LO SCAFFALE DEI POLITROPI...LO SCAFFALE DEI POLITROPI COLLANA DIRETTA DA Bruno Capaci, Loredana...

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LO SCAFFALE DEI POLITROPI 3

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  • LO SCAFFALE DEI POLITROPI

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  • LO SCAFFALE DEI POLITROPI

    COLLANA DIRETTA DA

    Bruno Capaci, Loredana Chines, Stefano Scioli, Paola Vecchi Galli, Marco Veglia

    COMITATO SCIENTIFICO

    Gian Mario Anselmi (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)Rossend Arques (Universitat Autònoma de Barcelona)

    Andrea Campana (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)Davide Canfora (Università di Bari)

    Rosario Castelli (Università di Catania)Massimo Ciavolella (UCLA-University of California, Los Angeles)

    Paola Desideri (Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara)Sabrina Ferrara (Université François-Rabelais de Tours)

    Fabio Giunta (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)Paola Italia (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)

    Tatiana Korneeva (Freie Universität Berlin)Angelo Maria Mangini (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)

    Enzo Neppi (Université Grenoble Alpes)Franca Orletti (Università Roma Tre)

    Mariano Pérez Carrasco (Universidad de Buenos Aires – Conicet)Raffaele Pinto (Universitat de Barcelona)

    Edoardo Ripari (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)Salvatore Ritrovato (Università di Urbino)

    Gino Ruozzi (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)Andrea Severi (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)

    William Spaggiari (Università di Milano)Corrado Viola (Università di Verona)

    Maria Załeska (Uniwersytet Warszawski)

    COMITATO DI REDAZIONE

    Nicola Bonazzi (caporedattore) Melissa Busacca, Jessica Castagliuolo, Alberto Di Franco,

    Elena Grazioli, Elvira Passaro, Giuditta Spassini

    I volumi pubblicati nella Collana sono sottoposti a doppio referaggio anonimo.

  • CITO CITO VOLANSLettere di guerra, cifrari e corrispondenze

    segrete di Lucretia Estensis de Borgia

    Prefazione di

    Loredana Chines

    Postfazione di

    Elisabetta Selmi

    Saggi di

    Jessica Castagliuolo, Camilla Granatiero, Elena Grazioli e Maria Veronica Palma

    I LIBRI DI

    EMIL

    Bruno Capaci – Patrizia Cremonini

  • Copyright © 2019Casa editrice I libri di Emil di Odoya srl

    ISBN: 978-88-6680-316-4

    Via Carlo Marx 21 – 06012 Città di Castello (PG) – www.ilibridiemil.it

  • Indice

    PrefazioneLoredana Chines 9

    Lettere a staffetta Il matrimonio e la guerra nelle carte messaggere di Lucrezia Estense de Borgia Bruno Capaci 13

    «Troppo humani termini…cum suportatione de Quella»L’argomento di reciprocità nella corrispondenza tra Francesco Gonzaga e Lucrezia BorgiaBruno Capaci 51

    Segrete scritture estensi Cifre, controcifre, lettere cifrate, cifristi e dezifratori tra XIV e XVIII secolo nell’Archivio di Stato di ModenaPatrizia Cremonini 99

    Nel guardaroba di Lucrezia Borgia: la Principessa di Salerno al servitore Vincenzo GiordanoJessica Castagliuolo 193

    Scrittura femminile e azione politica. Discorsi attorno al carteggio tra Isabella e Ippolito d’Este, anni 1504-1506Camilla Granatiero 213

  • Angela Borgia Pia.Da dama di corte a contessa di SassuoloElena Grazioli 253

    La criptografia rinascimentale nella corrispondenza di due donne di governoMaria Veronica Palma 275

    Postfazione Elisabetta Selmi 321

    Fonti 327

    Bibliografia primaria 329

    Bibliografia secondaria 333

    Indice dei nomi 351

  • Cito cito volans è dedicato ai giovani studiosi di ARCE, alle loro promettenti ricerche e a tutti coloro

    che non temono il contagio della curiosità tra le carte.

  • Segrete scritture estensi. Cifre, controcifre, lettere cifrate, cifristi e dezifratori tra XIV e XVIII secolo nell’Archivio di Stato di ModenaPatrizia Cremonini

    Dal 1862 l’istituto all’epoca denominato ’Archivio di Governo’ poi (dal 1872) Archivio di Stato di Modena è custode dell’Archivio Estense ed Austro-Estense. Complessivamente un prezioso fondo documenta-rio che copre ben dieci secoli di storia, italiana ed europea, dall’ VIII al XIX secolo, frutto della sedimentazione di documenti prodotti ed accumulati nel corso del potere pubblico gestito dai marchesi, poi duchi d’Este e d’Asburgo d’Este. Fatta eccezione per alcune brevi fasi storiche e la parentesi napoleonica, fu un lungo periodo di governo, dal 1240/64 fino al 1859, esercitato su una limitata fascia territoriale, tra Ferrara (perduta nel 1598), Modena (signoria estense dal 1288/1289), Reggio Emilia (dal 1289/1290) e Garfagnana (possesso estense soprat-tutto a partire dal lasso di tempo 1429-1451)1, arrivando però ad intrat-

    1 Sempre fondamentale per la complessa storia di Casa d’Este il volume di L. CHIAPPINI, Gli Estensi. Mille anni di storia, Ferrara, Corbo, 2001. Come noto il dominio estense va distinto tra un ’periodo ferrarese’, dal secolo XIII al 1598, anno della devoluzione di Ferrara alla Santa Sede, ed un ’periodo modenese’ con Modena capitale, dal 1598 fino all’Unificazione d’Italia, retto quest’ultimo dapprima dal ramo estense di Montecchio fino alla parentesi napoleonica e poi in epoca della Restaurazione dal ramo austro-estense. Per i complessi archivistici prodotti cfr. Archivio di Stato di Modena, in F. VALENTI (a cura di), Guida Generale degli Archivi di Stato Italiani, con la collaborazione

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    tenere complessi e stretti legami politici e dinastici, non sempre efficaci e duraturi, con le più grandi casate europee. Di qui la ricchezza di fonti archivistiche utili a studiare buona parte d’Europa e non solo. A tale riguardo è utile esaminare uno specifico piccolo corpus documentario, valido, non solamente ad attestare lo spessore storico-culturale della documentazione estense quale esito dei rapporti politici attuati, ma an-che ad intraprendere il tema in esame, i cifrari estensi, necessariamente connessi alla trasmissione di informazioni tramite una peculiare forma di comunicazione, le missive politico-diplomatiche.

    1. Comunicazioni scritte ed intercettazioni attorno all’impresa di Cristoforo Colombo

    Il riferimento va ad un’importantissima, ben nota, minuta allegata ad un dispaccio del 21 aprile 1493 inviato al duca Ercole I d’Este da Gia-como Trotti, ambasciatore estense residente presso la corte sforzesca di Milano. Grazie a tale foglio il regnante ferrarese, a solo un mese circa dal rientro (4 marzo 1493) di Cristoforo Colombo dal suo primo viaggio, poteva apprendere quali eccezionali ricchezze e singolarità, esaltate ad arte dallo stesso navigatore, avrebbero potuto offrire le terre ’d’India’ su cui il comandante genovese era approdato (il 12 ottobre 1492, in realtà alle Bahamas): «pepe, lignum aloe et mena de oro per li flumi, cioè, flume lo quale ha arena con multe arenelle d’oro»; grandi isole abitate da «gente olivastre, desnude, senza alcuno ingenio de combatere et mol-to timida», uomini dunque facilmente assoggettabili, ma anche ingegno-si disponendo di «canne» (canoe) che potevano arrivare anche ad acco-gliere settanta e ottanta uomini; gente di «bona fede» che subito «con-trassero con lo dicto Collomba et homini suoi strectissimo amore et

    di A. SPAGGIARI, coadiuvato da A. LODI, G. TRENTI, C. CORRADINI e L. BASTELLI, 4 voll., Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1981-1994, vol. II, 1983, 993-1088. Cfr. anche A. SPAGGIARI ET AL., L’Archivio di Stato di Modena, Modena, 1996; scaricabile da http://www.asmo.beniculturali.it/index.php?it/203/bibliografia.

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    amistà» (amicizia); senza «alcuna lege, nì setta, salvo che credeno omnia pervenire ex cello [dal cielo] et là essere il Factore de tutte le cosse; per il che [– si poteva concludere -] de facili se converterano a la Santa Fede Catolica»; infine, fatto balenare il miraggio di lauti guadagni, si cedeva alla esoticità fantastica: i cristiani navigatori erano anche giunti «apresso alla provincia dove nascino li homini con coda»2. Le opportunità di ce-spiti e potere che potevano sortire da tale eccezionale avvenimento arri-varono a innescare una rapida diffusione informativa tramite un intrico di lettere e dispacci circolanti tra vari stati, alleati e nemici. È quanto si apprende già solamente esaminando proprio questo piccolo corpus do-cumentario, dispaccio e minuta allegata, preziose testimonianze dell’ef-ficacissima rete informativa politico-diplomatica che, attivata in Italia attorno ai secoli XIII-XIV, era arrivata a proporzioni straordinarie tra i secoli XIV-XV e soprattutto nel pieno secolo XV, facendo della corri-

    2 Archivio di Stato di Modena (d’ora in poi ASMo), Archivio segreto estense (d’ora in poi A.S.E.), Cancelleria, Carteggio ambasciatori, Milano, b. 7, fasc. «Lettere di Giacomo Trotti, Milano 1493, 2 gennaio – 31 dicembre». Il foglio allegato al dispaccio spedito da Milano il 21 aprile 1493 dall’ambasciatore estense Giacomo Trotti era la preziosa copia di una lettera di Annibale De Gennaro, inviata da Barcellona il 9 marzo 1493. Il foglio è edito, non interamente, in D. FAVA-C. MONTAGNANI, Mostra colombiana e americana della R. Biblioteca estense. Documenti e edizioni a stampa esposti dal R. Archivio di Stato e dalla R. Biblioteca estense di Modena nell’anniversario della scoperta dell’America, 12 ottobre, Modena, Società tip. Modenese, 1925, pp. 20-22. Si vedano qui in appendice le trascrizioni sia del dispaccio dell’ambasciatore Trotti che del foglio ad esso allegato. Recentemente dispaccio ed allegato sono stati esaminati in un’attività didattica condotta in Archivio di Stato di Modena, con la collaborazione della Società Dante Alighieri-Comitato di Modena, svolta dalle classi V A e V B del Liceo Classico ’San Carlo’ di Modena, Prof.ssa Caterina Monari, da cui la dispensa «Essendo lo mondo ritondo, per forza havea de voltare»: la scoperta dell’America dalla ’viva voce’ dei contemporanei: i dispacci degli ambasciatori al duca Ercole I d’Este», laboratorio didattico a cura di Patrizia Cremonini, Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, 2015, pp. 1-44, scaricabile all’indirizzo http://www.asmo.beniculturali.it/index.php?it/270/andar-per-carte-e-per-mari. In merito alle fonti conservati in ASMo inerenti la scoperta dell’America e lo straordinario interesse manifestato dagli Estensi per i temi geografici cfr. D. GRANA, L’incontro fra il Vecchio e Nuovo Mondo attraverso le fonti documentarie conservate presso l’Archivio di Stato di Modena, «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi», s. XI, vol. XVI (1994), pp. 163-196.

