L'invenzione di Via Verdi

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L’invenzione di via Verdi Una strada di Trento tra Otto e Novecento

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A metà dell’Ottocento la costruzione di via Verdi si inserisce in un ampio progetto di costruzione di un volto nuovo della città di Trento. La nuova via rappresenta la sintesi dei principi cardine della modernità: l’istruzione obbligatoria, l’organizzazione industriale del lavoro, la pianificazione agricola, la ricerca e la catalogazione scientifica, l’intrattenimento musicale della nuova borghesia.

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L’invenzionedi via VerdiUna strada di Trento tra Otto e Novecento

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L’invenzionedi via VerdiUna strada di Trento tra Otto e Novecentoa cura di Luigi Blanco e Elena Tonezzer

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MostraPalazzo CalepiniFondazione Cassa di Risparmio di Trento e RoveretoVia Calepina 1, Trento

Apertura dall’11 dicembre 2010 al 27 febbraio 2011Orario 10-18Chiuso tutti i lunedì, il 25 dicembre e il 1° gennaioIngresso libero

Mostra realizzata dallaFondazione Museo storico del Trentino

Cura della mostraElena Tonezzer

Coordinamento organizzativoPatrizia Marchesoni Rodolfo Taiani Elena TonezzerDonatella Turrina

Direzione artisticaMicol Cossali Valentina Miorandi

Progetto espositivo e sviluppo modello 3Dstudiobbs architetti associati, Trento

Progetto software e piattaforma virtualeDavid TacconiRoberto Tomasi

Progetto grafico della mostra, del catalogo e della promozioneDesignfabrik, Rovereto

Stampa del catalogoPublistampa, Pergine

AllestimentoCerdà arredamentiWm allestimentiVideoerreDigitalservice

Percorsi di visitaCristina Pasolli

Si ringrazia per l’aiuto e la disponibilitàArchivio dell’Università degli studi di TrentoArchivio storico del comune di TrentoBiblioteca comunale di TrentoFondazione Cassa di Risparmio di Trento e RoveretoMuseo civico di RoveretoMuseo tridentino di scienze naturaliServizio cultura del Comune di TrentoSocietà filarmonica di TrentoSoprintendenza per i Beni Librari, Archivistici eArchelogici - Archivio provinciale di TrentoSoprintendenza per i Beni Storico-Artistici della Provincia autonoma di Trento

Quinto AntonelliRoberta G. ArcainiBarbara BaldoBrunella BrunelliFabio CampolongoAntonio Carlini Francesca CrettiLaura Dal PràMaria Chiara DeflorianMarino DegasperiGiuseppe FerrandiFranco FinottiLuca GabrielliAndrea GarzettiCaterina Girardi Alberto IanesMichele LanzingerFabio MargoniVeronica NicoliniLorenzo NicolodiMassimo NicolussiLuciano Palombi Roberto PaoliAlessandro PedrottiLorenzo PevarelloSonia PinatoFrancesca RocchettiFabrizio Tamè Armando TomasiCaterina TomasiEnrico Zobele

L’invenzionedi via VerdiUna strada di Trento tra Otto e Novecento

ISBN: 978-88-7197-132-2© 2010 by Fondazione Museo storico del Trentino, TrentoÈ vietata la riproduzione anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

I lettori che desiderino informarsi sulla produzione editoriale della Fondazione Museo storico del Trentino possono consultare il sito internet www.museostorico.it e iscriversi nella home page al servizio di newsletter per ricevere via email le segnalazioni delle novità. È possibile anche scrivere a Fondazione Museo storico del Trentino, via Torre d’Augusto 41, 38122 Trento.

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7 Rileggere la città per ritrovare le nostre radici

Lucia Maestri

9 L’impegno della Fondazione Museo storico del Trentino per la città

Giuseppe Ferrandi

12 Un Comune «imprenditore» Trento nell’età di Paolo Oss Mazzurana

Luigi Blanco

20 Via Verdi prima di via Verdi Dalla rottura delle mura alla disciplina delle strade rette

Elena Tonezzer

34 I piani di ampliamento della città in Briamasco nel corso dell’Ottocento

Franco Cagol

44 Una via tra Otto e Novecento

Giulia Mori

60 Un edificio enciclopedico

Elena Tonezzer

66 L’architetto Carl Hinträger e il suo tempo

Sergio Giovanazzi

78 «Per l’ingrandimento futuro della città» Il nuovo fabbricato scolastico in via Vittoria: un cantiere nella Trento di fine Ottocento

Luca Siracusano

90 Il lungo ritardo della scuola trentina

Quinto Antonelli

104 Il Museo di storia naturale Cinquanta anni in via Verdi

Gino Tomasi

114 Largo all’Università! Storia di una sede contesa

Giovanni Agostini

122 Riferimenti bibliografici

128 Informazioni biografiche

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Ogni giorno passeggiamo per le vie di Trento, anzi spesso, presi da mille impegni, le percorriamo troppo velocemente, senza guardare quello che ci circonda.Le pietre di una città raccontano in silenzio una storia antica, che continua nel presente; per leggerla ci vuole attenzione, curiosità, capacità di vedere oltre quello che appare.Ricostruire la storia di via Verdi e restituirla alla città è stato l’impegno di questo anno di studio e approfondimento che ha visto coinvolti i ricercatori della Fondazione Museo storico del Trentino. Il lavoro è divenuto una mostra “L’invenzione di via Verdi”, che ripercorre, attraverso le voci dei protagonisti e la documentazione dell’epoca, le scelte politiche, urbanistiche e strategiche che hanno disegnato una protagonista silenziosa, ma fondamentale dell’evoluzione della città.La linea diritta che dalle rive dell’Adige porta al portone principale della cattedrale è stata negli ultimi cent’anni uno dei luoghi più significativi e conosciuti di Trento: via di ingresso, sede di attività commerciali, ritrovo culturale e di crescita di intere generazioni.Su via Verdi oggi si affacciano le facoltà di Sociologia, Giurisprudenza, Economia e commercio, la biblioteca di Ateneo, ma ieri giocavano e studiavano i bambini delle scuole elementari, mentre a due passi la Filarmonica continua a riunire nell’ascolto gli amanti della musica classica.Rileggere la città per ritrovare le nostre radici è un passo fondamentale per vivere il presente e costruire il futuro consapevolmente.Un impegno a cui il Comune di Trento partecipa attivamente anche grazie alla professionalità del suo Archivio storico, che ha collaborato alla nascita di questa interessante mostra mettendo a disposizione i progetti urbanistici e architettonici, la corrispondenza tra le istituzioni, i verbali del consiglio comunale; una ricchezza documentale e storica che è e deve essere sempre più patrimonio dell’intera città.

Lucia MaestriAssessore alla Cultura, Turismo e Giovani del Comune di Trento

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La mostra «L’invenzione di via Verdi. Una strada di Trento tra Otto e Novecento» ci racconta la storia di una piccola parte del centro storico di Trento: una singola via che ha un carattere particolare, perché non è il risultato di una lunga sommatoria di piccoli e grandi interventi architettonici e urbanistici accumulati nei secoli. Via Verdi, via Alessandro Vittoria come si chiamava inizialmente, ha una data di nascita precisa e tutto sommato recente: nel 1888 il Municipio decide di abbattere una casa che si ergeva di fronte all’entrata del Duomo, che chiudeva la cattedrale in una prospettiva angusta, che la separava dalla campagna retrostante. Con quella decisione, con i progetti urbanistici di cui faceva parte, nasce l’idea della nuova strada, che univa la chiesa all’Adige. La mostra racconta la storia di una via frutto dell’intervento del Municipio e degli edifici che progressivamente vi vengono costruiti. Palazzi che ora si riconducono soprattutto alla vita universitaria della città, giacché ospitano in gran parte facoltà e funzioni amministrative dell’Ateneo, ma che nella loro storia hanno rivestito funzioni significative del momento storico in cui sono stati costruiti.La mostra è un ulteriore segno dell’interesse della Fondazione Museo storico del Trentino per la storia della città di Trento e dell’attività del settore di ricerca sorto grazie alla collaborazione con il Comune di Trento. Come le esposizioni precedenti, «La città romanzo» (2008) e «Boom! Istruzioni per l’uso» (2009), l’esposizione cerca nuove e sperimentali formule espositive per comunicare in maniera innovativa i contenuti della ricerca storica. L’uso di simulazioni con il computer, video e suoni accanto a documenti e oggetti storici è la scommessa dell’«Invenzione di via Verdi. Una strada di Trento tra Otto e Novecento».Il catalogo che accompagna la mostra si avvale di importanti collaborazioni scientifiche ed è un punto di sintesi e divulgazione delle ricerche storiche in corso relative allo scorcio di fine XIX secolo dedicate a Trento.

Giuseppe FerrandiDirettore della Fondazione Museo storico del Trentino

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Un Comune «imprenditore» Trento nell’età di Paolo Oss MazzuranaLuigi Blanco

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Mappa di Trento, anno 1887. È riconoscibile in rosso la pianta del palazzo dell’istruzione, sovrapposto alle mura; il tratteggio di via Giuseppe Verdi dal Duomo al nuovo edificio scolastico e la futura via Antonio Rosmini. Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-VII.64.1886.

In un compendio amministrativo, pubblicato all’in-domani della fine della Grande guerra e prima della definitiva annessione del territorio trentino e sudti-rolese all’Italia, il segretario comunale Alberto Paini

tracciava le caratteristiche peculiari dell’amministrazio-ne locale del Trentino «in rapporto a quella del Regno». Lo scritto, dedicato «alla memoria cara e grande di Ce-sare Battisti», era opera di un dichiarato nazionalista, il quale però non poteva fare a meno di osservare «che i sistemi amministrativi dell’Impero, ora sepolto sotto le proprie fatali rovine, avevano molto di buono; anzi erano improntati ad una semplicità e ad una scioltezza che non sono certamente il requisito di quelli che l’Italia aveva copiato dalla Legislazione francese e che furono poi sapientemente aggrovigliati e resi complessi e mor-tiferi dalla burocrazia di Stato»1.

Cosa intendeva l’autore con questo giudizio inatteso e al tempo stesso obiettivo? In cosa consistevano le dif-ferenze tanto marcate di cui scriveva e i vantaggi così evidenti dell’amministrazione asburgica?

L’amministrazione locale del Regno d’Italia

Come noto, l’amministrazione locale dello Stato unita-rio italiano aveva fatto propri, nonostante le battaglie condotte da tanti convinti e autorevoli autonomisti, ca-pitanati da quella figura di eccezionale statura morale e intellettuale che risponde al nome di Carlo Cattaneo, i moduli e il sistema amministrativo francese, carat-terizzato da un rigido e uniforme accentramento e da una forte continuità con la monarchia amministrativa di antico regime; continuità plasticamente descritta da Tocqueville con l’immagine dell’intendente monarchico e del prefetto napoleonico che si tendono la mano sul baratro della rivoluzione. Attraverso la ricezione sardo-piemontese, tale sistema amministrativo era transitato nello Stato unitario estendendosi gradualmente ai terri-tori degli antichi stati della penisola mano a mano che si veniva compiendo il processo di unificazione nazionale.

La legge comunale e provinciale dell’appena costitu-zionalizzato Regno di Sardegna (i cui capisaldi erano già nel regio editto del 27 novembre 1847, emanato poco prima della concessione dello Statuto albertino, che non proferiva invece parola sull’ordinamento locale, riman-

dando ad una futura legge), ripresa poi senza grandi no-vità dalla legge Rattazzi dell’ottobre 1859, venne dunque estesa, nel suo impianto di base, con l’esclusione iniziale della Toscana, al nuovo Stato unitario ricoprendo con norme e maglie uniformi l’intero territorio nazionale.

Di sostanziale riproposizione della legge del 1859 si può dunque parlare per la prima legge comunale e pro-vinciale unitaria, quella del 1865, promulgata anch’es-sa, al pari delle altre, in regime di pieni poteri, vale a dire sottratta al dibattito parlamentare. Essa ricalcava pedissequamente l’impianto amministrativo franco-piemontese, ritenuto dalla maggioranza parlamentare e politica necessario, anzi indispensabile, per scongiurare il rinascere dei particolarismi che avevano segnato la storia della penisola, tanto più temuti dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie e la scoperta della «questione meridionale». Ragione non ultima questa anche dell’af-fossamento dei pur timidi progetti regionalistici presen-tati dai ministri Farini e Minghetti.

La prima legge di unificazione amministrativa finì pertanto col non dare risposte alle numerose questio-ni che erano sul tappeto e che rimarranno aperte an-che nei decenni successivi sotto i governi della Destra storica prima e della Sinistra poi dopo la «rivoluzione parlamentare» del 1876: l’elettività del sindaco e del pre-sidente della Deputazione provinciale, l’allargamento dell’elettorato amministrativo, l’ordinamento regionale, la finanza locale. Sposando il centralismo «alla france-se», l’ordinamento locale unitario introduceva un rigido sistema di controlli (da quello prefettizio a quello delle ramificazioni periferiche dei diversi ministeri centrali) e di tutela sui comuni.

Ma l’elemento che maggiormente connotava in senso negativo l’ordinamento amministrativo locale italiano era relativo alla figura del sindaco, al contempo «capo dell’amministrazione comunale» e «uffiziale di governo». Proprio per questa ibrida commistione, esso rimarrà an-cora per decenni, fino alla cosiddetta «seconda unifica-zione amministrativa», vale a dire alle riforme crispine, tra le quali spicca quella dell’ordinamento locale, di no-mina regia. E neppure con Crispi l’elettività del sindaco sarà garantita a tutti i Comuni, ma solo ai maggiori, a quelli capoluogo di provincia o di circondario o comun-que con più di 10.000 abitanti; secondo Crispi infatti l’e-sercizio della facoltà di elezione del sindaco da parte dei consigli comunali non era «scevro d’inconvenienti» nei piccoli comuni. «In essi – come si legge nella sua presen-

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tazione del disegno di legge alla Camera dei deputati – è scarsa la coltura intellettuale, poco illuminata l’opinione pubblica; vi è quindi minore presunzione che la scelta del sindaco cada su di una persona idonea alle funzioni di capo dell’amministrazione comunale e di rappresentan-te del Governo. L’esperienza poi dimostra che nei piccoli comuni i partiti si agitano irosamente senza posa; sicchè, se si togliesse al sindaco il prestigio della nomina gover-nativa, lo si lascerebbe senza autorità in balia di essi»2.

Rispetto all’ordinamento locale italiano, accentrato e uniforme, il sistema amministrativo asburgico, la cui «semplicità» e «scioltezza» erano esaltate da Paini, pog-giava su ben diversi presupposti. Da un lato sull’auto-nomia dell’ente locale, organo di autoamministrazione piuttosto che ente di amministrazione indiretta dello Stato, dall’altro sulla elettività della rappresentanza co-munale e delle cariche esecutive; ma anche sul presup-posto della differenziazione dei comuni. Non a caso, nella lotta politica per la edificazione del nuovo Stato unitario, a molti commentatori e giuristi il criterio della differenziazione sarebbe parso di gran lunga preferibile, nella situazione italiana, a quello della rigida uniformità di matrice napoleonica.

L’amministrazione locale austriaca

Da quando l’Impero d’Austria con la Restaurazione era tornato in possesso dei suoi territori, aveva eliminato le aggregazioni e le riduzioni di comuni che avevano carat-terizzato l’amministrazione napoleonica. Il Regolamento delle Comuni, e dei loro Capi nel Tirolo e Vorarlberg del 1819, pur senza precisare le sfere di attività dei comuni, introduceva già una prima differenziazione nella tipolo-gia comunale, distinguendo tra «comuni di campagna», «città minori» e «città maggiori»; e la patente imperiale del 1849, emanata dopo lo scioglimento dell’assemblea costituente di Vienna-Kremsier, che si apriva con l’af-fermazione, citatissima, secondo cui «il pilastro basilare dello Stato libero è il libero Comune», concedeva alle capitali di Länder e di circolo e ad altre città importanti la possibilità di darsi uno statuto proprio.

Saranno però le leggi quadro del 5 marzo1862 e quel-la successiva del 9 gennaio 1866 che regolamentavano l’attività e la rappresentanza dei comuni a fornire la cor-nice normativa entro cui si sarebbe esercitata, senza so-

stanziali modifiche fino al crollo dell’Impero, l’autonoma attività degli enti locali. In particolare, oltre a ribadire l’autonomia comunale e l’elettività degli organi, le due leggi precisavano le sfere di attività del comune distin-guendo tra attività «proprie» e attività «delegate» dallo Stato; le prime, altresì dette «naturali» o «indipendenti», «in forza delle quali il comune, osservate le vigenti leggi dell’Impero e provinciali, può dare indipendentemen-te, ordini e disposizioni, abbracciano in generale tutto quello, che tocca prossimamente gli interessi del comu-ne, e che esso può disimpegnare e compiere entro i suoi confini colle proprie sue forze» (§ 27)3.

Si tratta di una definizione molto ampia, ma anche molto vaga, delle attribuzioni di pertinenza comunale, limitate esclusivamente dai confini municipali e dalla disponibilità delle relative risorse economico-finan-ziarie. In questa sfera rientravano l’amministrazione del patrimonio comunale, la tutela della sicurezza per-sonale e della proprietà, la manutenzione delle strade comunali, dei ponti e delle piazze, nonché la polizia campestre, l’annona e la sorveglianza su pesi e misure, la polizia sanitaria, le istituzioni comunali di assistenza e beneficenza, la polizia edilizia e i relativi regolamenti di costruzione, l’istruzione pubblica.

La legge imperiale sui comuni del 5 marzo 1862 con-fermava altresì l’esistenza di città con statuto proprio, riservando alla legislazione provinciale la possibilità di introdurre modifiche e integrazioni agli statuti già ap-provati. La città di Trento, al pari di quelle di Bolzano e di Innsbruck, si era già dotata di uno statuto proprio dal 1851, anche se per un quindicennio, fino a quando cioè l’elezione a podestà di Giovanni Ciani nel 1866 non ricevette la conferma imperiale, la vita municipale aveva stentato a manifestarsi a pieno utilizzando quelle prero-gative autonomistiche garantite sulla carta. Dei podestà eletti in precedenza, nessuno aveva ottenuto la confer-ma imperiale, richiesta dalla legge provvisoria del 1849, e neppure il Magistrato, l’organo esecutivo dell’ammini-strazione comunale, era stato confermato dal governo centrale; il comune era stato retto pertanto da delegati governativi o da podestà prorogati nelle loro funzioni dal governo. Nel 1862 il consiglio comunale di Trento aveva addirittura rassegnato le dimissioni in blocco per protesta e in segno di aperto dissenso con il podestà di nomina imperiale e con la luogotenenza di Innsbruck4.

Solo dopo il 1866 pertanto la vita politica e ammini-strativa locale entra nel vivo, sfruttando tutte le poten-

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zialità organizzative e di azione che la nuova legge con-sentiva. Per il nuovo statuto cittadino invece bisognerà attendere il 1888 (anche se alcune modifiche erano state introdotte in questo intervallo di tempo), quando an-che la città di Trento, preceduta da tutte le città a statuto proprio del Tirolo (Rovereto, Innsbruck e Bolzano), si doterà di una nuova carta statutaria.

Lo statuto di Trento del 1888

Il nuovo statuto riaffermava la posizione del comune in rapporto all’amministrazione statale e provinciale, precisando che «il Civico Comune di Trento forma per sè solo un distretto politico e sottostà rispetto alle at-tribuzioni proprie direttamente alla Giunta provinciale e rispettivamente alla Dieta provinciale; e rispetto alle attribuzioni delegate al Dicastero politico provinciale» (§ 3); e assegnava al «Comune civico quale Autorità de-legata di disimpegnare entro il circondario comunale della città di Trento tutti gli affari politico-amministra-tivi spettanti alle Autorità politiche distrettuali» (§ 27). Per quanto concerne i controlli ed in particolare quello più invasivo, vale a dire la conferma imperiale cui era soggetta l’elezione del podestà (che finiva col farne in parte anche un organo dello Stato), essa veniva ribadita (§ 21), anche se non si proferiva parola sulle modalità di nomina di un nuovo podestà in caso di mancata con-ferma5 (come si verificherà ancora nel 1911 e 1913 con l’elezione del conte Massimiliano Manci).

