Longanesi Da...
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Da “L’Italiano”, 30 settembre
1927
L’on. F. Ciarlantini (*), quale
rappresentante del libro italiano,
ha tenuto a Buenos Ayres la
seguente conferenza:
Signori, signorine e signorite,
vengo fresco frescone con questa
mia per dirvi, come già sapete
punto e virgola perché sono
diventato l’arbitro e il
rappresentante agli affari interni e
all’estero di quella cultura
italiana che trova in me e in
3
Lorenzo Giusso virgola mio
ispiratore virgola il più quadrato,
il più solido, il più massiccio, il
più tetragono e dodecagono
difensore virgola e applausi. Sì!
Sì! Ve lo dico e ve lo ripeto: io
sono un fenomeno culturale oltre
che politico e ve lo giuro nel capo
dei vostri bambini punto
esclamativo che saranno la
consolazione dei loro genitori
punto. Ero venuto dunque per
dirvi quello che ho già detto e che
cioè se i nostri posteri
ritornassero al mondo e
vedessero in che modo io
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rappresento e sintetizzo la cultura
italiana, lo immaginereste voi che
cosa direbbe Lorenzo Giusso? Ed
è appunto su questo tasto che io
non amo fermarmi. Laonde io di
qui non mi muovo! Credete forse
che io sia un rappresentante
fittizio? No! No! Io sono
inamovibile vivaddio! La cultura,
signori miei, comincia dal
mattino e ha l’oro in bocca. Dal
Risorgimento al Rinascimento e
giù verso la Rinascente voi avete
conferma di quanto io sto per
dirvi: che non c’è rosa senza
spina il che vuol dire quello
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ognun sa. Il libro non è ed è allo
stesso tempo, fu e sarà sempre lo
stesso, come sempre la stessa è la
poesia, ovvero non ho bisogno di
insistere. Eravamo dunque
rimasti a Flavio Andò… Ma dove
andò Flavio Andò? Non lo so! Lo
sapete voi? (Il pubblico scatta in
piedi ed urla: lo giuro!)
(*)Franco Ciarlantini
(1885-1940; ex socialista,
presidente della Federazione
nazionale dell’industria
editoriale, fondatore della casa
editrice Alpes e della rivista
6
“Augustea”), che aveva affidato a
Valentino Piccoli l’incarico di
dirigere una collana di volumi
intitolata I precursori del
fascismo.
Da “L’Italiano”, 31 gennaio 1929
1.Tutti siamo precursori di un
qualcosa che non si sa.
2.I precursori, per essere
autorizzati ad essere tali,
debbono prima morire.
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3.I giuocatori in borsa che
vincono sono tutti precursori.
4.I precursori sono gli agenti di
una società di previdenza: La
Reale Grandine storica.
5.I precursori sono podisti che
non arrivano mai al traguardo
per mancanza di fiato e, caduti a
terra, prima di morire, lanciano
il fazzoletto in avanti. Quel
fazzoletto a volte lo si raccoglie
e se ne fa una bandiera.
6.I precursori vivono a sbafo
dell’avvenire.
7.I Barbanera non fanno la storia.
8.Precursore che non la inzecca,
8
buono per un’altra volta.
9.La storia si fa i precursori e poi
se li mangia.
10.A questo mondo di prevedibile
non esiste che la morte.
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Da “PARLIAMO
DELL’ELEFANTE
(FRAMMENTI DI UN
DIARIO)”
Duclos, giorni fa, diceva:
“Signori, parliamo dell’elefante
(un giovane elefante di cinque
anni che destava la curiosità dei
parigini); è la sola bestia di una
certa importanza di cui si possa
parlare, in questi tempi, senza
pericolo”.
GRIMM,Correspondance
1938
10
1 marzo
Rileggo Le mie prigioni, libro
splendido, perfetto. Ogni riga è
meditata, calcolata con astuzia
estrema. Accanto alla Capanna
dello zio Tom è il più bel libro di
propaganda politica che sia mai
stato scritto. Per abbattere
l’Austria valsero più due capitoli
delle Mie Prigioni che due
reggimenti di La Marmora.
2 marzo
“Certo, il fascismo conosce i
nostri lati deboli: è la sua sola
forza”, dice B.
5 marzo
11
È già l’alba. Vaghiamo da quattro
ore nelle strade deserte dietro il
Pantheon. Cardarelli, pallido, con
le labbra nere di vino, inneggia ai
tempi antichi. Mezio lo
contraddice malizioso. Borgatti
cammina avanti, saltando le
pozzanghere. Di tanto in tanto si
arresta e dice:
“Andiamo a letto; ne riparleremo
domani sera di Silla!”
Penso che per colpa di queste ore,
trascorse senza scopo, avrò male
alle ossa. Ogni notte scivoliamo
da un’osteria all’altra come da
una chiavica all’altra scivolano i
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topi. A cinquant’anni,
incolperemo la rivoluzione di non
averci lasciato il tempo di
studiare: “Siamo stati uomini
d’azione”, diremo, “negli anni
più belli, quando la mente era
fresca…”
10 marzo
Parigi. Città fluviale e bottegaia.
Tutto grigio, fradicio,
straordinario. Qui si amano le
donne vecchie, la cera e
l’oleografia. Si sente la presenza
di un verme colossale, un verme
storico, che gode di una pensione
governativa.
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14 marzo
Roma. Domenica. Chiesa di San
Carlo al Corso.
Il pubblico dà la caccia ai buoni
posti attorno all’altar maggiore. Il
fascio di luce che entra dal
finestrone illumina un chierico
dal viso ebete. Gran rumore di
seggiole. Le note dell’organo e lo
scricchiolio delle scarpe nuove
degli impiegati. La stola verde
del prete e l’oro vecchio dei
candelabri. Un pubblico distratto,
che si annoia, stanco di restare in
piedi. Il suono ferruginoso
dell’organo rintrona sotto le
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volte. Una vecchia appoggia una
bottiglia verde, piena di latte,
sulla balaustra di marmo di una
cappella, poi s’inginocchia. Due
bianchi angeli di gesso con grazia
mondana s’alzano sulle punte dei
piedi per porgere fiori a un brutto
quadro. Un ufficiale della Milizia
finge di pregare e sbircia una
signora bionda con una volpe
argentata su una spalla. E’
l’ultimo barocco romano.
Sul soffitto è scritto a lettere
d’oro:
Quam terribilis est locus iste.
15 marzo
15
Vissero infelici perché costava
meno.
21 marzo
Domando al fratello del nonno,
vecchio garibaldino:
“Dimmi, che tipo era Garibaldi ?”
“Garibaldi? Cosa vuoi che ti dica:
Garibaldi era Garibaldi”:
22 marzo
La noia segue l’ordine e precede
le bufere.
16 giugno
Fra vent’anni nessuno
immaginerà i tempi in cui
viviamo. Gli storici futuri
leggeranno giornali, libri,
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consulteranno documenti d’ogni
sorta, ma nessuno saprà capire
quel che ci è accaduto. Come
tramandare ai posteri la faccia di
F. quando è in divisa di gerarca e
scende dall’automobile?
26 luglio
Bisogna trovare un fratello al
milite ignoto.
27 luglio
Sono fanatici, ma non senza
conservare qualche amicizia
fraterna nel campo avversario.
28 settembre
“Sua Eccellenza è fuori posto”,
mi dice l’usciere.
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“Lo so, lo so”.
29 settembre
Pittori Ufficiali. I loro pennelli
sono carichi di medaglie come
l’asta delle bandiere di certi
reggimenti.
4 novembre
Festa nazionale. È una data che
festeggerò per altre ragioni.
Cento anni fa, Stendhal
cominciava La Chartreuse de
Parme.
12 novembre
“Nel primo volume della nuova
enciclopedia Meyer, rivista e
corretta dai nazisti, sono apparse
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alcune voci che meritano di
essere lette. Te ne ho trascritta
una”, mi dice Tilgher porgendomi
un foglietto sul quale leggo:
“Bergner, Elisabeth: attrice
israelita che manifesta una finta
emozione interpretando certi
ruoli shakespeariani”.
15 novembre
Veterani si nasce.
28 novembre
Gerarchi: la grande attività di chi
non ha nulla di serio a cui
pensare.
11 dicembre
Sono un carciofino sott’odio.
19
14 dicembre
I versi che più mi toccano sono i
seguenti, scritti per la morte di
Umberto I:
Nella stazione di
Monza
Entra il treno che
ronza.
Hanno ucciso il re,
con palle tre.
15 dicembre
Fanfare, bandiere, parate.
Uno stupido è uno stupido. Due
stupidi sono due stupidi.
Diecimila stupidi sono una forza
storica.
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16 dicembre
Alcuni bimbi poveri discorrono
con altri bimbi ricchi.
Dice un bambino ricco: “La
cicogna ha portato a nostra madre
un bel fratellino".
Dice un bambino povero: “Noi
siamo poveri e nostra madre,
invece, i bambini li fa in casa, da
sola”.
20 dicembre
La parola pompiere è stata messa
al bando. D’ora innanzi si dovrà
dire Vigile del Fuoco. È un ordine
personale di Mussolini, ordine
che piace a tutti: accontenta
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dannunziani e socialisti.
1939
4 maggio
“La natura mi è venuta incontro”,
dice T. parlando di un suo
paesaggio.
“Ma non ti ha visto”, risponde C.
7 maggio
B.C.: Non capisce, ma non
capisce con grande autorità e
competenza.
Rosai: Dipinge in dialetto.
12 ottobre
Leggo una scelta di scritti di
Giuseppe Mazzini. In verità
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scrive male e non riesce a portare
in fondo nessun concetto. Non
appena deve concludere, ecco che
sventola un vessillo e impugna la
tromba, anzi la diana. Di tanto in
tanto s’incontrano frasi come
questa: “la fiamma semispenta
del dovere e del sacrifizio”.