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    spondenza «una fondamentale ’infrastruttura’ della politica, della guer-ra, dell’economia, della cultura, in generale della vita associata»3. Come in un gioco a staffetta, l’evento venne comunicato tramite alcune lettere, dal regno del Portogallo a quello di Spagna, dal ducato di Milano a quello Ferrara e, presumibilmente, al regno di Napoli. Seguire il percor-so del diffondersi della notizia inerente la scoperta dell’America, trami-te almeno tre missive e due copie di lettere citate o sottintese nel suddet-to corpus, permette anche di leggervi in controluce rivalità ed alleanze tra regnanti e stati, evidenziando che, se ostilità politiche inducevano a intercettare la corrispondenza altrui, per converso i legami di alleanza si traducevano anche nella condivisione di informazioni, da trasmettere velocemente. Mettendo in ordine cronologico passaggi e tappe di arrivo delle missive, si desume in primo luogo che la notizia della felice impre-sa di Colombo venne rapidamente colta da efficientissimi ambasciatori residenti che, altrettanto prontamente, la trasmetterono ai rispettivi sta-ti d’appartenenza. A costoro, professionisti della diplomazia e della scrit-tura cancelleresca, era del resto affidata la responsabilità di gestire ogni aspetto che potesse insorgere fra lo stato d’appartenenza e quello ospi-tante, trasmettendo qualunque informazione, dalle più ordinarie alle più politiche, di cui in ogni modo fossero entrati in possesso – in forme uf-ficiali o trasversali – producendo i più diversi scritti (lettere, brevi, me-morie, relazioni) da inviare in gran copia alle cancellerie centrali4. Il caso in questione ebbe inizio con una lettera di Cristoforo Colombo. Partito da Palos, terra spagnola al confine con quella portoghese (attuale Palos

    3 F. SENATORE, Ai confini del «mundo de carta». Origine e diffusione della lettera cancelleresca italiana (XIII-XVI secolo), «Reti Medievali Rivista», x, (2009), n. 1, pp. 1-53: p. 5 e ss., a stampa in I. LAZZARINI (a cura di), I confini della lettera. Pratiche epistolari e reti di comunicazione nell’Italia tardomedievale (Atti della giornata di studi, Isernia, 9 maggio 2008), Firenze, University Press, 2009. 4 I. LAZZARINI, Materiali per una didattica delle scritture pubbliche di cancelleria nell’Italia del Quattrocento, «Scrineum Rivista», (2004), n. 2, pp. 1-85: pp. 16-26. scaricabile all’indirizzo http://scrineum.unipv.it/rivista/2-2004/lazzarini.pdf. F. SENATORE, «Uno mundo de carta». Forme e strutture della diplomazia sforzesca, Napoli, Liguori Editore, 1998, pp. 161-249 (le lettere degli ambasciatori), pp. 355-427 (diplomatica delle missive), pp. 441-456 (tecniche di scrittura).

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    de la Frontera), il 3 agosto 1492 alla volta del ’Cipango’, il genovese era rientrato il 4 marzo del 1493 a Lisbona, dopo che una tempesta l’aveva fatto approdare sulle coste portoghesi. Qui, dalla capitale del Portogal-lo, retto da Giovanni II, re sostenitore di esplorazioni marittime (grazie alla sovvenzione del sovrano nel 1488 il portoghese Bartolomeu Dias aveva doppiato il Capo di Buona Speranza, punta estrema dell’Africa) che però aveva disatteso le prime richieste di Colombo, il navigatore aveva inviato un rapporto, già redatto a metà febbraio al largo delle Azzorre, ai regnanti fautori del suo viaggio, per informarli dell’impor-tantissimo esito. Vale a dire Ferdinando II re d’Aragona ’Il Cattolico’ ed Isabella erede al trono di Castiglia, il cui matrimonio aveva da poco portato all’unificazione politica della Spagna (1469). Più precisamente Colombo aveva trasmesso il suo reportage con tre lettere in spagnolo, dirette, oltre ai regnanti di Spagna, anche a due elevati funzionari di corte suoi primi sostenitori, il ministro delle finanze Luis de Santàngel ed il tesoriere Gabriel Sànchez5. Giunte le missive a destinazione alla corte spagnola, una di esse era in qualche modo arrivata tra le mani di Annibale De Gennaro, qui inserito – in un ruolo ancora non noto – tra i residenti diplomatici capeggiati dall’illustre Antonio D’Alessandro, presidente del ’Sacro Regio Consiglio’ del regno di Napoli6 governato da Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona, cugino, quest’ultimo, del re ’Catto-lico’ ma anche suo rivale, viste le pretese spagnole accampate sullo stes-so regno napoletano. Il De Gennaro, che, qualunque fosse la carica ri-

    5 C. DE LOLLIS, Cristoforo Colombo nella leggenda e nella storia (Istituto Cristoforo Colombo), Roma, Treves, 1923, VIII-IX, XVI, XXIX, pp. 167-168. 6 Annibale De Gennaro apparteneva ad una famiglia da tempo al servizio diplomatico del re di Napoli Ferdinando I d’Aragona e benché non si sappia con certezza «quale fosse la sua missione a Barcellona: l’ipotesi più valida è che facesse parte dei diplomatici napoletani, accreditati alla corte spagnola, di cui era a capo Antonio D’Alessandro» cfr. M. BONVINI MAZZANTI, 1492: scoperta e conquista dell’America, Urbino, Argalia, 1978, p. 149. Il giurista napoletano Antonio D’Alessandro (1420 ca – 1498/99) regio consigliere di re Ferdinando I d’Aragona (dal 1459) poi presidente del Sacro Regio Consiglio, fu ambasciatore residente in Spagna dal 1491 al 1493. Cfr. F. PETRUCCI, D’Alessandro, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani – vol. 31 (1985), scaricabile all’indirizzo web http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-d-alessandro_%28Dizionario-Biografico%29/.

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    coperta in Spagna doveva comunque assolvere ad un importante com-pito (ne è prova l’alta cultura cancelleresca attestata dalla raffinata e canonica forma con cui egli redasse la sua lettera, pervenutaci in copia grazie alla dettagliatissima trascrizione fattane dall’altrettanto professio-nale ambasciatore estense Trotti), rilevata l’importanza della questione, subito ne aveva ricavato un sunto da spedire tramite sua lettera in vol-gare italiano, da Barcellona, il 9 marzo 1493, al fratello Antonio, amba-sciatore di Napoli alla corte sforzesca di Milano. Si trattava dunque di una lettera per così dire ’privata’, ma mossa da precise necessità politiche, considerato il ruolo ufficiale ricoperto da entrambi i fratelli. Peraltro, il fratello Antonio, almeno dal gennaio 1493, era stato elevato alla rilevan-te carica di regio consigliere («Regio Consilierio») di re Ferrante7. Si profila così l’ipotesi che il D’Alessandro, presidente del Regio Consiglio e primo ambasciatore napoletano in Spagna, lasciasse che fosse una meno formale e, soprattutto, meno in vista corrispondenza tra fratelli a rende-re edotto un suo consigliere regio, permettendogli così di essere meno esposto nella trasmissione di rilevanti informazioni. Annibale, nell’inci-pit della sua lettera, dopo la consueta intitolazione alla latina, che espri-meva anche profonda deferenza al fratello più alto in grado, «Magnifice frater honorantissime», richiamava proprio una disposizione che doveva venir dalle più alte autorità cancelleresche napoletane affinché il regio consigliere/oratore ’milanese’ disponesse sempre di notizie fresche, «in quisti dì ve ho scripto, per questa solum usarò de l’ordine preso che per ogni correro vi scriva». Attenendosi all’ordine ricevuto di sfruttare ogni ’cavallaro’ di propria fiducia, pronto a partire in ogni momento e tutte

    7 Si apprende il ruolo ricoperto da Antonio De Gennaro alla corte di Napoli da un’altra lettera che il fratello Annibale De Gennaro gli scrisse da Barcellona, il 24 gennaio 1493. Anche questa missiva venne interamente trascritta dall’ambasciatore estense Trotti, riportandone puntualmente la superinscriptio (l’indirizzo scritto sul verso della lettera originale), rivelatrice della mansione del fratello ’milanese’. Così il Trotti scrisse in calce alla copia «Attergo: M.co et Clar.mo v.f.d. Domino Antonio Januraio Regio Consilierio et oratori fratri honorandissimo». ASMo, A.S.E., Cancelleria, Carteggio ambasciatori, Milano, b. 7, fasc. «Lettere di Giacomo Trotti, Milano 1493, 2 gennaio – 31 dicembre», sottofasc. 6.

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    le volte fosse opportuno – com’era nell’uso consueto dei diplomatici-, il De Gennaro giustificava l’invio di una nuova, specifica («questa solum») lettera e al contempo, evidenziandola, già metteva in avviso il destinata-rio trattarsi di un fatto eccezionale. In «questa solum» missiva è anche possibile riconoscere il consueto dovere per gli oratori di dedicare ap-posite missive a notizie dell’ultimo minuto8. Seguiva il racconto, esposto, come da norma cancelleresca, con chiarezza, puntualità e in modo sin-tetico. Con esso egli dava notizia della felice riuscita del viaggio di «uno ditto il Colomba» che era riuscito ad ottenere navi dal re di Spagna, ri-soluto nel «volere andare per lo mare magior et navigare tanto per drit-ta linea per Ponente per fine che venesse allo Oriente, che essendo lo mondo ritondo per forza haveva de voltare et trovare la parte orientale». «Et cussì fece», proseguiva il De Gennaro, elencando poi i preziosi ce-spiti qui sopra citati. A confermare la veridicità di un evento così sor-prendente, tale da poter anche dare adito a incredulità in un’epoca in cui false notizie venivano ampiamente diffuse per fuorviare i nemici politici, l’oratore ’spagnolo’, precisò al fratello ’milanese’ di aver avuto una fonte di prima mano, di sicura attendibilità, trattandosi proprio della lettera con cui lo stesso navigatore aveva informato il re di Spagna, «la quale littera io ho vista», ed ancora per la seconda volta sottolineava «io ho vista la littera». Tenuto per professione ad accreditare la notizia esibendo l’autenticità della fonte, il De Gennaro volle attenersi a riferire

    8 I. LAZZARINI, Materiali per una didattica delle scritture pubbliche di cancelleria nell’Italia del Quattrocento, cit., pp. 17-18, la storica, citando l’opera di Francesco Senatore, «Uno mundo de carta». Forme e strutture della diplomazia sforzesca, precisa «Un oratore scrive da una sino a tre lettere al giorno: per lo più una lunga e ordinatamente suddivisa in capitoletti in cui ragguaglia sulle principali questioni politiche del momento, e una seconda spesso relativa a questioni di ordinaria gestione degli affari che porta avanti per conto del suo signore; se necessario, una terza aggiunge dettagli o notizie dell’ultimo minuto. Due infatti, viene chiarito nei carteggi sforzeschi, sono i precetti fondamentali del buon ambasciatore: scrivere «lettere separate», vale a dire lettere dedicate le une alla politica, le altre («miste») a questioni varie, o quanto meno ’separare’ con attenzione gli argomenti e i registri, e «scrivere iustificato», scrivere «con bona massaricia di parole», che significa sia a buon titolo «iuxta commissiones sibi faciendas», sia «con honeste parole».