Nel momento in cui il nuovo statuto cittadino veniva approvato, alla guida del Comune di Trento si trovava Paolo Oss Mazzurana, appena rieletto per il suo terzo mandato podestarile. Figlio adottivo di Felice Mazzura-na, presso la cui azienda aveva mosso i primi passi come apprendista fino a diventare procuratore dell’intero pa-trimonio, stimato imprenditore e tra i principali espo-nenti del partito nazionale trentino, questi era stato elet-to per la prima volta consigliere comunale nel 1866 e per tre tornate deputato per la città di Trento alla Dieta di Innsbruck (1869, 1871, 1881), dove, fedele alla politica astensionistica dei deputati trentini, non mise mai piede. Era stato altresì eletto podestà, con voto quasi unanime, una prima volta il 3 aprile 1872, e aveva ricoperto tale carica fino al mese di ottobre dell’anno successivo, allor-ché aveva abbandonato l’incarico per motivi personali6.

L’età di Paolo Oss Mazzurana

Già nel corso del suo primo mandato podestarile, si possono intravvedere le linee di fondo di quel program-ma amministrativo che cercherà di realizzare, con ben altri risultati, nel corso dei suoi successivi mandati, du-rati complessivamente un decennio abbondante (1884-1895), decennio che è stato significativamente definito dalla storiografia come l’«età» di Oss Mazzurana. Come si ricava dai verbali del consiglio comunale, nel suo pri-mo programma amministrativo trovano infatti posto alcuni punti fondamentali: il sostegno e rafforzamento dell’istruzione pubblica, la formulazione di un piano di edilizia abitativa e popolare (che tarderà invero a rea-lizzarsi), la progettazione di infrastrutture ferroviarie, la regolarizzazione del corso dell’Adige che, nonostante il taglio dell’ansa di Centa negli anni cinquanta, continue-rà a creare non pochi problemi alla città (come nel caso dell’immane piena del 1882).

Il comune di Trento si avvia a diventare, già in questi anni e nelle intenzioni del nuovo podestà e del grup-po dirigente liberale cittadino (nel 1871 era stata fon-data l’«Associazione nazionale-liberale trentina» e tra i suoi fondatori compariva anche l’Oss Mazzurana), il volano dell’economia dell’intera provincia, la leva per il «risorgimento economico» del Trentino. Ciò avviene in un momento congiunturale di depressione economica, conseguenza delle trasformazioni geo-politiche con-nesse al processo di unificazione nazionale italiana, con l’annessione della Lombardia e del Veneto, che avevano interrotto i tradizionali scambi economici e commercia-li del Trentino (nel 1874 anche l’Oss Mazzurana, come altri imprenditori, si vide costretto a trasferire la sua azienda nel veronese proprio per sottrarsi ai gravosi dazi commerciali). Ma anche in un contesto di forte contrap-posizione nazionale, con la richiesta reiterata di autono-mia amministrativa, rivolta anzitutto contro la capitale del Land tirolese e la sua Dieta più che contro il parla-mento viennese (come prova l’astensionismo dei depu-tati trentini nei confronti della prima istituzione rappre-sentativa); contrapposizione che si era già manifestata, in tema di contribuzioni finanziarie, anche in occasione delle due grandi imprese, in verità strettamente intrec-ciate, che avevano interessato e trasformato il volto della città di Trento alla metà del XIX secolo, vale a dire la rettificazione del corso dell’Adige e la costruzione della ferrovia veneto-tirolese, proprio in funzione della quale

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si era reso necessario il taglio dell’ansa di Centa. Da ri-cordare inoltre che proprio la realizzazione della strada ferrata contribuirà non poco al mutamento non solo del volto urbano ma anche della funzione strategica della città di Trento, trasformata in città-fortezza nella secon-da metà dell’Ottocento.

Come noto, l’espressione «risorgimento economico» fu coniata da Vittorio de Riccabona, l’amico, collabora-tore e divulgatore delle idee del podestà, e descrive con efficacia la situazione della città di Trento e del Tren-tino negli ultimi decenni dell’Ottocento, caratterizzata in modo assolutamente peculiare dalla questione nazio-nale, con la richiesta di autonomia separata e le aspira-

zioni irredentistiche, e dalla particolare versione di quel liberalismo pratico, per nulla alieno dal ricorso all’inter-vento dello Stato o al credito pubblico per lo sviluppo e il progresso economico delle popolazioni e del paese7.

Il campione e l’artefice unanimemente riconosciu-to di questo «risorgimento economico» fu senza alcun dubbio Paolo Oss Mazzurana durante i suoi tre man-dati consecutivi di podestà negli anni ottanta e novanta dell’Ottocento. Alla sua figura, «mente vasta e pratica» che aveva compreso «che i tempi nuovi richiedevano un orientamento economico»8, sempre Riccabona si era ispirato, e alla sua attività amministrativa aveva fatto riferimento allorché aveva parlato di «partito economi-co», anche se non di un vero e proprio partito si trattava, per indicare quella corrente del liberalismo trentino che gli sembrava rappresentata al più alto grado dalla figura e dall’opera di Paolo Oss Mazzurana9.

Gli anni ottanta del XIX secolo rappresentano il momento più significativo per la realizzazione di in-frastrutture urbane, quello in cui il comune diventa il soggetto propulsore di tutta l’economia trentina. In tre settori in particolare l’intervento del comune «impren-ditore» si esprime con maggiore forza e incisività: quel-lo urbanistico e edilizio, quello energetico e quello della mobilità.

I grandi progetti dell’amministrazione cittadina: urbanistica, energia, mobilità

Nonostante i progetti di rinnovamento urbanistico por-tati avanti dal podestà Benedetto Giovanelli, coadiuvato da una schiera di valenti ingegneri, nel corso della prima metà dell’Ottocento la città di Trento conservava ancora la forma e la struttura che per secoli l’avevano caratte-rizzata, come si ricava dalle descrizioni e dai resoconti di molti viaggiatori. Solo a partire dalla metà del secolo, come accennato, in corrispondenza della costruzione della linea ferroviaria Verona-Bolzano (completata poi fino al Brennero) e del conseguente taglio dell’Adige in Centa, la scena inizia a mutare radicalmente con la pro-gressiva apertura delle mura e la trasformazione della struttura urbana cittadina. Di questa trasformazione l’amministrazione guidata da Oss Mazzurana fu indub-biamente l’artefice principale.

Ritratto di Paolo Oss Mazzurana. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio fotografico.

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Nel corso di questa «età» si procedette alla elabora-zione del primo piano regolatore per la zona di Bria-masco (1888), con la progettazione e realizzazione della rete viaria ancora oggi riconoscibile, si completò la se-conda ala meridionale del cimitero (1889), si diede av-vio alla realizzazione dei primi alloggi popolari nell’area di Piedicastello (con l’interessamento e il finanziamento dello stesso Oss Mazzurana nella veste di imprenditore) e si costruirono importanti e significativi edifici pubbli-ci: le caserme (1883), l’ospedale militare (1891), l’asilo infantile intitolato a Pietro Pedrotti (1887), il nuovo macello pubblico (1891), l’istituto bacologico (1893), e ovviamente il palazzo scolastico.

A quest’ultimo ramo dell’amministrazione cittadina, del resto, alla scuola, considerata «fondamento d’ogni civile progresso e causa prima di generale ricchezza»10, tutto il ceto dirigente liberale aveva riservato particola-re attenzione, tanto da destinarvi sempre più cospicue risorse finanziarie. A riprova di ciò, nel protocollo del-la sessione del Consiglio comunale dell’8 aprile 1873 si possono leggere queste ancora oggi attualissime parole: «i Municipi non devono soltanto limitarsi alla semplice tutela delle persone e delle cose o, come si vorrebbe an-cora da alcuni, all’unica economia dell’Amministrazione, ma bensì mirare più in là e farsi per così dire l’educato-re civile del Comune, promuovendo o sostenendo tutto quanto può contribuire ad aumentare il pubblico bene segnatamente nel campo prezioso dell’istruzione»11.

In tutto questo piano di trasformazione del volto urbano di Trento, che non si arrestò con la scomparsa del podestà Oss Mazzurana, come è testimoniato dalla

costruzione di altri edifici importanti nella stessa zona del palazzo scolastico, quali la Filarmonica o il panifi-cio nell’ultimo tratto verso la ferrovia di via Alessandro Vittoria, un ruolo di assoluto protagonista fu giocato dal comune di Trento. Solo grazie al suo intervento finan-ziario, garantito da mutui concessi dalla locale Cassa di risparmio di Trento (alla presidenza della quale siederà per anni Vittorio de Riccabona), fu possibile realizzare questo ingente piano di rinnovamento urbanistico e so-ciale della città.

Tra le opere progettate dall’amministrazione comu-nale al fine di favorire lo sviluppo economico e rendere più moderna la città, la realizzazione dell’impianto idro-elettrico per l’illuminazione pubblica (e privata) rappre-senta quella più impegnativa. Se la rete di distribuzio-ne del gas era stata realizzata relativamente in ritardo (1859) rispetto ad altre città italiane, nel caso dell’ener-gia elettrica la città di Trento operò invece da battistrada anticipando un processo che di lì a pochi anni avreb-be interessato molte città europee. Ancora una volta il progetto fu fortemente voluto e perseguito dal podestà Oss Mazzurana e venne realizzato in forza degli studi tecnici condotti nei primi anni ’80 dall’ingegnere Anni-bale Apollonio, nonostante il suo esplicito scetticismo iniziale12.

La costruzione della centrale elettrica, le cui opere edili furono affidate all’impresa di Cesare Scotoni, im-prenditore trentino all’opera anche nell’edificazione del palazzo scolastico, la distribuzione dell’energia elettrica, affidata alla filiale viennese della ditta Siemens e Has-ke, la gestione in regia comunale della produzione elet-trica, impegnarono il Comune in una energica azione sia contro le resistenze degli scettici e degli industriali del gas, sia contro gli ostacoli del governo provinciale. La scelta di produrre e distribuire energia elettrica non solo a fini industriali ma anche civili, fortemente voluta dalla giunta comunale e dal podestà, garantì il successo dell’iniziativa che doveva servire a trasformare la realtà economica e la funzione sociale della città. Come si può leggere nella Relazione della Giunta comunale datata 1888: «La luce elettrica è per noi una produzione civica: essa è come tale un bene pubblico […] nulla ci dovrebbe impedire, salvo poche differenze, di trattarla come l’ac-qua potabile; alla cui spesa tutti contribuiranno, e tutti ne potranno fare quel più largo uso, che crederanno»13.

A riprova dell’ampliamento del raggio d’azione della politica cittadina all’intero territorio trentino, l’inter-

Ritratto di Benedetto Giovanelli. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio fotografico.

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vento comunale si indirizzò anche nella direzione del-la realizzazione di una ramificata rete ferro-tramviaria in grado di collegare la città con le valli circostanti. Già nel 1864 l’amministrazione cittadina aveva appoggiato il progetto di costruzione della ferrovia della Valsugana e nel 1873, in occasione del suo primo mandato pode-starile, Oss Mazzurana aveva proposto che il Comune di Trento rinnovasse la sua partecipazione all’impresa con un contributo straordinario; il podestà continuò a perseguire questo indirizzo strategico anche nei suoi successivi mandati amministrativi, istituendo nel 1891, in seno al consiglio comunale, un apposito comitato per promuovere e coordinare gli studi per la verifica della fattibilità tecnica e per i tracciati delle tramvie elettriche delle valli del Noce e dell’Avisio e per le Giudicarie.

La rete ferroviaria che doveva servire a collegare la città alle valli e a sviluppare quella «industria del fore-stiero» vagheggiata dal podestà, rappresentava «il primo impulso al risorgimento economico di tutto il Trentino ed occasione preziosa di più saldo collegamento della sua unità nazionale e civile»14. La «questione ferrovia-ria», come emerge dalle parole di Vittorio de Riccabona, si collegava strettamente dunque alla «questione nazio-nale»; il collegamento che scatenò le maggiori dispute di carattere «nazionale» oltreché economico fu, come noto, quello della Val di Fiemme per il quale il Comune di Trento aveva individuato il tragitto Lavis-Predazzo, progetto boicottato dalla Dieta tirolese a favore dell’altro tragitto che partiva da Ora e risaliva la Val di Fiemme at-traverso il passo di San Lugano. Il podestà Oss Mazzura-na, l’instancabile promotore della ferrovia elettrica come vettore di progresso e di coesione nazionale, non fece in tempo a vedere realizzato nessuno dei suoi progetti: solo nel 1909 entrerà in funzione la ferrovia Trento-Malè azionata dalla corrente elettrica della nuova centrale sul Sarca e verrà completata la Dermulo-Fondo-Mendola.

Nel periodo di più acuta contrapposizione nazionale in merito alla questione ferroviaria, così «L’Alto Adige», l’organo del liberalismo trentino, descriveva la situazio-ne: «In questo momento la causa del paese è rappresen-tata da una questione pratica di grande rilievo, dalla questione delle tramvie elettriche. Contro di queste si appuntano gli sforzi dei nostri implacabili oppositori, qui essi tentano di strozzare la vita, la iniziativa, l’av-venire della nostra città, particolarmente perché sanno che è il centro del Trentino […]. Dal primo momento che il nostro indimenticabile podestà Oss Mazzurana ha

lanciato il suo programma delle tramvie, tutte le valli in-teressate se ne sono commosse. È una comune impresa in cui la città tenta di scambiare le proprie energie con quelle delle valli e cerca la prosperità sua nella prospe-rità degli altri […]. La forza morale che a noi deriva dal geniale progetto di Paolo Oss Mazzurana è superiore alla forza bruta degli oppositori e con quelli noi dobbia-mo vincere e vinceremo»15.

Il commento del giornale liberale consente di met-tere a fuoco i due aspetti principali della politica mu-nicipale di Trento nell’età di Paolo Oss Mazzurana che fanno della città un caso assolutamente peculiare. Il pri-mo è indubbiamente relativo al ruolo giocato dall’am-ministrazione comunale nella «questione nazionale»: il Comune di Trento è in prima fila nelle battaglie per la richiesta dell’autonomia separata dal Land tirolese e per la difesa e la promozione dell’italianità, come attestato dalle discussioni consiliari dedicate a questioni, come quella ad esempio dell’università italiana a Innsbruck, che certamente esulano dalla concreta amministrazio-ne comunale, e dalle numerose iniziative promosse o patrocinate. Tra queste, che trovano nella «questione scolastica» ancora una volta un terreno privilegiato, con la richiesta di chiusura delle scuole tedesche in città o con la proposta di istituzione a Trento di una sezione del Consiglio scolastico provinciale, quella della costru-zione del monumento a Dante assume indubbiamente il più alto significato simbolico16. Il secondo attiene inve-ce alla funzione di guida e di stimolo assunta dalla città di Trento nei confronti dei tantissimi comuni trentini e del territorio nel suo insieme. La consapevolezza che la frammentazione comunale avesse da sempre rappre-sentato il principale limite per la comunità trentina di profilarsi in modo unitario e di riuscire ad affrontare efficacemente i problemi che la nuova realtà poneva di fronte alle amministrazioni civiche, spinge il comune di Trento ad assumere una funzione di traino nei confronti dei comuni minori al fine di promuovere lo sviluppo e la coesione di tutto il territorio.

Come riconosceva Vittorio de Riccabona, in chiusu-ra dell’opera Del credito pubblico come mezzo al risorgi-mento economico del Trentino, alla quale si è fatto spes-so riferimento, l’azione concorde dei comuni avrebbe dovuto esercitarsi soprattutto nei momenti di difficoltà economiche e finanziarie: «Non sempre per le grandi ed utili istituzioni occorrono grandi mezzi: sovente gli organismi sociali più potenti si creano coll’ardimento

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dei piccoli, colla concordia dei molti, coll’avvedimento e lo spirito di sacrificio di alcuni pochi cittadini che illu-minano, guidano e strascinano. […] Il piano del nuovo edificio sta disegnato nelle opere dei popoli più civili d’Europa; i materiali li troveremo nei molti e piccoli ri-sparmi di tutti i nostri laboriosi concittadini: i capifab-brica saranno i comuni di buona volontà, e la concordia di tutti sarà arra di buon successo»17.

Il comune «imprenditore»

Negli ultimi due decenni dell’Ottocento, anche una pic-cola città come Trento dà prova di un eccezionale atti-vismo. Essa, tenendo conto delle peculiarità che si sono indicate, cerca di governare le trasformazioni economi-che, sociali e culturali che investono e mutano radical-mente l’organizzazione e la vita di tutte le città europee. La municipalizzazione dei servizi pubblici, disciplinata in Italia dalla legge Giolitti del 1903, l’affermazione del cosiddetto «socialismo municipale», non sono altro che le risposte all’esplosione della città moderna, caratteriz-zata dall’espansione dell’urbanesimo e dalla intensifica-zione della vita cittadina18.

All’interno di questo processo, di portata europea, si inserisce anche l’azione amministrativa e politica della città di Trento. Grazie allo spirito pratico e alla «men-te superiore» del podestà Oss Mazzurana, «istruito più dallo studio delle cose e degli uomini, che dai libri»19, l’amministrazione cittadina, sfruttando le ampie com-

petenze e attribuzioni che gli derivavano dallo statuto e dall’ordinamento comunale asburgico, elaborò un am-bizioso piano di intervento nell’economia e nelle infra-strutture che doveva portare al «risorgimento» non solo nazionale ma anche «civile» e soprattutto «economico» dell’intero territorio trentino.

La consapevolezza che la realizzazione di tale pia-no fosse possibile grazie alle competenze autonomi-stiche che lo statuto cittadino forniva divenne ancora più grande allorché, alla fine della Grande guerra, il Trentino venne annesso al Regno d’Italia. Si realizza-va l’aspirazione al ricongiungimento alla madrepatria, ma si perdeva quella autonomia comunale che era stata una potente leva nelle mani dei gruppi dirigen-ti trentini. In occasione della seduta straordinaria del consiglio comunale di Trento del 18 febbraio 1923, la prima a tenersi sulla base della nuova legge comunale e provinciale del Regno, spetterà al sindaco Giovan-ni Peterlongo stigmatizzare la sottrazione al munici-pio delle «attribuzioni statali delegate, che trovavano fondamento nello statuto abrogato», passate ora alla prefettura, e commentare amaramente: «Mandiamo un memore addio alla vecchia legge che, in base ad antichissimi diritti, […] costituiva la nostra magna carta, per la cui integrale conservazione a tutela delle nostre franchigie comunali abbiamo sostenuto lotte secolari. La nostra redenzione, che dopo Vittorio Ve-neto ci chiamò finalmente a far parte della grande fa-miglia italiana ci toglie ora come superflua quest’arma di difesa di cui ci eravamo serviti le tante volte contro il governo straniero…»20.

1 Paini 1919: 5.2 Camera dei deputati, Atti parlamentari, Documen-

ti, Leg. XVI, seconda sessione 1887-88, seduta del 19 novembre 1887, n. 18, pp. 3-9, cit. p. 6.

3 Legge 9 gennaio 1866, in Raccolta di leggi, or-dinanze e decisioni ad uso delle amministrazioni comunali del Tirolo, Innsbruck: Tipi della stampe-ria congregazionale, 1908. Per un inquadramen-to più analitico cfr. Corsini 1981; Garbari 1981.

