Lisa Agosti

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Psicologia DALL’ISTRUTTORIA ALL’INDAGINE SOCIOPSICOLOGICA TRASFORMAZIONI DEL PERCORSO DELL’ADOZIONE DAL 1975 AL 2001 I SERVIZI SOCIALI DI CARPI Relatore: Prof.ssa Maria Pia Arrigoni Correlatore: Laureanda: Prof.ssa Silvia Perini Lisa Agosti 1

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in Psicologia

DALL’ISTRUTTORIA ALL’INDAGINE SOCIOPSICOLOGICA

TRASFORMAZIONI DEL PERCORSO DELL’ADOZIONE DAL 1975 AL 2001

I SERVIZI SOCIALI DI CARPI

Relatore:Prof.ssa Maria Pia Arrigoni

Correlatore: Laureanda:Prof.ssa Silvia Perini Lisa Agosti

Anno Accademico 2001/2002

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INDICE

PREFAZIONE

INTRODUZIONE

PARTE TEORICA

CAP. 1. STORIA DELL’ADOZIONE.

DA UN BAMBINO PER LA FAMIGLIA

A UNA FAMIGLIA PER IL BAMBINO

- La legge 5/6/1967 N. 431

- La legge 4/5/1983 N. 184

- La Convenzione dell’Aja del 1993

- Le ultime innovazioni in campo legislativo

Sezione 1. LA STORIA DI UNA FAMIGLIA DA CREARE

CAP. 2. LA “FAVOLA” DEI GENITORI ASPIRANTI L’ADOZIONE.

UN PERCORSO DI SPERANZA E DI DOLORE

- La sterilità biologica. La morte del desiderio

1. La fase decisionale

- La scelta adottiva. La rinascita del desiderio

2. Il periodo informativo

3. La domanda

4. L’indagine sociopsicologica

5. Dall’indagine sociopsicologica all’idoneità

CAP. 3. I FIGLI CHE ASPETTANO.

- Lo stato di abbandono

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- L’allontanamento dalla famiglia d’origine.

- Il ricovero in istituto

Cap. 4. L’ABBINAMENTO E L’ANNO DI AFFIDO PREADOTTIVO.

- Riavere una famiglia

Cap. 5. L’INFORMAZIONE AL FIGLIO ADOTTIVO.

Sezione 2. PECULIARITÀ DELLE SITUAZIONI ADOTTIVE

Cap. 1. L’ADOZIONE INTERNAZIONALE.

L’ESTERO COME INESAURIBILE SERBATOIO DI BAMBINI

A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DEI GENITORI.

- Un bambino è un bambino in tutto il mondo

- L’adozione internazionale in Italia

- L’adozione internazionale dal punto di vista psicologico

- Bambini in adozione transrazziale

Cap. 2. FALLIMENTI ADOTTIVI

- I fattori di rischio

- L’adozione dopo la morte di un figlio

- Rifiuto di procreare e motivazioni filantropiche

- L’adozione da parte di famiglie con figli

- I fattori di rischio legati al bambino

Cap. 3. QUANDO L’ADOZIONE ARRIVA INSIEME ALL’ADOLESCENZA.

PROBLEMI INCROCIANO PROBLEMI

Cap. 4. QUANDO L’ADOZIONE INCONTRA L’HANDICAP E LA

SIEROPOSITIVITÀ. PROBLEMI SOMMATI A PROBLEMI

- Handicap. Non esistono situazioni irrecuperabili

- Sieropositività. Tra progressi e pregiudizi

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L’ADOZIONE DAL PUNTO DI VISTA TECNICO

Cap. 1. RICHIESTA D’ADOZIONE: L’ITER DA SEGUIRE

- La procedura per la domanda d’adozione nazionale

- La procedura per la domanda d’adozione internazionale

Cap. 2. METODOLOGIA E CRITERI UTILIZZATI

NELL’INDAGINE SOCIOPSICOLOGICA, EX-ISTRUTTORIA.

- L’operatore sociale come esperto del tempo dell’attesa

- L’operatore sociale come figura senza tempo

- I requisiti per l’idoneità all’adozione

- Setting e modalità operative

- Il rapporto coppia – operatori

- Verso il futuro: proposte operative

Cap. 3. LA RELAZIONE D’IDONEITÀ DEI GENITORI ASPIRANTI

L’ADOZIONE. IL CULMINE DI UN PERCORSO FORMATIVO

- Forma e contenuto

- Le leggi: nemiche – amiche per coppie e operatori

- L’idoneità all’adozione internazionale

Cap. 4. GLI ENTI AUTORIZZATI

- Il rapporto con i Servizi Sociali

- I corsi

- Il CIAI: un esempio di Ente autorizzato

- I viaggi di “ritorno alle origini”

- I costi dell’adozione internazionale

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ANALISI DELL’ANDAMENTO DELLE ADOZIONI PRESSO I

SERVIZI SOCIALI DI CARPI

Cap. 1. RICERCA EPIDEMIOLOGICA COMUNE

- Informazioni generali

- Aggiornamenti

- Ulteriori tentativi di adozione

- Bambini adottati

- Adozioni internazionali: provenienza

- Età dei minori in abbinamento

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RICERCA ESPLORATIVA

- Le cartelle

- Il materiale

- Il campione

- I contenuti

- Lo scopo

- I risultati

Sezione 1. ANALISI QUANTITATIVA DEI CONTENUTI DELLE

CARTELLE E DELLE RELAZIONI D’IDONEITÀ

Cap. 1. DISPONIBILITÀ ALL’ADOZIONE

- Numero di minori

o Correlazione tra l’età del genitore più anziano al momento della prima richiesta

e il numero di minori per cui la coppia si dichiara disponibile all’adozione

- Sesso dei minori

- Età dei minori

- Provenienza dei minori

o Confronto coi dati nazionali

- Rischio giuridico, handicap e sieropositività

Cap. 2. TEMPI D’ATTESA E DOCUMENTI D’IDONEITÀ

- Tempi d’attesa tra la prima richiesta al Tribunale e l’abbinamento al minore

- Idoneità rilasciate dal Tribunale per i Minorenni alle coppie disponibili

all’adozione internazionale

Cap. 3. LE CARATTERISTICHE DELLE COPPIE ASPIRANTI

L’ADOZIONE

- L’età dei coniugi

o Correlazione tra avvenuto/mancato abbinamento ed età dei singoli coniugi al

momento dell’abbinamento

o Correlazione tra la disponibilità all’adozione nazionale e/o internazionale e

l’età del coniuge più anziano al momento della prima richiesta

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- Il grado di scolarità e l’occupazione dei coniugi

o Correlazione tra avvenuto/mancato abbinamento e grado di scolarità dei

coniugi

o Correlazione tra avvenuto/mancato abbinamento e occupazione dei coniugi

- La storia delle coppie richiedenti adozione

o Accertamenti medici

o I figli naturali

o Gli aborti spontanei

o Correlazione tra numero di aborti spontanei subito e avvenuto/mancato

o abbinamento

o Il lutto di un figlio già nato

o La procreazione medicalmente assistita

Cap. 4. LE CARATTERISTICHE DEI MINORI ABBINAMENTO

- Correlazione tra la provenienza e l’età dei minori al momento

dell’abbinamento

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Sezione 2. ANALISI QUALITATIVA DEI CONTENUTI DELLE

RELAZIONI D’IDONEITÀ

Cap. 1. ANALISI DEI CONTENUTI DELLE RELAZIONI D’IDONEITÀ

- La famiglia d’origine

- Giudizio sul rapporto di coppia

- La motivazione della coppia all’adozione

- Gli affidi

CAP. 2 UN CONFRONTO NEL TEMPO.

UNA RELAZIONE DEL 1976 E UNA DEL 2001

- Notizie anagrafiche e storia personale

- Storia di coppia e motivazione all’adozione

- Disponibilità all’adozione

- Conclusioni

Cap. 3. CONCLUSIONI DELLA RICERCA

BIBLIOGRAFIA

APPENDICE

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PREFAZIONE

In questa avventura ho potuto contare sulla confortante presenza di professionisti

degni di questo nome, che mi hanno orientato, consigliato, corretto e supportato alla

scoperta di una verità che spero potrà ripagarci degli sforzi fatti.

Il ringraziamento più grande è rivolto alla professoressa Maria Pia Arrigoni, per la

sua costante disponibilità e pazienza, ma soprattutto per la capacità di apertura

mentale che poche volte ho incontrato altrove.

Un altro grazie sentito e dovuto è per Lina Anticati, l’assistente sociale dei Servizi

Sociali di Carpi, per avermi permesso di fare una ricerca basata su 27 anni del suo

lavoro con le coppie adottive. In lei ho trovato saggezza e calore umano, qualità che

ogni operatore Sociale dovrebbe possedere.

Vorrei anche ringraziare tutti coloro che hanno collaborato al progetto che io e i miei

colleghi presentiamo come realizzazione di un loro desiderio, diventato poi anche

nostro. Questa speranza era di avere una finestra sull’andamento del loro lavoro in

tutti questi anni; ed era di avere un documento da poter restituire ai genitori adottivi

con cui lavorano e hanno lavorato, che potesse consolarli delle fatiche intraprese e

rassicurarli sulla buona scelta compiuta.

Queste persone sono la dottoressa Valeria Confetti e la dottoressa Daria Vettori, che

lavorano con gruppi di coppie in affidamento preadottivo e postadottivo, e la

dottoressa Liana Balluga, che dirige lo staff e il suo lavoro.

Ringrazio anche la professoressa Silvia Perini, che mi ha aiutato nella parte

sperimentale – statistica della ricerca, per la sua disponibilità e per l’interesse

dimostrato.

Ovviamente, questo lavoro ha per me un valore molto grande, e sarà un ricordo

indelebile e stupendo sapere di averlo potuto condividere con chi è sempre stato al

mio fianco in questi anni, esame dopo esame, sperando, sognando e lottando con me.

L’ultimo enorme grazie è per i miei genitori, stupendi esempi di genuina pazienza;

e per i miei amici, mia forza e consolazione.

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INTRODUZIONE

Quando mi è stato proposto di partecipare a una ricerca sull’adozione non avevo idea

di quanto questo tema sia dibattuto e difficile da studiare.

Le mie conoscenze a riguardo, mi rendo conto ora, erano praticamente nulle.

Secondo il senso comune, si pensa all’adozione come a un atto coraggioso e

stupendo d’amore, in cui una famiglia a cui manca un figlio incontra un bambino

senza famiglia e dopo un po’ di tempo, necessario per conoscersi, diventano una cosa

sola.

L’adozione è questo, ma anche molte altre cose.

Per rendere possibile questo incontro è necessario un lavoro di squadra che

comprende l’impegno di legislatori, Tribunali e operatori che preparino i coniugi

perché siano pronti ad accogliere un minore che, nella maggior parte dei casi, ha un

passato, e spesso, questo passato è un fardello difficile da portare che il bambino

porterà con sé per tutta la vita.

Nella parte teorica, dopo cenni sulla storia dell’adozione e sull’evoluzione delle leggi

che regolano l’abbinamento a scopo adozione, presento la situazione in cui si trovano

le coppie che decidono di rendersi disponibili per l’adozione, la situazione in cui si

possono trovare i minori in stato di adottabilità, la storia del loro incontro e i temi

ricorrenti da affrontare all’interno di una famiglia adottiva.

Passo poi a considerare delle situazioni particolari che si possono incontrare nel

percorso dell’adozione, come la provenienza del minore da un Paese estero,

l’adozione di adolescenti e di minori handicappati o sieropositivi, soffermandomi

anche a considerare i fattori di rischio che minacciano la buona riuscita

dell’adozione.

Nella sezione tecnica, presento l’iter adottivo, a partire dalla prima richiesta, per

passare all’indagine sociopsicologica, che termina con la stesura, da parte degli

operatori che hanno condotto l’indagine, di una relazione d’idoneità sulla coppia.

Questo iter comprende i Servizi Sociali, gli Enti Autorizzati che si occupano delle

adozioni internazionali, e i Tribunali per i Minorenni.

Nella parte dedicata al lavoro svolto, viene presentata una ricerca che ho condotto

insieme a due colleghi, il cui scopo è presentare una panoramica sull’andamento

delle adozioni presso i Servizi Sociali di Carpi dal 1975, anno in cui il Servizio ha

cominciato a occuparsi di adozioni, fino ad oggi.

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Infine, presento la mia ricerca personale, basata sulle cartelle presenti nell’ archivio

dei Servizi Sociali di Carpi, riguardanti le coppie che si sono presentate al Servizio

tra il 1975 e il 2001, e in particolare basata sulle relazioni d’idoneità all’adozione che

gli operatori del Servizio hanno scritto per il Tribunale dei Minori al termine

dell’indagine sociopsicologica condotta con queste coppie.

Lo scopo della mia ricerca è indagare i requisiti richiesti alle coppie per ottenere

l’idoneità all’adozione, e i cambiamenti evolutivi riscontrabili nelle relazioni

riguardo l’andamento del percorso adottivo.

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PARTE TEORICA

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Cap. 1. STORIA DELL'ADOZIONE.

DA UN BAMBINO PER LA FAMIGLIA

A UNA FAMIGLIA PER IL BAMBINO

All’inizio era il mare.Tutto era al buio.non c’era né sole né luna Né uomini né animali né piante.Il mare era ovunque.Il mare era la madre. La madre non era né gli uomini,né le cose, né il nulla.Essa era lo spirito di ciò che stava per venire.Essa era pensiero e memoria.

Mitologia Koghi (civiltà precolombiana) (Champenois Laroche, 1994)

Di bambini adottati si parla già nella Bibbia e nella storia di Roma antica.

Succede così che nel linguaggio comune quando parliamo di adozione pensiamo a

una cosa sempre uguale, una cosa che c'è da sempre.

In realtà nel tempo l'adozione è cambiata molto, e non sempre è esistita.

Ad esempio, Napoleone l'aveva proibita, perchè pensava che adottare bambini fosse

pericoloso per l'integrità e l'unità della famiglia legittima.

L'adozione comportava infatti il rischio di diminuire la forza economica e sociale del

casato, quindi solo chi non aveva ragionevoli speranze di poter avere figli naturali

poteva adottare; l'adottando però doveva avere più di diciotto anni. Questo sta ad

indicare che il significato dell'adozione era prettamente economico, mentre l'aspetto

affettivo passava in secondo piano.

Il codice civile di Napoleone ha fortemente influenzato le nostre leggi, perciò anche

in Italia per molti anni fu proibito adottare bambini.

Solo intorno al 1940 fu promulgato il codice civile, ancora oggi in vigore, che

sanciva la possibilità di adottare bambini di età inferiore ai diciotto anni.

L'adozione tuttavia rimaneva ancora un contratto tra due adulti: il genitore del

bambino da adottare e l'adottante, al quale era richiesto di avere almeno

cinquant'anni (essendo così per il bambino più un nonno che un papà!) mentre non

era richiesto che fosse sposato.

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Questa procedura non era per nulla intrusiva nelle scelte delle persone e lasciava

libertà di decisione, e questo è il motivo per cui forse oggi qualcuno rimpiange

questo sistema.

Questo tipo di adozione però mirava prevalentemente a soddisfare le esigenze degli

adulti; il vantaggio per il bambino era secondario e principalmente di tipo materiale.

All'inizio degli anni sessanta questo sistema privatistico entrò in crisi, in

conseguenza dell'aumento della sensibilità per i problemi dei bambini abbandonati e

del progresso delle conoscenze scientifiche sulla psicologia dell'età evolutiva. Iniziò

ad avvertirsi sempre più l'esigenza di un'adozione che avesse come fine primario

quello di dare una famiglia al bambino che ne fosse privo, e solo come fine

secondario quello di soddisfare il desiderio di un figlio da parte degli adottanti.

In quest'ottica l'adozione diventava la scelta di una coppia, non più di un singolo. E

tanto meglio se la coppia aveva già figli.

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LA LEGGE 5/6/1967 N. 431

Questo movimento di opinione sfociò nella legge n° 431/67 sulla "adozione

speciale".

I principi della nuova legge risultarono innovativi rispetto al costume e per certi

aspetti traumatici, specialmente là dove negavano la cultura del vincolo del sangue,

ancora profondamente radicata in ampi strati di popolazione.

Tali principi sono:

il bambino senza famiglia ha diritto di averne una nuova;

l'adozione serve per dare una famiglia al bambino abbandonato e non per dare un

bambino a una coppia senza figli;

gli adottanti devono essere una giovane coppia di sposi scelta dal giudice in

collaborazione con i servizi sociali.

Non più rischi di improvvisa ricomparsa della famiglia di origine, ma

interruzione di ogni rapporto e legame giuridico.

Non più rischio di revoca dell'adozione per tardivi ripensamenti dell'adottante,

ma pieno inserimento nella famiglia adottiva in qualità di figlio legittimo.

Non più bambini abbandonati per anni negli istituti, ma interventi rapidi del

giudice tutelare e del Tribunale per i Minorenni diretti ad accertare lo stato di

abbandono e a trovare una nuova famiglia al bambino adottabile.

Finalmente, il bambino diventa il protagonista dell'adozione, e la coppia una risorsa

da utilizzare in caso di bisogno.

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LA LEGGE 4/5/1983 N. 184

Anche se l’impianto formale delle legge del 1967 non è stato cambiato, dopo solo

quindici anni fu necessario intervenire in materia di adozione con una nuova

normativa, la legge n.184 del 1983.

Questa legge dichiara che possono essere adottati solo i bambini dichiarati adottabili:

l’abbandono e la conseguente adottabilità debbano essere accertati e dichiarati dal

giudice.

Sono dichiarati in stato di adottabilità i minori in situazione di abbandono perchè

privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a

provvedervi. L’abbandono quindi non è considerato solo in termini materiali ma

anche sotto il profilo psicologico e affettivo.

L’abbandono è accertato dal Tribunale dei Minori su segnalazione dei Servizi

Sociali, oppure dal giudice tutelare, tenuto a controllare gli elenchi dei minori

ricoverati in istituto; oppure su segnalazioni di altre fonti, quali polizia, sanitari,

organi scolastici, ecc.

Se il bambino è orfano di entrambi i genitori oppure non è stato riconosciuto ed è

pertanto figlio di ignoti, la dichiarazione di adottabilità è immediata o comunque

rapidissima. Se invece i genitori esistono, la legge prevede che questi debbano essere

ascoltati dal giudice, perchè possano spiegare le loro intenzioni e i loro progetti

genitoriali. Questa procedura purtroppo richiede spesso almeno un anno di tempo. Se

i genitori poi si oppongono al decreto di adottabilità del loro figlio naturale, come

spesso succede, i tempi si allungano ancora.

Da qua nasce il cosiddetto “affidamento a rischio giuridico”: l’art. 10 della legge

consente che durante la procedura il Tribunale possa disporre in ogni momento “ogni

opportuno provvedimento temporaneo nell’interesse del minore”, e poiché il

bambino in situazione di deprivazione affettiva prolungata può subire danni

irreversibili, talvolta i Tribunali cercano coppie, in attesa di adottare, pronte a

rischiare, cioè disposte ad accogliere un bambino che non è ancora stato dichiarato

adottabile.

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LA CONVENZIONE DELL’AJA DEL 1993

Il passo successivo avvenne a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, quando con

l’apertura delle frontiere cominciarono ad arrivare sempre più bambini in adozione

internazionale.

Parlerò approfonditamente delle tematiche, delle peculiarità e delle problematiche

dell’adozione internazionale nel capitolo “L’adozione internazionale”; per ora quindi

mi limiterò a sottolineare come le leggi abbiano spostato il focus attentivo

sull’estero, per combattere le adozioni “fai da te” e i bambini strappati alle famiglie

povere senza aver prima accertato la situazione familiare.

Mentre per il bambino italiano si cercava un abbinamento con una coppia che

sembrava la più adatta a lui, per il bambino straniero si lasciava libera iniziativa alla

coppia, che, munita di un’astratta idoneità, andava a procacciarsi un bambino

personalmente.

La Convenzione dell’Aja prevede che ci sia un maggior controllo a tutela dei ragazzi

e dei loro diritti da parte delle autorità dei Paesi d’origine, e auspica più

collaborazione e solidarietà internazionale, anche se questo comporta un minor

numero di ragazzi in stato di adottabilità.

La nuova disciplina sottolinea anche che l’adozione internazionale non può e non

deve essere lo strumento per assicurare comunque un figlio agli aspiranti genitori

adottivi, perchè non è sufficiente avere mezzi economici di sostentamento per essere

idonei all’adozione; per l’adozione internazionale è necessaria una significativa

attività di preparazione alle problematiche internazionali e alle dinamiche familiari e

sociali che questo tipo di adozione comporta.

La nuova legge inoltre organizza un adeguato supporto agli aspiranti genitori adottivi

nel momento dell’incontro col futuro figlio e dell’inserimento nel nuovo nucleo

familiare; questo sostegno continua al rientro in Italia e nel primo periodo post-

abbinamento, per realizzare un’adeguata integrazione del bambino nel nuovo

contesto sociale. Purtroppo la legge non prevede che questo sostegno vada oltre i

primi tempi dell’abbinamento, se non su richiesta specifica dei genitori che si

trovano ad affrontare qualche difficoltà. Purtroppo, quasi mai i genitori richiedono

questo aiuto (vedi capitolo “Metodologia dell’indagine sociopsicologica e requisiti

per l’idoneità all’adozione”).

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Comunque, per facilitare l’ingresso nel nuovo Paese dei bambini stranieri, la legge

del 1993 prevede per i genitori:

astensione obbligatoria dal lavoro durante i primi tre mesi, anche se il bambino

ha già più di sei anni.

astensione consentita dal lavoro sino al compimento del sesto anno di età.

congedo consentito nel caso di necessaria permanenza all’estero secondo le

richieste del Paese d’origine del minore.

possibilità di dedurre dalla denuncia dei redditi il cinquanta per cento delle spese

per l’espletamento delle procedure adozionali.

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LE ULTIME INNOVAZIONI IN CAMPO LEGISLATIVO

Il primo dicembre 1999 col decreto n. 492 è stata costituita una Commissione per le

Adozioni Internazionali, che raccoglie dati sui minori adottabili di cui autorizza

l’ingresso in Italia e si occupa di monitorare l’andamento delle adozioni

internazionali a livello regionale e nazionale.

L’ultima innovazione riguarda gli Enti autorizzati. Dal 2000 al 2002 si è lavorato per

selezionare, tra le varie Associazioni che si proponevano alle aspiranti famiglie come

intermediari per l’adozione internazionale, quelli che effettivamente avevano le

caratteristiche indispensabili per offrire un servizio serio e conforme alle disposizioni

di legge.

È stata scelta una minima parte tra tutti gli Enti che hanno tentato di essere

riconosciuti come legali, a testimonianza del fatto che una parte significativa di

coppie italiane tentava qualsiasi via per ottenere un’adozione sicura.

Nel capitolo “Gli Enti autorizzati” tratterò approfonditamente delle funzioni preposte

e dei programmi proposti alle coppie adottive dagli Enti, prendendo come esempio

un’Associazione con vari anni di esperienza: il CIAI (Centro Italiano Adozioni

Internazionali).

Un ultimo accenno riguarda la rappresentazione sociale dell'adozione, che come è

cambiata nel tempo tende oggi a una nuova evoluzione.

Si fa strada l'idea dell'adozione da parte dei single. Oggi la legge non concede

l’abbinamento a persone singole, tranne che per casi particolari (ad esempio per

minori che avrebbero come unica alternativa una vita in una casa famiglia).

Un’altra evoluzione è legata alla diffusione di Internet. Navigando, si possono

facilmente trovare molte agenzie, soprattutto nordamericane, che propagano la loro

attività e pubblicano liste di bambini pronti da adottare. È sufficiente un clic per

scegliere sesso, età, razza, colore degli occhi e dei capelli, gruppo sanguigno,

caratteristiche dei genitori, ecc.

È evidente il rischio di queste nuove tentazioni.

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Sezione 1. LA STORIA DI UNA FAMIGLIA DA CREARE

Cap. 2. LA “FAVOLA”DEI GENITORI

ASPIRANTI L’ADOZIONE.

UN PERCORSO DI SPERANZA E DI DOLORE

Figlio della mancanza. Figlio del desiderio. Figlio dell’incontro. Figlio della realtà. Figlio dell’amore.(Champenois Laroche, 1994)

In un’indagine conoscitiva su tutte le coppie che hanno adottato un bambino tra il

1986 e il 1992 tramite l’USL 9 di Reggio Emilia, la dottoressa Daria Vettori e la

dottoressa Ivana Pinardi hanno intervistato i genitori adottivi sulla loro esperienza

adottiva e sui rapporti che hanno intrattenuto con gli operatori dei Servizi in questo

periodo. Dalle riflessioni che hanno seguito l’analisi delle interviste le Autrici sono

rimaste colpite dalla somiglianza che accomunava questi racconti, e hanno riscritto il

percorso dell’adozione sotto forma di fiaba. In questo racconto i protagonisti sono un

re e una regina, che, privati di un erede, arrivano al figlio perduto attraverso varie

peripezie, incontrando lungo il tragitto diversi personaggi magici, buoni o cattivi, che

permettono l’incontro fatale tanto atteso.

Quando raccontiamo qualcosa che riguarda il passato, rievochiamo il presente (Stern,

1993). Ciò che ogni madre e padre racconta non è altro che quello che ora, nel

momento presente, la loro esperienza significa. Forse per questo i genitori saltano

molte tappe fondamentali nei loro racconti e trasformano la realtà vissuta in una fiaba

da narrare. Ogni coppia racconta la propria personale storia, magicamente segnata da

incantesimi, profezie, in cui il bene e il male sono simbolicamente rappresentati da

incontri con figure e coincidenze a volte misteriose.

Ogni storia è differenziata e specifica, ma le tappe e i momenti chiave coincidono,

così come i sentimenti e le fantasie.

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Parlando del percorso adottivo affronterò ogni fase facendo riferimento anche a ciò

che i genitori hanno raccontato nelle interviste – narrazioni.

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LA STERILITÀ BIOLOGICA.

LA MORTE DEL DESIDERIO

Una coppia che decide di avere un figlio si trova in quella fase critica del ciclo vitale

in cui costruisce lo “spazio fisico e mentale” per un terzo: un impegnativo passaggio

dalla diade alla triade.

Un figlio rappresenta la realizzazione di una delle massime aspirazioni di una coppia:

il segno visibile della loro unione attraverso un atto creativo; inoltre rappresenta una

connessione tra presente, passato e futuro, diventando il punto d’intersezione tra due

storie familiari. Per questo richiede un cambiamento nell’organizzazione familiare.

Per questi motivi non solo la coppia genitoriale, ma tutta la famiglia allargata si sente

“in attesa” di ricoprire nuovi ruoli: di genitori, nonni, zii, fratelli e sorelle. Questo

processo è lungo e delicato, e comporta una ridefinizione delle relazioni familiari.

Ma non sempre è possibile realizzare il desiderio di genitorialità.

Quando una coppia viene a sapere che non potrà generare un figlio sente minacciata

e irrimediabilmente compromessa la possibilità di realizzare il progetto di diventare

una famiglia. La scienza offre oggi diverse tecniche, presentate nel capitolo “La

procreazione medicalmente assistita”, per ovviare al limite biologico della sterilità.

Così la coppia, sostenuta da una cultura pragmatica ed efficientista (D’Andrea,

1999), e spesso lasciata sola, si spinge sulla strada del “fare”, dell’“agire”, piuttosto

che su quella di fermarsi per riflettere e pensare. La mancata generatività della

coppia fa sentire sterile anche le diverse ramificazioni affettive di cui fa parte,

minacciando la nascita di quei ruoli che un figlio avrebbe permesso. Come la

gravidanza, anche la sterilità richiede particolari riorganizzazioni degli aspetti

relazionali sia all’interno della famiglia che rispetto all’intero sistema della famiglia

trigenerazionale, per i particolari compiti emozionali cui il sistema deve far fronte.

Restringendo l’attenzione sulla coppia, anche al suo interno ci sono differenze nel

modo di vivere il trauma dell’infertilità.

“Una donna infertile si può sentire inutile o “menomata”, non vedendo realizzata una

parte distintiva della propria identità femminile. Paragonandosi alla propria madre,

vista come potente perché in grado di generare, può provare sentimenti di inferiorità,

quindi mostrare atteggiamenti di rivalità.

Un uomo, invece, può sentire minacciata la propria potenza sessuale, da sempre

associata alla capacità fecondativa (Farri Monaco, Castellani, 1994)”.

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Confrontarsi con il problema della sterilità significa fronteggiare qualcosa di

imprevedibile, che si ritiene estraneo. Il corpo costituisce per le persone la prima

base su cui costruire la propria identità; ci si può dunque sentire traditi da questo

convivente di cui ci si è presi cura quotidianamente. Le conseguenze di questo stato

sono delusione, rabbia, disistima di sé, insieme a vergogna e sensi di colpa.

Anche per la coppia in quanto tale la diagnosi di infertilità è una dura prova da

affrontare, perché gli equilibri costruiti fino a quel momento subiscono modifiche a

seconda di chi è dei due il responsabile; si attivano o risorse di reciproco sostegno o

vecchi conflitti che ne minano la coesione.

La sterilità può essere vissuta dai membri della coppia come un tradimento del patto

coniugale, generando forti sensi di colpa da parte di chi si sente responsabile; oppure

atteggiamenti protettivi nell’altro partner per paura di offenderlo e di farlo sentire a

disagio davanti ad altri.

Un’area che può subire profonde modificazioni nella relazione di coppia è quella

sessuale. La sessualità perde la finalità procreativa, e la coppia dovrà riscoprire la

sessualità come un valore di reciproco scambio affettivo e di piacere.

Allargando la prospettiva alla famiglia allargata, rendere partecipi le famiglie

d’origine dell’accaduto è un momento delicato, in quanto è una fase che può

riattivare antichi conflitti con la coppia o tra le famiglie, specialmente da parte di chi

si sente “danneggiato” (Binda, Greco, Colombo, 1989).

A tutti questi livelli, insomma, la sterilità biologica può rappresentare la “morte del

desiderio”.

Nel racconto dei genitori adottivi ritroviamo questi temi:

1. LA FASE DECISIONALE

La maggior parte delle coppie narra di aver sempre avuto un progetto di famiglia.

Alcuni riferiscono di aver cercato a lungo e da subito figli propri, altri invece

raccontano di aver sentito solo più tardi il desiderio di avere un figlio. In entrambi i

casi, comunque, l’idea dell’adozione nasce in seguito ad una mancanza, un vuoto

creatosi all’interno della coppia (Vettori, Pinardi, 1996).

Il racconto di questa fase è sempre estremamente ridotto. Non viene ripercorsa con

l’intervistatore la sofferenza, che pure deve esserci stata, della scelta di adottare.

Spesso viene narrato un evento “magico”, una consapevolezza che arriva

all’improvviso, quasi un’illuminazione. Un evento esterno e non certamente

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Page 25: Lisa Agosti

spontaneo diventa un evento naturale, magicamente innescato da un fatto esterno

come una trasmissione televisiva sui bambini del terzo mondo o un viaggio.

Vi è una specie di amnesia rispetto all’esperienza di elaborazione del lutto e al

problema sociale della povertà e dell’abbandono, così come non viene riferita la

possibile disomogeneità della coppia rispetto alla decisione di adottare.

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Page 26: Lisa Agosti

LA SCELTA ADOTTIVA.

LA RINASCITA DEL DESIDERIO

La “morte del desiderio” può spingere la coppia sulla strada del “bisogno del figlio”.

La coppia si trova di fronte a un bivio: negare, evitare il problema o accoglierlo ed

elaborarlo. L’adozione non è la soluzione al problema della sterilità della coppia; è la

sua elaborazione, concordemente considerata un passaggio indispensabile per la

rinascita del desiderio (Dell’Antonio, 1986).

La maggior parte delle coppie riflette a lungo prima di decidersi. Dal momento in cui

una coppia inizia a parlare di adozione alla prima telefonata di contatto trascorre

all’incirca un anno per la maggior parte delle coppie (Oliverio Ferraris, 2002). Come

un seme, l’idea si annida nella mente di uno o entrambi i membri della coppia, si

sviluppa, cresce, acquista energia.

La coppia adottante vive la fase dell’attesa con una tensione carica di aspettative,

preoccupazioni e speranze. Il modo in cui queste verranno vissute e affrontate sarà

rilevante nel determinare la costruzione di atteggiamenti flessibili e accoglienti

oppure difesi ed evitanti verso la scelta effettuata.

Il primo passo per chi desidera adottare un figlio è costituito dalla ricostruzione dello

spazio mentale per il figlio che verrà, nel momento in cui se ne prefigura

un’immagine.

La parte difficile di questo compito è immaginare un figlio di cui non si conosce

niente. Non è possibile immaginarne l’aspetto o il sesso, l’età, la provenienza, il tipo

di storia precedente, sapere se il bambino ha conosciuto i suoi genitori naturali e i

motivi che hanno portato al suo abbandono.

Ridare vita alle fantasie, al desiderio e alle aspirazioni permette alla coppia di

ricostruire quello spazio di intimità, incontro, progettualità, che l’ostacolo

dell’infertilità aveva “congelato” (D’Andrea, 1999).

Spesso però il fatto che queste domande non trovino risposte soddisfacenti alimenta

i timori della coppia, ponendola in una condizione di precarietà; spesso “l’immagine

del bambino che si va delineando corrisponde più alle aspettative del futuro genitore

adottivo che alla realtà” (Dell’Antonio, 1986). Ne consegue che il desiderio

ricorrente, durante l’attesa, è quello di poter adottare un neonato con la motivazione

che in questo modo il figlio si attaccherà più facilmente, non avrà sperimentato

particolari sofferenze; che l’esperienza adottiva sarà più simile a quella naturale.

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Page 27: Lisa Agosti

In realtà il desiderio del bambino “de-storificato”, senza passato, spesso nasconde la

paura della coppia a confrontarsi con la storia e la paura che la famiglia naturale del

figlio possa influenzare negativamente la futura relazione.

Invece, per la serenità della coppia, è importante che la coppia accetti un confronto

fantastico con la famiglia biologica, senza entrare in una logica di contrapposizione e

di competizione (famiglia “buona” e accogliente / famiglia “cattiva” e rifiutante) o di

evitamento e rifiuto (paura del ritorno, minacce di riappropriazione, percezione di

aver rubato il figlio, ecc.).

Così i coniugi sapranno accettare serenamente la doppia appartenenza del figlio e

vivrà il proprio progetto affettivo come integrante a quello biologico,

accompagnando il figlio nel campo del passato per recuperare cultura, ricordi ed

emozioni che gli appartengono.

2. IL PERIODO INFORMATIVO

Le coppie raccontano tutto lo spaesamento e la solitudine in cui si sono trovate nel

periodo di raccolta delle informazioni riguardanti l’adozione. Dai racconti dei

coniugi, pare che l’adozione sia posta dalla società a margine rispetto alla

genitorialità naturale, e il riscontro sociale sembra quasi completamente assente.

Mentre i mass media parlano di fecondazione artificiale e di affido, “l’adozione non

è alla moda”.

Contemporaneamente, però, avvengono incontri “casuali” importanti, con persone

sagge che danno le prime indicazioni riguardo la strada da percorrere. In realtà

questo incontro non è un incantesimo, ma piuttosto un attivarsi nei confronti di una

realtà fino a quel momento invisibile ai loro occhi.

Questa fase è segnata dall’incontro con il Servizio: il Consultorio è un interlocutore

obbligato.

Il Servizio appare nei racconti come uno “straniero”, perché parla una lingua poco

comprensibile e offre solo la propria realtà senza mettersi nei panni di chi porta con

sé un carico di sofferenza e insicurezza.

3. LA DOMANDA

La compilazione della domanda avviene dopo il momento informativo, e per la

coppia rappresenta la concretizzazione di una decisione fino ad allora soltanto ideale.

È una cristallizzazione del pensiero in forma scritta e come tale è una tappa di

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Page 28: Lisa Agosti

maturazione significativa per la coppia, che deve fermarsi, guardarsi dentro e portare

a livello consapevole ciò che sta facendo.

Purtroppo il rapporto col Servizio si interrompe a questo punto, fino alla

convocazione per l’indagine sociopsicologica, quindi da uno fino a sei mesi.

Quindi mentre il Servizio appare distante e poco comunicativo, si crea una rete

informativa di altri genitori adottivi che tramandano alle nuove coppie le “parole

chiave” su cos’è l’indagine sociopsicologica, sulle domande che verranno poste, su

come “fregare” i Servizi.

4. L’INDAGINE SOCIOPSICOLOGICA

In questo periodo il Servizio pare che continui a parlare un linguaggio sconosciuto ai

genitori, freddo e informale. Gli intervistati raccontano che gli operatori danno come

un messaggio a metà, senza mettersi nei panni di chi vuole adottare, dando priorità

all’immaginario e alle mancanze della coppia (Vettori, Pinardi, 1996).

Il Servizio può essere vissuto come indagatore e intrusivo, oppure come colui che

“ascolta” passivamente e silenziosamente. Lo psicologo appare come il primo

giudice. Quando finisce questo periodo, finiscono gli esami, ed incomincia l’attesa

della “promozione”.

5. DALL’INDAGINE SOCIOPSICOLOGICA ALL’IDONEITÀ

In questo periodo la categoria del tempo si dilata, l’attesa della decisione definitiva

da parte della legge è interminabile. La solitudine incombe, e il Servizio di nuovo

scompare.

Il Tribunale poi è visto come lontano e “in alto”, l’atteggiamento dei giudici appare

sbrigativo e freddo.

Molte coppie ricordano con angoscia le domande “a raffica” riguardanti al possibilità

di prendere un bambino portatore di handicap fisico o psichico, sieropositivo, a

rischio giuridico, ecc.

Oppure il Tribunale è visto come la “fatina” da attendere più a lungo, più silenziosa,

ma, come tale, anche più vicina alle coppie che hanno a che fare con lei.

Si giunge così al momento fatidico dell’incontro.

Prima di proseguire con la narrazione, è indispensabile seguire un altro percorso,

quello del bambino abbandonato, che in tutto questo tempo è stato in attesa

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Page 29: Lisa Agosti

dell’arrivo magico di due nuovi genitori che lo salveranno da una vita troppo dura.

Forse l’incontro di genitori e figlio è davvero magico, e, se non lo è, rimane

comunque una delle più alte espressioni dell’amore incondizionato.

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Page 30: Lisa Agosti

Cap. 3. I FIGLI CHE ASPETTANO

La pratica del ricovero in istituto non è altro, in rapporto alle pratiche primitive, che un mezzo meno radicale di sbarazzarsi nelle forme ammesse dei bambini di cui nessuno vuole occuparsi.

Margaret Mead, (1964)

Nella graduatoria mondiale, l’Italia è il terzo paese di accoglienza di bambini

abbandonati. La precedono solamente Stati Uniti e Canada, molto più grandi e ricchi.

Nell’anno 2000 abbiamo adottato 3150 bambini provenienti dall’Europa dell’Est, dal

Sud America, dall’Asia e dall’Africa.

Siamo anche ai primissimi posti nel mondo per longevità e per denatalità, e questo

spiega il desiderio di infanzia che ci caratterizza. Un desiderio così profondo che le

associazioni di volontariato che si occupano di bambini ormai non si contano più.

Ogni circolo aziendale o culturale propone ai suoi partecipanti di fare un’adozione a

distanza, ogni programma televisivo di successo inserisce almeno un attore bambino

tra i suoi protagonisti, per non parlare della pubblicità.

Eppure nei nostri istituti languono ancora circa 25000 minori, prigionieri di norme

inadeguate, dell’incuria degli adulti, di legami famigliari non ancora risolti.

Di questi bambini e ragazzi, non tutti sono adottabili: anzi, lo è solo una minima

parte (coloro per i quali sia stata pronunciata la dichiarazione di adottabilità).

Non esistono dati definitivi sulla reale quantità di questi minori, perché non è ancora

stata costruita una banca dati nazionale dei minori adottabili.

La legge del 2001 imponeva che “entro 180 giorni dalla sua entrata in vigore”, cioè

per il 27 ottobre 2001, la banca dati fosse costituita. Questa data è passata e la banca

dati non c’è ancora.

Dando uno sguardo alla situazione mondiale possiamo notare la compresenza, da una

parte del massimo di attenzione mai riscontrata nella storia per l’infanzia, dall’altra

parte del massimo di disattenzione.

Nel pianeta “infanzia” ci sono da un lato ricchezza, agi, cure materiali e morali, che

spesso si rivelano tali da rendere gli uomini e le donne futuri impreparati davanti

all’inevitabile sofferenza che la vita comporta; d’altro lato c’è la mancanza dei più

elementari diritti, dal cibo alle cure materne. Le condizioni dell’infanzia a livello

mondiale sono peggiorate, non solo per gli stessi motivi che flagellano gli adulti nel

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Page 31: Lisa Agosti

mondo povero, ma anche perché in alcune aree, come l’Europa dell’Est, c’è stato un

vero e proprio cedimento del ruolo della famiglia e dello Stato.

Secondo il rapporto annuale dell’Onu sullo sviluppo umano, ci sono almeno quaranta

milioni di bambini neonati non registrati alla nascita e cento milioni di bambini

condannati all’accattonaggio. Tra di essi, moltissimi diverranno presto bambini soli,

perché orfani o abbandonati. Nella sola realtà africana, l’AIDS ha creato dodici

milioni di orfani (naturalmente si tratta di stime approssimative). Per questo le risorse

umane e le ricchezze di cui il nostro paese dispone sembrano complementari ai

bisogni di migliaia di bambini.

Come già detto, l’Italia, nel 2000, ha accolto in affidamento preadottivo 3150

bambini stranieri, ventisette in più dell’anno precedente. Ma gli italiani che

vorrebbero adottare sono molti di più: le domande d’idoneità all’adozione

internazionale, nel 1999 erano 7352. A conti fatti, più di 4200 offerte di disponibilità

all’adozione internazionale non hanno avuto l’abbinamento o, nella migliore delle

ipotesi, sono congelate in un’attesa interminabile. Ciò avviene ogni anno.

Parlerò approfonditamente del problema dell’idoneità delle coppie aspiranti

l’adozione, correlandolo alla realtà in cui vivono i minori abbandonati.

Per ora, mi soffermerò sui tre passaggi che un bambino affronta prima di arrivare in

adozione:

L’abbandono da parte dei genitori naturali, che può avvenire sia come non

riconoscimento alla nascita, sia come trascuratezza all’interno di una famiglia

d’origine non sufficientemente buona da svolgere i propri doveri genitoriali.

L’allontanamento dalla famiglia d’origine, con riferimenti al rischio che il

ricordo di quel giorno provochi per tutta la vita dolore e rimpianto alla persona,

come un trauma indelebile, anche se l’allontanamento è avvenuto quando era in

tenera età.

Il ricovero in istituto, con particolare attenzione ai cambiamenti avvenuti negli

ultimi trent’anni a livello quantitativo e qualitativo all’interno di queste strutture.

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Page 32: Lisa Agosti

LO STATO DI ABBANDONO

Il giudice e l’operatore dei Servizi che si occupano di adozione si interrogano su

come avviene, e perché, l’abbandono di un bambino.

La situazione degli abbandoni dell’infanzia è oggi molto diversa da come si

presentava trenta anni fa.

Nel 1970, infatti, l’abbandono avveniva prevalentemente al momento della nascita; il

bambino non riconosciuto veniva definito “figlio di N.N.” e portato in un brefotrofio.

Oppure, se l’abbandono avveniva più tardi, il bambino viveva in istituto, in attesa di

una nuova famiglia.

Oggi invece, gli enti locali più sensibili hanno sviluppato politiche sociali alternative

all’istituto, come l’assistenza domiciliare alla famiglia d’origine o l’affidamento

familiare.

Un altro cambiamento rispetto al passato è che non ci sono quasi più abbandoni alla

nascita. Gli ultimi dati statistici del Tribunale per i minorenni di Roma pongono in

evidenza che su 150 bambini dichiarati in stato di abbandono in un anno, solamente

41 erano figli di genitori ignoti, mentre 109 erano minori riconosciuti o legittimi, e

quindi bambini con genitori conosciuti e viventi.

Ne consegue che oggi la condizione di abbandono si verifica prevalentemente

all’interno della famiglia, durante la convivenza del figlio con i genitori o con i

parenti, sotto forma di maltrattamenti, violenza od abusi.

Queste nuove forme di abbandono pongono problemi assai diversi da quelli

tradizionali del bambino dimenticato in istituto. Non sono più, come allora, problemi

di carenza affettiva, essendo le figure genitoriali sconosciute o da tempo scomparse

nella vita del bambino; oggi le figure genitoriali sono presenti, o lo sono state a

lungo, ma in modo gravemente distorto e disturbante.

Le aspettative del bambino sono quindi più articolate e complesse, per cui è richiesta

ai genitori adottivi più disponibilità e preparazione.

Inoltre spesso i genitori naturali ricorrono in appello contro la dichiarazione di

adottabilità del figlio, negando la situazione di abbandono del figlio e affermando di

averlo assistito adeguatamente. Il ricorso in appello allunga i tempi legali

dell’adozione costringendo il bambino a vivere in una situazione altalenante e

indefinita. Il bambino può soffrirne molto, mancandogli punti di riferimento chiari.

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Page 33: Lisa Agosti

Una parentesi doverosa va dedicata all’adozione internazionale: oggi molte coppie si

sentono in diritto di essere considerati idonei all’adozione per il solo fatto di avere la

disponibilità economica che permetterebbe al bambino una vita più dignitosa.

Purtroppo questo requisito non è assolutamente sufficiente a rendere bravi genitori

qualunque coppia. E soprattutto, non si deve confondere concettualmente la povertà

con l’abbandono. I bambini in adozione internazionale non devono essere strappati

alle famiglie d’origine solo perché queste non hanno i mezzi materiali di assicurargli

vestiti nuovi e paghetta settimanale. In una casa povera può esserci molto più amore

di quanto il bambino ne riceverebbe da genitori in carriera, e i giocattoli all’ultima

moda, soprattutto per bambini abituati a giocare con ciò che si trova per strada, non

sono sicuramente una consolazione sufficiente.

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Page 34: Lisa Agosti

L’ALLONTANAMENTO DALLA FAMIGLIA D’ORIGINE

Una volta che il Tribunale per i minorenni abbia accertato la condizione di

abbandono di un bambino, solitamente si provvede ad allontanarlo dai genitori

naturali, collocandolo in una struttura di tipo familiare, ad esempio una casa-

famiglia, una piccola comunità o un istituto, per il tempo necessario all’ulteriore

espletamento della procedura di adottabilità.

Per potere con una certa “tranquillità” ordinare l’allontanamento del bambino dalla

sua famiglia e dalla sua casa, il Tribunale deve aver tratto dalle “carte” – cioè da tutto

il complesso delle informazioni, relazioni e consulenze – la convinzione che il

distacco e l’interruzione del rapporto è l’unica via per sottrarre il bambino ad una

situazione familiare così deteriorata e irreversibilmente compromessa che il suo

processo di sviluppo fisico e psichico sarebbe, in caso di ulteriore permanenza in

quella famiglia, altrettanto irreversibilmente compromesso. Pertanto

l’allontanamento va attuato se appare come l’unico strumento di tutela per annullare

o ridurre i danni già visibili, cioè l’unico strumento in grado di sottrarre il bambino al

contesto patogeno.

Nel giudizio del Tribunale si prevedono diritti sia per i genitori che per il bambino:

per i genitori è contemplato il diritto a fissare al proprio figlio la residenza presso di

sé, a richiamarlo in caso se ne allontani senza permesso, a fornirgli personalmente e

direttamente il mantenimento e l’educazione;

per il minore è contemplato il diritto a vivere nell’ambito della propria famiglia, a

condizione che essa sia in grado di assicurargli una qualità di vita tale da garantirgli

un equilibrato sviluppo.

Il diritto prevalente è comunque quello del soggetto debole in formazione: è

necessario evitare che la patologia familiare, chiudendolo nella sua morsa, gli

impedisca di crescere.

È noto che le famiglie-problema espongono e sovraespongono i loro figli a una sorta

di prigionia psicologica, perché l’isolamento sociale spinto in cui quasi sempre

vivono le porta a respingere interventi di sostegno istituzionali; piuttosto riescono ad

accettare, di volta in volta, gli aiuti offerti dal mondo del volontariato, che viene

vissuto come accogliente e non giudicante, privo cioè di quella funzione di controllo

e di quel potere d’intervento autoritativo tipico dell’autorità giudiziaria. Così, quasi

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Page 35: Lisa Agosti

sempre, nonostante gli sforzi degli operatori del Servizio Sociale di acquisire il

consenso dell’intervento, i genitori si oppongono, e l’allontanamento viene eseguito

coattivamente, cioè a mezzo della forza pubblica. Quando ciò avviene il distacco

diventa uno “strappo” doloroso e lacerante: resteranno nella memoria del bambino,

anche se in maniera confusa, immagini sfocate di un uomo con la divisa nera (il

vigile urbano o il poliziotto), di tante altre persone (le assistenti sociali), di una donna

col camice bianco (la madre in camicia da notte che cerca di nasconderlo). Gli

operatori devono essere consapevoli del danno che un allontanamento mal condotto

può produrre al minore, segnandone per sempre la memoria.