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    scrupolosamente le informazioni contenute nella fonte, ossia nella lette-ra di cui era entrato in possesso. Peraltro, egli sembrava dubbioso delle stesse notizie riportate o almeno volle mantenere in proposito una sua personale distanza. Esplicitare la fondatezza o il dubbio sulle notizie raccolte era del resto un preciso dovere degli ambasciatori, e le frasi impersonali del De Gennaro lasciano trasparire proprio questo assillo sulla veridicità delle stesse informazioni trasmesse («[…] secondo quel-lo che per littera epso [Colombo] scrive […]; […] hanno trovato, se-condo dicono, pepe, lignum aloe […]; […] et le gente dellà, dice, navi-gano […]; […] et questo in questa corte se tene per certo […]; […] per il che spera [Colombo] de facili se converterano […]»). Trattandosi di lettera densa di dati, infine, si riprometteva di riuscire ad averne copia esatta, «Io credo haverò copia de la littera quale epso [Colombo] ha scripto et ve la mandarò [al fratello]». E visto che il re aveva scritto a Cristoforo ordinandogli di raggiungerlo subito, si impegnava anche a darne avviso non appena Colombo fosse ivi giunto. Pervenuta la lettera ’privata’ del De Gennaro all’illustre fratello presso la corte sforzesca di Milano, la locale rete informativa riuscì ad appropriarsene e, a differen-za di quanto l’ambasciatore napoletano non avesse potuto fare subito in Spagna con la lettera di Colombo (anche questo fa capire che l’accesso alla missiva-resoconto del genovese non doveva aver seguito strade trop-po regolari), riuscì a ricavarne due esatte copie. Una per Lodovico ’Il Moro’ che, benché quarto figlio maschio del duca Francesco Sforza, era di fatto a capo del ducato milanese in vece del nipote minorenne Gian Galeazzo Maria, primogenito del defunto duca Galeazzo Maria9. Arri-vare al potere gli era costato, ed infine aveva definitivamente debellato la legittima reggenza della madre del minore, Bona di Savoia, sostenuta dal fidatissimo Cicco Simonetta, cancelliere dotato di grande capacità organizzativa nell’amministrazione e nella diplomazia (affrontò anche il tema dei cifrari sempre più in voga presso i principi d’Italia, scrivendo

    9 G. BENZONI, Ludovico Sforza, detto il Moro, duca di Milano, in Dizionario Biografico degli Italiani – vol. 66 (2006), scaricabile all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/ludovico-sforza-detto-il-moro-duca-di-milano_%28Dizionario-Biografico%29/.

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    nel 1474 dodici regole per riuscire a penetrarne i segreti, Regulae ad extrahendum litteras ziferatas sine exemplo) e che per un certo periodo (tra il 1477 ed il 1479) era stato il vero padrone incontrastato del ducato sforzesco10. Erede politico dello stretto legame instaurato tra il ducato di Milano e il regno di Napoli, il ’Moro’ infine ne aveva minato le basi. Due matrimoni avevano cementato l’alleanza tra i due stati. Uno aveva unito (1465) Ippolita Maria Sforza (sorella del ’Moro’) ad Alfonso d’A-ragona duca di Calabria, figlio del re di Napoli Ferdinando I e destinato egli stesso a cingere la corona napoletana. Un altro sposalizio, caldeggia-to dallo stesso ’Moro’, era stato contratto (1489) tra la secondogenita nata da quest’ultima coppia, Isabella d’Aragona, con l’erede al ducato sforzesco, Gian Galeazzo Maria (essendo cugini tra loro, lo sposalizio aveva richiesto un’apposita dispensa pontificia). I rapporti vennero a deteriorarsi rapidamente proprio a seguito di tale unione, attorno agli anni ’90. Da un lato l’eccessivo potere dell’acquisito zio, reggente, Lu-dovico era avvertito come forma d’usurpazione da parte dell’aragonese duchessa di Milano Isabella e dei suoi parenti di Napoli, primo fra tutti il nonno re Ferdinando I. D’altra parte, la nascita di un futuro erede dalla giovane coppia ducale sforzesca (Francesco, nel 1491), fece avver-tire nel ’Moro’ il pericolo di perdere il potere a favore dell’ingerenza del regno aragonese. Il timore lo indusse a scelte che guastarono del tutto il legame con Napoli. Strinse strette alleanze dapprima con la Francia di re Carlo VIII che accampava pretese sul regno di Napoli (24 gennaio 1492), poi con Venezia ed il papa Borgia, Alessandro VI (25 aprile 1493), in entrambi i casi in funzione antiaragonese. In tale contesto, la preziosa lettera del 9 marzo 1493 del De Gennaro, destinata all’oratore del regno

    10 M.N. COVINI, Potere, ricchezza e distinzione a Milano nel Quattrocento. Nuove ricerche su Cicco Simonetta, Milano, Mondadori, 2018. M. PUGLIESE, Messer Cicco milanese eccellentissimo, Youcanprint, 24 mag 2017. P. PRETO, I servizi segreti di Venezia. Spionaggio e controspionaggio ai tempi della Serenissima, Milano, Il Saggiatore, 2010, pp. 263-264. F. SENATORE, Dispacci sforzeschi da Napoli (4 luglio 1458-30 dicembre 1459), (Istituto italiano per gli studi filosofici), Carlone Editore, 1997, p. 233. P.M. PERRET, Les règles de Cicco Simonetta pour le déchiffrement des écritures secrètes, «Bibliothèque de l’Ecole des Chartes», LI (1890), pp. 516-525.

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    napoletano in Milano, dovette (anche questa) essere intercettata da of-ficiali del ’Moro’ permettendogli di venirne a conoscenza e ricavarne un esemplare per sé. Non fu la sola copia riprodotta in quell’occasione. Probabilmente su consenso dello stesso Ludovico, il Trotti, che godeva ampia fiducia ricevendo talvolta dallo stesso Sforza informazioni riser-vatissime11, potè anch’esso redigere, per il suo duca estense, una perfet-ta duplicazione della lettera del De Gennaro. L’alleanza tra Milano e Ferrara all’epoca era solida, sancita da un doppio matrimonio. Lo stesso ’Moro’ e sua nipote Anna Sforza, da poco tempo e ad un solo anno di distanza l’uno dall’altro (nel 1490 e nel 1491), erano divenuti sposi di due figli dell’estense duca Ercole I, rispettivamente di Beatrice e di Al-fonso, la secondogenita e il primogenito, erede quest’ultimo alla corona ducale estense. Segnale del forte legame con Ferrara sarà anche la dispo-sizione presa dallo stesso Ludovico di imporre il color nero al suo segui-to dopo la morte dell’amata moglie Beatrice d’Este (1497). Ligio al suo ruolo di ambasciatore estense a Milano, Giacomo Trotti, come peraltro spesso soleva fare (dimostrando di essere consapevole dell’importanza dell’integrità della fonte), stilò una completa copia della lettera del De Gennaro (comprendendo anche una parte finale non concernente la scoperta geografica) ed arrogando a se stesso la responsabilità (e il me-rito) di tale decisione: «m’è parso etiam mandarla a vostra excellentia

    11 Con lettera scritta da Vigevano il 18 settembre 1485, Giacomo Trotti informava il suo duca Ercole I d’Este che «Molto secretamente m’ha dicto il sig. Ludovico [Il Moro] che Colombo Corsaro, che sta cum il re de Franza, ha preso quatro galeaze de Venetiani al capo de Sancto Vicentio, su el quale era la valuta de ducati 500/m». Cfr. FAVA-MONTAGNANI, Mostra colombiana e americana della R. Biblioteca estense, cit., p. 16. Tale ’Colombo Corsaro’ non ha nulla a che fare con Cristoforo Colombo, va identificato con Guillaume Casenove (’Colombo el Viejo’), guascone al servizio di Luigi XI re di Francia. Il genovese scopritore invece fece parte dell’equipaggio di un altro omonimo Colombo Corsaro (’Colombo el Joven’) ovvero il greco Georgias Bissipat. Quest’ultimo, anch’egli al servizio della Francia, nel 1476 attaccò presso Cadice un convoglio commerciale genovese diretto verso l’Inghilterra, la nave sulla quale era Cristoforo Colombo s’incendiò, e quest’ultimo poté scampare a nuoto, guadagnando la riva e recandosi quindi a Lisbona; cfr. M. MAHN-LOT, Colombo, Cristoforo, in Dizionario Biografico degli Italiani – vol. 27 (1982), scaricabile all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/cristoforo-colombo_(Dizionario-Biografico)/ahn-Lot.

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    [Ercole I d’Este] aciò che la intenda cosse nove». In piena correttezza e chiarezza per il destinatario, sul margine alto del foglio su cui ricopiò integralmente il testo del De Gennaro, subito tenne a scrivere «Copia de lettera diretiva al magnifico oratore regio qua resydente». L’alta pro-fessionalità del Trotti emerge particolarmente dall’attenta cura con cui trascrisse la copia, i propri lapsus calami, reintegrando il testo con le parole in un primo momento dimenticate in fase di passaggio dall’origi-nale alla copia, premurandosi persino di scrivere «voltare» nel margine basso della prima carta per indurre a proseguire la lettura girando il foglio. Allegò tale minuta al suo dispaccio del 21 aprile 1493, da spedire – indicò sul retro della lettera – «cito» (presto) per Ferrara, facendo anche presente al duca estense che lo stesso reggente sforzesco l’aveva «havuto molto cara a vedere» e ne aveva «voluto copia» anch’egli. L’o-riginale lettera dell’ambasciatore Annibale De Gennaro, o un suo rias-sunto, forse proseguì per Napoli, accompagnata da altro dispaccio del fratello Antonio, regio consigliere, al fine di dare in patria notizia della scoperta geografica che, in fin dei conti, era destinata a raggiungere re Ferrante d’Aragona. Il duca estense, peraltro alleato al re napoletano avendone sposata la figlia Eleonora (nel 1472), ricevette il dispaccio del Trotti in pochi giorni. Già il 25 aprile infatti Ercole I scriveva al suo af-fidabilissimo ambasciatore lodandolo, «vi comendemo assai, che ne ha-biati mandata dicta copia, la quale havemo lecta cum grande piacere», e disponeva che continuasse a far attenzione alle missive ricevute da Antonio De Gennaro: «se sentireti che sia scripto altro circa ciò a quel-lo magnifico oratore regio lie residente, haveremo caro ce ne diati aviso»12. Il Trotti non lo deluse, trasmettendo nuovi aggiornamenti il 10 maggio dello stesso anno con un dispaccio a cui allegava copia di un’al-tra lettera, purtroppo non conservatasi: «mando copia de una littera venuta de Spagna, de quello che da poi s’è retrovato, del tenore de quale son certo che Vostra Excellentia ne harà piacere»13.

    12 FAVA-MONTAGNANI, Mostra colombiana e americana della R. Biblioteca estense, cit., p. 22, Ferrara, 25 aprile 1493, minuta ducale a Giacomo Trotti oratore estense a Milano. 13 ASMo, A.S.E., Cancelleria, Carteggio ambasciatori, Milano, b. 7, fasc. «Lettere di

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    Mentre si diffondeva il canale informativo diplomatico attivato a sua insaputa da Annibale De Gennaro, anche i ’titolari spagnoli’ della no-tizia sviluppavano propri canali comunicativi, privilegiando da subito ben concreti aspetti mercantili: la lettera (probabilmente una copia) di Cristoforo è infatti attestata a Firenze tra il 25 e il 31 marzo 1493 tra le mani del mercante-imprenditore Juan Sanchez, fratello del tesoriere di corte spagnola Gabriel, uno dei destinatari dell’originaria lettera di Colombo. Sempre in ambito spagnolo fu poi rapidamente presa la decisione di diffondere pubblicamente la scoperta geografica, reali-sticamente, di fronte al dilagare della notizia ormai doveva convenire ricorrere alla stampa per legare apertamente l’eccezionale avvenimento alla Spagna: nei primi di aprile del 1493 a Barcellona venne pubblicata una versione in spagnolo (tipografo Pedro Posa), mentre una versione in latino, tradotta dallo spagnolo da Aliander (Leandro) de Cosco, letterato e chierico aragonese in servizio presso la curia romana di papa Alessandro VI Borgia, fu stampata a Roma il 29 aprile dello stesso anno (tipografo tedesco Stephan Plannck). Il successo editoriale fu immediato: sempre nel 1493, seguirono altre tre edizioni romane; tra 1493 e 1494 si pubblicarono complessivamente sei edizioni a Parigi, Anversa, Basilea; altre due nel 1497, una in tedesco a Strasburgo, e una in spagnolo a Valladolid14.

