LIRISMO E DISVELAMENTO - POLO PSICODINAMICHE€¦ · La vitalità tassiana si rintraccia, pertanto,...

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I ® F RONTIERA DI P AGINE LETTERATURA CONTEMPORANEA FRONTIERA DI PAGINE P OESIA M ODERNA TORQUATO TASSO TRA LIRISMO E DISVELAMENTO DI ANDREA GALGANO HTTP://POLOPSICODINAMICHE.FORUMATTIVO.COM PRATO, 29 GIUGNO 2012

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I

 

® 

FRONTIERA DI PAGINE

LETTERATURA CONTEMPORANEA

FRONTIERA DI PAGINE

P O E S I A M O D E R N A

TORQUATO TASSO

TRA LIRISMO E DISVELAMENTO DI ANDREA GALGANO

HTTP://POLOPSICODINAMICHE.FORUMATTIVO.COM

PRATO, 29 GIUGNO 2012

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II

 

orquato Tasso (1544-1595) rappresenta l’ultima grande voce del

Rinascimento. Nonostante l’enorme contributo, a livello critico,

sulla sua opera, sfrondata di ogni stereotipo ed etichette, che lo

vogliono vittima di principi o in preda a dissociazioni, o anche

oppresso dall’Inquisizione, egli raccoglie la stagione fedele a

Petrarca, ricomponendola nei suoi frammenti e offrendo un nuovo

tempio classico, laddove, come scrive G. Natali: “stilemi, sintagmi, clausole, interi

versi del Canzoniere (ma anche dei Trionfi) costellano endemicamente le ottave

tassiane, a eccezione, forse, degli episodi in cui vengono passati in rassegna gli

eserciti nemici e delle battaglie campali”.

«Peregrino errante» tra errare ed errore, Tasso ha cercato la stretta attinenza di

autore e personaggio, che nel suo vagabondaggio pellegrino e inquieto, conosce lo

sferisterio dell’abisso e del tormento, riemergendo con la nitidezza del suo lirismo e

la rappresentatività della sua epoca storica.

Scrive Lanfranco Caretti: “La verità è che una figura così complessa come quella del

Tasso, a parte certi eccessi esasperati che richiedono, questi sì, giustificazioni

particolari e private, non può essere adeguatamente decifrata con gli strumenti della

psicologia autonoma, ma va inserita nella storia dell’epoca di cui si trovò ad assumere

tratti dominanti, sì che le sue stesse contraddizioni non vengano più attribuite a

bizzarrie umorali o a debolezze di carattere, ma siano considerate come il riflesso di

una condizione spirituale più vasta o generale”.

L’instabilità tassiana si gioca sul declino delle sorti di un’epoca e sullo sbigottimento

vigoroso che lascia spazio alla noia stremata, alla dura e potente solitudine di

un’anima.

Poeta dello sradicamento e della inappartenenza cerca il luogo della sua poesia,

l’accento eroico e suggestivo di un fulcro vitale, attorno al quale far roteare il divino

furore dei versi.

Se davvero la Gerusalemme Liberata, pensata sin dal primo soggiorno urbinate, è il suo

sigillo nel tempo, l’attività e la densità della sua lirica offrono lo slargo al drappello

della sua inquietudine ardente e vitale.

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III

La vitalità tassiana si rintraccia, pertanto, nei loci amoeni conclusi, che racchiudono in

un’unica immagine dilatata un epos, che prelude e dispiega ogni configurazione, in

una realtà altra, come testimonia questo passaggio del I canto della Liberata: «Umane

membra, aspetto uman si finse,/ ma di celeste maestà li compose; / tra giovene e

fanciullo età confine/ prese, ed ornò di raggi il biondo crine. // Ali bianche vestì, c’han

d’or le cime,/ infaticabilmente agili e preste».

La configurazione lucente solca il pudore delle donne. In esse avviene, o per meglio

dire, si compie la poesia.

Clorinda, Erminia, Armida, Sofronia e Gidippe rappresentano lo sbocco di

un’umanità che conosce sacrificio, lotta e linea sottile di vita e morte.

Il mondo lirico, a contatto con le severe leggi dell’esistere, si complica e si arricchisce

e, infine, offre lo spazio al dramma.

Poesia della rinuncia che conosce la coscienza e consapevolezza del sacrificio,

dell’eroismo nobile e inutile, dell’abbandono e dello strazio.