Per limitare al massimo i rischi dell’allontanamento, sarebbe desiderabile poter

disporre di un’équipe con specifiche competenze professionali, costituita da figure

quali l’assistente sociale, uno psicologo, un agente di polizia preferibilmente di sesso

femminile e un pediatra.

I genitori devono essere informati su come possono evitare che il bambino sia

allontanato, e sui motivi che rendono necessario l’allontanamento. Anche il bambino

deve sapere perché viene allontanato dalla sua casa, perché non si ritrovi a chiedersi

perché vive con quelle nuove persone in un posto nuovo.

Inoltre i nuovi insegnanti ed educatori devono essere informati della situazione

perché possano comprendere meglio e guidare il bambino.

Anche con tutto l’impegno, sarà comunque difficile preservare il bambino dal dolore

di questa perdita, in quanto non può rendersi conto se sua madre fosse una buona

madre o meno; per lui era semplicemente sua madre.

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Page 36: Lisa Agosti

IL RICOVERO IN ISTITUTO

L’istituto è ritenuto essere una risposta non adeguata ai bisogni dei bambini.

Trent’anni fa, il motivo dell’allontanamento del bambino dalla famiglia d’origine era

quasi sempre economico. Spesso l’istituto era lontano dalla casa paterna, anche in

un’altra provincia, o addirittura in un’altra regione. A causa della lontananza e del

costo del viaggio, le visite familiari diminuivano nel tempo; di conseguenza, il

rapporto con i genitori si attenuava fino a sparire. Il figlio veniva praticamente

dimenticato, e lui stesso arrivava a dimenticare di avere dei genitori, soffrendo così

di deprivazioni affettive gravissime.

Oggi invece i ricoveri in istituto sono molto meno numerosi; i grandi istituti di un

tempo non esistono più o si sono trasformati in piccole strutture tipo Casa-famiglia,

che favoriscono i rapporti con i genitori e che hanno assorbito la cultura

dell’adozione e non la ostacolano, ma anzi la favoriscono.

Nonostante gli istituti più moderni abbiano dimensioni ridotte, siano forniti di

specialisti, siano aperti all’esterno, bambini e ragazzi non possono trovarvi una

risposta qualitativamente analoga a quella che hanno nella relazione con persone che

vivono e condividono con loro la stessa vita.

Secondo lo psicologo Guido Cattabeni (1989), un bambino ha bisogno, quando è

definitivamente o temporaneamente privo di genitori validi, “di essere accolto da

qualcuno che lo ritiene tanto importante da fargli spazio nella sua vita, da

condividere con lui il suo stare al mondo, da preoccuparsi per lui, pensare ai suoi

problemi, al suo futuro”.

Ciò che permette un sano sviluppo del bambino è proprio il sentire di avere un

proprio spazio nella mente di qualcuno, di avere cioè qualcuno che sappia accogliere

su di sé i suoi sentimenti, che abbia la capacità di trovare delle risposte che siano in

sintonia con i suoi bisogni.

La costruzione di una personalità matura implica il sentirsi importante e necessario

per qualcuno. Gli istituti non sono idonei a questo fine, non solo per una questione di

personale non valido, ma proprio per l’impossibilità di creare quelle esperienze

significative, emotivamente calde, affettivamente non anonime, che solo in una

famiglia si possono verificare.

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Page 37: Lisa Agosti

Non è sufficiente cercare di assegnare sempre la stessa assistente allo stesso

bambino, non è sufficiente che lei sia molto preparata e lo tratti con dolcezza: non

potrà sostituire la figura materna. Anche un bambino in buone condizioni di salute

non può subire senza danni la mancanza di un rapporto privilegiato, personalizzato,

con i genitori, e di una rete interpersonale significativa: il suo ritmo di crescita può

essere più lento, può diventare un bambino più irrequieto, più teso, può subire ritardi

nello sviluppo intellettivo in generale.

Oltre a questi problemi, molti ragazzi che vivono o hanno vissuto in istituto sono

caratterizzati o da una passività preoccupante, dimostrandosi cioè succubi di

chiunque voglia manipolarli, o da una aggressività tanto più pericolosa quanto più

drasticamente repressa.

Spesso inoltre la permanenza in istituto si prolunga per diversi anni, a volte fino

all’adolescenza, acuendo notevolmente i disagi psicologici del ragazzo.

L’istituzione è una soluzione facile perché deresponsabilizza la famiglia e l’ente

pubblico, ma non per questo è poco dispendiosa: infatti blocca gran parte delle

risorse che potrebbero essere destinate a interventi alternativi.

La mancanza d’amore, sia che si consumi in istituto che in famiglie non

sufficientemente buone, può essere disastrosa e può portare alla disgregazione della

personalità fino alla comparsa di una psicosi. Il bambino, anche se successivamente

aiutato, rimane immaturo e questa immaturità lo può rendere incapace di amare,

infelice, solitario, incline alla sofferenza.

L’adozione appare dunque l’unica soluzione per l’evitamento di questo trauma.

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Page 38: Lisa Agosti

Cap. 4. L’ABBINAMENTO

E L’ANNO DI AFFIDO PREADOTTIVO

Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue, ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite. Richard Bach, (1977)

Dopo aver seguito genitori e figli nel periodo che precede il loro incontro, si può

riprendere la narrazione, facendo sempre riferimento all’indagine esplorativa

condotta dalla dottoressa Daria Vettori e dalla dottoressa Ivana Pinardi sulle coppie

adottive dell’USL 9 di Reggio Emilia.

Nel racconto, i coniugi erano rimasti in attesa di sapere dal Tribunale se esisteva un

bambino per cui loro sarebbero stati genitori idonei.

6. IL CONTATTO RISOLUTORE

La narrazione dell’incontro che sarà determinante per raggiungere il bambino è

emozionante e vissuta ancora con grande intensità. La storia del contatto risolutore è

ricca e avvincente. Ogni gesto e incontro assume una valenza simbolica. La fantasia

sembra prevalere sull’esame di realtà: il ricordo trasforma incontri cercati in

coincidenze magiche. La storia assume di nuovo i connotati di fiaba. Così, anche il

momento della telefonata tanto attesa viene vissuta come un incantesimo. In quel

momento il tempo sembra fermarsi e i protagonisti sono in uno stato di fascinazione.

Qualunque desiderio avessero espresso riguardo l’età, il sesso, il colore del minore,

le caratteristiche reali del bambino che viene loro abbinato sembrano assumere

immediatamente i connotati del bambino “scelto” per loro.

Egli diventa magicamente il loro figlio, “pensiero del loro pensiero”.

7. LA MAGIA DELL’INCONTRO

La dimensione atemporale e magica permane al momento della comunicazione da

parte del Tribunale: “C’è un bambino per voi”. La coppia, come sotto un

incantesimo, è disposta a fare qualunque cosa.

L’incontro con il bambino è un’esperienza tra l’allucinante e il meraviglioso, in cui,

dicono i genitori adottivi, ci si trova scaraventati senza alcuna reale preparazione. La

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Page 39: Lisa Agosti

solitudine e lo spaesamento si contrappongono ad una sensazione di euforia e

curiosità. Sentimenti contraddittori rendono fragili e molto forti.

Questa esperienza mette le coppie davanti non solo al desiderio di avere un figlio, ma

anche alla capacità di farsi cambiare individualmente e come coppia dall’ambiente in

cui arrivano e dal bambino con cui hanno a che fare.

Alcuni bambini accolgono con calci e pugni ogni tentativo di avvicinamento da parte

dei genitori, perché non sono abituati alle coccole. La coppia impara quindi a

conoscere le abitudini di accudimento delle famiglie, degli istituti, o più in generale

del contesto culturale in cui si trovano, per poter integrare il proprio mondo con

quello del bambino.

È a questo punto, in queste circostanze che emergono capacità creative inaspettate:

c’è chi narra di aver utilizzato delle mentine come unico ed importante canale di

comunicazione con il piccolo, chi invece dice di avere atteso che si addormentasse

per poterlo accarezzare a lungo e dolcemente.

Talvolta un gioco, come una bambola o un burattino, assumono un ruolo simbolico,

mantenuto a lungo: una madre ci dice che ancora oggi, quando c’è qualcosa di

importante e difficile da affrontare, la sua bambina va a riprendere il cagnolino di

peluche regalatole al primo incontro, e parla attraverso di lui.

Se inizialmente le coppie hanno dovuto apprendere la lingua dei Servizi, poi quella

della legge, ora devono affrontare la “lingua” del paese in cui si recano.

In questa fase può essere fondamentale la condivisione di esperienze e vissuti

emotivi con altre coppie adottive che si trovano nella stessa condizione.

Superati i problemi burocratici che spesso sembrano prolungarsi all’infinito, durante

il viaggio di rientro il bambino, nella fiaba, sembra manifestare cambiamenti

stupefacenti: manifesta comportamenti d’attaccamento tali da rinforzare

ulteriormente nella coppia la fantasia di genitorialità naturale.

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Page 40: Lisa Agosti

RIAVERE UNA FAMIGLIA

Sia la coppia che il bambino intraprendono il viaggio dell’adozione poiché entrambi

non hanno potuto realizzare un “altro” viaggio: il bambino non è potuto rimanere nel

contesto affettivo in cui è nato; la coppia non ha potuto far nascere un figlio. Il

bambino si è quindi sentito privato di un legame reale e la coppia ha dovuto

rinunciare a un’aspirazione naturale.

I genitori adottivi devono saper riconoscere e accogliere come ricchezze le tre doti di

cui il bambino è portatore: il suo corpo, il suo nome e la sua storia. Il “figlio venuto

da lontano” ha con sé un’altra dote con cui arricchirà la nuova famiglia: la sua

cultura di appartenenza.

Attraverso l’accettazione della corporeità del bambino, la coppia adottante può

rimandargli due messaggi:

- da una parte lo aiuta a riappropriarsi della sua fisicità come fonte di nuove

certezze, come ha fatto elaborando la propria sterilità;

- dall’altra parte dimostra di saper elaborare le proprie idealizzazioni per

rapportarsi con il bambino reale che, da sconosciuto, è diventato figlio.

Ogni genitore naturale spera, anzi desidera fortemente, persino sogna per il proprio

figlio mete ambiziose e senza confini; quelle stesse mete che, per ragioni intrinseche

alla dinamica esistenziale, si sono rivelate a lui stesso irraggiungibili.

Su questo obiettivo il genitore tende ad investire ogni sua risorsa morale, affettiva e

materiale, nel convincimento che una “spinta” adeguata sia sufficiente alla

realizzazione del sogno.

Ma il più delle volte, e ben presto, l’ambizione della volontà viene drasticamente

ridimensionata dalla realtà: il bambino si orienta su percorsi completamente diversi

da quelli disegnati per lui dal genitore, oppure, più semplicemente, non dispone delle

capacità fisiche, intellettuali e psichiche sufficienti per aspirare a mete così

ambiziose.

Così il sogno viene infranto dalla presa di coscienza del limite. Tuttavia il genitore

naturale, pur amareggiato e frustrato dalla caduta delle aspettative, finisce in genere

con l’accettare la realtà, e non cessa per questo di aiutare il figlio nel percorso che la

sua autonoma volontà o le circostanze contingenti hanno per lui disegnato. Il genitore

cioè accetta le frontiere del sogno.

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Page 41: Lisa Agosti

Più complessa e difficile si presenta la situazione del genitore adottivo. Questi infatti,

da una parte, è indotto dalla sua storia di aspettative mancate e di attese frustranti a

fare del figlio un oggetto di investimento ben più totalizzante e globale rispetto al

genitore naturale; e dall’altra parte molto più difficilmente accetta il risveglio dal

sogno, perché vive il limite in funzione della propria incapacità a generare. In più, il

figlio adottivo può non voler dimenticare, rinnegare, tradire la sua storia: egli vuole

parlare di sua madre; vuole andare a trovare quella suora che gli fu un po’ mamma;

vuole rivedere il suo ”amico di strada” che lo ha aiutato; vuole andare al cimitero

dove è sepolto suo nonno che gli voleva bene; vuole fare visita alla mamma

affidataria che lo prendeva in casa tutti i fine-settimana. (Cavallo, 1995).

Questi compromessi, carichi di emozioni, si ritrovano nella favola dei genitori.

8. L’ANNO DI AFFIDO PREADOTTIVO

L’arrivo in Italia è sempre o quasi un’esperienza difficile. Si racconta di una

stanchezza infinita che contrasta con il desiderio delle persone a casa, parenti e

amici, di vederli, di sentire il racconto dell’avventura.

Pare esserci una sorta di depressione post-adozione, un desiderio di non vedere

nessuno, di scoprire nell’intimità e nel segreto questo figlio. Gli altri sono, almeno i

primi giorni, lasciati il più fuori possibile, poco tollerati, vissuti come confusi e

confusivi. Solo successivamente emerge il desiderio di rendere pubblica la scelta

fatta. Questo comporta affrontare i pregiudizi e le errate convinzioni della “gente”. In

questo delicato momento ricompare il Servizio. Gli incontri possono avvenire a

domicilio o al Servizio, mensilmente o semestralmente, condotti da psicologi o

assistenti sociali. È importante che la coppia si senta a suo agio e non nuovamente

sotto inchiesta, altrimenti non si confiderà con gli operatori circa le paure provate e le

difficoltà incontrate, nonostante sia perfettamente comprensibile come queste siano

presenti. In questo senso ancora una volta può risultare di grande aiuto il rapporto

con altre coppie adottanti, che condividono le stesse esperienze ed emozioni.

Il supporto degli operatori sarebbe importante anche per affrontare più serenamente

eventuali problemi fisici “di assestamento” che non raramente vengono manifestati

dai bambini adottati. (Oliverio Ferraris, 2002).

A seconda dell’età, del temperamento e del tipo di vita che hanno condotto sino ad

allora e del tipo di richieste che fanno i genitori adottivi, alcuni bambini si abituano

rapidamente alle regole della nuova famiglia, altri invece hanno bisogno di tempo.

41

Page 42: Lisa Agosti

Per quanto adattabile comunque, è difficile che un bambino si abitui immediatamente

a cibi, orari, spazi, abiti, persone e linguaggi diversi. È in atto un complesso lavoro

psicologico di riassestamento, cosicché all’inizio molti bambini presentano qualche

problema, più o meno accentuato, che può riguardare:

lo sviluppo (ritardi dello sviluppo);

il sonno (difficoltà ad addormentarsi, terrori notturni o incubi);

l’alimentazione (rifiuto del cibo o voracità eccessiva);

o altre funzioni fisiologiche (enuresi, encopresi, disturbi intestinali).

Sono problemi normali per il cambiamento che stanno vivendo.

Ritornando alla favola, raccontata dai genitori adottivi dell’USL di Reggio Emilia,

nonostante i punti comuni del racconto ci sono altri dettagli che variano da storia a

storia.

Ogni storia è unica, nonostante le tappe del percorso si ripetano per tutti.

42

Page 43: Lisa Agosti

CAP. 5. L’INFORMAZIONE AL FIGLIO ADOTTIVO

“Lo sai che non sono figlio di mia madre?” Stefano, 6 anni (Oliverio Ferraris, 2002)

Arrivati al termine dell’anno di affido preadottivo, la famiglia continua il suo

percorso di crescita, forse un po’ più in tranquillità visto che la legge finalmente la

riconosce come famiglia e i Servizi terminano le loro visite di “controllo”.

La crescita e lo sviluppo di ogni famiglia è peculiare, e questo vale anche per le

famiglie adottive. Non si può quindi proseguire nel nostro racconto comune, in

quanto ogni situazione andrebbe raccontata a sé.

Esiste però un tema da affrontare che di nuovo accomuna tutte le famiglie non

biologiche: rendere il bambino consapevole di ciò che è accaduto quando lui non

aveva ancora memoria dei fatti, o nel caso di un bambino grandicello, spiegargli

perché gli è successo quel che ricorda.

Come e quando informare il proprio figlio della sua adozione è uno dei problemi più

dibattuti e di fondamentale importanza per l’accettazione stessa della famiglia da

parte del bambino.

Per informare un figlio della sua storia non è necessario usare formule o parole

precostituite;

è importante trovare le parole giuste, ma soprattutto è necessario che il padre e la

madre avvertano dentro di sé serenità e tranquillità; la sicurezza di essere veramente

genitori nasce da un rapporto in cui il figlio è desiderato e amato realmente (Bosi,

Guidi, 1992).

Questa posizione può essere assunta dai genitori adottivi solo quando

“hanno superato la constatazione che quel figlio non è stato fatto dai loro corpi e

hanno positivamente accettato che è nato da altri. Questo passaggio va compiuto sia

dalle coppie sterili, sia da quelle che, avendo figli biologici, scelgono un’adozione.

Solo questo vissuto – che va oltre l’evidenza dei fatti e le dichiarazione a parole – è

la premessa perché i genitori adottivi non si sentano né ladri, né benefattori, né

genitori sostitutivi. Il genitore adottivo che vive se stesso come ladro del proprio

figlio, come suo benefattore o come genitore sostitutivo non riuscirà mai a diventare

“genitore vero” perché “vero” resta l’altro, il genitore biologico al quale è stato

43

Page 44: Lisa Agosti

rubato il figlio, al quale è stato fatto il favore di allevarlo, o al quale è stato

necessario sostituirsi, poniamo alla morte.” (Bosi, Guidi, 1992).

Se in letteratura l’adozione è un tema molto dibattuto, gli Autori sono invece

generalmente d’accordo, e insistono molto, sull’importanza di informare

dell’adozione il bambino quando è ancora piccolo, per evitare che lo scopra da

qualcun altro quando è già grande. Un’informazione falsa e tardiva potrebbe

scatenare una forte conflittualità e spingere il figlio a ricercare i genitori biologici,

che egli sente come i propri “veri” genitori a causa del comportamento degli

adottandi.

Inoltre, l’informazione può essere utile anche per le coppie: se i genitori adottivi

credono che il legame di sangue sia più forte di quello affettivo, imposteranno il loro

rapporto col figlio su un imbroglio e un rifiuto più o meno inconscio del figlio

adottato. Inevitabilmente il figlio crescerà di conseguenza con profonde insicurezze.

Il “non detto” rischia di agire a livello inconscio e trasmettere messaggi ambigui al

figlio, mentre il genitore adottivo potrebbe percepirsi “di serie B”.

Se i genitori non biologici invece riescono a vivere in modo naturale e sereno il

proprio essere genitori potranno trasmettere informazioni al figlio e

contemporaneamente rafforzare il suo “sentirsi figlio”.

Secondo il parere della dottoressa Vettori (In La Sala, 1997), scoprire il segreto della

genitorialità adottiva sembra creare un legame prezioso tra i genitori adottivi e quelli

naturali, tra due storie. La storia di chi, per incapacità o impossibilita, rinuncia alla

genitorialità, e la storia di chi “si prende cura” al suo posto.

Questo legame è troppe volte rotto o nascosto per la paura di rivelare che dietro vi

sono fragilità, sofferenze e paure; da una parte, fa soffrire l’incapacità di fare la

madre, dall’altra fa soffrire la paura di non poter essere amati fino in fondo da un

figlio che non è stato “fatto in casa”.

Il genitore biologico è spesso nella mente del genitore adottivo, in particolare della

madre, che può relazionarsi alla madre naturale in modi diversi: può raffigurarsela

come antagonista o, in qualche caso, come modello a cui ispirarsi nei momenti

critici. Se si escludono i casi in cui i bambini sono rimasti orfani, comunque, pare

che i genitori adottivi tendano a pensare in modo negativo alla madre naturale.

Dare giudizi negativi sui genitori biologici potrebbe servire ai genitori adottivi per

sentirsi migliori, contrapponendosi a chi ha avuto il coraggio di abbandonare un

bambino; questo diminuirebbe il senso di inadeguatezza che a volte li assale.

44

Page 45: Lisa Agosti

Questa inadeguatezza, derivata dalla non fertilità, o la sensazione di “fare le

differenze” con i figli biologici , fa sentire la necessità di fare finta che questo

bambino venga dal nulla, come se fosse nato al momento dell’arrivo in famiglia.

Talvolta la motivazione del silenzio è collegata alla paura di fare del male con una

verità troppo dura da accettare e “cattiva”. Dietro il silenzio rischia di nascondersi

una verità che non è possibile ammettere prima di tutto a se stessi.

Raccontare a un bambino che chi lo ha fatto non è stato capace di fare il genitore non

è mai facile e fa comunque stare male. Ma è la sua storia, e in quanto tale ha un

valore. Il male che può provocare la verità è passeggero, quello della bugia è talvolta

incolmabile, perché il rischio è di perdere la fiducia di chi vogliamo proteggere,

quindi perdere chi amiamo.

Una volta superato lo scoglio del silenzio, un altro compito attende i genitori adottivi.

Infatti, non è sufficiente dare l’informazione al figlio adottato, ed eventualmente agli

altri figli presenti in famiglia, sulla situazione reale, e poi comportarsi col figlio come

se nulla fosse. Il figlio in questo caso, per timore di disturbare la tranquillità dei

genitori, sarebbe portato a non esprimere le sue paure, angosce, che inevitabilmente

una notizia del genere provoca;

da parte loro, i genitori per non turbare il figlio non parlerebbero con lui della sua

condizione, pensando che il suo silenzio sia sinonimo di serenità.

Apparentemente il silenzio è la soluzione migliore; in realtà crea fratture e allontana

genitori e figli.

Può essere molto difficile per una madre spiegare al proprio figlio che non è stata lei

a partorirlo, ad allattarlo, a curarlo quando era neonato. La mancata esperienza della

gravidanza e del parto suscita un forte imbarazzo nelle madri adottive, ma è

necessario non cedere alla tentazione del silenzio; ogni bambino desidera sapere

come è nato e conoscere le proprie origini. Alla base della costruzione dell’identità

personale una delle domande fondamentali è “dove e come sono nato?”.

Melita Cavallo (1995), Presidente della Commissione per le Adozioni Internazionali,

spiega l’importanza del parlare al proprio figlio delle sue “radici”.

“Il problema delle radici è grosso e, per alcuni, può essere anche grave. Sono

purtroppo frequentissimi i casi di figli adottivi che scoprono la verità sulle origini per

caso, per avvenimenti imprevisti, per fortuite coincidenze e, spesso, senza l’aiuto di

nessuno. […]

45

Page 46: Lisa Agosti

Nessun genitore è costituzionalmente preparato a parlare di origini con il proprio

figlio adottivo. Non è semplice affrontare il discorso e, certe volte, anche se si

comincia abbastanza bene, ci si trova ingarbugliati in una serie di domande a raffica,

oppure – ancora peggio – in un silenzio glaciale. Probabilmente una buona pista da

seguire è ricordarsi di fare attenzione non solo a quello che sta accadendo fuori, ma

anche a quello che sta succedendo dentro. Ogni attacco di rabbia o di panico non ha

solo un motivo esterno per esistere, ma anche uno o più interni. Non sempre quello

che si vede è ciò che esiste nella realtà interna.

A volte la rabbia contro un genitore adottivo (evento esterno) poggia su uno strato

ben profondo di tristezza e confusione (evento interno) per la perdita improvvisa

della propria immagine avuta sino ad allora (rappresentazione delle radici interne).

L’immagine esiste nell’ambito di quella famiglia, non altrove. […]

Probabilmente non è individuabile a priori un tempo preciso in cui è giusto e idoneo

affrontare il tema delle radici. Ma forse esistono dei momenti in cui è utile fare degli

accenni al passato e alle origini dei bambini. O ancora, forse è possibile fare

attenzione alle esigenze dei ragazzi e cogliere alcuni segnali che indicano un certo

livello di curiosità, e quindi una certa ricettività. […]

Delle tante storie che ho ascoltato dai genitori adottivi ognuna mi ha colpito per

qualche motivo: qualcuna era romanzata, qualche altra era stringatamente reale,

alcune erano commoventi, altre tragiche. Eppure in qualche modo tutte avevano un

denominatore comune: la sensazione di inadeguatezza e di rischio cui andavano

incontro man mano che la famiglia andava avanti.”

Tacere al bambino le sue origini, o ancor più non essere disponibili ad affrontare

insieme a lui tutti gli interrogativi che, prima o poi, inevitabilmente egli si porrà,

rivela la difficoltà ad attribuire alla genitorialità adottiva uno statuto proprio.

Per evitare questo senso di inadeguatezza può aiutare il fatto che i genitori adottivi

non si fingano diversi da quello che sono, così che si possa stabilire un rapporto reale

col figlio.

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Page 47: Lisa Agosti

Sezione 2. PECULIARITÀ

DELLE SITUAZIONI ADOTTIVE

Cap. 1. L’ADOZIONE INTERNAZIONALE.

L’ESTERO COME INESAURIBILE SERBATOIO DI BAMBINI A

IMMAGINE E SOMIGLIANZA DEI GENITORI

“signora, ma sono tutti figli suoi? ma se ne è accorta che uno è nero???” (Scarpati, 2000)

UN BAMBINO È UN BAMBINO IN TUTTO IL MONDO

“Tutti i bambini del mondo sono uguali”. A sostenerlo è Valeria Rossi Dragone

(1997), Presidente del CIAI di Milano, spiegando le basi su cui opera il suo Ente.

“Un bambino non può essere discriminato né per nascita, né per il colore della pelle,

né per i tratti somatici, né per le condizioni politiche. Di conseguenza, non si può

scegliere il bambino né il paese di provenienza”.

Questa posizione non raccoglie certamente il consenso popolare di chi aspira a

diventare genitore adottivo, e c’è certamente la consapevolezza che dietro a richieste

specifiche ci possa essere un desiderio legittimo e umano da parte della coppia.

Queste ragioni possono essere una famiglia conosciuta che ha un bambino che viene

da quelle origini, un viaggio fatto o una cultura conosciuta. Queste indicazioni sono

tenute in forte considerazione, ma ciò che il CIAI rifiuta è l’idea di “ordinare” un

bambino.

Prima dell’apertura ai paesi europei, il problema non esisteva, in quanto le coppie

che si dichiaravano disponibili all’adozione internazionale sapevano benissimo che

sarebbe arrivato in famiglia un bambino diverso da loro o perché aveva gli occhi a

mandorla, o perché aveva la pelle scura, o perché aveva i capelli crespi.

Ma oggi i genitori possono scegliere un bambino europeo per evitare l’evidenza

dell’adozione, mentre il CIAI cerca famiglie che diano la loro disponibilità completa

per trovare una famiglia per il bambino, anziché un bambino per loro.

47

Page 48: Lisa Agosti

L’Ente cerca di preparare adeguatamente i futuri genitori (vedi cap. “Gli Enti

Autorizzati). Questa preparazione non serve solo per il problema della differenza

della razza; è un problema di esperienza. Per esempio i bambini rumeni, quelli che

secondo le fantasie comuni dovrebbero dare apparentemente meno problemi, in

quanto sono “belli”, tutti biondi, e con gli occhi azzurri, in realtà, proprio per le

condizioni di deprivazione che vivono nei loro istituti, sono bambini altamente

problematici. Infatti, anche se piccoli, possono avere ritardi psicomotori gravi e

problemi di adattamento al nuovo ambiente più di altri.

È noto che, mentre per l’adozione nazionale le domande devono confrontarsi con la

disponibilità di altre coppie e messe in relazione con l’abbandono di minori in un

territorio ben delimitato, per l’adozione internazionale la legge 184/83 aveva invece

lasciato l’opportunità di cercarsi, attraverso canali privati, il minore che meglio era in

grado di rispondere ai desideri della futura famiglia adottiva e, quindi, con la facoltà

di individuarlo in uno dei tanti paesi in via di sviluppo visti, molte volte, come

inesauribili serbatoi di bambini pronti da adottare.

Secondo i dati dell’Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero di Grazia e

Giustizia, dal 1986 il numero di adottati stranieri è superiore a quello degli adottati

italiani.

Da qui la convinzione, non sempre vera ma spesso suffragata dai fatti, che l’adozione

internazionale sia più rapida e sicura.

Rapida, perché la singola coppia ha di fronte quest’enorme possibilità di scelta (in

realtà, anche all’estero, si può incappare in liste d’attesa molto lunghe).

Sicura, perché la distanza che separerà il bambino dalla terra natia aiuta a fantasticare

su un taglio netto e definitivo del “cordone ombelicale”, quindi che sia impossibile

per i genitori naturali rintracciare il figlio.

Con la convenzione dell’Aja del 1993, relativa alla tutela dei minori e alla

cooperazione in materia di adozione internazionale, finisce l’era delle adozioni “fai

da te” in cui i genitori facevano il giro degli istituti per scegliere il bambino; oggi

l’esistenza di un minore in stato di adottabilità deve essere segnalata all’Autorità

Centrale che, dopo aver fatto le verifiche del caso, rilascia una specie di “promessa di

visto”;

la coppia va nel Paese d’origine del minore con questo documento, da consegnare

alle rappresentanze italiane in consolato o ambasciate all’estero.

48

Page 49: Lisa Agosti

Al momento del passaggio di frontiera deve essere tutto garantito e le autorità

italiane avvisate.

Queste procedure sono precauzioni necessarie ad evitare che i genitori affrontino

l’adozione con superficialità e che non si impegnino a “riparare” il bambino dalle

esperienze dolorose che ha vissuto.

L’adozione regolare permette anche ai genitori di essere sereni nel momento in cui il

figlio vorrà sapere il perché si trova in un Paese che non è quello in cui è nato.

La Convenzione Internazionale de L’Aja ha stabilito i principi fondamentali per la

tutela dei diritti dei bambini che sono stati accolti dalle legislazioni di molti paesi,

Italia compresa. Il più importante è il diritto primario del bambino a crescere nella

propria famiglia, nella propria cultura e nel proprio ambiente.

In questa ottica, l’adozione internazionale diventa una soluzione “sussidiaria”, da

attuare solo come ultima possibilità per un bambino riconosciuto dalle autorità come

adottabile, e per cui non è stato possibile trovare nel paese d’origine una famiglia che

lo accogliesse.

Questo significa:

1. che lo Stato deve impegnarsi ad aiutare il bambino a crescere nella sua famiglia

e nel suo Paese, senza favorire la prassi adottiva come soluzione facile e

deresponsabilizzante. Nei paesi in cui la dichiarazione dello stato di adottabilità è

rigorosa, è molto più facile fare adozioni corrette; in quelli, invece, in cui è

sufficiente un atto notarile per dichiarare un bambino adottabile, è possibile che ci

siano abusi e commerci.

2. se lo stato di adottabilità viene assegnato secondo i principi legislativi corretti,

l’adozione internazionale si riduce alla possibilità di adottare bambini molto

particolari; oltre alla differenza di razza, i genitori si troverebbero in casa bambini

ormai grandicelli, perché per anni si è tentato di reinserirli nella loro famiglia o

almeno in una famiglia connazionale; bambini portatori di handicap o gruppi di tre o

più fratelli che non hanno trovato una sistemazione migliore; bambini che hanno

sofferto più degli altri per una vita di rifiuti, seguiti da istituzioni o affidi, o anche per

adozioni fallite alle spalle. Ne consegue che l’accertamento dell’idoneità dei coniugi

deve essere rigorosa perché solo persone molto solide, capaci e libere da pregiudizi

razziali, sono in grado di diventare i genitori adottivi di un bambino appartenente ad

un’altra etnia.

49

Page 50: Lisa Agosti

Le adozioni “fai da te” erano molto attraenti per le coppie impazienti di diventare

genitori. Questo spiega perché, nonostante la Convenzione dell’Aja risalga al 1993,

solo dal 1998 sono aumentate le coppie che si affidano ai 22 Enti autorizzati a

disposizione in Italia, passando dal 10-12% al 33%.

50

Page 51: Lisa Agosti

L’ADOZIONE INTERNAZIONALE IN ITALIA

Per quanto riguarda i criteri di selezione delle coppie italiane che si rendono

disponibili all’adozione internazionale, la letteratura mostra la presenza di posizioni

diametralmente opposte.

Le esporrò entrambe, spiegando i motivi per cui determinati autori hanno deciso di

sostenere una posizione piuttosto che l’altra.

In entrambe si può cogliere l’attenzione al bambino e al suo bisogno di trovare una

famiglia, però:

una coppia italiana è sempre da considerare idonea, potendo materialmente offrire di

più al minore rispetto alla famiglia d’origine?

Oppure solo in pochi casi gli aspiranti genitori sono adatti a tale ruolo, essendo

necessaria una particolare sensibilità per crescere bambini con un passato doloroso?

Da un lato c’è la posizione sostenuta da De Rienzo, Saccoccio, Tonizzo e Viarengo

(1999), che denunciano gli abusi presenti oggi nell’adozione internazionale.

“La situazione delle adozioni internazionali nel nostro paese è preoccupante anche

per il discutibile comportamento di alcuni Tribunali e di diverse Sezioni per i

Minorenni di Corti d’appello, che hanno finora rilasciato il decreto di idoneità a

coniugi senza una valutazione approfondita delle loro capacità genitoriali.”

Dello stesso parere è Annamaria Dell’Antonio (1996): l’Autrice evidenzia che, ad

esempio, i Tribunali per i Minorenni di Catanzaro e Reggio Calabria in media

concedono l’idoneità all’adozione internazionale rispettivamente al 99,7% e al 94%

delle istanze presentate. Secondo la Dell’Antonio, questi dati dimostrano, senza

ombra di dubbio, che non è stato effettuato alcun accertamento di idoneità.

“La stragrande maggioranza dei fallimenti è determinata dalla colpevole facilità con

cui, prima gli operatori e poi i giudici, hanno assecondato le richieste dei coniugi in

base all’assurda giustificazione che “tanto là morirebbero di fame, e quindi qualsiasi

coppia va bene” e all’idea che “nel mondo c’è un numero illimitato di bambini senza

famiglia” (Dell’Antonio, 1996).

In realtà, invece, secondo i dati forniti dal Ministero di Grazia e Giustizia, le

domande di idoneità accolte per l’adozione internazionale in tutta Italia sono state

4546 nel 1993, 4707 nel 1994, 3767 nel 1995, 3976 nel 1996 e 4356 nel 1997 e cioè

in totale 21352, mentre nello stesso periodo gli affidamenti preadottivi di minori

51

Page 52: Lisa Agosti

stranieri sono stati complessivamente 11112 (1992 nel 1993, 2434 nel 1994, 2503 nel

1995, 2088 nel 1996 e 2095 nel 1997). Questo significa che solo il 52% delle

idoneità è stata effettivamente seguita da abbinamento.

La decisione di adottare un bambino straniero deve essere una scelta che comporta la

piena accettazione di un bambino, qualunque sia la sua origine, il suo colore, il suo

volto, nella convinzione profonda che tutti i bambini sono uguali e hanno lo stesso

diritto ad essere amati. I bambini stranieri possono presentare maggiori problemi di

inserimento e quindi, a maggior ragione, i genitori devono essere preparati e

disponibili.

Bisogna quindi combattere la tendenza di molte coppie che si orientano verso i paesi

poveri nella speranza di trovare bambini rispondenti ai loro desideri: piccoli e di

aspetto fisico il più simile possibile a loro.

D’accordo con la Presidente del CIAI, anche la Dell’Antonio sottolinea che chi si

procura un bambino in questo modo, che cosa potrà poi raccontare al proprio figlio?

Se infatti il problema dell’informazione è sempre importante per i figli adottivi, per

quelli provenienti dall’estero diventa fondamentale anche la trasparenza delle

procedure che hanno portato all’adozione.

Una posizione antitetica a quella appena presentata mostra basi motivazionali

altrettanto valide della precedente. A sostenerla c’è chi crede nella possibilità di

rendere attuabile l’adozione da parte di tutte le coppie che hanno ottenuto il decreto

di idoneità; ciò che nella letteratura precedente era mostrato come un abuso, per altri

Autori è una risorsa.

Tra questi c’è Melita Cavallo, Presidente della Commissione per le Adozioni

Internazionali dal 10 aprile 2001.

Il primo compito, subito dopo l’arrivo del neo-Presidente in Commissione, è stato di

rivedere il panorama degli Enti autorizzati che secondo la nuova legge del 2002 si

devono occupare di adozioni internazionali (Forcolin, 2002). Questo lavoro ha

richiesto molto tempo e impegno perché molti Enti erano stati scartati e chiedevano

la revisione della decisione. Secondo il Presidente era però importante attuare subito

questo tipo di revisione per avere un panorama completo delle strutture d’appoggio

alle famiglie e al Tribunale.

52

Page 53: Lisa Agosti

Melita Cavallo insiste poi sulla necessità di avere un dossier preciso ed esauriente sul

bambino adottabile, per avere tutte le informazioni indispensabili in caso di future

richieste di informazioni da parte della famiglia adottiva o dell’adottato stesso.

La Convenzione dell’Aja, nei fatti, ha provocato la chiusura delle frontiere da parte

di molti paesi. Questo, secondo il Presidente, era necessario per avere delle adozioni

trasparenti, per evitare che dei bambini vengano “scippati” alle loro famiglie.

Per ovviare al blocco delle adozioni che potrebbe seguire la chiusura delle frontiere,

la Commissione per le Adozioni Internazionali nel 2001 ha avviato incontri con la

Federazione Russa e l’Ucraina, e successivamente con la Cina e il Vietnam.

Attualmente sta cercando accordi con la Bielorussia, la Lituania e la Bolivia. Due

delegazioni sono state in Romania e con una terza si dovrebbe giungere ad un

accordo.

Per quanto riguarda le spese, alquanto elevate, necessarie per un’adozione

internazionale (vedi cap. “Gli Enti Autorizzati”), Melita Cavallo spiega che per fare

le cose alla luce del sole tutto va certificato, quindi pagato; la trasparenza costa più

del fare le cose “in nero”. Sostiene che un’adozione non dovrebbe superare gli

ottomila euro, viaggio compreso. (Oggi invece li supera di molto). L’impegno della

Commissione è rivolto anche in questo senso.

53

Page 54: Lisa Agosti

L’ADOZIONE INTERNAZIONALE DAL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO

Per la buona riuscita di un’adozione internazionale, si ritiene necessario che i genitori

arrivino al fatidico momento dell’incontro con il loro futuro figlio ben preparati.

Oggi sono tante le famiglie interetniche, sono tanti gli incontri fortunati tra genitori e

figli di diverso colore, tratti somatici, provenienza, cultura e abitudini.

Anche senza una preparazione specifica come quella degli assistenti sociali e degli

psicologi impegnati in questo campo, si può comprendere come le difficoltà di

incontro e di relazione tra bambini e adulti che si rendono loro disponibili come

genitori possono essere ancora maggiori se questi ultimi sono di etnia diversa. Tali

difficoltà possono essere contingenti e collegate con la particolare situazione

socioambientale in cui i primi sono vissuti, soprattutto se provengono da Paesi in cui

la loro educazione ed il loro progressivo adattamento sociale sono stati

negativamente influenzati, oltre che dalla sostanziale mancanza di una protezione

familiare, anche da condizioni socioeconomiche particolarmente scadenti e precarie

o da eventi bellici che si protraggono nel tempo, che hanno vanificato o comunque

reso particolarmente difficile ogni tentativo di organizzazione della funzione

educativa anche al di fuori della famiglia.

Può succedere che in queste condizioni i bambini abbiano appreso ed introiettato

alcune regole di “sopravvivenza” legate alle situazioni di emergenza piuttosto che a

valori predeterminati, ma anche che siano stati indotti a sviluppare precocemente –

specialmente se percepiscono la trascuratezza ed il disinteresse collettivo –

comportamenti di autonomia ed autosufficienza. I loro modi di percepire la realtà e

di reagire ad essa, i loro vissuti, le loro aspettative nei confronti dell’adulto possono

pertanto risultare anche molto diversi da quelli tipico dei coetanei che sono cresciuti

nel paese in cui essi vengono adottati.

Difficoltà d’inserimento in una famiglia di altra etnia possono comunque derivare

anche da fattori culturali, che possono implicare comportamenti relazionali,

percezioni del ruolo – proprio ed altrui – ed abitudini quotidiane a volte anche molto

diversi tra il paese di provenienza del bambino e quello in cui viene adottato e che

implicano quindi un maggior sforzo nell’adattamento reciproco iniziale tra lui ed i

nuovi genitori.

Vi sono fattori che rendono indispensabile la preparazione e la totale disponibilità dei

futuri genitori adottivi; questi nascono dal cambiamento improvviso e marcato di

54

Page 55: Lisa Agosti

alcuni elementi di riferimento per il bambino, tali da determinare in lui

inevitabilmente un senso di estraneità.

1. In primo luogo la mancata comprensione del linguaggio utilizzato dai nuovi

genitori e da ogni altra persona con cui egli viene a contatto. Non si tratta solo del

linguaggio parlato (compreso, anche se non usato, anche dai bambini più piccoli che

utilizzano ancora poco il linguaggio simbolico), ma anche di tutte quelle altre

modalità di comunicazione – gestualità, mimica, tono della voce ma anche posture e

uso delle distanze interpersonali – che veicolano vissuti, sentimenti e informazioni

sulle esigenze e le aspettative dei singoli, o che permettono una chiave di lettura più

articolata di ciò che viene detto e che sono in gran parte caratteristiche delle singole

culture di appartenenza.

2. In secondo luogo vi è il senso di “estraneità” che può provenire al bambino da

diversità anche marcate che egli riscontra nell’ambiente, naturale ma anche

urbanistico. Assai diversa può essere per esempio nel presente, rispetto al passato, la

natura che lo circonda (il paesaggio, le piante, gli animali, lo stesso clima ed i modi

di affrontarlo), ma anche l’impianto urbanistico che in esso è stato costruito (le case,

le strade, le botteghe, i mercati e così via), soprattutto considerando che questi

bambini provengono solitamente da quartieri o sobborghi fatiscenti, logisticamente

vicini, ma sostanzialmente “lontani” da un tessuto urbano – pur presente nella loro

terra d’origine – più organizzato e più simile a quello in cui vengono inseriti. Ciò

implica per lui sia una regressione di conoscenze e di capacità di previsione e di

controllo anche su elementi emotivamente “neutri” del mondo che lo circonda, sia la

possibile insorgenza di sensi di inferiorità o disuguaglianza prima non conosciuti,

che non possono che diminuire la sua già acquisita autonomia nel quotidiano e la sua

stessa autostima.

3. In terzo luogo, infine, la presenza nel nuovo mondo di valori, norme di

comportamento, abitudini di vita diversi da quelli del paese di origine; norme alle

quali viene chiesto al bambino di adeguarsi ma che, non corrispondendo a quelle

apprese, richiedono che egli sia in possesso – per poter conservare il grado di

autogestione raggiunto ed ottenere contemporaneamente quell’appoggio e

quell’approvazione di cui ha bisogno in un contesto sconosciuto – di risorse

personali che egli spesso non è riuscito a sviluppare nel contesto affettivamente

carente in cui è cresciuto. La marcata differenza di contesti e di interlocutori fa sì che

al bambino di diversa etnia vengano a mancare, più che al bambino della stessa etnia

55

Page 56: Lisa Agosti

dell’ambiente adottivo, gli strumenti per prevedere le reazioni dei nuovi genitori ai

suoi comportamenti e che pertanto egli sia meno in grado di controllare gli eventi e

di partecipare attivamente alla loro determinazione. Per bambini che hanno già

sperimentato un grado più o meno elevato di autonomia tutto questo può diventare

motivo di grande frustrazione e di diminuzione dell’autostima: per bambini più

piccoli o con personalità fragili e/o insicure ciò può essere invece causa di ulteriore

sconcerto e confusione. Di conseguenza anche le reazioni dei bambini adottati con

adozione internazionale possono essere più intense di quelle dei bambini adottati dai

genitori della stessa etnia – sia nel senso della resistenza e dell’opposizione, sia nel

senso dell’adeguamento passivo alla situazione, sia nel senso di un’ambivalenza

difficilmente comprensibile oltre che accettabile. Questo può accadere anche in

bambini relativamente piccoli, che solitamente sono preferiti da chi adotta perché

considerati più “adattabili” ai nuovi stili di vita e più capaci di “dimenticare”. Ma,

date le condizioni di vita nei paesi da dove provengono più comunemente i bambini

dell’adozione internazionale, è possibile dedurre solo con approssimazione dalla loro

età il loro grado di autonomia e/o di assimilazione dei valori della cultura di origine.

Bambini anche piccoli possono infatti essere stati sollecitati ad autogestirsi e ciò può

aver comportato anche lo sviluppo precoce di un’identità personale – se pur collegata

ad un forte senso di appartenenza a gruppi di coetanei relativamente svincolati dagli

adulti -, che essi hanno imparato a vivere come unico sostegno. Ciò non vuol dire

ovviamente che questi bambini non abbiano assimilato le norme e valori degli adulti

tra cui vivevano, sia perché essi non potevano che ispirarsi ai valori che questi

esprimevano, sia perché la sopravvivenza di una persona che sta ancora

sviluppandosi è pur sempre assicurata dall’osservanza di alcune norme sociali di

base. Si deve pertanto presupporre che essi abbiano anche fatto propria una specifica

“identità etnica”. È comprensibile così che la sollecitazione ad una autonomia

precoce nel paese di origine e la conseguente acquisizione in esso di un’indipendenza

dall’adulto – anche se non funzionale ad una corretta crescita – possono far sì che i

tentativi di conservare e proporre la propria individualità attraverso al resistenza a

cambiare abitudini e stili relazionali siano marcati anche in bambini relativamente

piccoli. Anche le modalità di cura ricevute possono creare abitudini e aspettative

diverse a seconda della cultura; di conseguenza cambiano anche i modi del bambino

di rapportarsi alla realtà e di interagire con gli adulti per ottenere da loro appoggio.

Anche in questo caso, a prima vista i bambini più piccoli soffriranno di più del

56

Page 57: Lisa Agosti

cambiamento, in quanto i più grandi sono in grado di valutare più realisticamente la

nuova situazione ed avere sufficienti risorse personali per potersi adeguare alle

modalità di comportamento proposte nella nuova realtà, mentre i bambini molto

piccoli possono non rendersi conto dei motivi del loro disagio ed evidenziare

disorientamenti anche intensi di fronte ad aspettative nei loro confronti

sostanzialmente non comprese. Ma d’altra parte bambini più grandi vivono più dei

piccoli come perdita di sicurezza interiore il fatto di doversi confrontare con queste.

4. Una situazione particolare coinvolge i bambini che vengono allontanati dalla

famiglia per carenza di cure materiali: questi possono non sentirsi abbandonati,

perché la carenza non riguarda i bisogni affettivi. Se i bambini hanno creato dei

legami significativi all’interno della famiglia, al momento della rottura avranno

reazioni di lutto, quindi comportamenti depressivi o oppositivi o ambivalenti e

oscillanti tra rifiuto dei nuovi adulti e dipendenza da loro. Saranno più timorosi

davanti al rischio di perdere anche questi nuovi genitori, che diventano le uniche

figure di riferimento, soprattutto quando un viaggio lungo e non agevole ha fatto

capire al bambino, anche piccolo, che non vi è possibilità di ritorno. I nuovi genitori

devono quindi essere pronti e disponibili a contenere atteggiamenti a volte

provocatori, a volte oppositivi, a volte ambivalenti da parte dei figli; solo così il

bambino potrà sentirsi accettato, rassicurato e abbastanza amato da permettersi di

cominciare la sua esplorazione del nuovo mondo che lo circonda, alla scoperta di

cose e persone non più viste come minacciose.

5. Infine, l’adozione internazionale rispetto alla nazionale può provocare nel

bambino la sensazione più intensa di essere oggetto di possesso, o di scambio, nelle

mani dell’adulto. Egli, nel passaggio da un ambiente all’altro, non può decidere

nulla, non vengono tenuti in conto i suoi sentimenti e a volte non sa nemmeno cosa

sta succedendo, perché nessuno glielo ha spiegato. È necessario prestare attenzione al

bambino e al suo comportamento per capire se dentro di sé prova questa sensazione;

potrebbe però non essere sufficiente nemmeno questo. Infatti spesso l’adattamento

viene vissuto dal bambino passivamente, e questo viene erroneamente interpretato

dagli adulti come adeguamento. Ma se il bambino è passivo in famiglia sarà passivo

anche in società, e perderà la curiosità per tutto ciò che lo circonda. Spesso questa

mancanza di curiosità si riverbera sul rendimento scolastico; si deve perciò prestare

attenzione a questi segnali di allarme.

57

Page 58: Lisa Agosti

6. La preparazione degli aspiranti genitori adottivi ha un’importanza tutta

particolare nell’adozione internazionale per un ulteriore motivo, più legato a fattori

pratici che psicologici. Nel caso un’adozione internazionale fallisca, gli effetti sul

bambino possono essere più gravi del fallimento di un’adozione interna, perché il suo

paese d’origine lo considera ormai uno straniero. Se poi il fallimento interviene

durante l’anno di affido preadottivo, le conseguenze rischiano di essere ancora più

gravi, in quanto egli non ha ancora la cittadinanza italiana (che si acquista solo con la

pronuncia di adozione definitiva) ma di solito ha già perduto la cittadinanza

originaria. Ovvio dunque che nella preparazione di una coppia per l’adozione

internazionale dovrà tenersene conto.

Per tutti questi motivi dunque, prima di dichiarare l’idoneità, il Tribunale – dice

l’art. 30 della legge – deve disporre “adeguate indagini” per accertare la capacità

degli aspiranti di diventare buoni genitori adottivi.

I Servizi Sociali sostengono e preparano la coppia perché arrivi serenamente al

momento dell’incontro.

