L'Italia nel pallone - Centro Culturale Italicum · 2014-07-23 · impone peraltro un modello...

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ITALICUM maggiogiugno 2014 Periodico di cultura, attualità e informazione del Centro Culturale ITALICUM Anno XXIX Focus: l'Italia nel pallone Luigi Tedeschi: L'Italia nell'Europa della subalternità 2 Eugenio Orso: Il primo dei nostri problemi è il pd 5 Marco Della Luna: Il Paese sceglie la dittatura 7 Stefano De Rosa: Le ali tarpate del dissenso 9 Esteri Gian Luigi Cecchini: Iraq 2014: quali conseguenze sul Medio Oriente? 11 Valentina Rossetti de Scander: Cui prodest il successo degli Jihadisti in Iraq? 13 Roberta Dassie: Cosa succede in Iraq? 14 Mario Porrini: A Gaza inferno quotidiano 15 Augusto Sinagra: Diritti umani e sovranità dello Stato 17 Claudia Regina Carchidi: La ferita aperta del Venezuela 18 Cultura Costanzo Preve: Il modo di produzione comunitario Parte prima 21 Adriano Segatori: Nè eroi, nè esploratori, nè santi: solo orfani 26 Luca Leonello Rimbotti: Julius Evola e lo storicismo 27 Laura Gardin: Verso un nuovo medioevo? 30 Stefano Boninsegni: Droghe e controcultura, ieri e oggi 32 F F o o c c u u s s L'Italia nel pallone

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1ITALICUM maggio­giugno 2014

Maggio - Giugno 201 4

Periodico di cultura, attualità e informazione del Centro Culturale ITALICUM

Anno XXIX

FFooccuuss: ll''IIttaalliiaa nneell ppaalllloonneeLLuuiiggii TTeeddeesscchhii:: L'Italia nell'Europadella subalternità 2EEuuggeenniioo OOrrssoo: Il primo dei nostriproblemi è il pd 5MMaarrccoo DDeellllaa LLuunnaa:: Il Paese scegliela dittatura 7SStteeffaannoo DDee RRoossaa:: Le ali tarpate deldissenso 9

EEsstteerriiGGiiaann LLuuiiggii CCeecccchhiinnii:: Iraq 2014: qualiconseguenze sul Medio Oriente? 11VVaalleennttiinnaa RRoosssseettttii ddee SSccaannddeerr:: Cuiprodest il successo degli Jihadisti inIraq? 13RRoobbeerrttaa DDaassssiiee:: Cosa succede inIraq? 14

MMaarriioo PPoorrrriinnii:: A Gaza inferno quotidiano 15AAuugguussttoo SSiinnaaggrraa:: Diritti umani e sovranità delloStato 17CCllaauuddiiaa RReeggiinnaa CCaarrcchhiiddii:: La ferita aperta delVenezuela 18

CCuullttuurraaCCoossttaannzzoo PPrreevvee:: Il modo di produzione comunitario­ Parte prima 21

AAddrriiaannoo SSeeggaattoorrii:: Nè eroi, nè esploratori, nè santi:solo orfani 26LLuuccaa LLeeoonneelllloo RRiimmbboottttii:: Julius Evola e lo storicismo

27LLaauurraa GGaarrddiinn:: Verso un nuovo medioevo? 30SStteeffaannoo BBoonniinnsseeggnnii:: Droghe e controcultura, ieri eoggi 32

FFooccuuss

L'Italia nel pallone

2 ITALICUM maggio­giugno 2014Focus: L'Italia nel pallone

Viviamo in un'epoca di apparentimutamenti ma di di sostanziale

stabilità.L'Italia è immobile, l'adesione alla UE eall'euro hanno determinato uno stato diperenne stagnazione economica,politica, morale, che assume lesembianze non di una stabilitàistituzionale, ma che può semmaiessere paragonata ad una condizionedi rigor mortis. Questo è infatti lo statusdi un popolo incapace di reazionedinanzi alla perdita progressiva dellapropria sovranità, dei settori strategicidella propria economia, con annessadisoccupazione che si espande amacchia d'olio, di uno stato sociale chegarantiva certezze individuali ecollettive.Dopo il plebiscito pro – Renzi delleelezioni europee, scaturito più dallapressoché assoluta assenza diopposizioni capaci di interpretare ildiffuso dissenso presente nel paese,piuttosto che dal consenso su unprogramma di governo tuttora

evanescente e confuso, sembra chel'immagine mediatica abbia creato unclima di fiducia e consenso del tuttoapparente, ma comunque estraneo alladecadenza strutturale in cui versa ilnostro paese.Nonostante i verbosi proclami di Renziin sede europea, in occasione dellaapertura del semestre italiano allapresidenza del Consiglio dell'UnioneEuropea, l'Europa a giuda tedescarimane ferma sulle sue posizioni.

Flessibilità in cambio di riforme

Si chiede all'Europa più flessibilitàriguardo alla politica di austerità e alrispetto dei vincoli di bilancio, alloscopo di favorire la crescita ma, al di làdi qualche vaga promessa dellaMerkel, occorre sempre tener presenteche tali decisioni sono di competenzadella Commissione europea. La rigiditàdimostrata dalla Bundesbank riguardoal rigore finanziario rimane inalterata enon si vede quale istituzione politica inambito UE possa validamente opporsial potere dominante nella BCE dellabanca centrale tedesca. All'Italia si vapromettendo da tempo flessibilità incambio di riforme. Ma, al di là di

concessioni più o meno ampie dellacommissione, i vincoli di bilancio legatiagli accordi sul fiscal compact e sulpareggio di bilancio rimarrannocomunque immutati. Il rispetto di talivincoli comporta la devoluzione di largaparte delle risorse del paese alla UE,con conseguente sottrazione di esseallo sviluppo economico, agliinvestimenti, alle politiche sociali.La flessibilità sul rispetto di taliparametri potrebbe comportare tempipiù lunghi nell'adempimento degliobblighi assunti in sede europea (vedipareggio di bilancio e fiscal compact),oppure lo sforamento temporaneo delrapporto del 3% tra deficit e Pil, marimane inalterata la struttura di unsistema finanziario vessatorio neiconfronti dei paesi del sud della UE,che permangono in uno stato direcessione e di deflazione con effettidevastanti sulle loro fragili economie,sempre più deindustrializzate ed in calopermanente di consumi ed investimentiinterni.

Riforme o smembramento dellostato?

Al di là della immagine rassicurante diun governo proteso alle riforme, lapolitica italiana rimane ferma allaimpostazione basata sul rigorefinanziario, sulla elevata pressionefiscale e quindi sulla politica di austeritàinaugurata dal governo tecnico di MarioMonti. Si sono succeduti altri duegoverni, ma le direttive politico –economiche sono rimaste le stesse. Lospirito riformatore renziano, millantatoper una svolta epocale del nostropaese, prevede riforme impostedall'Europa onde rendere le nostreistituzioni adeguate a sostenere ivincoli finanziari europei.L'Italia è afflitta dalla subalternitàeuropea e dall'immobilismo interno. Ilcapitolo riforme ne dimostra l'evidenza.La riforma del senato che diverrebbeuna assemblea composta da membrieletti dalle regioni e da sindaci,rappresenta una ulteriore devoluzionedi poteri proprio a quegli organi dellapolitica locale che hanno contribuitocon una spesa dissennata e clientelareal degrado economico e politico dello

stato. Gli scandali susseguitisi senzasoluzione di continuità per decenni,sono esplicativi di tale stato di fatto. Sitenga inoltre conto del fatto che tra leattribuzioni di competenze del nuovosenato è previsto che esso debbavotare la legge sul bilancio: il potere dicondizionamento di regioni e comunisullo stato in tema di finanza locale nerisulterebbe ampliato.La stessa legge elettorale, conprevisione di doppio turno e premio dimaggioranza, presenta alte soglie disbarramento per i partiti minori, ondeprevenire la possibile nascita di nuoveforze politiche sorte dal dissensopopolare. Le liste elettoralirimarrebbero sostanzialmente bloccate.Lo spirito che anima tali riforme non ècerto innovativo, ma semmaiconservatore: si vuole razionalizzare ilsistema politico allo scopo dipreservare la guida del paese da partedi forze politiche (vedi PD), chegarantiscano la omologazione dell'Italiaal sistema oligarchico – finanziario

europeo.Ma l'argomento principe di questopresunto processo riformatore rimanela spending review. Si vuole in realtà,prendendo le mosse dalla conclamatainefficienza burocratica della pubblicaamministrazione, destrutturare lo stato.Riducendo la sua sfera di influenzanella vita economica e civile del paese,tramite progressive privatizzazioni deiservizi, si vuole eliminare o quasi lostato sociale e con esso, un modelloistituzionale ritenuto non compatibilecon quello del capitalismoanglosassone europeo. Appareevidente quindi che lo scopo finaledelle riforme renziane è identico aquello voluto dal governo Monti. Ildissesto finanziario dello stato el'abnorme debito pubblico non sarannocerto risanati con la spending review,che, anziché incentivare la ripresa nediverrà il principale ostacolo. In unafase economica congiunturalecontrassegnata dalla recessione e dalladeflazione, tagli alla spesa pubblicaavrebbero l'effetto di deprimereulteriormente produzione e consumo,accentuando la caduta verticaledell'economia italiana, anzichéstimolarne la crescita. Infatti i tagli di

LLuu iigg ii TTeeddeesscchh ii

L'Italia nell'Europa

della subalternità

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spesa avrebbero un effettomoltiplicatore negativo sul Pil assai piùampio dei risparmi ottenuti attraverso lariduzione della spesa pubblica. Sidovrebbe invece intraprendere unapolitica di investimenti strutturali e diespansione della liquidità prescindendodai vincoli europei, per realizzare unacrescita che renda sostenibile i taglinecessari alla spesa pubblicaparassitaria. Si instaurerebbe in talmodo un circolo virtuoso checonvertirebbe la devoluzione di risorsegià impiegate nella spesa pubblicaimproduttiva eparassitaria in risorsedestinate allo sviluppo.Tali sono le leggieconomiche e ilfallimento dellaspending review ha lastessa certezza eprevedibilità di unareazione chimica.Gli obiettivi della politicadel governo Renzipossono essere cosìriassunti: in cambio diuna presunta flessibilitàdei parametri europei, sidebbono attuare riformeche comporterebbero losmembramento dello stato edell'economia italiana. Al di là deiproclami e dell'ottimismo ufficiale, i datirecenti dell'economia italiana, cheevidenziano il decremento dellaproduzione industriale, l'aumentocostante del debito pubblico el'incremento verticale delladisoccupazione. Tale realtà èinoppugnabile. Non può esserci infattiripresa, in un contesto europeo diparametri finanziari che impedisconomisure espansive. Uno stato costrettonell'euro – gabbia dei cambi fissi e deiparametri di Maastricht, non puòemettere moneta per generare liquidità,non può svalutare la propria monetaper favorire la competitività e l'export esoprattutto, non avendo sovranitàmonetaria non può finanziare il propriodebito pubblico, oggi in larga partedetenuto dalla finanza internazionale.Anzi, lo stato oggi non finanzia lapropria economia ma i propri creditori.

Subalternità italiana all'Europa esubalternità europea all'America

La euro – dipendenza dunque siaccentua. I vincoli esterni hannogravemente limitato la nostra sovranità.Ma la coscienza di questa progressivacolonizzazione economica e politicasubita dall'Italia da parte di un'Europa

germanizzata sembra assente sia nelleistituzioni che nel popolo. Anzi, lavulgata mediatica professa la seguentetesi: le riforme in Italia sono finalmenterealizzabili grazie ad un vincolo esternoche le impone. Trattasi quindi disubalternità cosciente, di un popoloincapace di autodeterminarsi.Riemerge un atavico complesso diinferiorità di un popolo in perenneattesa messianica di un redentoreesterno. In tal modo l'Italia plaude ariforme imposte dall'Europa, ma chenessuno in Italia ha proposto e votato.

Soprattutto non c'è alcuna percezionedella dannosità di tali riforme, concepitein funzione di un disegno diasservimento dei popoli europei allasupremazia finanziaria tedesca. Ci siimpone peraltro un modello economicoche prevede una crescita incentratasull'export. Ma tale modello di crescita,come è già accaduto in tutto ilcontinente europeo, determina, insiemecon lo sviluppo dell'export, unaparallela decrescita dei consumi internie, in un paese come l'Italia già afflittoda recessione e deflazione interna, taleprospettiva non può che sortire effettidevastanti. Si aggiunga poi che lacrescita dovuta all'export ha modestericadute sulla crescita dell'economiainterna.Tuttavia, la subalternità ai vincoliesterni non è solo italiana. Anzi, essa siinserisce in un contesto politicoeuropeo fondato sulla subalternitàstorica ormai consolidata dell'Europaagli USA. L'Europa non è infatti unsoggetto autonomo in politica estera. Ilsuo modello economico, politico eculturale è subalterno agli USA.L'Europa ha rinunciato, oltre che allasua sovranità , anche alla sua storia ealla sua identità. Anziché assumersi leproprie responsabilità quale soggettoautonomo nel consesso mondiale,invoca protezione e subalternità agli

USA. L'Europa preferisce delegare lapropria sovranità internazionale agliUSA in cambio protezione ederesponsabilizzazione. L'Europavuole salvare sé stessa e i propriinteressi, confidando nel protettoratoUSA. Tale fiducia, dopo i clamorosiinsuccessi delle guerreespansionistiche americane, si èrivelata assai ingannevole: un'Europaomologata agli USA sconterà essastessa le responsabilità degli erroriamericani. L'Europa si è resaresponsabile peraltro di scelte contrarie

ai propri interessi geopolitici,assecondando i disegniimperialistici dissennati degliUSA (vedi rivoluzioni coloratee primavere arabe), i cuieffetti devastanti nel vicinooriente sono evidenti. Cosìcome l'Europa ha condiviso lastrategia americana diaggressione alla Russiaattraverso il colpo di stato inUcraina, al solo scopo diguadagnare aree diespansione economica adest, in subordine certo agliStati Uniti. L'Europa è venutameno al suo ruolo di potenzaequilibratrice, la cui assenza

si è manifestata in tutta la sua evidenzain medio oriente.

Macrocosmo e microcosmo dellasubalternità globale

E' comunque rilevabile una trasparentecontinuità tra il macrocosmo globaledella politica estera e il microcosmodella società italiana, in tema disubalternità, conformismo,disgregazione sociale. Infatti ilsuccesso elettorale di Renzirappresenta non un plebiscito diconsenso, ma di acquiescenza. Lanuova antropologia sociale ha comevalore fondante l'adeguamento,l'inserimento in una realtà economica epolitica imposta. L'attuale società èispirata alla acriticità deicomportamenti, ad una socialitàsubalterna agli equilibri oggettivi creatidall'esterno, ad una omologazioneperenne e mai del tutto compiuta in unarealtà in continua evoluzione. E' questoun aspetto rilevante dello sviluppopressoché totalitario dell'ideologia delprogresso affermatasi parallelamenteall'espandersi del capitalismoglobalizzato. Il progresso è infatti unaideologia di matrice positivista cheprevede un processo evolutivo chesegue una linea retta ascendente, i cuisviluppi sono illimitati. Pertanto il

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Non dobbiamo smettere di esplorare perchè alla fine delle nostre esplorazioniarriveremo laddove siamo partiti e vedremo il luogo in cui viviamo comese fosse la prima volta (T.S. Eliot)

Pubblichiamo dal 1998 studi e ricerche in forma saggistica, che propongonoanalisi e indagini autorevoli, approfondite e documentate del mondo in cuiviviamo, con particolare attenzione al rapporto tra uomo e natura, affrontandotemi e argomenti culturali, sociali, politici, economici e storici. Testimoni di unacrisi planetaria che avvilisce e impoverisce l'essere umano, i popoli e il PianetaTerra, proponiamo differenti stili di vita e cultura, ispirati alla sobrietà e al sensodel limite, con una vocazione pluralista.Per questo ci identifichiamo con un modello comunitario che cerca dicomprendere la complessità della condizione contemporanea, proponendorelazioni sociali antiutilitaristiche, basate sulla partecipazione e il dono,l'autosufficienza economica e finanziaria, la sostenibilità con energie rinnovabili etecnologie appropriate. La nostra proposta editoriale si propone di offrire - in forma rigorosa, madivulgativa e possibilmente economica - gli strumenti per scoprire le cause chehanno prodotto l'attuale stile di vita dissipativo e consumista e,contemporaneamente, esplorare le possibili soluzioni ecologiche legate aun paradigma olistico.La proposta editoriale si snoda secondo tre differenti percorsi che danno vita alleseguenti collane:Consapevole: testi di informazione indipendente e denuncia dal tagliogiornalistico e divulgativo che suggeriscono maggiore consapevolezza sociale,stili di vita coerenti e una nuova qualità dell'esistenza. Questa collana ha unostretto legame con la rivista Consapevole.Un'altra storia: testi di attualità che pongono domande non scontate suargomenti di attualità di grande interesse pubblico. Con un denominatore comuneche li lega tutti: dare risposte non conformiste a questioni trascurate o affrontatein modo superficiale e parziale dai mezzi di comunicazione dominanti.Autosufficienza e comunità: nuovi libri con contenuti pratici e operativi perpercorrere per la via dell’autosufficienza comunitaria e della sostenibilitàecologica. Perchè i consumi non migliorano la nostra qualità di vita, ed è arrivatoil momento di cambiare, di adottare uno stile di vita sobrio ed equilibrato.E book: una selezione dei nostri libri resi disponibili in formato digitale, perpoterne usufruire in modo economico e diffuso, su ogni supporto informatico.

Arianna editrice dal 2005 fa parte del gruppo Macro che ci ha consentito diproseguire un percorso di indipendenza editoriale che ci caratterizzafondativamente.

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Enrica PerrucchettiE book ­ Il lato B. di Matteo Renzi

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Gianni LannesItalia, USA e Getta

Arianna Editrice­ Macro Edizioni2014 pagg. 96 euro 8,33

destino dell'uomo si riassume nellaomologazione alle trasformazionirealizzate dal progresso. Da taliconsiderazioni appare evidente, comediretta conseguenza, l'imporsi di unaprecarietà, oltre che economica (lavoroprecario legato agli equilibri del liberomercato), anche esistenziale, perquanto concerne i valori e i rapportisociali.Il mantra ideologico liberista è fondatosulla precarietà globale perenne, in uncontesto socio – economico cheimpone grandi sfide e sempre nuoveopportunità, cui fa riscontro lanecessità di sopravvivenza di massecondannate all'adeguamento e alla

omologazione sociale. La societàcapitalista globale nelle sue evoluzioninon è inclusiva, ma elitaria ediscriminatoria. Sulla base ideologicaindividualistica promuove ilriconoscimento in senso cosmopolita ­globale dei diritti dell'uomo. Uomo inquanto individuo. Il capitalismo producedunque l'atomizzazione di un uomodestoricizzato e desocializzato,sintetizzato nella figura del produttore –consumatore. Disconosce invece i dirittisociali, le aggregazioni dei soggetticollettivi, i corpi intermedi spontaneipresenti nella società, destabilizza leistituzioni comunitarie, per imporre poil'omologazione alle strutture

economiche del mercato, pena la finedella sopravvivenza.Costatiamo però che il modellocapitalista vincente in occidente in varieparti del mondo viene messo indiscussione e rifiutato dai popoli. Leavventure armate americane el'esportazione globale della democraziasi sono rivelate fallimentari. Esiste unaprevedibile possibilità di riscatto ancheper l'Europa? Probabilmente si, dato ilsuccesso recente degli euroscettici, maal momento non sono prevedibili né itempi né i modi.Luigi Tedeschi

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Crisi strutturale, delocalizzazioni,disoccupazione massiva

endemica, redditi popolari in calo, lamorsa dell’euro? Certo, si tratta diquestioni rilevantissime che stannouccidendo l’Italia. Poi viene lacorruzione politico-affaristicadiffusa, che è un riflesso importantedella crisi italiana complessiva.

