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Lorenzo Negri L’UOMO SBAGLIATO un giallo à la coque Luglio 2007 1

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Lorenzo Negri

L’UOMO SBAGLIATO

un giallo à la coque

Luglio 2007

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DATI AUTORE:

Lorenzo Negri.

Recapito postale : Loc. Casavecchia 9 52010- Capolona (AR)

Tel. 0575 451407 e-mail [email protected]

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Capitolo primo.

La via era deserta .Non c'erano auto, non c'erano persone. Niente, nemmeno un cane. Il lato destro era una lunga fila di alte mura dalle quali sporgeva qua un tetto di lamiera ondulata, là l'estremità di una corta ciminiera.A sinistra si allineavano palazzi condominiali con diverse pretese di status. I più ambiziosi sfoggiavano facciate di maiolica blu, con tende da sole gialle ad ombreggiare vaste terrazze. I più umili mantenevano quegli intonaci grigio sporco che creano lo sfondo triste sul quale si dibattono le vite dei milanesi. I negozi avevano le saracinesche abbassate. Tutti meno uno.Sopra l'unico negozio aperto campeggiava un'insegna luminosa a caratteri giallo oro su sfondo nero: " Franco Faggioni HI-FI ELITE ".Dalla porta semiaperta balzavano in strada accordi pizzicati sulle corde di un violino. Si susseguivano con un ritmo lento, monotono, intervallati nelle pause da leggeri colpi di cimbali .Lui si vide arrivare a passo di corsa. Indossava il vecchio eskimo verde marcio e aveva il volto coperto da un passamontagna rosso. Un tascapane militare penzolava gonfio al suo fianco destro.La bottiglia molotov si materializzò nelle sue mani e fu subito scagliata contro le vetrine.Vetri infranti con vampata di fiamme e orchestra d'archi ad infilare un andante veloce.Alla prima molotov ne seguì una seconda e quindi una terza.Le fiamme danzavano altissime e gareggiavano con lo stridore acuto dei violini che accentuavano ancor più l'incalzare del ritmo. Franco Faggioni uscì tranquillamente dal suo negozio.La sua faccia da trentenne annoiato esprimeva il fastidio di chi é chiamato a pagare un insulso balzelloStava attento anon sporcasi la polo celeste, a non gualcire i pantaloni chiari e leggeri che sventolavano tra le volute di fumo. Si aggiustò il ciuffo biondo ed avanzò.Lui gli balzò addosso e lo colpì in testa con una chiave del 36.L'aggredito rimase immobile.Non cercò di difendersi e continuò a fissare muto il suo aggressore che menava colpi all'impazzata.Lo fissava con quei suoi occhi cerulei persi in un vuoto indefinito.I violini tacquero.Le fiamme si spensero.Estrasse una grossa pistola e la infilò nella bocca del Faggioni.Voleva vedere quel volto odiato spappolarsi, voleva vedere le cervella e il sangue del suo nemico schizzare verso il cielo.Sparò.Come al solito non successe niente. Sparò ancora.La vetrina riprese il suo solito aspetto.Franco Faggioni rientrò lentamente nel suo negozio.L'insegna era lucida e luminosa come sempre.Lui s'inginocchiò e, tenendosi la testa schiacciata contro il petto, pianse.

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I singhiozzi lo squassavano.Il suo corpo sussultava come se fosse percorso da forti scariche elettriche.Si svegliò sudato e piangente.Grosse lacrime e rivoli di sudore gli rigavano il volto.Si rivoltò nel letto.Si mise a pancia in giù e cercò di soffocare i singhiozzi nel cuscino.Non voleva che i vicini, oltre la sottile parete, lo sentissero piangere.Si vergognava.Un uomo già da un pezzo oltre i quaranta, grande e grosso come lui, non dovrebbe piangere.Ma negli ultimi mesi non aveva quasi fatto altro.Piangeva, di giorno e di notte, gemendo e singhiozzando, nascosto nel suo miniappartamento, rannicchiato sotto cuscini e coperte.Solo così, protetto e avvoltolato come un feto, immerso in un bagno di sudore e lacrime, solo così trovava l'energia per continuare a vivere, nutrirsi, lavorare.Lentamente i singhiozzi si placarono.Tornò supino, si asciugò gli occhi con il dorso della mano, cercò la sveglia e guardò l'ora.Nel buio le cifre rosse del display a cristalli liquidi segnavano 04. 27.Troppo presto per alzarsi.Troppo tardi per riaddormentarsi.Non poteva permettersi che un altro incubo gli succhiasse le energie accumulate durante le vacanze estive.La mattina seguente avrebbe dovuto affrontare i suoi alunni e i loro genitori.L'anno scolastico ricominciava.Solo tre ore dalle nove alle dodici. Lectio brevis.Un'impresa immane.Comunque doveva farcela.L'aveva giurato a se stesso il giorno in cui aveva deciso che nonostante tutto voleva continuare a vivere. Nonostante la vergogna.Nonostante il disastro.Nonostante quella cascata di lacrime che gli urgeva dietro agli occhi e che poteva sgorgare per un nonnulla.Per fortuna, il suo ruolo di specialista di Lingua Inglese in una scuola elementare era considerato di secondo piano e la maggior parte dei genitori mostrava gran disinteresse per le attività da lui organizzate.Aveva perfezionato un metodo definito dall'acronimo TETG (Teaching English Through Games ) che i ragazzi gradivano e dava discreti risultati senza impegnarlo eccessivamente.Continuava a ripetersi che il peggio era passato.Tutto quello che doveva succedere era già successo.Un maestro reo d'adulterio con una collega, costituisce un fatto così frequente nell'immaginario del personale scolastico che, quando diviene manifesto e svelato, risulta immediatamente banale e poco interessante.

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Lo scandalo ormai non faceva più notizia. Tutti avevano già commentato e preso posizione.Sua moglie lo aveva lasciato definitivamente.Aveva perso il bambino che stava per adottare.I colleghi facevano gli indiani.La Direttrice, almeno questa volta, aveva avuto il buon gusto di non intervenire e di lasciarlo macerare nel suo brodo.Anche lei si rendeva conto che il suo più acceso antagonista di tante battaglie di politica scolastica era oramai ridotto ad una specie d'ombra, in grado solo di scivolare da una classe all'altra con il suo bagaglio di giochi e pupazzi. Tenere in piedi quell'ombra, che a scuola i bambini chiamavano Teacher e gli adulti maestro Bacci, gli costava un'enorme fatica.Per fortuna gli erano rimasti alcuni amici.Quelli di sempre. Quelli che oramai si riunivano senza di lui, ma che continuavano ad invitarlo ovunque e gli offrivano invano ogni genere di aiuto.Ogni tanto, nel suo appartamento, spesso tenuto buio anche in pieno giorno, squillava il telefono.Il telefono lo terrorizzava.I suoi guai erano cominciati con un messaggio anonimo sulla segreteria telefonica.Troppo comodo metterla così.Non doveva mai più mentire a se stesso.Le sue disavventure erano cominciate quando lui, Marco Bacci, l'unico vero responsabile di una lunga serie di guai, aveva visto Amaranta piangere e aveva creduto di poter aiutare la bella collega dal nome carico di esotismo e suggestioni letterarie. Aveva messo così il proprio malessere accanto a quello di lei, creando una comunione di aspirazioni deluse.Dal telefono cominciò l'attacco.La contromossa dell'avversario.Quando il telefono squillava, cominciavano i sudori freddi. Gli battevano i denti.I muscoli della schiena si tendevano dolorosamente. Il respiro fuggiva.A volte rispondeva solo per far cessare questo panico.Altre volte staccava il telefono e lo nascondeva in un armadio e ce lo lasciava per giorni. Poi pensava ai suoi anziani genitori, al loro bisogno di controllare che non si fosse suicidato . Così rimetteva in funzione l'apparecchio e ogni volta s'illudeva che sua moglie, in virtù di una qualche strana alchimia, potesse dissolvere la sua rabbia e si risolvesse a chiamarlo, per perdonarlo, per proporgli di ricominciare una nuova vita.Di nuovo insieme.Impossibile.Né lei, né nessun' altra al mondo potevano nutrire nei suoi confronti alcun genere d'interesse.Un uomo nel suo stato poteva solo suscitare disprezzo o pietà.Tuttavia, se il telefono squillava e lui riusciva a rispondere, nella maggior parte dei casi era una donna che lo chiamava.Principalmente le donne della sua famiglia, sua madre e le sue due sorelle, poi le donne dei suoi amici.Lo invitavano a cene, feste, concerti, mostre.Lo invitavano a distrarsi.Lo invitavano a reagire.Lo invitavano a confidarsi e sfogarsi con loro.Marco Bacci sapeva di non potersi permettere alcuna distrazione e ancor meno poteva lasciarsi andare ad una reazione.

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Solo nei suoi incubi si permetteva di reagire.E in quanto a sfogarsi e a confidarsi era ben organizzato.Pagava ogni mese più di un terzo del suo stipendio per incontrare una psicanalista due volte alla settimana.Ore brevissime, ma intense, in cui parlava a ruota libera di tutto ciò che aveva in testa, mentre lei fumando lo ascoltava e poi, di solito negli ultimi minuti, diceva qualcosa che avrebbe riverberato per giorni nei lunghi silenzi di Marco, dandogli la speranza di riuscire prima o poi a ritrovare il bandolo della sua esistenza, di riuscire a perdonarsi.

Restare a letto era ormai impossibile.Nudo e scalzo andò in bagno e cominciò a far scorrere l'acqua nel box doccia.In breve il piccolo locale si riempì di vapore, lo specchio si appannò.Con l'indice della sinistra, la mano del diavolo, quella che da bambino gli legavano perché doveva imparare a scrivere con la mano bella, tracciò a lettere tanto grandi quanto incerte la parola TRADITORE.S'infilò sotto il getto tiepido e come sempre sperò che l'acqua potesse lavargli via quel senso di disgusto che gli si era appiccicato addosso.Niente da fare. Continuava a viversi come un uomo sbagliato, un errore vivente.Si ritrovò nuovamente immerso nel suo recente passato.Rivedeva la sua segreteria telefonica Panasonic , il led rosso che lampeggiava nella semioscurità della stanza matrimoniale, risentiva l'agghiacciante messaggio di sole tre parole pronunciate dalla voce rabbiosamente roca del padre di Faggioni: "Delinquente, devi smetterla!" Era riuscito a bluffare, in quel momento aveva addirittura trovato il modo di ridere mentre ascoltava e riascoltava il messaggio insieme a sua moglie.La convinse a non preoccuparsi: era sicuramente qualcuno che aveva sbagliato numero, un vecchio rincoglionito che non sapeva con chi stava parlando.La misera pantomima gli permise di guadagnare una notte. Rimandare di qualche ora l'ammissione della sua colpevolezza.

Quando vide Amaranta a capo chino davanti al laboratorio linguistico, quando vide il suo sguardo, capì che erano stati scoperti.Franco, suo marito, si era insospettito. Era stato il comportamento di Amaranta a metterlo sull'avviso.Quel suo tornare ad essere capace di sorridere.La sua crescente voglia di spazi personali. La sicurezza con cui li esigeva. E il telefono.Per controllarla aveva cominciato a chiamarla spesso.Trovava troppo spesso il numero di casa occupato.Lei si giustificava dicendo che a chiamarla erano le amiche, le colleghe.Ma quando uno ha la fortuna di essere Franco Faggioni, di possedere una bella moglie e una bella figlia, il negozio di Hi-fi, un paio di case in città, una villa sul Lago Maggiore e una scintillante BMW nera, non può permettersi esitazioni.Deve usare ogni mezzo a sua disposizione per difendere e curare le sue proprietà. Amaranta chinava sempre di più la testa mentre lo sentiva avvicinare.I suoi capelli neri, scurissimi, spessi e fitti, tagliati a caschetto, le nascondevano la parte superiore del volto come una scura cortina.

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Si sentiva che quello che stava dicendo la faceva soffrire, la dilaniava.Schiacciò la testa contro il mento, prese fiato come per iniziare un lungo discorso, ma tacque.- Ti ha fatto pedinare? Si è rivolto ad un investigatore? - la incalzò Marco. Lei prese ancora fiato e poi trovò la forza di spiegare che Franco si era rivolto a suo padre.Domenico Faggioni era un ex ufficiale della Digos e sia a Milano che a Roma c'erano molte persone che gli dovevano dei favori.Gli uomini della Digos lavoravano molto meglio di quelli di Tom Ponzi e delle altre agenzie d'investigazione.Avevano ogni genere di mezzi e furono subito a disposizione dei signori Faggioni a costo zero. Tutto ciò che serviva andava a carico dei contribuenti.Il telefono fu messo sotto controllo, ogni conversazione venne accuratamente registrata.Il maestro Bacci chiamava sempre da una cabina.Diceva parole troppo dolci per essere un innocuo collega.Spiegava ad Amaranta quanto fosse bella e come gli sarebbe piaciuto poterla incontrare più spesso. Un pomeriggio, all'inizio della primavera, quando anche a Milano gli alberi dei parchi si ostinano a fiorire, le diede un appuntamento alla montagnetta di San Siro.Passeggiarono tra i viali tenendosi per mano come due scolaretti, in un angolo ombroso si scambiarono un rapido bacio a fior di labbra, ignari delle foto che venivano scattate. Un paio di uomini ben attrezzati li seguivano discretamente tra i vialetti tortuosi.Lui le spiegava il suo strazio, la sua frustrazione per non riuscire a farsi amare da sua moglie, l’essere ridotto ad accessorio di poco conto nella vita coniugale.Non riusciva mai a vedere negli occhi di sua moglie quello sguardo carico di benevolenza e di desiderio che illuminava i lunghi occhi scuri di Amaranta.Lei parlava poco, annuiva più che altro.Qualche volta diceva frasi semplici come Mi sembra di capirti oppure Anche a me piacerebbe poter essere libera. E sospirava.I microfoni direzionali e sensibilissimi, gestiti dalle abili mani di perfetti tecnici del suono, registravano anche i sospiri.Chissà se anche quegli uomini, riascoltando le registrazioni nelle loro cuffie riuscivano ad intuire in quei sospiri, in quel timbro caldo della voce di Amaranta, tutta la voglia d'amore che scorreva nelle vene di quella donna? A Marco sembrava che dentro quel corpo, da creatura della jungla, da india, fluisse un serpente di lava, un magma cui urgeva trovare uno sbocco.

Quando Franco e Domenico Faggioni, nel retro del negozio di hi-fi, ebbero terminato di visionare le foto e ad ascoltare le registrazioni insieme ad una squadra di cinque deferenti e perplessi agenti della Digos, provarono un senso di sconcerto misto a vergogna. L'espressione quasi equina di Franco era forse il più fedele specchio della sua anima. Il famoso "mulo parlante" di Arthur Lubin -Francis per l'appunto- grazie alla capacità di articolare discorsi con la sua voce baritonale appariva di gran lunga più umano.Cosa doveva pensare di quello che aveva visto e sentito? E cosa pensavano di lui, di loro, della sua famiglia, quelli che avevano visto e sentito per lui?Prima ancora che questa indagine cominciasse, sapeva già che sua moglie lo stava tradendo. Erano mesi che Amaranta sorrideva e si.muoveva carica d'una nuova energia.Era diventata d'improvviso più attenta a strani dettagli, come il colore del cielo, la forma delle nuvole, la posizione delle piante sul terrazzo.

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Aveva smesso di vestirsi con quei pallidi rosa e celeste che aveva sempre privilegiato, ora si vestiva spesso di tinte forti, specie il nero e il rosso intenso e scuro come quello delle lacche cinesi.Non guardava più la televisione, anzi ne parlava quasi con disprezzo, passava le serate a leggere.Leggeva un sacco di romanzi . Soprattutto di autori latino americani.- Mi domando che cosa ci trovi in tutte quelle storie che leggi.Amaranta aveva percepito il livello di tensione nella voce del marito, ma mentre una volta si sarebbe affrettata a trovare le parole per calmarlo ed evitare una delle sue esplosioni di collera, questa volta lo sfidò.Gli puntò uno sguardo incandescente negli occhi da nordico in inverno e con un tono secco rispose: - Ci trovo me stessa. In questi romanzi ci sono anch'io, si parla di me, di quella parte di me che tu ti rifiuti d'incontrare. E che dire della musica?I suoi sofisticati impianti, i cd con le compilation al top delle classifiche, le loro canzoni preferite, tutto dimenticato.Ora Amaranta girava perennemente con un vecchio walkman e un paio di scadenti cassette che ascoltava mentre leggeva, mentre era in macchina, mentre si occupava delle faccende di casa, ogni volta che lui guardava un video preso a noleggio o un qualsiasi programma televisivo.Solo la bambina aveva il potere di farla uscire da quel limbo acustico che sembrava attrarla così tanto e così lontano da lui.Una sera, mentre lei era sotto la doccia, prese dalla borsetta il walkman e ascoltò quei suoni gracchianti e insulsi. Sembravano registrazioni malfatte di vecchi vinili con musica jazz degli anni settanta.Sulla custodia una grafia quasi illeggibile aveva scritto soltanto Sognando di volare.Qualche giorno dopo, con noncuranza domandò - Chi ti ha dato quella musica ?- Rita, la mia collega. Il suo fidanzato è un clarinettista, te l'avevo già detto, no?La prontezza di quella risposta più che verosimile lo sorprese, ma non lo tranquillizzò.Rita aveva già passato i cinquanta e quindi aveva venti e rotti anni più di Amaranta, ma invece di sembrare sua madre si relazionava con lei quasi come una sorella.Spesso veniva a trovarla a casa e passavano lunghe ore in reciproche e quanto mai segrete confidenze.Era comunque riuscito a carpirle che da molti anni questo "fidanzato" si era inserito nella sua vita famigliare e ora che i figli erano cresciuti, Rita rivendicava una specie di diritto di poliandria. Non voleva perdere la sua famiglia, ma voleva avere l'agio di godersi la sua love story alla luce del sole. Ne aveva parlato con il marito e con i figli e dopo un periodo di inevitabili burrasche, era riuscita nel suo intento.La cosa che più lo lasciava perplesso era che il fidanzato col clarinetto avesse un'età di poco superiore a quella del figlio maggiore di Rita.Franco Faggioni per molto tempo reputò Rita la maggiore indiziata del cambiamento di sua moglie.Cominciò a osteggiare e a rendere difficoltosi i loro incontri.Espresse sul conto di lei i peggiori giudizi.Non ottenne altro che una maggior riservatezza da parte di sua moglie e dell'amica.Inevitabilmente fantasticò anche qualcosa di simile ad un amore saffico e si stupì di provare un'eccitazione piuttosto intensa nell'immaginare di poterle spiare mentre nude si toccavano e si baciavano come le attrici dei film porno visti in tivù la notte tardi, aspettando che Amaranta uscisse dal suo studio e dalle sue letture per coricarsi insieme.Nessuna di quelle attrici però, aveva i capelli bianchi e il volto pieno di rughe.Poteva anche darsi che Rita rappresentasse per sua moglie un modello trasgressivo e che senza nemmeno volerlo la spingesse a coltivare fantasie ed emozioni che avrebbero finito per minare la loro vita coniugale.

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Come se anche per Amaranta un marito, un lavoro, una figlia, una vita agiata e regolare, fossero improvvisamente diventati troppo poco, insufficienti per dare un senso all'esistenza.E se nella cerchia di amici del clarinettista ci fosse stato qualche giovane trombettiere? Qualche atletico batterista dalla bacchetta sensibile? Qualche maschio che faceva il cascamorto con la maestrina?Non si poteva escludere nulla e quelle telefonate così frequenti e così lunghe mentre lui era in negozio potevano solo far presagire il peggio.Provò a pedinarla per controllare se tra i suoi impegni scolastici ci fosse qualcosa di fittizio, per coprire incontri pomeridiani clandestini con qualche musicista da strapazzo. Un brasiliano? Un mulatto dalla pelle ambrata come quella di Amaranta? Ne giravano tanti di scapestrati tra i locali dei Navigli.Solo nel tragitto tra casa e scuola c'erano almeno una decina di questi lupanari travestiti da music-club dove con un cappello giamaicano, un po' di reggae e la pelle scura si poteva rimorchiare alla grande. Dio che squallore!L’idea che sua moglie potesse anche solo sfiorare l'uccello di uno di questi negri gli suscitava conati di vomito.Fortunatamente non vide negri.Sua moglie andava davvero a riunioni scolastiche e frequentava soltanto gruppi di colleghi.Aveva anche verificato che i tre maschi presenti nel corpo docenti non rappresentavano una minaccia.Uno era la fotocopia di Pappagone, l'altro sembrava un Lino Banfi gonfiato ad aria compressa e infine c'era quel patetico Marco Bacci con la sua bicicletta arrugginita, le scarpe logore e quei vecchi abiti da post-sessantottino conservato in naftalina.La cosa più pietosa era vederlo arrivare con la pancetta, la barba lunga e la chierica, elementi che avrebbero anche donato ad un frate cappuccino, ma che stonavano e stridevano con i jeans sdruciti, i giubbotti di pelle e, cigliegina sulla torta, uno zainetto Invicta in tutto e per tutto simile a quello dei suoi scolari.Un insulso, ridicolo quarantenne che viveva ancora nell'impossibilità di essere normale. Ma non era un giovane Eliott Gould in un campus americano, era solo un misero maestro d'Inglese.

Ora gli stavano spiegando che proprio quel drop-out era la persona di cui Amaranta era innamorata.Prese tra le mani la foto in cui i due si baciavano.Non poteva credere ai suoi occhi.Sul tavolo c'erano anche due cassette di musica jazz identiche a quelle che sentiva sempre Amaranta.Che bambinate! Che idiozia!Il più anziano tra gli investigatori ruppe il silenzio.-Dottor Faggioni con ‘sta roba non ci combiniamo un granché.Non c’è adulterio e non possiamo continuare a sostenere che ci sia un tentativo di ratto di minore come abbiamo fatto credere al gippe.Silenzio. Sigarette.- Se fossi in voi non mi preoccuperei più di tanto. Se volete si manda qualcuno a dare una ripassata a quel gonzo e gli si fa capire che la smetta di ronzare attorno alla signora.Domenico Faggioni aveva già compreso e si aspettava queste parole.- Non fate più nulla . Troverò io il modo di neutralizzare questo coglione. Lasciatemi il materiale e dite a chi di dovere che il caso è chiuso.

Quando i Digos se ne furono andati Franco si sentì sperduto nel retrobottega saturo di fumo, provava più vergogna che rabbia, non aveva il coraggio di alzare lo sguardo sul genitore e restò a fissare una foto di Bacci che pascolava un bastardino in un giardino spelacchiato.Suo padre, di spalle, lo sguardo fisso sul vetro smerigliato di un minuscolo finestrino, accese un’altra sigaretta e dopo qualche boccata cominciò a dettare le mosse.

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-Prima di tutto fermiamoli. Non devono andare avanti.- Che significa?- Significa che ora tocca a te. Vai da quell'idiota e digli di levarsi dalle balle. Prendi tua moglie e sputtanala, dille che se ne vada pure in giro a svolazzare con chi le pare, ma sappia che tu chiederai il divorzio se non tronca immediatamente tutto e non si rimette subito in riga. Falle capire che da noi non avrà una lira e che ci sarà facile sottrarle la bambina. La mia Valentina non deve passare neanche un secondo in compagnia di chi ci tradisce. Contatta quell'altra cornuta, la moglie del Bacci, e falle vedere le foto.Voleva fare un casino a noi, ci vuol altro.Lo distruggeremo senza neanche toccarlo. Lo sommergeremo con la sua merda.-Non so se riesco a fare tutte queste cose.- disse Franco prendendosi la testa tra le mani.-Stronzate, un Faggioni ce la deve sempre fare. Quello che non farai tu, lo farò io e subito.Domenico Faggioni uscì dalla sua nuvola di fumo, di fronte all'espressione sempre più smarrita del figlio, sollevò stizzosamente la cornetta del telefono e compose il numero di casa Bacci.-Cazzo! Non è in casa. C'è la segreteria. Uguale.Aspettò il bip e con tutta la rabbia che gli urgeva in gola sentenziò:- Delinquente! Devi smetterla.

Alle sette e mezza dell'undici settembre 2003 Marco Bacci uscì di casa, incontrò la portinaia che strofinava con un panno la grossa maniglia del portone, alla vana ricerca di una lucentezza che i fumi di scarico avrebbero appannato in pochi minuti. La salutò con un cenno del capo e schizzò in strada come se avesse una gran fretta.In realtà aveva un'ora e mezzo a sua disposizione per compiere un tragitto di soli cinque chilometri. Con la 95 ci avrebbe impiegato circa quaranta minuti.Se avesse usato un'automobile anche un'ora.Poiché non possedeva alcun genere di veicolo a motore non correva il rischio di sottoporsi a questo genere di autotortura.Quando pioveva si regalava una mezz'ora abbondante di traballante lettura nella calca dell'autobus, quando c'era il sole inforcava la sua vecchia bici e in un quarto d'ora arrivava a scuola.Quel giorno il tempo era incerto e, come sempre in quei casi, si risolse ad andare al lavoro a piedi.A dire il vero in molti avevano cercato di convincerlo a rinunciare sia alle pedalate che alle camminate giudicate insalubri per via degli inquinanti.Come misura cautelare Marco Bacci si limitava a scegliere percorsi con attraversamenti di giardini asfittici e vie con minor traffico e poche corsie.In fin dei conti credeva ancora alle leggi di Darwin e riteneva che sarebbero sopravvissuti quegli individui capaci di adattarsi ai veleni dell'ambiente e a convivere con il cancro.Ormai nessuno, nemmeno lui, sperava che i metropolitani si accorgessero che la maggior parte della cittadinanza avrebbe facilmente migliorato la propria qualità di vita rinunciando all'automobile..Alle otto e dieci era quasi arrivato e decise di premiare il suo sforzo podistico con il miglior cappuccino e il miglior cornetto di tutto il sud-ovest milanese.Il caffè pasticceria Orlandi non era molto accogliente, nonostante fosse curato pulito e super lucidato, comunicava una freddezza metallica e spigolosa che Marco avrebbe sicuramente evitato se non ci fossero stati l'eccellente qualità dei prodotti e lo sguardo soddisfatto della signora Orlandi nel vedere le espressioni di godimento che si dipingevano sui volti degli avventori non appena addentavano un cornetto alla crema o alla sfoglia di mandorle. Erano dolci veri, appena confezionati dal signor Orlandi nell'attiguo laboratorio, sapevano veramente di burro, crema, cacao ... Nella Milano del fast -food,

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precotto, congelato, omogeneizzato, bombardato dalle microonde per essere scaldato e ammosciato, quella pasticceria era un vero miracolo. Gli avventori ne erano consapevoli e sarebbero stati disposti a pagare anche il doppio pur di potersi garantire quel piacere più unico che raro.Il maestro Bacci scelse un cornetto con la crema chantilly e la marmellata di lamponi.Il cornetto era fragrante e il cappuccino semplicemente perfetto.Aveva imparato a gustarsi la colazione senza fretta.Si portò quindi in un angolo del locale e cercò di estraniarsi da tutto per immergersi nel suo piccolo piacere. Una volta, prima del naufragio, amava definirsi un gourmand.La passione per la buona tavola gli si era appiccicata addosso fin da piccolo e se non era anch'egli obeso, lo si doveva alla scarsezza di mezzi economici e alla quantità di chilometri macinati, camminando, correndo e pedalando. La pinguedine del quarantenne non lo aveva risparmiato e quella sua pancetta troppo sporgente attirava le attenzioni di tutti i suoi amici e parenti che continuavano a consigliargli dietologi e terapie di ogni sorta.Sembra che oggi non possa esistere nulla di più indecente di una pancia prominente.Non importa se tradisci tua moglie o se la spii o la ricatti. Non importa se sei farmacodipendente o non puoi addormentarti senza la televisione. L'importante è che tu appaia asciutto e in linea. Anche se per ottenere questo devi prendere anfetamine o sottoporti a liposuzione. Devi restituire alla società un'immagine di te che nel suo centro esibisca un ventre piatto e ben teso.Anche il suo corpo esibiva un evidente non allineamento ai dettami del suo tempo, ma guardandosi intorno gli sembrava di essere in buona compagnia.I golosi, gli ingordi e i famelici, i buongustai e i gozzovigliatori erano una tribù che ancora si aggirava numerosa, trasgredendo prescrizioni e buoni consigli.Negli anni trascorsi con sua moglie era riuscito a farsi concedere una certa libertà d'azione ai fornelli e dopo qualche tempo anche lei aveva cominciato a mettere su qualche chilo. Non era certo grassa, ma almeno non le si contavano più le ossa.Riusciva anche a farsi accompagnare in esplorazioni enogastronomiche nella ricca offerta di ristoranti milanesi.Quando gli andava bene e il cibo e i vini le risultavano graditi, sua moglie diventava anche allegra. E in quei momenti Marco Bacci riusciva a sentirsi contento, a sperare ancora che fosse possibile aprirsi un varco nel suo cuore e diventare veramente importante per lei.Questi pensieri, sommati alla notte agitata, gli provocarono un affollamento di lacrime agli angoli degli occhi. La vista si appannò e in un attimo due solchi liquidi gli rigarono le guance per poi perdersi nel folto della barba.Non sapeva più che fare, l'imbarazzo lo paralizzava. Doveva asciugarsi le lacrime pagare ed uscire al più presto. Prima che arrivassero i singhiozzi.Cercò invano i fazzoletti di carta nella tasca del giubbotto. Si trovò costretto a tirare su rumorosamente con il naso ed a cominciare ad asciugarsi gli occhi con le mani.- Prenda questi, prego.Una mano di donna gli stava porgendo dei fazzoletti di carta.-Grazie mille, molto gentile.-Si figuri, anch'io sono come lei.Marco rallentò il suo lavoro di tamponamento falla e sollevò il volto dal fazzoletto per guardare la sua soccorritrice.Una donna sulla trentina con la capigliatura di lunghi boccoli castano scuro, un visino da bambolina impertinente che gli richiamò subito Maria Schneider in Ultimo tango, stava di fianco a lui e sembrava ridere e piangere al contempo.Mentre si asciugava due grossi lacrimoni, perle di cristallo agli angoli di due grandi occhi di un verde intenso, occhi puliti e senza trucco, la donna ammiccò verso il televisore, in un angolo in alto,alla sinistra di Bacci.

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L'apparecchio continuava a trasmettere le famose sequenze dell'attentato alle Torri Gemelle per commemorarne il secondo anniversario.-Non posso farci niente - disse la donna con la voce spezzata da quegli strani singhiozzi che a tratti sembravano risatine -Non posso farci niente, ogni volta che vedo queste scene e penso alle persone prigioniere in quegli aerei e a quelli che hanno visto la loro morte esplodergli addosso mentre erano seduti alla scrivania, quando penso a tutto quell'orrore, anch'io come lei scoppio a piangere.La donna finì di tergersi gli occhi e buttò il fazzoletto fradicio in un cestino, poi allungò una mano verso la spalla di Marco.Era una mano affusolata, bianca, che, prima di ritrarsi, sfiorò dolcemente la ruvida pelle del giubbotto turco che Marco indossava quasi tutti i giorni dell'anno.- Grazie per aver pianto con me- disse con un sussurro - Di solito penso di essere l'unica scema. Il misto di vergogna e dolorosi rimpianti stavano improvvisamente lasciando il posto ad una crescente commozione e ad un grande afflato empatico nei confronti di questa femmina sconosciuta e dei suoi equivoci. Era così emozionato che avrebbe potuto dire un'idiozia alla Woody Allen in Provaci ancora Sam, qualcosa tipo:" Tu sei ragazzamente bella."Fissò ancora un attimo il televisore, si stupì di quanto fossero antiquati i film che gli affioravano alla memoria, si vietò di accennare al vero motivo delle lacrime sparse e nel contempo decise di astenersi da qualsiasi approccio di tipo personale. Quindi disse la prima frase che gli sembrava appropriata tra tutte quelle che attraversavano il vuoto panico del suo cervello:-Chissà quante persone in quel momento hanno potuto rendersi conto di quello che stava accadendo? Tutti sono morti credendo di essere vittime di un incidente, ignari di essere il bersaglio di una mostruosa barbarie. E quanti tra noi che siamo sopravvissuti stanno muovendosi nella direzione giusta per impedire una nuova tragedia?A lui sembrava che in quel momento la direzione giusta fosse quella che li avrebbe portati ad un abbraccio strettissimo, bagnato da lacrime e baci, ma non ebbe il coraggio di muoversi, anzi provò quasi vergogna per quel pensiero e abbassò lo sguardo, con il risultato di scoprire che, sotto un leggero spolverino rosa, la sconosciuta esibiva una minigonna di finta pelle nera e un paio di gambe snelle e nervose, da ballerina di flamenco pensò, inguainate da calze a rete.Era ora di chiudere il discorso e scappare.- Grazie per i fazzoletti, siete stata davvero gentile.- Ma che dite? - si schernì lei - Non volevo che lei si rovinasse i suoi begli occhi azzurri, stropicciandoseli selvaggiamente.- Come sarebbe a dire?- Che l'ho già vista qua altre volte. Alcuni mesi fa, durante la primavera scorsa. Allora sembrava molto più afflitto e sciupato di oggi. E anche se non piangeva, sembrava avere il piombo nello sguardo. Quanta parte che avrebbe voluto tenere segreta era già stata esposta allo sguardo di quella donna di cui non si era mai accorto!Marco avrebbe voluto comporre lì per lì un peana per glorificare le bellezze muliebri di quella squisita creatura o per lo meno dirle che quegli occhi verdi che lo stavano guardando con tanta dolcezza erano autentici gioielli, ma l'impaccio era troppo grande e si sentiva la lingua impastata, come se la chantilly e la confettura di lamponi gliel'avessero ancorata al fondo del palato.Non riusciva ad essere schietto e diretto come lei.Non poteva ricambiare gli inattesi complimenti. Balbettò.-Mi devo scusare, ma non riesco a ricordarmi di lei. Non credo che sia facile scordarsi di una ...insomma ... una donna come lei.-Ma lei non poteva vedermi, aveva lo sguardo piombato. Comunque mi chiamo Laura.Lo disse tendendogli la mano con gesto quasi virile

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-Io sono Marco - le strinse la bella mano con garbata energia - Lavoro qua vicino.- Anch'io. Purtroppo ho paura di essere in ritardo. Spero di rivederla.-Sicuramente.Con un rapido gesto Laura prese la sua borsa appoggiata ad uno sgabello e ondeggiando dolcemente sui tacchi alti infilò la porta e scomparve.

Mentre a passi rapidi copriva l'ultimo tratto di strada, Marco Bacci stentava a riconoscersi. Aveva voglia di fischiettare, saltellare, correre.Ridendo di se stesso e di quel piacere che gli scorreva dentro per via di quel fortuito incontro, si ritrovò a fantasticare su quando sarebbe avvenuto il prossimo.L'indomani le lezioni sarebbero iniziate alle otto e mezza. Pedalando rapidamente gli sarebbero bastati un paio di minuti per raggiungere la scuola dalla pasticceria; se Laura era un'habituèe delle otto e dieci, come si poteva dedurre dai suoi accenni al periodo della primavera scorsa, avrebbero avuto un buon quarto d'ora a loro disposizione per una nuova chiacchierata. E in quel caso avrebbe dovuto cercare di non farsi fregare dall'emozione. Però doveva stare anche attento a non far la parte del bavoso morto di fame.Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva fatto l'amore?Sei mesi? A lui sembrava che fosse accaduto in un'altra era geologica o in una precedente vita. "Ma che vai fantasticando, maschiaccio libidinoso e coglione!" si rimproverò " Non sai niente di quella donna, potrebbe essere madre e moglie felice. Tieniti lontano dai guai che ne hai già avuti abbastanza."Per quanto si rimproverasse, per quanto spazio scenico lasciasse al Grillo Parlante , nel suo teatrino interiore Pinocchio sgambettava contento ed era pronto ad infilarsi dritto dritto nel ventre della balena, attratto da quella inaspettata visione di sirena.Tutto gli appariva diverso e più facile. L'ottimismo e la voglia di vivere pienamente la vita, erano nuovamente spuntati al suo orizzonte.Senza nemmeno accorgersene incominciò a correre velocissimo e quando fu giunto a qualche metro da un cartello di divieto di sosta, saltò più alto che riuscì e con la mano tesa picchiò un violento colpo sulla lamiera, gridando di gioia come aveva fatto a quattordici anni quando per la prima volta era riuscito in quell'impresa , quando per la prima volta aveva creduto di essere diventato grande abbastanza.

Seduto davanti alla Gazzetta dello Sport, il custode della scuola sembrava aspettarlo.-Buon giorno e buon anno, maestro Bacci.- Anche a lei signor Sanvito.Il custode, marcando la zoppia che lo aveva costretto a lasciare l'Arma dei Carabinieri in seguito ad un incidente automobilistico per cause di servizio, si sollevò dalla sua postazione e gli sbarrò il passo.-Maestro - disse con voce grave - ho bisogno di un suo parere. -Spero di poterle essere utile, ma le consiglio di non fidarsi troppo dei miei pareri.Il Sanvito si guardò intorno con aria circospetta.Dopo aver verificato che l'atrio era deserto e che in lontananza si vedeva una sola commessa intenta a spazzare un corridoio, susssurrò:- Ho scommesso cento euro sull'Inter prima in campionato. Ho fatto bene? La danno a cinque.-Bé, non posso augurarmi altro che lei incassi la vincita. Sono molti anni che aspetto una vittoria della Beneamata. -Certo se avessimo acora Ronaldo e Roberto Carlos, potremmo andare sul sicuro.

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Bacci sorrise e battendo amichevolmente una mano sulla spalla del custode, con fare complice proferì il suo verdetto:- Se la nostra Inter fosse una squadra affidabile, nessuno la darebbe a cinque. No? In ogni caso non ho più la voglia di pensarci troppo e di soffrire per il calcio. Anche se so già che ogni domenica tenderò almeno un orecchio per sentire come sta andando.-Io ho fatto l'abbonamento a Sky - affermò con soddisfazione il Sanvito.- Io ho buttato il televisore nel cassonetto - ribattè Bacci con altrettanto gusto.-Perché?-Similia cum similibus.-Cioè?- Mi faceva schifo.- Maestro, senza offesa: lei è pazzo.L'insegnante rise di gusto e il custode lo imitò. Il freddo atrio marmoreo fece echeggiare le loro risate su per le scale che con una certa maestosità salivano al piano superiore. Una luce grigia filtrava dagli ampi finestroni di vetro smerigliato.Tra pochi minuti un migliaio di bambini avrebbero invaso l'edificio scrollandolo dal torpore estivo, facendo vibrare ogni mattone della scuola sotto una folle galoppata .Ogni mattina bisognava verificare chi fosse il più lesto e il primo giorno di scuola questa gara era ancora più importante, lungamente attesa , desiderata.La porta si aprì e in gruppetto di colleghe fecero il loro ingresso.Ci fu un rapido scambio di saluti, poi le maestre si allontanarono quasi avessero paura di essere coinvolte nei discorsi di quei due uomini dall'aria così divertita e così fuori luogo per un momento da affrontarsi con ben altra solennità.-Le chiavi del laboratorio sono sempre al solito posto ?- si informò Bacci dirigendosi verso la bacheca in cui erano appesi i numerosi mazzi di chiavi che servivano per chiudere armadi, scaffali, laboratori e magazzini.- Certo, faccia pure , ma mi raccomando chiuda bene. Ho paura che ci sia qualche mascalzone pronto a fregarci.- disse il Sanvito divenendo immediatamente serio, preoccupato. -Come mai dice questo? Un brivido attraversò la schiena del Bacci. -Ieri notte ho sentito dei rumori. Ho svegliato mia moglie e ci ho detto "Tonia c'è i ladri, tu esci e fai luce con la pila che io ti vengo dietro nel buio con la Beretta."-Sanvito! Non mi dica che avrebbe veramente sparato?-Sicuro - asserì il custode con una punta di risentimento - quei fetenti imparano solo quando sono imbottiti di piombo.Svanita di colpo l'allegria che sperava potesse accompagnarlo. - Non ha trovato nessuno, vero Sanvito?- No. Non c'era più nessuno. Abbiamo fatto il giro della scuola, abbiamo acceso tutte le luci, controllato gli uffici e i laboratori..Tutto a posto tranne ...-Tranne ?- chiese ansioso il maestro, presentendo già che la risposta lo avrebbe riguardato.-Tranne il laboratorio linguistico. Aperto e con le luci accese, ma non mancava niente..Lo stavano ancora tenendo d'occhio. I Faggioni non erano ancora tranquilli e volevano verificare che alla ripresa dell'anno scolastico non ci fossero nuovi contatti con Amaranta.-Forse si è sbagliato- buttò lì con scarsa convinzione- forse mi sono dimenticato di spegnere le luci e di chiudere il laboratorio quando sono venuto qualche giorno fa a preparare il materiale.-Impossibile me ne sarei accorto prima.

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Era inutile insistere e anche sperare che fossero veramente ladri.-Mi raccomando Sanvito. Non corra più rischi. Chiami il 113 la prossima volta.- Ma sta scherzando. Dopo tutti gli anni di servizio nell'Arma, questi ladruncoli mi fanno un baffo.- Ma le sue pallottole possono far davvero male, possono anche uccidere.-E allora? Quelli sono dei fetenti, degli infamoni che non meritano di vivere!-Accidenti! Sanvito, non tocca a noi decidere chi vive e chi muore.Con un gesto di stizza afferrò le chiavi e a rapidi passi si allontanò. Il ragazzino di quattordici anni non aveva più la forza di saltare.Marco Bacci si sentì nuovamente piccolo e debole e desiderò il buio della sua stanza e il calore delle sue lacrime.Sanvito fece squillare la campanella e il frastuono della carica dei mille rimbombò improvviso e fragoroso come sempre.

La prima ora Marco Bacci avrebbe dovuto affrontare la IV A.Diciannove ragazzi piuttosto turbolenti, di cui tre erano cinesi, due albanesi, uno rumeno.Il più difficile era un milanese purosangue, Alex, che fin dalla prima elementare aveva dato parecchio filo da torcere ad insegnanti e compagni.La sua scheda personale parlava di depressione cronica con disturbo della condotta. Che tradotto significava calci e pugni per tutti, compresa la Direttrice, qualche tentativo di furto maldestramente fallito, qualche aggressione all’arma bianca ( coltelli da cucina, forbici da sarta, taglierini per balsa...) e altre bazzeccole del genere cui la scuola aveva risposto affidandolo per alcune ore ad una maestra di sostegno piuttosto coraggiosa ed armata di santa pazienza.Fortunatamente questa riuscì a trasformare in breve tempo l’iniziale violenza fisica e la smodata aggressività in atteggiamenti più consoni alla vita scolastica.Nel giro di un paio d’anni le rabbie di Alex trovarono sfogo in un turpiloquio da portuale e in esibizioni di grande abilità nel centrare con gli sputi i più svariati bersagli.Una delle sue insegnanti non aveva retto a tanto e dopo alcuni travasi di bile chiese ed ottenne di essere assegnata ad altra classe.Sostituti e superstiti proseguirono nel difficile cammino fino ad ammansire completamente la belva.Ora i compagni si vendicavano delle angherie subite spingendo Alex a fare le cose più assurde ed umilianti, senza mancare di sottolineare con crudeltà ogni suo difetto, ogni sua difficoltà.I genitori di Alex avevano già abbastanza problemi per cercare di andare oltre il loro passato da tossicodipendenti e tutto quello che riuscivano a fare per il loro figliolo era l’acquistare confezioni all’ingrosso di merendine ultranocive da ogni punto di vista, consumate con accanimento dal bambino nelle serate davanti alla tele, fino all’immancabile attacco di vomito.Marco Bacci e Alex avevano fortunatamente un buon rapporto.Anche se il piccolo non sapeva nemmeno contare fino a dieci in English, Marco sapeva trovare ogni occasione per gratificarlo e farlo divertire. Tra i due correva una specie di affetto e spesso Alex si confidava con il suo Teacher per avere aiuto e solidarietà nella sua travagliata esistenza di scolaro.Per Marco era difficile sottrarsi a questi appelli, forse perché gli era facile immedesimarsi in quel poveretto così repellente per tutti gli altri.Appena Marco entrò in classe, Alex gli corse incontro e lo abbracciò appoggiandogli il capoccione biondo sulla pancia.Poi gli fece cenno di chinarsi e gli sussurrò in un orecchio:- Ti voglio bene, Ticcia.- Anch’io Alex. Mi sei mancato.Un altro invito a chinarsi fu seguito da un bacio umido sulla guancia del maestro.Marco era commosso e avrebbe voluto ricambiare il gesto d’affetto, invece si rialzò e dopo aver fatto l’occhiolino ad Alex si rivolse agli altri alunni con la formula di rito:

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- Good morning children.- Good morning Teacher.- Welcome back to school.-Thank youuu!- How are you?- Fine, thank youuu.- Are you ready to start again?- Yeeees!- All right. Follow me, please.L’insegnante uscì quindi in corridoio ed attese che tutti i ragazzi si disponessero in fila per due prima di condurli al laboratorio linguistico.Alex godeva del privilegio di dargli la mano e si dispose subito al suo fianco.Il primo della fila, a qualche centimetro dalla sua pancia era Tony, un massiccio albanese che si contendeva il ruolo di leader con Nico, il più bravo in tutto, Mircea, il rumeno che a calcio era quasi più bravo di Nico, e ovviamente Luca, il più ricco di soldi, di fidanzatine e fidanzatini, di astuzie e sotterfugi.- Teacher, posso dirti una cosa? - sparò Tony a bruciapelo con il suo insopportabile falsetto. - Of corse you can.- Ma posso dirtela in Italiano?-Yes, you can speak Italian.-Ma posso dirtene anche due?-Ok.,Tony.- Anche se sono cose successe fuori dalla scuola?Marco lasciò perdere l’English.-Tony, se si tratta di cose che hai bisogno di farmi sapere sono pronto ad ascoltarti.- Sono cose successe quest’estate, quando andavamo in piscina.-Dunque?- La prima cosa è che Luca ci faceva sempre vedere il pisello.- All right Tony. Succede spesso che un ragazzo abbia voglia di far vedere il suo pisello ai compagni di spogliatoio. Quando si fa dello sport tutti insieme ci si abitua a spogliarsi e a lavarsi, si fa la doccia tutti nudi e senza problemi. Alla vostra età invece è normale scherzarci su un poco, perché qualcuno ha vergogna a farsi vedere senza mutande.Bambini e bambine scoppiarono a ridere.Marco era fiero di aver superato brillantemente questo primo scoglio e si avventurò sereno incontro al seguente.- Next , please.- La seconda è che un giorno Luca si è fatto ciucciare il pisello da Alex.Ci fu un attimo di silenzio totale, il che costituiva una situazione piuttosto inconsueta per quella classe.Marco Bacci guardò Alex che divenne rosso come un gambero e atteggiò il volto a quella smorfia triste che di solito precedeva le sue esplosioni di aggressività.Poi guardò Luca.Questi lo stava a sua volta fissando con un sorriso strafottente, quasi volesse dire all’insegnante ed ai compagni:” Bè che c’è di male. A uno come me tutti vorrebbero ciucciarlo. No? “Tony invece era molto fiero di quello che aveva fatto e si guardava attorno per ricevere la meritata gratificazione per una così coraggiosa rivelazione.- Tutti a sedere. In classe e senza fiatare. Alex e Luca, voi restate qua.Le parole del maestro risuonarono secche nel silenzio del corridoio.

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Quando gli altri alunni si furono allontanati Marco si rivolse ai due ragazzi con il tono più severo che riuscì a recuperare in quell’attimo, divenuto anche per lui drammatico.Il suo istinto sapeva già come erano andate le cose e vedeva che Alex era stato spinto a tanto dalle astuzie di Luca, diventato così ancora più grande ed importante nella gerarchia di quel piccolo branco.Il suo istinto pretendeva che Luca fosse preso a sberle davanti a tutti.Invece disse:- Ragazzi, quello che fate fuori di scuola non dovrebbe riguardare i vostri insegnanti, ma i vostri genitori. Quindi sarò costretto a parlarne con loro. E’ vero quello che ha detto Tony?Alex in quella scoppiò.Schizzando lacrime e saliva si avventò contro Luca e gli sferrò un calcione negli stinchi.Luca gridò per il dolore e cominciò a piangere come un vitello.Alex gli si gettò contro e lo avrebbe di nuovo colpito se Marco non lo avesse immobilizzato afferrandolo da dietro, stringendolo al petto e sollevandolo in aria.Alex urlava insulti di ogni genere e scalciava cercando di divincolarsi.Il maestro cominciò a girare su se stesso sempre più veloce, roteando come un derviscio, come un pattinatore in una figura complessa che aveva poco d’artistico, ma che ottenne, come già sperimentato, il risultato di calmare il ragazzo in qualche secondo.- Ticcia..è tutta colpa sua, io non volevo, sono stati anche gli altri a dirmi Dai fallo. Fai vedere che hai il coraggio...Ora Alex singhiozzava ed aveva il moccio al naso.Meccanicamente Marco Bacci si frugò in tasca ed estrasse una confezione di fazzoletti di carta. Erano quelli che Laura gli aveva offerto quella stessa mattina.Laura. Sembrava ormai così lontana ed era trascorsa soltanto un’ora.Il ricordo di quel momento così particolare gli diede comunque un pizzico di ricarica.Si chinò e mentre con un fazzoletto cercava di pulire il viso di Alex, porse gli altri a Luca che si massaggiava la tibia contusa.- Ticcia...- biascicò Alex – Non lo dire alla mia mamma. Vero che non glielo dici?Luca s’intromise.- Io ai miei genitori l’ho già detto da un pezzo.- E loro?- domandò Marco- Loro? Niente. Si sono fatti una risata. La mamma mi ha detto di non farlo più che poi chissà cosa pensano. Magari pensano che sono un gay mentre io voglio essere bisex.Tutto qua, mica si sono arrabbiati.Era un bluff.Per Marco non era difficile capirlo.Luca non ne aveva mai parlato ai genitori che erano ambiziosi e sempre attenti all’immagine della famiglia.Se avessero avuto sentore di una cosa del genere, avrebbero agito per evitare al ragazzo una scena simile.Anzi avrebbero fatto in modo di mettere in preallarme gli insegnanti presentando Luca come una vittima di abusi sessuali da parte dei compagni.- Quindi non avrai nessun problema a scrivere sul diario che domani voglio parlare con tuo padre.- disse Marco, spiando la reazione del bambino.- Certo che no. Però mio padre va in banca molto presto e ha sempre da fare. Non può neanche accompagnarmi a scuola. Lui esce prima. Alle otto e dieci deve aprire la banca.- Non credevo che i direttori di banca avessero di queste incombenze- insinuò il maestro.- Eh! Lui sì. Mi spiace, ma credo che non potrà venire – replicò Luca trionfante.Marco Bacci prese tempo e gli osservò la gamba dolente.

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Un segno rosso e ben marcato sottolineava il punto d’impatto tra la tibia e la scarpa di Alex.- Alex un attimo fa mi hai detto che ci sono stati altri bambini ad incitarti. Chi erano?- Gabi e Dario e il Fiacca.- Faremo iconti anche con loro. OK Alex, adesso vai in classe e stai buono.A capo chino, pieno di vergogna, Alex rientrò e si sedette al suo posto.Marco affrontò Luca.- Dunque Luca,domattina io sarò a scuola alle otto e tuo padre dovrà perdere qualche minuto per parlare con me. Se alle otto e cinque non lo vedrò arrivare, lo chiamerò al cellulare e gli spiegherò per quale motivo ho assoluta urgenza di parlare con lui.Luca sbiancò, i suoi occhi si velarono di nuove lacrime e corse in classe.Il maestro lo seguì a ruota.Si sfilò il giubbotto e lo lanciò sopra alla sedia, quindi si sedette sulla cattedra , si sovvenne che Luca Festa si era tenuto i fazzoletti che gli aveva dato Laura. - Luca ridammi i fazzoletti di carta.Il ragazzo si avvicinò e li posò sulla cattedra senza guardare l’insegnante. - Prendete tutti il quaderno d’Inglese e scrivete al centro in rosso dettato con la d maiuscola. Nella riga seguente aperte le virgolette lettera maiuscola il bullismo due punti come riconoscerlo e come sconfiggerlo chiuse le virgolette punto.Qualcuno osò domandare:- Teacher, non si va più in laboratorio?- No per oggi abbiamo qualcosa di più importante. Taci e scrivi.

Alle dodici e un quarto Marco Bacci uscì di scuola. La stretta via era densa di auto e di fumo. Tutte le madri erano corse a prendere i loro pargoli e avevano parcheggiato le loro automobiline alla rinfusa, sui passi carrai, sugli angoli dei marciapiedi, in seconda fila, ovunque e comunque.Ora ci sarebbe voluta una buona mezzora per sbloccare la situazione.Sarebbero arrivati i vigili e ci sarebbero state le solite discussioni.La maggior parte degli alunni era domiciliata a non più di dieci minuti di cammino.Marco Bacci vide tra le auto imbottigliate la BMW nera di Franco Faggioni.Amaranta era seduta al suo fianco.Il marito, adesso, l’accompagnava e la veniva a prendere tutti i giorni.Voleva evitare situazioni di contatto tra Amaranta e Marco.Ma non ce n’era bisogno. La donna lo evitava,Quando fu palese che la loro relazione era stata scoperta, Amaranta aveva dichiarato di essere pronta a fuggire con lui. Risoluta a mettersi in strada verso quella nuova avventura. Ma chiedeva certezze.Marco al contrario non era pronto.Prima di tutto sentiva l’esigenza di chiarire delle cose con la propria moglie. Poi sentiva che era giunto il momento di capire qualcosa di più di se stesso e del fallimento della sua relazione coniugale per vedere se era possibile tentarne un salvataggio in extremis.Ovviamente né la moglie, né Amaranta erano interessate a convivere con i suoi dubbi e le sue interminabili incertezze ed entrambe facevano il possibile per tenerlo lontano.Come dar loro torto? Come non comprendere la loro diffidenza.In fin dei conti Marco credeva di comprendere anche il Faggioni.Anche se nei suoi incubi continuava ad aggredirlo, sfogando così il suo rancore per essere stato, spiato, frugato e derubato della sua privacy, durante il giorno si rendeva conto che forse anche lui, nei panni del coniuge tradito, avrebbe potuto agire allo stesso modo.Non sono forse connaturate al nostro essere mammiferi sia la territorialità che la difesa delle proprie femmine e della prole?

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Quindi perchè giudicare male chi aveva agito secondo le leggi della natura ricalcando schemi tipici del maschio sapiens sapiens?Aggrapandosi alle sue elucubrazioni, passò loro accanto e finse di non averli visti.Proseguì osteggiando una finta tranquillità, sapendo che entro pochi secondi avrebbe svoltato sul Naviglio, lasciandoseli alle spalle, nervosi ed incazzati, sprofondati nei loro sedili di pelle scura, prigionieri del traffico e della loro cronica impossibilità di comunicare.Povera Amaranta!Povero Franco!La sua solitudine era molto più confortevole della loro convivenza forzata.Marco Bacci era convinto di poter trovare una strada per guarire i propri dolori, mettendosi continuamente in discussione, studiandosi per riuscire a disegnare nuove prospettive d’esistenza, trasformando i suoi grandi difetti in piccole virtù.Loro no. Potevano solo continuare a tracciare col vetriolo solchi di rabbia sul disco, ormai gracchiante, della loro vita coniugale.

Giunto a casa, Marco Bacci passò uno strano pomeriggio.L’inatteso incontro con Laura, il presentimento di essere ancora spiato, le tristi vicende degli alunni, la visione dei coniugi Faggioni, tutto quanto aveva concorso a suscitare in lui un cocktail di emozioni contrastanti.Si sentiva agitato, teso, ma al contempo vivo e reattivo come da molto non gli accadeva.Un solicello color Olio Sasso si era deciso ad imporsi sulle nuvole e dopo una simulazione di pranzo a base di formaggi e verdure bollite, cercò di dedicarsi a qualche lettura che purtroppo non riuscì a seguire per mancanza del minimo di concentrazione richiesto. Ogni volta che voltava pagina aveva dimenticato il senso di ciò che aveva appena letto.Si risolse infine ad allacciarsi le scarpe da jogging e passò un paio d’ore girando tra lo stadio di S Siro, l’Ippodromo ed il Parco di Trenno.Dopo la doccia di rito cominciò a provare un piacevole senso di relax. Nuovamente nudo davanti allo specchio si guardò con occhi diversi.Erano passate poco più di dodici ore da quando un TRADITORE intriso di sensi di colpa aveva cercato di ripulirsi dai neri umori notturni. Adesso Marco guardava quasi con simpatia quel cicciottello già in piazza e prossimo alla canizie. Il suo faccione tondo da Charlie Brown incorniciato dalla barba sale e pepe suscitava tenerezza e simpatia, come quel piselluccio penzolante sotto la pancia, simile ad un esserino in cerca di coccole e protezione.Bisognava trovare il modo di perdonarlo e ricominciare a volergli bene.Prima di rivestirsi Marco si promise una cena adeguata con un menù Sushi al ristorante Wu dove un gruppo di cinesi sfidava con discreto successo le regole dei cuochi-samurai del Sol Levante ad un prezzo più che abbordabile. Quando, ben sazio, si buttò nel letto, si accorse subito di esser pronto per una buona dormita. In una sorta di preghiera rese grazie alla birra cinese e al sake caldo. Ma anche alla simpatica Elisa dagli occhi a mandorla che lo aveva servito e divertito per tutta la cena,- Tu mangia semple tloppo e beve tloppa billa. Tu pancione tloppo glosso- gli diceva sorridendo.Anche sua moglie lo rimproverava spesso per i suoi peccati di gola, ma non era mai riuscita a farlo ridere così di gusto.

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Capitolo secondo

" Vai Girardengo,vai grande campione, nessuno ti segue su quello stradone. Vai Girardengooo!"A squarciagola, con il cuore più leggero e quasi contento, Marco Bacci stonava allegramente la canzonetta di De Gregori mentre pedalava sul largo cavalcavia, intitolato a Don Milani.Il grande ponte volava sopra i binari della ferrovia e sul Naviglio Grande, unendo i due storici quartieri del Giambellino e della Barona, con tutto il loro passato e il loro antico carattere seppellito sotto la cappa equalizzante del cemento armato.Addio Cerutti Gino, addio Bar Biliardo, addio Riccardo, addio vecchi contrabbandieri di sigarette, tacchi, dadi e datteri. La città omogeneizzata ha altro cui pensare e basta con le malinconie!Nulla permane immutabile, meno che mai le metropoli.Si sorprese a sperare che il colloquio con il padre di Luca Festa potesse essere rapido e conciso, per aver modo di tornare velocemente alla pasticceria entro le otto e un quarto e magari incontrare Laura che usciva. Forse si sarebbe offerto di accompagnarla all'ufficio. Magari lei avrebbe riso della sua vecchia bici, o forse gli avrebbe chiesto come mai quella mattina fosse così allegro, dandogli l'opportunità di risponderle scimmiottando il Pertrarca : Per la luce che dagli occhi di Madonna Laura il mio cor d'Amor infonde. No, meglio lasciar perdere il Trecento. Non poteva funzionare. Bisognava cercare di sembrare un po' meno antiquati, un po' più brillanti.Leggerezza, freschezza , tatto e simpatia.Il pensiero di qualcosa di simpatico non riuscì a concretizzarsi perché l'odiosa sagoma del dottor Festa si stagliò davanti all'ingresso della scuola.L'uomo aspettava con aria seccata appoggiato al suo elegante fuoristrada dalle grandi ruote tassellate, strumento indispensabile per raggiungere le sedi centrali delle banche più importanti situate nella jungla di sensi unici e divieti di sosta attorno al Duomo.Marco Bacci, lasciando scorrere le ruote della sua bici, approfittò di un passo carraio per salire sul marciapiede, quindi sistemandosi sul solo pedale sinistro come se fosse su un monopattino, percorse in quella posizione da postino gli ultimi metri, arrestandosi con un leggero colpo di freno e un elegante saltello proprio davanti a mister babbo di Luca.Guardò immediatamente il grosso orologio accanto al portone che segnava le otto precise e poi tese la mano al genitore.- La puntualità è la virtù dei re, vero dottore?- disse con fare amichevole, accompagnando il gesto e la frase con un largo sorriso.La sua stretta di mano incontrò qualcosa di viscidamente floscio e il suo sorriso rimbalzò su una smorfia di labbra gommose, protruse e serrate come un culo di gallina.Non poteva esserci un inizio peggiore.Marco Bacci scusandosi si voltò , aggeggiò qualche secondo con il lucchetto della bicicletta, poi con un cenno lo invitò ad entrare.Sanvito decifrò rapidamente la situazione e offrì loro un'auletta che di solito veniva usata per le attività degli insegnanti di sostegno con i bambini handicappati.Steso sul pavimento di linoleum verde c'era un foglio di carta da pacco in cui campeggiava un enorme drago azzurro e verde dalla cui bocca uscivano grandi fiamme. Ai suoi piedi un bimbo con i capelli biondi e ritti sulla testa alzava al cielo due lunghissime braccia e dal suo fumetto gridava terrorizzato "Aiuto! Un terribile drago! "Anche Marco Bacci avrebbe voluto poter alzare le braccia, gridare e scappare altrove.Invece invitò il suo interlocutore a sedersi su una piccola sedia di plastica verde e fece altrettanto.

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La sproporzione tra i corpi di quei due omoni e le seggioline conferiva un'aria surreale a tutta la situazione. - Immagino che Luca l'abbia informata del motivo di questa convocazione.- esordì l'insegnante.-Purtroppo sì e devo dire che ne sono rimasto spiacevolmente sorpreso.- Non lo dica a me, avrei voluto non credere alle mie orecchie. - Maestro, non è quello che è accaduto che mi infastidisce. Queste sono ragazzate.. E' il suo modo di enfatizzare la vicenda che trovo estremamente fuori luogo.Qualche corda si spezzò in un angolo imprecisato dell'anima di Marco Bacci.Nel suo sangue adesso correvano pericolose bolle di rabbia che avrebbero potuto esplodere per un nonnulla. Respirò profondamente mentre la temperatura della sua ira stava raggiungendo un punto critico. Si impose di resistere.-In cosa consisterebbe l'enfatizzazione?- Nell'urgenza che lei ha voluto erroneamente attribuire a questo colloquio, nella maniera in cui lo ha imposto. Mio figlio era estremamente turbato da tutto ciò.- Sono contento di questo turbamento. - lo interruppe il maestro- Significa che il ragazzo sta prendendo coscienza che le sue azioni hanno avuto conseguenze negative, per lui e per una serie di altre persone: in primo luogo per Alex, anche se non credo che Luca sia capace di prenderlo in sufficiente considerazione. Mi spiego meglio. Luca e i suoi compagni, non reputano Alex come un loro pari, lo trattano come se fosse un animale con cui ci si può divertire infliggendogli ogni genere di tortura.- Ma si rende conto di quello che sta dicendo? Lei si sta occupando della vita privata ed extrascolastica di mio figlio, in un periodo in cui le scuole erano chiuse. Si permette di esprimere giudizi morali sul suo comportamento, anche quando non solo non le sono stati richiesti, ma addirittura lei non ha né gli elementi per poter giudicare correttamente né la posizione di uomo integerrimo al di sopra di ogni sospetto.- Che intende dire?- Dico che sul suo conto, sulla sua vita coniugale e su quello che combina con le sue colleghe, si è avuto più volte modo di scambiare qualche divertente battuta con i genitori degli altri ragazzi, un po' per ingannare l'attesa all'uscita di scuola e un po' per cercare di farsi un quadro più completo delle persone che dovrebbero educare i nostri figli.. Abbiamo molti motivi per ritenere che per i nostri ragazzi sia molto meglio apprendere da lei solo qualche innocua canzoncina in inglese e riporre la loro educazione, soprattutto quella affettiva e sessuale, in mani più sicure e più pulite.Marco Bacci immaginò se stesso alzarsi ed afferrare il bavero della giacca di quel borioso per sollevarlo di peso dalla seggiolina, in modo da vederlo boccheggiare di paura l'attimo prima di ricevere una potente testata sul setto nasale.Riuscì ad accontentarsi di questo sogno ad occhi aperti e, digrignando i denti e stringendo forte i pugni sprofondati nelle tasche del giubbotto, continuò con la voce che era ormai divenuta un ringhio rabbioso:- Senta, questa sua difesa ad oltranza del comportamento di Luca è veramente stupida. Questo gusto di tirare merda in faccia a chi sottolinea gli errori dei nostri ragazzi con lo scopo di privare ogni potenziale educatore della benché minima autorità, mi sembra oltremodo deleterio . Voglio però darle qualche altro elemento per poter ridere meglio alle mie spalle e per aggiunger un tassello al quadro che vi state facendo del sottoscritto.- Maestro, la prego di controllarsi. Mantenga un contegno e un linguaggio adatto alla...- Mi faccia il piacere di tacere e ascoltare quanto le sto per dire.Il tono e l'espressione infuriata dell'insegnante ottennero l'effetto desiderato e il genitore si dispose all'ascolto.