    Giacomo Trotti, Milano 1493, 2 gennaio – 31 dicembre», sottofasc. «maggio», dispaccio di Giacomo Trotti da Milano del 10 maggio 1493. Purtroppo l’allegato era già mancante nel 1925, cfr. FAVA-MONTAGNANI, Mostra colombiana e americana della R. Biblioteca estense, cit., p. 22.14 F. REICHERT, Asien und Europa im Mittelalter: Studien zur Geschichte des Reisens, Gottingen, Vandenhoeck &Ruprecht, 2014, p. 430. C. SPILA (a cura di), Nuovi mondi. Relazioni, diari e racconti di viaggio dal XIV al XVII secolo, Milano, Bur Rizzoli, 2013. F. SURDICH, Verso il nuovo mondo, Firenze, Giunti, 2002, p. 63.

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    2. Segretezza delle informazioni ed equilibrio politico-statuale

    Il rapido escursus svolto vuol essere un’ulteriore concreto esempio della forte attenzione nell’Italia dell’età moderna per la gestione delle informazioni, attivando efficaci ma anche fragili reti informative. Al pulviscolare quadro politico che aveva caratterizzato la penisola ita-liana nei secoli alti e centrali del Medioevo, a partire dal secolo XIII aveva fatto seguito una geografia più compatta di stati che infine giun-sero alla loro massima possibile estensione territoriale nel secolo XV. Tale frantumazione, nel contesto della debolezza dei più alti centri di potere (impero e papato), impose di costruire un sistema di stati legati tra loro, necessariamente interdipendenti, creando una nuova realtà politica, formalizzata negli accordi della Lega Italica (1455). L’abilità di tessere alleanze era base necessaria ed indispensabile per il conseguimento ed il mantenimento di un equilibrio politico-statuale, peraltro sempre precario a causa proprio delle limitatezze territoriali degli stessi stati. La Casa d’Este, come emerge anche dal caso appena considerato (Ercole I con vincoli familiari si legò a Milano e Napoli, partecipò ad alleanze con Venezia e il papa, mostrò disponibilità verso la Francia senza per questo impegnarsi per le invasioni di Carlo VIII), fu un modello d’ingegnosità nell’intrecciare intese politiche, riuscendo infine, complessivamente, come già detto, a dare stabilità di governo allo Stato, raggiungendo infine la più che discreta longevità dinastica di oltre 570 anni. Fondamentale strumento politico per conseguire e preservare il potere nell’Italia del XV-XVI secolo, come è stato ampia-mente dimostrato15, fu l’attivazione di raffinate reti diplomatiche e di informazione affidata agli ambasciatori, cui le cancellerie chiedevano

    15 N. COVINI, B. FIGLIUOLO, I. LAZZARINI e F. SENATORE, Pratiche e norme di comportamento nella diplomazia italiana. I carteggi di Napoli, Firenze, Milano, Mantova e Ferrara tra fine XIV e fine XV secolo, Roma, École française de Rome, 2015. T. DURANTI, La diplomazia bassomedievale in Italia, «Reti Medievali. Repertorio», (2009), pp. 1-9/1-11 [scheda bibliografica]. (http://rm.univr.it/repertorio/rm_duranti.html). R. FUBINI, Italia quattrocentesca: politica e diplomazia nell’età di Lorenzo il Magnifico, Milano, FrancoAngeli, 1994.

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    di scrivere in gran copia. Lo scambievole riconoscimento ed accredi-tamento che governi e cancellerie italiane attivarono tra loro, non solo riconoscendo gli atti statuali emessi dall’autorità di principi, signori e città (decreti, privilegi, mandati, concessioni, ordini, missive signorili), ma anche le ambascerie degli inviati da stati esteri16, dando valore a lettere, dispacci e missioni diplomatiche attuate da una variegata rete di funzionari (ambasciatori ed agenti), consentì a stati, città, casate italiane di legittimarsi reciprocamente. Un flusso enorme di carte, dense delle più varie informazioni e notizie (politiche in senso stretto, militari, economiche, commerciali, culturali, sociologiche, di costume), inces-santemente viaggiava da un capo all’altro della penisola, da una capitale all’altra, da un principe all’altro, da un funzionario all’altro, ed anche da un informatore all’altro, cementando alleanze, creandone di nuove e talvolta inasprendo le vecchie, se ormai avvertite come inutili. Al tempo stesso tanta comunicazione, soprattutto se particolarmente sensibile, andava preservata curandone la segretezza mediante la confezione di cifrari sicuri e inattaccabili, onde garantire quel decisivo potere d’a-zione che derivava dal disporre per tempo delle informazioni, prima di altri o in assoluta riservata prerogativa. I sistemi crittografici ideati nelle cancellerie per salvaguardare le informazioni riservate o segrete, celandole o dissimulandole17, si sedimentarono negli archivi degli Uffici della Cifra delle Cancellerie e talvolta sono giunti fino a noi.

    16 I. LAZZARINI, Il gesto diplomatico fra comunicazione politica, grammatica delle emozioni, linguaggio delle scritture (Italia, XV secolo), «Reti Medievali», pp. 1-16 (www.rmoa.unina.it/1958/1/RM-Lazzarini-Gesto.pdf). A stampa in M. BAGGIO, M. SALVADORI (a cura di), Iconografia del gesto. Forme della comunicazione non verbale dall’antico al moderno, (Atti della giornata di studio, Isernia, 21 aprile 2007), Roma, 2009. In merito agli ambasciatori la storica precisa a p. 3: «la loro presenza in seno a uno stato ospite legittimò insieme il potere che li inviava e quello che li ospitava e soprattutto la comunicazione politica che fra i due stati si instaurava grazie alla loro presenza».17 In merito alla letteratura scientifica sui cifrari a puro titolo indicativo vanno citate alcune fondamentali opere. Le numerose pubblicazioni di Giorgio Costamagna relative alla Cancelleria della Repubblica di Genova, iniziate negli anni ’50 del ’900 con Le scritture segrete usate dalla diplomazia della Repubblica di Genova, Cogoleto, Tip. Sopranzi, 1950 e Scritture segrete e cifrari della Cancelleria della Serenissima Repubblica di Genova, «Bollettino Linguistico», IX (1957), pp. 20-29, fino a Kriptographie, voce n.

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    3. La serie ’Cifrario’ (secoli XV-XVIII) nell’Archivio segreto estense

    Una precisa e chiara descrizione dell’Ufficio della Cifra viene data da Panfilo Persico, abilissimo diplomatico e stimato segretario presso varie corti ecclesiastiche e pontificie tra la la seconda metà del secolo XVI e il primo ventennio del secolo successivo18. Nel suo trattato Del segretario, edito a Venezia nel 1620, al paragrafo Delle Cifre Cap. IX, alla voce Segretari delle cifre, e lor ufficio, così precisava:

    I Principi grandi sogliono haver uno, e talvolta più Segretari delle cifre, dè quali è cura, quando viene spedito un’ Ambasciatore, ò ministro, di darglien’ una, ò più serbando le contracifre nelle quali si scrive il nome del corrispondente, e servono per interpretar ciò, che da lui viene scritto sotto cifra. Questi [i Segretari] bisogna, che faccian opra d’haver molto famigliare il cavar le cifre, ò dichiararle, perché i Signori con la

    145 in H. GUNTHER, O. LUDWIG (a cura di), Schriftlichkeit, Berlino, 1996, pp. 1608-1616. Per le chiavi e i cifrari della Cancelleria segreta del Ducato di Milano: L. CERIONI, La diplomazia Sforzesca nella seconda metà del Quattrocento e i suoi cifrari segreti, 2 voll., Roma, Il centro di ricerca, 1970. P. PRETO, I servizi segreti di Venezia. Spionaggio e controspionaggio ai tempi della Serenissima, cit., p. 261 e ss. (le cifre e gli altri mezzi occulti di comunicazione). In un contesto più ampio vanno considerati: F. SENATORE, Ai confini del «mundo de carta». Origine e diffusione della lettera cancelleresca italiana (XIII-XVI secolo), cit., pp. 256-260 / 396-417 (le cifre; errori di cifratura di decifrazione); L. BERARDI-A. BEUTELSPACHER, Crittologia. Come proteggere le informazioni riservate, Milano, FrancoAngeli, 1996; L. SACCO, Un primato italiano: la crittografia nei secoli XV1 e XVI, a cura di P. Bonavoglia, Roma, 2012. Ampia bibliografia dei testi manoscritti o editi tra i secoli XIV-XXI inerenti i cifrari è in L. SACCO, Manuale di crittologia (quarta edizione), a cura di P. BONAVOGLIA, Adria, Apogeo Editore, 2014.18 D. GIORGIO, Persico, Panfilo, in Dizionario Biografico degli Italiani – vol. 82 (2015). Panfilo Persicini, cambiato il cognome in Persico, iniziò la carriera di segretario ecclesiastico sotto il vescovo di Padova (1586) e l’arcivescovo di Monreale, ordinato sacerdote e trasferitosi a Roma fece parte della delegazione che seguì papa Clemente VIII alla presa del ducato di Ferrara (1598), continuò la carriera al servizio di cardinali (dal 1605, De Torres, Orsini e Barberini), morì nel 1625, al rientro di una rilevante missione diplomatica condotta a Parigi dal cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII. http://www.treccani.it/enciclopedia/panfilo-persico_(Dizionario-Biografico)/.

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    venuta dè corrieri possan’esser avisati subito della importanza, e del segreto delle lettere. Ma grandissima diligenza, e cautela hanno da usar particolarmente nel custodir le cifre, nè s’hanno da fidar in questa parte d’altri, che di se stessi perché si comprano a gran prezzo, come qualche sperienza ne fa fede. Però s’hanno da ripor in parte separata, e sicura, con l’ordine dè tempi, dè luoghi, delle persone, e dei maneggi, à quali hanno servito, ò servono, provedendo con simil diligenze, che non si smarriscano, e si possano haver pronte ad ogni bisogno19.

    Le fonti disponibili non permettono di fissare con continuità nel corso del tempo l’organigramma della Cancelleria estense20. A Ferrara, infatti – caso anomalo rispetto ad altre corti italiane, come Milano e Mantova – non vennero tenuti elenchi complessivi degli officiali al ser-vizio del principe, se non per brevi e circoscritti periodi. Fondamentali ma anche isolati nella loro tipologia documentaria sono due registri. Il ’Libro degli officii del duca Borso’, che raccoglie le patenti di nomina a partire dal 1451, ma venendo poi interrotto dopo pochi anni, nel 1457.

