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L’Italia dei cognomi L’antroponimia italiana nel quadro mediterraneo a cura di A. Addobbati, R. Bizzocchi, G. Salinero A. Addobbati, R. Bizzocchi, G. Salinero (a cura di) L’Italia dei cognomi La raccolta di saggi e ricerche curata da Andrea Addobbati, Roberto Bizzocchi e Gregorio Salinero è uno dei primi risultati di un percorso d’indagine nuovo e promettente in materia di antroponomastica. Al centro delle riflessioni del gruppo di ricercatori è il problema del cognome, o nome di famiglia: quando si è formato? In relazione a quali esigenze? La sua adozione è stata un’acquisizione definitiva, o ci sono state forme di denominazione concorrenti che ne hanno limitato e contrastato l’affermazione? Una serie d’interrogativi su cui sono stati chiamati a cimentarsi specialisti di diverse discipline, dai linguisti, cui tradizionalmente compete il campo dell’onomastica, agli storici e agli antropologi, più portati ad indagare i contesti culturali ed economico sociali, dai giuristi e dagli storici del diritto, attenti agli aspetti istituzionali, ai demografi e agli esperti di statistica e di genetica. Attraverso una serie di puntuali sondaggi condotti su diverse aree del paese, dalle Alpi alla Sicilia, e per mezzo del confronto con le situazioni riscontrabili nel resto dell’Europa latina, l’Italia dei cognomi comincia oggi a riemergere dalle nebbie della storia facendoci intravedere le varie dinamiche sociali che ne hanno determinato la straordinaria complessità. 00,00

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L’Italia dei cognomiL’antroponimia italiana nel quadro mediterraneo

a cura di A. Addobbati,R. Bizzocchi, G. Salinero

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La raccolta di saggi e ricerche curata da Andrea Addobbati, Roberto Bizzocchi e Gregorio Salinero è uno dei primi risultati di un percorso d’indagine nuovo e promettente in materia di antroponomastica. Al centro delle riflessioni del gruppo di ricercatori è il problema del cognome, o nome di famiglia: quando si è formato? In relazione a quali esigenze? La sua adozione è stata un’acquisizione definitiva, o ci sono state forme di denominazione concorrenti che ne hanno limitato e contrastato l’affermazione? Una serie d’interrogativi su cui sono stati chiamati a cimentarsi specialisti di diverse discipline, dai linguisti, cui tradizionalmente compete il campo dell’onomastica, agli storici e agli antropologi, più portati ad indagare i contesti culturali ed economico sociali, dai giuristi e dagli storici del diritto, attenti agli aspetti istituzionali, ai demografi e agli esperti di statistica e di genetica. Attraverso una serie di puntuali sondaggi condotti su diverse aree del paese, dalle Alpi alla Sicilia, e per mezzo del confronto con le situazioni riscontrabili nel resto dell’Europa latina, l’Italia dei cognomi comincia oggi a riemergere dalle nebbie della storia facendoci intravedere le varie dinamiche sociali che ne hanno determinato la straordinaria complessità.

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Come mai certi individui non hanno cognome? Pratiche di registrazione

a Venezia attorno al Concilio di TrentoJEAN-FRANÇOIS CHAUVARD

École Française de Rome

Nel 1670 i Provveditori della Sanità iniziano un nuovo censimento degli abitanti della Serenessima1. La procedura è la stessa dall’inizio del XVII secolo: la rilevazione è affidata al sacerdote di ogni parrocchia coadiuvato da un nobile e da un cittadino, quest’ultimo dispone di moduli stampati che comprendono una scheda di istruzione, un foglio specifico per i ricoverati negli ospedali e per il personale ecclesiastico e una scheda tipo per ciascuno dei tre ordini della società veneziana: patrizi, cittadini, artefici. Oltre all’indicazione precisa dell’età, l’originalità del censimento del 1670 sta nel modo di identificare le persone secondo la loro condizione giuridica. Mentre i nobili e i cittadini sono censiti a partire dal nome e dal cognome del capo famiglia (“Nome & cognome del capo di casa, senza alcun titolo, eccetto che se sarà Prete, se li metterà un P.”), si raccomanda per tutti gli altri, raggruppati nella categoria degli artefici, di sostituire il cognome con la professione (“Nelli ARTEFICI in loco del cognome si metterà l’esercitio”).

Questo diverso trattamento, che aveva già attirato l’attenzione di Andrea Schiaffino, mi invita ad affrontare il problema dell’identificazione, piuttosto che quello della formazione, della stabilizzazione, dell’uso del cognome di famiglia, o più esattamente, di porre quest’ultimo nell’insieme delle pratiche di denominazione2. Mi porta anche a privilegiare l’analisi

1 Esempio citato da A. Schiaffino, Contributo allo studio delle rilevazioni della popolazione nella Repubblica di Venezia: finalità, organi, tecniche, classificazioni, in Le fonti della demografia storica in Italia. Atti del Seminario di demografia storica 1971-1972, Roma, Comitato italiano per lo studio dei problemi della popolazione, 1972, I, pp. 300-305; 334.2 Sulla genesi dei cognomi, soprattutto nel Medio Evo, vedere Genèse médiévale de l’anthroponymie moderne: l’espace italien, a cura di J.-M. Martin, F. Menant in “Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge-Temps Modernes” [d’ora in poi

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del modo di identificare le persone dal punto di vista dell’autorità civile o ecclesiastica piuttosto che a ricostituire la maniera con cui il soggetto chiama sé stesso o si fa chiamare, anche se le norme e le pratiche hanno una relazione dialettica, complessa e asimmetrica, poiché le categorie ufficiali di identificazione possono basarsi al tempo stesso su usi antichi, privilegiare un modo di designare rispetto ad altri, introdurre uno schema nuovo la cui adozione può coabitare con altre pratiche, suscitare resistenza e imporsi al termine di un lungo processo di disciplinamento o di acculturazione per usare un termine più neutro3.

Cosa ci dicono le istruzioni dei Provveditori della Sanità nel 1670? Per prima cosa, i criteri di identificazione dipendono dalle finalità della registrazione. In questo caso, i Provveditori della Sanità sono motivati da ragioni sanitarie, economiche e militari. Contare gli uomini significa anticipare i bisogni, in particolari quelli frumentari. Significa anche valutare le risorse che possono essere mobilitate per la difesa della Repubblica. Censire i mestieri della massa di artigiani risponde a questa strategia nel periodo in cui la perdita di Candia non segna la fine delle ambizioni veneziane in Dalmazia e Grecia.