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-Quando avevo su per giù l'età di Luca, i miei genitori scoprirono che io e i miei amici passavamo delle buone mezz'ore con le brache calate a confrontarci i pisellini, nascosti tra qualche cespuglio.Purtroppo quando un ragazzo ne esibì uno che sembrava esageratamente più lungo del mio feci di tutto per convincere lui e gli altri che quel pisello doveva essere visto dal dottore e tagliato perché presentava i sintomi di una grave malattia. L'invidia mi aveva fatto diventare convincente ed il ragazzino scappò tremante di paura per la sorte che lo attendeva.. Anche in quel caso ci fu un piccolo scandalo perché il ragazzino angosciato raccontò ogni cosa ai suoi genitori che lo dissero ai miei e a quelli degli altri.Mio padre fu capace di punirmi, con severità. La punizione mi fece benissimo perché avendo espiato mi sentii poi la coscienza più leggera. Ma mio padre seppe anche fare un'altra cosa estremamente importante: mi fece capire che la mia curiosità nei confronti degli organi genitali e del sesso era una cosa sacrosanta a dieci anni, invece terrorizzare un compagno facendogli credere che prima o poi potrebbe essere mutilato è sempre e comunque una grossa crudeltà. Da lei mi aspettavo qualcosa del genere, ma avrei dovuto immaginare dai nostri precedenti incontri che non ne sarebbe stato capace. Lei ha preferito sdrammatizzare . Su quello che riguarda la componente sessuale della vicenda forse ha fatto anche bene, ma non avrebbe dovuto sorvolare sul modo in cui Luca ha soddisfatto la sua curiosità. Sugli atteggiamenti da piccolo mafioso e soprattutto sul fatto che ha abusato dell'inferiorità di un ragazzo in palese stato d’inferiorità. Il suo eccesso di protezione non favorirà nessuno, anzi guasterà e non aiuterà il vostro rapporto tra padre e figlio. Peccato, per lei e ancor più per Luca. In quanto ai pettegolezzi sulla mia vita sessuale ed affettiva, mi sembra che per ora vi stiate ancora divertendo. Se per caso voleste passare in Direzione e sollecitare un mio trasferimento, vi prego vivamente di farlo. A questo punto mi sarebbe estremamente gradito. Ma non pensi di potermi intimidire. Continuerò ad occuparmi della vita dei miei alunni e cercherò di dar loro il massimo degli insegnamenti etici di cui sono capace. Questo mi importa molto di più della conoscenza di qualche balbettio nella lingua d'Albione. Marco Bacci si alzò in piedi Il dottor Festa aveva accusato il colpo. Qualcosa nel monologo del maestro di suo figlio gli aveva fatto male. Gonfiava le gote e sbuffava come se volesse soffiar via un dolore interiore.Si aggiustò l'enorme nodo della cravatta di seta che sbrilluccicava come un antico damasco, ma a Marco non sfuggì che quell'atto serviva al suo avversario per poter abbassare lo sguardo e infilare due dita nel colletto, in modo da allargarlo per respirare meglio. Ora doveva tendergli una mano e aiutarlo a risollevarsi.- Luca avrebbe bisogno di sentire che lei ed io abbiamo una stessa visione dell'accaduto e che siamo mossi da un medesimo intento: educarlo. Spero che lei riesca a fargli capire che non può dividerci o distoglierci dal nostro scopo.Il dottor Festa si alzò a sua volta, non voleva arrendersi, non poteva ammettere di esser stato sconfitto, ma il suo orgoglio ferito non trovava l'energia necessaria per un colpo di coda sufficientemente carico di veleno.- Vede che ha sbagliato. Avrebbe semplicemente dovuto prendere il telefono e chiamarmi. Avremmo potuto così concordare una linea d'intervento che evitasse a Luca la persecuzione psicologica cui lei lo ha sottoposto.-Guardi che non ho proprio desiderio di perseguitare in alcun modo nessuno dei miei allievi, tanto meno suo figlio. Ho dovuto agire così..Tutta la classe aspettava un mio giudizio. Non so perché Tony abbia scelto me per questa confessione, per questa denuncia. Probabilmente non potevano più tenersela dentro, avevano bisogno di un giudizio e hanno scelto il maestro, il maschio, la figura paterna. Mi creda non potevo mettere tutto a tacere, li avrei delusi. - Le ripeto che ci sta mettendo troppa enfasi, è stata solo una ragazzata.

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- Dicevano così anche i genitori di quei giovanotti che si divertivano a lanciare sassi dai cavalcavia sull'autostrada. I parenti delle loro vittime non erano della stessa opinione. Ora mi scusi, ma devo preparare del materiale per la prima ora di lezione . Arrivederci.Senza lasciar tempo per un 'ulteriore replica il maestro Bacci uscì risolutamente dalla piccola aula dirigendosi a passo spedito verso il laboratorio linguistico.

- Tienila ancora sotto l'acqua fredda. Stupido.Rita guardava Marco con occhi carichi di compassione e scoramento.- Solo i maschi sono capaci di tanta stupidità. Guarda come ti sei ridotto quella mano!Marco fissava il getto d'acqua fredda che dal rubinetto scorreva sulle sue nocche scorticate e si stupiva di non sentire alcuna voglia di piangere. Non c'erano lacrime agli angoli degli occhi. Solo una rabbia asciutta e un forte desiderio di riscossa.Rita scrollò ancora una volta la chioma di riccioli colorati con l’hennè e poi mentre si accendeva una sigaretta lunga e sottile disse a labbra strette:- La tua mamma non te l'ha insegnato che se prendi a calci e pugni un muro finisci col farti male?Anche lei era scossa. Aveva provato un vero e proprio terrore passando davanti al laboratorio.Oltre la porta chiusa aveva sentito colpi sordi e grugniti. Pensò subito al peggio, pensò che Marco avesse ricevuto una visita di Franco Faggioni e lo stesso uccidendo in un impeto d'ira. Quell'ira che lei e Amaranta si auguravano scoppiasse da un momento all'altro, ma che finora non si era manifestata.Nelle loro confidenze avevano entrambe fantasticato che prima o poi Marco avrebbe reagito e sarebbe passato all'attacco. Non riuscivano a immaginarselo come un tipo capace di subire passivamente e digerire con rassegnazione gli abusi che la famiglia Faggioni gli aveva fatto ingoiare.Non riuscivano proprio a vederlo definitivamente sconfitto.Nell'istante in cui Rita spalancò la porta e vide Marco sanguinare mentre sfogava una furia animalesca contro il bucciato della parete affianco alla lavagna si limitò a sospirare, sollevata e delusa al contempo. Poi gli si avvicinò e gli gridò di smetterla e quando Marco la guardò con occhi iniettati di sangue gli accarezzò il volto e si sentì una volta di più obbligata ad essere materna e ad accudire quel povero sfortunato. Così gli cinse le spalle e si fece raccontare l'accaduto, mentre lo accompagnava al bagno degli insegnanti.Il piccolo vano con il minuscolo specchio tondo ed il lavabo bianco con lo smalto scrostato, senza sapone e senza asciugamano come sempre, si riempì subito di fumo.Rita vide Marco estrarre dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto di carta per asciugarsi e fermarsi come incantato a fissarne la confezione.- Marco, va meglio? - Cosa?- rispose quello senza sollevare lo sguardo dalla confezione dei fazzoletti.- Come cosa? Quella povera mano sinistra che ti sei maciullato contro il muro. Sembri un po’ rincoglionito. Non avrai mica battuto anche la testa contro quella maledetta parete? Ma che fai? Cosa stai guardando?- E' volata via.- Chi ?- L'allegria.- rispose lui e le porse la confezione ormai vuota.Rita vide la stilizzazione di un volatile che spiegava le sue ali tra un mare blu e un cielo azzurro di cellophane stropicciato.- C'è scritto Dove, ma non è una domanda.

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- Significa colomba. E' inglese.- Che palle 'sto inglese. A proposito, sei sicuro che te la senti di fare lezione?- Certo, brucia solo un pochino. Non c'è problema.- Cos'è che brucia di più?Gli occhi furbi di Rita lo fissavano con benevola ironia.Marco sorrise e invece di rispondere si chinò per darle un bacio sulla guancia.- Grazie per il soccorso.- Ma scherzi. Senti perché non vieni stasera a cena con me e Stefano. Andiamo al Capolinea c'è una piccola band di amici suoi e forse anche lui parteciperà ad una jam session.- Molto gentile da parte vostra, ma preferisco restare in casa.- Sei diventato noioso.- E tu sei diventata ancora più bella. Quei capelli rossi e quella abbronzatura ti donano proprio. Mi hai sempre detto che non volevi tingerti.- A parte che questo è un hennè e non è una tintura, ma un colorante naturale che si estrae dalle erbe, a parte questo ho proprio dovuto farlo.- Perché ?- Perché ero proprio stufa di essere scambiata per la madre di Stefano. Così ho deciso che finché non divento nonna mi faccio l'hennè. Purtroppo credo che ci manchi davvero poco. Uno di questi giorni qualcuno dei miei ragazzi mi arriva in casa accompagnato da una bella signorina col pancino tondo. Una nonna come si deve non può essere rossa, la nonna va bianca.Il suono della campanella, seguito dal rimbombo della mandria interruppe i loro discorsi.Marco coprì la sua mano sinistra con la destra, come per proteggerla e consolarla, sorrise e si voltò per andarsene.La voce di Rita lo fermò.- Marco!Girandosi di tre quarti vide la collega con la sigaretta in bocca, la borsa sull'omero sinistro e la spalla destra appoggiata allo stipite del bagno. Strizzava gli occhi per difenderli dal suo fumo, mentre la gonna del vestitino di stoffa leggera ondeggiava leggermente.. Gli ricordava una prostituta parigina vista in qualche film della nouvelle vague.- Perché mi guardi in quel modo ?- disse Rita con un tono perfetto per la parte che stava recitando nel film mentale del collega.- Niente. - Dai, mangiamo un panino insieme al solito bar, così ci raccontiamo delle vacanze. E se dici di no sei proprio stronzo.- Ti dico di sì, ma ho proprio voglia di diventare il più grande stronzo del mondo.

Si ritrovarono seduti ad un minuscolo tavolino di metallo nero che occupava più di metà del facsimile di marciapiede perennemente sconnesso.Sulla sede stradale, tra le commessure di un antico pavè, in procinto di essere sostituito con dell'anonimo bitume, sobbalzavano gli autocarri facendo rimbombare i loro cassoni che aggiungevano colpi di timpano all'orchestra dei motori di auto, scooter e vecchi tram sferraglianti.Sopra le loro teste incombeva il ponte della ferrovia, costruito con grandi putrelle decorate dalla ruggine e dai resti di precedenti verniciature in cui dominavano l'arancio invecchiato del minio e un verde spento che ricordava il colore di vecchi mezzi militari.A pochi metri da loro, nel suo letto artificiale, scorreva l'acqua del Naviglio, la cui superficie era punteggiata da bottiglie e sacchetti di plastica, da bicchieri di carta e lattine, decorazioni multicolori

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che in qualche angolo si fermavano impigliandosi negli arbusti o nelle alghe per creare vere e proprie pattumiere galleggianti.-Chi ti ha fatto quella sottospecie di bendaggio? – Domandò Rita ammiccando verso la mano sinistra del collega che occupava quasi metà del minuscolo tavolino.- Sanvito.- Si vedeva subito che era roba di maschi. Ti vergognavi a venire da me? - Non volevo fare le scale per salire fino alla tua classe.-Piantala, orso. Dì piuttosto che avevi paura di incrociare Amaranta.-Paura non è la parola adatta. Anche terrore mi suona come un eufemismo.-Ma davvero non vuoi saperne più niente di lei?- Voglio tenerla il più possibile distante dai miei pensieri, ma senza dimenticare ciò che lei e questa storia mi hanno insegnato.- Cioè?- Tre cose, di grande importanza, almeno per me .- Me le vuoi dire o no ?- lo incalzò Rita.- Certo- rispose Marco e subito dopo staccò un boccone del suo sfilatino in cui una sottile fetta di prosciutto crudo venava di rosso scuro una mollica bianca e gonfia d’aria.Rita s’indispettì.- Ma cosa fai adesso? Il prezioso?Marco deglutì e poi con una voce che sembrava fredda e distante riprese a parlare.-Ascolta Rita: prima di tutto ho imparato ad osservare con attenzione le mie fantasie, perché ho capito che anche i pensieri possono fare molto male. Bisogna saperle controllare certe fantasie, analizzarle, conoscerle, liberarle con molta cautela e certe volte scacciarle. Poi ho compreso che alcune fantasie possono diventare desideri importanti, aspirazioni degne di accompagnarci e queste vanno rispettate. Amaranta mi ha insegnato che da una donna desidero attenzione e stima, voglio avere per lei la stessa importanza che lei ha per me. In pratica voglio essere posto in cima a tutto. Per lei devo essere l’uomo migliore del mondo così come lei per me deve essere la donna migliore del mondo. E di questi desideri, di queste aspirazioni, non bisogna avere paura, anzi bisogna essere capaci di affermarli nella maniera più chiara possibile. Bisogna saper spiegare alla persona che incontriamo quali sono le condizioni indispensabili per essere disposti ad affrontare una relazione a cui vogliamo dare valore. Infine ho appreso che non sopporto di compiere azioni che mi ripugnano.Voglio che ogni mio atto, ogni mio pensiero abbia una sua dignità.Quando mi accorgo che sto cercando di nascondere qualcosa, di tenerla segreta perché me ne vergogno, allora devo riconoscere questo segnale, questo campanello d’allarme e spostarmi, cambiare direzione. Non è facile perché sono infarcito di ipocrisie. Si crea una specie di nebbia nella mia coscienza e non sempre riesco a vederci chiaro. Per non parlare della mia impulsività, delle mie rabbie, del peso delle colpe. Ecco perché faccio ancora un mare di cazzate- Marco sventolò la sua mano bendata come un’evidente prova di quanto fosse difficile restare dentro i binari che aveva scelto – Però ci voglio provare, per ora cerco di esercitarmi, di allenarmi a questa disciplina di vita.Rita lo guardò incredula.-Cazzarola ! Caro Maestro Bacci mi sembra che lei non scherzi, mica ha detto un prospero.Marco sorrise, scosse la testa, si strinse nelle spalle e buttò giù una sorsata dalla bottiglia di Corona che lo aspettava fissandolo con il suo occhio di limone infilato nel lungo collo.- Marco, guarda che tutti nascondiamo le briciole sotto il tappeto e ci scaccoliamo il naso mentre guidiamo.- Lo so, ma per quel che mi riguarda sto parlando di macigni, non di briciole o caccole.Mi vergogno di essere stato sleale nei confronti di mia moglie, cui ho nascosto tutta la vicenda fino all’ultimo. La stessa slealtà l’ho avuta anche nei confronti di Franco Faggioni di cui ho sedotto la

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legittima moglie. Per non parlare di quello che ho fatto ad Amaranta, cui ho generato fantasie ed illusioni che l’hanno posta in una situazione difficile e anche pericolosa, non solo per lei ma anche per sua figlia.Nella pausa che seguì, un due tempi smarmittato intonò una lunga pernacchia degna di un sax tenore suonato alla maniera di Ornette Coleman.Rita lo contemplò con compassione come se stesse vedendo attraverso la sua pelle e la sua carne grumi di dolore e sentimenti annodati e contrapposti che gli avvolgevano i visceri come serpenti. Vedeva in lui gli stessi tormenti che per anni l’avevano afflitta e fatta sentire sporca e sbagliata. Fino a quando si risolse ad accettare che lei aveva il diritto di essere diversa e che gli altri dovevano sforzarsi di riuscire a comprenderla. Lei aveva deciso di giocare senza regole e senza rete e chi l’amava doveva rischiare.- Non potresti perdonarti?- Nella voce con cui formulò la domanda c’era un tono di affetto e di benevola esortazione.- Sto cercando di farlo, ma non ci sono ancora riuscito. Ogni volta che sbatto contro qualcosa che mi ricorda quanto male ho fatto, quanto dolore ho creato a me e agli altri, perdo il controllo delle mie emozioni e delle mie reazioni e posso mettermi a piangere, urlare di rabbia, sfasciare qualcosa o disfarmi una mano senza quasi rendermene conto. Ho paura di arrivare ad uccidere qualcuno o a suicidarmi. E’ come se ci fosse un'altra persona dentro di me che non accetta di aver sbagliato e si ribella furiosamente.- Credo di capire- disse Rita – Sai cosa ho pensato questa mattina quando ho sentito quei versi e quei tonfi che uscivano dal tuo laboratorio?- Che stessi uccidendo qualcuno, magari Franco.- Yes . -Non lo farò, sta tranquilla. Il mio tribunale interiore dopo un lungo processo gli ha dato ragione. Lui è innocente. Il colpevole sono io. La mia vendetta non avrebbe alcun senso. Se ci fosse una pena capitale per questo genere di colpe, sarei io a dover salire sul patibolo ad essere giustiziato.- Non ti sembra un po’ esagerato?- Certo! Purtroppo sono esagerato in tutto. Forse mia madre aveva del latte esagerato nelle sue tette e così sono cresciuto in questo modo. Lo sai che a otto anni credevo di essere un altro Gesù Cristo? Invece a dieci volevo morire per la patria come un eroe risorgimentale. A quattordici ero convinto di essere Jacopo Ortis ed a sedici il mio ideale era Robespierre. Dopo i diciassette è stato il turno di Che Guevara e subito dopo di Lenin e così via . esagerazione dopo esagerazione. - Io sono nata una bella decina d’anni prima di te e anch’io ho le mie grandiose esagerazioni. Però le adoro, sono il sale della mia vita. In compenso non mi sono mai posta modelli o ideali da rincorrere. Non ho mai pensato di voler essere uguale a qualcun altro.Guarda in che razza di discorsi mi hai portato. Io che speravo di parlare di vacanze…- Dai racconta così ci arricreiamo nu pocherillo.-Ma cosa fai? Adesso ti metti anche a parlare il napoletano? Ma disi …- E perché no. Lo sai che mi piacciono le lingue straniere. Dai raccontami le tue vacanze.- Mi hai fatto proprio passare la voglia. Comunque è stato tutto così meraviglioso- lo sguardo le si illuminò come quello di una bimba che per la prima volta viene portata alle giostre- A luglio ho fatto un trekking sui Pirenei con i miei figli. Due settimane stupende. Dormivamo nei rifugi e passavamo la giornata tra i picchi. Pane formaggio e cerveza. Poi sono stata quasi un mese in crociera tra le Cicladi con la barca a vela di una coppia di musicisti gay, amici del mio fidanzato. Un vero spasso! Se tu sapessi quanti culatoni vanno in giro per il mondo e come si sanno divertire. Guarda una vera lezione di vita. Infine sono andata una settimana a Parigi con mio marito a curiosare tra musei, librerie e bouquinisti della rive gauche. Serate fumose nelle caves de Montmartre e piccoli alberghi con le scale in stile liberty. Letti minuscoli, sottotetti bollenti e tappezzerie a fiori. Come dire … molto romantico,

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ma un po’ deja vu e anche noiosetto, però felici come due vecchi amici che ritornano nei luoghi in cui tanti anni prima hanno vissuto importanti esperienze.- Tutto qua ? –domandò Marco con fare provocatorio.- Come tutto qua? Ti sembra poco? Dove sei stato tu? Cosa hai fatto? Chi hai visto?- Non ho fatto niente . Non ho visto nessuno. Non sono andato da nessuna parte, sono stato a casa.- Ma sei diventato scemo ?- Rita non riusciva a credere che Marco, da sempre molto incline ai viaggi e con una spiccata propensione per le avventure in luoghi esotici, avesse deciso di passare l’estate chiuso in casa.- Non sono diventato scemo. Ho fatto quello che volevo, ciò di cui sentivo il bisogno.- Ma vai ancora in analisi?- Certo. Ci devo andare anche oggi pomeriggio.- Mi sa che a te la psicanalisi ti rincoglionisce. A me ha fatto così bene. Mi sono sentita da subito così libera, con tanta voglia di vivere e godermi la vita . Tu invece diventi sempre più cupo, serioso, triste. Lasciatelo dire: mi sembri un po’ depresso.- Dillo pure. Penso che il mio risanamento, se vogliamo chiamarlo così, debba proprio passare attraverso un periodo di depressione.-Forse dovresti cambiare analista.- Non ci penso nemmeno.- E allora goditi la tua depressione! Ma prima ascolta anche quello che non vuoi sentire. Anche Amaranta ha passato un’estate insulsa come la tua. E’ apatica, abulica, appassita. Perché non provate a parlarvi? Perché non affronti Franco e con tutta sincerità gli dici che sei innamorato di sua moglie e che lui non ha il diritto di impedire il vostro rapporto. Amaranta non potrà mai essere felice con un uomo così. Esistono leggi … c’è un diritto di famiglia…Marco la guardò pensoso.- Lo ripeto questa storia ha già seminato troppa sofferenza. Voglio solo togliere il disturbo, sparire in silenzio, farmi dimenticare. Appena possibile chiederò un trasferimento.Rita abbassò lo sguardo sospirando e cominciò a frugare nella borsa in cerca del pacchetto di sigarette. Quando ebbe acceso e soffiato lontano il fumo della prima boccata, quasi sottovoce, ma senza nascondere un pizzico di soddisfazione,disse:- Comunque sia, lui l’ha già persa. Non riuscirà più a riconquistarla. Amaranta non può più rimanere con Franco.Marco sussultò.- Dici sul serio? - Sì sta facendo progetti per andarsene..- E Valentina ? -Questo è il punto, il nodo che lega Amaranta. Lui non le permetterà mai di partire con la bambina. La tiene prigioniera con questo ricatto. Se lei va, non la rivedrà più.A queste parole il suo mare interno riprese ad agitarsi.Doveva allontanarsi da questi discorsi e dalle fantasie che suscitavano, Marco di scatto si alzò e chiamò il cameriere e si fece portare il conto.-Rita, scusami. Devo andare. Grazie di tutto. Scusa ancora. Devo proprio andare. Lasciami pagare, per favore. Grazie. Scusa. Ci vediamo lunedì.Le lanciò un bacio, si voltò e infilò due banconote nel taschino del cameriere che in quel momento aveva entrambe le mani impegnate.Fece ancora ciao con la mano alla sua basita collega e schizzò via. Pedalando piano cercava di ritrovare la calma.

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Come un bravo castoro tentava di costruirsi una diga interna per affrontare questa nuova ondata di piena e mettersi al sicuro nella sua tana. L’idea di potersi presto sdraiare sul lettino dell’analista e lasciarsi andare gli appariva come una boa in mezzo ai flutti, un approdo momentaneo, ma sicuro, a cui aggrapparsi per riprendere fiato e ritemprarsi un po’. Dopo lo aspettava un week-end di silenzio, jogging e clausura .Un tempo che avrebbe dedicato a mettere ordine tra i pensieri, a prendere delle decisioni. Lo stavano ancora spiando, ora sapeva anche perché. I Faggioni temevano che Marco fosse il responsabile dei contatti epistolari tra Amaranta e i suoi genitori. Di certo temevano che stesse organizzando insieme a lei un piano di fuga. Per questo avevano inviato qualcuno a scuola, per controllare il suo computer, per verificare che non ci fossero scambi di posta elettronica magari attraverso qualche strana triangolazione. Questa volta non erano i Digos a muoversi, loro sarebbero riusciti a non lasciare traccia, non avrebbero svegliato Sanvito, non sarebbero fuggiti come ladri lasciandosi dietro una luce accesa e una porta aperta. Doveva trattarsi di un investigatore privato o di qualche altro “amico” di Domenico Faggioni. Le sue conoscenze includevano anche delinquenti di vario lignaggio, facilmente ricattabili o in debito di riconoscenza. Che si accomodassero, che frugassero, che vedessero che non c’erano più contatti: che capissero! Dio Santo ! Che potessero comprendere una volta per tutte che lui nemmeno ci parlava più con Amaranta. Avrebbero anche potuto ucciderlo, cancellarlo dalla faccia della Terra con uno di quei meravigliosi delitti perfetti che molti mafiosi erano pronti a compiere in cambio dei favori particolari con cui avrebbero chiesto di essere ricompensati. Ma Amaranta sarebbe stata sempre pronta a cercare uno spiraglio, una via di fuga, una lima per segare le sbarre. Era solo questione di tempo e di occasioni. Anche Valentina, prima o poi sarebbe cresciuta e avrebbe avuto la sua libertà di scegliere, di schierarsi.. E in tutto questo lui, il collega , l’amico, il platonico amante , il sognatore, era stato solamente l’innesco che aveva permesso ad Amaranta di far esplodere la sua personalità repressa, la leva per scardinare la trappola e liberarsi dal loro opprimente grigiore..Marco Bacci poteva anche essere eliminato, ma ormai il gioco era avviato.

Ricordava benissimo il momento in cui aveva fatto la prima mossa.Il diciannove marzo, San Giuseppe. Festa del Papà. Anno scolastico 2001-2002.Nell’aria c’era un’anteprima di primavera e a scuola, insieme alle colleghe, aveva organizzato uno spettacolino con poesie scenette e canzoncine in italiano ed inglese.Lo avevano intitolato: ”Le disavventure di Superbabbo”. Tutti i padri erano stati espressamente invitati. Alcune madri di origini napoletane avevano preparato zeppole ed altri dolci, si poteva proprio esser soddisfatti : ogni cosa era andata per il verso giusto.Alla fine, dopo i ringraziamenti ed i saluti di rito, Marco si era ritrovato da solo a dover smontare la piccola scenografia che era stata allestita. Era in cima ad una scala e stava bestemmiando silenziosamente alle prese con un pannello che da alcuni minuti stava tentando di rimuovere.- Posso fermarmi qui un attimo?Marco si voltò sorpreso e vide Amaranta che si lasciava cadere su una sedia in fondo alla sala.- Certo che puoi? Se non fossi tutta in ghingheri ti chiederei di aiutarmi a tirar giù questo maledetto pannello.Lei era vestita con un corto abito rosa pallido e si stringeva le spalle in un leggero scialle che pareva un tessuto filato con una matassa di nuvole primaverili, su cui erano stampati dei motivi floreali in tenui colori.Teneva la testa bassa e sembrava sull’orlo di un mancamento.- Che c’è ? Non ti senti bene?

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Amaranta non rispose.Marco scese dalla scala e si avvicinò per capire cosa le stesse accadendo.- Amaranta, ti prego, rispondimi! Devo chiamare qualcuno, ti serve qualcosa?La giovane collega chinò ancor più il capo e lo scosse facendo danzare la sua chioma corvina per qualche secondo di pesante silenzio.Marco le si accucciò accanto. Le prese una mano.- Amaranta?Usò la sua voce più calda e calma.- Posso aiutarti? Nel momento stesso in cui formulò la domanda Marco seppe che quel contatto sarebbe stato pericoloso. Gli era già successo. Tra i venti e i trenta si era più volte trovato invischiato in complicate vicende sentimentali con donne di ogni età e stato civile solo per essersi avvicinato troppo a loro.Il perché di queste complicazioni gli si sarebbe chiarito molto dopo.Gli era toccato passare attraverso questa storia assurda e scottarsi, prima di trovare il modo di mettersi seriamente in discussione e di riconoscersi il diritto a farsi aiutare.Era stato Gigi , il suo amico da sempre e da molti anni anche il suo medico, a raccoglierlo in fondo ad un pozzo di disperazione e a convincerlo ad affrontare una psicanalisi.Aveva cominciato a capire molte cose nelle ore passate sul lettino dell’analista, dove metteva a nudo i suoi pensieri, esprimeva le sue libere associazioni, osservava le emozioni e gli impulsi che sul fondo della sua anima strisciavano come murene tra alghe e scogli.Era come se lui non avesse una vera e propria pelle. Gli mancava una barriera, una protezione. Il contatto troppo ravvicinato con l’altro creava uno squilibrio, una confusione d’identità. Si lasciava inglobare nella sfera dell’altro e non riusciva più a ritrovarsi. Come il principe Miskin, come un idiota. E questo stato emozionale era intenso ed inebriante. Ogni volta Marco credeva di essersi innamorato e come un innamorato viveva ore d’ebbrezza perso nelle sue fantasie.

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Capitolo terzo

Per Franco Faggioni la mattina del sabato era da molti anni la più importante della settimana. Inspiegabilmente, gli affari migliori si concludevano la mattina del sabato dalle nove alle dodici.La maggior parte dei clienti, fossero privati o ditte , arredatori o architetti specializzati nelle creazioni d’interni, passavano più volte nel corso della settimana a curiosare tra le sue sofisticate attrezzature, chiedevano preventivi, si facevano spedire cataloghi, ma non compravano. Per concludere l’affare e definire l’ordinazione aspettavano il sabato mattina.Sabato 13 settembre si profilava come una giornata speciale , una di quelle che avrebbe ricordato per tutta la vita.Il grande colpo, spettava a lui.Stava per raggiungere un traguardo importante. Stava per compiere un considerevole salto di qualità. Alle otto in punto, proprio nel suo negozio, si sarebbe incontrato con il suo vecchio amico Ignazio Anzelloni, che da anni lavorava presso il più prestigioso concessionario d’auto milanese.Franco doveva consegnare la sua BMW nera e un assegno circolare non trasferibile da ventiseimila euro.Poi avrebbero scarabocchiato alcune firme sugli atti necessari per la compravendita e finalmente Franco sarebbe diventato il legittimo proprietario della scintillante Jaguar argentata esposta da alcune settimane nell’autosalone a pochi passi da Palazzo di Giustizia. Chissà quanti avvocati erano ingrigiti nelle stanze di quell’esempio d’architettura littoria, sognando di raggiungere la celebrità necessaria per garantirsi parcelle in grado di soddisfare un così costoso desiderio?Invece lui, essendo stato capace di resistere alle pressioni del papà d’oro, che a tutti i costi lo avrebbe voluto avviato alla carriera di magistrato, lui brillante commerciante di nicchia, lui, non ancora trentacinquenne, si sarebbe presto seduto al volante di quel gioiello meccanico, meritato coronamento dei suoi successi.Franco Faggioni era eccitato. Continuava a svegliarsi , a controllare l’ora.Quando finalmente arrivarono le sei, si decise ad alzarsi.Amaranta dormiva raggomitolata sull’orlo opposto del letto. La sua postura di dormiente segnalva quanto fosse chiusa e lontana da lui.Non accese alcuna luce. Non voleva vedere il suo corpo. Non voleva sentire la fitta allo stomaco e quel dolore ai testicoli che i continui rifiuti generavano in lui. L’immaginava con la sua camicia da notte di cotone bianco sulla carnagione scura. Anche nel buio vedeva i suoi fianchi morbidi e la rotondità dei seni minuti trasparire sotto la mussola leggera, riviveva il piacere, tante volte provato, nel sentire sotto le dita il velluto delle sue cosce, ora sempre più serrate e irraggiungibili, e non poteva evitare che tossine d’astio si liberassero nelle sue vene. S’ìnfilò silenziosamente nel kimono di nera seta cinese e con un leggero fruscio sgusciò fuori dalla stanza.Gettò un occhio nella camera di Valentina. La vide addormentata nel suo lettino abbracciata al suo coniglio di peluche bianco.Le lenzuola e la leggera coperta giacevano in un mucchio confuso sul tappetino stampato con l’immagine di un prato fiorito; una piccola lampada proiettava sulle pareti e sul soffitto un cielo stellato e una grande luna sorridente.Franco Faggioni sentì l’impulso di entrare ed inginocchiarsi di fianco a lei , di ricoprirla e di baciarle la fronte, ma l’idea che la bambina si svegliasse e cominciasse a chiedergli frignando di chiamare la mamma lo fece subito desistere.

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Mentre entrava in bagno pensò a come gli era difficile, quasi impossibile, la relazione con sua figlia. La bambina accettava il padre solo quando la madre era presente, altrimenti si abbandonava ad irrefrenabili crisi di pianto. Quelle rare volte che era andato a prenderla all’asilo, aveva provato dei momenti di grandissimo imbarazzo. Se non vedeva la mamma Valentina cominciava a gridare e a scappare, si nascondeva sotto qualche sedia o qualche tavolo e piangeva istericamente, con convulsi singhiozzi.Solo la grande pazienza del personale ed in particolare della maestra Elena, una donna sulla cinquantina con perfette movenze da chioccia, riusciva nell’impresa di calmarla e consegnarla allo stizzito genitore. Subito l’allacciava al seggiolino. Inseriva nello stereo il cd con le sue canzoncine preferite e liberava dall’involucro colorato un grosso chupa-chups pregando gli dei che la suzione dello zucchero e quei disgustosi suoni melliflui la tenessero buona fino a destinazione .Amaranta aveva cercato di ridurre al minimo questi incontri ravvicinati tra padre e figlia .Fin dai primi mesi della vita di Valentina aveva capito che Franco non sarebbe mai stato quel padre amorevole che aveva avuto lei.Franco apparteneva a quel folto gruppo di maschi che rifiutano di occuparsi della prole, quindi si era sempre rifiutato di scaldare un biberon o di provare a cullarla nelle lunghe ore di pianto notturno.Non voleva nemmeno spingere la carrozzina e provava un senso di grande ribrezzo ogni volta che aveva visto Amaranta cambiarle il pannolino.Quando, dopo un lungo congedo, Amaranta ritornò a scuola, tutto fu organizzato in modo che solo a lei o ad una baby- sitter spettasse l’incombenza di accompagnare la bambina al nido d’infanzia, di andarla a prendere e di accudirla in tutto e per tutto.Lui non voleva saperne, ma siccome gli imprevisti capitano a chiunque, in qualche occasione dovette pagare il prezzo di questa mancanza di consuetudine al rapporto con la figlia.A modo suo Franco amava Valentina, la trovava bellissima, era come se la genetica fosse stata ispirata da una mano divina e avesse saputo infondere in quel corpicino le migliori caratteristiche fisiche dei genitori. Aveva i capelli scuri, pesanti, lucidi e lisci della madre, gli occhi azzurri di tutti i Faggioni, l’ovale delicato e le lunghe ciglia di Amaranta. Il suo naso perfetto era la coppia miniaturizzata di quello paterno, così come le orecchie ben disegnate e la forma della bocca, più minuta e preziosa di quella della mamma che aveva labbra sottili, piuttosto allungate. La pelle aveva un colore che sembrava l’esatta via di mezzo tra l’eburneo pallore del padre e la cioccolatosità della madre. Eppure gli era così difficile stare con lei. Non sapeva proprio come fare, non c’erano cursori o manopole per regolarne il volume, non c’erano libretti d’istruzioni per l’uso, non c’erano sintonizzatori di lunghezza d’onda, telecomandi, selettori di funzioni.Uno splendido design, un oggetto prezioso, ma ingovernabile.Confidava nel fatto che, con il passare degli anni e il pieno sviluppo del linguaggio, la bambina avrebbe potuto più facilmente entrare in rapporto con lui e imparare a rispettarne il ruolo e l’autorità, ma questa speranza era già rosa dal tarlo del dubbio. Amaranta, se continuava ad essere così ostinatamente ostile a lui e alla sua famiglia, avrebbe potuto agire in modo da screditarlo e da farlo apparire come un oppressore ed un nemico e si sarebbe creata nella sua casa una fazione di femmine sempre pronte ad opporsi al suo volere. La stanza da bagno, che aveva fatto realizzare su progetto degli architetti del prestigioso studio Dini-Roeri, era insolitamente ampia, con un’enorme finestra bombata, composta da tanti riquadri di vetro opacizzato simili a grandi cristalli di ghiaccio.La finestra guardava ad est e la luce del primo mattino rischiarava delicatamente tutto l’ambiente. Far costruire quella finestra era stata un’impresa piuttosto ardua perché la sua forma e la sua dimensione infrangevano un certo numero di norme che regolamentavano l’edilizia del comune di Milano. Babbo Domenico era riuscito a trovare il modo di aggirare ogni ostacolo e far condonare l’abuso con un

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piccolo esborso e qualche favore particolare al comandante dei Vigili Urbani e ad altri funzionari dell’Assessorato all’Edilizia.Sul lato opposto alla vetrata troneggiava un doppio lavabo in marmo rosa, avvolto da una struttura di travertino e sormontato da una gigantesca specchiera che poteva assumere angolazioni diverse grazie ad un dispositivo elettronico, controllabile sia con un joystick, sia con un telecomando .Il telecomando controllava anche la temperatura e la forza dei getti d’aria e acqua nella Jacuzzi a quattro piazze che occupava il centro della stanza, nonché le varie funzioni dell’impianto Bang-Olufsen sulla parete nord. Il pavimento e le pareti erano ricoperti da legno di abete norvegese e, sul lato sud, una cabina per la sauna dava un tocco decisamente scandinavo a tutto l’insieme.Essendosi alzato così presto, Franco aveva tutto l’agio di godersi un lungo e confortante idromassaggio. Impostò la temperatura sui trentadue gradi, regolò la potenza dei getti a mezza forza, prese le cuffie a radiofrequenza e fece partire la compilation di musica new-age che raccoglieva composizioni di Harding eseguite da vari artisti.Allungandosi nell’acqua tiepida e spumeggiante si ritrovò una volta di più a pensare a come sarebbe stato bello se tutto il mondo fosse stato concepito come la sua stanza da bagno.Perfettamente pulito ed elettronicamente obbediente.Senza contrasti, senza rivendicazioni, senza capricci, l’esistenza era un vero piacere.Le note di Chariots of fire danzarono nel suo petto con l’orgoglio di essere riuscito a creare tanta perfezione attorno a sé, con la consapevolezza che anche nel suo lavoro aveva predisposto un’efficiente rete di fornitori e tecnici pronti a risolvere ogni problema e a soddisfare pienamente le esigenze della sua clientela.Di certo la Jaguar che lo attendeva si sarebbe mostrata all’altezza delle sue aspettative: docile, silenziosa, scattante. L’unico problema erano quelle femmine di casa, così poco inclini a essere telecomandate.Forse questa volta suo padre aveva sbagliato. Forse sarebbe stato meglio lasciare che quel ridicolo maestro se le fosse portate via una volta per tutte.Perché non lasciarla andare ? A patto che portasse con sé anche Valentina.Lui sarebbe rimasto solo a lungo. Solo e in pace, si sarebbe occupato ancor più e meglio del suo lavoro, avrebbe avuto più tempo per i suoi hobby e per la sua palestra. Magari si sarebbe anche concesso il gusto di qualche bella scopata. I giornali erano pieni di annunci di ragazze squillo che in qualsiasi momento erano disposte a vendergli un’ora o una notte di piacere.AAA a tuo domicilio bellissima rumena quinta misura per portarti in paradiso.AAA attivati subito ce l’ho tondo come un mappamondo. Solo per distinti, anche a domicilio.Avrebbe potuto portarsele in quella vasca , anche due alla volta. Il Bang – Olufsen avrebbe diffuso calde note dalla sua compilation Erotika , lui avrebbe regolato la specchiera in modo da potersi ammirare nella sua prestanza mentre si toglieva ogni voglia, usando i corpi di quelle due schiave per il suo godimento, come un divo a luci rosse , come un imperatore romano.Aveva già cominciato a masturbarsi e il suo uccello era sull’attenti come un bravo legionario, sentiva fortissima la voglia di eiaculare, ma si arrestò.Si alzò in piedi e si avvicinò al grande specchio. Contemplò con fierezza la sua immagine di maschio in erezione; era asciutto e muscoloso. Gli addominali perfettamente tesi, i pettorali ben sviluppati, le spalle larghe, i muscoli delle braccia e delle gambe ben definiti e tonici. I glutei sodi e piccoli . Era alto, era biondo, aveva gli occhi azzurri e un bel cazzo lungo e duro, con la cappella rossa e tonda come un frutto delizioso.Sapeva di piacere a molte donne. Lo sentiva quando le sue clienti entravano nel negozio e gli sorridevano, lo sentiva ancor più quando lo ricevevano nei loro appartamenti per un sopralluogo, per un progetto d’installazione. Sentiva il loro desiderio, la richiesta muta di un atto di violenza, la voglia

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pazza che evaporava da camicette che non erano mai troppo abbottonate, da pantaloni spesso troppo attillati, da gonne sempre troppo corte. La sua risposta era sempre univoca: niet!Galante , premuroso, sorridente , ma very cool , glaciale.Prima regola : mai compromettersi con la clientela , mantenere il proprio ruolo ad ogni costo.Ogni intimità, ogni confidenza sarebbe costata cara, troppo cara.Ci voleva costanza, disciplina e senso del dovere, tutte cose che suo padre gli aveva trasmesso in abbondanza. Per cui si compiaceva di quelle attenzioni, di quei seni ansanti, di quelle gambe pronte ad aprirsi, ma non ne approfittava mai.Anche Amaranta, prima che nascesse Valentina, gli faceva sentire quanto fosse desiderabile come stallone, come amante .Anche con lei faceva resistenza, quando sentiva che lei aveva voglia di fare all’amore provava gusto a negarsi : il lavoro, la palestra, una lontana fiera specializzata, una mostra di nuovi modelli d’automobili…spiacente.Quando invece lei era stanca, preoccupata, poco disponibile, allora lui provava il desiderio irresistibile di possederla, di sottometterla, di entrarle dentro a forza e sfregarsi tra le pareti asciutte della sua vagina, mordendole i capezzoli e graffiandole la schiena. Il punto più alto del piacere arrivava nel momento in cui, dopo aver gridato no decine di volte, improvvisamente lei gli si arrendeva e sottomessa giaceva al suo assalto, sconfitta un’altra volta. Dopo l’arrivo di Valentina, tutto si era complicato, era come se lei non lo desiderasse più, quasi che la relazione con la piccola la appagasse completamente e lui non fosse divenuto che un accessorio ingombrante e spesso inutile.Lui era pronto a resistere per qualche settimana e quando vide che l’andazzo si prolungava ben oltre i primi due mesi la prese di forza e la inchiodò al materasso.Ma fu l’ultima vera soddisfazione.Improvvisamente qualcosa scattò.Amaranta non gli oppose più alcuna resistenza.Quando Franco ne aveva voglia, poteva accomodarsi e far quel che voleva, lei era altrove, pronta a disarcionarlo in qualsiasi momento per correre dalla bambina al primo vagito. Quindi aveva cominciato ad essere sciatta e trascurata, sempre in vestaglia, avvolta in quell’odore di latte rancido che per più di un anno aveva continuato ad offrire alla piccola dai suoi seni gonfi culminanti in due capezzoli rossi come peperoncini piccanti.Valentina poteva succhiarli e morderli, ma appena lui si azzardava a sfiorarli veniva coperto di insulti.Quando finalmente si decise a separarsi dalla bambina e a tornare a scuola, Amaranta si allontanò ancor di più.Il capo chino sulle pile di quaderni da correggere, libri di pedagogia e riviste specializzate, ovunque trattati di ogni tipo sui bambini da zero a undici anni.Madre solerte, insegnante modello, moglie in fuga. Per finire poi a lasciarsi sedurre dalle bambinate di quel Bacci, dalla letteratura latino- americana e dalle farneticazioni post-femministe di quell’onnipresente, onnisciente, avvizzita sirena a nome Rita.In ultimo, da quando era stata scoperta, Amaranta era diventata inavvicinabile. Chiusa come un riccio. Quelle rare volte che aveva tentato di prenderla, aveva reagito con graffi morsi e raffiche di patetici pugnetti disperati. E lo aveva minacciato.-La prossima volta grido così tanto che i vicini saranno costretti a chiamare i carabinieri e sono sicura che a tuo padre non farà piacere. Aveva anche chiesto di andare a dormire nella camera degli ospiti, ma il permesso non le era stato accordato, né la bambina né la domestica dovevano sospettare alcunché, altrimenti…

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Franco Faggioni vide nello specchio che questi pensieri facevano un brutto effetto alla sua erezione. Per interromperne il flusso comandò alla Jacuzzi di smettere di ribollire e di scaricarsi, alla musica new age di tacersi e al suo sperma di attendere un’occasione migliore per spandersi nel vasto mondo.Si rasò con cura meticolosa,concentrandosi nel taglio del pelo per allontanare minacce di malumore.Dopo essersi accertato di aver eseguito un lavoro a regola d’arte, s’infilò nell’accappatoio di morbida spugna bianca, fresco e leggero come un fiocco di cotone e si diresse nella stanza guardaroba con l’intenzione di vestirsi in maniera adeguata per la grande occasione.Entrò subito nella cabina armadio e indirizzò immediatamente lo sguardo verso il settore completi, scelse senza esitazione un tre pezzi di Caraceni, grigio canna di fucile.Mentre lo sfilava dalla barra appendiabiti si accorse che il Caraceni era appeso proprio accanto al tight che aveva indossato il giorno del matrimonio.Quel matrimonio gli appariva ora come la più grande idiozia della sua vita. Lo aveva voluto ostinatamente, aveva dovuto discutere per interminabili ore con suo padre che cercava di dissuaderlo sventolandogli sotto il naso l’elenco di ragazze di buona famiglia e solida dote con cui aveva progettato di accasarlo. Amaranta invece era una specie di mezzo sangue,senza arte ne parte , senza denaro e proprietaria solo di un miniappartamento. Il suo stipendio da maestra non sarebbe nemmeno bastato a pagare la colf e la bambinaia.Mentre estraeva da un cassetto una camicia Oxford siglata con la doppia effe delle sue iniziali, Franco rievocò quanta soddisfazione gli aveva dato il riuscire a controbattere tutte le obiezioni che il padre aveva sollevato.Il gusto d’infrangere i divieti e sfidare le minacce paterne era stato un piacere impagabile. Osservò con attenzione la magnificenza delle cento e più cravatte perfettamente allineate in file di dieci sugli appositi ganci d’ottone appesi al fondo della cabina armadio. Piccole alogene, occultate nel soffitto di legno, diffondevano una luce che esaltava la ricchezza dei tessuti e dei loro colori.Le cravatte sembravano bandiere e stendardi che garrivano al vento per celebrare la sua gloria di cavaliere invincibile.Aveva conquistato Amaranta, aveva domato la volontà del padre, aveva stracciato la concorrenza, scoperto ed annichilito il rivale che aveva osato insidiare la fedeltà di sua moglie e ora stava per catturare il giaguaro argentato.Afferrò una cravatta con dorati leoni rampanti su uno sfondo purpureo e nell’annodarla si sorprese a domandarsi se fosse mai stato veramente innamorato di sua moglie.Stronzate!Questa baggianata dell’innamoramento era una bufala cosmica che andava bene per i venditori di romanzi e i produttori di telenovelas.Tra uomo e donna non c’era e non poteva esserci alcuna forma d’amore, solo desiderio di conquista e possesso. Uno dei due conquistava l’altro e s’impadroniva dell’esistenza del partner asservendolo ai propri fini. Stop.Il matrimonio era il contratto che legalizzava e consolidava questa conquista.Nella scarpiera, l’occhio cadde subito sulle Church nere e senza esitazione decise che avrebbe lasciato a quelle calzature il compito di metterlo in contatto con la pedaliera del suo nuovo, pregiatissimo veicolo.Nonostante le scarpe fossero perfettamente lustre, Franco non riuscì ad impedirsi di strofinare quel cuoio nero per qualche minuto.Il nero lo attirava, se poi era così lucido da potercisi specchiare, lo faceva impazzire.I capelli color corvo e gli occhi di carbone di Amaranta avevano acceso in lui il desiderio di conquista e di possesso. Quel nero e la sua selvatichezza, quell’aria di diffidenza felina e la facilità nel mostrare le unghie e fare le fusa lo avevano attratto al punto di sentirsi pronto a lasciare la sua dorata esistenza da

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giovane scapolo e giocare ogni sua carta per catturare la ragazza che -illegalmente- si era issata sulla barca dei Faggioni.Lui era sdraiato sul flying bridge ad abbronzarsi al sole di un caldissimo giugno. Come in una scena girata per un film di James Bond, schiuse leggermente gli occhi, scostò pigramente il bicchiere del Martini che aveva posato accanto al viso e gli impediva di vedere per quale motivo la catena dell’ancora di prua cigolasse così rumorosamente.Sul Lago Maggiore quel pomeriggio non c’era brezza e la superficie era piatta e liscia come un olio, ciononostante la catena oscillava e raspava il ponte. Dal lato inferiore del suo campo visivo cominciò ad apparire una mano abbronzata che si allacciò con le lunghe dita all’estremità superiore della bitta cromata.Come sollevato da un meccanismo idraulico ed invisibile, con fluida continuità l’intero corpo di una giovane donna in bikini si issò sul bianco ponte.Tutto sembrava congiurare per rendere quella visione il più accattivante possibile: lo sfondo perfettamente blu del cielo, il contrasto tra il bianco del ponte ed il nero del bikini che copriva appena le parti più intime di quella creatura deliziosa, apparsa agli occhi dell’assopito Faggioni come in un sogno erotico.Una volta sul ponte, con due rapidissimi movimenti la ragazza raggiunse la gabbia di prua e la scavalcò rimanendo per qualche secondo come una polena vivente a stagliarsi nell’azzurro.Poi, con un guizzo si lanciò ad angelo e scomparve.Ci furono alcuni secondi in cui Franco Faggioni rimase a domandarsi se quello che aveva visto appartenesse al mondo reale o se si trattasse di un‘allucinazione ipnagogica o di un delirio provocato dal Martini e dal calore eccessivo, a cui aveva imprudentemente esposto la sua nuca di cittadino.Poi vide di nuovo la catena oscillare e senza più esitare si fiondò giù dalla scaletta arrestandosi davanti alla bitta con le mani sui fianchi. Quando Amaranta si fu issata a sufficienza per permettere al suo sguardo di poggiarsi per la seconda volta sulla superficie del ponte, rimase a senza fiato nel vedere quei due piedi pallidi e lunghi a qualche centimetro dalla sua faccia.Fu tentata di mollare la presa e sparire immediatamente sott’acqua, ma non seppe resistere alla curiosità e così, con una panoramica verticale da spaghetti western, i suoi occhi risalirono lungo le gambe indiscutibilmente virili, sorpassarono il pacco dei genitali avvolti dallo slip, accarezzarono l’addome ed il petto del giovane e si arrestarono negli occhi di lui, di in azzurro talmente chiaro da sembrare incapaci di resistere alla forte luce estiva. Un generale di vent’anni, occhi turchini e giacca uguale, un generale di vent’anni figlio di un temporale.Franco le tese una mano e appena lei l’ebbe afferrata la sollevò in piedi sul ponte.- Come proprietario di questa imbarcazione sono costretto a chiederle le sue generalità e ad invitarla a fornirmi un’accettabile giustificazione per questa sua non autorizzata intrusione a bordo del mio natante.Gli occhi turchini si fingevano severi e il significato di quelle parole le era chiarissimo, voleva da lei quello che volevano tutti i maschi che incontrava.Sfoderò un sorriso di un candore disarmante e con una voce in cui non c’era alcuna traccia di paura o soggezione rispose.- Amaranta Blanquez, adoro tuffarmi.- Ero certo che non fosse italiana.- Mi spiace infrangere le sue certezze, ma sono italianissima . sono nata a Luino.- Guardi che non le conviene burlarsi di me, posso chiamare i carabinieri e farla arrestare per violazione di proprietà privata oppure….- Oppure accettare il suo invito per la cena di questa sera.- Perspicace !

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- Forse. Diciamo che voi uomini siete piuttosto prevedibili. Comunque la ringrazio, ma ho da fare.- Non vorrà mica costringermi a chiamare i carabinieri?- Chiami pure chi le pare, tanto non sono mai salita su questa barca. Con un semplice passo all’indietro si lasciò cadere e con un tuffo a candela s’inabissò.Appena riemersa, si allontanò dalla barca con rapide bracciate. Franco Faggioni rimase impietrito per qualche istante, quindi corse alla cabina di comando per procurarsi un binocolo e seguirla fino a riva. A metà percorso credette di vederla voltarsi sul dorso e ridere beffarda. Ma il movimento, gli spruzzi, la sfocatura dell’immagine, non gli permisero di vedere bene il viso della nuotatrice.La osservò sdraiarsi al sole, si accertò che nessuno le si avvicinasse per farle compagnia.Allora comprese che era arrivato il momento di mettersi sul sentiero di caccia.Mentre calava il gommone si convinse che non avrebbe più potuto godersi la sua splendida gioventù se non fosse riuscito nell’impresa di conquistare e domare quella donna.Calzò le Church aiutandosi con un lungo calzascarpe di corno.Mentre allacciava i bottoni del gilet si rimirò allo specchio, prima frontalmente, poi verificò entrambi i profili. Perfetto.Si guardava e si piaceva.Anche la sua vita avrebbe potuto essere perfetta.Ma non era così facile cambiare moglie e figlia, non era come cambiare auto.Di certo nessuno gliele avrebbe valutate così bene come aveva fatto Ignazio con la BMW, anzi i divorzi comportavano sempre una quantità di spese che si trascinavano per anni e anni. Uffa! Anche suo padre avrebbe cambiato … Non ne poteva più di sentirsi alitare sul collo.Decise di non allacciare la giacca e con un senso di fastidio se ne uscì. Mentre scendeva con l’ascensore al piano sotterraneo per raggiungere il box si ritrovò a fantasticare una fuga in grande stile. Con un buon piano, avrebbe potuto procurarsi un bel gruzzoletto, documenti falsi e un esilio dorato.Che ci voleva? Solamente un po’ d’astuzia, sangue freddo e pelo sullo stomaco, caratteristiche che non gli mancavano.Premette il tasto del piccolo telecomando agganciato alle chiavi dell’auto e la porta basculante del box si sollevò con un impercettibile ronzio.Separarsi da tutte le sue belle cose era l’ostacolo più grande.Quella BMW, con la sua splendida carrozzeria verniciata di nero metallizzato, con i suoi comodissimi sedili, era un oggetto che non era facile da abbandonare, anche se questa separazione gli permetteva di accedere ad un’auto più prestigiosa da ogni punto di vista, non poteva nascondersi di essere dispiaciuto.Mentre la conduceva lentamente, per l’ultima volta, sulla rampa d’uscita accarezzò il volante di radica e la morbida pelle del sedile del passeggero.Era ormai giunto quasi all’uscita ma dovette fermarsi un attimo, sui suoi occhi era sceso un velo di commozione che gli impediva di vedere bene. “ Via non essere sciocco- si disse- quel che ti ci vuole ora è un bel caffè, una scorsa ai titoli della Gazza e guardare avanti.”Guardò avanti e vide oltre il cancello elettrico che si stava aprendo un uomo in sella ad una motocicletta rossa fermarsi proprio sul carraio.“ Brutto pirla , non hai visto i lampeggianti gialli.- mormorò tra sé nel chiuso del suo abitacolo- Stronzo, perché non ti sposti qualche metro più in là? ”L’uomo indossava un casco giallo con una visiera brunita e un giubbotto marrone che ricordava quello del Bacci.“ Cazzo , il frocetto s’è fatto la moto e viene proprio oggi a rompermi. Noo! Non ho tempo per le sue stronzate.”

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Con il motore in folle, premette per due volte violentemente sull’acceleratore.Lo sguardo del motociclista ,coperto dalla scura visiera, si voltò verso di lui.“ Levati!” gli ordinò mentalmente.Il motociclista infilò la mano destra in tasca.Franco Faggioni vide soltanto un gigantesco bagliore, dapprima rossastro , immediatamente dopo bianchissimo. All’improvviso tutto si spense e si ritrovò avvolto dal nero più nero. Sprofondato in una pozza d’inchiostro nero. Il più nero di tutta la sua breve esistenza.

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Capitolo quarto.

FAG – GIO – NI BA – STAR – DI DI STA – TO BO – IAR – DI FAG – GIO – NI CA – RO – GNE TOR – NA – TE NEL – LE FO – GNE .

Ogni sillaba, due passi di corsaOgni passo di corsa, un metro .Ogni mantra di odio rabbioso, cinquanta metri.Ogni minuto, cinque mantra.Ogni cinque mantra , duecentocinquanta metri.Ogni ora, trecento mantra , per un totale di quindici chilometriCorreva Marco Bacci, correva schiumando come un cavallo impazzito, correva lungo l’Alzaia del Naviglio Grande, superando le stanche biciclette dei pensionati pronti a spendere un’altra mattina negli orti di guerra, a coltivare cavoli infarciti di benzene e gentili lattughe avvolte nel pulviscolo di piombo.L’ira gli metteva le ali ai piedi, diventava leggero e aveva un impulso continuo a spiccare grandi balzi. Urlava quando imboccava un sottopasso, urlava a squarciagola per sentire il suo mantra echeggiare nell’aria fetida di urina mentre zompava oltre i sacchetti di plastica abbandonati dai clochard che alle prime luci del giorno avevano cominciato a viaggiare sui mezzi dell’A.T.M , verso capolinea privi di scopo nella geografia smarrita delle loro giornate senza meta .Correva Marco Bacci, correva respirando squallore a pieni polmoni, correva per liberarsi dalla furia che ogni notte sgorgava dal suo inconscio e gli offuscava la mente, gli insanguinava gli occhi.

FAG – GIO – NI BA – STAR – DI DI STA – TO BO – IAR – DI FAG – GIO – NI CA – RO – GNE TOR – NA – TE NEL – LE FO – GNE .

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Occhiali scuri, barba di qualche giorno, testa rasata, auricolari nelle orecchie appuntite come un personaggio di Star-Trek, Gaetano Cascione, palpebre abbassate dietro le lenti scure, si dondolava allacciato ad un sostegno metallico, dentro un vagone semivuoto della Linea 3.La sua mente scivolava sulle note del piano, verso l’Atlantico,in fondo al verde digradare di un pascolo punteggiato dal biancheggiare delle pecore.Spagna del Nord.Il ritmo dei tambores accompagna l’avanzare di un cavaliere.La criniera dell’animale è bruna come la capigliatura del giovane che lo monta a pelo, lungo l’alta scogliera. Lo attende un flauto cui subito si aggiunge una specie d’ocarina .Le note saltellano come i passi di danza dei giovani galiziani. Mani e braccia si intrecciano in un enorme cerchio attorno al bruno cavaliere.Ora sta smontando, guadagna il centro, raggiunge gli altri musici e imbraccia la gaita, la cornamusa dei celti iberici. La gaita scioglie il suo canto e l’atmosfera assume un’aria sacra. Si celebra un rito magico per unire gli spiriti degli uomini e delle donne convenuti in un abbraccio cosmico con l’anima dell’oceano e il cuore roccioso della Cordigliera Cantabrica.È la magia della musica di Carlos Nunez che ha portato Gaetano Cascione a rivivere quella festa del Corpus Domini, el Dias del Corpus, ad assaporare di nuovo le emozioni provate danzando quella Marcha de Entrelazado de Allariz nell’alba che poneva fine ad una notte di falò e cerveza, di riccioli neri e sottane da zingara, quando molti anni fa , giovane agente, si fingeva turista per caso allo scopo di mettere il sale sulla coda ad un ragazzetto romano,a cui piaceva trafficare in esplosivi con gli indipendentisti baschi nel nord della Spagna.Il treno rallentò. Il Vice Commissario Cascione si richiamò all’ordine.“ Scetate Gaità! Jamme !” Le palpebre si alzarono, l’incanto svanì.Fermata Cavour, lucide piastrelle , grosse bande gialle con scritte a caratteri bianchi, fredde cromature.Si fosse sentito un poco più in forza sarebbe saltato sulla scala mobile a passo di Marcha.“ Piano Gaetaniello “ si rimproverò” ancora non ti sei ripreso.”Aspettò la fine del brano prima di spegnere il walkman, liberare le orecchie e accendere l’odiato cellulare.Erano le otto e venticinque e ci voleva una sacrosantissima tazzulella e cafè.Ad emersione completata si diresse con sicurezza verso il bar Cavour. Il cellulare squillò.Sul display il nome di Galante lampeggiava sullo sfondo azzurrognolo.- Signor Commissario Capo sto arrivando mo mo , neanche cinque minuti e sarò nel vostro ufficio.-Ma si può sapere perché cazzo non tieni acceso quel fottutissimo cellulare? È più di venti minuti che cerco di chiamarti.- Capo, ero nella metro. - Smettila di chiamarmi capo e dimmi dove cazzo sei. - Sulla soglia del Bar Cavour e sto per ordinare un caffè.- Tu non ordini un bel cazzo di nulla e ti metti ritto e fermo all’angolo di Fatebenefratelli, tra un minuto ti mando Maglio e un altro agente con una volante . Sirena e sbrigarsi.Senza nemmeno il tempo di un signorsì, la comunicazione si interruppe.Entrando nel bar Cascione catturò l’attenzione del giovanotto dietro al banco con un gesto ormai codificato che significava : superespresso immediato .Il ragazzo gli servì o una tazzina di caffè ristretto nell’estremo angolo del bancone.Il poliziotto ingurgitò la bevanda amara e bollente, lasciò due euro sul banco e con un cenno, che venne giustamente interpretato come: senza te sarei perduto, si affrettò ad uscire.La volante era già ferma all’angolo della piazza.L’agente Di Cristofalo si precipitò ad aprirgli la portiera con stampato in volto l’immenso disprezzo che nutriva per il Vice Commissario Cascione.

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Gaetano benedisse gli occhiali alla Ray Charles,che impedivano a Di Cristofalo di capire quanto fosse sgradita la sua presenza in equipaggio. La faccia calma e sicura dell‘autista Maglio, con quel sorriso da il capitano vi augura il benvenuto a bordo bello aperto sotto i baffoni alla tartara, lo fece subito sentire confortato e protetto. L’auto schizzò in avanti e subito s’impuntò a causa d’un brusco colpo di freno dovuto allo scartamento di un ciclomotore che sobbalzava sul selciato.Gaetano prima ancora di aver appoggiato il sedere, aveva già afferrato la maniglia sotto il tettuccio e non si fece sorprendere.Di Cristofalo seduto sul sedile anteriore, fu proiettato contro il parabrezza.Riuscì a proteggersi solo parzialmente il capo, picchiando la fronte contro il dorso delle sue mani.Mentre Maglio dava nuovamente gas e azionava la sirena, Di Cristofalo con un ringhio rabbioso si sporse dal finestrino e vomitò una sfilza d’insulti verso l’incolpevole motociclista. Gaetano vide nello specchietto i grandi occhi scuri dell’autista che sembravano dirgli Portate pazienza, questo è solo l’inizio.Di Cristofalo era uno dei personaggi di spicco nella BIP (brigata incazzati perenni) diffusa come la gramigna tra le forze dell’ordine.Tra Cascione e Di Cristofalo c’erano stati parecchi screzi che erano costati al secondo una serie di rimproveri scritti e uno stop negli avanzamenti di carriera, al primo una quantità non misurabile di travasi di bile.Di Cristofalo aveva gioito quando Gaetano era finito per mesi all’ospedale, vittima di una malattia auto immune, attorno alla quale si erano arrovellati i cervelli di molti primari negli ospedali milanesi.Ad un tratto, senza che nessuno ne avesse capito il perché, la malattia si arrestò e dopo una lunga convalescenza, il Vice Commissario Cascione tornò in servizio, scoprendosi molto più calmo e molto più comprensivo di quanto avesse mai potuto aspettarsi da se stesso.Ora Di Cristofalo rappresentava per lui una valida occasione per praticare la nobile arte della tolleranza, appresa ed esercitata in lunghi mesi di degenza e d’immobilità nella difficile palestra delle corsie ospedaliere. Maglio sfrecciava già in Largo Cairoli e, tenendo ben strette le sue manone sul volante, circumnavigò il monumento a Garibaldi e si diresse verso Piazzale Cadorna.Gaetano, dopo lunghi respiri per riacquistare la tranquillità necessaria, domandò:- Dove siamo diretti con tanta fretta? - Via Villoresi .– rispose Maglio a denti stretti, mentre affrontava l’attraversamento del piazzale con l’aiuto delle vigorose spalettate di Di Cristofalo, sporto con tutto il busto dal finestrino di destra.- Morto ammazzato.- scalando in seconda per poi mordere in gran corsa il centro di Via Carducci.Terza, quarta, terza, seconda, oltrepassato Corso Magenta, terza ,quarta e quinta.- Per fortuna che è sabato mattina dottore, altrimenti qui c’era da impazzire.Vedendo il prossimo semaforo diventare verde, Di Cristofalo tornò a sedersi.- Bisogna beccare l’assassino.- sentenziò senza voltarsi.Via De Amicis venne divorata nello spazio di un profondo sospiro, poi l’auto s’infilò in Corso Genova.Alcuni esercenti stavano sollevando le saracinesche e la larga strada sembrava sbadigliare e stiracchiarsi, indifferente all’urlo della sirena. -Avanti, ditemi tutto.A quel punto Di Cristofalo si voltò, piantando il braccio destro ben teso sul cruscotto per evitare una nuova capocciata.- La vittima è il figlio di Faggioni, gli hanno sparato mentre usciva dal garage.- Il figlio di Domenico Faggioni?- Positivo. L’assassino è fuggito con una motocicletta rossa. L’omicidio è stato commesso intorno alle sette e quarantacinque. La scientifica è già sul luogo. I testimoni si sprecano. Il questore in persona ha preso la direzione delle indagini e stanno già piazzando i posti di blocco.