Allora si resta lì, perplessi,
dubitosi, come se avessimo
scoperto che un nostro caro zio
era cleptomane.
13 ottobre
Lunga discussione all’Aragno
con S. Dopo esser stato
antifascista per anni,
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all’improvviso ha dichiarato:
“Sono sincero; i vostri discorsi
sono troppo disfattisti: Non vi si
può ascoltare senza provare un
certo malessere. Certo, Mussolini
non è un genio, ma oggi chi è un
genio? Fa quello che può. Io
credo ch’egli sia il successore di
Giolitti, un Giolitti adatto ai
tempi”.
Quel che ci ha sorpreso,
soprattutto, è stato il tono della
voce di S. Egli si è guardato
attorno, perfino, per scoprire se
qualcuno l’aveva sentito. Poi è
uscito salutandoci appena.
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“Non dategli retta. Certamente ha
vinto in borsa. Appena avrà
perduto, tornerà di nuovo a darci
ragione”, ha detto Cardarelli.
1940
27 maggio
Tutte le rivoluzioni cominciano
per strada e finiscono a tavola.
4 novembre
Umanitaria. “Non getto mai i
mozziconi nelle pozzanghere,
perché penso ai poveri diavoli
che li raccattano”, dice B.
10 novembre
Anima: una parola che non posso
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veder stampata, una parola che di
dovrebbe usare una o due volte
all’anno.
1941
10 gennaio
Gli inglesi vinceranno la guerra,
perché sanno fare tutto meno che
la guerra; i tedeschi la
perderanno, perché sanno fare
soltanto la guerra.
1 febbraio
“Non fidatevi di A., è una spia.
Lo so di sicuro”, ci dice Moravia.
“Ma se da dieci anni parliamo
con lui ogni giorno!”
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“Questo non significa nulla;
viene il giorno in cui si pente di
non averci denunciato e si rifà del
tempo perduto.”
2 febbraio
Trascorsa la mattinata a lottare
con un che e un la quale.
3 luglio
Si dice che i tedeschi arriveranno
a Leningrado entro la settimana.
Apro la radio. Ecco le note
solenni dell’Internazionale. Mia
moglie legge. Vorrei dirle che mi
sento bolscevico. Mi tornano alle
orecchie le parole di Gogol:
“Russia, dove corri Russia?…”
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1 agosto
Entro in casa. È mezzanotte.
Accendo la radio. Ecco la voce di
Mosca. Anche i russi, certamente,
dicono molte bugie. La
trasmissione finisce: “Proletari di
tutto il mondo, unitevi!”
Non sono proletario, non voglio
unirmi a nessuno, ma riconosco
che è un bel grido.
4 agosto
In tipografia un operaio mi dice:
“Gliele suonano ai russi, eh! Che
legnate!”
“Ma cosa ti hanno fatto i russi?”
gli domando.
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“A me nulla, ma prima essi le
prendono, prima vinciamo e
finisce la guerra”, mi risponde
guardandomi con sospetto.
Il popolo odia chi perde. Le
donne, soprattutto.
6 agosto
In casa Cecchi, lunga
conversazione con un banchiere
il quale sostiene che la Germania
vincerà la guerra perché possiede
molto manganese tolto ai russi.
“È possibile vincere una guerra
soltanto per il manganese?”
domando.
“Ma lei sa cos’è il manganese?”
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“No.”
“E allora, allora cosa vuol
discutere!”
Taccio. Corro a casa per aprire il
vocabolario.
11 agosto
Cena col maggiore C. I gradi, gli
stivali e gli speroni, soprattutto,
gli rendono lieta l’esistenza. Egli
discorre con l’autorità di chi sa
molte cose segrete. Si sente
qualcuno. Il tono della sua voce
quando dava del tu al cameriere
era insopportabile. “Cosa ci hai di
buono? Me lo garantisci?”
Confidenziale e autoritario. Mi
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aspettavo che tagliasse la bistecca
con gli speroni.
3 ottobre
Una frase che mi ha sempre
turbato, fin dal ginnasio:
“Prendiamo un punto
nell’infinito”.
5 ottobre
Non dimentichiamo che i
generali hanno sempre una figlia
da maritare. Non dichiariamo una
guerra senza aver prima
sistemato quella ragazza.
1 novembre
Funerali di Tilgher. – Mentre
attendiamo davanti alla clinica
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Morgagni che esca la sua salma,
penso al povero amico e ai nostri
discorsi di questi ultimi anni.
Ogni volta egli finiva la
conversazione ripetendo:
“L’importante, caro mio, è
durare; qui è una questione di
tempo. Non c’è che il tempo che
lavori per noi. Bisogna durare.
Abbiamo lo stesso motto di
Mussolini, noi che lo vogliamo
veder cadere; durare!” E il
povero Tilgher non ha durato.
Non so, ma questo funerale, oltre
al dolore di un amico che se ne
va, mi reca uno strano sconforto:
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qualcosa sta per finire. Oggi è
una data, un confine oltre il quale
ci accadranno sciagure.
Scende la bara; com’è nera; Dio
mio! Tilgher è li steso, ora, e la
cassa stride scivolando sul carro.
La carrozza si mette in moto. Ci
muoviamo. Mi guardo attorno:
c’è nei volti di tutti l’orgoglio di
accompagnare senza trombe,
senza bandiere, senza fucili, un
uomo della vecchia Italia che non
fu fascista e ch’è morto povero.
Vecchi professori, donnette dal
collo di pelliccia rosicchiato,
molti occhiali, molte schiene
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curve; gli ultimi avanzi di una
cultura che tramonta.
Tutti camminano strisciando le
suole, a capo scoperto,
senz’ordine, discorrendo a voce
bassa; c’è un’aria d’altri tempi,
modi discreti ormai dimenticati,
volti onesti, abiti sgualciti,
pastrani di vecchia foggia. Ma
come non accorgersi, Dio mio,
che questi sono gli ultimi
superstiti di una borghesia già
scomparsa.
Buonaiuti pronuncia un breve
elogio di Tilgher. Lì accanto è la
signora Livia. Missiroli ha gli
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occhi fissi sul carro. Passano i
tram con fragore. Pioviggina.
Intralciamo il traffico di piazza
Cavour. La gente che passa ci
guarda con meraviglia, con l’aria
di dire: “Ma non avevano altro
posto!” Il commissario, che non
prevedeva un discorso, è un po’
impaziente, ma è meridionale
come Tilgher e non protesta.
Le parole di Buonaiuti mi
commuovono.
“È un cristiano che se ne va in
tempi pagani”, mi mormora
all’orecchio una signora con gli
occhiali dalle lenti spesse.
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Malessere e melanconia per tutto
il giorno. Penso alla morte, ma i
miei pensieri sono uno più
stupido dell’altro, come: morire
con che scarpe strette.
3 novembre
Che cosa pensano gli italiani?
Difficile dirlo. Oltre alla
preoccupazione di trovare generi
alimentari e al malumore per i
cattivi servizi di locomozione,
non si può dire che gli italiani
siano molto afflitti. Certamente
non v’è ottimismo in giro, ma
neppure avversione al regime. Ci
si contenta di non morire in
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guerra. la guerra è molto lontana
e si spera che gli inglesi non
vengano a bombardarci. “La
guerra sarà lunga”, dicono tutti,
ma nessuno, in realtà, lo crede
fermamente. Si ha molta fiducia
nella nostra incapacità.
20 dicembre
Morandi mi confessa di aver
bruciato il mio diario di dieci anni
che gli consegnai mesi fa per
timore della polizia.
1942
24 febbraio
E dicono: “La nostra Patria! La
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nostra cara Italia…” con una
commozione turistica, familiare e
ipocrita che non lascia più
speranza. L’Italia non potrà mai
emanciparsi., come una figlia
unica, dall’affetto interessato di
questi genitori, per metà retori,
per metà ladri.
10 marzo
Ieri, in tram, mi sorpresi a
osservare i volti dei passeggeri;
non un viso intelligente, occhi
furbi soltanto, ma nessuna luce
d’intelligenza. Bestie socievoli,
ubbidienti, che pensano al pasto.
Nessuna vera luce di bontà e
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nemmeno di crudeltà. L’italiano è
un personaggio che abbiamo
costruito a poco a poco su vecchi
motivi letterari, un tipo
simpatico, che amiamo, pur
giudicandolo severamente; buon
padre, lavoratore, gran cuore,
appassionato, modesto ecc. Ma lo
conosciamo ben poco; è ateo,
pensa soltanto alle donne e ai
quattrini, sogna di non lavorare,
disprezza qualunque ordine
sociale, non ama la natura; sa
difendersi soltanto dallo stato, dal
dolore, dalla fame.
Siamo animali feroci e
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casalinghi.
13 luglio
Dice Talarico: “Sbagliando
s’impera”.
13 settembre
A teatro, a una recita dei De
Filippo. Sono gli unici grandi
attori di oggi. riescono a farci
vergognare di essere italiani,
tanto sono veri.
29 ottobre
Credo che nessun documento,
nessuna critica, nessun giudizio
sui nostri generali valga questo:
“S.M.R.E. – n. 18700 di prot.
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addestramento pratico. IV – 11 –
Lettera b.
“Si abitui la truppa ad operare in
silenzio, e, per contro, a
trasmettere prontamente a catena
gli ordini e gli avvisi.”
“N.2000/Op.Protocollo – P.M.
112 – 20 ottobre 1942 – XX.
“Oggetto: addestramento pratico.
“Silenzio (Capo IV – 11 – Lettera
b).
“L’attitudine ad operare in
silenzio non si acquisisce
facilmente, è invece
indispensabile che si sappia
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tacere, specie per il genere di
operazioni cui il corpo d’armata è
destinato.
