Lo spazio, il tempo e tutto quanto il resto · Lo spazio, il tempo e tutto quanto il resto Carlo...

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Lo spazio, il tempo e tutto quanto il resto Carlo Nicolini Istituto Italiano di Tecnologia [email protected] Sommario In queste brevi (ma non troppo) note voglio introdurre alcuni concetti cari alla relatività dal punto di vista geometrico. Dopo un’introduzione allo spaziotempo piatto della relatività ristretta introdurrò il concetto di tensori e di varietà. Una nota a parte avranno le forme ed il loro trattamento nei termini della geometria dif- ferenziale classica dal punto di vista di un matematico. Queste note non vogliono essere una guida ma piuttosto un’idea di come si può procedere imparando quella elegante teoria che è la relatività generale, con la sua profonda connessione fra geometria e materia/energia. Dopo una introduzione teorica agli strumenti della relatità generale come i tensori e i concetti della geometria differenziale, introdur- remo le coordinate curvilinee fino ad arrivare alle connessioni affini e solo come ultimo passo giungeremo alla deduzione delle celebri equazioni di campo di Ein- stein. Menzione a parte meritano i paradossi della relatività speciale e la loro interpretazione, come anche alcune sottosezioni dedicate ad applicazioni moderne del formalismo sviluppato nella relatività generale. Auguro a tutti gli interessati, una buona lettura e spero che queste note possano esservi utili. I. Un primo sguardo L a relatività generale è la teoria dello spaziotempo e della gravitazione. Al giorno d’oggi viene utilizzata come prototipo per altre costruzioni teoriche necessarie nella descrizione delle forze fra le particelle elemen- tari ed in altri rami della fisica teorica. 1

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Lo spazio,il tempoe tutto quantoil resto

Carlo Nicolini

Istituto Italiano di [email protected]

Sommario

In queste brevi (ma non troppo) note voglio introdurre alcuni concetti cari allarelatività dal punto di vista geometrico. Dopo un’introduzione allo spaziotempopiatto della relatività ristretta introdurrò il concetto di tensori e di varietà. Unanota a parte avranno le forme ed il loro trattamento nei termini della geometria dif-ferenziale classica dal punto di vista di un matematico. Queste note non voglionoessere una guida ma piuttosto un’idea di come si può procedere imparando quellaelegante teoria che è la relatività generale, con la sua profonda connessione frageometria e materia/energia. Dopo una introduzione teorica agli strumenti dellarelatità generale come i tensori e i concetti della geometria differenziale, introdur-remo le coordinate curvilinee fino ad arrivare alle connessioni affini e solo comeultimo passo giungeremo alla deduzione delle celebri equazioni di campo di Ein-stein. Menzione a parte meritano i paradossi della relatività speciale e la lorointerpretazione, come anche alcune sottosezioni dedicate ad applicazioni modernedel formalismo sviluppato nella relatività generale. Auguro a tutti gli interessati,una buona lettura e spero che queste note possano esservi utili.

I. Un primo sguardo

La relatività generale è la teoria dello spaziotempo e della gravitazione.Al giorno d’oggi viene utilizzata come prototipo per altre costruzioniteoriche necessarie nella descrizione delle forze fra le particelle elemen-

tari ed in altri rami della fisica teorica.

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La classica forza di gravità della meccanica Newtoniana è data dalla cele-bre legge di Newton

F = −GMmr2 er (1)

che nel linguaggio dei potenziali si traduce nell’equazione di Poisson:

∇2φ = 4πGρ (2)

La teoria della relatività generale prevede che lo spaziotempo e l’energia inter-agiscano. Per parafrase John Archivald Wheeler, La materia curva lo spaziotempoe questa curvatura determina il moto della materia stessa. Il significato di questaaffermazione è riassunto nelle equazioni di campo di Einstein:

Rµν −12

Rgµν = 8πGTµν (3)

Il lato di sinistra è legato alla geometria dello spaziotempo ed in particolarealla curvatura e come Einstein pensava è estremamente elegante, mentre illato destro dell’equazione rappresenta la materia e l’energia contenuta nellospazio. Si può dimostrare partendo dalle equazioni di campo che in una talestruttura geometrica le particelle si muovano lungo linee di minore lunghezza(definiremo più avanti il significato di lunghezza in uno spaziotempo curvo)chiamate geodetiche:

d2xµ

dλ2 + Γµρσ

dxρ

dxσ

dλ= 0 (4)

Il significato delle geodetiche si può anche intuire come linee di massimotempo proprio o minima lunghezza d’arco in senso generalizzato.

Come si può notare questa equazione ricorda quella del moto di una par-ticella libera, il primo termine è proporzionale all’accelerazione mentre il sec-ondo termine risulterà una correzione dovuta alla curvatura non nulla dellospazio in considerazione, ma andiamo per gradi.

L’intuizione fondamentale di Einstein è che la forza di gravità in realtàè descrivibile con la curvatura dello spaziotempo. Le particelle sottoposte adun campo gravitazionale sono descrivibili come in movimento in una strutturamatematica descrivibile come manifold (o varietà differenziale in italiano) incaduta libera. E’ la curvatura locale dello spazio che determina le proprietàdel moto di queste particelle, le quali sorprendentemente non sono sottopostea nessuna forza gravitazionale.

L’elemento di base nella descrizione dello spaziotempo (curvo o piatto)come nella descrizione di una generica varietà (scopriremo successivamentecosa significa questa parola) è una quantità detta metrica descritta dal ten-sore metrico gµν tensore a due indici covarianti (vedremo il significato) rappre-sentabile da una matrice 4 × 4:

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Troveremo che il ruolo svolto dal tensore metrico in relatività generale è difondamentale importanza e che la metrica dello spaziotempo ha tutte questesorprendenti proprietà:

1. Descrive i concetti di futuro e passato.

2. Permette di calcolare le lunghezze dei cammini e del tempo proprio.

3. Determina la distanza più breve fra due punti e quindi le leggi del moto.

4. Rimpiazza il campo gravitazionale classico.

5. Dà un senso al concetto di osservatore localmente inerziale.

6. Determina la causalità.

7. Rimpiazza il classico prodotto scalare estendendolo.

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II. Due passi nella relatività speciale

La relatività speciale è la teoria fisica che afferma che spazio e tempo esibis-cono una particolare simmetria. Questa affermazione contiene due ingredientifondamentali:

• Esiste una legge di trasformazione e queste trasformazioni formano ungruppo.

• Le leggi della fisica non cambiano a seconda dell’osservatore.

La relatività speciale estende la dinamica Newtoniana, riproducendola nellimite di basse velocità rispetto alla velocità della luce. La struttura dellospaziotempo galileiano è quello di fibrato, 3 dimensioni spaziali +1 dimen-sione temporale. XXX mettere immagine fibrato.

In relatività speciale, lo spaziotempo invece è uno spazio vettoriale dove ivettori appartenenti sono chiamati eventi. In relatità speciale (SR) si chiamaintervallo spaziotempo la seguente quantità:

(∆s)2 = −(c∆t)2 + (∆x)2 + (∆y)2 + (∆z)2 (5)

la velocità della luce nel vuoto c è un invariante dello spaziotempo, infatticon un cambio di coordinate vale:

(∆s′)2 = −(c∆t′)2 + (∆x′)2 + (∆y′)2 + (∆z′)2 = (∆s)2 (6)

La SR è una teoria dello spaziotempo di Minkowski che è una varietà.D’ora in poi imporremo

c = 1

ed utilizzeremo gli indici con le lettere latine i, j, k per indicare le componen-ti spaziali, mentre in relatività generale utilizzeremo gli indici con le letteregreche µ, ν, ρ, σ.

Introduciamo il tensore metrico ηµν come una matrice 4 × 4 detta metricadi Minkowski o Lorentziana:

ηµν =

−1 0 0 00 1 0 00 0 1 00 0 0 1

(7)

Questa ultima metrica definisce le distanze fra eventi nello spaziotempo,infatti dati due eventi xµ, xν la loro distanza (∆s)2 è data da:

(∆s)2 = ηµν ∆xµ∆xν (8)

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con la convenzione di Einstein per cui indici ripetuti sopra e sotto vengonosommati (indici muti). Si categorizzano gli intervalli (∆s)2 a seconda delsegno:

• (∆s)2 < 0 intervallo timelike (di tipo tempo)

• (∆s)2 = 0 intervallo null

• (∆s)2 > 0 intervallo spacelike

Un caso speciale di due eventi nello stesso spazio separati da solo tempoè detto tempo proprio

(∆τ)2 = −ηµν ∆xµ∆xν (9)

cioè il tempo proprio fra due eventi fissi è lo stesso se valutato in un sis-tema inerziale dove l’osservatore si muove come se fosse nel sistema dovel’osservatore è a riposo.

Il tempo proprio è sempre il tempo misurato dell’orologio portato dal-l’osservatore e dipende dal cammino fatto. Il tempo proprio è un concetto diprincipale importanza in relatività e una sua cattiva interpretazione è fonte diparadossi ed errori. Proprio come per due automobili che percorrano trattistradali diversi dovremo aspettarci di vedere la lancetta del contachilometrisegnare distanze spaziali diverse, così anche per il tempo proprio ci dovremoabituare a vederlo scorrere diversamente per due osservatori che percorronodue cammini lungo linee d’universo differenti. Nella sezione riguardante iparadossi relativistici 3, si capirà come tutti questi possono essere compresialla luce di questa interpretazione, sciogliendo il loro carattere paradossale.