Tasso porge nella Gerusalemme il seno del dramma e del mistero, in cui il reale è il

segno che invita ad alzare lo sguardo su Dio: la moralità diviene coscienza delle colpe

e memoria del Destino ultimo, nella libertà di obbedienza al Suo disegno e nel

desiderio vissuto in letizia.

Clorinda è l’esito di una coniugazione di armi e di amori, poichè vive nella precisione

dei suoi indizi di amata e guerriera che si svela e si denuda: «Quivi a lui d’improvviso

una donzella / tutta, fuor che la fronte, armata apparse; // chè, rotti i lacci a l’elmo

suo, d’un salto/ (mirabil colpo!) ei le balzò in testa; // Bianche va più che neve in

giogo alpino/ avea le sopraveste, e la visiera / alta tenea dal volto; e sovra un’erta, /

tutta, quanto ella è grande, era scoperta; / Tremar sentì la man, mentre la fronte / non

sconosciuta ancor sciolse e scoprio.».

A richiamare il bagliore della realtà che compare c’è sempre una presenza che

colpisce e commuove. Attraverso la vista di un luogo fisico, (l’aurora), che illumina i

passi, la Redenzione scoperchia e abbraccia indegnità e sommovimenti, in

un’affezione ricolma e rigogliosa di timore e tremore, entrambi genuflessi sulla soglia

del trapasso, come accade a Clorinda: «Alta contrizion successe, mista / di timoroso e

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IV

riverente affetto. / osano a pena d’inalzar la vista/ ver la città, di Cristo albergo eletto,

/ dove morì, dove sepolto fue, / dove poi rivestì le membra sue».

Annota Giovanni Getto: “La caduta dell’elmo dal capo di Clorinda, sotto il colpo di

lancia di Tancredi, provocherà uno dei momenti più lirici della Gerusalemme. E così

al canto XII l’elmo allontanato dal capo di Clorinda morente dall’ignaro Tancredi per

il battesimo richiesto dal suo sconosciuto avversario darà origine a un’altra scena di

grande poesia”.

Lo svelamento, come ricorda anche la vicenda amorosa di Tancredi e Erminia,

afferma la femminilità e il riconoscimento, ma soprattutto lo sguardo e l’incanto

della pienezza, che dona il candore di una bellezza muliebre e la sfumatura di un

bagliore netto ed improvviso: «Fu levissima piaga, e i biondi crini / rosseggiaron così

d’alquante stille, / come rosseggia l’or che di rubini/ per man d’illustre artefice

sfaville».

Le apparizioni candide dell’eroina suggellano la sua identità, provocano agnizioni.

Pur lasciando scomparire fierezza e ritrosia in punto di morte, divengono segno di

creatura nuova, in cui la molteplicità degli affetti umani è redenta dalla luce

magnanima ed esemplare.

Nelle sue multiformi apparizioni la donna tassiana dispiega vagheggiamenti e lodi e

l’alternanza di errori-erranze conosce furie e bellezze neglette.

Come in Armida, soglia offuscante che promette, come commenta Mario Pazzaglia,

“l’incapacità di appagare pienamente quel bisogno di felicità che è nel cuore

dell’uomo”.

Il piacere, assedio di labilità, si fa più acre quando si conosce la sua precarietà;

l’amore, nonostante la coltre dei presagi funesti, si annida nella solenne mestizia

languida e in un tepore nudo.

Nelle tempeste e nei tormenti del tempo, nel doloroso sentimento del vivere e nelle

perplessità dell’anima, l’eroe, che ha attraversato la menzogna ed è tornato a vivere

nella verità, riscopre la sua alba. Nella «torbida luce e bruna» sale, fissando e

pregando verso Oriente, e lasciando il suggello di un lavacro che rompe nodi,

riaccendendo intenso un improvviso barlume d’incanto.

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V

CANTO l’arme pietose, e ’l

Capitano

Che ’l gran sepolcro liberò di

CRISTO.

Molto egli oprò col senno e con la

mano;

Molto soffrì nel glorioso acquisto:

E invan l’Inferno a lui s’oppose; e

invano

s’armò d’Asia e di Libia il popol

misto:

Chè ’l Ciel gli diè favore, e sotto ai

santi

Segni ridusse i suoi compagni

erranti.

II.

O Musa, tu, che di caduchi

allori

Non circondi la fronte in Elicona,

Ma su nel Cielo infra i beati cori

Hai di stelle immortali aurea

corona;

Tu spira al petto mio celesti ardori,

Tu rischiara il mio canto, e tu

perdona

S’intesso fregj al ver, s’adorno in

parte

D’altri diletti, che de’ tuoi le carte.