Lo ‘scandalo’ Rom - Editore...2019/11/22  · Svizzera italiana: etnografia e mediazione’...

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Prima della chiusura dell’area di Galbisio nel Bellinzonese, insieme anche alla Polizia cantonale eravate riusciti a risolvere il problema delle pessime condizioni igieniche nelle quali i Rom lasciavano la struttura: è stata anche questa emergenza che ha dato origine al suo mandato. Ma perché si comportavano così? Quello dell’igiene è un problema complesso. Ho potuto appurare che ‘a casa loro’ i Rom ri- spettano ordine e pulizia. Il loro atteggiamento nelle aree di sosta deriva dall’esacerbarsi di una contrapposizione fra ‘noi’ e ‘loro’. Si tratta di individui storicamente confrontati con un atteggiamento di rifiuto e persecuzione; penso anche ai vari episodi di spari e sassate contro gli accampamenti visti in passato perfino in Ticino: una volta un proiettile si conficcò nel materasso di un bambino. In un contesto di di- stanza così profonda, i Rom sporcano quello che in realtà vedono come già sporco prima del loro arrivo, un terreno sul quale rivendicare la propria diversità rispetto ai ‘gazé’, i non-Rom. Non vogliono integrarsi, insomma. Piuttosto temono di essere assimilati a forza a una cultura non loro. In questo modo utilizza- no anche comportamenti conflittuali per ‘ser- rare i ranghi’ e mantenere la loro unicità. È la stessa posizione che li spinge a non man- dare i loro figli a scuola, a differenza degli Je- nisch. a cura di Lorenzo Erroi «Non sono razzista, ma i Rom mi fanno pau- ra». Chissà quanti di noi – mi ci metto per pri- mo – hanno sentito o perfino pensato una cosa del genere. Per questo è importante la lettura de ‘Gli altri noi’ dell’antropologa e mediatrice culturale Nadia Bizzini: perché ci aiuta a ri- specchiarci nella realtà il cui ovale viene de- scritto fin dal sottotitolo, ‘Rom e residenti nella Svizzera italiana: etnografia e mediazione’ (Ar- mando Dadò editore, 2019). È dal 2006 che Biz- zini lavora per il Dipartimento istituzioni (Di) del Cantone, col compito di gestire le relazioni fra ‘noi’ e ‘loro’: i Rom, appunto. L’esperienza sul campo si unisce al rigore della ricerca an- tropologica e il testo, pur essendo di fatto una tesi di dottorato, si lascia leggere anche come un racconto di vita. Quella che ne viene fuori è un’immagine lontana da tutti gli stereotipi det- tati dall’ignoranza: quelli razzisti, ma anche quelli di un buonismo altrettanto superficiale. Dottoressa Bizzini, cominciamo con qualche chiarimento: chi sono e quanti sono i Rom che transitano sul territorio svizzero? I Rom in transito in Svizzera sono circa cin- quemila, contando i bambini, e anzitutto non vanno confusi con quelli che si trovano nei co- siddetti campi nomadi italiani. Se a sud assi- stiamo alla presenza di persone rese già stan- ziali dalle politiche socialiste della ex Jugosla- via – per cui la stessa etichetta di ‘campo no- madi’ rischia di essere fuorviante –, i Rom che vediamo passare in Svizzera continuano i loro spostamenti e appartengono a una migrazione precedente, del primo Novecento. Si tratta di famiglie che hanno abitazioni fisse in Italia o in Francia, Spagna e Germania, dove hanno la cittadinanza. Mantengono orgogliosamente una loro lingua orale, e normalmente frequen- tano la Svizzera fra marzo e ottobre in roulotte. A loro volta, non sono da confondere con gli Jenisch (peraltro vittime di assimilazione, sterilizzazioni e affidi forzati). Certo. Gli Jenisch sono presenti in Svizzera da prima ancora che questa esistesse come stato, parlano una lingua completamente diversa da quella dei Rom e i loro spostamenti sul territo- rio non hanno mai creato problemi di igiene e ordine pubblico. Resta il fatto che una pacifica convivenza passa anche dalla creazione di un terreno comune, ad esempio proprio nell’igiene e nell’istruzione. Come vi siete mossi? Per garantire che le aree di sosta fossero la- sciate pulite, abbiamo introdotto un sistema di ricompensa. Veniva loro chiesto di depositare una caparra di cento franchi per ogni roulotte, restituiti solo se alla fine del soggiorno tutto era in ordine. Ha funzionato. Come l’esperien- za delle ‘camionette’ per portare insegnanti all’interno delle aree, in modo che potessero ri- cevere un’alfabetizzazione senza mandare i fi- gli a scuola, un’istituzione nella quale temono di ‘perdersi’. Fra gli stereotipi relativi ai Rom, c’è quello che li vuole tutti ladri e accattoni. In realtà, questi fenomeni si sviluppano a par- tire da realtà ghettizzanti come i campi noma- di italiani. I Rom che passano in Svizzera in roulotte non rubano e non chiedono l’elemosi- na, ma vivono facendo vari lavori per i quali di- spongono di un permesso: ramai, arrotini, ven- ditori di tappeti, restauratori di facciate e im- mobili. Il loro comportamento nei luoghi pubblici, però, è sempre visto come insistente e sopra le