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Gaetano Cascione si disse che con tutta certezza il motociclista era ben al di là dei posti di blocco. Bisognava comunque far vedere che ci si stava impegnando al massimo.Con sollievo preconizzò a se medesimo che a lui sarebbe spettato soltanto un ruolo marginale di collaborazione nelle indagini. Era un caso troppo importante,Molto meglio così, non si sentiva ancora pronto per balzare in prima linea.Un ritorno graduale all’operatività era la cosa più indicata per la sua delicata salute.Superata la Stazione di Porta Genova, Maglio fu costretto a rallentare l’andatura per via della pavimentazione sconnessa e per il tappo di traffico creato dalle macchine dei curiosi, fermi in doppia fila in Via Ludovico il Moro. Arrivò una coppia di carabinieri in motocicletta, si misero subito a fischiare e ad agitare le palette per sciogliere l’ingorgo.- Brutti avvoltoi, becchini fetusi , levatevi di mezzo! Sgomberate!Di Cristofalo con il suo livore contribuiva vigorosamente ad aumentare la confusione.- Maglio, per favore fammi scendere e tieni buona la belva, poi avvicinati all’imbocco della Via Villoresi e aspettami lì.Gaetano Cascione in quel momento si sarebbe volentieri acceso una Marlboro, ma dopo due polmoniti e un edema, causati dal suo incomprensibile morbo, non poteva proprio permetterselo. Pescò nelle tasche del giacchino di jeans un confetto alla liquirizia e cominciò ad allungare il suo collo da tartaruga alla ricerca di Galante .Cameramen, fotografi e cronisti erano tenuti a bada da una mezza dozzina di agenti che avevano transennato la strada con il nastro bianco e rosso.Dietro le auto parcheggiate a spina di pesce, così da ridurre la visuale agli obiettivi indiscreti, si assiepava un nutrito capannello di divise gallonate mescolate a vari pezzi grossi della Questura e della Procura. Le radiomobili gracchiavano brani di conversazioni che si accavallavano al concerto disordinato delle suonerie di un centinaio di cellulari.Fu Galante a riconoscerlo e a marciargli incontro mentre cercava di chiudere una telefonata. Indossava un completo grigio, leggero e sgualcito, sopra una camicia bianca dal colletto stirato male. Il nodo della cravatta scura era talmente storto da conferirgli un aspetto più consono ad un ubriaco che ad un Commissario Capo. - Va bene… chiarissimo… di sicuro … non si preoccupi… le riferirò non appena… certo ….buona giornata, a più tardi .Sollevando gli occhi al cielo in una muta bestemmia, Galante s’infilò in tasca il cellulare.- Lo sai chi era?- La sua amante no di sicuro, altrimenti non sarebbe così accigliato.- Un Sottosegretario degli Interni, Alleanza Nazionale.- Se la chiamasse la Mussolini che effetto le farebbe?- Quanto si scemo! Non so neanche perché mi ci metto a ragionare con te. Non perdiamo tempo. Devi andare a casa di questo Bacci e raccogliere tutte le informazioni che puoi. Sappiamo già molto, era controllato da un pezzo. Però sono sicuro che se ti ci metti d’impegno, tu sei capace di trovare qualcosa di speciale. Dobbiamo fare in fretta, prenderlo immediatamente. Il Questore ha detto che siamo tutti sotto i riflettori e dobbiamo fare una bella figura. Per uno come me ad un passo dal pensionamento questo caso potrebbe essere l’ultimo tram per una promozione.- Terrorista nero o rosso?- Piuttosto rosso, ma non proprio terrorista.- Fiancheggiatore?- Forse lo è stato, ma non è una faccenda di politica.- Criminalità organizzata?

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- No. Corna. Questo Bacci puntava la moglie della vittima, maestro alle elementari come lei, stessa scuola, qua vicino, è stato scoperto, ha dato di matto è si è vendicato.- Vendicato di che?- Che t’importa. Ci sono almeno cinque persone che l’hanno visto, abbiamo anche uno che ha riconosciuto il modello della moto: Yamaha 650 rossa. Casco integrale giallo, giubbotto marrone di cuoio, jeans come i tuoi. Robusto. Tra pochissimo dovrebbero arrivarci le prime foto e te le mando. - Non capisco.- Cosa?- Il movente.- Ti sembra questo il momento di mettersi a discutere del movente. Faggioni ha detto che non ce ne può essere altro. Non ha avuto esitazioni. Ha telefonato subito a casa del Bacci e non ce l’ha trovato. Sotto la sua abitazione ci sono già quattro agenti in borghese, non è rientrato, ovviamente. Però Faggioni ci assicura che è un tipo veramente particolare, imprevedibile. Dobbiamo essere pronti a tutto.- È qua ? - Chi ?- Faggioni pater.- Se n’è appena andato via. È arrivato con il Questore ed è ripartito con il Procuratore Martini. Questo è l’indirizzo del Bacci : Viale Pisa 12 . Di nome fa Marco. Separato. Solo. Vacci, cercagli l’anima, metti insieme tutti gli elementi per capire dove possa essersi andato a nascondere, dove avrà cacciato la moto, dove può avere nascosto l’arma. Quelli della scientifica dicono che con molta probabilità ha sparato con una 44 e che sia ben allenato ad usarla: un colpo in mezzo alla fronte e due nella zona del cuore. Non ci sono segni di altri proiettili. L’ha colpito attraverso il parabrezza, da circa cinque metri. È pericoloso. Vuoi vedere il cadavere?Gaetano Cascione restò un istante in pensiero con il capo abbassato e le mani affondate nelle tasche dei jeans. - No, grazie.- rispose, e dopo una lunga e sonora espirazione aggiunse - Per quel che devo fare non ha nessuna rilevanza. Preferisco evitare.- Giusto. Stai attento a non farti seguire da quelli della stampa. Vogliamo tenere segreto il nome dell’assassino il più a lungo possibile. Se crede di non essere indagato può darsi che abbassi la guardia. Galante battè una manata sulla spalla di Cascione come per congedarlo, ma poi lo trattenne per un braccio e, come una madre quando vuole assicurarsi che il figlio abbia indossato la canottiera, gli domandò: - Gaetano, la pistola ? Ce l’hai vero?Cascione sorrise, intenerito dall’interessamento del suo capo.- E a che mi servirebbe? Nel caso ce ne fosse bisogno Sparalesto Di Cristofalo avrebbe già svuotato il caricatore prima che io abbia tolto la sicura. Galante scosse il capo e lo avrebbe volentieri ricoperto d’insulti se il suo cellulare non si fosse messo a trillare con crescente aggressività.Si congedarono con un reciproco ammiccamento.

Dopo un’ora di corsa e quindici chilometri macinati a passo di gran passo, Marco Bacci cominciava a sentirsi meglio, come depurato, disintossicato dai veleni notturni.Ma non poteva ancora smettere di correre.Parco di Trenno; gruppi di maschi di varia età, lingua e colore che al sabato mattina si mescolano grazie all’esperanto del calcio per organizzare partitelle nei rettangoli di verde spelacchiato.I casermoni a torre del Gallaratese lo aspettavano in fondo al parco, poi avrebbe raggiunto la Montagnetta di S.Siro , dove sapeva già che ad attenderlo c’erano i ricordi delle sue passeggiate clandestine con Amaranta .A volte lottava, cercava di scacciarli.

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Forse quel giorno avrebbe potuto anche lasciarli affiorare, si sentiva quasi in grado di sorridere ai suoi ricordi, sentiva che cominciava a fare qualche passo per prendere distanza dal passato e prepararsi a girare quella pesantissima pagina.Gli piaceva pensare che nella nuova pagina ci fosse un ritratto di Laura e una foto di loro due in bicicletta, la sua vecchia bici nera.Lei seduta sulla canna, gli occhi lucidi di piacere, i capelli e il vestito che svolazzano all’indietro.Lui che pedala veloce e contento come l’Orso Yoghy quando ruba un cestello della merenda.“ Stupido che non sei altro, sempre perso tra i ricordi del passato che non c’è più e i sogni di un futuro che forse non ci sarà mai .”

Gaetano Cascione aveva affidato a Maglio il compito di raggiungere Viale Pisa attraverso un itinerario creativo per accertarsi di non essere seguiti.Sprofondato sul sedile posteriore dell’Alfa azzurra e bianca si era lasciato andare ai suoi pensieri.Se questo Bacci era così pazzo da uccidere il marito della sua amante sparandogli tre pistolettate sotto gli occhi di numerosi testimoni per poi fuggire a bordo della sua moto, lo avrebbero preso in fretta o si sarebbe costituito da solo. Certi atti sono compiuti senza raziocinio, in preda ad un delirio che quando si esaurisce lascia l’omicida scarico e svuotato, pronto per la resa incondizionata o per il suicidio.Muoversi con rapidità avrebbe permesso di arrivare prima di un gesto disperato.L’amante di solito uccide il marito in maniera occulta, ricorrendo ad un sicario, spesso con la complicità della moglie, soprattutto se la tresca non è stata scoperta e gli adulteri sperano di potersi godere i beni del cornuto defunto, lasciati alla vedova fintamente sconsolata. Da quel poco che il suo capo gli aveva riferito sapeva già che il quadro era ben diverso. Bah!Venti e passa anni di lavoro gli avevano insegnato che la follia umana assume un’infinità di forme e quindi bisognava aspettarsi di tutto come aveva segnalato Faggioni.Di quell’uomo potente sapeva poco, ma quello che aveva sentito sulla propria pelle, le poche volte in cui si erano incrociati nei lontani anni ottanta, gli aveva dato i brividi.Per Domenico Faggioni, un tempo vicino a De Lorenzo e alla Rosa dei Venti, poi incluso negli elenchi di Gladio e della P2, Legge e Giustizia erano due ancelle dell’Ordine, di quell’Ordine che l’unico e vero Dio aveva affidato in custodia a lui e a pochi altri eletti.La difesa del suo Ordine era un fine così alto che da solo giustificava l’impiego di qualsiasi mezzo.“ Chissà se è capace di piangere? Chissà se in questo momento si sta prendendo a schiaffi per non aver tolto di mezzo in tempo l’assassino di suo figlio? Che si dice un uomo accussì in questi frangenti? Uno che ha passato la vita costruendo e sventando complotti, attentati e ammazzamenti di ogni genere, una bella mattina si alza e bam bam bam , gli hanno fatto secco il figlio.”Come avrebbe reagito lui, se qualcuno avesse sparato a suo figlio Gianluca?A tredici anni le rivalità in amore si regolano a scazzottate, per fortuna.Anche se, a pensarci bene, dietro alla ragazza ci potrebbe stare chiunque. Un padre violento, un quarantenne a caccia di Lolite, un altro adolescente con lo spolverino nero e il mito di Coloumbine.Inutile perdersi nell’angoscia, se si vuole continuare a vivere bisogna cercare di non farsi prendere dal panico.Gaetano Cascione aveva deciso che voleva vivere. Il desiderio era vero ed incondizionato.Lo aveva capito quando gli sguardi di medici ed infermieri gli dicevano tra mille discorsi di circostanza che ormai era finita che doveva prepararsi a morire.Lui aveva capito, si era preparato, aveva accettato il suo destino e più si preparava e si rassegnava più trovava che la vita fosse splendida e piena di miracoli inspiegabili che potevano essere visti e goduti anche dal suo letto di ospedale.

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Voleva vivere in qualsiasi modo e a qualsiasi costo, come quella vespa che un pomeriggio d’estate cadde nel fondo del suo bicchiere di acqua e zucchero.Il bicchiere stava sul comodino a fianco del suo letto, a circa venti centimetri dai suoi occhi, ben illuminato da un raggio di sole che si era infilato tra le spesse tende calate davanti alla grande finestra in fondo alla corsia del padiglione Sacco.La vespa attirata dall’odore dolciastro era rimasta invischiata sul fondo e lui non aveva la forza per sollevare il braccio e aiutarla ad uscire.La vespa, esattamente come lui, non voleva morire, perciò provò e riprovò decine di volte a risalire quei ripidissimi centimetri di parete vitrea ; alcune volte era arrivata vicinissima all’orlo e poi era nuovamente caduta.Gaetano seguiva muto e immobile lo sforzo dell’insetto, incitandolo a non desistere e cercando di spingerlo verso la libertà e la vita con la forza dei suoi pensieri e dei suoi sguardi.Quando la vespa finalmente raggiunse l’orlo del bicchiere e vi si mantenne in equilibrio alcuni secondi, frullando le ali per asciugarle all’aria e al sole che già riceveva benevoli sul suo corpicino, Gaetano si sentì pervaso da un grande senso di benessere e fece scrosciare un grande applauso mentale per onorare tanta tenacia.Il volo leggero con cui la vespa s’infilò tra i pesanti tendaggi per tornare completamente libera nel mondo dei vivi gli sembrò un buon auspicio e si convinse che anche lui avrebbe potuto farcela, che ogni china poteva essere risalita.La voce di Maglio interruppe il flusso dei suoi pensieri. - Eccoci in Viale Pisa.- Scorri davanti al portone e poi fermati di fronte a quella banca sull’angolo di Piazzale Bande Nere.Viale Pisa è un grosso viale alberato, lungo circa trecento metri, quattro larghe corsie ad alta densità di traffico e due contro viali.A metà un gruppo semaforico regola l’incrocio con Via delle Forze Armate, sempre ai primi posti nella classifica urbana per numero d’incidenti. Un agente fingeva di armeggiare nel cofano di una Punto grigia, sul marciapiede altri due poliziotti, con i giornali sottobraccio e le sigarette accese, passeggiavano e conversavano senza perdere di vista l’ingresso del condominio.Un quarto uomo sedeva su un Ducato rosso proprio sotto il semaforo di Forze Armate.Tutti e quattro ammiccarono impercettibilmente all’equipaggio della volante.- Voi due restate qui con gli occhi ben aperti. Non venite verso casa per nessun motivo. Se arrivano le foto del ricercato chiamatemi al cellulare.- E se vediamo il motociclista ?- chiese Di Cristofalo, bramoso di azione.- Non credo che torni a casa. A meno che non desideri farsi prendere.Comunque avviserò Carbone di tenersi pronto per seguirlo con la Punto nel caso che vi veda e sgami.Di Cristofalo scosse il capo contrariato. Avrebbe preferito che Cascione gli avesse ordinato di sparare a vista, ma intuiva che questo non sarebbe mai potuto accadere.L’agente sapeva bene che il Vice Commissario allineava tra i fautori di un corpo di P. S. in cui le pattuglie si avventurassero per la città senza armi.Cascione era un rammollito, un pacifista e avrebbe dovuto fare il monaco invece d’immischiarsi della tutela della Legge.Prima di entrare Cascione osservò con attenzione l’enorme condominio.Era un edificio di dieci piani, in cui alloggiavano circa ottanta famiglie. Un popolo minuto di impiegati e piccoli artigiani che con difficoltà lottavano per far fronte ai costi sempre più alti, che nella carissima Milano anche una così modesta residenza comportava.Oltre il portone c’era a destra la guardiola della portineria e di fronte a questa una lunga schiera di caselle della posta.

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Trovò rapidamente quella contrassegnata dal cartellino con la scritta a penna Bacci M. e notò che non conteneva nulla, segno che era stata svuotata il giorno prima.Con molta probabilità il Bacci aveva lasciato l’appartamento la mattina stessa.- Ha bisogno?- cantilenò una voce strascicata e stanca.La domanda era stata formulata da una donna di età indefinibile.Sembrava stremata dalla fatica dell’esistenza. Il Vice Commissario Cascione la classificò subito nella categoria CID ( custodi impiccione e depresse) il che significava che in cambio di una generosa sequela di blandizie avrebbe ottenuto una quantità di preziose informazioni.Le si rivolse con un tono di voce profondo e accattivante.- Signora, sto cercando la portinaia, qui in guardiola non c’è. Non l’ha per caso visto da qualche parte? La donna prima si voltò indietro pensando che l’uomo si stesse rivolgendo ad un'altra signora, quindi si convinse che la bella voce e le lusinganti parole erano rivolte proprio a lei. Le s’illuminò il volto e, rassettandosi i capelli e l’abituccio, si affrettò a rispondere con autentico stupore: - Ma sono io!Cascione affondò il primo colpo.- Davvero? Ma sa che è la prima volta che mi capita di vedere una signora così giovanile e distinta lavorare in portineria? Nel mio lavoro ne ho incontrate così tante… Tutte megere. Lei invece…La custode si lasciò andare ad una lunga risata da cornacchia, poi fingendosi indispettita replicò:- Mo guardi che mica ci casco. Lei è un venditore neh? Dove l’ha infrattata la mercansia ?Era giunto il momento di farsi riconoscere.- Purtroppo non ho niente da vendere. Estrasse il tesserino dal taschino interno del giubbotto e glielo esibì.-Vice Commissario Cascione. Polizia. Dovrei farle qualche domanda.Il volto della portinaia aveva assunto l’aspetto di una patata pronta per il purè.- Ussignur! – esclamò con la voce che le si strozzava nella gola- Se l’è sucèss?Gaetano Cascione con un gesto della mano indicò la guardiola ,quindi aprì la porta ed invitò la donna a precederlo.- Il signor Marco Bacci abita qui, vero?- Il maestro?- Sì.La custode si appoggiò con entrambe le braccia al tavolo ricoperto da una tovaglietta di plastica bianco sporco, al centro della quale un mazzo di fiori di plastica sporgeva tristemente da un vaso di plastica.- Signora, il maestro Bacci è oggetto di un’indagine giudiziaria. La prego di rispondere con la massima precisione alle mie domande. Sappia che grazie alle sue informazioni e al suo aiuto potremmo forse salvare la vita dello stesso Bacci e anche di qualcun altro. Forse è meglio che si sieda.La custode si sedette.- Era una così brava persona…- attaccò sfrignacchiando.Anche Cascione prese una sedia ed estrasse dal giacchetto un taccuino e una biro.- Signora non si disperi, forse il signor Bacci tornerà presto.- Già, ma si può sapere perché l’è denter a quella roba di giudiziaria? Ha combinato qualcosa?Il secondo colpo era ormai pronto.- Dovrebbe essere un segreto - Gaetano Cascione si guardò intorno come per verificare che non ci fosse nessuno oltre a loro due e a Padre Pio che da un’icona plastificata li fissava intensamente - ma visto che a colpo d’occhio si capisce al volo che di una signora come lei ci si può fidare…La donna si segnò.- Giuraddio , potessi crepare adesso…Più semplice del previsto.- Il signor Bacci è implicato in un caso di omicidio.

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- Vergine Santa aiutaci tu!Altro segno di croce .- Quando l’ha visto l’ultima volta?- Stamane mica… ma iersera sì che l’ho visto. Era al balcone sul cortile. Perché lui di balconi ce ne ha due, uno sulla strada e uno sul cortile. Abita al piano primo, scala D. Ci ho qui le chiavi. - Perfetto. Tra poco mi ci accompagnerà. Si ricorda l’ora?- Mica troppo tardi… forse le undici e mezza. Ero andata con il mio marito alla gelateria, quella nella piassa . Gelato buono, fatto in casa. Un lavoratorio pulito, simpatici. Noi si sta lì volentieri a fare due ciacole. Quando si tornava, lui stendeva le sue cose della corsa. - Va spesso a correre?- Porca miseria! Non fa altro. Va a lavorare con la bicicletta e poi quando torna a casa si cambia e via. Estate e inverno. La custode si avvicinò per confidargli qualcosa che a suo parere richiedeva un tono di voce più confidenziale.- Gli piace parecchio il mangiare. Per quello poi deve correre.- sul viso le si dipinse una smorfia di disgusto- Vengon fuori di quegli odori strani… quando son lì che pulisco il pianerottolo, sento quella musica balenga che mi fa venire i vermi e poi quegli odori…non come nelle case dei cinesi… neanche come quelle degli africani. È ancora diversa quella puzza. Una volta , pace all’anima sua, c’era una vecchina al terzo piano, di un’altra scala però, la B, che ciaveva una badante del Bangladess , una vunciona piena di stracci colorati… quando si cucinava il suo damangiare faceva quella puzza lì.- Ha detto che il signor Bacci va al lavoro in bicicletta. Questa mattina non l’ha visto uscire però?- No che non l’ho visto. Il sabato comunque va a correre, mica lavora il sabato.- Se non l’ha visto uscire come fa a dire che è andato a correre?La domanda fu accolta con una certa delusione. - Potrebbe essere uscito di notte o comunque prima che lei abbia cominciato il suo servizio.- insistette il Vice Commissario - A proposito a che ora cominciano le sue attività?- Alle sette son già in ballo. La bicicletta è al suo posto, se vuole ce la mostro…- Potrebbe aver preso la moto o la macchina o i mezzi pubblici.- Non ce l’ha mica la macchina, men che meno la moto.Gaetano Cascione sollevò lo sguardo dal taccuino.- Come sarebbe a dire che non ha la moto?- Non se ne son mai viste di moto del maestro Bacci qua, lo saprei se ce ne avesse una, non crede?- Ci sono persone che lo hanno visto su una motocicletta rossa. Una moto giapponese…- Né giapponese né cinese, nisba. Si sono sbagliati. I mezzi sì , qualche volta l’ho visto ad aspettare la 95. Pure in metro ci va . Ma solo quando piove o fa freddo. Altrimenti anche la spesa la fa con la bici. Appende le borse al manubrio o si porta uno zaino. Io me la farei addosso dalla paura di cascare e rompere una di quelle bottiglie …Perché lui…lo so che non dovrei dirlo… ma …- Stia tranquilla signora, dica pure. È tutto coperto dal segreto istruttorio.- Ah! Meno male che c’è ancora quel segreto lì, perché lui… insomma, il maestro beve parecchio.Con la mano chiusa a pugno ed il pollice teso verso le labbra violacee si esibì nell’imitazione di un ubriacone che tracanna direttamente dal collo di una bottiglia.- Ma dovesse vedere quante bottiglie porta a casa!Gaetano Cascione si felicitò una volta di più con sua moglie Luciana che aveva insistito per affittare il loro appartamento in un piccolo condominio senza portineria.- Senta, visto che lei svolge il suo servizio con tanta professionalità, può dirmi se l’ha visto qualche volta ubriaco o l’ha sentito gridare o litigare con qualcuno?

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- Mai. Fossero tutti come lui! Mai un fastidio, niente. Neanche visite di donne o feste.Sempre solo. È venuto ad abitare qui da poco, dopo la separazione. I primi mesi sembrava più morto che vivo. Certi occhi . Secondo me piangeva spesso.- È stato lui a raccontarle della separazione?- Ma si figuri! Quello lì al massimo : buongiorno e buonasera e poi bocca cucita. No è stata la sua mamma a raccontarmi come stavan le cose, una bella signora elegante che non dimostra neanche i suoi anni , la mamma. Lei sì che la ciacola che è una bellessa.- Un uomo solo e separato, chiuso. Ora rifletta pure prima di rispondere, ma cerchi di ricordarsi bene tutte le cose che sa e che ha visto: secondo la sua esperienza poteva essere uno squilibrato, uno psicopatico, insomma uno un po’ matto?- Ciumbia! Che domanda difficile! Ma come si fa a sapere? No, non mi sembrava a me, però qui un matto c’era davvero nella scala C. Proprio l’appartamento accanto al suo. E ne ha combinate delle belle. Pompieri, polizia, un sacco di volte! Pensi che quando gli girava prendeva una canna e bagnava la gente che passava di sotto. D’inverno, con il freddo, formava di quelle lastrine di ghiaccio… ce n’è caduti un bel po’…- Ma questo non centra…- Altroché se centra- ribattè la portinaia – Siccome in molti erano stanchi di tutto l’ambaradan , si decise di raccogliere delle firme per farlo ricoverare in un manicomio.La Romualdi è andata a chiederci al Bacci di firmare anche lui, ma lui picche! Le ha detto che i manicomi sono stati chiusi e che i matti potevano benissimo vivere tra noi, anzi le disse proprio: “anch’io mi considero matto”. Ecco, però con questo non vuol mica dire che era malato nella testa, anzi in tante situazioni era anche uno tranquillissimo. Una volta il matto vero gli ha picchiato nel muro e lo ha sfondato. Ci ha fatto un buco grosso come una mela. Son muri fatti di niente, si sente anche tutto. Il matto si divertiva a tirarci delle palline di carta da quel buco, le tirava proprio nella sala del Bacci. Non so a lei, ma a me se uno mi fa una cosa così mi si intorcinano le ovaie. Lui mica ha fatto delle scene però. Calmo calmo ha chiamato l’amministratore e si è fatto chiudere il buco. Diceva che forse quell’altro uomo si sentiva solo e voleva comunicare in quel modo lì.Gaetano Cascione si alzò prese penna e taccuino e sentì un moto di gratitudine nei confronti di quella donna. Come in tutte le CID il suo stato di depressione era direttamente proporzionale alla sua capacità di ficcanasare nelle vite degli altri, era per quello che erano tutte così stremate, perché finivano con l’immedesimarsi nelle vite di moltissime persone e si portavano sulle spalle un immenso bagaglio di frammenti di vita dell’umanità dolente a cui prestavano il loro onorato servizio. - Se lei dovesse spiegare a qualcuno, che non ha mai incontrato il Signor Bacci, come fare a riconoscerlo, quali parole userebbe?- Alto , panzettina, barba fitta sale e pepe , capelli pochi, corti e con una bella piazza sulla crapa, come quella dei frati. Occhi azzurri.- Benissimo e quando corre come si veste di solito?- Sempre uguale. Braghette scure e maglietta a mezze maniche bianca.- Sempre così?- A meno che piova o faccia freddo. Allora si mette su una kitvei , una di quelle leggere di plastichina, bianca e verde, tutta piena di padelle.- Quando corre al sabato mattina esce sempre così presto?- Sicuro e non torna mai prima delle dieci, a volte anche le undici. Arriva tutto masarento e rosso come un peperone. Dicono che lo sport fa bene, ma a me sembra che quello che fa lui è un po’ esagerato.- Le ha mai detto dove va a correre?- No, però qui tutti vanno o al Parco di Trenno o dalle parti dello stadio e della Montagnetta.- Perfetto, ora signora le devo chiedere di salire ad aprirmi la porta mentre, io resterò qua , devo fare una telefonata urgente e riservata col mio cellulare. Poi arrivo, Scala D, primo piano, vero?

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- Brau, la porta a sinistra, non c’è nome.Cascione s’inchinò leggermente e la fece uscire…La donna s’incamminò verso la scala D dimenando le sue chiappone come un’elefantessa in amore. Camminava a qualche centimetro da terra e canticchiava un’aria da liscio romagnolo.

Il Commissario Capo Galante accolse senza sorpresa alcuna la notizia che il Bacci non possedeva una motocicletta. Infatti la Yamaha era stata ritrovata in viale Famagosta e lui stesso aveva rivolto alcune domande ad un certo Michelangelo Covini, legittimo proprietario del mezzo usato per compiere il delitto.L’ometto, per nulla corrispondente alle descrizioni dei testimoni, era un cinquantenne impiegato presso un’impresa di pompe funebri. Il Covini era uno specialista della preparazione, composizione e vestizione delle salme.Aveva un colorito giallognolo ed una corporatura minuta, quasi da passero, che gli conferivano un perfetto fisique du role. Si era presentato in uno stato di grandissima agitazione, dopo essere stato svegliato dai Carabinieri di Binasco, dove dormiva il sonno dei giusti con la convinzione che anche il suo gioiellino rosso riposasse tranquillamente.Nonostante la fretta che gli agenti della Benemerita gli avevano messo, il Covini aveva fatto in tempo ad imbrillantinarsi e ad indossare un completo color tabacco, dall’aria umile ma onesta, e ad annodarsi perfettamente una sottile cravatta amaranto.La perfezione di quel nodo aveva messo di malumore Il Commissario Capo Galante, il quale senza l’aiuto di sua moglie perdeva intere mezzore per compicciare nodi indegni che l’ansia da prestazione rendeva ogni volta più improponibili. Nessuno, a parte la sua legittima consorte, era a conoscenza del suo increscioso ricorrere a cravatte con la fettuccia elastica per le trasferte importanti.Così, pur sapendo già che il povero Covini era solo la vittima di un furto, si intestardì a torchiarlo per alcuni minuti per poi congedarlo con una domanda posta per pura cattiveria.- Signor Covini , per quale motivo si è comprato quel bolide ?- Signor Commissario – gli rispose questi tergendosi la fronte con un fazzoletto bianco profumato alla lavanda – con il lavoro che faccio ci sono giorni in cui ho bisogno di sentire che sono ancora in vita. Allora prendo la mia moto e in meno di un’ora arrivo al mare. . Vado sempre sulla Riviera di Levante, respiro l’aria salsa e appena posso faccio un bagno. A volte mi tuffo dagli scogli a capofitto nel blu.Quando riemergo e respiro e vedo il cielo e le cime verdi dei pini marittimi, mi sento felice, felice di essere ancora vivo in mezzo a tanti morti. Lo so che violo il codice della strada andando a 180 km\h e prima o poi i suoi colleghi della stradale mi beccheranno, ma fino a quel giorno … Quando pensa che potrò riavere la motocicletta?Il Commissario Capo Galante si rassegnò a lasciarlo andare, con la falsa promessa che si sarebbe dato da fare per sveltire la restituzione del motociclo.Quello che non riusciva a digerire era l’atteggiamento di Cascione.Perché stava remando in direzione contraria?Tutti erano concordi nel ritenere sia le testimonianze dei passanti sia le dichiarazioni di Domenico Faggioni più che sufficienti per classificare Marco Bacci come l’unico possibile colpevole. C’era il movente, l’identikit e anche se l’imputato avesse voluto scagionarsi dicendo che in quel momento stava facendo jogging , come Cascione sosteneva sulla base della deposizione della portinaia, al novanta per cento non si sarebbe potuto trovare alcun riscontro per convalidare un alibi così evanescente.Bisognava pizzicare il Bacci al più presto e tener buoni tutti quei papaveri che continuavano a rendere incandescente il suo cellulare.Una volta che il sospetto fosse stato piazzato dietro le robuste sbarre di una cella a S. Vittore, Cascione avrebbe avuto modo di chiarire con tutta calma i punti che gli parevano oscuri.

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Fino ad allora Galante non voleva tarli che intaccassero il solido teorema offerto loro da Domenico Faggioni per dimostrare la colpevolezza del Bacci e i motivi che avevano portato all’omicidio del giovane Franco.Bisognava anche che qualcuno andasse alla Clinica S Giuseppe per parlare con la Signora Amaranta Faggioni, colta da malore non appena raggiunta dalla notizia dell’assassinio del suo consorte. Meglio mandarci Cascione. Ce l’avrebbe spedito prima di pranzo, appena terminato il sopralluogo in Viale Pisa. Forse i colombi avevano un pied à terre da qualche parte, un nido d’amore segreto, mai scoperto dagli investigatori dei Faggioni, in cui il Bacci era andato a nascondersi o a suicidarsi.Il suicidio avrebbe chiuso il caso, ma non avrebbe fruttato promozioni. Bisognava catturarlo vivo.Chiudere la carriera come Questore Aggiunto!A questo punto non era più solo un sogno.Cascione doveva far cantare quella femmina straziata.Galante provò ad immaginarsi sua moglie Annarosa nei panni della giovane vedova adultera.Le sue fantasie non riuscirono a prendere forma. Non riusciva nemmeno a credere che sua moglie provasse desideri erotici o passioni carnali. Era più facile visualizzare la Signora Maigret in un numero di lap dance o Nonna Papera sculettante sul palco delle folies bergères.Annarosa aveva rischiato cento volte di diventar vedova, nella vita di un poliziotto le occasioni di ritrovarsi sdraiato in una pozza di sangue o ridotto a brandelli da una carica di tritolo non mancano di certo. Adultera mai . Ne era certo. Se lui fosse morto, Annarosa avrebbe pianto e portato il lutto. Per tutto il resto della vita si sarebbe coricata sola, dopo aver baciato la sua fotografia sul comodino e cambiato l’acqua ai garofani di un piccolo altare, allestito sul comò, con al centro il loro ritratto nel giorno delle nozze.Si accese un mezzo toscano e soffiò via assieme al fumo quei lugubri pensieri, alla pensione mancava davvero poco e se quel cetriolone di suo figlio non faceva stupidaggini , lui e Annarosa sarebbero presto diventati i nonni più felici del mondo. Con la liquidazione avrebbero anche potuto comprare quell’appartamentino ad Ischia che un vecchio zio stava pensando di vendere…Chiudere questo caso bene ed in fretta, dare soddisfazione a Faggioni e farsi promuovere.Cascione aveva suggerito di diramare a tutte le pattuglie la segnalazione di fermare qualsiasi jogger che corrispondesse alla descrizione fatta dalla portinaia.Tutto sommato non era una cattiva idea, se il Bacci contava su quel genere di alibi, con molta probabilità sotto il giubbotto ed i jeans aveva indossato la sua tenuta sportiva. Una volta liberatosi della moto si era sicuramente spogliato, magari aveva buttato i panni in uno di quei contenitori di abiti usati della Caritas. Meglio mandare qualche agente a verificare il contenuto di quei cassoni gialli in zona Famagosta.Bisognava anche chiamare il Commissariato San Siro, far richiamare in servizio tutti gli effettivi rintracciabili e spedirli a rastrellare palmo a palmo l’area tra Trenno, San Siro, la Fiera, Il Portello. Bisognava trovare almeno dieci pattuglie. Forse quelli dell’Arma, con il loro Generale così intimo del Faggioni morivano dalla voglia di essere più coinvolti di quanto lo fossero al momento. Anche i Vigili Urbani sicuramente potevano dare una mano, il loro Comandante ne sarebbe stato lusingato.Infine se si supponeva che il ricercato stesse costruendosi un alibi con il jogging allora bisognava concludere che in breve avrebbe dovuto tornare al suo appartamento, fingendosi all’oscuro di tutto.Intorno a Viale Pisa c’erano già sette uomini. Un paio di coppie in borghese dalle parti di Primaticcio e Piazzale Perrucchetti avrebbero aumentato le probabilità di una rapida intercettazione. Questa era il primo ordine da impartire, poi a tamburo battente bisognava trasmettere le altre consegne. Quante cose da fare! Doveva ancora sudarsela la pensione.

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Un anno prima, Cascione avrebbe salito le due piccole rampe di scale a due a due, fischiettando una giga irlandese tra i denti gialli da fumatore accanito.Ora valutò più prudente infilarsi per qualche secondo in quella claustrofobica cabina d’ascensore, ben felice di doversi far sollevare solo fino al primo piano.Doveva essere l’ascensore più piccolo e insicuro di tutta la provincia, sicuramente il più economico.La porta dell’appartamento di Marco Bacci era spalancata su un soggiorno polveroso e arredato in maniera veramente minimalista.Il sorriso da stregatta che illuminava il volto della custode gli sembrò completamente fuori luogo.- Signora, devo chiederle di tornare subito all’ingresso e di segnalarmi con il citofono l’eventuale arrivo del Bacci .- disse Gaetano Cascione certo di essere immediatamente ubbidito. -Subit! - rispose lei, felice di avere un incarico così importante – Chiudo la porta Commissario?- Grazie, lasci le chiavi nella serratura interna, non si sa mai.La donna non riuscì ad evitare un altro segno di croce e mentre ciabattava giù dalle scale fantasticò un mezzogiorno di fuoco con sparatorie, sirene, giornalisti e telecamere.Intanto Gaetano Cascione a passi lenti percorreva in tutte le direzioni i sessanta metri quadri dell’appartamento cercando di sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda del sospetto assassino.Decise quindi di stilare un elenco degli oggetti che costituivano l’arredamento.Si trattava di un lista piuttosto breve,pochi mobili, molti libri, fogli vari con appunti scolastici, un computer portatile di molte generazioni addietro e un piccolo radio-registratore con lettore di cd. Alcuni dischi e qualche audio cassetta. Vicino alla porta che dava sulla cucina c’erano un tavolo e quattro sedie in legno chiaro, quasi sicuramente abete svedese targato IKEA.Ai vetri non c’erano tendeLe pareti erano spoglie, senza nemmeno un quadro o una fotografia. Solo un bucciato che una volta era stato bianco.L’insieme aveva un’aria nordica e fredda; un incrocio tra una camera d’ospedale e la stanza di una pensioncina da due soldi in un paese baltico.A questo punto si rese conto che per controllare ogni cosa gli sarebbe bastata un’ora. Forse avrebbe potuto tranquillamente pranzare in casa con Luciana e Gianluca.Più che pranzare , lui avrebbe spilluzzicato un pochino di riso bianco accompagnato da una tartina spalmata con il suo amato Philadelphia e poi si sarebbe concesso il lusso di una seconda tazza di caffè, sorseggiata con calma mentre accarezzava con gli occhi il corpo di Luciana intenta a rigovernare i piatti.Sua moglie praticava e insegnava danza, inconsapevolmente metteva armonia e bellezza in ogni gesto, anche nel più piccolo e banale dei suoi movimenti che si espandevano nell’ambiente come influssi benefici.“ Gaità , mo stive accà ette devi spiccià… ”Entrando nella piccola cucina realizzò immediatamente che in quell’angoletto era stata investita più passione e personalità che nel resto della casa.In mezzo ad un gran mucchio di stoviglie accatastate sul minuscolo piano in formica del tavolo, spiccava un grosso wok , la pentola per friggere dei cinesi era vicino ad alcuni cestelli di bambù sovrapponibili per la cottura a vapore e ad un set di bacchette marchiate con i nomi di diversi ristoranti dai nomi esotici.Sul fornello invece c’era una tawa, una di quelle pesanti padelle di ghisa su cui gli indiani cucinano i loro chapati, i morbidi pani fatti di solo acqua e farina. Negli armadietti pensili, anche questi acquistati da mamma Ikea, trovò molti barattoli ricolmi di spezie colorate e altri vasetti contenenti grani e radici che non aveva mai visto in vita sua.In una minuscola credenza vide qualche confezione di pasta, molte qualità di riso, salse e condimenti provenienti da ogni angolo del mondo.

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In un barattolo c’era una sostanza dall’aria viscida e scura che assomigliava tanto ad una di quelle marmellate di hascisc tanto di moda tra gli hippy degli anni settanta.Lo aprì e fu aggredito da un nauseabondo odore di pesce marcio, come quello che si sente la notte mentre lavano gli angoli dove si è tenuto un mercato ittico.L’etichetta sul tappo recitava qualcosa di incomprensibile, eccetto l’ultima riga stampata in inglese: Dried fish preserve. Surabaya- Indonesia .Appena riavutosi dallo shock olfattivo, si accinse con coraggio ad annusare altri vasetti che contenevano erbe, per verificare se l’indagato possedesse una personale scorta di cannabis in foglia.I suoi addestrati recettori olfattivi, per quanto storditi dalla fetenzia in cui si erano imbattuti, registrarono soltanto la gamma di aromi da cucina usati dalla maggioranze delle massaie italiane.Nel frigo, una fredda solitudine avvolgeva un paio d’uova, una lattuga vizza, qualche crosta di formaggio e una confezione mezza vuota di yogurt intero. Una bottiglia di pinot grigio del Friuli, era stata appena cominciata, mentre nel suo involucro di cellofan completamente integro una coppia di cubetti di lievito di birra attendeva il proprio turno per rendere soffici pizze, focacce e pani.Marco Bacci non aveva fatto scorte di cibo e non aveva ansie per il suo futuro alimentare.Aveva deciso di non comprare nulla per il fine settimana perché sapeva che sarebbe fuggito o era così coraggioso da affrontare un supermercato al sabato pomeriggio?.Gettò uno sguardo al bagno e gli sembrò uno dei più vuoti e spogli in cui si fosse imbattuto.Un paio di rotoli di carta igienica appoggiati sul davanzale vicino alla tazza.Una saponetta sul lavabo, uno specchio e due asciugamani malamente arrotolati su una sbarra.Un accappatoio logoro, appeso di fianco al box doccia in plastica trasparente, spazzolino e dentifricio in un bicchiere pieno d’incrostazioni, accanto al quale erano stati abbandonati alcuni detersivi.Un tappetino ricopriva un quadrato di piastrelle giallognole tra la doccia e il bidet.Marco Bacci non coltivava particolarmente la cura del corpo e l’estetica in generale.Gaetano tornò nella sala e nel silenzio sentì il parquet scricchiolare . Verificò che le assicelle di legno fossero ben saldate al pavimento e quindi ripercorse più volte tutta la superficie per controllare che non ci fossero nascondigli segreti. Tutto ok.Si avvicinò al mobile con il piccolo stereo compatto. Le copertine dei dischi dichiaravano le preferenze jazzistiche del maestro Bacci.Miles Davis , John Coltrane, Jan Garbarek, Charlie Mingus, Dave Holland erano i nomi più ricorrenti.Schiacciò il tasto play nel lettore cd e subito si diffusero le note della sublime chitarra di Pat Metheny accompagnate dal sapiente basso di Charlie Haden.Era l’attacco di Under the Missouri Sky, il brano utilizzato da sua moglie Luciana per una coreografia con degli studenti di una scuola media. Il titolo dello spettacolo era “Cieli di pace” ed era stato voluto dagli insegnanti per dare voce e forma ai desideri pacifisti di molti ragazzi che si sentivano chiamati a contrastare i venti di guerra. Quasi certamente quel disco era l’ultimo che il presunto omicida aveva ascoltato prima di lasciare la casa. Forse la mattina stessa o la sera prima.Se, fin dalle prime informazioni ricevute da Galante, Gaetano aveva nutrito perplessità sulla colpevolezza del Bacci, ora era quasi certo della sua innocenza.Gli sembrava inconciliabile ascoltare quella musica mentre si progettava un omicidio.Poi si sovvenne degli ufficiali nazisti che sterminavano gli ebrei ascoltando Chopin e cercò ancora una volta di andare oltre i suoi pregiudizi.Gaetano realizzò che in tutta la casa non aveva visto né televisori, né quotidiani o riviste d’attualità.Quel Bacci amava isolarsi, rinchiudersi in un suo mondo intimo, tagliando fuori il più possibile gli stimoli esterni. A supporto di questa teoria contribuiva anche il fatto che non c’erano telefoni in vista.

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Il che significava poco però, dato che molti avevano tagliato le spese ripiegando sul solo cellulare. Forse ascoltava la radio.Commutò il selettore di funzione e riconobbe immediatamente la voce di uno dei conduttori di Radio Popolare. Con un passato da rosso non poteva scegliere una diversa fonte per le sue informazioni.Il vecchio computer non possedeva alcun modem e quindi non poteva essere allacciato alla rete.Nella mente di Gaetano l’uomo cominciò a configurarsi come una specie di eremita metropolitano con evidenti desideri di fuga verso Oriente.Ne erano una riprova i libri che riempivano le mensole. Molti erano guide di viaggio della Lonely Planet: India , Indonesia , Malaysia, Tailandia, Cina, Birmania, Singapore, Nepal , Sri Lanka. Altri libri in inglese erano opere del recente premio Nobel V.S. Naipaul e trattavano i problemi di quella particolare fetta del mondo.Indubbiamente al Bacci piaceva leggere. I suoi libri avevano un aspetto vissuto e consunto, non erano stati messi lì per bellezza. C’era una discreta collezione di opere di letteratura moderna..In un ripiano c’erano solo autori sudamericani o iberici. Sulla testiera del letto come lettura della buona notte c’era “ Memoriale del convento” di Josè Saramago.Nessun libro che incitasse alla violenza, nulla di particolarmente rivoluzionario, niente di’incendiario. Tutto molto cool e piuttosto buonista.Non mancavano i titoli di romanzi polizieschi: qualcosa di Mc Bain, Chandler, Hammet, Patricia Highsmith e tutta la serie del detective Pepe Carvalho.L’uomo che abitava in quella casa e leggeva quei libri poteva essere, come molti d’altronde, soltanto un assassino per caso, non uno che si procura una quarantaquattro, ruba una Yamaha, studia le abitudini della vittima e progetta una fuga. Non gli tornavano i conti.Molti erano ancora gli elementi che non possedeva, doveva studiare il materiale del Faggioni e poi sbrigarsi ad interrogare la moglie della vittima, l’ex moglie del Bacci e gli altri famigliari. Avrebbe dovuto anche rintracciare amici e colleghi, scoprire se aveva fatto il militare e sapeva sparare.La rivalità in amore non va mai sottovalutata e spesso risulta essere un valido movente per un omicidio.Anche la solitudine e l’isolamento giocano brutti scherzi.Marco Bacci si era rinchiuso in quel facsimile di sepolcro da imbiancare per spegnere qualcosa. Probabilmente il suo sogno d’amore infranto bruciava ancora parecchio. Sapeva di essere stato spiato, lo aveva vissuto come una grande ingiustizia, come una traumatica violazione della propria intimità segreta e poteva aver fatto crescere dentro di sé un odio così dirompente da spingerlo al delitto.Poteva essere, tutto poteva essere.“ Comunque finora non abbiamo trovato uno straccio d’indizio che ci possa aiutare… “ si disse Gaetano mentre apriva i cassetti nella stanza da letto. Nel primo trovò della biancheria intima, nel secondo delle lenzuola non stirate e un vecchio telefono a disco. “ Ma guarda che tipo strano … “Il terzo cassetto sembrava più interessante: in mezzo a vario materiale scolastico, c’erano buste e fogli sparsi. In una busta trovò una fattura rilasciata dalla Dottoressa Stefania Castelli Psicanalista. Euro 400 per otto sedute nel mese di giugno. Copiò indirizzo e numero di telefono, quattro chiacchiere con la dottoressa potevano risultare illuminanti. Trovò anche delle medicine di uso comune, poche aspirine e qualche bustina di nimesulide, un repellente per zanzare, una pomata antitrauma e un foglietto ripiegato che si rivelò essere una prescrizione scaduta per una scatola di fiale di Voltaren.La prescrizione era stata rilasciata da un certo Dott. Pierluigi Ferrigno. Annotò anche i suoi dati nella speranza che fosse il medico curante.Sfoglio i libri e i quaderni per vedere se scivolava fuori qualcosa. Nulla.

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La sorpresa lo aspettava dentro all’armadio. Aprendolo la prima cosa che vide fu il giubbotto di pelle marrone che secondo i testimoni l’omicida indossava. Appallottolato sul ripiano sottostante scorse un paio di blue jeans.Con il citofono chiamò la portinaia.- Questa mattina lei ha sempre potuto controllare chi entrava e usciva o per qualche momento si è allontanata dalla guardiola.?- la voce tradiva un certo nervosismo.- Tra le sette e le otto do sempre una spazzata alle scale, ma dalle finestre vedo se qualcuno attraversa il cortile.- Se il Bacci fosse entrato ed uscito mentre lei era sulle scale potrebbe non averlo visto. Sì o no?- Sì, ma … Click.Il presunto omicida aveva potuto rientrare cambiarsi ed uscire.Cercò di chiamare Galante col cellulare, ma la batteria era mortaGaetano trovò una presa ed usò il telefono a disco per chiamare Galante, fece disporre in modo che gli indumenti fossero al più presto analizzati per rilevare l’eventuale presenza di particelle di sparo. Il Commissario Capo si rallegrò per il ritrovamento degli indumenti e per il piacere di vedere Cascione rientrare nei ranghi.Questi si risolse a riporre giubbotto e pantaloni in due sacchetti di plastica, quindi andò sul balcone verso strada e diede una voce a Carbone perché salisse a prenderli.Erano le nove e quarantadue, erano passate all’incirca due ore dal momento dell’assassinio di Franco Faggioni.Il cicalino del citofono gracchiò.La portinaia annunciava l’ingresso di Carbone. Pochi secondi dopo Carbone bussò all’uscio.Cascione lo fece entrare e gli stava mostrando i sacchetti gialli, quando il telefono a disco cominciò a squillare. I due uomini si guardarono perplessi, poi Gaetano sollevò la cornetta.- Pronto?- Chi parla? – domandò una voce maschile con un retrogusto di sorpresa e dispetto.-La mamma mi ha insegnato che si deve presentare per primo chi ha chiamato.- scherzò Gaetano cercando di sdrammatizzare.- E la mia mi ha insegnato a diffidare di chi entra nelle case degli altri senza essere invitato. Che ci fate voi in casa mia ? – ora la rabbia era in primo piano- Che ci fate in casa mia? Bastardi!A Carbone bastò uno sguardo per capire, sfilò la rivoltella dalla fondina e raggiunse il balcone della cucina, tenendosi basso e stando ben attento a non offrire un facile bersaglio alla canna della quarantaquattro che poteva essere puntata verso le finestre.- Lei è il Signor Marco Bacci dunque ? – domandò Gaetano attento a decifrare non solo i toni di voce del suo interlocutore, ma anche tutti i rumori di sottofondo in modo da poter scoprire da dove stesse chiamando.Ci fu un attimo di silenzio in cui lo sfondo sonoro si fece più presente , non c’erano rumori di traffico e a Gaetano sembrò di intuire una voce di donna che parlava spagnolo.- Jo te espero a la onze… frente..- Voi ce l’avete un nome o devo continuare a chiamarvi bastardi ?- ringhiò Marco Bacci nell’orecchio di Gaetano.Carbone perlustrò con gli occhi il marciapiede opposto in cerca di un barbuto che stesse facendo una chiamata con un cellulare. - Perché continua a darmi del voi?- Perché siete almeno in due. Vi ho visto dalla strada.

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Carbone invece non vedeva il barbuto. O si era allontanato o si era nascosto in qualche interno: un negozio, un androne. Poteva anche essere sull’autobus arancione che in quel momento spariva oltre la piazza. - Ma allora è qua vicino. Senta io sono il vice commissario Cascione in forza alla Questura di Milano e vorrei proprio che lei venisse qui a costituirsi. Carbone tornò in sala e fece capire che non aveva potuto vedere nulla.- A costituirmi?- chiese Bacci con un’enfasi esagerata. Appiattito contro la parete Carbone si avvicinò al balcone che dava sul cortile.- Ha capito bene.- Perché dovrei costituirmi? Di quale reato sarei accusato?- Dell’omicidio di Franco Faggioni.- ….Nella pausa si udì l’inequivocabile cupo rombare di un treno nelle gallerie della metropolitana.Gaetano schioccò le dita e coprì il ricevitore con la mano.Carbone si voltò e lesse sulle labbra del Vice Commissario. - È nella metro – dicevano le labbra.Carbone stava già correndo giù dalle scale per dare l’allarme.- Mi dia retta, si consegni subito al primo agente di polizia che riesce a vedere. La zona è presidiata.- Sta scherzando, vero?- era un’implorazione più che una domanda.- Per nulla è una faccenda maledettamente seria.- …La comunicazione fu interrotta.Marco Bacci stava per darsi alla fuga quando sentì le gambe diventare improvvisamente di piombo.Un’ondata di spasmodiche contrazioni intestinali e di sudori freddi l’obbligò ad entrare nella toilette del mezzanino della stazione di Gambara. Sul tavolino all’ingresso c’era un cartoncino ripiegato con la scritta CABINA 50 cent, ma l’addetto era assente. Entrò tremante nel primo box aperto e fece appena in tempo ad abbassarsi i pantaloncini. Il panico aveva travolto la resistenza del suo sfintere.Mentre Marco Bacci si scaricava, Carbone e Maglio avevano già diffuso l’allarme.I due agenti in borghese che sostavano sotto il marciapiede si erano gettati in gran corsa nella stazione di Bande Nere, mentre quello sul ducato rosso sgommava verso Piazza Gambara. Gaetano Cascione si sedette sul divano e si sforzò di raccogliere le sue idee, ma il suo cervello era occupato da un solo interrogativo.- Perché ha telefonato? Marco Bacci accasciato in quel cesso sotterraneo piangeva e cacava, provando vergogna per quel che si era ridotto ad essere.Un sospetto omicida così pieno di merda da non riuscire più a correre.Chi stava correndo come un razzo era l’agente Di Cristofalo.Il suo istinto lo aveva spinto ad attraversare in pochi balzi il grande piazzale, costringendo a brusche frenate gli automezzi in transito. Il ricercato giocava in casa e quindi avrebbe sicuramente cercato la fuga nelle piccole viuzze che sbucavano in Piazza Bande Nere dal lato di Legioni Romane e via San Gimignano. Spaventando i passanti che si scansavano urlanti attraversò i giardini, inseguito dall’abbaiare di alcuni cani trattenuti a fatica dai loro padroni. Vide una sagoma in corsa tra le auto posteggiate lungo Viale San Gimignano prendere bruscamente a destra. Riconobbe la testa quasi completamente calva , la maglietta bianca e i pantaloncini scuri del ricercato.Non gli aveva visto il volto, doveva verificare che avesse una folta barba grigia.Di Cristofalo scattò lungo via Bartolomeo D’Alviano con l’intenzione di tagliare la strada a quel delinquente.

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Carbone aveva avviato la sua Punto, messo il lampeggiante sul tetto e spiegato la sirena.Gaetano Cascione sbucò sul portone.Maglio fece retromarcia mentre la custode in uno slancio di coraggio si era piazzata nel contro viale, bloccando con le braccia aperte il flusso del traffico.Sbanfando come un mantice Di Cristofalo aveva già raggiunto il primo angolo a destra. L’uomo che correva verso di lui aveva una barba grigia e lunga come quella dei mullah.- Fermo o sparo! Il corridore vide con terrore la canna della Beretta rivolta nella sua direzione.Balzò alla sua destra per cercare riparo tra le auto in sosta.Di Cristofalo sparò. Centrò il bersaglio all’altezza del ginocchio sinistro.Il barbuto fece appena in tempo a sentire il crescendo delle sirene prima di perdere i sensi. Alla fine della terza scarica, Marco Bacci si era convinto che quel torcibudella avesse fatto defluire nella tazza anche la sua capacità di raziocinio.Stava per essere arrestato, lo avrebbero chiuso in una cella con autentici criminali, e la cosa che, nell’incombente orrore, gli appariva tragicamente insostenibile era l’idea che presto si sarebbe ritrovato a dover cacare in pubblico. Un nuovo spasmo lo costrinse a ripiegarsi su stesso..Marco Bacci odiava le toilette pubbliche, eppure quel sabato mattina, non desiderava altro che restare lì, in quel cubicolo ben chiuso da una porta metallica maldestramente verniciata di marrone scuro.“ … la zona è presidiata…”Sarebbero venuti a prenderlo anche lì.Non c’era scelta, avrebbe fatto chiamare gli agenti e si sarebbe consegnato.Uscito dal suo box si lavò le mani, poi si sciacquò più volte la faccia.Anche l’acqua fresca e corrente era un lusso che avrebbe rimpianto o nelle celle c’erano i lavandini?Lo avrebbe scoperto presto. Al tavolino all’ingresso adesso era seduta una donnetta di almeno sessanta anni, magra sotto i riccioli canuti, persa dentro un grembiulone di almeno due taglie più grande.Mentre Bacci frugava nel suo marsupio alla ricerca degli spiccioli , la donna l’osservò con sguardo indagatore.Si sentì addosso quegli occhi che dietro un velo d’incipiente cataratta sembravano scrutarlo in profondità.“ Mi ha riconosciuto, avranno già diffuso le mie foto o un identikit”- Tu non sente bene, no? Tu male, vero?- domandò inquieta.La donna parlava con un forte accento balcanico .- Siedi qua- proseguì alzandosi ed indicando il suo scranno – io chiama dotori. Tu tropo bianco.Era genuina cortesia o un trucco per incassare la taglia che Faggioni aveva messo sulla sua testa?La donnina prima non era al suo posto.Facilmente era andata al bar e aveva saputo tutto dalla tivù.Marco Bacci lasciò cadere un euro nel piattino, scosse la testa e si voltò per uscire.Slla soglia della toilette vide un uomo con una pistola in mano salire dalle scale che conducevano ai treni per Bisceglie. Lo seguiva un P.S in uniforme, anch’esso con l’arma in mano. - Carminee !- gridò all’improvviso una voce proveniente da una scala d’uscita sulla piazza.- L’hanno beccato! È in Bartolomeo d’Alviano.- proseguì la voce che sembrava volesse aggiungere un’esortazione a risalire celermente.Il poliziotto in borghese e quello in uniforme corsero fuori rinfoderando le pistole.Nessuno si degnò di guardare verso la porta dei cessi.

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Frettolosi utenti della metrò passarono accanto ad un incredulo Bacci ignorandolo totalmente.Si voltò a guardare la donnina delle toilette.Aveva estratto da un sacchetto un lavoro ai ferri ed era intenta a contare i punti.Cosa stava accadendo?Chi avevano trovato in Bartolomeo D’Alviano?L’assassino di Faggioni?O un poveraccio che assomigliava a lui? Lentamente si avvicinò all’edicola.Sui quotidiani esposti, almeno in prima pagina, non si parlava di omicidi e non apparivano suoi identikit.Forse l’assassinio era stato compiuto nella tarda notte o nella mattinata e solo la televisione e la radio avevano potuto diffondere la notizia. .Marco Bacci era incapace di convivere con il dubbio in senso generale e questo particolare dubbio esigeva di essere chiarito all’istante.Entrò nel bar.Un grosso televisore era acceso nell’angolo opposto all’ingresso: il faccione da burattino di un noto lacchè del Presidente del Consiglio riferiva in toni tutt’altro che giornalistici di nuove minacce di Al Qaeda a tutto il mondo occidentale e lanciava un servizio in cui massaie, scolaretti e bottegai venivano insigniti dell’incarico di portavoce dell’opinione pubblica per esprimere un controllato timore e la viva speranza che tutte le moschee sul suolo italiano potessero essere al più presto sigillate, con conseguente espulsione di chiunque avesse una copia del Corano in casa.Marco Bacci di copie del Corano ne aveva anche più d’una,ma era certo che nessuno lo avrebbe lasciato uscire dall’Italia.- Desideraa?- cantilenò la donna dietro al bancone, intenta a tagliare focaccine da farcire per il mezzogiorno.Aveva la stessa voce della sua portinaia.- Una spremuta per favore .- rispose Marco Bacci avvicinandosi per incrociare lo sguardo della gerente.- Arancio, pompelmo o mistoo ?- gli occhi seguivano la lama che affondava nella mollica.- Pompelmo, grazie.La donna tagliò per inerzia un altro paio di focaccine e poi di spalle aggeggiò con lo spremiagrumi.Finalmente la barista lo guardò per un istante nell’atto di porgergli la bevanda.- Se vuole lo zucchero se lo metta da solo.- gli avvicinò una zuccheriera – Tre euro e cinquanta.Bacci le diede una banconota da cinque, troppo preoccupato per accorgersi di quanto fosse diventata cara una semplice spremuta.- Mica cià moneta per caso?Nuovo sguardo più prolungato e un po’ corrucciato.- Spiacente. La stava guardando dritto negli occhi. La donna si sentì indagata e sorrise d’imbarazzo.Poi l’incalzò: - Ma cià guardato bene in quel coso, nel borsino lì sulla pancia, eh?- Non ne ho di moneta, se vuole ho il bancomat.- Ma mi faccia il piacere! Il bancomat per tre euro e cinquanta. Ma voialtri scherzate con ‘sto bancomat . A noi la banca poi ci prende una commissione, neh! Tutte le volte ce la prende. Ecco qua. tenga il suo resto. Anche gli spiccetti mi ha portato via.Sbuffando gli rovesciò una piccola cascata di monetine e tornò alle sue focaccine.Se in carcere si fosse messo a scrivere fiabe, si sarebbe ricordato di lei e le avrebbe affibbiato un bel ruolo da strega del sottosuolo.Mescolò molto zucchero nella spremuta sperando di bloccare il tremore che gli agitava le membra.

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Il test non aveva funzionato. Non poteva fugare i suoi dubbi . Il bar apparteneva al mondo sotterraneo della metropolitana, all’intrico di gallerie , canaline elettriche, tubi, cavi e binari, che ci conduce in una dimensione diversa, quasi separata dal mondo di superficie.In quella realtà artificiale, per ora, poteva muoversi liberamente.Era dentro una bolla che presto sarebbe scoppiata, ma che gli concedeva qualche attimo per cercare di riordinare i pensieri, di rivedere la sua situazione.Nel riporre le monetine controllò il contenuto del suo marsupio: portafoglio con trenta euro, bancomat, patente e carta d’identità; chiavi di casa,due biglietti dell’Atm, fazzoletti di carta.Si ricordò di aver messo anche una scheda telefonica, quella che aveva usato poco fa .Sicuramente l’aveva lasciata nella bocchetta dell’apparecchio con cui aveva parlato con quel poliziotto.“ Come diavolo ha detto di chiamarsi? “Si ricordava qualcosa come vice commissario e poi un nome meridionale. Anche l’accento era marcatamente del sud.Scontato.Lo stereotipo del poliziotto che perquisisce la casa del presunto assassino e trasforma anche una scatola di cous- cous precotto nella prova di un’ evidente affiliazione all’integralismo islamico.Ecco! Si chiamava Cascione, come la bambina napoletana di II B, quella fatta di carta velina.E lui avrebbe dovuto mettersi nelle mani di gente così?Cosa ci poteva guadagnare?Un ergastolo.Da quando aveva lasciato lo studio della dottoressa Stefania non aveva visto nessuno, non aveva scontrini di bar o ristoranti da esibire, non un anima che potesse confermare di averlo visto a casa nel momento in cui qualcun altro aveva deciso di porre fine alla vita di Franco Faggioni.Aveva sognato di sparargli, di fargli del male, di bruciargli il negozio, così tante volte che in fondo all’anima qualcosa gli rimordeva, come se i suoi sogni avessero avuto il potere di generare quel delitto.Immaginò Amaranta piangente, travolta dalla più nera disperazione.Come farle sapere che lui era innocente? Come convincerla?Sarebbe venuta a trovarlo in carcere?O si sarebbero rivisti solo nell’aula del tribunale?Cosa avrebbe cercato nei suoi lunghi occhi enfiati dalle lacrime?Lo avrebbe insultato? Accusato ? Maledetto ?O gli avrebbe creduto e dopo la condanna si sarebbero incontrati nel parlatorio di S. Vittore?Le mani appiccicate contro il vetro divisorio, gli occhi negli occhi.Le labbra di Marco che per la milionesima volta compitano non sono stato io.Il capo di Amaranta che si muove lentamente e ripetutamente: lo so, io lo so. Labbra serrate. Piombo nel cuore.No. Non poteva andare così.Lui era innocente e doveva trovare il modo di dimostrarlo.Non sapeva ancora come, ma doveva a tutti i costi restare in libertà.Uscì dal bar e dalla stazione della metropolitana, come se sapesse dove andare e cosa fare di sé.Ritrovò con enorme piacere il cielo grigio e l’aria pesante della città, ritrovò il rombo onnipresente del traffico, gli alti palazzi come seri volti squadrati.Dove andare ora? Dove nascondersi?Dal lato opposto della piazza era in funzione lo sportello automatico di una banca.“ Cominciamo a vedere se posso avere ancora un po’ di denaro”La tessera magnetica non era stata bloccata e la macchina gli elargì duecentocinquanta euro.In primo luogo doveva cambiare abito. La tenuta da jogger non lo avrebbe portato lontano.Di fronte alla Baggina , c’era un grande magazzino a prezzi popolari. Gli serviva un travestimento.