Sarebbe utile che anche dopo l’arrivo in Italia il nuovo nucleo costituitosi potesse

contare sul supporto da parte dei servizi competenti, “ma si deve purtroppo

constatare che attualmente tale opportunità è relativamente carente. […]

Si deve quindi auspicare che gli Enti Autorizzati non limitino la loro opera al

reperimento del bambino e all’accompagnamento degli aspiranti genitori adottivi nel

Paese in cui lo incontreranno, ma forniscano all’uno e agli altri in ogni momento del

percorso adottivo – sia prima che dopo il loro incontro – un aiuto specifico per i

problemi particolari che possono presentare quella coppia, quel bambino, quel nuovo

nucleo familiare che si sta formando.” (Dell’Antonio, 2001).

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Page 59: Lisa Agosti

BAMBINI IN ADOZIONE TRANSRAZZIALE

I bambini adottati che si ritrovano in mezzo a persone diverse da loro in tutti i campi

sopra elencati hanno, comprensibilmente, difficoltà a stabilire una continuità tra la

loro esperienza passata e quella presente. I genitori devono quindi aiutarli non tanto a

“lasciarsi dietro le spalle” la loro esperienza precedente, ma piuttosto a non perdere

ciò che in essa hanno appreso e costruito e ad integrarlo nella vita presente e futura.

La condizione primaria per permettere ai bambini di riprendere in modo funzionale il

loro processo di crescita psicologica diventa il riconoscimento in positivo, da parte

dei genitori adottivi, degli elementi già presenti nel loro processo di acquisizione di

un’identità personale e sociale. Ciò che richiede che i genitori siano anche in grado di

modificare le loro previsioni e le loro aspettative, i loro programmi per il bambino in

base alla sua storia, ai suoi vissuti, alle sue capacità di adeguamento ed ai tempi –

sicuramente diversi nei singoli bambini – che quest’ultimo richiede; devono essere

disponibili a costruire con lui una nuova storia familiare.

Il bambino in adozione transrazziale può sviluppare una personalità multietnica solo

se aiutato a valorizzare la sua origine. Tale aiuto può venire solo dai genitori adottivi

o da altri adulti che diventano per lui persone significative nella nuova situazione.

Queste figure devono offrire al bambino elementi e risorse per sviluppare un’identità

multietnica. Ciò è possibile quando questi adulti sentono veramente paritaria

l’appartenenza ad una razza piuttosto che ad un’altra non solo dei bambini ma anche

degli adulti.

Vediamo in dettaglio le trappole che i genitori devono evitare.

La prima è in agguato quando i genitori propongono e richiedono subito al bambino

l’assunzione di stili di vita e di valori che appartengono alla loro cultura e che come

tali sono diversi dal quelli cui lui ha fatto fino allora riferimento. Certamente gli

dimostrano affetto, ma proprio perché desiderano sentirlo come figlio – ed anche

perché desiderano che gli altri lo accettino come tale – ritengono che egli debba

diventare al più presto simile ai coetanei bianchi, “perdendo” quel bagaglio di

abitudini e valori che lo rende diverso e che sembra rendere ancor più evidente la sua

appartenenza ad un’altra origine.

Il bambino da parte sua, avendo già sperimentato l’abbandono e sviluppato sensi di

inadeguatezza in una esistenza sostanzialmente frustrante, può essere portato ad

“accettare a qualsiasi costo la nuova situazione, di modo che l’adattamento ad essa

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Page 60: Lisa Agosti

può avere prevalenti caratteristiche di passività e di delega, anche con repressioni di

bisogni ed aspirazioni già elaborate, di modo che tale adattamento risulta in realtà

disfunzionale alla sua crescita.

In questo contesto di problematicità può essere collocato anche il cambiamento del

nome del bambino. Fortunatamente oggi i genitori adottivi lasciano spesso il nome

originario del figlio, o lo cambiano solo se avvertono che è il figlio stesso a non

portarlo volentieri.

Per i genitori sarebbe più facile scegliere personalmente un nuovo nome per il figlio,

perché questo avrebbe per loro il senso di un distanziamento dal luogo nativo del

piccolo e potrebbe facilitare il suo inserimento nella nuova realtà. Ma per il bambino,

che non può che accettare il nome con cui viene definito e chiamato da tutti, la

perdita del nome con cui aveva appreso ad essere designato e chiamato assumerebbe

significato di perdita di identità e di riferimenti alle sue precedenti esperienze.

La seconda trappola nasce nel momento in cui i genitori cercano di minimizzare agli

occhi del figlio, ma anche a loro stessi, specialmente se nel contesto si possono

riscontrare marcati pregiudizi o manifestazioni di intolleranza verso le persone di

colore, quelle caratteristiche somatiche che denotano la sua appartenenza ad una

razza diversa dalla loro. In questo caso il messaggio proveniente dai genitori adottivi

può essere ambiguo, se non contraddittorio: essi vogliono bene al figlio, ma non

tanto per quello che è – un bambino di colore – quanto piuttosto come potenziale

bambino e adulto bianco. Egli cioè acquista valore solo se abbandona l’identità

precedente ed è in grado di essere bianco, o almeno simile a un bianco.

La terza trappola si ha quando, in alcuni casi, i genitori adottivi si rendono conto di

ciò che può significare per un bambino la problematica connessa con la differente

origine razziale e, non sapendo come affrontare la situazione, cercano di

procrastinare il più possibile la loro risposta a domande implicite o esplicite del

bambino sul motivo di tali differenze, anche negando l’evidenza dei fatti.

Altre volte invece essi sono particolarmente attenti a ciò che gli altri dicono al

bambino e pronti ad intervenire per negare, disconfermare, minimizzare eventuali

apprezzamenti negativi – o che essi ritengono tali – o allusioni non piacevoli alla sua

razza e al colore della sua pelle.

Per evitare mistificazioni che prima o poi si pagano, è necessario solo vivere

l’adozione nel modo giusto, regolare, sereno, nel nome dell’accettazione di ogni

essere umano come persona.

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Page 61: Lisa Agosti

Concludo questo capitolo come l’ho cominciato, con le parole di Valeria Rossi

Dragone (1997): “Io sono profondamente convinta che l’adozione non è un modo di

secondo ordine, di diventare genitori. È uno splendido modo di diventare genitori,

diverso, ma splendido, autentico e vero.”

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Page 62: Lisa Agosti

Cap. 2. FALLIMENTI ADOTTIVI

Non si guarisce se stessi prendendosi cura degli altri, si può forse tentare di evitare di prendersi cura dei propri problemi in questo modo, ma in genere è una strategia che non porta lontano. (Galli, Viero, 2001)

La letteratura riporta che le adozioni possono evolversi in modo positivo,

permettendo ai bambini di modificare e riparare i traumi conseguenti l’interruzione

dei legami affettivi primari, grazie all’amore e al supporto della nuova famiglia.

Purtroppo, però, segnala anche alcuni casi di adozione nelle quali il progetto di base,

di accogliere un bambino e di costituire una famiglia adottiva, fallisce.

Fallimento adottivo significa, per una famiglia, non essere stata in grado di

accogliere ed instaurare con un bambino una relazione significativa dal punto di vista

affettivo, e non essere riuscita ad attraversare con lui le fasi evolutive, fino al

raggiungimento della sua autonomia nell’età adulta (Galli, Viero, 2001).

Le statistiche ufficiali considerano il fallimento adottivo l’interruzione della

relazione che ha luogo prima che venga decretata definitivamente, da un punto di

vista giuridico, l’adozione del minore.

Quindi nelle statistiche italiane i fallimenti adottivi segnalati sono solo quelli che

avvengono prima della fine dell’anno di affido preadottivo. Se la restituzione avviene

in un secondo momento invece il bambino è considerato figlio legittimo della coppia

e quindi viene posto in affidamento o in istituto, come se fosse stato allontanato dalla

famiglia naturale.

Visto che l’intento che mi propongo non è di considerare l’adozione da un punto di

vista giuridico, bensì psicologico e sociale, in questa ottica risultano fallimenti anche

quelli che si consumano dopo il primo anno di convivenza della nuova famiglia.

Affronterò il discorso sia dalla parte dei genitori, sia dalla parte del bambino,

soffermandomi sui fattori di rischio legati alle loro esperienze antecedenti il loro

incontro, senza dimenticare il ruolo degli operatori nel prevenire abbinamenti

sbagliati.

A livello esemplificativo della situazione italiana, un’indagine conoscitiva realizzata

dai Consultori Familiari di Udine (Galli, Viero, 2001) ha trovato che tra il 1985 e il

1998 gli studi di coppia in vista dell’ottenimento dell’idoneità sono stati 238, su una

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Page 63: Lisa Agosti

popolazione di circa 169000 abitanti. Di queste coppie, 17 hanno avuto relazioni

psicologiche e sociali negative che controindicavano l’inserimento di un minore.

Delle rimanenti, soltanto 125 coppie hanno accolto uno o più bambini nel periodo

compreso tra il 1985 e il 2000.

Circa 100 coppie non si sono attivate, nonostante abbiano ottenuto un’idoneità.

L’esperienza clinica ci segnala che i percorsi dell’adozione risultano essere

complessi e il lavoro degli operatori e di tutti coloro che sono coinvolti, necessita di

qualificazione, aggiornamento e responsabilità nonché coordinamento tra le diverse

istanze chiamate ad intervenire: giuridiche, psicologiche e sociali, nonché quelle

private rappresentate dagli Enti che fanno da tramite per l’adozione internazionale.

Questo lavoro di prevenzione oggi sembra aver raggiunto una sufficiente efficacia,

ma è sempre necessario evolversi e migliorarsi, in base ai cambiamenti evolutivi del

percorso adottivo, che sempre più si rivolge all’estero, e in vista soprattutto di quei

casi in cui i minori adottati si trovano ad accumulare un fallimento adottivo, o anche

più di uno.

Nella ricerca che ho condotto ai Servizi Sociali di Carpi non ci sono dati riguardanti

casi di fallimento adottivo; non ci sono informazioni a testimonianza del fatto che

bambini adottati siano stati successivamente restituiti perché la famiglia formatasi

non ha potuto portare a compimento il cammino intrapreso. Fortunatamente quindi,

le coppie considerate idonee all’adozione hanno saputo mantenere fede agli impegni

presi, mentre quelle che non sarebbero state in grado di occuparsi di un minore sono

state sconsigliate dagli operatori riguardo al loro progetto di diventare genitori, e non

hanno portato a termine l’indagine sociopsicologica.

È ovvia l’importanza di un adeguato sostegno da parte dei Servizi alle future

famiglie, che spesso iniziano un percorso senza conoscerne la portata né l’impegno

richiesto.

63

Page 64: Lisa Agosti

I FATTORI DI RISCHIO

A buon senso, l’adozione viene ritenuta dai più una soluzione al problema delle

coppie che desiderano un figlio e non possono averlo naturalmente. Oggi la maggior

parte delle coppie che richiede l’adozione ha però tentato, in precedenza o

contemporaneamente, di risolvere la propria incapacità a procreare con la

procreazione medicalmente assistita. Questo tema ha assunto negli ultimi decenni

interesse via via crescente, e le possibilità offerte dalla medicina si sono moltiplicate

e sono diventate più specifiche a seconda dei diversi casi. Parallelamente a ciò si

osserva la presenza di un significativo “silenzio” sugli aspetti psicoaffettivi ed

emozionali di questi disturbi e dei trattamenti degli stessi. La scarsa presa in

considerazione di queste problematiche, appare infatti caratterizzare la letteratura sia

sul versante della ricerca medico-scientifica che su quello della applicazione clinica.

Mentre in generale si tenta di affiancare le nuove cure mediche con l’interesse per

aspetti psicologici che le accompagnano, in questa area si può osservare invece un

progressivo iato tra le istanze relative alla cura del corpo da quelle della mente.

Comprensibilmente, la difficoltà a procreare è molto frustrante per una coppia che

desidera avere dei figli; questo sentimento può trasformarsi in sofferenza quando

anche i tentativi di superare gli ostacoli si rivelano inefficaci; può addirittura

diventare dolore mentale, se alla frustrazione si aggiunge l’avvio e subito dopo

l’interruzione di una gravidanza.

Da un punto di vista psicologico, gli aborti o i figli morti rappresentano dei lutti che

devono essere elaborati attraverso il lavoro psichico. Quando ciò non avviene,

quando cioè la mente non appare in grado di affrontare la sofferenza che

l’elaborazione del lutto richiede, il tentativo di espellerla può diventare un modo per

risolvere il conflitto.

Nell’esperienza clinica si è osservato che quando la richiesta di adozione ha luogo

dopo trattamenti per l’infertilità che si sono protratti per anni, dopo inseminazioni

(omologhe o eterologhe) ripetute, che non hanno dato come risultato la nascita di un

bambino “vivo”, alle difficoltà di elaborazione del lutto per la mancata procreazione

si aggiunge quello dei tanti “figli morti” (aborti o embrioni che non attecchiscono), e

l’esperienza di una sovraesposizione del corpo a intrusioni che lasciano profonde

cicatrici anche nella psiche (Galli, Viero, 2001).

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Page 65: Lisa Agosti

La frustrazione ed il lutto non elaborati, per il figlio non nato, rischiano di pervadere

la mente del singolo e modificare la dinamica della coppia, riducendo lo spazio

creativo nella mente dei futuri genitori; ma questo spazio risulta essere invece vitale

per l’accoglimento del terzo, il figlio adottivo; è necessario evitare che al nuovo

figlio venga inconsciamente affidato il compito di annullare il lutto e i sentimenti

dolorosi collegati alla sterilità.

Quando invece la domanda di adozione si sovrappone nel tempo ai trattamenti di

procreazione assistita si rischia di creare, a livello mentale, una confusione tra le

potenzialità procreative, le angosce di fallimento della cura e le fantasie riguardanti

un bambino procreato da altri, rimasto solo in attesa del loro arrivo.

L’adozione in tal caso, e in particolare il bambino adottivo, diventerebbero, nella

mente dei futuri genitori, una sorta di talismano teso a scongiurare il rischio di vedere

svanire per sempre la possibilità di procreare. Questo evitamento della sofferenza

appare il più delle volte come una difesa assai potente.

È opinione diffusa che l’adozione costituisca un fattore di “sblocco psicologico” di

gravidanze in coppie infertili. Quando la gravidanza inizia a poca distanza di tempo

dall’arrivo del figlio adottivo può nascere un’ambivalenza, che soprattutto la madre

vive, sul piano emozionale, tra il voler accudire il figlio adottivo che le ha

“permesso” anche di rimanere incinta e il desiderio di proteggere il bambino che

porta in grembo. Tale sentimento può limitare la capacità materna di riconoscere i

bisogni di ciascun bambino, determinando di conseguenza un sentimento di

inadeguatezza come madre, nonché sentimenti di colpa. Tale condizione sarebbe

rischiosa per una donna, che già è in una particolare situazione psicoaffettiva per il

fatto di trovarsi in gravidanza, e sarebbe rischiosa anche per l’impegnativo lavoro

mentale che richiede, andando a compromettere tanto la relazione con il figlio

adottivo quanto quella con il figlio biologico.

Il modo di affrontare la sterilità, la decisione di adottare e l’attesa dell’abbinamento è

differente per gli uomini e per le donne.

Una madre durante la gravidanza percepisce i movimenti fetali e il suo corpo si

trasforma per dare spazio alla crescita nell’utero del bambino; per la donna in

“gravidanza adottiva” invece lo spazio da creare per accogliere il figlio è uno spazio

interno, psichico, mentale.

Per l’uomo, tanto nella paternità biologica come in quella adottiva, i cambiamenti

riguardano il mondo interno, ma anche lo spazio e le modalità di relazione con la

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Page 66: Lisa Agosti

partner. Non sarà “il pancione” che s’interporrà nel contatto fisico tra loro bensì le

fantasie, i pensieri che entrambi avranno sul futuro bambino e su come ognuno

svolgerà il proprio ruolo genitoriale.

Questi delicati equilibri che vanno cercati per il successo dell’esperienza adottiva si

scontrano con venti di emozioni vissuti sia dal singolo genitore che dalla coppia in

quanto tale, e con la tempesta di emozioni che porta dentro di sé, e con sé nel

rapporto, il bambino adottivo.

I fallimenti adottivi sono proprio frutto dell’uragano che nasce dall’incontro –

scontro di queste dinamiche psichiche.

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Page 67: Lisa Agosti

L’ADOZIONE DOPO LA MORTE DI UN FIGLIO

Se una coppia genera un figlio proprio e successivamente deve affrontare il dolore

della sua scomparsa, necessariamente si pone il problema dell’elaborazione del lutto.

Il figlio adottivo richiesto da tale coppia corre il rischio di trovarsi a svolgere

l’impossibile compito di sostituire il perduto figlio naturale.

Spesso queste coppie non sono più giovani, quindi adottano bambini grandi, già

portatori dunque di un pesante carico di esperienze passate.

Sono queste le adozioni che, per la confluenza di questi fattori, possiamo definire

maggiormente a rischio evolutivo o di fallimento.

La difficoltà degli adulti di portare a temine il lavoro di lutto determina una

limitazione delle risorse; sono meno disponibili al lavoro mentale e si può vedere in

loro un ripiegamento sul “fare quotidiano”, un appiattimento delle capacità di

fantasticare, della creatività e degli investimenti affettivi. Questi sono sintomi della

depressione sottostante uno o entrambi i coniugi.

La richiesta di adottare un bambino diventa, allora, una sorta di “autoterapia”, che la

coppia cerca di attivare come modo per negare e tenere lontana la sofferenza e la

depressione.

Quindi l’entusiasmo che si può attivare nella coppia una volta che si impegna per

ottenere un bambino in adozione può celare una sottostante condizione di bisogno.

Gli operatori devono perciò stare molto attenti quando si trovano a lavorare con

queste coppie, in quanto rischiano facilmente di colludere con gli aspetti difensivi

della coppia. Se il dolore mentale diventa loro insopportabile, possono incolpare gli

operatori di non permettere loro di risanarsi se non vengono considerati idonei.

Possono arrivare ad attaccarli con denunce, ricorsi al Tribunale o alle Corti

d’Appello.

Il problema nasce se una coppia che mette in atto barriere difensive contro il dolore

incontra un bambino che, abbandonato e/o istituzionalizzato, ha in atto le stesse

difese e avrebbe bisogno di un contenitore su cui sfogarsi per poterle abbattere; se il

funzionamento delle due parti è speculare, si crea una situazione in cui ognuno lotta

intensamente per tenere lontana la depressione.

Questa tecnica può funzionare nei primi tempi dopo l’inserimento del minore nel

nucleo familiare, ma comporta un rischio a distanza che tende ad emergere al

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Page 68: Lisa Agosti

momento della fine dell’affidamento preadottivo, quando viene decretata la

legittimazione del rapporto, oppure quando il figlio entra nel periodo adolescenziale.

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Page 69: Lisa Agosti

RIFIUTO DI PROCREARE E MOTIVAZIONI FILANTROPICHE

Le coppie che non presentano problemi di infertilità ma scelgono di adottare anziché

procreare vanno esaminate con attenzione dagli operatori che ne devono giudicare

l’idoneità all’adozione.

Questa categoria potrebbe comprendere alcune coppie che, sia che abbiano già figli

naturali sia che non ne abbiano, giustificano la scelta adottiva con motivazioni

filantropiche o ideologiche; ad esempio, sapendo che ci sono tanti bambini bisognosi,

non capiscono perché si debba concepirne altri.

Alle persone che non vogliono sovraffollare un mondo già troppo affollato, andrebbe

ricordato che questo non è un motivo sufficiente per adottare: i bambini non

smettono di piangere al suono di pur ottime teorie.

Altre coppie, soprattutto giovani, all’inizio dell’indagine sociopsicologica mostrano

di pensare all’adozione come a una risposta solidale ai problemi del mondo, come un

gesto di accoglienza del figlio di un altro, un’apertura al futuro e una risposta ai

bisogni del mondo. Questo progetto “missionario” può celare un inconscio atto

d’accusa nei confronti dei genitori, naturali e sconosciuti, del futuro figlio. Gli

operatori avranno il compito di ricordare a queste coppie che non è

obbligatoriamente vero che all’opposto di due genitori bravi e solidali ci siano due

genitori snaturati ed egoisti. Non spetta ai genitori adottivi giudicare il passato del

bambino che verrà loro affidato.

Fortunatamente, l’approccio “fantastico” si scontra presto con la realtà: i bambini da

adottare, tutti, nessuno escluso, sono persone in carne e ossa e non progetti di

solidarietà nazionale e internazionale, i loro bisogni sono quelli di ogni bambino e

non di una missione, le cose che richiedono sono affetto e amore incondizionato, e

non l’adesione a un ideale.

A conclusioni più reali e corrette si arriva elaborando meglio il proprio desiderio,

prima non ammesso.

Infatti, dietro a queste spiegazioni, si possono celare in realtà tanti tipi di paure: ansie

riguardanti il parto o la gravidanza per le donne, non ultima quella di deformare il

proprio aspetto fisico; gli uomini invece hanno più paure riguardanti la possibilità di

trasmettere un handicap, oppure malattie genetiche ereditarie; o ancora profonde

problematiche riguardanti la sessualità di coppia, che può andare dalla scarsità di

rapporti sessuali fino alla completa astinenza (i cosiddetti “matrimoni bianchi”).

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Page 70: Lisa Agosti

Se diventassero genitori, queste persone rischierebbero di proiettare sul figlio, già

provato dalle esperienze di abbandono subite, i loro problemi psicosessuali,

distorcendone di conseguenza lo sviluppo globale.

Purtroppo anche in questo caso le difficoltà non sono visibili nell’anno di affido

preadottivo; in genere, emergono quando il figlio raggiunge la pubertà.

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Page 71: Lisa Agosti

L’ADOZIONE DA PARTE DI FAMIGLIE CON FIGLI

La presenza di figli nati dalla coppia o da essa adottati, rappresenta sia una risorsa

che una variante di rischio tanto per i figli già presenti, quanto per il bambino che

viene adottato.

Cosa può indurre una coppia che ha uno o più figli all’adozione?

Una motivazione, come già detto, può essere quella filantropica, del fare del bene a

un bambino abbandonato.

Ciò di per sé non è un elemento che si debba intendere a priori connotato di rischio;

per il clinico ciò che appare indispensabile è valutare quanto dal punto di vista

interno, vale a dire della gestione della genitorialità, vi siano delle autentiche risorse

atte a fronteggiare l’impegnativo lavoro psichico a cui si sottopongono gli adulti, gli

altri figli e il futuro figlio adottivo.

Dal punto di vista psicologico possiamo soltanto affermare che ciò rappresenta una

maggiore complessità.

Vi sono tuttavia condizioni particolari in cui l’adozione viene intrapresa con

superficialità, e questo rappresenta una condizione di rischio.

Ad esempio, la coppia può desiderare l’adozione per competere con le proprie figure

genitoriali interiorizzate. In altre parole, la coppia desidera andare oltre ciò che i loro

genitori hanno realizzato, e lo ottiene portando avanti una diversa esperienza di

genitorialità.

Oppure una coppia può volere un figlio adottato “a tutti i costi”, come abbiamo visto

succedere in alcune coppie sterili.

Per altre coppie ancora, il rischio è di tipo megalomane: si desidera provare tutto,

senza tenere adeguatamente in conto i bisogni e le difficoltà dei figli già presenti in

famiglia e dello sforzo che anche loro devono compiere al momento dell’entrata di

un nuovo bambino in famiglia.

I figli naturali della coppia, all’arrivo di un altro figlio, non neonato e portatore di

problematiche specifiche, possono provare disagio mentale, possono sentirsi

narcisisticamente svalutati, perché pensano che i genitori siano alla ricerca di un

figlio speciale, e di conseguenza si sentono sempre non all’altezza delle aspettative

dei genitori.

71

Page 72: Lisa Agosti

In adolescenza queste emozioni diventano ancora più conflittuali: i figli naturali

possono vivere la presenza del figlio adottivo come un rifiuto dei genitori di

occuparsi di lui.

Oltretutto, può succedere veramente che il nuovo arrivato prenda il sopravvento

catalizzando l’attenzione dei genitori o agendo con violenza rispetto ai nuovi fratelli

o sorelle.

Un altro rischio ancora si trova in coppie che hanno procreato figli in giovane età, e

non hanno potuto occuparsi di loro se non in maniera parziale, trovandosi costretti ad

affidarli a nonni e baby-sitter.

Con l’adozione di un figlio già grandicello possono cercare di bypassare la

sofferenza e la frustrazione di un’ulteriore gravidanza e del necessario lavoro interno

di riparazione.

Queste variabili di rischio possono spiegare la percentuale molto ridotta di coniugi

con figli naturali che richiedono l’adozione, rispetto alle coppie senza figli. A

riguardo ci sono tre filoni interpretativi (Farri Monaco e Peila Castellani, 1994):

“Il più significativo, per frequenza e contenuto psicologico, presenta una situazione

familiare in cui il desiderio di un secondo figlio nella donna appare ostacolato da

problemi riconducibili a una difettosa interazione somatopsichica. Aborti spontanei a

volte ripetuti, il passare degli anni associato al timore di concepire un bambino

handicappato, ansie per il proprio corpo femminile percepito non più adatto a

procreare, sono infatti le caratteristiche presenti nelle storie di queste coppie. Il figlio

naturale, in genere, è cresciuto e rende più concreti i problemi legati alla separazione

– individuazione e al graduale distacco dall’ambiente familiare. Quasi

improvvisamente i genitori avvertono il bisogno di allargare la famiglia, di

ripercorrere il cammino della crescita dilazionando una separazione ineluttabile e

contrastando internamente le angosce di perdita e le fantasie di morte dovute

all’unicità dell’investimento affettivo. […]

Un secondo filone interpretativo unifica tutte quelle famiglie, peraltro non numerose,

che fanno riferimento a un sistema di valori di solidarietà, di sostegno affettivo come

servizio e apertura all’abbandono e al disagio infantile. […]

Spesso questo tipo di famiglia è impegnata in campo sociale e nel volontariato,

aperta a una dimensione transculturale con motivazioni religiose o talvolta politiche.

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Page 73: Lisa Agosti

Queste famiglie possono presentare, in qualche caso, un quadro psicologico di

rigidità mentale, un’ambivalente disponibilità poco propensa al dubbio e a mettere in

discussione le proprie motivazioni. L’assoluta sicurezza dei valori contrasta con la

flessibilità e la possibilità di apprendere dall’esperienza e può nascondere personalità

fragili, dotate di “false certezze”. La bontà della scelta alimenta aspettative di

riconoscimento e gratitudine da parte del figlio adottato e si trasforma in delusione

quando, in età adolescenziale, emergono i primi contrasti che possono lacerare la

convivenza familiare.

Il terzo filone comprende le famiglie in cui un evento traumatico ha compromesso la

fecondità procreativa. In questo caso la scelta adottiva vuole contrastare il limite

imposto dalla natura e realizzare un desiderio genitoriale solitamente già inscritto nel

progetto di vita della coppia e in parte già attuato. Emerge il problema di elaborare il

lutto per la perdita dell’integrità biologica, superandolo attraverso la dimensione

affettiva e mentale della scelta adottiva. […]

(Esiste il rischio di) una certa onnipotenza del desiderio sostenuta dall’essere già

genitore.

Esiste in questi casi il rischio di una sicurezza psicologica aprioristica che può

ingannare lo stesso operatore. Durante la consultazione si deve tenere presente che

l’esperienza genitoriale biologica non garantisce automaticamente la possibilità di

una buona adozione futura”.

73

Page 74: Lisa Agosti

I FATTORI DI RISCHIO LEGATI AL BAMBINO

La più evidente variabile di rischio per quanto riguarda il bambino è la sua età

cronologica. Più è grande, più il bambino ha avuto la possibilità di vivere situazioni

difficili, di cambiare casa – istituto, di provare affidamenti e abbandoni, di aumentare

la sua consapevolezza sulla personale situazione e sentirsi non voluto e non amato.

Oltre all’età però, altri fattori sembrano incidere in maniera importante sulla prognosi

finale dell’adozione. Tra questi sono da tenere presenti:

La modalità e il momento in cui è avvenuta la separazione dalla madre biologica

o di chi ne ha fatto, sin dalla nascita, le veci;

L’adeguatezza o meno dell’ambiente e delle cure che ha ricevuto nella

primissima infanzia;

La possibilità o meno di sviluppare un’esperienza di attaccamento precoce;

La discontinuità relazionale e il grado di carenza e/o deprivazione vissute nei

primi periodi della sua infanzia;

Gli eventuali maltrattamenti o violenze subiti.

Ovviamente un bambino che ha già vissuto l’illusione di aver trovato una famiglia

adottiva e che poi l’ha persa, per una qualche ragione, è più a rischio degli altri di

andare incontro a un altro fallimento adottivo. Ogni fallimento lo segnerà per la vita.

Spesso si sente dire dei bambini adottati che sono “nati due volte”; quando anche a

questa “seconda nascita” segue un nuovo abbandono, si riattivano angosce di

frammentazione, di discontinuità e di perdita presenti nella mente del bambino, già

prima dell’esperienza adottiva.

Per concludere, vorrei sottolineare di nuovo il rischio che nasce dall’incrocio di

questi fattori; se già uno solo è sufficiente per portare al fallimento, la somma di più

fattori moltiplica il rischio di rovinare tre vite.

Fortunatamente, questi casi di fallimento sono attentamente prevenuti dai Servizi che

si occupano dell’indagine e dell’abbinamento dei minori alle nuove famiglie; una

bellissima immagine è offerta da Antonio D’Andrea (2000) attraverso gli occhi di

una bambina in attesa di una nuova famiglia:

74

Page 75: Lisa Agosti

Martina cercava qualcuno che, amorevolmente, la ascoltasse, la capisse e si

prendesse cura di lei; mettesse fine a quella giostra di pensieri e sensazioni che la

facevano sentire come una foglia secca in balia del vento.

“Ma lo sai che in questo momento ci sono giudici, assistenti sociali, psicologi che si

stanno dando un sacco da fare perché questo incontro tra voi avvenga nel migliore

dei modi?”

“Certo che lo so, e di questo ne sono contenta. Ogni tanto qualcuno di loro viene

pure a trovarmi, mi chiede come sto e poi se ne va. È come sentire che c’è una

squadra che sta tifando per noi”.

75

Page 76: Lisa Agosti

Cap. 3. QUANDO L’ADOZIONE ARRIVA INSIEME

ALL’ADOLESCENZA. PROBLEMI INCROCIANO PROBLEMI

Bisogna essere in due per scoprire la verità: l’uno per dirla, l’altro per capirla. K. Gibran (1923)

Tutti gli adolescenti, adottivi e non, in modi e intensità diversa, sono soggetti a

turbolenze.

Sebbene non tutti gli adolescenti vivano delle crisi, tutti quanti hanno in comune

alcune problematiche; nasce in loro il bisogno di indipendenza, che va di pari passo

col timore del distacco dai familiari; devono trovare una collocazione accettabile nel

mondo adulto, imparare a gestire il proprio corpo e gli impulsi sessuali emergenti.

Devono approfondire la conoscenza di se stessi, darsi un’identità più ricca e

complessa rispetto a quella infantile, capire che tipo di adulto vogliono diventare,

imparare a relazionarsi con gli altri ridimensionando il proprio egocentrismo e

tenendo a freno la paura del rifiuto.

Tutti i genitori, sia naturali che adottivi, devono affrontare questo periodo coi loro

figli, e tutti chiamano questo periodo “fase critica”.

I genitori adottivi però hanno un quesito aggiuntivo da porsi: “Quanto di queste

turbolenze è dovuto all’adolescenza e quanto all’adozione?”

L’adozione si intreccia con gli aspetti suddetti e ne può ampliare la portata (Oliverio

Ferraris, 2002).

Per esempio, un ragazzo che abbia vissuto l’adozione come abbandono o rifiuto può

temere più di un altro nuovi abbandoni e quindi porsi sulla difensiva con le ragazze,

non osare prendere l’iniziativa, oppure entrare facilmente in crisi, offendersi,

chiudersi in se stesso o diventare aggressivo alla minima contrarietà. Un passato non

ancora del tutto superato crea aspettative e timori che entrando in risonanza con

iniziative e scelte del presente ne pregiudicano l’esito seguendo lo schema della

“profezia che si autoavvera”.

Il timore dell’abbandono può avere un ruolo anche in quella normale ricerca di

indipendenza (o “individuazione”) tipica di tutti gli adolescenti. Quando hanno avuto

l’esperienza di legami spezzati nell’infanzia, i figli adottivi possono sentirsi

minacciati dal bisogno di indipendenza che sentono crescere dentro di loro in quanto

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Page 77: Lisa Agosti

temono una nuova perdita, un nuovo salto nel buio, il che può rendere più intensa

l’opposizione ai genitori. Paradossalmente, gli adolescenti che maggiormente temono

la separazione dalla loro famiglia adottiva possono essere proprio quelli che nella

prima adolescenza rivendicano con maggiore insistenza o aggressività il loro bisogno

di indipendenza urlando che vorrebbero non essere mai stati adottati. Una

espressione tipica è: “Non mi puoi dire che cosa devo fare! Non sei la mia vera

madre!”. Quando separarsi è difficile, uno dei modi per farlo è lo strappo violento.

Altri ragazzi, invece, nel tentativo di posticipare quell’emancipazione che li

allontanerebbe dalla famiglia, possono improvvisamente sentirsi ansiosi, andare male

a scuola, o peggio, sabotare la propria riuscita personale, ossia quelle scelte di vita

che consentono di diventare autonomi, ma che privano anche di quella protezione di

cui generalmente godono i bambini.

Ai genitori adottivi di ragazzi adolescenti, dunque, è richiesto di avere “una marcia in

più” rispetto agli altri, una grande pazienza e capacità di comprensione, per poter

contenere tutti i sentimenti negativi che il figlio potrà riversare su di loro.

I genitori che vengono abbinati con ragazzi adolescenti in genere non sono più

giovanissimi, altrimenti richiederebbero un minore più piccolo; possono quindi

regalare al ragazzo più saggezza e stabilità di una coppia giovane; d’altra parte però

possono essere più lontani dai problemi adolescenziali e faticare maggiormente a

comprenderli.

Per questi motivi è necessaria una formazione specifica da parte degli operatori

durante l’indagine sociopsicologica; inoltre la legge si assicura che il ragazzo sia

informato e dia il suo consenso all’adozione, essendo abbastanza grande da poter

maturare un suo giudizio su questo cambiamento di vita che gli si propone.

Sotto il profilo giuridico l’adozione dell’adolescente, rispetto a quella del bambino

piccolo o addirittura neonato, presenta due elementi caratterizzanti, entrambi

enucleabili dall’art. 22 della legge 184.

Il primo attiene alla “storia” del minore: il Tribunale per i Minorenni ha l’obbligo di

informare gli aspiranti genitori adottivi dei fatti rilevanti emersi dalle indagini nel

corso della procedura di adottabilità.

Il secondo attiene all’ascolto del minore: in camera di consiglio, il ragazzo deve

essere sentito se ha compiuto i dodici anni, mentre se ha compiuto i quattordici anni

deve anche manifestare espressamente il proprio consenso ad essere adottato dalla

coppia prescelta.

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Page 78: Lisa Agosti

In questi casi infatti l’adozione rappresenta l’incontro di due identità ben precise, per

cui deve configurarsi da entrambe le parti come una scelta di maturità.

Questo percorso richiede tempo, e rifiuta ogni passo affrettato: il suo esito non è

quasi mai deciso da un innamoramento a prima vista, ma dipende da una scelta

consapevole, meditata e ragionata, in cui ognuno riconosce all’altro la libertà di

esprimersi e di mantenere la propria autonomia (Cavallo, 1995).

Il Tribunale allora, nella scelta della coppia, deve approfondire, meglio e più di ogni

altro elemento, la capacità degli aspiranti genitori adottivi a riconoscere “le radici”; a

sapersi relazionare con altre figure adulte significative per il minore, dalle quali non

è possibile operare un distacco; a saper leggere i comportamenti adolescenziali come

evoluzione normale del percorso di crescita, e non come legati alla condizione di

adottivo; a saper rispettare i suoi sentimenti e i suoi stati d’animo – il diritto a sentirsi

triste, a sentirsi pieno di rabbia, a sentire paura di qualcosa o di qualcuno -, senza

intervenire sempre e comunque per rimuovere quello stato che non li appaga e

gratifica, comprendendo invece che il figlio, solo se vive quelle emozioni in

profondità, potrà elaborarle e superare le sofferenze che vi sottendono.

Per poter comprendere e sostenere l’adolescente la coppia adottante, dunque, deve

rendersi conto fino in fondo delle due componenti della identità del minore affidato:

L’identità di genere – maschile e femminile – con il conseguente

riconoscimento dei comportamenti adolescenziali come legati al percorso di crescita

e non alla condizione di adottivo;

L’identità familiare, come riconoscimento della storia sociale della famiglia di

appartenenza.

Il riconoscimento dell’identità nelle sue due componenti – soggettiva e familiare – è

la premessa necessaria per il buon esito dell’adozione dell’adolescente.

In particolare, se non c’è il riconoscimento delle “radici” come base per la

costruzione dell’edificio della personalità, il percorso dell’identità si spezza e il

ragazzo potrebbe fare ingresso nell’area della devianza;

non deve essere neppure sottovalutata la necessità che le coppie abbiano

consapevolezza che un adolescente, per crescere e diventare un adulto compiuto,

deve entrare in conflitto con i propri genitori, in quanto solo attraverso al

contestazione e la crisi si forma l’identità personale.

Quando non è possibile reperire una coppia in grado di riconoscere al minore il

diritto all’identità, intesa in questo duplice senso, e di farlo sentire accolto non per

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Page 79: Lisa Agosti

bisogno ma per scelta e per desiderio, è di gran lunga preferibile intervenire con

l’affidamento familiare e non con l’adozione.

Comunque, anche se l’affidamento preadottivo dell’adolescente è di più complessa

gestione, non bisogna pensare che le coppie di cinquantenni – che in generale sono

quelle naturalmente “destinate” agli adolescenti – siano tutte tristemente connotate

da solitudine e vuoto esistenziale. Molto spesso infatti esse hanno grandi potenzialità

affettive e buone capacità educative, che affiorano e man mano si esprimono

compiutamente quando acquisiscono consapevolezza del profondo bisogno affettivo

del ragazzo; ed è proprio questa consapevolezza a tradursi nello stimolo forte e vitale

che dà nuovo senso alla loro vita. D’altra parte questo rinnovato vigore esistenziale,

quando profondamente sentito e sinceramente elaborato, si trasmette come un flusso

salvifico al ragazzo che, avendo perso tutto, sta per perdere se stesso.

Non condivido perciò l’opinione di coloro che, riferendosi all’adozione di un

adolescente, parlano di “incontro di due solitudini”, sottolineando così il reciproco,

consapevole lutto piuttosto che valorizzare la reciproca, consapevole scelta (Cavallo,

1995).

Va da sé che l’affidamento preadottivo dell’adolescente deve essere sostenuto e

seguito con particolare impegno e competenza, nel rispetto dei tempi di adattamento

e delle scelte e delle inclinazioni del ragazzo, senza affrettare la definizione della

procedura per la dichiarazione dell’adozione.

Mentre ci vuole molto tempo e particolare impegno per intessere la trama di queste

nuove famiglie,

la situazione di abbandono in cui si trovano i ragazzi da adottare impone velocità e

azioni rapide, che strappino queste vite a un destino miserevole.

Nell’opinione comune, così come tra gli operatori del settore adozioni, ci sono due

diverse prospettive da cui guardare alla situazione dei bambini e dei ragazzi

abbandonati.

Secondo molte persone, nonché molti operatori, l’unico criterio valido nella tutela di

un bambino è quello di lasciarlo in ambito familiare.

D’altra parte ogni giorno i mass media ci ricordano che i peggiori delitti contro i

bambini avvengono in ambito familiare, con frequenza superiore al novanta per

cento sia nei maltrattamenti sia negli abusi sessuali (D’Andrea, 2000).

Purtroppo nell’ambito dell’adozione non ci sono due casi identici. Le vicende umane

sono complesse e difficili da capirsi, valutarsi, districarsi. Non ci sono regole valide

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Page 80: Lisa Agosti

sempre, ma metodologie che si rivelano utili per commettere il minor numero

possibile di errori: saper ascoltare senza pregiudizi, raccogliere il maggior numero

informazioni possibile, prendere in considerazione tutti i soggetti delle situazioni da

monitorare e così via.

Ogni bambino o bambina per cui è stato decretato lo stato di abbandono porta con sé

una storia tragica: se si potesse aiutarlo a superare subito i propri drammi in un

ambiente affettuoso e sereno, come spesso è una famiglia adottiva, le sue probabilità

di trovare nel tempo un maggior equilibrio aumenterebbero. Ma il bambino, tolto alla

propria famiglia, spesso deve aspettare ancora molto tempo, qualche volta anni,

prima che lo si possa adottare e non tutti i Servizi sociali cercano le coppie disposte

all’affidamento a rischio giuridico.

Una grossa parte dei minori negli istituti sono, come i carcerati, in attesa di giudizio.

Stanno aspettando insomma che si decida se non devono più appartenere alle

famiglie d’origine.

È evidente però che, se nell’attesa sono passati degli anni, non solo la ferita

originaria fatta di maltrattamenti e di abbandono non ha trovato un terreno

favorevole per guarire, ma anche che la deprivazione affettiva e culturale dell’istituto

ha danneggiato ulteriormente il bambino. Un minore, recuperabile nell’infanzia, lo è

molto meno nell’adolescenza e la sua stessa età finisce per renderlo meno accetto a

tante coppie che non si sentono all’altezza di relazionarsi a una persona già grande e

forse indurita dalla sorte (D’Andrea, 2000).

La tutela del minore richiede che i tempi siano rapidi, o nel dichiararne l’adottabilità

o attraverso l’adozione a rischio giuridico. La prevista abolizione degli istituti, se

sarà attuata, va in questa direzione.

Molti “ospiti” di questi istituti non sono più bambini, ma hanno un’età compresa tra

gli 11 e i 18 anni. Sono ragazzi invecchiati in istituto. Per questi giovani in attesa di

giudizio, che devono convivere con l’incertezza perenne di tornare da chi li ha

maltrattati, o di restare “prigionieri” di ritmi di vita sempre uguali, senza poter fare

una passeggiata da soli o andare a giocare con una palla ai giardini pubblici, lo stato

spende mediamente cinquanta euro al giorno, di più in caso di handicap. Ne

spenderebbe molto meno se i ragazzi fossero in affidamento presso famiglie disposte

ad accoglierli (D’Andrea, 2000).

Le assistenti sociali, i Tribunali, gli Enti autorizzati denunciano la situazione di

scarsa richiesta di ragazzini grandi. È certo che questi non hanno la seduttività dei

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Page 81: Lisa Agosti

cuccioli; la natura ha fornito i cuccioli dei mammiferi, deboli e bisognosi di cure

parentali per poter vivere, di una dolcezza pari alla loro fragilità. La specie umana

non fa eccezione alla regola. Crescendo si diventa più autonomi e meno plasmabili,

si è meno universalmente simpatici. Talora è sufficiente l’uso della parola per

terrorizzare gli adulti.

Non c’è nulla di strano in tutto questo. Chi adotta vorrebbe poter trasmettere

qualcosa di sé al figlio adottato e questo sembra tanto più possibile quanto più il

bambino è piccolo.

Il genitore adottivo vorrebbe instaurare un rapporto affettivo profondo col figlio, e

anche questo è più facile con un piccolo.

In realtà, secondo la teoria di Bowlby (1988), non è tanto l’età dell’adottato a

determinare l’esito dell’adozione, quanto il modo in cui il bambino è stato trattato

nelle primissime relazioni affettive.

Fortunatamente, molti aspiranti genitori che cominciano il cammino dell’adozione

con l’idea di adottare un bambino piccolo riescono a slegarsi da questo iniziale

desiderio e sono disposti a relazionarsi con una persona già grande. Questa decisione

è maturata con la consapevolezza che la loro disponibilità deve essere messa al

servizio di un bambino vero e non solo fantasticato.

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Page 82: Lisa Agosti

Cap. 4. QUANDO L’ADOZIONE INCONTRA

L’HANDICAP E LA SIEROPOSITIVITÀ .

PROBLEMI SOMMATI A PROBLEMI

Ciò che abbellisce il deserto è che nasconde una fonte in qualche luogo.

Saint-Exupéry (1943).

HANDICAP. NON ESISTONO SITUAZIONI IRRECUPERABILI.

Tra i minori dichiarati adottabili parecchi sono, purtroppo, i bambini con problemi di

handicap fisico o psichico; essi vengono spesso, appunto a causa della loro

condizione, abbandonati alla nascita, in ospedale, anche da famiglie normocostituite

e provviste di sufficiente reddito (Cavallo, 1995).

Secondo un censimento, citato in parlamento al momento della discussione della

nuova legge, sui minori in comunità e in istituto, l’otto per cento dei bambini sono

afflitti da handicap medi e lievi (Forcolin, 2002).

A parte qualche caso sporadico, è in generale da escludere che si possano reperire

coppie disponibili all’adozione di questi bambini tra quelle che hanno inoltrato

domanda al Tribunale per i Minorenni. Del resto, è del tutto comprensibile, al livello

di senso comune, che il desiderio di genitorialità non possa essere soddisfatto da

bambini portatori di grave handicap.

A seconda delle persone, si possono riscontrare diversi atteggiamenti nei confronti

dei diversi tipi di handicap. Chi non accoglierebbe mai un bambino afflitto da

sindrome di Down, può sentirsi invece in grado di adottare/prendere in affidamento

un cieco e viceversa. I vissuti individuali giocano un ruolo importantissimo in

merito. Un certo tipo di handicap può far ricordare all’interessato un parente o un

amico che aveva lo stesso difetto, ma non per questo era meno caro di altri.

È allora necessario immaginare delle strategie di diffusione informativa per portare i

casi gravi a conoscenza della collettività: solo i mezzi di comunicazione di massa

sono in grado di “stanare” le grandi, quasi incredibili disponibilità esistenti intorno a

noi, in grado di fornire le risposte necessarie.

Qualche tempo fa, un’associazione che si occupa di affidamento, chiedeva via

Internet ospitalità per una ragazzina dodicenne, ipercinetica, con deficit mentale: si

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Page 83: Lisa Agosti

erano subito offerti per accoglierla in molti. Ogni qualvolta il “minore handicappato”

viene presentato come un bambino con delle caratteristiche personali, pur senza

rivelarne il volto e il nome, trova famiglie disposte ad accoglierlo (Tonizzo, Micucci,

1994).

Una coppia che si accosta all’adozione difficilmente pensa spontaneamente a un

bambino handicappato o sieropositivo; di fronte a tali problematiche si ritraggono,

perché si sentono investiti da una responsabilità e da un impegno troppo grandi.

Gli operatori stessi, convinti a priori della difficoltà di trovare famiglie disponibili

anche per questi bambini, rischiano di rinunciare a cercarle e di arrendersi con molta

facilità. Non fanno nulla per sensibilizzare l’opinione pubblica a questo problema. Il

bambino “diverso” rischia così di trascorrere così la sua infanzia tra l’istituto e

l’ospedale; un ulteriore rischio è che coloro che lo circondano non lo considerino più

come un bambino bisognoso di affetto, di contatto, di tenerezza. Il risultato sarebbe

assicurare al bambino le cure dal punto di vista sanitario, perdendo però di vista il

fatto che spesso la malattia è anche influenzata dalla sua condizione di solitudine e di

abbandono. Senza affetto, il bambino potrebbe lasciarsi andare, progressivamente

sempre più, non reagire, quasi rifiutarsi di crescere, perché sente che non c’è nessuno

che tiene a lui.

Fortunatamente, la conclusione della storia può essere ben diversa. Per molti dei

bambini handicappati avviene l’incontro con famiglie che vedono, nella stessa

persona che gli altri guardano come un menomato grave, una persona in tutta la sua

interezza, piena di promesse e di potenzialità.

Indubbiamente l’affidamento o l’adozione di un bambino “diverso” non potrà seguire

la stessa procedura seguita per un bambino “normale”. Per una scelta di questo

genere non basta una motivazione che scaturisca dal senso del dovere o dal senso di

giustizia; è necessario che scatti un coinvolgimento interiore che permetta di vedere

al di là della “diversità”.

Molto spesso succede che la scelta nasce da un incontro: i genitori vengono a sapere,

tramite i canali più disparati, della storia di un bambino; e lo va a cercare. Così può

iniziare un cammino faticoso, che però può dare la gioia di vivere a un bambino al di

là delle sue oggettive menomazioni e può dare molta ricchezza alla famiglia che lo

ha accettato. È ovvio che i genitori devono trovarsi bene col bambino, e non sentirlo

come un peso o una condanna.

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Page 84: Lisa Agosti

Sul piano del rapporto con figure stabili, questi bambini richiedono una presenza che

si carichi di significato comunicativo maggiore rispetto ad altri bambini, in quanto in

loro è più rilevante il bisogno di affetto e di attenzione educativa, per le

problematiche invalidanti che presentano. Inoltre, richiedono continue stimolazioni,

perché alla ricchezza e varietà di queste è legato il potenziamento delle risorse

disponibili.