Schiacciati dalle oligarchie finanziarieoccidentali che hanno inventato laglobalizzazione e l’unionismo europide,costretti in un semi­stato privo disovranità alla mercé dei potentatiesterni, gli italiani, in maggioranza, noncapiscono da dove arrivano i colpi chericevono in continuazione, non riesconoa individuare il potere che li opprime,dandogli chiaramente un nome, uncognome e un indirizzo. Al punto di

offrire il consenso al pd, che di questopotere è il principale servo nel paese, ola chiave di volta a livello nazionale, sesi preferisce.Allora per ridare una speranzad’indipendenza e riscatto al paese ènecessario attaccare il pd, senzarisparmiare i colpi. Una forza diresistenza organizzata esufficientemente articolata sul territorio(se solo ci fosse!) dovrebbe averecome primo obiettivo la distruzione delpd.Ricettacolo di collaborazionisti dellemerchant bank e cane da guardianostrano dell’eurolager, diffusore dellapeggior propaganda unionista eneoliberista, il pd costituisce il cuore delgoverno collaborazionista e ha inmano, ormai, gran parte delle istituzionie delle amministrazioni pubbliche. Lostesso sistema della corruzione diffusa,di matrice politico­affaristica, ha comeprimo riferimento la formazioneeuroserva (Greganti redivivo, Orsoni aVenezia, eccetera).Si dirà che semmai il primo problema,per noi come per gli altri europei, è ilsistema di potere sovranazionale chefa capo alla grande finanza, gestitodall’alto senza intrusioni della volontàpopolare. Si dirà che il vero cuore diquesto sistema è una classe dominantespietata, che si è divorata la vecchiaborghesia proprietaria nazionale e cheimperversa determinando politiche,trattati, governi. Si dirà, ancora, che gli

strumenti di cui si vale sono gli organidella mondializzazione neoliberista, ilcontrollo della moneta e le banchecentrali private come la bce. Tutto vero,naturalmente, ma è bene comprendereche per attaccare la dimensionesopranazionale si deve prima “farpulizia” nella dimensione nazionale,spazzando via i servi locali. Per poterattaccare il nemico principale nelladimensione sopranazionale, primabisogna partire da quella nazionale, alivello inferiore, eliminando con cura isuoi servitori e ascari, immediatamenteraggiungibili e più vulnerabili.Il motivo anzidetto mi consente diaffermare che il primo dei nostriproblemi è il pd, tolto di mezzo il qualeaumenterebbero le speranze diindipendenza, di riacquisizione dellasovranità monetaria, di ripristino delleproduzioni nazionali e di livelli

occupazionali decenti. Non stoparlando di dinamiche elettorali, diseggi, di vittorie alle politiche e alleamministrative, ma, esplicitamente, diuna lotta di liberazione vera. Ecco che ilpd diventa il punctum dolens perquesto paese, o se si vuole l’ostacolointerno che ne impedisce la liberazione.Alcuni l’hanno capito, sia purconfusamente, e cercano comepossono di attaccare il pd, ma sempre,finora, in modo piuttosto blando eperciò destinato ad avere effettimarginali o nulli. Recentissima lanotizia di un piccolo atto di vandalismocontro la sede piddina in via Forlanini aFirenze. Un ordigno di fabbricazioneartigianale, piazzato nel cortile dellostabile che ospita la sede cittadina eregionale del partito collaborazionista,ha annerito una facciata e incrinato ilvetro di una finestra. Azione spicciola evandalica che la propaganda sistemicadefinisce pomposamente “terroristica”.Ebbene, non è certo questa la via percolpire il pd, procedendo con piccoli attivandalici isolati, senza ottenere alcuneffetto rilevante (se si escludono lenecessità manutentive per ovviare aldanno materiale). Altrettanto inefficaci,se non irrilevanti, sono state le azioni diprotesta (dei No­Tav, dei DisoccupatiOrganizzati) contro la sede piddinanazionale di via del Nazareno in Roma.Per non parlare dell’imbrattare i muri diedifici che ospitano circoli pd, attivitàche lascia il tempo che trova porgendo

il destro alla propaganda per gridare “allupo, al lupo!”.Sarebbe necessario togliere l’acqua alpesce con azioni sistematiche, nellalogica di un’efficace controviolenzarivoluzionaria. Quanti sono i “circoli” delpd? Dal sito ufficiale della formazioneeuroserva risulta che ce ne sono di tretipologie: territoriale, d’ambiente (luoghidi lavoro e/o di studio) e on­line. Senon erro, per quanto riguarda lanumerosità sono un po’ meno didiecimila, con una buona dispersioneterritoriale nella penisola. Logico. Sitratta dell’unica formazione politicaancora ben strutturata, presenteovunque nel paese, coccolata dalcapitalismo finanziario e sponsorizzatadai poteri forti esterni. Gran numero disedi e dovizia di risorse.Una popolazione rincretinita, indebolitae ricattabile può dare fin troppe “leve” e

adesioni al partito collaborazionista. Piùaumenta il disagio economico esociale, più c’è il rischio di scivolarenelle bassure della piramide sociale,maggiori sono le possibilità di ricattare,di creare false speranze, di plagiare peril pd. Falsi tesseramenti a parte, sonocentinaia di migliaia gli imbecilli, iricattati, i vili che aderisco al pd (nonottocentomila come si strombazza, maforse mezzo milione o qualcosa in più).In genere, costoro si sentono sicuri ecredono di contare qualcosa, oppure lofanno perché lobotomizzati, privi dicapacità di critica, ridotti nellacondizione di scambiare l’artefice delloro male per il salvatore. Per non diredelle clientele interessate.Essendo migliaia i circoli del pd,dispersi in tutte le province da nord asud, non ci sarebbero forze dellarepressione poliziesca sufficienti, con inumeri attuali, per metterli tutti sottoprotezione ventiquattr’ore suventiquattro per sette giorni settimanali.Di seguito voglio dedicarmi a merefantasie, cose che mai e poi mai oggi,per com’è l’Italia, potrebbero accadere.Prendetelo per un esercizio difantapolitica.Nel regno della pura ipotesi, senzariscontri nella realtà attuale, una forzanazionale di liberazione che avessecome primo obiettivo quello di metterefuori gioco il partito collaborazionista, oalmeno di ridimensionarnedrasticamente il livello di consenso e di

Il primo dei nostri problemi è il pd

EEuuggeenn iioo OOrrssoo

6 ITALICUM maggio­giugno 2014Focus: L'Italia nel pallone

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isolarlo nel paese, dovrebbe far tesorodelle considerazioni sviluppate finora.Anzitutto, niente azioni estemporanee,individuali, improvvisate, che avrebberoun impatto molto limitato provocando, alpiù, la caduta di qualche calcinaccio,l’imbrattamento dei muri o la rottura diqualche vetro. Niente tentativid’irruzione di manifestanti disarmati insedi importanti, come quella delNazareno, che sono protette se nonblindate, ma attacchi sistematici,pianificati, a sorpresa e ben distribuitisul territorio nazionale, che siconcentrerebbero contro circoliperiferici poco vigilati, distanti dacommissariati e caserme deicarabinieri, dove tutti si aspettano chenulla possa accadere. I danni materialie biologici conseguenti avrebberol’effetto di ridurre il consenso (dellaparte peggiore della popolazione) alpartito euroservo, inducendo non pochia prendere le distanze, a nonrinnovare le tessere, ad andarsene agambe levate, a non supportareapertamente. Questioni di sicurezzapersonale. Non andarsela a cercare,soprattutto se non si hanno ideali onon si ha il necessario coraggio perdifenderli. Ciò toglierebbeprogressivamente l’acqua al pesce,isolando sempre di più traditori ecollaborazionisti nel contesto sociale,rompendo il filo clientelare che porta

tessere e voti.Tornando alla realtà, dopo un breveesercizio fantapolitico nel regnodell’immaginario, dobbiamo riconoscereche pur essendo il pd il primo dei nostriproblemi, e quindi il nemico interno dasconfiggere, certe azioni vandaliche

raffazzonate, come quella di Firenzedella scorsa notte, si possono evitareper alcuni buoni motivi: a) i dannimarginali, talora inesistenti, che siproducono; b) il battage mediatico chesfrutta l’accadimento, a favore delsistema e del pd, ribaltando la frittata;c) la possibilità che un certo numero diazioni di questo tipo offra il destro perinasprire la repressione e colpire ildissenso. Buone ragioni per desistere ecercare forme di lotta più paganti,puntando con intelligenza a conseguirerisultati. Con il peggiorare e l’estendersidella situazione di disagio sociale(siamo a sette milioni fra disoccupati einoccupati “scoraggiati”), è possibileche i piccoli atti vandalici contro le sedidel pd si moltiplichino. Avanzando ilmalessere e il bisogno, si riesce ariconoscere più facilmente il veronemico. Ciò non toglie, però, chequeste azioni scoordinate, blande eimprovvisate possono fare più male chebene agli stessi che le compiono. Inmancanza di un chiaro progetto politicoalternativo e di strutture organizzate diliberazione, il pd collaborazionista edeuroservo continuerà a tenere in pugnoil paese (per conto terzi) e i danni aisuoi “circoli” potranno essere facilmentee prontamente riparati.Chi vuol capire capisca …Eugenio Orso

Enrica Perrucchetti ­ Gianluca MarlettaLa Fabbrica della Manipolazione

Arianna Editrice, 2014pagg. 208 euro 8,33

7ITALICUM maggio­giugno 2014 Focus: L'Italia nel pallone

I L PAESE SCEGLIE LA DITTATURA:ampio consenso trasversale siraccoglie intorno alla riforma delpotere contenuta nel combinatoNuovoSenato-Italicum. Bisognaprendere atto della realtà: l’ Italia, nelsuo complesso, vuole, con volontàcostituente, un capo forte e unico,che controlli politicamente anche gliorganismi di controllo. Dà più fiduciaalla persona che alle regole. Cosìsia. E che tecnicamente questariforma realizzi non solo unsuperamento del modello liberale diStato di diritto, ma una dittatura verae propria, non vi è dubbio, comespiegherò.

CONCILIARE RAPPRESENTANZA,GARANZIE E GOVERNABILITAQuesti obiettivi erano perfettamenteconciliabili adottando un bicameralismodifferenziato, così:

a)Fiducia e legislazione ordinaria(governabilità): competono alla Cameraeletta (ogni 4 anni) con sistemamaggioritario e che può essere scioltaprima della scadenza come ora.

b)Leggi e riforme costituzionali, elezionidi capo dello Stato, giudicicostituzionali, membri del CSM,authorities: competono al Senato eletto(ogni 6 anni) senza sbarramenti eproporzionalmente, in modo darappresentare tutto il corpo votante, enon lasciare fuori milioni di elettoricome farebbe l’Italicum”; non puòessere sciolto prima della scadenza.

NON LO SI E’ FATTO PERCHE’L’OBIETTIVO E’ UN ALTROLla dittatura della partitocrazia, ossia lacombinazione di concentrazione deipoteri nelle mani del segretario delpartito di maggioranza relativa con lasoppressione dei controlli sull’operatodei politici, della partitocrazia –soppressione ottenuta col fatto che ilsegretario del partito di maggioranzarelativa nomina o fa nominare non soloi parlamentari, ma anche gli organidi controllo e di garanzia, compreso ilcapo dello Stato, e condizionadirettamente il potere giudiziario. E puòcambiare la Costituzione. Non è un

regime garantista, perché il leaderpolitico controlla gli organi di garanzia econtrollo e non ha più checks andbalances. Non è nemmeno unademocrazia, perché i parlamentari sononominati e perché si può ottenere lamaggioranza assoluta, quindi pienipoteri, anche con un mero 20% dei voti,che può essere pari al 10%dell’elettorato.

VI E’ UN MALINTESO SULLADITTATURALa gente può dare consenso allariforma dittatoriale in corso pensandorazionalmente che sia giusto, che siauna speranza, se un giovane premier si

prende tutto il potere, perché altrimentinessuno avrà la forza di scalzare iparassitismi, il vecchiume, i blocchi diinteresse, etc. Solo che i leadersdiventano tali (e vincono le primarie,quando ci sono) essenzialmente pereffetto di accordi affaristici di spartizionedelle risorse pubbliche e di quelleprivate (tasse, patrimoniale)­accordi sia interni al partito, che conforze esterne al partito (dalla Chiesaalle grandi imprese alle banche alleassicurazioni alle mafie), che coninteressi esterni al Paese (banchierifranco­tedeschi, governo USA).

Quindi la dittatura in preparazione nonsarà la dittatura del nuovo e delgiovane, ma della partitocrazia e degliinteressi discutibili e spessoantinazionali. Il renzismo èl’aggiornamento della partitocrazia, nonla sua. Se non fosse così, nonaccorrerebbero tutti ad aiutare ilvincitore, da Sel al M5S, passando perneocentrodestristi e forzisti,politicanti veterani e novellini.

Chi gestirà il premier, gestirà il Paeseintero.

Ricordo che cos’è la politica italianadegli ultimi anni: la spartizione dellerisorse (aziende, risparmi, capitali,redditi…) tra la partitocrazia (infatti tutti ipartiti salgono sul carro di Renzi perpartecipare al banchetto) e i poteri fortidella finanza soprattutto straniera. Ladittatura, il super­premier, servono a

loro, a garantire la rendita al capitalefinanziario improduttivo e devastante, aspesa dei cittadini. Credo che lemanovre di autunno, indispensabilivisto il continuo aumentare del debitopubblico e della disoccupazione, ce loconfermeranno tangibilmente.

L’UOMO DELLA PROVVIDENZA 2014:RENZI A STRASBURGO

Renzi: l’uomo della provvidenza 2014.Il più efficiente ufficio governativo èquello delle pubbliche relazioni diMatteo Renzi – anche se forse non hasede in Italia… Renzi è riuscito adaumentare popolarità e seguito sia

nella base che nel ceto politico adispetto del totale mancamento al suoscadenziario di riforme, a dispetto dellascoperta che il suo vantato ottenimentodella “flessibilità” all’ultimo verticeeuropeo era un bluff, e persino adispetto del perdurante cattivoandamento socio economico. Per nondire della sua raggelante slealtà versoLetta (Enrico, stai sereno!”). La suacapacità comunicativa è più forte deifatti. Batte Berlusconi. Il suo successoè stato reso possibile da un marketingraffinato, in cui importantissimo è ilmodo come Renzi previene o schiva iltipo di situazione in cui potrebbe esseremesso in difficoltà, ossia il confrontodiretto, serio, approfondito sui risultati esui programmi concreti che vuole e puòeseguire – confronto da cuispiccherebbe la sua inconsistenza infatto di analisi economica e di strumentidi intervento – quindi apparirebbel’illogicità infantile della fiducia ripostain lui. Per evitare questo tipo disituazione sfavorevole, egli ha cura diapparire sempre impegnatissimo, inmovimento veloce, così che chi lovuole trattenere con domandepenetranti e serie andando oltre lasuperficie appaia, per contrasto, comeuno che intralcia il manovratore, noncome uno che vuole legittimamentesapere dove si sta andando e con chemezzi. Anche col linguaggio nonverbale, Renzi esprime il concetto:scusate, non ho tempo ora, devo faredi corsa cose importantissime eurgenti. Ci vediamo poi. Trasmette

Il Paese sceglie la dittatura

MMaarrccoo DDeell ll aa LLuunnaa

8 ITALICUM maggio­giugno 2014Focus: L'Italia nel pallone

l’impressione che chi gli vuole porredomande di merito in realtà sia uno chefa perder tempo. L’uomo dellaprovvidenza 2014 non ha mai tempoper i consuntivi. Come i suoi duepredecessori, sa che quando arrivano iconsuntivi la bolla delle speranzesfloppa. La sua forza sta nel rilanciarele speranze: a 100 giorni dapprima,oggi a 1.000… il momento dellaverifica va sempre allontanato.Anche quando è andato, il 2 luglio,a tenere il suo discorso inauguraleal Parlamento europeo, doveva,prima del discorso, discutere con isuoi europarlamentari. Situazionepericolosa nel senso suddetto, cheegli ha evitato arrivando solo 40minuti prima dell’inizio del discorso,così che i suoi stessi uomini nonhanno potuto approfondire con luialcunché. Analogamente, dopo ildiscorso, ha eluso la conferenzastampa nella quale qualchegiornalista indipendente potevametterlo in difficoltà interrogandolosu tutti i temi che nel suo discorsoaveva evitato, ed è volato via perconcedersi al salotto sicuro diBruno Vespa. Ora veniamo aldiscorso. Renzi ha esorditoavvertendo che il programmaoperativo lo aveva depositato allapresidenza del Parlamento in formascritta E che quindi nel discorsonon avrebbe parlato delprogramma. Il programma, cioè, èuna conoscenza riservata ai livellisuperiori; per il grande pubblico vabene lo show. Ancora oggi mi risultache quel programma non sia statodivulgato. Quindi anche il duelloverbale con la Bundesbank su debito eflessibilità ha poco o punto significato. Ildiscorso in questione è tutto forma,contenitore, e zero contenuti. Ilcontenitore è fatto di enunciatiideologici, figure retoriche, evocazioniculturali di bassa qualità, affermazionivelleitarie. È tutto rivolto all’elettoratoitaliano, perché Renzi ha cercato diaccreditarsi come difensore degliinteressi nazionali (mentre non lo ècome non lo erano Letta e Monti),nonché di attrarre a sé consenso esimpatia esprimendo giudizi, proteste,accuse, sogni in cui si può ritenere chese riconoscano molti strati popolariitaliani: noi siamo bravi, noi facciamoriforme sostanziali, noi diamo più diquanto riceviamo, noi non accettiamolezioni da nessuno, la colpa è deglialtri, noi abbiamo una grande storiadietro le spalle, noi abbiamo diritto areclamare flessibilità anche perchéessa è condizione per il successo

anziché insuccesso dell’Europa stessa.Renzi, parlando a braccio, ha fatto ilgigione, o il ganzo, come si dice inToscana, ma con una caricatura dellatoscanità, uno stile che i miei amicitoscani trovano forzato e grossolana,anche nell’ostentazione dell’accento edi alcune caratteristiche fonetiche

locali. Insomma, di fronte a unasituazione gravemente critica e che sievolve in modo sfavorevole, di fronte algrande dramma sociale, di fronte allacrescente diseguaglianza entro i paesieuropei, di fronte al fatto che le zonadell’euro cresce la metà dei paesidell’OCSE, Renzi, davanti a tuttaEuropa, parla di Ulisse e Telemaco, diorgoglio nazionale, di sentimenti eideali, di accoglienza ai migranti, e nondi cose concrete. Tratta il suo pubblicocome un insieme di deficienti. Molti, ineffetti, lo applaudono. E’ stato unospettacolo disgustoso. Siccome le cosein Europa vanno palesemente male,molto male, e le tensioni continuano adaumentare, un approccio serio,professionalmente nonchépoliticamente onesto, sarebbe statoincentrato sull’analisi di questi mali edelle loro cause, per proseguire conuna motivata proposta di soluzionioperative. Renzi avrebbe dovutorilevare che l’UE ha applicato unateoria economica, con le sue ricette ele sue riforme – tra cui l’austerità – cheda anni i fatti stanno smentendo,

perché essa non produce risanamentodel debito ma aggravamento; e nonproduce stabilità ma instabilità; e nonproduce sviluppo ma recessione; e nonproduce convergenza ma divergenzatra le economie dei paesi europei; enon produce occupazione ma precari,disoccupati e sottoccupati. Se i fattismentiscono le loro previsioni, lateoria e la ricetta probabilmente sonoerrate, e non si tratta di aumentare diqualche centesimo percentuale laflessibilità del meccanismo, ma diprendere atto che la teoria è falsaperché confutata dai fatti, come si fa inogni ambito scientifico. Medesimodiscorso vale per l’Euro e i suoi effettireali. In quanto alle riforme, che Renzie i mass media presentano al popolocome contropartita per la “flessibilità”,dobbiamo ricordare che quelle riformevengono dalla medesima teoriaconfutata dai fatti, e fanno parte diquella linea di riforme del settorebancario e finanziario che hannopermesso, in Europa come inAmerica, le maxi­bolle e le mega­truffebancarie che, oltre alla crisi bancariamondiale, con la loro ricaduta sullefinanze pubbliche, hanno prodotto lacrisi dei debiti sovrani, dei debitipubblici, in cui stiamo dibattendoci. E’proprio il caso di continuare su quellalinea? E se vogliono continuare, qualè il loro fine? Precipitare le nazioni incondizioni di miseria e asservimentodal potere bancario? Renzi avrebbedovuto rilevare che quella teoria

smentita dai fatti, quei principi dipareggio di bilancio e liberalizzazionefinanziaria pure essi smentiti dai fatti,ormai li difende solo la Germaniaassieme ai suoi satelliti, e li difende nonper ragioni “scientifiche”, ma soloperché ne trae un vantaggio a spesedegli altri paesi, in quanto ne assorbecapitali e altre risorse. Quindi il veroproblema è un conflitto oggettivo diinteressi, e la trattativa, da parte diquesti paesi svantaggiati, puòfunzionare solo se prospetta allaGermania la scelta secca, con unarigida data di scadenza, tra un accordoper nuovo sistema finanziario emonetario da una parte, e dall’altraparte un piano B, di rottura, in cui laGermania abbia da perdereseriamente. Altrimenti niente tuteladegli interessi nazionali, ma solofandonie. E la disputa coi falchitedeschi è probabilmente solo unamessa in scena per illudere il popolodegli sprovveduti.Marco Della Luna

Marco Della LunaCimit€uro

Arianna Editrice, 2012pagg. 456 euro 10,96

9ITALICUM maggio­giugno 2014 Focus: L'Italia nel pallone

Nell’Italia della democraziasospesa, della

coincidentia oppositorumassurta a sistema, dellabancarotta finanziaria e dellamoneta unica esiste ancora lapossibilità di esprimere ildissenso? L’imperante visioneunidirezionale della storiasembra far propendere peruna risposta negativa.

L’erosione irrefrenabile della sovranitànazionale da parte di strutturecomunitarie estranee ai principidemocratici, lo sradicamento pianificatodei valori identitari da parte deicolonizzatori multiculturali, il passaggiodal governo pubblico dell’economia al

controllo bancario della politica sonosoltanto alcuni dei virus inoculati neldiritto positivo e realizzati conl’entusiasmo servile o, nella miglioredelle ipotesi, con l’ignavia di unacollettività non più adusa adautodeterminarsi, cloroformizzata dallacomplicità interessata di élitessubalterne. Eppure il malcontento cova,il deficit partecipativo aumenta, iltentativo dell’intermediazione politicatradizionale di interpretare le istanzesociali di cambiamento è fallito.

La domanda iniziale potrebbe essereformulata diversamente. Ci si dovrebbechiedere se esista la capacità diesprimere alterità, di aggregareopposizione ad uno sviluppo a sensounico delle vicende umane, siano essesocio­politiche od economiche. Unaopposizione non da tradurreriduttivamente in senso parlamentare omovimentista, ma ideale, intellettuale,di coscienza.

La pseudo cultura dominante cherifugge dall’esercizio dello spirito criticoha difatti invaso e pervade ognirecondito anfratto del vivere civile. Ogniaspetto delle relazioni sociali è viziatodal pensiero unico, dove per esso nonsi intende, certamente, solol’omologazione al produttivismoefficientista in ambito economico,

l’adesione fideistica al razional­liberalismo in quello politico o larinuncia all’eccellenza e al merito incampo sociale, in nome di una rincorsacompiaciuta quanto inarrestabile versola mediocrità e il pauperismo.

Il pensiero unico è anche ottusità,convenzione, marginalizzazionedell’antagonismo. L’unico antidoto allarassegnazione ad una integrazionemassificata è rappresentato dallacapacità di produrre pensiero fecondatodall’anticonformismo in grado discardinare anacronistiche rendite diposizione.

Coincidentia oppositorum, abbiamodetto. Ebbene gulag e dissidenza – ci sipassi la provocazione – nonrappresentano più i poli estremi econtrapposti di un continuum di

posizioni: ormai il dissenso con tutte lesue sfumature finisce per esserecomodamente espresso nei gulagpolitico­istituzionali, editoriali, culturali,perfino mentali. Ormai ci si autoemendae, facendolo, si tenta di accreditare unmessaggio di dissidenza (si prendono,cioè, le distanze da se stesso), diautonomia di giudizio da ciò che sipensa, di alterità. La gabbia, dunque,assurge ad a priori e costituisce lacondizione di possibilità di esistere epensare. Chi è fuori (dalla gabbia) èout. Appunto.

Nel desolato ed imbarazzantepanorama politico italiano le sparuteposizioni dissidenti all’interno di partiticome Pd o Fi durano lo spazio di unavigilia di voto in commissione, diun’intervista, di un talk show. Passato ilmomento di notorietà esovraesposizione mediatica tuttorientra: prevale allora l’ossequio allasintesi democratica, al senso diresponsabilità verso gli elettori(trascurando l’art. 67 della Costituzioneo nascondendocisi dietro); nel casodelle invasate del premier – promosseal Nazzareno, a Palazzo Chigi o aStrasburgo – domina invece il mantradelle “riforme che gli Italiani cichiedono”.

Le amazzoni riformiste dimenticano,

tuttavia, che il popolo al qualeipocritamente e furbescamente sirichiamano è solo quello dei due milioniche pagarono l’obolo alle primarie perbocciare la politica dello smacchiatoredi giaguari e quello del 25% (non del41%) che ha votato Pd per eleggere irappresentanti italiani al parlamentoeuropeo pensando fraudolentementeche si trattasse di un giudizio sullescelte governative di politica interna.Una consultazione, quella del maggio2014, che in Italia ha dunque sancito,per significato ed esiti, l’incapacità diintendere e di votare di una parterilevante di elettorato ridotto alla famedi idee, disposto a negoziare il propriovoto per ottanta euro.

La partita della lotta democraticaall’autonomia di giudizio si gioca anchee soprattutto sul piano comunicativo e

propagandistico. Ormai il dissenso –secondo il moderno ed invasivoMinculpop – è divenuto sinonimo diostruzionismo e l’ostruzionismo èparagonato ai sassi sui binari delpaese, dunque delle riforme e degliItaliani. E qui il cerchio, anzi il discorotto dei furbetti (e delle furbette) delNazareno si chiude. Slittamentisemantici e pericolosi sillogismi sono,pertanto, prassi ordinaria nella ricercadel consenso.