In secondo luogo, le istruzioni confortano l’idea secondo la quale l’utilizzazione della doppia denominazione (nome proprio e cognome di famiglia) costituisce l’unico modo di designare le élites al termine di un processo precoce che è legato, dal XIII secolo, alla trasmissione ereditaria dell’accesso alle cariche politiche e amministrative. L’esistenza, dal 1506, di un Libro d’oro dove sono registrate le nascite legittime delle famiglie patrizie, accelera il processo di aristocratizzazione stabilendo un parallelismo tra la trasmissione ereditaria per via patrilineare di un

“MEFRM”], CVI (1994), 2; CVII (1995), 2; CX (1998), 1; L’anthroponymie. Document de l’histoire sociale des mondes méditerranéens médiévaux. Actes du Colloque international (Rome, 6-8 octobre 1994), recueillis par M. Bourin, J.-M. Martin, F. Menant, Roma, École française de Rome, 1996. I linguisti hanno prodotto un monumentale dizionario: E. Caffarelli, C. Marcato, I cognomi d’Italia. Dizionario storico ed etimologico, Torino, Utet, 2008, 2 voll.3 Sulla genesi, la tipologia e l’uso dei libri di battesimi e di matrimoni, P. Prodi, Il concilio di Trento e i libri parrocchiali. La registrazione come strumento per un nuovo statuto dell’individuo e della famiglia nello Stato confessionale della prima età moderna, in La “conta delle anime”. Popolazione e registri parrocchiali. Questioni di metodo ed esperienze, a cura di G. Coppola, C. Grandi, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 13-20; C.A. Corsini, Nascite e matrimoni, in Le fonti della demografia, cit., pp. 647-699, in part. pp. 661-662; 671-672; 676; C. Schiavone, Le registrazioni dei battesimi e matrimoni a Roma, in ibid., pp. 731-747, in part. pp. 734-738.

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cognome stabile, la trasmissione del potere politico e la trasmissione di beni materiali4. Considerando l’estensione di alcune famiglie nate dallo stesso ceppo (i Contarini per esempio), la differenziazione riposa fin dall’inizio del XVI secolo su una tripla denominazione (nome + cognome + quodam o fu (quando deceduto) + nome proprio del padre), oppure su una quadrupla, per aggiunta della parrocchia di residenza iscrivendo il nome di famiglia nella topografia veneziana. In un momento successivo, la chiusura della classe dei cittadini nella seconda metà del XVI secolo porta ad esaltare la famiglia e ad adottare un sistema di denominazione identica a quella del patriziato, senza il riferimento alla parrocchia di appartenenza che non è così diffusa5. Il censimento del 1670 dimostra che il sistema di identificazione non è socialmente uniforme. Il fatto che gli artigiani siano designati dalla loro professione non dipende soltanto dagli obiettivi dell’indagine. Se, agli occhi delle autorità, il cognome fosse stato un elemento indispensabile per identificare i membri del terzo ordine come lo era per i patrizi e i cittadini, l’avrebbero menzionato prima del mestiere.

Infine, se gli artigiani sono designati con il nome proprio seguito dalla professione, questo non significa che non abbiano un cognome, ma solo che l’autorità incaricata della registrazione giudica più utile sostituirla con il mestiere. In nessun modo si può dunque credere che questo censimento ci dia informazioni sulla diffusione del cognome nelle classi popolari. In questo caso viene addirittura detto che il cognome esiste, visto che deve essere sostituito. In altri casi, la fonte non lo cita, ma questo non vuol dire che non esista, così come la sua registrazione non indica che sia utilizzato né che la sua forma sia stabilizzata. Esiste naturalmente un rapporto tra il ricorso crescente al cognome nella società e la sua diffusione nelle liste della popolazione, ma questo rapporto non è immediato né meccanico.

Può questo voler dire che non è possibile stabilire una cronologia precisa della diffusione del cognome a Venezia? C’è da temerlo, poiché i dati elaborati da fonti seriali sono estremamente eterogenei.

4 D.E. Queller, Il patriziato veneziano. La realtà contro il mito, Roma, Il Veltro Editrice, 1987; G. Gullino, Il patriziato, in Storia di Venezia, IV, Il Rinascimento. Politica e cultura, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1996, pp. 379-413; S. Chojnacki, Women and Men in Renaissance Venice. Twelve Essays on Patrician Society, Baltimore-Londres, John Hopkins University Press, 2000.5 A. Bellavitis, Identité, mariage, mobilité sociale. Citoyennes et citoyens à Venise au XVIe siècle, Roma, École française de Rome, 2001.

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Lo dimostrano le statistiche elaborate dai registri di battesimo e di matrimonio della parrocchia di Sant’Antonino che risalgono al 1540 e che sono i più antichi conservati a Venezia (figure 1 e 2 in appendice)6. Se consideriamo i padri dei bambini battezzati tra il 1540 e il 1577, il 28% porta un cognome; se consideriamo gli sposi la percentuale è del 40%; se ci concentriamo sui padrini la cifra arriva al 53% poiché i padrini registrati appartengono perlopiù agli strati superiori della società. La proporzione di madrine e di spose alle quali è associato un cognome è lo stesso – il 40% circa –, ma per le madrine, in più della metà dei casi, si tratta del cognome del marito. Al di là di questo, le informazioni riportate nel registro sono convergenti senza essere uniformi. Tra il 1585 e il 1629, il 56% dei mariti e il 75% delle mogli è dotato di un cognome; tra il 1630 e il 1665 la proporzione passa rispettivamente all’80% e al 90%. La tendenza è dunque la stessa, ma, a seconda del genere, si osserva uno scarto che bisogna attribuire alla scelta dei criteri di identificazione dei futuri sposi operata dai sacerdoti. Il riferimento alla professione costituisce un elemento banale di identificazione degli uomini che permette di non citare il cognome mentre questo dato entra solo eccezionalmente nella nomenclatura femminile. Se non si tiene conto della grande diversità delle combinazioni su cui tornerò tra poco, osserviamo che la diffusione del cognome a Venezia è abbastanza simile al processo in atto nelle città dell’Italia centrale e settentrionale malgrado le specificità locali: la sua utilizzazione è già diffusa nel XVI secolo, si diffonde molto ampiamente tra il XVI e il XVII secolo, in seguito si afferma come regola quasi esclusiva. Mi sembra più azzardato spingersi più lontano proponendo una cronologia dettagliata che prenda in considerazione i diversi ambienti sociali, poiché le cifre ottenute dipendono dall’importanza che la fonte