Sul piano legislativo, per i bambini handicappati è prevista la possibilità di

un’adozione speciale, cioè possono essere adottati da persone singole o coniugi non

aventi requisiti per l’adozione legittimante, quindi anche persone anziane. Il motivo

di questa legge è che la maggior parte delle coppie con tutti i requisiti per l’adozione

legittimante si dichiarano “non pronte ad accogliere un minore con handicap”, per

cui questi bambini rimarrebbero senza nucleo familiare.

Si ritiene che le persone che decidono di adottare un bambino handicappato siano per

lo più coppie che dimostrano un'elevata maturità personale e sociale e che

garantiscono la più attiva disponibilità per tutelare la condizione ed i diritti alla

crescita dei minori. Si tratta di persone che, perseguendo ideali elevati, sono

estremamente disponibili al cambiamento, sia a livello personale sia a livello

relazionale e, di conseguenza, sono quasi sempre in grado di instaurare con l’adottato

handicappato una relazione che lo orienti positivamente verso il recupero possibile e

la maturazione delle sue risorse personali e sociali.

Attraverso il contatto con genitori adottivi maturi e sensibili, si ritiene che il bambino

handicappato abbia la possibilità di crescere in un ambiente realmente capace di

soddisfare i suoi specifici bisogni di autonomia e di dipendenza, sia in termini psico-

affettivi sia in termini fisici.

Perché avvenga bene l’adozione di un minore handicappato sarebbe auspicabile che

oltre alla disponibilità della famiglia fosse presente anche una rete di rapporti umani

e sociali intorno alla nuova famiglia, che arricchisse la vita del nucleo e ne impedisse

l’isolamento.

Ma questo non basta ancora: molto dipende anche dai Servizi che le istituzioni

mettono a disposizione di queste famiglie. È necessario un sostegno da parte degli

amministratori e degli operatori, che garantisca un intervento riabilitativo, un

inserimento scolastico, un collocamento lavorativo quando il soggetto ne ha le

capacità e, se necessario, un confronto con uno psicologo per valutare insieme i

problemi e/o un contributo economico.

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Page 85: Lisa Agosti

Ma l’aiuto degli operatori non deve essere asettico, non deve far sentire il genitore in

una situazione di inferiorità, come, purtroppo, a volte succede.

Inoltre, bisogna combattere lo stereotipo del tipo “A questo punto non c’è nulla da

fare”. Non esiste una situazione incurabile, irrecuperabile.

Molti genitori di bambini handicappati sono oggi attivi, hanno imparato a vivere la

nascita di un figlio handicappato non come una sconfitta ma come una sfida, e

lottano per affermare i diritti dei più deboli a vivere una vita degna di questo nome.

Vale la pena che gli operatori del settore cerchino di investigare le disponibilità

“nascoste” delle persone, anziché accantonare da subito la possibilità di dare una

famiglia anche ai più sfortunati.

Tutte le prestazioni – sanitarie, scolastiche, previdenziali – devono essere

tempestivamente assicurate ai genitori adottivi del bambino handicappato, a

testimoniare la partecipazione della collettività all’impegno educativo e assistenziale

che queste famiglie, tanto più disponibili di altre, hanno spesso operato come scelta

di vita. Perciò lo Stato deve contribuire con impegno particolare a sostenere questi

bambini, per i quali sono necessari interventi sanitari e risorse cui spesso la famiglia

adottiva non è in grado di far fronte.

Dice Melita Cavallo (1995): “È anche per questo che trovo assurdo e assolutamente

lontano da una reale conoscenza dei bisogni di un bambino handicappato pensare di

affidarlo ad una persona sola, come pure spesso ho sentito dire, anche da esperti del

settore minorile. Il bambino handicappato ha un bisogno assoluto di fratelli, di

bambini con cui dividere il quotidiano e da cui ricevere con continuità stimoli e

sollecitazioni per un possibile recupero.”

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Page 86: Lisa Agosti

SIEROPOSITIVITÀ. TRA PROGRESSI E PREGIUDIZI

Negli ultimi diciassette anni, cioè da quando comparve il primo caso di bambini

adottabili sieropositivi, sono stati fatti molti passi avanti, ma ancora oggi ci sono

problemi nel reperire una coppia per un bambino sieropositivo.

Al momento della selezione delle coppie, nella maggior parte dei Tribunali viene

richiesto agli aspiranti genitori l’eventuale disponibilità ad adottare un bambino

sieropositivo; in caso di risposta affermativa, la coppia viene indirizzata ai centri

ospedalieri attrezzati a seguire questi bambini, dove la coppia può ricevere sufficienti

informazioni sotto il profilo sanitario, utili per orientarsi nella scelta.

Un tempo le famiglie che adottavano un bambino sieropositivo andavano a vivere in

un’altra città, dove nessuno fosse a conoscenza della condizione del figlio, per

evitare problemi con i parenti, gli amici, l’asilo.

Oggi invece, grazie anche all’informazione sulle condizioni di trasmissione della

sieropositività, anche famiglie con figli propri dovrebbero sentirsi tranquille

nell’accettare in affidamento bambini sieropositivi; sarebbe così possibile evitare la

permanenza in ospedale o in istituto del minore.

Il Tribunale per i Minorenni ha un accordo con l’ospedale, sulla base di un protocollo

informale d’intesa, che prevede, per il nato da madre sieropositiva, che non venga

fatta segnalazione della sua condizione, nel caso in cui la famiglia naturale manifesti

e mantenga l’impegno a seguire il programma sanitario disegnato per il bambino

all’atto delle dimissioni. In caso di interruzione o negligenza nell’esecuzione del

programma, il bambino viene immediatamente segnalato agli assistenti sociali.

Comincia così una procedura di volontaria giurisdizione per accertare se i genitori

gestiscono correttamente la potestà, valutando il mancato rispetto del programma

sanitario.

Prima di tutto viene emesso un decreto di natura prescrittiva col quale si impone al

genitore di osservare i tempi e le modalità del programma medesimo. Nei casi più

gravi i genitori vengono dichiarati decaduti, e un parente assumerà l’ufficio di tutore

garantendo al bambino le cure necessarie. Se invece l’inosservanza del programma

sanitario appare, insieme ad altri, un segno della volontà abbandonica, allora il

Tribunale darà ingresso alla procedura di adottabilità.

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Page 87: Lisa Agosti

A questo punto, sarebbe importante trovare al più presto una coppia disponibile ad

accogliere con sé il minore. Agli operatori spetta il compito di sensibilizzare le

coppie al problema, nel corso dell’indagine sociopsicologica.

Nella selezione delle coppie, è anche importante valutare l’atteggiamento dei genitori

aspiranti rispetto al problema dell’ereditarietà. Purtroppo, esiste ancora in alcuni casi

la convinzione che un bambino possa essere portatore non solo di una ereditarietà

genetica, ma anche morale, per cui il figlio di una prostituta o di tossicodipendenti un

giorno forse potrà ripetere gli errori dei genitori d’origine.

Questo atteggiamento sarebbe sicuramente percepito dai figli, soprattutto una volta

raggiunta l’adolescenza. È importante che invece i genitori scelti siano sereni e

capaci di accogliere il bambino offrendogli tutto l’amore e la comprensione che

merita.

Se l’adozione di per sé è un gesto lodevole, l’adozione di bambini con problemi è un

atto eroico. Non per questo una coppia che si rivolga all’adozione si deve sentire in

obbligo di caricarsi di questo peso aggiuntivo. Seguire il proprio cuore, consapevoli

delle proprie capacità e della propria disponibilità, è sempre la scelta ideale.

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Page 88: Lisa Agosti

L’ADOZIONE DAL PUNTO DI VISTA TECNICO

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Page 89: Lisa Agosti

Cap. 1. RICHIESTA D’ADOZIONE: L’ITER DA SEGUIRE

Di seguito presento, per punti successivi, la procedura da seguire se si intende

chiedere un abbinamento con un minore a scopo adozione:

1. La coppia che desidera adottare presenta la domanda di idoneità al Tribunale per

i Minorenni. (In appendice è riportato un esempio di questo documento).

2. Il Tribunale per i Minorenni incarica un Servizio Sociale (del Comune, dell’Asl,

dei Consorzi Intercomunali per i Servizi Sociali, ecc.) di predisporre l’indagine

psicosociale, di cui si parla approfonditamente nel capitolo “Metodologia

dell’indagine sociopsicologica e requisiti per l’idoneità all’adozione”.

3. Entro tre mesi da questa data, il Servizio Sociale inizia i colloqui con la coppia.

4. Al termine dei colloqui, il Servizio Sociale predispone una relazione che illustra

le motivazioni e l’attitudine della coppia al ruolo di genitori adottivi. Nel capitolo

“La relazione d’idoneità dei genitori aspiranti l’adozione” si parla

approfonditamente dei contenuti della relazione di idoneità delle coppie

richiedenti adozione.

5. Nel frattempo, i due richiedenti devono svolgere (gratuitamente) alcuni

accertamenti sanitari per verificare e certificare il loro buono stato di salute.

6. Il fascicolo contenente la relazione dei Servizi Sociali e gli accertamenti sanitari

viene depositato presso il Tribunale per i Minorenni, assieme alla domanda di

idoneità.

7. Il Tribunale per i Minorenni delega un giudice che convoca e ascolta la coppia. Il

giudice predispone una relazione, indirizzata ancora una volta al Tribunale, che

deciderà se concedere l’idoneità (solo per le coppie disponibili all’adozione

internazionale).

8. Se il Tribunale non concede l’idoneità, la coppia ha la possibilità di impugnare

tale diniego presso la Corte d’Appello – sezione minori – o di proporre una

nuova domanda.

A questo punto del percorso, l’iter si differenzia a seconda che la coppia abbia fatto

richiesta per un’adozione nazionale o internazionale.

La stessa coppia può richiedere l’abbinamento sia con un minore italiano che con un

minore straniero, rendendosi disponibile per il primo minore in stato di adottabilità

che abbia caratteristiche compatibili con le proprie.

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Page 90: Lisa Agosti

LA PROCEDURA PER LA DOMANDA DI ADOZIONE NAZIONALE

9. Se la coppia ha chiesto di poter accedere a un’adozione nazionale, il fascicolo

viene trattenuto dal giudice minorile, che nei tre anni successivi può convocare

la coppia per “abbinare” ai coniugi un bambino in stato di abbandono presente

sul territorio nazionale. La relazione può essere sia negativa che positiva, ma

questo non determina né la sicura adozione che il sicuro diniego. Infatti la

relazione è la base che il Tribunale utilizza per le proprie valutazioni e molto

spesso i giudici onorari del Tribunale chiamano una o più volte la coppia per

verificarne le “capacità genitoriali”. Purtroppo, non essendoci un decreto finale

del Tribunale, la coppia vive nell’assoluta impossibilità di sapere se la domanda

è di interesse del Tribunale o meno. Molte coppie che hanno vissuto l’adozione

nazionale raccontano di come la situazione si sblocchi all’improvviso, con

colloqui presso il Tribunale in rapida successione fino all’abbinamento con un

minore.

10. Dopo l’abbinamento, e trascorso un anno di affido preadottivo del bambino alla

coppia, il Tribunale per i Minorenni dichiara l’adozione e il bambino viene

iscritto nei registri come figlio della coppia.

11. In caso invece vengano superati i tre anni senza un abbinamento, la domanda di

adozione nazionale decade automaticamente. La coppia può, se vuole,

ripresentare una nuova istanza ripetendo, almeno in parte, l’iter precedente.

Presentare una domanda per un’adozione nazionale significa, in realtà, dare la

propria disponibilità ad avere in adozione un minore in stato di adottabilità presente

sul territorio italiano. Il Tribunale per i Minorenni presso cui si presenta domanda

non emette quindi alcun parere positivo o negativo sull’idoneità della coppia, ma si

limita a valutare le caratteristiche della coppia disponibile per un eventuale

abbinamento con un minore.

“Purtroppo, la scelta della Corte Istituzionale, astrattamente corretta, appare viziata

da una prassi giudiziaria che è di tutt’altra natura: il giudice minorile non decide le

idoneità avendo presente la tipologia di bambino, ma, proprio come nell’adozione

internazionale, fa astratto riferimento a parametri specificati dalla legge e,

soprattutto, alla propria esperienza e vissuto. Fra l’altro decide le idoneità man mano

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Page 91: Lisa Agosti

che gli vengono presentate e non in previsione di specifiche adozioni. […] Ogni

Tribunale, in questi anni, ha fatto mostra di evidenti orientamenti interpretativi delle

norme a volte assai distanti fra di loro e, in tali circostanze, la coppia si trova

nell’assoluta impossibilità di chiedere una verifica da parte di altro giudice delle

eventuali discriminazioni di cui può essere stata vittima.” (AA. VV. da Minori e

Giustizia, n.1/2001).

91

Page 92: Lisa Agosti

LA PROCEDURA PER LA DOMANDA DI ADOZIONE INTERNAZIONALE

Rispetto all’adozione nazionale, la domanda di adozione internazionale si differenzia

perché tutto il procedimento deve concludersi con un decreto di idoneità o non

idoneità.

Ripartendo dal punto otto, la procedura richiede:

9. La coppia che ha richiesto un’idoneità all’adozione internazionale, entro un anno

deve delegare uno degli Enti autorizzati a svolgere le pratiche inerenti la

domanda.

10. L’Ente autorizzato convoca la coppia e procede, di norma, a uno o più colloqui,

o a far partecipare i coniugi a un seminario di preparazione all’adozione. Di

questa preparazione specifica, organizzata da ogni Ente in modo diverso, a

seconda delle finalità che si propone, parlerò nel capitolo “Gli Enti Autorizzati”.

Successivamente l’Ente comunica alla coppia se ha accettato la richiesta della

presa in carico del fascicolo. In tal caso invia una comunicazione al Tribunale

competente e alla Commissione Centrale per l’adozione internazionale.

11. Svolte le pratiche, l’Ente comunica l’avvenuto abbinamento con uno o più

bambini. Chiede alla coppia di presentare alcuni documenti, da inviare nel Paese

del bambino.

12. Nel paese d’origine del piccolo si svolge, seguendo la normativa locale, un

procedimento per l’adozione.

13. L’Ente autorizzato comunica alla Commissione Centrale lo stato della pratica

fino al suo compimento. A questo punto la Commissione Centrale, verificata la

correttezza della pratica, invia al Consolato d’Italia competente territorialmente

l’ordine/autorizzazione di rilasciare il visto d’ingresso del bambino.

14. La coppia può andare a prendere il bambino. A seconda della normativa locale,

dovrà rimanere alcuni giorni o alcune settimane nel territorio straniero. Chi

lavora ha diritto a un permesso non retribuito per tutto il periodo di permanenza

all’estero.

15. Predisposti i documenti per il rientro in Italia (decreto locale e italiano,

passaporto, visto, documentazione sanitaria, loro legalizzazione e traduzione,

ecc…) la nuova famiglia può far rientro in Italia.

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Page 93: Lisa Agosti

16. L’Ente autorizzato dovrà comunicare al Tribunale e alla Commissione

l’avvenuto rientro. Da questo momento per uno dei genitori scatta la possibilità

di assentarsi dal lavoro con un congedo retribuito.

17. Entro otto giorni, la coppia deve chiedere alla Questura il permesso di soggiorno

del piccolo. Si deve recare anche all’Asl e al Comune per “dichiararlo”. Deve

infine celermente recarsi al Tribunale per i Minorenni a depositare la

documentazione del caso.

18. il Tribunale per i Minorenni, qualora necessiti, decreta di affidare il bambino alla

coppia, al fine di adottarlo. Per un anno la coppia è nuovamente sottoposta alla

sorveglianza del Tribunale e del Servizio Sociale. Anche l’Ente autorizzato può

chiedere alla coppia di mantenere i rapporti con i propri Servizi Sociali.

19. Se è stato decretato un affido preadottivo, dopo un anno, il Tribunale, sulla

scorta della documentazione giuntagli dai Servizi Sociali, dichiara avvenuta

l’adozione e ordina al Comune in cui risiede la famiglia di iscrivere il bambino

al registro degli atti di nascita come se il bambino fosse nato dalla coppia stessa.

Questi sono i passi obbligati da compiere per le coppie che desiderano diventare

genitori. È evidente come l’adozione internazionale sia più complicata e richieda un

impegno e un controllo maggiore da parte del Tribunale, degli Enti e dei Servizi

Sociali. Tale attenzione deriva dalla necessità di impedire le “adozioni fai da te”, e il

mercato nero di bambini, grande piaga che fino a qualche anno fa regalava l’illusione

di poter comprare un bambino, anche a costo di strapparlo alla famiglia naturale.

Per fortuna oggi le normative consentono di vivere l’adozione in serenità, una volta

ottenuta tramite questo procedimento controllato.

Anche al momento di svelare al figlio che è adottivo, i genitori si sentiranno più

tranquilli se non avranno il rimorso di aver “rubato” il bambino alla sua famiglia

naturale.

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Page 94: Lisa Agosti

Cap. 2. METODOLOGIA DELL’ INDAGINE

SOCIOPSICOLOGICA

E REQUISITI PER L’IDONEITÀ ALL’ADOZIONE

Tra i passi obbligati dell’iter adottivo, è fondamentale l’indagine sociopsicologica

per la valutazione e la preparazione delle coppie aspiranti l’adozione. Intendo

approfondire questa fase del percorso adottivo, in quanto la ricerca che presento

successivamente è stata svolta presso i Servizi Sociali di Carpi. Uno dei servizi

offerti a Carpi è appunto la preparazione e la valutazione delle coppie che fanno

domanda di adozione al Tribunale per i Minorenni. Da 27 anni, l’assistente sociale

Lina Anticati, in coppia con una psicologa, che attualmente è Cinzia Sgarbi, conduce

l’indagine sociopsicologica con le coppie aspiranti, stilando infine la relazione

d’idoneità che verrà inviata al Tribunale per i Minorenni.

In questa sezione teorica non farò riferimento alla realtà specifica di Carpi; rimando

perciò alla sezione successiva la descrizione di un contesto reale, concentrandomi per

ora sulla metodologia usata nell’indagine sociopsicologica in qualsivoglia contesto

italiano, e sui criteri d’idoneità ricercati per la valutazione di tutte le coppie italiane.

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Page 95: Lisa Agosti

L’OPERATORE SOCIALE COME ESPERTO DEL TEMPO DELL’ATTESA

In ogni esperienza adottiva sono coinvolti gli operatori sociali. Durante il tempo

dell’attesa, dal momento della decisione di adottare un figlio al momento

dell’abbinamento, gli operatori sociali sono costantemente presenti.

Possiamo distinguere due squadre di operatori: coloro che si interessano del bambino

e quelli che accompagnano la coppia. Entrambe hanno un mandato a termine.

I primi sostengono il bambino:

- nella difficile fase della separazione dalla famiglia naturale;

- nei diversi contesti in cui trascorrerà il delicato tempo dell’attesa;

- durante il primo anno di inserimento nella famiglia adottiva.

Spesso gli operatori impegnati nelle diverse fasi di questo processo possono non

essere gli stessi.

Sarebbe invece consigliabile che lo stesso operatore seguisse un’adozione in tutto il

suo iter, per evitare che interventi di diverse figure rimangano scollegati, in quanto

appartenenti a Servizi diversi o a territori di diverse competenze, o altro. Questa

pluralità di interventi rischia di provocare confusione o disorientamenti che,

inevitabilmente, si ripercuotono sia nella relazione con il bambino che nelle decisioni

che lo riguardano.

Invece, la presenza di coordinamento dietro le strategie dei vari interventi produce

continuità e stabilità, a tutto favore del bambino.

Le figure professionali che seguono la coppia sono varie: assistenti sociali, psicologi,

giudici, eccetera.

Questo dipende dalla molteplicità delle procedure da effettuare:

- selezionare e valutare le attitudini psicologiche e educative della coppia;

- verificarne le condizioni socio-ambientali, l’idoneità psico-fisica;

- sostenere la coppia nel suo complesso percorso di maturazione.

Se non ci sono particolari difficoltà il “mandato “ di questi operatori si conclude alla

fine dell’anno preadottivo.

Dopo un anno di inserimento nel nuovo nucleo familiare, con il decreto di adozione

definitiva e l’assunzione del nuovo cognome della famiglia, l’appartenenza giuridica

del figlio alla famiglia è definitivamente sancita.

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Page 96: Lisa Agosti

Nei compiti degli operatori ci sono sia quelli riguardanti la valutazione dell’idoneità

genitoriale sia quelli di supporto alla coppia.

Gli articoli 6 e 22 della legge 184\83 prevedono che gli operatori “verifichino

l’idoneità ad educare, istruire e mantenere il minore che (la coppia) intende adottare”

e “indaghino per verificare se la coppia possiede le attitudini per educare il minore”,

valutare “la situazione personale ed economica, le condizioni di salute e l’ambiente

familiare degli adottandi e i motivi per cui si desidera adottare”.

I colloqui di consultazione hanno subito, negli ultimi anni, profonde trasformazioni:

da “selettivi” stanno diventando “incontri di maturazione” (D’Andrea, 2000). I temi

centrali dell’istruttoria erano, come suggerisce il nome, le procedure valutative e

selettive; i temi centrali dell’indagine sociopsicologica invece diventano:

- l’accoglienza della coppia;

- il sostegno ad affrontare la sua sofferenza;

- l’analisi dei bisogni degli adulti in relazione a quelli, prioritari, del bambino;

- la riflessione su cosa significa accogliere un bambino provato dal dolore della

separazione o dell’abbandono;

- lo stimolo a ritrovare risorse e potenzialità creative;

- la maturazione di motivazioni e atteggiamenti idonei per la scelta adottiva.

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Page 97: Lisa Agosti

L’OPERATORE SOCIALE COME FIGURA SENZA TEMPO

L’operatore, nei colloqui di selezione, deve iniziare il processo conoscitivo dalle

“radici” della coppia; il suo ruolo non è solo quello di colui che ascolta e osserva, ma

anche di mediatore in una situazione in cui è pregnante la mancanza: da un lato c’è la

coppia senza il bambino, dall’altro il fantasma di un bambino senza genitori

(Cavallo, 1995).

Questo ruolo è difficile, ma non inusuale: persino nel mito e nella storia sacra, infatti,

l’incontro tra un bambino senza genitori e una coppia senza figli è sempre reso

possibile e mediato dalla presenza di un personaggio “esterno”.

Ad esempio, nel mito di Edipo e nella storia biblica di Mosè, il pastore corinto e

l’ancella rispettivamente, trovato il bambino, lo conducono là dove sanno esserci

spazio per accoglierlo. Questa attività di mediazione richiede ovviamente che il

mediatore sia a conoscenza di uno spazio idoneo disponibile.

Possiamo, allora, considerare l’operatore psicologico un po’ simile a questo

personaggio: “egli, prima di raccogliere il fantasma del bambino che aleggia nel

luogo e nello spazio d’incontro e poterlo adeguatamente inserire, deve individuare un

“utero” all’interno della coppia che possa contenerlo ed accoglierlo. Deve cioè

valutare la capacità della coppia di pensare al bambino e tollerare la sofferenza che

spesso tale pensiero comporta, prima di poterne parlare” (Cavallo, 1995).

Condizione necessaria perché il delicato ruolo dell’operatore abbia successo è

l’instaurarsi di un rapporto di fiducia con la coppia, possibile solo se questa si sente

accolta, identificata e riconosciuta non come una delle tante che chiedono l’adozione,

ma come quella coppia di cui, da quel momento, l’operatore si fa carico in termini di

orientamento e di sostegno.

L’iter per ottenere un bambino in adozione è spesso vissuto dalle coppie come un

giudizio, limitativo del loro desiderio di essere genitori e dare amore ad un bambino

che non ne ha.

Perciò l’incontro con l’operatore è tendenzialmente ansiogeno quanto il rapporto con

l’istituzione, e può indurre la coppia, soprattutto nella fase iniziale, ad innalzare una

barriera difensiva rispetto alla possibilità di far emergere emozioni profonde, spesso

avvertite come negative e minaccianti l’agognata “idoneità”.

Soprattutto, le coppie si aspettano di dover rispondere a domande specifiche, non di

ritrovarsi nel mezzo di un colloquio psicologico.

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Page 98: Lisa Agosti

L’operatore, da parte sua, può sentirsi minacciato, manipolato, smarrito, attaccato

dalla coppia, per cui diventa importante per lui l’analisi delle emozioni circolanti: il

riconoscimento della difficoltà momentanea della coppia ed un atteggiamento di

ascolto partecipe possono utilmente portare a diluire gli incontri nel tempo,

favorendo così la creazione di uno spazio di relazione dove possano trovare posto

anche sentimenti di rabbia, paura, angoscia, dubbio, incertezza.

Questo intervallo di tempo è simbolicamente assimilabile al periodo della

gravidanza, perché, partendo dall’esplorazione delle motivazioni all’adozione, può

essere utilizzato per rivisitare la storia personale e familiare della coppia, per

elaborare e “riparare” insieme le eventuali situazioni traumatiche connesse e

condizionanti, seppure debolmente, la scelta adottiva (Cavallo, 1995).

Una volta ridotte le difese, la coppia è finalmente in grado di sperimentare la

dimensione emotiva e creativa del rapporto con l’altro, mettendo in gioco le proprie

risorse, la cui valutazione e mobilitazione è alla base del percorso di crescita verso

l’assunzione del ruolo genitoriale adottivo.

Nello scambio che si viene a creare l’operatore fornisce, a sua volta, un insieme di

informazioni di ritorno che possono essere utilizzate dalla coppia per eventualmente

rivedere la scelta adottiva alla luce dei nuovi elementi emersi e delle riflessioni svolte

in comune.

Il vuoto da cui spesso si parte deve potersi trasformare in capacità di fare spazio, e

solo successivamente in desiderio di accogliere il bambino; alcune coppie, una volta

identificati i motivi che li spingevano realmente all’adozione, rinunciano.

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Page 99: Lisa Agosti

I REQUISITI PER L’IDONEITÀ ALL’ADOZIONE

Oltre ai requisiti di natura oggettiva stabiliti dalla legge, gli operatori devono

accertare che i genitori siano in grado di educare, istruire e mantenere il bambino.

Questi requisiti sono di natura soggettiva, e la legge non li specifica meglio (Cavallo,

1995).

Gli operatori cercano di indagare:

1. La stabilità della coppia, cioè la solidità del rapporto, misurata sull’intesa e

l’armonia tra i coniugi.

2. La capacità pedagogica della coppia, cioè la disponibilità e l’attitudine ad aiutare

il bambino ad esprimere le proprie potenzialità.

3. La capacità affettiva della coppia, cioè di accoglienza e rispetto della persona del

bambino, dei suoi sentimenti e del suo vissuto.

4. La situazione socio-culturale dei coniugi, cioè il livello d’istruzione, il tipo di

lavoro svolto, l’eventuale impegno civile, la qualità del rapporto con il gruppo

amicale.

5. Lo stato di salute dei coniugi, che deve essere tale da non pregiudicare una

normale gestione domestica e da ridurre le capacità di accudimento e di

protezione.

6. L’ambiente familiare che circonda la coppia, cioè l’eventuale presenza in casa di

persone conviventi, l’esistenza di figli propri, la qualità del rapporto con il

circuito familiare allargato.

7. La motivazione all’adozione dei coniugi, sia essa personale (come la sterilità,

l’essere figlio adottivo, la perdita di un figlio naturale, l’avere fatto un voto), o

sociale (come l’aiuto ad una bambino abbandonato o la risposta emotiva ad

avvenimenti straordinari).

8. La capacità economica della coppia, intesa come titolarità di un reddito

sufficiente ad un decoroso tenore di vita.

A tutto ciò si aggiunge ogni altro elemento utile a poter conoscere la coppia,

finalizzato a valutarne le capacità genitoriali, in quanto le caratteristiche personali

possono acquistare una grande valenza in relazione alle esigenze di un determinato

bambino, come , ad esempio, svolgere un certo lavoro, praticare un certo sport,

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Page 100: Lisa Agosti

suonare un determinato strumento: avere insomma un interesse può aiutare molto

l’inserimento di un bambino che quell’interesse condivide.

C’è ora da chiedersi, tra tanti requisiti, quali siano considerati prioritari;

- Uno di questi è la capacità di adattamento, cioè la disponibilità sostanziale a

modificare i propri ritmi di vita e le proprie abitudini in funzione dell’arrivo in

casa del bambino. Ci sono coppie che sorprendono per il loro immobilismo, per

la totale monotonia di abitudini cristallizzate in lunghi e sempre uguali anni di

matrimonio, e per le quali vanno valutate più a fondo le dinamiche familiari.

- Un secondo requisito prioritario è la capacità di accettazione della realtà,

necessaria per confrontarsi con essa in maniera seria e costruttiva. Nel caso

dell’adozione, la realtà con cui la coppia non può esimersi dal confrontarsi è

costituita, da un lato, dalla storia pregressa del bambino, e dall’altro dai limiti

posti dalle sue potenzialità (Cavallo, 1995).

Scrive Giulia de Marco (1999), Presidente del Tribunale per i Minorenni di Torino:

“Non è dunque assolutamente sufficiente essere due brave persone, avere un lavoro,

desiderare di costruire una famiglia con figlio per essere genitori idonei all’adozione.

Bisogna avere forza morale per affrontare le difficoltà, essere aperti alle esperienze,

conoscere i propri limiti ma anche le proprie potenzialità, provare entusiasmo per la

vita, essere capaci di affrontare grandi cambiamenti senza lasciarsene travolgere,

amarsi all’interno della coppia in modo profondo, senza dubbi, senza timori, senza

insicurezze, essere capaci di comunicare i propri bisogni, i propri desideri, i propri

sogni, ma essere anche capaci di cogliere quelli degli altri, aver superato il trauma

della eventuale sterilità, affrontare l’adozione come scelta di una genitorialità che

altri non fanno o non vogliono fare, diversa ma non obbligata, né secondaria né

strumentale”.

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Page 101: Lisa Agosti

SETTING E MODALITÀ OPERATIVE

L’indagine sociopsicologica viene svolta nei Servizi Sociali con modalità peculiari a

seconda degli operatori che se ne occupano; ci sono però delle regole generali che

accomunano tutti i contesti.

Il percorso avviene di norma in 6\7 colloqui della durata di 75 minuti circa.

L’obiettivo che ci si pone è di valutare le capacità genitoriali e le attitudini

psicologiche rivolte a un bambino in stato di abbandono.

I punti costitutivi del setting sono pertanto i seguenti:

Chiarificazione iniziale del percorso operativo.

Questa fase iniziale è tesa non solo a dare informazioni sul percorso (sui vari

colloqui e sui principali obiettivi conoscitivi che all’interno di questi ci si prefigge),

ma anche a riposizionare ed aggiustare alcune fantasie della coppia sull’iter

dell’istruttoria, spesso erronee o ingigantite in senso negativo.

Un colloquio o due per conoscere la storia individuale di ciascun membro della

coppia.

Tali colloqui vengono svolti alla presenza di entrambi i membri e sono finalizzati a

conoscere l’infanzia del soggetto, le sue prime relazioni amicali, i vissuti relativi alla

genitorialità e la socializzazione primaria. Il soggetto è invitato poi a raccontare la

sua adolescenza e la sua giovinezza. L’obiettivo, da un punto di vista psicologico, è

quello di far emergere i modelli affettivi ed educativi interiorizzati dal soggetto.

Un colloquio per conoscere la storia della coppia.

Si invita la coppia a raccontarsi, dal primo incontro all’innamoramento, fino alla

decisione di unirsi in matrimonio. Questo colloquio ha lo scopo di evidenziare i

processi di collusione di coppia, il grado di progettualità, e la consistenza della

“membrana diadica” della coppia.

Un colloquio relativo all’analisi dei processi di elaborazione del lutto e delle

successive modalità riparatorie.

In particolare, si analizza il percorso che, muovendo dalla procreazione biologica,

approda all’analisi dei significati della “procreazione affettiva”.

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Page 102: Lisa Agosti

Un colloquio per saggiare la capacità di immaginarsi il futuro.

Lo scopo che ci si propone è l’analisi dei significati relativi al tema della rivelazione

dell’origine, al rischio della cancellazione della memoria, alla presentificazione dei

bisogni del bambino in stato di abbandono, attraverso anche momenti di simulazione

e gioco fatto fare alla coppia.

Si utilizza in questa fase un compito che entrambi i coniugi, separatamente, devono

preparare a casa per l’incontro successivo: il “Diario della famiglia futura

commentata”. Si tratta di raccontare una giornata di 5 anni dopo, immaginando

liberamente come sarà allora la propria vita.

Un colloquio specifico per la richiesta di adozione internazionale.

In questo caso specifico, è necessario affrontare le tematiche relative al doppio

trauma (abbandono della famiglia d’origine e abbandono della cultura d’origine), alla

presentificazione delle problematiche connesse alle diversità somatiche, eccetera.

Restituzione finale, tesa ad informare la coppia sul contenuto della relazione che

verrà inviata al Tribunale con i dati raccolti.

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Page 103: Lisa Agosti

IL RAPPORTO COPPIA - OPERATORI

Lo scopo principale che gli operatori si prefiggono nel corso dell’indagine

sociopsicologica è la crescita della coppia; si cerca uno sviluppo della coppie che le

permetta, all’occorrenza, di riuscire ad accettare e tollerare anche un esito negativo

rispetto alle aspettative iniziali se, insieme, si è costatata una non idoneità.

L’importante è che la coppia si senta seguita e sostenuta dagli operatori, che li veda

dunque come compagni di viaggio, e non come nemici o come sguardi indagatori

sulla loro vita privata e sul loro dolore.

Il fine degli operatori è diventare per i coniugi non semplici rappresentanti del

Tribunale o giudici dei successi e insuccessi da loro raggiunti come coppia; si

vorrebbe che le coppie li percepissero come “esperti” che, attraverso una relazione

d’aiuto, sono in grado di valutare insieme a loro la validità della scelta adottiva.

Purtroppo alcune coppie vivono lo studio di coppia come una superflua “radiografia

psicologica”, e si sentono sottoposte ad un giudizio da cui dipenderà l’esito della loro

domanda.

Di conseguenza mostrano un atteggiamento poco collaborativo, “mascherato”;

pensano di dover fare “bella figura”, di dover dare le “risposte giuste”; tentano di non

far trasparire nessuna divergenza o conflitto, tentano di dare all’operatore

l’impressione di essere una “coppia perfetta”.

La dimostrazione dello sforzo messo in atto si riflette nella ritrosia mostrata dalle

coppie una volta ottenuta l’idoneità; gli operatori ne sono consapevoli, e io stessa ne

ho potuto intuire la portata quando, durante i primi incontri con gli operatori di

Carpi, si discuteva su come realizzare il nostro progetto.

Tra le varie finalità proposte, si desiderava creare uno spaccato sulla realtà delle

adozioni che potesse in parte servire ai genitori adottivi. Sarà soddisfacente lavorare

per restituire ai genitori un resoconto del loro cammino, ma oltre alle ricerche che

effettivamente poi sono state realizzate, sarebbe stato utile raccogliere testimonianze

dirette dai genitori stessi, su come avevano vissuto il periodo dell’attesa, o ancor più

su come si stava evolvendo la loro nuova famiglia.

Gli operatori del Servizio però hanno sconsigliato questo progetto di ricerca,

spiegandoci che sarebbe stato molto penoso per i genitori dover affrontare di nuovo

un’intrusione in quella che finalmente era la loro vita privata, con un bambino che

finalmente, a tutti gli effetti, era loro figlio.

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Page 104: Lisa Agosti

Tornando all’indagine sociopsicologica, per fortuna non tutte le coppie pretendono di

dimostrare di essere “genitori perfetti”; i colloqui di consultazione perdono il loro

significato angosciante e persecutorio quando la coppia si accorge, dalle parole e

dagli atteggiamenti degli operatori, che questi non inseguono “fantasmi ideali”, ma

cercano due genitori idonei a prendersi cura di un bambino, che ha avuto

un’esperienza di dolore, per permettergli di continuare a vivere la sua condizione di

figlio.

La coppia, se si sente accolta e rassicurata, esce dalla convinzione di “dover

apparire” perfetta, diventa collaborativa e spontanea, e si affida agli operatori,

disponibile ad affrontare il tema difficile della sofferenza.

In questo clima gli operatori possono indagare anche gli stili di attaccamento

individuali dei coniugi, per predire quale potrebbe essere lo stile d’attaccamento con

un eventuale figlio. Nella vita di coppia l’interazione tra gli stili di attaccamento

individuali crea un modello dinamico che, in un processo circolare, influenza la

qualità del rapporto di coppia e ne è allo stesso tempo influenzato (De Amicis,

Metitieri, Rossi, 2002). Per lo psicologo è dunque fondamentale indagare ed

osservare lo stile di attaccamento dei singoli partner e quello che si è generato

all’interno della coppia, con una particolare attenzione ai tipi di attaccamento

ricorrenti nelle varie situazioni. Naturalmente, il fattore prognostico più positivo per

il buon fine di un’adozione è lo stile di attaccamento sicuro, in ragione del fatto che

se una coppia ha saputo integrare i propri stili di attaccamento nel rapporto

coniugale, sarà presumibilmente in grado anche di integrarsi nel rapporto col

bambino, proponendogli modelli di attaccamento sufficientemente sicuri.

Uno stile di attaccamento sicuro è desumibile dalla presenza di una comunicazione

aperta e dalla capacità di negoziare in quanto tali criteri correlano. È necessario che i

genitori siano consapevoli che anche il figlio adottivo arriva con la sua dotazione in

termini di modelli di attaccamento e probabilmente con la sperimentazione di una

lunga serie di distacchi ed abbandoni precedenti. Le modalità con cui il bambino

esprime i suoi comportamenti di attaccamento vengono tendenzialmente lette dai

genitori adottivi in base ai propri codici affettivi, mentre la cultura nella quale il

bambino è stato immerso può prevedere comportamenti differenti dal punto di vista

del coinvolgimento emotivo, della regolazione della vicinanza/distanza fisica, del

grado di autonomia richiesto o concesso. Anche se i genitori adottivi hanno studiato

la cultura di provenienza del bambino, tale conoscenza non sostituirà mai la capacità

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Page 105: Lisa Agosti

empatica di leggere i segnali del figlio e di rispondervi adeguatamente al di là degli

stereotipi culturali e dei propri stili personali di attaccamento.

In un clima disteso gli operatori possono portare i futuri genitori alla consapevolezza

dei propri stili di attaccamento e della prova che li aspetta nel momento in cui

dovranno confrontarsi con lo stile di attaccamento già interiorizzato dal figlio.

In un clima di fiducia inoltre la coppia si sente libera di manifestare le proprie

diversità naturali, i dubbi, le paure, le aspettative; tutto ciò che inizialmente

pensavano di dover nascondere.

Questo è il clima adatto per raggiungere gli obiettivi che questi colloqui si

prefiggono.

La coppia, dopo aver vissuto il dolore per la propria sterilità e la frustrazione per non

essere riuscita a superare questo limite con l’aiuto della scienza, può arrivare a

presentare la domanda di adozione in una condizione di forte bisogno: il bisogno,

appunto, di un figlio.

Anche se questo è espressione di un’aspirazione naturale, abbiamo visto come tale

bisogno può esasperarsi sotto il vincolo di aspettative rigide e di pregiudizi sociali.

L’obiettivo primario che la consultazione sociale e psicologica deve raggiungere,

allora, è quello di aiutare la coppia a separarsi dalla rigidità di questo bisogno e

stimolarla a maturare “la fecondità del desiderio” di essere dei genitori.

Questo cammino è spesso non facile, ma porta la coppia a sentirsi completa, le

permette di risentirsi di nuovo “creativa e feconda”, le fa trovare dentro di sé risorse

vitali da investire in una relazione genitoriale.

Il figlio reale che i genitori incontreranno ha bisogno di questo desiderio (Cavallo,

1995).

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Page 106: Lisa Agosti

VERSO IL FUTURO: PROPOSTE OPERATIVE

La letteratura non sempre è così ottimista come gli autori a cui ho fatto riferimento

sinora riguardo la procedura prevista per condurre l’indagine sociopsicologica. Ad

esempio Morral Colajanni (1997), in “Adottiamo un bambino?”, denuncia come

insufficienti e non adeguate le procedure preadottive utilizzate solitamente. Per

ovviare a questa carenza, propone agli operatori un iter pilota innovativo, che

coinvolgerebbe le coppie aspiranti l’adozione.

L’autrice sostiene che talvolta l’indagine sociopsicologica può apparire alle coppie

come intrusiva, ossessiva, fiscale. Per quanto sofisticate, le tecniche usate possono

risultare poco adatte a valutare l’idoneità di una coppia.

Il progetto pilota proposto è molto originale: si propone al marito e alla moglie che

stanno effettuando l’indagine sociopsicologica di intraprendere per un’ora alla

settimana l’osservazione partecipante frequentando una famiglia adottiva, durante

nove mesi di tempo. Lo scopo è permettere ai futuri genitori di osservare il bambino

nel nuovo ambiente, l’impatto su di esso così come l’impatto della sua presenza nella

famiglia adottiva.. Il membro della coppia presente osserverebbe senza interferire

nella vita della famiglia, partecipando discretamente o dando un aiuto. Durante

quell’ora, gli sarebbe richiesto di essere attivo e attento mentalmente all’osservazione

delle dinamiche e alle emozioni che si instaurano nel rapporto bambino – famiglia, di

essere mentalmente pronto a rivolgere una grande attenzione alle dinamiche ed

emozioni che suscita l’osservazione, registrandole mentalmente senza mai

esplicitarle nel contesto familiare

Contemporaneamente, sarebbe richiesto alle coppie aspiranti di incontrarsi in gruppo

con le altre coppie in osservazione una volta alla settimana, per commentare con

l’operatore ciò che hanno pensato e provato.

Secondo Morral Colajanni, questa modalità d’intervento darebbe l’opportunità alla

coppia di confrontare il bambino ideale da loro immaginato con il bambino reale con

i suoi bisogni specifici. Misurandosi con questa realtà le coppie potrebbero testare la

loro disponibilità di fronte alle situazioni che si producono all’inserimento di un

bambino in un ambiente familiare nuovo, situazione che spesso non è priva di

conflitti.

Questa preparazione aspira ad essere vicina alla situazione di gravidanza biologica.

Sarebbe come una “gravidanza adottiva”, che permetterebbe agli aspiranti genitori di

106

Page 107: Lisa Agosti

mettersi mentalmente ed emotivamente in contatto con il mondo del bambino e col

proprio mondo interno.

Per valutare l’idoneità della coppia gli operatori avrebbero la disponibilità di seguire

un percorso di questo genere e di valutare la capacità empatica mostrata verso il

mondo interno del bambino.

Dopo l’idoneità le coppie troverebbero nell’esperto che le ha seguite un punto di

riferimento per il periodo postadottivo.

Un’altra proposta operativa per rendere sempre più efficiente il lavoro svolto dagli

operatori che si occupano dell’indagine sociopsicologica deriva dall’analisi delle

interviste condotte dalla dottoressa Daria Vettori e dalla dottoressa Ivana Pinardi con

le coppie aspiranti l’adozione nel contesto dell’Asl 9 di Reggio Emilia.

Come già ho sottolineato nel capitolo su “La favola dei genitori aspiranti

l’adozione”, l’analisi dei dati della ricerca condotta ha mostrato una netta

separazione tra il percorso attuato con il Servizio e la realtà vissuta dalle coppie.

Dalle esigenze emerse nascono le seguenti proposte operative:

MOMENTO INFORMATIVO

- iniziative pubbliche e attività di sensibilizzazione sul tema dell’adozione

nazionale e internazionale (conferenze aperte e opuscoli rivolti direttamente alle

coppie interessate, coinvolgimento del settore scolastico, pediatrico,

consultoriale);

- gruppi informativi in cui le coppie possano trovare risposta ai loro interrogativi.

Momento di primo confronto con le proprie fantasie e con quelle di altri, ed

anche primo dato di realtà. Consegna di cartelle contenenti alcuni articoli ed

indicazioni bibliografiche riguardanti il tema dell’adozione, i passaggi più

significativi della legge 184/83, le tappe fondamentali dell’iter con il Servizio,

comprese le indicazioni sulla documentazione e gli esami da fare.;

- fornire indicazioni sui Canali possibili, in modo da essere indirettamente punto

di riferimento anche nella fase dell’abbinamento: creazione di un elenco degli

Enti riconosciuti, per evitare il più possibile la scelta di strade irregolari e

fenomeni di “compravendita” di bambini.

107

Page 108: Lisa Agosti

MOMENTO FORMATIVO

Nelle interviste si avverte la grande solitudine provata dalle coppie durante il

percorso dell’adozione. La sensazione di essere sprovveduti induce una ricerca di

qualcuno che possa aiutare ad affrontare le problematiche emergenti, con il quale

condividere non solo i problemi, ma le emozioni.

Unici interlocutori possibili sono le altre coppie che hanno fatto o stanno facendo tale

percorso.

Ciò che molte coppie richiedono è la possibilità di avere un momento di incontro con

questi “compagni di viaggio”.

Gli “esperti” sono ritenuti utili per conoscere, per “saperne di più”, ma solo chi porta

dentro di sé questa esperienza può “condividere” e comprendere.

Per questo motivo si propone:

- formazione di “Gruppi di incontro” tipo self-help, ai quali potrebbero partecipare

tutti quelli che hanno ricevuto l’idoneità ma anche coppie genitoriali che hanno

avuto l’abbinamento già da diversi anni. Potrebbe partecipare uno psicologo per

facilitare l’avvio del gruppo, che poi assumerebbe il ruolo di supervisore esterno,

disponibile solo su richiesta del gruppo. Si potrebbero prevedere temi specifici

scelti e affrontati dal gruppo che dovrebbe provvedere all’eventuale

coinvolgimento di un esperto dall’esterno;

- maggiore informazione e formazione degli operatori sui percorsi possibili, per

affrontare la necessità di modificare le aspettative degli utenti e fare in modo di

offrire reali occasioni di sostegno, non limitando l’intervento alla sola

valutazione e vigilanza. Offrire agli operatori la possibilità di un confronto

costante all’interno della stessa realtà territoriale, con una eventuale

supervisione, senza escludere la possibilità di fare incontrare realtà differenti,

nazionali ed internazionali, che intervengono in questo stesso ambito.

Il culmine del percorso intrapreso dalle coppie e dagli operatori nell’indagine

sociopsicologica è la stesura della “relazione d’idoneità” da inviare al Tribunale per i

Minorenni.

Il prossimo capitolo è dedicato a questo importante passo dell’iter adottivo.

108

Page 109: Lisa Agosti

Cap. 3. LA RELAZIONE D’IDONEITÀ

DEI GENITORI ASPIRANTI L’ADOZIONE.

IL CULMINE DI UN PERCORSO FORMATIVO.

FORMA E CONTENUTO

La relazione che gli operatori inviano al Tribunale per i Minorenni rappresenta sia

una sintesi del lavoro svolto con le coppie, sia un’ulteriore riflessione ed

elaborazione del lavoro svolto dagli operatori; il fine della relazione è restituire al

giudice, in modo sintetico ma chiaro, il materiale elaborato con e su i coniugi circa la

loro consapevolezza della scelta adottiva e possibilità di realizzarla con ragionevoli

probabilità di successo.

Dice Grimaldi (1996), specialista in pediatria e neuropsichiatria infantile, con

trent’anni di esperienza nei Servizi pubblici territoriali:

“Nel corso degli anni più volte ci siamo fermati a riflettere su come scrivere,

soprattutto quando la decisione del Tribunale per i Minorenni sull’idoneità di una

coppia sembrava contrastare con la valutazione da noi effettuata; a volte, rileggendo

la relazione a suo tempo inviata, ci siamo accorti che in alcuni casi essa poteva essere

stata fraintesa in quanto non sufficientemente chiara nell’esprimere dubbi e

perplessità.

La riflessione su tali fraintendimenti ci ha quindi consigliato una particolare

attenzione, non solo ai contenuti ma anche allo stile e al linguaggio che vengono

usati.

Riteniamo infatti che la competenza specifica in campo professionale non dovrebbe

indurre all’uso di un gergo tecnico, che potrebbe essere malinteso in quanto lo scritto

è indirizzato a tecnici diversi.”

È ovvio che la soggettività ha un ruolo di grande rilevanza nel contesto della

selezione delle coppie. In particolare, per l’adozione nazionale la relazione ha il

valore di una “disponibilità all’adozione”, mentre per l’adozione internazionale la

relazione contiene un giudizio, positivo o negativo, sulla capacità delle coppie ad

assumere un ruolo genitoriale verso un bambino di diversa nazionalità.

La relazione deve essere esauriente per permettere al Tribunale di creare un

abbinamento ad hoc, ma non deve essere offensiva nei confronti dei genitori, che ora

109

Page 110: Lisa Agosti

possono richiedere una copia della relazione che li riguarda. Questa trasparenza può

essere difficilmente conciliabile con il dovere di informare il giudice riguardo

eventuali dati negativi emersi durante l’indagine sociopsicologica.

Nel caso di una mancata idoneità, i Servizi Sociali possono trovarsi ad affrontare una

coppia già pronta a presentare ricorso in Corte d’Appello e che desidera leggere la

relazione stilata per il Tribunale.

La coppia conoscerebbe il contenuto della relazione in un momento in cui è molto

arrabbiata e, quindi, particolarmente predisposta a fraintendere ed a sentirsi

attaccata.

È fondamentale, pertanto, che nella relazione non siano contenuti giudizi sulle

persone e che non venga riportato nulla che non sia stato affrontato con la coppia

durante gli incontri.