righe. Al punto di temere furti e violenze. Anche questo fa parte di un conflitto reciproco, all’interno del quale i Rom quasi si divertono a ‘dare scandalo’ per ottenere quello che voglio- no. Ricordo la scena di una donna che accom- pagnavo, che si è messa a provocare un’altra si- gnora commentando la bellezza dei suoi orec- chini. O un’altra che per essere servita prima in un negozio di telefonia ha mandato il figlio ad armeggiare con tutti i telefonini. Il tutto senza nessuna intenzione di rubare: furti e violenze, anche all’interno delle comunità, sono rari. Una volta mi cadde inavvertitamente dalle ta- sche un pacchetto di sigarette con dentro dieci franchi: subito un bambino, su indicazione della madre, me li restituì. Di fronte a problemi così complessi, a cosa serve un libro? Il mio lavoro cerca di riflettere sull’ambivalen- za delle nostre relazioni, di dare indicazioni per gestire una dinamica ineliminabile, fatta di opposizioni reciproche. Per questo sono grata a tutti quelli che mi hanno sostenuta: il Dipartimento delle istitu- zioni, i miei colleghi e direttori di ieri e di oggi; i miei due direttori di ricerca, i prof. André Pe- titat e prof. Leonardo Piasere; l’editore Dadò, che ha permesso di diffondere un lavoro de- cennale; il Fondo nazionale svizzero per la ri- cerca scientifica e il Cantone, che hanno sup- portato finanziariamente il lavoro; e la Com- missione federale contro il razzismo, che ol- tre al sostegno economico ha aggiunto il pri- vilegio di adottare il libro come manuale di mediazione. DOPO MOLTI DISAGI Comuni e accoglienza: Jenisch sì, Rom no Quella dei rapporti fra Rom e istituzioni canto- nali e municipali è un storia complessa. Un’«emergenza Rom», in Ticino, non c’è mai sta- ta: poche centinaia le persone di passaggio ogni anno. Uno sguardo agli archivi non registra pro- blemi di sicurezza per i residenti: quelli sono piuttosto legati a quei Rom che dai campi italia- ni si spingono in Ticino, ma si tratta di singoli casi, legati a bande che hanno una storia ben di- versa rispetto alle carovane che sostavano nelle nostre aree (vedi sopra). Più significativo il pro- blema igienico, quel ‘farla dappertutto’ che im- brattava le due aree utilizzate a inizio Duemila, entrambe nel Bellinzonese: Gudo e Galbisio, si- stemazioni quasi di fortuna in area golenale. La mediazione culturale era riuscita a ridurre forte- mente anche questo problema. In ogni caso, però, in tutti questi anni non si è trovata una so- luzione per la sosta dei Rom in Ticino. Va notato d’altronde che il diritto federale sviz- zero prescrive l’accoglienza dei nomadi con cit- tadinanza svizzera – in larga misura parliamo degli Jenisch –, mentre non fornisce disposizioni analoghe per i nomadi stranieri. Sta dunque ai singoli comuni decidere se mettere a disposizio- ne aree adeguate. A trovare un municipio colla- borativo ci aveva provato la Commissione canto- nale nomadi (Ccn). Costituita nel 1996, la Ccn af- frontò il problema dopo che per anni i rom di passaggio erano stati sistemati in collocazioni provvisorie, prive di servizi e requisiti che per- mettessero un’accoglienza sostenibile. Ma «vuoi perché le aree utilizzate fino a quel punto veni- vano spesso lasciate sporche e in disordine, vuoi per alcuni problemi di relazioni fra la popolazio- ne residente e i Rom, nessun comune si è reso di- sponibile», spiega Luca Filippini, Segretario ge- nerale del Dipartimento delle istituzioni. Così, nel 2012 la Ccn dovette sciogliersi. Negli ultimi tempi non si segnalano casi di pas- saggio: «Forse anche perché nel nostro contesto è diventato più difficile per loro trovare occasio- ni di lavoro», ipotizza Filippini (i rom in transito vivono infatti di piccoli commerci e servizi). Completamente diverso il quadro per quanto ri- guarda gli Jenisch, ai quali Giubiasco mette da anni a disposizione un’area dalla primavera al- l’autunno. In questo caso «la soluzione è abba- stanza duratura, e l’integrazione può dirsi riu- scita». Niente tensioni, insomma: «anzi, quasi non ci si accorge che esistano», conclude Filippi- ni. E Andrea Bersani, che di Giubiasco è stato sindaco dal 2004 al 2017 prima di diventare vice- sindaco della grande Bellinzona, conferma: «Nella misura in cui ci si parla e ci si ascolta, le soluzioni si trovano. L’accordo ha funzionato, e non ci sono mai stati problemi» Lo ‘scandalo’ Rom Conversazione con Nadia Bizzini, antropologa e mediatrice culturale Col vestito della festa FOTO: NADIA BIZZINI A Galbisio nel 2010 TI-PRESS Temuti da molti, amati da quasi nessuno, la distanza che ci separa da loro alimenta numerosi stereotipi. Ma ci sono anche i problemi oggettivi di una relazione conflittuale, che non sarebbe onesto ignorare. Prima, però, dobbiamo capire meglio di chi stiamo parlando: ci aiuta l’autrice de ‘Gli altri noi’, che con i nomadi in Ticino lavora da 13 anni. L’intervista 4 venerdì 22 novembre 2019