6 Una presentazione analitica delle fonti parrocchiali è proposta da F. Cavazzana Romanelli, E. Orlando, Storia e struttura dei fondi parrocchiali veneziani. Prime indagine, Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 2004. Sulla parrocchia di Sant’Antonin, F. Cavazzana Romanelli, “Ad successorum memoriam et commodum plebis”. Parroci e scritture d’archivio nell’età del Concilio di Trento: echi veneziani, in F. Cavazzana Romanelli, M. Leonardi, S. Rossi Minutelli, “Cose nuove e cose antiche”. Scritti per Monsignor Antonio Niero e don Bruno Bertoli, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 2006, pp. 171-172, nota 57. Nella parrocchia di Sant’Antonin, localizzata nel sestiere di Castello nella vicinanza dell’Arsenale, erano presenti importanti comunità di Schiavoni e di Greci. Nel 1581, la popolazione di circa 700 abitanti esercitava mestieri legati all’Arsenale o alla burocrazia pubblica. Numerosi erano anche i commercianti e i mercanti; pochissimi erano invece i patrizi.

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attribuisce alla registrazione di una nomenclatura completa. Sembra così che i preti di Sant’Antonino siano più attenti ad annotare il cognome dello sposo che a registrare quello del padre del bambino battezzato.

La tendenza evidenziata lascia comunque aperto un interrogativo lancinante che continua ad imbarazzare gli storici: la concomitanza tra la diffusione del cognome e l’applicazione delle prescrizioni del Concilio di Trento che obbligano i sacerdoti a registrare i cognomi dei parenti del battezzato e il cognome dei futuri sposi allo scopo di far rispettare le interdizioni matrimoniali7. Il legame sarebbe implacabile se i libri parrocchiali lasciassero intravedere la realtà mentre vi si legge l’adozione da parte dei preti di un sistema di denominazione conforme alle obbligazioni canoniche che vengono loro ricordate durante i sinodi diocesani e le visite pastorali8. Verso il 1559-1560 ricopiando i libri del suo predecessore, il sacerdote di Sant’Antonino, Niccolò Stella, prende

7 La formazione dei cognomi viene spesso analizzata come un processo lineare nel tempo e che si diffonde dall’alto al basso della società. Cfr. C. Corsini: “Infatti durante il medioevo, o per lo meno finché è stato in vigore un diritto consuetudinario, verbale, non occorreva identificare una persona con tanti nomi: bastava in genere il nome del padre, o al massimo del nonno. Col crescere numerico della popolazione, occorre invece arrivare a un’identificazione più precisa delle singole persone: si ricorre dapprima al soprannome, che poi diventa cognome. Questo processo di identificazione si verifica ovviamente in modo diverso a seconda degli strati sociali: prima dove più sentita era la necessità dell’individuazione; solo in un secondo tempo si arriva alla massa della popolazione. In ogni caso, conclude Corsini, ai primi del ’600, quando cioè il processo di introduzione delle norme approvate a Trento è arrivato a sua volta a maturazione (occorre circa un mezzo secolo perché la cristianità si adegui alla normativa tridentina), il processo di identificazione del singolo individuo mediante il cognome si è esteso a tutta la società”. Discussione, in Le fonti della demografia storica, cit., p. 801.8 Sulla riforma della Chiesa di Venezia, P. Prodi, La Chiesa di Venezia nell’età delle riforme, in La Chiesa di Venezia tra Riforma protestante e Riforma cattolica, a cura di G. Gullino, Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1990, pp. 63-74; H. Jedin, Venezia e il Concilio di Trento, in “Studi veneziani”, XIV (1972), pp. 137-144; A. Niero, Riforma cattolica e Concilio di Trento a Venezia, in Cultura e società nel Rinascimento tra riforme e manierismo, a cura di V. Branca, C. Ossola, Firenze, L. Olschki, 1984, pp. 77-96; P. Prodi, Chiesa e società, in Storia di Venezia, VI. Dal Rinascimento al Barocco, Rome, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1994, pp. 305-339. Sui patriarchi Giovanni Trevisan e Lorenzo Priuli: G. Cappelletti, Storia della Chiesa di Venezia, Venezia, Tipografia Armena di San Lazzaro, 1849, I, pp. 477-494; A. Niero, I patriarchi di Venezia, Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1961, pp. 92-106; M. Brussato, La diocesi di Venezia nella visita del patriarca Trevisan (1560-1590), tesi di laurea, Università Ca’ Foscari - Venezia, rel. M. Berengo, a.a. 1986-87.

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atto del carattere scheletrico della registrazione delle persone lasciando capire che da quel momento ci si aspetta di più: “1549 Adi 24 zennaro. Fu sposata d. Anzola fia di d. … in uno nominato Zuanne – non dice altro”9. Nel 1574, per la prima volta, don Stella giudica opportuno annotare che la sposa non ha saputo dirgli il nome proprio del padre, provando implicitamente che glielo aveva chiesto, ma anche che se ne sarebbe accontentato poiché non si allude al cognome10. Al contrario, alla fine del secolo, negli stessi registri tenuti dal suo successore, non è raro trovare uno spazio vuoto o dei puntini al posto del cognome come se il sacerdote avesse integrato la nuova necessità di menzionarlo. Se è possibile dubitare dell’esistenza di un legame immediato tra le prescrizioni del Concilio di Trento e più in generale della burocratizzazione della società da una parte e la diffusione e la stabilizzazione del cognome dall’altra, mi sembra altrettanto esagerato negare la capacità del nuovo quadro canonico-amministrativo di orientare le pratiche, tanto più che quest’ultime vanno nel senso di evoluzioni profonde. Il Concilio, che ha come modello le pratiche in vigore nell’Italia del Nord, non fa altro che estendere e rendere universale un uso diffuso, ancora lungi dall’essere esclusivo, ma che già costituisce la regola in uso ben oltre le classi privilegiate; tuttavia non fa scomparire altri modi di identificazione che coabitano in seguito con il doppio nome.