4 biGaran 1996.5 statuto 1889 (approvato con legge 7 dicembre

1888).6 Sull’«età» di Oss Mazzurana si veda Garbari

1983.7 riCCabona 1881.8 riCCabona 1912: 14.9 riCCabona 1901: 25-31.10 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Pro-

tocollo di Sessione del Consiglio Comunale di Trento, 6 dicembre 1872.

11 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Pro-tocollo di Sessione del Consiglio Comunale di Trento, 8 aprile 1873.

12 aPollonio 1911.13 Municipio di Trento 1888: 9. 14 riCCabona 1901: 30; leonardi 1976.15 «L’Alto Adige», 20 febbraio 1896, n. 41, cit. da

leonardi 1976: 178.16 benvenuti 1983.17 riCCabona 1881:80.18 ruGGe 1985.19 riCCabona 1901: 26.20 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Verbale della seduta straor-dinaria del Consiglio comunale di Trento, 18 feb-braio 1923.

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Via Verdi prima di via Verdi Dalla rottura delle mura alla disciplina delle strade retteElena Tonezzer

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La fotografia di Giovanni Battista Unterveger immortala l’edificio dell’«Ecce homo» posto di fronte all’uscita del Duomo. L’abbattimento della casa nel 1888 permette l’apertura della nuova via intitolata ad Alessandro Vittoria, ora via Giuseppe Verdi. Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

La successione cronologica delle cinque map-pe che rappresentano Trento nel XIX secolo, sembra un breve film fatto da altrettanti foto-grammi: prima una città stretta dalle mura nella

sua forma di cuore, poi le case che riempiono lo spazio chiuso dalla cinta fino ad evadere, addossando nuove costruzioni appoggiate all’esterno delle mura, infine compaiono nuove vie rette, che tagliano il cerchio mu-rario e permettono agli abitanti di uscire liberamente. La vera esplosione della forma di Trento deve attendere la seconda parte del XX secolo, quando il ritmo del film della città si fa più veloce e il movimento di espansione delle case verso tutti i punti cardinali è molto rapido e onnivoro.

A partire dalla metà dell’Ottocento la struttura urba-na di Trento comincia a modificarsi in maniera radicale e irreversibile, consegnando al futuro la città che cono-sciamo ora. Lo spostamento del fiume Adige e l’abbatti-mento delle mura aprono nuovi orizzonti ad un’espan-sione fisica e architettonica che assume anche il profilo di un cambiamento delle prospettive culturali e politiche.

La secolare esperienza del principato vescovile si era chiusa definitivamente nel 1803; i confusi primi anni del XIX secolo – segnati dalla successione di governi napo-leonici e bavari – lasciano in eredità anche importanti cambiamenti di natura giuridica, portatori di una con-cezione moderna del governo del territorio.

La progettazione della ferrovia, che conferma l’otti-ma posizione geografica di Trento, promuove una serie di modificazioni fondamentali del tessuto urbano, che richiedono nuove energie intellettuali ed economiche.

Via Alessandro Vittoria, l’attuale via Giuseppe Verdi, inizia ad essere concepita in questo clima, con un’am-ministrazione comunale che lavora per dare un volto nuovo – moderno – alla città.

Il risultato stilistico complessivo non si limita alla costruzione di una strada nuova, inedita per l’impo-stazione e le funzioni che vi prenderanno piede, ma compone anche uno scenario che passo dopo passo ri-chiama l’architettura italiana. Come in altri interventi urbanistici di questo periodo a cavallo tra XIX e XX secolo, si pensi alla costruzione del Passaggio Dorigo-ni, all’estremità di via del Suffragio, è ipotizzabile anche un utilizzo consapevole dell’architettura per rimarcare l’identità della popolazione di Trento in chiave italia-na. Si tratta di un periodo in cui la questione nazio-nale, la ricerca di un’autonomia dall’amministrazione

della contea del Tirolo a cui il Trentino fa capo fino al 1918, viene declinata in tutti gli aspetti della vita poli-tica e sociale della popolazione e della sua leadership. L’odonomastica, l’intitolazione delle vie, è una delle modalità di reclamare la conservazione nella memoria popolare di personaggi che più di altri concorrono a creare quelle «collisioni e intersezioni dei nomi» che per Walter Benjamin formano la «lingua superficiale della città»1.

Anche la nuova strada merita un nome: Lamberto Cesarini Sforza, nel suo Piazze e strade di Trento (1896), scrive che è intitolata al grande scultore Alessandro Vit-toria della Volpe, nato a Trento nel 1524 e morto nel 1608 a Venezia, «ove specialmente s’ammirano l’opere del suo scalpello». Vittoria è un trentino che aveva tro-vato la fama in «Italia», la decisione di intitolare a lui la via implica anche l’intenzione di ricordare un concitta-dino illustre e contemporameamente richiamare il lega-me con quel bacino nazionale al quale guardava l’élite urbana. Il cambio di nome in Giuseppe Verdi all’indo-mani dell’unificazione segna uno spostamento simbo-lico della strada nel pantheon politico risorgimentale italiano ancora più evidente.

Le mura: una progressiva demolizione

Gli interventi urbanistici di maggiore rilievo di quest’e-poca, come ricostruisce Renato Bocchi, sono connessi alla demolizione delle mura e allo spostamento dell’Adi-ge, e corrispondono in particolare all’asse di via Verdi e via Torre Verde e Torre Vanga, queste ultime poste lun-go il precedente corso del fiume.

Nel 1851 l’ingegner Caminada illustra in un docu-mento manoscritto redatto per conto del Municipio di Trento alcune proposte per individuare il luogo dove costruire la futura stazione dei treni. Uno dei suggeri-menti non realizzati prevedeva che la stazione fosse il punto di arrivo di un luogo interamente da inventare, posto a conclusione di una via, la futura via Alessandro Vittoria (ora via Giuseppe Verdi), che avrebbe stravolto il tracciato viario esistente, attraversato le mura e sol-cato la campagna. Scrive Caminada che «qui colla sola demolizione delle due case di poco conto, segnate coi ci-vici 463 e 464, e coll’acquisto di poca ortaglia nell’inter-no della città e colla demolizione di una piccola casa di

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campagna, e coll’acquisto di non molto terreno arativo fuori di città, si otterrebbe un nuovo stradone, o corso, largo niente meno che 10 pertiche Viennesi, e lungo 178 pertiche; sorto il quale, subito lasciata la stazione, ver-rebbe a piena vista del forestiero la nostra cattedrale di magnifica architettura».

Caminada non trascura un’altra conseguenza che avrebbe potuto avere la decisione di mettere la stazione vicino al palazzo delle Albere, a 178 pertiche dalla fac-ciata della cattedrale, sugli aspetti economici che un’o-perazione di quel tipo avrebbe avuto: «Questo nuovo corso poi aumenterebbe di molto il valore dei terreni, lungo i quali verrebbe a percorrere, giacché su quelli o potrebbe lo stesso proprietario erigere dei fabbricati, sempre necessari presso ogni stazione, o potrebbe ven-derli con sommo suo utile»2.

Fino ai primi interventi di demolizione della cinta muraria, la superficie della città era rigidamente circo-scritta, letteralmente murata, e ammontava a circa 4,8 ettari, ai quali si aggiungeva il borgo di San Martino, se-parato da una porta dal resto dell’urbe, ma a sua volta difeso da un circolo antemurario. La lunghezza dell’arco era di 1 chilometro e 800 metri, alto tra i 9,5 e i 12 m, con mura larghe circa 2 m e orlate da merli a coda di rondine3. Un’idea di come doveva presentarsi la città anche a chi veniva da fuori è ancora oggi visibile passeg-giando in piazza di Fiera, dove è riconoscibile l’unico tratto non demolito dell’antica cinta muraria.

Al di là di questo maestoso tratto di mura, il segno la-sciato dalla cinta nella topografia urbana è ancora forte se si consideri che molte piazze e torri coincidono anco-ra con i punti dove un tempo vi erano le porte di accesso alla città storica: piazza della Fiera con il Torrione (porta di Santa Croce), piazza della Portella con Torre Vanga (porta di San Lorenzo), piazza Raffaello Sanzio con la Torre Verde (porta interna di San Martino), largo Na-zario Sauro (porta esterna di San Martino), largo porta Nuova (l’omonima porta).

L’abbattimento delle mura di Trento risulta essere an-ticipato rispetto ad altre città italiane e anche europee, probabilmente forzato dalla costruzione della ferrovia, che si impone come leva formidabile per rivedere la struttura urbana, tale da indurre addirittura lo sposta-mento del corso dell’Adige.

Sono poche le testimonianze rimaste a proposito dell’esistenza di un dibattito in città sull’abbattimeno delle mura, di una pianificazione coerente dei lavori

pubblici; dai documenti sembra piuttosto emergere una demolizione progressiva, discontinua, a pezzi, dovuta a circostanze di volta in volta diverse.

In una petizione che quasi cento persone sottoscri-vono e spediscono al Municipio di Trento il 28 febbraio 1852 si trova traccia di un moto legato all’espressione dell’opinione pubblica. In questa lettera si legge che «tra i due opposti pareri, se torni più conto ai cittadini il lasciare sussistere queste antiche mura, o ristaurarle quindi in quei punti ove sono crollanti e minaccianti ro-vina, oppure allevarle e distruggerle per intiero, sembra che il fatto abbia adottato e sancito quest’ultimo disfa-cimento giacché incominciando da porta Aquila fino a porta Nuova non vedonsi materialmente levate e tolte dette mura, tuttavia le si vedono qua e là utilizzate a sostegno delle case nuove, che sorgono dirimpetto alla piazza d’Armi per modo che in pochi anni appena ap-pena ravviseranno traccia di queste ammuffite mura»4. Parole utili anche per capire come si presentava a metà del XIX secolo l’antica cinta, ormai del tutto incrostata da altre costruzioni, difficilmente distinguibile nella sua originale singolarità di costruzione di difesa.

I cittadini firmatari, che si dichiarano «incoraggiati dal tacito sparire di fatto del tratto di mura dalla por-ta Aquila alla porta Nuova», a conferma del carattere episodico e disorganico delle precedenti demolizioni, sostengono la necessità dell’«atterramento del tratto di mura da porta Nuova fino a porta Maria Teresa, ravvi-sando [...] una cosa utile sotto qualunque aspetto la si voglia riguardare». Le giustificazioni portate all’ammi-nistrazione comunale vanno dall’igiene alle nuove pos-sibilità edilizie che l’apertura delle mura avrebbe offerto ai proprietari dei terreni fino a quel momento esterni alla città: «potrebbero sorgere dei bellissimi e sanissimi fabbricati e così piano piano gli abitanti verrebbero tolti dall’area mefitica e paludosa della Portella [l’attuale via Prepositura, il quartiere è andato distrutto dal bombar-damento del settembre 1943, n.d.a.] e collocati in un piano quanto meno altrettanto salubre».

La questione immobiliare, già suggerita anche da Caminada, è spesso legata alla discussione sugli abbat-timenti, non solo a Trento ma anche in altri e maggio-ri contesti urbani. A Milano una delle motivazioni che avevano spinto alla demolizione delle mura, alla fine del XIX secolo, era proprio la consapevolezza che avrebbe offerto nuove occasioni di speculazioni private in un’a-rea adiacente al centro storico5.

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Un altro motivo che viene addotto affinché l’ammi-nistrazione di Trento si decidesse per il «sospirato atter-ramento», è legato al materiale frutto delle demolizioni che avrebbe potuto essere impiegato per quel tracciato ferroviario che «come si sente – scrivono nella lettera – non dovrebbe passare molto lontano dalla città».

Mentre i firmatari della petizione sono in attesa, il 20 luglio 1852 l’ispettore delle pubbliche costruzioni scri-ve alla reggenza per il Tirolo ad Innsbruck un’altra utile descrizione delle mura, da cui si ricava che erano «in un doppio rivestimento esterno di pietre regolari ed in un riempimento d’opera incerta». Anche il funzionario conferma il grave stato di deperimento della cinta, tan-to da sottolineare che sarebbe stato necessario l’inter-vento del Comune almeno per renderle non pericolose, soprattutto «nel rivestimento della parte interna della città», sebbene concludesse che la migliore soluzione sarebbe stata l’abbattimento. La proposta rivolta alle au-

torità di Innsbruck è di eliminare le antiche mura, aprire la città all’esterno ma senza togliere tutti i segni del pre-cedente limite. Egli propone «un ripiano un po’ elevato sopra il suolo della piazza, seguendo la direzione delle mura, e ridotto a via di passaggio sembra, che potrebbe corrispondere a segnare il limite dell’antica città, ed il conservare nel mezzo una di quelle torri, spalleggiata a scaglioni da un brano delle mure potrebbe eziandio contribuire a porgere a quei contorni un ornamento, che sentirebbe del romantico, e colla sua vetustà e remini-scenza del passato non potrebbe offrire un grato contra-sto a fronte della nuova disposizione».

La risposta di Innsbruck (20 luglio 1852) però è delu-dente, perché non ci sarebbe stata una situazione econo-mica tale da giustificare la necessità di un allargamento verso l’attuale via S. Francesco d’Assisi (dove si trova il tribunale), né un aumento della popolazione tale che potesse reclamare nuove abitazioni. Dunque la «Reg-

Sezione della casa dell’«Ecce homo», situata davanti alla facciata del Duomo di Trento. La sua demolizione dà inizio alla costruzione della via. Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-VII.48.1888.

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1851 1883

1813

1886 1891

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1922

1906 1908

1936

1897 1898

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genza non trova di approvare per ora che questo proget-to si mandi ad effetto, ma sibbene di consigliare che si abbia di riprodurlo allorché le circostanze economiche del civico Comune si saranno in meglio chiamate».

Tutto rimandato, o meglio, in assenza di un unico piano, sembra che l’insieme delle demolizioni sia conti-nuato in modo più o meno casuale, secondo gli interessi degli abitanti delle case costruite a ridosso delle mura.

Il verbale manoscritto del consiglio comunale del 12 ottobre 1852 registra ad esempio la domanda di un cit-tadino «per ottenere la proprietà delle civiche mura sul-la fronte della sua casa in piazza d’armi», che non viene accolta. Il consiglio «propone in seguito di stabilire una somma precisa che debba corrispondere al civico comu-ne per ottenere la proprietà delle vecchie mura di fronte alla casa in piazza d’armi (attuale piazza Venezia, n.d.a.) coll’obbligo di attenersi nella riduzione delle civiche mura al progetto del sign. ispettore della pubbliche co-struzioni. Accolta questa proposta viene a maggioranza di 11 voti stabilito questo prezzo in fiorini 2.000».

Il 12 febbraio 1866 si registra un cambiamento con l’intervento più organizzato e istituzionale almeno nel-la zona di San Martino, in cui «in seguito alla proposta del Magistrato, il Consiglio delibera: da approvare la intrapresa demolizione del tronco di mura fra la torre verde ed il Castello nonché la relativa spesa e così pure approva l’acquisto della casetta Bonmassar all’ingresso di S[an] Martino al prezzo di fiorini 5.000». Il progetto delle demolizioni su larga scala era cominciato, tanto che nella stessa seduta si stabilisce anche «la demoli-zione dei tronchi di mura cittadine tuttora esistenti e di conchiudere che a questo venga ogni anno inserita una congrua dotazione nel preliminare».

Grande sostenitore del progetto di demolizione del-le antiche mura è il podestà Benedetto Giovanelli, per trent’anni a capo del governo della città. Al termine del-la sua lunghissima carriera, Giovanelli scrive una specie di testamento politico, destinato a chi lo avrebbe seguito nel ruolo di podestà. Le pagine relative alle mura e al loro abbattimento sono particolarmente interessan-ti perché contengono tutti i temi e le motivazioni che animavano i dibattiti sulle città murate italiane, e per-mettono di capire l’approccio culturale che reggeva una decisione che agli occhi contemporanei – dominati da una volontà conservativa dei resti del passato – appare difficile da giustificare.

I motivi che avevano portato nei secoli preceden-ti a dotare le città di mura erano essenzialmente due: la difesa da attacchi militari e il controllo delle merci e delle persone, con importanti riflessi sulla possibilità di esigere le gabelle su tutto quanto entrava e usciva dal-le porte. Con il passare del tempo e l’evoluzione delle armi da fuoco, spesso le cinte avevano perso la capacità di essere baluardo a eventuali attacchi nemici e aveva-no mantenuto soprattutto la funzione di filtro capace di rimpinguare le casse municipali.

Nel corso del XIX secolo le esigenze economiche cambiano; il caso di Bologna ad esempio illustra una città in cui l’abbandono delle tradizionali politiche pro-tettive a favore delle Arti cittadine traforma le mura da filtro protettivo a prigione per traffici che si volevano sempre più liberi6.

A Trento, Giovanelli trascura completamente l’even-tuale importanza militare della cinta – segno che ormai erano del tutto trascurabili da questo punto di vista – e comincia la sua filippica contro le mura a proposito del-la presenza delle porte:

«Mi è riuscito di abbattere tre anguste e assai incomode porte che davano accesso alla città, e rendere questo più comodo e meno disastroso: chi è ancora giovane appena crederebbe che per la più frequentata di San Martino una carretta tedesca ben caricata non poteva transitarvi senza d’esservi scaricata. Al mio successore apparterrà, e gli è riservato di abbattere anche le mura di procinto della città, particolarmente dal lato di mattina e mezzodì, oggigiorno di nessun utile alla città, ma sibbene di grandissimo danno».

Oltre alla pregiudiziale economica, l’altro motivo che spingeva all’abbattimento era la presunta questione igienica. Nel corso dell’Ottocento si diffondono nuove conoscenze scientifiche relative alle malattie più comu-ni e ai principi per evitare la loro diffusione attraverso norme comportamentali dei singoli (ad esempio essere puliti diventa un valore sociale e lavarsi un obbligo) e vere e proprie scelte urbanistiche che avrebbero osta-colato la diffusione di germi e infezioni. L’acqua pulita, l’aria in movimento e il sole diventano protagonisti di questa nuova mentalità, che male si adatta alle città me-dioevali, fatte di strade strette, ritorte, e case addossate le une alle altre.

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Mappe della zona di Briamasco che permettono di vedere il reticolo delle nuove strade progettate, che si intersecano ortogonalmente, sovrapposto alla struttura urbana precedente, dominata dalla linea curva delle mura. Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Serie Contratto rogito terzi, Ordinamento austriaco, ACT4.22-223 e ACT4.22-224.

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Giovanelli registra questa implicazione igienica e ac-cusa le mura di essere portatrici di malattie:

«Ora quelle mura riescono di grave pregiudizio alla salute de’ cittadini. Nell’estate particolarmente chiudono il calore per entro il proprio recinto ed impediscono quella ventilazione, ch’è uno dei principali preservativi contro le malattie: nella detta stagione sono una vera fornace artifiziata che mette, concentra e mantiene vivi dì e notte gli ardori della stagione, e nell’inverno impediscono al sole il libero accesso e formano della città una canova: effetti questi che non ponno altrimenti che riuscire di grave danno particolarmente a chi nella città soggiornar dee durante l’anno intero. Oltreché esse rendono tetra e portano lo squallore e l’ammuffire in tutte le case e

abitazioni, che al procinto si avvicinano, e sono altresì un obice al dilatamento della città verso le sue più avvenenti e miti posture, quando i tempi più felici il potranno far desiderare»7.

Come nel resto d’Italia, doveva pur esserci anche a Trento chi avrebbe preferito tutelare la conservazione dei tratti di mura, persone che vedevano con dispiacere l’abbattimento di un elemento che fino a quel momento era stato una parte fondamentale del paesaggio urbano. Giovanelli ne è a conoscenza perché invita il suo suc-cessore a non lasciarsi intimorire «da quelli assai poco oculati amatori d’antichità, i quali credono di ricono-scere nelle mura riedificate dall’astrologo ma saggio re Teodorico un particolar pregio o decoro di questa città:

Progetto del prolungamento di via Alessandro Vittoria (ora via Giuseppe Verdi) dalla ferrovia al fiume Adige. Trento, Archivio storico del Comune di Trento, ACT4.15-T160

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tali opposizioni dottissime non sono che millanterie di poco sapere, sono semplici figure oratorie, che mettonsi in prima fronte da chi non anela che d’opporsi a quanto i magistrati trovano di deliberare».