In generale si introduce l’elemento di linea infinitesimale:

ds2 = ηµν dxµdxν = −(∆τ)2 (10)

in questa forma la matrice metrica covariante ci permette di operare su 2vettori controvarianti.

Consideriamo un cammino nello spaziotempo come una curva parametri-ca

xµ = xµ(λ) (11)

dove λ non è la coordinata temporale ma un generico parametro. Lalunghezza del cammino per intervalli spacelike è quindi:

∆s =∫ √

ηµνdxµ

dxν

dλdλ (12)

e per intervalli timelike

∆τ =∫ √

−ηµνdxµ

dxν

dλdλ (13)

dove ∆τ è ancora il tempo proprio come misurato da un’osservatore solidale.

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2.1 Introduzione ed postulati della relatità speciale

Introdurre postulati qui

2.2 Trasformazioni di Lorentz

Come si collegano i sistemi di riferimento inerziali in maniera da lasciare in-variata la distanza fra eventi? Si possono usare traslazioni o rotazioni (detteboost in SR perchè non sono normali rotazioni spaziali ma rotazioni nellospazio tempo).

La generica traslazione di parametro aµ lascia gli intervalli (∆s)2

xµ → xµ′= δ

µ′µ (xµ + aµ)

mentre un boost è descritto da una matrice Λµ′ν chiamata trasformazione di

Lorentz per cui

xµ′= Λµ′

ν xν

che in notazione matriciale convenzionale è un prodotto matrice per vettore,

infatti Λµ′ν ha 2 indici contro e covarianti.

Quali sono le trasformazioni che lasciano gli intervalli invarianti?

(∆s)2 = (∆x)Tη(∆x) = (∆x′)Tη(∆x′) = (∆x)TΛTηΛ(∆x) (14)

quindi dev’essere:η = ΛTηΛ

o in componenti

ηµν = Λµ′ρ ηµ′ν′Λ

ν′σ (15)

Brevemente, le trasformazioni di Lorentz

1. Soddisfano η = ΛTΛ

2. Collegate al gruppo delle rotazioni in R3 di nome SO(3), infatti per lerotazioni vale l’ortogonalità

RRT = RTR = I ∈ R3×3

3. Le matrici di Lorentz appartengono al gruppo O(3, 1) perchè hanno seg-natura (3, 1). Se si impone la parità temporale e spaziale, cioè det(Λ) =

1 allora si ottiene il gruppo SO(3, 1)

4. Il gruppo di Lorentz proprio si può restringere ancora al gruppo or-tocrono richiedendo che Λ0′

0 ≥ 1, cioè si eliminano le inversioni tem-porali e si ottiene il gruppo di Lorentz ortocrono che è il gruppo ditrasformazioni in natura SO(3, 1)↑.

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5. Le trasformazioni di Lorentz sono rotazioni dello spaziotempo definiteda un parametro angolare φ che si ottiene semplicemente

t′ = t cosh φ − x sinh φ

x′ = −t sinh φ + x cosh φ

dove φ = atanh(v/c), quindi

t′ = γ(t − vx)

x′ = γ(x − vt)

con γ = (1 − v2)−1/2.

2.3 Quadrivettori

Ogni vettore in SR è un punto dello spaziotempo, bisogna liberarsi del con-cetto di vettore come di quantità liberamente traslabile soprattutto quandoverranno introdotte le coordinate curvilinee.

Ad ogni punto p dello spaziotempo (evento) associamo uno spazio tan-gente detto Tp, uno spazio vettoriale. Avendo uno spazio vettoriale vogliamoscomporre il vettore in componenti grazie alla presenza di una base per talespazio.

Consideriamo una base di quadrivettori e(µ) con µ = {0, 1, 2, 3}, ad esem-pio la base canonica in R3, e(1) = x, e(2) = y, e(3) = z.

Un vettore allora èA = Aµ eµ (16)

anche se per pigrizia di formalità si parla di vettore dicendo Aµ cioè indicandole sue componenti rispetto ad una certa base. Un esempio di vettore è il vettoretangente ad una curva parametrica

Vµ =dxµ

che trasforma sotto boost al solito modo

Vµ′= Λµ′

ν Vν (17)

Le basi trasformano per cambio di coordinate invece con l’inversa dellatrasformazione di Loretnz:

e(µ) = Λν′µ e(ν′) (18)

E’importante capire che le componenti trasformano al rovescio della base:per questo si parla di vettori controvarianti e covarianti.

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Quella della legge di trasformazioni dei quadrivettori in relatività specialeper cambio di osservatore inerziale è solo un caso particolare di una legge piùgenerale, la legge di trasformazione dei tensori. Perchè adottare notazioni cosìcomplicate con indici in alto e in basso, vettori covarianti e vettori controvari-anti? Per rispondere a questo quesito però prima ricordiamo il concetto dispazio duale. Consideriamo una funzione lineare definita su uno spazio vetto-riale V , ossia un’applicazione σ(v) che ad ogni vettore v ∈ V fa corrispondereuno scalare (supponiamo sempre reale) con le condizioni:

σ(v + v′) = σ(v) + σ(v′)

σ(av) = aσ(v) a scalare

L’insime di queste funzioni lineari costituisce lo spazio duale di V indicatocon V∗. Esso è uno spazio vettoriale della stessa dimensione di V . Le basi diV∗ saranno {ωi}, per cui avremo:

σ = σiωi (19)

dove le basi stavolta hanno l’indice in alto e i vettori della base gli indici inbasso (all’opposto che nello spazio origine V). Il posizionamento degli indiciè dovuto alla seguente identità:

〈σ, v〉 = σi

⟨ωi, v

⟩= σivk

⟨ωi, ek

⟩= σivkδi

k = σivi (20)

XXX ESPANDERE SPIEGAZIONE

2.4 1-forme

Dato lo spazio tangente Tp il suo duale è T∗p detto spazio cotangente. Lo spazio

duale è lo spazio di tutte le mappe lineari dall’originale a R se ω ∈ T∗p allora

vale la linearità di ω, cioè presi due scalari α, β e due vettori v, w ∈ Tp allora

ω(αv + βw) = αω(v) + βω(w) (21)

Si dimostra che lo spazio duale è anch’esso uno spazio vettoriale infatti se ω, η

sono 2 vettori duali allora vale che

(αω + βη)(v) = αω(v) + βη(v) (22)

I vettori dello spazio duale T∗p sono detti 1-forme. Ogni 1-forma può essere

scritta come componenti covarianti data una base dello spazio duale θ(µ):

ω = ωµ θ(µ) (23)

Si chiamano vettori covarianti le 1-forme e vettori controvarianti i vettori ap-partenenti allo spazio tangente.

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In generale essendo una 1-forma ω una mappa, come agisce su di unvettore v?

ω(v) = ωµ θ(µ)(Vν e(ν))

= ωµVνµ δ

µnu

= ωµVµ ∈ R

cioè una 1-forma applicata ad un vettore restituisce uno scalare, le 1-formegeneralizzano il concetto di prodotto scalare, questo è un risultato importanteche collega le 1-forme alle forme bilineari (o forme quadratiche).

Le 1-forme trasformano per cambio di coordinate come le basi, vale a dire:

ωµ′ = Λ νµ′ ων (24)

e cioè all’inverso dei vettorivµ′

= Λ µ′ν vν (25)

infatti vale che Λ νµ′ = (Λ µ′

ν )−1. Un esempio, il gradiente di una funzionescalare nello spaziotempo è una 1-forma

d =

(∂φ

∂xµ

)θ(µ) (26)

per la regola delle derivate a catena vale che le componenti

∂φ

∂xµ′ =∂xµ

∂xµ′∂φ

∂xµ = Λµµ′

∂φ

∂xµ (27)

dove si è usata la relazione xµ′= Λµ′

νxν che una volta differenziata dà:

∂xµ′

∂xν= Λµ′

ν

Poichè il gradiente è una forma duale allora per rendere più chiaro si usa laconvenzione con ∂µ o la notazione con la virgola rispetto alla componente sucui si differenzia:

∂φ

∂xµ = ∂µφ = φ,µ (28)

2.5 Tensori

I tensori sono mappe multilineari (k, l) da un insieme di vettori e 1-formeverso scalari in R, in particolare:

T : (T∗p × . . . × T∗

p , Tp × . . . × Tp) → R (29)

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cioè vale la multilinearità ossia la linearità nei singoli argomenti:

T(αω + βη, cv + dw) = αcT(ω, v) + αdT(ω, w) + βcT(η, v) + βdT(η, w) (30)

da cui possiamo dire che uno scalare è un tensore (0, 0) un vettore è untensore (1, 0), una 1-forma è un tensore (0, 1), una matrice classica come lamatrice di rotazione in R3] è un tensore (1, 1).

Tutti i tensori di tipo (k, l) formano uno spazio vettoriale, la cui base sicostruisice con il prodotto tensoriale ⊗ (correggere con simbolo giusto), cioèdato un tensore (k, l) T ed un tensore (m, n) S allora T × S è un tensore (k +m, l + n).

Da notare che il prodotto tensoriale in genere non commuta, cioè

T ⊗ S 6= S ⊗ T

Un tensore deve trasformare con una legge di trasformazione che si comporticoerentemente alle leggi di trasformazione delle componenti covarianti peri suoi indici covarianti ed alle componenti controvarianti per i suoi indicicontrovarianti, vale a dire:

Tµ′

1,...,µ′kν′1,...,ν′l

= Λµ′1µ1 · · ·Λ

µ′kµk Λν′

ν′1· · ·Λνl

ν′lTµ1,...,µk

ν1,...,νl (31)

quest’equazione piena di simboli in realtà non è complicata e afferma che gliindici si comportano coerentemente.