“Prescrivo pertanto che, presso
tutti i reparti, durante le
esercitazioni tattiche e quelle di
imbarco e sbarco, tutti i militari
(ufficiali subalterni compresi)
tengano un tappo in bocca (un
normale tappo di bottiglia). Il
tappo sarà portato legato alla
giubba mediante uno spago.
“Questo sistema che può
sembrare coercitivo mira invece
ad evitare che qualcuno
dimentichi la necessità del
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silenzio”.
Il generale di Corpo d’Armata
Comandante Umberto Mondino
1943
13 gennaio
Siate enfatici e transigenti.
15 gennaio
All’Aragno, appena parliamo di
politica, Baldini, per non
compromettersi, finge di dormire.
21 gennaio
Esclama Vassarotti: “Mussolini
ha detto che questa guerra è
irrimediabilmente vinta”.
23 gennaio
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“Non abbiamo più grandi ideali
in tempo di guerra. ci si
accontenta di campare, ecco
tutto. I grandi miti verranno poi.
Saremo democratici quando
saremo ricchi”, dice B.
15 settembre
Stefano [Vanzina(STENO) - Zip]
ed io andiamo a trovare Fantoni
…….….;vogliamo affidare
all’attore la parte in un
film……...Ci accompagna alla
porta attraverso un buio corridoio
ingombro di biciclette e aggiunge
prima di lasciarci:
“Brutti tempi, brutti tempi!”
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Appena la porta si chiude, ci
guardiamo in silenzio. Parlare è
inutile: il clima fascista è
ritornato e con lui la finzione e la
paura. Le poche frasi dell’attore,
il tono della sua voce soprattutto,
bastano per chiarirci a un tratto
quel che sta accadendo.
Scendiamo in fretta le scale.
“Siamo daccapo”, esclama
Stefano.
“Non c’è da perdere un minuto”,
dico sottovoce. “Bisogna fuggir
via.”
(Salto il lungo racconto
dell’avventurosa fuga, oltre le
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linee, verso Napoli compiuta in
compagnia, fra gli altri, dei
registi Steno, Freda e Soldati. –
Zip)
1943 NAPOLI
11 novembre
Il napoletano non chiede
l’elemosina, ve la suggerisce.
15 novembre
Il napoletano non si conquista,
non si vince; egli vuole soltanto
allearsi a voi, essere vostro
complice.
19 novembre
Nella sola isola di Capri, ci
racconta un agente del servizio
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segreto americano, pervennero
alle autorità americane più di
mille denunzie, in maggior parte
anonime, nei primi venti giorni
dell’occupazione.
1944 NAPOLI
8 gennaio
Sui giornali è apparsa questa
notizia: “Vittorio Emanuele III ha
conferito al maresciallo Stalin il
collare dell’Annunziata. Da oggi
essi sono cugini.
11 gennaio
Città plebea, che si regge nel suo
continuo moto. Se Napoli
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s’arresta, muore.
13 gennaio
Leggo con grande diletto
Promenades littéraires di Remy
de Gourmont, critico elegante,
sottile, spesso acuto. Vien fatto di
pensare ai nostri critici, sordi,
monotoni, pesanti, cattedratici, i
quali leggono un autore con lo
stesso animo con cui un
commissario di polizia interroga
un criminale.
14 gennaio
La carne in scatola americana la
mangio, ma le ideologie che
l’accompagnano le lascio sul
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piatto.
15 gennaio
Letto con grande interesse il
Journal du siège de Gaete di Ch.
Garnier, diplomatico belga presso
la corte napoletana. Il giorno 8
dicembre 1860, Francesco II
lanciò un proclama al popolo
delle Due Sicilie che merita
d’essere letto e meditato. Fra
l’altro egli scrive: “Sono
napoletano; nato fra voi; non ho
respirato altra aria; non ho visto
altri paesi; e non conosco altro
suolo che quello nazionale. Tutti i
miei affetti sono nel reame; i
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vostri costumi sono i miei; la
vostra lingua è la mia… Ho
creduto in buona fede che il re di
Piemonte, che si dichiarava mio
fratello e amico, che mi
dichiarava di disapprovare
l’invasione di Garibaldi, che
negoziava col mio governo una
intima alleanza, non avrebbe mai
violato i trattati e tutte le leggi per
invadere i miei stati in piena
pace, senza motivo e senza
dichiarazione di guerra… Degli
uomini che non hanno mai visto
questa parte dell’Italia e che,
nella lunga assenza, ne hanno
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dimenticato i bisogni
costituiscono il vostro governo…
Napoli e Palermo saranno
governati da prefetti venuti da
Torino”.
Mi sento molto borbonico oggi;
violenta antipatia verso i
piemontesi, da Cialdini fino al
maresciallo Badoglio.
16 gennaio
gli ufficiali italiani sono
incorreggibili, camminano per le
vie di Napoli in divisa coloniale,
speroni e vasti petti coperti di
decorazioni.
“Non abbiamo più colonie, non
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abbiamo più cavalli e abbiamo
perduto la guerra”, dico.
“Sono distratti”, mi risponde un
ufficiale inglese.
18 gennaio
sul tram di Sorrento uno strano
prete albino, dal viso violetto, i
capelli color pancia di lucertola,
palpebre di seta bianca, occhi di
coniglio e il naso sottile,
d’alabastro. Difficile dire la sua
età; vent’anni come sessanta. I
suoi gesti sono lenti, timidi,
delicati. A un tratto, estrae di
tasca un fazzoletto rosso e si
soffia il naso con fragore
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insospettato.
Forse ha la coda, penso.
1944 ROMA
1 luglio
Ritorno a Roma. Nulla è
cambiato, tutto è intatto. Il
fascismo è eterno; quel che
accadde ieri si ripete nello stesso
modo. Nell’Avanti di oggi leggo
questo brano a firma Leto:
“Operai sono quelli che hanno il
viso più chiaro, le spalle più
erette, la camminatura più forte e
scandita in questi giorni di
convalescenza politica e morale”.
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Una nuova retorica comincia;
bisogna aggiornarsi.
10 agosto
Il comunismo è qualcosa che
ognuno costruisce secondo i
propri desideri. S’incontrano
perfino generali convinti di
vincere d’ora in poi le guerre
soltanto perché “col comunismo
il soldato obbedirà di più”.
13 agosto
Credono di essere di sinistra
perché mangiano il pesce col
coltello.
17 agosto
Si crede che la rivoluzione si
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faccia per corrispondenza, con le
lettere anonime.
19 agosto
“Lei è democratico?”
“Lo ero.”
“Lo sarà ancora?”
“Spero di no.”
“Perché?”
“Perché dovrebbe tornare il
fascismo; soltanto sotto una
dittatura riesco a credere nella
democrazia.”
30 settembre
Apro l’Avanti! Leggo un articolo
a firma Sandro Pertini. L’articolo
dice fra l’altro: “I lavoratori
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pugliesi, disciplinatamente
inquadrati nelle organizzazioni
proletarie, attendono che la loro
sete di giustizia venga
soddisfatta”.
“Disciplinatamente inquadrati”:
Dio mio, siamo ancora a quel
punto!
4 ottobre
Finalmente una esatta definizione
del fascismo di Alberto Consiglio
su L’Italia Nuova d’oggi: “Un
assolutismo temperato dalla
costante inosservanza della
legge”.
9 ottobre
56
Non sono le idee che mi
spaventano, ma le facce che
rappresentano queste idee.
12 ottobre
Non ho idee in questo momento,
soltanto antipatie.
1945 ROMA
17 novembre
Il professore di lingue morte si
suicidò per parlare le lingue che
sapeva.
20 novembre
“La storia ricorda una sola
rivoluzione veramente radicale: il
diluvio universale” (Ibsen).
57
23 novembre
Ho molti amici comunisti, o
meglio molti amici che credono
di esserlo. In realtà, di veri
comunisti ne ho incontrati ben
pochi. Uno, a Napoli, mi colpì;
era un ometto modesto, deciso,
silenzioso. Faceva il pittore,
concepiva la società come un
immenso convento di piccoli
borghesi. Puntuale, onesto,
economo, morigerato; non
fumava, non beveva, chiedeva
con permesso, amava il
giardinaggio ed era stato chiuso
vari anni nei carceri di tutta
58
Europa. Al tiro a segno non
sbagliava un colpo. Tutti i denti
gli erano caduti causa le botte
prese in prigione. Faceva
collezione di francobolli: un
uomo da far paura!
25 novembre
“Io non sarò mai socialista”, dice
la signora B., “perché disapprovo
la politica del pane. Le idee che
nascono dal pane portano al
sangue e non danno pane.”
La signora B. è di madre inglese.
26 novembre
La nostra bandiera nazionale
dovrebbe recare una grande
59
scritta:
Ho famiglia.
1946 MILANO
4 gennaio
I presenti non sono mai stati
fascisti.
18 novembre
Conservatore in un paese in cui
non c’è nulla da conservare.
60
Da “LA SUA SIGNORA -
Taccuini di Leo Longanesi, Ed.
Rizzoli 1957”
PREFAZIONE
Longanesi non ci ha lasciato in
eredità che pochi smilzi libri.
Quest’uomo che dopo due ore di
conversazione ci rimandava a
casa con lo spunto per un paio di
romanzi, una mezza dozzina di
commedie e una decina di
articoli, e che ha fatto scrivere
tanta gente, di suo ha scritto
poco. Un giorno gliene chiesi
perché. “Perché”, rispose lui,
“se vuoi raccontare qualcosa,
61
come si suol dire, di organico,
devi piegarti, ogni tanto, al
banale. Perfino Tolstoi deve dire
a un certo punto che “Anna
Karenina si alzò e andò ad
appoggiare la fronte ai vetri della
finestra”. Ecco: io non sarò mai
capace di seguire un’Anna
Karenina in un movimento così
ovvio e usuale. Che me ne frega,
a me, che quella brava signora
vada alla finestra? Anche la mia
serva ogni tanto ci va. Eppoi sui
dimentica di pulire i vetri.