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Non è l’abito che fa il monaco, dice giustamente il proverbio.Se una tonaca può nascondere un criminale, una tenuta da jogger può nascondere un frate .“ Un cappuccino! Quel coglione ha sparato ad un frate cappuccino!”Sprofondato nel sedile posteriore dell’auto che correva verso l’ospedale San Carlo, il Commissario Capo Galante malediva il momento in cui non aveva dato peso alla voce della sua coscienza.Qualche ora prima, verso le otto di quell’orribile sabato tredici settembre, e c’è ancora chi crede che il numero tredici porti sfiga solo quando cade di venerdì, un campanellino era squillato nella sua testa per dirgli che l’abbinata Di Cristofalo Cascione era cosa da evitare. Che già troppi guai erano capitati quando quei due si erano trovati nello stesso equipaggio.Ora come se la sarebbe sfangata?Come affrontare le tv e la stampa?Far west a Milano Ovest.Sabato di sangue tra i Navigli e lo stadio.Chissà quali stronzate si sarebbero inventati pur di dargli addosso.Non se ne poteva più.Per fortuna, all’entrata del pronto soccorso non si erano ancora appostati gli avvoltoi .Piccolo sollievo da non mostrare a nessuno perché in questi casi bisogna esibire durezza, mascelle serrate e sguardi infocati.Fece appello a tutto il suo repertorio di marzialità nell’atto di uscire dall’auto per infilarsi a lunghi passi, scanditi da sonori colpi di tacco, attraverso il corridoio, in fondo al quale un capannello di agenti si aprì con muta coordinazione per fargli immediatamente ala.Li scrutò ad uno ad uno cercando senza successo Di Cristofalo o Maglio.Il generale passò in rassegna le truppe sconfitte, dardeggiando strali di malcelato disprezzo.Come gli era venuta in mente una frase del genere? Spalancò risolutamente la porta dai grandi vetri smerigliati.Accasciato su una panchina d’alluminio un affranto Cascione fissava assorto la parete di fronte al suo naso.Le sue labbra si muovevano come se stese recitando un rosario.- Che fai? Preghi?Con un leggero sussulto Gaetano uscì dal suo stato meditativo e con un sorriso che avrebbe commosso anche il Buddha si alzò e si scusò per l’accaduto.- È solo colpa mia. Se mi fossi portato dietro il mastino Fra Gregorio non sarebbe ridotto così.- Pensi che sia molto grave?- Quando spari a qualcuno è sempre un fatto grave. Quando spari ad un religioso che sta facendo jogging senza nemmeno avergli dato il tempo di mostrare un documento d’identità …- Questo lo so da me. – lo interruppe Galante - Quali sono le sue condizion? Ha perso molto sangue?- Parecchio . Ma il problema è l’articolazione del ginocchio. Dev’essere ricostruita.La pallottola è entrata con un’angolazione tale che ha reciso un grosso vaso, distrutto la rotula e scheggiato le teste di tibia e perone. Ne avrà per un bel pezzo e forse non potrà più correre.- Sei riuscito a parlare con il frate ? - Sì. È stato bellissimo.- Cosa cazzo vuol dire: è stato bellissimo?- Che è una persona splendida. Nella sua sofferenza è riuscito a non maledirci. Anzi mi ha benedetto. Dice che gli abbiamo fatto provare un dolore simile a quelli di San Francesco e di Padre Pio, quando hanno ricevuto le stimmate. Addirittura si è scusato, come si sentisse in colpa.- Già, è la prima volta che sento di un frate che smette la tonaca per fare jogging.-Fra Gregorio mi ha confessato che questa è la via indicatagli dal Signore per sfuggire alle tentazioni. Per questo correva. Per sfogare qualche eccesso di libido.

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- Sono tue farneticazioni?- Sono le sue parole. Quando eravamo sull’ambulanza si è ripreso e nel ritrovarsi ferito e ammanettato alla barella, ha chiesto se lo stavamo punendo per i suoi peccati.- Quali peccati?- Lui si occupa della distribuzione dei mobili usati che vengono donati al centro. Di solito li vendono, ma a qualche persona bisognosa li regalano. Ieri sera si è presentata una giovane donna colombiana. Le ha regalato più di quello che avrebbe dovuto. Per tutta la notte ha continuato a sognare i seni tondi della donna su cui era tatuata una grossa farfalla. Una farfalla blu. Mi ha parlato come se fosse in confessionale. Invece di accusarmi mi stava chiedendo un’assoluzione. Galante era quasi tentato di lasciarsi sfuggire un sorriso.Speculando sui sensi di colpa del frate e sulle pressioni che avrebbe potuto far esercitare sui francescani, c’erano buone speranze che la notizia non si propagasse. Di certo in questura qualche talpa aveva già messo in moto i cronisti di nera, ma forse forse…Gaetano Cascione intuì subito il motivo del cambiamento d’umore.- Bisogna parlare con i giornalisti. Meglio rilasciare qualche dichiarazione prima che a certi ficcanaso venga in mente di rimestare nella vicenda portando a galla troppa melma.- Sono d’accordo. Tra l’altro si può sempre sperare che i mezzi d’informazione ci aiutino a catturare l’assassino. Dirò al questore di convocare una conferenza stampa. Faremo circolare le immagini che possediamo. Scateneremo i segugi sulla pista del Bacci. Il maestro assassino. Gli piacerà, ci sguazzeranno, oltre al torbido forse ci daranno qualche elemento utile al nostro fine.Galante stava già passando dal dire al fare quando vide l’espressione di Cascione.- Che hai adesso ? Perché mi guardi in quel modo?- Vorrei che mi dicesse qual è il nostro fine.- Che diamine, assicurare alla giustizia l’assassino di quel povero ragazzo!- Fin qui siamo d’accordo. Però non è certo che si tratti di Marco Bacci. Penso che dovremmo prendere in considerazione qualche altro movente oltre all’omicidio passionale.- Per esempio?- Una vendetta trasversale. Ci sono molte persone che potrebbero avere coltivato grandi rancori nei confronti di Domenico Faggioni, in Italia e all’estero. Negli ambienti dell’extrasinistra e in quelli della malavita. L’ordine d’uccidere potrebbe essere uscito da qualcuna delle nostre carceri. Perché escluderlo? E delle abitudini della vittima, cosa sappiamo? Ci stiamo facendo manipolare. -Stronzate! Prendiamo Bacci e poi facciamo tutte quelle cazzutissime indagini che hai nella testa! L’umore di Galante stava virando nuovamente sul tempestoso.- Ascolti, provi a rispondere a questa domanda: perché il Bacci ha telefonato a casa sua? Sul viso di Galante si disegnò un corrugamento di pelle stanca .- Hai detto che vi ha visto dalla strada e voleva sapere chi c’era in casa sua, non è andata così?- Certo che è andata così! – rispose Cascione con soddisfazione- Ma l’assasino sa già chi è andato a cercarlo. Non ha bisogno di telefonare per chiedere confermaGalante aveva ascoltato tutto il discorso del suo Vice con gli occhi a terra .Restò ancora qualche secondo immobile con il corpo contratto e all’ìmprovviso si tirò un gran pugno sulla coscia sinistra.-Accidenti a te!- tuonò- Vuoi sempre aver ragione! Porca puzzola!Qualche metro più avanti la faccia preoccupata di un infermiere sbucò dallo spiraglio di una porta .- Tutto bene? – domandò l’infermiere con esitazione.Gaetano gli rispose alzando affermativamente un pollice.- Fanculo.- sibilò Galante che vedeva la casetta ad Ischia sgretolarsi tra i pernacchi dei parenti. - Cosa vuoi che faccia? – sbuffando .

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- Manteniamo il riserbo, diamo alla stampa solo le notizie certe e non facciamo il nome di Bacci. Descriviamo il motociclista così come l’hanno visto i testimoni e non aggiungiamo altro. Intanto indaghiamo a fondo sulla vita della vittima. Mettiamo sotto controllo tutto il giro di persone, amici famigliari colleghi, che gravitano attorno al Bacci. Non è un professionista , si tradirà presto. Diamo a tutte le pattuglie l’indicazione d’identificare ogni persona che possa assomigliare al nostro uomo. - Le cose andranno diversamente da come te l’immagini. Sei un enorme coglione se pensi che Domenico Faggioni non sia in grado di far circolare il nome del tuo maestrino in tutte le agenzie di stampa. Le sue foto potrebbero essere già apparse in qualche notiziario. Il tuo presunto innocente è già condannato. Il suo linciaggio è già in atto.- Lo so, ma non vi voglio partecipare né come poliziotto né come uomo.- Merda schifa! Avrai quello che chiedi, ma si scatenerà un inferno. Avremo tutti contro.Gaetano Cascione respirò sollevato.Galante abbozzò un mezzo sorriso.- Grazie capo, ora mi sento nuovamente un ufficiale di polizia giudiziaria, non più una marionetta. - Piantala. Piuttosto cosa ti serve prima di tutto?- Il suo cellulare.- Perché ?- Il mio ha esaurito la batteria. Devo avvisare mia moglie che non posso pranzare con loro.- Chittemuerto.

Le undici e mezza erano passate da qualche minuto. Eduardo Sansone stava sorbendosi con tutta calma il suo terzo caffè della giornata, il primo però servito proprio alla napoletana , nel vetro e con uno schizzo d’anice.Quasi senza volerlo, pensava a come avrebbe potuto investire quei dodicimila euro che aveva appena incassato vendendo ad una bella signora un salotto anni quaranta.Da qualche anno Eduardo aveva aperto uno show–room in Via Savona, proprio di fronte alle vetrine del bar nel cui interno stava seduto a leggiucchiare La Repubblica, sorseggiare la sua bevanda e al contempo controllare l’arrivo di nuovi clienti.Era molto orgoglioso di essere il proprietario dell’ampio salone in cui vendeva articoli di modernariato restaurati, sotto la sua direzione, da un gruppo di ragazzi provenienti da varie comunità d’accoglienza, mossi dal desiderio d’imparare un mestiere.I Servizi Sociali gli fornivano spazi, attrezzi e finanziamenti come contributo a questa iniziativa finalizzata all’inserimento lavorativo di ragazzi problematici.Prima di dedicarsi a quel genere di commercio, anche Eduardo aveva fatto parte della categoria degli insegnanti elementari, ma dopo venticinque anni di carriera era arrivato a quel punto di saturazione in cui, per non perdere la stima di se stessi, si è come costretti a dare un calcio alle sicurezze di un impiego statale e intraprendere una nuova attività.Dopo qualche difficoltà iniziale, le cose si erano messe a girare nel senso giusto.La via si era riempita di locali e ristoranti che attiravano, soprattutto nelle ore serali e notturne, un buon numero di persone in cerca di piacere e divertimento, molte delle quali si fermavano volentieri davanti alle vetrine illuminate che esibivano arredi, elettrodomestici, giocattoli, opere di grafici e pittori che avevano creato lo stile e l’immaginario italiano dall’inizio degli anni trenta alla fine dei sessanta.Qualcuno dei gaudenti notturni tornava negli orari d’apertura alla ricerca di qualcosa che potesse dare un tocco d’originalità al proprio studio o alla propria abitazione.Eduardo riusciva a navigare con destrezza in quell’ambiente. Intuiva i desideri della sua sempre più vasta clientela e frugava l’Europa alla ricerca di pezzi sempre più rari.L’uomo che si stava fermando davanti alle sue vetrine doveva essere un americano.

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Lo intuiva dalla camicia sgargiante, forse messicana, sulla cui stoffa leggera erano stampate file di cactus alternate a serie di soli gialli, onde di rossi serpenti e silhouette di bianche piramidi a gradoni.La testa del gringo era completamente rasata e quei grossi occhiali scuri sul viso rotondo lo facevano rassomigliare ad un Charlie Brown che avesse rubato a Snoopy il travestimento da Joe Falchetto.D’acchito fece finta di non averlo visto.Gli americani non gli erano simpatici fin dai tempi della guerra fredda.Figuriamoci ora.Però nel giro di pochi giorni si sarebbe tenuta un’asta fallimentare in cui sarebbero stati messi all’incanto diversi pezzi davvero interessanti..Gli yankee di solito comprano volentieri e pagano qualsiasi prezzo senza discutere. Cash.Chissà se anche in America il suo indirizzo girava già nelle riviste e nei siti specializzati.Si costrinse ad abbandonare il suo comodo tavolino ed uscì incontro al potenziale cliente. L’inglese gli era sempre stato antipatico. Quando si affiancò al turista evitò il good morning e scelse deliberatamente il nostrale buongiorno.- Ciao Edo- gli rispose una voce triste e arcinota.Dovette attendere che il finto turista si levasse gli occhialoni scuri per riuscire a riconoscere in quell’individuo lo sguardo e la corporatura di Marco Bacci.I due si frequentavano da venti e passa anni. Ultimamente Eduardo aveva aiutato l’amico a rimanere a galla nella difficile situazione in cui versava.Nonostante tutto gli era impossibile riconoscere Marco, non tanto per l’abbigliamento stravagante quanto per la completa assenza di peli sul volto.- Ti avevo scambiato per un americanass. Vuoi bere qualcosa ? Andiamo al bar o preferisci entrare? Eduardo aveva già capito che l’amico doveva avere qualche particolare ragione per decidersi a rinunciare a quella barba che dai sedici anni in poi lo aveva sempre contraddistinto.-È meglio se entriamo.Non solo la voce era più triste del solito, anche il respiro sembrava difficoltoso, come se un grosso peso gli opprimesse il petto.- Entra, è aperto.Eduardo spinse la porta e lasciò il passo all’inaspettato visitatore.Lo avrebbe investito con una valanga di domande, ma giudicò più delicato tergiversare e lasciare all’altro decidere quando e come sbottonarsi.- Mi sembra una vita che non ci si vede. Stai sempre tappato in casa o a correre da solo, rifiuti gli inviti…quanto tempo è passato dall’ultima volta che sei venuto qua? Una vita eh?Silenzio e occhi bassi.- Sai chi mi sembri? Mago Merlino di ritorno da Honolulu! La spada nella roccia , Walt Disney… non dirmi che ti sei dimenticato quella scena…- Posso sedermi ? – chiese Marco con un filo di voce.-Certo, scegli tu dove. Poltroncina anni cinquanta? Divanetto inspirato allo stile di Dalì? Seggiola per autosodomia. Non ci manca nulla, tranne le cose comuni e banali.Marco si lasciò andare su un facsimile di triclinio concepito negli anni venti da un nostalgico della Roma imperiale.Eduardo sospirò sollevato quando vide che il telaio di ciliegio aveva assorbito il peso di quei novanta chili abbattutisi sulla delicata struttura, prese una Thonnè laccata di rosso e si sedette a cavalcioni appoggiando i gomiti sullo schienale tondeggiante.Si guardarono per qualche istante restando entrambi in silenzio.Gli occhi scuri e latini di Eduardo coperti da invisibili lenti a contatto.Gli occhi chiari e nordici di Marco velati da una palpabile angoscia.D’istinto Eduardo avrebbe buttato lì un che succede?

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Per vincere l’imbarazzo preferì lanciarsi nella consolidata imitazione del bauscia milanes che grazie al contrasto con le sue evidenti origine campane garantiva un sicuro effetto comico.-Alura , cume la va, cari el me sciur?Nemmeno un abbozzo di sorriso.- Malissimo, sono ricercato per omicidio.Per qualche ragione inspiegabile, Eduardo aveva connaturata al carattere la capacità di aumentare la sua impassibilità in maniera direttamente proporzionale all’incresciosità delle situazioni in cui si trovava.Appena udita la parola omicidio, qualcosa nel metabolismo di Eduardo mutò, i battiti cardiaci si rallentarono, la temperatura corporea si abbassò di un paio di gradi, la dimensione temporale si dilatò, tutto intorno a lui il mondo cominciò a girare ad un ritmo più lento.- Chi hai ucciso ?- domandò con la stessa calma con cui un altro avrebbe potuto chiedere: qual è il tuo romanzo preferito?-Nessuno, per lo meno non nella realtà.- mentre parlava Marco si guardava le mani- Però ho sognato tante volte di uccidere una persona che poi è stata realmente assassinata.- Chi è questa persona ? - Il marito di Amaranta. Franco Faggioni.- Credevo che questa storia fosse finita da un pezzo.- Sono mesi che non le parlo. Ho rispettato le loro richieste. L’ho lasciata alla sua famiglia e credo che lei non me l’abbia perdonato. Ma loro continuano a tenermi sotto controllo. Sono venuti anche a scuola. L’altra notte. Credevo che fossero loro le persone che ho visto quando ho telefonato a casa mia. - Alt ! Non ti seguo più. Se ho ben capito, tu ritieni che nonostante la tua relazione con Amaranta sia completamente finita, loro continuino ad accanirsi con te.Marco annuì.La voce di Eduardo era una specie di sussurro monocorde, neutra, incolore, e Marco se la sentiva scorrere addosso come un’acqua che diluiva il suo panico e lo calmava. - Poi hai detto che c’era qualcuno in casa tua, ma non ho capito ne’ quando ne’ chi.- Stamattina, verso le dieci, tornavo dalla corsa, arrivavo da Piazzale Siena e ho visto sul mio balcone un uomo, pelato come me e te, che faceva cenno ad un altro, uno con tanti capelli ricci e scuri, lo invitava a salire. Mi sono fermato qualche istante tra le macchine parcheggiate sotto gli alberi. Ho visto entrare il ricciolone dal portone, parlare con la portinaia e dirigersi verso la mia scala.Sono corso via, ma un passo dopo l’altro mi montava una rabbia tremenda. Volevo quasi tornare indietro e sorprenderli con le mani nel sacco. Poi ho avuto paura che mi potessero fare del male e allora sono sceso nella stazione di Gambara per chiamare la polizia. Ma mi son detto che cane non mangia cane. Sarebbe stato inutile. Così ho provato a telefonarmi pregando di non aver staccato il telefono la sera prima. Magari avrebbero risposto per vedere se era lei chiamarmi., ne avei approfittato per fargli sapere che ne avevo abbastanza dei loro soprusi, che il gioco doveva cambiare. Invece ha risposto quel poliziotto…mi stanno cercando, vogliono arrestarmi, ma io sono innocente Edo, lo posso giurare, quell’uomo l’ho ucciso centinaia di volte ed in modi molto diversi tra di loro, ma solo in sogno.- Hai un alibi?- Non so neanche quando e dove è stato ammazzato. In ogni caso sono sempre stato da solo. - E così ti sei travestito da Americano a Milano e ti sei rapato. Devo dire che sei stato abile, non è facile riconoscerti. Per me è stato impossibile, non so se un altro con gli occhi migliori dei miei potrebbe riuscirci meglio.- Edo tu lo sai che sono innocente vero?La domanda esigeva un’immediata risposta affermativa .- Certo che lo so.- poi si prese un momento di riflessione – anche se bisogna ammettere che non mi stupirei nemmeno del contrario.

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- Sono cambiato Edo, non sono più quello di una volta, sono uno sconfitto che si è deciso ad imparare qualcosa dai propri errori e che sta cercando di rimettersi in piedi. Ne ho avute abbastanza.- Spero che tu sia sincero. In ogni caso, non mi tocca il ruolo di giudice. In questo momento sono solo un tuo amico e spero di poterti aiutare. Ora dimmi quali sono le tue intenzioni.- Mi hanno chiesto di consegnarmi, ma non voglio farlo, bisogna che prima trovino il vero colpevole, altrimenti il mio sarà peggio di un caso Carlotto, sarà un ergastolo sicuro. Se per incastrare Sofri hanno dovuto inventarsi Marino, per incastrare me non avranno bisogno nemmeno di quello, la famiglia e le spie dei Faggioni fabbricheranno qualsiasi genere di prova falsa. - Dove pensi di nasconderti e cosa pensi di fare?- Non riesco a pensare nulla di preciso, ho una gran confusione in testa.Eduardo si alzò, afferrò un grosso mazzo di chiavi e si diresse verso la porta.- Per qualche ora potrai restare qua dentro e cercare di raccogliere le idee. Ora chiudo il negozio e me ne vado. L’ultima sala non ha vetri. Lì non ti vedrà nessuno. Cercherò di studiare un piano per la tua fuga e vedere se posso trovarti un nascondiglio sicuro. Vuoi che faccia arrivare dei messaggi a qualcuno?- Fai in modo che i miei genitori sappiano che sono vivo e innocente, per favore. - Sarà fatto. Posso fidarmi a lasciarti qua da solo?- Sì, fidati. Proverò anch’io a pensare qualcosa.- Spremiamoci.Marco sentì la chiave girare nella serratura. Realizzò di essere già un recluso, imprigionato dentro un incubo in cui non s’intravedevano via d’uscita.

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Capitolo quinto

La Clinica San Giuseppe era molto diversa dai vetusti padiglioni del Policlinico, con cui il vicecommissario Cascione aveva avuto modo di familiarizzare nel corso dell’ultimo anno, ma i malati avevano dipinto sul volto l’identica espressione di composta sofferenza .Amaranta Blanquez era ricoverata al quinto piano, stanza 519.Mentre saliva nell’ampio ascensore, il Vice Commissario Gaetano Cascione si ritrovò a calcolare quante volte avrebbe potuto entrarci l’asfittica cabina in cui si era rinchiuso quella stessa mattina per raggiungere l’appartamento del Bacci. Almeno sei volte, valutò. Nell’istante in cui si aprirono le porte, l’agente Ruvolo lo riconobbe e si alzò in piedi tirando le estremità della giacchetta per ridare una parvenza di presentabilità al goffo completo grigio, rigorosamente non stiro, che dichiarava la sua appartenenza alle forze dell’ordine in maniera ancor più esplicita dell’uniforme d’ordinanza.Galante aveva detto A Ruvolo che doveva sorvegliare e proteggere la signora con discrezione.- Come va?- domandò Gaetano Cascione in tono confidenziale.- Tutto tranquillo. Non è venuto ancora nessuno, a parte una specie di domestica negra che le ha portato dei vestiti e se n’è subito fuggita. Lei non si è mossa dalla stanza. Le hanno portato il pranzo e la signora l’ha proprio schifato. Dal profumo sembrava anche roba buona, non la solita sbobba degli ospedali. Mo sarei magnato io, mo sarei…- Hai fame?- ‘Nzomma…La faccia di Ruvolo sembrava la maschera di Pulcinella quando si profila un piatto di spaghetti.- Vai a mangiare qualcosa. Senza fretta. Ora ci sto io. Basta che torni verso le tre.- Dottò, lei è davvero gentile.- Piantala con le fesserie e vai Fila. Ruvolo si fece inghiottire dall’ascensore e Cascione bussò alla stanza 519.Non ci fu risposta. Che dormisse? Forse i sedativi l’avevano sprofondata in un pesante sonno.Avrebbe dovuto accertarsene prima di mandare via Ruvolo.La porta era accostata e con una leggera spinta, Cascione aprì uno spiraglio sufficiente per vedere l’unico letto vuoto e rifatto. Il vicecommissario spalancò la porta e vide la donna nell’angolo a sinistra della stanza.Se ne stava in piedi, con il peso del corpo diviso tra la gamba sinistra e la spalla appoggiata al muro. L’altra gamba era ripiegata, come quelle delle gru quando riposano nell’acqua bassa.Le braccia erano conserte sotto la leggera sporgenza dei seni.Lo sguardo vagava perduto sopra i tetti della Zona Magenta.Era vestita da un semplice scamiciato rosso scuro che le arrivava poco sotto il ginocchio.Il colore dell’abito era un palese rifiuto alle regole che la contingenza suggeriva.Un filo di perle creava una nota di luce, perfetta per stemperare il contrasto tra i lucidi capelli d’ebano e il calore lavico dell’abito.La posizione della testa faceva in modo che i capelli nascondessero il viso agli occhi del poliziotto.Non era la donna che si sarebbe aspettato.Non era una vedova affranta e sconsolata, distrutta dal dolore.Non era un adultera oberata da pesanti colpe.Era una femmina stranita, sospesa in un limbo profumato al cacao.Gli ricordò alcune detenute cui mancano pochi momenti al rilascio, che non riescono a gioire e guardano quasi con spavento al loro futuro come se la libertà tanto attesa fosse una nuova condanna.

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Le aveva viste spesso così, con il petto che si solleva a fatica, quasi abitate dal timore che l’aria nuova, quella che sta per entrare dal portone pronto ad aprirsi, potesse stordirle o addirittura distruggerle, come accade alle reliquie quando vengono estratte dalla teca in cui hanno trascorso una sequela di lustri. Si schiarì la gola e bussò di nuovo sull’anta della porta già spalancata.Un’assoluta assenza di reazioni fu la risposta di Amaranta Blanquez.Come agganciarla?Si risolse ad attaccare con un incipit nel pieno rispetto del protocollo formale.- Signora, sono spiacente di doverla disturbare, ma sono costretto a rivolgerle alcune domande.Gaetano percepì come unica variazione un incremento della sonorità nell’inspirazione.- Capisco che le sembri inopportuno distoglierla dal suo dolore, ma l’indagine giudiziaria deve fare il suo corso e per quanto le possa sembrare sconveniente mi vedo obbligato a rivolgermi a lei. Può avvalersi della facoltà di non rispondere, ma questo potrebbe indurre gli inquirenti a ritenere che lei sia in qualche modo complice del tragico delitto che ha colpito la vostra famiglia.La donna ora aveva anche chinato il capo.Il Vice Commissario esaurito il classico rituale, si vide costretto ad andare a braccio, improvvisando un qualcosa in grado di scongelare quel silenzio ostinato.Si autorizzò a sedersi nella poltroncina di fronte al letto, dalla quale poteva osservare il profilo della donna ed essere più presente nel suo campo visivo.Non ci avrebbe giurato, ma era quasi certo che la donna avesse avuto come la tentazione di voltarsi verso di lui, verosimilmente per insultarlo o invitarlo ad andarsene.Qualcosa però le aveva fatto scegliere di limitarsi al silenzio ad oltranza.- Suo suocero, Domenico Faggioni vorrebbe che catturassimo al più presto il suo collega Marco Bacci, per molti motivi considerato l’autore dell’omicidio.L’indice della destra si sollevò lentamente e un’unghia laccata deep purple si agganciò alle perle.L’arrocco cominciava a sembrare meno inespugnabile.- Sto cercando qualcuno che mi aiuti a dimostrare la sua innocenza e ad entrare in contatto con lui.Mentre parlava, Gaetano Cascione analizzava accuratamente quel corpo di donna.Le gambe lunghe correvano diritte dalle cosce piene ai polpacci affusolati per terminare nelle caviglie delicate e nervose. Quelle gambe erano sicuramente il suo punto di maggiore appeal, perché il seno era minuto come quello di una ragazzina e il sedere, pur essendo ben inserito nella struttura complessiva, non presentava quelle caratteristiche di rotondità e sporgenza che fanno girare la testa a molti uomini, anzi tendeva piuttosto a scomparire.Non era lo stereotipo di una mangiatrice di uomini.Bisognava ancora vederle il viso e Gaetano si piccò di farla voltare.- Quando gli ho parlato al telefono, sono rimasto colpito da quanta esasperazione ci fosse nella sua voce. - il parlare di Gaetano Cascione era caldo e fluido, quasi stesse confidandosi con una vecchia amica - Sembrava una bomba innescata.Il piede della gamba ripiegata scivolò lento e leggero verso il pavimento.- Se la sua latitanza non finisce presto, corriamo il rischio di essere travolti dall’esplosione della bomba Bacci, con conseguenze che saranno sicuramente disastrose per lui, ma forse anche per lei e per chissà chi altro. Di sicuro lo saranno per me. Non potrò mai perdonarmi di aver mancato l’aggancio che la fortuna mi ha offerto stamane su di un piatto d’argento. Suonava sincero, perché lo era.Qualche secondo di respiro trattenuto, quindi un tremore nella parte alta della schiena, poi un sospiro.Gaetano questa volta ci avrebbe scommesso: quel fremito che aveva attraversato le spalle di Amaranta era un desiderio represso di voltarsi e rivolgergli la parola.- Tra l’altro sono sicuro della sua innocenza. Mi prenderebbero tutti per pazzo se rivelassi che questa mia certezza è basata sulla sensazione di condividere con quest’uomo molte passioni di tipo, diciamo

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così, intellettuale e soprattutto musicale. Siccome spero di riuscire a vivere senza dover uccidere nessuno, siccome odio le armi da fuoco e cerco di non usarle, siccome penso che il concetto di giustizia non abbia nulla a che spartire con la vendetta, mi sembra impossibile che uno che nutre la sua anima con cose molto simili a quelle con cui nutro la mia, possa alzarsi una mattina e uccidere un altro uomo. Anche se avesse mille motivi, un uomo che ama leggere i libri che ho trovato in casa sua, che ascolta le musiche raccolte nei suoi dischi, un uomo così non si permetterà mai di compiere un omicidio. Soprattutto un omicidio premeditato e a sangue freddo. Lo so, sto farneticando, sto proiettando la mia personalità su questo Marco che a me è del tutto sconosciuto, ma…sa qual era l’ultimo disco che Marco ha ascoltato prima di uscire?- Under the Missouri sky. Pat Metheny e Charlie Haden.Aveva risposto senza voltarsi quasi sussurrando.Questa volta fu Gaetano Cascione a rimanere senza fiato.Finalmente la donna si permise di voltarsi e di guardare quello strano poliziotto.L’apnea del vice commissario si prolungò per qualche secondo, il tempo necessario per assorbire la sorpresa che quel viso asimmetrico e triste gli suscitava.Gauguin. La donna aveva un viso che il bretone inquieto avrebbe dipinto volentieri. Capelli occhi naso labbra incarnato, sembrava creata dalla mano del più esotico tra gli impressionisti.Appena ritrovato il fiato, Gaetano volle sapere il motivo della sua risposta.Amaranta lasciò di nuovo che i suoi lunghi occhi infelici tornassero ad esplorare tegole e comignoli offrendo all’uomo seduto nella piccola stanza il suo insolito profilo.Il naso era pronunciato e piuttosto allungato.Gaetano Cascione si ricordò della teoria, avanzata e spesso sostenuta dall’agente Maglio, secondo la quale le donne che portano con disinvoltura un naso di ragguardevoli dimensioni sono quelle che a letto si rivelano più fantasiose e disinibite. - Lo ha ascoltato ieri notte per addormentarsi, è la sua ninna nanna. Per un periodo lo ascoltavo sempre anch’io, a notte fonda prima di coricarmi. Diceva che la musica poteva tenerci uniti anche a distanza.. Funzionava . Ho avuto la sensazione di dormire assieme a lui per molti mesi. Era dentro di me e arrivava nei miei sogni come Vadigno in quelli di Dona Flor.Lo guardò nuovamente, come per verificare che l’uomo pelato con le orecchie a punta, quasi un ET cresciuto oltre il metro e ottanta, fosse in grado di capire.- Dona Flor e i suoi due mariti, Jorge Amado, un vero capolavoro. Mi spiace solo di non conoscere il portoghese. S’immagina la musicalità di quelle pagine lette con l’inflessione brasiliana?Gaetano non riusciva a credere ai suoi occhi: la donna gli stava sorridendo.Era come se una luce nuova illuminasse il suo volto e quel brillio degli occhi gli rivelò perchè Marco Bacci si fosse tanto inguaiato.- È sicuro di essere un poliziotto? Gaetano, con un certo imbarazzo, frugò nel giubbotto in cerca del suo tesserino identificativo.- La prego di scusarmi, non mi sono presentato. Vice Commissario Cascione.Amaranta ignorò il rettangolo plastificato e si sedette sul bordo del letto.- Ho conosciuto tanti uomini delle forze dell’ordine e dei servizi segreti. Tutti molto diversi da lei.- gli occhi spiccarono nuovamente il volo verso nuvole lontane nel facsimile di cielo incorniciato dalla finestra - Quando ero bambina le loro visite erano frequenti. Uomini rozzi e brutali, dovunque andassimo ad abitare ci trovavano. Buttavano all’aria la casa, cercavano e frugavano dappertutto anche tra i miei pochi giocattoli. Spesso mio padre veniva portato via e lo rivedevo dopo molto tempo.Una volta, eravamo a Roma, portarono via anche mia madre ed io fui consegnata a delle suore.Enormi stanzoni in un meraviglioso palazzo barocco e squallide zuppe. Una tristezza insopportabile che una giovane monaca, Suor Chiara, alleviava con le sue carezze.Diceva di essere di Saragozza e un giorno mi regalò una caramella enorme, avvolta in una bellissima carta. Diceva che tutti i bambini della sua

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città ne andavano pazzi. M’insegnò a succhiarla poco alla volta e a conservarla sotto il cuscino per i momenti difficili. Quando mi riportarono a casa e ritrovai mia madre, invece di mostrarmi felice, piansi perché avevo dimenticato l’ultimo pezzo di caramella nel dormitorio.- Capisco. Probabilmente Suor Chiara si era affezionata a lei per via del suo nome e del suo aspetto.Gli occhi di Amaranta si posarono in quelli di Gaetano per chiedere una spiegazione.- Avrà di sicuro pensato che quella bimba triste avesse genitori spagnoli o sudamericani.- Mio padre è nato in Argentina. Buenos Aires, da madre italiana e padre indio.- Mi sembra di ascoltare un racconto di Isabella Allende o meglio di Gabriel Garcia Marquez. Il suo nome di battesimo è un riferimento abbastanza esplicito a Cent’anni di solitudine.Il sorriso di Amaranta balenò per un altro istante.- I miei genitori lo scelsero per via del fiore della pianta dell’amaranto. È un fiore bellissimo che non appassisce, almeno così mi dissero. Simboleggia l’eterna gioventù.- Hanno voluto regalarle un briciolo d’immortalità.Amaranta annuì e Gaetano vide una nuvola di malinconia posarsi sui suoi occhi che per un breve tempo si chiusero costringendola ad abbassare il capo.Giunse le mani che intrecciandosi misero in risalto la loro ossuta finezza.Restarono entrambi avvolti da un silenzio raccolto, quasi stessero pregando.Fu lei a rompere il silenzio.- Penso che dovrei essere affranta per la morte di mio marito. Invece…Fermò nuovamente i suoi occhi in quelli di Gaetano Cascione.Egli ebbe la sensazione di sentirsi scrutato dallo sguardo di una pantera.Una di quelle bestie frementi di rabbia rappresa dietro le sbarre di una gabbia.- Non riesco ancora a credere che Franco non ci sia più, che la sua vita sia terminata all’improvviso.- Normale, accade sempre così. Ci vuole tempo per certe cose. Prima bisogna assorbire lo shock. Poi ci si rende veramente conto di quello che è accaduto.- Quando mi renderò conto, quando sarò sicura che Franco è definitivamente uscito dalla mia vita, non piangerò. Andrò all’Abbazia di Chiaravalle, ringrazierò il Signore per avermi liberata dalla schiavitù.- Intende forse dire …La pantera balzò in piedi.- Intendo dire quello che ho detto. Mi giudichi spietata e senza cuore. Deve essere così, al posto del cuore mi è cresciuta una pietra. Ma sono stata costretta. Ho subito ogni genere di cattiverie da parte di Franco e della sua famiglia. Mi hanno umiliato in mille maniere. E lo sa cosa mi fa più rabbia?Gaetano scosse il capo mentre la osservava descrivere piccoli cerchi di passi nel centro della stanza.- Non mi perdono di essermi fidata di Franco, di aver creduto alle sue promesse, di aver voluto sposarlo. Ho considerato il matrimonio come una vittoria nei confronti di suo padre. Non mi perdono di aver generato una figlia con lui.condannandola a portare nel mondo i geni di un’orribile stirpe.Gaetano fu colpito da quell’impeto di furore che arrochiva la voce di Amaranta.- Signora, sarà meglio che prima di esprimersi in questi termini si consulti con un avvocato. Si potrebbe pensare che lei stessa abbia commissionato l’omicidio. - Se così fosse, non le parlerei con tanta sincerità.- ruggì. Gaetano si alzò in piedi di scatto e l’afferrò per i polsi come se volesse ricondurla alla ragionevolezza arrestandone l’insulso movimento.Il brusco sollevarsi gli causò un giramento di testa e fu costretto ad appoggiarsi alla parete.Amaranta lasciò subito cadere la rabbia, come si fa con un asciugamano ormai fradicio.- Che succede?- domandò preoccupata.- Nulla- sussurrò Gaetano – un leggero calo di pressione. Sono un po’ debole perché ho avuto dei problemi con la mia salute. Le dispiace se ci sediamo un attimo?

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La richiesta fu accompagnata da uno di quei sorrisi disarmanti che Gaetano riservava per sua moglie e suo figlio. Li usava come arma segreta per vincere le loro resistenze.Amaranta allacciò le sue dita ai polsi del poliziotto extraterrestre ed entrambi si posarono delicatamente sul copriletto candido.- Va meglio?- chiese lei con la tenerezza che avrebbe potuto usare con uno dei suoi allievi.Invece di rispondere, Gaetano immaginò di essere osservato da una telecamera nascosta . - Se suo suocero ci vedesse in questo preciso momento, cosa penserebbe?Una piccola risata, muta e complice li unì in un attimo surreale.- Va meglio- proseguì Gaetano – Però conviene che ritorni alla mia poltroncina.Si sorrisero e si separarono. Questa volta i movimenti del Vice Commissario furono molto lenti.- Signora, lei ovviamente non si può rendere conto di come vadano le cose nelle indagini di polizia, però la prego di credermi che la sincerità non è sempre consigliabile.- Ma non bisogna giurare di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?- Diciamo che le persone più oneste si astengono dalla falsa testimonianza. La verità è un lusso che la giustizia non si può concedere troppo spesso. Ho ascoltato il suo sfogo e credo anche di aver compreso le ragioni che l’hanno spinta a tanto. Ma la prego di considerare il punto di vista di coloro che devono trovare il movente, l’autore e l’eventuale mandante dell’assassinio di Franco Faggioni. Quello che lei ha appena affermato potrebbe costituire un valido movente e come le ho già spiegato si potrebbe facilmente essere portati a concludere che abbia dato incarico a qualcuno di compiere il delitto.- Impossibile, non avrei mai potuto farlo. Ero strettamente sorvegliata.- Avrebbe potuto farlo Marco Bacci per lei.- Anche lui era controllato e poi non mi fiderei per nulla di lui.- Posso sapere perché?- Cosa può pensare una donna di un uomo che dice di amarla, di desiderarla, di essere disposto a fare i salti mortali per incontrarla clandestinamente, di poterla aiutare a liberarsi dalla prigione in cui si è rinchiusa, ma di non voler in alcun modo ferire la propria moglie ?- Penso che la donna dovrebbe capire che si trova di fronte ad un uomo che vuole un’amante senza perdere le sicurezze della vita coniugale. Non è poi una cosa così inconsueta.- Non mi sono mancate le occasioni d’incontrare questo genere di maschi . Ognuno di loro mi ha fatto subito capire che l’unica cosa che volevano da me era una scopata extraroutinaria. Marco invece non sembrava interessato all’argomento. Lui voleva essere ascoltato, voleva qualcuno che fosse disposto a seguirlo nel suo mondo di tenere follie. Aveva bisogno di una donna che sapesse capire ed apprezzare il bambino che coltivava dentro. E come un bambino impaurito, alla prima minaccia mi ha lasciato perdere, incurante di quel che mi sarebbe capitato. È corso ad inginocchiarsi piangente ai piedi di sua moglie, implorandola di perdonarlo. Lei pensa davvero che se avessi voluto far assassinare mio marito mi sarei rivolta ad un uomo così? No, si sbaglia di grosso. Ho delle amiche che hanno molta più determinazione e sicurezza. Senza scherzi.Gaetano Cascione vedeva bene quanto fosse ferita e provava compassione per quella povera anima.-Dunque, lei non ritiene che il Bacci abbia attitudine ad azioni di forza o all’uso della violenza. Ciò non vieta che possa aver incaricato qualcuno a farlo per lui.- Non si può mai sapere cosa accade nella testa di un uomo, quando viene lasciato dalla moglie, sconfitto e umiliato su tutti i fronti, ridotto all’impotenza. In ogni caso non mi risulta che avesse la disponibilità economica per pagare un killer. Lo stipendio da maestro non è gran cosa, in più mi è stato riferito che andava in analisi e gli psicanalisti sono parecchio costosi.“ Vero .” pensò il Vice Commissario portando una mano alla tasca per estrarre il taccuino e verificare di aver trascritto il nome della Dott. Castelli.- Chi le passava queste confidenze?- Una collega, Rita. Una delle poche persone con cui Marco riusciva ancora a parlare.

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- Mi direbbe il suo cognome e magari anche l’indirizzo ?- Rita Besana. Ripa di Porta Ticinese 46. - D’accordo, la scarsa affluenza ci dà modo di escludere l’eventualità che abbia assoldato un sicario.- Deve anche considerare che, nonostante il suo passato da estremista, Marco era diventato una persona con il mito di Gandhi e della non violenza. Mi confidava spesso che se non fosse stato così goloso gli sarebbe piaciuto diventare vegetariano.Nessuno dei due riuscì a far suonare sincera la risatina di circostanza.- Bene, vedo che almeno noi due abbiamo la tendenza ad escludere che Marco Bacci possa essere il colpevole di questo omicidio, nonostante avesse un gran risentimento nei confronti della vittima.Il viso di Amaranta si compose in una strana smorfia d’incredulità.- Dubito anche di questo. Mi è sembrato che Marco non ritenesse del tutto sbagliato quello che mio marito e mio suocero hanno ordito contro di noi. Razionalmente, almeno, tendeva a giustificarli. Come persone che anno agito per legittima difesa. Da quello che Rita mi ha confidato giustificava addirittura le intercettazioni telefoniche e le violazioni della privacy di cui era stato oggetto durante la nostra platonica relazione.- Mi è sembrato che l’aggettivo “platonica” volesse essere evidenziato in rosso fluorescente.- Esatto. Siamo stati messi alla gogna dai nostri rispettivi coniugi, anche se con modalità molto diverse, per qualcosa che di certo era molto coinvolgente ma che nella realtà non si discostava da una grande amicizia. La nostra era una relazione in cui l’intimità è stata più verbale che fisica.- Quindi Marco Bacci non è stato il suo amante?- Non nel senso che comunemente si dà a questa parola. Abbiamo coltivato dei desideri, ce li siamo confidati reciprocamente, abbiamo sognato di poter disporre delle nostre vite e dei nostri corpi. Ci siamo raccontati quali piaceri avremmo voluto condividere ed è rimasto tutto lì, a livello delle nostre fantasie. Abbiamo peccato solo in parole e pensieri non in opere. Capisce?Gaetano Cascione era convinto di averla capita fino in fondo.- In pratica lei si è sentita accusata di un adulterio che non ha mai commesso, giusto?- Giusto. Anche se lo avrei commesso ben volentieri, nella speranza che potesse servire da grimaldello, per scassinare la serratura delle mie catene.- stava quasi gridando e i suoi denti biancheggiavano come se fossero pronti a mordere- Ho davvero sperato che Marco mi portasse via e avrei preferito essere costretta a scappare con lui e Valentina. Lo sapevo che avrebbe significato continuare a nascondersi per tutta la vita, come quando ero bambina. Arrendermi così, è stato orribile. Purtroppo senza un uomo al mio fianco, il mondo mi faceva ancora troppa paura, quando Marco si è tirato indietro sono crollata.Cominciò a singhiozzare sommessamente.Gaetano salutò quasi con sollievo le prime lacrime versate dalla giovane vedova.Le porse un fazzoletto di carta che lei rifiutò ritirandosi tra le ante dell’armadio metallico, dal quale uscì con un fazzoletto ricamato stretto in pugno.Il vice commissario aspettò che le lacrime rallentassero il loro defluire e che il respiro si normalizzasse per riprendere il discorso interrotto.- Se potesse aiutarmi, vorrei capire meglio perché i suoi genitori sono stati oggetto di attenzione da parte delle forze dell’ordine.Per tutta risposta Amaranta si lasciò cadere sul letto e si allungò portando con un gesto da malata un avambraccio a coprire la fronte.- Di sicuro negli archivi della questura non mancherà di trovare diversi fascicoli, precisi e dettagliati, sulle attività di mio padre e mia madre , ma vedrà che quello che sto per raccontarle le suonerà diverso, perché il punto di vista di un gendarme non può mai essere simile a quello di una bimba.- Nemmeno così intrigante.- aggiunse Gaetano Cascione.

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Amaranta cominciò a raccontare con una voce che sembrava quella di una donna sospesa tra il sonno e la veglia , una voce che ricordava a Gaetano quei dolci momenti, in orari antelucani, in cui si stringeva a Luciana per ascoltare il racconto dei sogni da cui era appena uscita. - Mio padre, Garcia Blanquez, è nato e cresciuto a Buenos Aires . Mia nonna paterna era partita piccolissima, insiemeai suoi, a metà degli anni venti da un piccolo paese arroccato al confine tra Liguria e Toscana, Montemarcello. Un luogo ancora oggi incantevole, da cui solo la fame può costringerti ad andare via. Quella famiglia di liguri aprì un forno in uno dei quartieri più aristocratici della città, e grazie alla loro capacità di aromatizzare gli impasti dolci con spezie che laggiù erano facilmente reperibili, furono presto considerati tra i migliori pasticceri.Non c’era solennità o cerimonia che potesse ritenersi tale se non si era in grado di offrire agli ospiti una giusta quantità di dolci dei “ Genovesi “. Sembra che la nonna, per via dei suoi modi di fare piuttosto garbati venisse spesso incaricata della consegna e a volte della distribuzione di queste leccornie nei vari festini. Non credo che avesse già diciotto anni quando incontrò in qualche casa patrizia un musico indio, Eusebio Blanquez, che dopo averla ingravidata fu costretto a sposarla. Dicono che fossero una coppia felicissima e che nonostante le ovvie difficoltà di un matrimonio interrazziale siano riusciti a crescere con ogni agio il marmocchio riccioluto, l’amatissimo figlio del peccato che aprì loro le porte del paradiso terrestre. Anche perché la nonna , grazie ai suggerimenti di sapienza indigena ottenuti da Eusebio, creò dolci in cui cacao e spezie si coniugavano felicemente e in breve divenne la vera padrona della bottega .Il loro unico rimpianto fu quello di non aver avuto altra prole oltre al piccolo Garcia.Il quale ebbe sicuramente mille attenzioni, ottime scuole e grandi vacanze, trascorse con i suoi coetanei nel pueblo in cui viveva la famiglia originaria di nonno Eusebio. Finì con l’iscriversi all’università riuscendo a conquistarsi una laurea in giurisprudenza. Un vero miracolo americano. In una sola generazione era possibile passare da nullatenenti ad avvocati. Più che dall’attività forense mio padre era però attratto dalla politica Battendosi per i diritti dei campesinos e delle tribù indigene finì a trovarsi fianco a fianco con numerosi intellettuali e artisti che si dedicavano con ardore alla causa del popolo. Il socialismo ed il comunismo erano allora utopie che sembravano raggiungibili da tutti gli uomini di buona volontà. Mio padre lasciò l’Argentina e cominciò a viaggiare in tutto il continente.Era in Cile quando arrivò alla fine la breve stagione del presidente Allende.Come molti fu costretto alla fuga e all’esilio. Ricercato da più polizie in quanto sovversivo, riuscì grazie all’aiuto dei nonni a raggiungere l’Europa e la Svizzera. Fu lì che conobbe mia madre. Lei, Simonetta Contardo, abitava a Luino e studiava lingue all’Università Cattolica di Milano. Per pagarsi quei corsi, alla sera e nei pomeriggi di sabato e domenica lavorava come cassiera in un cinema di Locarno in cui mio padre era riuscito a farsi assumere in qualità di proiezionista, grazie all’esperienza che aveva maturato proiettando film di propaganda sui muri scalcinati dei villaggi andini.Mio padre diceva sempre che la mamma da giovane aveva un pessimo carattere e un culo perfetto, con gli anni il primo era notevolmente migliorato a discapito del secondo. Si sposarono subito e mi misero al mondo nell’estate del 74. La mamma ottenne un posto di ruolo come insegnante in una scuola media alla periferia milanese nel 77 e dopo poco lasciammo la grande casa dei nonni materni a Luino per trasferirci in un piccolo appartamento vicino alla stazione di Lambrate.Ho pochi ricordi di quel periodo, ma non posso dimenticare l’odore d’inchiostro di un ciclostile sempre in funzione e il continuo via vai di giovani irsuti e ragazze dalle lunghe gonne a fiori. Seduta sulle spalle di mio padre ho assistito a comizi e manifestazioni di ogni genere. Spesso mi addormentavo in case altrui per risvegliarmi in luoghi ancora diversi, popolati da strani individui. Ho visto i carabinieri distruggere con i calci dei fucili i pochi mobili che avevamo raccolto e sequestrare il nostro ciclostile tra i pianti della mamma. All’inizio degli anni ottanta ci trasferimmo a Roma, perché la mamma aveva avuto un qualche incarico alla Sapienza. Io ho frequentato le elementari in una scuola vicino Campo de’ Fiori, su cui guardava la nostra terrazza. Papà lavorava in un teatro minuscolo ricavato in un sottoscala. Metteva in scena spettacoli per denunciare gli orrori di Pinochet e di Videla. Ricevevamo visite da molte persone che si

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fermavano a lungo a parlare con lui in spagnolo o in portoghese. La mia stanza puzzava sempre di sigaro. Ad un certo punto cominciammo a subire una quantità incredibile di perquisizioni da parte di ogni genere di uomini in divisa ed in borghese. Spesso trattenevano i miei per lunghi interrogatori.Avevo da poco compiuto i dieci anni quando, dopo una lunghissima assenza, mio padre tornò a casa , magro e distrutto , come se in quei mesi fosse invecchiato di molti anni. Mi portò a prendere un gelato e mentre leccavo il mio cono al pistacchio mi spiegò che doveva andarsene lontano e fare in modo che io e la mamma potessimo vivere in pace.Se fosse restato con noi la nostra vita sarebbe stata un interminabile inferno. Mi strinse forte schiacciando la mia faccia contro i peli del suo petto che spuntavano dalla camicia aperta, baciandomi poi sulla fronte e sulle guance. Ricordo ancora quanto fosse ispida la sua barba , e il fastidio di quella puntura. Mi sembra che ancora le mie guance brucino, perché quello è stato l’ultimo contatto che ho avuto con lui. Andò in India e là rimase . Ora si occupa di bambini, di orfani. Li assiste e li aiuta.Gaetano Cascione vide nuove lacrime che scendevano da sotto gli angoli delle palpebre socchiuse. Nonostante il nodo alla gola Amaranta volle concludere la sua storia.-Rimaste sole, io e la mamma tornammo a Luino, nella grande casa in cui la nonna viveva gli ultimi anni della sua vedovanza. La sua fu una morte lenta e la mamma che l’assistette, senza aiuti oltre a quelli che potevo darle io nei momenti liberi dallo studio, logorò la sua forte fibra nelle lunghe notti di veglia . Avevo diciannove anni quando mia madre ottenne un pensionamento anticipato e mi chiese il permesso di partire per l’India, per riunirsi a mio padre. Io avevo un diploma d’istituto magistrale, frequentavo l’università di magistero ed ero iscritta in una graduatoria che mi consentiva di fare delle sporadiche supplenze. Mi sentivo forte e autonoma. Vendemmo la casa della nonna, comprammo un piccolo appartamento e versammo una bella cifra su un conto corrente intestato a me. Non ci siamo più visti. Franco non mi ha mai permesso di incontrarli. Si è sempre rifiutato di partire con me o di lasciarmi andare ,né da sola, né con la bambina. Li disprezzava senza averli mai conosciuti.Probabilmente il padre lo ha influenzato nel suo giudizio. Ma ora… - Prima che le sia concesso il permesso d’espatrio bisogna che i dubbi sulla morte di suo marito siano sciolti per cui spero di poter contare sulla sua piena collaborazione.- Ci conti pure. Però non credo di poterle fornire elementi utili all’individuazione dell’assassino.-A sua conoscenza, c’era qualcun altro che avrebbe potuto nutrire rancore o desiderio di vendetta nei confronti di suo marito?- Mio marito per me era ormai una specie di estraneo che mi costringeva a vivere nella sua lussuosa galera. Pertanto non sono al corrente di quello che gli è successo negli ultimi mesi. Ma era un uomo pedante , abitudinario oltre i limiti della noia. Si appassionava solo per il suo lavoro, che funzionava molto bene, per le automobili e gli oggetti di lusso. Non amava né il gioco né altri generi di vizi. Non consumava droghe e non credo che avesse delle amanti. I suoi interessi erano gestiti in parte dal padre in parte da un agenzia di broker di provata abilità. Insomma penso che nessuno lo odiasse come me, anche se a lei non piace che si dica.-Liti , dissapori cause pendenti?-Nulla di nulla.-Problemi con i vicini?- Niente. Una volta ebbe una discussione con degli stranieri, gente dell’est che stava scaricando nel garage. Lo intralciavano nelle manovre per uscire dal box. Ci fu qualche insulto . Mio marito non sopportava gli extracomunitari. Ma finì tutto lì. È accaduto diversi mesi fa. Poi non li abbiamo più visti.- Ho capito. Purtroppo queste sue affermazioni sembrerebbero corroborare le tesi di suo suocero che esclude categoricamente l’esistenza di altri sospetti al di fuori del Bacci.Amaranta corrugò la fronte come se cercasse disperatamente un’altra possibilità.-Questa mattina mentre ero nell’appartamento di Viale Pisa ho parlato con Bacci al telefono.- Gaetano Cascione si era alzato e sembrava in procinto di andarsene- Non so esattamente per quale circostanza

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sia avvenuto questo breve scambio di parole. Immagino che lui credesse che in casa ci fossero degli investigatori mandati da suo suocero o suo marito per scoprire qualcosa.- Sicuro, avevano nuovamente sguinzagliato i segugi ,avevano paura che tra me e lui riprendessero i contatti con l’inizio del nuovo anno scolastico..- Questo accanimento sembra davvero spropositato.- L’arroganza e il senso di onnipotenza di Domenico Faggioni non trovano aggettivi adatti per renderne le dimensioni.- Lei non si sentirà di certo tranquilla in questa situazione?- Non lo sono per niente e temo soprattutto che escogitino qualcosa per sottrarmi la bambina che al momento è già sotto la loro custodia ovviamente.- Appena tornerà a casa saranno costretti a riportargliela.- E chi li costringerà a tanto ?- Di questo me ne occuperò io e farò anche in modo che il suo domicilio venga sorvegliato e protetto da uomini di mia fiducia.- La ringrazio.- Mi urge ancora un’informazione.- disse Cascione, mentre si avvicinava alla porta- Sono convinto che Marco Bacci stia cercando aiuto presso alcuni amici, che finirà inevitabilmente per inguaiare. Lei cosa mi può dire al proposito? Quali nomi mi può fare?La donna esitò come se avesse timore di sbagliare a fidarsi del suo interlocutore.- Non si senta obbligata a fornirmi queste informazioni. Lo faccia solo se è convinta che gli unici che possono veramente aiutarlo siamo noi.Non era del tutto convinta , comunque si risolse a parlare.- Marco conosce tante persone, ma quando ha veramente bisogno di qualcuno si rivolge a Gigi, il suo vecchio compagno di studi che ora è anche il suo dottore o a Edo , un ex collega che ora si occupa d’arredamento, poi c’è una specie di artista che si chiama Fulvio e abita dalle parti di Porta Genova. Di più non so dirle. Le ripeto non ci siamo visti un granché al di fuori della scuola.Gaetano consultò velocemente il suo taccuino prima di chiedere :-Questo Gigi è per caso il dottor Ferrigno ?- Credo di sì, ma non ci posso giurare.-Benissimo. Signora la ringrazio e la prego di chiamarmi per qualsiasi evenienza. Mi farò comunque vivo al più presto per sapere quando potrà rientrare a casa. Arrivederci.Gaetano strinse la mano che la donna gli stava porgendo e si congedò.Ruvolo sembrava un po’ abbioccato, forse aveva esagerato con i panini e le birre.- Tutt’apposto, dottò?- Apposto. Hai pranzato bene?- Non mi pozzo lamentà. Lei piuttosto , non mi dica che sta andando a pranzo a quest’ora?-Tranquillo Ruvolo , sto andando dal dottore.

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Capitolo sesto

Eduardo Sansone, in sella ad una vissuta city-bike, fece ritorno al suo show-room, cinque minuti prima delle tre.Era convinto di trovare il suo ospite clandestino ansioso di rivederlo, ma ad accoglierlo ci fu solo un vuoto silenzio.Subito pensò che Marco non ce l’avesse fatta a resistere alla prolungata attesa e fosse scappato dal bagno, vanificando tutta la fatica che gli era costata quella pedalata di oltre quattro chilometri, con le borse laterali e lo zaino a spalla stracarichi.Badando a non rovinare gli arredi in esposizione, appoggiò la bici alla porta e si liberò dello zaino.Andò in bagno, sicuro di trovare il finestrino aperto e una sedia accostata alla parete.Il finestrino era chiuso e il bagno in perfetto ordine.- Marco. Sono io. Vieni fuori.L’esortazione era uscita dalle sue labbra sotto forma di sussurro.Provò a chiamare una seconda volta, ma produsse poco più che un sibiloLa voce gli era sparita perché gli stava crescendo dentro il timore che Marco si fosse suicidato.. Si sedette su una sedia Acquario in plastica gialla nel cui schienale trasparente erano stati imprigionate delle riproduzioni di pesci tropicali in 3D.Non voleva trovarlo cadavere, non poteva, non doveva.- Vaffanculooo, vieni subito fuori!Gridò in un modo tale da sorprendersi, piacevolmente.Una delle ante di un quattro stagioni in teck rivestito di finta pelle blu di Prussia ,vero sixties in ogni dettaglio, si aprì per permettere al cranio di Marco di mostrarsi a tutto tondo.- Uh! Sei tu. Che paura!- disse Marco uscendo dal suo nascondiglio- Che paura dovrei dirlo io.- replicò Edo senza poter nascondere la stizza.- Tu ? Di che avevi paura tu?Marco sembrava cadere dalle nuvole.- Che te ne fossi andato in un modo o in un altro.- Se potessi rimarrei qui per sempre. Il pallore di Marco stonava con le suggestioni tropicali offerte dal suo abbigliamento.- Avevo una strizza tremenda che fosse la madama. Ogni volta che sentivo una sirena pensavo che fosse finita , che non era servito a nulla , che dovevo dar retta a quel poliziotto e consegnarmi a loro… Non sono per niente certo di aver fatto la scelta giusta…“ Cazzo - pensò Edo – non mi cambierai idea proprio adesso, dopo che mi sono sbattuto come un pazzo per organizzarti la fuga ? ”- Però la madama non è venuta.- Edo si rese conto che stava per lanciarsi in una serie di deduzioni azzardate, basate esclusivamente sul suo intuito, che comunque si era spesso dimostrato un’ottima bussola - E ti dirò di più: mi sono sciroppato tutti i notiziari che hanno trasmesso su ogni canale. Si parla dell’omicidio di un giovane commerciante, avvenuto di mattina presto, in Via Villoresi. In un telegiornale regionale hanno menzionato una sparatoria dalle parti di Bande Nere. La polizia ha ferito una persona implicata nell’assassinio. Per ora non sono stati diffusi nomi o identikit..- Che pensi?- domandò Marco, desideroso di essere guidato.- Se vuoi scappare puoi tentare di farlo ora. Domani mattina la situazione potrebbe essere diversa.- Secondo te, se vado in Centrale e prendo un treno non mi fermano?- No. Credo che tu possa tranquillamente muoverti all’interno dell’Unione Europea..Però più vai lontano, più facilmente verrai controllato. Inoltre diverrà più difficile poterti aiutare. Se resti in Italia, ho già escogitato un sistema per mantenerci in contatto e rifornirti di denaro.Sopra un tavolino liberty, apparvero un cellulare, un caricabatterie e una carta bancomat.

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- Questa carta e questo telefonino – continuò Edo, orgoglioso di aver pensato a tanto – sono intestati a mio nipote Simone. Sul conto corrente per ora ci sono poco più di duemila euro. Nel tempo verseremo altri soldi. Il cellulare usalo per mandare e ricevere sms. Accendilo comunque ogni mattina. Se avessimo bisogno di parlarti ti daremo un orario in cui riceverai la chiamata che verrà effettuata da un telefono pubblico, magari da qualcuno che non conosci, ma sempre a nome dello zio Edo. Chiaro?- Si, tutto molto chiaro, tranne che non capisco cosa intendi quando dici “noi “.- Marco, lo sai bene che non sono il tuo unico amico.- Capisco.- Alla voce zio, sulla rubrica del cellulare, troverai il pin della carta bancomat. Lo so che odi questi aggeggi.- Edo sventolava il piccolo telefono sotto il naso dell’amico - Ti dovrai arrendere, meglio dipendere da un aggeggio elettronico che da un secondino, no?- Purtroppo hai ragione tu.- Se hai con te bancomat o carte di credito intestate a te o a tuoi famigliari, distruggile subito. È uno dei sistemi più semplici per controllare i tuoi movimenti.Marco estrasse la sua tessera magnetica ed Eduardo prese un paio di grosse forbici dal cassetto della sua scrivania simile all’impronta di un gigantesco pesce del carbonifero.- Visto che sei un buon ciclista e hai l’aria da americano in gita, fingi di essere un cicloturista. Non ho mai visto una pattuglia fermare un ciclista , se tu fossi nero o assomigliassi ad un magrebbino , magari potrebbe anche accadere, ma con quell’aspetto così wasp, puoi stare tranquillo. Seguimi.Con un attento slalom tra la mobilia raggiunsero la bicicletta e le borse.- Bé che te ne sembra? Fin dove pensi di poter arrivare con questo splendido mezzo? - Fin dove mi lasciano arrivare. C’è un kit per cambiare le camere?- Guarda, se vuoi ti cambio l’arredamento di trenta camere – Eduardo non aveva previsto questo genere di esigenza - alle camere d’aria non ci sono arrivato. Comunque provvedo subito. - No grazie, hai già fatto fin troppo, me ne occuperò lungo la strada. - Non hai ancora visto niente.Eduardo aprì lo zaino e ne estrasse una mantella , una felpa e tre maglie , un paio di braghette per ciclisti, un maglione a dolcevita blu, tre paia di calze , mutande, coltellino svizzero, torcia elettrica, e un microscopico sacco a pelo, adatto per appendersi sulle pareti di roccia.Nelle borse appese al porta pacchi c’erano una mini canadese , borraccia , alcuni salamini fatti in casa dai parenti campani, e un caciocavallo, il cui trasporto era stato un vero supplizio offerto sull’altare dell’amicizia , in quanto Eduardo soffriva di caciofobia acuta. Come dalla tasca di Eta Beta uscirono anche una forma di pane di Altamura e alcuni taralli con le mandorle salate e il peperoncino appena sfornati.- Hai mangiato qualcosa ?- domandò Eduardo sorpreso dall’assenza di reazioni dell’amico. - No, non ho fame.- Ti conosco da più di vent’anni e non ti ho mai sentito dire una cosa simile.Edo era riuscito a far sorridere Marco. Se Marco era un goloso Eduardo era quasi anoressico.Una volta tanto le posizioni si erano invertite.Marco si diede da fare per riorganizzare il bagaglio. Volle evitare di caricarsi lo zaino in spalla e quindi fu costretto ad eliminare molte cose .Sistemò gli oggetti scelti nelle borse. - Così va meglio. Acqua e altre cibarie le comprerò e le consumerò lungo la strada.- Dove pensi di andare . Ti è venuta qualche idea?- Si ho pensato che andrò…- No , aspetta non dire niente.- Perché?- Non si sa mai cosa possono inventare per costringere qualcuno a fare la spia.- Eduardo vedeva già facce da Gestapo con impermeabili verdi fare a pezzi la sua preziosa merce.

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- Edo, che casino ho combinato!- Il casino è proprio serio, ma non puoi averlo combinato con i tuoi sogni..- Come posso convincere la polizia della mia innocenza?- Qualcosa escogiteremo. Non hai per caso pensato ad un avvocato che ti difenda.- Non conosco nessuno, a parte il fratello di Fulvio.- Bene. Lo contatterò. Potremmo anche ingaggiare un investigatore per svolgere un’indagine parallela.- Non credo che convenga- obiettò Marco- questi investigatori sono tutti ex carabinieri o militari in pensione. Non si schiereranno contro i Faggioni. Piuttosto, mentre ti aspettavo ho scritto due righe per la scuola. Chiedo anche di essere collocato in aspettativa il più a lungo possibile. - Dammi la lettera, ci penserò io. E non ti preoccupare se perdi il posto ti assumo come facchino.Risero con tristezza.Poi si scambiarono una forte stretta di mano accompagnata da un lungo sguardo colmo di affetto, franchezza, solidarietà e gratitudine.Come Kit Carson e Tex Willer davanti ad uno dei mille bivi delle loro infinite piste.Edo aprì la porta sul cortile ingombro di mezzi e si diresse verso la strada. Guardò a destra e a sinistra come se potesse coi suoi occhi miopi verificare la presenza di eventuali nemici e poi fece un cenno di via libera a Marco che inforcò la bici e iniziò la sua lunga pedalata. - Suerte amigo ! – gli gridò Eduardo vedendolo allontanarsi.- Muchas gracias- fu la risposta che Marco lanciò nel vento.