Nello spaziotempo la metrica è un tensore (0, 2)

η(v, w) = ηµν vµwν (32)

L’ortogonalità di due vettori è dettata dalla metrica, si dice che due vettoriv, w sono ortogonali quando:

η(v, w) = ηµνvµwν = 0 (33)

Anche la δ di Kronecker in (1, 1) in particolare δµν = δ

µν = δ

µν La metrica inversa

invece è un tensore (2, 0):

ηµνηνρ = δµρ = ηµ

νην

ρ (34)

Sebbene possa sembrare scontato, la metrica inversa numericamente si ottienetrattando il tensore metrico come una matrice classica (cioè un tensore (1, 1))e calcolandone l’inversa.

Tecnicamente un tensore è un oggetto che esiste indipendentemente dalsistema di coordinate scelto ed in particolare la metrica è una proprietà dellospazio sottostante. Una volta scelto un sistema di coordinate si può rappre-sentare un tensore in quel sistema utilizzando una matrice (solo per tensoria due indici). La rappresentazione matriciale del tensore vale a dire le suecomponenti numeriche sono ciò che cambia al cambiare da un sistema dicoordinate ad un altro.

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Simbolo di Levi-Civita: Il simbolo di Levi-Civita non è un tensore bensì unadensità tensoriale perchè non trasforma in accordo alla legge di trasformazionedi un tensore. In particolare esso è definito come:

εµνρσ =

1 per permutazioni pari degli indici−1 per permutazioni dispari degli indici0 altrimenti

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2.6 Manipolazione di tensori

Contrazione di indici: da un tensore (k, l) si ottiene un tensore (k − 1, l − 1)sommando su indici uguali controvarianti e covarianti:

Sµρσ = Tµν

ρσρ

da notare che conta l’ordine degli indici, se scambiassi gli indici controvariantiν, ρ di T otterrei un tensore diverso

Tµνρσν 6= Tµρν

σν

Abbassamento-innalzamento: Per alzare o abbassare un indice (da covari-ante a controvariante o viceversa) si deve usa la metrica e la sua inversa, congli adeguati indici muti: Per l’innalzamento vale

Tαβµδ = ηµγTαβ

γδ = Tαβ

mentre per l’abbassamento vale per esempio:

T βµ γδ = ηµαTαβ

γδ

per i vettori l’abbassamento/innalzamento corrisponde rispettivamente al pas-sagio dallo spazio al duale e viceversa, in particolare si verifica anche che

AλBλ = AσBσ

La capacità di alzare ed abbassare gli indici spiega perchè in R3 il gradiente èun normale vettore nonostante nasca da un vettore duale, in R3 la metrica èl’identità I3×3 quindi un vettore duale ha le stesse componenti del suo dualeoriginario su una base canonica.

La notazione dei tensori è più potente perchè svincola dalla metrica, infattiun gradiente come 1-forma è ben definito perchè agisce su vettori, ha unadefinizione naturale indipendente dalla metrica.

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Tensori simmetrici/antisimmetrici: Un tensore si definisce simmetrico perlo scambio di due indici µ, ν se:

Sµνρ = Sνµρ

similmente si definisce un tensore antisimmetrico rispetto allo scambio di dueindici µ, ν se:

Sµνρ = −Sνµρ

Da notare che lo scambio di indici vale solo se fatto per indici entrambicovarianti o entrambi controvarianti.

Simmetrizzazione: Per rendere un tensore generico simmetrico rispetto a 2indici, si effettua la seguente operazione indicata con delle parentesi tonde ()

rispetto agli indici su quali si vuole simmetrizzare:

T σ(µ1,µ2,...,µn)ρ

=1n!

(T σ

µ1,...,µnρ + ∑ permutazioni degli indici)

ad esempio per un tensore (0, 2) è semplice:

T(µν) =12(Tµν + Tνµ

)se si vuole escludere un indice allora si separa con una barra verticale |:

T(µ|ν|ρ) =12(Tµνρ + Tρνµ

)L’operazione di antisimmetrizzazione è resa con le parentesi quadre intornoagli indici desiderati:

T[µνρ]σ =13!

(Tµνρσ − Tµρνσ + Tρµνσ − Tνµρσ + Tνρµσ − Tρνµσ

)Traccia di un tensore: La traccia di un tensore si calcola contraendo dueindici uno covariante ed uno controvariante, la traccia di un tensore (1, 1) siindica con il simbolo del tensore senza gli indici:

X = Xλλ

questa è l’ordinaria definizione di traccia per matrici ordinarie, dove diventa lasomma degli elementi diagonali, ma se voglio ottenere la traccia di un tensore(0, 2) prima bisogna innalzare un indice:

Y = Yλλ = ηµνYµν

perchè non si può contrarre su due indici covarianti, infatti la traccia del ten-sore metrico η ad esempio, non è −1 + 1 + 1 + 1 = 2 ma piuttosto 1 + 1 + 1 +1 = 4 infatti contraendo su ν:

ηµνηµν = δµµ = 4

I tensori antisimmetrici (0, 2) hanno traccia nulla.

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III. I paradossi della relatività speciale svelati

Qual’è la struttura che sta alla base dei noti paradossi della relatività speciale?Qual’è la loro spiegazione nell’ambito di tale teoria? Scopriremo che i parados-si in realtà non sono veri paradossi e vengono risolti tutti in maniera sempliceuna volta che si ha chiaro quali principi fisici stanno alla base. Per cominciarepuò sempre essere d’aiuto pensare che il carattere paradossali di certi esempinasce solamente dalla posizione di coordinata privilegiata che diamo al tempo.La realtà è che il tempo relativistico altro non è che una lunghezza d’arco. Unavolta noto questo concetto ed il fatto che come già specificato le distanze fradue eventi in SR non sono necessariamente positive, andiamo ad affrontare ilprimo dei nostri esempi.

Paradosso dei gemelli (versione classica introduttiva) Supponiamo che visiano due gemelli, il gemello (A) che sta fermo nei pressi di uno spaziopor-to ed il secondo (B) che sulla sua astronave parte in direzione della stellapiù vicina e poi torna indietro a velocità v. Ora, appurato che per il gemel-lo fermo allo spazioporto sono trascorse due ore dalla partenza all’arrivo disuo fratello, quanto tempo è trascorso per il gemello a bordo dell’astronave?Rappresentiamo la situazione con un diagramma di Minkowski:

Figura 1: Paradosso dei gemelli XXX sistemare asse x e t sono scambiati!

A

B'B

C

t

x

Immaginiamo che per il gemello fermo lungo la linea d’universo ABC iltempo trascorso dall’andata all’arrivo del suo fratello sia T = 10 anni e che ilgemello si muova all’andata ed al ritorno a velocità costante v. Ora ad unaprima analisi sembrebbe facile risolvere questo esercizio, infatti parrebbe che acausa della dilatazione dei tempi, per il gemello a terra, il tempo trascorso per

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il gemello in astronave sarà T′ = γT quindi nel primo tratto AB′ applicandobovinamente la formula del tempo proprio si ottiene:

T′ = ∆τ =

1∫0

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La gravità è speciale rispetto alle altre forze conosciute, si introduce ilconcetto di principio di equivalenza debole, cioè l’equivalenza fra massa inerzialee massa gravitazionale

minerziale = mgravitazionale (37)

da cui si ottiene che il comportamento di un corpo in caduta libera è descrittodalla legge

a = −∇φ (38)

Equivalentemente si può dire che esiste una classe di traiettorie preferite nellospaziotempo dette inerziali. Risulta che vale la seguente affermazione: Non èpossibile distinguere, in regioni sufficientemente piccole di spaziotempo, uncampo gravitazionale da un sistema di riferimento accelerato. perchè la“carica gravitazionale” è la stessa della massa inerziale. Si può formuolareuna versione più generale del Principio di equivalenza di Einstein:

In zone ristrette dello spaziotempo le leggi della fisica si riducono alleleggi della relatità speciale ed è impossibile distinguere la presenza di campigravitazionali con esperimenti locali.

Nel framework teorico della relatità generale la gravità interagisce con lamassa/energia e l’accelerazione dovuta alla gravità non ha senso da definire,ma si usa piuttosto parlare di sistemi in caduta libera in uno spaziotempocurvo. Per via del campo gravitazionale non è più possibile come in relatitàspeciale produrre sistemi inerziali con regoli ed orologi, ma si può solo parlaredi sistemi localmente inerziali, cioè sistemi che seguono il moto di particelle incaduta libera in regioni piccole dello spaziotempo.

Altri concetti come la velocità relativa di particelle distanti perdono disignificato per motivi geometrici che vedremo.

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IV. Calcolo tensoriale e geometria differenziale

4.1 Manifolds o varietà

La definizione di manifold è quella di uno spazio topologico che localmente sicomporta come Rn, cioè le funzioni e le coordinate funzionano localmentecome nello spazio euclideo standard. Informalmente un manifold è unospazio consistente di patch localmente simili a Rn e cuciti con continuità.Esempi di varietà sono

• Rn. In realtà questo si comporta non solo localmente come Rn ma global-mente.

• La n-sfera Sn, definita come il luogo dei punti equidistante dal’originein Rn+1. Il cerchio è la 1-sfera S1, la due sfera è la normale sfera a cuisiamo abituati.

• Il n-toro Tn è la varietà ottenuta prendendo un cubo n-dimensionale edunendo i lati opposti, quindi la tradizionale ciambella è il 2-toro.