Per capire perché alcuni modi di identificazione resistono, anche sotto forma residuale, è utile osservare la varietà delle pratiche in vigore nel secondo terzo del XVI secolo, prima che il Concilio uniformi gli usi, e tentare di ricostruire le logiche che le sottintendono.

I libri parrocchiali di Sant’Antonino permettono di ricostruire questi meccanismi di denominazione grazie al ruolo di una personalità fuori dal comune, padre Niccolò Stella, che dopo esser stato diacono nella vicina parrocchia di San Canciano, fu eletto nel 1559 alla curia di Sant’Antonino

9 Archivio Storico del Patriarcato di Venezia (= ASPV), Parrocchia di San Giovanni in Bragora, Parrocchia di Sant’Antonino, Registri di matrimoni, r. 1: “1552 Adi 26 settembrio: Fu fatto l’off° d’il sponsalitio di D. Cattarina fiola del q. s. Marco Bentempo, in un giovane, nominato Simon / non dice altro /”.10 Ibid.: “1574 Adi 7 febbraro. Fu contratto matrimonio per parola de presenti tra Lucieta da Nimis fu massara in ca’ Dandolo qual disse non saper il nome di suo padre, in Battista de Paulo q. Astolfo da Medu’…”. “1575 adi 6 marzo. Fu contratto matrimonio per parola de presenti tra Fiorenz Cipriota, allevata da fanciulla in casa del magnifico m. Nicolo da Mulla, disser non saper il nome de’ suoi genitori…”.

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che occupò fino alla sua morte il 20 agosto 157611. Fin dall’inizio del suo ministero cominciò a compilare in due registri separati le menzioni di battesimi e di matrimoni che il suo predecessore, Giorgio Livrerio, aveva annotato in un libro, apparentemente senza curarsi della loro esaustività. Preoccupato di conservare la memoria parrocchiale, Niccolò Stella, non si accontentò di ricopiare la registrazione dei sacramenti riportati nel libro, ma li aggiornò e li personalizzò aggiungendo informazioni sul divenire delle persone (morte, matrimonio), sulla parentela e sull’attualità12. In seguito a questa compilazione, annotò i sacramenti che lui stesso aveva impartito. Questo tipo di registro, ricco di annotazioni personali, non ha niente di eccezionale, tuttavia rimane prezioso per comprendere le forme di scrittura parrocchiale e di denominazione prima della normalizzazione tridentina e per capire il modo in cui il sacerdote, mediatore tra alta e bassa cultura secondo i termini di L. Allegra13, designava i suoi parrocchiani.

Alla lettura dei registri, il cognome appare come uno tra gli elementi nel sistema di denominazione, certo codificato, ma dai contorni mobili e

11 ASPV, Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di battesimi, r. 1, c. 56r: “Noto io pre Niccolò Stella piovan (per grazia d’il Signore Dio) di questa parrochia, come il libro d’il Reverendo messer pre Giorgio Livrerio, già piovano di questa parrochia, non ha più scritti li battesimj nel suo libro, che io stentatamente hò tratto di esso non già per ignorantia sua per egli stato huomo prudentissimo et literato mà occupato in altri maneggi, hà lasciato di scrivere et cosi mancano detti battesimj da di sopraditto sino al 1559. che io fui eletto piovano, et suo successore, et bisogna contentarsi, di quello si può et bisogna contentarsi, di quello si può havere per che il tutto io hò tratto dà uno suo libro di conti particolare non già scritto per giusto effetto”. A proposito della tenuta dei registri parrocchiali da parte di Pre Nicolò Stella, si veda il capitolo I parroci e l’archivio. Pre Nicolò Stella, pievano di Sant’Antonin nell’articolo di F. Cavazzana Romanelli, Parole e scritture d’archivio, cit., pp. 171-179.12 ASPV, Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di battesimi, r. 1, c. 72r: “1568 Adi 5 marzo. battizai paula, et maria, fiola di messer Zuan Antonio Balzani, Bolognese, furno compari allà fonte il Magnifico messer Zuanne Contarini dal Zaffo, et allà porta il Clarissimo mio patron messer Benetto Soranzo da San Polo, mori il giorno della Vittoria Navale, sopra la sua galera valorosamente”. Sulla personalizzazione dei libri parrocchiali, vedere J. Corblet, Histoire dogmatique, liturgique et archéologique du sacrement du Baptême, Parigi, Société générale de librairie catholique, 1882, t. 2, pp. 488-489.13 L. Allegra, Il parroco: un mediatore fra alta e bassa cultura, in Storia d’Italia. Annali 4. Intellettuali e potere, Torino, Einaudi, 1981, pp. 895-947; D. Montanari, L’immagine del parroco nella riforma cattolica, in “Archivio storico per le provincie parmensi”, s. IV, XXX (1987), 2, pp. 71-146.

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dalla nomenclatura poco gerarchizzata. Gli elementi che la compongono possono essere raggruppati in due grandi insiemi: da un lato, quelli che designano la genealogia dell’individuo (nome proprio del padre, cognome), dall’altro quelli che lo iscrivono nel corpo sociale (il mestiere) e lo riallacciano ad un territorio (luogo di origine, luogo di residenza). Questa classificazione non è affatto rigida poiché il cognome stabile e trasmissibile si è spesso formato a partire dal patronimico, dal soprannome, dall’origine geografica o dalla professione. Tuttavia, i casi in cui potremmo avere dei dubbi sullo statuto di uno dei criteri di denominazione sono rarissimi.

Tabella 1. Numero di criteri di denominazione (%).

Combinazione Denominazione dei padri dei battezzati

(1540-1595)

Denominazione dei padrini (1540-1595)

Denominazione degli sposi (1540-1577)

N. di elementi %

1 6 5,2 6,7

2 59 69,7 32

3 31 23,4 41,5

4 4 1,7 18,8

Totale 100 100 100

Fonti: ASPV, Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di battesimi, r. 1.

La combinazione dei criteri è estremamente varia, ma obbedisce tuttavia, ad alcune regole. Il loro numero non è mai superiore a quattro, mentre potrebbe essere teoricamente più alto associando per esempio il nome, il cognome, il nome proprio del padre, il mestiere, la residenza, l’origine. Quando il patronimico è sviluppato la menzione della professione o dell’origine diventa più rara, al contrario, quando il cognome non è indicato, in sostituzione il mestiere o, in misura minore, l’origine compaiono quasi sistematicamente. Un piccolo numero di individui, tra quelli registrati in qualità di padre del bambino battezzato, sono designati soltanto dalla professione, dalla residenza o dal luogo di origine senza che neanche il nome proprio sia citato. Fenomeno marginale nel registro, ma significativo della maniera di procedere del sacerdote.