La signora Annarosa cucinava i migliori moscardini in guazzetto di tutto il globo terracqueo. Pure gli occhi si sollazzavano nel vedere i corpicini rosei affogati nella salsa purpurea, circondati da crostini dorati nell’olio. I cefalopodi erano stati preparati nel tentativo di far scordare al suo Gino di casa le angustie che lo avevano avvelenato. Mentre scendeva le scale del condominio in cui abitava dal lontano sessantadue, il Commissario Capo decise di accendersi un altro mezzo toscano, ben sapendo che quel gesto poteva essere rimandato di qualche minuto, evitando così d’offendere le narici di tutte le megere che lo tediavano con l’elenco interminabile dei malesseri causati dalla combustione di quel suo piccolo, delizioso, tizzone di tabacco bruno.Inutile negare che più le bacucche s’inalberavano, più lui ci trovava gusto e in una giornata come quella ci voleva proprio l’aroma forte dei suoi sigari, arricchito da un pizzico di perfidia, per controbilanciare la sovrapproduzione di succhi biliari causati dalla la vicenda dell’omicidio di Franco Faggioni . Una storia di quelle che avrebbe sbolognato a qualcun altro, se solo il Questore non gliel’avesse affidata personalmente, facendogli intendere che questa era l’occasione per realizzare i suoi sogni.Era una di quelle storie attraverso le quali capiva quanto era stato bravo e fortunato a costruirsi una famiglia in cui certamente si discuteva tanto, ci si arrabattava per far quadrare i conti, ma alla fine tutti quanti ci si ritrovava stretti in un volemose bene ristoratore, di modo che in fondo si dormiva tranquilli.Non avrebbe scambiato il potere e il lusso dei Faggioni con la sua trambustata modestia.Il trillo del cellulare lo riportò all’ hic et nunc.- Galante, sono Faggioni.Secco come uno sparo.- Buonasera … L’avrei chiamata dall’ufficio non appena…Come Don Abbondio davanti ai bravi, senza nemmeno un messale in cui nascondere la faccia.- Ve lo siete lasciato sfuggire. È venuto fin sotto il vostro naso e non l’avete preso.- È incredibile, ma si sono sovrapposte una serie di circostanze..una maledetta sfortuna.- Fortuna e sfortuna non esistono. Vi siete comportati come degli incompetenti.Faggioni aveva cominciato con un sibilo e finito con un latrato.- Le assicuro che …

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Non gli fu permesso di proseguire.- Lei deve assicurare quel farabutto alla giustizia entro domani , altrimenti sarò costretto ad intervenire.- Come sarebbe a dire ? Non ci furono chiarimenti.Il Commissario Capo restò per qualche secondo imbambolato a guardare il display che recitava: fine collegamento con numero non disponibile.Poi con un gesto di stizza interrò il suo toscano in una delle fioriere che abbellivano l’ingresso del condominio, sacrificando alla sua ira un paio d’ibischi aranciati.

“Ma come cavolo fanno i cinesi a vivere in quel tanfo di cavolo?”Tra i suoi millecinquecento pazienti , il Dott Pierluigi Ferrigno aveva in lista almeno un centinaio di famiglie provenienti dai quattro angoli del mondo con le quali s’intendeva attraverso un esperanto di gesti , ammiccamenti e versi, che il suo cinquanta per cento di sangue napoletano rendeva efficaci il giusto per portare a buon fine anamnesi, diagnosi e prognosi..La vecchia a cui aveva appena riscontrato un focolaio di polmonite, viveva in un bilocale con una decina di parenti e affini che per tutto il tempo della visita avevano continuato a scaracchiare , a sciabattare avanti e indietro portando giganteschi termos di acqua calda, destinati a riempire delle tazze di vetro, a misura di boccali da birra, in cui affondavano svogliatamente le ben piccole foglie della pianta del te. Nella stanza accanto a quella in cui languiva la malata, c’era un gruppetto di maschi impegnato a litigare attorno ad un tavolo da ma- jong, facevano un tale bordello che per poter auscultare quei poveri polmoni, il dottore era stato costretto a tirar fuori tutta la sua voce da baritono e a smoccolare come un carrettiere per ottenere un paio di minuti di silenzio. Ora le aveva prescritto antipiretici e antibiotici, premurandosi di responsabilizzare a dovere una ragazza dall’aria sveglia. Gli era sembrato di capire che si chiamasse Gin-gi e che fosse la nipote.- Io fa lo che dottole vuole. Io va plesto falmacia pel nonna. No paula, io cula bene.Mentre cercava di raggiungere la sua Toyota parcheggiata su un carraio in una via parallela, si ritrovò a domandarsi quante settimane fossero passate dall’ultima volta in cui si era permesso un intero giorno di riposo. Laddove per riposo s’intendeva semplicemente assenza di malati. Sotto il tergicristallo della Toyota sventolava una contravvenzione.Si guardò intorno come un Caronte incazzato, saettando gli occhi di bragia per cercare di intravedere il ghisa ubriaco che non si era accorto della scritta ben in vista sul cruscotto “ MEDICO IN VISITA –Con quell’espressione furibonda dipinta sul volto incorniciato da una barba lunga e un po’ riccia, sembrava il cerusico di Mefistofele.Sbuffò infastidito dal contrattempo accorgendosi che la tensione nervosa stava salendo oltre i livelli di guardia. Si accese una MS e cercò di arrestare l’ondata di tic che gli stava montando in tutto il corpo.Lasciò che i suoi novanta chili per uno e ottantacinque si abbattessero sul sedile della Toyota, attaccò l’autoradio, sintonizzata perennemente su Life Gate, e scagliò la borsa di pelle sul sedile posteriore.Il ritrovarsi all’interno della propria macchina, tra le proprie cicche che strabordavano dal portacenere e l’odore del fumo rappreso, lontano da cinesi e pizzardoni, lo aiutò a calmarsi.Doveva andare al comando dei vigili e fare la solita scena fino a che non gli avessero annullato la contravvenzione. Decise di rinviare questa seccatura al primo momento libero della prossima settimana, che equivaleva a dimenticarsene e a dover pagare il doppio della cifra tra un paio di mesi.Mise in moto e s’infilò nella corrente del traffico dirigendosi verso Sud. Adesso voleva solo tornarsene a casa, nel loft che sua moglie Sara aveva arredato, con quel suo gusto particolare che tanto lo affascinava e che gli permetteva di sopportare tutte le divergenze e le incomprensioni che affliggevano il loro rapporto. Si sarebbe fatto un bel doccione per lavar via la stanchezza e l’odore del cavolo bollito e poi sarebbe uscito con suo figlio Pietro. Biliardo e boccette fino a non poterne più. Per l’ora di cena sarebbero

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passati a prendere Sara e avrebbero celebrato insieme il sabato sera strafogandosi di pizza e birra. Pietro, ovviamente, se la sarebbe data presto per raggiungere la sua compagnia, mentre lui e sua moglie tra un limoncello ed un caffè avrebbero ripreso uno dei mille argomenti di discussione con cui imbastivano le loro serate. Uno dei più scottanti riguardava la ricerca del modo migliore per rimettere Pietro in carreggiata con gli studi. Tutti gli insegnanti dicevano che era un ragazzo estremamente dotato, votato però al fancazzismo più radicale. Comunque fosse, il dottore amava suo figlio e considerava la paternità l’aspetto più interessante della sua vita adulta. Quando pensava a Pietro, il Dott. Pierluigi Ferrigno riusciva a trovare un senso a tutta la sua fatica e sarebbe stato capace di perdonare anche quei vigili bastardi che continuavano ad impestargli l’esistenza .La suoneria del cellulare attaccò l’Inno alla gioia e il dottore gioì con tutto il cuore, perché quella musica annunciava una chiamata di suo figlio e gli sembrava proprio una bella coincidenza telepatica che la telefonata arrivasse proprio mentre i suoi pensieri erano così intensamente centrati su di lui. - Pronto !- Ciao pa’…Doveva aver combinato qualcosa perché la voce gli tremava un pochettino.- Che succede?- Niente… – il che significava che il problema era serio.- Che hai combinato stavolta?- Pa’, ho paura che questa volta sei stato tu a combinare qualcosa…- Cosa? Non dirmi che ho chiuso ancora il cane nell’armadio ?- No, però ha chiamato uno della polizia e voleva il tuo numero, per un omicidio ha detto.- Stai tranquillo che non ho ammazzato nessuno. Sarà successo un guaio a qualcuno dei miei pazienti.- Senti pa’, io il numero non gliel’ho voluto dare.- Bravo. - Ma lui mi ha lasciato il suo e ha detto che devi richiamarlo subito.- Aspetta che accosto, così mi segno il numero di questo pulotto.- Pa’?- Dimmi.- Ce la faremo a giocare a biliardo stasera?- Guarda, anche se mi dovessero mettere le manette, ci vengo lo stesso.- Pa’, a stecca sei una pena anche a mani sciolte, figuriamoci con le manette.- Pietro, lo sai che ti sei fatto proprio screanzato. Va, va! Dammi sto accidenti di numero.-Allora ecco qua :Vice Commissario Cascione 349...

La prima gazzella gli sfrecciò accanto dalle parti di Via Chiesa Rossa e filò rapida verso sud con i lampeggianti che rutilavano sciabolate di luce colorata nel tranquillo pomeriggio.I carabinieri a bordo non si voltarono a guardarlo.Evidentemente il vistoso travestimento da cicloturista lo proteggeva a sufficienza.La sua camicia messicana urlava: “ Guardate qua !”La bicicletta blu elettrico procedeva ad un’andatura inferiore ai venticinque chilometri orari.Erano dati che non venivano facilmente associati ad un fuggiasco. .Ad ogni buon conto Marco Bacci approfittò della prima occasione per spostarsi sull’altro lato del Naviglio Pavese, sulla stretta Alzaia percorsa soprattutto da veicoli a due ruote.La giornata era bella e alcuni milanesi avevano approfittato di quel pomeriggio semifestivo di metà settembre per sgranchirsi le gambe lungo il canale, nell’illusione che lo scorrere dell’acqua e il profumo dei fossi potessero avere un effetto vagamente balsamico, in grado di contrastare l’eccesso d’idrocarburi combusti inalati nel corso della passata settimana.

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Sembrava quasi di essere in vacanza.Invece stava fuggendo.Lui che da mesi rifiutava ogni incontro ed ogni mondanità, provò una stretta al cuore nel pensare di essere obbligato a stare lontano da amici e parenti.Almeno avesse potuto congedarsi da loro con un saluto, con un abbraccio, con le loro benedizioni e i loro auguri.Invece, via ! Come i ladri e gli assassini.Inseguito e ricercato per la colpa di non aver avuto nessuno accanto a sé nel momento in cui qualcun altro uccideva Franco Faggioni.Per la colpa di non saper dimostrare che stavano accusando ed inseguendo l’uomo sbagliato. L’uomo sbagliato! Per più di un motivo quella definizione gli sembrava più che mai appropriata.Si sentiva sbagliato dalla testa ai piedi.Sbagliato come marito.Sbagliato come figlio.Sbagliato come amico.Sbagliato come amante.Sbagliato come insegnante.Aveva ragione il suo vecchio docente di religione al liceo Manzoni, l’obliquo Don Sandi, che aveva sostenuto ad oltranza la richiesta della sua bocciatura definendolo come la mela marcia di cui bisogna liberarsi al più presto, a causa delle idee libertarie e libertine che andava diffondendo e ancor più della sfacciataggine con cui il giovane Bacci provocava il corpo insegnante.La mela marcia, quella che guasta l’intero cesto.Che fare di questo frutto bacato?Buttarlo nel Naviglio?Si sarebbe intossicato di acqua mefitica, ma non sarebbe riuscito ad annegare.Lasciarlo marcire a S. Vittore in mezzo ad altro marciume?Perché no?“ Spiacente, non sono ancora pronto a questo, preferisco crollare guardando il cielo scivolare via.”Assago .Palazzi per uffici, insulsamente arroganti, larghi svincoli e aiuole ben curate per celebrare il dio del business is business.Sotto il ponte della tangenziale i carabinieri( quelli di prima?), avevano piazzato un posto di blocco. Era lui che volevano.Marco Bacci poteva dileguarsi tra i campi di granturco alla sua destra, continuare imperterrito sulla sua pista per pedoni e ciclisti, o piegare a sinistra ed inserirsi nella statale dei Giovi andando ad infilarsi proprio nel punto in cui i caramba si erano appostati.Senza che riuscisse a darsene una ragione piegò a sinistra.Voleva che lo vedessero. Voleva provocarli.Quando fu a pochi metri di distanza si accorse che i militi stavano parlottando tra di loro e non sembravano curarsi di lui.Voleva che si accorgessero del suo passaggio.Voleva guardarli negli occhi.Intonò con la sua voce stonata il ritornello di Guantanamera.I giovanotti in uniforme, con mitra e giubbotto antiproiettile, dovevano avere in corso una seria discussione, perché, solo quando Bacci passò a meno di mezzo metro dalla bocca delle loro armi

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automatiche sollevarono lo sguardo, per dedicare un’occhiata distratta a quell’eccentrico turista che pedalava verso Pavia berciando come un ossesso qualcosa d’incomprensibile.“ Para el cruel che me aranca el corazon con que vivo cardos y hurtigas cultivo. Para l’amigo sincero que me da su mano franca cultivo la rosa blanca. “

L’Agente Scelto Lionello Carbone aveva da sempre venerato come unica protettrice, nonché musa ispiratrice dell’indagine poliziesca la Sistematicità Meticolosa.Sia Cascione che Galante conoscevano questa sua caratteristica e quindi gli rifalarono il compito più noioso : battere attentamente la zona attorno alle stazioni della linea metropolitana per Bisceglie alla ricerca di testimonianze utili alla ricostruzione delle prime mosse del ricercato.Quando trova l’imbocco della pista giusta il segugio meticoloso e sistematico, prima o poi, arriva anche alla più segreta delle tane.Quella telefonata inverosimile in cui Bacci chiamava se stesso, se era veramente il frutto di un caso capriccioso e non una mossa dettata da machiavelliche strategie, doveva per forza essere stata effettuata da una delle stazioni più vicine : Bande Nere , Gambara, Primaticcio.L’Agente Scelto decise di muoversi in direzione centrifuga e fece centro al primo colpo.Al mezzanino di Gambara ben tre persone avevano collegato qualcosa d’insolito al passaggio di un inquietante jogger, con chierica e barba grigia, che indossava una t-shirt bianca e dei pantaloncini scuri.Il primo testimone era l’edicolante che, dopo aver visto alcuni agenti armati correre in su e in giù, era rimasto colpito dal pallore cadaverico di un uomo tra i quaranta e cinquanta che aveva preso in mano diversi quotidiani e non ne aveva comprato neanche uno.- Vaca boia ! Se mel tucava anca mo vùn , ghe davi un sgiafùn a ‘ sto brut terùn.L’Agente Scelto prese nota e ringraziò non senza precisare che il Bacci era un milanese verace e non d’importazione come lui, che era nativo di Castellamare di Stabia, ma dimenticò di scusarsi quando andandosene urtò impercettibilmente un espositore di tascabili facendone cadere una mezza dozzina. Gli altri due testimoni erano due donne: un’anziana rumena addetta ai cessi e una strega del sottosuolo a cui era stata appaltata la gestione del bar. La rumena raccontò in un italiano stentato dell’uomo che uscendo dal gabinetto sembrava dovesse svenire; la strega ricordava di avergli servito una spremuta.- Mi ha messo paura, sa? Mi fissava con certi occhi da matto. Ho pensato: se ritorna chiamo il 113. Perché avevo già mo capito che quello lì era un maniaco sessuale. Un malato. Lionello Carbone contattò Galante e fece dare disposizioni per la ricerca attraverso le immagini registrate dalle telecamere dell’ATM intorno alle dieci nella stazione di Gambara.Se fosse salito su un treno avrebbero probabilmente scoperto anche la sua destinazione d’arrivo, restringendo così il campo per la ricerca di nuove tracce.Nel frattempo prese in considerazione l’eventualità che il ricercato avesse scelto di rimanere in superficie e provò ad immaginare quale direzione avrebbe preso se fosse stato nei suoi panni.“ I panni!!! “Di sicuro avrà avuto bisogno di procurarsi degli abiti.Dove e come?Un altro bivio si apriva: recuperare gli abiti da complici o comprarli?A pochi metri da lì c’era un grande magazzino, abiti anonimi a grande diffusione e basso prezzo. Non era forse la soluzione migliore? La più rapida e la più ovvia?L’esperienza gli aveva da tempo insegnato che le menti dei criminali non brillano per la linearità e la consequenzialità del loro agire e che scelgono spesso strade contorte per raggiungere i loro obiettivi, ma il caso Faggioni-Bacci rappresentava una di quelle eccezioni che servono a confermare le regole.I dirigenti del magazzino rintracciarono con solerzia il personale del reparto Uomo.

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La signora Sebastiana Della Torre era già a casa, ma nel corso di una conversazione telefonica si dimostrò molto ben disposta a fornire indicazioni più che dettagliate.Anche a lei non era sfuggito lo strano comportamento dell’individuo in maglietta e braghette che di gran fretta aveva acquistato la penultima camicia dell’assortimento Cancùn taglia XXL, in saldo a poco più di una dozzina di euro, e un paio di jeans Carrera taglia 48 per una cifra analoga. Dopo aver indossato gli abiti e ripiegato l’orlo dei jeans, aveva pagato con un bancomat e se ne era andato di corsa infilando i suoi stracci sporchi in un cestino per i rifiuti.La responsabile dei servizi amministrativi si chiamava Mariarosaria Ruotolo ed era di Vico Equense. Dopo aver speso qualche parola per condividere con il Segugio Meticoloso ricordi di scogliere e paesaggi subvesuvuiani, rintracciò rapidamente la ricevuta del pagamento tramite POS e fu ben felice di regalare alle forze dell’ordine l’ultima camicia Cancùn , per semplificare il loro lavoro.Carbone fu toccato da quell’esuberante desiderio di collaborazione e intraprendenza femminile, tanto più che la signora Ruotolo, quarant’anni ben portati, con i suoi riccioli neri e le sue rotondità ben sottolineate dallo stretto tailleur riga di gesso, appariva confacente per soddisfare molte delle sue più che frequenti fantasie erotiche.Le promise di restituire la camicia al più presto, impegnandosi con se stesso a trovare il tempo ed il coraggio per invitarla a bere qualcosa una volta risolto il caso. Nuovamente in strada, Lionello Carbone fu soccorso da alcuni refoli d’aria fresca , provvidenziali per rischiarare la sua mente di scapolo e spegnere sul nascere certi bollori.Stava già pensando di comunicare alla questura il nuovo abbigliamento del ricercato, quando vide oltre la circonvallazione, a qualche metro da Piazza Ghirlandaio, la bottega di un barbiere.Più che la sistematicità meticolosa erano la fortuna e l’istinto a spianargli la strada.In qualche minuto venne a sapere che Marco Bacci si era completamente rasato.Circolava come un bonzo vestito da texano.

L’ufficio del Commissario Capo Galante puzzava di sigaro nonostante le finestre fossero spalancate. Il suo vecchio cuore da poliziotto era ben allenato a sopportare gli stress e le sue coronarie se ne fottevano delle sinistre previsioni di tutti i gufi in camicie bianco che continuavano a dirgli di cambiare stile di vita, mettersi a dieta , rinunciare ai sigari e ai cicchetti di Averna, con cui si era abituato a favorire la digestione di pranzi e cene che non potevano mai essere gustati fino in fondo, perché c’era sempre qualche rottura di coglioni a portargli via la testa da ciò che passava per la sua bocca. Più di una volta si era accorto di ritrovarsi a pensare alle sue grane anche nel corso delle ormai rare cavalcate notturne tra le cosce di sua moglie.Faggioni voleva che questo Bacci venisse catturato al più presto e aveva messo il fuoco al culo a tutta la questura, ma sul suo tavolo c’erano anche molte altre questioni che dovevano essere indagate e risolte. Nessuno riesce ad immaginarsi quanti crimini grandi e piccoli si compiono in una città come Milano. Certo ci sono le statistiche che vengono pubblicate ogni anno dai giornali per verificare se la città è più o meno sicura a seconda che siano aumentati o diminuiti il numero dei mortammazzati e delle rapine a mano armata. Ma cosa significhi indagare ed agire per risolvere i casi nascosti dai numeri è impossibile da capire se non si poggia il culo dietro ad una scrivania come la sua.Per tutta la settimana aveva dovuto occuparsi di una faida tra clan di albanesi e di rumeni, che da mesi si stavano scambiando ogni genere di colpi per il controllo del mercato della droga e della prostituzione nell’area tra Buccinasco, Corsico e Cesano Boscone.C’erano stati morti, feriti, prostitute sfregiate e attentati incendiari. Aveva pizzicato anche qualcuno, ma sapeva che si trattava di galoppini e pesci piccoli che in breve avrebbero ricevuto l’ordine di espulsione e nel giro di poche settimane sarebbero tornati nei ranghi attraverso le mille strade controllate più dai clan che dalle forze dell’ordine.

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E come catturare il rapinatore solitario di tabaccai?Domenico Faggioni sapeva bene che non si possono accampare certe pretese.Prendere il presunto assassino di suo figlio nel giro di poche ore sembrava quasi impossibile.Nonostante Carbone avesse fornito una serie di elementi che potevano facilitarne il riconoscimento, dopo il suo passaggio dalla bottega del barbiere , il Bacci aveva fatto perdere le tracce.Sui cruscotti di molte autopattuglie e in tutti gli uffici di PS, Carabinieri e GdF penzolavano già identikit piuttosto precisi del maestro killer e sui terminali era stata inviata anche una copia della vistosa camicia Cancùn, ma oramai erano quasi le sei , presto sarebbe arrivato il buio e le strade si sarebbero affollate di gente con abiti eccentrici pronte per il divertimentificio del sabato sera. In quella folla anche il Bacci avrebbe potuto passare facilmente inosservato e prendersi un aperitivo al Giamaica o in qualsiasi altro locale della vicina Brera senza che nessuno lo notasse.Bisognava chiamare i media e far partire il tam-tam. Cascione, con i suoi tentativi , aveva perso tempo inutilmente.Dalla vedova non aveva ricavato nulla che li potesse aiutare e aveva perso un sacco di tempo per rintracciare questo dottore con il quale era al momento a colloquio in un ufficio al piano inferiore. La strizzacervelli era probabilmente via per il week- end e a casa della ex moglie del Bacci avevano trovato soltanto una lupetta piuttosto in là con gli anni chei abbaiava come una forsennata.Galante stesso aveva parlato con le sorelle ed i genitori del Bacci, aveva ispezionato i loro appartamenti e fatto mettere sotto controllo i loro telefoni, ma aveva già capito che il ricercato si era sempre più estraniato dalle loro vite e aveva con la sua famiglia d’origine solo qualche raro scambio telefonico in cui faceva sapere che era ancora in vita e poco più . Dalla stanza attigua, dove ronzavano diversi computer e i telefoni squillavano in continuazione, entrò un agente che posò sul suo tavolo la stampa di una mail appena inoltrata dalla GdF.I finanzieri avevano inseguito una vecchia Alfa 33 dopo aver notato una sospetta inversione di marcia in prossimità di un posto di blocco in Via Rubattino. Dopo aver bloccato il veicolo, avevano trovato due chili di hascisc nella ruota di scorta. Il guidatore senza documenti aveva dichiarato di chiamarsi Saddan Halini e di essere di nazionalità albanese.Halini e aveva subito richiesto di poter parlare con il Vicecommissario Gaetano Cascione.Galante sapeva che Halini era un clandestino che più volte aveva aiutato Cascione per ottenere di poter regolarizzare la propria posizione e restare in Italia. Cascione aveva messo la mano sul fuoco, aveva garantito per lui dichiarando che Halini avrebbe rigato diritto e non avrebbe mai creato fastidi.Galante decise che era ora di accendere il suo ultimo sigaro e di passare a riferire a Cascione che con Halini si era bruciato una fetta di credibilità.

- Glielo ripeto per l’ennesima volta: Marco Bacci per me è un paziente del tutto atipico, per via di una lunga amicizia è iniziata tanti anni fa.. Il mio ruolo di medico in questa vicenda è ininfluente.Il Vice Commissario Cascione studiava con attenzione l’insolita figura del medico seduto sulla riva opposta della sua scrivania. Nella sua testa da similalieno aveva scritto una specie di formula matematica, una proporzione che recitava: il Dott. Ferrigno sta alla categoria dei medici come il Vicecommissario Cascione sta a quella dei poliziotti. C’era una qual certa consonanza nella forma dei loro crani e nel modo di indossare quell’identico giacchino di jeans del medesimo punto di azzurro.- Le posso però assicurare- riprese il dottore dopo una breve pausa- che non aveva dipendenze da psicofarmaci o da altre sostanze sia legali che illegali.Un medico e un poliziotto che un tempo si sarebbero definiti alternativi.Il primo continuava a parlare come uno studente che non ha preparato l’interrogazione, quasi volesse impedire al secondo di formulare domande indesiderate.

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- Conosco Marco meglio di chiunque altro. È a me che ha sempre raccontato tutto, anche quello che non poteva confessare ai suoi genitori, alle sue sorelle, alle sue fidanzate e a sua moglie. Si può tranquillamente escludere che abbia incaricato qualcuno di uccidere Franco Faggioni. Le ribadisco poi, che non può essere stato lui l’autore materiale dell’assassinio. Come le ho già detto non c’è alcuna possibilità che Marco riesca a centrare con tanta precisione un bersaglio. Gli è fisiologicamente impossibile. Anche a distanza ravvicinata sbaglierebbe di sicuro. Gli tremerebbero le mani. Marco, se mi è permesso esprimermi con franchezza, ha delle vere e proprie mani di merda. E anche la sua mira lascia proprio a desiderare. Ogni volta che siamo andati al tiro a segno ha sempre rimediato delle figure pietose. Per riuscire a beccare un bersaglio dovrebbe sparare non tre, ma trecento colpi e forse non basterebbero. Vede, Marco è un soggetto altamente emotivo e l’ho visto diverse volte cacciarsi nei casini, farsi coinvolgere in risse verbali e non, in maniera incosciente ed incontrollata, senza paura delle conseguenze, senza timore di prenderle, come gli è successo più volte, perchè non ha ne’ la freddezza ne’ la cattiveria necessarie per cavarsela in queste situazioni. Il Dott Ferrigno allargò le braccia e sbuffò scuotendo il capo in maniera quasi teatrale. - E poi non è il tipo da sentirsi soddisfatto con una vendetta. Non glie n’è mai fregato un cacchio delle vendette. Marco è più che abituato a perdere, anzi è un ottimo perdente. Anche al tennis perdeva sempre. In più è pure interista. E non c’è niente che ti possa istruire meglio sull’arte del saper perdere come essere interisti. Non riesco a vedere Marco Bacci come autore o mandante di questo omicidio.Il dottore puntò i suoi occhi in quelli del Vice Commissario quasi volesse con un baluginare luciferino scolpirgli nel cervello l’inoppugnabilità del proprio assunto.-Infine non riesco assolutamente a concepire una situazione tipo il Maestro Bacci e Mr. Hide. Se avesse una personalità schizoide in tutti questi anni avrei avuto il modo di accorgermene. Marco è un anarchico irriverente e provocatorio, pronto a spendersi per cause in cui c’è poco o nulla da guadagnare. Ma non pericoloso, almeno non per gli altri.Il Vice Commissario sfogliò per l’ennesima volta il fascicolo di schede informative riguardanti il passato di Marco Bacci. Ciò che il Dott. Ferrigno andava sostenendo era vero: le informazioni erano inerenti ad occupazioni di scuole, di case, di fabbriche, alle partecipazione a manifestazioni non autorizzate, ad atti di resistenza passiva durante blocchi stradali e ferroviari, alla diffusione indebita di materiale propagandistico per le rivendicazioni dei diritti dei soldati di leva nelle caserme .- Col passare del tempo era diventato più assennato. Era un pezzo che rigava diritto. Poi ad un tratto ha cominciato a parlarmi di questa donna dal nome esotico, che non ho mai avuto il piacere di conoscere. Diceva che gliel’aveva mandata il destino. Che doveva assolutamente liberarla dallo stato di oppressione in cui viveva. E dopo che questo love affair è stato scoperto mi risulta che non l’abbia più frequentata. Forse non si parlavano più.Per lui la storia era finita. Basta.Ci fu un tempo di silenzio in cui i due parvero condividere pienamente lo stesso senso di comprensione e compassione per quel terzo uomo, ricercato e in fuga.Ma c’era un quarto uomo a cui qualcuno aveva infilato tre pallottole in corpo.Erano in molti a voler dare a questo qualcuno il nome di Marco Bacci.Dopo un lungo sospiro Gaetano Cascione ruppe il silenzio.- Dottore, quello che lei mi sta dicendo coincide con quello che la vedova di Franco Faggioni mi ha dichiarato oggi stesso e sebbene anch’io vorrei che il suo amico potesse dimostrare la propria innocenza, non posso negare che permangono motivi di sospetto non indifferenti. Abbigliamento e corporatura dell’assassino coincidono perfettamente. In più sembra che sia l’unico ad avere un movente per un simile gesto. Comprenderà anche lei che la latitanza aggrava notevolmente il quadro. E possiamo solo sperare che le rilevazioni cromografiche di particelle di sparo, eseguite sugli indumenti trovati nel suo armadio, diano esito negativo, altrimenti nemmeno il migliore degli avvocati riuscirebbe a farlo assolvere, a meno che lui abbia un alibi inattaccabile!Il Dott. Ferrigno con un lento chinar del capo affermò il suo assenso.

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- A me non resta che invitarla a fare il possibile per convincere il suo amico a costituirsi e a collaborare con noi per l’accertamento della verità...Il dottore fece appello alle sue risorse di pokerista e mentre si diceva :“ ‘Sto pesce! Tu potrai pure essere in buona fede, ma qui stai in pessima compagnia...”dichiarò che nel caso il Bacci si fosse fatto vivo avrebbe fatto di tutto per convincerlo a consegnarsi.Cascione spinse la sua sedia all’indietro come volesse prendere una distanza necessaria per scrutare meglio il suo interlocutore e sul suo volto si dipinse una smorfia più che eloquente per indicare quanto poco contasse la formale promessa del Dott. Ferrigno.Il grosso orologio, appeso al muro proprio allo zenit del suo appuntito cranio calvo, diceva che le sei erano passate da poco più di cinque minuti.Il Dott Ferrigno si alzò.-Se non c’è altro...Anche Cascione si alzò, ma invece di congedarlo gli rivolse un’altra domanda.- Il suo amico si è rivolto ad una psicoanalista. Cosa mi può dire al proposito?- Le posso dire che sono stato proprio io a convincerlo a mettersi in analisi. Mi sembrava che ne avesse veramente bisogno. Ho avuto garanzie sulla professionalità della Dottoressa Castelli e li ho messi in contatto. Marco ha dovuto vincere la sua riluttanza, ma poi mi ha ringraziato di questo mio interessamento e posso confessarle che mi sembra che il lavoro stia dando frutti eccellenti. Lo dico sia come amico che come medico. È tutto?- Nient’affatto. Ho ancora altre domande. Che ne dice di tornare a sederci?Desolatamente il Dott Ferrigno si lasciò cadere sulla sua sedia.- Ho cercato invano questa Dottoressa perché mi preme sapere se anche lei può escludere che il Bacci possa celare una personalità schizoide. Per caso mi può fornire un altro recapito di questa psicoanalista, un numero di cellulare, un indirizzo e-mail?- No. Ho passato i dati a Marco, ma personalmente non ho avuto alcun contatto con questa signora. -Cosa le dicono questi nomi : Edo e Fulvio?Una bestemmia muta prese forma nella testa del dottore.“ Cazzarola ! Mo che m’invento? ” Si ricordò che in certi casi la miglior risposta è un’altra domanda.- Perché me lo chiede?- Perché mi risulta che appartengano ad una stretta cerchia di amici fidati del ricercato. Capirà che dobbiamo verificare che non sia nascosto pressso le loro abitazioni e ricavare da loro il massimo d’informazioni possibili per poterlo intercettare prima che sia troppo tardi.- Cosa intende con questo troppo tardi?- Intendo che con il passare delle ore il suo amico potrebbe sentirsi schiacciato dal peso della colpa, se è stato lui ad uccidere Faggioni. Se invece è innocente ad opprimerlo potrebbe essere un senso di ingiusta persecuzione. Entrambe le situazioni potrebbero spingerlo a compiere un gesto irrimediabile.- Come il suicidio?- Non mi stupirebbe.Il Dottore si arrese.- Sinceramente non stupirebbe neanche me.- Vedo che cominciamo a capirci meglio.Il dottore sbuffò sonoramente, inforcò gli occhiali da vista ed estrasse un’agendina dalla tasca interna del suo giacchino.- Dunque ..Edo o Eduardo... Se mi dà carta e penna le copio i suoi numeri di telefono.Gaetano Cascione fu ben felice di soddisfare quella richiesta .

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- Invece Fulvio di cognome fa Santerno ed è un insegnante all’Accademia di Brera...- il dottore ebbe paura di aver sbracato troppo e cercò di rimediare- però non ho il suo numero di telefono, né l’indirizzo. Glieli farò avere appena...- Non si preoccupi li troveremo con facilità. A chi pensa che abbia chiesto aiuto?Il dottore guardò il poliziotto con un sorriso in cui si leggevano al contempo l’orgoglio e il sollievo.- Di solito si rivolge a me quando è nei guai. Però questa volta ha agito differentemente e comunque non credo che si sia nascosto presso uno di loro...- Dove crede che sia andato a nascondersi ?Il Dott.Ferrigno rimase pensoso. Non sapeva veramente che pesci pigliare. Non riusciva a fare una corretta diagnosi della situazione. Il suo amico era in un grosso pasticcio e l’unica medicina a disposizione per tentare un salvataggio sembrava quella di collaborare con le forze dell’ordine.Decise di parlare sforzandosi di credere che non ci fosse scelta.- Come le ripeto non ne ho la più pallida idea. Potrebbe essere dovunque. Però non credo che sia rimasto in città. Se mi dovessi far guidare dall’istinto non lo cercherei né da amici né da parenti. Marco è sempre stato un grande amante della montagna e ci sono diverse zone che conosce alla perfezione.- Per esempio?- Per esempio l’alta Valle Seriana o la Valsassina. - Sono posti in cui è difficile passare inosservati.- Certo, però se uno conosce la zona può trovare malghe abbandonate e altri rifugi in cui passare diversi giorni senza incontrare nessuno.- Lei crede di poterci indicare qualcuno di questi luoghi?- No. Ricordo però la prima notte della mia vita in cui ho dormito sotto una tenda. Sono andato con Marco in una zona dalle parti di Bratto, in Val Seriana. Avevamo solo quattordici anni, ma lui conosceva già un sacco di luoghi che sembravano proprio rifugi segreti. Gallerie per gli acquedotti, miniere abbandonate, stalle in disuso. Era tutto molto avventuroso e ci piacque moltissimo.-Potrebbe essere tornato proprio lì?- Come posso saperlo? Quello che voglio farvi capire è che se non vuole farsi trovare, non sarà facile stanarlo. Inoltre conosce un sacco di persone in ogni regione d’Italia e anche in molti paesi europei ed asiatici. Può andare ovunque e trovare appoggi con facilità. -Capisco. In ogni caso manderò un all’erta particolare ai Carabinieri di Bratto. Non si sa mai che i ricordi di gioventù lo abbiano indirizzato proprio da quelle parti. La prego di scusarmi un attimo.Gaetano Cascione uscì dalla stanza.Rimasto solo il Dott Ferrigno si sentì quasi sollevato dall’aver rivelato al poliziotto queste considerazioni, affiorate non si sa come dal suo subconscio. Aveva voglia di uscire, accendersi una sigaretta e correre da suo figlio. A quell’ora il traffico doveva essere impossibile. Forse era meglio chiamare Pietro e dirgli che per il biliardo non c’era più tempo. Un forte odore di sigaro lo costrinse a voltarsi verso la porta alle sue spalle.Il Commissario capo Galante se ne stava sulla soglia con le mani sui fianchi, mezzo toscano fumante tra le labbra e l’espressione di chi non è del tutto sicuro di trovarsi al posto giusto. Il nuovo arrivato tirò qualche boccata prima di chiedere all’individuo barbuto, che lo fissava muto, la conferma fosse davvero quello l’ufficio del Vice Commissario Cascione .- Sì – rispose il dottore – l’ufficio è questo, però il Signor Cascione è uscito un attimo.Galante si sedette sulla poltroncina di Cascione.- E auguriamoci che sia davvero un attimo che ho voglia di uscirmene pure io.- Non lo dica a me. Avrei dovuto essere a casa da un pezzo... Posso fumare anch’io?- domandò timidamente il dottore ammiccando verso il cartello VIETATO FUMARE ..- No, lei no.- rispose bruscamente Galante senza guardarlo..- Perchè io no?

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- Ma come non sa leggere? C’è un cartello tanto davanti alla punta del suo naso.- Ma lei sta fumando un sigaro!- insistette il dottore.- Ma che dice? Qui nessuno fuma. In questura tutti rispettano a puntino ogni genere di regola.- Posso sapere con chi ho il piacere? C’era una buona dose di dispetto nella domanda del dottore.La risposta gli arrivò dal rientrante Cascione.- Dottor Ferrigno le presento il Commissario Capo Galante, responsabile di questa squadra.Non ci fu il tempo per una stretta di mano. Galante ignorò il dottore e si rivolse al suo subordinato.- Dove ti eri imboscato Cascione ? - Ero andato di là a dare disposizioni per..- Lascia perdere che non mi fotte nulla. Sono passato per dirti che hanno pizzicato il tuo Halini ,dalle parti di Lambrate, con due chili di cioccolato nella ruota di scorta.Cascione smoccolò in silenzio.Galante gli allungò una pacca sulle spalle.- Non è la tua giornata Casciò. A proposito: alle sette e trenta cominceranno ad apparire in televisione le foto di quel minchione che ha sparato al figlio di Faggioni. Ho già fatto diramare un comunicato stampa. Non si sa mai che qualche santo ci aiuti a pizzicarlo in fretta, così la smettono di romperci le palle.Ferrigno guardava Cascione come a chiedergli il permesso di abbandonare l’incresciosa situazione e questi acconsentì con uno sguardo colmo di dispiacere.Il Dott. Ferrigno raccolse la sua agendina e allungò una mano a Cascione.-Se ha novità mi faccia sapere.- Ci conti.Il dottore si voltò per uscire, chinando il capo per nascondere la falsità della sua rassicurazione, ma si trovò il passo sbarrato da un agente che stava entrando in tutta fretta nell’ufficio.- Ci hanno telefonato i Carabinieri di Assago. Sostengono di aver visto il ricercato Bacci verso le 17 mentre procedeva in direzione di Pavia transitando presso il loro posto di blocco lungo la statale dei Giovi.- Hanno fornito numero di targa o tipo di veicolo? Domandarono ad una voce Cascione e Galante.L’agente esitò un istante come se cercasse le parole adatte.- Allora ?- incalzò Galante-L’unico veicolo di cui si fa menzione è una bicicletta blu.“Che immenso pirla. Ma come gli è venuto in mente di darsela in bici?” Per non mostrare i suoi pensieri, il Dottor Ferrigno chiuse gli occhi e appoggiò il suo crapone contro il muro più vicino.

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Capitolo settimo

Domenico Faggioni fumava nervoso.Le sigarette tirate con rabbia avevano appestato l’aria del salottino accanto allo studio, nel suo appartamento di Via Canova. In quella orribile giornata non aveva mangiato, non aveva bevuto, si era nutrito di rabbia e nicotina.Sua moglie piangeva e piangeva e lui che non la poteva e non la voleva consolare, aveva lasciato ad alcune donne di famiglia il compito di starle accanto.La servitù si muoveva muta e silenziosa, quasi strisciando tra le pareti dell’immenso appartamento. Le suonerie dei telefoni erano state silenziate e il suo segretario personale rispondeva alle chiamate con il preciso ordine di passare la linea solo nel caso di comunicazioni da parte delle forze dell’ordine. Valentina, la nipotina, era stata spedita con una baby-sitter sul Lago Maggiore a casa di alcuni zii e cuginetti a lei cari. Per il momento doveva sapere solamente che la mamma era in ospedale insieme a papà e che presto li avrebbe visti arrivare.Domenico Faggioni si sentiva responsabile della morte di suo figlio. Avrebbe dovuto liquidare quel maestro bastardo e far cacciare Amaranta da casa.Avrebbe dovuto farlo da un pezzo, altro che minacce e controlli. Una volta scoperta la tresca, con una chiamata al Folgore avrebbe potuto risolvere tutto. Nel giro di poche ore al Bacci sarebbe capitato un incidente mortale mentre se ne andava a scuola e stop.Spense la sigaretta in un portacenere ormai traboccante di mozziconi. Lo allontanò con un braccio spingendolo fino al bordo del tavolino da tè in ebano, nero come tutti gli arredi del suo salotto, nero come il lutto che era piombato sulla sua famiglia, nero come i liquidi che circolavano nelle sue viscere.In certi momenti bisogna avere il coraggio di non mentire a se stessi e Domenico Faggioni dovette riconoscere che non aver eliminato quel donnaiolo era stato solo l’ultimo di una catena di errori.Non avrebbe mai dovuto consentire alla figlia di Blanquez di sposare Franco.Anche lei doveva pagarla cara.L’avrebbe torturata volentieri con le sue stesse mani. L’avrebbe fatta portare in una delle stanze per interrogatori particolari che poteva usare a suo piacere. Avrebbe distillato la sua vendetta, spiando quella donnaccia tracotante nel momento dell’umiliazione più profonda, della sofferenza più bruciante. Violentata, sodomizzata, insozzata e offesa fino al punto in cui sarebbe stata lei stessa ad implorare il colpo di grazia. Quante ne aveva già viste uscire baldanzose di casa, con un preservativo ed un rossetto nella borsa, fiere della propria emancipazione, contente di essere ribelli, femministe, donne liberate pronte a gridare ai quattro venti la loro voglia di aborto, di divorzio, di trasgressione senza limiti, quante ne aveva viste in ginocchio ad implorare la mamma e la Vergine Maria per ottenere una briciola della sua pietà! Troie , tutte troie , pronte a leccare la punta dei suoi stivali pur di sottrarsi ai suoi supplizi..Prima o poi sarebbe toccato anche ad Amaranta pagare il fio delle sue colpe. Quella puttana era ora sotto piantone all’ospedale, ma presto...Si alzò per cercare un’altra sigaretta e un altro posacenere.Tutti i pacchetti abbandonati sui vari mobili della stanza erano tristemente vuoti.Si ricordò di avere ancora una stecca nell’ultimo cassetto di un armadietto cinese laccato di nero.Accanto alle sigarette c’era una Beretta 7e 65 con un caricatore di riserva e una scatola di pallottole.Quella pistola sembrava messa lì per ricordargli come si risolvono i problemi.Pensiero e azione.Pensiero: eliminare Bacci.Azione: mirare e schiacciare il grilletto.Pam ! La Beretta ubbidisce immediatamente.

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El Caudillo, Salazar, Pinochet, loro avevano chiaramente capito che se vuoi dominare devi essere diretto, dritto all’obiettivo senza indugi , inarrestabile come un proiettile corazzato.In Italia soltanto Lui, il Duce, era riuscito a imporre un modus operandi capace di condurre la nazione oltre le paludi dei macchiavellici intrighi, buoni solo a creare uno stagnante immobilismo.Ed ora non c’era più nessuno che sembrasse in grado di guidare la riscossa, nemmeno Rauti e men che meno la Nipote.Il suo Franco era stato vigliaccamente assassinato da un insulso reietto e in tutta la questura non c’era persona capace di stanarlo.Non erano ancora state ordinate perquisizioni a tappeto, non erano ancora stati emessi mandati d’arresto, non si era ancora messo qualcuno sotto torchio affinché saltasse fuori rapidamente il luogo in cui quel verme si era rintanato.Smidollati, incapaci.Quando lui era ancora negli effettivi della DIGOS, le operazioni si svolgevano in tutt’altra maniera. Se fossero stati così titubanti e lenti nel decidere, il paese sarebbe divenuto presto uno colonia bolscevica.Un cordless si mise a ronzare.La voce sommessa del segretario gli chiese con tutta la deferenza di cui era capace se gradiva parlare con il Commissario Capo della Squadra Anticrimine.Il grugnito ottenuto in risposta fu sagacemente interpretato come un assenso.- Buonasera . Sono Galante.- Non è una buonasera.- Certo, lo immagino ... mi sono permesso di disturbarla per farle sapere che l’abbiamo in pugno.- Lo avete arrestato?- No, purtroppo non ancora, ma sappiamo dov’è.- ....- Sta fuggendo lungo la statale dei Giovi, verso sud. - Lei è un vero coglione! Come può affermare di averlo in pugno? A sud di Milano si stende tutta l’Italia peninsulare ed insulare, si va verso il Mar Mediterraneo con i suoi infiniti approdi e lei afferma serenamente di averlo in pugno. Ma si rende conto?- Abbia pazienza, non può sfuggirci. Sta scappando in bicicletta, sono già partite diverse pattuglie sia da Milano che da Pavia , gli stiamo buttando addosso una rete da cui non potrà sfuggire.- Potrebbe cambiare mezzo, incontrarsi con qualcuno disposto a caricarlo in auto. - I nostri posti di blocco lo intercetterebbero in ogni caso, se solo tenta di forzare sarà peggio per lui. Tra meno di un’ora il suo viso comincerà ad apparire su ogni notiziario televisivo. Non può sfuggirci.Un altro grugnito segnalò che la conversazione era terminata.Domenico Faggioni si ritrovò nuovamente nel silenzio cupo del suo salotto, illuminato solo da una piccola abat-jour posta alle sue spalle.In piedi, davanti ad una finestra chiusa con le tapparelle abbassate, vide la sua immagine riflessa nei vetri: un vecchio secco ed emaciato, piegato da un immenso dolore. Le sue braccia si allungavano penzule ai lati del suo magro corpo. Nella mano destra la pistola, nella sinistra il cordless. I capelli, bianchissimi e folti, aggrovigliati come le sue budella. Le mille rughe del volto più profonde che mai.Pensiero: finiamola con questo strazio.Azione: appoggiare la canna della pistola alla tempia e premere il grilletto.Si vide mentre sollevava l’arma, sentì il freddo metallo contro la sua tempia , chiuse gli occhi.No, non ancora ! Prima doveva compiersi la vendetta. Doveva dissetare il suo demone con il sangue delle canaglie che avevano osato tradire suo figlio.Gettò arma e telefono sul divano di pelle nera.Improvvisamente trovò insopportabile l’aria viziata dal fumo di tutte le sue sigarette.

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Spalancò la finestra, sollevò gli avvolgibili e uscì.Dal terrazzo del suo attico Domenico Faggioni dominava un’ampia fetta della città. La sua vista spaziò oltre le alte cime degli alberi del Parco Sempione e si diresse verso Sud.Il suo nemico era là e lui lo voleva acciuffare.Si riempì i polmoni d’aria, cercò di farsi più dritto e imponente, rientrò nel salotto e lo attraversò a grandi passi dirigendosi verso il suo studio. Rimosse da uno scaffale alcuni grossi tomi sulla storia di Roma antica, liberando così lo sportello di una piccola cassaforte. La aprì con la chiave che teneva alla cintola.Con gesto sicuro estrasse un cellulare e lo accese.Dopo qualche secondo pigiò il tasto numero uno. Attese pochi secondi.- Comandante, ai suoi ordini.- Folgore, ho bisogno di te. Immediatamente.- Signorsì, sto già arrivando.

Intorno alle diciotto e trenta Marco Bacci si era già divorato una bella fetta di Bassa.Subito dopo Rozzano aveva abbandonato la statale dei Giovi e per stradine e stradelle che si perdevano tra granturco, stalle e un infinito numero di capannoni..Certo non era più la Bassa da cui Gianni Brera evocava le epopee contadine di fuitbol e ragasse, e nemmeno quella che Paolo Conte sapeva tingere di esotismo con le sue milonghe ed i suoi tangacci . Corriere e paracarri erano scomparsi, topolino amaranto non se ne vedevano, le armoniche di Stradella cantavano altrove, però si incontrava ancora qualche vecchia casa solitaria in mezzo alle stoppie con solo un geranio al balcone, un’antenna parabolica sul tetto e un SUV parcheggiato accanto al trattore.Marco Bacci si trovò a transitare attraverso una piccola frazione cui avevano affibbiato un nome insolito : Vivente.Un sorriso amaro disegnò la sua bocca. Pedalata dopo pedalata, il fuggitivo si era imbattuto in una lunga teoria di animali morti ai bordi della via. Cani, gatti, nutrie, pantegane, rettili, anfibi, volatili di ogni specie : il vivente ridotto a poltiglia, sacrificato a Kaliug, il dio della velocità che secondo la mitologia indù avrebbe finito col distruggere il mondo per poi ridare inizio ad un nuovo ciclo di ere.Marco Bacci aveva il cuore gonfio di mille dolori ed altrettante angosce e quindi cercò di scacciare queste tristi considerazioni per dare una forma più concreta al suo piano di fuga.Aveva intenzione di continuare a pedalare per un paio d’ore tenendosi il più possibile lontano dalle grandi vie di comunicazione. Ancora pochi chilometri e sarebbe giunto al Castello di Belgioioso e poi avrebbe attraversato il Po dalle parti di Stradella ed infine avrebbe cominciato a salire puntando al laghetto di Trebecca. Sapeva che lì avrebbe trovato un capanno utilizzato come rimessa dagli istruttori di wind-surf.. Aveva intenzione di dormire lì, senza forzare il lucchetto del capanno, badando di non lasciare tracce, per poi rimettersi in sella alle prime luci dell’alba, molto prima dell’arrivo degli istruttori. Con il fresco della mattina avrebbe scalato il Passo del Penice e poi si sarebbe tuffato verso la Liguria. Confuso tra la massa dei turisti domenicali avrebbe raggiunto la Toscana dove poteva contare sull’appoggio di alcuni amici. Bisognava solo scegliere i più fidati e i più isolati.Prendeva corpo l’idea di rintanarsi nei dintorni di un piccolo paese in Val d’Elsa, in una casa isolata dove non arrivava nemmeno il postino. Sul terreno di proprietà dei suoi amici, si trovavano alcuni annessi, tra cui una piccola stalla in legno dove anni addietro si ricoveravano le capre. L’ubicazione del caprile era tale che Marco avrebbe potuto tranquillamente muoversi senza essere visto dagli abitanti della casa e dagli occasionali visitatori.Inoltre Frank e Jenny, italianissimi nonostante l’anglicizzazione dei loro nomi di battesimo, avevano spesso stravaganti ospiti della costellazione alternativo new-age che dimoravano più o meno a lungo

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sotto i loro tetti usufruendo della loro straordinaria ospitalità, per cui nessuno dei contadini e cacciatori che transitavano in zona avrebbe avuto modo di notare la presenza di un ulteriore estraneo. Marco era stato da loro tutte le volte che aveva avuto bisogno di un luogo in cui riprendersi da dolori o fatiche.Stava entrando nell’abitato di Belgioioso e si guardò attorno in cerca di una fontanella a cui dissetarsi. Eccone una in un angolo di similverde, tra due panchine di legno ben coperte da graffiti a coltello .Un anziano in canottiera e braghette da calcio si godeva il fresco della sera, guardando i volteggi impazziti delle rondini tra i tetti e le cime dei platani che facevano da sentinella a quella piccola aiuola.Dopo un’abbondante bevuta, Marco sentì il bisogno di lavarsi e di cambiarsi la camicia. Si mise a torso nudo e ficcò la testa sotto l’acqua corrente. Quando si drizzò, ampi rivoli d’acqua corsero lungo la sua schiena, sul petto e sulla pancia. Ristorato dalla bella sensazione di fresco, cominciò a sfregarsi per bene tutto il viso e il tronco fino a che si sentì nuovamente pulito e pronto per ripartire. Non doveva perdere tempo. Alle sette doveva già essere sull’altra riva del Po, lanciato verso Stradella dove avrebbe comprato l’indispensabile, prima di affrontare la sua notte in Val Tidone. Ripose la camicia Cancun nella borsa, indossò una T-shirt azzurro intenso e ripartì di gran carriera, dopo aver fatto ciao con la mano al vecchio che aveva trovato i suoi lavacri più interessanti delle acrobazie delle rondini.

Il telefono del Commissario Capo Galante era bollente, scottava.Ormai era una questione di puntiglio, di orgoglio personale ferito che esigeva vendetta immediata. Doveva schiaffare in gattabuia quel ciclista pellegrino e lo voleva fare il più in fretta possibile. Voleva costringere Faggioni ad ammettere di essersi sbagliato sulle sue capacità. Però doveva fare i conti con il fatto che il sabato sera la maggior parte degli agenti in servizio era assegnata ad altri compiti, servizi d’ordine per manifestazioni di vario genere, pattugliamenti, scorte, e in più sia la Polstrada, che la Narcotici, pur fingendosi disponibili alla massima collaborazione non si sognavano nemmeno di posporre i loro interessi a quelli della squadra Anticrimine. La Benemerita e la Finanza, sostenevano di aver già fatto il possibile nel corso della giornata e di non poter assolutamente sviare i propri effettivi in servizio notturno da altri ed improrogabili compiti.Galante si risolse a chiamare sia il Questore che il Prefetto e da entrambi fu prima cazziato per l’indelicatezza di una simile chiamata a quell’ora del Santo Sabato e poi sbeffeggiato per la magra figura rimediata con il ferimento del Cappuccino, infine entrambi si impegnarono a chiedere la collaborazione dei loro pari grado nelle province limitrofe di Pavia, Lodi e Piacenza, Cremona. A spingerli a cotanto passo fu sicuramente l’elenco dei ministri e dei segretari di partito interessati ad una rapida conclusione della vicenda. Galante calò uno dopo l’altro quei carichi pesanti, più o meno nello stesso ordine in cui aveva ricevuto le telefonate nel corso della mattinata. Ovviamente utilizzò il suo pathos partenopeo per colorire di tinte drammatiche il contenuto di quelle conversazioni avvenute sulla scena del delitto e quindi fece capire agli alti funzionari che la loro partecipazione alla cattura del Bacci avrebbe potuto un giorno essere debitamente ricompensata, senza contare che fin da ora li avrebbe messi in buona luce agli occhi di uomini così potenti.Alle 19 e 15 Galante disponeva di una task force di ben venti equipaggi e dopo aver presunto che un ciclista, in tenuta più turistica che sportiva, non poteva aver coperto più di trenta chilometri nelle ultime due ore, diede disposizioni perchè venissero piazzati dieci posti di blocco in corrispondenza di tutti i ponti che attraversavano il Po e il Ticino tra Abbiategrasso e Cremona . Dovevano controllare non solo i ciclisti ma ogni mezzo in transito e verificare l’identità di tutti i maschi senza capelli.L’agente scelto Lionello Carbone era già partito da oltre un’ora con l’intenzione di percorrere la statale dei Giovi fino a Pavia, cercando informazioni presso ogni bar, chiosco o negozio e interrogando qualsiasi ciclista, jogger o podista in entrambi i sensi di marcia, nella speranza di ottenere segnalazioni utili. Con quella camicia il Bacci non poteva passare inosservato.

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Una volta organizzato il tutto, Galante si sfregò le mani e rigirandosi il mozzicone di toscano tra le labbra sentenziò: “ Stu capemmerda cascherà nella mia rete come un piscillo da frittura!.”Nel momento in cui un equipaggio di Carabinieri piazzava il suo posto di blocco a sud di Spessa e S.Zenone Po, sulla riva orografica sinistra del fiume, Marco Bacci stava entrando in un ipermercato presso Stradella , a oltre tre chilometri sulla riva destra.O piscillo era sguisciato tra le maglie prima che la rete si chiudesse.

Il Vicecommissario Gaetano Cascione fu invitato a tornarsene a casa per non aggravare le sue già precarie condizioni di salute.Galante si sentiva ora più a suo agio senza quello sguardo che continuava a ricordargli che stavano buttandosi a corpo morto su quella pista , solo per compiacere la grigia eminenza di Faggioni pater.Cascione invece si sentiva distrutto nel fisico e nel morale.Si stava domandando se non fosse arrivato il momento di gettare la spugna. Nel vagone della metropolitana molte persone sfogliavano quotidiani sulla cui prima pagina si dava ampio spazio ai 63 avvisi di garanzia recapitati ad altrettanti agenti e funzionari di P.S. per le violenze e le torture e gli inganni perpetrati durante l’irruzione alla scuola Diaz di Genova.Che ci azzeccava lui con quel genere di colleghi?Era giusto combattere per la Giustizia costellando d’ingiustizie il proprio cammino?Questa indagine sembrava arrivata per metterlo di fronte ai suoi problemi di coscienza.Per scagionare il Bacci esisteva un’unica strada: trovare il vero colpevole. L’indomani avrebbe affrontato Galante a muso duro. O gli si dava il via libera per scavare nella vita della vittima, e conseguentemente anche in quella di suo padre, o lui si sarebbe messo in malattia e poi...Erano già in tanti a dar la caccia al colpevole designato. Lui poteva dedicarsi ad altro. Per fare ordine nella sua mente e concentrarsi meglio inserì nel suo walkman una vecchissima collezione di brani dei Pentangles, con il ricco fingerpicking di John Reinburn .Prima di considerare il Bacci come l’unico indiziato, bisognava:- passare al setaccio abitazione ed ufficio della vittima;- interrogare dipendenti e collaboratori per scoprire eventuali screzi anche remoti; licenziamenti o altre situazioni generatrici di rancori;- contattare gli avvocati di famiglia per scoprire l’eventuale esistenza di contenziosi con vicini di casa, assicuratori o privati coinvolti in qualche sinistro anche banale; - approfondire l’episodio della lite con gli extracomunitari.Cascione intuiva che non sarebbe stato per nulla facile muoversi tra i mille ostacoli che Domenico Faggioni avrebbe posto per impedire la sua indagine.Reinburn concluse il suo assolo con una serie di squillanti armonici e Cascione sollevò lo sguardo per controllare a quale fermata il treno aveva aperto le sue porte pneumatiche. Si accorse di trovarsi tre fermate oltre la sua e si scaraventò in tutta fretta fuori dal vagone tra gli insulti dei passeggeri che si vide costretto a spintonare.“ Gaità, ma quando imparerai a ruminare a testa alta! “

Marco Bacci non amava gli ipermercati.Quella sera invece scelse l’Ipermercato Stella, perché si sentiva più sicuro confuso tra la gente.Comprò mezzo litro di latte, spazzolino, dentifricio, saponetta, salviette di carta inumidite, qualche mela e delle gallette d’avena, una bottiglia d’acqua e una lattina di birra tedesca .Mentre stava recandosi alle casse si ricordò che sarebbe stata estremamente utile una riserva di pile per la torcia elettrica e quindi ritornò velocemente verso l’ingresso nel reparto elettrodomestici.

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Il reparto era pieno di televisori accesi, tutti sintonizzati sullo stesso canale che in quel momento lanciava la sigla del tg serale.Marco Bacci ritenne doveroso controllare se venivano diffuse notizie sul caso in cui era coinvolto..Il mistero poteva essere già risolto e la sua fuga non sarebbe stata più necessaria.Le prime notizie erano riferite alla politica internazionale, con il caso Iraq sempre in testa, seguito dai servizi sulla morte del ministro svedese Anna Lindh ucciso a coltellate probabilmente da un fanatico nazionalista contrario alla politica europeista della vittima.Per qualcuno una simile divergenza di opinioni era sufficiente per giustificare l’uccisione dei rivali. La notizia successiva lo riguardava più da vicino perché annunciava il sì definitivo delle camere alla Riforma Moratti. Anche in questo caso venivano inferte un bel numero di coltellate alla povera vecchia scuola che diventava sempre più misera e vuota nonostante il walzer di nuove parole e sigle quali tiutor, portfolio, piessepionlain, osa e pecup con cui si tentava il maquillage di un altro massacro. La catastrofe successiva riguardava il naufragio di un traghetto tra Livorno ed Olbia da cui erano stati salvati ben 160 passeggeri.La breve gioia di questo salvataggio veniva subito offuscata dalle reazioni agli avvisi di garanzia inviati agli agenti di PS per l’irruzione alla scuola Diaz. Reazioni in cui il senso dei diritti e dei doveri dei cittadini con o senza uniforme veniva profondamente manipolato da chi in nome della salvaguardia delle istituzioni democratiche era disposto a giustificare i peggiori abusi di potere. I fedeli venivano quindi confortati: il malore che aveva colpito Giovanni Paolo II durante la sua visita in Slovacchia era considerato con ottimismo da parte dei medici e ci si attendeva una pronta ripresa .Le cose andavano peggio invece per il leader palestinese Yasser Arafat, prigioniero e assediato in casa propria con i cannoni dei tank israeliani puntati sulle sue finestre.La pagina di cronaca nazionale si apriva purtroppo con le immagini dell’omicidio di Via Villoresi. Il servizio, in cui la vittima veniva presentata come un giovane commerciante di successo, parlava di tipico delitto di stampo passionale. Si vedeva la BMW nera con il parabrezza forato in più punti. L’assassino era stato visto da diversi testimoni e identificato come Marco Bacci, maestro elementare, collega e pretendente, già più volte respinto, della moglie della vittima.Il Marco Bacci in carne ed ossa rimase annichilito nel sentirsi definire a quel modo, ma fu di gran lunga più sconvolto nel vedere il suo identikit con indosso la camicia Cancun. Si aggiungeva che l’omicida era latitante e che era stato visto fuggire in bicicletta nella zona sud di Milano. Infine i telespettatori venivano invitati alla collaborazione con le forze dell’ordine segnalando tempestivamente qualsiasi avvistamento del pericoloso assassino, armato e in grado di nuocere ancora. Una passerella di belle ragazze in costume da bagno pronte al cimento per l’elezione di Miss Italia segnalò la fine del servizio e l’arrivo di notizie più congeniali al sabato del villaggio televisivo.Immobile, senza riuscire a trovare l’aria per respirare, Bacci era come pietrificato.Assordato dal pulsare martellante del sangue nel cervello.Si sentì raggelare quando si accorse che qualcuno lo strava strattonando per una manica.Si voltò con un gesto rallentato. Ormai pronto alla resa, volse lo sguardo alla sua destra, immaginando che la guardia armata vista all’ingresso fosse già stata chiamata per catturarlo. Una signora sugli ottanta con una capigliatura di radi riccioli velati di celeste lo scrutava severa.- Sta a vedere che ho beccato un sordomuto!- disse piccata la vecchina.- Ma oh! Lo capisce l’italiano ? - domandò la donna staccando le sillabe in maniera esagerata.Marco Bacci deglutendo annuì.- E allora perchè non mi risponde? L’ho chiamata almeno tre volte! - Mi scusi , mi ero incantato davanti alla televisione.- rispose il Bacci con un filo di voce.- Ma lo sa che mi succede anche a me? Certe volte mi metto sulla mia poltrona e guardo la tele e all’improvviso mi accorgo che non capisco più niente di quello che sta succedendo e nemmeno del tempo che passa. Succede anche a lei così?