La stessa pantomima delle frondeinterne e delle scissioni rispondonoinvero ad un medesimo disegno: lacorsa sul carro del vincitore. Sempreminacciate e mai attuate, se provenientidall’interno del pachiderma democrat,poiché le battaglie – si sa – sicombattono meglio dall’interno e lasintesi delle posizioni, poi, rafforzal’unità del partito e la stabilità delpaese. A proposito diautoemendamento e di presa didistanza dalle proprie idee.

Facilmente maturate e prontamenteattuate, invece, se coinvolgentiformazioni e gruppi parlamentari i cuiprogrammi in campagna elettoraleveicolavano messaggi di alterità e diopposizione alla derivaliberaldemocratica della sedicentesinistra. I casi delle fuoriuscite da Sel e

SStteeffaannoo DDee RRoossaa

Le ali tarpate del dissensoDesolante ritratto di un paese molto "democratico"

appiattito sul presente

1 0 ITALICUM maggio­giugno 2014Focus: L'Italia nel pallone

soprattutto dal M5S confermano ildissenso ad orologeria e la facilità diabbracciare – ovviamente dopo “lunga”riflessione ed intensasofferenza – i colori dellanormalizzazione, stantel’irresistibile attrazioneverso l’omologante epotente calamita“democratica” ed ilpensiero unico, anzicomodo.

Un esempio, più e megliodi altri, può sintetizzare lasituazione senza uscita esenza speranza di unpaese guidato da inetticonvinti di saper e poterdecidere. Oltre dieci annifa – ben prima della crisiavviata nel 2007 – chiscrive ravvisò l’esigenza di uscire dallegabbie asfissianti dei parametricontabili europei – perfino ricorrendoallo stimolo dell’inflazione – al fine di

favorire domanda aggregata, sviluppodi lungo periodo e quindi buonaoccupazione. A distanza di un

decennio, il fenomeno al governo tuttoselfie e twitter ha intrapreso la battagliaper allentare i parametri di Maastricht,ma con una ratio esattamente oppostaa quella attenta alle ragioni della

solidarietà e della sostenibilità sociale.

Smantellamento di diritti e garanzie peraumentare il Pil, venditadel patrimonio pubblicoper attrarre i capitali delpescecanismofinanziario, abolizionedel Senato per snellire ilprocesso decisionalevengonomediaticamenteveicolati comeopportunità sulla stradadelle “riforme che gliItaliani ci chiedono”. Sitratta solo di politichemiopi e senza strategieche ben si attagliano achi è culturalmenteappiattito sul presente enon ha alcun interesse

(e mandato) a produrre durevolibenefici al futuro benessere nazionale.Stefano De Rosa

"Questo libro è obbligatorio da leggereper coloro che si sono impegnati ainvertire la rotta della guerra e dellaconquista imperialista da parte della piùimponente macchina bellica delmondo" Michel Chossudovsky ­Direttore del Centro per la Ricerca sullaGlobalizzazioneOriginata dalla Guerra Fredda,l’esistenza della North Atlantic TreatyOrganization era giustificata qualeargine di difesa nei confronti di ogniminaccia sovietica nei confrontidell’Europa Occidentale.Tale ragion d’essere è da lungo temposvanita con il collasso dell’UnioneSovietica e la fine della Guerra Fredda.Nonostante ciò la NATO ha continuatoa espandersi senza sosta proprio versoEst, in direzione del suo antico nemico.La Jugoslavia in particolare hacostituito un punto di svolta perl’Alleanza Atlantica e il suo mandato.L’organizzazione ha mutato il proprioquadro strategico da difensivo inoffensivo sotto il pretestodell’umanitarismo.Proprio partendo dalla Jugoslavia laNATO ha intrapreso il proprio camminoverso la globalizzazione, andando ainteressare un’area di operazioni piùestesa al di fuori del continenteeuropeo.Assurta via via sempre più a simbolodel militarismo statunitense e delladiplomazia dei missili, la NATO ha agitocome braccio del Pentagono ed è statadislocata nelle zone di combattimento

dove sono stati impegnati gli Stati Unitie i loro alleati.Dov’è finito l’originario scopo difensivoper cui la NATO è stata creata?Quali sono i progetti occulti chesottendono a questa organizzazione?Scopri la Globalizzazione della Nato,tra Guerra imperialista e colonizzazionearmata

IndiceRingraziamentiPrefazione. Le avvertenze di unconsigliere del Segretario generaledell'ONU, di Denis J. Halliday1 Uno sguardo d'insiemesull'espansionismo della NATO:prometeismo?2 L'UE, l'espansionismo della NATO e ilPartenariato per la Pace3 La Jugoslavia e la reinvenzione dellaNATO4 La NATO in Afghanistan5 Il Dialogo Mediterraneo (DM) dellaNATO6 La NATO nel Golfo Persico.L'Iniziativa per la sicurezza nel Golfo7 La penetrazione nello spaziopostsovietico8 La NATO e gli alti mari. Il controllodelle rotte marittime strategiche9 Il progetto dello scudo missilisticoglobale10 La NATO e l'Africa11 La militarizzazione del Giappone edell'Asia­Pacifico12 L'avanzata nel cuore dell'Eurasia:l'accerchiamento di Russia, Cina e Iran13 Le controalleanze eurasiatiche14 La NATO e il Levante: Libano e Siria15 L'America e la NATO rapportati conRoma e gli alleati peninsulari16 Militarizzazione globale: alle portedella terza guerra mondiale?NoteAppendice. La strada per Mosca passada KievFonti delle Illustrazioni

Mahdi Darius NazemrayaNato ­ Libro

Guerre imperialistee globalizzazioni armate

Arianna Editrice 2014, € 15,30

11ITALICUM maggio­giugno 2014

Nelle scorse settimane abbiamotutti appreso le notizie

provenienti dall’ Iraq, notiziepreoccupanti che hanno sollevato innoi non pochi interrogativi.Ci siamo chiesti, infatti, come mai dopodue interventi militari delle armate“democratico­occidentali” in Iraq, unaoccupatio bellica protrattasi, dopo ilsecondo intervento del 2003, per benotto anni, dopo gli sforzi degli “istruttori”militari e civili occidentali per riformarel’esercito iracheno e le forze di polizialocali, dopo il ritiro delle truppestatunitensi – giustificato con l’ormaiacquisita capacità di intervento­difesadelle forze itrachene –, ecco, come maidopo tutto ciò qualche migliaia dicombattenti jihadisti riescono ad averela meglio su un esercito che si vuolebene equipaggiato e militarmenteinquadrato.Non entriamo nel merito delle risibiliargomentazioni dell’ex Primo Ministro

britannico, Blair, secondo il quale lasituazione deve imputarsi all’Occidenteche non ha saputo/voluto intervenireprontamente in Siria, mentre non cisarebbe alcuna causa ex ante daricondurre ai due interventi in Iraq del1991 e del 2003. D’altronde per unfedele suddito di ben due maestà,quella britannica e quella statunitense,non ci si può attendere uno sforzo diriflessione e di analisi. Il servo, loschiavo, privi di senso critico (e,quando serve, di autocritica) non sioppongono e non fanno valere leproprie ragioni, limitandosi piuttosto allacieca obbedienza, come tanti soldatiniben inquadrati. Desideriamoprecisiamo che sua magnificenza Blairera tutt’altro che cieco e gli interessidella Gran Bretagna ha saputodifenderli con lungimiranza.Dunque, la notte del 6 giugno u.s., icombattenti jihadisti hanno occupato ipunti nevralgici di Mosul, capoluogodella provincia di Ninive, nell’Iraqsettentrionale. Nelle stesse ore, altrijihadisti hanno attaccato Ramadi(provincia di Al Anbar), occupatol’Università e preso in ostaggionumerosi studenti.Da quelle due importanti operazioni, glieventi hanno subito una improvvisaaccelerazione: cadono ampie areedella provincia di Ninive, Kirkuk,

Salahuddin e, dopo aver assunto ilcontrollo di Tigrit, città natale deldefunto Presidente Saddam Hussein, icombattenti si sono diretti versoBagdad.Come si può facilmente intuire, fortianche delle conseguenze di altrevicende belliche, la situazione di caosvenutasi a creare in una delle culledella civiltà medio­orientale ha vistocentinaia di migliaia di profughiabbandonare le aree interessate alconflitto e, nel caso di specie, ironiadella sorte, dirigersi verso il Kurdistaniracheno che – a suo tempo oggetto deibombardamenti chimici dell’aviazione diSaddam, come si disse – fu uno deimotivi all’origine del secondo interventodelle “forze liberatrici” dell’Occidentedemocratico.Quello cui stiamo assistendo è,probabilmente, l’inizio di un conflittodestinato a durare a lungo. Giunti aquesto punto, a maggior ragione si

impone il tentativo di fornire unarisposta agli interrogativi iniziali, chepotremo riassumere in un0’unicadomanda: come hanno fatto i ribelli aconquistare in pochi giorni una partecosì estesa del territorio iracheno? Finoa poco tempo addietro non si avevacontezza di cosa fosse l’Isil, l’acronimoche indica lo Stato islamico dell’Iraq edel Levante. Si inizia ad averne una piùchiara visione proprio a seguito degliavvenimenti sopra indicati, con cui ilgruppo salafita­jihadista, un tempolegato ad Al Qaeda, ha voluto dare unaprova di forza militare e politicoistituzionale al tempo stesso.L’occupazione militare statunitensedell’Iraq aveva già posto l’asticella dellaviolenza a livelli molto alti, ma mai lefrange radicali della ribellione armataavevano ottenuto un successo militaredi rilievo anche solo comparabile aquello dell’Isil.Aggiungasi che l’avanzata dei ribelli hapoi un valore anche simbolico di nonpoco conto, posto che avviene dopol’annuncio dei risultati delle lezionilegislative del 30 aprile, vinte con uncerto margine dal Primo Ministrouscente, gradito agli USA eall’Occidente, Nuri al Maliki, sciita enemico giurato dei jihadisti. A questoproposito, rimaniamo sconcertati (si faper dire) del fatto che gli ispettori

presenti in Iraq per controllare che leelezioni si svolgessero in un climacorretto e rispondente ai criteri didemocraticità richiesti, abbiano potutoaffermare che, nonostante isolatiepisodi di violenza, complessivamentesi poteva affermare che le elezioni sifossero svolte con regolarità. Bah? Anoi risulta che il clima fosseintimidatorio, tant’è che si sono avutiattentati a sedi elettorali, attentatisuicidi, mani mozzate a chi s’era recatoalle urne…, ma forse questo è ciò chela democrazia oggi accetta come maleminore. Chissà, dovremmo prendereesempio e trarre anche noi qualcheconclusione, che non sia solo parolaia.Dall’inizio del 2014, lIsil, operante inIraq e in Siria, ha moltiplicato gliattacchi e gli attentati suicidi, spessocompiuti da jihadisti stranieri, tra cuimolti europei e, tra questi, anche degliitaliani. Il dato che riteniamo vadasottolineato, su cui varrebbe la pena

indagare a fondo, è che durante gliscontri sono morti centinaia di civili e dicombattenti dell’Isil, i quali hannomostrato di non temere lo scontro conl’esercito iracheno. Perché? Soloeroismo o stupidità individuale? Operché si conoscono i punti didebolezza di questo neo costituitoesercito iracheno?Fin dalla sua creazione, nell’ottobre del2006, pochi mesi dopo la morte di AbuMusad al Zarqawi, l’amico del jihad inIraq, l’Isil ha perseguito due obiettiviche lo distinguono dagli altri gruppiribelli e da Al Qaeda. Da un lato, loStato islamico non considera la sualotta in una prospettiva nazionale, quasifosse un jihad di difesa contro unpotere giudicato illegittimo, statunitenseprima, iracheno poi. L’Isil sembramuoversi secondo un’otticaconfessionale e panislamista il cui ruolocentrale sarebbe dato dallaeliminazione degli sciiti dall’Iraq, dallaSiria e, in futuro, da tutto il MedioOriente. Secondo i jihadisti, si tratta diuna condicio sine qua non perconseguire il vero obiettivo finale, ossiala restaurazione di un califfato sunnitain tutto il mondo mussulmano che puòrinascere solo attraverso la creazioneimmediata di uno Stato islamico. Sottoquesto profilo, l’Isil può dirsi abbiapreso consapevolmente le distanze

Iraq 2014: quali conseguenze

sul Medio Oriente?

GGiiaann LLuu iigg ii CCeecccchh iinn ii

Esteri

1 2 ITALICUM maggio­giugno 2014

Europa Libreria Editrice ­ Edizioni Settimo Sigillo

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Esteri

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dalle indicazioni del comando centraledi Al Qaeda e del suo leader, l’egizianoAyman al Zawahiri, secondo il quale,invece, si dovrebbe prima proseguire econcludere il jihad e poi pensare allarealizzazione di un conseguenteprogetto politico. L’Isil, viceversa, èconvinto che solo realizzando unprogetto politico si potrà istituire il

califfato e potranno essere risolti iproblemi dei sunniti iracheni e siriani, inlotta contro regimi consideratimiscredenti e tirannici. Riteniamo ilprogetto dell’Isil più pericoloso proprioperché politicamente meglio costruito,più fondato. Non si può nonconsiderare, infatti, che di fronte a unprogetto politico di larga portata,prospetticamente invasivo nella realtàmedio orientale, sarà anche più facilearruolare miliziani per questa nuovabattaglia, con tutto ciò che ne

conseguirà. Secondo l’Isil, Maliki in Iraqe Bashar al Assad in Siria sono, inquesta prospettiva, due ostacoli perchéfacce di una stessa medaglia.D’altronde, se guardiamo alla storiadell’Iraq dopo il 2003 non si può noncostatare come, a ogni tappa crucialedella transizione, i sunniti iracheni nonsolo siano rimasti ai margini della vita

politico­istituzionaledel Paese, ma i lorostessi tentativi dipartecipareattivamente alla vitapolitica siano statideludenti. È accadutosia con il Fronte dellaconcordia, l’alleanzadei partiti sunnitiformatasi alla fine del2005 in vista delleelezioni, sia con lalista Iraquiya, lacoalizione dell’exPrimo ministro laicoIyad Allawi, che ha

ottenuto la maggioranza dei voti allelegislative del 2010, ma poi non èriuscito ad andare al potere per lemacchinazioni del più scaltro e subdoloMaliki, che in ciò, non è da escluderlo,potrebbe essere stato aiutato daglioccidentali. I sunniti non si sono mairipresi da quell’affronto, il che li haportati a privilegiare lo scontroall’incontro, la radicalizzazione dellalotta più che la scelta dellamoderazione e della tattica politica. Aciò deve aggiungersi che il Governo di

Bagdad ha rinunciato a “fare politica”nel momento stesso in cui ha deciso dinon impegnarsi nel favorire ladistensione riannodando un dialogointerrotto, ma anzi, dopo il ritiro delletruppe statunitensi, alla fine del 2011,ha inasprito le sue posizioni e lanciatouna campagna di repressione su largascala.Gian Luigi Cecchini

1 3ITALICUM maggio­giugno 2014 Esteri

Stupore: ecco la parola che più emeglio di ogni altra esprime il

nostro stato d’animo dopo avereappreso la notizia di quanto stavaaccadendo in Iraq.Stupore: sì, ancora stupore, perchépare che la dietrologia sia demodé esia considerata un inutile eserciziointellettuale, mentre noi pensiamo siaquanto mai utile ricordare che «cuiprodest scelus is fecit» [Seneca,Medea]. Il titolo, pertanto, può noncasualmente sembrare capzioso.Insomma, diceva il Senatore GiulioAndreotti, «a pensar male si fapeccato, ma alle volte ci si azzecca».La domanda che ci poniamo è: da dovearriva la forza militare dei jihadisti,insomma chi li finanzia? Sembra uninterrogativo tanto scontato quantopoco indagato se si guarda allasuperficialità o al silenzio che i mediahanno assunto come criterio dicondotta sul problema. A occuparsene

è stato The Guardian, che peròinterpreta i fatti tendendo conto dellasua “britannicità” e dei conseguentiinteressi in gioco del Paese d’OltreManica.Due giorni prima della conquista diMosul da parte dell’Isil, gli iracheni neavevano catturato il corriere più fidato,noto all’interno del gruppo estremistaislamico come Abu Hajjar. Dopoestenuanti interrogatori è crollato e nonsolo ha rivelato il nome del capomilitare dell’Isil, ma pare abbiaanticipato ciò che sarebbe accaduto dilì a poco a Mosul. Alcune ore dopoAbdulrahman al Bilawi, l’uomo perconto del quale faceva da corriere eche aveva cessato di proteggere,veniva ucciso nel suo nascondiglio nonlontano da Mosul. Dalla casa di questie da quella del prigioniero sono statesequestrate 160 chiavette usbcontenenti informazioni dettagliate sulgruppo terroristico. Tra questespiccavano i nomi veri e di battaglia deicombattenti di origine straniera, leidentità dei capi più anziani e i loronomi in codice, le iniziali delle talpe neiministeri e, dulcis in fundo, resocontisulle finanze del gruppo. Una brillanteoperazione di intelligence delle forzeirachene che hanno portato alla luce

una situazione che, si dice, abbialasciati esterrefatti gli stessi agenti dellaCIA. Ne frattempo, non solo si stavaavverando a Mosul quanto giàanticipato dal prigioniero, ma in tregiorni lo Stato islamico e del Levante(Isil) è avanzato conquistando ancheTigrit e minacciando Kirkuk. Ciò cheemerge è che gli uomini di tre divisionidell’esercito iracheno hannoabbandonato le divise e disertato: népiù né meno di quanto era già accadutocon il forte ed equipaggiatissimoesercito iracheno in occasione dei dueinterventi occidentali, esercitoliquefattosi in men che non si dica.Non c’è dubbio, comunque, che lasconfitta dell’esercito iracheno di fronteai jihadisti abbia cambiato radicalmentegli equilibri di potere in Iraq, indebolito ilPrimo ministro Nuri al Maliki, permessoalle forze curde di assumere il controllodella città contesa di Kirkuk e innescatouna reazione degli sciiti che minaccia il

già fragile equilibrio geopoliticodell’area. Ebbene, noi siamo dell’avvisoche tutto ciò non sia possibile senzaingenti entrate finanziarie cui il gruppoterroristico evidentemente sa di poteraccedere. Da alcune verifiche compiutesubito dopo l’arresto del corriere di cuis’è detto in precedenza, risulta cheprima della conquista di Mosul i jihadistidisponessero di poco meno di 900milioni di dollari in beni e in contanti. Inseguito, con i beni rubati alle banche egli equipaggiamenti militari di cui sisono impadroniti, la cifra sarebbe salitaa due miliardi e trecento milioni didollari: disponibilità enorme se siconsidera che l’organizzazione è natasolo pochi anni fa.Inoltre, l’Isil sembra dotato di notevoleacume strategico, attento com’è aidettagli: i leader del gruppo sono statiscelti con cura, mentre molticombattenti di rango inferioreprovengono da una lunga esperienza dilotta condotta contro le forzestatunitensi e non conoscono i nomi deiloro compagni. Sarebbe un errore,tuttavia, trarre da ciò l’impressione diun’organizzazione innovativa sotto ilprofilo della struttura intera, perché, aben vedere, si tratta di regole proprie diqualsiasi organizzazione di resistenza o

a sfondo terroristico. Ciò che piùcolpisce, invece, è che le entratedell’Isil, come scoperto dai servizisegreti stranieri, provengano oltre dallosfruttamento dei pozzi petroliferi nell’estdella Siria, area controllata dallo Statoislamico dal 2012, e dalla rivendita diparte del petrolio allo stesso governosiriano. È proprio vero che pecunia nonolet, anche quando si è costretti atrattare con il nemico e questo ècostretto a pagare ciò che già sarebbesuo. Verrebbe quasi da dire,polemicamente, che, stante così lasituazione, il governo siriano potrebbeessere considerato, seppureindirettamente, uno Stato sponsor delgruppo terroristico con cui è in guerra.Ma ciò che ancor di più sorprende epreoccupa (tema cui dovrebbe esseresensibile l’UNESCO) è che le maggiorifonti di entrata del gruppo derivino dalcontrabbando di reperti rubati negliscavi archeologici. Ricavi che, in meno

di tre anni, hanno trasformato l’Isil dabanda raffazzonata di estremistiislamici nel gruppo terroristico che sidice essere il più ricco ed efficiente almondo.Come risulta al The Guardian, unfunzionario dell’intelligence irachenaavrebbe rivelato che i terroristiavrebbero guadagnato 36 milioni didollari solo dal sito di Al Nabuk in Siria,sito in cui c’erano reperti risalenti aottomila anni fa. La conclusione è chequesto gruppo sembra in grado diautofinanziarsi e pare non abbiabisogno del sostegno di nessuno Statoterzo. Riteniamo, in aggiunta, cheproprio questa ingente disponibilitàfinanziaria abbia indotto l’Isil a giocared’azzardo occupando i centri inprecedenza menzionati, indicandochiaramente quale fosse il propriodisegno politico.L’impressione che ricaviamo da questoconflitto è che tutta l’area mediorientaleè destinata a subire gli effetti di un fortesommovimento tellurico, militare epolitico.La mobilitazione degli iracheni su basesettaria squarcia il velo sulla natura diun conflitto che si rivela ben più gravedi quelli finora combattuti nell’area e,nello specifico, in Medio Oriente. La

Cui prodest il successo

degli Jihadisti in Iraq?

VVaalleennttiinnaa RRoosssseettttii ddee SSccaannddeerr

1 4 ITALICUM maggio­giugno 2014

propaganda religiosa[1] e ledichiarazioni dei leader delle diversefazioni hanno aperto il “vaso diPandora”, una polveriera pronta ascoppiare da un momento all’altro.L’Iraq si trova oggi esposto a una graveminaccia, quella della suaframmentazione che equivale alla finedel Paese così come lo si conosce.Una circostanza, inutile ripeterlo, cheavrebbe gravi conseguenze su tutta laregione. Quanti vedono l’Iraq formatoda tre entità distinte e, dunque, non sistupiscono della dissoluzione delPaese, sembrano non tener conto deilegami sociali e storici che fanno dacollante al popolo irachenounitariamente inteso. Siamo dunquedell’avviso che se si dovesse arrivarealla divisione del Paese, questa avverràinevitabilmente tra violenze inaudite e,comunque, sarebbe un processo cheavrebbe immediate ripercussioni anchein Siria.

Il 2014 è l’anno in cui si ricorda ilcentesimo anniversario dello scoppiodella prima guerra mondiale. Volgendolo sguardo al passato e, in particolare,al crollo dell’impero ottomano, nonpossiamo non osservare come lamappa del Medio Oriente che ne seguìnon fosse stata disegnata a beneficiodegli interessi delle popolazioni, se siconsidera che i confini stabiliti con gliaccordi Sykes­Picot del 1916 hannocausato solo guerre.Conclusivamente, possiamo solorilevare come, per evitare ulterioricatastrofi nell’area, l’onere maggiorigravi sui governi arabi che devonoimpegnarsi a intervenire per assicurarel’inviolabilità della sovranità e dellastabilità irachena. Questo dev’esserepiù che un auspicio, dovrebbe esserel’impegno politico su cui gli occidentalidovrebbero focalizzare la propriaattenzione uscendo dagli schemiprecostituiti che sembrano animarli

nelle questioni mediorientali: i bla bla,gli appoggi di maniera a questo o aquello dei contendenti, il ricorso all’usodelle armi quale unica possibilesoluzione dei problemi. Se una voltatanto si decidessero a fare politica….