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Prima della chiusura dell’area di Galbisionel Bellinzonese, insieme anche alla Poliziacantonale eravate riusciti a risolvere il problema delle pessime condizioni igienichenelle quali i Rom lasciavano la struttura: è stata anche questa emergenza che hadato origine al suo mandato. Ma perché si comportavano così? Quello dell’igiene è un problema complesso.Ho potuto appurare che ‘a casa loro’ i Rom ri-spettano ordine e pulizia. Il loro atteggiamentonelle aree di sosta deriva dall’esacerbarsi diuna contrapposizione fra ‘noi’ e ‘loro’. Si trattadi individui storicamente confrontati con unatteggiamento di rifiuto e persecuzione; pensoanche ai vari episodi di spari e sassate contro

gli accampamenti visti in passato perfino inTicino: una volta un proiettile si conficcò nelmaterasso di un bambino. In un contesto di di-stanza così profonda, i Rom sporcano quelloche in realtà vedono come già sporco prima delloro arrivo, un terreno sul quale rivendicare lapropria diversità rispetto ai ‘gazé’, i non-Rom.

Non vogliono integrarsi, insomma. Piuttosto temono di essere assimilati a forza auna cultura non loro. In questo modo utilizza-no anche comportamenti conflittuali per ‘ser-rare i ranghi’ e mantenere la loro unicità. È la stessa posizione che li spinge a non man-dare i loro figli a scuola, a differenza degli Je-nisch.

a cura di Lorenzo Erroi

«Non sono razzista, ma i Rom mi fanno pau-ra». Chissà quanti di noi – mi ci metto per pri-mo – hanno sentito o perfino pensato una cosadel genere. Per questo è importante la letturade ‘Gli altri noi’ dell’antropologa e mediatriceculturale Nadia Bizzini: perché ci aiuta a ri-specchiarci nella realtà il cui ovale viene de-scritto fin dal sottotitolo, ‘Rom e residenti nellaSvizzera italiana: etnografia e mediazione’ (Ar-mando Dadò editore, 2019). È dal 2006 che Biz-zini lavora per il Dipartimento istituzioni (Di)del Cantone, col compito di gestire le relazionifra ‘noi’ e ‘loro’: i Rom, appunto. L’esperienzasul campo si unisce al rigore della ricerca an-tropologica e il testo, pur essendo di fatto unatesi di dottorato, si lascia leggere anche comeun racconto di vita. Quella che ne viene fuori èun’immagine lontana da tutti gli stereotipi det-tati dall’ignoranza: quelli razzisti, ma anchequelli di un buonismo altrettanto superficiale.