L’idea di vivere un’epoca nuova che reclama spazi urbani altrettanto inediti e adatti ai principi economici e scientifici moderni, ritorna trent’anni dopo anche nel consiglio comunale di Bologna quando, il 21 novembre 1889, Giosuè Carducci ricorda che togliendo le mura erano stati «rimossi gl’impacci e spogliata la crosta d’u-na trasformazione incivile come il reggimento da cui proveniva» e che (sembra dire finalmente) «alle funzioni della vita moderna, alla popolazione crescente, al com-mercio, all’industria, all’igiene furono aperti o delineati altri sbocchi, altri spazi».

La costruzione della strada

Il progressivo cadere delle mura delle città europee segna il passaggio alla modernità. Come scrive Guido Zucconi, alla fine di questo smantellamento la nozione di città non è più associabile a un complesso di elemen-ti statici ereditati dal passato: «non più una scena fissa nella quale soltanto i militari e i detentori di un potere assoluto potevano intervenire a rimodellare nodi rap-presentativi e perimetri difensivi»8.

La storia di via Verdi è legata a questo particolare momento e ha molti rilievi comuni a un fenomeno di

modificazione e invenzione di spazi urbani che accu-muna Trento al resto d’Europa: nasce insieme alla de-molizione delle mura e segna con il suo tracciato com-pletamente estraneo al reticolo delle vie precedenti una discontinuità con il passato.

Il 16 gennio 1882 è discussa in consiglio comunale la proposta per demolire un tratto di mura nelle vici-nanze del Duomo, «un tratto di civiche mura cui manca l’interno rivestimento, derivando da ciò frequenti ca-dute di sassi e quindi pericolo per le passanti persone». La sezione edile fa presente che il restauro costerebbe moltissimo, e per questo propone di togliere la parte più pericolante lunga 60 m, alta 2 m, e larga 1,7 m.

Il processo di smantellamento che riguarda la zona è inarrestabile: due anni più tardi, il 22 aprile 1884, si discute nuovamente della cessione di un tratto di civiche mura a due imprenditori che, avendo intenzione di eri-gere delle fabbriche, chiedono al Municipio di ottenere in proprietà il tratto inglobato in un loro edificio «onde valersene a loro piacimento». «In seguito a prolungate trattative» – si legge nei verbali – «la giunta municipale si dichiarò disposta di accordar loro in proprietà tratto di civiche mura domandato, sempreché cedano al muni-

Progetto di massima del cimitero di Trento. Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-VII.23.1884.

Progetto dell’attraversamento della ferrovia in via Alessandro Vittoria (ora via Giuseppe Verdi). Trento, Archivio storico del Comune di Trento, ACT4.15-T160

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cipio un tratto di suolo del detto loro stabile in direzione del vicolo del Pievano [ora dietro la Filarmonica, n.d.a.] e della larghezza di 10 metri, onde attivare un pubblico passaggio. E sempreché sia facoltativo al municipio di abbassare in due punti ciascheduno di almeno 10 metri di larghezza le civiche mura lungo quel tratto ceduto, portandole in quei due punti fino all’altezza di un primo piano, e ciò onde a procurare agli interni quartieri della città una maggiore ventilazione».

Via Alessandro Vittoria, che nella ricostruzione di Renato Bocchi «sfonda e oblitera il perimetro tracciato dalla cinta muraria», si connota per il suo carattere ot-tocentesco non solo per la linearità della prospettiva che offre a chi vi passeggi e per gli angoli retti che forma con le vie che incrocia; il suo carattere di novità risiede an-

che negli edifici che negli anni vi vengono eretti, legati ad una nuova idea di servizi e di cittadino.

Per molti anni le guide turistiche della città propogo-no ai visitatori di passare per quella strada che diventa la sintesi della modernità e l’orgoglio dell’amministrazione.

Nel 1891, Ottone Brentari scrive nella sua Guida di Trento che la via «conduce al grandioso Palazzo delle Scuole Comunali eretto dalla città nel 1889-1890»; quat-tro anni dopo Lamberto Cesarini Sforza nel suo Strade e piazze di Trento scrive semplicemente «è tutta nuova». Nella Guida alla città edita nel 1903 alle scuole si som-ma la presenza dell’edificio del Consiglio dell’agricol-tura (l’attuale Facoltà di Economia e Commercio), che viene registrato anche nella Guida del 1911: «Uscendo dalla porta principale del Duomo si scorgono due pa-

Cartolina di via Verdi, riporta il nome originale della strada, chiamata via Alessandro Vittoria fino all’unificazione del Trentino all’Italia. Sullo sfondo sono riconoscibili le case esistenti prima della costruzione del palazzo della Società filarmonica. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio iconografico.

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lazzi moderni: il Palazzo delle Filarmonica di recente costruzione, con una grande sala per i concerti, e il bel Palazzo scolastico, eretto dal Comune con una spesa di oltre un milione. Di fronte a questo vi è il Palazzo Pro-vinciale d’Agricoltura».

Proseguendo verso il fiume Adige, dopo qualche anno sorgono il forno Cavazzani e il grande edificio del Mulino Vittoria.

Nel 1910 Elvira Bisson, esperta di produzione del-la seta, tornata a Padova dopo la sua visita all’istituto bacologico di Trento, scrisse un lungo reportage. Come nelle guide turistiche, anche la sua descrizione della via permette di far capire al lettore attuale l’impressione che la strada induceva a chi vi passava all’inizio del XX seco-lo, l’ammirazione per una monumentalità moderna, che

reggeva il confronto con gli altri edifici storici: «lungo le sue vie ampie e regolari sorgono palazzi ragguardevoli per vetustà ed architettura e non meno pregevoli edifici moderni che offrono sede decorosa a pubblici uffici, a scuole, ad istituti pii e industriali. Fra questi ultimi va sicuramente nominato l’istituto bacologico».

Lo snodarsi della via raccoglie le funzioni di una città che investe lo sviluppo della vita del cittadino «civile» secondo l’epoca: l’istruzione scolastica, i passatempi ap-propriati e colti come la musica e il lavoro operaio nell’i-stituto bacologico, nel forno e nel mulino.

I principi che reggono il sistema simbolico, educati-vo ed economico della via possono essere riassunti nel grande sforzo di imprimere una disciplina alla popola-zione. In linea con un movimento generalizzato e co-

Cartolina di via Verdi, veduta verso ovest.Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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mune a tutta l’Europa, via Alessandro Vittoria, la sua forma e le funzioni dei suoi edifici, esemplifica un clima culturale che investe la vita delle persone, l’uso del tem-po e delle risorse economiche e che tende a valorizzare l’omogeneità dei comportamenti, l’ossequio alle autorità e l’uso razionale della forza lavoro.

Lungo le sue prospettive regolari e ampie, si snodano edifici che realizzano al loro interno i principi cardine della società del XIX secolo.

La scuola elementare è il primo edificio in ordine cro-nologico a sorgere nel vuoto della campagna che era allora la zona di Briamasco. Nelle fotografie che documentano i lavori del cantiere, il palazzo si erge gigantesco su quella linea di terra battuta che sarebbe diventata la strada più moderna della città. Nelle aule progettate da Hinträger trovano posto tutti i bambini della città, che fino ad allora erano disseminati in modo disorganico e accidentale in luoghi occasionali – stanze affittate da privati, oratori – e solo da questo momento sono uniti al loro interno e con-temporaneamente separati dal resto della città.

Cartolina di via Verdi. In primo piano sulla destra il Consiglio provinciale d’Agricoltura. L’immagine restituisce la composizione ordinata e simmetrica con cui si presentava originalmente la strada. Attualmente il lato verso nord, a sinistra della cartolina, appare molto diverso. Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

In questo edificio mondo, quasi duemila allievi im-parano molto più che a leggere e scrivere, imparano ad avere un orario rigido che regola le loro giornate, a stare seduti ordinatamente nei banchi, a dire le preghiere del mattino e a rispondere alle domande poste dagli inse-gnanti. Nelle aule, sotto lo sguardo baffuto dell’impera-tore Francesco Giuseppe appeso accanto al crocefisso (nelle classi femminile c’è anche il ritratto della Vergine), diventano anche piccoli sudditi-cittadini e apprendono le regole della convivenza secondo i principi dell’epoca. La disciplina si impone su di loro non solo dentro l’edi-ficio ma ovunque e se i ragazzi vengono visti fuori dalla scuola a commettere atti riprovevoli (come usare la fion-da per strada, fare il bagno nel fiume Fersina, andare a teatro) vengono puniti come se avessero trasgredito alle regole durante l’orario delle lezioni.

Poco più avanti nella via, la vita delle operaie dell’I-stituto bacologico, dove venivano allevati i bachi da seta, non è molto dissimile. I principi dell’autorità, dell’ordi-ne, della parcellizzazione del tempo volto ad ottimizzare

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i risultati risentono dello stesso clima culturale. Nel Re-golamento di lavoro per l’ istituto bacologico del Consiglio prov. d’Agricoltura di Trento (1908) si legge che l’opera-ia è «obbligata al lavoro senza interruzione per tutto il tempo per il quale viene assunta» (art. 2), che durante il lavoro «sono proibiti i discorsi e il canto» (art. 3). La giornata lavorativa è di 10 o 11 ore a seconda della sta-gione, con una pausa intermedia di un’ora e mezza, tra-scorsa nel dormitorio interno: la permanenza nella fab-brica raggiunge facilmente 12 ore, ma considerato che le autorità potevano obbligare i lavoratori a fare degli straordinari e il tempo necessario per gli spostamenti da casa (probabilmente a piedi), risulta che la giornata del-le operaie era quasi completamente occupata dal lavoro.

Come gli studenti erano sempre passibili di punizioni anche per azioni compiute fuori dalla scuola, il regolamen-to prevede che «nell’istituto e fuori l’operaia deve mante-nere un contegno irreprensibile, evitando parole, discorsi, ed atti che offendano la moralità, specie in riguardo alle fanciulle; dovrà pure evitare ogni controversia od alterco».

Su tutto domina il desiderio di una società organi-ca, in cui ognuno, anche la più giovane delle operaie, è parte di un tutto che si vuole armonico, senza conflitto: «Ogni lavoro – si legge ancora nel regolamento dell’I-stituto bacologico – per quanto umile, nel nostro caso è sempre importante perché anello di quella catena che porta con la suddivisione del lavoro a risultati di grande interesse per l’economia nazionale del Paese».

L’istituto bacologico non è l’unico opificio della via, accanto al palazzo dell’agricoltura che ospita la fabbri-ca dove si allevano i bachi da seta, sorgono altri luoghi rappresentativi di un lavoro moderno, industriale, dove svolgere un tipo di vita che rompe con l’agricoltura tradi-zionale: la falegnameria Wolf (dove ora si trova la Facoltà di Giurisprudenza), il forno Cavazzani (l’attuale bibliote-ca di ateneo) e il grande edificio del Mulino Vittoria (oc-cupato da uffici amministrativi dell’Università di Trento). In realtà anche il palazzo dell’agricoltura, sebbene legato ad un settore tradizionale, è portatore di un approccio scientifico ed economico a quel settore di produzione. Vi si cerca di divulgare i nuovi metodi di produzione, le spe-cie più adatte al clima locale, vi si studiano i raccolti, vi si quantificano le vendite e al bacologico la produzione dei bachi da seta è organizzata secondo sistemi industriali.

Nel 1905 viene inaugurato il palazzo della Società Fi-larmonica, progettato dall’architetto trentino Emilio Paor in stile neo-rinascimentale. Anche questo edificio, sebbe-

ne ospiti un’associazione sorta nel lontano 1795, è rappre-sentativo dell’epoca e trova nella via un posto d’onore. La funzione dell’edificio è quella di ospitare una fascia socia-le che vi si ritrova per trascorrere insieme un loisir colto, ascoltare musica, e favorire anche un’educazione musicale intesa come veicolo di civilizzazione. Nelle sale del liceo musicale, che avrebbe prosciugato le casse sociali, si alter-nano bambini e ragazzi, alcuni dei quali sono figli di una borghesia che cerca nell’abilità musicale un segno di di-stinzione da mostrare nei salotti, altri sono di estrazione più popolare, portano la loro tecnica nella banda della cit-tà o dell’associazione ginnastica, contribuiscono al gene-rale «miglioramento della patria», come si diceva allora.

Nel 1924 anche il Museo civico di scienze naturali, padre dell’odierno Museo tridentino di scienze naturali, contribuisce ad aumentare la centralità e la modernità della via, e l’utimo piano del palazzo delle scuole ele-mentari si riempie di farfalle, animali impagliati, gabi-netti per gli esperimenti. In un primo momento, subito dopo la fine del primo conflitto mondiale, molti oggetti erano stati ospitati nel castello del Buonconsiglio, ma la vicinanza della Fossa dove erano stati condannati a mor-te Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa, contri-buiscono a determinare la vocazione del Castello come sede del Museo del Risorgimento. Lo spostamento delle collezioni scientifiche nella scuola risente anche di un clima pedagogico che favoriva il rapporto attivo tra in-segnamento e oggetti, a conferma della vocazione posi-tivista e educativa delle funzioni ospitate lungo la strada.

Istruzione, educazione informale, tempo libero, lavo-ro: momenti fondamentali della vita delle persone che in questa strada possono svolgersi secondo i principi culturali dell’epoca in cui sono sorti, e in un paesaggio cittadino altrettanto in linea con i dettami architettonici e urbanistici dei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo.

Sostanza e forma cercano una coincidenza in un’ar-teria che vorrebbe fornire l’immagine pubblica di una città, Trento, che tenta anche con questa strada di segna-re la discontinuità rispetto al passato e darsi un segno architettonico che richiama l’Italia.

1 benjamin 2000: IX, 89.2 ACT VII 366 1851.3 ACT3.8-8.VII.17.1853, protocollo n. 1884, 20 luglio 1852, tesi p. 5.4 ACT3.8-8.VII.17.1853.5 biGatti – Canella 2005: 295.6 Carboni, 2005: 115.7 Giovanelli: 1871.8 ZuCConi 2007: 21.

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I piani di ampliamento della città in Briamasco nel corso dell’OttocentoFranco Cagol

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A metà Ottocento, in un momento politico ed istituzionale di svolta per tutti i territori austriaci, segnato dalla volontà di supera-mento della fase statalista della Restaura-

zione con la concessione di ampie attribuzioni di auto-nomia ai comuni, la città di Trento presentava ancora i tratti e la struttura che si erano venuti formando nel corso dei secoli di antico regime. Tratti che, nell’ottica dello stato moderno, si erano formati attorno ai due assi portanti della struttura costituzionale austriaca, quello dell’amministrazione e quello della difesa mi-litare. Nella prima metà del secolo Trento, città alla periferia dell’impero, divenne in sostanza città di uffi-ci statali e di caserme, senza che peraltro fosse appor-tata alcuna modifica all’antico assetto urbano, ancora contenuto entro la cinta muraria1. La sua forma e gli edifici interni erano quelli che, l’antico regime prima e il Regno italico poi, avevano consegnato alle autori-tà austriache nel 1813 e che appare ben rappresentata nella cartografia di età napoleonica o nelle più sugge-stive vedute panoramiche presenti nelle litografie della prima metà del secolo2.

La sintetica descrizione che ne fa Agostino Perini nel 1852 offre un’idea sufficiente di quale era la città che la nuova municipalità avrebbe dovuto amministrare:

«a settentrione, ristretta tra la rupe ed il fiume ha il borgo di S. Martino che mette sulla via di Germania. Fra questo borgo e la città, sta il castello, residenza un tempo dei principi, il quale dilungandosi ad oriente chiude tutto il suo lato di settentrione fra la pendice del colle ed il fiume. Dal lato orientale del castello diparton le mura, le quali curvandosi attorno la cingono fino al fiume, ond’è, che ha il perimetro segnato dal castello, dalle mura e dall’Adige. Sul fianco delle mura ha tre porte, l’Aquilegia (volgarmente dell’Aquila) che mette sulla via di Pergine e per la valle del Brenta a Bassano; porta Nova così chiamata perché fu aperta di recente e mette alle colline di Povo, porta s. Croce recentemente battezzata Maria Teresa, la quale volge alla via di Roveredo e per essa a Verona; la quarta porta è sul fianco dell’Adige e col mezzo del ponte sull’altra sponda si apre la via per Vezzano al lago di Garda e alle Giudicarie, la quinta sta a settentrione nel breve tratto di mura che legano il castello alla torre che sorge in riva all’Adige. Essa è appellata di s. Martino dal borgo a cui mette, a capo del quale si trova l’altra porta pur essa così chiamata donde si piglia la via di Germania»3.

Poco o nulla al suo esterno, se non ampi spazi con-quistati dalle antiche e nuove imprese agricole, rigati qua e là da una viabilità prettamente rurale e limitati in alcuni tratti dalla presenza di zone rese poco ospitali dall’irruenza del fiume Adige e del torrente Fersina. È ancora Agostino Perini ad offrirci una descrizione suffi-cientemente esaustiva del paesaggio limitrofo alle mura cittadine:

«La rupe [del Dos Trento] sorge a ponente della città e fra l’una e l’altra scorre maestoso il fiume descrivendo un grande arco, che attualmente si medita di correggere rettificando il corso per agevolare il passaggio della strada ferrata che verrà fra breve costrutta, e per sanare il paese dalle frequenti innondazioni del fiume […] Al mezzodì della città, è ancora rimarcabile il palazzo delle Albere, che si crede architettato dal Sanmicheli o dal Serlio e […] poco sopra questo palazzo si trova il Camposanto […] Dal cimitero si giunge per un rettilineo al borgo di S. Croce, il quale si estende dalla città fino al Fersina e comprende il pubblico passeggio. In questo borgo si trovano alcuni fabbricati di bell’aspetto e il più grandioso è il civico ospitale […] Presso l’ospitale giaceva il convento e la chiesa de’ padri Cappuccini, che si trasferirono sul colle ad oriente della città, e presentemente il fabbricato viene ridotto a casa di ricovero. La piazza antica della Fiera, e la piazza d’Armi eretta nell’anno scorso sormontata dalla nuova strada della Valsugana formano i più bei abbellimenti esteriori della città»4.

L’immagine è quella di una città che non si discosta molto da quella tramandataci dalle antiche piante pro-spettiche o dalle vedute panoramiche delle quali si è fat-to cenno, se non per l’aggiunta di un elemento nuovo e di altri di imminente realizzazione. La prima ala del Camposanto a nord della via che conduceva dal borgo di Santa Croce al palazzo delle Albere, che il Perini de-scrive in armonica integrazione con il borgo di Santa Croce, si configura in effetti come la novità di mag-giore interesse nell’area sud-occidentale della città. La sua realizzazione, tra il 1828 e il 1850, su un suolo già individuato dalle amministrazioni bavaresi nel 1806, si configura nel segno di un forte impatto urbano. Non solo per avere stravolto l’antico complesso residenziale della nobile famiglia dei Madruzzo, noto come palazzo delle Albere, e per avere di fatto impedito una interes-sante riqualificazione dell’area sulla base di un primo

Mappa di Trento, rilevata nel 1813. È visibile la piazzetta davanti al Duomo, chiusa dalla casa dell’«Ecce homo». Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Serie Contratto rogito terzi, Ordinamento austriaco, ACT3.8-IV.65.1881.