Valentina Rossetti de Scander­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­[1] Il 13 giugno u.s., il grande ayatollahAli Al Sistani, una delle più importantiautorità religiose a livello mondiale, haesortato i suoi seguaci sciiti acombattere contro l’Isil, appelloimmediatamente recepito da migliaia digiovani di Bagdad. Viceversa, alcunigiorni addietro il sunnita Al Baghdadi,inventando probabilmente unadiscendenza califfale, ha imposto a tuttii musulmani di seguire le sueindicazioni e prestargli obbedienza.

Lo Stato islamico dell’ Iraq e delLevante ha creato, ufficialmente,

un califfato che si estende dallaprovincia di Aleppo, nel nord dellaSiria, alla provincia di Diyalanell’ Iraq orientale, al vertice delquale è stato posto il “CaliffoIbrahim” ovvero il sunnita Abu BakrAl Baghdadi.Questo territorio si estende per circa500 chilometri entro i quali le frontierenon esistono più, conquistate daiterroristi che richiedono ai musulmanidi giurare fedeltà al califfo Ibrahim e ilrifiuto della democrazia. I punti di forzadi questo territorio, grande quanto tuttal’Italia, sono un capo dal forte carisma,grandi mezzi finanziari, le ingentisomme di denaro sono ricavate dallevendite del petrolio, ma soprattuttomilitari, mezzi e munizioni da esercitovero e proprio e una continuitàgeografica e religiosa fondamentale.Gli avvenimenti degli ultimi giorni nonfanno presagire una situazionerassicurante; basti pensare che fra leregole del califfato, che impongono laSharia, i cristiani sono obbligati apagare un tributo per conservare lapropria fede, pena la crocefissionecome avvenuto a danno di otto personein piazza a Deir Hafer e una persona

ad Al Bab. La situazione richiede l’aiutodell’esercito iracheno per riprendere ilcontrollo della città di Tikrit dai terroristie persino Vladimir Putin ha inviato unoscaglione di caccia­bombardieri perpermettere alle autorità di Baghdadd’intensificare le operazioni contro lemilizie jihadiste sunnite.Fin dal 1990 l’Iraq è considerato unoStato sponsor del terrorismo e gli ultimianni sono stati caratterizzati da unaescalation di violenze, producendo unnumero elevato di vittime soprattutto frale popolazioni civili. Risulta innegabileche la violenza molto spesso è larisposta ad altre violenze subite ove,nella maggior parte dei casi, si èverificata la violazione dei diritti deipopoli o delle minoranze. Ma pace,sicurezza e prosperità potranno, sia purfaticosamente, essere garantite ad unnumero via via più grande di uomini edonne del mondo. Dopo la fine dellaGuerra Fredda, si è discusso al fine digettare le basi per una governanceglobale, ma tale progetto non ha maivisto la luce.Un nuovo pensiero strategico siaffaccia sul piano internazionale, siparla infatti di modello di sicurezza nonunilaterale, ovvero governato da unPaese solo, ma multilaterale e realista.

Il terrorismo è consideratoun’emergenza ma non una lotta eternafra Occidente e Paesi islamici pertrovare quell’ordine internazionale chesembra sempre sfuggire: non sempre,però, sono chiari gli obiettivi e icontenuti.Si ritiene necessario, quindi, che tutti gliStati si rendano disponibili a contribuireal funzionamento di un sistema disicurezza internazionale, facendo sìche venga eliminata la violazione deidiritti umani legando la questione allosviluppo di un Paese.L’attenzione viene rivolta al mondoislamico “ragionevole”, quello che faleva sull’orgoglio identitario e sullamemoria storica, per continuare acooperare con il fine di creare una veragiustizia sociale e un progressodurevole, senza diffondere violenza eisolamento.Pur essendo stati numerosi gli errori divalutazione delle situazioni di fattocommessi, ad esempio, dai presidentidegli Stati Uniti nei confronti dell’Iraq, sicontinua a discutere se la minacciaterroristica si sia trasformata in alibi perfare altro, soprattutto nel campo degliaffari, pur tenendo ben in conto che laguerra al terrorismo deve esserecombattuta nel rispetto delle leggi di

Cosa succede in Iraq?RRoobbeerrttaa DDaassssiiee

Esteri

1 5ITALICUM maggio­giugno 2014

guerra e nell’osservanza dellaconvenzione di Ginevra sul trattamentodei prigionieri.Come detto in precedenza la pace èessenziale per lo sviluppo il cui modellooperativo deve comprendere sia lapolitica estera maancor di più quellainterna, così dapermettere un livellodi vita miglioreanche alle personeche vivono nellezone più povere delPaese. Non deveessere, quindi,un’agenda chiusa estatica ma unacontinua dinamicitànel trovare lesoluzioni migliori perla coesistenza delle persone egarantire una sicurezza internazionaleduratura nel tempo.Un sistema di governo non può essereimposto dall’alto e non è neanche

immaginabile ritenere che lademocrazia nel mondo possa esserelasciata alle armi, ma si è resi contoche è necessario considerare ladiplomazia e la cultura. Tuttavia, nonbastano le elezioni perché ci sia

democrazia ma è altresì necessariopromuovere la formazione di unaclasse dirigente capace e autonomache si occupi del rispetto delle libertà,delle idee e dei diritti umani. Da tener

presente che non in tutte le culture lanatura politica dei diritti fondamentali èriconosciuta negli stessi termini.La soluzione della crisi in Iraq non èpensabile che debba essere affidataesclusivamente ad un unico Paese ma

ad un’alleanza tra Paesi islamici.Una possibile soluzione èassegnare ai governi di una macroregione, l’adozione di operazioni dipeacekeeping, in modo da mediaretra le parti in conflitto, sapendoascoltare i popoli; il bilanciamento sirende necessario al fine di garantirela sicurezza internazionale.Come sottolinea la Professoressa diDiritto Internazionale e dell’UnioneEuropea, Anna Lucia Valvo, “… lapolitica interna ed estera non si facon i sentimenti e con le emozioni,ma si fa con la ragione e con analisi

nella maggior misura possibile obiettivee propositive.”Roberta Dassie

I tragici avvenimenti degli ultimigiorni, riaccendono i riflettori suldramma delle popolazionimediorientali. Israeliani e palestinesitornano a combattersi a colpi dirazzi, in una eterna guerra le cuivittime sono, nella stragrandemaggioranza, civili .Questa volta il “casus belli” è nato dalrapimento e dall’uccisione di tre ragazziebrei, figli di coloni; per rappresaglia ungiovane palestinese è stato picchiato ebruciato vivo; da Gaza sono partiti iprimi razzi sul territorio israeliano cheha provocato l’immediata reazione di

Tel Aviv. E’ così scattata l’operazione“Protective Edge” (Margine protettivo)in conseguenza della quale la Strisciadi Gaza è stata sottoposta ad unbombardamento aeronavale che hacausato, soltanto nella primasettimana, più di 180 morti ed oltre unmigliaio di feriti tra i palestinesi. Tra levittime moltissimi bambini mentrel’utilizzo di drone – velivoli senza pilotaa bordo – che ronzano continuamentesulla testa della popolazione e chepossono colpire in ogni momento,terrorizza chiunque si trovi in strada. Irazzi israeliani hanno distrutto

infrastrutture idriche, acquedotti, pozzi,ospedali; si parla anche di unorfanotrofio; l’emergenza riguarda lamancanza, oltre che di acqua e digeneri alimentari, anche di medicinali.Dopo la prima settimana di attacchi, gliisraeliani hanno poi intimato allapopolazione intorno a Beit Lahya, anord della Striscia, attraverso il lancio divolantini, di lasciare le loro case,annunciando che, di lì a poche ore, lazona sarebbe stata massicciamentebombardata. Per l’esercito di Tel Aviv,infatti, è proprio da lì che partono lamaggior parte dei razzi scagliati contro

il territorio israeliano. Si è alloraassistito all’esodo di oltre 17.000palestinesi, moltissimi dei quali senzabagagli, fuggire, abbandonando leproprie abitazioni, lasciando cosìquartieri dall’aspetto spettrale edagglomerati fantasma.

Hamas, da parte sua, continua ascagliare una pioggia di razzi al centroed al sud dello Stato Ebraico che sidifende con l’avanzato sistemaantimissile “Iron Dome” (Cupola diferro), che garantisce una notevolesicurezza tanto che non si lamentano

vittime tra la popolazione israeliana.Naturalmente ci sono scambi di accusereciproche sulle responsabilità delriacutizzarsi della crisi ma, al di là dellasituazione contingente, ci sonoproblemi di fondo senza la soluzionedei quali non ci potrà mai essere unapace duratura in quella regione.

Il problema affonda le sue radici nel1947, con la Risoluzione dell’ONU cheriguardava il Piano di ripartizione dellaPalestina che prevedeva la costituzionedi due stati indipendenti – Palestineseed Ebraico – mentre Gerusalemme

doveva rimanere sotto un’egidainternazionale. Con la proclamazionedello Stato di Israele, nel 1948, gliIsraeliani, disattendendo quantoprevisto dalla risoluzione dell’Onu,emanarono la Legge Fondamentale diGerusalemme Capitale ed occuparonola Città Santa. Dal 1949 in poi,attraverso una politica espansionistica,lo Stato Ebraico è riuscito ad ottenere ilcontrollo del 70% dell’intera Palestina;ha sottratto la Cisgiordania allaGiordania; le Alture di Golan alla Siria;la Penisola del Sinai e la Striscia diGaza all’Egitto. Nel 1993, la risoluzione

A Gaza inferno quotidianoMMaarriioo PPoorrrriinn ii

Esteri

1 6 ITALICUM maggio­giugno 2014

GEOPOLITICA

www.geopolitica­rivista.org

Direttore Tiberio Graziani

Rivista dell’Istituto di Alti Studi inGeopolitica e Scienze Ausiliarie èstata fondata nel dicembre 2011 alloscopo di diffondere lo studio dellageopolitica e stimolare in Italia unampio e de­ideologizzato dibattitosulla politica estera del nostro paese.Si tratta della prima ed al momentounica rivista italiana di geopolitica adapplicare la revisione paritaria(double­blinded peer review).È la rivista ufficiale dell’Istituto di AltiStudi in Geopolitica e ScienzeAusiliarie (IsAG) di Roma. Si tratta diun’associazione di promozionesociale, senza fine di lucro, nata nel2010. Essa promuove variepubblicazioni, organizza convegni eseminari ed offre esperienzeformative, il tutto nell’ottica dellarealizzazione dei suoi scopi statutari,che coincidono con quelli della rivistaGEOPOLITICA.La redazione di GEOPOLITICA ècomposta dai ricercatori associatiall’IsAG. Direttore è Tiberio Graziani,condirettore Daniele Scalea. Garantedella qualità della rivista è unComitato Scientifico di rilievointernazionale. La rivista è trimestrale.Il presente sito, oltre a fornire tutte leinformazioni necessarie suGEOPOLITICA, è anche un portaleinformativo a se stante. Non si trattadi una versione elettronica della rivistaed il materiale qui presente noncoincide con quello che si trova inessa. Ma vi si possono trovarenumerose analisi di politicainternazionale, tutte offerte dall’IsAGin maniera rigorosamente gratuita.

dell’ONU 242, ha obbligato Israele arestituire tutti i territori occupati ma almomento, dopo oltre vent’anni, solo il50% di questi sono stati restituiti,senza che tale mancanza abbiaprovocato alcun tipo di sanzione.

Lo Stato Ebraico gode del sostegno dipotenti lobbies internazionali,soprattutto finanziarie, oltre chedell’appoggio di alcune grandipotenze, in particolare Stati Uniti eFrancia. La supremazia tecnologica,investigativa e militare lo fa apparire,agli occhi degli occidentali, come un

proprio baluardo insuperabile,importante in una regione fortementeinstabile e potenzialmente esplosiva.Naturalmente, questa situazione dioggettivo sbilanciamento verso loStato Ebraico, da parte della comunitàinternazionale, ha fatto crescere, nelcorso di oltre mezzo secolo, unsentimento di frustrazione ed un odioprofondo nelle popolazioni arabe, cheè alla base di questo stato di guerrapermanente. Al momento, il gruppo piùattivo nella lotta contro Israele èHamas, acronimo di HarakatMuqawama al Islamiyya (Movimentodi resistenza islamica). Questaorganizzazione è nata nel 1987 aGaza con due obiettivi dichiarati: lalotta armata contro Israele, attraversoil braccio miliare, la Brigata Ezzedin alQassam; la costituzione di uno statosociale che preveda la costruzione,oltre che di moschee, anche scuole,ospedali, luoghi di aggregazione,associazioni assistenziali. E’ del 1994la decisione di contrastare gli accordidi Oslo tra Israele e OLP, ricorrendo adattentati suicidi su autobus e localipubblici in Israele. Queste azioni, deltutto simili a quelle attuate dai tantoosannati partigiani durante la SecondaGuerra Mondiale, sono considerate daipalestinesi legittimi gesti di resistenza,mentre gli USA, Ue e Israele ligiudicano, manco a dirlo, gravissimi

atti di terrorismo.

Hamas nel 2005 stravince le elezionipolitiche e nel 2006 quelle municipali.Nel 2007 avviene la rottura con Fatahche viene espulsa dalla Striscia. Nel2011, ottiene un grande successo,grazie al rilascio di 1.000 detenuti nelleprigioni israeliane in cambio di GiladShalit, il soldato ebreo rapito nelgiugno 2006. Nel 2008 e 2012 con leoperazioni Cost Lead e Pilar ofDefence condotte dalle truppe di TelAviv esce provata ma non sconfitta,pronta comunque a continuare la lotta.

Gli attivisti diHamas svolgono leloro attività, chenon sono soltantomilitari,principalmente aGaza dove vivonoquotidianamente ladrammaticità dellasituazionesoffrendo a fiancodella popolazione.Gli abitanti vivonoai limiti dellasopravvivenza,con carenza di tutti

i beni di prima necessità, a cominciaredall’acqua, per finire alle medicine. LaStriscia di Gaza può essere chiusaermeticamente dalle autorità di Tel Avivin qualsiasi momento per i motivi piùfutili, alla stregua di un immenso lager.Per riuscire a comprendere lo statod’animo dei palestinesi bisognerebbepoi visitare i miserabili campi profughidel sud del Libano all’interno dei qualisi vive, anzi si sopravvive, comebestie. Noi ci preoccupiamo moltissimodella qualità della nostra vita ma non cirendiamo conto di quanto siadrammatica l’esistenza dei palestinesi,tanto in tempo di pace, se di pace sipuò parlare in relazione a quelle zone,quanto in tempo guerra.Paradossalmente, questosfortunatissimo popolo, sembra cheabbia bisogno della guerra perché ci siricordi della sua tragica condizione.Uno dei drammi di questo popolo èrappresentato proprio dalla distrazionedel mondo occidentale che non siaccorge di come in Palestina si muoiatutti i giorni e non soltanto per lebombe. Purtroppo la nostra attenzionee si limita a pochi minuti, il tempo diseguire un servizio televisivo poi … sicambia canale: c’è la partita!Mario Porrini

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1 7ITALICUM maggio­giugno 2014 Esteri

E’ di pochi giorni or sono la notiziadella Risoluzione, approvataall’unanimità (con la sola eccezionedel Botswana) in esito alla XXIIISessione Ordinaria della UnioneAfricana tenutasi a Malabo nellaGuinea Equatoriale.La Risoluzione adottata da 53 leadersafricani, e della quale ancora non sidispone del testo esatto, dispone inbuona sostanza l’immunità dei Capi diStato e di Governo africani e di nonmeglio individuati alti Funzionarigovernativi, dalla giurisdizione diorganismi internazionali volti allarepressione e sanzione di delitti control’umanità, a cominciare dal genocidio.

La notizia ha subito provocato unaforte reazione da parte degli organi distampa italiani, come anche di altriStati, e, in particolare, dellaOrganizzazione Amnesty International.In buona sostanza si è voluto vederenella adozione di tale Risoluzione unavolontà da parte dei Capi di Stato e diGoverno africani di assicurarsi unareciproca protezione da accuse digenocidio o, in generale di criminicontro l’umanità, e dunque un volersimettere al riparo dall’esercizio dellerelative competenze da parte dellaCorte penale internazionale con sedeall’Aia.Ciò i Capi di Stato e di Governo africanihanno fatto in luogo della previstaadozione di un Protocollo per rendereoperativa, dopo molti anni di attesa, lanuova African Court of Justice andhuman rights rappresentativa dellafusione tra l’African Court of Justice el’African Court of Human and People’sRights, con competenza geograficarivolta territorialmente al Continenteafricano.Nel coro di critiche che hanno seguitol’adozione di detta Risoluzione non èmancato chi ha voluto vedere in questaun’arretramento di molti anni nella lottacontro le impunità e per ilperseguimento delle violazioni dei dirittiumani specialmente in un Continentetradizionalmente lacerato da conflittiarmati particolarmente sanguinosi.Questa è l’interpretazione che si èvoluta dare di tale iniziativa adottata dalvertice di Malabo dei Capi di Stato e diGoverno africani.L’evento di Malabo, tuttavia, non può

essere valutato sbrigativamente comeora è stato ricordato, ma va valutatocon maggiore attenzione critica e nelpiù vasto contesto delle linee di politica“giudiziaria” che hanno caratterizzato ecaratterizzano l’attività della Cortepenale internazionale.Così pure i problemi, pur sussistenti esottostanti alla Risoluzione di Malabo,non possono non essere valutati nel piùvasto contesto della esperienza fino adoggi maturata in tema di repressionegiudiziaria dei delitti contro l’umanitàche ha più volte evidenziato, comeancora evidenzia, un uso talvolta anchesfacciatamente strumentale dellapretesa necessità di tutela e punizionedei delitti contro l’umanità che

indubbiamente sono espressione diviolazione di essenziali diritti e libertàfondamentali della persona.Va premesso che probabilmentel’occasione che ha determinato laRisoluzione di Malabo è che trePresidenti africani sono in attoperseguiti dalla Corte penaleinternazionale: il sudanese OmarHassan al­Bashir, il kenyano UhuruKeniatta e l’ivoriano Laurent Gbagbo.In tale circostanza il vertice di Malabodegli Stati africani ha inteso scorgereuna intenzione neo­colonialista nellaazione della Corte penaleinternazionale.Il rilievo merita qualche precisazione:se si ha riguardo specificamente alContinente africano dove storicamenteè stato presente ed anche in formeferoci il colonialismo degli Statioccidentali (nei suoi oppostiestremismi: quello sanguinario belga equello italiano di “faccetta nera bellaabissina”), la qualificazione di neo­colonialismo ­indipendentemente dallafondatezza dell’accusa­ può avere unsenso; se si considerano, viceversa,altre realtà ed altri eventi caratterizzatidall’uso palesemente pretestuoso delladifesa dei diritti e delle libertàfondamentali della persona, e sempread opera delle cosiddette “democrazie”occidentali, come ad esempio leaggressioni all’Iraq, alla Serbia,all’Afghanistan, quella ancora nonriuscita contro la Siria e quellaimmaginata da qualche irresponsabiledella politica statunitense nei confrontidell’Iran, per non parlare delleaggressioni contro la Libia (per la quale

l’Italia, superando se stessa, è riuscitaa partecipare ad una guerra contro sémedesima) e le responsabilità degliStati occidentali per quel che èaccaduto in Egitto, i non malcelatipropositi aggressivi nei confrontidell’Algeria e, da ultimo, la preordinatae pianificata organizzazione di quelleche vengono chiamate, le “spontanee”proteste a piazza Maidan a Kiew inUcraina, con tutto quello che ne èsuccesso e che sta ancora succedendoin tema di perdite di vite umane da unaparte e dall’altra, per dare esecuzionead un palese e volgare “colpo di Stato”conclusosi con la deposizione delPresidente Janoukovich che era statodemocraticamente eletto, sarebbe più

corretto in luogo del termine “neo­colonialismo”, usare la più precisa eadeguata espressione di “neo­imperialismo” statunitense che agiscein parallelo agli interessi della finanzainternazionale.Ma, poi, detto per inciso, perché maitanto stracciarsi di vesti dinanzi allaRisoluzione di Malabo ed unassordante silenzio dinanzi allacircostanza che gli Stati Unitid’America, come a tutti è noto, nonhanno ratificato l’accordo di Roma,istitutivo della Corte penaleinternazionale; anzi, al contrario, sisono affrettati a concludere una lungaserie di accordi con una pluralità diStati (e anche africani) con i qualiquesti si impegnano a tutelare laimmunità degli organi e dei responsabilidella politica estera americana anchese resisi autori di gravi, massicce evolgari violazioni di irrinunciabili diritti elibertà fondamentali della persona. Acominciare dal diritto alla vita.Non si ha certo l’intenzione di voleresalutare con favore e celebrare laRisoluzione di Malabo, ma si ha ildovere ­evangelicamente parlando­ diconsiderare la trave nel proprio occhioprima di denunciare la pagliuzza negliocchi altrui. E di travi negli occhi iresponsabili della politica estera dellecosiddette democrazie occidentali nehanno parecchie.Come anche e soprattutto, si intende,da un canto, denunciare l’azioneeccessivamente “selettiva” della azionedella Corte penale internazionale e,d’altro canto e ancor più, denunciarecon forza l’uso strumentale che da

Dirittti umani e sovranità dello Stato

AAuugguussttoo SSiinnaaggrraa

1 8 ITALICUM maggio­giugno 2014Esteri

troppo tempo si fa dei diritti umani edella democrazia (e fino al punto divolerla “esportare” come fosse un bariledi petrolio) per giungere, poi, ateorizzare nell’ordinamento giuridicointernazionale un’idea del tutto balzanae pericolosa di “guerra preventiva” permascherare atti di palese aggressionein danno della indipendenza e dellaintegrità territoriale di Stati indipendenti.Delitto di aggressione per il quale pureha competenza la Corte penaleinternazionale ma che non sembra sisia mai attivata in tal senso neiconfronti delle aggressioni poste inessere dalle cosiddette democrazieoccidentali (uso strumentale dei dirittiumani che si manifesta e si presentaanche all’interno di taluni Stati, comemezzo di politica governativa, come è ilcaso presente dell’Argentina, dove adistanza di circa 40 anni si processanomilitari impegnati nelle operazioni direpressione del feroce terrorismointerno tra il 1974 e il 1983, accusati di

non meglio precisati delitti di “lesaumanità”, a dispetto di regolefondamentali quali quelle dellairretroattività della legge penale e deitermini di prescrizione dei delitti, e conciò violando altri e diversi principifondamentali a tutela della personariassumibili nella espressione oggicorrente di “giusto processo”.D’altra parte, si sa ed è un datodell’esperienza storica: ben difficilmentein uno Stato forte o nello Stato vincitoresi riconosce lo Stato aggressore.Probabilmente e forse ancheinconsapevolmente, i Capi di Stato e diGoverno dell’Unione Africana hannoavvertito questa situazione“asimmetrica”, questo trattamento“dispari”.Teorizzando sul piano di una compiutaconsapevolezza, ben può dirsi che lasituazione presente rappresentata daldenunciato uso strumentale dellapretesa difesa dei diritti fondamentali,ha alterato il delicato equilibrio tra due

ben differenti, ma ugualmente rilevantiprincipi generali di diritto internazionale:il diritto di intervento anche armato adifesa di diritti e libertà irrinunciabilidella persona, e il divieto di ingerenzanegli affari interni degli Stati per il qualein tanto può giustificarsi una suacompressione in quanto l’esercizio deldiritto di intervento sia oggettivamentedimostrato nei suoi presupposti edefinito nei suoi mezzi e nelle suefinalità, e dunque giustificato elegittimato.E’ in questo generale contesto che vavalutata, fuori da ogni celebrazione efuori da ogni demonizzazione, laRisoluzione di Malabo, indubbiamenteespressiva di un profondo malessereconducente ad un dichiarato edeliberato atto di sfiducia nei confrontidegli organismi internazionali digiurisdizione penale.