Dottoressa Bizzini, cominciamo con qualchechiarimento: chi sono e quanti sono i Romche transitano sul territorio svizzero?I Rom in transito in Svizzera sono circa cin-quemila, contando i bambini, e anzitutto nonvanno confusi con quelli che si trovano nei co-siddetti campi nomadi italiani. Se a sud assi-stiamo alla presenza di persone rese già stan-ziali dalle politiche socialiste della ex Jugosla-via – per cui la stessa etichetta di ‘campo no-madi’ rischia di essere fuorviante –, i Rom chevediamo passare in Svizzera continuano i lorospostamenti e appartengono a una migrazioneprecedente, del primo Novecento. Si tratta difamiglie che hanno abitazioni fisse in Italia oin Francia, Spagna e Germania, dove hanno lacittadinanza. Mantengono orgogliosamenteuna loro lingua orale, e normalmente frequen-tano la Svizzera fra marzo e ottobre in roulotte.

A loro volta, non sono da confondere con gliJenisch (peraltro vittime di assimilazione,sterilizzazioni e affidi forzati).Certo. Gli Jenisch sono presenti in Svizzera daprima ancora che questa esistesse come stato,parlano una lingua completamente diversa daquella dei Rom e i loro spostamenti sul territo-rio non hanno mai creato problemi di igiene eordine pubblico.

Resta il fatto che una pacifica convivenzapassa anche dalla creazione di un terrenocomune, ad esempio proprio nell’igiene enell’istruzione. Come vi siete mossi?Per garantire che le aree di sosta fossero la-sciate pulite, abbiamo introdotto un sistema diricompensa. Veniva loro chiesto di depositareuna caparra di cento franchi per ogni roulotte,restituiti solo se alla fine del soggiorno tuttoera in ordine. Ha funzionato. Come l’esperien-za delle ‘camionette’ per portare insegnantiall’interno delle aree, in modo che potessero ri-cevere un’alfabetizzazione senza mandare i fi-gli a scuola, un’istituzione nella quale temonodi ‘perdersi’.

Fra gli stereotipi relativi ai Rom, c’è quelloche li vuole tutti ladri e accattoni.In realtà, questi fenomeni si sviluppano a par-tire da realtà ghettizzanti come i campi noma-di italiani. I Rom che passano in Svizzera inroulotte non rubano e non chiedono l’elemosi-na, ma vivono facendo vari lavori per i quali di-spongono di un permesso: ramai, arrotini, ven-ditori di tappeti, restauratori di facciate e im-mobili.

Il loro comportamento nei luoghi pubblici,però, è sempre visto come insistente e sopra le righe. Al punto di temere furti e violenze.Anche questo fa parte di un conflitto reciproco,all’interno del quale i Rom quasi si divertono a‘dare scandalo’ per ottenere quello che voglio-no. Ricordo la scena di una donna che accom-pagnavo, che si è messa a provocare un’altra si-gnora commentando la bellezza dei suoi orec-chini. O un’altra che per essere servita prima inun negozio di telefonia ha mandato il figlio adarmeggiare con tutti i telefonini. Il tutto senzanessuna intenzione di rubare: furti e violenze,anche all’interno delle comunità, sono rari.Una volta mi cadde inavvertitamente dalle ta-sche un pacchetto di sigarette con dentro diecifranchi: subito un bambino, su indicazionedella madre, me li restituì.