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progetto dell’ingegnere Giuseppe Pietro Dal Bosco5, ma anche perché quella scelta finì per condizionare qualsi-asi tentativo di sviluppo futuro nell’area di Briamasco. Situazione che fu poi ulteriormente complicata dall’im-minente realizzazione, come già annunciava il Perini, dei progetti di rettificazione del fiume Adige e di costru-zione della linea ferroviaria Verona-Bolzano.

Alla conclusione di questi ultimi lavori, nel 1856, l’intera area di Briamasco, soprattutto quella compre-sa tra le mura cittadine e la linea ferroviaria, rimaneva esclusa da qualsiasi progetto di urbanizzazione, anche perché nel frattempo non era stato preso in considera-zione un interessante progetto elaborato dall’ingegnere Carlo Caminada nel 18516 con il quale egli intendeva qui collocare la stazione ferroviaria, edificata invece, come noto, più a nord nell’adiacente area di Centa. Il progetto, rimasto fra gli incartamenti comunali, buttò lì, comunque, i semi di un’idea che avrebbe incontrato più tarde fortune nella realizzazione di una nuova rete stradale. Esso prevedeva, infatti, tre alternative diverse nella costruzione della stazione ferroviaria, l’una posta sull’asse di prolungamento di via Lunga, l’attuale via Roma, una seconda sul prolungamento di via S. Trini-tà, e una terza all’incrocio tra la via ferrata e una nuova via da costruire ex novo in direzione della Cattedrale. I tempi troppo stretti che imponeva la costruzione della stazione impedirono di fatto la sua realizzazione, anche perché sarebbe stato necessario l’abbattimento di un buon tratto di mura e, su questo punto, non vi era anco-ra il convincimento pieno né della cittadinanza né delle autorità municipali.

La stasi di metà Ottocento

A metà Ottocento, dunque, la città non conosceva an-cora progetti di sviluppo edilizio all’esterno della cinta muraria, condizionata in ciò dal lento procedere della nuova municipalità e dalla presenza ingombrante dei militari, presenza resa sempre più necessaria dai conflit-ti tra le forze franco-piemontesi e l’Austria. Già gli even-ti del 1848 avevano indotto la municipalità ad assumere gli opportuni provvedimenti per l’acquartieramento delle truppe di passaggio istituendo, nel marzo del me-desimo anno, l’apposito Comitato di sussistenze milita-ri. Lo stesso che individuò immediatamente gli edifici

da adibire a «quasi caserme», tra i quali è bene ricorda-re l’ex convento di San Lorenzo, fino a quel momento utilizzato come casa di ricovero, il fabbricato della raf-fineria degli zuccheri e l’adiacente edificio del Liceo in via Santa Trinità, la caserma di Finanza e i locali delle scuole normali al Seminario in contrada lunga, l’edificio della Casa di Dio nei pressi della chiesa di Santa Maria maggiore e l’ex convento dei padri Cappuccini in San-ta Croce7. Ai quali si aggiunse, nel 1854, l’adattamento a «quasi caserma» dei locali di casa Dall’Armi in San Martino8, intervento preceduto due anni prima dalla si-stemazione a «piazza d’armi» della vicina area posta ad est della mura9.

L’intero periodo compreso tra la fine degli anni cin-quanta e la conclusione del decennio seguente, carat-terizzato dalla seconda e terza guerra d’indipendenza, sarà condizionato da queste necessità militari. Pietro Alessandrini, in quel tempo impiegato presso la cancel-leria municipale, non manca di ricordarci i quotidiani passaggi di truppe, una media di 500-600 uomini al giorno, al cui sostentamento dovevano contribuire la città di Trento e le comunità limitrofe10. In questo con-testo non era possibile pensare alcun significativo pro-getto di sistemazione urbana, come testimonia del resto l’elenco degli inteventi urbanistici ed edificiali realizzati dall’ingegnere municipale Paolo Leonardi (1810-1891)11 presente nell’atto di consegna della documentazione d’ufficio steso alla sua morte nel 1891. L’intervento più

Mappa catastale della città di Trento, rilevata l’anno 1813.

Appaiono ben visibli l’antica cinta muraria, la zona degli orti

al suo interno, e i campi di Briamasco al suo esterno.

Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo cartografico, TG1a1.

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Pianta topografica della città di Trento, anno 1851, autore Carlo Caminada. In una situazione immutata sotto il profilo paesaggistico, si osservano il tracciato della nuova linea ferroviaria e le tre ipotetiche ubicazioni della stazione. Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-VII.366.1851.

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significativo, se vogliamo, è quello dedicato alla sistema-zione a giardino dell’area prospiciente la stazione ferro-viaria, visibile in quel «piano d’avviso per l’ampliamento della città in Centa», elaborato dal Leonardi nel 186312.

L’assenza di progettualità è ancora confermata, se si vuole, dalla totale carenza all’interno degli uffici comu-nali di qualsiasi cartografia tecnica della città, se si pensa che il Leonardi faceva ancora uso della vecchia mappa ca-tastale napoleonica e di una copia della stessa, disegnata dal diurnista Leonardo Cloch poco prima del 1870. Così, ogni riferimento cartografico della città deve essere ricer-cato altrove, nella già citata pianta elaborata nel 1851 da Carlo Caminada o nella mappa catastale del 1855, o in elaborati più divulgativi, come la pianta generale della cit-tà allegata ad una guida turistica edita da Carlo Perini nel 185913, la pianta della città elaborata da Francesco Ranzi per il suo studio archeologico sulla città romana dato alle stampe nel 186914 e la pianta della città allegata alla guida turistica edita da Francesco Ambrosi nel 188115.

Annibale Apollonio e il primo piano urbanistico

Perché la città conosca piani di sviluppo urbanistici si-gnificativi dovrà attendere momenti più stabili, tanto sotto il profilo degli equilibri politici ed istituzionali che economici. E deve attendere ancora l’arrivo a Trento, nell’estate del 1878, dell’ingegner Annibale Apollonio (1848-1915)16, dapprima impiegato in qualità di inge-gnere idraulico, in seguito di ingegnere capo municipa-le. Al suo arrivo, stando ad un suo scritto autocelebra-tivo uscito alle stampe nel 191117, la città non dovette suscitargli un’impressione particolarmente favorevole: «rimasi colpito dalla bellezza dei monumenti e dei pa-lazzi antichi, ma scandalizzato dalla cloaca che esisteva allora nell’alveo derelitto dell’Adige, dal disordine delle strade nei pressi della stazione, dalle pozzanghere nei vicoletti dell’Adige ed altrove e dallo stato delle vie nei sobborghi di S. Martino, di Piedicastello, di Briamasco e dietro le mura, poi da altri inconvenienti e pensavo quasi di ritornarmene là dond’ero venuto»18.

Forte di un’esperienza maturata presso il Diparti-mento del servizio idraulico dell’Alsazia-Lorena, con i lavori di regimazione del Reno presso Strasburgo e lun-go il bacino della Nied presso Metz, con la progettazione

del canale di Bolchen e, più tardi ancora con la proget-tazione del porto di Mühlhausen19, egli iniziava la sua attività a Trento proprio con la canalizzazione e la col-matura dell’alveo vecchio dell’Adige nella zona di Cen-ta. A queste attività fecero seguito numerosi interventi di sistemazione delle vie cittadine, di imbrigliamento e tombinatura di canali e rogge e di progettazione delle caserme alla Madruzza nella zona orientale della città.

Fin da subito egli ebbe modo di collaborare con uno dei più interessanti ingegneri della città, quel Save-rio Tamanini (1833-1886) al quale la municipalità, nel 1879, aveva affidato uno studio sul possibile accesso al camposanto e su un possibile ampliamento dello stes-so20. Il progetto elaborato dal Tamanini, portato a più larga conoscenza dalla pianta topografica allegata alla guida turistica della città edita dall’Ambrosi nel 1881, prevedeva la costruzione di un lungo viale che parten-do, a nord, dal punto di incontro delle mura con la li-nea ferroviaria, terminava all’ingresso del viale centrale del cimitero. Una ulteriore via avrebbe dovuto collegare l’ingresso del Duomo con il medesimo viale. Nelle in-tenzioni di Saverio Tamanini il progetto doveva costi-tuire l’occasione ideale per valorizzare la vicina area di Briamasco e questo suo pensiero lo espresse chiaramen-te nella relazione inviata al municipio:

«lungo le dette vie, specialmente sull’area presentemente di proprietà conti Alberti, giardino Cappelletti e Tevini, si potrebbero avere buoni spazii per un eventuale ampliamento della città; qualora poi in seguito si avessero a chiedere maggiori aree per erigervi nuovi fabbricati, sarà sempre possibile di poter ottenerle nella parte di terreno ora limitata dalle mura della città, dal fabbricato dell’Annona civica, dalla strada del Travai e dal prolungamento dell’attuale vicolo del Pievano. Occorrendo si potrebbe poi prolungare la nuova via di fronte al Duomo»21.

Progetto di ampliamento del Camposanto, anno 1881, autore

Annibale Apollonio. Il progetto, nell’accogliere ormai la necessità

di aprire una nuova via sull’asse dell’odierna via Verdi, propone per

la prima volta l’idea di una direttrice lungo l’attuale via Rosmini.Trento, Archivio Storico del

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-VII.23.1884.

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Nel 1881 l’Apollonio, su incarico della Giunta, ri-prendeva in mano il progetto del Tamanini, con va-rianti molto più ardite, avvertendo che «si deve evitare possibilmente che la via percorsa dai cortei funebri sia l’arteria principale del futuro quartiere, nella quale de-vono sboccare le altre vie secondarie affinché la pubblica circolazione sia intercettata quanto meno è possibile»22. Spostava pertanto il lungo viale verso la città, facendo-lo partire da via Prepositura fino al viale delle Albere, progettava, al pari del Tamanini, una via che dall’ingres-so della Cattedrale doveva intersecarsi ortogonalmente con il nuovo viale e proponendo ancora all’incrocio del-le due vie la costruzione di una piazza «affinché i vei-coli possano circolare e girare comodamente in tutte le direzioni». Altre vie, disegnate ortogonalmente alle due principali, avrebbero completato la rete viaria, in coe-renza con un ideale estetico affine a quello di un’epoca che si apprestava alla rapidità e alla ricerca di ampi spa-

zi di movimento: «le nuove arterie principali saranno ampie23 onde suppliscano ai bisogni d’una circolazione comoda; vi si devono addattare impianti d’alberi lun-go i marciapiedi e i giardinetti avanti le case, affinché vi sia luce, aria e verdura e si trasporti così la campagna in città onde renderla più salubre, più amena e più bel-la»24. Ispirato ai principi di un pragmatismo ordinato e raziocinante, tipico degli ideali positivi del suo tempo, l’Apollonio vedeva nell’ampliamento della città verso l’area di Briamasco l’occasione migliore per progettare un quartiere in armonica continuità con la città antica e per questo motivo proponeva di regolamentare fin da subito l’edificabilità della zona.

Anche questo progetto rimase tuttavia inascoltato e per la sua riproposizione, almeno per la questione via-ria, bisognava attendere la costruzione, nel 1884, del nuovo asilo intitolato a Pietro Pedrotti; edificato subi-to fuori dalle mura, a fianco della via del Travai e ad

Pianta topografica della città di Trento, anno 1881, autore Vittorio Zippel. Sono visibili, in linea tratteggiata, le soluzioni viarie proposte dall’ingegnere Saverio Tamanini nell’anno 1879. Allegato a: Francesco Ambrosi, Trento e il suo circondario descritti al viaggiatore, Trento: Zippel, 1881.

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ovest del palazzo adibito a sede del Monte Santo, esso fu inaugurato nel 188725. Il progetto servì a rimettere in gioco le idee di pianificazione urbana precedentemente sostenute dallo stesso Tamanini e dall’Apollonio. Nell’a-prile del 1886 il Consiglio municipale affidava così lo studio del primo progetto di ingrandimento della città in Briamasco all’ingegnere civico Annibale Apollonio e a due tecnici esterni, l’ingegnere Francesco Larcher e l’ingegnere Saverio Tamanini26. Quest’ultimo, si sa, non poté prendere parte ai lavori della commissione per l’ag-gravarsi delle sue condizioni di salute e per la repentina morte avvenuta nel 1887, così già il 5 gennaio dello stes-so anno il Consiglio municipale lo surrogava affidando lo studio all’ingegner Carlo De Pretis27. Ora, con la ri-chiesta più esplicita di voler approntare un regolamento edilizio, nonché «lo studio relativo al piano di ingrandi-mento della città nella plaga di Briamasco, necessario or più che mai in vista della indispensabile erezione di un nuovo fabbricato scolastico»28.

Nel progetto presentato dai due tecnici rimanevano fermi i due assi principali già proposti qualche anno prima dall’Apollonio, ovvero quelli delle odierne via Rosmini e via Verdi, «le quali credono sieno già entrate nelle previsioni dell’onorevole Municipio, nonché del pubblico»29. Su questa base essi progettarono una rete ortogonale di vie a servizio dell’asilo Pedrotti, del nuo-vo fabbricato scolastico, del convento delle Orsoline e dell’Asilo Zanella, nei pressi della piazzetta a sud della chiesa di S. Maria Maggiore. Tenendo come riferimento principale l’attuale corso Rosmini, una prima via do-veva condurre all’angolo nord-ovest dell’asilo Pedrotti, all’incrocio con il vicolo del Pievano; una seconda via doveva correre a sud del nuovo palazzo scolastico, in parallelo con l’odierna via Verdi, fino al vicolo del Pie-vano, ma con la possibilità di congiungersi con l’odierna via Santa Trinità; una terza via avrebbe dovuto collegarsi con la piazzetta delle Orsoline e di qui, a 90°, proseguire in direzione dell’asilo Zanella e della chiesa di Santa Ma-ria Maggiore. Una ulteriore via avrebbe collegato il con-vento delle Orsoline con l’asse stradale corrispondente all’attuale via Verdi, mentre un’ulteriore espansione ver-so la ferrovia era prevista solo nell’angolo a nord-ovest.

Accolto favorevolmente dal Consiglio municipale, il piano fu poi sottoposto alla commissione nominata dal Consiglio comunale per lo studio del piano regolatore della città30, della quale facevano parte Francesco Larcher, Roberto Bassetti, Carlo De Pretis, Giorgio Ciani e Va-

lentino Salvadori, quest’ultimo anche proprietario della maggior parte dei terreni ubicati in Briamasco, assieme al conte Pietro Consolati e agli eredi di Ignazio Dorigoni. La Commissione si riunì in tre sedute successive tra il 22 luglio e il 26 dicembre 1887 e, prendendo in esame il pia-no elaborato dal De Pretis e dal Larcher, approvò alcune delle vie proposte, individuò l’area sulla quale costruire il nuovo edificio scolastico e un’ulteriore area sulla quale trasferire il nuovo macello civico31. Il consiglio comuna-le, quindi, nella seduta del 23 febbraio 188832 accolse con favore i pareri emessi dalla commissione, approvando la «via fondamentale» che da Santa Maria porta al cimitero – ora in procinto di essere completato con la seconda ala a meridione – la via che dal Duomo conduce alla mede-sima «fondamentale», le restanti vie attorno al palazzo scolastico e la via che dalla «fondamentale» conduceva verso l’asilo Pedrotti. Fu ugualmente approvata la via che dalla «fondamentale» immetteva al nuovo macello civico nell’area posta a nord-ovest di Briamasco, in pros-simità della strada ferrata, mentre si rinviò a futuri pro-getti l’approvazione di tutte le restanti vie progettate ad ovest della «fondamentale».

La costruzione delle nuove vie

Nei mesi seguenti e in contemporanea con la costru-zione del fabbricato scolastico iniziarono i lavori di im-pianto delle vie progettate. Poco prima del loro inizio, il 22 dicembre del 1888, il fotografo Giovanni Battista Unterveger, stando con le spalle all’ingresso della Cat-tedrale e di fronte ad un piccolo gruppo di testimoni ordinatamente in posa, immortalava per l’ultima volta la casa dell’Ecce Homo in una delle sue preziose foto-grafie33. L’abbattimento della casa, che sarebbe seguito di lì a poco, avrebbe permesso l’apertura della nuova via, successivamente intitolata ad Alessandro Vittoria, a fianco della quale avrebbero preso inizio, più tardi, i lavori di costruzione del nuovo fabbricato scolastico. Evento che lo stesso fotografo poteva riprendere in una serie più numerosa di immagini fotografiche34 che ci re-stituiscono, al contempo, la testimonianza visiva degli ultimi tratti di mura cittadine sopravvissute alla più am-pia demolizione.

Il fabbricato scolastico era già terminato nell’autunno del 1891 e con esso la sistemazione delle vie adiacenti.

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Quasi contemporaneamente, a ovest del palazzo scola-stico, sorgeva l’edificio dell’istituto bacologico, proget-tato nel 1889 e completato nel 1893. Con quest’ultima costruzione si riproponeva la necessità di rivedere l’am-pliamento della rete viaria ad ovest della linea costituita dalla via «fondamentale», odierna via Rosmini, che la Commissione del 1887 aveva rinviato a momento più opportuno. Anche perché, nel frattempo erano stati por-tati a termine i lavori di costruzione nel nuovo macello civico nell’angolo nord-ovest dell’area di Briamasco.

Il progetto di un secondo piano regolatore in Briama-sco avrebbe comunque dovuto attendere qualche anno, perché solo nell’aprile del 1897 il Consiglio comunale

approvava il prolungamento di «via Alessandro Vitto-ria fino alla fossa di scolo, di via Santa Margherita con una diramazione dalla seconda a sera dell’argine ferro-viario fino al passaggio a livello che conduce all’officina del gas, la costruzione di una via lungo la fossa di scolo e di un’altra a mattina dell’argine ferroviario fino alla strada del cimitero coll’allacciamento colla vecchia stra-da della Dema»35. Da questo momento diventò sempre più complesso per l’amministrazione stabilire la desti-nazione d’uso delle aree circostanti la nuova rete viaria, perché le condizioni ambientali ed igienico sanitarie non erano propriamente ideali per la costruzione di edifici ad uso abitativo. Osservazione che la Luogotenenza di

Piano regolatore di Biamasco, approvato il 23 febbraio 1888. La progettazione di una rete ortogonale di strade è ormai dettata dalla costruzione del nuovo edificio scolastico e dalla realizzazione della seconda ala del Camposanto. Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-VII.64.1886.

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Innsbruck faceva al Magistrato civico già al momento di approvazione del piano regolatore, rimarcando che «si potrà dar mano alla costruzione di nuovi edifici quando nella plaga sarà provveduta dell’acqua necessaria per bere e per usi domestici di buona qualità ed in quantità suffi-ciente»36. Si è ormai distanti dalla visione idilliaca e forse meno realistica dell’Apollonio che, qualche anno prima, aveva visto in quest’area una delle migliori opportunità per l’ampliamento urbano proprio «per esser molto salu-bre, soleggiata e prossima al centro della città»37. La Luo-gotenenza sarà intransigente proprio sull’aspetto sanita-rio, indicando al Magistrato civico che «il progetto non può procurare aree da fabbrica di particolare bontà, tro-vandosi vicino ad esse la fossa di scolo, la fabbrica del gas

ed il nuovo macello»38. Sta di fatto che fino agli inizi del 1900 le uniche iniziative edilizie abitative in Briamasco continuavano ad interessare i terreni adiacenti le mura, come già era accaduto nell’angolo posto tra via Tomma-so Gar e via Zanella, edificato tra il 1889 e il 189739. Per il resto l’area continuava ad essere utilizzata per strutture di servizio e artigianali40, come nel caso della costruzio-ne, nel 1895, dei bagni pubblici con annesse lavanderie nel sito prospiciente il macello civico41, o la costruzione, nel 189742, del panificio da parte del consorzio dei fornai nel tratto terminale di via Alessandro Vittoria, non di-stante dalla linea ferroviaria43.