Augusto Sinagra

I l Venezuela sta transitando per unasituazione molto speciale,diremmo unica: è la prima volta cheil popolo venezuelano gioca unruolo protagonista nella costruzionedella propria storia.

È la prima volta che conquista la suadignità e fa realtà una cittadinanza cheprima era lettera morta.Per farlo ha dovuto “spazzare” gliimpedimenti di decenni sterili e dicorrotto bipartitismo, e affrontare unapotente costellazione di interessi leclassi dominanti tradizionali, la chiesa,il sindacalismo giallo, i grandi monopolimediatici, la partitocrazia in decadenza,ecc orchestrato dal Governo degli StatiUniti. Alcuni parlano di una rivoluzionepost­moderna, senza sapere ancoracome definire ciò che succede nelVenezuela. Infatti, quello che puòessere osservato è un’accelerazionedella coscienza da parte dei grandisettori della popolazione, sopratutto diquelli più poveri, sulla possibilità dipartecipare attivamente nel poterepolitico, di una ridistribuzione dellaricchezza, di difendere altrerappresentazioni della realtà diverse aquelle del neoliberalismo autoritario

dominate. Caracas è il posto dove ilpopolo si è svegliato. La rivoluzione faparte del vocabolario di tutti i giorni,non come una fraseologia morta degliantichi Stati stalinisti, in cui la meraparola era disegnata per far dormire

alla gente nel suo senso più genuino.Le masse sentono che la politica, ilgoverno e lo Stato li devonoappartenere.Il dinamismo e la creatività dellarivoluzione “spazzano” tutto ilformalismo burocratico e danno unaspinta alle masse per partecipare. Gliocchi dei latino­americani guardanocon attenzione il Venezuela.Percepiscono che lì si gioca ancheparte del suo futuro, la possibilità diarticolare politiche indipendenti chetengano in conto lo sviluppo sociale deipopoli e la diminuzione delledisuguaglianze.Dopo decenni di dittature, di politicheneoliberali con le sue conseguenze diimpoverimento e marginalità, di rotturadei tessuti produttivi e di repressionedella protesta sociale, i latino­americanisi fidano di passare da vittime aprotagonisti e così poter costruirealternative vitali di vero progresso

sociale.Ma per quello è necessario che gliavanzamenti si consolidino, benché itempi e le forme siano differenti. Laricchezza occuperà nuovi spazi, nellapartecipazione democratica, nella

costruzione di strade propri.Quando c’è una guerra esistono dueteatri: un teatro di guerra vero e proprioed un teatro virtuale; ossia esiste unaguerra vera e propria combattuta con learmi ed una guerra virtuale combattutaa colpi di informazioni false.La guerra virtuale, che in molti casiprecede la guerra vera e propria è“combattuta” per preparare l’opinionepubblica e convincerla ad accettare laguerra (quella vera).

Che cosa sta succedendo inVenezuela?

Il Venezuela è interessato da untentativo di rivoluzione “colorata” equindi i media internazionali, seguendolo schema illustrato sopra, hannomostrato al mondo una realtà virtuale,totalmente inventata, in cui una partedella popolazione protesta

La ferita aperta del Venezuela

CCllaauudd ii RReegg iinnaa CCaarrcchh iidd ii

1 9ITALICUM maggio­giugno 2014 Esteri

pacificamente ed il “regime”, il Governovenezuelano interviene a reprimereviolentemente. Media tradizionali (TV estampa) di tutto il mondo, assieme allereti sociali hanno mostrato una realtàvenezuelana totalmente falsa: immaginidi torture e repressioni di altri Paesifatte passare per fatti venezuelani ogigantesche manifestazioni diopposizione mai avvenute.Per capire cosa stia succedendo inVenezuela, del perché di questemanifestazioni violente da parte delleclassi più ricche e soprattutto per capirechi manovra i fili di queste azioni ènecessaria una premessa.Alla base della nostra societàtecnologica c’è l’energia. Le principalifonti energetiche sono il petrolio, il gas,il carbone, il nucleare e lecosiddette energiealternative, che hannoancora scarso peso.Petrolio e gas sono insostanza le principali fontienergetiche. Dove sonolocalizzate le principaliriserve di petrolio e digas?Secondo fonti OPEC, alladata del 2012, le riservepetrolifere mondialiammontano a 1.478,2miliardi di barili. Oltre il54%, ossia 798,8 miliardidi barili si trovano neiPaesi del Medio Oriente.Il Venezuela ha una riserva di 297,7miliardi di barili, ossia il 20% di tutto ilpetrolio del mondo.Fin da quando si è scoperto il petrolioin Venezuela, gli USA sono intervenutinegli affari interni di questo Paese. Difatto, il Venezuela poteva benconsiderarsi una Repubblica dellebanane, dove le potenze straniere alfine di impadronirsi delle risorsenaturali, appoggiavano dittatori ogoverni pseudo democratici, che incambio dell’aiuto politico e militare perrimanere al potere, svendevano lerisorse del Paese. Per circa 50 anni,fino agli inizi degli anni settanta, ilVenezuela è stato il principaleesportatore di petrolio del mondo,petrolio praticamente regalato.Con l’avvento di Chávez al potere,finisce la svendita delle risorse allemultinazionali ed agli USA.In particolare termina il periodo in cui ilpetrolio era letteralmente regalato, incambio di una royalty dell’1%. Oltre adincrementare la royalty, lemultinazionali sono state obbligateanche a pagare una imposta suiguadagni.

Chávez è anche l’artefice della ripresadei prezzi del petrolio; grazie alla suaazione, la OPEC si riorganizza edattraverso accordi sui tagli allaproduzione, il prezzo del petrolio puòaumentare, raggiungendo un prezzogiusto (attualmente attorno ai 100dollari il barile).Il governo di Chávez, grazie agliingressi petroliferi comincia adeffettuare politiche sociali chepermettono a tutti l’accesso alla sanità,all’educazione, al diritto all’abitazione,alla pensione, ovvero per la prima voltain Venezuela si attua unaredistribuzione delle risorse fra tutte leclassi sociali.

Ovviamente tutto ciò ha provocato

malcontento nella classe oligarca,spodestata dal potere e dalla gestionedelle risorse del Paese. Perconseguenza, in Venezuela esiste unaristretta minoranza, la classe oligarcaappunto, che si oppone con ogni mezzoal Governo. La Storia dovrà dunqueaccertare se Chávez sia morto per uncancro “naturale” o per un cancroirradiato. Una cosa è certa: l’oligarchiaera convinta che morto Chávezavrebbe ripreso il potere. Dopo avertentato di sbarazzarsi di Chávez,durante i suoi 14 anni di Governoattraverso vari tentativi di colpi di Statoe sabotaggio petrolifero, con la suamorte pensava di riprendersi il potereattraverso le elezioni presidenzialidell’aprile 2013. Invece, le urne hannodato la vittoria a Nicolas Maduro, giàvicepresidente nell’ultimo GovernoChávez. fatto che Nicolas Maduroabbia vinto le elezioni con solamente il2% di vantaggio sul candidatodell’oligarchia, Henrique Capriles, hafrustrato ancora di più le classi ricche,che subito dopo le elezioni di aprile2013, istigate dal perdente Capriles,hanno scaricato tutta la loro rabbia inatti di profonda violenza con attacchi

alle sedi del partito socialista diChávez, ad ospedali ed edifici pubblici,atti violenti che hanno provocato unadozzina di morti. Da quel momento inpoi, l’oligarchia sta tentano con ognimezzo di riprendersi il potere.Nell’ultimo anno, in Venezuela c’è stataa vera e propria guerra economica:oltre alla scarsità di beni, attuata con imezzi descritti sopra, i grandiimportatori e distributori hannoaumentato arbitrariamente i prezzi deiloro prodotti; ovviamente l’aumento si èripercosso su tutta la catenadistributiva; i prezzi dei prodotti nonregolamentati (sono regolamentati iprezzi dei prodotti di prima necessità)sono stati portati alle stelle, impedendoa chiunque, perfino alle classi più alte di

poterli acquistareA partire daottobre–novembre, ilGoverno ha reagitoinasprendo i controlli,che hannoeffettivamenteevidenziato l’altissimoaumento dei prezzi deibeni di primanecessità.A San Cristóbal, lacapitale dello Statovenezuelano delTáchira, l’epicentrodelle proteste contro il“regime” del PresidenteNicolás Maduro, la

gente non ne può più. I modi pacati delvenezuelano delle Ande si trasformanoin imprecazioni quando si lamenta delGoverno.È una contraddizione netta,che fa capire perché, dopo tresettimane, i gochos, come li chiamanonel resto del Paese, continuano asopportare con grande forza d’animo ilblocco delle arterie principali, lamancanza di trasporti pubblici e unisolamento “noiosissimo”.È una sollevazione generalizzata dellasocietà locale, in tutte le suecomponenti..La manifestazione convocatadall’opposizione a Caracas il 12febbraio, che si è conclusa con tre mortie che è considerata come l’inizioformale dell’ondata di disordini che stascuotendo le città del Paesesudamericano, è solo la scusa percontinuare a scendere in piazzachiedendo un cambiamento. Le ragionisono molto più profonde.Attraversando le strade di questa cittàdi 350 mila abitanti si ha la sensazioneche le proteste ormai non ubbidisconopiù a una strategia politica.La presenza massiccia di squadre

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www.eurasia­rivista.orgEditore: Edizioni all’insegna del Veltro, www.insegnadelveltro.itDirettore responsabile: Claudio Mutti

La seconda guerra fredda XXXIII (2-201 4)

armate irregolari e la distruzionesistematica del diritto di proprietà hannoinfatti eliminato ogni normale concettodi ordine pubblico, precipitando il Paesein un caos crescente di criminalità. Lenazionalizzazioni e la politicaeconomica di redistribuzione dellaricchezza hanno creato le premesseper la crisi economica. Nicolas Maduro,in particolare ha dato il colpo di grazia aun sistema già vacillante. Lenazionalizzazioni, infatti, avevanoprovocato disfunzioni a tutti i livelli,

comprese crisi energetiche connumerosi blackout (in un Paese uno deimaggiori estrattori di petrolio al mondo),code alle pompe di benzina, mancanzadi beni di prima necessità, crescita delmercato nero e inflazione, arrivata atoccare il 54% alla fine dell’annoscorso.Oggi, la rivoluzione Bolivarianaavanza in Venezuela rendendo piùampia la sua immagine politica in SudAmerica e non solo. La Rivoluzionebolivariana rappresenta il nuovo centrostrategico della definizione della lotta

contro l’“impero” ed il neoliberismo inAmerica­latina. Insomma, lo scenariosembrerebbe essere quello di falchicontrapposti che hanno precipitato loscontro per bloccare sul nascere unincipiente dialogo tra Governo eopposizione: un’ipotesi il cui limite èforse quello di ritenere che nel caosvenezuelano ci sia ancora una qualchelogica, per quanto contorta agli occhidei molti.Claudia Regina Carchidi

EEddiittoorriiaallee

Claudio Mutti, La seconda guerra fredda

GGeeooffiilloossooffiiaa

Davide Ragnolini, L’ebraismo nellaprospettiva geofilosofica hegeliana

DDoossssaarriioo –– LLaa sseeccoonnddaa gguueerrrraa ffrreeddddaa

Aleksandr Dugin, La Russia el’Occidente nell’ottica eurasiatista

Andrea Forti, La prima Ucrainaindipendente

Giuseppe Cappelluti, Le altre Crimee

Giuseppe Cappelluti, La Crimea vistadalla Mezzaluna

Alessandro Lattanzio, Lo scudo e ilcontroscudo

Enrico Galoppini, Un esempio di “softpower” occidentale: la propagandaomosessuale contro la Russia

Aldo Braccio, Turchia e Russia: nemiciper forza?

Maria Amoroso, Russia: capitali in fuga

Maurizio Sgroi, La fredda guerra dellaRussia

Claudio Mutti, Talassocrazia e sanzioni

Giovanna De Maio, L’eco di Euromaidanin Bielorussia

Ali Reza Jalali, L’Asse della Resistenzanella seconda guerra fredda

CCoonnttiinneennttii

Michele Orsini, L’Unione antieuropea

Katalin Egresi, Storia delcostituzionalismo ungherese

Ivan Buttignon, Imporre la culturaeuropea agli Europei

Cristiano Procentese, Crisi economicaeuropea e nuovi movimenti sociali

Silvia Bettiol, Le relazioni USA­Pakistan

Massimo CacciariLabirinto filosofico

Adelphi 2014pp. 348 euro 38,00

Romano MaderaLa carta del senso

Cortina Raffaello 2012pp. 300 euro 29,00

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1. Il problema. Rimettere sui piedi ilproblema del comunismo ed ilproblema della percezione complessivadel ruolo di Marx nella storia universaledel pensiero umano.

Ciò che la “repubblica dei colti” intendeoggi per “comunitarismo” è o unacorrente della filosofia universitariaanglosassone imperiale dominante (insintesi una timida proposta dicorrezione al codice ultraindividualisticodominante) oppure un richiamocristiano alla solidarietà ed allaattenzione al cosiddetto “Altro”. Inentrambi i casi ci si guarda bene dallasciar pensare che l’idea di comunitàpossa servire ad una teoria ed ad una

pratica di un vero e proprio modo diproduzione alternativo al capitalismo. Edal momento che questo, e soloquesto, è il vero problema (laddove lecorrezioni liberali o cattoliche alcapitalismo liberale sono meno di nulla,pura retorica impotente e pura aria frittatestimoniale) è evidente, almeno perme che bisogna porre il problema subasi del tutto differenti ed anzialternative. Questo breve saggio èespressamente rivolto in questadirezione.Mettendo volutamente tra parentesil’ennesima discussione filologica sulpensiero di Marx possiamo partire dalfatto che, al netto dei suoi erroriprognostici e diagnostici sul capitalismoe sulla sua dinamica evolutivaprevedibile, egli ci ha consegnato ineredità due lasciti importanti e preziosie cioè una teoria strutturale dei modi diproduzione storici e sociali ed unafilosofia umanistica ed universalisticarivolta potenzialmente all’intero genereumano e non solo alla sua componentestorico­geografica occidentale. Questaeredità può essere oggi riscossasoltanto se vengono eliminate alcune“ipoteche” che ne impediscono lariscossione. Tutte queste “ipoteche” siriducono in ultima istanza ad un’unicacarenza di universalismo reale,carenza dovuta alla recezionemarxiana di elementi non universalisticie non universalizzabili dell’ereditàoccidentale stessa. Senza avere qui la

pretesa di stilarne un elenco completo,possiamo citare l’accoglimento delcodice individualistico dell’illuminismosettecentesco, universalistico nellaforma e borghese nel contenuto,l’incomprensione del caratterecomunitario del grande idealismo diHegel , l’inutile insistenza sull’ateismocome premessa necessaria per ilcomunismo sociale, il doppio utopismorisultante dalla fusione dell’escatologiaebraico­cristiana rivolta ad una fine“pacificata” della storia con l’utopiapositivistica della amministrazionescientifica” delle cose, l’accoglimentopressoché integrale dell’ideologiaborghese del progresso illimitato, ladecisività esclusiva dello sviluppo delle

forze produttive, la negazione dellafunzione conoscitiva e veritativaautonoma dell’ideazione propriamentefilosofica, eccetera.Non voglio qui aprire un ennesimo edasfissiante capitolo sui cosiddetti“errori” di Marx, che poi non sonopropriamente errori, ma momentiinevitabili della ricerca filosofica escientifica seria. È perfettamentepossibile pensare e sostenere chequelli che io considero “errori” (tuttiriconducibili in ultima istanza al tritticoeconomicismo­storicismo­utopismo)non lo siano, e siano anzi affermazioninon solo geniali e fondate, maaddirittura “scientifiche”. Rispetto lamarxologia, anche perché me ne sonooccupato per più di trenta anni, erifiutandola dovrei anche rifiutare la miastessa biografia intellettuale, Ma oggiormai fermarsi alla marxologia è solouna mezza misura del tuttoinsufficiente.Di Marx, personalmente , mi interessaconservare soltanto due cose. Comeho detto prima, ed ora ripeto, di Marxconservo soltanto la teoria strutturaledei modi di produzione storici e sociali(che comprende al suo interno la teoriadell’estorsione capitalistica delplusvalore) e la filosofia umanistica eduniversalistica rivolta potenzialmenteall’intero genere umano e non solo allasua componente storico­geograficaoccidentale, il cui statuto peròconsidero di tipo idealistico e non

materialistico (o meglio, materialisticosolo in senso metaforico). Si tratta didue elementi, ognuno dei quali deveessere però elaborato e chiarito.Per quanto riguarda il primo elemento,e cioè la teoria dei modi di produzione,bisogna subito chiarire che essa nonpuò dare luogo ad una “scienza” nelsenso proprio del termine, ma soltantoad un sapere sistematico, o se si vuole,ad una “scienza filosofica” nel sensodell’idealismo classico tedesco (i cuiesponenti, lo ripeto, sono Fichte, Hegele Marx, che non è affatto unmaterialista, ma è un idealista ateorivoluzionario munito di una teoriastrutturalistica dei modi di produzione)e non certo nel senso della fisica di

Galileo o del positivismo ottocentesco.È allora necessario inserirvi una teoria,sia pure ancora approssimativa e noncoerentizzata, del modo di produzionecomunitario. Il fatto che Marx non neabbia mai parlato concerne la filologiamarxiana, non la teoria dei modi diproduzione in quanto tali. Marx non liha certamente “esauriti” tutti. E tuttavia,o cominciamo a parlare di modo diproduzione comunitario in sensoproprio, oppure il cosiddetto“comunitarismo” dovrànecessariamente ripiombare nellocalismo, nel provincialismo, nellacorrezione universitaria complementareed integrativa agli eccessi dell’anomiaindividualistica, ed infine nella perenneinvocazione cristiana ed ecumenica atenere conto anche dell’ “altro”, deldiverso, del povero, eccetera, come seil pur onesto Levinas potesse sostituireil ben più consistente Marx.Per quanto riguarda il secondoelemento, e cioè la filosofia umanisticaed universalistica rivoltapotenzialmente all’intero genere umanoe non solo alla sua componentestorico­geografica occidentale, l’ereditàmarxiana non potrà essere riscossasenza liberarla dei suoi elementifuturistici, che a sua volta non sono chel’estrema propaggine del “cattivoinfinito” della ideologia borghese delprogresso. Da un punto di vistafilologico, è indubbio che in un certosenso Marx “infutura” (o “futurizza”) la

Il modo di produzione comunitarioIl problema del comunismo rimesso sui piedi ­ Parte prima

CCoossttaannzzoo PPrreevvee

22 ITALICUM maggio­giugno 2014Cultura

filosofia della storia di Hegel,prolungandone il decorso temporaleche Hegel aveva deciso di arrestare adun momento “borghese” idealizzato(borghese­comunitario, tuttavia, noncerto borghese­individualistico). Etuttavia questo infuturamentocomunista della filosofia della storiaborghese di Hegel, dovuto in gran parteall’elaborazione dialettica dellacoscienza infelice borghese stessa, nonè l’aspetto principale della questione. El’aspetto principale della questione è ditipo percettivo, e sta nell’inserimentodella totalità espressiva del pensieroidealistico di Marx (come si noterà,idealistico senza virgolette) all’interno diuna sorta di “catena metafisicaalternativa” a quella consueta.La catena metafisica consueta in cui ègenericamente inserito il pensiero diMarx è quella del coronamento dellamodernità illuministica edell’infuturamento della filosofiaoccidentale della storia. Ma chi si mettesu questa strada (la strada di un secoloe mezzo di marxismo maggioritario, edanzi ultramaggioritario) firma la propriacondanna a morte. Sul pianodell’infuturamento utopistico ilcapitalismo è imbattibile ed assorbiràsempre gradatamente i suoi ridicoliavversari. Occorre invece rivolgersi aduna catena metafisica alternativa,quella del collegamento e delreinserimento di Marx in una tradizionemillenaria di tipo tradizionale(tradizionale, non tradizionalistico oconservatore), quella della resistenzadella comunità solidale umana control’insorgenza del privatismo dissolutore.Marx pensatore tradizionale, quindi? Eperché no! Marx pensatore del modo diproduzione comunitario (di cui ilcomunismo è soltanto la varianteutopico­avanguardistica, frutto di unarussoviana “furia del dileguare” sullabase di un mito sociologico proletariofrutto di una illusione storica errata), eMarx momento di una lunghissimatradizione comunitaria, che parte daipresocratici, passa per Aristotele eculmina in Fitche ed in Hegel.Si tratta, ovviamente, di una proposta diriorientamento gestaltico radicale chenon è rivolta ai comunitaristi liberalianglosassoni (che si tengonosaldamente sul terreno di uncapitalismo liberale “addolcito” dairichiami comunitari), ai cattolici umanisti(che per comunitarismo intendonosoltanto l’invito all’attenzione al “volto”dell’altro), alla sinistra occidentale (cheincarna il grado estremodell’individualismo anomico, scambiatokafkianamente per comunismo) ed a

quanto restadella comunità marxista ortodossa e/oeretica, fortificatasi nel Castello delDogma, in cui l’ateismo si contrapponealla religione e il materialismo sicontrappone all’idealismo, eccetera.Ma tutti costoro bisogna cortesementelasciarli stare. Bisogna pensare con lapropria testa, e sviluppare logicamenteil proprio ragionamento. Ed è quello chefarò nei prossimi capitoli.