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- Più o meno la stessa cosa. Il sangue stava riprendendo a circolare in maniera compatibile con l’esistenza.- S’eri cunvinta ch’era l’età a fa sti schersetti. Sarà mica qualcosa che mandano con le onde della tele.? - Non ne sono sicuro, ma ho il sospetto che sia così.Decisamente rinfrancato per non essere stato riconosciuto come il pericoloso assassino, Marco Bacci cercò di svignarsela, ma la signora si mise a starnazzare.- Ma cosa fa mi molla qui! Propri adess che cominciamo a capirci ? Marco Bacci si rese conto che le urla della vecchina avevano fatto girare troppe persone.Si dispose assecondare quella scomoda interlocutrice.- In che cosa posso esserle utile, cara signora?- Oh bella, ma non vede che non ci riesco a prenderlo? - Di che cosa stiamo parlando?- Ma di quella diavolezza che se ne sta lassù in cima.- la donna indicò un cd player dall’aria spaziale, in offerta a 35 euro- Mio nipote che domani fa gli undici anni, ma non ci arrivo mica.- Non si preoccupi, adesso gliela prendo io.Dopo aver riposto l’oggetto nel carrello della nonnina Marco Bacci le chiese se poteva congedarsi.- Vada vada. Anzi scappi.- Perché dice così?La donna sembrò rattristarsi, poi stringendosi nelle spalle concluse:- Non lo so, ma da un po’ di tempo appena parlo con qualcuno per più di un minuto quello mi dice che deve scappare. Sembra che a questo mondo siano tutti in fuga, ma non ho capito ancora da cosa stanno fuggendo e nemmeno dov’è che vanno. Eduardo Sansone aveva ridotto le luci del suo showroom e si stava adoprando per abbassare la saracinesca quando vide riflettersi nella vetrina il lampo azzurro di un’auto della madama.Prima ancora che gli agenti scendessero sapeva già quale fosse il motivo della visita.Due uomini lo affiancarono sullo stretto marciapiede, stringendolo per impedirgli qualsiasi movimento.Quello a destra era in uniforme, mentre quello a sinistra, più piccolo e con una sigaretta tra i denti, indossava una camicia nera vistosamente aperta su un petto ossuto e dei jeans scuri ed attillati.- Il signor Sansone?- domandò il piccoletto con un inconfondibile accento pugliese.- In carne ed ossa.- Bé, diciamo la verità: più ossa che carne.Eduardo, nonostante la drammaticità della situazione, non poté fare a meno di sorridere.Il suo interlocutore sembrava essere un suo clone in scala ridotta, con una crapapelada tale e quale la sua e un ovale ugualmente affilato su cui brillavano due occhi tanto vivaci quanto miopi. - Mi sembra che anche lei non appartenga alla categoria delle taglie forti.- Che centra, io mica mi chiamo Sansone. Uno sente un nome del genere e si immagina di incontrare un colosso. Vede, io porto il nome di un piccolo animale domestico, che è più confacente. Mi chiamo Gatto, Rito Gatto. Squadra Anticrimine. Il salone è già chiuso? Sono certo che lei si troverebbe molto più a suo agio là dentro che qua in mezzo alla via. Dovrei farle alcune domande.Lo showroom fu subito aperto e pienamente illuminato.Gatto fece capire all’agente in uniforme di raggiungere l’autista, poi seguì Sansone all’interno.Presero posto su due poltrone color porpora, basse e spaziose come quelle delle sale cinematografiche.Un portacenere di ceramica smaltata a forma di mezzaluna fu sistemato su un tavolino di tek accanto al poliziotto che non aveva ancora spento la sua sigaretta.Eduardo voleva capire quali carte avesse in mano il suo avversario prima di impostare il suo gioco.- Immagino che non siate venuti per acquistare mobili.

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- Infatti e così. - Allora, a cosa devo…- Lei che s’immagina?Ci fu un tempo di silenzio in cui Eduardo si sentì perforato dagli occhi dell’investigatore, provando un grande imbarazzo perché si sentiva messo a nudo da quello sguardo.Gatto si alzò e cominciò a guardarsi attorno come se fosse interessato agli articoli in vendita. Approfittando della sua stazione eretta si permise di scrutare Sansone dall’alto in basso.- Lei conosce un certo Marco Bacci?Eduardo si sentì quasi sollevato da quella domanda che attendeva da un pezzo.- Certamente, è un mio carissimo amico.- A quando risale il vostro ultimo incontro? - Perché me lo chiede?- Diciamo che si tratta di accertamenti. Però le consiglio di essere sincero altrimenti potrebbe essere coinvolto in un procedimento penale piuttosto serio. Stiamo indagando su un caso di omicidio.Eduardo si aspettava questa minaccia e gli sembrò che fosse giunto il momento per tentare il suo bluff.- Marco è stato ucciso? Ma come? Quando?Non c’era pathos nella sua voce, ma un sottile tremito rese credibile il suo freddo stupore.Gatto fu tentato di credere che Sansone fosse del tutto ignaro dell’accaduto. Provò comunque a spingersi ancora avanti senza sbottonarsi, senza chiarire nulla.- Mi vuol dire per favore dove e quando ha visto il suo amico l’ultima volta?- Oggi stesso, proprio qua. Le assicuro che non abbiamo litigato. Non credo che esista alcun motivo per poter supporre che tra me e Marco ci fosse una qualche forma di ruggine. Marco attraversava un periodo difficile e ho cercato di aiutarlo. Piuttosto va detto che Marco si sentiva perseguitato, spiato...- Da chi?-Ma… insomma… sia ben chiaro che non voglio accusare nessuno, però mi è sembrato di capire che ci fosse di mezzo il marito di una collega di cui si era invaghito. Credevo che fosse acqua passata. - Che vuole. Per una femmina certi maschi sono capaci di enormi fesserie.- sbottò Gatto con aria di superiorità, quasi si giudicasse immune da qualsiasi pena d’amore.- Un omicidio non è una fesseria - contestò Eduardo . - A che ora è venuto il suo amico?Eduardo intendeva mentire il meno possibile. In modo da non cadere in contraddizione.- Con precisione non saprei dire, comunque era circa l’ora di pranzo, più o meno mezzogiorno. - Motivo della visita?-Voleva farsi un giro durante il fine settimana e mi ha chiesto se potevo prestargli una bicicletta con i cambi e qualche articolo da campeggio.- Quindi?- Quindi ci siamo rivisti nel primo pomeriggio e gli ho dato quel che chiedeva e poi è partito.- Non le è sembrato strano?- Cosa?- Il tipo di richiesta?- Per nulla. Marco era fatto così. Amava viaggiare e girovagare, soprattutto in montagna.- Sempre con la bicicletta?- Più spesso a piedi. - Camminatore e ciclista, altri sport?- Tanti, ma mai nessuno seriamente.- Tiro a segno? Caccia?- Lo escluderei. Non me ne ha mai parlato.Il poliziotto finalmente distolse lo sguardo..

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Eduardo prese fiato mentre Gatto si accendeva un’altra sigaretta. Sembrava che Gatto cercasse nelle volute di fumo qualcosa che gli era sfuggito.Riattaccò.Occhi negli occhi a scandagliare l’animo dell’interrrogato.- Lei si è accorto che c’era qualcosa d’inconsueto nel suo amico, vero?- Verissimo, però le ho già detto che da un pezzo non era più lo stesso...- Anche nel fisico?- Da quando si è separato era molto dimagrito Forse… ultimamente aveva ripreso qualche chilo…- E poi?- Mi scusi, ma cosa vuol sapere?- Se non le è sembrato che ci fosse qualcosa di diverso nel suo aspetto.Gatto sapeva del nuovo look di Marco e aveva teso quella trappola per saggiare la sincerità di Eduardo.- Caspita! Sembrava proprio un americano ai tropici. Si era tagliato addirittura la barba.- E questo non l’ha insospettito?- E perché avrei dovuto insospettirmi? Quando una persona è in crisi cerca di aiutarsi anche con questi dettagli. Le donne cambiano taglio, colore dei capelli e stile di trucco. Noi maschi che possiamo fare? Se abbiamo la barba ce la tagliamo se non ce l’abbiamo proviamo a farcela crescere, no?- Più o meno.Da una tasca dei pantaloni Gatto estrasse un foglio piegato in quattro e mentre soffiava il fumo dalle narici lo depositò sul tavolo e lo spiegò.Agli occhi di Eduardo apparve l’identikit di un individuo identico a Marco Bacci in versione yankee.- Accidenti, era proprio conciato così!- Certo che stava meglio con quella barba da orso.- Come dice?- Dico che senza barba ci perde, diventa banale.Eduardo colse un tono da checca in quella osservazione e si ritrovò a domandarsi se il suo Torquemada non fosse omosessuale.- Allora?- domandò l’altro di fronte all’espressione perplessa dell’inquisito.- Allora mi domando perché questo disegno. Perché non una foto?- Ancora non abbiamo foto di Bacci in questa versione.- Come, non avete trovato il suo cadavere? Gatto decise di mettere le carte in tavola.- Marco Bacci è l’assassino non la vittima. Eduardo si lasciò andare contro lo schienale, respirò profondamente e tacque.Quando riprese a parlare lo fece con un filo di voce.- Sono contento che Marco sia ancora in vita, ho veramente creduto che...- tirò un lungo sospiro e poi domandò- La sua colpevolezza è certa, è provata?- È stato riconosciuto da molti.- La vittima?- Ma che domande! Il cornuto, ovvio.- Non ci posso credere.- Si sforzi. Se per caso dovesse tornargli in mente dove le ha detto che andava a nascondersi me lo faccia sapere al più presto.Dalla tasca posteriore Gatto estrasse un biglietto da visita che lasciò cadere sul tavolino.- Le giuro che non mi ha detto nulla.- Lasci perdere i giuramenti, verrà il momento anche per quelli.- Che intende dire?

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Gatto sorrise sardonico. Si avviò verso la porta, prima di uscire accese una terza sigaretta, si voltò e tagliò la sala con uno sguardo obliquo.- Per ora le auguro una buona serata, sono sicuro che ci rivedremo presto.Tossì, aprì la porta e se ne andò, lasciando nell’aria una scia d’inquietudine.

- Dai che lo stiamo beccando! Pigia Maglio, pigia! -Pacienza! Portate pazienza. Queste strade di campagna sono ‘na fetenzia mica posso rischiare di andare a sbattere contro una vacca o un trattore. Se devo accelerare almeno fatemi mettere la sirena.-None, niente sirena se quello ci sente, s’infratta nel granturco.- E allora pacienza.L’agente scelto Lionello Carbone non stava più nella pelle: quel dannato sabato stava per finire, la caccia stava per chiudersi.Tutto grazie alla camicia Cancun donatagli da quella meraviglia della Signora Ruotolo!Quella camicia aveva funzionato meglio di un navigatore satellitare e li stava guidando dritti alla meta. Il fuggiasco non aveva certo notato quanti passanti aveva colpito con quell’esibizione di colore tropicale.Con meticolosità Carbone interrogava chiunque transitasse o sostasse ai bordi della strada e seguiva le loro indicazioni. Sembrava che Marco Bacci avesse mantenuto uno schema che consciamente o inconsciamente ripeteva ad ogni piccolo incrocio: due volte a Sud ed una volta ad Est. Raramente piegava verso Ovest. Non tornava mai verso Nord. - Ruvolo metti fuori la paletta, fermiamo quel ciclista. -Chisto parisse a mio nonno.- bofonchiò Ruvolo- E allora? Forse che tuo nonno oltre alla disgrazia di tenere un nipote commattè si è perso la vista?Lionello Carbone balzò fuori dall’abitacolo, mostrò la camicia e il vecchio li indirizzò verso Belgioioso-Perché l’ho incontrato su quella strada ch’è già un pezzo, ero andato là per dar da mangiare alle mie galline. Siccome che noi il pollaio lo abbiamo messo su...I poliziotti non c’erano più, con uno stridore di gomme erano già schizzati lontano.- A Belgioioso Maglio.- gridò Carbonre trionfante- Adelante Maglio, adelante con juicio.-Che?!- Pigia e stai attento.

Se l’agente scelto Lionello Carbone gioiva, Il Commissario Capo Galante era al settimo cielo.Aveva dato ordine a tutte le auto di convergere nella zona a Sud est di Pavia ed era certo che nel giro di pochi minuti lo avrebbero preso.Dalle ultime informazioni ricevute da Carbone si poteva dedurre che per quanto corresse il Bacci non poteva essere molto lontano da Belgioioso. Magari era riuscito a passare il Po prima che il posto di blocco fosse stato posizionato, in quel caso doveva essersi diretto verso Stradella e se avesse continuato la sua corsa sarebbe di sicuro finito tra le braccia degli agenti.- Commissario!Una squillante voce femminile lo richiamò alla realtà.Una biondissima agente dagli occhi chiari e stanchi si allungò oltre la scrivania per porgergli la cornetta.- Dalla stazione dei Carabinieri di Stradella, sembra importante.- Commissario Capo Galante, mi dica tutto.- Appuntato Ruoppolo per servirla.- Forza Ruoppolo sia conciso. - Ci ha chiamato il responsabile della sicurezza dell’ipermercato Stella. Dicono che il ricercato di cui avete diffuso le generalità durante...

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- E’ancora là dentro?- Al momento si trova al reparto calzature.- Avete già inviato una pattuglia?- Volevo prima essere ragguagliato.- Ma quale ragguagliato! Mandi subito una macchina o le stacco le palle a morsi!.- Provvedo con urgenza. - Urgenza e niente cazzate. Fate in modo di bloccarlo lì dentro. Cercate di prenderlo di sorpresa perché è molto ma molto pericoloso. Chiaro?-Chiarissimo.- E dite a quei cazzoni della sicurezza di non far niente prima che arrivino le forze dell’ordine.- Vaabbuò!- Vabbuò un cazzo, muovetevi! Sbattè il ricevitore e con un repentino cambio di tono si rivolse alla bionda e basita agente :- Bellezza mia se non si fa così, con quelli della Benemerita si perdono le ore. Mi faccia un favore chiami Carbone: gli dica di precipitarsi all’Ipermercato Stella di Stradella e di prendere in mano la situazione, il nostro uomo e là e in questo momento forse è pure scalzo.

Marco Bacci non era scalzo.Stava provando un paio di scarponcini in goretex e pelle.Costavano parecchio, ma non era il momento di fare il tirchio.Aveva bisogno un paio di ottime scarpe per fuggire a piedi attraverso l’Appennino.Dato che cercavano un ciclista, lui avrebbe proseguito a piedi.Stesso itinerario. Camminare di notte e rintanarsi il giorno.Gli serviva uno zaino come quello che Edo gli aveva offerto e che aveva rifiutato preferendo le borse.Aveva tutto il tempo per sceglierlo, ora il buio incipiente si era trasformato da ostacolo a protezione.Gli scarponcini numero quarantaquattro calzavano bene.Si sedette per stringere i lacci a dovere.Sarebbe uscito indossando quelle calzature e per non scordarsi di pagarle, facendo magari scattare un allarme antitaccheggio, decise di prendere con sé la scatola vuota.Mentre afferrava il contenitore vide dall’altro lato dello scaffale un uomo che parlava al telefono.L’uomo era un giovane biondo, quasi certamente un impiegato dell’ipermercato.Parlava a voce bassissima e sembrava osservare Marco di sottecchi.Quando si avvide di essere stato notato si voltò e sempre parlando finse di allontanarsi. Dopo qualche passo si girò nuovamente, mostrandosi interessato ai prezzi dei mocassini in esposizione.Marco si allontanò rapidamente.Si sarebbe anche messo a correre, se non avesse avuto paura di dare ancor più nell’occhio.Chiese ad una commessa che sembrava avere qualcosa di molto urgente da fare, dove fossero gli zaini ed ottenuta l’indicazione si voltò per controllare se il biondo fosse ancora nei paraggi.Non lo vide.Cercò di calmarsi respirando profondamente e rallentando l’andatura. Sembrava che l’ipermercato stesse rapidamente svuotandosi.Naturale che fosse così essendo ormai ora di cena.Ecco gli zaini. Una lunga corsia con ogni genere di zaino e zainetto.La maggior parte erano autentiche schifezze.In un angolo sembrava esserci qualcosa di decente e di poco vistoso.

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Marco si accorse che la corsia era deserta.Anche nei corridoi che intersecavano perpendicolarmente nessuno transitava.Marco Bacci sollevò lo sguardo e vide che sugli alti pilastri a sostegno del leggero tetto in poliuretano erano montate delle telecamere in grado di seguire i suoi movimenti.Lo stavano chiudendo in quella gigantesca trappola.D’istinto corse verso le casse. Erano tutte chiuse e deserte.Erano riusciti a far uscire tutti i clienti ed il personale, era rimasto solo. Gi altoparlanti continuavano a diffondere Radio DJ come se non fosse accaduto nulla.Da un momento all’altro sarebbero spuntati gli agenti con le pistole in mano, pronti a far fuoco .Se però non erano ancora apparsi e non lo avevano invitato alla resa doveva pur esserci un motivo.Forse non erano ancora pronti.Forse non avevano uomini a sufficienza per bloccare tutte le uscite. “ In galera no! Che sparino pure.”Gettò il suo cestello per terra e si mise a correre.L’istinto lo guidò verso il retro dove c’erano gli immensi magazzini in cui venivano stipate le merci..Attraverso delle enormi porte di plastica flessibile, su cui era scritto VIETATO L’INGRESSO, penetrò nel deposito senza che nessuno provasse a sbarrargli il passo.Il vasto spazio era occupato da alte scaffalature, pile di pancali, muletti, imballi .Marco Bacci correva cercando una via d’uscita. Si voltò per vedere se fosse seguito.Nessuno. Il maggiore ostacolo era costituito da tutto il cellophane ed il polistirolo sparpagliato sul pavimento.Stava attento a non inciampare, pronto a cogliere qualsiasi segno di pericolo o di salvezza. All’erta totale.Vivo come non mai. Pronto a tutto. Adrenalina pompata nel sangue a tutta manetta.Tra gli scatoloni vide due operaie che cercavano di nascondersi. Si gettarono a terra gridando.Alle loro spalle una targhetta verde indicava un’uscita di sicurezza. La trovò. Investì con tutto il suo peso i maniglioni antipanico che immediatamente cedettero alla pressione del suo corpo in corsa e si spalancarono su una stretta striscia d’asfalto tra il magazzino ed un muro di cemento liscio, alto circa tre metri.Nessuno a destra, nessuno a sinistra, Solo una gran quantità di cassonetti addossati al muro.Per un attimo pensò di nascondersi in uno di quelli.Orrore.Sull’onda dell’impeto riuscì a balzare sopra un cassonetto e si aggrappò al bordo del muro.Con la forza della disperazione lo scavalcò, lasciandosi cadere in un campo di stoppie.Cadde malamente e ruzzolò sulla schiena, sentendo le stoppie appuntite graffiargli la pelle.Si rialzò. I suoni di diverse sirene squarciarono il silenzio come ululati di iene e sciacalli.Stavano arrivando adesso.Ecco perché non avevano tentato di bloccarlo.A cinquanta metri dal suo punto di caduta correva la massicciata della ferrovia.Sui binari un merci carico di trattori, carrelli e macchine agricole, attendeva il via libera.Arrivò il verde e il convoglio ansimando e cigolando si mise lentamente in moto.In breve avrebbe preso velocità. Nella vita di ognuno passano treni che non si possono perdere.Marco Bacci doveva prendere quel treno ovunque fosse diretto.Doveva prenderlo al volo.

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Capitolo ottavo

Due fette di pane integrale spalmate con del Philadephia, una ciotola di lattuga piuttosto scondita, una tazza di brodo di verdura ed una mela.La cena di Gaetano Cascione non era certo in grado di sollevare il suo umore.Non ci riuscirono nemmeno la dolcezza di Luciana, né le considerazioni di Gianluca sui compagni e sugli insegnanti trovati all’inizio del nuovo anno scolastico.Gaetano aveva sbocconcellato il pasto dispensando una finta attenzione ai discorsi dei suoi, qualche risata di circostanza e pochissime parole.Sognava un bel caffè ristretto, accompagnato da una sigaretta. Ottenne soltanto un caffè d’orzo.Luciana non autorizzava trasgressioni nocive.Si sedette accanto a lui, sul divano del salotto. Si allacciò al suo braccio e si appoggiò al suo fianco.Approfittando dell’assenza momentanea di Gianluca, prese a baciarlo sul collo e a mordicchiargli il lobo dell’orecchio destro, avvinghiandosi sempre di più, quasi volesse penetrarlo attraverso le ossa dei fianchi e del costato, quasi volesse tornare ad essere quella costola di lui che un dio fallocratico aveva usato per generare ciò che serviva a dare senso, gusto e completezza alla sua virilità altrimenti zoppa.Gaetano lasciò andare un poco di tensione con una lunga serie di profonde espirazioni e se la strinse contro per aiutarla ad entrare in lui, per permettere quello scambio di sangue e anima che era alla base della loro strettissima unione.Il passo strascicato del ragazzo lungo il corridoio funzionò come un segnale di stop e i corpi dei due coniugi si ricomposero immediatamente, seguendo automatismi oliati da anni di genitorialità pregressa.Il ragazzo si lasciò andare su una poltrona accanto a loro e cominciò a zazzicare con il telecomando. Luciana sapeva come sfruttare anche questo genere di situazioni.- Qualcosa che non va?- bisbigliò vicino al suo orecchio.- Meglio dire: niente che va.-- Che è successo?- Ci siamo ritrovati ad indagare su un caso di omicidio in cui nessuno vuole veramente indagare. Qualcuno molto in alto ha già deciso chi è il colpevole. Il fesso sospettato ha pure aggravato la sua posizione dandosi alla fuga. Così si è aperta la caccia e non sono riuscito a fermare i cani. Ci sono in giro persone pronte a sparare a qualsiasi persona gli assomigli.Di Cristofalo ha spappolato un ginocchio ad un cappuccino solo perché aveva la barba e faceva jogging come il presunto colpevole. - Che pirla!-Solo uno dei tanti e nemmeno il peggiore.- Cosa pensi di fare?-Vorrei semplicemente poter svolgere le indagini necessarie. Vorrei poter rassicurare quest’uomo e garantirgli un’inchiesta giusta e non un’immediata incriminazione.-Pensi di potercela fare?- Sarà molto difficile.Però spero molto nell’aiuto di quella donna.-Quale donna?- La vedova, la moglie della vittima di cui questo Bacci era molto intimo, forse anche amante.- Ho capito: un delitto passionale.Gaetano si irrigidì.-Questo è quello che tutti pensano, ma bisogna anche verificare altre piste.-Per esempio?-Il padre della vittima è un uomo potente e pericoloso, con molti amici ma anche parecchi nemici.-Un capomafia?- No, un ex caporione della DIGOS.-Ancora peggio, indagare su di lui sarà del tutto impossibile.

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- E’ così, ma se si riuscisse ad aprire uno spiraglio di sospetto sotto la crosta di onorata rispettabilità…- E conti su questa donna per aprire il tuo spiraglio di sospetto?- Spero che mi aiuti a illuminare qualche angolo buio in cui si può nascondere un motivo per uccidere.-Quanti anni ha?-Una trentina.- Come si chiama?- Amaranta, Amaranta Blanquez.- Sudamericana ?- Al cinquanta per cento, la madre era di Luino. Ma perché ti interessa?- Scommetto che è una di quelle brune vellutate e sinuose che ti fanno girar la testa.- Non dire fesserie.- Qualcosa mi dice che faresti meglio a lasciar perdere questo caso.- Sono dello stesso parere. Ma non riesco a farlo.- Perché ti attizza l’idea di consolare la vedovella?- No, perché sono ancora illuso che si possa lavorare per una giustizia meno ingiusta.- Sei senza speranza. Dì alla vedova fatale di andare a piangere sulla spalla di qualcun’altro.- Ora glielo dico, stavo proprio pensando di telefonarle.- Stai scherzando?- No,devo proprio farlo, adesso vado di là e la chiamo.- Ma è sabato sera, hai lavorato tutto il santo giorno e pensi ancora di dover fare delle telefonate.- Non delle telefonate: una telefonata.- Uffa! Allora devi chiamare anche la donna di Halini. Ha chiamato tre volte e ha urgenza di parlarti.-So già quello che vuole, Saddam si è fatto pizzicare e pretende che io lo tiri fuori un’altra volta. Con tutta la fiducia che gli ho dato, quei due mi hanno davvero sputtanato. La chiamerò domani.- Allora perché non chiami domani anche quell’altra?- Sono sicuro che se le parlo subito poi dormo meglio.Gaetano ormai si era alzato e stava dirigendosi verso il corridoio quando sentì Gianluca gridare - Attento papi!Si girò di scatto, giusto in tempo per prendere in faccia la ciabatta scagliata da Luciana.

Amaranta Blanquez stava sdraiata nella penombra della camera 519 alla Clinica S. Giuseppe.Indossava solo una camicia da notte di garza bianca. Fissava il soffitto su cui venivano proiettate le ombre guizzanti dei pipistrelli, traiettorie di un movimentato banchetto attorno ai lampioni. Le vicende della giornata, i farmaci, la visita di Gaetano, l’avevano spossata e confusa.Non riusciva ad immaginarsi quel che le aspettava.Al solo pensare di uscire da quella stanza sentiva un’angoscia crescente come la stretta di una garrota.Se il futuro era carico d’ansie, il passato brulicava di spettri e di ricordi dolorosi. Nomi e volti di uomini si affollavano alla fragile soglia della sua coscienza per insultarla, per lapidarla con ripetute accuse che esplodevano nel suo ventre, che incendiavano il suo petto.Sentiva una grande attrazione per la finestra e sempre più spesso si vedeva, scomposta al suolo in una pozza di sangue, lasciare il suo corpo per andarsene verso un freddo e riposante nulla.Si sentiva in colpa verso tutti, verso suo padre, verso Franco, verso Marco e perfino verso suo suocero. Era come se tutti i mali del mondo fossero stati causati dalle sue scelte.Ma il suicidio non sarebbe servito a rimediare nulla.Era condannata a vivere per salvare almeno sua figlia. Per portarla lontano da quel turbine di male e permetterle di crescere sana e pulita .

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Valentina meritava di essere amata come lei si era illusa che Marco la potesse amare, doveva trovare il modo di farla sentire sicura e degna, libera e soddisfatta.Poteva riuscirci contando solo sui suoi mezzi?Le sembrava impossibile, ma doveva provarci comunque.Altrimenti anche nell’aldilà il rimorso l’avrebbe tormentata.Doveva riprendersi in fretta, doveva raggiungere al più presto la sua bambina.Dormire.Forse l’infermiera le avrebbe dato un sonnifero più potente. Le gocce non sortivano alcun effetto.Dopo aver premuto il campanello un’infermiera si materializzò accanto a lei e si fece facilmente convincere a raddoppiare la dose di sedativo.Appena l’infermiera si allontanò per andare a recuperare il farmaco, squillò il telefono.La centralinista le domandò se voleva essere messa in contatto con il Vice Commisario Cascione.. Amaranta Blanquez acconsentì.La voce di Gaetano era calma,calda e carezzevole.Si informò sulle sue condizioni.- Mi sento distrutta e non so come fare per addormentarmi. Confido in un’altra dose di sedativo.- Le confesso che anch’io non sarei riuscito a prendere sonno se prima non avessi parlato con lei.- Come mai?- domandò lei stupita.- Credo che stiano per prendere Marco Bacci. Ha tentato di fuggire in bicicletta in direzione di Pavia.Gaetano attese qualche secondo per captare quale effetto avessero fatto le sue parole. Ebbe la sensazione di percepire solo uno sbadiglio trattenuto.- Sarà incriminato e se non si trovano elementi che possano discolparlo finirà i suoi giorni in carcere.- Non credo di poter fare più nulla per lui.- Forse potrebbe.-Come?- Parlando con me. Raccontandomi nei dettagli la vita di suo marito e anche quella di suo suocero.- Prego?-Nei meandri di quelle vite potrebbe nascondersi il bandolo della matassa, il filo che ci può condurre all’assassino di suo marito. Le cose più banali possono nascondere elementi importanti. Tutti i momenti di frizione,.tutti gli attriti vanno indagati. Dobbiamo riconsiderare anche la lite nei box. Quegli stranieri chi erano? Cosa facevano? È necessario frugare nei ricordi. Mettere in moto la memoria. Mi capisce? Amaranta Blanquez era stanca e quella voce oltre il filo le aveva mosso dentro un così grande numero di turbe che di certo avrebbero reso vani gli effetti del sedativo appena posato sul suo comodino dalla solerte infermiera. Eppure intuiva che nel tentativo di salvare Marco Bacci era inclusa anche la possibilità di rendere inoffensivo suo suocero, di liberarsi dalla sua stretta. - D’accordo- disse con un filo di voce- venga domani mattina.- Grazie mille, adesso riuscirò a dormire.-Purtroppo, io sono sicura del contrario. Venga appena può.

Il Dottor Ferrigno intorno alle ventidue si congedò da moglie e figlio che, attorno al tavolo della Pizzeria Fiorentina in viale Bligny, aveva reso partecipi dei guai di Marco e del suo incontro con il Vicecommissario Gaetano Cascione.- Nemmeno un ragazzino della medie tenterebbe una fuga in bici !-sentenziò secco suo figlio Pietro- Mi spiegate come mai uno che si è procurato una pistola e ha rubato una moto non ha pensato ad organizzarsi anche una fuga meno disumana?Sara cercò di fargli capire che Marco aveva un carattere imprevedibile e una logica diversa.Il Dottore si alzò. Spiegò che doveva incontrare qualcuno per aiutare Marco e se ne andò.

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Col cellulare chiamò subito casa Sansone.La voce di Adele, la moglie di Eduardo, uno dei punti fissi su cui questi aveva ancorato la sua libertà, con la consueta gentilezza spiegò che il marito era rimasto al negozio per sistemare alcuni affari.Chiamò quindi il negozio in Via Savona.- Ero sicuro che mi avresti cercato. Hai ricevuto anche tu una visita della polizia?- No, mi hanno convocato in questura.- Grosso guaio, eh?- Enorme. Mi domandavo se per caso non ti fosse venuto in mente qualcosa per aiutarlo.- Nulla, a parte darci da fare per trovargli un buon avvocato.- Il fratello di Fulvio?- Pensavo più ad un ex di Soccorso Rosso. Gente esperta con grane di questo genere.- Ti va una birra?- Volentieri. Passa di qua e poi andiamo in qualche pub della zona. - Ci metterò più a trovare parcheggio che ad arrivare.- E che sarà mai. È sabato, la notte è lunga e non ho sonno.Se il Dottor Ferrigno si fosse recato all’appuntamento a piedi o in bicicletta come era consuetudine dello sfortunato amico di cui dovevano preoccuparsi , sarebbe arrivato in dieci ,venti minuti al massimo. Non volendo però rinunciare alle comodità della sua Toyota, ci impiegò una buona mezzora per coprire la breve distanza che separa Viale Bligny da via Savona. Quindici minuti furono spesi per la vana ricerca di un parcheggio sulle uniche strisce pedonali rimaste sgombre. Lo aspettavano altri dieci minuti di cammino prima di raggiungere lo showroom di Eduardo.Alle ventitre spalancò la porta d’ingresso, era sudato e aveva gli occhi fuori dalle orbite.- ‘Fanculo a te e alla tua pigrizia, non potevi venirmi incontro?- Mi spiace Gigi, ma dovevo mettere a posto alcune cose. Ti ho già detto che sto allestendo anche una mostra di riviste di arredamento e illustrazioni d’interni appartenenti al periodo della Pop-art ?- No, però sarà meglio parlarne dopo aver analizzato il caso di Marco e soprattutto davanti ad una birra. - Adesso andiamo. Prima guarda questa cartelletta con le foto degli oggetti che esporrò.- Ma veramente io... - Devi assolutamente guardarla.Nel gesto con cui Eduardo premette la cartelletta contro il petto di Gigi c’era qualcosa di perentorio. d- Mettiti comodo.Gigi si ritrovò seduto sulla stessa poltroncina in cui aveva preso posto l’Ispettore Gatto tre ore prima.Aprì svogliatamente la cartelletta e ci trovò una serie di fogli A4 di cartoncino colorato.A grandi caratteri in stampatello maiuscolo stava scritta a pennarello una frase per ciascun foglio.I° foglio: FINGI GRANDE INTERESSE.- Cazzarola guarda qua che roba- recitò il Dottor Ferrigno cercando di essere credibile. - Questo è niente vedrai il resto. II° foglio:ATTENTO A COME PARLI FORSE CI STANNO ASCOLTANDO.- Non mi vorrai mica dire che...Eduardo per sicurezza lo interruppe.-Sono pronto a scommetterci. È come sta scritto lì. C’è lo zampino di Andy Wharol.III° foglio: MASSIMA CAUTELA MI SORVEGLIANO STRETTO. - Sicuro di quello che dici? – Il dottore non doveva più recitare IV° foglio: MARCO È INNOCENTE E LO DOBBIAMO AIUTARE.- Abbastanza.- rispose SansoneV° foglio:CONSERVA IL PROSSIMO FOGLIO IN UN POSTO SICURO- Devi stare attento prima di mettere in piedi una storia del genere.- suggerì il dottore titubante

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Sul foglio successivo c’erano gli estremi di un conto corrente intestato al nipote di Sansone e un numero di cellulare che iniziava per 338 .- Certo che bisogna stare in campana, mica mi voglio sputtanare , però ho dei contatti in Grecia , a Corfù ,dove sembra che l’artista abbia lavorato per quelle ceramiche sotto falso nome e prima di tutto verificherò se c’è qualcuno disposto a darmi una mano.Mentre Sansone spiegava sottolineò con degli ammiccamenti le parole Grecia, Corfù e falso nome.Sull’ultimo foglio stava scritto: MANDAGLI UN SMS DA UNA CABINA ENTRO DOMATTINA. DIGLI DI NASCONDERSI E ATTENDERE ISTRUZIONI PER ESPATRIO VERSO GRECIA.- Ho bisogno solo di alcune conferme e se le avrò la mostra sarà un successo internazionale.- Auguri.- concluse Ferrigno piuttosto perplesso e sconcertato.Eduardo prese la cartella e gli mise sotto il naso un altro foglio che teneva in tasca .ORA USCIAMO E COMINCIAMO A PARLARE DI MARCO FACENDO FINTA DI NON SAPERE NULLA . LA VERITÀ LA SCRIVIAMO E POI LA BRUCIAMO. Sansone prese il contenuto della cartella si accertò che Ferrigno avesse conservato i contatti e poi bruciò ogni cosa in un enorme portacenere a forma di mezzo cocomero.- Ti voglio portare in un pub in cui sono andato spesso con Marco . Lui ci andava matto perché servono una birra inglese non pastorizzata . Diceva che la servono a cascata e questo per lui era il non plus ultra - Ma perché parli al passato? Mica è morto. Almeno, non per quel che ci risulta.

Il volto del Commissario capo Galante faceva paura. Non era riuscito a chiudere i conti con il Bacci entro quel tragico sabato e pertanto provò una fitta al fegato quando vide il calendario digitale sul monitor del computer annunciare : 00.01 Domenica 14/09/2003 .Doveva ingollarsi quella boccata di fiele e cercare di venir fuori al più presto dalle angustie. Fin lì il suo asso nella manica era stato Carbone ed era su di lui che voleva continuare a puntare. Per più di tre ore lo aveva lasciato a dirigere invano le operazioni di ricerca dentro e attorno a Stradella. Avevano trovato la bicicletta, le borse, gli oggetti che Marco Bacci intendeva acquistare. Ma lui era svanito.Erano stati inutilmente perquisiti i cassonetti e le scatole da imballo trovati sul retro dell’ipermercato. Almeno venti uomini tra PS carabinieri e guardie giurate avevano setacciato i campi sul retro dell’edificio senza alcun risultato.La piccola cittadina d’oltre Po era stata subito blindata e non una macchina o una moto si era potuta allontanare senza essere controllata.Ora Carbone era stato richiamato in sede. Anche Gatto e Cascione erano attesi. Bisognava fare il punto, buttar giù una nuova strategia. Come al solito avrebbe deciso tutto lui, ma si attendeva qualche importante input dai suoi collaboratori e per questo non aveva esitato a convocarli nonostante l’ora.Gatto aveva a malincuore salutato il giovane efebo con il quale era finalmente riuscito a combinare una cenetta intima, mentre Cascione stava sognando, quando arrivò la chiamata. La voce di Galante gli risultò quanto mai sgradita non solo per via della convocazione notturna, ma anche perché gli interrompeva una dei più bei sogni degli ultimi anni. A bordo di un biposto a elica aveva volato insieme ad Amaranta verso l’India, con le sciarpette di seta bianca che sventolavano, i caschetti di cuoio e gli occhialoni come i veri assi della I guerra mondiale. Erano atterrati in una baia dall’acqua smeraldina, circondata da megaliti di granito e alte palme tra le quali era nascosto un hangar.Prima spinsero il biposto all’interno dell’hangar, muovendolo con facilità come se fosse fatto di cartone, poi, mentre stavano chiudendo insieme una grande porta di lamiera ondulata, i loro corpi si ritrovarono in una prossimità così perniciosa che si videro costretti ad avvinghiarsi in un appassionato bacio. Gaetano spinse Amaranta contro la parete metallica e premendosi contro di lei cominciò a frugarla con

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le mani sotto la gonna. Stava risalendo il velluto di quelle cosce color cannella alla ricerca del frutto succoso che voleva assaporare al più presto, quando lo squillo del telefono mise fine ai suoi voli L’ufficio di Galante puzzava di sigaro e di rabbia. Il caffè del distributore automatico sapeva di cicoria. Appena ci furono tutti, Carbone spiegò che gli uomini della sicurezza all’ipermercato Stella avevano ricevuto dal personale del reparto elettrodomestici la segnalazione della presenza del ricercato. Quindi lo avevano tenuto d’occhio, avevano chiamato il 112 e concordato con la direzione del centro commerciale di bloccare gli ingressi per far evacuare i clienti ed il personale, senza diffondere allarmi per non creare panico.Il piano aveva ben funzionato. Dopo il settembre 2001 il personale aveva effettuato delle simulazioni per essere pronto ad affrontare attacchi di terroristi.Però gli uomini della sicurezza erano solo in quattro, a malapena sufficienti per controllare le porte principali. Il Bacci se l’era squagliata attraverso i magazzini e presumibilmente aveva preso la via dei campi. Dalle informazioni raccolte da Carbone, dagli articoli trovati nel cestello, dagli oggetti abbandonati nelle borse era abbastanza chiaro che il ricercato intendeva puntare verso l’Appennino. Per questo motivo oltre agli scarponi cercava uno zaino.- Vistosi braccato potrebbe aver cambiato idea.- suggerì Gatto- Non lo possiamo escludere, dobbiamo anche considerare che al momento è senza acqua e senza cibo, senza abiti e senza mezzi di trasporto. Passerà la notte nascosto in qualche fienile e poi dovrà rifornirsi.Galante senza sforzarsi di nascondere il suo disappunto bofonchiò:- Ci ha detto sfiga- sputò qualcosa un direzione di un cestino - Domattina metteremo in campo le unità cinofile per scoprire che direzione ha preso. Nel frattempo bisogna rompere i coglioni a quelli della stampa e delle emittenti locali. Devono allertare tutta la popolazione dell’oltre Po, ogni cittadino deve essere pronto ad avvisarci di qualsiasi presenza sospetta. Li invoglieremo con la promessa di una taglia Cascione procurati delle mappe scala 1 a 500 della zona, degli identikit aggiornati e parti per Stradella. Quello stronzo ha bisogno di cibo e se ogni bottega fin dall’alba è messa sull’avviso, la segnalazione ci arriverà presto.- A dire il vero avevo altri progetti.- Infilateli dove sai.Il Vice Commissario battè un pugno su un tavolo.- Ma che cazzo stiamo facendo? Eh ! Vi rendete conto che ci stiamo buttando dietro a questo povero pirla nemmeno fosse Bernardo Provenzano. É dai tempi delle fughe di Vallanzasca che non si vede un simile accanimento.Gli altri lo guardavano stralunati, nessuno si sarebbe mai atteso da lui una simile reazione.- Dovremmo investigare, cercare, porci domande e invece tutti giù a testa bassa a braccare uno che anche se colpevole non è certo un criminale.- Calmati . – Gatto tentò di afferargli un braccio per frenare tanta irruenza.Cascione con una spinta lo allontanò da sé.- Calmatevi voialtri piuttosto. Con tutta la pressione che gli stiamo facendo sentire addosso, siamo proprio noi a spingerlo ad assumere atteggiamenti da pericoloso assassino. Perché e scappato? Perché sono entrato in casa sua in sua assenza e senza nemmeno un mandato in mano. Perché si sta nascondendo in qualche angolo del Pavese? Perché il nostro accanimento non gli dà tregua. Ora lo abbiamo ridotto come un animale selvatico che prima di farsi prendere vuol vendere cara la pelle. É come un cinghiale braccato. Quando si sentirà chiuso in un angolo sventrerà il segugio che avrà avuto l’ardire di farsi più vicino. È questo lo scopo della nostra squadra? Fu Galante a rispondere.- Non è proprio il momento di mettersi a fare della filosofia. Te l’ho già detto Casciò: prima lo prendiamo e poi potrai fare tutte le tue indagini del cazzo.

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-Tanto per cominciare il fatto di prenderlo non si sta dimostrando un’impresa facile. Non mi sembra furbo tralasciare tutto il resto. Non abbiamo nemmeno la certezza che sui suoi indumenti ci siano particelle di sparo. Probabilmente dovremo aspettare fino a lunedì sera per avere i referti delle perizie balistiche. Abbiamo bossoli e pallottole che potrebbero dirci qualcosa Potremmo scoprire che quella pistola ha già sparato in un’altra situazione. Quello che stiamo facendo non mi va per niente bene.- Però va bene a me- concluse Galante – e se va bene a me va bene a tutti. Cascione scostò con un calcio stizzoso la sua seggiola.Fece due passi indietro in direzione della porta e poi si rivolse agli altri due.- E voi non dite niente? Voi siete d’accordo?Gatto ruppe una pausa di pesante silenzio.- Se avessi aspettato un attimo prima di sbottare avresti potuto risparmiarti la sfuriata.Gatto attese che tutti pendessero dalle sue labbra e poi con molta calma cominciò a raccontare.- Un barista di Via Savona mi ha chiamato dopo il primo TG in cui è stato diffuso l’identikit del Bacci. Secondo lui il nostro uomo si era incontrato con un trafficante di mobili che sta di fronte al suo bar. -Eduardo Sansone , uno degli amici del Bacci. Abbiamo i suoi recapiti, me li ha dati il Dottor Ferrigno, medico e amico di lunga pezza ...- sospirò Cascione allargando le braccia- Bè, ho parlato con questo Sansone e vi dirò che mi puzza parecchio. È sicuramente scaltro, ma non mi ha convinto. Ha confermato la visita. Ha detto che non sapeva nulla dell’omicidio e che ha fornito a Marco Bacci una bicicletta e delle attrezzature da campeggio per fargli fare una gita.- Mandiamolo a prendere e mettiamolo subito in stato di fermo . Lo interroghiamo a dovere e ci facciamo dire tutto- ordinò Galante ringalluzzito.- Aspetti capo. – Gatto sembrava avere altre sorprese- Ho lasciato l’agente Nicolosi in un Fiorino parcheggiato davanti al negozio. Sansone ha ricevuto una visita sospetta verso le ventitrè, è rimasto a parlare qualche minuto all’interno del negozio con il nuovo venuto e poi prima di recarsi nel pub in cui ancora si trovano, ha bruciato dei fogli in un portacenere. Nicolosi ha filmato tutto e mi ha chiamato mentre stavo venendo qua. Il bravo detective si è anche seduto per un poco accanto ai due e sapete che ha visto? Tre paia d’occhi erano incollati su di lui, il che lo gratificava da pazzi.- I due ogni tanto si scambiavano messaggi scritti sui tovaglioli.- Portatemi questi fetusi immediatamente- sbraitò Galante.- -Capo, se gli stiamo dietro con discrezione questi il Bacci ce lo servono su un piatto d’argento.- Gatto ha ragione- intervenne Carbone- è inutile buttarsi a corpo morto con il rischio che si avveri quello che ha previsto Cascione. Organizziamo un controllo totale di quei due. Possiamo sapere anche quando pisciano e quanto pisciano, se facciamo le cose a dovere.Galante sembrò riflettere un momento poi prese la sua decisione. – Ok, ma devo essere sempre informato di tutto e prima di tutti.

Domenico Faggioni non era riuscito a prendere sonno. Aveva incontrato Folgore verso la mezzanotte e gli aveva dato i tabulati delle intercettazioni, le fotografie, e tutto il materiale che aveva raccolto su Marco Bacci.Avevano passato diverse ore a ripassare ciò che era importante sapere.Quando Folgore lasciò l’appartamento di Via Canova, verso le quattro della domenica mattina, aveva chiaro il senso della sua missione: sequestrare Amaranta e terrorizzare il maggior numero di persone nella sfera degli affetti del Bacci fino a trovare l’anello debole che potesse rivelare l’ubicazione del suo nascondiglio o convincerlo ad uscire allo scoperto.

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L’esecuzione di Marco Bacci doveva avvenire il più presto possibile.Il Folgore doveva fare in modo che il sequestro di Amaranta venisse da tutti collegato con il Bacci . Per uno come il Folgore un simile compito era fin troppo facile.I due si sarebbero tenuti in contatto attraverso numeri di cellulare riservati ed intestati a sconosciuti. .Rimasto solo, Domenico Faggioni si chiuse in cucina si preparò una moka da sei che sorseggiò con a lentezza cercando di convincersi che Galante da un momento all’altro lo avrebbe chiamato per comunicargli la notizia della cattura o dell’uccisione dell’assassino di suo figlio. Alle sei , visto che il telefono rimaneva muto si risolse a radersi e prendere una doccia prima di uscire a comprare la mazzetta dei giornali senza dover aspettare l’arrivo del segretario.Domenico Faggioni si radeva a mano, all’antica, con un rasoio dal manico d’osso che affilava sopra una striscia di cuoio. Era intento a quella pratica quando squillò il telefono.Si precipitò a rispondere.-Ti ho svegliato? -No. Non ho proprio dormito. Di Capua aveva una voce inconfondibile.- Senti mi dispiace molto per quello che è accaduto. Ho pensato di chiamarti subito.-Non per le condoglianze, immagino..- Capisco la tua amarezza, ma lo sai che siamo buoni amici.- Certamente.- Ti voglio proporre un affare.- Vieni quando vuoi, in questi giorni non mi muoverò da qui.- Meglio se ci incontriamo in un altro posto.- Da voi?- No. Appena ti è comodo scendi. C’è un uomo sotto casa tua. Ti porterà da me. Ti aspetto. Di Capua era appena tornato da Roma e si era fatto portare in una villetta al quartiere dei giornalisti . Dentro un giardino ben cintato, ma senza telecamere o altri sistemi di sicurezza visibili, si ergeva un bell’esemplare di architettura eclettica del primo novecento. Mattoni rossi e finiture art decò Due piani fuori terra , torretta e seminterrato. Sul cancello una targa la indicava come la sede milanese della W.P.S., acronimo per Word Press Syndacation , ma era solo una delle tante location di copertura, in cui gli agenti dei servizi segreti si incontravano per ordire l’infinita trama di oscure operazioni con cui pilotavano le vicende politiche italiane. Di Capua e Faggioni si incontrarono ad un tavolo sistemato sotto alcuni nespoli dalla folta chioma.Faggioni si sedette e rimase in silenzio . - Mi dispiace molto per il tuo Franco, non mi sarei mai aspettato una fine del genere per il tuo ragazzo.- Nemmeno io.- Avevo saputo che i tuoi si erano mossi per via della moglie, ma credevo che l’affare fosse chiuso.- Così pareva, invece quella troia ci ha messo nel sacco.- Sei sempre stato un grande amico e ti dobbiamo molto, ora vorremmo fare qualcosa per te.- Portatemi quel figlio di puttana e se ci riuscite portatemelo vivo. Voglio ammazzarlo a modo mio.- Lo faremo di sicuro, abbiamo però bisogno di un piccolo aiuto.- Parla.-Parliamone nel mio ufficio. Si alzarono. Una volta entrati nella palazzina si chiusero nel vasto ufficio ricavato nel seminterrato.L’ufficio veniva costantemente passato al setaccio con degli apparecchi in grado di rivelare la presenza di cimici ed altre diavolerie elettroniche che potessero captare quel che si diceva tra quelle

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mura insonorizzate a regola d’arte, in modo che nemmeno il più sofisticato dei microfoni direzionali potesse catturare dall’esterno le conversazioni che vi si tenevano. - Cosa vuoi questa volta ? – la domanda uscì sibilando dalle labbra contratte di Faggioni .- Praticamente nulla.- Non ci credo. Hai sempre voluto troppo. Non hai la stoffa del benefattore.- Ok. Quello che voglio da te è solo qualche dichiarazione. Anzi dovrai solo confermare alcune cosette.-Tipo?- Entro oggi l’indagine sulla morte del tuo povero figliolo verrà tolta all’anticrimine e passerà nelle mani della DIGOS.- Come intendete riuscirci?- Sarà il Sostituto Procuratore Martini a mettere in moto il tutto. Dirà che negli incartamenti ricevuti dal Gip , quello che aveva indagato sul Bacci e tua nuora per prevenire un ratto di minore, ha scoperto che i due si recavano spesso in una cascina di Bareggio.- Tu sei pazzo non vorrai mica...- Ascolta. Fammi finire e vedrai che sarai d’accordo al cento per cento.A Faggioni non piaceva essere zittito, suo malgrado si tacque. - Chi aveva investigato ovviamente pensava che i due ci andassero per fottere, ma quando Martini ci manderà i carabinieri troveranno ben altro che un alcova.- Tu sei veramente pazzo , rischiamo di sputtanarci tutti.- È tutto a posto Dom . Questa notte abbiamo sistemato ogni cosa.- E troveranno le nostre armi?-Solo una parte. Le altre salteranno fuori nei covi di alcuni terroristi islamici, jihadisti che gravitano attorno alla moschea di viale Jenner. Sai Dom è da un po’ che ne preleviamo qualcuno e con l’aiuto di gente dei servizi lo portiamo dove sai, anche all’estero. Li facciamo cantare e qualcuno riusciamo addirittura a convincerlo a passare dalla nostra parte.- Il solito vecchio sistema.- Esatto. Ora vedi sono appena stato a Roma e sono tutti molto preoccupati per quelle incriminazioni di quei ragazzi che a Genova si sono lasciati prendere la mano. Poveretti, gli era stato promesso che sarebbe andato tutto liscio. Ma tra giornalisti e magistrati siamo messi troppo troppo male.- Vuoi dirmi che intendete utilizzare questa storia per recuperare il favore dell’opinione pubblica?- Proprio così. Vedi se saltasse fuori che tra questi no-global , tra questi finti pacifisti, tra i membri di alcune onlus e ong , si sta tessendo una cospirazione , una nuova alleanza tra ex comunisti e fondamentalisti, che attua per ragioni personali anche vendette in puro stile mafioso, sarebbe veramente un bel colpo. Potremmo pretendere una maggior libertà d’azione. Potremmo arrivare a far approvare dal parlamento una specie di patriot act . Capisci ?- Capisco.- Quelle armi ormai sono vecchie e obsolete. Al tempo in cui le abbiamo rubate all’esercito avevano un certo valore. Scommetto che ora non riesci nemmeno a venderle ai nigeriani.- Non mi sono mai occupato della vendita. Comunque è vero che quella ferraglia è diventata un peso.- Vedi .Tu devi solo confermare alcune cose. Primo: avevi da sempre sospettato che Bacci fosse implicato con gruppi terroristici. Hai fatto del tuo meglio per impedire i contatti con tua nuora. . Secondo: eri a conoscenza del fatto che i due si incontrassero nella cascina di Bareggio, però credevi che fosse lo scannatoio del tipo. Infine pensavi che la storia fosse finita e che la donna fosse tornata sulla buona strada. Dopo noi chiudiamo il cerchio. Facciamo trovare un poco di fogli e altro materiale delle vecchie BR; qualche floppy disk copiato da quelli sequestrati alle nuove BR; propaganda inneggiante ad Hamas, un’agenda con numeri telefonici e appuntamenti che il fregnone aveva avuto con qualcuno di questi disobbedienti, con i capetti dei centri sociali. Insomma questo rimbambito ci farà un grande servizio. Soprattutto da morto. Che ne dici?

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- All’apparenza sembrerebbe impossibile. Però ripensando a tutto quello che abbiamo messo in piedi negli ultimi quaranta e rotti anni, direi che ne siamo capaci.- Qua la mano. Ero sicuro che ti avremmo avuto dalla nostra. La morte di tuo figlio servirà a regalare alla Nazione e all’Europa una maggiore sicurezza.Di Capua si alzò in piedi con la mano tesa verso il vecchio amico.La mano rimase lì sospesa senza che l’altro la stringesse.-Che c’è . Cosa non ti convince?- Sarò dalla tua solo alle mie condizioni.- Avanti vecchia canaglia, vediamo che possiamo fare.- Prima di iniziare il ballo devo sbrigare alcune faccende che dovrebbero favorire la cattura del criminale. Quindi sarò io a dare il segnale di via. Non mi ci vorrà molto. Intanto rimuovete pure Galante e i suoi inetti da questa storia. Fate trapelare che sotto l’apparenza dell’omicidio passionale si nasconde qualcosa di grosso, ma per ora andateci cauti. Meglio che i riflettori non siano ancora puntati sulla faccenda del terrorismo . Affidate il tutto a Cozzi, con lui mi sarà facile intendermi. Infine voglio disporre della troia da subito. Dovrà sembrare che sia fuggita con il Bacci o con i suoi complici.Di Capua alzò il pollice della mano destra in segno di consenso.Poi le mani si strinsero.

Mentre veniva coinvolto in intrighi a cui non aveva mai rivolto alcun pensiero, il povero Marco Bacci si risvegliava pesto e malmesso alla periferia di Bologna.Aveva viaggiato per tutta la notte in un grosso carrello da traino, di quelli che nelle campagne costituiscono una preziosa risorsa per contadini e allevatori. Si attacca al trattore e ci si butta di tutto: dalla legna al foraggio, dal concio di cavallo al passeggero clandestino.Se il buon giorno si vede dal mattino, quella che stava per cominciare doveva essere una giornata di merda. Gli doleva la testa e gli facevano male tutte le ossa.Aveva fame, aveva sete e aveva anche freddo, perché un telo di plastica non è poi granché come coperta attraverso l’umidità della notte.Più di ogni cosa però lo faceva soffrire quel senso di paura che lo attanagliava.Si sentiva come un coniglio che dopo essere riuscito ad evitare i morsi dei veltri con una spasmodica fuga, se ne sta rintanato in un piccolo buco col terrore di ritrovare i segugi pronti a braccarlo.Si consolò pensando che almeno non aveva sonno.La stanchezza aveva avuto il sopravvento e pian piano si era lasciato addormentare dal lento incedere del treno, senza nemmeno preoccuparsi di capire quale direzione stesse prendendo la sua fuga.Un’ alba velata da brume settembrine rischiarò le propaggini settentrionali della città felsinea.Marco temeva fortemente che nel centro di Bologna ci fossero grandi pericoli ad attenderlo. Addentrandosi nella città il suo timore cresceva. Appena il treno sostò nei pressi di grigi magazzini allineati lungo i binari, prese il coraggio e saltò fuori dal suo rifugio metallico.Intorpidito nella sua t-shirt e nei suoi jeans umidicci, mosse i primi passi traballanti tra ciottoli e traversine, ben sorretto alle caviglie dai nuovi scarponi.Di tutte le accuse che si stavano affastellando contro di lui, l’unica di cui avrebbe ammesso la colpevolezza era il furto di quelle calzature.Da molti anni Marco aveva cercato di essere il più possibile rispettoso delle leggi.Improvvisamente era tutto cambiato.La latitanza lo avrebbe costretto a vivere al di fuori della legge.Continuando a scappare avrebbe continuato a commettere reati sempre più gravi.Era diventato un fuorilegge.Un fuorilegge ricercato.

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Un bandito.

Capitolo nono

Rita stava navigando nel mare beato del sonno più dolce, quello della domenica mattina.Quel sonno da gustare fino in fondo, senza sveglie in agguato.I ricci sparsi sul cuscino riflettevano il loro rosso posticcio nella luce filtrata da malandati infissi. L’abbaino era spartanamente arredato con il dichiarato intento di assomigliare alla stanza di Van Gogh.Sopra la testiera del letto c’era una mensola mal verniciata di rosso con le opere dei suoi poeti preferiti.Il suo paesaggio onirico era invece denso di orpelli e creature di ogni genere tra le quali apparivano, scomparivano e riapparivano i volti dei suoi uomini, i figli, il marito, il fidanzato e anche quello di Marco di cui tanto aveva parlato con gli altri dopo le notizie diffuse dai notiziari della sera prima. Il fidanzato Stefano suonava il clarinetto meglio di Benny Goodman e lei ballava nuda sui tetti della Ripa Ticinese, saltellando tra i comignoli a ritmo di fox trot. Un grosso gattone nero pizzicava il contrabbasso come nel cartoon degli Aristogatti e lei si sentiva una Marghe-Rita italo- moscovita, pronta ad incontrare il diavolo al grande sabba.Vide volare il maestro sopra le campagne a bordo di un trattore alato.Stava forse fuggendo da Ponzio Pilato?Il diavolo le parlò con una voce sporca di carbone.- Dov’è quel cazzo di maestro? Dimmelo o ti ammazzo!Quelle parole volgari stridevano, non si sposavano con il contesto del sogno.Satana Wolland , il diavolo di Bulgakov , si esprimeva in modo molto più signorile.Si voltò su di un fianco per dare le spalle alle strisce di luce che volevano dissipare il suo bel sogno.La sua fronte si appoggiò a qualcosa di freddo.Stefano aveva dimenticato il clarinetto tra le lenzuola, quando era scivolato via con il primo mattino.Rita sollevò con grande fatica il braccio destro per allontanare lo strumento.Nel dormiveglia si rese conto che non si trattava di uno strumento musicale e che qualcuno o qualcosa opponeva resistenza alla sua spinta.Le palpebre si schiusero lentamente e gli occhi ci misero ancor più tempo per trasmettere al cervello il messaggio. L’oggetto era un lungo silenziatore montato sulla canna di una pistola.Rita balzò di colpo a sedere.Inspirò per cercare l’aria necessaria a lanciare un urlo d’allarme.Una mano da gigante calò sulla sua bocca chiudendola completamente. Un braccio peloso e forte la inchiodò alla testiera del letto.La bocca della pistola premeva sulla sua tempia.La voce del diavolo risuonò nuovamente. - Se urli ti brucio.Rita si contrasse e sentì un caldo rivolo d’urina scorrerle tra le cosce.- Per ucciderti mi basta una frazione di secondo.Il diavolo non stava mentendo.- Mi ascolti brutta strega?Rita mosse leggermente il capo in segno di assenso.Doveva assecondarlo e cercarsi una via di fuga.Inspirò dal naso e restò con tutti i sensi all’erta .- Ora toglierò la mia mano da quella fogna di bocca perché devi rispondere alle mie domande. Se solo muovi un muscolo di troppo o cerchi di gridare ti fulmino.La manona allentò gradatamente la presa e si sollevò oltre la sua testa.Rita respirò cercando di sollevare soltanto i muscoli del petto.

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Perché delle domande? Forse non voleva stuprarla.- Non devi gridare, hai capito troia?La manona strinse una ciocca di capelli e la tirò costringendola ad abbassare il mento verso il petto.Rità riuscì a trattenere un urlo di dolore e si adoprò per assecondare il movimento dell’uomo in modo da soffrire il meno possibile.Aveva le mani e le braccia libere ma non riusciva a trovare alcun modo sensato per utilizzarle. Reagire significava morire.Rita trovò un soffio di voce.Era una voce tremula e arrochita dalle molte sigarette, dai drink della notte prima e dal terrore.- Cosa vuoi da me?Un forte strattone ai capelli fu la risposta che ottenne.- Stronza . Le domande le faccio io.- sibilò cattivo l’uomo.Rita strinse i denti ma non desistette.-Cosa vuoi sapere?-Dove cazzo hai nascosto quel bastardo del tuo collega.Marco! Cercava Marco. Rita si sentì sollevata.L’uomo non era né uno stupratore, né un maniaco omicida.Era solo uno degli scagnozzi dei Faggioni, di quelli che ossessionavano la mente ferita di Marco.- Di quale collega stai parlando?I capelli furono rilasciati e un istante dopo un forte schiaffo la colpì tra naso e bocca.Il sapore ferruginoso del sangue raggiunse la lingua mescolandosi con il sale delle lacrime.- Non fare la tonta con me.- minacciò l’uomo.-Se è Marco che stai cercando, non posso farci niente. Non lo vedo da venerdì.Questa volta l’uomo la colpì forte alla testa con il tubo del silenziatore.A Rita sembrò che qualcuno le avesse piantato nella testa un grosso chiodo rovente.- Te lo giuro, non so nulla di nulla. Ho pranzato con lui e non l’ho più visto.- Ti ha detto dove andava? Rita boccheggiò per qualche istante.- No, lui voleva stare sempre solo e non andava da nessuna parte.- Taci stronza.Rita tacque.- Fai sapere a lui e agli altri che non vi daremo tregua finché non ci dirà dove sono finite le armi che doveva consegnarci.- Armi?- Hai capito bene, brutta puttana. Vogliamo le nostre armi o la sua pelle. E se non riusciremo ad avere quello che vogliamo. Pagherete voi, con la vostra pelle.- Ma voi chi ?- implorò confusa Rita.Ci fu una pausa di silenzio poi qualcosa scoppiò nel suo cranio come se le fosse caduta in testa quella mensola piena di libri di poesia che le piacevano tanto.

Lasciato il treno, Marco Bacci aveva creduto di dover strisciare lungo i muri e nascondersi nei portoni.Aveva immaginato le strade di Bologna deserte e percorse solo da pattuglie della polizia.Si era sbagliato.Appena uscito dalla strada ferrata si trovò immerso in un brulichio di persone e mezzi che non parevano in alcun modo avvertire la festività domenicale.

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I più erano stranieri.Per la maggior parte provenivano dall’Europa Orientale.Qualcuno sedeva esausto sui gradini di un bar non ancora aperto, altri si accodavano ad una lunga fila fuori dagli uffici di una compagnia di spedizioni. Parevano tutti usciti da un ricovero di fortuna nel quale avevano trascorso una notte forse ancor più trambustata di quella del Bacci.Si riunivano per condividere quel che potevano mettere insieme a mo’ di colazione e poi salivano su sferraglianti furgoni per essere scaricati in qualche girone infernale a guadagnarsi una paga da schiavi.C’era anche un gruppo di cinesi, ben attrezzato, con pentolini impilati uno sopra l’altro, dai quali usciva una brodaglia calda e fumante, dall’odore poco invitante.Una dozzina di colossali neri stavano seduti sopra grandi borse. .Fumavano e intanto rovistavano in sacchi colmi di capi d’abbigliamento usati.Un tizio male in arnese ciondolava attorno.Aveva l’aspetto e l’odore di uno che aveva dormito nel proprio vomito.Barcollando si avvicinò a Marco.- Tzigara?- Spiacente.- Italiano?- Sì.- Pptuh!La sputazza cadde tra gli scarponi nuovi.Troppo stravolto per reagire, Marco agitò un braccio come per scacciare una mosca e cambiò direzione.Arrivò un rugginoso Ford Transit , velocemente i neri si ammassarono all’interno con i loro borsoni.Molti abiti erano rimasti ammonticchiati nello spazio da loro abbandonato.Subito i cinesi si fiondarono a rovistare tra gli indumenti.Purtroppo per loro quasi tutti i capi erano di taglie grandi, adatte alle corporature slanciate e muscolose di quei figli d’Africa che li avevano portati fin lì.Con acuti lamenti gli asiatici esaminavano e scartavano quasi tutto.Marco si avvicinò titubante e poi si decise a raccogliere una grossa giacca azzurra di tela cerata. Era un po’ abbondante, puzzava di cantina muffosa, ma lo riparava dalla fresca aria mattutina.Si fece coraggio e cercò ancora.Trovò una camicia di cotone a scacchi gialli e marroni aromatizzata alla naftalina e un golf a girocollo di un orripilante verdolino pastello, ma senza buchi e nemmeno troppo odore. Sotto una pila di braghe, che dovevano essere appartenute ad un grande obeso, intravide una borsa di lana come quelle che portava a tracolla al tempo del suo primo viaggio in Nepal.Odorava di patchouli, era integra e la tracolla teneva.Ci avvoltolò la camicia ed il golf appena conquistati e si allontanò prima che lo sputatore si aggiungesse al gruppo dei cercatori.Accattone.Un accattone come tanti.Camminò puntando quella che sembrava essere la tangenziale.La fortuna lo aiutò una volta di più e presto s’imbatté in un bar aperto.L’odore dei croissant caldi era irresistibile.Il posto doveva essere un luogo di appuntamento per le bande di motociclisti domenicali Si mescolò ai centauri, ordinò prima dell’acqua e poi cappuccio, spremuta e brioches, pagò e si appoggiò in un angolo dietro la porta, semicoperto da un espositore girevole per occhiali da sole. Mentre trangugiava con ingordigia quella colazione a base di prodotti precotti che il giorno prima avrebbe schifato, considerò l’opportunità di comprarsi un paio di occhiali da sole per mascherarsi.Aveva cominciato ad aggeggiare con l’espositore quando il rumore di una Guzzi lo mise in allarme.