Quest’ultimo cerca di differenziare e di individualizzare gli individui seguendo innanzitutto una logica assolutamente personale. Qualcun altro avrebbe potuto utilizzare elementi diversi che avrebbero funzionato

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altrettanto bene poiché il registro serviva da pro-memoria personale. Riflette più quello che il prete giudica necessario per identificare e ricordare le persone che tutto ciò che conosce di loro. Si rifà a ciò che sa dei suoi parrocchiani e riempie le lacune con alcune domande. Non esita ad aggiungere delle note personali che permettono di intravedere frammenti di vita14, altre registrazioni più lacunose lasciano capire che non spinge troppo le sue indagini per completare le informazioni di cui si ricorda o che gli sono state date dagli stessi interessati. L’individuo è prima di tutto designato da Niccolò Stella attraverso la lente della sua relazione con lui. Può trattarsi di un parente prossimo (in particolare sua sorella), di uno dei padrini o dei suoi figliocci15, o di qualcuno che ha un legame di parentela con una persona terza che egli conosce bene e che spesso ha lo statuto di ecclesiastico: “1555 Adi 23 settembris. Fu sposata D. Lodovica fiola d. D. Meneghina vedova madre di pre Francesco da San Marco, maridata in s. Francesco sarzer, fiol di s. Zuanpolo, dallà sanità”. Così al posto del cognome viene privilegiata la relazione di parentela con qualcuno che egli conosce bene16.

14 ASPV, Parrocchia di Sant’Antonino, Registri di matrimoni, r. 1: “1561 Adi primo zugno. Fu chiamato à far l’off° d’il sponsalitio tra mastro Anzolo Murer, sotto l’arco nella casa da Ca’ da Mosto, et una sua donna che erano stato molto tempo insieme, et un ‘hora inanzi gli battizai un fiol nominato Francesco et pasqualin…”.15 Ibid.: “1552 Adi 21 zugno. Fu celebrato l’off° d’il sponsalitio di Mad. Maria, mia sorella, Fiola d. m. p° Stella, et di Mad. Paula Signa nostri genitori, in m. Bernardin d’i Longhi, da Lecco, pittor. Rimase va con un fiol di ani 20, nominato piero del 1574”; “1562 Adi 5 ditto febbraio . Fu celebrato l’off° d’il matrimonio tra le fiole del q. m. Bonfante corrier, nominate una maria, et l’altra Virginia et li fioli di moi compare mastro Filippo Taiapietra ciò è Steffano et Mariano, fu celebrata la messa in casa delle ditte spose, per essere già pochi giorni morto suo padre”; “1566 Adi 5 ditto Domenica marzo . Fu contratto matrimonio per parola di presenti tra d. Lucieta fiola del q.

Ser Nicoleto dai Zacchij, et hora figliastra d. Mastro Anzolo marengon all’Arsenal mio compare, in s. Antonio dai Fassi suo marito furno fatte le tre proclame …”; “MDLXVII adi ultimo settembrino. Fu contratto matrimonio tra mad. Giustina fiola del q. m. Steffano d’i Michieli et m. Nadalin di Nicolò sarzer furno fatto le proclame, con testimoni conobi m. Zuanne padoani d. m. Michiel et dui miei parenti beccheri, stavano à Santa Giustina”; “1572 Adi 2 Febbraro. Fu contratto matrimonio tra D. Pasqualina fiola d. mio compare maestro filippo taiapietra et maestro Marc’Antonio da Celi murer, fu compare d’il sponsalitio et dall’Annello m. Alessio marcer al ponte dall’aglio, maestro Andrea sartor à S. Pantalon, et s. Antonio vesentin, fatte alla Inquisitioni sopra li heretici”.16 Ibid.: “1544 Adi 2 mazo, sponsalitio della sorella de pre’ Andrea nepote di mad. Medea”.

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354 Jean-François Chauvard

Ora, è proprio questo modo di fare che la Chiesa, a seguito del Concilio, ha cercato di combattere, imponendo delle regole di denominazione omogenee, indipendentemente dai luoghi, dalle persone alle quali vengono applicate e dai ministri del culto incaricati di fare le registrazioni17. Le prescrizioni tridentine puntano a depersonalizzare e a de-socializzare i criteri di registrazione in modo che la comprensione dei registri non sia possibile ai soli autori e che l’individuo registrato, quale che sia la parrocchia dove riceve un sacramento, sia designato nella stessa maniera. Il rispetto dei divieti canonici che mobilita un’enorme burocrazia richiede questo prezzo. Queste regole alla fine trionfano, in modo imperfetto, non senza un certo ritardo e senza far scomparire le logiche di denominazione anteriori.

Se è difficile sradicare una maniera molto personale di identificare le persone, è ancora più difficile influire su ciò che deriva dalla visione sociale degli individui. Nel redigere le scritture parrocchiali, Niccolò Stella adotta le categorie della sua epoca trattando le persone secondo il loro grado di integrazione nella comunità. Le persone meglio conosciute non portano necessariamente un cognome. Naturalmente, associato al nome proprio del padre, il cognome serve a nominare le persone di una certa condizione, in primo luogo nobili e cittadini18. Ma in altri numerosi casi, il cognome non sembra necessario: la levatrice, che tutti conoscono, è designata con il solo nome – Paula, Marietta, Cristina, Cattarina – al quale, molto raramente, viene aggiunto il mestiere (levaressa, ostetrice)19; le domestiche sono sempre chiamate con il loro nome e con il doppio nome dei padroni poiché i domestici sono integrati nella famiglia