    19 P. PERSICO, Del Segretario libri quattro, ne’ quali si tratta dell’arte, e facoltà del segretario, della istituzione, e vita di lui nelle repubbliche, e nelle corti, della lingua, e dell’artificio dello scrivere, del soggetto, stile, et ordine della lettera, de i titoli, e delle cifre. Di generi universali delle lettere, e delle specie loro, delle istruttioni, e dei memoriali, Venezia, appresso l’herede di Damian Zenaro, 1620, pp. 172-179 (Delle cifre). Il trattato, con cui il Persico voleva nobilitare la professione in cui egli stesso fu abilissimo, ebbe una discreta fortuna editoriale, con cinque ristampe nel corso del secolo (Venezia 1629, 1643, 1656, 1674; Roma, 1655). Scaricabile da Google books.20 F. VALENTI, Note storiche sulla cancelleria degli Estensi a Ferrara dalle origini alla metà del sec. XVI, «Bollettino dell’archivio paleografico italiano», II-III (1956-1957), parte II, pp. 357-365, ora in D. GRANA (a cura di), Filippo Valenti, Scritti di archivistica, diplomatica e storia istituzionale, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 2000, pp. 385-394. P. DI PIETRO LOMBARDI, La Cancelleria degli Estensi nel periodo ferrarese (1264-1598), «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi», X (1975), vol. X, pp. 91-99. T. BACCHI, Cancelleria e segretari estensi nella seconda metà del secolo XV. Prime ricerche, «Ricerche storiche», xxiv (1994), n. 2, pp. 315-360: 351-359. L. TURCHI, Fonti pubbliche per la storia dello stato estense (secoli XV-XVI), «Reti Medievali», IX (2008), n. 1, pp. 1-29, a stampa in I. LAZZARINI (a cura di), Scritture e potere. Pratiche documentarie e forme di governo nell’Italia tardomedievale (XIV-XV secolo), Firenze, University Press, 2008.

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    Occorre attendere il governo di Alfonso I (1505-1534) affinché nel 1505 riprenda la pratica di registrare le nomine21. Nel 1475 a capo della Cancelleria era un referendario che coordinava sei o otto cancellieri, di-stinti tra residenti e cavalcanti (questi ultimi seguivano il duca nel corso dei suoi spostamenti), due o tre notai, un ufficiale al sigillo, due messi22. Sotto Ercole II (1534-1559) la Cancelleria era composta da sei persone: due segretari (Alessandro Guarini, Giovan Battista Giraldi Cinzio) e quattro cancellieri. Una sostanziale evoluzione avviene nei primi dieci anni di governo di Alfonso II (1559-1597) arrivando a contare sedici persone complessive. Esse comprendevano il primo segretario ducale (Giovan Battista Pigna), quattro segretari (Lucio Paganucci, ancora Giovan Battista Giraldi Cinzio, Antonio Montecatini, Battista Guarini), che però non furono sempre presenti, per cui alla guida dell’ufficio rimasero in genere non più di tre unità, a completare l’organico erano infine undici cancellieri (Archelao e Giacomo Acciaiuoli, Evangelista Baroni, Bartolomeo Griffoni, Alfonso Moro, Ercole da Novara, Batti-sta Paolucci, Giulio Piganti, Ludovico Ghillini, Pellegrino Ludovico Tassoni, Bachio Tolomei)23. Con funzione di aiutanti, ad un gradino più basso, vi erano poi i sottocancellieri. Non si dispone di riferimenti in merito all’esistenza di un vero e proprio Ufficio della Cifra. Tuttavia, le cifre prodotte dai cancellieri cifristi estensi addetti all’operazione di cifratura/decifratura per le corrispondenze segrete dei principi, vale a dire utili a cifrare le lettere da spedire e decifrare quelle ricevute, si conservano ancora, benché non in ampia quantità. Sono collocate nella serie ’Cifrario’, sezione ’Cancelleria’ del fondo ’Archivio segreto esten-se’, e compongono 8 buste contenenti i superstiti codici e sistemi di

    21 M. FOLIN, Note sugli officiali negli Stati estensi (secoli XV-XVI), in Gli officiali negli stati italiani del Quattrocento, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» (Quaderni della Classe di lettere e filosofia), IV (1997), n. 1, pp. 99-154 (distribuito in formato digitale da «Reti Medievali», pp. 1-43).22 G. GUERZONI, Le corti estensi e la devoluzione di Ferrara del 1598, prefazione di M. Cattini e M.A. Romani, Modena, Comune di Modena, 2000, p. 91.23 L. TURCHI, Un archivio scomparso e il suo creatore? La Grotta di Alfonso II d’Este e Giovan Battista Pigna, in F. DE VIVO, A. GUIDI e A. SILVESTRI (a cura di), Archivi e archivisti in Italia tra medioevo ed età moderna, Roma, Viella, 2015, pp. 217-237: pp. 230-231.

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    cifratura elaborati tra i secoli XV e XVIII. La documentazione consta complessivamente di oltre 750 pezzi tra registri, fogli sciolti e fascicoli nominali (ciascuno contenente vari codici). La redazione di un inven-tario analitico potrà dare conto della precisa consistenza della serie. In genere i cifrari sono intestati ad un solo corrispondente. Raramente sono datati, probabilmente allo scopo di preservarne la segretezza.

    Un tempo il corpus originario dei cifrari estensi doveva essere note-volmente ben più ampio. Basti considerare che, ad esempio, per i secoli XV-XVI le «zifre» ideate per gli scambi epistolari tra i membri della famiglia estense e quelle prodotte per la corrispondenza tra gli Estensi ed i principi esteri occupano rispettivamente solo una trentina circa di fascicoli nel primo caso e una quarantina nel secondo. Più di duecento sono invece le carpette contenenti i cifrari utilizzati nello stesso lasso di tempo per la corrispondenza tra il governo estense e i propri amba-sciatori all’estero. In tutti i casi si tratta di numeri chiaramente modesti in rapporto alla fascia temporale di riferimento. Ciò che interessa ri-levare comunque è che il raffronto e la proporzione tra i citati gruppi di documenti permette di evidenziare un netto squilibrio a favore dei cifrari usati dagli ambasciatori (rispetto alle cifre per codificare le mis-sive scambiate all’interno del ceppo famigliare d’Este e quelle verso i governanti esteri). Tale dato è fortemente indicativo di quanto dovesse essere intensa l’attività politico-diplomatica e d’intelligence esercitata dagli ufficiali addetti alla rete informativa. Tenendo conto che un co-spicuo numero di oratori ed agenti estensi agiva su circa una trentina di corti e centri di potere esteri, in Italia e fuori, trasmettendo quasi giornalmente uno o più dispacci, come attesta la voluminosa serie del ’Carteggio ambasciatori’ (1.699 buste, tra 1376 e 1796), le loro «zifre» superstiti sono certamente di gran lunga inferiori a quanto dovessero essere state in realtà. Per ogni corrispondente, va per di più considera-to, veniva elaborato un cifrario che subiva frequenti modifiche e variava anche in base ai luoghi e alle corti in cui l’interlocutore aveva a che fare.

    L’attuale serie denominata ’Cifrario’, con ogni probabilità, è stata ampliata partendo da una serie originaria, ossia da quella «parte sepa-

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    rata, e sicura», per usare le parole del Persico, in cui fidatissimi segretari dovevano riporre i cifrari, preservandoli dai possibili furti, considerato che «si comprano a gran prezzo». Presso la Cancelleria estense, in par-ticolare, doveva essersi formato un nucleo documentario costituito sia dai registri su cui i cancellieri cifratori/decifratori tenevano nota dei codici elaborati (le ’controcifre’), sia dai singoli fogli con cifrari (le ’ci-fre’) che gli ambasciatori, al termine del servizio prestato, restituivano assieme ai carteggi rimasti in loro possesso (istruzioni e dispacci ducali a loro trasmessi per svolgere correttamente la propria missione)24. È quanto esplicitamente attesta anche un breve messaggio indirizzato al duca Alfonso II d’Este (1559-1597), privo di data, scritto dal già citato cancelliere conte Lodovico Tassoni, che fu ambasciatore a Roma nel 1579, tra febbraio e marzo25. Così recita il testo:

    A Sua Altezza Serenissima. Serenissimo Signore et Patrone mio Colen-dissimo. Queste sono le zifre cavate ch’io mi ritrovo, potrebbe facilmen-te essere che ne fosse restata qualch’una appresso Vostra Altezza, ma non saprei affermarglielo, et faccio humilissima riverenza. Humilissimo et obedientissimo servitore, Lodovico Tas […] [la firma originaria è ora quasi illeggibile, ma una mano ottocentesca riporta chiaramente il nominativo completo sul margine alto dello stesso documento].

    Quattro fogli con 6 «ziffre» restituite all’epoca sono ancora allegate a tale biglietto, che dovette essere stato consegnato alla Cancelleria,

    24 Le istruzioni e dispacci ducali inviati agli ambasciatori e i dispacci di questi ultimi spediti alla cancelleria estense sono oggi accorpati in fascicoli nominativi intestati al nome di ciascun ambasciatore e, distinti in ordine cronologico per luogo d’ambasceria, compongono la preziosa serie della Cancelleria denominata ’Carteggi di oratori, agenti e corrispondenti presso le corti detti anche Carteggio ambasciatori’ cfr. Archivio di Stato di Modena, in VALENTI (a cura di), Guida Generale degli Archivi di Stato Italiani, cit., p. 110. G. OGNIBENE, Le relazioni della Casa d’Este coll’estero, «Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi», v (1904), vol. III, pp. 223-315.25 Cfr. in Sala studi dell’Archivio di Stato di Modena l’inventario anonimo n. 14 “Elenco ambasciatori estensi”, cit., p. 100.

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    chiuso con sigillo – ancora impresso – dell’oratore26. Questo scritto informa anche che altre cifre già utilizzate dall’ambasciatore erano rimaste presso il duca, ossia presso la Cancelleria, presumibilmente nell’Ufficio della Cifra.

    Su un’originaria serie archivistica di ’controcifre’ e ’cifre’, dovettero poi intervenire ampiamente gli archivisti almeno a partire dal secolo XIX. A questi lontani colleghi si deve l’implementazione di quanto costituiva il primo, superstite, nucleo documentario. Essi, come si evince dalle tarde grafie annotate a matita sui documenti o sui fogli di appunti lasciati all’interno delle buste, vi aggiunsero i fogli con cifrari che poterono rinvenire durante i riordini di altre sezioni documentarie, sottraendole soprattutto dal carteggio ambasciatori, visto che -come si è detto – le più attestate «ziffre» fanno appunto riferimento a questi ultimi.

    Gli archivisti ottocenteschi, ma anche novecenteschi (come testimo-niano alcune più recenti grafie), peraltro non si limitarono ad arricchire la serie estrapolando i cifrari dagli originari i fascicoli. Sotto la spinta del rigore positivistico che fece sviluppare l’interesse per la crittografia come disciplina ausiliaria della storia, gli archivisti ’modenesi’, così come avvenne in altri Archivi italiani27, si dedicarono alla faticosa ri-costruzione di cifrari desumendoli da lettere cifrate ancora conservate, ma di cui erano andati persi gli originari codici segreti. Ne è prova evidente la data «19 ottobre 1856» (l’intervento degli archivisti dunque data almeno dall’ultimo periodo austro-estense28) vergata a matita su

    26 ASMo, A.S.E., Cancelleria, Cifrario, b. 1, fasc. 1.9.27 Cfr. SACCO, Manuale di crittologia, cit., la ricca bibliografia proposta dallo studioso contempla anche un nutrito gruppo di testi italiani datati a fine secolo XIX; tra questi merita segnalare Bartolomeo Cecchetti, Armand Baschet e Luigi Pasini che svolsero ricerche sui cifrari presso l’Archivio di Stato veneziano (1868, 1870, 1873), l’abate Pietro Gabrielli che recuperò un cospicuo numero di cifre di documenti dell’Archivio di Stato fiorentino (1864-73). 28 Sotto il governo d’Asburgo-d’Este, in particolare all’epoca delle insurrezioni degli anni ’30 del secolo XIX, venne anche pubblicata un’opera che attesta un locale interesse sui cifrari, pur senza far riferimento a quelli conservati nell’Archivio segreto estense, si tratta di un opuscolo in forma epistolare: G.F. FERRARI MORENI, Intorno all’arte