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Il rumore delle Guzzi nella sua esperienza si era spesso accompagnato all’apparire di un uomo in uniforme da servitore della Legge.I tempi erano cambiati e ora i tutori dell’Ordine preferivano grandi BMW o scattanti motori giapponesi.La vecchia Guzzi, una 350 Custom degli anni ottanta, si era fermata davanti alla cafeteria.La montava un giovanotto con i capelli lunghi , biondi e stopposi, che spuntavano dal mezzo casco e gli si appiccicavano pesantemente alla fronte e alle guance, conferendogli un’aria da guerriero celtico.Marco si rilassò , scelse un paio di occhialoni neri bordati d’azzurro,intonati ai suoi abiti di fortuna. Pagò li inforcò e si guardò allo specchio del bagno. Gli davano un aspetto aggressivo, stemperato però dalla dominante celeste .Si chiuse dentro e fece quel poco di toilette permessa dalle circostanze.Quando uscì vide di nuovo il biondo gallico scambiare un cinque con un orso barbuto e borchiato a bordo di una scoppiettante Harley Davidson corredata da bisacce frangiate.L’orso estrasse da una di queste un caschetto di cuoio con lunghi paraorecchi, identico a quello che ricopriva i suoi riccioli scuri.Il gallo sfilò il suo mezzo casco e se lo mise in testa. I due ridevano di gusto guardandosi negli specchietti.Il gallo baciò l’orso affondandogli la lingua nella bocca, poi tolse le chiavi dal cruscotto della Guzzi e sistemò il mezzo casco nel bauletto posteriore. In quella arrivarono altre due coppie di centauri a cavallo di un paio di chopper.Subito cominciarono a salutare gli altri e a scambiarsi pacche sulle spalle senza smontare dalle selle.Marco li guardava stralunato. Provava una certa invidia per quel senso di libertà e spensieratezza che diffondevano attorno a loro.Forse aveva ragione Rita: i gay sapevano godersi la vita meglio degli etero.Forse però. Forse era una facciata dietro alla quale si nascondevano angosce più grandi delle sue.Una fiaschetta d’argento, ben sagomata per stare comodamente nelle tasche posteriori dei jeans, cominciò a girare nel gruppo. Tutti bevvero.Poi uno dei nuovi arrivati accese uno spinello sottile e lo fece circolare.Appena il cerchio del fumo si chiuse, il gallo saltò in sella alla Harley e abbracciò il suo orso, lanciando un urlo belluino come segnale di partenza.Tra grida e scoppi s’involarono rapidamente.L’orizzonte non li aveva ancora del tutto inghiottiti quando Marco si accorse che il biondastro aveva dimenticato le chiavi della Guzzi appese al bauletto.Accidenti!Cosa gli stava capitando?Perché il Fato che tanto lo stava avversando gli offriva, poi occasioni così ghiotte per continuare a trasgredire e prolungare la sua fuga?Non aveva risposte e non voleva nemmeno cercarle. D’impulso, così come era balzato sul treno merci, si avvicinò alla moto, prese il casco , lo allacciò, montò in sella e avviò il motore.Nessuno gli badava. Diede gas e partì. Ladro, ora era diventato anche ladro di moto.Il vetusto mezzo filava via come un andante sostenuto.Il rumore ritmico delle valvole metteva allegria. La Toscana , Firenze , la casa di Frank e Jenny in Val D’Elsa, tutto era diventato raggiungibile.

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Il tè della clinica S. Giuseppe, a dispetto dell’alto prezzo imposto ai degenti, era di qualità piuttosto ordinaria. Amaranta ne sorseggiò solo qualche goccia e non osò nemmeno sfiorare i biscotti e il cornetto, ben avvolti in confezioni di cellophane sul piccolo vassoio di peltro.Erano quasi le otto e voleva farsi trovare vestita e pettinata all’arrivo del Vice Commissario Cascione.Si affacciò sul corridoio e vide, di spalle, un nuovo agente in borghese passeggiare annoiato, con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, in attesa che finisse il suo turno. La camera 519 disponeva di una piccola stanza da bagno completa di doccia.Amaranta cercò il sollievo dell’acqua corrente per lunghi minuti. Si strofinò con una ruvida manopola di fibre intrecciate, poi si avvolse in un grande asciugamano bianco, caldo e morbido.Caldo e morbido come la voce di Cascione.Quel poliziotto atipico la rassicurava, le ispirava fiducia. Aveva voglia di aggrapparsi a lui come ad un salvagente, sperando di riuscire a superare la buriana in cui era stata risucchiata.Guardandosi nello specchio si rivide bambina, a Roma, seduta ad aspettare suo padre, sopra una balaustra di travertino ingrigito dallo sporco di qualche secolo.I sandaletti bianchi penzolanti in fondo alle sue gambette scure che la gonnicciola di cotonina rosa non riusciva a coprire, gli occhi a scrutare la strada, come un cane in attesa del suo padrone.Lo avrebbe davvero ritrovato? Come sarebbe stato quest’incontro?Sarebbero riusciti ad abbracciarsi di nuovo? La sua barba l’avrebbe ancora punta?Qualcuno stava bussando alla porta.Sperò che non fosse Cascione.Le sembrava sconveniente farsi trovare semisvestita.Aprì un piccolo spiraglio.Fortunatamente non era lui.Un uomo corpulento in divisa bianca stava piegato dietro ad un grande carrello.Le fece capire di essere venuto per cambiare le lenzuola.Lo fece senza guardarla in faccia, senza nemmeno dover aprire bocca.Chiaro, non conosceva l’italiano.Di sicuro era un altro lavorante straniero.Un rumeno dai lineamenti forti e marcati.Amaranta chiuse la porta della stanza da bagno e sperò che se ne andasse presto.Voleva vestirsi in fretta.Aveva una faccia sciupata e si domandò se non fosse il caso di darsi un filo di trucco.Ritenne il trucco troppo civettuolo e quindi scarto subito l’idea.L’uomo dietro la porta domandò.-Posso cambiare le salviette per favore?Si era sbagliata, l’uomo conosceva bene l’italiano.Altro che rumeno, l’accento era proprio romano.Amaranta apri la porta del bagno intenzionata a chiedergli di ripassare più tardi.L’uomo aspettava con gli asciugamani impilati sulle grandi mani, i polsi appoggiati sul largo petto.Con un anello al lobo dell’orecchio sarebbe stato un perfetto Mastro Lindo.All’improvviso gli asciugamani furono compressi sulla sua faccia con tale forza che Amaranta si ritrovò sbattuta contro il bordo duro e freddo del lavandino .Fu un colpo fortissimo che le provocò un’acuta fitta all’altezza dei reni, le ginocchia le cedettero e si ritrovò ad accasciarsi sul pavimento con la vista annebbiata e la testa che girava. Le mancava l’aria e cercò disperatamente di rialzarsi e respirare , di gridare e di graffiare.Tutto girava. Un’altra puntura sottile e bruciante nel fianco destro.Capogiri, vertigini.

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La paura, il dolore, Mastro Lindo... tutte le cose perdevano senso e forma.Il mondo intero se ne stava andando, ingurgitato da un gorgo lattescente.

La frusta del contachilometri non era ben agganciata al mozzo della ruota anteriore.Marco Bacci valutava a spanne la sua andatura e si guardava bene dal forzare il vecchio motore.Evitò l’autostrada dove un piccolo guasto, anche solo una banale foratura, lo avrebbe consegnato alla Polstrada o costretto ad ardue fughe attraverso i dirupi appenninici.Scartò anche la Porrettana. frequentata da troppi camion, attesi al varco da coppie di gendarmi.Quindi circumnavigò Bologna e si risolse ad imboccare la SS65, percorsa per lo più da traffico locale. Valicò il passo della Raticosa e poi quello della Futa per ritrovarsi sul versante toscano, di fronte al grande spettacolo delle pendici del Mugello.Borgo S. Lorenzo e Fiesole erano ormai ad un tiro di schioppo.La bellezza del paesaggio lo riempiva di speranze. Sentiva la voglia di libertà gonfiarsi come una mongolfiera pronta a prendere il volo verso nuove terre. Ce l’avrebbe fatta di sicuro.Ce l’avrebbe fatta comunque. Avrebbe trovato un posto in cui nascondersi nella natura che tanto lo attraeva. Si sarebbe costruito una nuova identità , una seconda vita.Forse avrebbe anche potuto trovare il modo di trasformare il suo esilio in qualcosa di positivo, magari dandosi da fare per il prossimo come il padre di Amaranta.Anche Fra Cristoforo era stato spinto a fare del bene da un assassinio.Marco Bacci a differenza di Lodovico aveva ucciso solo nei suoi sogni e non nella realtà.Ma diversamente dal personaggio manzoniano era costretto a scappare, senza nemmeno poter chiedere un pane in segno di perdono.“Qui pane fichi e pecorino”Sotto una tettoia di paglia una vecchia contadina esibiva formaggi e frutti al bordo della strada.Marco non riuscì ad impedirsi quella sosta da goloso.

L’agente Donato Peruzzi non riusciva a stare seduto.Continuava a camminare in su e in giù per il lungo corridoio della clinica S Giuseppe controllando nel riflesso delle finestre l’impeccabilità del suo abito di puro lino color sabbia, comprato pochi giorni prima da Dolce e Gabbana insieme alla sua ultima fidanzata.Lo aveva indossato la sera precedente per far bella figura al Casinò di Sanremo dove avevano progettato di trascorrere la serata .Stavano già per imboccare l’Autostrada dei Fiori quando giunse irrevocabile l’ordine di rientrare in servizio.La ragazza l’aveva presa davvero male e Peruzzi che si considerava un conoscitore del mondo femminile, a buon diritto,visto che annoverava almeno duecento conquiste, aveva intuito che il fascino della divisa e il senso di potenza e avventura, generati dallo stare al fianco di un uomo sempre armato e spesso coinvolto in pericolose azioni, stavano scemando a causa del poco tempo che riusciva a dedicare a quella peperina poco più che maggiorenne.Certo, poteva ancora contare sulla sua virilità esagerata e sulle sue sorprendenti prestazioni sessuali, ma anche lì si rendeva conto che dallo stupore per la sua superba dotazione si era ormai passati al continuo lamentare dolori e stanchezze per mettere freno alla sua esuberanza.Doveva guardarsi attorno per cercarsene un’ altra oppure doveva ottenere quel sospirato trasferimento nella sua città, Arezzo, in cui il suo soprannome di lancia d’oro, era così conosciuto tra le signore e le signorine che frequentavano i locali giusti da evitargli ogni preoccupazione.A distoglierlo dalle sue preoccupazioni fu l’arrivo del Vice Commissario Cascione.Vedendolo si illuse che fosse venuto a portar via quella giovane vedova e per dar forza al buon auspicio si toccò le palle con una certa energia.

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La domenica era appena cominciata e se avesse avuto un inaspettato via libera, Peruzzi aveva buone possibilità di riuscire a santificarla a modo suo.-Tuttapposto?- Appostistissimo. Tutto tranquillo.- La signora è già sveglia?- Sì. Le hanno pure portato la colazione e il cambio di biancheria.- Perfetto.Peruzzi non riuscì ad aggiungere altro, Cascione si era già avviato verso la camera 519.Un secondo dopo averlo visto entrare nella stanza, Peruzzi sentì urlare il suo nome.Corse mettendo mano alla pistola e togliendone la sicura.La stanza era vuota.Il letto sfatto.Cascione guardava basito un mucchio di lenzuola appallottolate, sparse sul pavimento assieme ad alcuni asciugamani usati ed altri ancora piegati.Nell’armadietto aperto c’erano ancora gli abiti e la biancheria della signora.Sul comodino, accanto ai resti della colazione, un cellulare acceso.Peruzzi aprì con un calcio la porta del bagno, puntò la sua arma e poi di scatto entrò.- Dottore venga qua!Cascione si affrettò in bagno pregando ogni dio di non dover trovare il cadavere di Amaranta.Fu felice di non trovare nient’altro che una scritta sullo specchio.PAGHERETE CAROPAGHERETE TUTTO.Il vecchio slogan era stato scritto con del rossetto ed era siglato GW.

Eduardo Sansone aveva sempre potuto contare su una grande risorsa il sonno ristoratore.Qualunque cosa accadesse nella sua vita, qualunque affanno lo cogliesse nelle sue giornate, qualunque preoccupazione lo assillasse, meno di un minuto dopo aver toccato il letto si ritrovava immerso nel più beato dei sonni, per risvegliarsi al mattino successivo pronto ad affrontare il mondo con rinnovata energia.Anche quella notte non fu diversa.Era riuscito a dimenticare Marco, Gatto e le movimentate vicende del giorno prima per più di otto ore. Si era svegliato con il piacevole aroma di caffè proveniente dalla cucina in cui Adele stava già trafficando.Il suo primo caffè fu interrotto dal cicalino del citofono.-Gatto.- rispose una voce lontana resa gracchiante dal cattivo funzionamento dell’apparecchio.Rito Gatto, vestito esattamente come la sera prima, ma con il volto segnato da una notte di veglia, si presentò all’uscio senza nessun agente al seguito.Eduardo ne fu contento perché immaginava che la vista di un poliziotto in divisa avrebbe turbato ancor più Adele, visibilmente sorpresa da quella visita mattutina, ma non così sconvolta da dimenticarsi di offrire all’Ispettore una tazza di caffè.Gatto accettò di buon grado l’offerta e mentre veniva fatto accomodare in cucina domandò alla signora il permesso di fumare.Servito il caffè, Adele scomparve nella stanza da bagno.-La posizione del suo amico si è ulteriormente aggravata.- Che ha fatto?

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- Questa mattina la Signora Amaranta Blanquez, vedova della vittima, è sfuggita alla nostra sorveglianza, allontanandosi dalla camera alla Clinica S.Giuseppe in cui si trovava sotto piantone.-Com’è potuto succedere?- Qualcuno l’ha nascosta nel carrello della biancheria, sfilando sotto gli occhi del piantone.- Però Marco non può essere stato. Il piantone lo avrebbe riconosciuto.- Infatti. Bisogna che lei sappia che il quadro è cambiato. Bacci e la vedova sono evidentemente complici. Agiscono insieme ad un gruppo che si sigla GW. Le dicono niente queste lettere?Eduardo non si raccapezzava più e sentiva vacillare ogni certezza.Di sicuro però, non aveva mai sentito né visto quella sigla.- Per quale motivo ritenete che Marco sia collegato a questo gruppo?- La donna ha scritto alcune minacce sullo specchio del bagno e ha lasciato il suo cellulare sul comodino. Abbiamo trovato un SMS firmato MB . Il testo annunciava che i GW erano pronti per prelevare la donna e portarla dal Bacci. Il messaggio è stato inviato nelle prime ore della mattinata.Eduardo sbiancò. Se era vero quello che stava sentendo, il messaggio doveva esser stato inviato con il cellulare del nipote. Il che significava che prima o poi sarebbe stato sputtanato.- L’ho vista impallidire. Non si sente bene?Gatto allungò una mano che sfiorò il braccio di Sansone. - Non faccia l’eroe. Si decida a collaborare.Sansone aveva già ripreso il controllo delle sue emozioni.- Purtroppo non ne ho modo, vi ho già detto tutto quello che so. Marco non mi ha confidato alcun segreto ed io non ho mai sospettato che militasse ancora in qualche gruppo.Gatto si alzò e nel suo volto stanco apparve una smorfia di delusione.- Senta, posso capire tante cose e sono disposto a dimenticare le sue bugie.Lei mi faccia il piacere di ricordarsi che in Italia ci sono persone alle quali sono stati affibbiati sette ed anche otto anni di galera per aver dato ospitalità a terroristi. Quando si è potuto provare che ne abbiano fattivamente favorito la fuga, le pene sono state più pesanti. Sono stati considerati al pari dei membri effettivi dei gruppi eversivi. Ci tiene così tanto a far parte di questo club?Appena Gatto se ne fu andato Eduardo cominciò a rendersi conto della gravità del guaio in cui si era cacciato per proteggere il suo amico Come ogni domenica il Dottor Ferrigno fu il primo a svegliarsi.Dormivano tutti, pure la cagnetta.L’ampio loft, situato in un cortile interno, era pervaso dal silenzio.L’unico rumore che giungeva alle sue orecchie era quello del cinguettio dei passeri intenti a becchettare nel giardino condominiale.Ma il pensiero di Marco lo aveva tormentato tutta notte e non vedeva l’ora di inviargli il messaggio convenuto con Edo.Per sicurezza avrebbe dovuto usare una cabina del telefono, visto che davano per scontato che tutte le utenze intestate a loro fossero sotto controllo.Ma anche i loro movimenti erano sorvegliati.La notte prima si era accorto che una berlina scura lo aveva seguito dal pub a casa di Edo e poi da lì fino al suo loft.Non si erano mai avvicinati troppo, ma sui lunghi viali della circonvallazione avevano mantenuto una distanza costante.Certamente erano ancora là fuori pronti a pedinarlo.Per quanto si sforzasse non riusciva ad immaginare con quali diavolerie si poteva intercettare un SMS.Era però a conoscenza del fatto che nessun genere di comunicazione poteva sfuggire alle grandi orecchie degli spioni dell’era tecnologica.

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Si accese una sigaretta e si risolse a farsi un caffè al bar dell’angolo per annusare l’aria.Anche Corso Lodi pareva resistere al risveglio.Il dottore aveva tra le labbra la prima sigaretta della giornata e moriva dalla voglia di accendersela.Invece finse di frugarsi le tasche in cerca dell’accendino, girandosi e rigirandosi su se stesso allo scopo di potersi guardare meglio attorno, poi cominciò a chiedere del fuoco agli scarsi passanti, prolungando così la sua osservazione.Non c’era nessuno che lo stesse osservando attraverso due fori nelle pagine di un giornale e nemmeno qualcuno con cappello, occhiali scuri e impermeabile dal bavero rialzato che camminava in su e in giù .L’Ispettore Clouzot era stato destinato ad altro incarico in compagnia del Tenente Colombo.Si convinse che uno come lui, del tutto ignaro di tecniche d’indagine poliziesche, non avesse modo di capire se era stato messo sotto sorveglianza.Fu un cinese che gli porse la fiamma da un accendino ricoperto di brillantini multicolori.Fumando s’incamminò verso il primo locale aperto. Nel bar dell’angolo trangugiò un pessimo caffè che necessitò di ben quattro cucchiaini di zucchero per diventare bevibile.Si ricordò che nei film americani aveva visto spesso gli agenti addetti alle intercettazioni e alla sorveglianza nascondersi con tutte le apparecchiature dentro grossi furgoni.Quando uscì dal bar si accorse che a meno di cinquanta metri dal suo portone era parcheggiato un Ducato bianco. Apparentemente era un furgone qualsiasi, però aveva tutti i vetri bruniti e ben due antenne sul tetto, di cui una insolitamente lunga.Se il proprietario non era un fanatico radioamatore, era da lì che cercavano di spiarlo.Comprò La Repubblica e si diresse rapidamente verso l’entrata della metropolitana. Scese i primi cinque scalini poi si voltò e si chinò come se volesse allacciarsi una scarpa.Trenta secondi più tardi, un uomo con una giacca a quadri imboccò le scale in gran fretta. Subito l’uomo rallentò il passo e finse di cercare qualcosa nelle tasche poi proseguì lentamente la sua discesa.Ferrigno tornò verso casa, entrò e si chiuse il portone alle spalle.Contò fino a trenta, poi dischiuse leggermente la grossa porta di legno.L’uomo con la giacca a quadri stava tornando sui suoi passiSi sedette in giardino e per meglio raccogliere i pensieri si accese un’altra sigaretta.Doveva davvero contattare Marco?No, non doveva.Però voleva farlo.Voleva farlo per dargli una speranza, un cenno di solidarietà nel tormento di quella dannata storia.Gli venne in mente che il cellulare di Pietro aveva una sim-card intestata alla suocera.Poteva essere sufficientemente certo che quel numero non fosse sotto controllo.Se i pulotti avevano piazzato il loro furgone così vicino a casa ne conseguiva che per funzionare le loro macchine non potevano essere sistemate oltre un determinato numero di metri.Gin-gi , la vecchia cinese e tutta la banda di mangiatori di riso, abitavano in una di quelle vecchie case di ringhiera di via Col di Lana caratterizzate da una fuga di cortili infilati uno dopo l’altro.Tra il portone d’ingresso e l’abitazione correvano almeno duecento metri e una quantità di pareti.Di soppiatto si avvicinò al letto di Pietro, scippò il cellulare dalla tasca delle braghe appallottolate di fianco al letto, lo infilò nella sua borsa di pelle e se ne uscì nuovamente.Non era mai stato così contento di visitare una vecchia cinese nel suo giorno di riposo.

Per un’auto della polizia raggiungere Palazzo di Giustizia uscendo da Via Fatebenefratelli è questioni di pochi minuti .Galante li sfruttò per bruciare il tabacco bruno e piccante di un altro mezzo toscano cercando di convincersi che nella vita tutto passa.

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“Anche le grane più fastidiose prima o poi finiscono” si diceva per consolarsi “alla fine di tutto l’unica cosa destinata a restare è solo la cenere.”Una cenere come quella che si staccava dal suo sigaro e volava, perdendosi nel mattino domenicale.Una cenere democratica ed interclassista che uniforma ed assimila ricchi e poveri, colpevoli ed innocenti, procuratori generali, ministri plenipotenziari, questori e commissari.Cennere nient’altro che cennere. Scendendo dalla macchina schiacciò con la scarpa i resti fumanti del suo mozzicone. Il rumore dei suoi tacchi rimbalzava tra le alte pareti e i lunghi corridoi di un Palazzo di Giustizia reso quasi bello dal vuoto dei suoi enormi spazi, dall’essere deserto.O quasi.Un capannello di uomini di scorta era assiepato davanti alla stanza del Sostituto Procuratore Martini.All’interno oltre al magistrato c’erano già il Questore, un Colonnello dei Carabinieri a lui sconosciuto, un cinquantenne dalla barba rossa e riccia seduto accanto a Martini, dietro la monumentale scrivania, con un lap top aperto davanti a sé.“Questa corte mi ha già condannato e Barbarossa deve essere il boia.” Le intuizioni di Galante erano esatte.Il giudice si fece incontro al Commissario Capo. Dopo un asciutto saluto, lo invitò ad accomodarsi.Con la sua legnosa freddezza , il corpo secco , la carnagione giallastra, Martini ricordava a Galante un incrocio tra un superstite di Mathausen ed un dannato fuggito da una raffigurazione medievale in cui si mostra ai peccatori come ci si riduce all’Inferno.Il Commissario Capo rifletté che tra il campo di Mathausen e l’Inferno correva poca differenza.- Commissario mi sono visto costretto a convocarla con urgenza dati i nuovi sviluppi presi dalle indagini sul caso dell’assassinio di Via Villoresi.Martini indicò con una mano il Barbarossa e il suo computer.- Il Tenente Colonnello Cozzi, in forza alla DIGOS, è venuto da Roma su espresso incarico del Ministero degli Interni per prendere in mano la guida delle indagini. Pertanto questo caso non è più di competenza della Squadra Anticrimine, anche se siamo certi di poter contare sulla sua totale collaborazione e sulla piena disponibilità di tutti i suoi uomini laddove le circostanze lo richiederanno. Nella breve pausa che seguì Galante sentì il peso degli sguardi dei quattro uomini.Per qualche istante l’unico movimento percepibile nella stanza fu il saliscendi del pomo d’Adamo attraverso il lungo collo del magistrato.Galante aveva paura che il suo giramento di palle potesse produrre un qualche genere di rumore, quindi si schiarì la gola per rompere il silenzio.- Non posso nascondere il mio disappunto. - Galante rivolse uno sguardo di fuoco verso il Questore – Tutto quel che posso dire è solo un garibaldino obbedisco.- Le assicuro Commissario che non si tratta di sfiducia nei suoi confronti – intervenne il Colonnello della Benemerita per buttare una manciata di sale sulle ferite di Galante - diciamo che le brutte figure che avete rimediato ieri mattina con il ferimento del frate, ieri sera con la fuga del Bacci da Stradella e oggi con la scomparsa della moglie di Franco Faggioni dalla clinica in cui la tenevate sotto sorveglianza, ci vedono costretti a ritenere che questo caso vada affrontato con ben altre forze. Dobbiamo far capire alla gente che le forze dell’ordine sono pronte a scendere in campo con mezzi adeguati alle minacce che provengono da questo genere di canaglia.Galante non vedeva l’ora di andarsene, ma non seppe rinunciare ad una piccola replica.- Capisco perfettamente, d’altra parte anche il Signor Giudice ieri mi disse di fidarmi delle indagini private già svolte da Domenico Faggioni e di conseguenza ci siamo mossi nella convinzione di trovarci di fronte al gesto disperato di un amante frustrato. Ci abbiamo messo anche fin troppo impegno. Nessuno poteva immaginare di dover fronteggiare una banda in grado di agire su più fronti e

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soprattutto non potevamo supporre che dietro questa storia ci fosse un problema di traffico d’armi. Galante realizzò che le sue ultime parole avevano generato un fremito di sorpresa.Solo Cozzi si limitò a sbatter le ciglia ed a fingere interesse per il display del suo portatile.- Scusi Commissario- domandò il Questore con curiosità- se ho ben capito siete in possesso di qualche elemento a noi ancora ignoto se pensate che il delitto sia opera di una banda di trafficanti d’armi.- Dati i vostri mezzi, immaginavo sapeste anche questo. - Avanti, ci dica ! - ordinò tagliente Martini.- Bé, stamattina un’ambulanza ha portato al pronto soccorso del S Paolo una donna in stato confusionale, con un vasto ematoma sul capo e varie ecchimosi sul corpo. La donna, una collega del ricercato e della sua bella, ha riferito che a ridurla così è stato un energumeno a cui il Bacci ha promesso e mai consegnato una partita d’armi. Pare che lo sconosciuto minacci di colpire nuovamente.Senza alzarsi il Barbarossa prese la parola.- Queste notizie devono restare assolutamente top secret. Temiamo che ci sia sotto una specie d’Internazionale del Terrore. Evitiamo che l’opinione pubblica sia gettata nel panico. È chiaro?Gli altri annuirono obbedienti senza riuscire a nascondere un certo smarrimento.Con un sorriso maligno il vecchio Commissario Capo si concesse un’ultima battuta. - Spiacente. Le televisioni sono arrivate prima di noi. Hanno già intervistato quella povera donna.

Cascione,Gatto,Carbone,Maglio e Ruvolo inghiottivano la delusione ad un tavolo del Giamaica.Galante per non affrontare di persona gli uomini della sua squadra , aveva preferito diramare un ordine di servizio in cui si autorizzava il personale coinvolto nell’operazione a godere di giorni due di riposo.La notizia del passaggio del caso Bacci alla DIGOS aveva fatto piacere solo a Peruzzi , subito pronto ad involarsi, a bordo della sua Tigra gialla, a sistemare le sue vicende erotico sentimentali.Anche Ruvolo in cuor suo non era così dispiaciuto, ma vedendo i colleghi così abbacchiati si era adeguato alla situazione e aveva messo su una faccia da finale di coppa persa ai rigori.Cascione aveva buttato giù un caffè amaro e tiepido mentre gli altri si erano fatti preparare dal giovane barman degli stravaganti aperitivi colorati.Nessuno parlava. Cascione sembrava fissare un punto lontano sul tetto della Basilica di S. Marco.Gatto, contemplava invece il ragazzo dietro al bancone, impegnato in una sua personale danza con lo shaker. Gli altri tre si godevano il passaggio delle belle signore milanesi, tutte agghindate e pronte a genuflettersi durante la messa di mezzogiorno.Fu Carbone a rompere il silenzio.- No, non sta assieme.- Che ?- domandò Ruvolo sperando si aprisse un dibattito sull’incongruenza di quegli abiti femminili così provocanti e la sacralità della funzione a cui erano dedicati.- Quella femmina, non mi quadra.- Quale femmina?-domandarono all’unisono Ruvolo e Maglio tirando il collo per ottenere una visione d’insieme del transito muliebre.- Amaranta.- Ah!I due si sprofondarono nuovamente nella sedia. Gatto, invece fece capire a Carbone di continuare.- Se intendeva fuggire, perché ha detto a Cascione di andare da lei il più presto possibile?- Forse non sperava che riuscissero così presto a ricongiungerla con il suo ganzo- buttò là Gatto.Carbone scosse la testa.- Partiamo dall’ipotesi che questi GW siano un gruppo organizzato, pronto a compiere attentati e cose del genere. Mettiamo pure che per prima cosa decidano di far fuori il marito della loro pasionaria, per

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liberarsi di lui, per vendicarsi del suocero o perchè hanno paura di essere stati scoperti. Chissà! Ammettiamo che sia così, mi dite che senso ha questa pantomima della fuga del killer in bicicletta.Che senso ha che Amaranta abbia chiesto di essere ricoverata in una clinica invece di fuggire subito con il suo uomo? E l’altra maestra massacrata di botte? Vi ricordate? Dalla sua deposizione sembrerebbe che il picchiatore sia convinto che anche lei faccia parte del complotto e sia al corrente delle mosse del Bacci e della storia di queste benedette armi. Sulle quali per ora non si sa nulla. Vedete non sta insieme che gente come questa , tre insegnanti di scuola elementare , abbia rapporti con la peggiore malavita in circolazione.- Non sono ragionamenti che mi convincono – replicò Gatto sorseggiando il suo cocktail – Vogliamo proprio dimenticarci chi erano i brigatisti? Per caso ti sei scordato quanti insegnanti hanno fatto parte delle varie organizzazioni terroristiche? E questi delle nuove BR? Non sembrano anche loro delle persone a modo con il loro lavoretto, la macchinetta e la pistola sotto il cuscino? Mi meraviglio di te Carbone, con tutta la tua meticolosità dovresti sapere che ogni gruppo ha una sua folle, ma ferrea logica, sulla quale poi sviluppa le sue strategie d’azione. Bisogna capire cosa vogliono e cosa pensano questi nuovi GW per arrivare a comprendere il loro disegno. Non sarà facile e ci vorrà parecchio tempo. Per fortuna non è più compito nostr.Ci penseranno i DIGOS . Salute a loro!Gatto svuotò il suo bicchiere, subito imitato da Maglio e Ruvolo.Carbone invece guardava preoccupato Cascione ,chiuso nel suo mutismo. Proprio lui, che era l’unico con una certa esperienza nella lotta al terrorismo, si ostinava a tacere senza prendere posizione.- Senta un po’ Gatto- intervenne Maglio- fino a poco fa era convinto che quel Sansone con il suo compare medico fossero complici del Bacci. Significa che anche loro sono GW?- Bella domanda Maglio. - apprezzò Carbone.-Resto convinto che lo coprano. Però non riesco a figurarmeli coinvolti in un piano criminale. Anzi credo che prima o poi sbrachino e comincino a collaborare. Però è solo una questione d’intuito, di sensibilità, che mi fa dire così. Che ne pensi Cascione?Cascione rientrò dal suo viaggio extracorporeo. Regalò a tutti il più sereno dei sorrisi, si alzò e buttò sul tavolo il suo tesserino di riconoscimento.- Finalmente ho capito perché mi sono ammalato. - Che ti sembra di aver capito ?- chiese Gatto incredulo.- Che il poliziotto non è il mio mestiere, che non mi corrisponde. Il mio modo di capire e sentire ciò che accade attorno a me non è più adeguato a questo compito. Per questo mi sono ammalato così gravemente. Mi dimetto e per festeggiare l’evento pago io questo giro.Cascione si diresse alla cassa. Gatto lo rincorse e lo trattenne per il giubbotto.- Non fare il coglione. Non ti sembra un pochino tardi per decidere cosa fare da grande?- Nient’affatto, mi sembra di essere diventato grande solo oggi.

L’arte della manutenzione della motocicletta non doveva essere il punto forte del celtico biondo cui Marco Bacci aveva rubato la Guzzi.Pochi chilometri prima di Fiesole, l’anziana aquila di Mandello Lario aveva interrotto il suo volo.Il freno a disco sulla ruota anteriore si era grippato, probabilmente a causa dell’eccessivo lavoro cui era stato sottoposto nei contorti tratti in discesa.La ruota anteriore, completamente bloccata, rifiutava di compiere anche una piccola frazione di giro. Con una certa fatica Marco Bacci trascinò il mezzo al bordo della strada e lo appoggiò ad un olmo.Con uno sforzo ancora maggiore, finse di essere un escursionista e s’incamminò verso Fiesole.Dapprima non riusciva a resistere alla tentazione di voltarsi ogni volta che sentiva un motore arrivare alle sue spalle, come se questo controllare che non si trattasse di gendarmi lo potesse proteggere. Poi si convinse che solo una finzione d’indifferenza avrebbe fatto il suo gioco.

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Ci riuscì malamente, con il fiato che rimaneva sospeso ad ogni passaggio d’auto ed il cuore che faticava ad adeguarsi a questa nuova condizione.Si sentiva più che mai in mano al caso ed ai suoi capricci, ciononostante continuava a tenersi stretto il suo progetto di fuga. Appena arrivato a Fiesole salì a bordo di un autobus diretto a S. Maria Novella.Lì avrebbe potuto trovare un servizio di corriere per raggiungere la Val d’Elsa.Mentre l’autobus scendeva verso la città, accese il cellulare e trovò il messaggio di Gigi.STIAMO STUDIANDO UN RITORNO DI ULISSE A ITACA SENZA ODISSEA- NON CHIAMARE MAI. PRESTO TI DAREMO UN APPUNTAMENTO SICURO. COPRITI. I suoi amici gli stavano organizzando un trasbordo sull’altra riva dell’Adriatico.L’idea gli piaceva.Si sentì sollevato e protetto.Guardò fuori dal finestrino con occhi diversi.Firenze era bella e caotica come sempre.Anche sommersa dalla congestione del traffico e dal tormento del turismo più becero la città sembrava voler sfidare il mondo a competere con la sua bellezza.“Potrebbe essere l’ultima volta che la vedo” Come rinunciare ad un ultimo giro?Sia che fosse riuscito ad espatriare, sia che fosse finito a marcire in galera, le probabilità di un’altra gita a Firenze erano piuttosto esigue.E allora giù. Senza quasi sapere come, si ritrovò in Piazza S Croce. Si sedette su una panchina accanto ad un vecchio, probabilmente un turista inglese, elegantemente vestito di blu.Sia l’abito che la camicia,di ottima stoffa e classico taglio, dovevano essere stati confezionati da un abile sarto in un periodo in cui l’anziano signore era stato decisamente più in carne.La magrezza e la postura unite alla dignità che emanava dall’uomo solitario, in muta contemplazione della piazza e della basilica, ricordavano a Bacci certe foto del Mahatma Gandhi .Aveva però dei bellissimi occhi europei, di un azzurro intenso, pareva quasi che due ritagli di cielo sereno avessero deciso di abitare nelle sue iridi.Marco cercava di resistere alla tentazione di spiarlo per paura di attirarne l’attenzione, ma allo stesso tempo si accorgeva che ad ogni minuto aumentava la sua voglia di parlare con l’anziano signore.Un cagnetto ramingo si sdraiò in una pozza di sole a qualche metro da loro.- È tornato il randagino.- constatò il vecchio soddisfatto.Istintivamente Marco si batté i palmi delle mani sulle cosce.Subito il cagnetto si avvicinò scodinzolando, ben disposto a ricevere coccole e/o bocconi. - Secondo mia figlia si tratta di un incrocio tra cani da caccia. Parlava un italiano perfetto e privo di accenti, di certo non era fiorentino, ma neanche inglese.- Credo che sua figlia abbia ragione, chissà dov’é il suo padrone?- Da come si comporta sembra che ne stia cercando uno.- Come fa a dirlo?L’uomo si strinse nelle spalle atteggiando le labbra ad un tenero sorriso.- Sono tante le bestiole abbandonate. Purtroppo noi uomini, per eccesso di egoismo, ci disfiamo con troppa facilità di questi amici a quattro zampe. Ci disfiamo anche dei nostri simili, appena diventano un ostacolo alle nostre ambizioni. Se sei vecchio o malato, se crei un qualche genere di problema, via ! Il cagnetto appoggiò sulle ginocchia di Marco il suo musino da cui spuntavano molti peli bianchi, in contrasto con il biondo fulvo del mantello, segno che anche l’animale era già avanti con gli anni.Marco si accorse che la vicinanza di quei due vecchi, il randagio e l’elegante signore, gli faceva bene..Stemperava la sua angoscia.Creava un minuscolo limbo di pace.

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Guardò con più sicurezza il suo anziano vicino che osservava beato quell’ effusione di coccole.I capelli candidi e ben curati disegnavano un’elegante chierica attorno alla sua bella testa .Il naso era piccolo e dritto, le guance ben rasate. Aveva addosso un profumo di pulito e di fresco.Marco si ricordò di aver fatto l’ultima doccia due giorni prima e arrossì.Per la vergogna sprofondò la sua faccia nel pelo del cane e si strinse forte a quella creatura che certo non aveva remore o pregiudizi nei confronti dei suoi afrori.Anzi, fu così contenta di quello stropicciamento che balzò sulla panca e si acciambellò nel suo grembo.- Pare che lei abbia trovato un amico.- Un’amica. È una femmina.- Ci avrei giurato, anche se non riesco a vederla, da come zampetta, capisco che è una femmina.- Non riesce a vederla?- No, Il senso della vista mi ha abbandonato. Mi dispiace soprattutto per la lettura. Confesso di avere una passione folle per i libri.Marco era stupito: quegli occhi che sembravano osservare tutto con vivace intelligenza erano ciechi. - È diventato cieco recentemente?- Non posso dire di essere diventato cieco, solo non riesco più a metter insieme delle forme che mi significhino qualcosa. Vedo un insieme di linee incongruenti . Potrei rivolgere la parola ad un appendiabiti o scambiare mia moglie per un cappello.Risero.- Per fortuna vedo ancora la luce. Mia moglie e mia figlia sono tornate a visitare la basilica, a camminare tra le urne de forti, ma io ho chiesto che mi lasciassero qui. In questa bellissima piazza che vedo con gli occhi dei miei ricordi, ma di cui sento la forza della sua luce e del suo passato. Ho perso la vista ma ho acquistato altri sensi. - Non mi ero accorto che lei non vedesse. Anzi mi sembrava che osservasse sia me che il cane con occhio critico, quasi volesse valutarci, giudicarci.- Bé non posso nascondere che non riesco ad evitare di esprimere giudizi e di cercare di valutare e capire anche quello che non posso vedere. Per esempio dal mio punto di vista- il vecchio non riuscì a trattenere una risatina- dicevo, dal mio punto di vista la cosa che più mi ha colpito di lei è la sua inquieta disperazione. Lei deve essere molto agitato.- Non posso negarlo. Purtroppo non riesco a mascherare le mie emozioni e questo per me è un guaio. - No, guardi si sbaglia Sono costretto a contraddirla. Dovremmo tornare un po’ tutti ad essere più aperti, smettere di indossare maschere e credere di essere diversi da quello che siamo. - Non è sempre così facile. Ci sono casi in cui bisogna continuamente stare in guardia.Fingere. Nascondersi. Prenda il caso di una persona accusata ingiustamente e costretta a fuggire...Il vecchio lo interruppe.- Non so se quello che penso possa essere valido per tutti. Ma mi schiero con coloro che credono che il delitto sia il castigo. Che il mondo intero diventi un immenso carcere se nel cuore si porta il peso della colpa e che una cella, per quanto angusta, non possa impedire ad un uomo innocente di sentirsi libero. Si concessero un silenzio di riflessione.La cagnetta si era addormentata. Si sentiva il suo respiro pesante, come se russasse.Marco era frastornato.Il giudizio del vecchio metteva in dubbio la bontà delle sue scelte.- Senta una cosa – disse ad un tratto il saggio signore- Io non so in quali ambasce lei si trovi, ma di sicuro lei è una brava persona, altrimenti la cagnetta non si sarebbe addormentata sulle sue gambe. Gli animali sentono e capiscono molto di più di quello che immaginiamo. Anche se qualcuno la sta accusando di qualcosa di tremendo, questo giudice pulcioso l’ha già assolta.Risero insieme.

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-Se la porti con sé, farà bene a tutti e due. - Come la battezziamo? - Ho degli amici che hanno preso dal canile una cuccioletta e l’hanno chiamata Lila. Le piace?La randagina si svegliò e si mise a battere la coda sulle gambe di Marco.- Sembra che a lei piaccia molto. PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? PERCHÉ? Amaranta ripeteva a squarciagola la sua disperata domanda.I muri bianchi e nudi non le rispondevano.Dalla porta bianca e metallica non giungeva alcun suono.Lo spioncino non si apriva.La luce al neon, bianchissima e fredda, illuminava impietosamente la sua nudità.Si era risvegliata sola e spogliata di ogni cosa, senza la possibilità di coprirsi con un qualsiasi cencio.Non sapeva dire da quanto tempo stava gridando invano. Non poteva valutare se fosse giorno o notte.Gridava e singhiozzava.Si accucciava ora qua ora là, in uno dei quattro angoli di quella cella di due metri per tre, al cui soffitto irraggiungibile era ingabbiato il tubo al neon, unico arredo nel vuoto bianco.Cos’altro poteva fare se non gridare la sua disperazione?Mille domande si accavallavano nella sua mente.Cosa stava succedendo?Chi l’aveva rapita?Si trattava delle stesse persone che avevano assassinato Franco?Che cosa volevano da lei?Perché Franco era stato ucciso?Non trovava alcuna risposta.I racconti delle carceri e delle torture, quegli orribili racconti ascoltati da bambina, fingendo di dormire sul divano o sul sedile posteriore della macchina, quando suo padre riceveva informazioni sulla sorte dei suoi sfortunati compagni di lotta, quei racconti tornavano e si proiettavano, come in un teatro delle ombre, sui muri bianchi della sua prigione.Molte di quelle terrificanti storie finivano con la morte dei prigionieri.Alcune raccontavano di sopravvissuti che avevano speso il resto dei loro giorni muti ed immobili a fissare l’orrore che avevano dentro, a riascoltare le urla che non riuscivano più ad uscire dalle loro gole.Ma qualcuno ce l’aveva fatta.Mangiando cimici e scarafaggi, camminando e facendo ginnastica, sforzandosi di mantenersi vivi. Quelli che ce l’avevano fatta erano quelli che non lasciavano spegnere il cervello e che cercavano di adattarsi il più possibile alle disumane condizioni di detenzione, pronti a perdere tutto , anche parti del loro corpo, ma ostinati a rimanere in vita senza farsi rubare la dignità che custodivano, come il più prezioso tesoro, nel segreto della loro anima. Lei ne sarebbe stata capace. Doveva esserne capace. Per Valentina..Da dove cominciare?“ Smetti di piangere e di gridare, trovati una posizione comoda. Recupera energia. Il tuo corpo sa come fare, ascoltalo e fatti guidare”.le spiegò con calma la voce lontana di suo padre. Si asciugò le lacrime, smise di gridare e di picchiare con i pugni e la testa contro i muri.Cercò una posizione seduta.

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“Anche due freddi muri ruvidi possono diventare accoglienti”Era vero.

.Gin-gi aveva svolto il suo compito con zelo filiale e la nonna stava già mostrando i primi sintomi di reazione. A volte i vecchi possiedono delle insospettabili capacità di recuperoIl Dottor Ferrigno tirò un sospiro di sollievo, anche questa volta la terapia tra le mura famigliari sembrava avviata ad avere successo.- Brava ragazza, continua così per una settimana e poi chiamami ancora. Se la nonna peggiora, chiamami subito. Se non mi trovi chiama un’ambulanza e andate all’ospedale.- No, nonna non vuole spedale, nonna vuole te. Te dottole tloppo blavo.- No, io dottole tloppo pilla- Pilla? Io non capisce pilla.- Meglio così . Mi raccomando fa quel che ti ho detto.- Io fa.Una volta sul ballatoio il Dottor Ferrigno si guardò attorno con gran circospezione. ma non riuscì a scorgere alcuna presenza sospetta.Giusto qualche donna che stendeva i panni su lunghi fili da bucato.Quando era ancora studente, il medico aveva abitato per alcuni anni in una casa di quel tipo ed aveva trovato sotto il lungo tetto un solaio che,come un passaggio segreto, metteva in contatto la prima scala con l’ultima e a volte permetteva di uscire sul lato opposto dell’isolato.Invece di scendere, salì fino in cima alle scale e benedisse quella povera gente per non avere ancora adottato l’abitudine dei benestanti di mettere chiavistelli su ogni porta.Dopo qualche minuto e numerose bestemmie, provocate dal fastidio delle ragnatele e dalla paura delle grosse pantegane scorazzanti nel sottotetto, rivide la luce nella stretta Via Gentilino.Provò ad immaginarsi quei poveri agenti in vana attesa davanti al portone sulla Col di Lana, intenti a gingillarsi con i loro marchingegni elettronici, quindi si incamminò fischiettando verso i Navigli con l’intenzione di raggiungere la Via Vigevano e l’abbaino di Fulvio.Di sicuro Fulvio stava ancora dormendo, ma appena riacquistata la lucidità avrebbe compreso la gravità della situazione e si sarebbe messo in pista per soccorrere il comune amico.Fulvio aveva mille talenti e avrebbe potuto riuscire sia come attore che come musicista o scultore o pittore ma anche come uomo di sport.Aveva praticato la box, la scherma e le arti marziali giapponesi.Ultimamente insegnava disegno anatomico all’Accademia di Brera.La sua vita sentimentale era stata ancor più sregolata e burrascosa di quella di Marco, per via del grande fascino che esercitava sulle donne di tutte le età, con la sua voce da basso, il naso schiacciato da boxeur, un fisico da peso gallo e un appetito sessuale davvero esagerato.S’innamorava solo delle donne che non poteva avere e lasciava a tutte quelle che cascavano ai suoi piedi l’impossibile compito di lenire le sue sofferenze.Da quando si alzava dal letto, verso il primo pomeriggio, fino all’alba seguente non stava mai fermo. Suonava, parlava , beveva vino rosso, arrotolava spinelli, insegnava, si allenava, cucinava, scopava, restaurava mobili e dipingeva. Dipingeva ovunque e su qualsiasi superficie.Il minuscolo abbaino in Via Vigevano era completamente coperto di quadri, affreschi , schizzi.Dipingeva anche sugli armadi e quando non aveva più spazi imbiancava una parete e ricominciava.Anche lui,come Marco, era diventato un animale da tana.Usciva solo per insegnare, per allenarsi, per procurarsi il fumo e il vino. Poi si rinchiudeva in quei pochi metri quadri d’abitazione, completati da un gran terrazzo sul quale nelle giornate belle spendeva le sue ore, perso in ogni genere di studi. A differenza di Marco, riceveva spesso visite di amici ed

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amiche e conversava a lungo al telefono. Spendeva sempre più di quel che guadagnava e si ritrovava costretto a chiedere favori ad amici e parenti. Favori che era sempre pronto a ricambiare risolvendo con semplicità quelle che per altri sembravano imprese impossibili.Per aiutare Marco, secondo la diagnosi del Dottor Ferrigno, Fulvio era il più adatto. .Il dottore si fermò all’Osteria del Pallone, si fece portare una birretta ad un tavolo lungo il canale e scrisse tutto quel che a Fulvio serviva sapere sui fogli del suo ricettario. Appena presi i necessari accordi avrebbero fatto incontrare Fulvio e Marco in una città del centro Italia, da lì avrebbero raggiunto insieme il punto convenuto per l’imbarco. Chissà se Edo era riuscito a fare quel che doveva senza farsi cuccare dai poliziotti?Quanto stavano veramente rischiando?Non sarebbe stato più sensato arrendersi invece di fare gli eroi?Certo che lo era. Più sensato, più logico, più regolare.Più giusto?Non c’erano scelte. Arrivato in Via Vigevano s’infilò nel portone sfruttando l’uscita di una coppietta di adolescenti tutti presi dalla voglia di sbaciucchiarsi. Con l’ascensore raggiunse il quinto piano, poi salì la rampa che portava al sottotetto.Bussò e suonò il campanello ripetutamente.Dopo qualche minuto l’uscio si schiuse e dal buio dell’interno apparve Fulvio in mutande-Cazzo Gigi , ti sembra il caso di andare a rompere i coglioni alla gente in piena notte? - Sono le dodici e venti, per te è notte, ma per gli altri è quasi ora di pranzo.- Che cazzo dici, sei fumato?- No, sei tu che stai poco bene ed io sono venuto a portarti questo pacco di ricette.Fulvio si trovò con il mazzetto di fogli del ricettario zeppi di istruzioni per l’uso.- Deve trattarsi di un caso molto grave se hai scritto per me tutte queste prescrizioni.- Più che grave, senza speranza .- Sono senza Speranza, senza Grazia e senza Gioia, senza Rosa e senza Bruna. Son giorni che non scopo e sto diventando matto. Non hai mica una medicina contro la sfiga?- Come no, se mi fai entrare ce ne prendiamo una bella dose tutti e due.Una volta all’interno Gigi aprì le persiane, fece entrare aria fresca e un po’ di luce . Quel che veniva illuminato rivelava uno stato di avanzata trascuratezza. Fulvio, usando il braccio come una spazzola sgomberò il tavolo ingombro dei più disparati oggetti.- Caffè?- Si grazie.Mentre Fulvio aggeggiava con la moka, Gigi liberò una sedia e prese posto al tavolo.- Mi spieghi che cazzo sono quei fogli che hai scritto.- Spiacente, sarai costretto a leggerli. Meglio che aspetti di essere ben sveglio. Sai niente di Marco ?- No. È da un pezzo che non lo sento.- Ma non hai visto la tv prima di addormentarti ieri notte?Fulvio prese a ridere e a tossire. - La mia televisione si è incantata e trasmette solo l’intervallo. Vieni a vedere. Gigi lo seguì nella stanza da letto.Del vecchio 24 pollici era rimasto solo il mobile all’interno del quale Fulvio aveva dipinto un paesaggio alpino, con vacche pezzate ritagliate nel cartone per creare un effetto tridimensionale.Era iperreale e al contempo très naif. Costringeva al sorriso.- Perché l’hai fatto?- Perché quando ero ragazzo l’intervallo era l’unica trasmissione che non mi deprimeva. Adesso non c’é più nemmeno quella.- Uno di questi giorni ti faccio ricoverare.

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- Non puoi, i manicomi sono chiusi da un pezzo.- Per te li farò riaprire. Puoi scommetterci.

Capitolo decimo

In un primo momento la neobattezzata Lila, la cagnetta trovata da Marco Bacci in Santa Croce, aveva scodinzolato senza soluzione di continuità, felice di aver trovato qualcuno che invece di scacciarla in malo modo la coccolava e la blandiva in continuazione.Con la sapienza accumulata in tanti anni di peripezie canine, l’animale sapeva già che prima o poi tutto sarebbe finito, come era già successo troppe volte.Di certo non si immaginava di dover subire nel breve volgere di una mezzora l’umiliazione di un collare con guinzaglio e museruola che fu costretta ad indossare per salire su un autobus Sita diretto a Poggibonsi . Però si adattò di buon grado a quelle restrizioni perché il suo nuovo padrone la riempiva di coccole e le aveva anche servito un succulento doner kebab in una vaschetta di plastica. Il miglior modo per suggellare una duratura amicizia. Mentre Lila si allungava sotto il sedile, Marco Bacci sonnecchiava e si godeva il paesaggio. Da quando era giunto in Toscana si era sentito come rinascere, aveva ripreso a sperare e si rendeva anche conto che l’incontro con quella cagnetta ed il non vedente gli aveva alleggerito l’animo Cominciava ad illudersi di poter trasformare quella fuga in un’interminabile vacanza. Arrivati in uno dei borghi più antichi della Valle dell’Elsa, scesero nei pressi della porta meridionale.Lila, di nuovo libera, si mise subito a sgambettare impettita verso ovest, quasi sapesse dov’erano diretti, precedendo di qualche metro il suo padrone che, come gli era sempre successo, aveva bisogno di soffermarsi alcuni minuti a contemplare le vecchie pietre con cui era stato costruito il borgo. La strada che Marco e Lila avevano imboccato, per un primo tratto era asfaltata e costeggiata da entrambi i lati da una fila di basse casette, poi diveniva sterrata e alle abitazioni si sostituivano querce e cipressi. Prima di raggiungere una macchia di canne al di là della quale cominciava il sentiero che conduceva a casa di Frank e Jenny incontrarono uno straniero, probabilmente alloggiato in una delle tante cascine che integravano il lavoro della campagna con delle attività di agriturismo.L’uomo sembrava uscito da una stampa d’epoca, vestiva con pantaloni di velluto alla zuava che stringevano sotto il ginocchio dei grossi calzettoni di lana grezza, indossava una camicia a scacchi rossi e blu e sulla testa portava un basco di lana anch’essa blu con un grosso pompon rosso.Aveva guance rubizze e grossi favoriti che una volta erano sicuramente stati biondi.Teneva nella sinistra un bastone di legno intagliato e sulle spalle un piccolo zaino di tela e cuoio.Ci si sarebbe aspettati di sentirlo canticchiare Old Mc Donald had a farm ya ya ho .Invece si rivolse a Marco in francese.- Bonjour monsieur.- Bonjour à vous.- C’est à vous le chien?- Oui, c’est ma chienne.- Oh la la ! Je suis sure qu’elle est super pour les lievres.- Je ne sais pas, je l’ai trouvée seulement ce matin et par contre je ne fairait jamais de la chasse.- C’est vrais que vou l’avez trouvée ce matin ?- Oui.- Quelle bonheure ! Quelle bonne chance !- l’uomo si accovacciò e prese tra le mani il musetto del cane- T’as vu ? Hier sans espoire et aujourd’hui avec une nouvelle maison dans le coin le plus beau du monde. Pas mal, n’est pas? Lila lo leccò sul naso.

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Il pittoresco francese, divertito si rialzò e si volse al padrone con un sorriso surreale.- Il y a des surprises dans la vie, quelques fois étonnantes. Salutò con un gesto che tradiva consuetudini militari e si allontanò dirigendosi verso il paese.

Senza alcun genere di saluto il Dottor Ferrigno fu bloccato e ammanettato da quattro individui armati mentre si accingeva ad entrare nella sua Toyota parcheggiata come di consueto a cavallo di un marciapiede.L’ironia della sorte volle che la brusca cattura avvenisse proprio mentre il medico si stava rallegrando per l’assenza di contravvenzioni sotto ai tergicristalli.Solo dopo essere stato spinto dentro un’anonima Alfa 164 grigio sporco, venne informato di essere stato catturato da agenti della Digos e di trovarsi in stato di fermo.Giunto in questura venne a sapere che la stessa sorte era toccata anche ad Eduardo Sansone.Entrambi vennero interrogati, in stanze separate.Ad entrambi venne riferito che l’altro aveva già ammesso la loro appartenenza al gruppo dei Global Warriors e la loro partecipazione al piano per assassinare Franco Faggioni e far fuggire Marco Bacci e Amaranta Blanquez.Entrambi negarono tutto, si dichiararono ignari dell’esistenza del gruppo, si rifiutarono di sottoscrivere le deposizioni loro attribuite, chiesero di essere assistiti da un avvocato e di avvisare i loro famigliari.Solo quest’ultima richiesta venne esaudita.

Nella sua cella Amaranta Blanquez aveva potuto rivolgere le sue richieste solo all’Altissimo.Per lunghe ore nessuno aprì la porta metallica dietro alla quale non si percepiva alcuna presenza. Non avrebbe saputo dire quanto tempo avesse già trascorso lì dentro, quando cominciò a sentire il rumore di una chiave nella serratura, c’era finalmente qualcuno che armeggiava con i chiavistelli.Per istinto cercò di coprirsi i seni con le braccia, ma subito preferì mostrarsi nella sua nudità totale piuttosto che assumere una posizione così goffa ed umiliante.La porta si aprì e lo spazio fu invaso dalla sagoma imponente dell’infermiere che l’aveva sequestrata..Lei nuda e seduta in un angolo, lui vestito di pelle nera, con una rivoltella nella destra ed un sacchetto di carta nella sinistra.Lei aveva uno sguardo da cerva ferita ed intrappolata, già predisposta alla morte.Lui aveva gli occhi spenti, privi di sentimenti. Era un automa pronto ad uccidere.- Chi siete? Che volete da me?Per tutta risposta l’uomo sollevò il braccio sinistro e fece cadere il sacchetto di carta che si squarciò. Sul pavimento rotolarono una bottiglia di acqua minerale, due mele e una pagnotta.L’infermiere motociclista avrebbe voluto vederla gettarsi famelica verso quel misero pasto.Amaranta non si mosse, si sforzò di trattenere le lacrime e domandò ancora.- Perché?Una smorfia di disgusto prese forma su quella testa di pietra, seguita da uno sputo parabolico che raggiunse la donna in pieno volto. Amaranta rimase immobile, limitandosi a chiudere gli occhi.Sentì la porta sbattere e lo scatto delle serrature.Attese ancora qualche istante trattenendo il fiato e poi si lasciò andare ad un pianto dirotto.

- C’è nessuno? Ohi ! C’è nessuno in casa?La casa era aperta, ma vuota. La macchina di Frank, una Opel piuttosto datata, era parcheggiata in un angolo dell’aia.

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Marco Bacci e Lila fecero un giro dell’abitazione senza incontrare nessuno.Probabilmente Frank e Jenny erano andati a fare un giro a piedi o a sbrigare qualche lavoro nei campi.Non poteva certo aspettarsi di trovarli in casa in uno splendido pomeriggio domenicale, con il cielo di metà settembre di un azzurro intenso che invitava a perdersi tra gli oliveti e le vigne .Trovò un secchio e lo riempì d’acqua fresca per permettere a Lila di dissetarsi, poi entrò nuovamente in casa con l’intenzione di scrivere un biglietto ai padroni ed andarsi a nascondere nel vecchio caprile.Una volta entrato, non seppe resistere alla voglia di sentire un poco di musica.Lo stereo era già acceso, schiacciò play e un sitar cominciò a tessere nell’aria un classico Raag.Per Marco era quasi impossibile sottrarsi alla fascinazione di quelle musiche .Frank sicuramente le usava per esercitarsi con gli strumenti a percussione da lui stesso fabbricati. Jenny le teneva come sottofondo per le sue meditazioni. A Marco quelle note procurarono un immediato desiderio di riposarsi e lasciar andare una parte della tensione accumulata.Non riuscì a resistere alla tentazione di allungarsi un attimo sul divano, davanti al camino angolare.Amava quella vecchia casa colonica recuperata con pazienza ed ingegno dai suoi amici.Tutti la mobilia era stata costruita da Frank, con criteri di praticità ed essenzialità coniugati all’ecologia dell’arredamento.Nell’allegro disordine che regnava nella stanza si potevano trovare testi di yoga e di ayurveda, ricette macrobiotiche e trattati di feng-shui, ricerche sull’utilizzo delle biomasse e studi di bioarchitettura.Insomma Frank e Jenny facevano di tutto per cercare di costruirsi un’esistenza in armonia con il cosmo ed in pace con l’umanità.- Che cazzo ci fai tu qua? Marco si era assopito e quell’urlo inatteso lo fece morire di paura.Jenny stava di fronte a lui con un cesto colmo di fichi sotto il braccio e gli occhi che sprizavano scintille di autentico furore.Con un gesto nettissimo del braccio libero gli indicò la porta più vicina.- Sparisci immediatamente o chiamo i carabinieri.Non li arvrebbe mai chiamati. Aveva troppa paura che le sequestrassero le sue amatissime pianticelle di cannabis sativa.Però era evidente che non voleva tendergli una mano e farsi coinvolgere in quella brutta storia. Discutere era del tutto inutile. Il peso della frustrazione e del dispetto schiacciavano Marco contro il materasso in futon ..Alzarsi non fu facile.- Capisco. Avete saputo.- scosse la testa sconsolato- Le cose non stanno come credi, comunque calmati. Ce ne andiamo lo stesso e subito.Le parole di Marco ottennero di far inalberare Jenny ancora di più.- Come ce ne andiamo? Non sei venuto solo. Ma che bella sorpresa! Ti sei pure portato dietro qualche fuorone del tuo gruppo, qualcuno di quei pazzi assetati di sangue. Non ho mica paura delle vostre armi io. Andatevene immediatamente. Tutti quanti! E portate la vostra maledetta artiglieria il più possibile lontano da qui. Come se non ci fossero abbastanza guerrafondai a giro per il mondo. - Jenny, non so cosa dicano sul mio conto. In ogni caso non ho fatto male nemmeno ad una mosca. Almeno non consapevolmente. Chiaro? E poi non so di quale gruppo vai parlando e a quali armi ti riferisci. Sono venuto soltanto con lei, e come vedi nessuno dei due porta armi.Jenny vide lo sguardo di Marco rivolto a qualcuno alle sue spalle e si voltò di scatto convinta di ritrovarsi faccia a faccia con Amaranta.Lila se ne stava seduta, tutta impettita, in una posa da vera signora e per mostrare di essere venuta in pace cominciò a battere la coda sul vecchio tappeto turco. Era così carina che avrebbe fatto sorridere anche il Savonarola.- E questa da dove sbuca?- L’ho trovato a Firenze in piazza di S. Croce.

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- Tutti i telegiornali parlano di te, dei tuoi piani sovversivi, della tua banda armata, sei considerato più pericoloso di Bin Laden. Ti immaginavamo braccato da tutta la polizia del mondo, Eravamo in pena per te e per le tue vittime. Invece tu te ne stavi a fare il turista a Firenze, come se niente fosse.- Come se niente fosse è un po’ esagerato. Se fossi stato a mio agio mi sarei guardato intorno meglio e forse avrei visto che anche il Mullah Omar stava facendo la coda per entrare agli Uffizi.Risero, si abbracciarono, piansero. - Giurami che non è vero niente. – pretese Jenny, mentre gli bagnava di lacrime il collo.-Te lo giuro.Rimasero così per qualche secondo, con Marco che le strofinava la schiena e le accarezzava la nuca sorpreso a ritrovarsi nel ruolo di consolatore, avendo lui stesso così bisogno di consolazione.Lila decise che era ora di finirla con quelle effusioni che la escludevano e piazzò le sue zampe anteriori nella schiena di Marco, con un impeto tale da provocare dolore, stupore e nuove risate.Jenny prese del pane e un pezzo di formaggio, due bicchieri ed un coltello.Li mise in un vassoio di legno e diede il tutto a Marco.- Aspettami sotto la veranda. Ti raggiungo con il vino e i fichi.Senza essere stata invitata Lila prese posto sulla panca accanto a Marco e si preparò allo spuntino.- Raccontami tutto.- disse Jenny versando due calici di rosso.- Prima dimmi tu cosa sai. Perchè io so che mi accusano di aver ucciso il marito di Amaranta. Ma tra le tue urla mi è sembrato di capire che avrei combinato anche altri casini.- Alla faccia dei casini. Ieri sera stavi tentando di far saltare in aria un ipermercato dalle parti di Pavia. Questa mattina hai fatto fuggire Amaranta dalla clinica in cui era sotto sorveglianza. Il tuo gruppo ha riempito di scritte chiese e monumenti tra Milano e Roma.Quale sarebbe il mio gruppo?- I Global Warriors.- Mai sentiti.-Terroristi ecologisti animalisti terzomondisti mangiapretisti multietnici, Sei il loro capo. -.Non credo, non so neanche dare ordini a questa cagnolina e metterla al suo posto invece che lasciarla tranquillamente a tavola con noi. Figurati se riuscirei a guidare un gruppo armato.-Secondo me ci riusciresti benissimo. Incazzato come sei. Quando sei venuto qua l’ultima volta sembravi una bomba innescata. Ho pensato che fossi pronto a diventare un terrorista. - Tutto qua? Non c’è altro? -domandò Marco senza riuscire ad essere spiritoso.- Certo che c’è? Oltre alla polizia sembra che tu abbia conti in sospeso con dei malavitosi. Per ritorsione hanno malmenato una tua collega che è sospettata di essere una del vostro gruppo.- Oddio! Chi?- Non ricordo.- Jenny è pazzesco. Cosa sta succedendo?- Speravo che me lo dicessi tu.-Non ci capisco niente.- Nemmeno io- proseguì sconsolata Jenny – Qualcuno ha parlato di prove, di intercettazioni, di pedinamenti. Sembra che vi tenessero sotto controllo da un pezzo.- Questo e vero e lo sai, ne abbiamo già parlato. Ma credevo che fosse solo per impedire ad Amaranta di separarsi dal marito. Per tenermi lontano da lei, per ricattarmi. Credevo che potessero ritenersi soddisfatti dall’avermi fatto buttare fuori di casa da mia moglie e messo nell’angolo.- A proposito. Tua moglie è stata ripresa questa mattina, mentre usciva con la sua auto da una stazione dei carabinieri, in un paesino della Val Sesia, almeno così mi è parso di capire. Sembra che si trovasse là con un gruppo di canoisti. Fotografi e reporter le stavano bloccando la strada per estorcerle qualche commento. Lei è uscita dalla macchina e li ha presi a pagaiate.