17 Sulle nuove normative nella registrazione dei sacramenti assunte nella sessione XXIX del Concilio di Trento, vedere H. Jedin, Le origini dei registri parrocchiali e il Concilio di Trento, in “Il Concilio di Trento”, II (1943), 2, pp. 323-336; Prodi, Il Concilio di Trento e i libri parrocchiali, cit., pp. 13-20; D. Balboni, I libri parrocchiali dopo il Concilio di Trento, in “Archiva Ecclesiae”, XVIII-XXI (1975-1978), pp. 234-235.18 ASPV, Parrocchia di Sant’Antonino, Registri di matrimoni, r. 1: “MDLXX Adi 10 febbraro. Fu contratto matrimonio per parola de punti nella contrà di S. Anzolo, in casa del clarissimo m. Imperial Contarini tra la magnifica mad. Paulina Boldù, fiola del Magnifico m. Lunardo nostro parrochiano, sta in corte da Ca’ Moro. Et il Magnifico m. Piero Malipiero fo del clarissimo m… Con li testimoni al solito et adi 22 ditto celebrai la messa d’il sponsalition tra i sopradetti nella chiesa d’i Giesuati”.19 J.-F. Chauvard, “Ancora che siano invitati molti compari al Bettesimo”. Parrainage et discipline tridentine à Venise (XVIe siècle), in Le baptême. Entre usages sociaux et enjeux idéologiques, Colloque de Saint-Etienne (22-23 novembre 2007), a cura di G. Alfani, P. Castagnetti, V. Gourdon, Saint-Etienne, Presses de l’Université de Saint-Etienne, 2009, pp. 349-355.

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355Pratiche di registrazione a Venezia attorno al Concilio di Trento

nobile20; allo stesso modo le madrine, spesso prive di patronimico se non appartenenti alle classi più elevate, appaiono frequentemente come vedove o come mogli. Dunque, le persone che vivono in una posizione socialmente e giuridicamente subordinata sono associate al loro padrone e protettore. Seguendo la stessa logica di denominazione, Niccolò Stella conferisce importanza al legame che unisce l’individuo a una persona che gode di una più grande notorietà e il cui riferimento prevarrà su altri criteri di identificazione.

Invece di considerare la diffusione del cognome come un processo che va dall’alto verso il basso, preferisco legare l’utilizzazione di un cognome al grado di integrazione nella comunità parrocchiale. Quest’ultima è formata da cerchi a incastro e parzialmente sovrapposti che disegnano un centro e una periferia. Per coloro che possono avvalersi di una certa condizione sociale e giuridica, la menzione del cognome è scontata poiché costituisce un elemento che fonda la reputazione. Al contrario, per coloro che non sono nati a Venezia o che esercitano una professione poco onorevole, il luogo di origine e la professione vanno ad aggiungersi al nome o al patronimico formato dal nome del padre senza che si citi il cognome. Alcuni padri di bambini battezzati sono perfino designati da un solo elemento; il nome proprio o il luogo d’origine o la professione. Forse hanno un cognome ma Niccolò Stella non ritiene utile conoscerlo o citarlo poiché ha a che fare con una popolazione situata ai margini della comunità. Non è detto che la soluzione da lui adottata gli permetta di differenziare le persone poiché quando un nome e una professione vengono associati le omonimie sono frequenti. Ma nel suo spirito prevale la volontà di utilizzare criteri che possano rendere conto dell’identità delle persone e della maniera con cui sono percepite dal resto della comunità. Il criterio di designazione dei testimoni nei processetti matrimoniali, che dall’ultimo decennio del XVI secolo erano effettuati per certificare lo stato libero dei futuri sposi, è identico. In un terzo dei casi, sono privi del cognome21. Sono invece qualificati in funzione della relazione con

20 ASPV, Parrocchia di Sant’Antonino, Registri di matrimoni, r. 1: “Adi 1549 19 zenaro. Fu sposata D. Giulia fiola di s. Bernardin Vesentin, in ser Francesco vesentin, familier d’i Contarini di San Lorenzo”; “1552 Adi 5 ditto settembrio . Fu fatto l’Off° d’il Matrimonio di D. Helena massara della Magnifica mad. Marieta Canal, maridata in maestro Giacomo casseller”.21 L’indagine viene realizzata a partire dai tre primi registri della serie Examinum Matrimoniorum. ASPV, Curia patriarcale, Sezione antica, Examinum Matrimoniorum, b. 1 (1596), b. (1597-1598), b. 3 (1598-1600). Sui processetti matrimoniali veneziani,

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356 Jean-François Chauvard

colui che è oggetto dell’indagine; condividono con lui la stessa origine, abitano nella stessa strada, esercitano già da abbastanza tempo la stessa professione per sembrare testimoni attendibili. Sono anche degli emigrati che sono venuti a cercare lavoro a Venezia. Il mestiere e il luogo di origine sono elementi che strutturano l’identità che gli presta la comunità di accoglienza; questi elementi, più del cognome, rivelano ciò che essi sono.

Il modo di designare le domestiche, le levatrici, e più generalmente, le donne, obbedisce alla stessa logica: poste in una condizione giuridica e sociale inferiore sono denominate in funzione della relazione di dipendenza in cui si trovano. Rimane la massa di coloro che sono ben inseriti tramite la professione, la durata della loro residenza, la relazione di parentela e per i quali i criteri di denominazione sembrano più aleatori. Il cognome non è necessariamente indispensabile se altri criteri, spesso combinati tra loro, sono altrettanto indicativi: il nome del padre, il mestiere, il luogo di residenza22. Quest’ultimo criterio ha una propria importanza poiché lega l’individuo ad un luogo topografico e lo iscrive in uno spazio sociale23. Possiamo chiederci, per esempio, se il fatto che i genitori dei bimbi battezzati siano così poco designati con il cognome (28%) non possa essere spiegato con la conoscenza di altri caratteri che partecipano alla loro identità: la professione (62%) e la residenza (28%) e se questi criteri non siano forse i più ovvi nel caso dei parrocchiani, e tali sono appunto i padri dei battezzati che abitano sempre nel territorio della parrocchia. Per questo, gli sposi, che possono venire da fuori poiché il matrimonio si svolge tradizionalmente nella parrocchia della sposa, sono designati con più frequenza con il cognome (40%), con l’origine geografica (34,7%) e con la professione (45%) che con il luogo di residenza (11,8%).

vedere A. Zannini, L’altra Bergamo in laguna: la comunità bergamasca a Venezia, in Storia economica e sociale di Bergamo. Il tempo della Serenissima. Il lungo Cinquecento, Bergamo, Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo, 1998, pp. 175-193. Per Roma, l’articolo di Eleonora Canepari, Mobilità, sociabilità e appartenenze nella Roma moderna, in Donne e uomini migranti. Storie e geografie tra breve e lunga distanza, a cura di A. Arru, D.L. Cagliati, F. Ramella, Roma, Donzelli, 2008, pp. 301-322.22 ASPV, Parrocchia di Sant’Antonino, Registri di matrimoni, r. 1 “MDLXX adi 28 novembro. Fu contratto matrimonio et fatto l’officio del sponsalitio tra D. Cecilia fiola d. Maestro Filippo taiapietra, maridata in maestro Mattio spicier all’insegna d’il vaso, a S. Zuanne Paulo … ”.23 Ibid.: “1574 Adi 17 Ottobro. Fu contratto Matrimonio et celebrato la messa del sponsalitio tra la Gonesta D. Chatarina fiola del q. Simon da Fianona, territorio da Zara, massara d. Monsignor Trezza stà à S. Martin…”.