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    un cifrario ricostruito, necessario un tempo per corrispondere segre-tamente con l’ambasciatore estense «Alberto Turco – Francia 1537»29. Tale documento fa parte di un gruppo di 37 decrittazioni conservate nell’ultimo fascicolo dell’ultima busta (faldone n. 8). Obiettivo degli archivisti otto-novecenteschi sembra dunque essere stato tendere ad integrare la serie delle cifre autentiche. L’assunzione di un impegno così lungo e gravoso com’è quello di ricostruire pazientemente segreti codici fa pensare ad un periodo in cui le fonti estensi fossero ormai destinate alla libera, pubblica fruizione di storici ed eruditi. Vale a dire soprattutto all’epoca dell’Unità d’Italia in cui vennero istituiti gli Archivi di Stato e nello specifico caso modenese il riferimento va al periodo successivo al 1862, quando gli archivisti erano attivi in quello che allora si denominava ’Archivio Governativo’ o (dal 1872) ’Archivio di Stato’. Merita segnalare che gli anonimi archivisti operarono nel rispetto di un corretto criterio storico-archivistico, per cui le «zifre» ori-ginali vennero lasciate in un corpus a sé stante, occupando tutti gli otto faldoni, e misero ’in appendice’, nell’ottava capsa, le decrittazioni. La moderna disciplina archivistica fondata nel secolo XIX con Francesco Bonaini sul metodo storico ed il principio di ricostruzione dell’ordine originario stigmatizza questo tipo di intervento che cozza con il com-pito proprio dell’archivista, che deve sempre astenersi dall’interpolare preesistenti criteri conservativi a propria scelta. L’innovativa teoria del Bonaini, peraltro, servì a disciplinare e contrastare quanto avveniva nella maggior parte degli Archivi, dove, come a Modena, il condizio-namento delle carte, fin da tempi lontani, era caratterizzato proprio da una forte intromissione con annotazioni sui documenti, creazione ex novo di fondi e serie, e talvolta trattando queste ultime come serie aperte per continuare ad integrarle, appunto come nel caso della serie ’Cifrario’ in esame.

    d’interpretare le cifre. Lettera del conte Giovanni Francesco Ferrari Moreni al conte Mario Dottore Valdrighi, Modena, Tipografia Camerale, 1832.29 ASMo, A.S.E., Cancelleria, Cifrario, b. 8, fasc. 4 «Cifre».

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    4. I ’Libri delle cifre’, ossia le ’controcifre’

    La prima busta, il cui dorso riporta la scritta «Metodi di scrivere in cifra. Libri delle cifre», accoglie, in tre fascicoli, differenti tipolo-gie documentarie, tra cui un interessante gruppo di diciassette registri contenenti cifrari prodotti tra i secoli XVI-XVIII. I registri hanno in genere un formato ’tascabile’ (circa cm 21-23 x cm. 15-17) e poco voluminoso (il più minuto consta di 9 carte). Particolarmente rilevanti sono due registri del secolo XVI, di dimensioni un po’ maggiori (cm. 25 x cm. 22; cm. 29 x cm. 22), entrambi avvolti da una più elegante coperta pergamenacea: uno (segnato n. 7) consta di 46 carte, è scritto fino alla carta 23 e contiene 26 cifrari, l’altro (segnato n. 11) si compone di 94 carte, è vergato fino alla carta 49 e riporta 92 cifrari. Il primo è ornato da un ’bottone’ quadrato in cuoio utile ad avvolgervi la fettuccia in pelle morbida fuoriuscente dal risvolto della coperta pergamenacea e così chiudere il registro, inoltre reca sul retro un’interessante scritta di mano coeva, «Diverse Ziffre n° 784». Significative sono pure le segnature, anch’esse coeve, vergate sulla coperta dell’altro registro: sul recto, in alto è il titolo «Cifre n. m ―

    X 9», mentre in basso a sinistra è

    il contrassegno «C 64»; sul retro della coperta è scritto «n° 9126» e, rovesciata rispetto a quest’ultima marcatura, è riportata una frase, non facilmente leggibile («…in la mite eque… gora isopi»); infine, sul risvolto interno della coperta, è tracciato un disegno schematico, ripro-ducente forse un fiore a quattro petali. Segnature con numeri così alti inducono a ritenere che in origine i registri costituissero una cospicua serie, di cui ad oggi sono reperibili solamente i diciassette sopravvissuti. Su ognuno di questi ’Libri delle cifre’, in genere, si sono alternate varie mani per redigere differenti codici, più o meno complessi ed articolati, destinati alla corrispondenza con vari interlocutori, sempre indicati sul bordo alto dei fogli. I registri, si può ritenere, vennero costruiti per accogliere la stesura definitiva dei cifrari che, nel corso del tempo, di volta in volta differenti cifristi avrebbero ideato, peraltro talvolta senza arrivare a utilizzare tutte le carte disponibili negli stessi libretti. La con-

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    siderazione ultima, insomma, è che si tratti di repertori appositamente progettati per riunire i differenti cifrari elaborati in varie occasioni da vari cancellieri per differenti corrispondenti, al fine di disporre di rapidi strumenti, sia per un comodo impiego in fase di cifratura/decifratura delle lettere, sia per tener memoria delle cifre già sfruttate onde non ripeterle per stessi corrispondenti, sia per attingervi onde ispirarsi per ideare nuovi simboli. L’ipotesi infine che emerge è che questi registri siano gli strumenti che restavano all’interno della Cancelleria. Vale a dire i registri delle ’controcifre’, come ancora li denominava il Persi-co nel suo trattato seicentesco. In rari casi sembra trattarsi di registri personali appartenenti ad un solo, specifico funzionario impegnato nel consueto lavoro di cifratura/decifratura (come i cinquecenteschi registri segnati nn. 4 e 6, ciascuno redatto da una sola mano). Un caso a sé costituisce il pezzo (segnato n.1) con cui inizia la serie ’Cifrario’, databile alla seconda metà del secolo XVI ed assegnabile ad una sola mano. In realtà, non è un registro vero e proprio. È semplicemente un insieme di 6 fogli sciolti, piegati a bifoglio, ma riuniti a formare comunque un unico corpus, come chiaramente attestano le piegature delle carte e l’originaria numerazione sequenziale delle carte che dan-no all’insieme un’idea di quaderno; infine, un’ulteriore complessiva piegatura di tutto il fascicolo cartaceo è spia di come in ultimo era stato ridotto alla dimensione di un piccolo taccuino (cm. 15,50 x cm. 10,50), soggetto a notevole uso se si considera il dorso alquanto sporco, forse anche di fango. Le caratteristiche fisiche di questo piccolo corpus, contenente una raccolta di 14 cifre30 tra cui una datata al 1552, induce a considerarlo il repertorio di un cifrista in viaggio, forse al seguito del duca Ercole II d’Este o di altro insigne dignitario estense che dovesse

    30 I codici riportati sul ’taccuino’ servivano per corrispondere con messer Giovan Francesco Lottini, col «Nigrisolo», col signor Camillo «Ursino, col Signor Antonio Maria presso l’Imperator ambasciator di S. Ex. del 1552», con messer Alfonso Trotti, col Governatore di Reggio, con messer Tommaso Zerbinati, con messer Geronimo «Ferrofino», col Governatore di Modena, coll’ambasciator di Roma, col reverendissimo di Mantova, con monsignor «Alvarotto», col reverendissimo Sermoneta, col reverendissimo Salviati.

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    esser sempre comunque edotto. Un dato molto interessante è la scritta riportata sul dorso del ’taccuino’:

    Pontificis magni corpus iacet hic Gebeardi, per quem sancta domus cre[a]vit et iste locus. Plurima donavit, que tali lege legavit: que patitur Iudas, raptor ut ipse luat. Christo deinde preces, sibi, lector, dic mise-rere. Obiit anno Domini Christi. M. 44– .

    Si tratta dell’epitaffio apposto nel 1044 sul coperchio dell’arca mar-morea dell’arcivescovo ravennate Gebeardo, tumulato nella sala del Capitolo dell’abbazia di S. Maria della Pomposa (Codigoro) di cui egli fu prodigo protettore. Quando le spoglie del presule vennero spo-state all’interno della chiesa abbaziale (13 giugno del 1630), l’antica epigrafe, ormai illeggibile, venne distrutta e trascritta su una lapide seicentesca; l’annotazione su questo piccolo libretto – se perfettamente fedele all’originaria epigrafe – potrebbe costituire una fonte storica di un certo rilievo31.

    Un’ultima osservazione va riservata al criterio di condizionamen-to applicato ai materiali in esame dagli archivisti otto-novecenteschi. Si può cioè notare che costoro, correttamente, vollero preservare tali peculiari unità documentarie, tenendole tutte assieme e risolvendo di collocarle in apertura della serie, distinguendole, inoltre, in due car-pette cronologiche: «Libri delle cifre. Sec. XVI» (11 pezzi: 10 registri

    31 Gebeardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 52 (1999), scaricabile all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/gebeardo_(Dizionario-Biografico)/. La scritta musiva venne dapprima edita in P. FEDERICI, Rerum Pomposianarum historia, I, Romae, 1781, p. 365. Il testo è esaminato anche in M. BOTTAZZI, La scrittura epigrafica nel “Regnum Italiae” (secc. X-XI), tesi di dottorato, Prof. Giuseppe Trebbi, tutore Prof. Paolo Cammarosano, Università degli Studi di Trieste, A.A. 2008/2009, p. 188, nota 62: «Pontificis magni corpus iacet hic Gebeardi, Per quem sancta domus creavit, et iste locus. Plurima donavit, que tali lege legavit, Quae patitur Iudas, raptor ut ipse luat. Christo funde preces, sibi, lector, dic miserere. Obiit anno Domini MXLIV». Dal confronto tra l’epitaffio scolpito sulla lapide nel secolo XVII e la trascrizione riportata sul ’taccuino’ cinquecentesco delle cifre, inerente l’originaria epigrafe, si notano alcune varianti.

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    e 1 fascicoletto di fogli sciolti) e «Libri delle cifre. Sec. XVII-XVIII» (6 registri)32. Nella prima busta inserirono anche un terzo fascicolo intitolato «Metodi diversi di scrivere in cifre. Sec. XVII-XVIII». Que-sto in effetti raccoglie svariati esemplari di sistemi per scritture segrete concepiti in tempi ben più lontani, tra i secoli XV e il XVI. Esempli-ficando, sono conservati un cifrario a disco girevole, che richiama il

    32 In attesa di un inventario analitico, a titolo esemplificativo si danno le seguenti descrizioni dei 63 cifrari contenuti nei primi 6 registri conservati nel primo fascicolo intitolato «Libri delle cifre. Sec. XVI». Si inizia con il già citato fascicoletto composto da 6 fogli sciolti, scritti su recto e verso, relativi a 14 cifrari, tra cui anche uno dei rari cifrari datati, una mano coeva ha infatti intitolato «Cifra col Signor Antonio Maria presso l’imperator ambasciator di S. Ex. del 1552». Seguono i registri veri e propri. In genere ciascuno di essi è avvolto in una carpetta, su ognuna delle quali una mano posteriore, forse novecentesca, ha apposto un numero di corda progressivo identificativo del pezzo, elencando anche i nomi dei corrispondenti per cui furono elaborati i cifrari contenuti in ciascun registro. Esemplificando, il registro n.ro 2 conserva 8 cifrari con vari (con don Galeazzo Pallavicino, col duca, con Antimaco, con Alfonso Cistarelli, con Alberto dalla Pigna e ben 3 cifrari colla marchesa di Mantova). Il registro n.ro 3, conserva 13 cifrari, ritenuti del 1547 circa (con il cardinale d’Este, con monsignor Giulio Alvarotti alla corte di Francia, con l’arcivescovo Festino de Santa Severina alla corte cesarea, con il reverendissimo di San Giorgio, con don Francesco d’Este, con Roma, con Camillo Ursino, con reverendissimo di Guisa e Lorena, col reverendissimo cardinale Salviati, con monsignor de Umala duca di Guisa, col duca di Savoia, con la principessa Anna, con monsignor de Urfey, col Rossetti). Il registro n.ro 4 conserva 9 cifrari (con Bonaventura Pistofilo, con Galeazzo Pallavicino, con Sua Maestà Cesarea, con Giovanni Fino, con Ettore Bellingeri, col vescovo di Tricarico e Achille Borromeo, con Alfonso Trotti, col reverendissimo Beltrando Costabili, con Alessandro «Farufino»). Il registro n.ro 5, conserva 9 cifrari (con il card. d’Este, col conte di Fusignano oratore in Francia, con don Francesco d’Este, col signor Giovanni Andrea Valentini in Polonia, col signor Pietro Strozzi in Francia, con messer Alessandro Zerbinati a Lione, per Bologna col cavalier da Castello, con la regina di Polonia, col segretario del signor Galeotto della Mirandola). Il registro n.ro 6 conserva 10 cifrari (con Roma, col conte Girolamo Montecuccoli, con monsignor Alvarotti alla corte di Francia, col conte Ippolito Turchi, col cavalier Gualengo, col cavalier Conegrani a Firenze, con monsignor Claudio Ariosti in Milano, con l’illustrissimo de Augusta et il conte Sartorio, col cavaliere de Fiaschi). E così via per gli altri registri.