Nei primi anni venti del Novecento, con il passaggio della città all’amministrazione italiana, l’intera area di

Secondo piano regolatore di Briamasco, approvato il 26

novembre 1896. La rete stradale di Briamasco è completata in

funzione degli edifici commerciali, parte già costruiti, parte di

imminente realizzazione. Trento, Archivio Storico del

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-VII.52.1897.

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Briamasco aveva ormai acquisito una connotazione ben definita e coerente, tanto che Ottone Brentari ne fece una attenta descrizione nella terza edizione della sua Guida di Trento44:

«A mattina del vecchio Camposanto comincia una delle nuove grandi arterie della città, la lunga ed ampia via Antonio Rosmini, per aprire la quale venne abbattuto un lungo tratto delle vecchie mura. Essa è percorsa da doppio filare di alberi e fiancheggiata da poche case. A mattina si staccano la via al Travai che va a finire alla piazza di Fiera; quindi la via G. B. Borsieri che colla sua continuazione di via del Torrione va pure a sboccare nella piazza di

Fiera; quindi la via Giovanni Prati che secondo il piano regolatore troverà la sua continuazione nella via della S.S. Trinità. La via incrocia quindi colla via Giuseppe Verdi, una delle più notevoli della nuova Trento, chiusa ad est dalla facciata del Duomo, ad ovest dalla ferrovia e dall’Adige, e fiancheggiata a sud dai notevoli edifici della Filarmonica, Scuole Popolari, Consiglio Provinciale di Agricoltura, Istituto Bacologico, Panificio Consorziale. Più a nord, dalla via Rosmini, si stacca verso sera la via Giovanni Zanella che conduce al Macello […]. La via Rosmini finisce alla piazza Santa Maria Maggiore che ha la sua continuazione nella via della Prepositura, che va alla popolare piazza della Portella ed alla Torre Vanga detta anche Rossa».

1 Riferimenti principali sono in boCChi – oradini 1983 e boCChi 1989.

2 Una buona panoramica sul materiale cartografi-co relativo alla città di Trento si trova in boCChi – oradini 1983 e più recentemente in Chemelli 1990 e CaPPelletti 1996.

3 Perini 1852: 565.4 Perini 1852: 576.5 boCChi 1989: 293.6 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-VII.366.1851.

7 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Co-mitato di sussistenza militare e Quasi caserme, Atti, ACT3f.1-1, lettera di data 25 marzo 1848.

8 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-V.1984.1854.

9 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8- VII.207.1852.

10 Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo ma-noscritti, BCT1-2400, Trento. Memorie del 1859 e 1860 raccolte in ordine cronologico da Pietro Alessandrini.

11 In attività quale ingegnere civico presso il Comu-ne di Trento dal 1842 al 1870.

12 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-VII.148.1863

13 Perini 1859, con allegata «Pianta della città di Trento» di Agostino Perini e riprodotta dalla lito-grafia Zippel e Godermajer.

14 ranZi 1869, con allegata «Pianta di Trento antica e moderna», riprodotta dalla tipografia Giovanni Battista Monauni.

15 ambrosi 1881, con allegata «Pianta di Trento 1881».

16 Allo stato odierno degli studi manca un contri-buto d’insieme sulla figura di questo importan-te tecnico della municipalità trentina. Un breve profilo biografico, unito ad una buona sintesi dei lavori da lui diretti in città si deve a battoCletti - riZZoli 1999-2000.

17 aPollonio 1911.18 aPollonio 1911: 8.19 aPollonio 1911: 7-8.

20 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-V.38.1876, lettera a firma di Saverio Tamanini di data 5 marzo 1880.

21 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-V.38.1876, lettera a firma di Saverio Tamanini di data 5 marzo 1880.

22 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-V.38.1876, lettera a firma di Saverio Tamanini di data 5 marzo 1880.

23 Nella parte tecnica della relazione l’Apollonio precisava che «le vie d’accesso sono progettate della larghezza di 16 metri con 10 metri di ca-reggiata e 3 metri per parte di viale ombreggiato da piante d’alto fusto. Gli edifizii che sorgeranno lungo queste vie dovranno distare colla fronte di 6 od 8 metri dal confine delle strade e l’area frapposta dovrà essre coltivata a giardinetto con piante a cespuglio, cosicché la larghezza totale della via risulterà di circa 30 metri».

24 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-V.38.1876, relazione di data 13 apri-le 1881.

25 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-VII.5.1884.

26 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Co-mune di Trento, Ordinamento austriaco, esibiti, ACT3.8-VII.64.1886, lettera di data 16 aprile 1886.

27 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-VII.64.1886, lettera di data 5 genna-io 1887.

28 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-VII.64.1886, lettera di data 5 genna-io 1887.

29 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-VII.64.1886, lettera di data 5 genna-io 1887.

30 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Protocolli di sessione del Consiglio comunale,

ACT3.5-1887, 1887 maggio 25.31 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-VII.64.1886.

32 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Protocolli di sessione del Consiglio comunale, ACT3.5-1888, pp. 19-20.

33 Conservata presso Trento, Biblioteca comunale di Trento, Collezione iconografica.

34 Conservata presso Trento, Biblioteca comunale di Trento, Collezione iconografica.

35 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Protocolli di sessione del Consiglio comunale, ACT3.5-1897.

36 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Protocolli di sessione del Consiglio comunale, ACT3.5-1898, 1898 luglio 12.

37 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-V.38.1876, relazione di data 13 apri-le 1881.

38 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, esi-biti, ACT3.8-VII.52.1897, lettera di data 2 set-tembre 1897.

39 Si vedano in proposito i diversi progetti edilizi conservati in Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento au-striaco, Progetti di edilizia privata, ACT3.24.

40 Per una visione puntuale del complesso edificiale sorto in questi anni nell’area di Briamasco e più precisamente lungo l’asse di via Verdi rinvio al contributo di mori, Giulia 2010, presente in que-sto volume.

41 Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Progetti di edi-lizia privata, ACT3.24-1.1895.

42 Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Progetti di edi-lizia privata, ACT3.24-20.1897.

43 Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, Progetti di edi-lizia privata, ACT3.24.

44 brentari 1933: 69-70.

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Una via tra Otto e NovecentoGiulia Mori

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«Ha le muraglie attorno, le quali circon-dano un miglio, & è bagnata dall’A-dice verso Tramontana. Quivi si scorgono larghe, & belle strade tutte

seliciate, & altresì case molto honorevoli. Vi sono belle chiese, ma picciole. Evvi un sontuoso, & regal palagio, il quale è stato ristorato sontuosamente da Bernardo Clesio vescovo di Trento. Verso Oriente v’entra un fiumicello, sopra il quale sono fabricati molti edificij, per lavorar la seta, & per macinare il grano. Dal detto fiumicello sono condotti molti altri ruscelletti per le strade, & nelle case de i cittadini. Fuori della porta di San Lorenzo sopra l’A-dice v’è un magnifico ponte longo 146 passi, ma di legno, il quale congiunge amendue le rive […]». Questa è la descrizione di Trento comparsa, agli albori del Seicento, nell’Itinerario, overo, Nova descrittione de’ viaggi prin-cipali d’Italia del fiammingo Francesco Scoto. In realtà questo rapido schizzo della città fu pubblicato qualche anno prima; lo Scoto non fece altro che tradurre, aggior-nandone la parte finale, la Descriptio Tridentinae civitatis, posta a corredo delle varie edizioni dei Canones et decreta conciliari, stampati a Venezia sul finire del Cinquecento.

Molto più tardi, all’approssimarsi del XIX secolo, Trento era ancora una città di impianto fortemente me-dievale, circondata dalla sua cinta muraria, percorsa da molti vicoli scuri e malsani e lambita a nord dal fiume Adige, via di comunicazione nevralgica e nel contempo baluardo difensivo. I fasti clesiani e madruzziani erano ormai distanti, la città rinascimentale che aveva guar-dato all’Europa, la città imperiale che aveva ospitato il Concilio ecumenico attorno alla metà del XVI secolo, aveva lasciato il posto a un centro urbano asfittico e ser-rato su se stesso.

L’immagine che ne fornì e il pittore e romanziere francese Frédéric Mercey, nel 1835, fu malinconica e raggelante, un’icona romantica di rovine, sia urbanisti-che che sociali, ad alcuni anni di distanza dalle guerre napoleoniche. Così il viaggiatore descrisse il suo arrivo a Trento scendendo dal Brennero in uno dei numerosi viaggi che lo portarono a visitare tutta l’Europa: «Mi sa-rebbe difficile esprimere il senso di profonda tristezza che mi prese quando giunsi la prima volta tra le mura di questa città, dove tutto ciò che vi circonda, tutto, salvo la popolazione, scarsa e instabile, sembra vecchio di secoli. Città perduta in fondo alla valle e che sembra scoperta da ieri, di sotto il crollo di una montagna o le ceneri di un vulcano»1.

I primi tentativi di modernizzazione urbanistica

L’inizio del XIX secolo vide, però, anche timidi tenta-tivi di modernizzare la città, per uscire da quello che ai viaggiatori si offriva come uno spettacolo di rovine. L’Ottocento rappresentò un secolo fondamentale per le trasformazioni vissute dal territorio urbano di Trento. Sotto la spinta di una nuova mentalità borghese e positi-vista, la città era interpretata come luogo produttivo e di confronto, la cinta muraria che la racchiudeva era osta-colo sia materiale che ideale all’apertura verso l’esterno, all’«ingrandimento della città».

Nei primi decenni del nuovo secolo il podestà Bene-detto Giovanelli, espressione della borghesia emergente, tentò, con la consulenza di uno staff di tecnici di prim’or-dine (Gian Antonio Caminada, Giuseppe Pietro Dal Bo-sco, Giuseppe Maria Ducati), di rinnovare la scena ur-bana. Gli spazi pubblici vennero riprogettati e vennero abbattute le porte della città in San Martino e in Santa Croce, un’anticipazione della demolizione della cinta muraria, che avrebbe permesso l’espansione cittadina. Gli impulsi di rinnovamento, tuttavia, si esaurirono rapi-damente e la città, forse per la debolezza economica che la caratterizzava, non fu in grado di uscire dalle mura.

Il vero intervento scardinatore della quinta urbana fu, tra il 1854 e il 1858, la modifica del tracciato del fiu-me Adige, elemento particolarmente influente nell’am-bito della vita e dell’economia cittadina. Il corso d’acqua fu spostato nell’attuale alveo a ovest del centro abitato, al fine consentire la costruzione della linea ferroviaria.

Le risorse economiche messe in movimento dagli imponenti lavori di realizzazione della ferrovia, il mu-tato ruolo della città, che sempre più si orientava verso il terziario, diedero il via a una lenta e ancora titubante iniziativa edilizia, sia pubblica che privata. Si assistette all’edificazione delle scuole magistrali (1873), del tribu-nale (1877), del palazzo delle poste (1888) e fu ampliato il cimitero (1889), con l’aggiunta del secondo quadrante.

Nel 1888, inoltre, fu proposto al Consiglio comunale il piano regolatore per la zona di Briamasco, verso sud-ovest. Si adottarono soluzioni progettuali che compor-tarono l’abbattimento delle mura medievali e si previ-de un nuovo assetto viario, con l’apertura di due larghi viali: via Antonio Rosmini (direzione nord-sud) e via Alessandro Vittoria (direzione est-ovest), oggetto della nostra attenzione. Questo è il resoconto pubblicato del-

Cantiere del palazzo dell’istruzione (ora Facoltà di sociologia). Sulla destra della fotografia è visibile un pezzo delle antiche mura demolite per far posto all’edificio. Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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la seduta del Consiglio comunale che deliberò il nuovo piano regolatore:

«Preso in esame il tracciato delle nuove vie progettate nella plaga di Briamasco dalla commissione per l’ingrandimento della città, approvano i comparsi il progetto complessivo, e dichiarano ritenere per ora indispensabile l’esecuzione delle seguenti:- della linea fondamentale che da Santa Maria porta al

cimitero (attuale via Rosmini)- di quella che dal Duomo mette nella fondamentale

(attuale via Verdi)- di quella che dalla roggia mette alla casa Dorigoni, a

mattina del nuovo fabbricato scolastico (attuale via Maffei)- di quella che dalla casa Baiti mette alla fondamentale, a

mezzodì del fabbricato scolastico (attuale via Prati)- di quella infine che dalla casa Dorigoni mette al crocevia

del Pievano, anzi fino a detto crocevia2 (attuale via Esterle)».

La proposta della Giunta comunale ottenne presso l’assemblea comunale il suffragio unanime e la Giunta stessa fu sollecitata «ad incominciare il lavoro di costruzione del caseggiato scolastico nuovo ancora nella prossima primavera, dando mano senza ritardo alla demolizione delle mura civiche comprese entro il raggio di ingrandimento in Briamasco»3.

Il Comune, perciò, diede il via a una lunga e complessa serie di acquisizioni di terreni, di per-mute, espropri, abbattimenti, ricostruzioni e final-mente, nel 1896, il conte Lamberto Cesarini Sforza, pubblicando il volumetto Piazze e strade di Trento poté descrivere via Alessandro Vittoria (intitolata a Giuseppe Verdi dopo l’annessione del Trentino al Regno d’Italia nel 1921) affermando che «è tutta nuova, meno la parte più vicina al Duomo che era una piazzetta senza nome».

Palazzo della Società filarmonica, 1901. Litografia. In: Progetto per una nuova sala per la Società filarmonica. Trento: Scotoni e Vitti, 1901.

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Progetti del palazzo della Società filarmonica. Collezione privata.

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La città prima del cambiamento

Ma come si presenta, sul finire dell’Ottocento e agli albori del Novecento, la strada che oggi conduce dalle porte del Duomo sino al sottopasso ferroviario oltre al quale si intravede lo scorrere del fiume Adige? Le imma-gini sono molto scarse, le incisioni e le prime fotografie4 sembrano trascurare questa zona per dedicarsi a scorci paesaggistici più accattivanti, come il castello, la piazza grande, la cattedrale.

La cartografia che accompagna il piano regolatore del 1888 mostra che, prima di questa data, chi fosse uscito dalle ombrose navate della cattedrale non avreb-be trovato davanti a sé il luminoso fondale del Monte Bondone a chiuderne la prospettiva, ma avrebbe avuto la vista ostacolata dalla casa dell’Ecce Homo (così chia-mata dal tema di un affresco che ne decorava la faccia-ta), un edificio medievale che a poche decine di metri dall’ingresso della cattedrale di San Vigilio delimitava, verso occidente, un’angusta piazzetta. Oltre, verso ovest, «ortaglie», qualche casupola e, naturalmente, l’impo-nente cinta muraria. Sul terreno dove attualmente sorge

Cantiere del palazzo dell’istruzione (ora Facoltà di sociologia). Sullo sfondo a sinistra è riconoscibile il cimitero da poco costruito. Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

Palazzo dell’istruzione, 1891ca. Incisione su acciaio.

Trento, Biblioteca comunale di Trento, Sezione trentina, T I 1 f 118.

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il palazzo adibito a sede della Facoltà di Sociologia vi era addirittura un’orangerie come nelle grandi e importanti città europee, con «fabbricati di gusto chinese contenen-ti bagni, trattoria, camere da mangiare, da riposo, da giuoco, e padiglioni di varie strane forme, e pei vivaj di piante fruttifere di ogni genere»5.

Il riassetto urbano comportò l’abbattimento di una parte delle mura che ancora cingevano la città e la demolizione di numerosi edifici, a partire dalla casa dell’Ecce Homo. Alle vecchie case si sostituirono nuovi palazzi, molti dei quali destinati a funzioni pubbliche. Gli interventi edilizi del primo Ottocento si contraddi-stinsero per accenti legati al gusto neoclassico, ravvisa-

bile per esempio nell’impianto del cimitero monumen-tale; per i palazzi istituzionali si scelsero, invece, canoni maggiormente legati ai linguaggi di gusto storicista, che andavano a rafforzare il legame con Vienna6.

Lungo via Giuseppe Verdi

Vale la pena di intraprendere un percorso lungo la mo-derna via Verdi, soffermandosi sui principali palazzi che su di essa si affacciano, delimitandone i confini, ma conferendole nel contempo vita e fermento. La prima

Cantiere del palazzo dell’istruzione (ora Facoltà di sociologia). Gli orti in primo piano sono stati successivamente occupati dalla falegnameria Wolf (ora Facoltà di giurisprudenza). Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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costruzione che si incontra partendo dalla Cattedra-le e percorrendo il tracciato del viale è in realtà la più recente. Si tratta del palazzo della Società filarmonica, inaugurato il 30 maggio 1905. Un punto di ritrovo del-la nuova borghesia cittadina attenta anche alle istanze culturali, una «casa dell’arte a decoro della città, ad in-cremento della musica, ed a perpetua utilità di tutti» come venne definita nel Progetto per una nuova sala per la Società filarmonica pubblicato nel 1901. Un edificio che avrebbe dovuto offrire luoghi e strutture adatti all’e-ducazione musicale e all’ascolto, dove avrebbe dovuto trovare posto una biblioteca circolante per i soci, il ricco archivio della Società, ma soprattutto una sala da con-certi, che consentisse di evitare «quanto occorse fin qui,

che molti concertisti di fama mondiale non poterono prodursi nella nostra città causa il difetto di una sala conveniente»7.

Il permesso di fabbrica venne concesso dal Comune di Trento nel dicembre 1902. L’architetto trentino Emi-lio Paor (1863-1935) disegnò un edificio «in istile vene-ziano», una struttura compatta articolata su due piani: alla solidità del piano terra si contrappose, alleggerito da raffinate bifore in pietra, il primo piano dove trovò posto il «salone pei concerti che ha lunghezza di oltre 22 metri, 10 di larghezza e 8 di altezza»8.

Proseguendo il percorso, il visitatore incontra la sede della Facoltà di Sociologia: un fabbricato sorto come palazzo scolastico progettato per ospitare circa 2.000

Edificio dell’Istituto bacologico annesso al Consiglio provinciale d’agricoltura (ora Facoltà di economia e commercio). Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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alunni distribuiti in tre sezioni. Per la sua esecuzione il Municipio trentino previde un tetto di spesa di 250 mila fiorini austriaci e promosse, nell’aprile 1887, un concorso internazionale. Il vincitore fu, il 16 febbraio 1888, l’architetto Carl Hinträger (Miskolcz - Ungheria, 2.12.1859 – Gries - Bolzano, 21.1.1913), che risolse con notevole perizia il problema distributivo fondamentale, proponendo un edificio a corte, con i corpi di fabbrica rigidamente ortogonali9.

La nuova costruzione vide all’opera, nei più consi-stenti lavori edilizi, la ditta trentina di Giulio Scotoni. Inaugurato nell’autunno 1891, il Palazzo scolastico si sovrappose, in parte annullandolo, all’antico tessuto cit-tadino. Fu dapprima necessario abbattere la cinta mu-raria, che avrebbe intersecato il nuovo palazzo proprio in corrispondenza dell’angolo sud-occidentale e fu poi indispensabile trasferire altrove la fabbrica di Ferdinan-do Wolf, che sorgeva su quella parte della via. Il Comu-ne cedette all’imprenditore trentino, nel giugno 1888, la proprietà di alcune case e di un tratto di suolo sul lato opposto della strada, affinché trasferisse lì il proprio sta-bilimento: una falegnameria e un magazzino di mobili.

Via Alessandro Vittoria confermava così la sua dupli-ce natura di zona destinata ai servizi e di insediamento produttivo, che ne contraddistinse lo sviluppo fin dai primi progetti di urbanizzazione della zona10.

Planimetria del Consiglio provinciale d’agricoltura e della sezione dell’Istituto bacologico. Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, ACT3.24-1909.

Consiglio provinciale d’agricoltura, angolo tra via Rosmini e via Verdi (ora Facoltà di economia e commercio). In: Almanacco agrario per l’anno 1894, Trento: Monauni, 1893.