Eppure, se vuoi scrivere un
romanzo, devi rassegnarti a
62
seguirne i personaggi anche in
queste faccenduole private. E io
non mi ci rassegno”.
Era, espressa alla Longanesi, la
vocazione del memorialista
epigrammatico, e la si ritrova
perfino nelle sue lettere private,
tutte a capoversi e asterischi,
comprese quelle ch’egli scriveva
per sfogarsi contro la sciatica.
Un’immagine, una battuta, punto
e a capo. Si arriva in fondo alle
due paginette col fiato mozzo,
perché non si è trovata, per
tirarlo, la pausa in cui Anna
Karenina va ad appoggiare la
63
fronte ai vetri della finestra.
Questi movimenti banali e
riposanti, questi intervalli
distensivi, che ogni autore, anche
grande, concede al suo lettore,
Leo li saltava sia scrivendo che
parlando. Non dava pace e non
se ne dava. Forse per questo è
morto così giovane.
Longanesi non è tutto e soltanto
qui, in questo sfavillio di trovate,
che costituiscono anzi il punto
d’arrivo della sua complessa e
conturbante personalità. Egli era
soprattutto un artista, tutto gusto
e intuito, che faceva
64
semplicemente piangere quando
si metteva a ragionare, ed infatti
non ci si provava quasi mai; ma
non sbagliava un colpo, quando
formulava un giudizio senza
soggiacere alla necessità di
motivarlo. Ha mai letto un libro
per intero? Non lo so. So soltanto
che, scorsene due pagine, te ne
dava in due parole una misura
che, più lo approfondivi e
meditavi, e più ti appariva esatta.
Qualcuno scrisse, all’indomani
della sua morte, che Longanesi
non aveva cultura. E quando mai
si è posto, per un uomo simile, un
65
simile problema? A differenza di
tanta gente che ignora quello che
sa, Leo era fra i pochissimi, forse
l’unico, che sapeva anche quello
che ignorava. Andava, in tutto, a
naso. Ma era un naso che non
sbagliava mai. Un giorno, a
Omnibus, mi buttò sul tavolo,
senza leggerla, una novella di
Moravia. “Porta in testa”,
m’ingiunse, “il capoverso di
coda”. “Perché?”. “Perché
Moravia è come le stoffe inglesi:
il rovescio è meglio del diritto”.
Un giudizio così esatto nessuna
cultura è stata mai bastante a
66
suggerirlo a nessun critico,
anche il più avvertito. Infatti,
dopo quella operazione di
riporto, il racconto, ch’era bello,
diventò bellissimo.
Questo Longanesi artista ha fatto
di tutto: ha dipinto, ha disegnato,
ha inciso,, non ha mai pensato ad
accumulare qualcosa per la
posterità. Gli ho visto perdere
giornate intere dietro la
fabbricazione di in fregio o la
compilazione di un motto. L’ho
visto sperperare pomeriggi e
serate al caffè per suggerire agli
altri quello che avrebbe potuto
67
fare, molto meglio, lui stesso.
Aveva il piacere del superfluo,
dell’inutile, del fine a se stesso, e
orrore della ripetizione. Non ha
mai pronunziato due volte la
stessa battuta. Ogni nuovo
incontro con lui era una
“première”, e ogni volta
compativo tutti coloro che non vi
assistevano. Sempre polemico,
aggressivo, pugnace, sempre
contropelo e controcorrente,
sempre inatteso ed
estemporaneo, senza nessun
freno, nemmeno quello della più
elementare educazione, Leo
68
ripagava chi pagava le
consumazioni con tonnellate di
sconcertanti paradossi, nessuno
dei quali falliva il bersaglio.
Cosa rimane di tanta ricchezza?
Quella che ha arricchito noi, suoi
abituali ascoltatori, e quella
ch’egli ha travasato nei pochi ed
esili libri che si lascia dietro.
Fra questi, La sua signora nasce
orfano, ma somigliantissimo al
padre, di cui riecheggia alla
perfezione gli umori e i
malumori, fino nel titolo, secondo
il solito, ammiccante. Anche qui
la ripugnanza alle ovvie
69
passeggiate di Anna Karenina
alla finestra è chiara. Vi sono
raccolti, più che i pensieri
(Longanesi era un animale
non-pensante), le intuizioni di
questo bizzarro editore inedito,
che non si concedeva abbandoni,
che amava appassionatamente
tutto ciò che diceva di odiare, e
traduceva nelle più divertenti
bestemmie la più inguaribile
malinconia.
Perché anche Longanesi è una
stoffa inglese. E io consiglio al
lettore di prenderlo come lui
prendeva Moravia: di rovescio.
70
Non lasciatevi ingannare dallo
sfolgorio delle sue stelle filanti.
Era un uomo triste, che
sghignazzava per non
singhiozzare, e aveva chiara la
coscienza del fallimento di tutti i
valori che difendeva. Perché si
ostinasse a farlo, è difficile dire.
Un po’ perché ci credeva. Un po’
perché, guidato com’era più dal
gusto che dalla logica, non
amava che le battaglie perdute.
Nel suo memorialismo, diranno i
critici, c’è del Renard.
Certamente. C’è del Renard, più
Marziale, più Don Chisciotte.
71
Ognuno ha i suoi parenti. E
Longanesi, di proposito, si è
scelto i più disgraziati,
preferendoli ai più fortunati. Un
impegno di straordinaria
eleganza morale ha impedito a
quest’uomo, che ha fatto il
successo di tanta gente, di
cercarlo per sé. Il suo
“Taccuino” era relegato nelle
pagine di fondo del Borghese, di
cui era direttore e proprietario.
E, quando c’era abbondanza di
materiale, era quello che
“saltava”.
Ora ch’è morto, possiamo dirlo,
72
senza timore delle sue diaboliche
e scottanti rivalse: era un grande
Maestro. Insopportabile, cattivo,
ingiusto, ingrato. Ma un grande
Maestro.
L’ultimo.
INDRO MONTANELLI
1947
Milano, 5 febbraio
Una letteratura senza contorni la
nostra, come certi dipinti di
Monet, di cui non si sentono che
gli sbalzi di temperatura.
Milano, 2 marzo
Osservo un tetto. Capisco come
73
avrebbe saputo dipingerlo Corot,
ma non vedo come potrei
dipingerlo io.
Milano, 10 marzo
Esistono tipi che assumono una
personalità soltanto al telefono.
Milano, 3 aprile
L. ha preso l’abitudine
dell’intelligenza, ma è un cretino.
1948
Milano, 14 maggio
Il contrario di quel che penso mi
seduce come un mondo favoloso.
Milano, 12 novembre
Il primo che suona una tromba,
74
mi porta con sé.
Milano, 14 dicembre
La mia fantasia si è inceppata: ho
bisogno d’un piccolo dispiacere.
1949
Milano, 10 luglio
Amo la lettera S, bellissima,
sempre in equilibrio, solenne,
superba come un cigno, nobile
signora quarantenne, erede di
forme barocche, prua di glorioso
vascello, aulica serpe, austera
iniziale dal dolce suono. Amo
questa bella lettera che disegno
un numero infinito di volte nelle
75
ore di attesa. Se fossi poeta,
scriverei una Ballata per una
vecchia S, se fossi musicista
comporrei una Fuga in S
maiuscola. Se mi innalzerete un
monumento funerario,
raffiguratemi in piedi, appoggiato
a una S maiuscola e sotto, sul
piedistallo, incidete queste
parole:
Silenzio, Saronno!
Perché Saronno? Perché Saronno
è un nome che mi piace da anni,
fin da quando lo lessi sulle
scatole di latta dei biscotti
Lazzaroni. Saronno: voce del
76
verbo essere, voce del
capostazione nella canicola
d’agosto sotto la tettoia, quando
la lucertola è immobile sulla
balaustrata liberty in cemento…
Saronno! Grido di guerra dei
veterani di Turate.
Perché di Turate? Non saprei
dirvelo, davvero: una
associazione di idee di cui non
conosco il segreto significato;
uno di quei non-sensi che così
spesso si affacciano alla nostra
memoria e ci divertono come le
filastrocche che recitavamo a
cinque anni.
77
A dispetto di tutte le verità, di
tutte le idee, di tutte le teorie, di
tutte le ragioni, mi diverto a
viziare la mia noia borghese con
le parole senza senso, coi sogni,
coi suoni, con le vaghe e solenni
parole che mi seducono, e grido:
Saronno!
Milano, 1 ottobre
S. mi racconta: “A Roma è
accaduto un fatto straordinario: la
polizia ha tratto in arresto un
mendicante perché sprovvisto di
documenti. Interrogato, il
poveretto ha dichiarato di
provenire da un paese della
78
Puglia. La polizia ha deciso,
allora, di rinviarlo al luogo
d’origine. Il mendicante, privo di
braccia e di gambe, legato sopra a
una carrozzina a quattro ruote, si
trova da due settimane nel cortile
della Questura, in attesa che
venga risolta una controversia
sorta nel frattempo: non si sa,
cioè, chi debba pagargli il
viaggio. Il mendicante può
raggiungere il proprio paese con
un foglio di via rilasciato dalla
polizia, ma la carrozzina, per
viaggiare, deve ottenere una
licenza del Ministero delle
79
Comunicazioni, e non può recare
a bordo un passeggero. Questo
contrasto di poteri non si riesce a
sanarlo”.
Milano, 29 ottobre
Moto perpetuo. Apro il
vocabolario e leggo: “Sedia, vedi
seggiola”.
Cerco seggiola e trovo: “Vedi:
sedia”.
Milano, 24 novembre
Cercava nella Bibbia l’indirizzo
di un buon albergo in Palestina.
E’ già buio: Sono le quattro
soltanto. Ogni volta che accendo
la luce invecchio un po’.