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    ’disco cifrante’ inventato da Leon Battista Alberti33, e alcune schede del tipo a ’finestrella’, già ideato da Girolamo Cardano34.

    5. I cifrari su fogli sciolti, ossia le ’cifre’

    Ben diversa la tipologia documentaria conservata nelle restanti sette capse della serie ’Cifrario’. Con ogni probabilità si tratta delle cifre ’in uscita’, ossia elaborate dai cancellieri cifristi per le segreterie di duchi e principi e per funzionari e ’collaboratori’, ed a questi consegnate. Si tratta di cifrari redatti su fogli o bifogli sciolti, collocati in fascicoli e sottofascicoli nominali, intestati al nome di ciascun corrispondente, non più in ordine cronologico, bensì nel rispetto di un preciso status gerarchico, vale a dire in base alle categorie istituzionali d’appartenenza degli stessi corrispondenti. Nella seconda busta vi sono dapprima i cifrari per la corrispondenza svolta in seno ai membri di Casa d’Este (secoli XV-XVIII), seguono quelli con i principi esteri, iniziando con quelli in Italia e poi quelli fuori d’Italia (secoli XV-XVIII). Nella terza

    33 Il sistema a ’disco cifrante’ venne illustrato da Leon Battista Alberti (Genova, 1404 – Roma, 1472) nell’opera De componendis cifris (ca. 1466). Si componeva di due dischi di diverso diametro sovrapposti l’uno all’altro. Il più grande fisso, il più piccolo, girevole. Ruotando il piccolo disco (su cui erano impresse in modo disordinato le 24 lettere minuscole dell’alfabeto) sul grande (che serviva per il testo in chiaro, con 24 caselle contenenti 20 lettere maiuscole disposte in modo ordinato, le lettere U/V, I/J, H, K, W, Y, erano sostituite dai numeri 1, 2, 3, 4) si ottenevano corrispondenze tra una coppia di lettere (ad es. A = z, B = l, ecc.) potendo così sostituire una lettera all’altra. Una ’chiave’, ossia una coppia di lettere concordata tra i corrispondenti, permetteva di cifrare e decifrare i messaggi da trasmettere tra loro. L’opera poi uscì a stampa: L.B. ALBERTI, De componendis cifris, Venezia, Franceschi, 1568; De cifris, in A. MEISTER, Die Geheimschrift im dienste der papstlichen Kurie, Paderborn, 1906, pp. 125-141.34 A Girolamo Cardano (Pavia, 1501 – Roma, 1576) si deve l’invenzione delle omonime ’griglie di Cardano’. Si trattava di una scheda di forma rettangolare forata da tante finestrelle disposte a distanze differenti, entro ciascuna delle quali, appoggiata la scheda sul foglio, andava scritta una lettera della frase da celare. Al termine, tolta la scheda, gli spazi vuoti rimasti nel foglio andavano riempiti con lettere e segni a casaccio. Il sistema si complicava ulteriormente ruotando più volte la scheda.

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    busta sono le cifre con cardinali, vescovi ed altri vari dignitari (secoli XV-XVIII). Dalla quarta alla settima troviamo quelle con ambasciatori, oratori e ufficiali estensi (secoli XV-XVIII).

    L’ottavo faldone è una sorta di miscellanea di cifrari privi di riferi-mento al corrispondente. Qui in chiusura, come già detto, sono state collocate le 37 decrittazioni otto-novecentesche. Tale condizionamen-to ricalca appieno la complessiva struttura gerarchica dell’’Archivio Estense’, fissata dagli archivisti presumibilmente attorno al secolo XIX ed imposta all’intero corpus documentario estense. Il fondo ’Archivio Estense’ infatti inizia con la sezione ’Casa e Stato’ che, contenendo gli atti politico-dinastici più importanti della casata e dello stato estense, è espressione diretta del cuore pulsante del potere, assumendo il ruolo di perno centrale dell’intero complesso documentario. Le successive due sezioni attingono all’organizzazione dello stato. La ’Cancelleria’, inerente l’organizzazione politico-burocratica ed istituzionale dello Stato, contiene atti e registri elaborati dai funzionari della Cancelle-ria vera e propria (decreti marchionali e ducali, carteggi con principi esteri) e da altri funzionari (carteggi dei segretari, degli ambasciatori, degli amministratori ecc.). La ’Camera’, organo per l’amministrazione finanziaria e la gestione dei patrimoni, è in gran parte formata da re-gistri di contabilità (relativi a feudi, investiture, mandati ecc.). Il con-dizionamento assegnato dai lontani colleghi a questa parte della serie ’Cifrario’ (buste 2-8) peraltro è particolarmente utile perché già di per sé evidenzia subito a quali e quanti livelli dell’organizzazione statuale (dai principi, agli ecclesiastici, agli officiali) fosse ampio il ricorso ai cifrari per preservare la segretezza delle notizie.

    6. La struttura dei cifrari

    I cifrari presenti nella serie in esame rispettano solitamente uno sche-ma tipico e noto. Ciascuno reca dapprima l’alfabeto cifrato, ponendo a fianco di ogni lettera il corrispondente simbolo (grafico, numerico e alfabetico) e ricorrendo, in genere, al sistema a sostituzione monoal-

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    fabetica, per cui ogni lettera, sia vocale che consonante, poteva essere sostituita da più segni, denominati ’omofoni’, accorgimento che risulta essere stato introdotto nelle cancellerie a partire dalla fine del secolo XIV o all’inizio del seguente35. Seguono i simboli (grafico, numerico e alfabetico) per ciascun gruppo di consonanti doppie (bb, cc, dd, ff ecc.), altrimenti troppo facilmente identificabili. Poi è la volta delle nihil importantes, ossia i segni nullius valoris, le ’nulle’, lettere o numeri o parole svuotate di senso, utilizzate come semplici elementi grafici, inutili, inseriti nei testi per rendere difficile la decifrazioni ad estranei. Infine si trova un repertorio di parole cifrate, un elenco di nomi di persone, cariche, luoghi e termini, che, dovendo essere ripetute nel testo della lettera, potevano essere più facilmente decrittate, di qui la necessità di assegnare a ciascuno di tali parole o un solo simbolo (grafico, numerico, gruppo di lettere) oppure parole e nomi conven-zionali (cifre a gergo). Ad esempio, nella «Ziffra cum Illustrissimo et Excellentissimo Duce ferrariense, 1495 die XIII februari» [cfr. fig. 1], ossia per la corrispondenza segreta con il duca Ercole I d’Este, i nomi convenzionali erano verbi alla terza persona singolare in lingua latina, lasciando anche trasparire giudizi politici sugli stessi personaggi citati; nell’ordine sono elencati: il papa = «dolet», l’imperatore = «canit», il re di Francia = «ambulat», il re di Napoli = «plorat», il re d’Un-gheria = «sperat», la regina d’Ungheria = «stat», il duca di Milano = «splendet», il duca di Ferrara = «laborat», la signoria di Venezia = «vigilat», il cardinale Ascanio = «currit», il re di Polonia = «ardet», la duchessa di Milano = «sternit», la marchesa di Mantova = «gliscit», il duca de Oriens = «meridiat», i Genovesi = «balbutit», i Fiorentini = «franscixit». I ’Libri delle cifre’ documentano, almeno quelli redatti nel secolo XVI, anche la codificazione di gruppi sillabici. Esemplifi-cando, le sillabe ba, be bi, bo, bu/ ca, ce, ci, co, cu/ da, de, di, do, du/ ecc., corrispondevano, a determinate sequenze di numeri, rispettando

    35 G. COSTAMAGNA, Un’ottima applicazione quattrocentesca del sistema cifrante monoalfabetico, «Studi di storia medioevale e di diplomatica», Università degli Studi di Milano, II (1977), pp. 353-358: 355.

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    o invertendo la successione aritmetica (registro segnato n.1: 90, 89, 88, 87, 86/ 81, 82, 83, 84, 85/ 80, 79, 78, 77, 76/71, 72, 73, 74, 75), o secondo più sofisticati criteri (registro segnato n. 2: 22, 13, 71, 45, 91/ 92, 11, 24, 46, 58/ 12, 23, 64, 47, 49). Altre volte alle sillabe si facevano corrispondere simboli grafici o lettere con esponenti (registro segnato n. 3: y1, y2,y3,y4,y5/y6,y7,y8,y9,y10).

    7. Un cifrario datato 13 febbraio 1495, Ippolito I d’Este ed i complessi rapporti tra Ferrara e l’Ungheria

    Il suddetto cifrario, va precisato, costituisce uno dei rarissimi codi-ci segreti estensi contrassegnati da una datazione coeva. La data così esatta, 13 febbraio 1495, permette di fare una digressione sugli intensi rapporti politici tra Ferrara e l’Ungheria, peraltro iniziati fin dal secolo XIII36. La data infatti coincide con il giorno in cui il cardinale Ippolito I d’Este fece ritorno in Ungheria per riprendere il ruolo di arcivescovo di Esztergom assunto fin dal 1° aprile 1486, ad appena sette anni, grazie alla volontà della consorte del re d’Ungheria Mattia Corvino, vale a dire sua zia materna, Beatrice d’Aragona, sorella di sua madre, la duchessa di Ferrara Eleonora (moglie di Ercole I d’Este). La regina magiara, senza

    36 P. CREMONINI, Note sulle testimonianze dell’Archivio di Stato di Modena con riferimento alle relazioni Stato estense – Regno d’Ungheria, «RSU. Rivista di Studi Ungheresi», nuova serie, (2017), n. 16, pp. 105-154: 106, 117-145, 150-154. Parte dell’articolo è dedicato ai cifrari utilizzati per la corrispondenza con l’Ungheria tra i secoli XV-XVII. Relazione presentata al convegno “Vestigia. Documenti del periodo 1300 – 1500 con riferimento ungherese in quattro collezioni italiane. Bilancio di un progetto”, svolto nel campus della Facoltà di Scienze Sociali dell’Università Cattolica Péter Pázmány, Budapest, 30 settembre 2014. Il contributo è anche stato pubblicato in parte con il titolo Jegyzetek a Modenai Állami Levéltárban őrzött magyar vonatkozású forrásokról, in G. DOMOKOS, N. MÁTYUS, e A. NUZZO (a cura di), Vestigia. Mohács előtti magyar források olasz könyvtárakban, Kiadja a Pázmány Péter Katolikus Egyetem Bölcsészet- és Társadalomtudományi Kara Piliscsaba, 2015, pp. 13-30. I due contributi, in italiano ed in ungherese, sono scaricabili rispettivamente ai seguenti indirizzi: http://epa.oszk.hu/02000/02025/00033/pdf/EPA02025_RSU_16_2017.pdf; http://vestigia.hu/ vestigia.pdf.