Grimaldi (1996) elenca gli elementi più sostanziali che la relazione dovrebbe

contenere:

1. Introduzione in cui sia specificato: chi è intervenuto, in che modo e quante

volte;

2. Materiale descrittivo e dati di realtà che sostanzino la valutazione, fornendo al

giudice gli elementi di base ai quali essa viene espressa. “Va comunque tenuto

presente che, per quanto i dati siano obiettivi, l’inevitabile scelta di essi tra i

tanti rilevati comporta già una loro lettura, più o meno consapevole, da parte

degli operatori”;

3. La lettura, in termini professionali, delle vicende dei coniugi, sia personali che

di coppia. È soprattutto tale interpretazione, infatti, formulata dagli operatori a

fini predittivi delle loro capacità genitoriali, che il giudice chiede al Servizio;

4. Una conclusione contenente una sintesi della valutazione espressa dagli

operatori.

110

Page 111: Lisa Agosti

LE LEGGI: NEMICHE-AMICHE PER COPPIE E OPERATORI

Recita la legge 149\01:

- L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i

coniugi non deve sussistere e non deve aver avuto luogo negli ultimi tre anni

separazione personale neppure di fatto.

- I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e

mantenere i minori che intendano adottare.

- L’età degli adottandi deve superare di almeno 18 anni e di non più di 45 anni l’età

dell’adottando. Il requisito della stabilità del rapporto di cui al comma 1, può

ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e

continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il

Tribunale dei Minori accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avendo

riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.

Oltre ai dati anagrafici di età e matrimonio, è inserito nella nuova legge un concetto

non facilmente controllabile: la qualità della coppia, sia per quanto riguarda le sue

“capacità affettive”, sia per quanto riguarda la sua solidità interna.

Non è semplice chiarire, usando un gergo legislativo, argomenti che richiederebbero

quaderni di parole; ritengo che questo sia il caso del termine “qualità della coppia”.

Per quanto riguarda la “solidità interna” di una coppia, sicuramente l’essere stati

sposati senza separazioni neppure di fatto per più di tre anni può apparire un criterio

sufficiente.

Ma le ultime ricerche ISTAT (diffuse nel gennaio 2002) sulla coppia italiana

rivelano un dato imprevisto: ci si separa soprattutto al dodicesimo anno di

matrimonio. Di conseguenza, se l’adozione è avvenuta durante i primi tre anni di vita

del bambino, ci sarebbe una percentuale elevata di probabilità che i genitori si

separassero proprio durante il periodo difficile della sua pre-adolescenza. Il

matrimonio allora può non significare ragionevole certezza di stabilità della coppia e

il legislatore lo sa, ammettendo alla possibilità di adottare anche coppie di fatto che

regolarizzino il loro rapporto davanti alla società, purché siano capaci di dimostrare

la loro solidità.

La legge 149\01 ha innalzato soprattutto la differenza di età tra la coppia e il

bambino, che si spinge fino a quarantacinque anni dal genitore più giovane (se l’altro

non supera i dieci anni di differenza dal coniuge). Probabilmente, però, le coppie più

111

Page 112: Lisa Agosti

giovani saranno guardate con maggior attenzione e, dato il divario numerico tra le

dichiarazioni di disponibilità e il numero di adozioni attuate, i meno giovani

potrebbero essere lasciati in attesa di un figlio fino a farne scadere la domanda.

Anche davanti a questo rischio però la nuova legge lascia una speranza: “costituisce

un criterio preferenziale ai fini dell’adozione l’avere già adottato un fratello

dell’adottando o il fare richiesta di adottare più fratelli, ovvero la disponibilità

dichiarata all’adozione di minori che si trovino nelle condizioni indicate all’art. 3,

comma 1, della legge 5\2\92, n. 104, concernente l’assistenza, l’integrazione sociale

e i diritti delle persone handicappate” (art. 6, comma 7, legge 149).

In parole più semplici, se si è disponibili a adottare più fratelli o un bambino disabile

o anche ragazzini con un’età superiore ai sei anni, aumentano le probabilità di

ottenere un abbinamento.

La disponibilità che le coppie offrono è l’unico criterio oggettivo per essere valutati

dagli operatori. Se la relazione riporta che la coppia si sente in grado di accogliere

come figlio\a solo bimbi piccolissimi e normali a tutti gli effetti, deve essere

informata che le possibilità di coronare tale sogno sono poche: solo il trenta per cento

dei bambini adottabili è posto in adozione dopo l’abbandono in ospedale, a parto

concluso. Tutti gli altri sono figli di persone che prima di abbandonarli o prima di

essere stati costretti a lasciarli hanno cercato di tenerli con sé come potevano e quindi

se i bambini arrivano all’adozione in età prescolare, già sono considerabili “piccoli”.

In realtà gli operatori, nel decidere se concedere l’idoneità a una coppia, hanno

sempre preso in considerazione parametri quali l’età dei coniugi, la loro maturità, la

loro salute, la loro condizione economica e culturale, il loro equilibrio, la solidità del

loro rapporto, eccetera.

“Davanti a persone palesemente inadeguate, il compito dei Servizi Sociali è meno

arduo. Ma nel caso di persone che vengono scartate solo perché, in perfetta onestà,

raccontano di tutto ciò che le ha fatte soffrire nella vita, ci sembra che il criterio di

giudizio sia spesso opinabile.

Nel rapporto con i figli si è presenti con la sfera emozionale, affettiva e intellettiva,

ma quando ci si reca presso i Servizi Sociali per avere l’idoneità, è molto facile che

intelligenza e cultura dell’aspirante genitore finiscano per avere un ruolo

preponderante” (Grimaldi, 1996).

112

Page 113: Lisa Agosti

Le relazioni d’idoneità, oltre alle difficoltà legate alla soggettività cui sono soggette e

ai limiti imposti dalla legge, devono superare un’altra difficile prova per trasformarsi

in un reale abbinamento.

“Un luogo comune molto pericoloso, perché apparentemente fondato su numeri,

circola nei Tribunali dei Minori: bisogna sfrondare il numero delle offerte di

disponibilità, per giungere agli abbinamenti tra bambini e adulti. Le domande di

adozione sono circa dieci volte superiori al numero dei bambini adottabili in Italia e

quindi bisogna escludere tante coppie. Chi si ritira alla prima difficoltà non è davvero

motivato…” (Forcolin, 2002).

Sbagliare nel concedere o negare l’idoneità è umano e forse inevitabile: nemmeno il

più esperto psicologo può prevedere l’evoluzione delle singole persone e delle

coppie, ma bisogna chiedersi se è giusto rispondere ai molti casi di abbinamenti

sbagliati o di rifiuto di minori già adottati divenendo sempre più restrittivi nella

scelta delle coppie. L’idoneità all’adozione internazionale, in particolare, può

permettere un cambiamento di vita a minori che si trovano in condizioni terribili.

Sottraendosi alla logica per cui le offerte di disponibilità dovrebbero essere

“sfrondate”, anzi, ribaltandola, l’attuale Presidente della Commissione per le

Adozioni Internazionali, Melita Cavallo, ha recentemente dichiarato: “io credo sia

nostro compito riuscire a rendere attuabile l’adozione da parte di tutte le coppie che

hanno ottenuto il decreto di idoneità. […]

Se ci saranno seimila genitori idonei, noi dovremo rendere possibile l’accoglienza

per seimila bambini”. Considerando che le coppie ritenute idonee all’adozione

internazionale sono state nell’anno 2000 più di cinquemila e che il fenomeno è in

continua ascesa, la Presidente non si discosta molto dalle possibilità reali. Finora

però le cose sono andate diversamente: nello stesso 2000 gli affidamenti preadottivi

sono stati 2873.

113

Page 114: Lisa Agosti

L’IDONEITÀ ALL’ADOZIONE INTERNAZIONALE

Continuando con questo sguardo mirato sull’adozione internazionale, un’attenzione

particolare merita la situazione delle coppie di cui si riporta nella relazione: “Si

dichiarano disponibili all’abbinamento con un minore straniero”.

Per consegnare al giudice un documento utile per la decisione di affidare alla coppia

un bambino di diversa nazionalità, gli operatori devono indagare nel corso

dell’indagine sociopsicologica, e riportare nella relazione, dati più dettagliati

riguardo certe aree e capacità di cui si è discusso con la coppia. Tali aree sono

rinvenibili dall’art. 16 della Convenzione dell’Aja, in cui viene evidenziata la

necessità di porre attenzione anche al contesto socioculturale in cui il bambino andrà

a vivere.

“Per poter superare l’inevitabile crisi di un cambiamento totale di punti di

riferimento, sia affettivi che normativi, egli ha infatti bisogno di trovare intorno a sé

persone – e non solo genitori – che lo accettano per quello che è e quindi anche

nell’identità personale ed etnica che è venuto sviluppando altrove e di constatare che

alle persone adulte dell’etnia a cui appartiene viene riservata una accoglienza

positiva che gli può garantire di essere accettato anche in futuro, quando sarà adulto”

(Dell’Antonio, 2001).

L’idoneità all’adozione viene pertanto vista come possibilità di garantire al bambino

di vivere in ambiente adeguato per il suo sviluppo psicosociale: non quindi in

rapporto ad un preciso status quo dei futuri genitori adottivi nel momento in cui

chiedono di adottare, ma come garanzia che essi gli possono dare di percorrere con

loro un cammino migliore di quello precedente.

Come già detto, secondo Melita Cavallo (e buona parte dell’opinione pubblica), per

garantire a un bambino abbandonato un “cammino migliore di quello precedente” è

sufficiente qualsiasi coppia italiana che si dichiari disponibile all’adozione

internazionale e che abbia i minimi requisiti richiesti, in termini economici e di

capacità affettiva.

Non tutti gli operatori che stilano la relazione d’idoneità, né i giudici che decidono

degli abbinamenti, condividono però questa posizione:

“Si assiste oggi in Italia ad un divario metodologico nel determinare l’idoneità delle

coppie ma soprattutto ad una marcata disomogeneità tra i Tribunali per i Minorenni

114

Page 115: Lisa Agosti

delle percentuali di accoglimento delle domande di idoneità che vengono loro

rivolte” (Dell’Antonio, 2001).

C’è dunque una diversità non lieve di percentuali di idoneità concesse nei vari

Tribunali per i Minorenni rispetto alle domande di adozione internazionale ad essi

rivolte.

Si incontrano infatti percentuali che vanno dal 49% al 99%, con una collocazione dei

Tribunali per i Minorenni più intransigenti prevalentemente al Nord (a parte Brescia

col 96% e Trieste col 90%) e di quelli più indulgenti al Sud (tranne Potenza e Lecce).

I Tribunali del Centro Italia si situano in una posizione intermedia, con una

percentuale di idoneità concesse nell’ambito del 70-80% dei casi.

Non vi sono peraltro correlazioni tra entità del lavoro di valutazione svolto e

percentuali di idoneità concesse: i Tribunali per i Minorenni di Milano e Roma, per

esempio, che hanno procedure simili perché si avvalgono oltre che dell’opera dei

Servizi degli Enti locali anche di questionari e di una équipe interna di giudici

onorari, hanno percentuali di idoneità molto diverse (rispettivamente il 58,19% e il

76,74%) mentre percentuali simili a Roma ha Bologna che demanda sostanzialmente

ai Servizi esterni ogni valutazione sugli aspiranti genitori adottivi.

Si deve infine considerare che sulla dichiarazione di idoneità all’adozione

internazionale da parte dei Tribunali per i Minorenni ha non poca influenza il fatto

che chi non l’ha ottenuta può ricorrere alla Corte d’Appello e che in quella sede, a

detta dei Presidenti dei Tribunali per i Minorenni, l’idoneità viene largamente

concessa su tutto il territorio nazionale (Dell’Antonio, 2001).

Oltre ai Servizi Sociali, un altro organo deputato alla preparazione delle coppie

aspiranti l’adozione sono gli Enti Autorizzati, il cui lavoro va a integrarsi con i

bisogni delle coppie e le richieste delle leggi italiane, nonché con le richieste e le

legislazioni dei Paesi di provenienza dei minori.

115

Page 116: Lisa Agosti

Cap. 4. GLI ENTI AUTORIZZATI

La legge prevede che, per i richiedenti l’adozione internazionale, il percorso adottivo

comprenda il passaggio attraverso un Ente autorizzato, scelto dalla coppia.

Gli Enti svolgono il loro ruolo occupandosi dei seguenti passaggi dell’iter adottivo:

- ricevono l’incarico dagli aspiranti l’adozione;

- curano la pratica all’estero;

- informano sull’esito dell’abbinamento la Commissione per le Adozioni

Internazionali;

- collaborano con i Servizi in Italia a sostegno del nucleo adottivo.

IL RAPPORTO CON I SERVIZI SOCIALI

La legge 476/98 afferma che le attività di preparazione delle coppie aspiranti

l’adozione siano svolte dai Servizi “anche in collaborazione con gli Enti autorizzati”.

Servizi ed Enti devono operare in stretta collaborazione gli uni con gli altri, “il che

esige un mutamento di mentalità ed il superamento di antiche gelose autonomie

difese ad ogni costo, in entrambi i soggetti, e una capacità collaborativa del tutto

nuova” (Sacchetti, 2002). Un’attività preparatoria all’adozione internazionale, così

come delineata dalla legge, implica di necessità che Servizi ed Enti autorizzati

sappiano svolgere un lavoro integrato in cui si riconoscano le rispettive competenze e

professionalità e si sviluppino strategie di intervento comuni. La nuova legge

sull’adozione internazionale chiede perciò a tutti gli operatori una più attenta

riflessione su come articolare il proprio lavoro per attuare nel modo migliore il diritto

dei soggetti all’informazione e ad un’adeguata preparazione all’adozione.

“Ci auguriamo che non solo ciò sia possibile in questo settore ma che l’applicazione

di questa nuova legge costituisca una straordinaria occasione per sviluppare anche in

altri settori interessanti la condizione minorile una revisione culturale degli operatori

minorili sulle modalità del proprio impegno ed una nuova capacità di lavoro comune

integrato tra soggetti che troppo spesso appaiono ancora chiusi nelle proprie

reciproche onnipotenze ed autarchie” (Sacchetti, 2002).

116

Page 117: Lisa Agosti

I CORSI

Gli Enti devono attivare corsi di preparazione per le coppie aspiranti l’adozione.

Nel Bollettino Ufficiale dell’Emilia Romagna, anno 33 n. 35 del 28/02/02, si

specifica che i corsi devono soddisfare i seguenti criteri di qualità:

1) Esaustività.

2) Congruità. (Avere una durata non inferiore a 12 ore e prevedere la

partecipazione di un numero di coppie non inferiori a 5 e non superiori a 10).

3) Integrazione delle competenze. (Prevedere la partecipazione di esperti di diversa

matrice professionale ed istituzionale).

4) Attenzione all’utente. (Prevedere orari e modalità tali da soddisfare il più

possibile le esigenze dei partecipanti).

In particolare, riferendoci alla realtà di Carpi, in cui è stata svolta la ricerca che

segue, “la Regione Emilia Romagna si impegna ad incentivare le predette

iniziative formative erogando un contributo per ogni corso realizzato, in grado di

soddisfare anche i seguenti criteri:”

5) Territorialità.

6) Gratuità.

Gli obiettivi dei corsi sono così specificati (Fadiga, 1999):

- aiutare la coppia a realizzare un processo di maturazione verso una competenza

genitoriale ed una capacità di essere coppia, ancora più profonde e salde di

quanto normalmente richiesto ai genitori naturali;

- aiutare la coppia a introiettare un concetto di accoglienza ispirato ai principi di

sussidiarietà e di centralità dei bisogni del bambino;

- accrescere la conoscenza che essa ha degli aspetti peculiari legati all’esperienza

dell’adozione nazionale e internazionale e, in particolare, delle tappe del

percorso adottivo;

- sviluppare la consapevolezza da parte delle coppie della valenza di aiuto e di

sostegno degli interventi svolti dai Servizi;

- sollevare la fase dell’indagine sociopsicologica, dalle valenze pedagogico –

formative, al fine sia di meglio focalizzare l’intervento sulla conoscenza della

coppia, la valutazione delle sue competenze e lo studio dell’abbinamento

possibile, che di garantire il rispetto dei tempi previsti;

117

Page 118: Lisa Agosti

- realizzare una integrazione di competenze tra Servizi territoriali ed Enti

autorizzati e tra questi e il Tribunali per i Minorenni;

- pervenire nell’arco di un triennio a soddisfare il bisogno formativo delle coppie.

118

Page 119: Lisa Agosti

IL CIAI: UN ESEMPIO DI ENTE AUTORIZZATO

Sulla base dei ruoli richiesti per legge agli Enti autorizzati, il CIAI (Centro Italiano

Adozione Internazionale) si è organizzato per preparare, attraverso percorsi

informativo – formativi, le famiglie che si apprestano ad accogliere un bambino

straniero. Questa associazione opera da trenta anni nel campo delle adozioni ed è

sicuramente uno degli Enti con più esperienza e credibilità tra quelli che la legge ha

riconosciuto come legali. Ho già parlato di questa Associazione nel capitolo

“L’adozione internazionale”, riportando i valori su cui si basa il suo operato

attraverso le parole del suo Presidente, Valeria Rossi Dragone (1997).

Qui riprendo questo Ente come esempio di come può essere organizzata la

preparazione delle coppie che desiderano essere abbinate a un bambino straniero.

Il CIAI negli ultimi anni ha cercato modalità di lavoro nuove, che integrassero

l’attività svolta dai Servizi Territoriali incaricati dal Tribunale per i Minorenni, con

un’esigenza di formazione e di conoscenza delle coppie, finalizzata alla raccolta di

indicazioni per una eventuale presentazione delle coppie ai Paesi di provenienza dei

bambini, in vista dell’abbinamento. A tale scopo, nel 1995-1996 sono stati

organizzati sperimentalmente, a Padova e a Milano, percorsi di gruppo che

prevedevano un lavoro “intensivo”, nel corso di un intero fine settimana, con coppie,

provenienti da tutte le regioni d’Italia, che desideravano adottare un bambino

straniero.

I gruppi sono stati condotti da quattro psicologi clinici, due conduttori e due

osservatori, con esperienza sia nella conduzione di gruppi che nell’ambito

dell’adozione (consulenti CIAI).

Il gruppo, composto da quattordici coppie, era guidato dai due conduttori, mentre i

due psicologi osservatori raccoglievano il materiale riguardante le comunicazioni

verbali e non verbali di ogni singolo partecipante al gruppo, nonché aspetti

riguardanti la dinamica relazionale delle coppie e del gruppo nel suo insieme. I

quattro psicologi formavano una équipe che, nei momenti in cui il gruppo era in

pausa, discuteva sul materiale raccolto, compilando una scheda riassuntiva. Questa

scheda venne poi utilizzata nel colloquio conclusivo fatto singolarmente con ognuna

delle coppie. In quest’ultimo momento del percorso gli esperti si confrontavano con i

coniugi su ciò che era stato evidenziato, sia riguardo le risorse di cui la coppia

disponeva sia riguardo le aree che necessitavano di un’ulteriore riflessione.

119

Page 120: Lisa Agosti

Sia nei confronti delle coppie che avevano già portato a termine l’indagine

sociopsicologica, sia nei confronti di quelle che erano ancora in una fase informativa

riguardo la possibilità di intraprendere il percorso dell’adozione, lo scopo era

duplice:

1) “fornire informazioni riguardanti la specificità dell’adozione internazionale,

legata alla difficoltà ad identificarsi con un bambino somaticamente diverso, che

viene da lontano, che ha nei mesi o anni passati nel suo Paese d’origine assorbito

modalità relazionali e modelli culturali particolari, e a quella di porsi come

modelli identificatori “diversi” per un bambino che è quanto meno altro da sé;

2) permettere alle coppie di attivarsi sul piano emozionale e di sperimentare la

possibilità, che il lavoro di gruppo offre, di confrontarsi con altre coppie che

hanno vissuto percorsi simili oppure con coppie che hanno già adottato e

vogliono ripetere questa esperienza o, anche, con coppie che, pur avendo figli

biologici e potendo ancora procreare, scelgono di percorrere la strada della

genitorialità adottiva” (Vettori, Salvo, Segatto, Galli, 1996).

120

Page 121: Lisa Agosti

I VIAGGI DI “RITORNO ALLE ORIGINI”

Oltre a organizzare i corsi per coppie in attesa d’adozione, gli Enti si occupano anche

delle coppie che hanno già ottenuto l’abbinamento, consapevoli del fatto che

l’adozione di un minore straniero richiede un impegno aggiuntivo da parte dei

genitori.

Prendendo ancora il CIAI come esempio dell’azione degli Enti, l’aiuto offerto ai

genitori consiste nell’organizzare i “viaggi di ritorno alle origini”, con adolescenti,

giovani e adulti. In generale si organizza il viaggio per una quindicina di famiglie,

che andranno a visitare le istituzioni da dove i bambini sono partiti, ossia

recuperando per ognuno una visita nel luogo che l’ha ospitato per poco o per molto

tempo prima dell’adozione.

Questa iniziativa ha suscitato negli operatori del CIAI molte riflessioni nel momento

in cui si sono accorti che in ogni ragazzo (a partire dal più piccolo che aveva 10 anni

e mezzo, fino ad arrivare al più grande che ne aveva 29 e che viveva già da solo) si è

manifestata, prima di partire, la paura di essere di nuovo abbandonati (Galli, 1997).

Questo ha confermato che l’esperienza dell’abbandono rimane dentro le persone e

può riemergere in diversi momenti.

Un’altra riflessione degli operatori del CIAI li ha portati a riconoscere una differenza

tra il viaggio compiuto da una famiglia sola rispetto alla condivisione di tale

esperienza con altre famiglie. Pare estremamente utile organizzare il gruppo di

adolescenti e quello dei genitori facendo seguire i due gruppi da due psicologi, con i

quali riflettere su quello che succede durante la visita all’istituto.

“Gli adolescenti, ad esempio, si riunivano per mezz’ora dopo cena a parlare un po’ di

quello che era successo nella visita dell’istituto o nelle diverse esperienze della

giornata, perché ritornare nel Paese di origine porta a riflettere su quello che

avrebbero potuto diventare loro se fossero rimasti a vivere là. Vi è poi una

ricostruzione del proprio passato. Per esempio vi era la necessità di ognuno di questi

ragazzi, nonostante sapessero assolutamente tutto quello che sapevano i genitori

rispetto la loro storia adottiva, di fotografare l’archivio dell’istituto. Ossia il foglio

dove era scritto che erano entrati, che erano usciti e che erano partiti in direzione

dell’Italia. Avere quella fotografia costituiva una verifica della realtà, di una realtà

che loro potevano provare e di cui potevano riappropriarsi.

121

Page 122: Lisa Agosti

Molti tra i ragazzi hanno ritrovato le stesse suore e balie che li avevano curati quando

erano piccoli. Tutto questo ha permesso loro di rielaborare mentalmente il proprio

passato. Hanno potuto prendere coscienza che prima dell’esperienza di vita con la

famiglia adottiva, c’era stato un altro pezzetto di storia” (Galli, 1997).

Per concludere la presentazione del CIAI, è interessante sapere su quali basi si

sceglie come abbinare un bambino a una coppia.

“I percorsi del CIAI sono accessibili anche senza l’idoneità quindi possono essere

utili per far guadagnare un po’ di tempo alle coppie, in quanto ci sono dei Tribunali

che per dare l’idoneità impiegano dai 18 mesi ai 2 anni.

Il CIAI organizza giornate due giornate in cui si proiettano dei filmati e si mostrano

documentazioni.

Alla fine dei due giorni si invitano le coppie a riflettere ulteriormente sulla loro

scelta. Poi, una volta ottenuta l’idoneità, o per chi già ce l’ha, dopo un periodo di

“digestione”, che non dovrebbe essere inferiore ai 15 – 30 giorni, le coppie possono

decidere di scegliere di continuare il percorso con il CIAI (il lavoro fatto nel week-

end non è infatti vincolante la scelta dell’associazione). A questo punto le coppie

sono invitate a fare il punto oggettivo: verso quale Paese vogliono indirizzarsi,

tenendo conto sia dei loro desideri, del loro immaginario, sia della situazione

oggettiva che si propone.

I consulenti esperti dell’Associazione faranno un lavoro più approfondito con le

coppie, da cui sarà importante fare emergere un identikit di bambino adatto ad

entrare in quella famiglia, mettendo in evidenza risorse e limiti di quel particolare

nucleo. Tale disponibilità verrà poi valutata dagli operatori del CIAI, che sanno quali

sono i bambini reali in attesa di una famiglia” (Rossi Dragone, 1997).

122

Page 123: Lisa Agosti

I COSTI DELL’ADOZIONE INTERNAZIONALE

Le pratiche burocratiche, legali e tutte le certificazioni necessarie all’iter adottivo,

dall’indagine sociopsicologica fino alle registrazioni anagrafiche, sono gratuite.

L’adozione nazionale ha quindi, tecnicamente, costo zero, anche se l’inserimento del

bambino comporta la pianificazione di un periodo di astensione dal lavoro di

entrambi i genitori nella prima fase dell’abbinamento, per un periodo variabile tra i

15 e i 30 giorni.

L’adozione internazionale invece richiede l’intervento di un Ente, la traduzione di

documenti, in molti casi la nomina di un Procuratore legale nel Paese di adozione, il

viaggio (o i viaggi) e il soggiorno, e quindi il costo finale di un’adozione può essere

anche elevato. È difficile individuare una spesa media, vista la variabilità dei fattori.

È possibile comunque fornire alcune indicazioni di massima (Oliverio Ferraris,

2002):

Costi degli Enti autorizzati. Dipendono da quantità e qualità del servizio fornito e

dalla formula organizzativa delle associazioni. Quelle basate essenzialmente sul

volontariato, in particolare quelle legate a organizzazioni religiose, sono in grado di

contenere i costi, anche se spesso lasciano alle coppie l’onere di seguire da sole

buona parte dell’iter adottivo all’estero. Quelle che si sono dotate di una struttura

professionale hanno costi più elevati (attualmente dai 5.000 ai 15.000 euro), ma in

genere si assumono il compito di seguire l’iter, hanno corrispondenti nei Paesi di

adozione, trovano e pagano un legale, effettuano viaggi di controllo, offrono

sostegno psicologico e formazione alle coppie.

Costi accessori. Sono soprattutto quelli delle traduzioni: più economici se la lingua è

l’inglese, lo spagnolo o il russo; più costose se si tratta di lingue meno diffuse. Il

costo dipende anche dalla quantità di documenti richiesti dal Paese di adozione.

Preventivare da 100-200 euro a 1000 euro. Altri costi non compresi nel compenso

degli Enti sono i visti d’ingresso e i passaporti.

Viaggio. Qui la variabilità è estrema. Per i Paesi in cui le coppie non possono recarsi

(perché è in guerra o per restrizioni dei relativi governi) gli Enti richiedono

comunque il pagamento del viaggio del bambino e di un accompagnatore. Dove

123

Page 124: Lisa Agosti

invece è possibile recarsi a incontrare il bambino, i costi sono quelli di un comune

soggiorno turistico. Alcuni Enti dispongono di agenzie di fiducia e di convenzioni

con compagnie aeree che praticano sconti sui viaggi per adozione. In alcuni paesi,

come la Romania, sono necessari due distinti viaggi. In altri, come i Paesi

dell’America Latina, il soggiorno può durare alcune settimane.

124

Page 125: Lisa Agosti

ANALISI

DELL’ANDAMENTO DELLE ADOZIONI

PRESSO I SERVIZI SOCIALI DI CARPI

125

Page 126: Lisa Agosti

CAP. 1. RICERCA EPIDEMIOLOGICA COMUNE

Nel periodo ottobre 2001 – aprile 2002, due colleghi ed io abbiamo frequentato i

Servizi Sociali di Carpi come collaboratori ad un progetto nato da un’idea degli

operatori che vi lavorano.

Uno dei Servizi offerti è l’indagine sociopsicologica con le coppie aspiranti

l’adozione.

L’idea degli operatori era di avere una panoramica fedele sull’andamento delle

adozioni fino ad oggi; inoltre il loro desiderio era di poter restituire ai genitori

adottivi con cui avevano lavorato un documento che potesse essere loro utile, e con

cui seguire meglio le nuove coppie che si sarebbero presentate al Servizio

successivamente.

Partendo da questi obiettivi, io e i miei colleghi abbiamo preso visione delle 156

cartelle presenti nell’archivio del Servizio, per ricavarne dati generali sull’andamento

delle adozioni dal 1975, anno in cui è stata presentata la prima richiesta di adozione

al Servizio, fino ad oggi.

Questo lavoro ha permesso di raccogliere moltissime informazioni che hanno fatto

nascere in noi e negli operatori più interrogativi che risposte, spingendoci ad andare

oltre; da questi interrogativi sono nate tre ricerche:

la prima, da me condotta, si interroga sui criteri richiesti ai genitori aspiranti

l’adozione per ottenere l’idoneità ad adottare, nel corso dell’indagine

sociopsicologica condotta dagli operatori del Servizio;

la seconda studia il rapporto tra la realtà di Carpi e l’andamento nazionale delle

adozioni, in base ai cambiamenti legislativi susseguitisi nel tempo;

la terza indaga i vissuti delle coppie adottive che hanno ottenuto l’abbinamento,

in particolare basandosi su un gruppo di genitori che volontariamente si

riuniscono in gruppo per parlare dei loro figli adottivi.

I dati comuni raccolti nella ricerca epidemiologica che mi accingo a presentare sono

rimasti a disposizione per tutte e tre le ricerche, quindi nella sezione successiva

verranno ripresi e rielaborati secondo le necessità della mia ricerca personale.

Qui mi limito a esporli come fotografia di ciò che è accaduto ai Servizi Sociali di

Carpi in questi anni di lavoro con le coppie.

126

Page 127: Lisa Agosti

Per i dati che seguono, ci si riferisce a ciò che era contenuto in 156 cartelle

dell’archivio dei Servizi Sociali di Carpi. Un esempio del materiale disponibile

all’interno di ogni cartella è in appendice.

Per ovviare all’eventuale mancanza di alcuni documenti, nelle tabelle e nei grafici si

è registrato il dato come “mancante”.

127

Page 128: Lisa Agosti

INFORMAZIONI GENERALI

Dal 1975 al 2001 vi è stato un progressivo aumento sia del numero di coppie che

hanno iniziato il percorso adottivo, sia del numero di bambini adottati (TABELLA

1).

In totale, 156 coppie hanno fatto una prima richiesta al Tribunale per i Minorenni per

cominciare, con gli operatori del Servizio di Carpi, l’indagine sociopsicologica,

prima detta “istruttoria”.

Anno 1° richiesta n° bambiniadottati

n° bambinirestituiti

1975 1 11976 3 41977 6 51978 4 11979 3 11980 1 119811982 1 11983 2 11984 5 41985 1 11986 6 51987 4 31988 6 71989 5 51990 11 91991 12 71992 13 121993 16 111994 7 21995 4 11996 10 31997 4 31998 11 51999 42000 62001 4

Dato mancante 6 6Totale 156 99 0

TABELLA 1: INFORMAZIONI GENERALI SULLE ADOZIONI A CARPI DAL 1975 AL 2001

128

Page 129: Lisa Agosti

Dividendo il campione in periodi quinquennali di tempo, troviamo che:

Il 12% delle coppie si è presentata al Servizio nel periodo 1975 – 1980.

Il 6% delle coppie si è presentata al Servizio nel periodo 1981 – 1985.

Il 21% delle coppie si è presentata al Servizio nel periodo 1986 – 1990.

Il 33% delle coppie si è presentata al Servizio nel periodo 1991 – 1995.

Il 25% delle coppie si è presentata al Servizio nel periodo 1996 – 2001.

Per il 4% non si conosce la data della prima richiesta.

Questo dimostra l’aumento costante del lavoro di indagine condotto, con un picco tra

il 1990 e il 1993, anno in cui sono state presentate il maggior numero di richieste(n.

16).

Coerentemente con questo dato, anche il numero di bambini adottati è cresciuto nel

tempo. In particolare, il picco di abbinamenti (calcolati secondo l’anno della prima

richiesta) corrisponde al picco visto in precedenza per il primo contatto col Servizio.

Dividendo il campione in scansioni quinquennali, vediamo infatti che:

Il 13% degli abbinamenti corrisponde a un primo contatto nel periodo 1975 – 1980.

Il 7% degli abbinamenti corrisponde a un primo contatto nel periodo 1981 – 1985.

Il 29% degli abbinamenti corrisponde a un primo contatto nel periodo 1986 – 1990.

Il 33% degli abbinamenti corrisponde a un primo contatto nel periodo 1991 – 1995.

L’11% degli abbinamenti corrisponde a un primo contatto nel periodo 1996 – 2001.

L’unica percentuale che non corrisponde a quelle trovate per le prime richieste

riguarda il periodo 1996 – 2001. Questa disparità è facilmente attribuibile al fatto che

le coppie con prima richiesta negli anni 2000 e 2001 sono ancora in attesa di

abbinamento.

129

Page 130: Lisa Agosti

Delle 156 coppie che si sono presentate al Servizio, non tutte hanno portato a termine

il percorso adottivo (TABELLA 2):

anno domanderigettate

Sospesicon relaz.

Sospesisenza relaz.

RelazioniSfavorevoli

1975 119761977 2 11978 1 3 11979 1 11980 11981198219831984 11985 11986 31987 2 21988 319891990 2 4 11991 6 11992 6 21993 1 6 41994 2 31995 1 21996 1 3 3 11997 1 11998 2 51999 2 22000 4 22001 4

dato mancante 1 2totale 12 53 28 6

TABELLA 2: INFORMAZIONI GENERALI SUGLI ABBINAMENTI NON AVVENUTI

Nella tabella 2 si può notare che:

28 coppie non hanno terminato l’istruttoria (18%);

53 coppie hanno sospeso l’iter dopo aver terminato l’istruttoria (34%).

6 coppie avevano relazione sfavorevole, quindi non erano considerate idonee

all’adozione dagli operatori del Centro, però hanno insistito perché la loro domanda

fosse comunque presentata al Tribunale per i Minorenni.

Il motivo per cui solo il 4% degli utenti risulta non idoneo risiede nel fatto che in

genere gli operatori consigliano alle coppie di prendere un periodo di riflessione sulla

loro scelta, nei casi in cui notano una sofferenza non ancora elaborata o

atteggiamenti inidonei ad accogliere un minore.

130

Page 131: Lisa Agosti

Ad esempio, una coppia può mostrare fretta e non collaborare adeguatamente con gli

operatori, perché considerano l’indagine una perdita di tempo o non vogliono

affrontare dei vissuti per loro dolorosi quali la sterilità, eventuali aborti o figli

deceduti.

Si consiglia quindi un momento di riflessione per riprendere l’indagine quando

saranno risolti i problemi della coppia, visto che si considera l’adozione non come

una soluzione alla sofferenza dei genitori.

Questo consiglio è in parte la spiegazione anche delle domande sospese prima di

terminare l’indagine; altri motivi sono una gravidanza naturale o il ritenere troppo

faticoso l’iter adottivo e la burocrazia da affrontare. È interessante notare che questo

28% di sospensioni si accumula a partire dal 1991; prima non esistono casi di

domande per cui non sia stata portata a termine l’indagine.

Non si conosce il motivo di questo andamento temporale; si potrebbe ipotizzare una

correlazione significativa tra questo dato e la presenza, tra il 1975 e il 1980, del 50%

di domande rigettate dal Tribunale; l’ipotesi è che, nonostante le coppie abbiano

terminato l’istruttoria, la mancata selezione da parte del Servizio sia stata avviata dal

Tribunale.

Il motivo per cui il Servizio comincia a sospendere l’indagine sociopsicologica a

partire dagli anni ’90 può essere sintomatico di una maggior conoscenza dei criteri

con cui il Tribunale giudica le domande che gli vengono presentate, per cui il

Servizio blocca l’iter prima di un’inevitabile e sicuramente più dolorosa delusione,

come avverrebbe se le coppie si illudessero della loro idoneità all’adozione e poi

venissero respinte dal Tribunale. Inoltre, il Servizio dimostra così di farsi carico della

responsabilità del rifiuto delle coppie, senza attribuire la “colpa” del rifiuto al

Tribunale. Infine, consigliando alle coppie di sospendere l’iter, gli operatori possono

spiegare e preparare alla rinuncia le coppie che sarebbero comunque destinate al

fallimento.

Una volta terminata l’indagine sociopsicologica, le domande d’adozione, con relativa

relazione d’idoneità, arrivano al Tribunale per i Minorenni. Le domande rigettate dal

Tribunale sono state 12 in 26 anni (8%), e su 99 abbinamenti avvenuti tra il 1975 e il

2001 non sono stati registrati casi di fallimento adottivo: non ci sono cioè dati riferiti

alla restituzione di bambini durante l’anno di affido preadottivo o dopo il decreto

d’adozione.

131

Page 132: Lisa Agosti

Questi dati stanno a documentare l’accuratezza della preparazione delle coppie ai

Servizi Sociali di Carpi, rispetto all’elevata percentuale di fallimenti riscontrabile

nella realtà nazionale (vedi capitolo “Fallimenti adottivi”).

132

Page 133: Lisa Agosti

AGGIORNAMENTI

Nella TABELLA 3 è mostrato quante coppie, e in che anni, si sono ripresentate al

Servizio per aggiornare una domanda scaduta senza avvenuto abbinamento.

Questi dati sono ugualmente distribuiti nel tempo, e la media degli aggiornamenti

compiuti è di uno o due al massimo.

L’unico dato discordante riguarda una coppia con prima richiesta nel 1988, che ha

compiuto 4 aggiornamenti, fino al 1997.

Anno prima richiesta Aggiornamenti 1976 Aggiornamento nel 1977 1987 1° aggiornamento nel 1989 e 2° nel 1990 1988 Aggiornamento nel 1989 1988 1° aggiornamento nel 1990, 2° nel 1992,

3° nel 1995 e 4° nel 1997 1991 Aggiornamento nel 1993 1991 1° aggiornamento nel 1992 e 2° nel 1993 1992 Aggiornamento nel 1995 1995 Aggiornamento nel 1997 1996 Aggiornamento nel 1998 Dato

Mancante Aggiornamento nel 1990

TABELLA 3. AGGIORNAMENTI DELLA RICHIESTA D’ADOZIONE DAL 1975 AL 2001

133

Page 134: Lisa Agosti

ULTERIORI TENTATIVI DI ADOZIONE

Nella TABELLA 4 sono riportate le 18 coppie che hanno tentato più di una volta di

ottenere un minore in adozione.

Anno prima richiestaSecondo tentativo di

AdozioneTerzo tentativo di

Adozione

1986 1 abbinamento 1989 1 abbinamento1986 1 abbinamento 1989 1 abbinamento1987 1 abbinamento 1994 1 abbinamento1987 Mancato abbinamento 1991 2 abbinamenti1990 1 abbinamento 1994 1 abbinamento1990 Mancato abbinamento 1994 1 affido1990 Mancato abbinamento 1998 Mancato abbinamento1990 Mancato abbinamento dato mancante Mancato abbinamento1992 1 abbinamento 1996 Mancato abbinamento1992 3 abbinamenti dato mancante 2 abbinamenti

1993 Mancato abbinamento 1996 1 abbinamento 1999In attesa di

abbinamento

1993 1 abbinamento 1996 1 abbinamento 1999In attesa di

abbinamento1993 1 abbinamento 1998 Mancato abbinamento1993 1 abbinamento 1999 Mancato abbinamento1993 Mancato abbinamento 1997 1 abbinamento1994 Mancato abbinamento 1998 Mancato abbinamento1996 1 abbinamento 2001 In attesa di abbinamento1996 Mancato abbinamento 2001 In attesa di abbinamento

TABELLA 4. ULTERIORI TENTATIVI DI ADOZIONE SECONDO L’ANNO DELLA

RICHIESTA

Come si può notare, nel 1994 una coppia ha ottenuto un affido anziché un adozione.

Nella terza colonna sono segnalate due coppie che nel 1993 si sono presentate per la

prima volta al Servizio, tornando nel 1996 per una seconda adozione e che ora, dal

1999, stanno tentando per la terza volta di ottenere, in un caso il secondo

abbinamento, nell’altro la terza adozione.

134

Page 135: Lisa Agosti

BAMBINI ADOTTATI

In totale i bambini adottati sono 99.

Di questi, 60 sono maschi; 39 sono femmine.

34 sono le adozioni nazionali; 65 sono internazionali.

Annoabbiname

ntoitaliani maschi Italiani femmine stranieri maschi stranieri femmine

Totale1975 01976 1 11977 2 21978 4 3 71979 1 11980 1 11981 1 1 21982 01983 2 1 1 41984 1 11985 1 11986 1 11987 2 2 41988 1 1 21989 4 3 71990 1 2 31991 2 3 1 61992 1 11993 1 1 4 1 71994 1 3 4 81995 3 2 51996 2 8 1 111997 2 2 41998 2 21999 1 1 2 2 62000 4 1 52001 1 1Dato

mancante 2 2 2 6Totale 16 18 44 21 99

TABELLA 5. DISTRIBUZIONE DEI BAMBINI ADOTTATI RISPETTO ALLE VARIABILI

GENERE (MASCHIO-FEMMINA) E PROVENIENZA (ITALIANO-STRANIERO)

Come si può notare dalla TABELLA 5 (e dal GRAFICO 1 in appendice), i minori

stranieri compaiono verso al fine degli anni 80, quando la Convenzione dell’Aja del

1983 comincia a far sentire i suoi effetti. L’apertura delle frontiere all’adozione

internazionale fa sì che dal 1984 al 1991 quasi tutti i minori adottati siano stranieri,

135

Page 136: Lisa Agosti

mentre non sono presenti minori italiani maschi e le femmine si mantengono in

quantità di 1 o 2 per anno.

In 26 anni, la maggior parte (44%) di bambini adottati è di sesso maschile e non è

nata in Italia.

Si potrebbe ipotizzare duplice spiegazione per questo dato:

da una parte, l’adozione internazionale è sempre stata considerata più rapida e

sicura di quella nazionale, motivo per cui molte coppie, per ridurre i tempi

d’attesa dell’iter adottivo, facevano richiesta sia per l’adozione nazionale che

internazionale;

d’altra parte, i bambini di sesso maschile in adozione internazionale sono più

del doppio di quello femminile, mentre i minori in adozione nazionale sono

ugualmente ripartiti tra maschi e femmine. Il motivo potrebbe essere che nei

primi anni dell’adozione internazionale tanti hanno tentato di arricchirsi con le

adozioni “fai da te”, prelevando quindi dalla strada minori non dichiarati in stato

di adottabilità, con la scusa di poter assicurare loro una vita più dignitosa. Era

più semplice “raccogliere” bambini maschi piuttosto che femmine. Senza entrare

nel merito della crudeltà di un gesto simile, anche le adozioni legali e

controllate, quali quelle avvenute nei Servizi Sociali di Carpi, potrebbero aver

risentito di un tale andamento generale.

136

Page 137: Lisa Agosti

ADOZIONI INTERNAZIONALI: PROVENIENZA.

Di 65 minori in adozione internazionale, la maggior parte proviene dal Brasile.

Corrispondono addirittura al 42%.

Come per tutti gli arrivi dal Sud America, gli abbinamenti avvengono dal 1987 in

poi, con un decremento significativo dopo il 1996.

Anche l’unico minore nato in Cile arriva in quell’anno.

Un solo minore arriva dall’Argentina nel 1993.

2 minori arrivano dalla Colombia nel 1996.

Dal Perù provengono 3 minori, di cui uno abbinato nel 1989 e due nel 1991.

Il 20% dei minori arriva dalla Federazione Russa; è il secondo maggior Paese di

provenienza dei minori in adozione internazionale, però gli arrivi sono tutti

concentrati dal 1994 in poi.

Questo dato è facilmente correlato alla diminuzione dei bambini brasiliani nel 1996;

con l’apertura delle frontiere dell’Europa dell’Est, probabilmente le coppie si sono

indirizzate maggiormente su minori con tratti somatici più simili ai loro.

Infatti 2 bambini provenienti dalla Romania arrivano nel 1994 e nel 1995.

Solo un minore della Polonia arriva prima, già nel 1990.

Al terzo posto per quantità di abbinamenti c’è l’India, con il 14%.

Tutti gli altri Paesi sono rappresentati da percentuali basse:

dalle Filippine arriva un solo minore, nel 1985;

dal Marocco un minore, di cui non si conosce la data dell’abbinamento;

dal Messico 3 bambini, uno nel 1996 e due nel 1999.

Per una visione d’insieme: TABELLA 6 e GRAFICI 2 – 3 (in appendice).

137

Page 138: Lisa Agosti

ETÀ DEI MINORI IN ABBINAMENTO

ETA' ABBINAMENTO0 - 6 anni 6 - 12 anni dato

mancantetotale

68 24 7 99

TABELLA 7. RIASSUNTO DELL’ETÀ DI ABBINAMENTO DEI MINORI

Come si può notare dalla TABELLA 8 (in appendice):

il 18% dei minori abbinati è stato affidato alla famiglia in un’età compresa tra 1 e 6

mesi.

Il 17% in un’età compresa tra i 12 e i 24 mesi.

Seguono i minori tra i 6 e i 12 mesi, col 10%, e tra i 2 – 3 anni, col 9%.

Sono quindi i bambini molto piccoli a essere adottati con maggior facilità,

nonostante, come ho sottolineato in precedenza (vedi capitolo sull’adozione

internazionale), la maggior parte dei minori in stato di adottabilità sia di età

sicuramente superiore ai 2 - 3 anni.

In realtà solo l’11% dei bambini va in affidamento tra i 3 e i 6 anni.

Un altro dato interessante riguarda i minori che vengono abbinati entro il primo mese

di vita, quindi abbandonati alla nascita. Sono solo 3, quindi il 3%; i restanti minori

adottati provengono quindi da situazioni transitorie come affidi o esperienze in

istituti (nei primi anni di vita del Servizio) o case famiglia (soluzione preferita oggi).

Un discorso a parte riguarda i bambini adottati quando hanno già superato l’età

prescolare (TABELLA 9 in appendice).

Come chiarirò nella mia ricerca personale, la maggior parte delle coppie richiede

bambini piccoli o almeno in età prescolare. La legge però, per quanto si sia allargata

la possibilità di adottare per le coppie di una certa età, prevede che la differenza

massima d’età tra il genitore più anziano e il minore non superi i 45 anni, né sia

inferiore ai 18 anni col genitore più giovane. Le coppie che si rivolgono all’adozione

quando non sono più giovanissime non possono quindi sperare in un abbinamento

con un bambino piccolo.

Il 24% degli abbinamenti avvengono quindi con minori tra i 6 e i 12 anni.

Le TABELLE 8 e 9 e i GRAFICI 4 e 5 (in appendice) mostrano in dettaglio

l’andamento temporale delle adozioni in base all’età del minore nel momento

dell’abbinamento.

138

Page 139: Lisa Agosti

Due ipotesi nascono dall’osservazione di questi cambiamenti evolutivi.

La prima riguarda il fatto che i bambini adottati entro il primo mese di età non

compaiono dopo il 1987; come ho spiegato in precedenza (vedi capitolo “I figli che

aspettano”) trenta anni fa erano molti più di ora i bambini abbandonati alla nascita;

oggi invece i genitori naturali tentano nella maggior parte dei casi di crescere i propri

figli, aspettando il più possibile prima di concedere l’adozione, addirittura

costringendo gli assistenti sociali a “strappargli” i figli per assicurare loro una vita

più consona ai bisogni di un bambino. L’ipotesi è dunque che oggi sia molto più

difficile ottenere l’abbinamento con un neonato.

La seconda ipotesi nasce dall’osservazione che su 17 bambini adottati tra i 12 e

i 24 mesi, nessuno è stato adottato prima del 1989; inoltre, su 5 bambini adottati tra i

3 e i 4 anni, nessuno è stato adottato prima del 1994. Per spiegare questo incremento

di bambini piccoli a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, probabilmente si deve risalire a

quanto detto prima riguardo ai minori stranieri adottati. In tabella 2 avevo

sottolineato la presenza di una grande quantità di minori stranieri arrivati per

adozione dal 1987 in poi. Probabilmente correlando l’età e la nazionalità dei minori

si scoprirebbe che i più piccoli erano stranieri, in quanto con l’adozione

internazionale è più facile essere abbinati con un minore in età prescolare come

richiesto nella maggior parte dei casi, (vedi la ricerca successiva per la conferma di

questo dato).

Ora che la panoramica è completa, ci si può addentrare più in profondità scegliendo

una tra le mille prospettive possibili.

La mia scelta è ricaduta sul contenuto delle relazioni d’idoneità che gli operatori

stilano alla fine dell’indagine sociopsicologica per il Tribunale per i Minorenni.

139

Page 140: Lisa Agosti

RICERCA ESPLORATIVA

140

Page 141: Lisa Agosti

Questa ricerca è nata come approfondimento di domande nate dalla ricerca comune

presentata nella sezione precedente.

Una volta ottenuti i dati generali sull’andamento dei Servizi Sociali di Carpi, si è

proceduto ad osservarli attentamente. Ne è risultata la formulazione di molte più

domande che risposte.