Mappe: Una mappa è un’applicazione fra due insiemi da M in N con classedi continuità Ck dove k è il numero di volte che si può differenziare con con-tinuità. Due insiemi si dicono diffeomorfi se esiste una mappa φ di classe C∞

tale che φ : M → N e φ−1 : N → M. Una siffatta mappa è detta diffeomorfismo.

Palla aperta: Una palla aperta è l’insieme dei punti x ∈ Rn tali che |x − y| <r per un y ∈ Rn, r ∈ R, cioè l’insieme interno di una n-sfera senza frontiera.

Carta o sistema di coordinate: è un sottinsieme U ⊂ M insieme con unamappa 1:1 φ : U → Rn tale che l’immagine è un aperto in Rn.

Atlante: è un sistema di carte {(Uα, φα)} tale per cui l’unione di esse copretutto il manifold M e le carte siano cucite con continuità.

La potenza di queste definizioni giace nel fatto che esse svincolano il con-cetto di manifold dallo spazio in cui è immerso. Il teorema di Whitney inogni caso garantisce che ogni manifold di dimensione n è embeddable in unospazio di dimensione 2n. La necessità di definire un atlante è dovuta al fattoche raramente siamo in grado di coprire un manifold con una sola carta.

4.2 Vettori e

Dimentichiamo frasi come “il vettore punta in direzione” quando si sta suimanifold si devono considerare gli spazi tangenti. Come costruire spazi tan-genti partendo solo da un manifold senza embedding in dimensioni maggiori?

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Per definire lo spazio tangente come lo spazio di tutti i vettori in p dobbiamorendere indipendenti le coordinate.

Sia F lo spazio di tutte le funzioni su M di classe C∞, ogni curva attraversop definisce un operatore che è la derivata direzionale d f /dλ, quindi lo spaziotangente è lo spazio delle derivate direzionali lungo tutte le curve in p. Inparticolare ∂µ formano uno spazio vettoriale, ne sono la base!. Tipicamenteuna base coordinata non è normalizzata ne ha componenti ortogonali, in ef-fetti su una varietà curva una base coordinata non sarà mai ortonormale nellevicinanze di un punto dove la curvatura non è nulla.

Le basi coordinate (che sono un’altra cosa rispetto alle basi ortonormaloche si incontrano nello studio dello spaziotempo piatto) trasformano come le1-forme o vettori covarianti:

∂µ =∂xµ

∂xµ′∂µ

(39)

mentre i vettori V = Vµ∂µ trasformano come

Vµ∂µ = Vµ′∂µ′ = Vµ′ ∂xµ

∂xµ′ ∂µ (40)

quindi la matrice∂xµ′

∂xµ è l’inversa di∂xµ

∂µ′ da cui la tipica legge di trasfor-

mazione dei vettori:

Vµ′=

∂xµ′

∂xµ Vµ (41)

Da notare una sottigliezza significativa: nel cambio di coordinate non sono lecoordinate di un tensore che cambiano ma è la base sottostante a cambiare!

Commutatore: dati due campi vettoriali indicati con X e Y, il commutatore[X, Y]( f ) = X(Y( f ))− Y(X( f )) che in componenti risulta:

[X, Y]µ = Xλ∂λYµ − Yλ∂λXµ (42)

questo operatore vedremo poi che sarà un caso speciale della derivata di Lie.

4.3 Legge di trasformazione generale per i tensori

Non è difficile ora ottenere una legge di trasformazione generale per tensori

quando si effettua un cambio di coordinate descritto dalla matrice∂xµ

∂xµ′ infatti

gli indici sopra e sotto trasformano coerentemente con quanto già indicatoprecedentemente:

Tµ′

1,...,µ′kν′1,...,ν′l

=∂xµ′

∂xµ1· · · ∂xµ′

k

∂xµk

∂xν′

∂xν′1· · · ∂xνl

∂xν′lTµ1,...,µk

ν1,...,νl (43)

16

La legge di trasformazioni dei tensori è l’equazione che deve essere sempreverificata per assicurarci che un tensore sia tale. Un esempio di quantità chepuò assomigliare ad un tensore (0, 1) senza esserlo è la ordinaria derivataparziale. Se cerchiamo di trasformare per cambio di coordinate la quantità∂µWν otteniamo:

∂µ′∂Wν′ =∂

∂xµ′ Wν′ =∂xµ

∂xµ′∂

∂xµ

(∂xν

∂xν′Wν

)=

∂xµ

∂xµ′∂xν

∂xν′

(∂Wν

∂xµ

)+ Wν

∂xµ

∂xµ′∂

∂xµ

∂xν

∂xν′

L’ultimo termine additivo non dovrebbe esserci ma per la regola di Leibinizdelle derivate composte, appare inevitabilemnte. Per poter continuare a par-lare di operazioni di derivazione in spazi curvi generici dovremo introdurreun nuovo tool detto derivata covariante.

4.4 La metrica

La metrica in uno spaziotempo generico si indica con il simbolo gµν ed èsempre un tensore simmetrico di tipo (0, 2) ed è generalmente consideratanon-degenere vale a dire che g = |gµν| 6= 0. Continua a valere la relazione frametrica e metrica inversa:

gµνgνσ = δµν

L’importanza del tensore metrico è già stata discussa, esse definisice lalunghezza dell’elemento di linea ds2:

ds2 = gµνdxµdxν (44)

Uno spaziotempo piatto ha un tensore metrico con tutte le componenti costan-ti ed esiste sempre un sistema di coordinate in cui la metrica è costante, questoperchè vedremo che concentrandoci in zone sufficientemente ristrette è pos-sibile diagonalizzare il tensore metrico ad avere la forma della metrica diMinkowski. La segnatura del tensore metrico, ossia il segno dei suoi auto-valori,determina la sua tipologia, si parla di segnatura Lorentziana per indi-care una segnatura −,+,+,+, segnatura Euclidea quando tutti gli autovalorisono positivi e segnatura indefinita in genere quando non è nessuna delle duedescritte.

In ogni punto p ∈ M esiste un sistema di coordinate xµ in cui gµν ha laforma canonica e ∂σgµν = 0. In questo caso si parla di sistema localmenteinerziale: la base è un sistema di riferimento Lorentziano e la metrica è piattaal primo ordine.

17

Costruzione sistemi di riferimento localmente inerziali Consideriamo lasolita trasformazione per la metrica:

gµν =∂xµ

∂xµ

∂xν

∂xνgµν

ed espandiamo in serie di Taylor rispetto ad un punto xµ

xµ =

(∂xµ

∂xµ

)xµ +

12

(∂2xµ

∂xµ1 xµ2xµ1 xµ2

)+

16

(∂3xµ

∂xµ1 ∂xµ2 ∂xµ3

)p

xµ1 xµ2 xµ3 + . . . ,

dove abbiamo impostato per semplicità xµ(p) = xµ(p) = 0. L’espansionedella legge di trasformazione della metrica nel punto p è la seguente:

(g)p + (∂g)p)x + (∂∂g)p)xx =

(∂x∂x

∂x∂x

g)

p+

(∂x∂x

∂2x∂x∂x

g +∂x∂x

∂x∂x

g)

px

+ ordini superiori

uguagliando i singoli termini dello stesso ordine ai due lati dell’equazione,notiamo che ci sono 10 componenti per gµν, il tensore è simmetrico e questecomponenti vengono determinate dalla matrice ∂xµ

∂xµ . I 6 parametri rimanenti siinterpretano come i parametri del boost di Lorentz (3 componenti di velocitàe 3 componenti di spostamento).

In generale però non è possibile annullare le derivate seconde che misura-no la deviazione dalla piattezza della varietà, la quale viene invece misura-ta da un tensore speciale che introdurremo più avanti noto come tensore diRiemann con 20 componenti indipendenti.

L’importanza dei sistemi localmente inerziali è che in generale si può farela fisica in tali sistemi e poi estenderla in forma indipendente dalle coordinate.

4.5 Densità tensoriali

Il comportamento del simbolo di Levi-Civita che è una densità tensoriale e nonun tensore, può essere collegato alla definizione di determinante di un tensoreordinario, infatti data una matrice n × n Mµ

µ′ allora il suo determinante |M|sotto una trasformazione xµ → xµ′

:

εµ′1,µ′

2 ...µ′n|M| = εµ1µ2 ...µn Mµ1

µ′1Mµ2

µ′2Mµn

µ′n

Le densità tensoriali sono mappe che si trasformano come i tensori molti-plicate per il determinante dello jacobiano della trasformazione elevato a qualchepotenza k che dipende dall’ordine della densità tensoriale. Il simbolo diLevi-Civita ad esempio è una densità di peso 1:

εµ′1,µ′

2,...,µ′n=

∣∣∣∣∣∂xµ′

∂xµ

∣∣∣∣∣ εµ1µ2 ...µn Mµ1µ′

1Mµ2

µ′2Mµn

µ′n

18

Il determinante della metrica g = |gµν| è una densità di peso −2:

g(xµ′) =

∣∣∣∣∣∂xµ′

∂xµ

∣∣∣∣∣ g(xµ)

Una densità tensoriale si può trasformare in un tensore moltiplicando per|g|k/2, infatti il tensore di Levi-Civita è

εµ1,...,µn =√

gεµ1,...,µn (45)

e nella sua versione controvariante risulta

εµ1,...,µn =1√

gεµ1,...,µn (46)

4.6 Forme differenziali INTEGRARE CON NOTE MAGRI XXX

Una forma differenziale è un tensore (0, p) completamente antisimmetrico, inparticolare nello spaziotempo quadridimensionale abbiamo incontrato:

• Scalari sono 0-forme

• Vettori duali sono 1-forme

• 4-forme come il tensore di Levi-Civita

Lo spazio di tutte le p-forme su un manifold M è denotato con Λp(M).Data una p-forma A ed una q-forma B si può formare una (p + q)-forma notacome prodotto esterno A ∧ B calcolata come:

(A ∧ B)µ1,...,µp+q =(p + q)!

p!q!A[µ1,...,µp Bµp+1,...,µp+q ]

ad esempio il prodotto esterno di due 1-forme è

(A ∧ B)µν = 2A[µBν] = AµBν − AνBµ

La derivata esterna d permette di differenziare campi di p-forme ad ot-tenere campi di (p + 1)-forme. La derivata esterna per un campo Aµ1,...,µp+1

è:(dA)µ1,...,µp+1 = (p + 1)∂[µ1

Aµ2,...,µp+1 (47)

Un semplice esempio è il gradiente ordinario di una funzione scalare:

(dφ)µ = ∂µφ (48)

Per la derivata esterna vale una sorta di regola di Leibniz modificata:

d(ω ∧ η) = (dω) ∧ (−1)pω ∧ (dη) (49)

19

Il bello della derivata esterna è che è un tensore a differenza della derivataparziale! Inoltre per ogni forma vale:

d(dA) = 0 (50)

che si indica anche come d2 = 0. Si definisce una p-forma A esatta se A = dB,chiusa se dA = 0.

Tutte le forme esatte sono anche chiuse ma non vale viceversa.Il teorema di de Rham stabilisce che lo spazio delle forme differenziali

chiuse di grado r a meno dello spazio delle forme esatte di ugual grado èisomorfo all’r-esimo gruppo di coomologia reale. Lo spazio quoziente delle r-forme chiuse modulo il sottospazio delle r-forme esatte è il gruppo di coomolo-gia di de Rham di M in dimensione r e si indica con Hr(M). Se D è undominio (r + 1)-dimensionale con frontiera ∂D e ω è una r-forma, allora∫

∂Dω =

∫D

dω (51)

La formula 51 è nota come formula di Stokes, caso particolare del teorema diGreen. La dimensione dello spazio delle classi di comologia

Hp(M) = Zp(M)/Bp(M)

dipende solamente dalla topologia della varietà sottostante.Gli spazi di Minkowski sono topologicamente equivalenti a R4 cosìcchè

Hp(M) è nullo per p > 0, per p = 0 abbiamo H0(M) = R. Per questo nellospazio di Minkowski tutte le forme chiuse sono anche esatte a parte le 0-forme,queste non possono essere esatte perchè non esiste per esse una −1-formache si comporti da derivata esterna. L’importanza del teorema di de Rham èdovuta al fatto che esso fornisce il fondamento teorico per esprimere invarianticoomologici di una varietà mediante invarianti geometrici differenziali.

Un’ultima operazione sulle forme differenziali è la cosiddetta dualità diHodge. Definiamo l’operatore ∗ di Hodge su una varietà n-dimensionale comeuna mappa da p-forme a (n − p)-forme,

(∗A)µ1,...,µn−p =1p!

εν1,...,νp

µ1,...,µn−p Aν1,...,νp (52)

che mappa A in A-duale. A differenza di altri operatori sulle forme, il dualedi Hodge dipende dalla metrica della varietà (ovvio perchè dobbiamo alzareed abbassare indici del tensore di Levi-Civita).

Un’applicazione ripetuta della dualità di Hodge ci riporta alla forma dipartenza a meno di un segno

∗ ∗A = (−1)s+p(n−p)A (53)

20

dove s è il numero di segni meno negli autovalori della metrica.La dualità di Hodge è una mappa che applicata due volte riporta allo

stesso spazio di partenza, questo vale per la dualità fra vettori e loro dualicome per p-forme e (n − p)-forme. L’applicazione interessante della dualitàdi Hodge nell’ordinario spazio Euclideo E3 è legata al prodotto vettoriale,infatti quando applicato al prodotto wedge di due 1-forme il duale di Hodgerestituisce ancora una 1-forma:

∗ (U ∧ V)i = εjk

i UjVk (54)

Quest’ultima equazione è effettivamente il prodotto vettoriale tridimensionalee qui è anche spiegato il perchè è anticommutativo. Il prodotto vettorialeclassico esiste solamente in tre dimensioni perchè solamente in tre dimensioniesiste una mappa da due vettori duali ad un terzo vettore duale, infatti nellospazio Euclideo le 1-forme sono uguali ai vettori.

4.6.1 Forme in elettromagnetismo

Ora affrontiamo una piccola escursione riguardante l’applicazione delle formein elettromagnetismo. L’elettrodinamica fornisce esempi di applicazione delladualità di Hodge e delle forme differenziali.

Ricordiamo le equazioni di Maxwell in forma di operatori differenzialinello spazio Euclideo in sistema normalizzato di Gauss:

∇× B − ∂E∂t

= J

∇ · E = ρ

∇× E +∂B∂t

= 0

∇ · B = 0 (55)

dove E, B sono il campo elettrico e magnetico tridimensionali, J è la densitàdi corrente e ρ la densità di carica. Queste equazioni sono invarianti pertrasformazioni di Lorentz ma in questa notazioni non manifestano la lorocovarianza, con un po’ di lavoro e il potere della notazione di Einstein, ilcalcolo tensoriale e ricordandosi che in E3 si possono alzare ed abbassare gliindici senza l’intervento della metrica (che è l’identità), si giunge alla seguenteforma per componenti delle equazioni di Maxwell

εijkBk − ∂0Ei = Ji

∂iEi = J0

εijk∂jEk + ∂0Bi = 0

∂iBi = 0 (56)

21

Qui la densità di carica ρ è stata sostituita dalla prima componente del quadriv-ettore densità Jµ = (ρ, Jx, Jy, Jz). Con questa notazione le prime due equazionidi Maxwell 55 diventano una singola equazione tensoriale chiaramente covari-ante:

∂µFµν = Jν (57)

mentre la terza e la quarta diventano:

∂µFνλ + ∂νFλµ + ∂λFµν = 0 (58)

Dalla definizione di derivata esterna 47, l’ultima equazione 58 si può vederecome la chiusura di una 2-forma Fµν

dF = 0 (59)

Questo vuol dire che il tensore elettromagnetico F è anche una forma esatta,deve quindi esistere una 1-forma Aµ (infatti la derivata esterna abbassa di ungrado) tale per cui:

F = dA (60)

e qui abbiamo ritrovato il quadripotenziale elettromagnetico, dove la primacomponente è il potenziale elettrico scalare e le altre 3 componenti sono quelledel potenziale vettore A.

L’invarianza di gauge delle equazioni del campo elettromagnetico si notavedendo che sotto la trasformazione A → A + dλ per uno scalare λ la teoria èinvariante e questo risulta ovvio dall’esattezza della 2-forma F rappresentatain equazione 60.

La prima coppia delle equazioni di Maxwell rappresentata in 57 invece èrappresentabile come equazione fra 3-forme:

d(∗F) = ∗J (61)

Si nota che nel formalismo delle forme differenziali equazione 59 e 61 sonomolto simili. In alcune teorie di campo la dualità di Hodge connette accop-piamento forte e debole. In particolare in assenza di correnti, quando si an-nullano tutte le componenti della quadricorrent Jµ = 0 risulta evidente lasimemetria per trasformazioni di dualità:

F → ∗F

∗F → −F (62)

Questo significa che le equazioni di Maxwell nel vuoto sono duali invariantie questa simmetria viene rotta in presenza della carica. L’ultima osservazione

22

porta a introdurre l’esistenza di monopoli magnetici oltre che elettrici in natu-ra, infatti si potrebbe aggiungere un termine di corrente magnetica ∗JM al latodestro di 60 senza rompere la simmetria di dualità. Quest’idea è già statateorizzata da Paul Dirac il quale calcolò che la condizione necessaria per laloro esistenza sarebbe che la carica fondamentale del monopolo magnetico siaproporzionalmente inversa alla carica elettrica fondamentale.

Poichè la carica elettrica fondamentale è una quantità molto piccola, l’elet-trodinamica è una teoria a basso accoppiamento e per questo l’elettrodinam-ica quantistica, una teoria perturbativa, funziona così bene. La teoria dualeall’elettromagnetismo sarebbe invece una teoria ad accoppiamento forte doveun approccio perturbativo non avrebbe successo e quindi grazie alla dualitàdi Hodge sarebbe possibile una teoria d’accopiamento forte studiando unateoria debole e poi traslando i risultati. Queste tecniche di dualità sembra-no non avere dato frutto nell’elettromagnetismo -non è mai stato osservato ilmonopolo magnetico- ma di converso possono aiutare nello sviluppo di al-tre teorie di campo quantistico ad accoppiamento forte, risolvendo problemicome il confinamento dei quarks negli adroni.

