rapportidistaccati con i clienti, mi ci affeziono, e inevitabilmente, diventanorapporti di amicizia oltre che di lavoro. Per il resto, dicono che sia unbrontolone, ma si sbagliano.