Di conseguenza, si è cercato un modo per approfondire, se non tutti, almeno buona

parte degli spunti offerti dalla panoramica sul Servizio, alla ricerca di risposte che

andassero al di là di semplici ipotesi riguardanti le variazioni notate.

I miei colleghi ed io, in base ai nostri diversi interessi e inclinazioni, abbiamo diviso

il lavoro in aree molto diverse:

la parte di ricerca da me ideata e portata a termine si basa su documenti d’archivio

presenti al Servizio.

141

Page 142: Lisa Agosti

LE CARTELLE

Per ogni coppia che si è presentata ai Servizi Sociali di Carpi a scopo adozione dal

1975 sino ad ora, è stata creata una cartella contenente tutta la documentazione

riguardante quel caso.

Quindi è possibile ripercorrere il cammino di ogni coppia, sia che abbia ottenuto una

o più adozioni, sia che si sia presentata al Servizio solo una volta, per poi

abbandonare l’idea sospendendo l’indagine sociopsicologica.

In appendice si può trovare un esempio di cartella contenente tutti i documenti che

sono presenti nel caso in cui una coppia porti a termine l’iter adottivo.

Ovviamente, in certe cartelle è presente solo un documento, in particolare la prima

richiesta che la coppia rivolge al Tribunale per i Minorenni; se la coppia ha poi

sospeso l’iter adottivo a questo punto, non si ritrovano altri documenti o appunti

riguardanti l’indagine sociopsicologica.

Nel caso invece una coppia decida di ripresentarsi al Servizio per un secondo

tentativo di adozione, dall’archivio viene ripresa la cartella riguardante la coppia e

così si può ricostruire la storia della prima adozione sfogliando i documenti presenti.

Come già detto (vedi paragrafo “Ulteriori tentativi di adozione” della ricerca

epidemiologica), in 2 cartelle si possono trovare addirittura i primi documenti

riguardanti un terzo tentativo di adozione, tuttora in corso.

Sfogliando, nell’ordine, i documenti presenti in cartella (vedi appendice), se questa è

completa di tutti i passaggi dell’iter adottivo si può trovare:

1. La prima richiesta che la coppia rivolge al Tribunale per i Minorenni,

specificando le proprie generalità e richiedendo di effettuare l’indagine

sociopsicologica per la valutazione dell’idoneità all’adozione nazionale e/o

internazionale.

2. L’attestato dello stato di famiglia.

3. L’attestato di eseguita indagine sociopsicologica con cui il Servizio invia la

relazione di idoneità.

4. La relazione di idoneità all’adozione della coppia con cui si è condotto il

percorso di valutazione e preparazione nei mesi successivi alla prima richiesta. (Non

presente in appendice perché ampiamente descritta nel corso della ricerca. Per averne

un esempio completo vedi capitolo “Un confronto nel tempo”).

142

Page 143: Lisa Agosti

5. Il decreto di idoneità all’adozione internazionale, rilasciato dal Tribunale dopo

aver valutato la relazione inviatagli dal Servizio. In questo documento, rilasciato

solamente se i coniugi si dichiarano disponibili all’adozione internazionale, viene

specificato se l’idoneità è concessa per uno solo o per più minori stranieri. Inoltre,

viene specificato che in caso di abbinamento di minore, per legge, la differenza d’età

col coniuge più anziano non deve superare i quarantacinque anni, mentre la

differenza d’età col coniuge più giovane non deve essere inferiore ai diciotto anni.

L’esempio presente in appendice risale al 1994, quando invece la legge prevedeva

che la differenza di età massima del minore fosse di quaranta anni col coniuge più

anziano.

6. Per quanto riguarda l’adozione internazionale, è necessario che la coppia trovi

un tutore legale per il minore che verrà loro abbinato. In molti casi, questo compito è

assunto dal Sindaco della città di residenza dei genitori adottivi. Nel caso in

appendice, il Sindaco Claudio Bergianti, del Comune di Carpi, attesta che la coppia

in questione è idonea a educare, istruire e mantenere i minori che verranno loro

abbinati. Il tutore invece nel caso specifico è Marzia Gualdi, Assessore alle Politiche

Sociali (come documentato al punto 12).

7. La cartella scelta come esempio e riportata per intero ha un documento

aggiuntivo, che riguarda la scelta fatta dalla coppia riguardo l’Ente autorizzato che si

occuperà della preparazione della coppia e dei rapporti col Paese di provenienza del

minore. In questo caso l’Associazione scelta è il CIAI (Centro Italiano per

l’Adozione Internazionale). Il documento in questione è stato spedito dal CIAI ai

Servizi Sociali di Carpi, per informare che, a seguito della segnalazione di un minore

abbandonato, si è proposto l’abbinamento a scopo adozione del minore suddetto con

la coppia di cui stiamo ricostruendo la storia.

8. La notifica del Tribunale che il minore segnalato si trova presso la coppia a

scopo adozione, con la data in cui è avvenuto l’abbinamento.

9. Un documento in cui il Tribunale decreta l’affidamento preadottivo del minore,

specificando se è stato cambiato il nome del bambino, e la data in cui comincia

l’anno di affidamento. Deferisce inoltre la tutela del minore e la vigilanza

sull’affidamento preadottivo al Servizio Sociale del Comune di Carpi.

10. I Servizi Sociali di Carpi organizzano incontri di gruppo con le famiglie nel

corso dell’anno di affido preadottivo, per aiutarle nei primi momenti di questa nuova

esperienza. Gli incontri sono tenuti dalla dottoressa Daria Vettori. Nella cartella in

143

Page 144: Lisa Agosti

appendice si trova l’invito a partecipare (la frequenza è obbligatoria, a differenza dei

gruppi per i genitori che hanno concluso l’affido preadottivo, che sono liberi di

scegliere se partecipare o meno agli incontri). Il gruppo si ritrova per quattro incontri,

a scadenza mensile.

11. A quattro anni dalla data della prima richiesta, termina per la coppia in

questione l’affidamento preadottivo. Il Tribunale chiede ai Servizi Sociali di Carpi

una relazione contenente un parere sullo svolgimento dell’affidamento e quindi

sull’adozione. Richiede anche una personale dichiarazione di assenso alla persona

che ha rivestito il ruolo di tutore per il minore.

12. Segue l’assenso del tutore, come già detto in questo caso rappresentato

dall’Assessore alle Politiche Sociali, Marzia Gualdi, che si dichiara favorevole

all’adozione del minore.

13. Le cartelle in cui si compie tutto l’iter adottivo terminano, come nel caso in

appendice, con il decreto di adozione del Tribunale per i Minorenni.

144

Page 145: Lisa Agosti

IL MATERIALE

Dovendo compiere una scelta sul materiale da considerare per la mia ricerca, ho

scelto di concentrarmi sulle relazioni d’idoneità all’adozione che i Servizi Sociali di

Carpi stilano alla fine dell’indagine sociopsicologica con le coppie che si presentano

al Servizio e che giungono al termine di questa prima importante fase dell’iter

adottivo.

Il materiale su cui ho lavorato consiste quindi di 131 relazioni d’idoneità, che

coprono l’intero arco di tempo in cui il Servizio è stato attivo nel campo adozioni.

Non vengono invece prese in considerazione le relazioni stilate per i secondi o terzi

tentativi di adozione, né quelle stilate in seguito ad aggiornamenti effettuati dalle

coppie che non hanno ottenuto l’abbinamento di un minore entro la data di scadenza

della prima richiesta.

Il motivo per cui la mia attenzione si è focalizzata solamente sulla prima relazione

stilata per ogni coppia risiede nel fatto che le relazioni successive, dei vari tipi

suddetti, riprendono in gran parte i temi e i contenuti di cui è già stato trattato nelle

prime relazioni; mi è parso quindi superfluo considerarle.

Ovviamente questa scelta comporta delle differenze rispetto alla ricerca condotta in

comune con i miei colleghi, perché come già spiegato alcune coppie non hanno

ottenuto l’abbinamento al primo tentativo, mentre altre sono tornate. Inoltre, molte

coppie non hanno terminato l’indagine sociopsicologica, per cui è necessario non

confondere i dati comuni con quelli seguenti, riguardanti solo una parte dell’universo

prima considerato.

Per maggiore chiarezza, ecco un esempio dei diversi risultati cui sono giunta tramite

la mia ricerca:

le coppie considerate sono 131, a differenza delle 156 prime richieste risultanti dalla

ricerca comune.

I bambini adottati sono in complesso 99, mentre nella ricerca che segue i dati faranno

riferimento a un totale di 88 bambini soltanto. I minori non considerati sono gli 11

che nella tabella 4 della ricerca comune risultano nella colonna delle seconde

adozioni (escluso il caso di affido, che ho considerato a parte).

Ovviamente, non considerando le relazioni di idoneità per i secondi tentativi di

adozione, per i motivi suddetti, non compaiono questi 11 minori, né le 25 coppie che

hanno fatto prima richiesta ma non hanno terminato l’indagine sociopsicologica

145

Page 146: Lisa Agosti

(nella tabella 2 vengono riportate 28 coppie “sospese senza relazione”; di queste, 25

sono quelle ora nominate, 3 coppie hanno concluso l’iter per il primo tentativo di

adozione, per cui risultano nel mio campione, ma al secondo tentativo non hanno

concluso l’indagine sociopsicologica, per cui risultano come “sospese senza

relazione” nei dati della ricerca epidemiologica).

146

Page 147: Lisa Agosti

IL CAMPIONE

Per la scelta del campione ho eseguito una ricerca pilota su 40 relazioni scelte con

metodo randomizzato guidato.

Le cartelle in archivio a Carpi sono conservate in tre raccoglitori, grosso modo divisi

in ordine cronologico dagli operatori del Servizio. Non è stato possibile cambiarne la

disposizione, rendendo l’ordine cronologico più esatto.

Inoltre, una buona parte di cartelle, non in ordine cronologico, si trovano nell’ufficio

dell’assistente sociale; si tratta delle coppie con cui gli operatori stanno lavorando

attualmente. Si possono quindi trovare coppie che hanno in corso una seconda o una

terza adozione; le cartelle corrispondenti hanno quindi una data molto vecchia.

Oppure si possono trovare coppie da poco tempo giunte al Servizio, al primo

tentativo di adozione. Inoltre si possono trovare cartelle di coppie che hanno finito

ora l’anno di affido preadottivo e che sono in attesa del decreto di adozione.

Non è stato possibile spostare l’ordine di queste cartelle rendendole in ordine

cronologico, per ovvia comodità di chi le ha disposte scegliendo quell’ordine.

La ricerca pilota quindi è stata condotta su 10 cartelle scelte dal primo raccoglitore,

numerandole e pescando dei bigliettini coi numeri corrispondenti. Queste sono

rappresentative dei primi anni di attività del Servizio.

Lo stesso metodo è stato attuato per scegliere 10 cartelle dal secondo raccoglitore, 10

cartelle dal terzo raccoglitore e 10 cartelle dell’ufficio dell’assistente sociale.

Una volta raccolti i dati da questo mini campione, è risultato evidente che il

campione era troppo piccolo per poter azzardare ipotesi di qualsiasi tipo, ma la

ricerca pilota è risultata comunque utile per definire i dati da raccogliere nella ricerca

vera e propria.

Una volta deciso questo, ho creato una griglia che mi permettesse di raccogliere lo

stesso materiale da tutte le relazioni lette successivamente.

I contenuti sono trattati nel prossimo paragrafo.

Il campione scelto per la mia ricerca è dunque tutto l’universo preso in esame.

L’universo è costituito, ripeto, dalle relazioni di idoneità delle coppie aspiranti

l’adozione stilate ai Servizi Sociali di Carpi.

Il periodo considerato è tutto l’arco temporale tra il 1975 e il 2001, cioè da quando il

Servizio ha iniziato a occuparsi delle adozioni e dell’indagine sociopsicologica alle

aspiranti coppie adottive da consegnare al Tribunale per i Minorenni.

147

Page 148: Lisa Agosti

I CONTENUTI

La griglia di lavoro che ho creato per raccogliere i dati dalle cartelle e dalle relazioni

comprende per ogni caso:

1. Una numerazione con cui mi è possibile risalire, in caso di bisogno, alla cartella

corrispondente.

2. L’anno in cui comincia la storia della cartella, quindi la data della prima

richiesta al Tribunale per i Minorenni. Nei casi in cui mancava in cartella il

documento relativo alla prima richiesta, ho considerato la coppia in base alla

data della relazione, che in genere si discosta di non più di 6 mesi dalla data

della prima richiesta. Non mi era infatti possibile escludere delle relazioni dal

campione per una carenza di questo tipo, quindi ho scelto di considerarle, visto

che uno spostamento di 6 mesi non dovrebbe inficiare i risultati riguardanti il

cambiamento evolutivo dell’universo considerato.

3. Il contenuto del documento, spedito dal Tribunale, riguardante l’idoneità della

coppia all’adozione di uno o più minori stranieri, oppure il rigetto o il non luogo

della domanda fatta dai coniugi al Tribunale.

4. Le notizie riguardanti il sesso, la provenienza e l’età del minore abbinato (in

caso di avvenuto abbinamento) e in tal caso la data dell’abbinamento col minore

o con i minori. In caso di abbinamento con più minori, per ciascuno sono

specificati i dati suddetti.

NOTIZIE ANAGRAFICHE E STORIA PERSONALE

5. Segue una parte dedicata alle notizie contenute nelle relazioni riguardo ai due

coniugi. Si comincia con la data di nascita di ciascuno (da cui mi è stato

possibile risalire all’età in cui si sono presentati al Servizio e all’età in cui hanno

ottenuto, se c’è stato, l’abbinamento).

6. Si prosegue con dati sulla scolarità di ciascuno dei due coniugi.

7. Informazioni sull’attuale occupazione di ciascuno dei due coniugi.

8. Notizia di eventuale provenienza da altre città italiane o estere, con data relativa

a quando è avvenuto il trasferimento.

STORIA DELLA COPPIA E MOTIVAZIONE ALL’ADOZIONE

148

Page 149: Lisa Agosti

9. In questa parte della relazione ho raccolto: la data del matrimonio, da cui è

possibile risalire a quanto i coniugi hanno atteso prima di decidere di tentare

l’adozione.

10. La presenza o meno di figli naturali della coppia (specificando, in caso positivo,

il sesso e l’età dei figli naturali, nonché eventuali disgrazie accadute quali la

perdita di un figlio naturale).

11. Nel caso la coppia non si sia mai trovata o non riesca più a trovarsi in

gravidanza, viene specificato se sono stati fatti degli accertamenti medici per

scoprirne il motivo. Ho specificato se il problema risulta a carico del marito,

della moglie, di entrambi i coniugi o se gli accertamenti mostrano che non ci

sono impedimenti oggettivi per una gravidanza.

12. Eventuali aborti, numero degli stessi e eventuali commenti sui vissuti derivanti.

13. Eventuali tentativi di gravidanza assistita, numero di tentativi falliti. In caso non

si sia tentata la procreazione medicalmente assistita, ho riportato i motivi per cui

non si è tentata questa alternativa preferendo l’adozione come soluzione

all’incapacità generativa della coppia.

14. Parere manifestato dalla famiglia d’origine alla notizia della decisione di

adottare.

15. Eventuale visita a domicilio e giudizio sull’abitazione espresso nella relazione.

DISPONIBILITÀ ALL’ADOZIONE E PREFERENZE MANIFESTATE DALLA COPPIA

16. Nella relazione si specifica il numero di minori con cui la coppia desidera essere

abbinata.

17. Eventuali preferenze per il sesso del minore.

18. Preferenze sull’età del minore con cui si vorrebbe essere abbinati.

19. Dichiarazione di disponibilità all’adozione nazionale e/o internazionale.

20. Disponibilità ad accettare il rischio giuridico per l’adozione di minori non ancora

dichiarati adottabili.

21. Disponibilità all’abbinamento con un minore sieropositivo.

22. Disponibilità all’abbinamento con un minore handicappato.

Oltre a questi dati, ho raccolto informazioni qualitative, contenute in ogni relazione,

riguardo al rapporto di coppia e alla motivazione all’adozione.

149

Page 150: Lisa Agosti

Per i casi particolari, la griglia comprende uno spazio apposito in cui segnalare

contenuti specifici di ogni singola coppia. Ad esempio, alcune coppie fanno richiesta

d’adozione mentre hanno in corso affidi di minori problematici. Un altro esempio

riguarda coppie che richiedono un minore simile a loro per quanto riguarda i tratti

somatici, quindi ho segnalato la presenza di questi casi e le motivazioni addotte dalle

coppie per una tale richiesta.

Per le coppie che hanno subito la tragica perdita di un figlio naturale, ho riportato i

quattro casi specifici.

Inoltre ho segnalato la presenza di relazioni sfavorevoli all’adozione, che

considerano quindi la coppia non idonea all’adozione.

Come già detto, dalla ricerca pilota sono emersi meglio i dati da raccogliere nella

ricerca successiva, ma sono emersi anche temi non particolarmente interessanti, che

sono quindi stati eliminati dalla griglia per la ricerca successiva.

In particolare, mi riferisco alle informazioni riguardanti le famiglie d’origine dei

coniugi. Ogni relazione, infatti, riporta la presenza o meno, nella vita della coppia,

dei rispettivi genitori dei coniugi e di eventuali fratelli o sorelle. Viene anche

specificata la loro età, occupazione, e eventualmente l’età e il sesso dei loro figli,

naturali o adottivi.

Sicuramente è importante che nella relazione siano contenute queste informazioni,

ma allo scopo della mia ricerca sono parse superflue.

150

Page 151: Lisa Agosti

LO SCOPO

Lo scopo di questa ricerca è di indagare i cambiamenti evolutivi avvenuti nel

percorso dell’adozione ai Servizi Sociali di Carpi dal 1975 al 2001.

La maggior parte delle tabelle create presenta una suddivisione in quinquenni, scelta

perché dividendo le informazioni per ogni singolo anno i dati risultavano troppo

dispersivi.

Il metodo usato per equiparare i campioni appartenenti a ogni periodo di tempo, non

equipotenti, è stato quello del calcolo delle percentuali.

Oltre all’osservazione delle variazioni significative nel tempo all’interno

dell’universo considerato lo scopo della ricerca che presento si divide in un’analisi

dei contenuti quantitativi reperibili dalle cartelle e dalle relazioni d’idoneità che

costituiscono il materiale d’indagine, e in un’analisi dei contenuti qualitativi delle

relazioni d’idoneità, su temi difficilmente indagabili in senso quantitativo.

In molti casi prima di presentare i dati raccolti e le tabelle riassuntive di ogni

contenuto indagato, presento un’ipotesi iniziale contenente i risultati attesi sulla base

delle conoscenze che ho potuto raccogliere dalla letteratura. Spesso i dati non

confermano le ipotesi di partenza; in questi casi si tenta di proporre un’ipotesi di

spiegazione alternativa, basandosi su confronti con dati nazionali o al contrario

guardando alla più specifica realtà del Servizio di Carpi.

151

Page 152: Lisa Agosti

I RISULTATI

I risultati della ricerca, come gli scopi suddetti, si dividono in due aree.

La prima parte è quantitativa, e viene presentata suddividendola in 4 capitoli:

1. Il primo riguarda la disponibilità all’adozione dei coniugi, stabilita durante

l’indagine sociopsicologica con l’aiuto degli operatori, a seconda delle

caratteristiche distintive e delle preferenze mostrate dai coniugi. Questo capitolo

comprende le informazioni raccolte sul numero dei minori (ricercando una

correlazione tra il numero dei minori e l’età del coniuge più anziano al momento

dell’abbinamento); il sesso, l’età e la provenienza dei minori (confrontandola

anche coi dati nazionali); inoltre raccoglie informazioni sulla disponibilità delle

coppie al rischio giuridico, o ad accogliere bambini handicappati o sieropositivi.

2. Il secondo capitolo riguarda le caratteristiche strutturali dell’iter adottivo, con

tempi di attesa e documenti legali sull’idoneità all’adozione internazionale,

contenuti nelle cartelle.

3. Il terzo capitolo contiene le informazioni, ottenibili dalle relazioni, sulle coppie

aspiranti l’adozione. Per quanto riguarda l’età dei coniugi al momento in cui si

presentano al Servizio, si tenta una correlazione tra l’età e l’avvenuto/mancato

abbinamento, e una correlazione tra l’età e la disponibilità della coppia per

l’adozione nazionale/internazionale. Seguono le informazioni sul grado di

scolarità e l’attuale occupazione dei coniugi, correlate all’avvenuto/mancato

abbinamento. L’ultima parte del capitolo è dedicata ai problemi incontrati dalla

coppia quali sterilità, aborti, lutti di figli naturali; inoltre tratta degli accertamenti

medici svolti dalla coppia per accertare la propria incapacità generativa, i

tentativi di procreazione medicalmente assistita. Sono presenti anche

informazioni sulle coppie che hanno, invece, figli naturali.

4. L’ultimo capitolo riguarda i minori abbinati e le loro caratteristiche; presenta

un’ultima correlazione tra l’età del minore al momento dell’abbinamento e il suo

Paese di provenienza.

La seconda parte è qualitativa, e viene suddivisa in 2 capitoli:

1. il primo capitolo analizza in modo quantitativo i contenuti delle relazioni

d’idoneità; ci sono dei temi ricorrenti, e nelle descrizioni si può ritrovare una

serie di aggettivi ripetuti per molte coppie. Gli argomenti di cui si tratta in questo

capitolo sono le famiglie d’origine dei coniugi, il giudizio degli operatori sul

152

Page 153: Lisa Agosti

rapporto di coppia, che hanno potuto saggiare nel corso dell’indagine

sociopsicologica; la motivazione della coppia a compiere la scelta adottiva.

2. il secondo capitolo propone un confronto tra una relazione del 1976 e una del

2001, allo scopo di sottolineare i cambiamenti evolutivi nella struttura e nei

contenuti delle relazioni d’idoneità.

153

Page 154: Lisa Agosti

Sezione 1. ANALISI QUANTITATIVA DEI CONTENUTI

DELLE CARTELLE

E DELLE RELAZIONI D’IDONEITÀ

CAP. 1. DISPONIBILITÀ ALL’ADOZIONE

NUMERO DI MINORI

Le coppie che richiedono l’adozione possono dichiararsi disponibili al numero di

minori per cui si sentono in grado di occuparsi.

Su 131 coppie, 61 (47%) si dichiarano disponibili all’adozione di un solo minore.

64 (49%) si dichiarano disponibili all’adozione di uno o due minori

(in genere fratelli).

4 coppie (il 3%) si dichiarano disponibili all’adozione di 2 minori.

2 coppie (il 2%) si dichiarano disponibili all’adozione di 2 o più

minori.

La maggioranza delle coppie quindi, coerentemente con quanto riportato in

letteratura (vedi parte teorica), non si sente pronta ad accogliere più di due minori.

Questo è comprensibile, anzi, lo stupore nasce piuttosto nello scoprire che ci sono

coppie che accettano di adottare 3 o 4 fratelli.

A Carpi, ben 2 coppie hanno accolto come figli 4 fratelli brasiliani, e 1 coppia ha

accolto 3 fratelli, anch’essi provenienti dal Brasile.

154

Page 155: Lisa Agosti

Numero di minori che le coppie sono disponibili ad accogliere in adozione:

periodo 1 minore 1/2fratelli 2 fratelli 2/+fratelli

75 - 80 17 2 0 0

81 - 85 1 7 0 0

86 - 90 13 16 2 0

91 - 95 14 26 2 1

96 - 01 16 13 0 1

Totale 61 64 4 2

Per quanto riguarda i cambiamenti evolutivi, rimando a pag. 155.

155

Page 156: Lisa Agosti

CORRELAZIONE TRA L’ETÀ DEL GENITORE PIÙ ANZIANO

AL MOMENTO DELLA PRIMA RICHIESTA

E IL NUMERO DI MINORI PER CUI LA COPPIA SI DICHIARA DISPONIBILE

ALL’ADOZIONE

Come visto sopra, le disponibilità per 1 minore e quelle per 1 o 2 minori sono in

totale praticamente uguali, ma potrebbero esserci differenze se correlate all’età delle

coppie in adozione, o rispetto ai cambiamenti evolutivi.

Suddividendo le coppie per fasce d’età di 10 anni ciascuna, ho considerato le coppie

in base all’età che aveva il coniuge più anziano al momento in cui la coppia si è

presentata al Servizio.

Dividendo in periodi quinquennali il campione risulta che:

il 66% delle coppie che si dichiarano disponibili all’adozione di un solo minore ha

un’età compresa tra i 30 e i 39 anni.

Il 31% ha tra i 40 e i 49 anni;

solo una coppia ha tra i 24 e i 29 anni, e solo una coppia ha più di 50 anni.

Tra le coppie che si dichiarano disponibili all’adozione di 1 o 2 minori, risulta che:

il 64% ha un’età compresa tra i 30 e i 39 anni;

il 28% ha un’età compresa tra i 40 e i 49 anni;

5 coppie hanno tra i 24 e i 29 anni, mentre nessuna ne ha più di 50.

Le coppie che si dichiarano disponibili per l’adozione di 2 figli hanno:

in un caso meno di 30 anni;

in 3 casi tra i 30 e i 39 anni.

Le coppie che si dichiarano disponibili all’adozione di un numero di minori superiore

a 2 hanno:

in un caso meno di 30 anni;

in un caso tra i 40 e i 49 anni.

Da questi dati risulta che c’è molto equilibrio tra le diverse disponibilità, e sia nel

caso della disponibilità per un minore che per 1 o 2 minori, la stragrande

maggioranza delle coppie ha tra i 30 e i 39 anni (66% e 64%).

156

Page 157: Lisa Agosti

DISPONIBILITÀ ALL’ADOZIONE DI UN SOLO MINORE

periodo 24-29 anni 30-39anni 40-49 anni 50+anni totale %

75 - 80 11 5 1 17 28%

81 - 85 1 1 2%

86 - 90 1 5 7 13 21%

91 - 95 11 3 14 23%

96 - 01 12 4 16 26%

totale 1 40 19 1 61

% 2% 66% 31% 2%

DISPONIBILITÀ ALL’ADOZIONE DI UNO O DUE MINORI

periodo 24-29 anni 30-39anni 40-49 anni 50+anni totale %

75 - 80 1 1 2 3%

81 - 85 1 6 7 11%

86 - 90 1 12 3 16 25%

91 - 95 3 16 7 26 41%

96 - 01 6 7 13 20%

totale 5 41 18 0 64

% 8% 64% 28% 0%

Per quanto riguarda i cambiamenti evolutivi, nel campione di coppie che si

dichiarano disponibili all’adozione di un minore non risultano esserci cambiamenti

significativi;

per il campione di coppie che si dichiara disponibile all’adozione di 1 o 2 minori

invece c’è un trend di crescita costante nel tempo (dal 3% al 41%), con un

decremento solo nell’ultimo quinquennio.

157

Page 158: Lisa Agosti

SESSO DEI MINORI

Per quanto riguarda il sesso del bambino, solo 4 coppie esprimono una preferenza. In

tutti i casi si tratta di una preferenza per il sesso femminile.

Riporto un caso esemplificativo, tratto da una relazione stilata al Servizio:

...La preferenza per la bambina trova motivazioni differenti nella coppia: per la

signora significa sentirla più vicina, avere più “compagnia” e desiderio di

rappresentare per essa un modello d’identificazione; per il marito invece trasmettere

il proprio cognome ad una femmina sarebbe meno “impegnativo” a livello

psicologico in quanto con il matrimonio i suoi figli assumerebbero il cognome del

padre, cosa che in un figlio di sesso maschile non si verificherebbe.

Pur ritenendo importante l’ambiente nel quale un bambino cresce pensano che

alcuni tratti del carattere siano ereditari come ad esempio la cocciutaggine,

l’intelligenza ecc. Il credere alla trasmissione di tratti ereditari, li porta

maggiormente, e in particolare il marito, a non preferire un “figlio” di sesso

maschile poiché rappresenterebbe in modo più profondo la continuità di qualcosa di

loro per un bambino “non nato da loro”.

Questi due ultimi argomenti sono stati oggetto di discussione di più colloqui e

nonostante siano stati invitati a riflettere sui contenuti discussi hanno ribadito queste

loro convinzioni.

[...] Per quanto sopra esposto si manifestano delle perplessità relative alla coppia e

si rimanda a Codesto Tribunale per i Minorenni la valutazione definitiva sulla loro

idoneità all’adozione.

(Questa coppia non è mai stata chiamata dal Tribunale dei Minori per un

abbinamento).

158

Page 159: Lisa Agosti

ETÀ DEI MINORI

Le coppie possono esprimere una preferenza per l’età del bambino a cui verranno

abbinati:

5 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 1 anno;

4 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 2 anni;

21 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 3 anni;

19 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 4 anni;

9 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 5 anni;

47 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 6 anni;

2 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 7 anni;

2 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 8 anni;

11 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 10 anni;

1 coppia richiede un bambino che abbia meno di 11 anni;

3 coppie richiedono un bambino che abbia meno di 12 anni;

7 coppie non specificano l’età di preferenza; di queste 1 dichiara di accettare un

bambino

senza limitazioni d’età.

Nella tabella seguente ho scelto di raggruppare in un'unica categoria le disponibilità

per minori dai 6 ai 12 anni, essendo poche le coppie che preferiscono l’abbinamento

a bambini grandicelli.

Spesso questa scelta è determinata dall’età dei genitori, che per legge non può

discostarsi più di 45 anni, o meno di 18 anni, dall’età del minore. Questo argomento

è approfondito a pag. 202 e seguenti.

159

Page 160: Lisa Agosti

ETÀ DI ABBINAMENTO DEI MINORI

periodo < di

1anno

< di

2anni

< di

3anni

< di

4anni

< di

5anni

< di

6anni

< di

12anni

no limite non

spec.

75 - 80 1 0 5 3 3 2 3 0 2

81 - 85 1 0 0 3 1 2 0 1 0

86 - 90 2 0 5 0 1 16 5 0 2

91 - 95 0 1 3 10 4 17 7 0 1

96 - 01 1 3 8 3 2 8 4 0 1

totale 5 4 21 19 11 45 19 1 6

In percentuale:

periodo < di

1anno

< di

2anni

< di

3anni

< di

4anni

< di

5anni

< di

6anni

< di

12anni

no limite non

spec.

75 - 80 5 0 26 16 16 11 16 0 11

81 - 85 13 0 0 38 13 25 0 13 0

86 - 90 6 0 16 0 3 52 16 0 6

91 - 95 0 2 7 23 9 40 16 0 2

96 - 01 3 10 27 10 7 27 13 0 3

Per la discussione di questi dati, rimando a pag. 202 e seguenti.

160

Page 161: Lisa Agosti

PROVENIENZA DEI MINORI

Su 131 coppie, dal 1975 al 2001

38 ( il 29%) si dichiarano disponibili all’adozione nazionale;

7 (il 5%) si dichiarano disponibili all’adozione internazionale;

86 (il 66%) si dichiarano disponibili sia all’adozione nazionale che internazionale.

La mia ipotesi iniziale è che ci sia un cambiamento evolutivo significativo che veda

l’aumento progressivo delle disponibilità all’adozione internazionale, coerentemente

con quanto riportato in letteratura (vedi cap. “L’adozione internazionale”).

Grazie al cambiamento delle leggi e all’apertura delle frontiere all’adozione

interetnica, mi aspetto di trovare traccia di questi avvenimenti nei dati raccolti nella

ricerca sulle relazioni.

Da una prima suddivisione del campione in singoli anni, risultata troppo dispersiva,

ho raccolto una successiva suddivisione in due grossi periodi, che meglio e meno

dispersivamente rappresentano la distribuzione dei dati:

un primo periodo comprende gli anni dal 1975 al 1983, anno in cui uscì la legge 184,

che tutela i minori in adozione rendendo possibile adottare solo i minori dichiarati

adottabili.

Il secondo periodo comprende gli anni tra il 1984 e il 2001.

PROVENIENZA DEI MINORI

Periodo nazionale internaz. Naz/intern totale

75 – 83 21 1 1 23

84 – 01 17 6 85 108

Totale 38 7 86 131

Seguono gli stessi dati in percentuale:

Periodo nazionale internaz. Naz/intern

75 – 83 91% 4% 4%

84 – 01 16% 6% 79%

161

Page 162: Lisa Agosti

Come si può notare dalla tabella, il 91% delle dichiarazioni di disponibilità

presentate al Tribunale tra il 1975 e il 1983 a Carpi riguardano l’adozione nazionale,

contro il 4% delle dichiarazioni per l’adozione solo internazionale e il 4% delle

disponibilità per entrambi i tipi di adozione.

Nel periodo successivo al 1983, la situazione si ribalta, e le dichiarazioni di

disponibilità per entrambe le adozioni salgono al 79%, contro la discesa netta delle

dichiarazioni per l’adozione nazionale al 16%. Le dichiarazioni per l’adozione solo

internazionale si mantengono su percentuali basse, indice che solo per motivi

particolari si preferisce un abbinamento interetnico.

CONFRONTO COI DATI NAZIONALI

Per maggior chiarezza, si è tentato un confronto coi dati nazionali presenti sul sito

del Ministero della Giustizia (URL presente in bibliografia; dati del 2002).

Il campione nazionale è limitato agli anni 1993 – 1999, per cui ho raccolto le stesse

informazioni dal campione di Carpi limitandolo agli anni suddetti.

I risultati sono i seguenti:

DISPONIBILITÀ PER ADOZIONE NAZIONALE ED INTERNAZIONALE

PRESENTATE NEGLI ANNI 1993 – 1999

ITALIA CARPI

anno Nazionale internaz anno nazionale Internaz

1993 7631 6329 1993 13 13

1994 7669 6007 1994 6 4

1995 7715 5849 1995 2 2

1996 8425 5768 1996 3 4

1997 8530 6217 1997 5 3

1998 9484 6926 1998 5 4

1999 10102 7352 1999 5 5

Totale 59556 44448 totale 39 35

162

Page 163: Lisa Agosti

IN PERCENTUALE

(con base: totale dichiarazioni di disponibilità pervenute nel periodo 1993-1999)

ITALIA CARPI

anno Nazionale internaz anno nazionale Internaz

1993 7 6 1993 18 18

1994 7 6 1994 8 5

1995 7 6 1995 3 3

1996 8 6 1996 4 5

1997 8 6 1997 7 4

1998 9 7 1998 7 5

1999 10 7 1999 7 7

IN PERCENTUALE (con base: dichiarazioni di disponibilità totali per periodo)

ITALIA CARPI

anno Nazionale internaz anno nazionale Internaz

1993 55 45 1993 50* 50*

1994 56 44 1994 60 40

1995 57 43 1995 50 50

1996 59 41 1996 43 57

1997 58 42 1997 63 38

1998 58 42 1998 56 44

1999 58 42 1999 50 50

Dal confronto coi dati nazionali, non pare esserci molta differenza tra le dichiarazioni

di disponibilità all’adozione nazionale e internazionale;

dal campione 1984-01 delle coppie di Carpi, le percentuali sono del 16% per le

adozioni nazionali, del 6% per le adozioni internazionali, del 79% per quelle sia

nazionali che internazionali.

Questa differenza scompare nel campione che considera gli anni 1993-1999, come

visibile dalle tabelle sopra riportate.

Il motivo della discordanza tra i dati è che, coerentemente con quanto riportato per i

dati nazionali, non è stata considerata la classe “disponibilità per adozione sia

nazionale che internazionale”.

163

Page 164: Lisa Agosti

Ogni caso appartenente a questa classe viene ripartito e compare sia nella classe delle

adozioni nazionali che in quella delle adozioni internazionali, per cui le percentuali

risultano falsate.

Per maggior chiarezza, farò un esempio:

nella tabella sopra riportata, risulta che le dichiarazioni di disponibilità all’adozione

nazionale sono state, per l’anno 1993, il 55% nel campione nazionale, il 50% nel

campione di Carpi.

Nello stesso anno, le dichiarazioni di disponibilità all’adozione internazionale

risultano essere il 45% nel campione nazionale, il 50% nel campione di Carpi.

Se così fosse, metà delle coppie che si sono presentate a Carpi avrebbero dovuto

dichiararsi disponibili solamente all’abbinamento con un minore straniero, mentre in

realtà solo 7 coppie in 26 anni hanno dimostrato esplicita preferenza per

l’abbinamento con un minore straniero.

La non rappresentatività del dato risiede nel fatto che, nell’anno 1993, 13 coppie

hanno dichiarato di essere disponibili all’abbinamento sia con un minore italiano sia

con un minore straniero.

La letteratura sostiene che la maggior parte delle coppie si dichiara disponibile a

entrambi i tipi di adozione perché è molto difficile ottenere l’abbinamento con un

minore italiano (vedi capitolo “L’adozione internazionale”).

Effettivamente, confrontando i documenti di idoneità per l’adozione internazionale

rilasciati nel periodo 1975 – 2001 dal Tribunale alle coppie di Carpi con l’effettivo

abbinamento ottenuto, risulta che:

36 coppie che hanno ottenuto l’idoneità per un minore straniero sono state abbinate

con un minore straniero;

solo 4 coppie che hanno ottenuto il documento di idoneità per l’abbinamento a un

minore straniero, sono poi stati abbinati con un minore italiano.

Questo esempio è applicabile a tutte le percentuali della tabella sopra riportata per

quanto riguarda i dati di Carpi.

Per quanto riguarda le adozioni internazionali, gli operatori specificano se la coppia

ha difficoltà nell’accettare o meno bambini con tratti somatici diversi dai loro o

colore scuro, adducendo le motivazioni della scelta. In particolare:

4 coppie accettano anche bambini con tratti somatici diversi dai loro;

164

Page 165: Lisa Agosti

8 coppie accettano anche bambini di colore scuro;

1 coppia richiede espressamente un bambino di colore scuro (in quanto già genitori

adottivi di un

bambino di colore scuro);

2 coppie accettano anche bambini di razza diversa;

8 coppie esprimono preferenza per un bambino di colore non troppo scuro. Le

motivazioni addotte per questa preferenza sono legate al timore che un bambino di

colore diverso dalla maggior parte delle persone che lo circondano possa soffrire

maggiormente del distacco già difficile dal Paese d’origine; non si sentono quindi

preparate per un tale abbinamento.

165

Page 166: Lisa Agosti

RISCHIO GIURIDICO, HANDICAP E SIEROPOSITIVITÀ

Per quanto riguarda la richiesta di adozione italiana, il Tribunale per i Minorenni può

proporre alla coppia l’abbinamento con un minore in attesa dell’attestato di

adottabilità; gli operatori chiedono alla coppia se si sentono pronti a incontrare un

bambino che potrebbe eventualmente non essere poi considerato adottabile:

28 coppie si dichiarano disponibili ad accettare il rischio giuridico;

39 coppie si dichiarano non disponibili ad accettare il rischio giuridico.

Già nel 1976 troviamo la prima coppia disponibile; però, a parte questo caso isolato e

3 casi nell’anno successivo, le relazioni non riportano più informazioni relative alla

disponibilità delle coppie al rischio giuridico fino al 1989; da questa data in poi, ogni

anno ci sono coppie disponibili, fino al 2001.

Gli operatori chiedono alla coppia anche se si sentono in grado di chiedere

l’abbinamento con un minore handicappato, oppure con un minore sieropositivo:

1 sola coppia si dichiara disponibile a un figlio con HIV (nel 1999);

78 coppie si dichiarano non pronte per un tale abbinamento.

3 coppie si dichiarano disponibili a un figlio con handicap (nel 1976, 1998, 1999);

87 coppie si dichiarano non pronte per un tale abbinamento. Di queste:

15 coppie accettano l’eventualità di un figlio con piccoli difetti fisici risolvibili nel

tempo;

1 coppia accetta l’eventualità di un figlio con piccoli difetti fisici o psichici.

Per 2 coppie la relazione specifica anche che i coniugi si dichiarano pronti ad

accogliere anche un bambino istituzionalizzato.

166

Page 167: Lisa Agosti

Cap. 2. TEMPI D’ATTESA E DOCUMENTI D’IDONEITÀ

TEMPI D’ATTESA TRA LA PRIMA RICHIESTA AL TRIBUNALE

E L’ABBINAMENTO AL MINORE

Dal momento in cui la coppia si rivolge al Servizio a scopo adozione al momento in

cui il Tribunale decide l’abbinamento della coppia con uno o più minori per l’anno di

affidamento preadottivo intercorre un lasso di tempo che può variare molto da caso a

caso.

In media, dai dati raccolti emerge che:

il 42% delle coppie aspetta 1 anno;

il 22% delle coppie aspetta 3 anni;

il 15% delle coppie aspetta 2 anni;

il 7% delle coppie aspetta meno di 1 anno;

il 6% delle coppie aspetta 5 anni;

il 4% delle coppie aspetta 4 anni;

il 2% delle coppie aspetta più di 5 anni (dai 6 ai 10 anni).

Quindi, nell’86% dei casi l’attesa non supera i 3 anni, data di scadenza della prima

richiesta.

TEMPI D’ATTESA PER L’ABBINAMENTO

periodo <di 1

anno

1 anno 2 anni 3 anni 4 anni 5 anni 6 anni 10

anni

non

spec.

75-80 1 6 2 0 0 1 0 0 1

81-85 1 3 0 1 0 2 0 0 0

86-90 0 12 2 3 1 0 1 1 0

91-95 3 3 5 10 2 1 0 0 0

96-01 0 6 2 2 0 0 0 0 0

totale 5 30 11 16 3 4 1 1 1

Per quanto riguarda i cambiamenti evolutivi, non si notano tendenze significative;

perciò, pare che i tempi d’attesa non abbiano subito aumenti né diminuzioni nel

tempo. Il motivo è che l’iter adottivo richiede dei tempi strutturali che non è possibile

167

Page 168: Lisa Agosti

accorciare, nonostante gli operatori e i giudici siano consapevoli della condizione di

necessità in cui si trovano i minori in stato di adottabilità.

168

Page 169: Lisa Agosti

IDONEITÀ RILASCIATE DAL TRIBUNALE PER I MINORENNI ALLE

COPPIE DISPONIBILI ALL’ADOZIONE INTERNAZIONALE

La sezione che segue analizza le dichiarazioni di idoneità rilasciate dal Tribunale per

i Minorenni alle coppie richiedenti adozione presso i Servizi Sociali di Carpi.

La letteratura sostiene che sia più facile ottenere l’abbinamento per le coppie che si

dichiarano disponibili ad adottare più di un minore, essendo, soprattutto

nell’adozione internazionale, tante le coppie di fratelli che vanno in adozione

internazionale non essendo stati scelti per quella nazionale nel loro Paese d’origine

(D’Andrea, 2000).

L’ipotesi di partenza dunque è che le coppie che ottengono l’idoneità per uno o più

minori siano effettivamente state poi abbinate in percentuale maggiore rispetto alle

coppie che ottengono l’idoneità per un solo minore.

Dalla ricerca condotta risulta che:

41 coppie (il 53%) hanno ottenuto l’idoneità per l’adozione internazionale e sono

state poi effettivamente abbinate a uno o più minori.

Di queste:

15 coppie (il 37%) hanno ricevuto l’idoneità per un minore straniero.

26 coppie (il 63%) hanno ricevuto l’idoneità per uno o due minori stranieri.

24 coppie (il 31%) hanno ottenuto l’idoneità per l’adozione internazionale ma non

sono state poi abbinate a uno o più minori.

Di queste:

9 coppie (il 37%) aveva ricevuto l’idoneità per un minore straniero.

15 coppie (il 63%) aveva ricevuto l’idoneità per uno o due minori stranieri.

Le percentuali sono identiche nelle due classi sopra considerate, quindi non pare che

ottenere l’idoneità per uno o più minori faciliti l’abbinamento. L’ipotesi di partenza,

formulata sulla base di ciò che viene riportato in letteratura, non è quindi vera,

almeno per quanto riguarda la realtà di Carpi.

169

Page 170: Lisa Agosti

Oltre al 53% dei casi idonei e abbinati e al 31% dei casi idonei ma non abbinati,

esistono 12 coppie (il16%), che sono state abbinate a uno o più minori, ma a cui

manca, in cartella, il documento d’idoneità del Tribunale.

2 di queste riguardano coppie con prima richiesta nel 2000,

3 di queste riguardano coppie con prima richiesta nel 2001, quindi queste coppie

potrebbero essere ancora in attesa di ricevere l’idoneità.

3 coppie per cui manca il documento sono state abbinate con un minore italiano, per

cui non era necessario ricevere l’idoneità.

Le altre 4 coppie sono state abbinate con minori stranieri: la mancanza del

documento potrebbe essere imputabile a casi particolari, in cui il Tribunale contatta

una famiglia per accogliere un minore segnalato dal Paese d’origine, o da un Ente

autorizzato, come urgente.

In questo caso, la burocrazia legata al documento d’idoneità viene eliminata.

170

Page 171: Lisa Agosti

CAP. 3. LE CARATTERISTICHE

DELLE COPPIE ASPIRANTI L’ADOZIONE

Sono molte le variabili da studiare per quanto riguarda i coniugi che si presentano al

Servizio a scopo adozione. Nell’indagine sociopsicologica si ripercorre la storia di

ogni coniuge, poi la storia della coppia, si raccolgono informazioni su come i coniugi

hanno vissuto fino a quel momento e si indaga sul motivo della loro decisione di

adottare.

Nelle relazioni si può trovare il riassunto di questo lavoro con le coppie, da cui ho

tratto i seguenti risultati.

L’ETÀ DEI CONIUGI

CORRELAZIONE TRA AVVENUTO/MANCATO ABBINAMENTO ED ETÀ

DEI SINGOLI CONIUGI AL MOMENTO DELL’ABBINAMENTO

Solitamente fino a questo punto ho considerato le coppie come unità. In questo caso

ho ritenuto opportuno considerare i coniugi separatamente, per differenziare meglio

il campione e ottenere dati più precisi.

La ricerca di correlazione riguarda l’età in cui la coppia viene abbinata; si cercano

indici che differenzino la presenza e l’assenza di abbinamento rispetto all’età delle

donne e all’età degli uomini.

Dai risultati emerge che:

72 uomini e, ovviamente, 72 donne (il 27%) ottengono l’abbinamento;

59 uomini e 59 donne (il 23%) non ottengono l’abbinamento.

Si nota quindi una leggera maggioranza di abbinamenti avvenuti.

171

Page 172: Lisa Agosti

ETÀ DEI CONIUGI AL MOMENTO DELL’ABBINAMENTO

Abbinam. SI NO SI NO SI NO SI NO

Età 24 - 29 anni 30 - 39 anni 40 - 49 anni 50 anni in poi

Periodo M F M F M F M F M F M F M F M F

1975 – 1980 0 4 0 0 10 7 2 4 1 0 5 4 0 0 1 0

1981 – 1985 1 3 0 0 6 4 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0

1986 – 1990 1 6 2 3 13 10 5 8 6 4 4 0 0 0 0 0

1991 – 1995 3 6 1 2 18 15 11 14 3 3 7 3 0 0 0 0

1996 – 2001 0 1 0 3 7 7 11 14 3 2 9 3 0 0 0 0

TOTALE 5 20 3 8 54 43 30 41 13 9 25 10 0 0 1 0

Percentuale degli uomini che ottengono l’abbinamento:

Periodo Età 24 - 29 30 - 39 40 - 49 50+

1975 – 1980 0 53 5 0

1981 – 1985 13 75 0 0

1986 – 1990 3 42 19 0

1991 – 1995 7 42 7 0

1996 – 2001 0 23 10 0

Percentuale degli uomini che non ottengono l’abbinamento:

Periodo Età 24 - 29 30 - 39 40 - 49 50+

1975 – 1980 0 11 26 5

1981 – 1985 0 13 0 0

1986 – 1990 6 16 13 0

1991 – 1995 2 26 16 0

1996 – 2001 0 37 30 0

172

Page 173: Lisa Agosti

Percentuale delle donne che ottengono l’abbinamento:

Periodo Età 24 - 29 30 - 39 40 - 49 50+

1975 – 1980 21 37 0 0

1981 – 1985 38 50 0 0

1986 – 1990 19 32 19 0

1991 – 1995 14 35 7 0

1996 – 2001 3 23 10 0

Percentuale delle donne che non ottengono l’abbinamento:

Periodo Età 24 - 29 30 - 39 40 - 49 50+

1975 – 1980 0 21 21 0

1981 – 1985 0 13 0 0

1986 – 1990 10 26 0 0

1991 – 1995 5 33 7 0

1996 – 2001 10 47 10 0

Questi dati sono interessanti, ma la loro lettura può risultare faticosa.

Per maggiore chiarezza, ecco le percentuali delle due maggiori categorie

rappresentate nel campione (30 – 39 anni e 40 – 49 anni) rispetto all’intero universo

(262 persone):

PERCENTUALI DELLE CATEGORIE D’ETÀ PIÙ RAPPRESENTATE

SI NO SI NO

30 – 39 anni 40 - 49 anni

M F M F M F M F

54 43 30 41 13 9 25 10

21% 16% 11% 16% 5% 3% 10% 4%

Come si può notare dalla tabella,

gli uomini dai 30 ai 39 anni che ottengono l’abbinamento corrispondono al 21%,

rispetto all’11% che non lo ottiene;

gli uomini che ottengono l’abbinamento tra i 40 e i 49 anni corrispondono al 5%,

rispetto al 10% che non lo ottiene.

173

Page 174: Lisa Agosti

La tendenza quindi si inverte, rendendo possibile formulare l’ipotesi che sia più

semplice ottenere l’abbinamento per un uomo più giovane.