4.7 Integrazione di forme

Sappiamo dal calcolo ordinario di Rn che un elemento di volume dnx sot-to cambio di coordinate trasforma con lo Jacobiano della trasformazione inesame:

dnx′ =

∣∣∣∣∣∂xµ′

∂xµ

∣∣∣∣∣ dnx (63)

Dal punto di vista matematico delle forme esiste una spiegazione molto ele-gante di questo comportamento. Un integrale su una regione n-dimensionaleΣ ⊂ M di una varietà M è una mappa da un campo di n-forme ω ai numerireali: ∫

Σ: ω → R. (64)

Ricordiamo che in una dimensione una 1-forma si scrive come ω = ω(x)dxed in effetti noi scriviamo gli integrali come

∫ω(x)dx. Il termine dx è a tutti

gli effetti una forma differenziale! E’ essenziale capire che il semplice elementodi volume dnx è una densità tensoriale antisimmetrica costruita con prodottiwedge:

dnx = dx0 ∧ . . . ∧ dn−1x (65)

Ora possiamo già intuire a cosa è dovuto il termine Jacobiano di equazione 63,è proprio il fatto che l’elemento di volume è una densità tensoriale di peso 1 equindi come discusso in precedenza trasforma con lo Jacobiano della trasfor-mazione. Diventa semplice ora costruire a partire dalla densità tensoriale ele-mento di volume, un tensore vero e proprio moltiplicando per

√|g| e quindi

23

da ora in poi indicheremo l’elemento di volume come√|g|dnx piuttosto che

come prodotto wedge esplicito.Per riassumere, l’integrazione di forme è semplice e coinvolge il determi-

nante della metrica, cosìcchè per una funzione scalare φ su una varietà Ml’integrale I si scrive come

I =∫

φ(x)√|g|dnx. (66)

24

V. Curvatura

La curvatura è una proprietà dello spazio e dipende dalla metrica chedefinisce la geometria della varietà. In questa parte impararemo a capirecome l’informazione sulla curvatura può essere estratta dalla metrica e

che cosa realmente significhi curvatura, distingueremo fra curvatura intrinseca,estrinseca, gaussiana, riemanniana ed inoltre sapremo dare una definizionechiara di spazio piatto. Introduciamo subito con una carrellata veloce i concettida non farsi sfuggire di questo capitolo.

In tutti i modi in cui si manifesta, la curvatura basa la sua definizione suquella di connessione, cioè una maniera di relazionare vettori fra spazi tangentidi punti vicini. Esiste un’unica connessione che si può costruire dalla metricae che è incapsulata in un oggetto detto simbolo di Christoffel:

Γλµν =

12

gλσ(∂µgνσ + ∂νgσµ − ∂σgµν) (67)

La connessione permette di introdurre la derivata covariante, ossia una gen-eralizzazione della derivata parziale ordinaria a spazi curvi che mantiene latensorialità del tensore su cui opera a differenza della derivata ordinaria. Laderivata covariante di un campo vettoriale Vν è data da:

∇µVν = ∂νVν + γνµσVσ (68)

La connessione appare anche nell’equazione geodetica, indicata già come unadelle equazioni principali della relatività generale nel capitolo introduttivo.Per una curva parametrica di spaziotempo xµ(λ) una curva geodetica obbe-disce alla seguente equazione geodetica:

d2xµ

dλ2 + Γµρσ

dxσ

dxρ

dλ= 0 (69)

Infine l’espressione completa della curvatura di un manifold è contenutanel cosiddetto tensore di Riemann, un tensore (1, 3) con 4 indici che si ottiene apartire dalla connessione come:

Rρσµν = ∂µΓρ

νσ − ∂νΓρµσ + Γrho

µλ Γλνσ − Γρ

νλΓλµσ (70)

Tutta l’informazione riguardante la curvatura di una varietà è contenuta neltensore di Riemann. Le componenti di Rρ

σµν svaniscono quando la metrica èpiatta ed in particolare come abbiamo già introdotto le equazioni di campo diEinstein si fondano su una versione del tensore di Riemann collegandolo altensore energia-impulso.

25

5.1 Derivata covariante

Come già notato, abbiamo bisogno di poter definire un’operazione di derivataquando siamo su una varietà generica, in particolare vogliamo alcune propri-età che sono auspicabili per un operatore derivata su spazi curvi. L’operatorederivata covariante ∇, dati due tensori T, S deve soddisfare:

(71)

vale a dire linearità e leibnizianità. La leibnizianità significa che ∇ può esseresempre scritto come una derivata parziale più una certa trasformazione lin-eare, vale a dire per fare la derivata covariante di un campo prima facciamola derivata ordinaria e poi applichiamo una correzione data da un insiemedi matrici n × n per ogni componente. Queste matrici sono dette coefficientidi connessione Γρ

µσ, quindi si ha l’equazione 68. La derivata covariante quin-di effettua l’operazione di differenziazione ma in maniera indipendente dallecoordinate perchè è una mappa che mantiene la tensorialità degli oggetti sucui opera. Possiamo provare la proprietà appena descritta basandoci sulladefinizione appena data ed applicandola ad una trasformazione xµ → xµ′

∇µ′Vν′ = ∂µ′xµ∂νxν′∇µVν. (72)

Svolgendo i calcoli si ottiene una legge di trasformazione per i simboli diChristoffel che non è una legge di trasformazione tensoriale ma resta co-munque utile:

Γλ′µ′ν′ =

∂xµ

∂xµ′∂xλ

∂xλ′∂xν′

∂xνΓν

µλ − ∂xµ

∂xµ′∂xλ

∂xλ′∂2xν′

∂xµ∂xλ(73)

Richiedendo che la derivata covariante commuti per contrazione di indici eche per scalari essa si riduca esattamente alla definizione di derivata ordinaria,vale a dire,

∇µ(Tλλρ ) = (∇T) λ

µ λρ

∇µφ = ∂µφ (74)

troviamo che la derivata covariante di una 1-forma ων è simile a quella di unvettore a parte un segno meno:

∇µων = ∂µων − Γλµνωλ (75)

ed in generale possiamo dire che per un tensore vale che i coefficienti di con-nessione si portano dietro un segno meno rispetto alle componenti covariantied un segno più rispetto alle componenti controvarianti di un tensore quando

26

viene calcolata la derivata covariante: (XXX ricontrollare con equazione 3.17Carrol)

∇σTµ1,...,µkν1,...,νl = ∂σTµ1,...,µk

ν1,...,νl

+Γµ1σλTλµ2,...,µk

ν1,...,νl + . . .

−Γλσν1

Tµ1,...,µkλ,ν2,...,νl

(76)

Il termine connessione è legato al fatto che questo viene utilizzato per definire iltrasporto parallelo di un vettore da uno spazio tangente ad un altro e la deriva-ta covariante misura la deviazione dal parallelismo di un vettore quandotrasportato su una varietà.

A partire dalle connessioni si può definire una quantità che è un vero ten-sore, questa quantità è detta tensore di torsione che è un tensore antisimmetriconei due indici covarianti:

Sλµν = Γλµν − Γλνµ (77)

Introduciamo ora nel nostro spazio altre due proprietà, data una metricagµν, richiediamo che la connessione abbia torsione nulla e che sia compatibilecon la metrica, che tradotto in equazioni significa

Γλµν = Γλ(µν) torsione nulla

∇ρgµν = 0 compatibilità metrica

Date queste due condizioni vale la compatibilità con la metrica anche conla metrica inversa e con il tensore di Levi-Civita. Come avevamo accennatoa partire dalla metrica esiste una ed una sola connessione che soddisfa lecondizioni sopra descritte ed in particolare si trova che essa è unicamentedeterminata dalla seguente equazione:

Γσµν =

12

gσρ(∂µgνρ + ∂νgρµ − ∂ρgµν

)(78)

Quest’ultima equazione è nota in relatività generale con 3 nomi, connessionedi Levi-Civita o connessione di Christoffel o connessione riemanniana. Noiparleremo di connessione di Christoffel quando vogliamo indicare 78.

Proviamo a calcolare la connessione di Christoffel per il piano R2 espressoin coordinate polari. La metrica è data da

ds2 = dr2 + r2dθ2 (79)

Con qualche conto si trovano le componenti della metrica inversa grr = 1,gθθ = r−2, i coefficienti di connessione da calcolare sono quindi 23 = 8 in

27

totale, si trova, applicando 78:

Γrrr = 0 (80)

Γrθθ = −r (81)

Γrθr = Γr

rθ = 0 (82)

Γθrr = 0 (83)

Γθθθ = Γθ

θr = r−1 (84)

Γθθθ = 0 (85)

Anche nello spazio curvo è possibile annullare i simboli di Christoffel in unpunto perchè è possibile annullare le derivate prime della metrica in un punto.Dalla formula per la derivata covariante di un vettore si ottiene una formulaper il calcolo dei Γ:

Γµµλ =

1√|g|

∂λ

√|g| (86)

quindi la divergenza di un vettore Vµ vale la seguente:

∇µVµ =1√|g|

∂µ(√|g|Vµ) (87)

L’estensione allo spazio curvo del teorema di Stokes può sembrare intuitivaed apparire più semplice grazie a questa notazione. Dato un campo vettorialeVµ in una regione Σ di frontiera ∂Σ,vale la seguente generalizzazione delteorema di Stokes ∫

Σ∇µVµ

√|g|dnx =

∫∂Σ

Vµnµ

√|γ|dn−1x (88)

dove nµ è il vettore normale alla superficie ∂Σ e γij è la metrica indotta sullafrontiera. Quando le connessioni non sono compatibili con la metrica o latorsione non si annulla allora questa formula contiene dei termini addizionalie risulta più complessa.