2. Il modo di produzione comunitario,forma storico­naturale dellariproduzione umana complessiva.

Ciò che la tradizione marxista(compresi i fondatori) chiama da più diun secolo “comunismo primitivo” è inrealtà a tutti gli effetti un modo diproduzione specifico, un modo diproduzione comunitario. Può esserequindi interessante, anche se nonrisolutivo, chiedersi perché il termine di“modo di produzione” non è stato usatose non a partire dai modi di produzioneclassisti (asiatico, schiavistico, feudale,eccetera), laddove per più dei novedecimi del suo percorso storicol’umanità si è sviluppata in base almodo di produzione comunitario.Questo curioso silenzio terminologicopuò essere spiegato soltanto in basealla stessa teoria marxianadell’ideologia, e cioè dalla necessariafalsa coscienza degli agenti storici (fracui ovviamente Marx ed Engels nonpossono essere miracolosamenteesentati) Nel tempo in cui Marx edEngels vissero, l’ideologia borghese­capitalistica dominante fondata sullasovranità della scienza sulla filosofia esulla dominanza dell’individualismopossessivo ed acquisitivo sullariproduzione comunitario­solidale dellasocietà, affermava un concetto“proprietario” di natura umana efondava quindi la produzionecapitalistica sulla natura umana stessa.Si trattava di una menzogna, perchéper “natura umana” l’ideologiaborghese­capitalistica spacciava la suavariante individualistico­ proprietaria(Hobbes, Locke, Mandeville, Hume,Smith, eccetera.). Ma Marxerroneamente credette di potervirispondere sostenendo in modoambiguo che la natura umana èqualcosa che non esiste e si riduceintegralmente alla natura storicacontingente dei rapporti sociali diproduzione vigenti in un certo momentostorico.Si trattò di un errore. La natura umana,invece, esiste, ed esiste proprio unanatura umana “in generale”, così come

esiste una produzione “in generale”.Qui l’errore di Marx deriva dalla suavolontà soggettiva di porsi al di fuori delmodello idealistico, con la tragicomicaconseguenza di battezzare“materialistico” un modellonominalistico di rifiuto dell’universale.Ma la tradizione della grande filosofiaoccidentale avrebbe dovuto mettere inguardia Marx dai pericoli relativistici enichilistici derivanti da una acriticaadesione al nominalismo, anticameradell’empirismo, codice filosoficoborghese per eccellenza (e non a casotrionfante nel regno della borghesiacapitalistica, l’Inghilterra). In realtà,l’Universale esiste, e della suaesistenza ne sono state date dueversioni, quella della sua esistenzaseparata dal particolare (Platone), equella della sua esistenza astratta chesi determina storicamente in unparticolare (Aristotele e Hegel). Si puòscegliere ovviamente la prima o laseconda (personalmente, sono inclinead accettare le critiche di Aristotele aPlatone e quindi la soluzionelargamente aristotelica di Hegel), maanche se si sceglie la seconda e non laprima l’Universale continua ad esistere.Ed infatti Aristotele, che pure criticaPlatone, afferma l’universalità dell’ideadi Uomo, come animale politico, socialee comunitario e come animale dotato dicapacità di linguaggio, ragionamento ecalcolo geometrico equilibrato dellerelazioni sociali, economiche epolitiche.La natura umana, ovviamente, esiste.Ed esiste in quanto identificabile con gliaspetti strutturali e le potenzialitàfunzionali proprie del cervello dellaspecie umana. La socializzazionecomunitaria, alla quale la natura umanaè naturalmente predisposta,rappresenta la condizione preliminaredellosviluppo dell’individuo e della suaassunzione di caratteristichespecificatamente “umane”: lacoscienza, il linguaggio, il sentimento diappartenenza ad un gruppo, e la stessacapacità “trascendentale” (poistoricamente trasformata nell’esistenzatrascendente di divinità regolatrici) diorganizzare la riproduzione del propriogruppo sociale.La natura umana, quindi, esiste, e sifenomenizza, nella sua ricchezza, nelcorso del suo sviluppo storico in misuradirettamente proporzionale allo sviluppodelle forze produttive ed alla naturastorico­sociale dei rapporti diproduzione. È quindi curioso, e frutto diun errore, che Marx da un lato neghi lanatura umana “in generale”, e dall’altro

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sottolinei il carattere decisivo dellarelazione dialettica fra forze produttivee rapporti di produzione. In realtà, lanatura umana è il presuppostoontologico della stessa relazionedialettica sopra indicata, in quanto lanatura dell’uomo è proprio quella diessere un architetto e non un ape(l’espressione è dello stesso Marx) edi produrre con un progetto di lavoroconsapevole il proprio mondoambientale.Quindi se ne può prudentementeconcludere che Marx è stato presoprigioniero dalle esigenze di unapolemica ideologica contingente: ai“borghesi” che sostenevano che lanatura umana esiste, ed esiste inquanto possessiva e proprietaria“per natura”, e quindi ostile in quantotale a qualunque progetto storico­politico di socialismo, comunismo ecomunitarismo, Marx credette dirispondere in modo nominalistico (equindi relativistico e nichilistico) chel’universale non esiste, e quindi unanatura umana universale non esiste.Ma questo non è vero. La naturaumana “in generale” esiste, ed ècomunitaria e solidale per suapropria essenza. Fenomenizzandosistoricamente, tuttavia, il carattere“generico” della natura umana haprodotto una configurazione di tipoanomico individualistico, che oggi sivorrebbe generalizzare al mondointero attraverso la globalizzazioneneoliberale. Bisogna quindi“raddrizzare” tutti i birilli caduti erimetterli correttamente in piedi, perpoter discutere del nostro problema.Il termine di “comunismo primitivo”nasce quindi all’interno di una benprecisa congiuntura ideologica, chepossiamo riassumere così: “Voiborghesi dite che il socialismo ed ilcomunismo sono incompatibili con lanatura umana, che sarebbe appuntoproprietaria e possessiva per suapropria immodificabile natura. Maquesto non è vero, perché per decinedi migliaia di anni i primitivi sono staticomunisti. E allora non ci sonoargomenti decisivi per sostenere chesia impossibile che sia così anche in unfuturo possibile”.L’argomento è ancora valido oggi, nonè stato assolutamente falsificato, né lopuò essere. È anche vero che i primitivierano “comunisti”, nel senso chemettevano in comune i prodotti del lorolavoro sociale di caccia e di pesca (gliuomini), di coltivazione e di orticultura(le donne), di sapienza trattadall’esperienza dell’osservazioneripetuta (gli anziani), e dalla difesa

contro i pericoli (i giovani). E tuttavia misembra più conforme alla teoria deimodi di produzione, che resta in piedianche dopo che sono stati criticati moltierrori di Marx, parlare di modo diproduzione comunitario, con tutte lespecifiche differenze fra luogo e luogo.È infatti il modo di produzione

c

omunitario l’origine della storia. Non sitratta affatto di “mito dell’origine” dademistificare (Althusser), ma di unavera e propria origine storicacomprovata. La civiltà umana si èsviluppata sulla base del modo diproduzione comunitario.Dal momento che il modo di produzionecomunitario è stato largamente“preistorico” (nel senso esclusivo diprecedente la scrittura), è evidente chenon disponiamo di fonti scritte perconoscerlo meglio. Ma i datiarcheologici sono già abbondanti echiari, se li si vuol interpretarecorrettamente. Conosciamo bene ladivisione comunitaria preclassista dellavoro, basata sui parametri sessuali(uomo/donna) e di età(giovani/anziani). Conosciamo ilfunzionamento strutturale del donoreciproco. Conosciamo lo strettissimonesso fra arte e religione, all’inizio deltutto indistinguibili. Conosciamo il mito,la magia ed il totemismo, forme dipensiero per nulla “irrazionali” ma deltutto adatte alla riproduzione sociale del

tempo. Conosciamo il nesso dimacrocosmo sociale, riflesso del tuttologico e razionale della dipendenzastrettissima delle comunità dalle risorsedella natura circostante. E sappiamoche la cosiddetta “sovrastruttura”ideologico­culturale del modo diproduzione comunitario, lungidall’essere rozza e “barbarica” eraarticolata e complessa come quella dioggi. La stessa struttura grammaticalee sintattica delle lingue antiche e“primitive” mostra una capacità diesprimere le sfumature temporali espaziali quasi sempre superiore aquanto avviene nelle lingue di oggi,incentrate quasi esclusivamentesull’autoposizione individuale nelmondo con tutti gli inevitabili narcisismi.Anche se non esiste ancora una teoriaunificata del modo di produzionecomunitario, esistono già di fattomigliaia di studi analitici, etnologici eantropologici, che la renderebberopossibile. Le ragioni di una mancatacoerentizzazione strutturale della teoriadel modo di produzione comunitarionon stanno quindi in una scarsità di datied informazioni (che sono anziabbondanti), ma stanno proprio nellanatura classista degli studi etnologicied antropologici. I gruppi universitariche li coltivano, infatti, ne traggono ingenerale conclusioni esclusivamenterelativistiche, su cui sviluppano poivisioni filosofiche basate sulla criticaall’idea di universalità, ed in questomodo confluiscono nell’innocua vulgatapostmoderna. Ma lo studio onesto delmodo di produzione comunitario nondovrebbe portare al relativismo, madovrebbe condurre invece proprio alsuo contrario, e cioè all’universalismocomunitario. Ma l’universalismocomunitario porterebbepericolososamente vicino ad una formadi comunismo umanistico strutturale,qualcosa di incompatibile con la culturauniversitaria odierna.In realtà è esistito un modo diproduzione comunitario. Non è neppurecorretto dire che esso eracaratterizzato da un basso livello delleforze produttive, dall’assenza disfruttamento classista nei rapporti diproduzione e da una ideologia magico­totemica. Esso era caratterizzato dauna coerenza fra l’uso disponibile delleforze produttive, la distribuzione delplusprodotto nella comunità el’immagine naturalistica del mondo.Non si tratta ovviamente di idealizzarloe di rimpiangerlo, ignorandone imacroscopici e scandalosi “aspettinegativi”. La formazione irreversibiledel profilo individuale moderno e lo

Costanzo PreveUna nuova storia alternativa

della filosofiaEditrice Petite Plaisance, 2013

pp. 538, euro 30,00

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stesso affollamento demograficoodierno renderebbe comunque ridicolaqualunque “nostalgia”. Esiste nellastoria una specifica irreversibilitàtemporale che di per se non ha nulla ache fare con l’ideologia lineare delprogresso. Il modo di produzionecomunitario primitivo non deve essere“rimpianto”. Esso deve essere prima ditutto capito concettualmente. Una voltache lo si è capito concettualmente, sisono poste le basi per una correttaricostruzione della storia universaledell’umanità. Che è appunto ciò di cuiabbiamo soprattutto bisogno.

4. La dialettica sociale della comunitàgreca antica: eccezionalismo eduniversalismo filosofico potenziale

La filosofia greca è stata un fenomenostorico e sociale. In quanto fenomenostorico ha avuto una genesi storica,come del resto tutti i fenomeni storici.In quanto fenomeno sociale ha avutouna funzione sociale e comunitaria,come del resto tutti i fenomeni socialie comunitari. Questo non significa,però, che possiamo trovarne unacausalità unica ed esclusiva. Nellostesso tempo, bisogna considerareuna specie di oscenità fastidiosa ogniinterpretazione sistematicamente eprovocatoriamente destoricizzata edesocializzata (in Italia si distingue inquesto campo l’interpretazione diEmanuele Severino, inarrivabile perfraintendimento sistematico delmondo greco). Già Hegel avevaacutamente rilevato che la filosofia sioccupa della verità, non certo delleopinioni, e quindi non deve maiessere ridotta ad inutile ediseducativa filastrocca di opinionisuccessive. È questa invecel’impressione che ne hannoinevitabilmente gli studenti italiani,liceali ed universitari. Quelli liceali,che non si occupano e non sioccuperanno mai nella loro vita difilosofia in modo professionale,sopportano tutto questo conl’indifferenza tipica del sedicenne, enon possono neppure immaginare chela filosofia sia un’altra cosa. Quelliuniversitari, almeno oggi, hanno unasorte molto peggiore, perché vengonochiamati alla professionalizzazionedella vocazione filosofica da gruppiideologizzati di pensatori postmoderni,relativistici e nichilistici che gli spieganoche per sua propria natura la filosofia èrelativista e nichilista, e si occupaesclusivamente della classificazione diopinioni, tutte comunque infondate.Come ho detto, non bisogna perseguire

ad ogni costo spiegazioni monocausalisulla genesi storica e sulla funzionesociale della filosofia. Ma non bisognaneppure fare il contrario, limitarsi adelencare dei cosiddetti “fattori” di tipoculturale, religioso, ambientale,eccetera. Bisogna invece cercare, conil rischio della semplificazione e delriduzionismo, di produrre una teoriadella genesi storica ed una teoria dellafunzione sociale. E bisogna partire daun fatto differenziale, e cioè dal fattoche il mondo greco non era strutturatocome un dispotismo comunitario. Cosìcome i greci non erano cristiani (fattouniversalmente noto, ed altrettantouniversalmente non conosciuto), nonerano neppure egizi, babilonesi, indianio cinesi. E tuttavia, cerchiamo diprodurre sommariamente sia l’ipotesidella genesi storica sia l’ipotesi della

funzione sociale.La genesi storica della filosofia grecasorge con la diffusione della monetaconiata (Lidia, Chio, Egina, solo in unsecondo tempo Atene), con laprivatizzazione monetaria deiprecedenti possessicollettivi comunitari e tribali, e con lageneralizzazione della schiavitù perdebiti. Il problema fondamentale dellaprima fase delle poleis greche sta nelpericolo di dissoluzione delleprecedenti comunità a causa dellageneralizzazione della schiavitù perdebiti. I “primi filosofi”, quindi non sonoquelli che manifestano una generica edindeterminata “meraviglia”

(thaumazein) verso il cosmo naturaleesterno, e si chiedono se i principi primisiano divisibili o indivisibili, liquidi, solidio gassosi, eccetera, ma sono quelli checercano di affrontare concretamente ilproblema della dissoluzioneindividualistica e privatistica dellacomunità che deriva dal possessoprivato di quantità infinite edindeterminate di moneta coniata e diconseguente schiavizzazione per debitidi concittadini e di compatrioti. È questala genesi storica della riflessione storicagreca. Si tratta della riflessione dellacomunità su se stessa, che sidetermina individualmente comeriflessione dell’individuo su se stesso,in quanto l’individuo munito di anima(psyché) è un microcosmo, ilmicrocosmo individuale di unmacrocosmo naturale e sociale ancoralargamente indistinti. Il detto delfico esocratico “conosci te stesso” (gnothi seautòn) è quindi non tanto un invitoall’introspezione isolata di tiponarcisistico, ma un invito a conoscerese stessi in quanto animali dotati diragione, linguaggio e soprattuttocapacità di “misura” (metron) delproprio ambiente di vita collettiva.La funzione sociale di questa attivitàfilosofica deriva direttamente da questagenesi storica. La legge comunitaria(nomos) è un derivato etimologico di unverbo che significa divisione dei beni edelle cariche (nemein), e si tratta alloradi individuare logicamente il criterio piùgiusto per effettuare questa divisione.Si tratta del concetto pitagorico dilogos, legato ad una corretta divisionedelle proprietà e del potere, divisioneche non può essere fatta in base allageometria, termine cheetimologicamente significa divisionedella terra (o delle terre). Ma la monetae la schiavizzazione per debitiimpediscono che il nomos del nemeinavvenga secondo il metron, la giustizia(dike) ed il logos, per cui al posto diquesto limite (peras) si installa ilcontrario del limite (peras), e cioèl’apeiron (infinito e indeterminato), dacui nasce necessariamente ladissoluzione caotica della comunità.Ecco perché Pitagora, Solone eClistene sono i veri fondatori delpensiero filosofico greco.La corretta e giusta divisione dei beni edel potere nella comunità cittadina, inassenza di una filosofia evolutiva elineare della storia, non può che esserepensata nella forma della immutabilitàgeometrica e dei giusti rapporti eterni.Ed allora lo stesso concetto di Essere(to on), lungi dall’essere un’assurdaproduzione astratta di pensiero di un

Costanzo Preve - Luigi Tedeschi:Lineamenti per una nuova fillosofiadella storia,Il Prato 2013, pag. 283, € 18,00

25ITALICUM maggio­giugno 2014 Cultura

Alessandro MonchiettoGiacomo Pezzano

Invito allo straniamentoEditrice Petite Plaisance, 2014

pp. 159 euro 15,00

pitagorico di Elea, rappresenta lametafora della immutabilità eterna edimmodificabile della buona legislazionepitagorica geometrizzata.Il Bene storico e sociale è dunquepensato come l’Uno numericopitagorico. Non si tratta per nulladell’Uno inteso come divinità creatricedi tipo ebraico e poi cristiano. In questosenso, il successivo platonismocristiano e musulmano fa parte di unacostellazione filosofica del tuttolegittima, ma anche del tutto estraneaal pensiero greco. L’uno filosoficogreco è interamente sociale e politico,ed è la metafora dell’unità dellacomunità. In questo senso Marx èallievo dei greci, perché la sua unitàdella comunità mondializzata ha comematrice la concezione razionalisticagreca di Uno, e non certamente lasecolarizzazione del messianesimoebraico­cristiano nel linguaggiodell’economia politica individualisticaed empiristica inglese.La distinzione di Platone fra l’Uno e laDiade infinita non è che un tentativo dipensare la differenza all’internodell’unità (come già era stato inEraclito). Ed anche Aristotele tienefermo il principio dell’Uno, esemplicemente nega che questoprincipio possa essere pensatoseparatamente dalla suaconcretizzazione storica e sociale. Inquesto senso, Marx è un suo allievofilosofico diretto.Questo mirabile pensiero filosofico –spero lo si sia capito – è mirabileperché pensa per la primavolta in modo rigoroso il pericolo delladissoluzione della comunità ad operadelle potenze incontrollate (e cioèinfinite ed indeterminate) di entitàreificate come il denaro, matrice dellaschiavizzazione per debiti dell’uomo.Nello stesso tempo, questo pensieroprende in considerazione l’ipotesi(probabilmente non ancora maturataall’interno del modo di produzionecomunitario e dei successivi dispotismicomunitari) per cui l’individuo singolopotrebbe aver ragione anche contro lamaggioranza dei membri della suacomunità. Ed infatti, dovendoriassumere la natura dell’attivitàfilosofica in quanto tale, possiamo direche essa ha un unico fondamento, ecioè la possibilità che l’individuosingolo possa aver ragione contro lamaggioranza dei membri della suastessa comunità.È questa la genesi storica del concettodi verità filosofica. All’interno delprecedente modo di produzionecomunitario e dei successivi dispotismi

comunitari la “verità” erasemplicemente la riproduzione dellacomunità, e la “falsità” era ciò che neminacciava la riproduzione. Questofondamento permane anche nelpensiero greco, in cui il “falso” è primadi ogni altra cosa la dissoluzione

privatistica. Le comunità greche, puressendo sempre caratterizzate dallapresenza di schiavi (douloi), eranocomunità in cui dominava un modo diproduzione di piccoli proprietariindipendenti (il poema di Esiodo è inproposito esemplare).Rappresentarsele come comunità incui una minoranza di liberi e oziosi epigri (anche se dediti all’arte ed allafilosofia) erano mantenuti da unamaggioranza di schiavi è unfraintendimento in cui sono caduti molticonfusionari successivi (cito qui allarinfusa Nietzsche, Arentd e Stalin).E dove sta allora lo specificoeccezionalismo dell’esperienzafilosofica greca? È del tutto evidenteche i greci non possono autodichiararsi “superiori” agli indiani ed aicinesi, che hanno sviluppato anch’essiuna grande ed autonoma riflessionefilosofica. Ma c’è pur sempre unadifferenza, apparentemente piccola,ma rilevante. La grande filosofia cineseed indiana si è sviluppata all’interno diun dispotismo comunitario, castale(India) o non castale (Cina), in cuil’individualità era pur semprestrettamente inserita in insiemi sociali,castali e famigliari più ampi. In Grecia,

invece, la comunità è stata minacciatadirettamente dal pericolo immediato diuno sbriciolamento dissolutivo a baseprivatistica ed individualistica, e questoha prodotto uno scenario particolare,che ha costretto l’individuo dotato dianima (psyché) a contrapporsiall’individuo dotato esclusivamente didenaro (chremata). In altre parole, lafilosofia greca è stata lo scenario (o sesi vuole freudianamente la scenaprimaria) in cui è apparso chiaro che laconservazione della comunità di fronteal pericolo della sua dissoluzioneprivatistica ed individualistica nonpoteva avvenire attraverso l’impossibilesogno della restaurazione dellacomunità “organica” precedente, mapoteva avvenire soltanto attraverso lacostituzione di un nuovo tipo diindividuo intenzionalmente erazionalmente sociale e comunitario.Ed in questo modo veniva disegnato ilprofilo filosofico ancora attuale oggi, ecioè di come sia possibile conciliarel’indipendenza filosofica dell’individuocon la struttura comunitaria dellasocietà.Quante sono le possibilità che questomodo nuovo di intendere la grecitàvenga oggi accolto nelle strutturemediatiche ed universitarie? Per ora,assolutamente nessuna. Anche lafilosofia, ed anzi soprattutto la storiadella filosofia, sono prodottisovrastrutturali dei rapporti socialiclassisti. Bisognerà quindi aspettaretempi migliori, o come direbbe l’attoreitaliano Edoardo De Filippo, che passila nottata. Per ora è ancora buio fitto,ma non è detto che lo sia per sempre.Costanzo Preve

Costanzo PreveElogio del ComunitarismoEdizioni Controcorrente

2006, pagg. 261, euro 16,00

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<<Sventurato il mondo che habisogno di eroi>>, aveva

sentenziato Bertold Brecht, e iltempo lo ha corrisposto nelrisultato, ma sconfitto nel giudizio:viviamo in un’epoca di viltà con unesito infausto.Alla morte di Dio preannunciata daNietzsche non poteva checorrispondere la fine del padre. La cosafastidiosa è che coloro i quali,nell’attualità, si esibiscono incontorsionismi sociologici e inpiagnistei psicoanalitici denunciandoquesta condizione, sono gli stessirelativisti autori o complici o celebrantidel deicidio e del parricidio. A partequeste inezie di responsabilità e iconseguenti sfibrati rimedi, il giudiziosulla tragedia è sottoscrivibile.Il padre, nella sua dimensionearchetipica, è ben di più e di altrorispetto al genitore di sesso maschile diquotidiano intendimento e di scontata

rappresentazione. Quello che siintende non è colui che ricorda un ruolodi ancestrale memoria e di elementareimpegno – procacciare il cibo,accendere il fuoco, difendere lacaverna –, ma il simbolo di unafunzione.Innanzitutto, la sua rappresentazioneera di tipo legislativo e <<ancheesecutivo e giudiziario, persino neglistati liberali>>[i]; classica era laminaccia della madre al bambino:“Quando torna a casa tuo padre gli dicotutto e farai i conti con lui”. La donna, inaltri termini, una volta assolto il compitodi accudimento e di sostentamento delfiglio, delegava al marito il compito delgiudizio su un certo comportamento el’eventuale sanzione dello stesso. Unasinergia di funzioni ed un accordo diresponsabilità condivisa, elementifondamentali per una educazionecoerente ed una uniforme costruzionedella personalità, poiché: <<Per sapere“chi sono” devo crescere in un mondofamiliare e sociale […] che mi pone inun contesto ben delimitato erelativamente costante. Altrimenti saròsempre confuso e inquieto nelcollocare la mia identità del momento inun quadro di riferimentosufficientemente stabile>>[ii].Poi, il padre, quale rappresentante delsimbolo della Legge, era anche colui

che determinava la prescrizione, chestabiliva il limite, che decretava laproibizione. È questo il concetto dicastrazione della clinica psicoanalitica:l’impedimento alla soddisfazione dellevoglie, la punizione in caso ditrasgressione del limite, il castigo per laviolazione del divieto. La Leggedescritta non è mai sopruso o sadismo,ma sempre un dispositivo sano dimaturazione, tanto da essereessenziale per il raggiungimento di dueobiettivi: l’esame di realtà e ilmodellamento del desiderio. Da un lato,quindi, la corretta entrata nel mondoreale, che è di per sé ordinato, limitatoe circoscritto dalle norme. Dall’altro,però, la corretta educazione dal puntodi vista etimologico, cioè il condurrefuori, il fare emergere le competenzeinteriori e le capacità di natura del figlio,che si possono riassumere nel propriodaimon della psicologia archetipica, omolto più comprensibilmente,

vocazione.Ad un certo momento, per causecosmiche, per un progetto diabolico nelsuo paradigma di scissione, di divisione(dia­bállein: il diabolico per separare,fomentare il disaccordo, spargere ilsospetto, indurre in errore, dividere),l’armonia simbolica (syn­bállein: ilsimbolico mettere insieme, riunire,legare) è stata smantellata, e con essale funzioni che le erano proprie.Quella che adesso, nell’attivitàmodaiola della disquisizione suimassimi sistemi, viene definita daglipsicoanalisti salottieri <<l’evaporazionedel padre>>, altro non è che ladisgregazione del principio di autoritàgià denunciato negli oramai arcaici annisessanta. All’epoca, colti personaggidella cultura e anticonformistid’avanguardia misero in guardiagiovani e adulti sull’iniziata deriva.Quando – per dirla alla Gomez Dávila –si iniziò a dare del tu a Platone, ogniaristocratica distanza venne annullata,ed il senso di rispetto scomparve.Incominciò il mito dei giovani,coinvolgendo nell’infantilizzazionegenitori e insegnanti, sociologi epedagogisti, con enorme soddisfazionedegli apparati pubblicitari cheinvestirono risorse e denaro nellapropaganda commerciale indirizzataverso questa nuova tipologiaantropologica.