80
Milano, 25 novembre
“Torni, torni da noi, si faccia
rivedere. Ridiamo tanto con
lei”, mi dice la padrona di casa.
“No, non ritornerò più. Non è
necessario ch’io ritorni: il
cretino che vi ha tanto divertito
ve lo lascio qui, per sempre”.
Dice M.: “La libertà di stampa è
necessaria soltanto ai giornalisti
che non sanno scrivere”.
Milano, 26 novembre
Piove. Correggo la traduzione del
Diario di Junger. Molte
osservazioni acute, molti appunti
poetici, bellissimi, ma qua e là
81
qualcosa che urta, che annoia, che
disturba: quel suo modo di
osservare le cose come un insetto
che ha letto Goethe.
1950
Milano, 1 gennaio
Cercava la rivoluzione e trovò
l’agiatezza
Milano, 2 maggio
Ritrovo nell’Italiano del 1929,
questo componimento di una
bambina di otto anni.
Tema: La mucca.
Svolgimento: “La mucca è un
animale domestico, mammifero.
82
Essa ha sei lati: sinistro e destro,
sopra e sotto, davanti e dietro.
Essa è rivestita principalmente di
cuoio. Di dietro essa ha una coda,
e in cima un ciuffetto col quale
scaccia le mosche perché non
cadano nel latte. Davanti c’è la
testa affinché vi possano crescere
le corna e su questa vi è posata la
bocca. Alle mucche le corna
servono per cozzare e la bocca
per ruggire. Al di sotto della
mucca pende il latte. Il latte viene
sempre giù. Come questo
avvenga non lo sappiamo. La
mucca ha un fine odorato, la si
83
sente già da lontano perché essa
fa buona aria. L’uomo della
mucca è il toro: esso sembra
proprio una mucca, solo non gli
pende il latte sotto: perciò il toro
non è un mammifero. La mucca
fa ogni volta un vitello. Come
essa lo fa non lo so. Mio fratello
maggiore lo sa. Il vitello si nutre
di erba: la mucca ama l’erba, la
buccia delle patate, ecc. Se il
foraggio è buono, fa buon latte:
se è cattivo, fa cattivo latte.
Quando tuona, il latte diventa
acido. La mucca ha bisogno di
poco cibo: ciò che essa ha
84
mangiato una volta può mangiare
più volte, perché rumina tutto,
poiché è sazia. Quello che
inghiotte una volta lo rivomita,
così ha di nuovo la bocca piena.
Di più non so”.
(Spacciata per propria da “Cochi
e Renato” in TV negli anni 70 –
ZIP)
Milano, 11 ottobre
Morandi: dipinge sottovoce.
Milano, 13 ottobre
La noia mi attende in anticamera
e fuma, fuma: fuma la sua
centesima sigaretta.
85
Milano, 15 ottobre
Tacito dice dei Germani: “Essi
nominano Dio nel segreto dei
boschi”.
Milano, 16 novembre
No, non rassomiglio affatto a
quel signore che credevo di
essere stamattina, quando ho
comperato il cappello nuovo.
Milano, 18 novembre
I suoi elogi mi restarono sulla
giacca come macchie d’unto.
1951
Milano, 20 gennaio
Quando suona il campanello
86
della loro coscienza, fingono di
non essere in casa.
Milano, 3 marzo
Gli aggettivi di B.: senili e vestiti
alla marinara.
Imola, 19 agosto
Guardava la sua proprietà terriera
con l’occhio di chi l’ha rubata di
fresco.
Milano, 20 agosto
Del timore di non essere coerenti
con noi stessi, quando già
s’indovina che muteremo
d’avviso.
Parigi, 20 settembre
Della tendenza generale dei
87
francesi a camminare in
pantofole.
I negri con la giacca lunga per
far sembrare più corte le
braccia.
Alla Rose Rouge. Le note
perdute del pianoforte battevano
sul nostro cuore come la
grandine sui vetri. Una
commozione autunnale da
turisti, incoraggiata da quel
patetico che coglie i provinciali
lontani da casa. Quando
ritorneremo a Milano,
penseremo a Parigi con la
melanconia di chi non può
88
ritornare a casa, perché c’è già.
Al Café des deux Magots, un
pittore italiano, di Lecce,
confezionato da artista
d’avanguardia, dice:
“L’apporto del tubo nell’arte
moderna è grandissimo”.
Milano, 12 ottobre
Milano: una piazza assediata da
una periferia ottimista.
Milano, 3 novembre
S. dice: “Creda a me: non creda a
nulla”
Milano, 29 dicembre
Melanconia. Come sempre mi
accade in questi momenti, metto
89
ordine nei miei cassetti. E’ un
modo come un altro di aver
fiducia nell’avvenire.
La domenica, di solito, ci si
illude con gioia di saper fare
quelle cose che mai riusciremo a
fare.
1952
Parigi, 8 aprile
Il gasista, vestito di tela blu che
pulisce i lampioni a gas, sa di
piacere a Zola.
Milano, 29 aprile
Il moderno invecchia; il vecchio
ritorna di moda.
90
Stoccarda, 6 novembre
I tedeschi bisogna leggerli, non
vederli: ammirarli da lontano.
1953
Milano, 23 giugno
Un anno passa rapido, un mese
mai.
Roma, 1 luglio
L’italiano non lavora, fatica.
Milano, 28 agosto
I debiti di riconoscenza si pagano
entro le ventiquattro ore con
l’antipatia.
Milano, 30 agosto
Ieri sera, letta una novella di
91
Cecov. Commosso, non sono
riuscito ad ammirare l’autore
che amo.
Cecov coglie il nostro lato
debole, ci stuzzica il pianto, ci
suona l’arpa dei rimpianti, ma
all’indomani si esce decisi a
sputare sul primo cuore infermo
che si incontra.
L’ironia è il pudore della mia
coscienza.
“Lei crede in Dio?”.
“Quando non mangio carne”.
Milano, 7 settembre
A cena, ieri sera, con B., bella
ragazza di diciannove anni,
92
padrona di un seno per “y faire
promener le roi”. Furba, sicura
della sua bellezza, decisa a
venderla a caro prezzo. Tutti
umiliati dalla sua prepotente
giovinezza, che un tempo, senza
fatica, possedevamo anche noi.
Milano, 11 settembre
Inviato un racconto alla Gazzetta,
scritto in mezzora. La strana gioia
di poter guadagnare quattrini in
così poco tempo e la tristezza di
pensare che qualcuno leggerà
quella miserevole storia, senza
valutarne il valore economico.
93
1954
Milano, 5 gennaio
Dopo anni, rileggo L’agente
segreto di Conrad. Strano come
ricordassi una descrizione di
Londra che non ho ritrovato in
nessun capitolo. Ma il pregio dei
bei libri è proprio questo: di
suscitare altre immagini, altri
pensieri, di continuare a vivere
nella fantasia.
Milano, 12 febbraio
Penso spesso al mio funerale, che
immagino in maniera sempre
diversa. Ma sempre vi scorgo un
uomo piccolo, vestito di scuro,
94
triste, che cammina adagio dietro
il feretro, staccato dalle altre
persone.
Ho scoperto che quell’uomo sono
io.
Milano, 13 febbraio
Non pagare i debiti, ma versare
grosse lacrime di acconto ai
creditori.
Milano, 15 febbraio
“Vuol sapere la novità?”.
“Me la immagino: è accaduta la
stessa cosa che accadrà domani”.
Milano, 23 marzo
In Italia: manutenzione, non
rivoluzione.
95
Milano, 10 novembre
L’infinito è poco più grande del
finito.
Pensiero di mia moglie:
“L’unione fa la viltà”.
Incontro Moravia con la moglie
al Savini.
Lui: “Io sono un uomo infelice”.
Lei: “Tu infelice? Sei
felicissimo. L’infelice sono io!”.
Felici tutti e due di essere
infelicissimi.
No, signore: il suo socialismo
vuol cancellare troppe
ingiustizie perché io possa
tollerarlo.
96
Milano, 11 novembre
Non si ha mai il coraggio di dire
tutta la verità in un diario, anche
se segreto. Non tanto per il timore
che qualcuno ci legga, quanto per
la fatica di vincere il nostro
pudore e di scoprire le nostre
magagne.
Non ci si confessa per iscritto.
Milano, 12 novembre
Questo sole di novembre, vago e
discreto, che non disturba, come
certi nobili che spendono gli
ultimi soldi con cautela e grazia.
Milano, 13 novembre
Questo sole impacciato, che
97
illude le ultime foglie sui rami.
“Senta: le sue idee sono troppo
chiare e precise. Ritorni un altro
giorno, con più confusione in
testa, con più estro”.
Il mistero della semplicità:
cubo, piramide, sfera. Sempre
nuovi e solenni.
Milano, 17 novembre
Ieri sera, per strada, mentre
parlavo con T., udivo, nelle pause
del discorso, il tic-tac della sua
ipocrisia.
Milano, 19 novembre
Ci sono anche dolori di lusso,
che recano lustro a chi li
98
sopporta.
“La verità!”.
“Non quella di ieri, spero”.
Milano, 22 novembre
Una volontà d’acciaio, che lo
costringe a un orario di ferro, per
mantenere una famiglia di fango.
Milano, 26 novembre
I nostri ammiratori, Dio mio,
meglio non conoscerli!
Roma, 30 novembre
Oggi, cielo azzurro e limpido, da
seconda ginnasio.
1955
99
Milano, 8 febbraio
In treno, i nostri pensieri rifiutano
di accettare la velocità della
locomotiva, e la precedono.
Bologna, 14 marzo
“In verità, le guerre civili sono le
più sentite. Per l’Europa non
muoverei un dito, ma per l’Emilia
andrei in trincea”, dice M.