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357Pratiche di registrazione a Venezia attorno al Concilio di Trento

Tabella 2. Elementi di denominazione degli sposi nella parrocchia di Sant’Antonin.

Denominazione degli sposi 1585-1629 1630-1665

Cognomi 56% 80%

Mestiere 26% 21%

origine 29% 3,5%

Fonti: Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di matrimoni, r. 3.

Tra tutti questi elementi che entrano nella nomenclatura di identificazione, la professione occupa una posizione centrale. Nel XVI secolo, è più diffusa del cognome quando si tratta di identificare i padri dei battezzati (62% contro il 28%) e gli sposi (56% contro il 26%). È un indicatore di identità che assegna una posizione all’interno della comunità urbana. Ed è per questo che non scompare dalla nomenclatura del secolo successivo. Né dai registri parrocchiali dove succede che il sacerdote, dopo il cognome, continui a farvi riferimento senza che sia sottoposto ad alcuna obbligazione canonica, né dalle liste della popolazione che sono elaborate dai magistrati della Repubblica. All’esempio del censimento del 1670 dei Provveditori alla Sanità, in cui il mestiere degli artefici sostituisce perfino il cognome, possiamo aggiungere quello delle dichiarazioni fiscali e dei catasti riuniti dai X Savi delle Decime24.

Tabella 3. Denominazione degli affittuari nelle condizioni fiscali e i catastici.

1537 1581 1661 1711

Condizioni Condizioni Catastico Catastico

Mestiere dell’affittuario 47,6% 44,9% 49,7% 40,9%

Cognome 33% 44,2% 85,7% 97,5%

Nome senza cognome 58% 50,4% 7,3% 0,8%

Nome + nome del padre 8,2% 2,4% 2,3% 0,8%

Fonti: ASV, Dieci Savi alle decime in Rialto, Condizioni di decima, estimo 1537, b. 92-104; estimo 1581, 157-172; Catastici, estimo 1661, b. 423; estimo 1711, b. 430.

24 Per ulteriori approfondimenti, cfr. J.-F. Chauvard, La circulation des biens à Venise. Stratégies patrimoniales et marché immobilier (1600-1750), Roma, École française de Rome, 1995, pp. 11-14; 21-24.

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358 Jean-François Chauvard

Nel 1537 e nel 1581, i proprietari devono dichiarare i loro beni e l’ammontare dei redditi locativi senza aver l’obbligo di farvi figurare l’identità del locatore (cosa che avviene per un terzo delle case). Nel 1661 e nel 1711 la magistratura chiede ai preti di parrocchia di registrare tutte le abitazioni, l’identità del titolare del contratto e la sua professione. La progressione del cognome è conforme all’evoluzione precedentemente descritta. Il mestiere è indicato in proporzioni identiche durante le quattro operazioni di redecimazione pur realizzate in condizioni molto diverse. Nei primi due catasti non c’è nessun obbligo di indicare la professione, che viene comunque fuori dalla penna dei proprietari, sola o associata al nome in quasi la metà dei casi; negli altri due dovrebbe apparire sistematicamente mentre figura solo nella metà dei casi. La menzione del mestiere è puramente arbitraria? O è presente perché racconta qualcosa di più del cognome, perché lo sostituisce e lo completa?

A mo’ di conclusione vorrei finire con tre considerazioni generali ispirate dal caso veneziano. La diffusione, la stabilizzazione e la trasmissione del cognome coabitano con le pratiche di denominazione che non sono organizzate intorno al nome. Nel censimento veneziano del 1670 si ritiene più utile indicare la professione degli artigiani che il loro cognome. Dappertutto, fino alla Rivoluzione, gli indici nominativi allegati ai registri notarili, parrocchiali e fiscali sono organizzati a partire dal nome proprio, mai a partire dal cognome salvo eccezioni molto rare. Vi sono addirittura alcune regioni dove le persone dicono di non avere cognome25.

Quando appare, è riduttivo isolare il cognome dall’insieme del sistema di denominazione o di vedere nel riferimento al luogo di origine, al mestiere, ai caratteri fisici, al nome proprio del padre solo la possibile matrice del cognome. Che il cognome appaia oppure no, è importante considerare l’insieme degli elementi che serve a designare una persona e capire a quale logica la combinazione obbedisce.

La diffusione del cognome non si traduce con la scomparsa dei qualificativi che servivano nel XVI secolo a designare le persone (professione, origine, nome proprio del padre). Vi possiamo vedere la preoccupazione di assicurare una differenziazione migliore degli individui elencandone le caratteristiche. Possiamo anche leggervi l’indice della loro utilità sociale e simbolica. Denominare qualcuno, in epoca

25 R. Bizzocchi, Marchigiani senza cognome. Un’inchiesta nell’Italia napoleonica, in “Quaderni storici”, CXXXIV (2010), 2, pp. 533-584.

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359Pratiche di registrazione a Venezia attorno al Concilio di Trento

moderna, significa inserirlo in una filiazione e in una parentela, significa anche enunciare la sua posizione nella comunità, certificare i suoi legami e le sue relazioni, ricordare il suo grado di radicamento, affermare la sua utilità professionale. Il cognome non può dire tutto. Al contrario, il riferimento mancato al cognome, anche se molto minoritario nel XVII secolo, la dice lunga sulla marginalità, l’instabilità e la debole integrazione sociale di coloro che ne sono privi.

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360 Jean-François Chauvard

Appendice

Figura 1. Frequenza delle unità di denominazione (valore assoluto e %).

a. Denominazione dei padri dei battezzati (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di battesimi, r. 1, 1540-1595).

b. Denominazione dei padrini (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di battesimi, r. 1, 1540-1595).

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361Pratiche di registrazione a Venezia attorno al Concilio di Trento

c. Denominazione degli sposi (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di matrimoni, r. 1, 1540-1577).

d. Denominazione delle spose (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di matrimoni, r. 1, 1540-1577).