Ricapitolando: Siamo partiti dall’idea di insieme e successivamente di in-sieme aperto. Questo equivale a definire uno spazio topologico. Richiedendoche ogni insieme aperto sia una regione di Rn e che le carte di coordinatepossano essere cucite con continuità, eleviamo lo spazio topologico a varietà.Una varietà è equipaggiata con uno spazio tangente, la possibilità di calcolarederivate esterne eccetera. Equipaggiata con una metrica, la varietà diventa Rie-manniana. Indipendentemente dalla metrica si introduce la connessione chepermette di calcolare le derivate covarianti. Data una metrica su una varietàesiste automaticamente un’unica connessione a torsione nulla compatibile con

28

la metrica. Si introduce poi una forma di volume indipendente sebbene ques-ta sia automaticamente determinata dalla metrica. Nulla vieta di introdurrepiù di una connessione o forma di volume o metrica, ma in relatività generaleabbiamo una metrica fisica che determina i volumi e le derivate covarianti.

5.2 Trasporto parallelo e geodetiche

Abbiamo sempre immaginato che la derivata ordinaria rappresenta il tassodi variazione di una quantità rispetto ad un’altra. Estendendo alla derivatacovariante però il concetto è più complesso soprattutto quando si calcola perun tensore. Cosa varia rispetto a cosa? Cosa significa tasso di variazionequando non possiamo confrontare vettori appartenenti a spazi e spazi-duali?

La derivata covariante rappresenta il tasso istantaneo di variazione di uncampo tensoriale rispetto a quello che sarebbe se venisse trasportato parallela-mente, ovvero la connessione definisce la maniera specifica di mantenere untensore costante lungo un cammino.

Nello spazio piatto è un’operazione comune quella di confrontare vettori inpunti diversi, possiamo sempre infatti sommarli e sottrarli traslandoli lungoun certo cammino, infatti per traslazioni un vettore rimane parallelo. La dif-ferenza cruciale fra spazio piatto e spazio curvo è che in quest’ultimo il risul-tato del trasporto parallelo dipende dal cammino fatto fra due punti. Bisognanotare e sottolineare che non esiste un modo unico di trasportare un vettoreda uno spazio tangente ad un altro, in realtà non c’è soluzione a questo prob-lema. Dobbiamo abituarci al fatto che due vettori possono essere confrontatisolamente se appartenenti allo stesso spazio tangente. Per esempio, per dueparticelle distanti su una varietà, non ha senso parlare di velocità relativa,questo concetto proprio perde di senso. In cosmologia infatti vengono risoltialcuni potenziali problemi alla luce di questa interpretazione. Pensiamo al-la luce proveniente da galassie lontane. Essa ci appare spostata verso il rosso.Questo potrebbe indurci a pensare che la galassia si stia allontanando da noi acausa e che a causa dell’effetto Doppler la luce venga shiftata nel rosso. Comeintuito da Wittgenstein, a livello rigoroso siamo invece di fronte ad un errorelogico di interpretazione. In realtà quello che avviene è che è la metrica stes-sa a stirarsi lungo il cammino percorso dai fotoni provenienti dalla galassia.In effetti ad una attenta osservazione sperimentale risulterebbe che lo sposta-mento verso il rosso condurrebbe ad una velocità di allontanamento maggioredella velocità della luce, chiaramente impossibile.

Tornando al trasporto parallelo di un campo tensoriale esso rappresenta ilconcetto di costanza di un campo tensoriale lungo un cammino. Nello spaziopiatto esprimiamo usualmente questa costanza, data una curva xµ(λ), deltensore Tµ1,...,µk

ν1,...,νk come l’annullarsi della derivata direzionale

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ddλ

Tµ1,...,µkν1,...,νk = 0 (89)

Abbiamo già visto però che la derivata ordinaria fa perdere il carattere ditensorialità, quindi definiamo una nuova derivata direzionale covariante

Ddλ

=dxµ

dλ∇µ (90)

La 90 è una mappa dai tensori (k, l) ai tensori (k, l).Si definisce trasporto parallelo di un tensore T lungo un cammino xµ(λ)

il requisito che si annulli la derivata direzionale covariante. Quest’ultima èun’equazione tensoriale definita come un insieme di equazioni differenzialiordinarie che per il caso di un vettore prende la forma:

ddλ

Vµ + Γµρσ

dxσ

dλVρ = 0 (91)

La 91 viene detta equazione del trasporto parallelo. La nozione di trasportoparallelo dipende dalla connessione e diverse connessioni portano a diver-si risultati. Per connessioni compatibili con la metrica, il tensore metrico èsempre trasportato parallelamente rispetot a se stesso:

Ddλ

gµν =dxσ

dλ∇σgµν = 0. (92)

A causa di 92 ne deriva che il prodotto scalare di due vettori trasportati par-allelamente è mantenuto costante, infatti basta verificare che dati due vettoriVµ e Wν vale per la regola di Leibniz:

Ddλ

(gµνVµWν) =

(D

Dλgµν

)VνWν + gµν

(Ddλ

)Vµ + gµνVµ

(Ddλ

)Wν (93)

e per questo si può affermare che il trasporto parallelo mantiene intatta lanorma dei vettori e l’ortogonalità fra due vettori.

Abbiamo visto che nello spazio piatto le geodetiche corrispondono a lineerette e nello spazio curvo invece esse obbedisco ad una più generale equazione69. Alla luce del trasporto parallelo e in analogia al caso dello spazio piattodove i vettori sono trasportati parallelamente lungo linee rette possiamo quin-di riformulare la geodetica come la curva che riproduce la nozione di linearetta nello spazio curvo. Vale infatti che per essere trasportato parallelamente,il vettore dxµ/dλ deve soddisfare la seguente:

Ddλ

dxµ

dλ= 0, (94)

o alternativamente l’equazione geodetica 69.

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5.2.1 Proprietà delle geodetiche

Le geodetiche hanno la proprietà di rappresentare i cammini seguiti da par-ticelle in caduta libera. Una particella di test è un corpo la cui massa noninfluenza lo spaziotempo attorno a se. L’equazione geodetica 69 può esserevista come una generalizzazione della legge di Newton f = ma nel caso a = 0nello spaziotempo curvo. L’equazione geodetica può essere modificata a rap-presentare per esempio la traiettoria di una particella carica sottoposta allaforza di Lorentz nello spazio curvo:

d2xµ

dτ2 + Γµρσ

dxρ

dxσ

dτ=

qm

Fµν

dxν

dτ(95)

Per cammini timelike, si può riscrivere l’equazione geodetica con l’aiutodella quadri-velocità Uµ = dxµ/dτ con la seguente espressione che fa usodella derivazione covariante:

Uλ∇λUµ = 0 (96)

o in maniera uguale per il quadrimomento pµ = mUµ:

pλ∇λ pµ = 0 (97)

Quest’ultima equazione esprime in maniera ancora più chiara l’idea che uncorpo in caduta libera si muove nella direzione in cui il proprio quadrivettoremomento punta. Applicata per cammini di tipo luce (null-paths), il tempo pro-prio non è una parametrizzaziond adeguata ma resta sensato richiedere chel’equazione geodetica sia valida per un generico parametro λ lungo un cam-mino xµ(λ), infatti se un cammino di tipo luce è geodetico per un parametroλ lo è anche per qualsiasi parametro affine aλ+ b. E’ in genere utile richiedereche il parametro affine λ lungo una geodetica tipo luce sia tale per cui pµ =

dxµ/dλ.Una cosa che non viene narrata nei normali libri di relatività generale

è come scrivere una soluzione generale all’equazione del trasporto paralle-lo. Notiamo che per un dato cammino γ : λ → xσ(λ), risolvere l’equazionedel trasporto parallelo per un vettore Vµ corrisponde a trovare una matricePµ

ρ (λ, λ0) che collega il vettore al suo valore iniziale Vµ(λ0) ad un altro valoreassunto lungo il cammino Vµ(λ), l’azione di questa matrice, detta propagatoreparallelo è la seguente:

Vµ(λ) = Pµρ (λ, λ0)Vρ(λ0) (98)

e dipende dal cammino γ. Se definiamo

Aµρ(λ) = −Γµ

ρσdxσ

dλ(99)

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dove le quantità del lato destro di 99 sono valutate in xν(λ), allora l’equazionedel trasporto parallelo diventa:

ddλ

Vν = AνρVρ (100)

Sostituendo l’equazione che definisce il propagatore parallelo nell’ultima equazione100 si ottiene un’equazione che permette di calcolare le componenti del prop-agatore parallelo

ddλ

Pµρ (λ, λ0) = Aµ

σ(λ)Pσρ (λ, λ0) (101)

che si risolve per integrazione, ad ottenere :

Pσρ (λ, λ0) = δ

µρ +

∫ λ

λ0

Aµσ(η)Pσ

ρ (η, λ0)dη (102)

Equazione 102 si risolve iterativamente, inserendo il lato di destra in se stessoripetutamente, ad ottenere:

Pσρ (λ, λ0) = δ

µρ +

∫ λ

λ0

Aµρ(η)dη +

∫ λ

λ0

∫ η

λ0

Aµσ(η)Aσ

ρ(η′)dη′dη + . . . (103)

Il termine n-esimo in questa serie è un integrale su un triangolo n-dimensionaledetto n-simplesso. L’integrale diventerebbe più semplice se invece che consid-erare n-simplessi considerassimo l’integrale su n-cubi, ma per fare questo c’èbisogno di dividere per tutte le n! possibili disposizioni di un simplesso inn-cubi ed ordinare i simboli con un simboli di ordinamento di cammini P cheassicura che la condizione ηn ≥ ηn−1 ≥ . . . ≥ η1 sia valida. In altre parolel’espressione

P [A(ηn)A(ηn−1) · · · A(η1)] (104)

è il prodotto di n matrici A(ηi) ordinate in maniera tale che il termine mag-giore stia a sinistra. Il simbolo P permette quindi di scrivere l’integrale 103come una sommatoria in forma matriciale

P(λ, λ0) = 1 +∞

∑n=1

1n!