Questo dato è reso ancora più interessante dal fatto che un simile trend non si

riscontra nell’universo femminile:

le donne che ottengono l’abbinamento tra i 30 e i 39 anni corrispondono al 16%,

l’identica percentuale corrisponde alle donne che non lo ottengono.

Tra i 40 e i 49 anni, il 3% delle donne viene abbinata, il 4% no.

Per le donne quindi sembra non esserci differenza nelle possibilità di ottenere un

abbinamento al variare dell’età, mentre per gli uomini pare che al crescere dell’età

diminuiscano le speranze di abbinamento.

Il campione è però troppo piccolo per poter trarre qualsiasi conclusione che vada al

di là della semplice ipotesi, magari da verificare su scala nazionale.

174

Page 175: Lisa Agosti

CORRELAZIONE TRA

LA DISPONIBILITÀ ALL’ADOZIONE NAZIONALE E/O INTERNAZIONALE

E L’ETÀ DEL CONIUGE PIÙ ANZIANO AL MOMENTO DELLA PRIMA

RICHIESTA

L’età in cui le coppie si presentano al Servizio è sicuramente una variabile

fondamentale per la ricerca di variazioni significative. Presento dunque un’altra

correlazione, più specifica della precedente.

In questo caso ho indagato la disponibilità delle coppie all’adozione nazionale,

internazionale o a entrambe, rispetto sempre all’età in cui i coniugi si presentano al

Servizio.

Come negli altri casi, l’età è calcolata in base alla data della prima richiesta, e tra i

due coniugi si considera quello più anziano. Stavolta però non risultava influente

suddividere le coppie tra marito e moglie, quindi anziché i coniugi singolarmente ho

considerato le coppie come unità.

Il campione è stato diviso in quinquenni per evitare un accumulo di dati troppo

dispersivo.

L’ipotesi di partenza, riguardo i cambiamenti evolutivi, che andremo a indagare in un

secondo momento, è che le disponibilità per le adozioni nazionali subiscano un

decremento col passare del tempo, lasciando spazio alle disponibilità per le adozioni

sia nazionali che internazionali.

DISPONIBILITÀ PER L’ADOZIONE NAZIONALE

Il 30% delle coppie si dichiara disponibile solo per l’adozione nazionale.

Per quanto riguarda le disponibilità alle adozioni nazionali, risulta che:

il 72% delle coppie ha un’età compresa tra i 30 e i 39 anni.

Il 23% ha un’età compresa tra i 40 e i 49 anni;

solo il 3% ha meno di 30 anni e il restante 3% ha più di 50 anni.

Delle 28 coppie che costituiscono il campione di età compresa tra i 30 e i 39 anni, il

43% arriva al Servizio tra il 1975 e il 1980. nei quinquenni successivi la presenza di

coppie di quest’età rimane la più rappresentata nell’universo, ma in quantità inferiori

(da un minimo di 2 a un massimo di 6 per quinquennio).

175

Page 176: Lisa Agosti

DISPONIBILITÀ DELLE COPPIE ALL’ADOZIONE NAZIONALE

periodo 24-29anni 30-39anni 40-49anni 50+anni Totale %

75 - 80 12 5 1 18 46%

81 - 85 4 4 10%

86 - 90 1 6 2 9 23%

91 - 95 2 2 4 10%

96 - 01 4 4 10%

totale 1 28 9 1 39

% 3% 72% 23% 3%

DISPONIBILITÀ PER L’ADOZIONE INTERNAZIONALE

Solo 6 coppie (5%) nell’universo considerato si dichiarano disponibili solamente per

l’adozione internazionale.

Questa insolita decisione può essere determinata dalla presenza, in famiglia, di

precedenti casi di figli adottivi nati fuori dall’Italia, per cui si desidera ripetere

l’esperienza.

Oppure una motivazione potrebbe essere l’avvenuta sensibilizzazione per i problemi

presenti in certi Paesi esteri, per cui la solidarietà provata sfocia in un desiderio di

adozione internazionale.

L’ipotesi specifica per i dati che trattiamo, quindi, è che non risulti una differenza

significativa tra le varie età in cui le coppie si presentano al Servizio, essendo altre le

variabili a determinare una scelta di questo tipo.

Effettivamente, nonostante il campione sia troppo piccolo per giungere a qualsiasi

conclusione, i dati non mostrano trend evolutivi né variazioni causate dalla

differenza d’età dei coniugi.

176

Page 177: Lisa Agosti

DISPONIBILITÀ DELLE COPPIE ALL’ADOZIONE INTERNAZIONALE

periodo 24-29anni 30-39anni 40-49anni 50+anni Totale

75 - 80 0

81 - 85 0

86 - 90 2 1 3

91 - 95 1 1

96 - 01 2 2

totale 0 4 2 0 6

%

DISPONIBILITÀ PER L’ADOZIONE NAZIONALE E INTERNAZIONALE

Il 66% delle coppie che fanno richiesta d’adozione si rendono disponibili sia

all’abbinamento con un minore italiano che con un minore straniero.

Nel campione che comprende queste 86 coppie, risulta che:

il 61% delle coppie, quindi la stragrande maggioranza, ha un’età compresa tra i 30 e i

39 anni.

Il 31% delle coppie ha un’età compresa tra i 40 e i 49 anni;

solo l’8% delle coppie arriva al Servizio prima dei 30 anni, e nessuna coppia dopo i

50 anni.

Delle 52 persone che arrivano tra i 30 e i 39 anni, ben 27 arrivano nel periodo

compreso tra il 1991 e il 1995.

Nel capoverso successivo, dedicato ai cambiamenti evolutivi, si chiarirà l’importanza

di questo dato.

177

Page 178: Lisa Agosti

DISPONIBILITÀ DELLE COPPIE ALL’ADOZIONE NAZIONALE E

INTERNAZIONALE

periodo 24-29anni 30-39anni 40-49anni 50+anni Totale %

75 - 80 1 1 1%

81 - 85 1 3 44 5%

86 - 90 2 10 7 19 22%

91 - 95 4 27 7 38 44%

96 - 01 12 12 24 30%

totale 7 52 27 86

% 8% 61% 31% 0

Per ora, vorrei soffermarmi sulla presenza, in tutti i campioni considerati, del dato

“età 30 – 39 anni” come il più rappresentato.

Considerando l’intero universo, si può notare che il 64% delle coppie che si

presentano al Servizio ha un’età compresa tra i 30 e i 39 anni, quindi diventa

comprensibile che in ogni caso, sia che la coppia si dichiari disponibile all’adozione

nazionale, internazionale o entrambe, la maggior percentuale di presenze riguarda

questa fascia di età.

ETÀ IN CUI LE COPPIE SI PRESENTANO AL SERVIZIO

periodo 24-29anni 30-39anni 40-49anni 50+anni

75 - 80 12 6 1

81 - 85 1 7

86 - 90 3 18 10

91 - 95 4 29 10

96 - 01 18 12

totale 8 84 38 1

% 6% 64% 29% 1%

Per quanto riguarda i cambiamenti evolutivi, si possono invece notare trend

interessanti.

Per quanto riguarda in generale l’età in cui le coppie si presentano al Servizio, ho

ipotizzato che si potesse notare un aumento di coppie che richiedono l’adozione dopo

i 40 anni. Questo per due motivi:

- il primo è la tendenza generale delle nuove generazioni a sposarsi e diventare genitori a

un’età più avanzata rispetto alle generazioni precedenti;

178

Page 179: Lisa Agosti

- il secondo è la tendenza delle coppie che non riescono a procreare in modo naturale a

tentare, una o più volte, di diventare genitori tramite le tecniche di fecondazione

artificiale prima di pensare all’alternativa dell’adozione (vedi paragrafo sulla

procreazione medicalmente assistita).

Questa ipotesi concorda coi dati raccolti nel campione di Carpi: le coppie che vanno

in adozione tra i 40 e i 49 anni salgono infatti dal 16% nel periodo 1975-1980 al 32%

nel quinquennio 1996-2001.

Un secondo cambiamento evolutivo è stato indagato basandosi sull’ipotesi di

partenza che l’adozione nazionale col passare del tempo subisca un decremento,

coerentemente con un atteso aumento delle dichiarazioni di disponibilità per

l’abbinamento sia con minori italiani sia stranieri.

I dati confermano quest’ipotesi:

nel quinquennio 1975 – 1980 si trova:

il 46% di dichiarazioni di disponibilità all’adozione nazionale;

l’1% di dichiarazioni di disponibilità a entrambi i tipi di adozione.

Nei quinquennio successivi:

solo il 10% delle coppie chiede l’abbinamento specificatamente a un minore italiano

(calo del 36%)

per poi mantenersi su percentuali molto basse;

le dichiarazioni di disponibilità a entrambi i tipi di adozione invece salgono dall’1%

iniziale al 5%, poi al 22% fino ad arrivare al picco, negli anni 1991 – 1995, del 44%,

registrando in totale un aumento quindi del 43%.

Nell’ultimo quinquennio questa escalation si è leggermente attenuata, fermandosi sul

30%.

179

Page 180: Lisa Agosti

IL GRADO DI SCOLARITÀ E L’CCUPAZIONE DEI CONIUGI

CORRELAZIONE TRA AVVENUTO/MANCATO ABBINAMENTO E GRADO

DI SCOLARITÀ DEI CONIUGI

Dalle relazioni d’idoneità si può ricavare la carriera scolastica di ciascuno dei

coniugi delle coppie richiedenti adozione. Si è cercata una correlazione tra il grado di

scolarità, considerando marito e moglie come unità separate, e l’ottenimento o meno

dell’abbinamento sperato.

L’ipotesi iniziale che mi ha spinto a una correlazione di questo tipo sostiene che le

persone con una scolarità maggiore siano facilitate nell’ottenimento dell’adozione; in

particolare, mi aspetto una differenziazione ancora più marcata negli ultimi anni,

considerando che il livello di istruzione italiano è aumentato parecchio rispetto agli

anni ’70.

Su 131 uomini,

55 (42%) hanno conseguito il diploma;

31 (24%) hanno una scolarità media inferiore;

16 (12%) hanno conseguito la laurea;

15 (11%) hanno una scolarità elementare;

12 (9%) hanno concluso la scuola di avviamento professionale.

Su 131 donne,

53 (40%) hanno conseguito il diploma; (2% in meno dei mariti).

34 (26%) hanno una scolarità media inferiore; (2%in più dei mariti).

18 (14%) hanno conseguito la laurea o sono laureande; (2% in più dei mariti).

15 (11%) hanno una scolarità elementare; (Stessa percentuale maschile).

11 (8%) hanno concluso la scuola di avviamento professionale; (1% in meno dei

mariti):

Da questi dati appare evidente una grande omogeneità tra l’universo maschile e

quello femminile, con percentuali che non si discostano più del 2% per ogni classe

considerata.

180

Page 181: Lisa Agosti

Guardando più in dettaglio le differenze di scolarità tra mariti e mogli, e tra mancati

e avvenuti abbinamenti, non si riscontrano differenze nel grado di scolarità dei mariti

e delle mogli.

Il totale di uomini e di donne con un certo grado di scolarità è simile per tutte le

classi.

Si riscontrano invece notevoli differenze negli abbinamenti:

tra coloro che hanno una scolarità elementare, 11 persone (il 40%) ottengono

l’abbinamento, mentre il restante 60% non lo ottiene.

Tra coloro che hanno una scolarità media inferiore, 42 persone (il 64%) ottengono

l’abbinamento, mentre il 36% non lo ottiene.

Tra coloro che hanno conseguito il diploma di avviamento professionale, 13 persone

(il 57%) ottiene l’abbinamento, mentre il 43% non lo ottiene.

Tra coloro che hanno conseguito il diploma, 61 persone (il 56%) ottiene

l’abbinamento, mentre il 44% non lo ottiene.

Tra coloro che sono in possesso di una laurea, 16 persone (il 47%) ottiene

l’abbinamento, mentre il 53% non lo ottiene.

È sicuramente curioso che tutte le percentuali sopra riportate si discostino poco dal

50%; c’è un equilibrio tra abbinamenti avvenuti e mancati e tra i diversi gradi di

scolarità.

Ciò che stupisce ancora di più è che, mentre per la scolarità media, professionale e

per il diploma, sono comunque in vantaggio gli abbinamenti avvenuti, per la scolarità

elementare e tra i laureati sono più le persone che non hanno ottenuto abbinamenti.

Per quanto riguarda i cambiamenti evolutivi, dal 1975 ad oggi è cresciuto il livello di

istruzione. Questa tendenza era prevedibile, in rapporto a una crescita del livello

d’istruzione che ha interessato tutta la popolazione italiana.

Nei dati riferiti alla realtà di Carpi, passando da un quinquennio al successivo

diminuiscono visibilmente le persone con scolarità elementare, aumentano quelle con

scolarità media inferiore, rimangono pressoché nello stesso numero quelle con

scolarità di avviamento professionale; i diplomati invece aumentano visibilmente (sia

tra gli uomini che tra le donne), e aumentano anche i laureati (soprattutto le donne).

Queste variazioni sono imputabili a cambiamenti evolutivi che riguardano tutta la

popolazione italiana, quindi non sono causate da variabili legate all’adozione.

181

Page 182: Lisa Agosti

I cambiamenti osservabili nel campione senza abbinamento seguono le stesse

caratteristiche dell’intero universo; non pare dunque esserci un cambiamento nel

modo in cui gli operatori e il Tribunale valutano l’idoneità all’adozione rispetto al

grado di scolarità posseduto dalle coppie.

182

Page 183: Lisa Agosti

SCOLARITÀ DEI CONIUGI CHE RICHIEDONO L’ADOZIONE

periodo elementari medie profess.

marito moglie marito moglie marito moglie

75-80 9 8 2 4 3 3

81-85 2 2 2 3 1 1

86-90 2 2 9 11 2

91-95 2 2 12 10 5 3

96-01 7 6 3 2

totale 15 14 32 34 12 11

periodo diploma laurea non spec. totale

marito moglie marito moglie

75-80 1 2 3 1 1 37

81-85 3 2 16

86-90 16 12 4 4 62

91-95 21 22 4 6 87

96-01 14 15 5 7 1 60

totale 55 53 16 18 2 262

SCOLARITÀ DELLE COPPIE IN PERCENTUALE

periodo elementari medie profess. diploma laurea

75 - 80 32 11 26 11 21

81 - 85 25 13 13 50 0

86 - 90 3 19 0 58 19

91 - 95 2 16 9 53 19

96 - 01 0 10 3 60 27

183

Page 184: Lisa Agosti

SCOLARITÀ DELLE COPPIE CON ABBINAMENTO

periodo element

ari

medie profess.

marito moglie marito moglie marito moglie

75-80 4 3 1 4 2 2

81-85 1 1 2 3 1 1

86-90 1 1 5 7 2

91-95 8 6 2 1

96-01 3 3 1 1

totale 6 5 19 23 6 7

periodo diploma laurea non spec. totale

marito moglie marito moglie

75-80 1 2 1 1 21

81-85 3 2 14

86-90 13 9 1 1 40

91-95 13 13 2 4 49

96-01 3 4 3 2 20

totale 33 28 8 8 1 144

SCOLARITÀ DELLE COPPIE SENZA ABBINAMENTO

periodo elementari medie profess.

marito moglie marito moglie marito moglie

75-80 5 5 1 1 1

81-85 1 1

86-90 1 1 4 4

91-95 2 2 4 4 3 2

96-01 4 3 2 1

totale 9 9 13 11 6 4

periodo diploma laurea non spec. totale

marito moglie marito moglie

75-80 2 1 16

81-85 2

86-90 3 3 3 3 22

91-95 8 9 2 2 38

96-01 11 11 2 5 1 40

totale 22 25 8 10 1 118

184

Page 185: Lisa Agosti

CORRELAZIONE TRA AVVENUTO/MANCATO ABBINAMENTO

E OCCUPAZIONE DELLE COPPIE

Dalle relazioni è possibile conoscere la storia lavorativa dei coniugi che desiderano

adottare. Si è ricercata una correlazione tra l’occupazione dei coniugi al momento

della prima richiesta e l’avvenuto o mancato abbinamento.

Lo scopo è scoprire se ci sono alcuni lavori che facilitano l’ottenimento

dell’abbinamento a un minore a scopo adozione, o se al contrario alcune mansioni

penalizzano le coppie aspiranti.

Ovviamente nel caso si trovassero variazioni significative, queste sarebbero da

imputare non al lavoro in sé svolto dai coniugi, bensì ad altre condizioni collegate

all’occupazione, prima di tutto il reddito familiare, nonché l’abitazione posseduta e,

forse, anche la classe sociale di appartenenza.

Nel decidere come dividere il campione, ho seguito le indicazioni fornite dalla

ricerca pilota, trovando così 6 categorie che comprendono tutti i soggetti:

la prima comprende i dipendenti, gli impiegati e gli operai, che ho unito per ragioni

di reddito percepito, così come per questo motivo ho unito in una seconda categoria i

liberi professionisti e gli artigiani, e in una terza i dirigenti.

La quarta categoria nasce dall’osservazione dei casi raccolti: mi è parso di

raccogliere molti esempi di occupazioni che avessero a che fare con l’istruzione e

l’educazione. Per questo ho creato una categoria che comprende gli insegnanti, gli

educatori e gli assistenti sociali, formulando l’ipotesi che molte persone impegnate

nel sociale siano sensibili al tema adozione e disponibili ad accogliere un bambino

adottivo nella loro famiglia.

Le altre due categorie non sono quasi per niente rappresentate, ed è proprio per

questo che ho deciso di lasciarle:

una comprende i lavoratori a domicilio;

l’altra i pensionati e i casalinghi.

Queste persone avrebbero più tempo di dedicarsi a un bambino rispetto a chi lavora,

eppure sono solo 9 (3%) i soggetti che non lavorano fuori casa. A parte questa

piccola percentuale, su 131 coppie (quindi 262 persone), si è trovato che:

66 persone (25%) sono dipendenti, impiegati o operai. È la categoria più

rappresentata.

48 persone (18%) sono liberi professionisti o artigiani.

185

Page 186: Lisa Agosti

14 persone (5%) sono dirigenti.

14 persone (5%) sono insegnanti, educatori o assistenti sociali.

OCCUPAZIONE DELLE COPPIE CON ABBINAMENTO

Periodo Dipendente

Impiegato

Operaio

Libero prof.

Artigiano

Dirigente Insegnanti

Educatori

Ass. sociale

marito moglie Marito moglie Marito moglie marito moglie

75-80 7 6 2 2 1 0 1 1

81-85 4 2 0 4 3 0 0 1

86-90 8 5 7 8 4 2 0 4

91-95 12 12 8 7 3 1 1 4

96-01 6 4 5 5 0 0 0 2

Totale 37 29 22 26 11 3 2 12

Periodo Lavoro a

Domicilio

Casalinga

Pensionato

Non

Spec.

marito moglie Marito moglie

75-80 0 1 0 1 0

81-85 0 0 0 0 0

86-90 0 0 0 0 2

91-95 0 0 0 0 0

96-01 0 0 0 0 0

Totale 0 1 0 1 2

Seguono le percentuali di presenza delle occupazioni maggiormente rappresentate:

Periodo Dipendente

Impiegato

Operaio

Libero prof.

Artigiano

Dirigente Insegnanti

Educatori

Ass. sociale

marito moglie Marito moglie Marito moglie marito moglie

75-80 32 27 9 9 5 0 5 5

81-85 29 14 0 29 21 0 0 7

86-90 20 13 18 20 10 5 0 10

91-95 25 25 17 15 6 2 2 8

96-01 27 18 23 23 0 0 0 9

186

Page 187: Lisa Agosti

OCCUPAZIONE COPPIE SENZA ABBINAMENTO

Periodo Dipendente

Impiegato

Operaio

Libero prof.

Artigiano

Dirigente Insegnanti

Educatori

Ass. sociale

marito moglie Marito moglie Marito moglie Marito moglie

75-80 6 5 2 1 0 0 0 0

81-85 1 1 0 0 0 0 0 0

86-90 4 3 6 3 1 0 0 2

91-95 11 9 7 2 1 0 0 3

96-01 11 5 5 5 3 1 0 4

Totale 33 23 20 11 5 1 0 9

Periodo Lavoro a

Domicilio

Casalinga

Pensionato

Non spec.

marito moglie Marito moglie

75-80 0 1 0 0 1

81-85 0 0 0 0 0

86-90 0 0 0 1 2

91-95 0 2 0 2 1

96-01 0 1 0 0 3

Totale 0 4 0 3 7

Seguono le percentuali di presenza delle occupazioni maggiormente rappresentate:

Periodo Dipendente

Impiegato

Operaio

Libero prof.

Artigiano

Dirigente Insegnanti

Educatori

Ass. sociale

Marito moglie Marito moglie Marito moglie marito moglie

75-80 38 31 13 6 0 0 0 0

81-85 50 50 0 0 0 0 0 0

86-90 18 14 27 14 5 0 0 9

91-95 29 24 18 5 3 0 0 8

96-01 29 13 13 13 8 3 0 11

Procedendo alla discussione dei dati, confrontiamo l’occupazione delle coppie che

hanno ottenuto l’abbinamento con quelle senza abbinamento:

187

Page 188: Lisa Agosti

mentre tra i dipendenti, impiegati e operai c’è equilibrio tra uomini e donne e tra

abbinati e non, per quanto riguarda invece i liberi professionisti e artigiani c’è

equilibrio tra gli uomini, mentre tra le donne sono molte di più quelle che hanno

ottenuto l’abbinamento (n.26) rispetto a quelle senza abbinamento (n. 11). La

spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che queste future madri hanno più possibilità

di gestirsi l’orario di lavoro rispetto a un dipendente.

Infatti, se calcoliamo la percentuale totale delle donne con occupazione indipendente

sull’intero universo troviamo che sono il 14%, quindi sono meno delle donne con

occupazione dipendente, corrispondenti al 20% dell’intero universo. Nonostante ciò,

le donne che ottengono l’abbinamento e appartengono alla categoria “liberi

professionisti/artigiani” sono 26, solo 3 meno delle lavoratrici dipendenti. La tabella

sui mancati abbinamenti riporta invece 11 donne libere professioniste contro le 23,

quindi molte di più, lavoratrici dipendenti che non hanno potuto portare a termine

l’iter adottivo.

Un altro dato da segnalare è la grande presenza di insegnanti, educatori, assistenti

sociali che vanno in adozione, specialmente donne.

Infine, pare che la categoria “dirigenti”, quasi per nulla rappresentata dalle mogli,

vari molto per quanto riguarda i “mariti”.

11 mariti con mansioni direttive ottengono infatti l’abbinamento (69%), mentre solo

5 (31%) non lo ottengono.

Probabilmente il tenore di vita assicurato da un lavoro redditizio e stabile quale il

“dirigente” incentiva le possibilità di ottenere un abbinamento.

Per quanto riguarda i cambiamenti evolutivi, vediamo che:

la categoria “liberi professionisti/artigiani”, per entrambi i sessi, è poco

rappresentata fino al 1985, poi è presente in percentuali più consistenti.

Per trovare un’ipotesi esplicativa a questo trend, ho raccolto informazioni statistiche

(ISTAT, 2001) sulla quantità di liberi professionisti/artigiani in Emilia Romagna nel

1981 (55.101) e nel 1991 (114.864).

Trasformati in percentuali rispetto ai totali degli occupati negli anni di riferimento in

Emilia Romagna, risulta che nel 1981 la categoria è rappresentata da una percentuale

pari al 3%.

Nel 1991 la stessa categoria è salita al 7%.

188

Page 189: Lisa Agosti

L’anno 1985, in cui si registra l’inizio dell’aumento di liberi professionisti/artigiani

che richiedono l’adozione a Carpi, si situa esattamente a metà tra gli anni di

riferimento suddetti.

Ritengo pertanto che l’aumento visibile nella categoria del campione di Carpi sia

assimilabile a un trend regionale di sviluppo anziché a variabili legate all’adozione.

Per le categorie “dipendenti/impiegati/operai”, “dirigenti” e “insegnanti / educatori /

assistenti sociali” credo valga la stessa spiegazione per l’aumento di richieste, sia nel

caso di avvenuto abbinamento che nel caso di mancato abbinamento.

La crescita percentuale di richieste è dovuta alla presenza di maggiori richieste totali

al Servizio (da 19 nel primo quinquennio a un picco di 43 nella prima metà degli

anni ’90) e a variazioni che accomunano questo campione a quello più esteso

dell’Emilia Romagna.

Per quanto riguarda i cambiamenti evolutivi delle quantità di abbinamento avvenute,

in relazione alle richieste fatte, risulta che gli abbinamenti avvenuti sono il 15% nel

1975-1980, crescono fino al 33% nel 1991-1995, per poi ritornare al 15% nell’ultimo

quinquennio.

Questo equilibrio non è visibile nel campione del mancato abbinamento:

da un 14% (simile dunque alla quantità di abbinamenti avvenuti) del 1975-1980, si

arriva al 33% nel 1991-1995, e la percentuale si stabilizza così alta anche per

l’ultimo quinquennio.

Pare dunque che ci sia, da una decina d’anni, una maggiore difficoltà per chi desidera

diventare genitore adottivo. Per sostenere quest’ipotesi, non si può fare riferimento

all’ultimo quinquennio, perché ovviamente molte coppie che sono giunte al Servizio

dal 1999 in poi sono ancora in attesa di abbinamento, essendo la loro domanda non

ancora scaduta.

Più interessanti invece sono le 19 coppie che non hanno potuto realizzare il loro

desiderio di adottare tra il 1991 e il 1995. Per trarre conclusioni, è necessario

aspettare qualche anno, in quanto questo trend potrebbe mantenersi o cambiare

direzione. Dovrebbe essere così, visto che il nuovo Presidente della Commissione per

le Adozioni Internazionali, Melita Cavallo, sembra intenzionata a far sì che tutte le

coppie che ottengono l’idoneità all’adozione vengano abbinate a un minore (vedi

capitolo sull’adozione internazionale). Se il Presidente manterrà la sua parola, al

prossimo quinquennio la tendenza osservata dovrebbe risultare capovolta.

189

Page 190: Lisa Agosti

COPPIE ABBINATE

periodo totale Totale Coppie

75-80 22 11

81-85 14 7

86-90 40 20

91-95 48 24

96-01 22 11

totale 146 73

COPPIE NON ABBINATE

periodo totale tot. coppie

75-80 16 8

81-85 2 1

86-90 22 11

91-95 38 19

96-01 38 19

totale 116 58

190

Page 191: Lisa Agosti

LA STORIA DELLE COPPIE RICHIEDENTI ADOZIONE

ACCERTAMENTI MEDICI

Nella storia delle coppie che si rendono disponibile all’adozione, spesso si

incontrano esperienze passate dolorose come la scoperta di un’incapacità generativa

o ripetuti aborti, o ancora storie di lutti di figli naturali. La scoperta dell’infertilità,

della sterilità, o problemi fisici che rendono impossibile una gravidanza, o future

nuove gravidanze, spingono quasi tutte le coppie a cercare di scoprirne il motivo. Da

qui nasce la presenza, nelle relazioni d’idoneità, di informazioni sulla storia di una

famiglia che non può crescere di numero, o almeno non naturalmente. È

importantissimo, per decidere dell’abbinamento di un minore, conoscere questa

storia.

Grazie a queste informazioni, ho raccolto i seguenti dati.

Sulle 131 coppie, 101 (77%) hanno fatto accertamenti medici dopo aver tentato una

genitorialità naturale, non riuscita.

Considerando che 22 coppie hanno figli naturali, per cui non ritengono necessari

accertamenti, e 4 coppie hanno avuto figli naturali ora non più vivi, però sanno di

poter procreare, il 20% delle coppie non è interessata da un’indagine di questo tipo.

Di conseguenza, quasi la totalità delle coppie che non sono in grado di procreare

tenta di scoprire il motivo della sua incapacità.

Dagli accertamenti, risulta che l’impedimento è a carico del marito, della moglie o di

entrambi; oppure si scopre che non ci sono impedimenti oggettivi alla procreazione.

In 25 relazioni non è specificato se la coppia ha fatto accertamenti medici;

in 5 casi la coppia non ha fatto accertamenti medici.

Di queste:

1 coppia motiva questa scelta dichiarandosi contraria all’accanimento terapeutico;

2 coppie non specificano il motivo di questa scelta;

2 coppie imputano la loro incapacità di procreare alla loro anzianità.

Una coppia sta facendo gli aggiornamenti contemporaneamente alla richiesta

d’adozione.

Per le restanti coppie:

- nella maggior parte dei casi (45), il problema fisico per cui è improbabile per la

coppia la speranza di una genitorialità naturale è a carico della moglie (può trattarsi

191

Page 192: Lisa Agosti

di cisti, di chiusura delle tube o di tantissime altre condizioni fisiche, che la relazione

spesso riporta).

- in 21 casi il problema fisico per cui è improbabile una gravidanza è a carico del

marito. (Spesso la relazione specifica se si tratta di una ipospermia o di una

oligospermia, ecc.)

- Solamente per 12 coppie entrambi i coniugi presentano problemi fisici per cui non

possono avere figli naturali.

- Per 22 coppie invece gli accertamenti medici assicurano che non ci sono

impedimenti oggettivi alla gravidanza, ma queste si dirigono comunque verso la

scelta adottiva.

ACCERTAMENTI MEDICI

anno marito moglie entrambi no imped

oggettivi

assenti in corso non

spec.

75 - 80 3 11 0 2 0 0 3

81 - 85 2 4 1 1 0 0 0

86 - 90 1 8 3 10 2 0 7

91 - 95 6 15 3 6 3 1 9

96 - 01 9 7 5 3 0 0 6

totale 21 45 12 22 5 1 25

Calcolo delle percentuali del totale di ogni categoria su tutto il campione,

in ordine decrescente:

moglie non spec. no imped. marito entrambi non fatti In corso

34 19 17 16 9 4 1

Calcolo delle percentuali per le categorie maggiormente rappresentate:

Periodo Marito moglie entrambi no imped.

oggettivi

non spec.

75 - 80 14 24 0 9 12

81 - 85 10 9 8 5 0

86 - 90 5 18 25 45 28

91 - 95 29 33 25 27 36

96 - 01 43 16 42 14 24

192

Page 193: Lisa Agosti

Per quanto riguarda i cambiamenti evolutivi nel periodo di tempo cui si riferisce il

campione considerato, si può notare che mentre i problemi fisici a carico della

moglie rimangono piuttosto stabili al passare del tempo, al contrario i problemi a

carico del marito crescono tantissimo negli anni ’90, risultando triplicati rispetto al

periodo 75 – 80.

Dal 1996 superano per la prima volta la percentuale di casi in cui il problema è a

carico della moglie.

Anche i problemi a carico di entrambi i coniugi crescono col passare del tempo,

anche se meno marcatamente.

Per quanto riguarda le coppie che vanno in adozione nonostante non ci siano

impedimenti oggettivi a una speranza di genitorialità naturale, c’è un picco (45%) di

richieste negli anni 86 – 90.

193

Page 194: Lisa Agosti

I FIGLI NATURALI

Per quanto riguarda la ricerca di figli naturali, sulle 131 relazioni è risultato che:

19 coppie (il 15%) hanno figli naturali, ma nonostante questo desiderano rendersi

disponibili per l’adozione.

Di queste:

13 coppie hanno 1 figlio naturale;

4 coppie hanno 2 figli naturali;

2 coppie hanno 3 figli naturali.

In più, una coppia è in attesa del primo figlio naturale. A volte, nelle cartelle delle

coppie che hanno sospeso l’iter adottivo, è stato possibile ritrovare appunti in cui si

specifica il motivo per cui la coppia ha deciso di rinunciare all’adozione. In molti

casi, questo motivo era che la moglie si è trovata in gravidanza. Spesso si dice anche

che la coppia ha intenzione di riprendere l’indagine sociopsicologica una volta nato il

figlio naturale. Una sola coppia, invece, desidera portare a termine

contemporaneamente il concepimento del figlio naturale e l’adozione.

Nelle relazioni delle coppie con figli naturali, in 16 casi su 19 viene specificato che i

figli naturali sono favorevoli all’adozione e che sono stati preparati adeguatamente al

nuovo arrivo in famiglia.

Per alcuni, si afferma che in un primo momento non erano entusiasti all’idea di dover

dividere i loro genitori con altri bambini, ma che in un secondo tempo hanno

cambiato idea.

Per altri, si afferma che lo stesso figlio ha convinto i genitori a cercare un

fratellino/sorellina per sé.

Tutte le coppie che hanno già figli richiedono un bambino adottivo di età inferiore al

figlio naturale, per rispettare l’ordine di arrivo e mantenere il figlio naturale come

primogenito.

Il 27% delle coppie con figli naturali ottiene l’abbinamento.

Il 73% delle coppie con figli naturali non ottiene l’abbinamento.

Mi è parso molto strano che genitori che già hanno dimostrato di essere in grado di

svolgere le funzioni genitoriali non siano state scelte in così alta percentuale dal

Tribunale per l’abbinamento a un minore.

194

Page 195: Lisa Agosti

Andando alla ricerca di maggiori informazioni, ho tentato una correlazione tra la

presenza in famiglia di figli naturali, dividendoli a seconda del numero e del sesso, e

l’avvenuto o il mancato abbinamento. Non sono però risultate differenze

significative: l’abbinamento è sempre presente e assente in quantità equilibrate di 1 o

2 per classe.

83 coppie (il 63%) sono formate da coniugi che non hanno mai provato l’esperienza

di essere genitori.

Rimangono 29 coppie (il 22%), che raccolgono i casi in cui nella storia della coppia

si sono verificati eventi dolorosi quali degli aborti spontanei o il lutto di un figlio

naturale.

Ora mi occuperò di queste coppie, ma anche le coppie con figli naturali possono

essere rappresentate nei prossimi paragrafi, se hanno dovuto affrontare il lutto per un

figlio perso.

195

Page 196: Lisa Agosti

GLI ABORTI SPONTANEI

Sulle 131 coppie, risulta che 30 coppie (il 23%) hanno subito degli aborti spontanei.

Di queste:

14 coppie per 1 volta;

7 coppie per 2 volte;

6 coppie per 3 volte;

1 coppia per 4 volte;

2 coppie per 5 volte.

1 coppia ha praticato un aborto volontario, una volta venuta a conoscenza che il feto

manifestava la sindrome di Down.

Riporto in dettaglio la parte di relazione d’idoneità, stilata a Carpi, riguardante

questo caso particolare:

...la Sig. infatti si è trovata in gravidanza durante il mese di settembre 1998, ma ha

successivamente interrotto volontariamente la gravidanza attraverso una difficile

decisione presa da entrambi i coniugi dopo che, dagli accertamenti effettuati, hanno

saputo di essere in attesa di un figlio con sindrome di Down.

In seguito la Sig. si è trovata di nuovo in gravidanza che si è poi interrotta

spontaneamente dopo due mesi.

Queste esperienze hanno portato molta sofferenza all’interno della coppia che

sembra stata elaborata adeguatamente attraverso un costante dialogo, confronto e

sostegno reciproco dei coniugi. […]

Attualmente la coppia non investe più nella ricerca di un figlio naturale poiché pare

più concentrata sulla scelta adottiva, maturata e proposta inizialmente dalla moglie

e successivamente accettata anche dal marito.

I coniugi hanno iniziato l’istruttoria per l’adozione circa un anno fa. Inizialmente

essi manifestavano una notevole resistenza nella comprensione e nell’elaborazione

dei propri vissuti genitoriali, sia a livello individuale che di coppia, mescolando

confusivamente il desiderio di genitorialità biologica con quello di genitorialità

adottiva.

Questo era dovuto principalmente al dolore, ancora molto vivo, legato al sentimento

di lutto di quel figlio biologico non nato.

196

Page 197: Lisa Agosti

Ovviamente questa fase dell’istruttoria ha richiesto un particolare approfondimento,

data la specificità tipica di un percorso adottivo, e ha consentito il riconoscimento

delle diversità all’interno della coppia stessa: la Signora appare più introspettiva e

riflessiva, il marito appare più impulsivo ed emotivo, ma capace di sostenere e

contenere la moglie soprattutto nel più recente periodo doloroso, tanto da accettare

la sua richiesta di valutare la scelta dell’adozione.

Il marito ha infatti maturato la motivazione per l’adozione durante il percorso

dell’istruttoria, esprimendo fin da subito, i suoi dubbi e le sue paure legate

sostanzialmente alla “diversità” del figlio adottivo. [...]

Ogni volta che i coniugi descrivono la loro famiglia, attuale e futura, traspare il

desiderio di armonia e di una serenità quasi irreali e spesso la rievocazione, da

parte degli operatori, di una realtà futura che potrebbe presentare anche delle

difficoltà e degli ostacoli per la loro famiglia, è stato vissuto inizialmente dalla

coppia con diffidenza e ostilità. Successivamente entrambi hanno maturato il

riconoscimento e l’accettazione dell’identità reale e originale del futuro figlio

adottivo, superando soprattutto i timori legati alle origini e all’ereditarietà.

Questa coppia è stata presentata al Tribunale per i Minorenni senza specificare la sua

idoneità per l’adozione italiana o internazionale. Il Tribunale ha espresso sentenza di

“NON LUOGO” all’adozione.

Ora la coppia ha rinnovato la richiesta ed è in attesa di chiamata da parte del

Tribunale.

CORRELAZIONE TRA NUMERO DI ABORTI SPONTANEI SUBITIE

AVVENUTO/MANCATO ABBINAMENTO

La letteratura parla di una sofferenza, legata alla perdita di un figlio, che rende

necessaria l’elaborazione del lutto. Questo dolore accomuna le coppie che hanno

perso un figlio già nato con quelle che hanno subito un aborto spontaneo (Farri

Monaco, Peila Castellani, 1994).

Si potrebbe perciò ipotizzare che al crescere del numero degli aborti subiti cresca il

numero degli abbinamenti mancati, dato che la maggiore sofferenza provata potrebbe

rendere più difficile l’elaborazione del lutto e il superamento della perdita, variabile

197

Page 198: Lisa Agosti

che gli operatori non possono trascurare nel momento in cui decidono l’idoneità della

coppia.

CORRELAZIONE N. ABORTI / ABBINAMENTO

n. aborti Abb.avvenuto Abb.Non avvenuto totale

1 7 7 14

2 3 4 7

3 5 1 6

4 0 1 1

5 2 0 2

totale 17 13 30

Le coppie che hanno subito un aborto spontaneo ottengono o non ottengono

l’abbinamento con un minore nello stesso numero di casi.

Le coppie che hanno perso il figlio prima della nascita per 3 volte ottengono

l’abbinamento in 5 casi, mentre solo in 1 caso non lo ottengono.

I risultati ottenuti sono contrari a quelli attesi secondo quanto dedotto dalla

letteratura. La spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che gli operatori stilano una

relazione d’idoneità favorevole all’adozione solo nel caso in cui si rendano conto che

l’elaborazione del lutto compiuta dalla coppia abbia veramente avuto luogo,

rendendo i coniugi dei possibili validi genitori.

198

Page 199: Lisa Agosti

IL LUTTO DI UN FIGLIO GIÀ NATO

Una situazione particolarmente delicata riguarda 4 coppie sulle 131 (il 3%), che

hanno perso un figlio già nato.

La prima coppia si presenta per l’adozione nel 1986, quando il marito ha 48 anni

e al moglie 46. Questa coppia ha perso una figlia quando era nata da un solo

giorno. Nonostante non ci siano impedimenti oggettivi per una nuova

gravidanza, la coppia preferisce rivolgersi alla scelta adottiva. La loro

disponibilità riguarda sia l’adozione nazionale che internazionale, per

l’abbinamento con un minore o due fratelli, al massimo dodicenni (nel 1986 la

legge prevedeva che la differenza massima d’età tra il minore e il coniuge più

anziano fosse di quarant’anni, quindi la disponibilità di questa coppia non poteva

essere per bambini che avessero meno di 8 anni). Per quanto riguarda l’adozione

internazionale, la coppia esprime la preferenza per un minore “non troppo

scuro”. Questa coppia è stata abbinata con un maschio brasiliano di 10 anni.

La seconda coppia arriva ai Servizi Sociali di Carpi nel 1987, quando entrambi i

coniugi hanno 38 anni. Nel 1972 era nata loro una figlia, ma è morta; purtroppo

nella relazione non viene specificata la data di morte. La moglie non può più

avere figli, quindi la coppia si rivolge all’adozione, chiedendo uno o due fratelli,

in età prescolare; la loro richiesta è sia per l’adozione nazionale che

internazionale. Il Tribunale li considera idonei per un solo minore straniero, la

cui differenza d’età col più anziano dei coniugi non superi i quarant’anni, così

come previsto dalla legge. Alla coppia l’anno successivo viene abbinato un

maschietto, nato in Brasile il 20/6/1987, quindi di un anno di età.

La terza coppia si presenta per l’adozione nel 1992, quando il marito ha 41 anni

e la moglie ha 37 anni. Il figlio della coppia è morto di leucemia, ma la relazione

non specifica la data di nascita e di morte del bambino. I coniugi hanno fondato

un movimento per familiari di malati di leucemia. Non ci sono impedimenti

oggettivi per la coppia ad avere altri figli, ma la coppia si rivolge all’adozione

richiedendo uno o due bambini, entro gli 8 anni d’età. Si rivolgono sia

all’adozione nazionale che internazionale e si dichiarano disponibili al rischio

giuridico. Non si sentono invece pronti ad accettare figli sieropositivi o con

handicap. In particolare, si sentono più disponibili ad accogliere una bambina

199

Page 200: Lisa Agosti

piuttosto che un maschietto, per “evitare proiezioni su di lui del figlio morto”. Il

Tribunale riconosce l’idoneità della coppia per uno o due minori stranieri la cui

differenza d’età col più anziano dei coniugi non superi i quarant’anni. Non c’è

però nessun abbinamento; successivamente la coppia rinnova la richiesta per due

volte, ma non ottiene mai l’abbinamento.

La quarta coppia arriva ai Servizi Sociali di Carpi nel 1993, quando i coniugi

hanno 30 anni lui, 34 anni lei. Hanno un figlio naturale di 5 anni; la moglie è

rimasta incinta altre due volte, ma ha subito un aborto spontaneo in un caso,

mentre nel secondo caso il figlio è nato prematuro, e non è sopravvissuto. Non è

specificato se la coppia ha fatto accertamenti medici riguardanti la loro capacità

procreativa, ma la coppia comunque si rivolge all’adozione richiedendo un solo

bambino, in età prescolare, anche con un piccolo handicap, purché questo sia

risolvibile nel tempo con specifiche terapie. Si rivolgono sia all’adozione

nazionale che internazionale; si dichiarano disponibili al rischio giuridico per

quella italiana. Il figlio naturale è favorevole all’adozione ed è stato preparato al

cambiamento. In più, questa coppia ha già in corso un affido, di un ragazzo

italiano di 16 anni. Il Tribunale considera la coppia idonea per un solo minore

straniero la cui differenza d’età col più anziano dei coniugi non superi i

quarant’anni, ma l’abbinamento poi non avviene.

200

Page 201: Lisa Agosti

LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

Un altro tema affrontato nella parte della relazione dedicata alla storia della coppia è

quello delle tentate gravidanze assistite. La prima relazione in cui compare un

tentativo di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) è del 1986.

Sulle 131 relazioni, risulta che 24 coppie hanno tentato questa strada. Per tutte e 24,

l’esperienza è stata fallimentare. Tra queste:

7 coppie hanno fatto 1 tentativo;

9 coppie hanno fatto 2 tentativi;

5 coppie hanno fatto 3 tentativi;

3 coppie hanno fatto 4 tentativi.

Ho tentato una correlazione tra il numero di tentativi gravidanze assistite e

l’avvenuto/mancato abbinamento.

La letteratura non giudica favorevolmente il tentare molte volte una fecondazione

artificiale, anzi lo considera un “volere un figlio a tutti i costi” (Champenois Laroche,

1994).

Si potrebbe quindi ipotizzare che al crescere del numero di tentativi di PMA

corrisponda un calo degli abbinamenti avvenuti, in quanto la scelta adottiva

comporta un’accettazione del fatto che il figlio non sia naturale.

I risultati mostrano, effettivamente, un decremento da 6 a 2 casi di abbinamento

riuscito al crescere del numero di tentate PMA, non corrisposto però da un

incremento del numero di abbinamenti non riusciti.

TENTATIVI DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA FALLITI

n. PMA tentate Abb. avvenuto abb. non avvenuto totale

1 6 1 7

2 6 3 9

3 4 1 5

4 2 1 3

totale 18 6 24

201

Page 202: Lisa Agosti

Tra le coppie che non hanno fatto tentativi di procreazione medicalmente assistita, in

20 casi viene specificato il motivo per cui non hanno intrapreso questa strada.

Di questi:

7 coppie si dichiarano contrarie per valori etici e/o religiosi;

3 coppie si dichiarano contrarie per il carico fisico e/o psicologico- morale che questa

esperienza comporta;

6 coppie si dichiarano contrarie alla manipolazione biologica e/o all’accanimento

terapeutico, preferendo rispettare gli eventi naturali.

3 coppie hanno desistito in quanto sconsigliate dai medici.

Riporto un caso particolare, tratto da una relazione riguardante una coppia che spiega

la sua decisione di non tentare una gravidanza assistita con motivazioni che non

rientrano nei canoni suddetti:

... la coppia in un primo momento aveva anche pensato di ricorrere

all’inseminazione artificiale.

L’idea è stata poi accantonata per diversi motivi: in primo luogo per un disagio

morale radicato anche se indefinibile razionalmente; inoltre, per timore di

interferenze delle famiglie allargate che, essendo a conoscenza dell’aspermia

[rilevata da accertamenti medici a carico del marito] avrebbero potuto disapprovare

o non comprendere; infine, e forse è il motivo principale, perchè l’inseminazione

artificiale avrebbe potuto determinare una disparità nella coppia nei confronti del

bambino.

Un ultimo sguardo è dedicato alle coppie che hanno tentato la procreazione assistita e

che hanno anche subito degli aborti spontanei.

Solo in 2 casi (il 4%) si ritrova tale condizione, al contrario di 49 casi (il 96%), in cui

si registra una sola delle due situazioni.

202

Page 203: Lisa Agosti

CAP. 4. LE CARATTERISTICHE DEI MINORI IN

ABBINAMENTO

La maggior parte delle caratteristiche dei minori che sono andati in abbinamento con

le coppie di Carpi è già stata studiata nelle correlazioni precedenti.

Informazioni sulla quantità degli abbinamenti, sul numero di minori adottati da ogni

coppia, sul sesso, l’età, la provenienza dei minori sono contenute nei capitoli

precedenti; ognuna di queste caratteristiche è stata correlata con altri dati per

evidenziare variazioni significative provocate su queste da variabili quali le

caratteristiche delle coppie a cui sono stati abbinati o il trascorrere del tempo.

Un’ulteriore correlazione, risultata particolarmente significativa, è riportata nel

successivo paragrafo. Si tratta di una ricerca di variazioni tra il Paese di provenienza

dei minori, Italia compresa, e l’età dei minori nel momento in cui è avvenuto

l’abbinamento ai futuri genitori.

I risultati sono molto interessanti, sia per quanto riguarda l’adozione nazionale, sia

per quella internazionale, trattata nei paragrafi su “Sud America”, “Europa dell’Est”

e “Altre zone di provenienza”.

203

Page 204: Lisa Agosti

CORRELAZIONE TRA LA PROVENIENZA E L’ETÀ DEI MINORI

AL MOMENTO DELL’ABBINAMENTO

ITALIA

Sulle 131 coppie che hanno terminato l’indagine sociopsicologica ai Servizi Sociali

di Carpi tra il 1975 e il 2001, il numero di minori adottati è 88.

Di questi, 26 sono di nazionalità italiana.

Si è cercata una possibile correlazione tra la provenienza dei minori e l’età dei minori

al momento dell’abbinamento.

Per quanto riguarda i 26 minori italiani, è risultato che il 54% di questi è stato

adottato in un’età compresa entro il primo anno di vita.

Il 12% tra i 12 e i 24 mesi.

Successivamente le percentuali si mantengono sulla media del 4%.

Questo dato è molto significativo, perché nonostante ciò che è sostenuto da tutta la

letteratura (vedi capitolo “L’adozione internazionale”), nella realtà non sembra così

difficile ottenere in adozione un bambino italiano e piccolo.

ADOZIONI ITALIANE IN BASE ALL’ETÀ DEL MINORE

periodo <1 anno 1 anno 2 anni 3 anni 4 anni 5 anni 6 anni

75 - 80 4 1 1 1

81 - 85 3

86 - 90 2 2 1

91 - 95 3

96 - 01 2

totale 14 3 1 1 1

periodo 7 anni 8 anni 9 anni 10 anni 11 anni 12 anni

75 - 80 1 2 1

81 - 85

86 - 90 1

91 - 95

96 - 01 1

totale 2 2 1 1

TOTALE ADOZIONI ITALIANE

204

Page 205: Lisa Agosti

periodo totale

75 - 80 11

81 - 85 3

86 - 90 6

91 - 95 3

96 - 01 3

totale 26

In percentuale (totale per età sul totale dei bambini italiani):

<1 anno 1 anno 2 anni 3 anni 4 anni 5 anni 6 anni

14 3 1 0 0 1 1

54% 12% 4% 0 0 4% 4%

7 anni 8 anni 9 anni 10 anni 11 anni 12 anni

2 2 0 1 1 0

8% 8% 0 4% 4% 0

Per quanto riguarda i cambiamenti nel tempo, la maggior parte delle adozioni italiane

è avvenuta nel periodo 1975 – 80 (42%), per poi ridursi drasticamente nei periodi

successivi (12 – 23%).