Milano, 15 marzo
Si discorreva, ieri sera, sul più e
del meno con tanto disinteresse,
che alla fine ci sembrò di avere
ascoltato soltanto un ronzio. Era
il ronzio mondano di una
borghesia che si avvia a
100
rinunciare all’uso della parola,
per dedicarsi soltanto alla
televisione.
Milano, 16 marzo
Nulla si difende con tanto calore
quanto quelle idee a cui non si
crede.
L’umiltà di chi è sicuro di se
stesso. Milano,
Milano, 17 marzo
Posò il suo vecchio uovo
capitalista in un nido d’infanzia
operaia, e ne venne fuori un
finanziamento governativo.
Milano, 19 marzo
“I miei bambini!”, dice la signora
101
con voce patetica.
“Anche noi, se non le dispiace,
abbiamo i nostri. Ed anche il
signore che passa ha i suoi. E
questa storia dei bambini è
meglio finirla. Dagli amorini
dell’Albani a quelli disegnati sui
calendari delle opere pie, questi
bambini hanno finito
coll’annoiarci. Ce li mostri
quando saranno grandi, quando
non pagheranno le tasse, quando
saranno lestofanti come loro
padre”.
Milano, 24 marzo
Aveva imparato l’arte di saper
102
arrossire a tempo.
Milano, 25 marzo
Eppure, è sempre vero anche il
contrario.
Milano, 26 marzo
Che strana libertà è mai quella
che vieta di rimpiangere un
tiranno defunto? E che strano
tiranno fu mai quello che riesce
ancora a farsi rimpiangere?
Milano, 27 marzo
Un matrimonio d’amore: amano
tutti e due i cani barboni.
Montanelli: un misantropo che
cerca compagnia per sentirsi più
solo.
103
Milano, 28 marzo
I ricordi si interpretano come i
sogni.
Milano, 29 marzo
Buoni a nulla, ma capaci di tutto.
Milano, 1 aprile
La borghesia: preferire sempre
quella di venti anni fa.
La virtù affascina, ma c’è
sempre in noi la speranza di
corromperla.
Una vita spesa a “far la spesa”.
I difetti degli altri assomigliano
troppo ai nostri.
Certi giorni ci accorgiamo di
noi…
104
Milano, 4 aprile
La saggezza non ha speranza.
Milano, 6 aprile
Idee senza faccia, dal solo
profilo.
Roma, 8 aprile
Trascorro il pomeriggio visitando
mostre di pittura. Quadri puerili,
di un infantilismo ebete,
balcanico. Questa gran paura di
sembrare italiani in arte, in un
paese in cui tutti, in casa, sono
italiani in maniera tanto
indecente.
Milano, 10 aprile
S’indovina che è domenica, dal
105
modo con cui il portiere con lo
stecchino in bocca sta sulla soglia
del portone.
Milano, 11 aprile
“Certo, siamo tutti cattolici, fin
dalla nascita. E ce ne accorgiamo
subito quando andiamo
all’estero, soprattutto per via
della pasta. E’ inutile: non la
sanno fare!…”, dice l’ingegnere
F.
Roma, 15 aprile
In una osteria di via della Vite è
appesa una tabella in cui si legge:
Giuochi proibiti. Agli effetti
dell’articolo 110 T. U. delle leggi
106
di P. S. sia perché d’azzardo, sia
nel pubblico interesse, sono
vietati i seguenti giuochi:
Bassetta, Bestia, Faraone,
Macao o Nove Maus, Mercante o
35 o 41, Naso, Primiera,
Zecchinetta, Goffo, Bazzica
semplice.
La vecchia Italia, grazie a Dio, è
dura a morire.
Milano, 17 aprile
Aveva della virtù un concetto
burocratico: essa faceva
soltanto il suo orario di buona
madre di famiglia.
La moglie di un marito, non di
107
suo marito.
Capimmo tutti e due di odiarci e
ci sorridemmo con infinita
comprensione.
Le labbra della vecchia signora
C. sembrano un pezzetto di
manzo crudo gettato sul marmo
di una tomba.
Milano, 26 maggio
Letto Rousseau: esuberante,
seducente, sanguigno, bugiardo.
Certi pensieri che ci agitano, a
un tratto, si posano sul fondo
della nostra indolenza e si
coprono di muschio.
108
Milano, 28 maggio
La libertà tende all’obesità.
Roma, 20 giugno
“Lei vuol far rinascere il
qualunquismo”, mi dice
l’industriale Olivetti. ”Non ne
capisco il perché”.
“Non voglio far rinascere nulla,
caro amico”, gli rispondo. “Ma
che cos’è il qualunquismo?”.
“E’ un modo di seguire
l’empirismo anglosassone”, dice
Olivetti con sicurezza.
Taccio: mi accontentavo di molto
meno.
Genova, 20 luglio
109
L’ipocrisia di B. quando vuol
dimostrarmi che sto bene. Egli
teme che chi sta male sia più
intelligente di lui.
Una vita: Marcia reale, marcia
nuziale, marcia funebre.
Bonassola, 21 luglio
Dalla cadenza delle onde nasce
il ritmo di una noia dolcissima.
Una democrazia, quella italiana,
in cui un terzo dei cittadini
rimpiange la passata dittatura,
l’altro attende quella sovietica, e
l’ultimo è disposto ad adattarsi
alla prossima dei democristiani.
110
Roma, 30 luglio
I mendicanti di razza non
chiedono mai l’elemosina davanti
alle chiese di Piacentini.
Milano, 3 agosto
Lutero bussa alla mia porta:
fingo di non sentire.
Alla manutenzione, l’Italia
preferisce l’inaugurazione.
Milano, 20 agosto
“Non ci posso credere!”.
“Ci creda, ci deve credere, perché
lei è credente”.
Milano, 21 agosto
Questi americani, Dio mio, che
non hanno il coraggio di essere
111
tedeschi; e questi tedeschi che
non riescono a sembrare
americani; e questi francesi che
credono di essere ancora
francesi; e questi italiani sempre
italiani, dalla mattina alla sera!
Italia 1955: avvolta in una
pelliccia di benessere, ma coi
piedi scalzi.
Roma 1 settembre
In trattoria. L’avvocato O. finge
di non vedermi, ma le sue
orecchie mi fissano.
Goffredo B.: una torre d’avorio
cariato.
112
Milano, 2 settembre
Descrivere il vago con estrema
esattezza.
Roma, 11 settembre
Uno di quei giorni in cui sigarette
e pensieri hanno un sapore
cattivo.
Milano, 14 settembre
Una vita: … da quando è di
sinistra, prende il cameriere
soltanto a ore.
Milano, 17 settembre
Le nostre esperienze ci seguono;
le nostre antipatie ci precedono.
Il Buon Gusto e il Cattivo
Gusto, incontratisi per caso,
113
scoprirono di essere fratelli.
Milano, 30 settembre
E poi si resta soli, con una
bandiera stinta in pugno, in un
vicolo chiuso che sarà demolito
dal piano regolatore.
I ricordi di un passato penoso e
comico prendono già i colori
dell’epopea.
Milano, 1 ottobre
Il generale viveva di ricordi
inventati.
Milano, 4 ottobre
Questo capitalismo che
s’aggiorna, incalzato dalla paura,
vinto dal complesso d’inferiorità
114
di non sembrare abbastanza
“sociale”, che inventa lo stile
aziendale, la cultura aziendale, il
libro d’arte aziendale, il nido
d’infanzia aziendale, e che sogna
l’apertura a sinistra per
mantenere i privilegi di destra,
con l’appoggio del centro, stretto
fra il Vangelo e il Capitale che
non ha mai letto, ma di cui ha
sentito dire “un gran bene”.
Milano, 7 ottobre
Mi mostra i figli , e li illustra con
aggettivi tanto dolciastri che non
posso fare a meno di chiedergli:
“Posso assaggiarne uno?”.
115
Milano, 11 ottobre
Non c’è da fidarsi di lui: ha molto
sofferto.
Milano, 13 ottobre
Pensare contro è più facile, ma
pensare a favore desta sempre
sospetto, almeno in Italia.
Milano, 15 ottobre
G.: le sue idee si accendono,
crepitano, poi si placano alla
seconda portata.
Milano, 18 ottobre
“Amico mio…”.
“La prego, sia intollerante!”.
Milano, 26 ottobre
Al Savini. Entra un gruppo di
116
signore democristiane, seguite
dai rispettivi mariti, deputati,
ministri, pezzi grossi. Tanto
sorridenti, tutti, da dar sospetto.
E’ il sorriso di chi, finalmente,
gode i primi piaceri del lusso
conquistato coi voti delle
parrocchie. A ben osservarle, le
scollature delle signore sono
castigate, ma i loro sguardi
divorano la biondona dalle spalle
nude che siede al nostro tavolo.
Domani, forse, i loro mariti, per
vendetta, andranno un po’ più a
sinistra.
Milano, 30 ottobre
117
Sono un piromane che chiama
sempre i pompieri.
Parigi, 2 novembre
In un ufficio americano la faccia
di Eisenhower a colori, in
cornice. La contemplo a lungo.
Difficile definirla: igienica, per
rasoio elettrico, buona, o meglio
rabbonita: la faccia di un tedesco
che non ha letto Nietzsche e che
crede in Buffalo Bill.
Milano, 17 novembre
Se c’è una cosa che funziona in
Italia è il disordine. Un
disordine regolare, che ha le sue
leggi, la sua morale scettica,
118
tradizionale, anarchica, che
prospera sulla tolleranza
cattolica.
La pietas cattolica è diventata
indolenza.
S. crede di nascondere il suo
sguardo ipocrita dietro le sue
grosse lenti. Egli si commuove
al pensiero delle sue malvagità,
si condanna, si compiange e si
perdona. E’ il cattolico più
perfetto ch’io conosca.
Roma, 19 novembre
Mangiano sterco, poi protestano
quando vi trovano un capello.
Ripete i miei discorsi ad altri,
119
ignorando che io, quando
parlavo con lui, abusavo della
sua ignoranza.