∫ λ

λ0

P [A(ηn)A(ηn−1) · · · A(η1)]dnη. (105)

Questa formula altro non è che l’espressione per la serie esponenziale, infat-ti possiamo dire che il propagatore parallelo è equivalente all’esponenzialeordinato lungo il cammino:

P(λ, λ0) = P exp(∫ λ

λ0

A(η)dη

)(106)

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o meglio, ritornando alla notazione con indici:

Pµν (λ, λ0) = P exp

(−

∫ λ

λ0

Γµσν

dxσ

dηdη

). (107)

Questo stesso tipo di espressione appare nella formulazione di una teoriaquantistica dei campi ed è nota come formula di Dyson, e nasce nella formu-lazione dell’evoluzione temporale dell’equazione di Schoroedinger. Un altroesempio interessante di uso del propagatore parallelo occorre quando il cam-mino è chiuso: se la connessione è compatibile con la metrica, la matrice risul-tante è una trasformazione di Lorentz sullo spazio tangente al punto. Questotipo di trasformazioni sono note come olonomie dei cammini chiusi (o loop).Conoscere tutte le possibili olonomie dei loop equivale a conoscere la metrica.Questa intuizione ha portato all’analisi della relatività generale dal punto divista delle olonomie, sviluppando di fatto la teoria della gravità quantistica aloop, introdotta da Abhay Ashtekar con i lavori successivi di Carlo Rovelli eLee Smoolin.

Mappa esponenziale: Le geodetiche forniscono un modo semplice di map-pare lo spazio tangente Tp di un punto p su una regione di una varietà checontiene p. Questa mappa è detta mappa esponenziale e definisce un insiemedi coordinate localmente inerziali (quindi ∂σgµν(p) = 0 e gµν(p) = ηµν). In-iziamo notando che ogni vettore k ∈ Tp definisce una sola geodetica passanteper esso e per cui k è il vettore tangente in p e λ(p) = 0:

dxµ

dλ(λ = 0) = kµ (108)

Quest’ultima rappresenta un’equazione differenziale per k la cui soluzionedate le condizioni al contorno la soluzione è rappresentata dalla mappa espo-nenziale:

exp (k) = xν(λ = 1) (109)

dove xν(λ) risolve l’equazione geodetica 108

5.3 Covarianza generale

La covarianza generale delle leggi della fisica, nota anche come covarianza perdiffeomorfismi o invarianza generale, è l’invarianza della forma delle leggifisiche per una trasformazione arbitraria di coordinate differenziabili. L’ideafondamentale è che le coordinate non esistano a priori in Natura, ma sianosolamente un artificio utilizzato per descriverla e che quindi non giochinonessun ruolo nella formulazione di una legge fisica fondamentale.

Una legge fisica espressa in maniera covariante esprime la stessa formamatematica in tutti i sistemi di coordinate ed è solitamente scritta utilizzando

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campi tensoriali, un esempio su tutti la scrittura in termini di forme differen-ziali della teoria elettromagnetica di Maxwell.

Albert Einstein propose questo principio per la sua teoria della relativ-ità ristretta; tuttavia, quella teoria era limitata ai sistemi di coordinate dellospazio-tempo correlati gli uni agli altri soltanto per mezzo di moti relativi uni-formi, i cosiddetti sistemi inerziali. Einstein era consapevole che il Principio direlatività generale si dovesse applicare anche ai moti relativi accelerati, usan-do come strumento (da poco sviluppato) del calcolo tensoriale per estenderela covarianza di Lorentz globale della teoria ristretta (applicata soltanto per isistemi inerziali) alla più generale covarianza di Lorentz locale (che si applicaper tutti i sistemi), producendo alla fine la sua teoria della relatività generale.La riduzione locale del tensore metrico generale per la metrica di Minkows-ki corrisponde, in questa teoria, al moto in caduta libera (geodetico) così daabbracciare il fenomeno della gravitazione.

Molto del lavoro sulle teorie di campo unificate classiche consisteva ditentativi di estendere ulteriormente la teoria generale della relatività ondeinterpretare ulteriori fenomeni fisici, in particolare l’elettromagnetismo, nelquadro della covarianza generale, e più precisamente come oggetti puramentegeometrici nel continuum dello spazio-tempo.

La relazione tra la covarianza generale e la relatività generale può esseresintetizzata citando un libro di testo standard1: La matematica non era suf-ficientemente perfezionata nel 1917 per scindere a parte le richieste della ge-ometria non prioritaria da quelle di una formulazione geometrica in fisica,indipendente dalle coordinate. Einstein descrisse entrambe le esigenze conuna sola definizione, covarianza generale. L’esigenza della geometria non pri-oritaria in effetti è padre della relatività generale, ma lo è in modo anonimo,camuffata come covarianza generale, artefice di mezzo secolo di confusione.» Un’interpretazione più moderna del contenuto fisico del principio originaledi covarianza generale è che il gruppo di Lie GL4(R) è una fondamentale sim-metria esterna dell’universo. Altre simmetrie, comprese le simmetrie internebasate sui gruppi compatti, adesso giocano un ruolo maggiore nelle teoriefisiche di base.

5.4 Il tensore di curvatura di Riemann

Una maniera tradizionale di introdurre il tensore di curvatura di Riemann èquella di considerare il trasporto parallelo intorno ad un cammino chiuso in-finitesimale. Poichè in regioni sufficientemente piccole lo spaziotempo apparepiatto, il loop è specificabile da due vettori infinitesimali Aµ, Bν. Immagini-amo di trasportare parallelamente un vettore Vµ prima nella direzione di Aµ

e poi lungo Bν e di nuovo all’indietro lungo Aµ e Bν fino a tornare nel punto

1 Charles W. Misner; Kip S. Thorne; John Archibald Wheeler, Gravitation

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di partenza. L’azione del trasporto parallelo è indipendente dalle coordinate equindi deve esistere un tensore che indica come il vettore Vµ cambia quandoritorna al punto di partenza. Questo tensore deve dipendere dal cammino equindi dai vettori Aµ e Bν che definiscono il loop, inoltre deve essere antisim-metrico perchè lo scambio dei vettore Aµ con Bν da la risposta opposta, infatticorrisponde a percorrere il loop nel senso contrario.

Ci aspettiamo che l’espressione che correla la variazione δVρ relativa alvettore V quando trasportato parallelamente sia della forma

δVρ = RρσµνVσ AµBν (110)

dove Rρσµν è un tensore (1, 3) ed è detto tensore di Riemann, antisimmetrico nei

due indici inferioriRρ

σµν = −Rρσνµ (111)

L’equazione 110 è presa come definizione del tensore di Riemann tuttavia nonc’è una convenzione standard sull’ordine degli indici.

Vorremmo però poter avere un’espressione più diretta di 110 per esprimereil tensore curvatura. Iniziamo considerando l’azione del commutatore di duederivate covarianti su un vettore. La relazione fra quest’ultimo e il trasportoparallelo è evidente, infatti la derivata covariante di un tensore in una certa di-rezione misura quanto il tensore cambia a quanto sarebbe se venisse trasporta-to parallelamente, difatti la derivata covariante di un tensore nella direzionelungo cui è trasportato parallelamente è zero.

Il commutatore di due derivate covarianti misura la differenza fra il trasportoparallelo prima in un modo e poi nell’altro (corrispondenti allo scambio deivettore Aµ e Bν come discusso precedentemente, ossia all’inversione del cam-mino del loop). Risulta che vale la seguente espressione

[∇µ,∇ν]Vρ = ∇µ∇νVρ −∇ν∇µVρ (112)

= ∂µ(∇νVρ)− Γλµν∇λVρ + Γρ

µσ∇νVσ − (µ ↔ ν)

= (∂νΓρνσ − ∂νΓρ

µσ + ΓρµλΓλ

νσ − ΓρνλΓλ

µσ)Vσ − 2Γλ

[µν]∇λVρ

reintroducendo il tensore torsione si può riassumere 112 con la seguente:

[∇µ,∇ν]Vρ = RρσµνVσ − Tλ

µν∇λVρ (113)

dove si identifica il tensore di Riemann come:

Rρσµν = ∂µΓρ

νσ − ∂νΓρµσ + Γρ

µλΓλνσ − Γρ

νλΓλµσ (114)

Il tensore di Riemann misura la parte di commutatore di derivata covarianteche resta proporzionale al vettore stesso, mentre il tensore torsione misurala parte proporzionale alla derivata covariante del campo vettoriale, non c’èdipendenza dalla derivata seconda.

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• L’antisimmetria del tensore di Riemann è evidente da 114

• Il tensore di curvatura non fa menzione esplicita della metrica ma solodelle connessioni e questo è vero per qualsiasi connessione, non solo perconnessioni compatibili con la metrica o torsion-free.

• Grazie al tensore di Riemann è più facile calcolare l’azione del commu-tatore della derivata covariante su un tensore di rango arbitrario:

[∇ρ,∇σ]Xµ1,...,µk

ν1,...,νk = (115)

(116)

VI. Eserciziario

Calcolo della connessione nello spazio piatto euclideo Vogliamo dimostrareche la connessione piatta in E3 ha tutte le componenti dei simboli di Christof-fel nulle indipendentemente se scritta in coordinate cartesiane, sferiche o po-lari. Per fare questo utilizziamo il teorema di Levi-Civita. Per le coordinatecilindriche abbiamo:

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