Di fronte a problemi così complessi, a cosaserve un libro?Il mio lavoro cerca di riflettere sull’ambivalen-za delle nostre relazioni, di dare indicazioniper gestire una dinamica ineliminabile, fatta diopposizioni reciproche. Per questo sono grata a tutti quelli che mihanno sostenuta: il Dipartimento delle istitu-zioni, i miei colleghi e direttori di ieri e di oggi;i miei due direttori di ricerca, i prof. André Pe-titat e prof. Leonardo Piasere; l’editore Dadò,che ha permesso di diffondere un lavoro de-cennale; il Fondo nazionale svizzero per la ri-cerca scientifica e il Cantone, che hanno sup-portato finanziariamente il lavoro; e la Com-missione federale contro il razzismo, che ol-tre al sostegno economico ha aggiunto il pri-vilegio di adottare il libro come manuale dimediazione.

DOPO MOLTI DISAGI

Comuni e accoglienza: Jenisch sì, Rom noQuella dei rapporti fra Rom e istituzioni canto-nali e municipali è un storia complessa.Un’«emergenza Rom», in Ticino, non c’è mai sta-ta: poche centinaia le persone di passaggio ognianno. Uno sguardo agli archivi non registra pro-blemi di sicurezza per i residenti: quelli sonopiuttosto legati a quei Rom che dai campi italia-ni si spingono in Ticino, ma si tratta di singolicasi, legati a bande che hanno una storia ben di-versa rispetto alle carovane che sostavano nellenostre aree (vedi sopra). Più significativo il pro-blema igienico, quel ‘farla dappertutto’ che im-brattava le due aree utilizzate a inizio Duemila,entrambe nel Bellinzonese: Gudo e Galbisio, si-stemazioni quasi di fortuna in area golenale. Lamediazione culturale era riuscita a ridurre forte-mente anche questo problema. In ogni caso,però, in tutti questi anni non si è trovata una so-luzione per la sosta dei Rom in Ticino.

Va notato d’altronde che il diritto federale sviz-zero prescrive l’accoglienza dei nomadi con cit-tadinanza svizzera – in larga misura parliamodegli Jenisch –, mentre non fornisce disposizionianaloghe per i nomadi stranieri. Sta dunque aisingoli comuni decidere se mettere a disposizio-ne aree adeguate. A trovare un municipio colla-borativo ci aveva provato la Commissione canto-nale nomadi (Ccn). Costituita nel 1996, la Ccn af-frontò il problema dopo che per anni i rom dipassaggio erano stati sistemati in collocazioniprovvisorie, prive di servizi e requisiti che per-mettessero un’accoglienza sostenibile. Ma «vuoiperché le aree utilizzate fino a quel punto veni-vano spesso lasciate sporche e in disordine, vuoiper alcuni problemi di relazioni fra la popolazio-ne residente e i Rom, nessun comune si è reso di-sponibile», spiega Luca Filippini, Segretario ge-nerale del Dipartimento delle istituzioni. Così,

nel 2012 la Ccn dovette sciogliersi. Negli ultimi tempi non si segnalano casi di pas-saggio: «Forse anche perché nel nostro contestoè diventato più difficile per loro trovare occasio-ni di lavoro», ipotizza Filippini (i rom in transitovivono infatti di piccoli commerci e servizi). Completamente diverso il quadro per quanto ri-guarda gli Jenisch, ai quali Giubiasco mette daanni a disposizione un’area dalla primavera al-l’autunno. In questo caso «la soluzione è abba-stanza duratura, e l’integrazione può dirsi riu-scita». Niente tensioni, insomma: «anzi, quasinon ci si accorge che esistano», conclude Filippi-ni. E Andrea Bersani, che di Giubiasco è statosindaco dal 2004 al 2017 prima di diventare vice-sindaco della grande Bellinzona, conferma:«Nella misura in cui ci si parla e ci si ascolta, lesoluzioni si trovano. L’accordo ha funzionato, enon ci sono mai stati problemi»

Lo ‘scandalo’ RomConversazione con Nadia Bizzini, antropologa e mediatrice culturale

Col vestito della festa FOTO: NADIA BIZZINI

A Galbisio nel 2010 TI-PRESS

Temuti da molti, amati da quasi nessuno,la distanza che ci separa da loroalimenta numerosi stereotipi. Ma ci sonoanche i problemi oggettivi di unarelazione conflittuale, che non sarebbeonesto ignorare. Prima, però, dobbiamocapire meglio di chi stiamo parlando:ci aiuta l’autrice de ‘Gli altri noi’, che con i nomadi in Ticino lavora da 13 anni.

L’intervista 4venerdì 22 novembre 2019

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