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Operaie al lavoro nell’Istituto bacologico. In: La sezione di Trento del Consiglio provinciale d’agricoltura nei 25 anni di vita: 1882-1907, Trento: Tipografia artistica tridentina, 1907.

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Cortile dell’Istituto bacologico, lavatura dei graticci (ora giardino interno della Facoltà di economia e commercio). Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

Operaie dell’Istituto bacologico intente a scegliere i bozzoli in base al loro volume. Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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Progetto della falegnameria di Ferdinando Wolf (ora Facoltà di giurisprudenza). Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, ACT3.24-2.1888.

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Wolf eliminò, dunque, le vecchie costruzioni e ser-vendosi dell’opera del maestro muratore Beniamino Bertotti diede avvio alla realizzazione del nuovo edifi-cio, la cui elegante architettura, pur notevolmente modi-ficata, finì, molti anni dopo, per accogliere la Facoltà di Giurisprudenza. I primi disegni, datati aprile 1888, pro-spettano una imponente struttura allungata, dal corpo principale centrale, articolato su tre piani, si dipartono due ali laterali più basse, che si concludono in eleganti corpi terminali terrazzati sviluppati su due livelli.

Il progetto effettivamente portato a termine vide l’e-liminazione del corpo principale centrale rialzato e la realizzazione di un’unica struttura rettilinea, tuttora vi-sibile, terminante nelle due torrette laterali non più ter-razzate, ma con tetto spiovente.

L’edificio del Wolf, col passare del tempo, fu lottiz-zato e il corpo laterale all’angolo tra via Verdi e via don Arcangelo Rizzi venne affidato all’Istituto Sacro Cuore, attuale scuola cattolica paritaria; mentre, nella parte di fabbricato all’angolo tra le attuali via Verdi e via Rosmi-ni trovarono luogo, attorno agli anni quaranta del Nove-cento, la redazione e la tipografia del giornale Il Brenne-ro. La struttura rimase per molti anni punto nevralgico dell’informazione trentina diventando, in seguito, sede de Il Trentino, nel secondo dopoguerra di Liberazione nazionale, successivamente de Il corriere tridentino e, infine, del quotidiano l’Adige (1950-1984)11.

I progetti per la ristrutturazione dell’«edificio ex Adi-ge» si avviarono nell’aprile 1986, mentre la costruzione

della nuova ala, su progetto dell’architetto Mario Bot-ta (Mendrisio, 1943), venne ultimata nell’ottobre 2006. Tratto peculiare della nuova struttura, caratterizzata da un particolare andamento geometrico, fu il rivestimento marmoreo policromo.

Poco oltre, lungo il lato meridionale del viale, sorse l’Istituto bacologico, attuale sede della Facoltà di Eco-nomia e Commercio.

Per far fronte alle richieste di sementi sane, dopo l’e-pidemia di pebrina che aveva decimato la popolazione di baco da seta e gettato in gravi difficoltà il settore della produzione serica in tutto il Trentino, fu eretto un ap-posito stabilimento nella zona della Bolghera, ubicata a sud-est della città. Il convergere verso la città capoluogo

Biglietto da visita della falegnameria di Ferdinando Wolf. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio iconografico.

Prospetto della falegnameria di Ferdinando Wolf (ora Facoltà di giurisprudenza). Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, ACT3.24-2.1888.

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una variante in corso d’opera che comportò un ulterio-re aumento delle già consistenti spese. Nel settembre 1909 venne concessa l’autorizzazione per l’ampliamento dell’Istituto bacologico, con la costruzione di un nuovo edificio13 corrispondente alla parte di fabbricato all’an-golo tra via Verdi e via Inama. Nell’ottobre 1911 fu ap-provato l’innalzamento, con la costruzione del secondo piano delle tre ali del caseggiato, a firma dell’architetto Giuseppe Tomasi, mentre nell’aprile 1912 venne accor-dato il permesso di eseguire una variante alla facciata. Si aggiunsero poi modificazioni interne e gli interventi connessi ai danneggiamenti dovuti al secondo conflitto mondiale.

La struttura divenne proprietà dell’Università degli Studi di Trento nel 1985 e la nuova sede della Facoltà di Economia, nelle forme attuali, venne progettata tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta del Nove-cento dall’architetto Pier Francesco Wolf (Verona 1938).

Proseguendo dal Duomo alla ferrovia si incontrano, in prossimità dell’asse ferroviario, l’edificio che ha finito con l’ospitare la Biblioteca centrale dell’Università degli Studi di Trento, gli uffici del Centro didattico interfa-coltà per l’apprendimento linguistico (CIAL) e la sede

delle richieste di tutto il territorio trentino resero ben presto inadeguato il «bacologico» posto sulla strada per Villazzano. Il Consiglio provinciale d’agricoltura per il Tirolo richiese quindi, nel 1889, i fondi necessari all’e-dificazione di una nuovo edificio destinato allo studio e alla confezione del seme del baco da seta. Le ingenti somme occorrenti alla costruzione dell’edificio furono sostenute dal Comune di Trento, che si preoccupò di acquistare i terreni di proprietà delle sorelle Polo e dei fratelli Salvadori e di assumersi gli oneri dell’edificazio-ne, ottenendo come contropartita l’impegno da parte del Consiglio provinciale d’agricoltura di una locazione di circa 18 anni, fino cioè all’ammortamento delle spese so-stenute. La convenzione fu stipulata il 3 ottobre 1890 e, contemporaneamente, presero avvio i lavori affidati agli ingegneri Giorgio Ciani e Carlo De Pretis. Il collaudo dell’edificio fu eseguito verso la fine del 1893 e l’inaugu-razione ufficiale, alla presenza dell’imperatore Francesco Giuseppe, avvenne il 2 luglio dell’anno successivo12.

Gli interventi che riguardarono lo stabile nel corso del tempo furono numerosi. Già all’inizio dei lavori si ritenne opportuno ospitare nelle cantine del palazzo la Società enologica trentina e si procedette, quindi, a

Sezione del progetto del Molino e panificio Vittoria.

Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, ACT3.24-1911-

018.

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dell’American University di Washington.Il palazzo, contraddistinto da una pianta vagamente

trapezoidale, fu edificato negli ultimi anni dell’Otto-cento per divenire sede del Panificio Consorziale Tren-tino. Augusto Lunelli, membro del comitato direttivo del Consorzio dei fornai, nel 1897 inoltrò al Comune la richiesta di costruzione finalizzata alla realizzazione di una fabbrica per il pane. Il podestà Tambosi appro-vò il progetto dell’architetto Umberto Albertini impo-nendo, però, che i camini dei forni ricavati nello stabile, articolato in due soli piani e un livello sotterraneo, rag-giungessero in altezza il culmine del tetto del confinante caseggiato di Omobono Bonomi.

Successivamente, nel 1941, divenne proprietario dell’immobile Claudio Cavazzani, imprenditore nel campo vinicolo. L’atto di compravendita determinò la storica denominazione dell’edificio, noto ancor oggi come palazzo ex Cavazzani.

Molino Vittoria, la fotografia è scattata dopo il 1922 e testimonia i cambiamenti avvenuti nella sommità del silos rispetto al progetto originale. Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni storico-artistici, Archivio fotografico storico, Fondo Sergio Perdomi, neg. n. TN 3160.

Progetto della torre-silos del Molino e panificio Vittoria, vicino alla ferrovia. Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, ACT3.24-1911-018.

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L’acquisto da parte dell’Università degli Studi di Trento del palazzo di mole imponente, ma defilata, avvenne nel dicembre 1998 e nel corso degli anni successivi si avvia-rono le attività di progettazione e recupero, sino all’inau-gurazione, il 13 aprile 2005, della nuova sede del CIAL.

In connessione all’attività di panificazione del Pani-ficio consorziale va ricercata la ragion d’essere della re-alizzazione dell’attiguo Molino Vittoria. La costruzione,

richiesta al Municipio di Trento dalla Società Molino e Panificio Trentino, venne ultimata il 29 agosto 1912, sotto la sorveglianza del capomastro Pio Giovannini e secondo i progetti dell’ingegnere Tommaso Stolcis (Trento, 1878 - ivi, 1978).

Negli anni venti un incendio comportò la distruzione del Molino che fu ricostruito nella forma originaria, sal-vo una modificazione al coronamento del silos.

Prima della Seconda guerra mondiale il nuovo pro-prietario, Ermete Wegher, trasformò l’edificio in un ma-gazzino per la frutta, destinazione che rimase inalterata fino all’inizio degli anni cinquanta, quando il Molino Vittoria fu ceduto alla Federazione Nazionale Consorzi Agrari.

Al momento dell’acquisto dell’immobile da parte dell’Università degli Studi di Trento, avvenuto nel 1989, il Molino versava in uno stato di semiabbandono.

Gli interventi di restauro hanno consentito il recu-pero di numerosi componenti originari – tegole, scale, finestre, solai, pavimenti, parapetti – che hanno reso il Molino Vittoria un eccellente esempio di archeologia industriale14. La struttura monumentale, dall’impianto compatto e modulare, presenta una pianta rettangola-

Biglietto da visita del Molino Vittoria. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio iconografico.

In alto: Biglietto da visita del Panificio trentino. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio iconografico.

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re e si articola in tre corpi. Il blocco rivolto a nord, ca-ratterizzato dal basamento bugnato e dalla copertura a terrazza, costituiva il silos per l’immagazzinamento dei cereali. A ridosso del corpo settentrionale sorge la carat-teristica torretta costruita, in origine, per la collocazione degli idranti automatici connessi al sistema antincendio. Sulla sommità di quest’ultima, nell’anno 2000, è stata posta una stazione meteorologica collegata alla sede della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Trento.

Il blocco principale, rivolto a sud, con copertura a due falde, ospitava al suo interno gli strumenti necessari alla macina e allo stoccaggio delle farine. La sua faccia-ta, contraddistinta da bifore in pietra, presenta in pros-simità del fastigio due sculture in malta cementizia di soggetto allegorico raffiguranti rispettivamente Cerere (dea delle messi e simbolo di floridezza) e Mercurio (dio delle merci e protettore dei commercianti).

Le piante prospettiche della città, conservate presso l’Archivio storico del Comune di Trento, sono eloquen-ti: via Alessandro Vittoria nacque e crebbe sostanzial-mente nel giro di vent’anni, tra il 1887 e il 1906.

Già nel 1921 la percezione dei trentini fu di trovar-si di fronte a una via monumentale degna delle grandi città europee. Le parole di don Gabriele Rizzi, nelle sue notissime Passeggiate trentine, sono entusiastiche:

«Il corso Rosmini a metà della sua lunghezza viene tagliato dalla via Giuseppe Verdi che ha dei bei palazzi fra i quali primeggia quello del Consiglio di agricoltura, opera dell’architetto trentino Ciani, e quello delle scuole

cittadine. Il palazzo delle scuole cittadine è certamente uno fra i più belli di Trento. Venne ideato dall’architetto Hinträgger di Vienna che vinse il concorso aperto dal nostro Municipio [...]. La sua facciata del puro Rinascimento, ampia e maestosa con tutti gli sporti in pietra e con le tinte intonatissime, le fenestre grandiose, il poggiolo e portali tutti di marmo vi fanno già immaginare la sua magnificenza interna [...]. Accanto al palazzo scolastico fa bellissima mostra di sue linee veneziane la palazzina della Filarmonica. Una vera casa dell’arte fabbricata per cura della Società degli amanti della musica. In questo elegantissimo edificio vi sono delle belle sale sfogate per le scuole di strumenti a corda, e a fiato, di piano e per il bel canto. V’è poi la sala maggiore con un eccellente organo per i concerti veramente artistici che vengono eseguiti»15.

L’attuale via Verdi, tuttavia, rimase idealmente in-compiuta, trovando sbocco e brusca interruzione nel nuovo tracciato del fiume Adige. Il viale maestoso, pen-sato come ingresso dei viaggiatori alla città, non vide sorgere un equilibrato punto di riferimento opposto alla Cattedrale. La stazione ferroviaria, prevista dall’inge-gner Caminada nel 1851, che avrebbe dovuto assolve-re a questo compito, fu realizzata più a nord, nell’area di Centa. Le barriere rappresentate dalla ferrovia16 e dall’alveo dell’Adige finirono, dunque, per interrompere il piacevole passeggio lungo la via monumentale della città di Trento. L’ostacolo della ferrovia venne superato solo in epoca recente, grazie alla realizzazione del sotto-passo veicolare.

1 Ferrari 1929: 400-406.2 ProtoCollo 1888a: 20.3 ProtoCollo 1888a: 20.4 Una della poche fotografie della cosiddetta

«Piazzetta del Duomo» è conservata presso la Bi-blioteca comunale di Trento ed è opera del noto fotografo trentino Giovanni Battista Unterveger.

5 «Merita tuttavia d’essere veduto vicino alla caser-ma l’orto botanico di don Teodoro Cappelletti, il quale sebbene manchi di un decoroso accesso, offre però nel suo interno un pittoresco aspetto per l’aggruppamento di varj oggetti che si pre-sentano alla vista» (Consolati 1977: 180). L’orto botanico «occupava l’area fra il convento delle Or-soline a nord, le antiche mura a sud e le bicocche che chiudevano la moderna via Verdi, era abbellito da torricelle e chioschi» (emert 1977: 180).

6 CamPolonGo 2008: 28.

7 ProGetto 1901: 4.8 ProGetto 1901: 5.9 GiovanaZZi 2006: 39-51.10 È interessante notare che al Wolf venne imposto

dal Consiglio comunale «di erigere su quel suo-lo una fabbrica dietro disegno da approvarsi ed escludendo lungo il nuovo corso esercizii d’oste-rie od industrie rumorose». ProtoCollo 1888b: 25.

11 GorFer 1995: 121.12 Pisoni 1997: 177-195.13 amPliamento 1910: 465-481.14 bari 2002: 1-2.15 riZZi 1921: 261-264.16 Il Comune di Trento tentò – inutilmente – in più di

una occasione di ottenere dall’amministrazione delle ferrovie un passaggio a livello in prossimità dello sbocco di via Alessandro Vittoria.

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Un edificio enciclopedicoElena Tonezzer

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Il 22 aprile 1893, l’ufficio tecnico del Comune pre-senta alla direzione delle scuole civiche popolari della città il nuovo palazzo scolastico con queste parole: «la scuola civico-popolare della città di

Trento ha un superbo edificio scolastico proprio del tut-to nuovo. A [ha] tre piani oltre i sotterranei che corrono sotto tutto l’edificio con 5 diversi accessi del tutto sepa-rati. Esso accoglie la scuola popolare maschile, la scuola civica maschile e la scuola popolare femminile»1.

Non solo l’edificio è nuovo, anche le vie che lo circon-dano sono appena stata state tracciate e pavimentate, e l’insieme del quartiere, la zona di Briamasco, è pianifi-cato e edificato in quegli stessi anni.

L’intero palazzo è dedicato esclusivamente all’inse-gnamento, le grandissime aule sono progettate per ospi-tare classi di 50 e più studenti ognuna, godono di una ventilazione che si ottiene con l’apertura della parte alta delle finestre «come per mezzo di apposito apparato col-locato nel sotterraneo a mottore [sic] elettrico»2, di sei caloriferi collocati nei sotterranei, di 60 bagni, di decine di banchi da tre e quattro posti.

La costruzione dell’edificio progettato dall’architet-to Carl Hinträger colma il grave ritardo di Trento nel campo dell’istruzione pubblica. Fino a quel momento i bambini e le bambine avevano trovato aule di fortuna, collocate in zone diverse, quasi mai adeguate alle esi-genze di igiene e decoro che pure cominciavano ad es-sere cari alle amministrazioni comunali del XIX secolo.

L’inaugurazione del palazzo scolastico segna una dif-ferenza profonda rispetto al passato: ogni mattina quasi 2.000 tra bambini e bambine entrano contemporanea-mente, ma da porte rigorosamente separate, in un unico edificio a loro dedicato. Trovano un ambiente nuovo, luminoso, riscaldato (poco secondo i nostri parame-tri ma sufficientemente per l’epoca), con bagni dotati di acqua corrente. In questo edificio-mondo, i giovani trentini imparano molto più che a leggere a scrivere, en-trano piuttosto nella società, apprendono le regole della convivenza, ad essere buoni sudditi austriaci, nati in una piccola città italiana della periferia dell’Impero austro-ungarico, ai margini meridionali della contea del Tirolo.

La prima regola che imparano è quella di rispetta-re l’orario, diversamente da come poteva avvenire fino a quel momento nelle piccole sedi disseminate tra case private e parrocchie, dove si seguivano soprattutto le ne-cessità degli insegnanti e non c’era nessuna regolamen-tazione. Se il prete doveva andare a celebrare un funera-

le o una funzione religiosa le lezioni venivano sospese senza preavviso e tutti andavano a casa, non esisteva quella formalità che caratterizza la scuola come la si in-tende comunemente oggigiorno.

Apprendere l’esistenza di un orario che scandisce la vita di centinaia di famiglie, imparare a rispettarlo, è un primo passo importante in una società urbana che si stava facendo via via più complessa e in cui le rego-le della convivenza diventavano sempre più numerose. Usciti dalla scuola, gli studenti che fossero andati a la-vorare negli stabilimenti industriali che cominciavano a sorgere anche nella stessa via della scuola, avrebbero continuato ad avere una vita regolata dalla squillo delle sirene della fabbrica. Una organizzazione del tempo che per i maschi avrebbe raggiunto il massimo della rigidità durante il servizio militare e sarebbe diventata impre-scindibile lungo i fronti della prima guerra mondiale.

Una volta in classe, i giovani studenti trovavano da-vanti ai loro occhi, appesi sulla parete dietro alla catte-dra, l’immagine dei simboli dell’ordine civile – il ritratto dell’imperatore Francesco Giuseppe – e religioso – il crocefisso –; in qualche classe femminile anche il qua-dro della Maria Vergine3.

La presenza delle allieve è un segnale importante ma non va intesa ingenuamente come esempio di parifica-zione tra i generi. La scuola perpetuava al suo interno un modello di separazione tra maschi e femmine che non si concretizzava solo nella separazione fisica dei due grup-pi, ma aveva ben più importanti ricadute anche nella ge-stione delle risorse didattiche, che andavano soprattutto per i maschi, e nelle materie che venivano insegnate.

Dagli inventari delle dotazioni scolastiche è possibile notare che il materiale didattico per le classi femminili fosse in genere minore di quelle maschili. Dal bilancio dell’inventario del 1872 (prima della costruzione del palazzo scolastico, ma il dato è tanto interessante che merita comunque di essere riportato), si ricava che in quell’anno per la scuola civica maschile il municipio spende 3.657 fiorini, per quella femminile 470 fiorini!

Nei lunghi corridoi progettati da Hinträger, nell’atrio o nelle ampie sale «per le solennità», i piccoli trentini partecipavano inconsapevolmente a riti civili che diven-tavano anche lezioni di politica informale. Scorrere il nome dei personaggi per i quali venivano interrotte le lezioni, personalità talvolta presenti in carne e ossa ma il più delle volte rappresentati solo dai loro ritratti, riporta anche nei passaggi della storia locale.

Facciata del palazzo delle scuole popolari e civiche di Trento appena terminato (ora Facoltà di sociologia). Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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Nel giugno del 1894 giungeva dalla Luogotenenza di Innsbruck, allora capoluogo della provincia, l’annuncio al consiglio scolastico che «sua Maestà I. e R. Apostolica si degnerà probabilmente di visitare lunedì 2 luglio dopo pranzo codesta scuola civico popolare. Ciò si notifica coll’ordine di provvedere che i docenti e tutta la scolare-sca siano puntualmente alle ore 4 pomeridiane. Presenti nella detta scuola in attesa della visita del Sovrano»4.