Milano, 21 novembre
Rientrando in casa, trovo il
portone chiuso a metà, e
nell’atrio un tavolo ricoperto da
un drappo nero, guarnito
d’argento.
E’ morto il coinquilino del primo
piano.
Culto e cultura sono due parole
della stessa famiglia ed è facile
capirne l’affinità, ma questo
lugubre segno, messo li per
sollecitare la mia pietà, mi
120
indispone: una propaganda del
dolore a cui non aderisco.
Milano, 23 novembre
Libertà di opinione in un paese
senza opinioni.
Milano, 27 novembre
Monsignor C., ogni mattina, si
sottopone a tre iniezioni
ricostituenti, ma ama dire:
“Quando Dio mi chiamerà, gli
ubbidirò”.
L’intellettuale è un signore che
fa rilegare i libri che non ha
letto.
Milano, 28 novembre
Cardarelli ci ha insegnato tutto
121
quel che non sapeva.
Milano, 30 novembre
Picchiato mio figlio con violenza.
Rimorsi. Mi giustifico
appellandomi alla morale, alla
pedagogia. Da un canto mi sento
padre, da l’altro coetaneo di mio
figlio. Finisco col concludere che
ogni forma di educazione è un
atto di arbitrio.
Milano, 2 dicembre
Certo, la nostra coscienza è un
grande impedimento, ma poi ci
si accorda sempre con lei, come
col fisco.
I sentimenti tendono al
122
sentimentale: farne uso
moderato, in arte come in
politica.
Milano, 10 dicembre
Certi rimorsi pesano, ma con
civetteria.
Milano, 12 dicembre
“Non vorrei disturbare questo
congresso, ricordando ai presenti
che il Paese non attende nulla di
definitivo”.
Milano, 14 dicembre
“Per chi dovrei votare alle
prossime elezioni?”.
“Voti per i vecchi, per i più
vecchi, per i vecchissimi: ci
123
riservano molte gioie, molte
sorprese. Essi non possono
tradire in alcun modo la nostra
aspettativa..."
Milano, 15 dicembre
B. attende che si avverino le sue
menzogne.
Milano, 16 dicembre
Sogno un’ingiustizia ordinata.
Milano, 23 dicembre
C., vecchio repubblicano
anticlericale, odia soltanto i preti
della sua giovinezza: quelli di
oggi, no, gli servono.
Roma, 31 dicembre
“Buon Anno!”.
124
“Anche a te, e a te, a te, a lei, a
lei…”.
Ecco, un anno nuovo arriva. Lo
sento qui, che mi preme nel
fegato, come la punta di un
compasso.
1956
Milano, 2 gennaio
Scompaiono i grandi signori e i
grandi anarchici, estremi lussi di
una medesima società. E sono
scomparsi anche i grandi santi.
Forse il cristianesimo vince la sua
battaglia coi prezzi fissi e la
produzione in serie.
125
Milano, 3 gennaio
La chiesa, fino a ieri, almeno,
tollerava il peccato, lo
contrapponeva ai turbamenti, ai
dubbi protestanti, come uno
scarico di coscienza. E l’Italia ,
bene o male, ha vissuto e
prosperato grazie a questa
larghezza di manica. Si può dire,
senza voler fare paradossi, che il
cattolicesimo si è salvato
dall’utopia moralista proprio in
virtù di una certa sua sensualità.
Il mistico cattolico non ha mai
preteso di contribuire al
benessere dell’umanità: ha
126
soltanto amato il suo Dio, come si
ama uno sposo, un amante. Le
nostre sante, se così si può dire,
sono le cortigiane del Signore. E’
un concetto, un modo del tutto
protestante quello che oggi
dilaga, di includere nella fede
anche propositi di rigenerazione
sociale. E’ una idea protestante
quella secondo cui un’anima
religiosa deve procurare conforto
materiale e solidarietà ai derelitti,
recare, come s’usa dire, un
contributo sociale. I nostri
mistici, di solito, erano dei buoni
a nulla, incapaci di rendersi utili
127
all’umanità: contemplativi, non
pensavano al prossimo come si
intende ora, in maniera tanto
demagogica. Il santo per masse è
un’invenzione moderna, che
contraddice lo spirito dei grandi
mistici. E’ Renan che dà una
definizione lapiriana della
religione: “L’organizzazione
della bontà”. Il che sta a
dimostrare come oggi lo spirito
cattolico per non sembrare
superato, si avvicini ai propri
nemici.
I grandi mistici della Chiesa non
“agirono a scopo
128
propagandistico”: ad essi stava a
cuore soltanto l’anima che
rinasce in Cristo. Si trattava di
evoluzione intima, di eroismi
soggettivi.
Milano, 5 gennaio
Il corteo avanza dietro il feretro.
Nell’aria tersa del gelido
mattino, brillano soltanto i vetri
dei fanali spenti e il moccolo
ghiacciato del prete.
Credeva, era un fervido
credente: credeva, soprattutto,
nella forza della Chiesa per
mandare all’estero valuta
pregiata.
129
Milano, 9 febbraio
Il piacere delle cose non meritate.
Milano, 10 febbraio
In questi ultimi giorni mi sono
perduto di vista.
Milano, 19 febbraio
In Italia, tutti sono estremisti per
prudenza.
Milano, 13 aprile
Per indisposizione del dittatore,
la democrazia si replica.
Milano, 22 aprile
Incontrato ieri sera il solito
cronista mondano povero, con le
scarpe risuolate, che segnava, sul
notes i cognomi dei notabili con
130
l’aria di chi stende l’elenco di un
pignoramento.
Milano, 23 aprile
Da anni, una volta alla
settimana, l’incontro; e sempre,
fra noi, si svolge questo dialogo:
“Cosa vuol mai!…”.
“Eh, lo so…”.
“Mah, vedremo…”.
“Io mi faccio molte illusioni,
tanto non costano nulla”.
Milano, 5 maggio
Al cocktail dell’albergo
Continentale. Le signore
sorridevano, mostrando i fili di
prosciutto rimasti impigliati fra i
131
loro denti.
P. inveiva contro gli ebrei, senza
accorgersi che lo vedevamo di
profilo.
Milano, 12 maggio
P.: le sue idee non hanno dimora
fissa, vivono in camere d’affitto.
Milano, 17 maggio
“Vorrei qualcosa di diverso, ma
che non fosse troppo diverso da
quello che credo possa essere
diverso”, mi dice la contessa D.
Milano, 19 maggio
I nostri prefetti, Dio mio, quando
stanno seduti, non riescono mai
ad accavallare le gambe.
132
Milano, 20 maggio
“Sì, in casa C. tutto è marcio,
tranne i buoni da mille”, dice A.
Milano, 25 maggio
Quando parlo, egli sorride con
ironia. Quel che dico lo irrita, ma
i suoi interessi gli vietano di
contraddirmi. E’ una situazione
privilegiata, di cui abuso con
piacere, perché il signor M.,
essendo molto ricco, ha il vizio
del socialismo e l’impudenza del
capitalista.
Ieri sere elogiava Nenni. Gli
dissi: “Parli piano, il cameriere
sta ascoltando”.
133
“Ah, non conta: lui è del MSI”,
rispose il signor M.
Milano, 28 maggio
Abuso di potere, mitigato dal
consenso popolare: ecco l’ideale
della nostra democrazia.
Milano, 29 maggio
La signora N.: nostalgica dei
peccati che non ha commesso.
Milano, 3 giugno
Sposano un’idea, poi la
lasciano, con la scusa che non
ha fatto figli.
L’arte è un appello al quale
troppi rispondono senza essere
stati chiamati.
134
Milano, 4 giugno
Portava un brillante al dito come
uno sperone.
Milano, 6 giugno
Non credeva in Dio, credeva
nella comodità di credere in Dio.
Stresa, 8 giugno
Lombardi.
I villeggianti guardano il
panorama con animo rapito.
Una signora: “In cartolina, però,
è più bello!”.
L’amico: “Perché è a colori”.
La signora: “Ma è a colori anche
al vero, non vede?”.
L’amico: “Sì, ma in cartolina
135
sono più forti”.
Milano, 9 giugno
La signora B.: borsetta di
leopardo, scarpe di leopardo,
cintura di leopardo e occhi di
pollo.
Milano, 11 giugno
“La vendetta va contrastata dai
rimorsi per accrescerne il
piacere”, dice F., uomo pio.
Era tanto intellettuale, da
commuoversi al pensiero della
propria scarsa intelligenza.
Milano, 28 giugno
Cercava l’ispirazione nelle
fatture, sognando di non pagarle.
136
Milano, 29 giugno
“Non occorrono grandi capitali
nell’industria: bastano buoni
indirizzi di ministri”, dice B.
Milano, 1 luglio
“Mi incarti il suo io”.
Milano, 3 luglio
Superficiali sì, ma di buona
famiglia.
Milano, 10 luglio
“Non piangeva, lacrimava,
capisce? Le lacrime sono un
segno di giovinezza, qualcosa
come il desiderio del pianto…”.
Milano, 14 luglio
Si attende qualcosa di nuovo, con
137
la certezza che nulla può
sembrarci ancora nuovo.
Milano, 21 luglio
B. crede che la morale sia la
conclusione delle favole.
Milano, 23 luglio
Pensare in contanti.
“Cerchi di non riflettere: si
affidi soltanto al suo istinto di
farabutto. L’Italia si aspetta
molto da Lei”.
Milano, 1 agosto
Non si ha idea delle idee della
gente senza idee.
Milano, 11 agosto
La sua barba è un nido di idee
138
romantiche.
Imola, 12 agosto
“I suoi occhi vagano da un
giovane all’altro, poi si posano
rassegnati su di me. Io fingo di
essere distratto. Così
trascorriamo le nostre ferie”, dice
F.