Il problema più grave, rispetto alla giàpericolosa mercantilizzazione deigiovani, è stato quello di rendereevanescente ogni termine di paragone,quindi di confronto e di limite, con laconseguenza di aprire il varco aqualsivoglia istanza pulsionale. Inquesto senso la fine del Padre è statadevastante dalla prospettiva simbolica.Nella scuola come nella famiglia – presia paradigmi dell’organismo comunitario– la democratizzazione dei rapporti haportato a due conseguenze moltodannose che si sono vicendevolmentesupportate in termini negativi: da unlato, l’idea che non esiste alcunrapporto verticale, ma solo una paritàorizzontale di relazioni; dall’altro, lapresunzione che ogni percorso di vitapossa essere facilitato, reso piacevole,escluso da qualunque intoppo efrustrazione. <<Nella conoscenza di sédevi conoscere anche i tuoi limiti>>[iii]– annota Umberto Galimberti, e con i

tuoi limiti anche la tua funzione e il tuomandato vocazionale. E questo era ilmandato archetipico del Padre.Verificato che ci sono cose imparabili,ma non insegnabili, il Padre aveva lafunzione di esempio del divieto, diesame di realtà. La suarappresentazione simbolicadeterminava, in un certo modo, l’alveodentro al quale incanalare le energie,evitando di disperderle nel consumoafinalistico delle voglie contingenti.In questo processo educativo, neldifferimento della gratificazione e nellaprescrizione del dovere, trovava la suaessenza vitale il desiderio, ben altro eben di più della semplice bramosia, edell’altra fuorviante aspirazione. Essoentra a pieno titolo in quella che èriconoscibile con l’idea di vocazione.Cos’era, e cos’è, per un esploratore, senon la volontà di conoscenza quelladisposizione ad abbandonare un luogosicuro per avventurarsi verso l’ignotoper mare e per terra? E per il mistico, ladeterminazione a lasciare il luogomondano per ritirarsi in solitariameditazione verso uno spiritoinconoscibile? E per l’eroe, la coerenzanel giocarsi la stessa vita per un idealeunico ed impagabile? Sempre èsoltanto la vocazione, la fermezzaimplicita nel proprio carattere.Si potrebbe riassumere così la figurasimbolica del Padre, su cui tanto ha

Nè eroi, nè esploratori, nè santi:solo orfani

AAddrrii aannoo SSeeggaattoorrii

27ITALICUM maggio­giugno 2014 Cultura

analizzato e continua ad indagare lapsicoanalisi: colui che forma il carattere.Scrive Salvatore Natoli: <<Il carattere è“fedeltà a se stessi” e per questodiviene destino>>[iv], ed è quello cheinsegnavano un tempo i vecchi, carichidella propria esperienza e conformi alproprio pensiero. E con il carattereinsegnavano quattro indirizzimentali e comportamentalinecessariamentecompresenti: la curiosità, lapassione, il rigore e laperseveranza.Ora, tutto è passato. Lacuriosità si è trasformata inindiscrezione, macinata nellarapidità dell’informazione enella transitorietàdell’interesse. La passione èintesa solamente comeeccitazione, senza misura esenza governo. Il rigoreviene interpretato comecastigo e tormento, perciòevitato. La perseveranza comeostinazione e perdente caparbietà,quindi da abolire in un’ottica diflessibilità. Ora, tutto è possibile, tutto èesigibile, tutto è opinabile.

Per essere eroi, esploratori o santibisogna aver avuto un Padre, quindiessere diventati uomini. La contempo­raneità, invece, ha scomunicato tuttociò: <<Il tramonto del regno del padrenon [ha] annuncia[to] l’avvento delregno delle madri, ma solo un periododi reggenza materna in nome del regno

del figlio, una sorta dipaidocentrismo>>[v]. Con moltiringraziamenti del capitale: <<[…] ilbambino significa il simbolo del perfettoconsumatore, lo stato paradisiaco del

capriccio accontentato come valoresupremo. […] Il “diventa adulto” rivoltoal bambino significa “diventaconsumatore” [in] una generaleinfantilizzazione, priva di leggi paterne esfuggita al contenimento materno>>[vi].Risultato: padri che hanno tradito lapropria funzione e figli – secondo una

felice, seppur tragicamente cinicadefinizione di un’insegnanteilluminata – ‘orfani di genitori viventi’.Bertold Brecht ha vinto, ma chi èstato sconfitto è l’uomo differenziato,sostituto da un individuo confuso esfuggente, alla ricerca inconscia di unpadrone che lo guidi e lo protegga.

Adriano Segatori­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­[i] R. MÀDERA, La carta del senso,Raffaello Cortina, Milano 2012, p.103.[ii] Ivi, p. 105.[iii] U. GALIMBERTI, Il viandantedella filosofia, Aliberti, Roma 2011.

[iv] S. NATOLI, Il buon uso del mondo,Mondadori, Milano 2010, p. 137.[v] R. MÀDERA, La carta del senso,cit., p. 114.[vi] Ivi, p. 115.

Rivolta contro il mondo modernodi Julius Evola è uno di quei

pochissimi libri che meriterebberodi esser portati con noi sullaclassica isola deserta.Appartiene al novero delle opereuniversali, che in un unico sguardo

racchiudono l’intera vicenda dellanostra civiltà, stabilendone le origini, isignificati, i simboli, i destini. Qualcosache, per impianto, profondità eampiezza epocale delle prospettive,può considerarsi il pendant de Iltramonto dell’Occidente di Spengler. InRivolta come altrove Evola legge gliavvenimenti della storia conosciutacome una costante regressione,ponendosi lungo quella linea distoricismo tradizionale che – da Esiodofino a Nietzsche – vide nell’avvento delpensiero calcolante e nel dominio dellesottocaste materialiste la progressivainvoluzione del sistema aureo delle

origini. Come sappiamo, nel suo testosulle Opere e i giorni Esiodo leggeva ladegenerazione nel passaggio dall’etàdell’oro a quelle dell’argento, delbronzo, degli eroi e infine del ferro. Unasuccessione regressiva che tuttavia siimpiantava tutta su un’idea del tempo

come filo che si svolge verso unadirezione necessaria, recante al suointerno la nozione ciclica degli eventi edelle ére: concezione dunqueessenzialmente storica, anzi storicisticapoiché fa della storia il perno della vitae del manifestarsi dell’essere. Allostesso modo, Nietzsche vedeva nellosviluppo storico la stessa tendenza aregredire, per cui, da Socrate alsocialismo, egli non vedeva che ununico svolgimento verso il basso, chedalle antiche eccellenze dellearistocrazie di pensiero e di dominioconduceva all’egemonia delrazionalismo acquisitivo e al correlato

avvento al potere delle plebi mercantili.Quando Evola – ad es. in Gli uomini ele rovine – attaccava lo storicismo,dicendolo un elemento delladegradazione progressista, lo legavaalla versione moderna di quelmovimento, per cui, davvero, la

storiografia egemone negli ultimi duesecoli ha sempre dato per scontato chel’umanità procedesse secondo unalinea storica che dalla barbariedell’antichità perveniva alla luce delprogresso, della democrazia, dellosviluppo etc. Inoltre, Evola dicevaquest’impostazione un frutto corrottodell’epoca materialista, che al postodella tradizionale concezionedell’essere, dello star fermi sui principiintemporali legati alla trascendenza,aveva dato corso all’idea affattosovversiva del divenire, del mutevolesempre e in ogni caso, del semprenuovo che, con la velocità, l’effimero e

LLuuccaa LLeeoonneell lloo RRiimmbboottttii

Julius Evola e lo storicismoA ottant'anni dalla pubblicazione

di "Rivolta contro il mondo moderno" 1934 ­ 2014

28 ITALICUM maggio­giugno 2014Cultura

il transeunte, li diceva cardine dellasocietà liquida e instabile legata alprogresso e al cambiamento. Ecertamente, se guardiamo le cose daun tale punto di vista, è impossibile nondargli ragione.Eppure, è anche vero che la medesimaottica evoliana è storicistica, poichélegge comunque uno svolgimentostorico, sebbene rovesciato e innegativo rispetto alla letturaprogressista: si va comunqueprocedendo in avanti, solo che nerisulta rovesciato il postulato di fondo:l’illuminismo cosmopolita vede nellastoria il viaggio verso le “meravigliosesorti e progressive” dell’umanità,mentre il tradizionalismo – si tratti diEvola, Esiodo oppure Nietzscheo Spengler – legge in questostesso fenomeno un’involuzioneverso tutto ciò che è inferiore. Mail fenomeno osservato è ilmedesimo. Scriveva infatti Evolacirca «quel cedimento ofranamento, per cui da civiltàdell’essere – cioè della stabilità edella forma, con aderenza aprincipi supertemporali – si èpassati ad una civiltà deldivenire, ossia del mutamento,del fluire, della contingenza». Eaccusava lo storicismoprogressista di trascurare levariabili e i contraccolpi, icambiamenti di direzione che spessointervengono a mutare rotta per poiinabissarsi, così da considerare solo leculture egemoni e, così facendo«presumere di ricondurre il tutto ad unosviluppo lineare».L’accusa, riferibile al falso storicismogiacobino­illuminista di colorituramassonico­liberale, è certamentesottoscrivibile in pieno. Ma il “vero”storicismo, quello che attribuiva allastoria il compito fondante di rintracciare– sia come componente egemone evisibile sia sotterranea e minoritaria – itratti della personalità identitaria deipopoli e, così facendo, narrarne lamorfologia e le vicende, questo verostoricismo fu altra cosa.Modernamente, esso provenne perl’appunto dal Romanticismo, che perprimo riscoprì la vena popolare delleculture e cercò di abbracciare con ununico sguardo ciò che segna lapresenza oppure l’assenza diun’identità storicamente leggibile,qualcosa che può essere definito comeuna coscienza storica di sé, che certipopoli di cultura superiore hanno e certialtri invece non hanno. Evola non rifiutail significato e l’importanza del sensodella storia, che tra l’altro è implicito

nella stessa considerazione dellaciclicità delle epoche, da lui condivisa.La critica di Evola allo storicismolineare e progressista, in cui eglivedeva l’impossibilità di inserire unlibero volontarismo: il concetto di“fatalità della storia” rende gliaccadimenti ineluttabili, e quindi,secondo questa impostazione, ognisforzo di contrasto sarebbe destinato asoccombere. Ma allora anche laconcezione ciclica della storia possiedeun suo sviluppo, svolgendosi le epochelungo percorsi ricorrenti e, al limite,prevedibili: necessità e finalismo sonointerni anche alla dottrina dei ciclistorici e dell’eterno ritorno. Difatti Evolacritica lo storicismo marxiano (che,

come quello cristiano, prevede unprocedere verso la “fine della storia”, la“freccia della storia” che corre verso ilbersaglio), ma compie anch’egli unpercorso simile, semplicementerovesciando i significati: dove ilprogressista vede lo sviluppo, Evolavede la regressione, la decadenza, finoall’avvento del “quinto stato” da luidenunciato come finale apprododegenerativo della civiltà moderna.Quando poi Evola – in Cavalcare latigre, ma anche in Gli uomini e le rovine– suggerisce di agevolare le forzedegenerative al fine di affrettare laconclusione del ciclo nichilista, dinuovo presenta una concezionestoricistica, che assegna comunque alprocedimento storico – ciò che luichiama il divenire – un ruolo centralenella lotta per i valori. Era in fondo lamedesima opzione nietzscheana:opporre al nichilismo distruttore unnichilismo attivo e creatore. Evola,insomma, è un vettore anch’eglidell’impostazione storicistica, ma quellatradizionale e organica che giudica –alla maniera di Spengler – gli eventicome parti relative e ricorrenti di unfenomeno molteplice, per cui ognicultura ha il suo periodo di sviluppo,

apogeo e crisi, dispiegandosi secondologiche interne che dipendono dallamorfologia di una civiltà, dal suo segnointeriore, dal suo Volksgeist. Sebbeneanti­hegeliano, Evola rimase un cultoredella storia come manifestazione delsacro che è interno ad ogni Kultur eche è individuabile lungo il suopeculiare percorso storico.Cade a proposito quanto ha ben scrittoAlain de Benoist nell’introduzioneall’edizione delle Mediterranee de Gliuomini e le rovine, una delle opere incui si appuntò la critica evoliana allostoricismo moderno: «In realtà, ciò cheEvola rifiuta più profondamente, non ètanto lo storicismo propriamente detto,quanto l’ottimismo inerente alla forma

moderna di storicismo, acominciare dall’ideologia delprogresso […] Evola stessocerca, al di là della sempliceconcatenazione degliavvenimenti, d’identificare lelinee di fondo dello sviluppostorico, e i momenti e le tappedella storia che egli ritiene piùsignificative non differisconoaffatto da quelle che la stessaideologia del progresso hapreso in considerazione». E ciòche rivela questo dato è quantoEvola stesso ebbe a scrivere inRicognizioni, dove, in marginealla sua critica allo storicismo

fatalistico e utopistico marxiano, purericonosceva a Marx il merito di avercercato di «individuare una direttricegenerale di marcia della storia infunzione di fasi ben precise». Che erain fondo il medesimo intendimento chelui, Evola, ha perseguito in tutta la suaopera: individuare la direttrice di marciadella storia – regressiva anzichéprogressiva – e precisare il fulcro deivalori, ora emergenti ora sommersi, chepermangono nella storia. L’idealeghibellino di Evola ebbe tutti i crismi diun’epifania eternamente passibile diinverarsi anche nel futuro, unapresenza storica ma anche unaugurabile approdo, dunque secondoun modo di pensare a suo modofinalistico, come possibile sbocco in unnuovo ciclo storico.L’affresco in questo senso più poderosocompiuto dalla cultura italiana delNovecento per precisare i confini deivalori relativi all’essere della civiltàeuropea e per osservare da vicino iprocedimenti in base ai quali questofermo imperio dell’ordine si è andatosfaldando sotto i colpi di una secolaresovversione, è Rivolta contro il mondomoderno. Qui Evola sembra davveroun Mommsen della Kultur, un Ranke

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Antonio PannulloAttivisti

Settimo Sigillo 2014pp. 696 euro 39,00

della civiltà indoeuropea, uno Spenglerdella tradizione: uno storico dell’animainterna alla civiltà superiore. E undiagnostico della curva involutiva chevenne impressa per via dell’insorgeredi forze inferiori e perverse, ciò checondusse lungo un intero arco di secolialla modernità, allo sgretolamento deivalori tradizionali e infine all’apertasincope della civiltà occidentale.Attingendo ai parametri della storiasacra e del mito – ben più che aisemplici accadimenti della storiaprofana – Evola perviene alladescrizione del mondo stabile delle etàauree in cui il simbolo e il rito, laspiritualità e l’azione coincidevano nellaperfezione metafisica di un mondoincardinato sull’ordine cosmico. Leggidi potenza e segni di calma forzaordinatrice furono alle origini del cicloindo­ario che generò la storiaoccidentale e orientale: dalla regalitàalla simbologia polare e solare, dallagerarchia all’ordinamento delle caste,dall’ascesi sacerdotale a quellaguerriera, simboli, miti, liturgie e istitutierano l’esito di uno sguardo sacrale sultutto, per poi confluire in un mondo diordinamenti interiori e politici,simmetrici e immobili nel loro costituirsiin veste di centro immutabile dellasocietà triordinata. Un tale Kosmos,letto da Evola come il frutto misterico efatale di un conflitto primordiale fra ivalori matriarchici­naturali dellaprotostoria e quelli virili–uranici dei ciclistorici, nel passaggiodall’indifferenziato all’ordinato, costituìla fonte di appartenenze di tagliosuperiore, che – ad es. con lacavalleria – ebbe risvolti di importanzasociale con notevoli ricadute, sia pureal livello sovente di relitti, fino sullesoglie della modernità. Il «declino dellerazze superiori» fu il segnale che ilciclo, una volta oltrepassato il suopunto apicale, volgeva alla fine, dandola stura a un crescente motodegenerativo al cui culmine vi sarà ilfinale collasso, con la certezza di unaprognosi inesorabile, ineluttabile. Qui

risiede l’anima dello storicismooppositivo di Evola. E il collasso dellasfaldata società occidentale diventa adun certo punto necessario. Evola, comeSpengler, come Esiodo, comeGobineau, come Nietzsche, è unorganicista. Egli considera la civiltà unorganismo vivente esposto agli assaltidi una lacerazione interiore che è giàda alcuni secoli all’opera, in qualità didistruttiva infezione in un corpo giàsano e vitale.Alle spalle dell’approccio evoliano allastoria troviamo dunque, come per

Spengler, gli insegnamenti di Dilthey(ogni epoca storica è autocentrata,quasi autarchica), di Goethe (la storia èun procedimento organico dinamico) edi Nietzsche (le culture non sono cheorganismi elementari stretti nei loro ciclibiologici: eterno ritorno). Marileggiamoci la formidabile pagina diRivolta contro il mondo moderno, in cuiquesta svolta decisiva vienetratteggiata coi modi di un drammaticoreferto diagnostico:È a tale riguardo che può dirsi che lerazze superiori occidentali già da secolisono entrate in agonia e che losviluppo crescente delle popolazionidella terra ha lo stesso significato del

pullulare vermicolare che siverifica nelladecomposizione degliorganismi, o quello di uncancro: anche il cancro èl’ipertrofia sfrenata di unplasma che divora lestrutture normalidifferenziate di unorganismo essendosisottratto alla leggeregolatrice di esso. Questoè il quadro presentato dalmondo moderno: alla

regressione e al declino delle forzefecondatrici in senso superiore, delleforze portatrici della forma, fa riscontroil proliferare illimitato della “materia”,del senza­forma, dell’uomo­massa.A ottant’anni da questa spaventosaanalisi scientifica circa le condizionidella civiltà nata in Europa dall’uomobianco, noi non possiamo cheverificare la vorticosa accelerazione diun tale movimento di folledisintegrazione nel frattemposopravvenuta, per di più accompagnatadall’incosciente cecità dei nostricontemporanei, essi stessi assaliti dallamalattia mortale. Il finale tragico eapocalittico che a grandi passi siavvicina è certamente qualcosa cheoltrepassa di gran lunga l’angosciadolorosa di un Rutilio Namazianodinanzi alla sconvolgente visione delcrollo dell’Impero di Roma. Ciò cheemerge e ciò che si inabissa:riconoscere il moto ondoso dellamacro­storia è quella forma distoricismo che permette di individuare,conoscere e possibilmente fronteggiaretutte quelle forze – palesi o occulte –che agiscono nella storia in sensodistruttivo. È uno sforzo culturale, maanche politico, teso a risvegliare lecoscienze, per aprire gli occhi, perrianimare – come in una prassichemioterapica – possibili cellule viveancora latenti. Di questa “dottrina delrisveglio” ad uso dell’uomo europeocontemporaneo, Julius Evola è stato ilgrande demiurgo.Luca Leonello Rimbotti