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    figli, desiderosa di avere presso di sé una persona di famiglia dopo la morte del fratello, Giovanni d’Aragona, che fino all’ottobre del 1485 aveva ricoperto la carica di arcivescovo di Esztergom, grazie all’appog-gio della sorella Eleonora, impegnata a promuovere il figlio Ippolito, era riuscita infine a far assegnare al nipote tale carica, particolarmente rilevante in quanto colui che ne assumeva il ruolo diveniva uno dei con-siglieri più eminenti del re d’Ungheria. Giunto a Buda nel settembre del 1487, il giovane Ippolito vi rimase quasi dieci anni, finché, essendo stato promosso cardinale in absentia (20 settembre 1493, grazie al sostegno di Ludovico Sforza il ’Moro’), rientrò in Italia per ricevere personalmente da papa Alessandro VI il cappello cardinalizio. Raggiunse Ferrara l’11 agosto 1494. Anch’egli dovette assistere al drammatico ingresso in Italia delle truppe francesi di Carlo VIII, arrivato a Torino nel settembre 1495 e sceso rapidamente fino a Napoli per mettere fine al potere di re Ferdi-nando I (Ferrante) d’Aragona, padre delle sorelle Beatrice e Eleonora. Il 13 febbraio del 1495, ossia la stessa data del cifrario in esame, il giovane cardinale ripartiva alla volta di Buda, ben sapendo che ormai, caduta in disgrazia la zia regina a seguito del decesso del consorte Mattia Corvino (già alla sua morte, il 6 aprile 1490, Beatrice aveva dovuto abbandonare Buda per trasferirsi al castello di Esztergom) e sotto l’incalzante potere dei baroni e di Tamas Bakocz, astuto consigliere del nuovo re, stava iniziando una fase calante. Ippolito ritornò a Ferrara nel 1496 e giunse ad una transazione con Bakocz nel 1497, in cambio dell’arcivescovato di Esztergom ottenne il minore ma ben gestito vescovato di Eger (Agria). Farà ancora ritorno in Ungheria nel 1500 forse per accompagnare la zia Beatrice nell’abbandono definitivo dell’Ungheria quale «infelicissima Reina de Hungaria et Bohemia», come poi sottoscriverà spesso le sue missive dall’Italia a partire dal 1502, finendo col trascorrere gli ultimi anni nella sua Napoli, dove assisterà anche al tracollo della dinastia Ara-gonese. Ippolito non cessò i rapporti con l’Ungheria. Vi si recò nel 1512 a seguito di dissidi con papa Giulio II con rimpatrio a Ferrara l’anno successivo, alla morte del pontefice. Una più lunga permanenza avven-ne dal 1517 al 1519, gli esatti motivi non sono ancora noti, ma l’esame

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    che ho potuto condurre su ben 8 dispacci in cifra (alcuni, molto densi, interamente cifrati), inviati da Eger e da Buda nel 1519, taluni in rapida successione (20 aprile, 1° e 2 maggio, un altro dispaccio ed un ’poscritto’ ancora in maggio, poi, 12 giugno, 18 dicembre ed un altro ’poscritto’ senza data37) al duca Alfonso I d’Este (primogenito di Ercole I, regnante dalla morte del padre, dal 1505) da parte di Giuliano Caprili, canonico di Adria ed agente di Ippolito in Ungheria, permette di sostenere che una delle cause dovette essere l’elezione del nuovo imperatore (Massimiliano I d’Asburgo era deceduto il 12 gennaio 1519). Nell’internazionale scon-tro politico per la corona imperiale tra il re di Spagna, Carlo d’Asburgo (nel 1516, alla morte di Ferdinando il Cattolico, aveva ereditato le co-rone di Castiglia, Aragona, Napoli, Sicilia e Sardegna) e il re di Francia, Francesco I di Valois, sceso in campo temendo l’accerchiamento nemico, Alfonso I d’Este, come da tradizione alleato della Francia, sperando nelle promesse del re francese di fargli restituire Modena e Reggio dal papa Leone X (di contro, il pontefice aveva ottenuto da Carlo V la promessa di riconoscergli il possesso di Ferrara, che il papa Medici, assieme a Parma, Piacenza, Modena e Reggio, auspicava di dare in principato al nipote Giuliano), volle sostenere la candidatura di Francesco I. I sud-detti dispacci cifrati provano che a tessere il favore per la Francia si era prodigato anche il cardinale Ippolito dall’Ungheria, cercando accordi con il re magiaro che, in quanto re di Boemia, faceva parte di diritto dei sette Grandi elettori tedeschi cui spettava il compito di eleggere il nuovo imperatore. Grazie al prezioso lavoro di decrittazione svolto da un lon-tano, anonimo collega archivista sui dispacci interamente cifrati inviati dal Caprili al duca Alfonso I38 [cfr. fig. 2], è stato possibile conoscere il

    37 ASMo, A.S.E., Cancelleria, Carteggio ambasciatori, Ungheria, b.4, fasc. «Giuliano Caprili, Agria-Buda, 1519, marzo – 1520, 8 marzo». Cfr. CREMONINI, Note sulle testimonianze dell’Archivio di Stato di Modena con riferimento alle relazioni Stato estense – Regno d’Ungheria, cit., pp. 137-140.38 Le decrittazioni sono redatte su fogli conservati assieme agli originali dispacci cinquecenteschi (ASMo, A.S.E., Cancelleria, Carteggio ambasciatori, Ungheria, b.4), inoltre, con particolare zelo, l’archivista ottocentesco ha lasciato sia le minute a matita che le stesure definitive scritte ad inchiostro. L’anonimo archivista ha anche voluto ricavare

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    piano strategico di Ippolito e capire a che servivano esattamente le lettere cifrate inviate. Esse erano le copie delle missive, anch’esse interamente cifrate, inviate da Ippolito al re francese per favorirlo nella sua lotta per la corona imperiale. In particolare, nella lettera del 20 aprile 1519 Ippolito informava di aver saputo, già il 14 del mese, di accordi in corso tra Carlo d’Asburgo e Luigi II re d’Ungheria e Boemia, e che anche quest’ultimo aspirava alla corona imperiale. In caso di suo insuccesso, il re magiaro avrebbe poi con favore sostenuto l’Asburgo. Nella lettera in cifra Ippolito precisava inoltre di come egli stesse cercando di ’guadagnare gli animi’ del Consiglio e della Corte ungherese per far ottenere il loro voto al re di Francia. Tuttavia lamentava la loro volubilità: «sun tanto varij che non si può de lor promettersi cosa alcuna né pensarli conseguirla finché la non si ha in mano». In sostanza, in Ungheria il cardinale estense dava il suo contributo per un nuovo assetto dello scacchiere politico europeo ed informava puntualmente il fratello duca a Ferrara, trasmettendogli, in cifra, proprio lo stesso carteggio, cifrato, scambiato con il regno di Francia. Come noto, infine, il 28 giugno 1519 i Grandi elettori riuniti in Parlamento elessero Carlo V d’Asburgo imperatore del Sacro Romano Impero.

    8. Il cifrario tra il cardinale Ippolito I d’Este e Ludovico Sforza ’Il Moro’, databile al 1499: la fuga da Milano

    Particolarmente complesso è il cifrario redatto su un foglio sciolto custodito nel fascicolo segnato da mano ottocentesca come «Cifra con Lodovico Sforza il Moro 149.. 150..»39 [cfr. fig. 3]. Scritto fronte e retro, in parte mutilo a causa del fuoco che ha lasciato evidenti tracce di bruciature e con piegature che fan capire trattarsi di un biglietto

    la «ziffra» ricostruendola in ogni sua parte (alfabeto cifrato, nulle, doppie, repertorio di parole cifrate), cfr. ASMo, A.S.E., Cancelleria, Cifrario, b.8, fasc. 4 «Cifre, Cifra con Ungheria (1519) – Card. d’Este e Caprile Giuliano».39 ASMo, A.S.E., Cancelleria, Cifrario, b. 2.

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    Segrete scritture estensi

    destinato ad esser consegnato sigillato, come evidenzia la ceralacca di un sigillo ancora adesa, il cifrario reca un titolo di mano coeva, «Zifra cum Illustrissimo Domini Duce Milani». L’esatta identificazione di tale duca è sul verso: «Ludovicus Dux Milani (Rengens)», con a fianco i suoi tre nomi in codice:

    Cesar de Magno, Victorius Victorinus, Paulus Cisarinus. Singula isto-rum nominum significabunt Ducem Milani.

    Appena sopra questa scritta, ve ne è un’altra inerente l’altro interlo-cutore, con relativi tre nomi posticci:

    Cardinalis Estensis. Petronius Vitellus, Hieronymus Maximinus, Fabius Macer. Singula istorum nominum significabunt Cardinalem Estensem.

    La cifra in questione dunque serviva per la segreta corrisponden-za tra il cardinale Ippolito I d’Este e Ludovico Sforza ’Il Moro’. L’ambito cronologico in cui i due avrebbero potuto interloquire con questo codice è vasto, circa tra 1493 – 1508. Va infatti considerato che l’Estense – qui citato già come cardinale – ottenne la porpora nel 1493 e morì nel 1520. Lo Sforza, assunto nel 1480 il ruolo di reggente del ducato sforzesco per il nipote, Gian Galeazzo Maria, alla morte di quest’ultimo nel 1494, cui avrebbe dovuto succedere il piccolo figlio Francesco, avocò a sé il pieno potere e ottenne dai consiglieri il diritto di esibire il titolo di dux, titolo usato nel cifrario in esame. ’Il Moro’, infine, morirà prigioniero dei francesi a Loches, in Turenna, nel 1508. L’esame del documento, peraltro, permette di restringere meglio la data.

    In calce all’elenco del repertorio, che copre pressoché tutte le po-tenze statuali dell’epoca:

    papa = fallit, La Santità sua= nullus, Re de Romani = decus, La Maestà Cesarea = tedet, La Maestà sua = voluntas, Re de Hispania = facit, Re de Franza = languet, Re de Inghilterra = nequit, (ecc.)

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    Patrizia Cremonini

    e dà ampio spazio ad aspetti militari:

    Gentedarme = metus, hominidarme = ferreus, cavalli lezeri = velox, stradioti = terror, combatenti = manus, fanti = currit, allamanni = li-bens, guastatori = labor, artelleria = frangit, bombarde = timor, canoni = levis, falcon = longus, schiopeteri = necat, balestrieri = ferit, arceri = torquet, (ecc.),

    sono scritte due frasi particolarmente significative:

    El re de Franza starà a Milano = deliberavit, El re de Franza partirà da Milano per andare ultra monti = volat.

    Il riferimento va al drammatico anno 1499, in cui il nuovo re di Fran-cia, Luigi XII, scese in Italia, determinato ad impossessarsi del ducato di Milano, avanzando diritti sia in merito a questioni di discendenza, sia per la protezione già esercitata sul ducato sforzesco dal suo prede-cessore (il cugino Carlo VIII, già chiamato in Italia dallo stesso ’Moro’ nel 1494 temendo l’ingerenza degli Aragona di Napoli)40. Abilmente il re francese aveva tessuto un’accorta rete di alleanze politiche (con Spa-gna, Svizzeri, Scandinavi, Venezia e pa