Imola, 13 agosto
Un’idea che non trova posto a
sedere è capace di fare la
rivoluzione.
Milano, 27 agosto Milano,
In via Bagutta, questa targa:
“Medico X. Y., specializzazioni
generali”.
139
Milano, 29 agosto
A forza di essere sincero, si
accorse di sembrare monotono.
Milano, 3 settembre
Ieri, sul lago di Como, al
tramonto, mi pentii di non aver
letto, dal ginnasio, I promessi
sposi.
Milano, 5 settembre
Popolo di navigatori, che sbarca
il lunario.
Un’idea imprecisa ha sempre un
avvenire.
Il dilettante si diletta a scoprire
quel che potrebbe fare se lo
sapesse fare.
140
Milano, 8 settembre
Vecchia borghesia: “Sarà di
cattivo gusto, ma è in casa nostra
da trent’anni…”.
Nuova borghesia: “Sono dieci
anni che ho sotto gli occhi quel
vaso: non lo posso più
vedere!…”.
Milano, 3 ottobre
A uno scultore: “Le sue statue
sono parlanti, ma non sanno cosa
dire”.
Milano, 4 ottobre
Chi rompe, non paga e siede al
Governo
V.: da qualsiasi porta entri, ha
141
sempre l’aria di chi infila quella
di servizio.
Milano, 6 ottobre
I ricordi dell’anno venturo già mi
pesano.
Milano, 7 ottobre
R. B. : anni fa, molti anni fa, lo
vidi alla stazione di Milano,
nell’uniforme fascista, nero e oro,
come un portale drappeggiato a
lutto, enorme, solenne, macabro,
grottesco. Lo precedeva,
portando la sua valigia, un
piccolo facchino intimorito da
quella mole gerarchica. A tratti,
costui rivolgeva lo sguardo
142
all’aquila d’oro che spiccava sul
berretto dello scrittore, e
masticava non so che, forse un
pezzo di sigaro, ma con un ritmo
ironico che diceva più di ogni
commento.
Milano, 1 novembre
La vecchiaia sopraggiunge
improvvisa, più prepotente della
giovinezza di cui non ci eravamo
accorti.
Milano, 20 novembre
Di quelle signore che indossano
un’anima intonata al proprio
vestito.
“Commendatore: le sue mani
143
non mi sono nuove: le ho sentite
un’altra volta nelle mie tasche”.
Milano, 26 novembre
Non so perché, sento di dover
dire: addio!
Milano, 13 dicembre
“Non posso tollerare, cara
signora, i vizi ch’ella non ha”.
Milano, 14 dicembre
la nostra mediocrità, a volte ci
diventa insopportabile; ma non
c’è verso di uscirne.
“Lei assomiglia alle fotografie
che le faranno fra dieci anni”.
“Ci hanno tolto anche l’illusione
del comunismo: era l’ultimo
144
tentativo di non credere nella
giustizia del cielo”.
Milano, 15 dicembre
Una società, la nostra, in cui ogni
cosa assomiglia a un’altra
diversa. Palazzi che sembrano
navi; negozi che sembrano
cliniche; baracche che sembrano
alberghi diurni; chiese che
sembrano garages; fabbriche che
sembrano chiese; occhiali che
sembrano farfalle; automobili che
sembrano battelli; scuole che
sembrano prigioni; statue che
sembrano utensili. Il revolver
soltanto sembra un revolver. Ci
145
deve essere una ragione.
Milano, 16 dicembre
La signora T.: uno sguardo che
non ammette che contanti.
“Una linea è un’idea”, mi ha
detto stamattina il pittore P. con
gravità. Non ho saputo che
rispondergli, ed ora, alle sei di
sera, ripenso a quella frase con
estremo imbarazzo. E due linee,
sono due idee?
Milano, 17 dicembre
L’avvocato mi dice: “Purtroppo,
lei è fritto. Lei è in minoranza, e
nelle società anonime le
minoranze sono sempre
146
schiacciate dalle maggioranze”.
“Ma non viviamo in un regime
democratico?”.
“Certo”.
“E allora va difeso anche il diritto
delle minoranze…”.
“Già, ma le maggioranze hanno
un maggior numero di azioni,
vale a dire un maggior peso di
capitale…”.
“Ma la nostra non è una
Repubblica fondata sul lavoro?”.
“Sicuro”.
“E allora? Come minoranza, io
ho lavorato più della
maggioranza che metteva
147
soltanto il capitale…”
Ma vede, il lavoro non conta,
conta soltanto il potere della
maggioranza…”.
“Ora capisco perché la
maggioranza è democratica e
amica del governo”.
(Vicenda relativa allo “scippo”
vergognoso con cui fu
estromesso dalla casa editrice
“LONGANESI & C.” da lui
creata e resa prestigiosa.
Resisterà ancora nove mesi. –
ZIP)
148
Milano, 20 dicembre
Un buon diavolo, un vero
socialista all’antica: fa il bagno
quando parte per un viaggio,
perché teme di insudiciare le
lenzuola degli alberghi dove
alloggia.
1957
Milano, 5 gennaio
“Potrei abusare della sua
cortesia?”.
“Ne abusi: sono gli abusi che
rafforzano il mio carattere”.
Milano, 7 gennaio
Non gli usciva dalla testa che una
149
fitta forfora di aggettivi.
Milano, 8 gennaio
Non è la libertà che manca;
mancano gli uomini liberi.
Milano, 11 gennaio
A un tratto, mi annoiai di quel che
stavo dicendo. Ma i miei ospiti,
ormai, erano troppo interessati al
mio discorso.
Milano, 12 gennaio
Non ci vengano a dire che la
gioventù è spensierata.
Spensierati siamo noi, che
perdiamo tempo e impieghi.
Milano, 14 gennaio
Sono un uomo inquieto, uscito da
150
una famiglia quietissima. La
quiete mi annoia, l’inquietudine
mi irrita. Cerco una via di mezzo,
ma la cerco dove sono sicuro di
non trovarla. Amen.
Milano, 6 febbraio
“Faremo molta strada insieme,
spero”, mi dice F.
“Non credo. Io mi fermo col
primo spettro che incontro”.
Milano, 12 febbraio
I problemi sociali non si
risolveranno mai: invecchiano,
passano di moda e si
dimenticano.
Milano, 16 febbraio
151
Un’idea non ha forza se non è
nutrita di risentimento.
Milano, 17 febbraio
Le idee degli uomini che hanno
viaggiato, invecchiano prima di
quelle di chi non si è mai mosso
di casa.
Milano, 18 febbraio
Una società fondata sul lavoro
non sogna che il riposo.
Milano, 19 febbraio
“A ripensarci oggi, dopo tanti
anni, il solo momento in cui
credevo in qualcosa era quando
non credevo in Mussolini”, mi
dice l’onorevole socialista P.
152
Milano, 21 febbraio
Di quei tipi che tengono il ritratto
dei figli sul tavolo per anni, e che
apprendono poi, dalla moglie in
fin di vita, che soltanto una di
quelle tre creature era sua…
Milano, 27 febbraio
Voleva Nizza e Savoia; voleva il
Mare Nostrum e metà
dell’Africa. Poi prese la laurea e,
aperto lo studio, ridusse le sue
pretese: volle una villa al mare.
Milano, 28 febbraio
Uno di quei visi che hanno
gustato gli aiuti ERP.
Milano, 1 marzo
153
Marzo, radioso, mi coglie in
cortile, ma non posso pensarci:
debbo pagare ancora i conti del
gennaio.
“E poi?”.
“E poi un altro poi”.
Milano, 15 marzo
In treno verso Milano:
raggiungiamo l’alba in
Lombardia. Campi velati di
nebbia a fior di terra; i rami dei
pioppi contro il cielo pallido.
“La Lombardia è sempre la
Lombardia!”, esclama un
commendatore.
“Eh, sì!”, sospira un secondo e mi
154
guarda in cerca di conferma.
“Sana, solerte e rugiadosa”, dico.
L’ultimo aggettivo
l’insospettisce. Volgo gli occhi
altrove.
Milano, 21 marzo
Non leggo che biografie di
sconfitti.
Milano, 22 marzo
Un vero giornalista. Spiega
benissimo quello che non sa.
Milano, 26 marzo
“A proposito di illeciti
arricchimenti politici, non vorrei
esagerare dicendo…”.
“Esageri; soltanto l’esagerazione
155
può avvicinarsi al vero”.
Milano, 28 marzo
Lo sguardo timido del venditore
ambulante di fiori appassiti.
Milano, 3 aprile
I macchiaioli: incerti fra
l’oleografia e la fotografia,
inserirono la Natura nella
burocrazia.
Milano, 5 maggio
L’arte è un incidente dal quale
non si esce mai illesi.
Milano, 16 maggio
Sono talmente solo, che lo
specchio non mi riflette più.
Roma, 2 giugno
156
“Lei non viene al Garden Party
del Quirinale?”.
“No, non vorrei incontrarmi con i
miei dipendenti”.
Milano, 11 giugno
gli oggetti che sono in questa
stanza mi fanno compagnia da
anni, non riesco a cambiarli di
posto. Li sento gemere, appena
li tocco, e li lascio dove sono.
Ormai è finito il tempo in cui
credevo che a questo mondo si
potesse mutare qualcosa.
Milano, 30 giugno
I figli che studiano a voce alta
nell’altra stanza, dicono un
157
rosario alla mia giovinezza.
Milano, 2 agosto
Aveva della miseria un’idea
solenne, come soltanto i ricchi
riescono a concepire.
Milano, 3 agosto
Godeva fama di grande scrittore
soltanto d’estate, in pensione, al
mare, sull’Adriatico.
Milano, 6 agosto
Quando potremo dire tutta la
verità, non la ricorderemo più.
Milano, 24 settembre
Sono in molti, amici compresi, a
tirare un sospiro di sollievo. (Zip)
158