30ITALICUM maggio­giugno 2014 Cultura

Già alla fine degli anni Settanta, ilpolitologo britannico Hedley

Bull, constatando il mutamento degliequilibri sociali e di potereinternazionali, nel testo “La societàanarchica” scriveva: «il mondo vaverso un nuovo Medioevo».Questa riflessione scaturiva da unaprecoce analisi delle dinamiche che sisono poi palesate qualche decennio piùtardi e che, attualmente, sonoquotidianamente evidenti: incertezzanel futuro, “invasioni” di migranti aiconfini degli stati del Primo Mondo,perdita di autorità da parte degli statinazionali, poteri trans­nazionali occultiche influenzano le scelte dei governi ela vita dei cittadini. Ma quando Bellscriveva, nel 1977, gli indizi eranosufficienti solamente per evocare unfuturo caotico, insicuro, dove iltramonto della sovranità esercitatadagli stati nazionali avrebbe portato aldilagare della violenza privata

internazionale. Se a Bull è possibileattribuire il merito di aver intuito in partela direzione verso la quale l’ordinemondiale, occidentale in particolare, sistava indirizzando, bisogna riconoscereche il termine Nuovo Medioevo fuutilizzato già durante la prima metà del‘900 dal filosofo russo NikolajAleksandrovič Berdjaev, esponentedella corrente dell'Esistenzialismocristiano. Nel suo libro intitolato,appunto, Nuovo Medioevo, Berdjaev siconcentra però sui risvolti filosofico­spirituali dei mutamenti in attoall’epoca, decretando la sconfitta deglieretici valori dell’umanesimo, delprogressismo positivista e dell’ideale dilibertà (anche dalle leggi divine)preconizzando l’avvento di un periodobuio, caratterizzato da un’aspra lotta trail bene ed il male, un’epoca nella quale“tutti gli aspetti della vita andranno acollocarsi sotto il segno della lottareligiosa, e si esprimeranno principireligiosi estremi". Secondo Berdjaev,l'uomo del XX secolo si trova di frontealla sua più grave crisi spirituale,incatenato a forze più grandi di lui, chelungi dal liberarlo lo hanno "debilitato" ereso schiavo: è facile capire come, nelsuo contesto storico, il filosofo vedessela rivoluzione russa ed il comunismocome chiari segni di un NuovoMedioevo, manifestazione delle forze

diaboliche alle quali contrapporre lareligione di Cristo. « La luce diurna erazionalista della storia moderna si vaspegnendo, il suo astro declina,avanza il crepuscolo, e ci avviciniamoalla notte. »Ma il significato che attualmenteattribuiamo alla locuzione “NuovoMedioevo” è decisamente più recente:si parla del primo decennio del XXIsecolo, quando alcuni sociologi hannoespresso tale concetto nell’intento diriassumere la paura generalizzata neiconfronti del futuro, alimentata dalladecrescita di molti paesi del PrimoMondo colpiti dalle crisi economiche. Inquesto clima, si possono rintracciaredelle analogie con il Medioevopensando a come, in Europa tantoquanto in America, i partiti politici sianoridotti, in alcuni casi, a “feudi” personalida lasciare in eredità ai delfini di turno,mentre a livello sovranazionale i giochisiano condotti da soggetti sui quali i

cittadini sembrano non avere controllo,ricordando istituzioni medievali come ilSacro Romano Impero o la Chiesa.Come reazione difensiva ad“incastellamento” si assiste, in alcunipaesi, alla diffusione di comunitàautonome chiamate “gatedcommunities” (ma si pensi anche aCeuta e Melilla) oppure al diffondersi diaspirazioni separatiste su base etnica,religiosa, geografica. Questi fenomenimettono in luce la perdita di forza eautorevolezza da parte degli statinazionali, che si trovano a doveraffrontare delle minacce chesembravano dimenticate, come leattività terroristiche portate avanti dagruppi fondamentalisti (non soloreligiosi) che tanto ricordano il climaviolento e contrappositivo checaratterizzò i secoli delle crociate edelle persecuzioni degli eretici. A livellocomunicativo, inoltre, ci si puòaccorgere di quanto, negli anni, siacresciuto il “digital divide” tra chi è ingrado di accedere alle nuovetecnologie dell’informazione – epadroneggiarle – e chi no; come illatino era la lingua universale durantel’Impero Romano ed i Medioevo, cosìora l’inglese è la lingua universale perla comunicazione e per l’informazione,restringendo di conseguenza la fasciadegli internet­alfabetizzati ed

ampliando invece il divario tra le classiincolte e le élite culturali. Non è piùsufficiente, infatti, saper leggere escrivere per poter essere definitialfabetizzati: una nuova forma dianalfabetismo si sta diffondo e lasensazione generale di sfiducia,superstizione, rifiuto dei principidell’Illuminismo è alimentata anche daldiffondersi di generi culturali di massache vedono protagonisti di libri e filmpersonaggi magici e fantastici. IlMedioevo in questo campo fa perfinotendenza: spopolano infatti ancherievocazioni storiche e musicali.Queste, in sintesi possono essere leprincipali e grossolane analogie chepossono venire in mente paragonandol’epoca attuale al Medioevo, tenendocomunque conto che non si trattò di unperiodo storico totalmente buio edimmobile ma, altresì, ricco disfaccettature, fioriture commerciali (sipensi, ad esempio, alle Repubbliche

Marinare) ed artistiche.Ma quanto si può paragonare il NuovoMedioevo a quello “vecchio”? Dovefiniscono le analogie (più o menosuperficiali) ed iniziano le differenze?C’è chi, tra i politologi, ha preso laquestione molto sul serio andando adanalizzare più in profondità il paragonein oggetto: Parag Khanna, americanodi origine indiana, è uno degli studiosiche più ha ragionato sulle somiglianzetra il XXI secolo e l’epoca medievale.Consulente di Barack Obama per lapolitica estera durante la suacampagna presidenziale, collabora conprestigiose testate quali New YorkTimes e Financial Times; i suoi studi siconcentrano sulle dinamiche disviluppo e logiche di potere in atto neipaesi del Primo e del Secondo Mondo,materie oggetto di approfondimentodella New American Foundation, di cuiè una delle menti di spicco, dovevengono ponderate le possibilistrategie per affrontare le turbolenzemondiali. Secondo Khanna, nell’epocaattuale, in cui i problemi più evidenti emeglio percepiti sono le crisieconomiche in corso nei paesi “ricchi”,sarebbe in atto una guerra di tiposocio­economica tra Europa e Cina perimporre i propri modelli di sviluppo. El’America? In questo gioco, secondo lostudioso, sarebbero tagliati fuori

Verso un nuovo medioevo?

LLaauurraa GGaarrdd iinn

31 ITALICUM maggio­giugno 2014Attualità

proprio gli Stati Uniti, arrivati adesaurire la loro capacità di espansionetrovandosi nel pericolo di finire proprionel Secondo Mondo. Tornando alparagone con il Medioevo, il politologofa notare come la differenza principalecon quest’epoca sia proprio l’assenzadell’America, ovviamente non presentedurante i “secoli bui”. Tuttavia, a dettadi Khanna, ci sono altri riferimenti chepossono essere considerati validi peravvalorare le analogie: anche nelmondo di allora, erano presenti unOriente ed un Occidente potenti,l’Impero Indiano del Sud governava imari dell’Africa Orientaleall’Indonesia, il mondo arabo­islamicoera al massimo del suo splendore,mentre il Sacro Romano Imperosoffriva un periodo di instabilità. Loscenario attuale e le prospettive diordine mondiali future, per Khanna,non sono dei migliori: “oggi i poteriche ci si aspetterebbe mantenesserola pace sono i maggiori produttori diarmi, le banche che dovrebberoincoraggiare il risparmio promuovonoun tenore di vita oltre i propri mezzi egli alimenti arrivano alle popolazioniaffamate dopo che sono morte. Cistiamo dirigendo verso una tempestaperfetta di consumo di energia,crescita della popolazione e scarsitàdi cibo e di acqua che non risparmierànessuno, ricco o povero”. E ancora:“nel giro di vent’anni potremmovedere le schermaglie fra America eCina evolvere in veri conflitti, ulterioristati deboli crollare, battaglie per ilcontrollo di combustibili e gas nelleprofondità marine, popolazioni in fugadall’Africa centrale, e le isole delPacifico andare a fondo”. Unaprospettiva apocalittica, più chemedievale, per la quale il politologopropone come soluzione l’utilizzo di unamega­diplomazia che non siaappannaggio esclusivo delleorganizzazioni internazionali o deglistati, ma perpetrata in maniera trans­nazionale da una molteplicità disoggetti che fungano da gruppi dipressione con il fine di tutelare gliinteressi in contesti regionali; questocompito può essere svolto da societàmultinazionali, celebrities impegnate nelsociale, organizzazioni non governativeed altre realtà che siano in grado dioperare in modo elastico, bypassando iconfini degli stati, in modointerdipendente.Un’analisi più dettagliata dell’argomento“Nuovo Medioevo” è stata propostaanche dall’italianissimo LorenzoOrnaghi, per dieci anni rettoredell’Università Cattolica (ed ex ministroper i Beni Culturali sotto il governo

Monti), il quale ne ha parlato inoccasione di uno dei convegnipreparatori della quarantaquattresimaedizione delle Settimane Sociali deiCattolici (2004). Il professore di scienzedella politica evoca Bull, secondo cuiesisterebbe una sorta di rapportoinverso fra l’epoca medievale e quellaattuale: oggi ci troveremmo infatti inuna situazione opposta, nella quale glistati nazionali stanno cedendo parte

della loro sovranità ad una molteplicitàdi soggetti di aspirazione universalista.Il passaggio da un sistema all’altro nonera e non sarà immediato, così che almomento ci troviamo in una fase in cuile forme nuove di universalismocontinueranno a coesistere a lungo conquelle particolari. Ornaghi attualizza ilpensiero di Bull portando ad esempio di“Impero Universale” realtà qualil’Unione Europea, gli USA, ma anche ilMercosur in America Latina o l’Apec inAsia. Non solo entità tipicamentestatuali, quindi, ma realtà di varianatura in grado di espandersicollegandosi con altre, anche tramiterapporti di tipo clientelare, esercitandola propria influenza grazie ad unsistema di valori e ad un controllo ditipo economico, capaci di allargarsi benoltre i confini politici. Queste nuoveforme universali non funzionano inmodo ottimale, perché, secondoOrnaghi “sono strutturate con unaconcezione di organizzazioneinternazionale di vecchio stampo, in cuii componenti possono essere solo gliStati, ma funzionano dovendo tener

conto di interessi e aspettative che nonsono solo quelle dettate dai singoligoverni che li compongono”. Ma cisono anche fenomeni in nettacontrotendenza, come la proliferazionedi nuove entità statali avvenuta inconseguenza del crollo sovieticooppure i movimenti separatisti presentiin Europa.In questo contesto, le prospettive diequilibrio che si vanno delineando

portano a considerare un nuovo tipodi multilateralismo, nel quale i ruolitradizionalmente svolti dagli stati (perquanto riguarda, per esempio, politicaestera e sicurezza nazionale)saranno gestiti anche da altri soggetti:come accennava Khanna, si tratta diONG, movimenti religiosi, gruppi dipressione ecc. in grado sempre più dicontribuire in modo decisivo in alcunespecifiche aree di policy. Questi attoripossono potenzialmente rivelarsiimportanti anche nel controllo dellasicurezza a livello internazionale che,a livello psicologico, è un tema moltosentito nel mondo occidentale,soprattutto dopo l’11 settembre del2001. Gli attacchi terroristici “in casa”(kamikaze, attacchi­bomba ecc.) e“fuori casa” (rapimenti, azioni dipirateria), imprevedibili ed incostanti,hanno fatto scoprire alle popolazionioccidentali di non essere invulnerabilima, anzi, molto medievalmente inbalia di nemici sconosciuti. PerOrnaghi, la soluzione a quello cheHuntington ha chiamato “scontro diciviltà” risiede proprio nell’eredità

romana e cristiana dell’Europa, che hapermesso di sviluppare un sistema divalori di tipo universale, capace di nonentrare in contrasto o in contraddizionecon valori particolari. Questo non vuoldire, afferma lo studioso, sentirsi indiritto di imporre ad altri il nostrosistema di pensiero ma significa che“se noi siamo convinti che ci sono valorifondanti comuni, l’accordo lo troveremosul mantenimento di questi valori, sulrispetto della diversità e sul ricercareregole comuni che garantiscano lasicurezza di tutti”.Insomma, il paragone tra l’epocacontemporanea ed il Medioevo non ècerto perfetto ma, se non altro,consente una larga serie di spunti sucui riflettere per interpretare il presentee cercare di prevedere cosa accadrà infuturo: la verità è che non esistonomodelli matematici per sapere cosariservano all’umanità gli anni a seguire,perciò da sempre l’uomo si trova nellanecessità di fare raffronti con leesperienze passate. Proprio la storiapuò venirci in aiuto per evitare larealizzazione della “profezia” di Bull,

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ovvero uno scenario fondamentalmentecaotico: per il politologo statunitenseAmitai Etzioni, all’origine dell’odiernainsicurezza globale ci sarebbe anche lapresunzione, da parte dei paesioccidentali, di esportare la democrazianei paesi in via di sviluppo rimanendoin una dimensione strettamentesecolarizzata, togliendo per esempioalle identità religiose il loro ruolosociale. Per Etzioni si tratta quindi diseguire un modello basato sullasussidiarietà e la collaborazione tra enti

pubblici e forme associative non statali– con la sua valorizzazione dellecomunità locali e dei legami associativi–, opinione che ha espresso ancheOrnaghi suggerendo di trovare deivalori comuni condivisibili: entrambi ipensieri sembrano evocarequell’istanza universalistica chepercorreva e sosteneva la “societàsenza Stato” della christianarespublica. Il riferimento al Medioevo èmeno cupo se si pensa che proprio dalì è fiorito il Rinascimento ed a questo

proposito Khanna cita Henry Kissinger:“Non si disegna un nuovo ordinemondiale come misura di emergenza.Ma c’è bisogno di un’emergenza perprodurre un nuovo ordine mondiale”.Forse quella che stiamo attraversandoè solo un periodo di transizione, nelquale ai contemporanei spetta ilcompito di gettare i semi per unaprossima rifioritura.

Laura Gardin

E’ significativo che un numerocrescente di persone, prive di

qualunque credo religioso, guardacon maggiore attenzione rispetto adun recente passato alle posizioni edalle analisi della Chiesa cattolica,probabilmente cogliendo in essal’ultima autorità credibile nel dareuna risposta di senso al vuoto che ciavvolge.

Con una classe politica preoccupatanel procurarsi essenzialmente leproprie condizioni di sussistenza, laChiesa di Roma ha evidenziato lo statodi eccezionale gravità, sociale, morale,spirituale, in cui versa il continenteeuropeo.

Sintomo palese, come messo in risaltopiù volte da Papa Francesco, èl’estendersi del consumo di sostanzestupefacenti, anche a figure sociali finoadesso estranee a problematiche delgenere.

Tuttavia, come raccomandano glioperatori del settore, quando si entra atrattare di tale materia occorre tenerconto dei cambiamenti avvenuti con iltrascorrere del tempo. Gli stereotipi del“ tossico” elaborati nel corso degli anni80 non troverebbero più riscontro nellarealtà odierna. Il dato centrale è ilprevalere del consumo di cocaina suquello di eroina. Ciò costituirebbe ilpassaggio da una mentalità di “stareout” a favore di quella di “stare in”.Ovvero, in altri termini, la cocaina, cheproduce la fatidica illusione dellaottimizzazione delle proprie prestazioni,risulterebbe più confacente nellasocietà del successo ad ogni costo. Il

che, per inciso, non ci spiega l’usodiffusissimo della cannabis, sostanzaout per eccellenza.

Una metafora efficace di tale passaggioci è offerta dal bellissimo film di BrianDe Palma Carlito’ way. Ambientatonella New York degli anni 80, è la storiadi un mitico spacciatore portoricano dieroina, che grazie alla bravura del suo

avvocato, dedito all’uso di cocaina,riesce ad uscire in tempi brevi dalcarcere. A questo punto l’avvocato gli fala proposta di dirigere un locale di suaproprietà che Carlito, per spirito diriconoscenza, accetta. Tuttavia,disgustato dall’ inedita aggressivitàcocainomane che lo circonda, siabbandona a questa riflessione: “doveè andata a finire tutta quella marijuanache fumavamo?” .

Perderà la vita per mano di un giovaneboss dello spaccio di cocaina natio delBronx. Questi una sera si erapresentato al locale per omaggiare ilgrande Carlito e proporgli grandi affari.Per tutta risposta viene pestato escacciato dal locale. Ciò naturalmentesignificherà la fine di Carlito.

Ma anche l’uso di eroina, limitatoattualmente a strati marginali (inparticolare a “quelli con i cani”), stalentamente riprendendo quota. Lecondizioni di disperazione socialeovviamente non mancano, ma ciòtuttavia, come del resto nel caso dellacocaina, dipende anchedall’aggressività dell’offerta: le facoltosemafie nostrane acquistano ingentiquantità di droga che, debitamentetagliata, arriva sul mercato a prezzi

accessibili (circa la metà degli anni 80).

Il fenomeno, anche se pure con menointensità rispetto al passato, nonsfugge alle forze politiche.

La destra accusa la sinistra di averetollerato una cultura che prevede l’usodi droghe, la sinistra rimprovera ladestra di fissarsi su politiche

proibizioniste che hanno l’unicorisultato di riempire le carceri ditossicodipendenti.

Entrambe contengono parziali verità. Dicerto, storicamente parlando, furonoproprio i dirigenti di Lotta Continua epoi di Autonomia operaia i primi ateorizzare il pestaggio degli “spacciatoridi morte”, nella consapevolezza chel’eroina iniziava a circolare in ambienticontigui al “movimento”. Naturalmente,molti fra i prescelti picchiatori (in realtà icasi di aggressione fisica furono rari)diventeranno a loro volta tossicodipendenti, secondo lo spirito dei tempi.In verità anche l’estrema destra pagò ilsuo prezzo alla “causa”: in città piccolecome Firenze si potevano vedereestremisti di destra e di sinistrariappicificarsi acquistando eroina nellestesse piazze dagli stessi a­politicispacciatori.

Più plausibilmente i neo­conservatoridell’era Reagan attribuirono lacircolazione cospicua di droghe allapenetrazione della controcultura cheavrebbe indebolito in senso edonista itratti fondamentali dell’individualismoamericano.

Tuttavia questa posizione, come si

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Droghe e controcultura, ieri e oggi

Cultura

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evince dall’opera di Lasch, non rendeconto di come la controculturacostituisca oggettivamente un momentointerno di un un più generalemovimento teso all’abbattimento diulteriori vincoli al consumo. Essa se laprende con il razzismo, il sessismo, ilnazionalismo della middle class. Maquest’ultima è anche la detentrice di ciòche resta dell’etica puritana delsacrificio e del demandamento dellarealizzazione del desiderio, che, comeosservato da Keynes ai suoitempi, costituisce un serioostacolo al consumo. Inquesto senso lacontrocultura è andata acogliere esigenze profondedel capitalismo dell’epoca.Da qui la sua assimilazionenel costume che perdura.

Già negli anni 70 laCalifornia si trasforma in ungrande mercato di terapievolte all’equilibrio psico­fisico, ovvero surrogati diquella ricerca psico­fisicacostituita dall’underground.Oggi molti giovani vestonocome i freaks degli anni 70,e fumano cannabis senzaper questo sentirsi deitrasgressori né essere percepiti cometali, mentre ogni grande impresariomusicale sa che per fare lucrosobusiness occorre accaparrarsi BruceSpringsteen o ciò che resta dei PinkFloyd, o Rolling Stones.

Il che, ovviamente, non toglie che lacontrocultura sia stata vissuta comeeversiva: alla fine degli anni 60 nasce ilmovimento yppies di Jerry Rubin, cheabbandona il pacifismo degli hippies afavore di un anticapitalismo dai toniconfusi ma radicaleggianti. Avvieneanche un incontro con l’estremismonero.

Va inoltre precisato che i teorici dellacontrocultura non hanno fatto maiun’apologia dell’uso smodato diqualsiasi droga. Ciò che si contempla èesclusivamente l’assunzione dicannabis e di acido lisergico (LSD) alfine esclusivo del cosiddetto“allargamento della coscienza”. E’ suquesto terreno, fra l’altro, che avvienel’incontro, creativamente scorretto, conla spiritualità indiana.

Che poi lo psichedelismo siadegenerato nel gusto dell’alterazionedegli stati di coscienza fine a sé stessa,fino al punto di veicolare, in un

determinato contesto sociale eculturale, una conversione ai paradisi, èstata innanzitutto l’esperienza di unamiriade di individui su scala globale. E’comunque significativo che un artistaquale Bob Dylan colga nell’esperienzadell’LSD la risposta più a un disagioesistenziale che ad un bisognocognitivo. Scrive e canta: “Hey! Mr.Tambourine Man, play a song for me,I’m not sleepy and there is no place I’mgoing to” .

Esiste del resto una versione dark­decadente della controcultura,sviluppatasi alla fine degli anni 60 inparticolare nella città di New York,lontana apparentemente dall’ottimismopsichedelico di stampo californiano, piùvicina alla nostra tradizione di poeticamaledetta. La provocazione elaboratadall’underground in questa faseconsiste nel mettere in scena unimmaginario popolato da personaggiestremi : prostitute derelitte,tossicomani reduci dal Vietnam,devianti di ogni specie, tutti persi nellasolitudine metropolitana.

E’ questa la New York narrata dal poetae musicista Lou Reed (recentementescomparso) e Velvet Underground. Leloro canzoni, scritte alla fine degli anni60, troveranno eco nel decenniosuccessivo, quando nel seno dellasocietà americana si affaccerà unagenerazione disposta ad identificarsi insuggestioni nichiliste.

Difficile esprimere valutazioni univochesu tutto ciò, come è altrettanto difficilesfuggire alla sensazione che nell’arte diLou Reed si compia la vocazione di unagenerazione.

Significative le sue avventure

concertistiche in Italia: cacciato dalpalco milanese, a metà degli anni 70,da estremisti di sinistra che lo taccionodi “nazismo”, farà ritorno nel nostropaese, tenendo un concerto trionfalenella città di Firenze nel 1980, anno incui l’eroina è nel pieno del rigoglio didiffusione.

A proposito dei “tossici anni 80″, cisembra giusto ricordare un fenomeno,allora sistematicamente oscurato dai

media, ovvero il fatto che uncongruo numero diconsumatori di stupefacenti(concentrati soprattutto nellacittà di Firenze) cercò una viadi salvezza aderendo alla SokaGakkai, la potente settabuddista giapponese affiliata alclero della Nichiren Shoshu(che l’ha recentementescomunicata)

La Soka Gakkai, lo ricordiamo,è impegnata nellapropagazione degliinsegnamenti del monacoNichiren, fondati a loro voltasull’opera di Tien Tai, il più altoe sofisticato sistema dipensiero elaborato dalbuddismo cinese.

Ora per inciso Nichiren, causa la suacontinua denuncia delle eresie a luicontemporanee, è considerato comel’unico caso di intolleranza nell’universobuddista. In realtà si può discutere sullapresunta intolleranza di Nichiren, noncerto della sua unicità: nel lungomedioevo giapponese, i monaci nonesitavano ad armarsi per imporre le lorodiverse interpretazioni del buddismo.

In ogni caso il buddismo è una religionein declino, anche nell’estremo oriente,dove subisce la pressione dell’Islam. Sisalva, fra i paesi che contano, InGiappone, dove le varie sette contanosu milioni di credenti. Tuttavia, secondol’opinione di Daisaku Ikeda, attualepresidente della Soka Gakkai, ilGiappone sarebbe in realtà una terrainfernale popolata da super produttori esuper consumatori, che non troverebbepiù tempo per pregare e meditare. Vi èpiù spirito buddista, osserva finemente,nella moderazione dei suq delle cittàislamiche.

Tuttavia, anche l’Islam è religione, daun punto di vista puramente spirituale,in crisi. Nelle sue forme attuali somigliaad un ideologia, oppure funziona comecopertura di scontri etnici.

Cultura

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Palesemente in crisi è invece lareligione cattolica, alle prese con ildisincanto dell’uomo occidentale, e inAmerica Latina subisce la concorrenzadelle deliranti sette protestanti diorigine statunitense.

Tuttavia, come abbiamo premesso,

nuove attenzioni sono rivolte alle veritàcristiane.

Ma si tratta di un recupero sociale,morale, culturale, di risposta alla crisicontemporanea, che non ha niente ache vedere con un senso religioso delvivere. Crollate anche le grandi utopie

salvifiche, l’uomo occidentale si ritrovacondannato ad un io minimo, barricatosulle proprie strategie difensive e perquesto iper disposto ad ogni evasione,drogastica e non.

Stefano Boninsegni

Cultura

ITALICUMPeriodico di cultura, attualità e informazione del

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