SUD AMERICA

Per quanto riguarda le adozioni internazionali, la maggior parte dei minori proviene

dal Brasile (vedi dati della sezione 3).

Per evitare dispersioni, tratterò unitamente i minori nati in Brasile, Perù, Cile,

Argentina e Colombia.

Su 88 bambini adottati, 34 provengono dal Sud America (39%).

Per quanto riguarda questo campione, risulta omogeneamente distribuito tra le varie

età, passando da un minimo di 1 minore (3%) a un massimo di 5 minori (15%).

Non ci sono età non rappresentate, tranne i 9 anni, che però non sono presenti

nell’intero universo.

205

Page 206: Lisa Agosti

ADOZIONI DAL SUD AMERICA IN BASE ALL’ETÀ DEL MINORE

periodo <1 anno 1 anno 2 anni 3 anni 4 anni 5 anni 6 anni

75 - 80

81 - 85 1 1 1 1 1

86 - 90 2 2 1 2 1

91 - 95 2 1 2 1 1

96 - 01

totale 1 3 5 1 3 4 3

periodo 7 anni 8 anni 9 anni 10 anni 11 anni 12 anni

75 - 80

81 - 85 1

86 - 90 3 1 2 1

91 - 95 1 1 3 1

96 - 01

totale 5 2 0 2 4 1

Più interessante risulta il dato sul cambiamento evolutivo delle adozioni di minori

sudamericani:

periodo totale %

75 - 80 0 0

81 - 85 6 18

86 - 90 15 44

91 - 95 13 38

96 - 01 0 0

totale 34

Fino al 1984 non arrivano in adozione minori sudamericani. Nel 1984 ne arrivano 6

(18% di tutte le adozioni sudamericane). Da quell’anno in poi continua il trend di

crescita e gli abbinamenti arrivano a 15 (44%) nel quinquennio successivo. Nel

periodo 91 – 95 si mantengono con 13 minori (38%), per poi di colpo azzerarsi dal

1996 in poi. Nessun minore arriva in Italia per adozione internazionale da quella

data; così come di colpo erano iniziate, così di colpo finiscono le adozioni dal Sud

America.

206

Page 207: Lisa Agosti

Come spiegherò successivamente, e come era emerso dai dati della ricerca comune, è

probabile che questo trend sia correlabile con quello dell’Europa dell’Est, che

comincia a crescere negli anni in cui cala quello sudamericano. Pare dunque che

l’attenzione italiana si sposti su altre mete, magari attratta da tratti somatici più simili

ai propri.

EUROPA DELL’EST

Su 88 bambini adottati in totale, 17 provengono dall’Europa dell’Est (19%).

Dai dati della ricerca comune, risulta che la maggior parte di questi proviene dalla

Federazione Russa, ma per evitare dispersioni qui sono riuniti sotto la

denominazione Europa dell’Est i minori provenienti da Federazione Russa, Polonia e

Romania.

Per quanto riguarda l’età in cui i minori vengono abbinati, è interessante notare che

non arrivano bambini di età superiore ai 5 anni.

2 minori arrivano entro il primo anno di vita;

6 minori entro i 24 mesi;

7 minori prima del compimento del terzo anno di età.

Correlando questo dato con i cambiamenti evolutivi, è possibile produrre un’ipotesi

esplicativa.

Infatti, fino al 1986 non arrivano minori dall’Europa dell’Est.

Dopo questa data, 17 minori arrivano in adozione internazionale, e questo trend

sembra non essersi esaurito al momento attuale.

L’ipotesi cui accennavo fa riferimento a quanto detto prima sul fatto che le adozioni

dal Sud America finiscono a partire dal 1996.

Se, come pare da questi dati, l’Europa dell’Est apre le frontiere ad adozioni di minori

piccoli e con tratti somatici simili agli Occidentali, è comprensibile la diminuzione di

arrivi da oltre Oceano, da cui provenivano minori anche grandicelli, come visto

sopra, e sapendo che le coppie che richiedono l’adozione preferiscono abbinamenti

con minori piccoli e “non troppo scuri”.

207

Page 208: Lisa Agosti

ADOZIONI DALL’EUROPA DELL’EST IN BASE ALL’ETÀ DEI MINORI

periodo <1 anno 1 anno 2 anni 3 anni 4 anni 5 anni 6-12anni totale %

75 - 80 0 0 0

81 - 85 0 0 0

86 - 90 2 1 0 3 18

91 - 95 1 2 6 0 9 53

96 - 01 1 2 1 1 0 5 29

totale 2 6 7 1 1 0 17

ALTRE ZONE DI PROVENIENZA

I restanti minori in adozione internazionale provengono da varie zone.

7 minori sono nati in Asia (India e Filippine);

di questi, 3 vengono abbinati entro il primo anno di età, mentre gli altri sono abbinati

a 1, 3, 10 anni. Per l’ultimo minore non si conosce la data dell’abbinamento quindi

non si può risalire a che età avesse quando è stato abbinato.

1 solo minore proviene dall’Africa (Marocco).

2 minori arrivano dal Centro America (Messico); il loro arrivo è datato 1997.

208

Page 209: Lisa Agosti

Seconda SEZIONE: ANALISI QUALITATIVA DEI

CONTENUTI DELLE RELAZIONI D’IDONEITÀ

Cap. 1. ANALISI DEI CONTENUTI

DELLE RELAZIONI D’IDONEITÀ

LA FAMIGLIA D’ORIGINE

La letteratura tratta spesso dell’importanza del consenso all’adozione da parte delle

famiglie dei coniugi. Se la coppia riesce a costruire e mantenere con le famiglie

d’origine buoni rapporti e può parlare con loro delle proprie difficoltà in modo

aperto, sarà avvantaggiato per l’affetto, la comprensione e il sostegno ricevuti.

In questo caso un figlio che non arriva, nonostante la coppia lo desideri, può

sviluppare un clima di solidarietà tra le famiglie d’origine e determinare un comune

atteggiamento di incoraggiamento.

In caso contrario, se il rapporto con le famiglie d’origine manca o non è solidale, la

mancanza di un figlio, quindi di un nipote per quelli che sarebbero zii e nonni può

esasperare tensioni e dissapori familiari, diventando l’occasione per rinfacciarsi

vecchi rancori o, specialmente se l’infertilità riguarda uno solo dei coniugi, per

incolparsi e accusarsi (Champenois Laroche, 1994).

Quando la coppia manifesta l’intenzione di adottare un figlio, mette in attesa tutta la

famiglia.

“All’inizio i nonni possono incoraggiare l’adozione oppure avanzare dubbi e

perplessità, qualcuno può sconsigliare di intraprendere questo cammino e suggerire

di percorrere, invece, la via della fecondazione artificiale; quando però il bambino

arriva, generalmente le perplessità vengono superate e la maggior parte dei parenti,

in particolare i nonni, dà il proprio sostegno: qualcuno per solidarietà con la coppia,

altri invece perché conquistati dal piccolo. Il confronto con la realtà può modificare

le opinioni di nonni o zii che all’inizio erano dubbiosi. Fin quando il bambino non è

209

Page 210: Lisa Agosti

presente in carne e ossa, molti ragionano in termini generali e analizzano i pro e i

contro in astratto; il bambino concreto invece, con le sue alterazioni, le sue

timidezze, con i suoi problemi di adattamento, i suoi tentativi di approccio o piccole

scontrosità, coinvolge tutti quanti in modo diretto, cosicché anche le opinioni su di

lui si modificano” (Oliverio Ferraris, 2002).

Anche nelle relazioni d’idoneità stilate a Carpi, nel 42% dei casi viene specificato se

le famiglie d’origine esprimono il loro consenso all’adozione e si dichiarano pronte a

sostenere e aiutare il nuovo nucleo familiare.

In 55 casi i nonni si dichiarano favorevoli all’adozione e pronti a supportare il nuovo

nucleo familiare;

in 2 casi soltanto i nonni si dichiarano contrari all’adozione.

Inoltre, nella sezione della relazione d’idoneità dedicata alla storia dei coniugi, gli

operatori riportano informazioni sull’età, l’occupazione e, a volte, il grado di

scolarità sia dei genitori sia di eventuali fratelli o sorelle del marito e della moglie.

Delle famiglie d’origine si dice anche se vivono nelle vicinanze dell’abitazione della

futura coppia adottiva, potendo quindi risultare una risorsa per il nascente nucleo

familiare; inoltre si specifica se i fratelli e le sorelle hanno figli, naturali o adottivi,

maschi o femmine, grandi o piccoli.

Nella ricerca pilota ho raccolto le informazioni suddette sulle famiglie d’origine;

questi dati non sono poi stati raccolti nella ricerca vera e propria perché correlando in

vario modo i dati – pilota mi è parso superfluo andare oltre in questa ricerca; non ho

potuto osservare nulla di significativo che giustificasse la prosecuzione in questo

senso.

Questo non toglie che per valutare le coppie aspiranti l’adozione sia fondamentale

che gli operatori indaghino “se i coniugi hanno attuato un efficace svincolo dalle

rispettive famiglie d’origine con un movimento non di controdipendenza, ma di

effettiva autonomia. A questo scopo, un’analisi trigenerazionale approfondita può

esplicare inadeguati meccanismi familiari riproducibili o già riprodotti.

Un rapporto irrisolto con la famiglia di origine può compromettere la possibilità di

accettare il figlio per quello che è, senza cercare di conformarlo alle proprie

aspettative che sono a loro volta riflesso delle aspettative della famiglia di origine”

(De Amicis, Metitieri, Rossi, 2002).

210

Page 211: Lisa Agosti

GIUDIZIO SUL RAPPORTO DI COPPIA

Leggendo le relazioni d’idoneità si può ricostruire la storia della coppia: dove i

coniugi si sono conosciuti, quando e dove si sono sposati, e dopo quanti anni di

fidanzamento.

Spesso viene riportato ciò che del compagno ha attratto l’altro e le qualità per cui è

scoccato l’amore tra i coniugi.

Segue un giudizio sul rapporto di coppia, che gli operatori esprimono in ogni

relazione; leggendo e rileggendo le storie di coppia, ho potuto osservare la presenza

ripetitiva di certe frasi usate dagli operatori di Carpi per esprimere il loro giudizio

positivo sul rapporto di coppia.

Prima di tutto, quando si spiega cosa alla moglie è piaciuto del marito, nelle relazioni

si trovano quasi sempre gli stessi aggettivi e le seguenti qualità:

- la calma, o la tranquillità, o la serenità;

- la forza, o il senso di sicurezza provato nell’essergli vicino;

- la spontaneità;

- gli stessi valori condivisi;

- l’intelligenza.

Quando invece si parla di ciò che ha colpito il marito della moglie, i temi ricorrenti e

gli aggettivi più usati sono:

- l’allegria, o la socievolezza;

- la serietà e la concretezza;

- la disponibilità all’ascolto e la comunicatività;

- l’aspetto fisico;

- il modo di fare delicato, gradevole e semplice.

Parlando del rapporto di coppia quasi tutte le relazioni d’idoneità (favorevoli) si

esprimono così:

“In questi anni di matrimonio i coniugi hanno consolidato una modalità relazionale

che li porta ad esprimere un equilibrato ed armonioso rapporto di coppia”.

Oppure: “I coniugi hanno manifestato una forte intesa nel darsi un progetto familiare

e autonomia nel raggiungere i loro obiettivi. Il loro rapporto appare solido,

211

Page 212: Lisa Agosti

equilibrato ed entrambi si manifestano disponibili ad ascoltarsi e rispettarsi anche

quando esprimono idee diverse”.

O ancora: “I coniugi hanno l’abitudine al dialogo e al confronto e manifestano di

avere una buona capacità d’ascolto e fiducia reciproca”.

Inoltre, spessissimo si dice dei coniugi che “manifestano aspetti complementari del

carattere”.

Gli aggettivi più usati per descrivere la moglie sono:

- estroversa;

- emotiva ed ansiosa;

- propositiva, creativa, stimolante.

Gli aggettivi descrittivi del marito invece sono quasi sempre:

- razionale e calmo;

- responsabile;

- rassicurante;

- riservato.

Oltre al giudizio sul rapporto di coppia, la relazione contiene informazioni

sull’abitazione in cui i coniugi intendono accogliere il minore.

Per 84 coppie viene specificato che l’abitazione in cui vivono è idonea a ospitare un

nuovo membro della famiglia.

per 9 coppie, inoltre, viene specificato che gli operatori hanno fatto una visita a

domicilio; in tali casi si specifica qualcosa sullo spazio a disposizione,

sull’arredamento, sulla luminosità dell’ambiente familiare.

212

Page 213: Lisa Agosti

LA MOTIVAZIONE DELLA COPPIA ALL’ADOZIONE

Le relazioni mostrano temi ricorrenti anche nel trattare le motivazioni che hanno

spinto la coppia all’adozione. Dopo aver parlato dell’eventuale incapacità procreativa

della coppia, e prima di chiarire le caratteristiche della disponibilità dichiarata dalla

coppia, ogni relazione comprende qualche frase su come è stato vissuto dai coniugi

l’elaborazione del lutto per il figlio naturale che non può nascere e su come

intendono affrontare la genitorialità adottiva.

La frase ricorrente è: “La coppia ha maturato in questi ultimi anni la scelta

dell’adozione riuscendo a sentirsi genitori anche di un bambino non nato da loro”.

O anche: “I coniugi hanno fatto i conti con la sofferenza derivata dall’impossibilità di

avere un figlio in modo naturale ed attualmente questo aspetto appare adeguatamente

elaborato”.

Per molte coppie viene sottolineato il fatto che “il bisogno di genitorialità sembra

costituire una risposta ad un bisogno evolutivo della coppia”.

Se l’idea di adottare è nata prima in uno dei due coniugi, per poi diventare propria

anche dell’altro, viene specificato quale dei due coniugi ha espresso per primo questo

desiderio (nella maggior parte dei casi si tratta della moglie).

Se la coppia ha figli naturali si specifica che questi sono stati informati

dell’intenzione di adottare un bambino e che sono stati preparati adeguatamente al

nuovo arrivo.

Nel caso in cui la coppia non abbia avuto figli naturali, ma gli accertamenti medici

hanno evidenziato che non esistono impedimenti oggettivi per una gravidanza, le

relazioni specificano che “la coppia intende portare avanti l’adozione anche

nell’eventualità di riuscire ad avere un figlio nato da loro. Entrambi i coniugi infatti

vivono il modello familiare di riferimento con la presenza di più figli intendendolo

come arricchimento e completamento del loro rapporto di coppia”.

213

Page 214: Lisa Agosti

Rispetto al lavoro di preparazione che gli operatori hanno portato a termine nel corso

dell’indagine sociopsicologica delle coppie, spesso si ritrova la seguente frase nelle

relazioni: “Verso un bambino adottivo i coniugi dimostrano di saper cogliere il suo

bisogno di essere protetto e di essere sostenuto nel suo processo di

individualizzazione affinché possa trovare conferme e valore come persona”.

Se la disponibilità è estesa all’adozione internazionale, spesso la relazione specifica

che “di fronte al bambino straniero i coniugi manifestano la consapevolezza del

grosso cambiamento e dello sradicamento a cui egli viene sottoposto, della sua

appartenenza ad una razza diversa e delle possibili difficoltà di inserimento. Pensano

di riuscire a superare tutto ciò attraverso la loro piena accettazione di questi aspetti e

attraverso le sicurezze e i valori che come famiglia riusciranno a dare al bambino”.

Alcune relazioni, infine, parlano dell’intenzione della coppia di informare il figlio

adottivo delle sue origini, riconoscendo i coniugi, in aderenza a quanto riportato in

letteratura, l’importanza di un tale compito.

214

Page 215: Lisa Agosti

GLI AFFIDI

In molte relazioni si parla dell’affido familiare, in modi però anche molto diversi.

Riporto quindi tutti i casi in cui viene nominato l’affido, per mostrare quanto questo

tema sia collegato all’adozione e quanto, purtroppo, siano presenti pregiudizi su

questa alternativa all’adozione.

Una coppia con prima richiesta nel 1976 si dichiara non disponibile all’affido.

Ottiene l’adozione.

Una coppia con prima richiesta nel 1977 ha già adottato un bambino di 9 anni,

quando ne aveva uno. Si dichiara disponibile anche all’affido se non è possibile

adottare in tempi brevi. La loro richiesta è stata rigettata dal Tribunale.

Una coppia con prima richiesta nel 1986 ha in passato tenuto in affido una bambina

di 10 anni. Ottiene in adozione una bambina con problemi, nonostante nella relazione

non fosse specificata la loro disponibilità a bambini handicappati.

Una coppia con prima richiesta nel 1987 si dichiara non disponibile a “l’affitto

familiare”. Non ottiene l’adozione.

Una coppia con prima richiesta nel 1990 dichiara di essere disponibile sia

all’adozione che all’affido. Ha già due figli naturali. Non ottiene l’adozione.

Una coppia con prima richiesta nel 1991 ha in corso un affido di due fratelli

provenienti da una famiglia multiproblematica, solo nei week-end. Non ottiene

l’adozione.

Una coppia con prima richiesta nel 1991 in passato ha tenuto in affido un bambino,

poi un altro. Ottiene l’adozione.

Una coppia con prima richiesta nel 1992 ha in corso un affido di un bambino di 6

anni sordomuto, solo nei week-end. Ottiene l’adozione.

215

Page 216: Lisa Agosti

Una coppia con prima richiesta nel 1993 ha in corso un affido di un bambino italiano

di 16 anni. Ha anche un figlio naturale. Non ottiene l’adozione.

Una coppia con prima richiesta nel 1998 ha in corso un affido di un bambino di 10

anni. In più, una volta a settimana, ospita un bambino del Ghana, sordo. Non ottiene

l’adozione.

Una coppia con prima richiesta nel 1998 è disponibile anche a un affido. Si dichiara

disponibile anche ad adottare un bambino con handicap fisico. Ottiene l’adozione di

un bambino handicappato.

216

Page 217: Lisa Agosti

CAP. 2. UN CONFRONTO NEL TEMPO

UNA RELAZIONE DEL 1976 E UNA RELAZIONE DEL 2001.

La ricerca presentata si snoda in un arco di tempo di 26 anni. È fondamentale per i

nostri scopi studiare le differenze riscontrabili nelle relazioni d’idoneità delle coppie

aspiranti l’adozione anno dopo anno.

È per questo che mi accingo a un confronto tra una relazione del 1976 e una

relazione del 2001.

Riporterò per intero, dividendole per aree tematiche, entrambe le relazioni.

L’obiettivo prefissato è, prima di tutti, quello di evidenziare i contenuti che si

possono ritrovare in ogni relazione stilata a Carpi, sulla base di un modello nazionale

che prevede dei canoni da seguire, sia per valutare l’idoneità dei genitori, sia per

prepararli adeguatamente all’abbinamento coi minori, sia per permettere al Tribunale

per i Minorenni di conoscere la coppia, i suoi pregi e difetti, la sua struttura familiare

nonché gli hobby e le abitudini (vedi cap. “Le relazioni d’idoneità”).

Secondo, lo scopo è dare una panoramica dei cambiamenti evolutivi riscontrabili nei

contenuti e nel lessico delle relazioni.

Inoltre, riporterò casi particolari significativi: alcune storie sono uniche, alcuni

atteggiamenti si riscontrano in poche coppie; qui di seguito sono presentati

direttamente.

Ecco le due relazioni:

La prima relazione è stata stilata dall’assistente sociale Lina Anticati e dalla

psicologa Anna Valentini il 3 agosto 1976. Risale dunque all’inizio dell’attività nel

campo adozioni del “Consorzio per i Servizi Sanitari e Sociali di Carpi e Novi”.

La seconda relazione è stata stilata dall’assistente sociale Lina Anticati e dalla

psicologa Cinzia Sgarbi il 19 luglio 2001. Ora l’intestazione è diventata “Assessorato

alle politiche sociali – settore A 5”.

La presenza della stessa assistente sociale in un intervallo di tempo superiore ai 25

anni è una gran fortuna, nel momento in cui si desideri fare un confronto quale il

seguente.

217

Page 218: Lisa Agosti

Entrambe le relazioni sono indirizzate al Presidente del Tribunale per i Minorenni di

Bologna.

La prima è indirizzata anche al Presidente dell’Amministrazione Provinciale di

Modena.

Per rispetto della privacy, non riporterò nomi e date.

Nel 1976, l’OGGETTO era: Relazione coniugi -- -- n° 15/76.

Nel 2001, l’OGGETTO diventa: termine dell’istruttoria per la valutazione

dell’idoneità all’adozione dei coniugi -- -- , residenti a --.

218

Page 219: Lisa Agosti

NOTIZIE ANAGRAFICHE E STORIA PERSONALE

La prima parte della relazione è sempre stata dedicata alle notizie anagrafiche e alla

storia personale dei coniugi, ma al passare degli anni sono aumentate le informazioni

sulle diverse occupazioni dei coniugi nel tempo, sui familiari e la loro occupazione.

Per quanto riguarda i fratelli/sorelle, è specificato meglio quale sia la loro

occupazione, l’età, la presenza nel loro nucleo familiare di figli, naturali o adottivi,

l’età dei figli e la loro occupazione.

Dal 1987 in poi compare anche il ricordo della famiglia d’origine, cioè come la

coppia percepisce la propria infanzia e come la ricorda, oltre che il supporto che

sentono attualmente e rispetto alla loro scelta adottiva da parte della famiglia

d’origine.

RELAZIONE 1976

il Sig. -- è nato a -- il -- ove risiede con la moglie in Via --. In possesso di licenza di

quinta elementare, iniziò l’attività lavorativa all’età di 12 anni. Attualmente svolge

funzioni di capo reparto presso la Ditta --. Egli occupa il tempo libero partecipando

ad attività sportive ed alla vita di quartiere (ricopre la carica di rappresentante di

quartiere). Il padre è deceduto nel --, la madre, pensionata, ha 66 anni e vive a --

con una figlia. Entrambe sono favorevoli all’adozione, così pure ha accolto con

entusiasmo l’idea dell’adozione, il fratello del Sig. --.

La signora -- è nata a -- il --, e possiede il titolo di studio di terza avviamento. Iniziò

a lavorare a 15 anni come impiegata in aziende private; da 6 anni è dipendente dal

--. I genitori sono indipendenti ed abitano a --; la madre ancora lavora. La signora

-- aveva un fratello che morì di meningite all’età di 13 anni. La famiglia --, di

provenienza contadina, un tempo molto numerosa in quanto comprendeva cugini, zii,

nipoti, si smembrò poi, in seguito a vari matrimoni con relativa costruzione di un

nucleo familiare autonomo e con il lavoro all’esterno; venne poi abbandonata la

campagna. Anche la famiglia -- è favorevole all’adozione. La Sig. -- svolge nel

tempo libero la funzione di coordinatrice del -- di una Scuola dell’infanzia di Carpi.

RELAZIONE 2001

219

Page 220: Lisa Agosti

-- --, nato a -- il --, è diplomato come “perito elettronico” dopo aver frequentato una

scuola superiore di --. Egli ha iniziato a lavorare all’età di 20 anni, prima come

rappresentante e successivamente come dipendente presso un’azienda meccanica e

poi presso una società che si occupava di assistenza informatica.

Nel luglio del --, dopo essersi licenziato, è stato assunto dalla --, per svolgere

assistenza tecnica alle aziende. Pur restando all’interno dello stesso contesto

lavorativo, egli ha accettato, nel --, di trasferirsi nel settore commerciale presso il

quale tuttora si trova, occupandosi della vendita di --.

Dai racconti del Signor -- emerge il suo positivo inserimento nell’ambiente

lavorativo presso il quale non sente arroganza o competitività da parte dei colleghi.

Attualmente egli non progetta cambiamenti di lavoro.

Il Signor -- appare molto attento a conciliare il tempo del lavoro con il tempo per sè

e la famiglia al fine di ritagliarsi quegli spazi che serviranno anche per un figlio

adottivo.

Egli è il secondogenito di due figli. La sorella, -- di anni --, sposata e madre di due

figli risiede e lavora a --. Il padre, -- di anni --, pensionato come dipendente di un

cinema, insieme alla madre, --, di anni --, pensionata come ex operaia, risiedono a

--. Della sua famiglia d’origine egli conserva un’immagine positiva, caratterizzata

dalla figura paterna un pò severa e riservata, mentre ha sperimentato un rapporto di

maggior confidenza con la madre. Egli ha potuto emanciparsi dalla famiglia

d’origine in modo adeguato ricevendo la fiducia e la stima dei suoi genitori anche

durante l’adolescenza.

Il Signor -- mantiene costanti e regolari rapporti con i suoi familiari, i quali sono

informati e condividono la scelta adottiva che lui e la moglie hanno fatto, offrendogli

il loro sostegno.

-- --, nata a -- il --, ha frequentato la scuola superiore fino alla 2° ragioneria e in

seguito ha effettuato un passaggio scolastico che l’ ha portata a diplomarsi come

disegnatrice e stilista di moda. Terminata questa scuola ha iniziato, come tale, subito

a lavorare presso aziende diverse. Da poco più di un mese, tenendo conto del

progetto dell’adozione, lavora come libera professionista, ed in particolare ha un

rapporto di collaborazione con una ditta che si trova sotto la sua abitazione. Il

passaggio da dipendente a questo nuovo modo di lavorare è stato voluto dalla

coppia ed in particolare dalla signora per avere l’opportunità di gestirsi tempi e

220

Page 221: Lisa Agosti

orari più adeguata alla nuova organizzazione familiare che dovranno affrontare con

la presenza di un figlio adottivo.

Il padre -- è deceduto nel -- per malattia all’età di -- anni, la madre -- di anni -- vive

da sola a --. Il padre svolgeva un’attività in proprio di -- che, dopo la sua morte, è

stata condotta per due anni dalla madre, la quale successivamente ha chiuso

l’azienda. -- ha una sorella, -- di -- anni, sposata e residente a --, madre di 4 figli ed

è supportata nella loro gestione dalla propria madre. -- ha raccontato la fatica ad

elaborare la morte del padre, il quale è deceduto il giorno del suo compleanno, ma

successivamente accettata e superata.

Anche -- conserva un’immagine positiva della sua famiglia d’origine con la quale

mantiene regolare rapporti insieme al marito.

Dai racconti della signora emerge che la sorella ha sempre avuto atteggiamenti

protettivi verso di lei poichè da piccola aveva una salute piuttosto fragile. -- parla di

un rapporto molto significativo con la sorella alla quale si sente tuttora molto

legata.

Rispetto alla scelta adottiva la signora sente il sostegno ed il supporto della sua

famiglia d’origine disponibile ad aiutarli in caso di bisogno.

221

Page 222: Lisa Agosti

Prima di passare alla seconda parte della relazione, riporto un passaggio della prima

relazione in cui compare il ricordo della famiglia d’origine. Era il 1987.

MARITO:... I ricordi della sua infanzia lo portano ad evidenziare una certa sua

vivacità manifestata anche durante gli anni di studio tanto che i genitori lo avevano

messo in collegio affinchè potesse terminare gli studi. Dei genitori conserva

l’immagine di una coppia poco integrata che ha reso un pò difficoltoso in passato la

sua emancipazione dall’ambiente familiare interferendo in scelte, in particolare per

il lavoro, che lui si sentiva di fare autonomamente. La maturità e la costruzione del

suo rapporto di coppia lo hanno agevolato a superare queste difficoltà. Mantiene

con essi regolari rapporti e molto buono è il rapporto con la sorella.

MOGLIE:... Conserva buoni ricordi della sua infanzia: porta dentro di sè

l’esperienza di una famiglia molto unita e in profondo legame con la sorella.

Da questa data in poi, ogni relazione riporta queste significative informazioni

aggiuntive.

222

Page 223: Lisa Agosti

STORIA DI COPPIA E MOTIVAZIONE ALL’ADOZIONE

RELAZIONE 1976:

La coppia si conobbe nel -- e si sposò il -- dopo un fidanzamento tranquillo. Dopo il

matrimonio il loro problema più grosso non fu tanto la mancanza di figli, quanto nei

primi anni di unione, la salute della signora -- che soffriva di cisti ovariche che le

causarono in seguito la asportazione delle ovaie e la conseguente impossibilità di

avere figli.

La coppia sembra essere molto affiatata: ogni decisione viene presa in comune;

anche gli interessi e gli amici sono comuni ai giovani coniugi. Inoltre sembra essere

ben compreso da entrambi il senso dell’adozione speciale; il bambino non sarebbe il

mezzo per colmare le lacune, ma al contrario, consapevolmente, essi si sentono in

grado di affrontare i problemi inerenti all’allevamento e alla crescita di un bambino

con tutte le cure e l’affetto necessario. Ogni problema relativo allo stato di salute

della Sig. -- è stato risolto per cui la disponibilità della coppia è massima.

RELAZIONE 2001:

I signori -- si sono sposati a -- il --, dopo aver iniziato una convivenza da --. La loro

convivenza è iniziata dopo un periodo di fidanzamento durato circa --. Si sono

conosciuti durante una festa da ballo e la loro relazione è diventata importante dopo

alcuni mesi. Il loro rapporto è nato dall’attrazione per il carattere e per i valori in

comune. La diversità dei loro vissuti è vista come complementarietà, come

arricchente e come fonte di attrazione. Essi infatti hanno l’abitudine ad un continuo

dialogo e confronto aperto che li porta facilmente a conoscersi. Manifestano di

avere una relazione affettuosa e intima in cui esprimono un senso di fiducia sia per

sè stessi sia verso l’altro, con una buona capacità introspettiva. Manifestano di

avere comportamenti flessibili che possono adattarsi ai cambiamenti sia a livello

personale che del contesto familiare.

Entrambi manifestano di avere interiorizzato buoni modelli di attaccamento che

utilizzeranno anche nel rapporto genitoriale con un figlio adottivo. Rispetto alle

famiglie d’origine entrambi bi coniugi manifestano di aver ridefinito i loro rapporti

per dare spazio al legame di coppia che appare fondato su una buona intimità e

reciprocità in cui entrambi danno e ricevono protezione.

223

Page 224: Lisa Agosti

Mentre il marito appare un pò più controllato nel manifestare i propri sentimenti, la

moglie manifesta una maggior disinvoltura nell’espressività emotiva.

A distanza circa di un anno dall’inizio della loro convivenza, i Signori -- hanno

iniziato a cercare la nascita di figli naturali, ma la Signora non si è mai trovata in

gravidanza. Per questo, in seguito, essi si sono sottoposti ad accertamenti che hanno

evidenziato a carico del marito una ridotta motilità degli spermatozoi che determina

una difficoltà ad ottenere il concepimento. Nel mese di --, la Signora e il marito

hanno accettato di sottoporsi ad una maternità assistita presso il Centro di cura

della sterilità di --, ma terminata con esito negativo. La sofferenza provata durante

questa esperienza, sia per la complessità sanitaria da affrontare e la delusione

vissuta dopo aver investito in una aspettativa positiva, ha portato la coppia a

decidere di non ripetere più alcun tentativo per ricercare un figlio naturale “a tutti i

costi”.

Nel 2001 si trovano più informazioni su come la coppia vive il rapporto d’amore e la

sessualità, comunque le informazioni di base sono sempre state presenti. Mi riferisco

a quelle riguardanti la data del matrimonio (presente in tutte le relazioni), la durata

del fidanzamento, la ricerca di figli naturali, i tentativi di gravidanza assistita.

224

Page 225: Lisa Agosti

LA DISPONIBILITÀ ALL’ADOZIONE

RELAZIONE 1976

Non vi sono preferenze sul sesso del futuro figlio anche se entrambi sono orientati

verso il bimbo piccolo, per crescere assieme a lui. Si è discusso con la coppia sui

problemi relativi all’educazione dei figli. I coniugi affermano di non poter fare

previsioni o schemi precisi: il loro comportamento verrà determinato dai bisogni del

bambino ai quali essi credono di poter rispondere. I coniugi continueranno l’attività

lavorativa; sono comunque consapevoli che dovranno rinunciare a molti dei loro

impegni per dedicare tutto il tempo a loro disposizione al bambino. La Sig.-- ha

precisato inoltre che se si trattasse di un neonato, sarebbe disposta ad abbandonare

il lavoro. Entrambi i coniugi riconoscono la validità della scuola materna come

servizio sociale, e per questo affermano che è senz’altro positiva la frequenza a

suddetto servizio del loro futuro figlio. La profonda disponibilità e sensibilità dei

coniugi alla comprensione di ogni problema che possa presentare un bambino,

anche istituzionalizzato, lascia presupporre la loro capacità a stabilire un valido

rapporto affettivo con un figlio adottivo.

Pertanto il nostro parere riguardo l’idoneità e la maturità della coppia all’adozione

è nettamente positivo.

(Questa coppia ha avuto in adozione una bambina italiana di 8 anni. L’abbinamento è

avvenuto dopo 2 anni dalla prima richiesta).

RELAZIONE 2001

Dopo aver elaborato il lutto procurato da tale situazione, i coniugi hanno maturato

l’idea dell’adozione effettuando l’istruttoria in questi ultimi mesi. Hanno accettato e

dimostrato coinvolgimento rispetto a tutti i contenuti proposti e sembrano orientarsi

maggiormente all’adozione di bambini stranieri, mostrandosi favorevoli anche a

bambini con tratti somatici diversi dai loro.

Hanno approfondito e discusso i contenuti dei vissuti di un bambino che ha

sperimentato l’abbandono, condizione che inizialmente faticavano anche solo a

citare per nome. Per dare un esempio del loro percorso di maturazione rispetto a

questo, essi hanno dichiarato di essere disponibili a lasciare il nome originale del

bambino nel rispetto della sua storia ed identità personale.

225

Page 226: Lisa Agosti

Nella immagine di famiglia che i coniugi intendono realizzare vi è la presenza

almeno di due figli adottivi, ma che intendono realizzare in due diversi momenti. I

coniugi infatti appaiono piuttosto concreti e consapevoli nel valutare le risorse e i

limiti che possiedono, affrontando gradualmente prima l’inserimento di un bambino

adottivo e successivamente quello di un secondo.

Appaiono entrambi piuttosto calorosi e sensibili a comprendere i bisogni di un figlio

adottivo e si prefiggono di essere genitori presenti sul piano affettivo – relazionale e

non troppo impegnati nella realtà esterna, per essere vicini ai figli e accompagnarli

nella loro crescita.

Durante l’istruttoria i coniugi hanno sperimentato in tre incontri di gruppo il

confronto con altre coppie nella stessa fase di preparazione per l’adozione,

assumendo un ruolo positivo di stimolo anche per le altre coppie. Inoltre hanno

stabilito un rapporto privilegiato con un’altra coppia con la quale si sono ritrovati

per condividere altri momenti.

La coppia occupa un appartamento di sua proprietà al primo piano di un

condominio nella prima periferia del paese, arredato in modo vivace e curato. A loro

dire il marito ama cucinare e la moglie cura la casa in tanti aspetti in cui può

esprimere le sue competenze (ricamo, abbinamenti di colori, e così via).

Nel loro appartamento è riservata una stanza da letto autonoma per il bambino.

All’interno della loro abitazione emerge un grande quadro contenente le loro foto da

piccoli, dei loro rispettivi genitori e dei nipoti. Hanno manifestato consapevolezza di

dover modificare la loro casa con la possibile presenza di bambini piccoli in quanto

attualmente è a loro dimensione di adulti.

La coppia esprime una particolare serenità ed equilibrio che gli operatori hanno

collegato anche con la loro pratica del buddismo. Lui ha dichiarato di praticare tale

religione da circa 10 anni, mentre la signora solo di recente si è avvicinata a questa

religione a suo dire del tutto spontaneamente e senza nessun condizionamento da

parte del marito. I coniugi in casa possiedono un piccolo altare che utilizzano nelle

loro preghiere due volte al giorno, mattino e sera, per alcuni minuti.

Agli operatori questa modalità religiosa della coppia è apparsa densa di elementi

vitali e non caratterizzata da elementi ritualistici, rigidi o fanatici, ma al contrario

che trasmette equilibrio, serenità in modo particolare senza condizionare la loro vita

di relazione quotidiana.

226

Page 227: Lisa Agosti

La coppia intende dare disponibilità all’adozione di un bambino straniero,

possibilmente entro i 2 – 3 anni di età.

Attualmente i coniugi non si sentono pronti ad accettare bambini con handicap o

sieropositivi.

Per quanto sopra esposto gli operatori esprimono un parere di idoneità della coppia

all’adozione di un bambino straniero.

(Questa coppia è in attesa di essere chiamata dal Tribunale dei Minorenni per

l’abbinamento con un minore straniero).

227

Page 228: Lisa Agosti

CONCLUSIONI

Questo confronto ci permette di vedere i cambiamenti evolutivi nella stesura delle

relazioni d’idoneità. I criteri d’idoneità ritenuti fondamentali per l’adozione, così

come sono stati presentati nel capitolo “Metodologia dell’indagine sociopsicologica e

requisiti per l’idoneità all’adozione”, si possono ritrovare in tutte le relazioni che

sono state stilate a Carpi in questi anni.

La suddivisione in aree tematiche è andata migliorandosi, e oggi la suddivisione è

più chiara e sistematica, quindi per ogni coppia possiamo trovare sempre più

informazioni, e sempre meno lacune e informazioni mancanti.

Oggi la preparazione delle coppie è più completa, quindi i genitori arrivano alla

termine dell’indagine sociopsicologica più consapevoli delle loro possibilità di

diventare genitori adottivi e anche preparati per un eventuale rifiuto da parte del

Tribunale. Dal 2001 alla relazione viene aggiunta una postilla: si informa il Tribunale

che la coppia ha richiesto di poter leggere la relazione che la riguarda, e che quindi

una copia andrà alla stessa. Questo particolare è indice di trasparenza e di apertura, e

può aiutare i genitori a sentirsi parte di una squadra anziché sotto esame. È

sicuramente corretto che la coppia possa leggere la relazione che li riguarda,

nonostante questo renda sicuramente più complicato la stesura della stessa, in quanto

gli operatori devono assicurarsi che il Tribunale venga a conoscenza delle

potenzialità e anche dei limiti delle coppie aspiranti, ma nello stesso tempo devono

evitare di ferire i sentimenti di coppie già provate da rinunce ed esperienze dolorose.

In questi momenti, le coppie sono ancora più portate a sentirsi attaccate, e solo

un’adeguata e approfondita preparazione può aiutarle ad accettare un’eventuale

relazione negativa o un rifiuto da parte del Tribunale. Soprattutto, le coppie devono

essere consapevoli di eventuali problemi che sono stati rilevati nel corso

dell’indagine sociopsicologica e su cui dovranno lavorare per risolverli.

Ci sono coppie che richiedono l’adozione per riempire un vuoto che avvertono nel

loro nucleo familiare, una mancanza che purtroppo non può essere “riempita” dal

bambino, e che devono affrontare in altro modo prima di poter sperare in

un’adozione. Se a parere degli operatori è necessario un lavoro che richiede

parecchio tempo per superare queste problematiche, si cerca di aiutare le coppie ad

ammettere questa mancanza, invitandoli a prendere tempo prima di proseguire l’iter

adottivo. Se le coppie non intendono rinunciare all’intento di adottare, gli operatori

228

Page 229: Lisa Agosti

non possono costringerli a desistere, ma nelle relazioni (in 6 casi in particolare) si

possono ritrovare le perplessità avvertite nel corso dell’indagine sociopsicologica.

Riporto 2 esempi di relazioni sfavorevoli, con motivazioni diverse per cui la coppia

viene considerata non idonea:

Dato il clima di tristezza in cui vive la coppia e i rischi di depressione per la signora

riteniamo che non sia opportuno che vengano dichiarati esplicitamente non idonei.

Pensiamo di avere ancora incontri con la coppia con l’obiettivo di prepararli

gradualmente alla delusione affrontando nel contempo i loro problemi coniugali e

personali.

Secondo il parere degli operatori verso i coniugi, restano presenti delle

contraddizioni tra il non essere concretamente pronti all’adozione, condizione che è

rimasta immutata nel corso dell’istruttoria, e la “fretta” di concludere la procedura

come se si trattasse solo di un iter burocratico. Gli operatori rimandano a Codesto

Tribunale ogni proposta e decisione in merito.

Il tono conclusivo di questi fortunatamente rari casi è molto diverso da quello

riscontrabile nelle relazioni favorevoli all’adozione, di cui riporto un esempio:

I coniugi hanno partecipato ai colloqui con disponibilità facendo un percorso di

conoscenza e di approfondimento sia rispetto alle loro aspettative sia rispetto alla

realtà del bambino in stato di adottabilità. Hanno inoltre partecipato ai gruppi di

approfondimento con coppie adottive ed in attesa di adozione tenuti presso il

Consultorio Familiare. Per la situazione sopra esposta si ritiene la coppia idonea

all’adozione.

229

Page 230: Lisa Agosti

Cap. 3. CONCLUSIONI DELLA RICERCA

Le cartelle relative alle coppie che si sono presentate ai Servizi Sociali di Carpi, e in

particolare le relazioni d’idoneità stilate dagli operatori per il Tribunale dei Minori al

termine dell’indagine sociopsicologica con le coppie richiedenti adozione, sono uno

scrigno contenente informazioni importantissime su vari livelli.

1. Prima di tutto, consentono di avere una panoramica sull’iter adottivo nel suo

complesso, grazie alla raccolta dei documenti che segnano i vari passaggi dalla prima

richiesta fino alla fine dell’anno di affido preadottivo.

Da questi documenti si è potuto rilevare che:

Nell’86% dei casi l’attesa per l’abbinamento non supera i 3 anni (data di

scadenza della prima richiesta).

Al contrario di quanto sostenuto in letteratura, pare che rendersi disponibili

all’adozione di più di un minore non faciliti l’abbinamento.

Il numero degli abbinamenti non avvenuti (senza fare riferimento agli anni 2000

e 2001, in quanto le richieste giunte al Servizio in tale periodo sono tuttora in

attesa di abbinamento) cresce significativamente nell’ultimo decennio.

2. In secondo luogo, le relazioni d’idoneità consentono di ricostruire la storia di

ogni coppia che si è presentata al Servizio, dall’incontro dei coniugi fino al momento

in cui hanno deciso di adottare.

Riassumendo i dati più interessanti:

La maggior parte delle coppie che richiede l’adozione si presenta al Servizio in

un’età compresa tra i 30 e i 39 anni.

Non sembrano esserci differenziazioni nell’opportunità di adottare dovute al

livello d’istruzione posseduto dai coniugi. Inoltre, non pare esserci stato un

cambiamento nel modo in cui gli operatori e il Tribunale hanno valutato negli

anni l’idoneità all’adozione rispetto al grado di scolarità posseduto dalle coppie.

Per quanto riguarda l’occupazione dei coniugi richiedenti adozione, c’è equilibrio

tra i diversi lavori svolti e il numero di abbinamenti avvenuti e non. Le uniche

eccezioni riguardano le donne che lavorano come libere professioniste o artigiane

e gli uomini che hanno mansioni di dirigente: in questi casi il numero degli

230

Page 231: Lisa Agosti

abbinamenti avvenuti è superiore a quelli non avvenuti. Inoltre, pare che ci siano

molti insegnanti, educatori o comunque persone impegnate nel sociale tra coloro

che richiedono l’adozione.

Per quanto riguarda la storia delle coppie richiedenti adozioni, in molti casi sono

presenti problemi di sterilità e infertilità: quasi tutte le coppie che non riescono a

procreare naturalmente hanno fatto accertamenti medici per scoprirne il motivo.

La maggior parte delle coppie ha riscontrato un impedimento alla procreazione a

carico della moglie, ma nel tempo sono aumentati visibilmente gli impedimenti a

carico del marito.

Delle coppie che richiedono l’adozione nonostante nella loro famiglia siano

presenti figli naturali, il 73% non ottiene l’abbinamento con un minore a scopo

adozione.

Al contrario di quanto ipotizzato sulla base della letteratura riguardante la

richiesta d’adozione da parte di famiglie che hanno subito l’esperienza di uno o

più aborti spontanei, non pare esserci per queste coppie maggiore difficoltà ad

ottenere l’abbinamento.

In 4 casi la coppia ha vissuto la tragica esperienza della morte di un figlio

naturale. Di queste coppie, due hanno ottenuto l’abbinamento e due no.

Pare esserci un decremento del numero di abbinamenti avvenuti al crescere dei

tentativi falliti di procreazione medicalmente assistita da parte delle coppie che,

successivamente, hanno pensato alla soluzione adottiva. Questo dato però non è

confermato da un atteso coerente incremento degli abbinamenti non avvenuti al

crescere dei tentativi di PMA.

3. Grazie alle cartelle e alle relazioni, è stato inoltre possibile raccogliere

informazioni quantitative sulle caratteristiche delle coppie richiedenti adozione e dei

minori adottati.

Riassumendo i più significativi risultati della ricerca quantitativa:

Per quanto riguarda le dichiarazioni di disponibilità all’adozione delle coppie che

si sono presentate presso i Servizi Sociali di Carpi dal 1975 ad oggi, pare che i

coniugi esprimano preferenze per l’abbinamento con un minore, o 2 fratelli.

Quasi mai vengono espresse preferenze per il sesso del minore.

La maggioranza delle coppie esprime preferenza per l’abbinamento con un

minore piccolo, almeno in età prescolare.

231

Page 232: Lisa Agosti

Al momento attuale, la maggioranza delle coppie si dichiara disponibile sia

all’adozione nazionale che internazionale.

Delle coppie che si rendono disponibili all’adozione nazionale, sempre più

coppie, a partire dal 1989, dichiarano di accettare l’abbinamento a rischio

giuridico, con minori cioè che sono ancora in attesa che la legge li riconosca in

stato di adottabilità.

Poche coppie si dichiarano pronte all’abbinamento con un minore portatore di

handicap (in qualche caso si accettano piccoli difetti fisici risolvibili nel tempo).

Solo una coppia, nel 1999, si dichiara disponibile all’abbinamento con un minore

sieropositivo.

4. Un altro tema che è stato possibile approfondire riguarda l’adozione

internazionale, indagando le caratteristiche dei minori provenienti da Paesi molto

lontani e molto diversi tra loro.

Su 88 minori adottati, 26 (il 30%) sono di nazionalità italiana; il 54% di questi è

stato adottato in un’età compresa entro il primo anno di vita. La maggior parte

delle adozioni italiane è avvenuta nel periodo 1975-1980.

La maggior parte dei minori in adozione internazionale proviene dal Sud

America (in particolare dal Brasile), ma gli arrivi sono concentrati

esclusivamente tra il 1984 e il 1996.

La seconda maggiore zona di provenienza per le adozioni internazionali è

l’Europa dell’Est, ma gli arrivi sono concentrati a partire dal 1986, continuando

tuttora. I minori arrivati da questi Paesi hanno meno di 5 anni.

Altre zone di provenienza dell’adozione internazionale sono l’Asia, il Messico e

il Marocco.

5. È stato infine possibile indagare i contenuti delle relazioni a livello qualitativo,

soffermandosi su temi fondamentali quali i seguenti:

Si nota nelle relazioni un’insistenza nel riportare informazioni sulle famiglie

d’origine dei coniugi e sul parere da loro espresso riguardo l’intento dei figli di

adottare, essendo il loro consenso un importante tassello di sostegno per il nuovo

nucleo familiare.

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Le relazioni contengono un giudizio sul rapporto di coppia, e spesso si ritrovano

gli stessi aggettivi per descrivere il ruolo di ogni coniuge nel rapporto di coppia e

il carattere del marito e della moglie.

Nelle relazioni si ritrovano anche frasi ripetute per esprimere un giudizio positivo

sulla coppia e sulle sue modalità relazionali.

Un tema fondamentale trattato nelle relazioni è la motivazione della coppia

all’adozione: è facile riscontrare temi ricorrenti nelle riflessioni che hanno

portato alla scelta adottiva, spesso proposta dalla moglie e in seguito condivisa

dal marito.

Di ciascuno di questi temi, è infine stato possibile studiare l’andamento evolutivo, il

cambiamento nel corso degli anni dal 1975 ad oggi, ripercorrendo una crescita che ha

visto aumentare il numero di richieste d’adozione, ha visto arrivare il primo bambino

dall’India nel 1982, per poi aumentare sempre più il numero di minori in adozione

internazionale, ha visto cambiare la meta preferita dell’adozione internazionale e

diventare sempre meno rappresentata l’adozione nazionale. Una crescita, inoltre, che

ha visto cambiare il grado di scolarità e il tipo di occupazione dei genitori, ha visto

cominciare e diventare sempre più frequenti i tentativi di procreazione medicalmente

assistita.

Quando ho cominciato la raccolta dei dati per questa ricerca, non sapevo esattamente

cosa stavo cercando; avvertivo però che le cartelle negli archivi contenevano molto

più che semplici documenti.

Quando una ricerca finisce, ciò che la rende utile è che crea più domande di quante

risposte abbia fornito. Sicuramente in questa ricerca, così come nel campo

dell’adozione, la caccia alle risposte potrebbe non terminare mai.

233

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