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362 Jean-François Chauvard

e. Denominazione dei testimoni al matrimonio (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di matri-moni, r. 1, 1540-1577).

Figura 2. Nomenclatura di denominazione.

a. Padri dei battezzati (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di battesimi, r. 1, 1540-1595: 673 casi).

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363Pratiche di registrazione a Venezia attorno al Concilio di Trento

b. Padrini (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di battesimi, r. 1, 1540-1595: 852 casi).

c. Sposi (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di matrimoni, r. 1, 1540-1577: 252 casi).

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364 Jean-François Chauvard

d. Spose (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di matrimoni, r. 1, 1540-1577: 252 casi).

e. Testimoni al matrimonio (Parrocchia di Sant’Antonin, Registri di matrimoni, r. 1, 1540-1577: 319 casi).

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604 Abstracts

priests needed an instrument to control that the marriage impediments for spiritual kinship were respected. The Council of Trent, then, simply generalized an already existing practice. The analysis of pre-tridentine registers allows to demonstrate the general diffusion of the “surname” in Northern Italy already at the end of the 15th centuries. It also allows to reconstruct the process that brought to the fixing of the surnames and to their final victory over other means of identifying individuals (patronymic; indication of origin; indication of trade), which took place during the 16th century. As a consequence, in Northern Italy the Council of Trent and the regulations that were introduced to apply its canons played, at most, a role in the consolidation of the surname as a means to identify individuals, strengthening a process that was already well underway.

J-F. Chauvard, Come mai certi individui non hanno cognome? Pratiche di registrazione a Venezia attorno al Concilio di Trento

La diffusione, la stabilizzazione e la trasmissione del cognome coabitano con le pratiche di denominazione che non sono organizzate intorno al nome. Nel censimento veneziano del 1670 si ritiene più utile indicare la professione degli artigiani che il loro cognome. Dappertutto, fino alla Rivoluzione, gli indici nominativi allegati ai registri notarili, parrocchiali e fiscali sono organizzati a partire dal nome proprio, mai a partire dal cognome salvo eccezioni molto rare. Quando appare, è riduttivo isolare il cognome dall’insieme del sistema di denominazione o di vedere nel riferimento al luogo di origine, al mestiere, ai caratteri fisici, al nome proprio del padre solo la possibile matrice del cognome. Che il cognome appaia oppure no, è importante considerare l’insieme degli elementi che serve a designare una persona e capire a quale logica la combinazione obbedisce.La diffusione del cognome non si traduce con la scomparsa dei qualificativi che servivano nel XVI secolo a designare le persone (professione, origine, nome proprio del padre). Vi possiamo vedere la preoccupazione di assicurare una differenziazione migliore degli individui elencandone le loro caratteristiche. Possiamo anche leggervi l’indice della loro utilità sociale e simbolica. Denominare qualcuno, in epoca moderna, significa inserirlo in una filiazione e in una parentela, significa anche enunciare la sua posizione nella comunità, certificare i suoi legami e le sue relazioni, ricordare il suo grado di radicamento, affermare la sua utilità professionale. Il cognome non può dire tutto. Al contrario, il riferimento mancato al cognome, anche se molto minoritario nel XVII, la dice lunga sulla marginalità, l’instabilità e la debole integrazione sociale di coloro che ne sono privi.

The spreading, stabilization, and the transmission of surnames coexist with the naming practices that are not organized around the name. In the Venetian census of 1670 it is considered more useful to indicate the profession of artisans than their surname. Everywhere, until the French Revolution, name indexes attached to the

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605Abstracts

notarial, parish and tax records are organized starting from the first name, and never from the surname, but for very rare exceptions. When the surname is present, it is simplistic to isolate it from the whole denomination system or to see the reference to the place of origin, to the job, to some physical features, to the father’s name as its only possible matrices. Whether or not the surname appears, it is important to consider all the factors used to describe a person and to understand the logic underlying their combination.The spreading of surnames does not turn into the disappearance of adjectives that were used in the sixteenth century to designate the person (job, origin, father’s name). We can see here the concern to ensure a better differentiation of individuals by listing their characteristics. We can also find the indication of their social and symbolic utility. In modern times, naming somebody means putting him within a filiation line and a kinship, and it also means stating his position in the community, certifying its bonds and its relations, recalling his roots, asserting his professional competence. The surname cannot say everything. Conversely, the absence of a reference to the surname, although concerning a small minority in the seventeenth century, tells us much about marginality, instability and weak social integration of the people who do not have a surname.

G. Delille, Dal nome al cognome: la metamorfosi dei gruppi di discendenza. L’esempio dell’Italia meridionale

L’articolo si sofferma sui sistemi d’identificazione delle persone e il loro significato, nel Mezzogiorno d’Italia, a tre periodi storici distinti: Amalfi nel IX-XII sec., Casalnuovo-Manduria (Puglia) nel XVI-XVII sec., S. Marco dei Cavotti (Campania), negli anni ottanta del Novecento. Nel primo caso, il meccanismo è quello della recitazione genealogica (Antonio figlio di Marco figlio di Pasquale…) che può risalire fino ad un antenato comune di lignaggio (non di rado, una donna) o mitico di clan, indicando i punti di segmentazione, accompagnati da cambiamenti di nomi/sopranomi, nella discendenza. Ritroviamo comportamenti molto simili nella grande nobiltà napoletana, ma anche tra i rami collaterali della Maison de Tolosa o nelle grandi famiglie dell’area germanica studiate da K. Schmid. Tutto questo sembra completamente scomparso già nel ’500: a Casalnuovo, un cognome unico si impone a tutta la discendenza maschile anche se i sopranomi sono ancora frequenti e si nota uno sforzo vigoroso della Chiesa (e dello Stato) per stabilizzare questi cognomi. L’antenato comune è sempre un maschio e le eventuali ramificazioni non si accompagnano più da una differenziazione onomastica. Di regola, non ci si sposa nello stesso cognome (salvo omonimia) e il gruppo maschile di discendenza appare fortemente esogamo. Questo cambiamento radicale di situazione viene in parte sfumato dalle indicazioni tratte dal terzo esempio: a S. Marco, dietro un uso dei cognomi che serve solo per il parroco e il sindaco, si cela un sistema di “razze” con segmentazioni e cambiamenti di nomi/