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- Non stento a crederlo.- la situazione era sempre più incasinata- Ma ora cosa posso fare? Devo assolutamente andarmene o finirete nei guai anche voi.Lila si mise ad abbaiare e dopo qualche secondo comparve Frank.Sul viso ossuto, sotto i baffi da topone, comparve subito un sorriso.- Ma guarda che bel quadretto! – disse mentre si avvicinava .Mise una mano sulla spalla di Marco e gliela strinse per fargli sentire erano ancora amici.- Questo cagnetto è con te?- Sì , ci siamo conosciuti questa mattina. Si chiama Lila.Frank cominciò ad accarezzarla.-Davvero si chiama Lila? Lo hai scelto tu questo nome?-No. Lo ha scelto un cieco che stava con me.- Sai cosa vuol dire? - Non credo che voglia dire nulla.- In qualche lingua indiana, forse in Indù, si usa questa parola per indicare i capricci degli dei, l’imprevedibilità del destino, l’imponderabile. - Un nome adatto a questa situazione- disse Jenny allungando il bicchiere a Frank.Frank bevve un sorso e poi guardò Marco negli occhi, quasi volesse leggergli nell’anima.- Mi farebbe piacere sapere quali dei e quali capricci hanno stravolto la mia vita. Sono nei guai Frank.- Guai grossi, mi sembra. Ma se la volontà degli dei è inconoscibile e non si può che rassegnarsi, per quel che riguarda le nostre vite coltiviamo l’illusione di poter risolvere qualche problema utilizzando la nostra piccola mente per riflettere su ciò che ci accade. Raccontaci tutto Marco, con tutta la sincerità possibile. E speriamo che gli dei abbiano un po’ di pazienza e non ci travolgano subito.-Forse è meglio che vada via immediatamente. Se mi trovano qui finirete nei guai.- Se verranno fin qua prima che noi si abbia avuto modo di denunciare la tua visita, finiremo comunque nei guai. Allora, vuoi per favore farci sentire la tua campana?Marco si versò dell’altro vino e cominciò a parlare.

Gaetano Cascione e sua moglie Luciana approfittarono del pomeriggio di sole per fare due passi nei giardini di Porta Venezia.Il posto era affollato da cani, bambini, famiglie di ogni genere e razza che cercavano come loro un angolo di verde nel centro della città.La presenza di tante persone non impedì a Gaetano e Luciana di comportarsi nel modo in cui si comportano gli innamorati quando vanno al parco. Camminavano allacciati, si tenevano per mano, buttavano pane secco alle paperette. Il loro innamoramento durava da quasi vent’anni ed era forte e robusto come i tronchi degli enormi ippocastani sotto i quali si erano seduti di tanto in tanto. Come tutti gli innamorati si comportavano da incoscienti e facevano progetti per il loro futuro.Luciana aveva accolto la decisione di Gaetano come la migliore delle notizie.Più volte aveva tentato di far capire a suo marito che l’incomprensibile malattia da cui si era a stento ripreso, poteva essere la reazione del suo organismo ad una professione diventata troppo diversa da come era stata immaginata e sempre più lontana dagli ideali di legge e giustizia con cui era cresciuto.Senza nessuna paura per l’incertezza economica, Luciana cominciò a sfornare una quantità di progetti.Li aveva coltivati nei suoi indicibili sogni, in quei film ad occhi aperti che proiettava sul soffitto della camera matrimoniale, nelle notti che suo marito aveva passato in servizio o nella stanza di un ospedale. Lei e suo fratello avevano una vecchia casa nell’interno della Gallura. Si sarebbero trasferiti laggiù e ne avrebbero fatto un centro culturale. Gaetano si sarebbe occupato dell’organizzazione. Avrebbero dato vita a seminari di danza, invitando maestri e coreografi da tutto il mondo. Avrebbero organizzato spettacoli di teatro-danza con ambientati tra le scogliere. Il pubblico avrebbe seguito le performance

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sorseggiando vermentino a bordo di barconi ancorati in rada. D’estate avrebbero danzato tra gli olivi e d’autunno tra le foglie delle sughere che cadendo avrebbero creato magici effetti cromatici.Gaetano era sorpreso una volta di più dalla fertile creatività della sua consorte ed approvava entusiasta. Già si vedeva seduto sotto il portico della vecchia casa con un panciotto di cuoio e la barba lunga ad accogliere danzatrici dall’aria diafana, provenienti da lidi iperborei, mosse dal desiderio di sentire sotto i loro piedi sensibili l’aspra energia di quella terra assolata ed antica.Gli avrebbe fatto bene, sarebbe guarito.- L’unica cosa che non riesco a digerire facilmente è il dover lasciare questo caso in sospeso.Era una mesta ma sincera ammissione.Gli pesava lasciare Bacci ed Amaranta in balia di Cozzi e della Digos.Lo viveva come una specie di tradimento.- Ma non hai scelto tu di lasciare questo caso- ribattè prontamente Luciana- Sei stato costretto. Ti hanno voluto togliere dai piedi.- Giusto, ciononostante non riesco a trovare quel sollievo che avevo sperato.- Se pensi di lasciare quando avrai risolto ogni cosa, non credo che una vita ti sia sufficiente. E poi non serve aiutare chi non vuole farsi aiutare. Guarda Halyni . Lo hai tirato fuori dai guai tante volte, gli hai anche trovato un lavoro ed una casa e lui si è messo di nuovo a spacciare.Gaetano sospirò. Luciana aveva ragione.- Halyni. Brutto stronzo, me l’ha combinata grossa stavolta. A che ora devi essere a teatro?- Tra mezzora devo essere al Litta per la pomeridiana.- Allora ti accompagno così poi passo da S. Vittore a salutare quel pistola.- Poi mi vieni a prendere?- Certo.- Ceniamo fuori?- E Gianluca?- Resta con il suo amico Maurizio, poi insieme ad altri andranno a vedere il basket ad Assago.- Bisogna andarlo a prendere?-No. Ci andrà il padre di Maurizio e lo porterà a casa verso le undici.- Wow! Allora vada per la cenetta romantica. Conosci qualche posto dove servano del buon Philadelphia?-Fidati.Gaetano si fidò e suggellò il patto con un bacio che non finiva più.

Domenico Faggioni non aveva previsto l’immediato arresto di Eduardo Sansone e del Dott. Ferrigno.Il Folgore avrebbe dovuto lasciare presso di loro il pesante segno di un’imprevista e alquanto sgradita visita domenicale. Cozzi stava facendo di testa sua. Bruciava le tappe Non erano questi i pattiSecondo le informazioni di cui disponevano l’unica persona rimasta a piede libero della cerchia di amici intimi del Bacci era Fulvio Santerno. Folgore e Faggioni, in una concisa telefonata sulla loro linea personale e sicura, convennero di sbrigarsi a torchiarlo prima che Cozzi e Martini gli soffiassero anche quella pedina.Cozzi, Martini e anche Di Capua agivano senza consultarsi con lui.Lo ignoravano in maniera oltraggiosa.- E la troietta come si comporta?- Fa la dura, ma presto si spezzerà.- Ok. Sitema questo stronzo e quando hai finito chiamami, ti devo dare istruzioni su come trattarla.-Agli ordini.... Comandante?- Si?

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-Posso farle una richiesta?- Avanti.- Posso portarle qualcosa da mettersi addosso?- Perchè?- Perchè così... nuda... mi turba.- Se vuoi dire che lo fa rizzare anche a te, non ti preoccupare. Stuprala pure. - No capo, non è quello… è che se la guardo mi intenerisco e non riesco fare quello che devo.- Allora portale una tuta. Qualcosa di lurido, ruvido ed umiliante. Sono stato chiaro?- Chiarissimo Comandante. Eseguirò.Domenico Faggioni era disgustato. Non c’erano più speranze per la sua Italia, se anche uno come il Folgore si era rammollito al punto da provare tenerezza per una bagascia mezzo sangue, solo perché era svestita. L’Italia era un paese senza palle. Donne e finocchi avevano occupato troppo spazio.Meglio morire, meglio presto.

Lionello Carbone era un poliziotto al cento per cento.Non riusciva certo a godersi la domenica pomeriggio come può fare una persona che vive al di fuori dei problemi peculiari alle indagini di polizia.Carbone non poteva chiudere un caso nella sua mente finché il caso non era veramente risolto.Lo avevano estromesso dall’inchiesta, ma il suo cervello non la smetteva di tornare ai fatti di cui si era occupato nelle ultime ore. Non poteva dormire o andarsene al cinema. Non poteva bere fino a stordirsi o telefonare a qualcuna delle sue conoscenze femminili per cercare di distrarsi. .Lionello Carbone non aveva altra soluzione..Doveva continuare ad indagare.A metà pomeriggio tornò di nuovo in questura e salì nel suo ufficio, sentendosi quasi in colpa per quello che stava facendo. Lavoro straordinario non autorizzato e non remunerato. Comportamento antisindacale. Eccesso di zelo. Abuso d’ufficio. Appropriazione indebita d’inchiesta altrui. Questi furono solo i primi capi d’accusa che si sentì muovere contro dalle numerose voci in lotta nella sua coscienza.Rito Gatto si era macchiato delle stesse colpe e stava fumando corrucciato con i piedi sulla scrivania.- Non ci posso credere!- disse Gatto con quella sua aria distante e sorniona che lo faceva sempre sembrare inattaccabile dalle pene da cui sono afflitti i mortali. - Tu quoque, Brute...- fu la replica di Carbone.-Piano con gli insulti. Da quanti giorni non ti guardi allo specchio? Sarà pur vero che il poliziotto va un po’ trasandato, ma tu ragazzo mio sei ridotto come ecce homo, altro che Bruto.Carbone sorrise a mezza bocca.- Scommetto che non sei nemmeno passato da casa.Carbone annuì.-Sei tormentato dal caso Bacci?Carbone grugnì un assenso.-E tu?Cosa ci fai tu qui? - Ti stavo aspettando.- ?- Ero certo che saresti venuto e volevo farti sapere che quelli della Digos hanno arrestato le due persone che tenevamo sotto sorveglianza, Sansone e Ferrigno.-Non hanno perso tempo.- No. E hanno anche mandato a casa tutti i ragazzi che si occupavano delle intercettazioni ambientali da noi predisposte.

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- Questo non è da furbi. Se il Bacci si mette in contatto con qualcuno delle loro famiglie non lo potranno mai sapere.- Esatto. Sembra che non siano così determinati a pizzicarlo. Non hanno nemmeno toccato gli appunti di Cascione. Quindi o vogliono seguire un loro personale schema d’indagine o sanno qualcosa che a noi non è stato rivelato.- Chiaro, Domenico Faggioni si sente molto più a suo agio con i suoi ex colleghi e si fida molto di più di loro che di noialtri, volgari poliziotti di una squadra anticrimine.-Probabile. Comunque tra gli appunti di Cascione c’è anche un nominativo che non è stato controllato: Fulvio Santerno, Via Vigevano. Si fa un salto da quelle parti? C’è una paninoteca che mi sfizia.- Mi hai letto nel pensiero, Gatto. Ho un’incredibile voglia di addentare uno sfilatino al culatello.

Il Burgman che aveva prelevato dal Rifugio 2 gli ricordava più un grosso bidet che uno scooter. Quasi si vergognava di doversi spostare per la città con un mezzo così poco virile. Fosse stato nella sua Roma avrebbe inforcato ben altri destrieri per muoversi in maniera rapida senza dover perdere di dignità.Per fortuna nel capoluogo dei panettoni non c’era nessuno che avrebbe potuto riconoscerlo, eccezion fatta per il Comandante. Era anche per questo che il Comandante si rivolgeva a lui per sbrigare qualche lavoretto nel Nord Italia. Ogni volta che bisognava giocare veramente pesante, il Comandante sapeva che poteva contare sull’anonimato oltre che sulla fedele sudditanza del Folgore.Quasi quindici anni prima , quando il Folgore andava fiero del suo berretto amaranto da paracadutista nella caserma di Pisa, una recluta che si rifiutava di sottostare alle vessazioni e alle umiliazioni dei nonni, venne massacrata a pugni e calci da un gruppo d’anziani. Qualcuno diede l’allarme e i picchiatori se la diedero a gambe. Solo il Folgore continuò ad accanirsi contro quel misero fagotto di carne sanguinolenta, ormai privo di vita. Lo scalciava con i suoi enormi anfibi, chiamandolo comunista, frocio e sovversivo. Spaccò la mandibola ad un sergente maggiore che gli intimò di fermarsi e ci vollero otto uomini per riuscire nell’impresa di bloccarlo.Agli inquirenti il Folgore, per l’anagrafe Sebastiani Andrea nato a Latina il 21- 9-1968, non rivelò mai il nome degli altri picchiatori e contro ogni evidenza, in barba a tutte le promesse di sconti di pena, sostenne di aver agito da solo. Nel corpo dei parà non dovevano esserci né froci, né sovversivi, né spie.Fu condannato a 20 anni di carcere.Scampò l’ergastolo grazie ad alcune perizie psichiatriche tese a dimostrare che l’omicida non era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali.Il padre del Folgore era un vecchio repubblichino, passato poi in forza al Sifar di De Lorenzo. Prima del processo d’appello si rivolse a Domenico Faggioni per avere un aiuto da un camerata tanto influente, con cui negli anni 60 aveva a lungo collaborato per preparare decine di migliaia di fascicoli in cui schedarono tutti i politici, i sindacalisti, gli attivisti della sinistra.A Domenico Faggioni bastò qualche minuto nel carcere di Gaeta per rendersi conto di quanto prezioso potesse essere l’ asservire ai propri fini quel bestione, con tutta la sua incorruttibile lealtà.- Mi aiuti a uscire da questo buco e la servirò fedelmente per tutta la vita.Vennero trovati numerosi difetti procedurali e vizi di forma che portarono all’annullamento del processo. Il nuovo processo tardò ad essere istruito e nel frattempo il Folgore venne trasferito in un ospedale militare da cui misteriosamente svanì. Di Andrea Sebastiani non si seppe più nulla.Al Folgore, un assassino colto in flagranza di reato, venne fornita una nuova identità. Fu quindi addestrato segretamente a torturare prigionieri, a manipolare esplosivi e a compiere omicidi che avrebbero dovuto sembrare suicidi o incidenti .Gli fu trovato un appartamento ai Parioli e intestato un conto corrente in Svizzera sul quale una società off-shore versava cifre a quattro zeri con insolite, ma frequenti cadenze.

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Quel pomeriggio il suo compito era quello di sbatacchiare il malcapitato amico di Bacci rimasto a piede libero e lanciare un ultimatum. Se entro ventiquattrore il Bacci non si fosse fatto vivo, i sui “clienti” avrebbero cominciato la decimazione di tutte le persone legate a lui.Un modus agendi piuttosto efficace. Lo stile dei clan malavitosi.Lasciò lo scooter di fronte alla Stazione di Porta Genova.Aprire il portone a livello strada gli rubò solo qualche secondo. Mentre armeggiava col suo grimaldello s’immaginò di essere di nuovo al Rifugio 2 e di trovare la donna nuda, seduta ad aspettarlo con tutte le sue domande e quello sguardo che lo rammolliva. Il Comandante non gli aveva mai ordinato di sequestrare una femmina.Non gli piaceva dover aver a che fare con le femmine.Già con quella Rita si era accorto di non provare nessun gusto a schiaffeggiarla.E sì che aveva l’aspetto da donna consumata e un poco avvizzita, come tante entraineuse incontrate nei night club di provincia in cui ogni tanto andava a divertirsi.Amaranta era diversa, era fine, era liscia, lo inteneriva. Le era dispiaciuto sputarle addosso, ma non aveva trovato il coraggio di avvicinarsi e batterla.Suo padre non aveva mai battuto la mamma, anche la sorellina, quella che era morta ragazzina, veniva trattata come una principessa e a lui era stato insegnato che non bisognava toccarla perché era come una cosa delicata e fragile, come una bambola di porcellana.- Guai a te se solo la sfiori con le tue manacce! - gli ripeteva Sebastiani pater.Certe donne erano così delicate che gli ricordavano sua sorella.Una volta era stato nell’appartamento di una puttana, una di quelle che mettono gli annunci sui giornali. Era giovane, minuta, con i seni piccoli e i capezzoli lunghi, fingeva di essere francese. Si era data un sacco da fare, ma nonostante tutta la sua arte, dopo mezzora che armeggiava con il suo uccello, senza riuscire a resuscitarlo, gli domandò: - Sei sicuro che ti piacciono le donne? Non é che sei un po’ frocio?Il Folgore avrebbe potuto ammazzarla, era sicuro che avrebbe ammazzato chiunque avesse solo pensato di dargli del frocio. Invece aveva sentito solo un enorme languore dentro al petto.Un senso di doloroso sperdimento gli avvolgeva il cuore e glielo faceva sanguinare come nel quadro con l’immagine del Cristo, sospeso a guardare impotente il corpo della sorellina sfinito dalla leucemia.C’erano femmine che solo a guardarle erano capaci di farlo sentire molle.Meglio evitarle, meglio non avere a che fare. Era vero, ne aveva già uccisa qualcuna. Con l’esplosivo però. In quei casi non aveva dovuto nemmeno guardarle, né sentire le loro voci.Era stato sufficiente premere un pulsante.Il comandante doveva capirlo, niente più femmine per il Folgore.Il Folgore non picchia le femmine.Scacciò i pensieri e uscì dall’ascensore.Nessuno lo aveva visto attraversare il cortile e salire fino all’ultimo piano della scala B.Una delle specialità del Folgore era quella di non farsi mai notare.C’era qualcosa di umbratile nel suo corpo colossale che lo faceva risultare invisibile.Quelli che lo avevano visto in azione erano già morti.Giunto davanti alla porta dell’abbaino ebbe qualche istante di perplessità nel vedere le due grosse serrature al di sopra della maniglia.Non sarebbe riuscito a forzarle senza farsi sentire dall’interno. Tanto valeva suonare e cercare di farsi aprire. Se non avessero aperto, sapeva come fare.Suonò.Nessuna risposta.Risuonò più a lungo.

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Idem.Non c’era evidentemente nessuno in casa.Estrasse il suo passepartout e, non appena appoggiò la mano alla maniglia, la porta si aprì. Quel Fulvio era davvero una gran testa di cazzo, era uscito senza chiudere a chiave.Appena entrato, fu aggredito dalla forza delle immagini dipinte ovunque, dall’odore di fumo rappreso e dalla grande quantità di piatti, bicchieri, bottiglie, vestiti, libri e pennelli sparsi in ogni dove.Appesa ad un gancio sul fianco di una libreria c’era una sciabola da ufficiale dell’esercito.- Una merda di artista frocio. Avrà comprato la sciabola, non avrà di certo fatto la scuola ufficiali .E adesso dov’era?Quanto avrebbe dovuto aspettare? Forse era andato da qualche vicino o in cantina, uno che se ne va senza chiudere la porta a chiave, dopo che ci ha montato due serrature di sicurezza, o pensa di tornare subito o è un pazzo.Probabilmente il tipo in questione era un pazzo.Pistola silenziata in pugno, Il Folgore girò in pochi secondi l’appartamento.Trovò solo confusione, mozziconi e dipinti.Percepì dei passi pesanti sulle scale e si acquattò dietro la porta del bagno.Fulvio aveva appena riaccostato l’uscio quando lo vide.-Porta le mani lentamente dietro la testa e siediti - sibilò il Folgore tenendo la pistola a qualche centimetro dalla testa di Fulvio.Era un invito che non si poteva rifiutare.Fulvio si sedette con le mani dietro la testa e una Gauloise tra le labbra.Il Folgore si avvicinò con cautela, allungò una mano, gli strappò la sigaretta e la gettò sul terrazzo.Lentamente si spostò alle sue spalle, tra la sedia e la porta.-Sei qui per Marco, vero?La domanda di Fulvio lo colse di sorpresa.Lo sconcertava il tono calmo e basso con cui parlava quel frocio di un pittore.-Dov’è?- Non lontano. In un posto sicuro. Questo cambiava le carte in tavola.- Parla.- Non mi conviene.- Preferisci morire?- Tanto mi uccideresti lo stesso.- Ci sono tanti modi per morire.- Se tu fossi al mio posto quale sceglieresti?- Se fossi nei tuoi panni, parlerei.- Per morire come un traditore? Non mi sembri il tipo.- Tu non sai un cazzo.- So dov’è Marco e se troviamo un accordo ti ci porto.- Non sei nella condizione di dettare regole.- Fai tu. Immagino che tu sapessi dov’ero quando sei entrato in casa mia...Il Folgore ritenne che ammettere di non averlo visto suonasse come una debolezza, d’altronde come avrebbe potuto riconoscerlo se il Comandante non gli aveva nemmeno detto che assomigliava a Charles Bronson, uno dei pochi attore che il Folgore aveva idolatrato.- Certo che lo sapevo.- E allora hai visto anche Antonella, la ragazza che era con me nel bar tabacchi.Doveva bluffare ancora, senza esitare.- L’ho vista. È la tua troia?

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- Me la sbatto volentieri.- E allora?- E allora vediamo se riesci ad indovinare dov’è adesso la mia donna?- Dimmelo tu.- Vedi quell’accidenti di citofono alla tua destra?- Lo vedo.-Sono mesi che non funziona. E non me lo riparano.-Non mi frega un cazzo del tuo citofono di merda.- Invece dovrebbe fregartene molto.- Perché?- Perché aspettiamo visite da un momento all’altro e la ragazza è rimasta giù per aprire il portone.- Chi deve arrivare?- Amici di Marco. Lo portano all’estero questa sera.- Io vi ammazzo tutti! Brutti stronzi!- E allora comincia con me. Così nessuno saprà dov’è Marco.Il Folgore aveva voglia di ucciderlo, però sognava lo scalpo di Bacci da portare al Comandante.Doveva neutralizzare quegli stronzi che stavano arrivando.-Mica male morire così - continuò Furio- un colpo in testa e via. Senza vecchiaia, senza malattie.- Zitto tu.Dalla tromba delle scale arrivò il rumore dell’ascensore.Qualcuno stava salendo.In quella posizione, stretto tra la sedia e la porta il Folgore non avrebbe potuto controllare contemporaneamente Fulvio e i nuovi entrati.Non poteva nemmeno permettersi di chiuderli fuori. Si sarebbero allarmati, incasinando tutto.Aveva pochi secondi.Prese Fulvio per i capelli e lo sollevò di peso.-Ahiaa!- Taci, ti ho detto. Tieni le mani sulla testa, bene dietro alla nuca, vai nel cesso e non fare cazzate.La porta dell’ascensore veniva chiusa rumorosamente al pianerottolo sottostante.Folgore si spostò lateralmente tenendo sempre l’arma puntata contro Fulvio.Senza perderlo di vista e stando bene attento a dove metteva i piedi, per non inciampare tra gli oggetti sparsi sul tappeto, raggiunse il cucinotto da cui poteva tenere sotto tiro l’ingresso e il bagno.Nel silenzio non fu difficile percepire il rumore dei passi che salivano verso l’abbaino.Il Folgore era teso, continuava a spostare lo sguardo da Fulvio alla porta e viceversa.“ Sposta troppo la testa.- ragionò Fulvio- Deve avere dei problemi con la visione laterale.” Nell’istante in cui la maniglia della porta d’ingresso veniva abbassata Fulvio scagliò una grossa boccetta di profumo che con un tonfo s’infranse contro l’uscio.-Scappa Antonella!Il Folgore fece fuoco immediatamente centrando lo specchio sopra il lavandino del bagno.Fragore di vetri in esplosione e frantumi in caduta libera.Fulvio si tuffò verso il centro del salottino, dietro una grossa poltrona imbottita.Dalle scale provenivano urla e grida d’aiuto.Folgore s’avventò verso la porta nel tentativo di chiuderla.L’altro ebbe l’istinto di sollevare il bordo del tappeto facendolo incespicare e cadere in avanti.Il gigante rovinò sul tavolo rovesciando bottiglie e bicchieri.Fulvio gli fu addosso e lo disarmò con un colpo al polso. La pistola rotolò a terra e Fulvio la scalciò lontano.Il Folgore fremente di rabbia era pronto per stritolarlo.

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Quel coglioncello stava indietreggiando verso il terrazzo in posizione di difesa, era più basso di almeno venti centimetri e pesava molti chili di meno. Se lo sarebbe sbranato. Sferrò un sinistro con l’intenzione di spaccargli la faccia.Fulvio lo schivò e gli afferrò il braccio. Con una sequenza di mosse di aikido l’atterrò e l‘immobilizzò.- Te l’avevo detto che dovevi uccidermi subito.Il Folgore non rispose.La porta si spalancò.C’era gente che stava entrando.Fulvio, con un ginocchio sul collo del Folgore ed entrambe le mani impegnate a trattenere un braccio del colosso dietro la schiena, non poteva voltarsi per vedere chi era entrato.- Qualcuno può chiamare la polizia, per favore ? – chiese con modi fin troppo garbati.- Siamo noi la polizia- rispose Rito Gatto- ça va sans dire...

Antonella aveva tanti difetti, era troppo gelosa e molto appiccicosa, ma aveva carni sode e molta pazienza e soprattutto era puntualissima. In più teneva sempre in borsetta il mazzo di chiavi che Fulvio le aveva regalato.Per molti giorni, quasi due settimane, non si era fatta sentire.Non le mancavano i motivi per cercare di stare lontano da quel maschio che adorava, anche se si rifiutava di fidanzarsi con lei.Quella domenica di metà settembre aveva ceduto e gli aveva telefonato.Promise che sarebbe arrivata alle quattro e mezza. Fulvio aveva impostato il gioco su quella certezza.Di certo non immaginava che anche Carbone e Gatto avessero deciso di fargli visita.La sua vita era così. Giorni e giorni da solo in compagnia dei suoi quadri e poi all’improvviso un sacco di gente per casa.Gatto e Carbone avevano chiamato anche Ruvolo e Maglio, subito accorsi, mentre Peruzzi sarebbe arrivato di lì a poco.Cascione come al solito aveva il cellulare spento e non si poteva far conto su di lui.Per fortuna si poteva stare in terrazza, perché il salotto, ancor più sconvolto del solito, bastava a malapena per tenere il Folgore lungo e disteso.Dopo avergli ammanettato mani e piedi lo avevano perquisito. Oltre alla pistola, una Beretta modello 70 calibro 7,65, aveva addosso anche altri due caricatori, una S&W.40, un coltello a scatto con una lama lunga una spanna, un tirapugni, un enorme mazzo di chiavi completo di grimaldelli e passepartout, cellulare e portafoglio.Nel portafoglio oltre a più di duemila e rotti euro c’erano anche documenti e carte di credito intestati ad Andrea Mari residente a Roma.Il Folgore si rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda.Ligio al suo dovere si limitò a dire che se il Bacci non si fosse fatto vivo entro il giorno seguente, avrebbero cominciato a morire tutte le persone a lui care.A quel punto Fulvio prese da parte l’Ispettore Gatto, che sembrava essere il responsabile di quell’operazione, e gli confessò quel che sapeva di Marco Bacci.. Gatto provò subito a chiamare il numero di cellulare che il Dott. Ferrigno aveva scarabocchiato. Anche quel telefono era spento. Però non appena fosse stato attivato il cellulare di Gatto avrebbe squillato, fornendo così la possibilità di stabilire un contatto. La situazione era più che mai ingarbugliata.Gatto e Carbone avrebbero dovuto chiamare Cozzi e la Digos, consegnare loro quel bestione, denunciare la complicità di Fulvio Santerno con il Dott Ferrigno e Sansone, rivelare il recapito

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telefonico del Bacci, spiegare i motivi per cui si erano intromessi in un’indagine che non era più di loro competenza. C’era da avvertire il loro capo e darsi da fare per proteggere i famigliari del Bacci.Sapendo che nel mondo della malavita c’erano individui senza scrupoli pronti a mettere una bomba nella scuola in cui lavoravano Amaranta e Marco, non potevano esimersi dal far mettere l’edificio sotto sorveglianza. Forse avrebbero dovuto anche sentire il Prefetto e decidere con lui se decretarne una chiusura temporanea.Pensare di continuare a fare i segugi al di fuori di una regolare procedura era un vero azzardo.Allo stesso tempo era evidente, anche dalle parole di Fulvio Santerno e dagli appunti del Dott Ferrigno, che la storia dei GW fosse stata incollata in modo posticcio sulle vicende di Marco Bacci ed Amaranta. Come già Cascione, anche Gatto e Carbone erano ora convinti che tutta la vicenda ruotasse attorno ai Faggioni e che gli uomini di Cozzi fossero mossi come burattini da fili destinati a restare invisibili.-Se provassimo a parlare con Galante ?- buttò lì Carbone.- Sarebbe come dire che lasciamo a lui decidere.- rispose Gatto con una punta di dispetto.- D’altra parte è lui il capo della nostra squadra.- In questo momento noi non siamo la squadra anticrimine, siamo quattro poliziotti cocciuti che agiscono al di fuori della legalità.- Ispettore, è arrivato Peruzzi. Scendo ad aprirgli.- gridò Ruvolo già fuori dalla porta.- Adesso che siamo in cinque, forse possiamo fare un’assemblea - ironizzò Gatto.Tutti, tranne l’ammanettato Folgore si accesero una sigaretta e dal terrazzo si levò una nuvola di fumo.Maglio fumava seduto in poltrona senza perdere d’occhio il prigioniero.- Vuò fummà?- gli domandò tendendo verso quelle labbra serrate la sua cicca.Neppure quella cameratesca offerta ebbe risposta.Ruvolo era già di ritorno con il nuovo arrivato. Appena Peruzzi mise piede nell’abbaino, strabuzzò gli occhi e cominciò a bestemmiare.-Maremma maiala- concluse- ma lo sapete chi è codesto costì?Peruzzi aveva il senso della teatralità e prolungò ad arte la pausa per ottenere un massimo di tensione.- Codesto costì gli è quel bischerone d’infermiere che si è portato via la signora dalla clinica. Mentre tutti gli sguardi si spostavano da Peruzzi all’uomo allungato sul tappeto, alcuni sommessi singhiozzi cominciarono a scuotere il possente corpo del gigante ammanettato.

A quasi quattrocento chilometri di distanza piangeva un altro uomo.Marco Bacci aveva raccontato tutto ai suoi amici, si era svuotato completamente.Infine esausto era crollato, dando la stura ad un pianto consolato in mille modi da Frank e Jenny e osservato con attenzione dagli occhi saggi e compassionevoli della vecchia Lila.Quando, dopo abbracci e tisane, il pianto fu placato, Frank aveva tirato le conclusioni.- Ti stanno usando. Qualcuno aveva bisogno di scatenare un polverone per screditare i movimenti della sinistra radicale e tu eri perfetto. Fuggendo hai fatto il loro gioco e ora da latitante gli servi ancor di più.- Non credo che potrei sopravvivere a lungo in galera.- Sei tu che devi decidere. Se vuoi davvero espatriare non credo che incontrerai grossi ostacoli. Secondo me stanno solo facendo finta di cercarti perché gli servi più come latitante. In ogni caso devi trovare il modo di far sentire la tua voce, di raccontare quello che hai detto a noi. Devi parlare a qualcuno che ti possa proteggere, ma anche cercare i responsabili dei crimini di cui ti accusano. Ti suonerà assurdo, ma la galera mi sembra il posto più sicuro per te. Se riuscissero a farti sparire o a far sembrare che qualche malavitoso ti abbia eliminato per regolare una sporca faccenda, per quelli che muovono i fili di questa vicenda, la tua fine sarebbe una vera manna. Devi trovare un poliziotto disposto ad ascoltarti e a provvedere affinché ti proteggano e ti garantiscano un giusto processo.

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-Esisteranno anche dei poliziotti onesti, no? – s’intromise Jenny che nel frattempo si era messa a tagliare verdure per preparare la cena- Qualcuno di loro avrà anche un cuore come ce l’abbiamo noi o saranno tutte bestie come quelli della Diaz?- Quel Cascione con cui ho parlato al telefono, aveva una voce da essere umano e usò parole che avrei dovuto ascoltare meglio. Penso che potrei rivolgermi a lui. Hai ragione Frank, meglio la galera che una vita divorata dalla paura di essere seguito da un killer. Meglio la morte civile che tutte le infamie attribuite alla mia persona.Ci fu un attimo di silenzio.Si sentiva solo il canto degli uccelli che si preparavano all’arrivo della sera.Lila si allungò a terra appoggiando il muso sulle gambe con un mugolio sommesso, sembrava voler esprimere il suo dispiacere per quella scelta. -I cani capiscono quello che diciamo – constatò Jenny – e anche di più. -Dovete promettermi che vi prenderete cura di lei - disse Marco con un nuovo groppo in gola- non credo di poterla ritrovare viva quando uscirò.

Il Folgore aveva parlato.Aveva spiegato che non poteva andare in prigione e lasciare da sola la donna nuda e affamata. Bisognava portarle dei vestiti e del cibo altrimenti sarebbe morta come sua sorella.Si rifiutò di fare il nome del Comandante o di aggiungere altri dettagli.Gatto spiegò a tutti che aveva deciso di rischiare e di giocare sporco.Se fosse andata male, le conseguenze avrebbero potuto essere davvero pesanti, ognuno di loro era libero di andarsene e abbandonare la partita.-Ispettore - fece Maglio - in questo nostro mestiere ci giochiamo la vita tutti i giorni, che ce ne può fregare delle conseguenze?Ruvolo rimase con Santerno e la ragazza, nel caso qualcuno fosse andato a cercare il Folgore.Quest’ultimo fu caricato sulla macchina di Maglio, con tanto di manette, ben nascoste dal giubbotto ripiegato sugli avambracci. Accanto a lui, sul sedile posteriore della Audi A4 con motore personalmente elaborato dal proprietario, si sedette Carbone.Peruzzi e Gatto seguivano a ruota, a bordo della Tigra gialla. Scesero il Naviglio Grande fino a Gaggiano e poi si diressero verso nord in direzione di Cusago . Da lì raggiunsero Cisliano e poi ancora verso nord fino a qualche chilometro prima di Bareggio, dove imboccarono una strada sterrata che conduceva ad una vecchia cascina nascosta tra i campi di granturco.La cascina aveva un’aria disabitata e spoglia. Però qualcuno, negli anni, aveva mantenuto ben oliato i cardini del cancello, così come sembravano in ordine la recinzione e gli altri serramenti.Nel fienile era parcheggiata una Mercedes 200Slk nero metallizzato.- Quella è mia- disse il Folgore con una punta d’orgoglio. - Forza ora andiamo.- Io non vengo. Non la voglio vedere più.Maglio rimase in macchina con lui. Peruzzi tornò con la Tigra oltre la sterrata per segnalare eventuali visitatori.Il Folgore spiegò a Gatto e Carbone come fare per raggiungere il Rifugio 2.L’ingresso della vecchia cascina, come consuetudine, immetteva in una grande cucina completata da un immenso camino. Seguendo le istruzioni ricevute entrarono nella stanza padronale e, accanto al grande letto in legno scuro, trovarono il baule che dovevano spostare per avere accesso alla botola.

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Una ripida scala portava nel sotterraneo.Le vecchie cantine erano state rimodernate e le pareti di cemento grezzo erano perfettamente asciutte. Sui soffitti brillavano luci al neon in grado di illuminare crudamente ogni angolo. Scaffalature metalliche contenevano diversi imballaggi, tra cui molte casse dipinte con il grigioverde dell’Esercito Italiano. Contenevano un vero e proprio arsenale. Bombe a mano, fucili, mortai, mitragliatrici, bazooka e pistole.Verso il fondo del sotterraneo si trovava una porta metallica chiusa da grossi chiavistelli.Amaranta tremava come una foglia, ma si sforzava di stare seduta con la schiena diritta appoggiata alla parete nuda come le sue carni.Il primo ad entrare fu Gatto.- Madonna.santa!Il forte odore d’urina lo prese allo stomaco e fu costretto ad indietreggiare per contenere i conati.Carbone lo scansò e avanzò risoluto verso la donna togliendosi la giacca.Si accucciò davanti a lei, le coprì le spalle e avvolse le piccole mani tremanti nel calore delle sue. -Non abbia paura signora, siamo della polizia.Amaranta appoggiò la testa sul petto di Carbone e bagnò di lacrime la sua camicia azzurra.

Alle diciotto e trenta Marco Bacci accese il cellulare e cominciò goffamente a trafficare coi tasti per trovare il modo di accedere alla rubrica e pescare il numero di Edoardo.Voleva chiedergli di fare da tramite per un contatto con il Commissario Cascione. Aveva deciso di consegnarsi a lui.Fuggire non serviva. Avrebbe esposto a quel poliziotto i suoi timori e ne avrebbe chiesto l’aiuto.In quella il suo cellulare suonò.Marco rispose convinto che a chiamare fosse uno dei suoi amici.- Pronto? - Pronto Signor Bacci. Finalmente posso parlare con lei- a parlare era una voce del sud cortese e neutra - lei non mi conosce ma...- Chi parla ? - Come le dicevo non ci conosciamo, però Fulvio Santerno ci ha dato il suo numero.- Lei è della polizia?- Si, sono l’Ispettore Gatto.- Senta, parlerò solo con un certo Cascione.- Cascione al momento è impegnato altrove.- Allora non ho niente da dire.- Aspetti Non le sto chiedendo di parlare. Mi auguro solo che mi stia ad ascoltare. Sappia che se volessimo rintracciare il luogo in cui si trova avremmo già avuto modo di farlo con una certa precisione. Per cui mi conceda ancora un attimo.- Si sbrighi, non ho molta pazienza.- Lei, come molte delle persone che le sono più care, si trova sotto seria minaccia di morte. Alcuni suoi amici sono da diverse ore in stato di fermo. - Cosa vuol dire?- Vuol dire che abbiamo assolutamente bisogno di metterla sotto la nostra protezione. Noi sappiamo che lei è innocente, ne abbiamo le prove...- Avete trovato chi ha ucciso Franco Faggioni?-Non ancora, ma abbiamo preso chi ha rapito la signora Amaranta.- Davvero?- Si. L’abbiamo liberata.

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- Amaranta ? Dov’é? Come sta?- Per ora è al sicuro, se può servire posso farla chiamare da lei.-.......- E’ ancora lì? Signor Bacci?- Sì .- Vuole parlare con la signora Amaranta?- No, meglio di no. Sono contento che sia al sicuro.- Senta, non credo che convenga dilungarsi. In Questura ci sono persone che vogliono fare di lei un mostro. Hanno mezzi potenti. Se lei mi dà un appuntamento, la mando a prendere al più presto possibile. Si fidi.- Verrà a prendermi Cascione?- No. Le mando l’agente Maglio, una persona più che fidata. E faremo di tutto per metterla in contatto con il Vice Commissario Cascione al più presto.- Dove ci possiamo incontrare?- Può raggiungere un casello autostradale o meglio ancora una stazione di servizio?- Penso di poterlo fare.- In che zona?- Firenze.- Perfetto la richiamerò tra due ore, ci dirà lei dove la potremo prelevare.- Ci proverò.- Mi raccomando, non chiami né la Polizia né i Carabinieri, eviti i posti di blocco.Si ricordi che siamo costretti a giocare sporco.

Anche Gaetano Cascione, mentre varcava il portone di Piazza Filangeri, si ritrovò a pensare che stava giocando sporco.Non aveva con sé il tesserino identificativo e non poteva esibire nessuna autorizzazione per parlare con Halyni.Le probabilità che all’ingresso ci fosse qualche novellino animato da eccessivo zelo erano scarse.La maggior parte delle guardie carcerarie conoscevano da molti anni il Vice Commissario e ovviamente nessuno era al corrente della sua decisione di buttare alle ortiche gli attuali gradi e la futura carriera.In portineria c’era Juliano. Come al solito si scambiarono salaci battute in napoletano stretto. Cascione fu introdotto in una delle stanze riservate agli interrogatori.Passò un lungo quarto d’ora prima che Halyni comparisse.Nonostante tutto, il suo viso lentigginoso appariva fresco e vispo sotto i riccioli rossi.Si guardarono, ma non si salutarono.Saddan Halyni prese posto su una sedia e tirò su con il naso.Gaetano Cascione estrasse da ogni tasca del giacchino e dei jeans un pacchetto di Marlboro. Ne impilò dieci e poi spinse la torretta rossa e bianca verso l’albanese.- Non te le meriti.- Non dici così, prego dai.- Mi hai sputtanato, avevo detto a tutti che eri a posto, che avevi smesso di spacciare.- Ho cercato Gaetano, ho cercato da lavorare, mi ho rotto mia schiena a fare bianchino e manovale. Tanto lavorare, pochi soldi. Ma bene. Io era contento. Mia donna anche lei trovato pulizie. - Allora perché cascarci ancora?- Perché non mi lasciavano in pace. Dicevano: tu non vuoi più vendere l’erba perché tu amico di Polizia, un giorno o l’altro noi ... Zac!

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Il gesto che seguì fu più che eloquente.- Capisco, però avresti dovuto contattarmi prima. Magari, sarei riuscito a sistemarti in un’altra zona, dove nessuno ti avrebbe più trovato.Saddan sorrise.- Tu farai questo per me.- No Saddan adesso è tardi. Un chilo di roba è veramente troppo per uno come te. Ti condanneranno e poi ti rispediranno in Albania. Non posso più farci niente. Vedrò di aiutare la tua donna e di mandarti qualcosa. Ti sei fatto fregare.Saddan si guardò attorno come se temesse che qualcuno potesse sentirlo.- Ascolta commissario tu mi tiri fuori ed io ti passo una soffiata super.Anche la Giustizia era sottomessa alle leggi di mercato e se l’albanese fosse stato in grado di vendere delle buone informazioni, avrebbe potuto ottenere considerevoli favori.- Pensi di poter mandare me e mia donna veramente lontano? Anche Germania?- Dipende. Chi collabora con la giustizia può essere aiutato in diversi modi .- Ascolta io ti dico chi ha ucciso l’uomo a via Villoresi e ti spiego perchè anche . Ma dopo devo sparire. Altrimente uccidono me. Anche qua dentro. Anche in sicureza.- E’ vero quello che stai dicendo?- Vero come è vero che questo carcere fa schifo.- Ti ascolto.- Il morto non doveva essere quelo. Hanno ucciso uomo sbagliato.- Cosa dici?- Chi ha sparato è stato uno dei nostri. Atiàs Kumay.- Come lo sai?- Atiàs ha detto sempre che lui spara a Katalin e quello zozo rumeno abita a Via Villoresi. Stesso casa di mortoCascione si sovvenne del racconto di Amaranta. La lite nei box. Gli stranieri.. . - Secondo te Atiàs ha sparato a Faggioni per errore?-E’ così. Stesso casa, stesso machina, altro uomo. Uomo sbagliato.

Alla fine dello spettacolo Luciana corse fuori contenta di come avevano danzato le sue ragazze e ancor più contenta per la serata che l’attendeva. Il cuore le batteva come quello di una ragazzina al primo appuntamento e allungava il collo per cercare di riconoscere la sagoma di suo marito avvicinarsi tra gli spettatori che sciamavano. Quando rimase sola davanti al piccolo ingresso del Teatro Litta, si maledisse per aver dimenticato a casa una volta di più il telefonino. Chiese alla cassiera se ci fosse un messaggio per lei. Nessun messaggio le e era stato inviato. Stava per tornare di nuovo sul Corso Magenta, cominciando anche a preoccuparsi, quando il telefono del teatro squillò.Era per lei. Era Gaetano.- Scusami amore, siamo costretti a rimandare la nostra cenetta romantica.- Perché ?- Devo urgentemente raggiungere gli altri della squadra. Torna a casa e non aspettarmi.-Credevo che non facessi più parte di quella squadra. Pensavo che avessi smesso.- Devo assolutamente andare. Non ti preoccupare. Smetterò presto. Forse domani stesso. In fin dei conti si dice sempre così: da lunedì smetto.“Già - si disse Luciana - smettere di fare il poliziotto dev’essere più difficile che smettere di bere e di fumare. Forse è come smettere di drogarsi. “

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Il Commissario Capo Galante fu strappato al suo ozio domenicale e ancor più dolorosamente fu allontanato dal gattò di patate, con la provola e la salsiccia piccante, che la signora Annarosa aveva infornato e già stava pervadendo del suo delizioso aroma tutta l’abitazione.Fu Cascione a chiamarlo.Galante ebbe qualche esitazione, non solo per via del gattò, ma anche per la riluttanza a riprendere in mano quel caso spinoso.Infine, mosso dall’idea di una rivalsa nei confronti di tutti i tromboni che quella stessa mattina gli avevano suonato la marcia funebre giudicandolo un inetto, si risolse a mordere il succulento osso che gli veniva gettato.- Casciò , l’ho sempre detto che tu sei un vero genio, il pilastro, la colonna della nostra squadra . E’ o vero o nonne?- E’ o vero Commissario, E’ o vero.

Mentre Galante correva verso S Vittore per prelevare Cascione, chiamò Gatto e venne a sapere il resto.Si diedero appuntamento al Rifugio 2.Il Commissario capo trovò Peruzzi e Carbone intenti a mangiare delle pizze comprate sotto casa di un’amica di Carbone che aveva offerto ospitalità e conforto ad una provata Amaranta.Gatto invece sedeva accanto al Folgore che era stato ammanettato ad una sedia a sua volta incatenata alla cucina economica.Non se la sentivano di rinchiuderlo nella cella, spoglia e maleodorante, in cui aveva trascorso la giornata Amaranta.Gatto cercava di convincerlo a farsi imboccare, ma il colosso sembrava deciso a rifiutare anche il cibo e le bevande. Come se avesse deciso di reagire alla sua cattura con uno sciopero della fame e della sete.- Quello bisogna portarlo al più presto in questura. - disse Galante - Come ce la caveremo per giustificare il suo arresto e il ritrovamento di queste armi?- domandò Carbone- Nessuno di noi avrebbe dovuto essere in servizio?- Semplice. Io a voi non vi ho trovati e non vi ho informato per tempo che l’indagine ci era stata avocata. Voi avete continuato e siete andati da Santerno. State sicuri che quando un’operazione ha successo, non si va troppo per il sottile. Quando fallisci ti levano anche la pelle, altrimenti solo peana, alleluja e osanna .Gli mostrarono le armi e le munizioni nascoste nel sotterraneo.Ogni pezzo portava ancora i numeri di matricola, non sarebbe stato difficile scoprire da dove provenissero e far partire altre importanti inchieste.Galante si rese subito conto di come la fortuna si fosse decisa a dare una mano alla sua sorte. Ora il suo avanzamento di carriera era a portata di mano. Avrebbe avuto il suo quarto d’ora di celebrità e un sacco di foto sui giornali.Tutti avevano una gran voglia di passare all’azione e di andare a cercare Atiàs Kumay. Galante guardò l’orologio. Le otto erano già passate. Probabilmente il Cozzi era ormai seduto a tavola. Era il momento ideale per rompergli i coglioni. Galante sorrise contento. Se lui aveva dovuto rinunciare al gattò e alla Domenica Sportiva anche al Cozzi qualcosa doveva andare di traverso.Chiamò in questura e diede disposizioni perché Cozzi venisse a vedere cosa avevano trovato in quella cascina e si portassero via il bestione ammanettato alla cucina economica.- Peruzzi tu resta qua ad aspettarli e cerca di essere il più evasivo possibile. Tu non sai niente. Non dire nulla, fai l’indiano sia con la Digos che con i giornalisti. Però se arrivano con le telecamere mettiti bene in mostra che sei bello e riesci bene.- Avete già chiamato i giornalisti?- domandò Gatto tra il sorpreso ed il perplesso.- No- rispose Galante- lo farai tu mentre andiamo da Kumay.

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Zeba abitava a Binasco a meno di duecento metri da Michelangelo Covini, l’impiegato delle pompe funebri a cui nella notte di venerdì Atiàs Kumay aveva rubato la Yamaha.La donna di Atiàs Kumay aveva sicuramente un vero nome però tutti la conoscevano come Zeba, il nome d’arte procuratole dal suo agente italiano.Zeba era un’artista della lap-dance e alla domenica si esibiva in un night club in zona fiera. Il locale si trovava in un seminterrato, portava l’esotico nome di Tortuga, ed era ovviamente ispirato alle più scontate fantasie sulla vita dei bucanieri. Quando Zeba finiva il suo numero aveva addosso solo un tricorno con teschio e tibie incrociate. Halyni non aveva specificato se la passione esagerata di Atiàs per Zeba fosse nata durante una di queste esibizioni . Quando Zeba, poco dopo le nove della domenica sera, usciva dalla sua villetta per andare ad eccitare altri maschi, Atiàs russava sempre pesantemente per via degli eccessi di droga, alcol e sesso a cui gradiva abbandonarsi.Più di una volta era toccato proprio a Saddam Halyni l’ingrato compito di dover correre a rimettere in sesto il suo distrutto compare in preda ad un coma etilico o in collasso da overdose. Zeba non beveva mai, in compenso aveva bisogno di tirarsi frequenti piste di cocaina di cui il bravo Atiàs aveva scorte inesauribili. Anche quella sera Zeba uscì puntuale e sola.Il Porche era parcheggiato subito fuori dalla villetta.Ne aveva già fatto scattare le serrature con il telecomando, quando l’abbraccio di Carbone le bloccò qualsiasi possibilità di muoversi o di gridare. Atiàs Kumay russava così forte che le bottiglie vuote di Cointreau tintinnavano sul tavolino da notte.Anche quando Gatto accese la luce, l’albanese continuò a navigare prono tra le onde sismiche del suo russare.Cascione riempì un secchiello del ghiaccio con acqua fredda e gliela tirò addosso.Con una mossa istintiva si voltò e fece subito correre la mano sotto il cuscino all’inutile ricerca della 44 ormai penzolante sull’indice guantato del Commissario Capo Galante.Pur da ubriaco riuscì a capire che quegli uomini armati non erano criminali rumeni venuti per vendicare Katalin, ma bensì poliziotti italiani a cui qualcuno l’aveva venduto.Bestemmiò nella sua lingua, ma quando riuscì a focalizzare il suo sguardo su Cascione con il secchiello d’argento in mano disse:- Fa culo tu, perchè non usa acqua calda per svegliare me?

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Epilogo

La Questura di Milano nella notte tra il 14 ed il 15 fu teatro di un fitto via vai. Numerose persone transitarono al suo interno per periodi più o meno lunghi.Marco Bacci e Maglio arrivarono in Via Fatebenefratelli poco dopo la mezzanotte. Un impietoso schieramento di cameramen e fotografi si era attestato davanti al portone, spianando obiettivi e microfoni pronti a ghermire un’immagine o una parola da parte dell’ormai noto maestro. Uomini in uniforme si adoprarono per proteggerlo e condurlo al sicuro ai piani superiori, dove fu interrogato dagli inquirenti fino alle prime ore del mattino.Marco Bacci spiegò per filo e per segno tutto quello che gli era capitato tra sabato e domenica senza dimenticare di citare le sue paure dei giorni precedenti quando si era accorto di essere di nuovo spiato dalla famiglia Faggioni per via del suo lavoro di intermediazione tra Amaranta e Garcia Blanquez. Non si dimenticò neppure di autodenunciarsi per il furto della Guzzi, anzi fornì coordinate piuttosto precise del luogo in cui aveva abbandonato la motocicletta, nella speranza che potesse essere al più presto ritrovata e restituita al legittimo proprietario. Si dichiarò anche disponibile al pagamento degli scarponi involontariamente sottratti all’Ipermercato Stella.Nel frattempo il Dott. Ferrigno ed Eduardo Sansone furono rilasciati con molte scuse e ci si adoprò in modo che potessero lasciare indisturbati la questura a bordo di auto di servizio. I due non ebbero modo di incontrarsi né tanto meno di conferire con colui che aveva portato tanto scombussolamento nella loro vita.Atiàs Kumay si era avvalso della facoltà di non rispondere e restava in attesa del suo legale di fiducia che sarebbe rientrato a Milano l’indomani con il primo aereo disponibile da Nassau.Se Kumay teneva la bocca chiusa, Galante distribuiva sorrisi a 360 gradi e spiegò volentieri ai giornalisti riuniti in una sorta di conferenza stampa estemporanea, che il caso dell’omicidio di Via Villoresi si era risolto.Il povero Franco Faggioni era stato freddato per pura coincidenza da Atiàs Kumay che si era appostato all’uscita dei box per eliminare Katalin Munteanu, capo di una banda di rumeni con cui si contendeva il mercato della droga e della prostituzione nell’hinterland milanese. La vittima designata, e al momento latitante, abitava nello stesso condominio di Faggioni. Nel suo appartamento al terzo piano erano state ritrovate alcune bilance di precisione e numerose tracce di eroina. In uno dei due box di sua proprietà erano stipati ducentoventisei chili di hascisc, due balle di marijuana per oltre sessanta chili e numerosi flaconi contenenti olio di hascisc. Nell’altro una BMW nera dello stesso identico modello posseduto dal Faggioni.Probabilmente il killer non si era concesso il tempo di verificare l’identità del guidatore o forse era stato ingannato dai riflessi creati dalla luce sul parabrezza. Galante rivelò anche che Andrea Mari, il sequestratore della vedova di Franco Faggioni, era stato catturato in un abbaino in Via Vigevano, mentre stava proseguendo nel suo tentativo di minacciare e terrorizzare persone in relazione con Marco Bacci. Il suddetto Mari aveva condotto la squadra mobile presso una cascina, tra Bareggio e Cisliano, in cui erano state ritrovate numerose armi probabilmente sottratte anni addietro all’esercito, nonché la cella in cui egli stesso aveva rinchiuso Amaranta Blanquez, con il presumibile intento di aggravare la posizione di Marco Bacci.Sarebbe stato compito della Digos indagare per conoscere quali legami ci fossero tra Andrea Mari e Marco Bacci.

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Galante spiegò anche che mentre Bacci rispondeva a qualsiasi domanda e si mostrava desideroso di collaborare, Mari si era chiuso nel più rigoroso silenzio.Entrambi venivano comunque trattenuti in questura. Il Mari in stato di arresto e con diversi capi d’accusa a suo carico. Il Bacci invece, a disposizione delle autorità inquirenti per ulteriori accertamenti.

Albeggiava quando il Commissario Capo Galante si presentò presso l’abitazione di Domenico Faggioni in via Canova.Gaetano Cascione lo aveva accompagnato.Il padron di casa, in vestaglia da camera, li ricevette nel suo salottino.Galante lo informò della cattura di Kumay e dei motivi che lo avevano portato al tragico errore costato la vita di suo figlio.Domenico Faggioni apparve costernato e sorpreso dalle rivelazioni. Non mostrò alcun sollievo nell’apprendere che sua nuora si trovava sana e salva tra mura amiche.- Le dice qualcosa il nome di Andrea Mari?- domandò all’improvviso Galante.-Mai sentito.- fu la secca risposta di Faggioni.In quella Cascione si scusò e chiese il permesso di fare una telefonata.Estrasse un cellulare e schiacciò qualche tasto.Nella tasca della vestaglia di Domenico Faggioni un altro telefono prese a squillare.Faggioni subito lo spense.Galante e Cascione rimasero in attesa di una qualche giustificazione.Un tetro silenzio s’impadronì della stanza.Fu Cascione a parlare per primo.- Nelle tasche di Andrea Mari abbiamo trovato questo telefono cellulare da cui risultano molte chiamate verso l’utenza che ha appena squillato. - Immagino che lei debba dirci qualcosa di molto importante sul contenuto di queste conversazioni.- proseguì Galante.- Sapete benissimo che non lo farò.- Allora devo dichiararla in arresto. La prego di seguirci in questura.- Avete un mandato d’arresto?- Lo avremo presto. Lo sa.- Tornate quando ne sarete in possesso. Vi invito a lasciare immediatamente la mia abitazione.- Come vuole.- concluse Galante – Torneremo presto.Rimasto solo Domenico Faggioni considerò il paradosso della sua esistenza.Aveva lottato per una vita al servizio dell’Ordine.Era riuscito a sviluppare un potere tale da permettergli di manovrare molti aspetti della confusa realtà italiana.Tutto quello che aveva fatto era stato finalizzato ad ostacolare l’avanzata del caos.Nonostante tutto il Disordine aveva prevalso.Delinquenti stranieri imperavano per le strade della sua città e a causa delle loro meschine rivalità suo figlio era morto e lui stesso avrebbe dovuto subire l’affronto di un arresto e di un processo. Aveva sempre pensato che il Male fosse entrato nella sua famiglia per colpa di quella donna che aveva irretito suo figlio.Ora la Legge e la Giustizia si erano schierate contro di lui per difendere lei ed il suo stupido cicisbeo.Assurdo.Paradossale.Meglio morire.

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La notizia del suicidio di Domenico Faggioni arrivò in Questura prima che Galante e Cascione vi facessero rientro. In un primo momento nessuno voleva crederci, ma una volta che il decesso fu accertato e che gli uomini della scientifica riferirono che senza ombra di dubbio Faggioni si era dato la morte sparandosi in bocca, furono in molti ad avanzare l’ipotesi che il vecchio avesse perso il senno di fronte a quel tragico scherzo del destino.L’ipotesi crollò presto.La verità venne a galla.Quanto appurato da Galante e Cascione aveva messo Faggioni sotto scacco matto e lui aveva preferito uscire di scena come un samurai deciso a punirsi per i propri errori.Trattenere ulteriormente Marco Bacci non aveva più senso.L’incarico di organizzare il rilascio fu affidato al Vice Commissario Cascione.Bacci era stremato, ma non volle tornare nel suo appartamento di Viale Pisa. Chiese di essere portato alla Stazione Centrale, moriva dalla voglia di tornare a prendere la sua cagnetta. Era ormai passata l’una quando Bacci e Cascione svicolarono con qualche stratagemma da un’uscita secondaria.Nel breve tragitto verso la stazione Cascione confidò a Bacci che anche lui sarebbe partito presto. Era più che mai convinto di voler cambiar vita e lo mise a parte dei suoi progetti sulla Gallura.- Non appena mi sarò sistemato la inviterò- promise Cascione- mi farebbe piacere farle conoscere mio figlio e mia moglie.- Verrò volentieri. Mi spiace aver creato tutto questo disturbo. Penso che avrei dovuto ascoltarla fin da subito e consegnarmi a lei.- Non creda sa, le cose avrebbero potuto prendere una piega molto diversa. Forse ha fatto bene a scappare.- Adesso mi sembra che lei sia troppo indulgente con me.- E’ curioso, ma devo ammettere di esser sempre stato convinto della sua innocenza.- Come faceva a saperlo?- L’ho capito mentre ero a casa sua , ascoltando la sua musica , frugando tra i suoi libri. Mi è sembrato che lei avesse i gusti che abbiamo io e mia moglie. Ho pensato che lei fosse uno come noi, un nonviolento.- Come fa un nonviolento a fare il poliziotto?- Si dimette.

Il treno arrivò A S. Maria Novella con oltre quaranta minuti di ritardo. Frank, Jenny e Lila lo stavano pazientemente aspettando .Strada facendo Frank si fermò presso alcuni amici per prelevare la figlia Bianca.La ragazzina impazzì di gioia nel vedere il cane. Fu più che felice di sapere che Marco era stato scagionato e si appassionò tantissimo a tutte le vicende e volle sapere una quantità di particolari in modo da poterli raccontare nei giorni successive a tutte le sue amiche.Appena arrivati Frank accese il camino per riscaldare ancor di più l’atmosfera e poi si diede da fare per apparecchiare la tavola insieme a Bianca. Jenny rimase impegnata in cucina e quando tutto fu pronto andò a chiamare Marco. Lo trovò addormentato sul divano abbracciato alla cagnetta.Lo coprì con una coperta e lo lasciò dormire mentre loro cenarono in cucina.Marco dormì così per tutta la notte. Mentre il giorno successivo dormì in un vero e proprio letto, in una stanza del piano superiore a cui era proibito l’accesso ai cani.

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Mercoledì mattina si congedò da quell’angolo di paradiso e dai suoi angeli custodi. Anche sull’autobus e sul treno continuò a dormire mentre numerose mani si avvicendavano per accarezzare il pelo fulvo della dolcissima Lila. Quando arrivò in Viale Pisa, la portinaia era ancora in servizio.La donna gli si fece incontro tutta compiaciuta di averlo di nuovo nel suo condominio.- Oh signor Bacci sapesse quanta gente è venuta a cercare di lei. Quei della televisiun ancora un po’ e ci mettevano le tende. Peu ‘serin stufi neh. M’han chiesto di chiamarli non appena che tornava.- Per favore non li chiami - fece Marco con autorevolezza.- Dica a tutti che non voglio vedere nessuno.- Ma guardi che l’è minga pusibil . Uramai siamo famosi.- La prego, sono stanchissimo e ho un sacco di cose da fare. Vedrà che nel giro di qualche giorno nessuno penserà più a me.- Quella bestia lì è con lei?-Certamente. Si chiama Lila.

La casa era piena di polvere e si notavano i segni delle perquisizioni.Tutto sommato erano meglio quelle intrusioni delle visite più discrete ma meno giustificate che aveva subito in passato. Avrebbe dovuto metter ordine, ma non ne aveva alcuna voglia. Avrebbe dovuto chiamare i suoi amici e scusarsi di tutti i fastidi che aveva procurato loro, ma per quello ci sarebbe stato più tempo e più lucidità il giorno successivo.Avrebbe dovuto mandare messaggi di condoglianze ad Amaranta ... domani.Decise di rimandare tutto a domani. Il vecchio telefono a disco era rimasto attaccato e non tardò molto a farsi sentire. Lo lasciò squillare a lungo, poi, senza sapere bene perché, rispose.- Pronto?- Teacher?- Chi parla ?- Sono io teacher. Sono Luca.- Luca chi?- Luca Festa quello della quinta.Già, la scuola.Bisognava affrontare anche quell’argomento prima o poi.- Come stai Luca?- Io sto bene e tu?- Un po’stanchino, ma tutto sommato non c’é male.- Quando torni teacher?- Presto, prestissimo Luca.- Teacher, sei diventato famosissimo!- Ma va, cosa dici?- A scuola non si parla che di te, teacher. Sei più famoso di Totti e di Vieri.- E cosa si dice di me?- Che sei un fico.- Perché ?-Perché ti cercavano e non ti trovavano e si continuava a vedere le foto tue in televisione.- Bisogna che prima o poi si faccia una chiacchierata con tutta la classe Luca. Mica si può mitizzare tutto quello che passa per la televisione.- Perchè no?

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- Ne parleremo Luca, ne parleremo quando torno.- Torna presto teacher. Abbiamo tutti voglia di vederti. - Va bene, ciao Luca . Grazie della telefonata.- Teacher?- Dimmi Luca.- Volevo scusarmi.- Di che ?- Di quello che abbiamo fatto ad Alex.- E’ a lui che devi chiedere scusa, non a me.- L’ho fatto Teacher. Anche gli altri l’hanno fatto.- Son contento, molto contento.- Vero che non sei più arrabbiato con me?- Per niente. Vedrai che tornerò presto.- Good by teacher , ti voglio bene. - Anch’io Luca . Anch’io.Marco Bacci abbassò il ricevitore perché non voleva far sentire al suo allievo che stava per piangere dalla commozione.Poi respirò profondamente, sospirò e vide Lila che lo stava fissando con il capino leggermente inclinato da una parte.Marco Bacci prese quel musetto adorabile tra le mani e appoggiando la punta del suo naso a quello umido dell’animale ripetè le parole di quel buffo turista francese incontrato in Val d’Elsa:-Il y a des surprises dan la vie. Quelques fois étonnantes.

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