La richiesta di interrompere le lezioni per omaggiare un sovrano o per seguire una messa solenne è del tutto indifferente ai cambi di regime, ciò che muta è il pro-tagonista del rituale collettivo ma non la modalità. L’8 novembre 1918, a meno di una settimana dalla fine della Grande guerra che sancisce anche il passaggio del Tren-tino (e dell’Alto Adige-Südtirol) all’Italia, si legge in una lettera che «nella fausta ricorrenza del Natalizio di Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III, verrà cantata lune-dì p. v. il corrente mese nella basilica di San Vigilio ad ore 10 antimeridiane una Messa solenne con Te Deum e

benedizione del Santissimo per invocare l’aiuto sull’au-gusto capo del nostro sovrano», invitando gli insegnanti ad accompagnare gli alunni.

Il fascismo segue questa tradizionale presenza della politica nelle scuole segnando però un incremento sia nella quantità delle occasioni che nella qualità dell’in-gerenza, che diventa vera e propria officina di fascistiz-zazione e di militarizzazione della società. Ad esempio l’attentato al quale Benito Mussolini sfugge nel 1926 diventa occasione per coinvolgere gli studenti e il cor-po insegnante. Il provveditore agli studi della Venezia Tridentina scrive in una lettera che «i presidi e i diret-tori didattici di tutte le scuole di ogni ordine e grado di Trento sono invitati ad esporre per domani 8 corrente la bandiera al loro istituto ed a partecipare alle pubbli-che e solenni manifestazioni di giubilo perché il nostro Duce poté miracolosamente salvarsi. […] Nella prima lezione antimeridiana dopo il ricevimento della presen-te notificazione esporranno alle dipendenti scolaresche

Gruppo di soci dell’Unione ginnastica di Trento in posa

plastica nel cortile delle scuole popolari e civiche (ora parcheggio

della Facoltà di sociologia). Trento, Fondazione Museo storico

del Trentino, Archivio AL, busta 14, fascicolo 1.

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quali sentimenti agitino gli animi nostri e in quest’ora di commozione, ricorderanno ai giovani tutti le alte bene-merenze e l’azione diuturna del Duce per la grandezza della nostra Patria, il nostro giubilo perché Egli ci è con-servato e la nostra protesta per l’infamia commessa con-tro di lui e contro l’Italia. Sieno imbandierate le scuole tutto il giorno di tale manifestazione e dopo di essa si sospendano le lezioni per tutto il giorno»5.

Quali opinioni, negli anni successivi, si formassero i giovani in queste occasioni non è dato sapere. Appa-rentemente erano solo spettatori ma in realtà erano loro i veri protagonisti di questi rituali collettivi, di volta in volta orchestrati da presidi, funzionari pubblici e singoli insegnanti.

Negli anni dopo la Prima guerra mondiale, il palazzo scolastico perde la propria natura esclusiva di istituzio-ne scolastica, di mondo separato, dietro ai cui grandi

portoni generazioni di giovani trentini vivevano espe-rienze educative e pubbliche simili. Nel 1924 l’ultimo piano dell’edificio viene occupato dal Museo tridentino di scienze naturali, che vi porta collezioni, uffici e vi or-ganizza importanti convegni di carattere scientifico. Il rapporto tra museo e scuola non è conflittuale, la stessa esposizione delle collezioni racchiude un’idea pedago-gica che si adatta ai precetti che muovono l’insegna-mento delle scienze nelle scuole elementari.

Al di là della presenza del Museo, è soprattutto nella constatazione dell’esistenza di numerose associazioni culturali e scientifiche all’interno del palazzo che si può verificare ancora una volta la propensione sociale e edu-cativa dell’intero edificio. In esso si apprende la scolariz-zazione primaria, ma si incontrano anche le conferenze della Pro Cultura, le discussioni dei micologi, negli anni dopo la seconda guerra anche di geologi, etnografi e fo-

Lezione tecnico-pratica alle scuole elementari (ora Facoltà di sociologia). Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni storico-artistici, Archivio fotografico storico, Fondo Sergio Perdomi, neg. n. TN 3075.

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restali. Chi non fosse passato bambino per le aule, prima o poi sarebbe entrato in una delle sale occupate dalle associazioni.

Luogo di incontro, dove trova spazio una socialità colta per bambini e adulti, la perdita del monopolio del-la scuola sul palazzo segna l’apertura di una formazione quasi di tipo permanente, che compie un nuovo salto di qualità con l’arrivo dell’Università, nel 1962.

Quasi che ci sia un’attrazione fatale tra il luogo pro-gettato da Hinträger e l’istruzione, quando si tratta di trovare uno spazio per una facoltà universitaria com-pletamente nuova per l’Italia – quella di Sociologia – la scelta cade su via Verdi e su quell’antico palazzo, che le foto dell’epoca ci restituiscono un po’ scrostato, consu-mato da due guerre e da generazioni di bambini. È una scelta che scontenta i genitori degli alunni elementari,

ma che nonostante le proteste procede inesorabilmente e travolge non solo le scuole ma anche, dopo qualche anno, il Museo di scienze naturali.

Quello che sarebbe accaduto nel 1968 e nel 1969, le prime occupazioni, le manifestazioni nel centro storico ma soprattutto davanti alla fabbriche, segna una svolta imprevista per l’edificio e per la città. Proprio lì, dove si è educato all’ordine e all’obbedienza, dove la disciplina è stata utilizzata e propagata, viene messa in discussione la gerarchia prima accademica e poi sociale. L’università diventa «negativa», i muri si riempiono di scritte ingiu-riose, che irridono il potere.

L’ideale di separazione fisica dal resto della società che secondo Michel Foucault caratterizzava le istitu-zioni totali come le carceri, i manicomi, le caserme e le scuole6, viene sovvertita dagli studenti di sociologia che

Gruppo dei Vigili del fuoco di Trento in posa davanti alle scuole popolari e civiche (ora Facoltà di sociologia). Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio iconografico.

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aprono i portoni dell’ex palazzo scolastico di via Verdi per mettere in discussione barriere secolari: quelle che avevano separato maschi e femmine, accademici e stu-denti, intellettuali e operai.

Un palazzo che non ha mai perso, neanche in questa fase convulsa, la sua capacità di mostrare nel suo spazio fisico e simbolico lo spirito del tempo che ha attraversa-to; prima struttura di ordine, poi fucina di discussione. Visto nella prospettiva della sua lunga storia, il progetto di Hinträger realizza quasi un edificio di carattere enci-clopedico, in cui si è manifestata la parabola dell’educa-zione rigida e coercitiva del XIX secolo, dove ha trovato spazio di espressione la società colta, laica e animata dall’amore per le scienze, e infine dove si è realizzato quel cortocircuito culturale generato dall’università che ha contribuito a fare di Trento una città più aperta e pro-iettata verso la modernità.

1 Soprintendenza per i Beni Archivistici, Librari e Archelogici - Archivio provin-ciale, Scuola popolare civica di via Verdi. B 3 – 1.2-5.

2 Soprintendenza per i Beni Archivistici, Librari e Archelogici - Archivio provin-ciale, Scuola popolare civica di via Verdi. B 3 – 1.2-5.

3 Soprintendenza per i Beni Archivistici, Librari e Archelogici - Archivio provin-ciale, Scuola popolare civica di via Verdi. B 3 – 1.2-5.

4 Soprintendenza per i Beni Archivistici, Librari e Archelogici - Archivio provin-ciale, scuola popolare civica di via Verdi – B. 3, f 1.2-6.

5 Soprintendenza per i Beni Archivistici, Librari e Archelogici - Archivio pro-vinciale, scuola popolare civica di via Verdi B. 28 f. 1.2 - 52 (corrispondenza 1926).

6 FouCault: 1975.

Facoltà di sociologia occupata. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Paolo Padova.

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L’architetto Carl Hinträgere il suo tempoSergio Giovanazzi

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L’impressionante mole del palazzo che si eleva non molto distante dal Duomo ha sempre destato nell’opinione pubblica una certa sog-gezione; le sue origini non venivano associa-

te tanto a un edificio scolastico, quanto a un edificio pubblico molto rappresentativo. La sua imponenza dava infatti corpo all’idea che il podestà Paolo Oss Mazzura-na avesse progettato il palazzo come sede dell’auspicata Dieta trentina la cui costituzione, mai avvenuta, avrebbe reso indipendente l’intera provincia da Innsbruck.

Questa credenza è stata avvalorata da importanti stu-diosi di cose trentine: ad esempio nel volume Trento1 si legge che si tratta del «Palazzo della Dieta Trentina o delle Scuole Verdi dell’architetto viennese Hintregger» e «Palazzo dell’Università. Già sede di scuola elementa-re (ma nato come sede della Dieta trentina)» e in altro testo2 si fa l’ipotesi che esso sia stato costruito «con il velato obiettivo di destinarlo a sede della Dieta provin-ciale trentina».

La ricerca storico-architettonica, condotta nel 1997 per conto dell’Università di Trento, riportando all’evi-denza la documentazione che illustra la sua concezio-ne e realizzazione, ha dimostrato invece che il «Palazzo Scolastico» fu progettato e costruito con il solo intento di risolvere i problemi dell’istruzione elementare della città.

Il nome del suo architetto, Carl Hinträger, vincitore del concorso indetto dal Municipio nel 1887, e la sua partecipazione alla fase realizzativa dell’edificio tra il 1888 e il 1891, risultano evidenti nella documentazione di archivio. Nel settembre del 1891 l’architetto è a Trento per l’ultima ispezione prima dell’apertura della scuola.

Dopo, non rimane che l’immagine del bozzetto con il quale aveva partecipato, probabilmente nello stesso mese, al concorso per il monumento a Dante. Da quel momento si perdono le sue tracce trentine.

Durante la ricerca, a Trento, Bolzano, Salisburgo, Vienna, il percorso professionale di Hinträger è stato sufficientemente ricostruito, ma era come se il proget-tista di tante opere, realizzate soltanto da cento anni e per la maggior parte ancora in perfetta efficienza, autore di manuali sulla costruzione di scuole, redatto-re sulla fine del secolo di un interessante rivista degli architetti viennesi (Der Civil-Techniker), fosse svanito nel nulla. Nessuna storia dell’architettura (trentina o austriaca) riportava sue notizie, nessuna bibliografia lo citava, nessuna guida richiamava l’attenzione sulle

sue opere. La via in cui era il suo studio, a Vienna nella Heugasse al n. 65, aveva cambiato nome già dal 1911, ora diventata la centrale Prinz Eugen Strasse. Sugli elenchi telefonici di Vienna il nome Hinträger appa-riva sconosciuto.

Solo alla fine della ricerca si è però scoperto che Carl Hinträger è sepolto nel piccolo cimitero di Gries, a Bolzano, e che poco discosto sorge Villa Hinträger, un bell’edificio a tre piani, che ricorda vagamente la di-sposizione degli alberghi e pensioni d’inizio secolo. Vi abitava ancora la signora Grete Hebkemeyer, nipote di Carl.

Nello stesso giorno è stato possibile consultare un suo testo, pubblicato postumo nel 19143, che porta come introduzione un breve necrologio, accompagnato dalla fotografia di un tranquillo signore, seduto in giardino, intento a scrivere.

«Carl Moritz Julius Hinträger – scrive in quel testo il dr. Leo Burgerstein – nasce il 2 dicembre 1859 a Miskolcz in Ungheria, ma riceve tutta la sua educazione a Vienna, dove frequenta tra il 1877-1883 la Technische Hochschule, nella prospettiva di dedicarsi al lavoro del padre, architetto rinomato di Vienna. Durante gli anni di studio sono conferite ripetutamente al giovane Hinträger borse di studio per viaggi all’estero, e specialmente Roma e Parigi hanno su di lui un potente influsso».

La signora Hebkemeyer completava poi il quadro biografico ufficiale con alcune notizie che meglio trat-teggiano la figura umana di Carl Hinträger, colpito da una tragedia personale a 41 anni, nel pieno della atti-vità professionale e scientifica. Amante dell’ippica, era solito cavalcare a lungo e con perizia, ma nel 1900 un incidente, una caduta rovinosa, non solo lo privò dello sport preferito, ma lo costrinse a cambiare radicalmente la sua vita. Paralizzato e in costante pericolo – i medici gli avevano pronosticato al massimo cinque anni di vita – abbandonò l’attività di progettista e professore e cer-cò nel clima mite di Gries, allora rinomato Kurort, uno stabile sollievo. Qui costruì Villa Hinträger, sul modello di una piccola pensione che, gestita direttamente dalla moglie, permise alla famiglia di vivere modestamente e a Carl di continuare l’attività di ricerca nell’amato cam-po scolastico. Mantenne i contatti professionali che ave-va stabilito nei suoi viaggi e da qui pubblicò la maggior parte delle sue opere.

Ritratto di Carl Hinträger, l’architetto che firma il progetto del palazzo dell’istruzione di Trento, che ospita le scuole popolari e civiche dal 1891 al 1967. Dopo quell’anno l’intero edificio diventa sede universitaria. Collezione privata.

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Gli scritti

In calce all’ultimo saggio di Hinträger, uscito postumo nel 1914 sul n. 8 dei Fortschritte auf dem Gebiete der Architektur, si trova un elenco dei suoi scritti, con l’av-vertenza che esso non ha alcuna pretesa di completezza, derivando da notizie riferite da diverse pubblicazioni. In effetti mancano, ad esempio, alcuni importanti saggi apparsi sul Civil-Techniker e a volte ripresi in successive pubblicazioni.

L’attività di saggista di Carl Hinträger è soprattutto collegata al suo incarico di assistente, dal 1883 al 1886, del professor Doderer alla Technische Hochschule di Vienna e successivamente, dal 1897, come professore straordinario presso la stessa università.

Frutto del primo periodo universitario è la prima opera, Der Bau und die innere Einrichtung von Schul-gebäuden für öffentliche Volks- und Bürgerschulen (La costruzione e l’attrezzatura interna degli edifici per scuole pubbliche, popolari e civiche), pubblicata a Vien-na da Carl Graeser nel gennaio del 1887. Si tratta, secon-do la sua stessa definizione, di un «manuale per autorità scolastiche, maestri, medici, architetti e costruttori». In 87 pagine, con 142 illustrazioni di dettagli costruttivi e alla fine di alcuni schemi tipologici, affronta il problema distributivo e tecnologico dell’edilizia scolastica di tipo popolare. Il testo, che è organizzato in due saggi distinti, suddivide nel primo, Das Schulhaus und seine einzelnen Theile, la scuola come «edificio» in parti singole e quindi affronta separatamente i problemi della scelta del posto; dell’esecuzione, dei materiali e degli impianti (illumina-zione, riscaldamento e ventilazione); della distribuzione delle aule in funzione dell’ottimizzazione del rapporto con gli elementi naturali; dell’arredamento interno; e infine delle altre parti, come palestre, giardini, vestibo-li, ecc. Nel secondo saggio, Das projectieren von Schul-gebäude, tratta soprattutto della distribuzione in funzio-ne di tipologie basate sul numero delle aule, portando alcuni esempi, e del problema dei costi unitari.

Dopo la pubblicazione di questo manuale Hinträger scrive soprattutto su riviste specializzate e in particolare su Der Civil-Techniker (Central Organ der behördlich au-torisirten Civil-Ingenieure, Architekten und Geometer)4.

Nel gennaio del 1889 Carl Hinträger spedisce al po-destà Oss Mazzurana il n. 1, anno XI della rivista che nella prima, seconda e terza pagina propone ai lettori il progetto del Palazzo Scolastico di Trento, illustrato dalla prospettiva generale da poco terminata5.

La National-Biblioteck di Vienna conserva tutte le annate di questo periodico, nato nel 1879 e pubblicato fino al 1914, che costituisce, accanto ai suoi scritti, una fonte considerevole per documentare l’attività dell’ar-chitetto6. Oltre agli articoli descrittivi dei propri progetti pubblicati sulla rivista, appaiono due saggi di notevoli dimensioni sulla costruzione di scuole in paesi esteri.

Il primo, Die neuesten Schulbauten der Stadt New-York, pubblicato nel 18927, tratta sinteticamente dei programmi di costruzione di nuove scuole nella città americana, in rapida crescita e quindi bisognosa di nuo-vi edifici scolastici rapidamente costruiti.

Due anni dopo, nel 1894, pubblica un lungo saggio, Volkschulbauten in Norwegen8, sicuramente frutto di

Bozzetto di Carl Hinträger per il concorso del monumento a Dante, 1891. Collezione privata.

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un viaggio di studio in quel paese. Il taglio del saggio, sempre ancorato agli aspetti dimensionali e distributivi, dimostra che Hinträger è attento anche ad altri rapporti, come quello che si crea tra le caratteristiche formali, so-ciali e culturali del territorio: «Tanto la particolare con-dizione del Paese e dei suoi abitanti – comincia il saggio – quanto la stessa solenne e forte aspirazione verso il miglioramento in ogni campo, lascia intendere cosa ci si può spettare in questo interessante Paese».

Il saggio esplicita in modo minuzioso sia gli aspetti distributivi e funzionali che quelli tecnologici, legati alle particolari condizioni ambientali.

Come i precedenti, sarà ripreso e ampliato negli scrit-ti successivi. Intanto la sua attività divulgatrice continua con pubblicazioni e articoli su giornali tecnici, come, nel 1896, le Neuerungen auf dem Gebiete des Schulbaues (Novità nel campo delle costruzioni scolastiche), sul Wiener Bauindustrie-Zeitung.

Tornato nel 1897 nel mondo accademico come pro-fessore straordinario alla Technische Hochschule, Hin-träger riprende con maggior impegno la ricerca in cam-po scolastico.

Il primo esito è un volume di 380 pagine, pubblicato a Stoccarda nel 1901 nell’Handbuch für Architektur, dal ti-tolo Die Volkschulhäuser in den verschiedenen Ländern. Volkschulhäuser in Oesterreich-Ungarn, Bosnien und der

Hercegovina (Scuole elementari in Paesi diversi. Scuole elementari in Austria-Ungheria, Bosnia e nell’Erzegovi-na). Si tratta della sistematizzazione di tutti i precedenti scritti sull’argomento, con 631 illustrazioni per la mas-sima parte riferite a progetti pertinenti all’argomento trattato9.

Nel 1903 esce, sempre nel citato Handbuch, il tito-lo Gymnasien und Reallehranstalten (Ginnasi e Istituti tecnici).

L’anno dopo, 1904, nella collana Die Volkschulhäuser in den verschiedenen Ländern, pubblica la ricerca relati-va alla Francia, Volkschulhäuser in Frankreich10. Si tratta ancora di un voluminoso saggio di 220 pagine e 453 il-lustrazioni, svolto secondo modelli precedenti.

E quindi, nello stesso anno, Volkschulhäuser in Hol-land11, e Volkschulhäuser in Luxemburg12, questi non più nello Handbuch, ma in giornali tecnici di Vienna. L’anno dopo, 1905, dà alle stampe Volkschulhäuser in Belgien13 e nel 1906 Schulhausarchitektur in Amerika14, mentre nel 1908 Volkschulhäuser in der Schweiz15.

Quindi una lunga pausa, fino al 1912, quando finisce l’ultimo saggio, Die Volkschulhäuser in den verschiede-nen Ländern. Volkschulhäuser in Schweden, Norwegen, Dänemark und Finnland, che è pubblicato postumo nel 1914 e completa il quadro della situazione scolastica nei Paesi del nord Europa.

Carl Hinträger nel panorama dell’architettura mitteleuropea

Nonostante abbia sempre presente un vasto arco di pro-blemi, dagli aspetti umani a quelli del luogo, Hinträger evita in genere di svolgere discorsi di carattere estetico, dando al massimo qualche rapido giudizio di gusto su edifici che lo hanno particolarmente colpito. L’adesione allo storicismo, e in particolare al neo-rinascimento, è un dato acquisito e mai messo in discussione, essendo ritenuto lo stile più appropriato e convincente per con-ferire espressione estetica alla complessa funzionalità degli spazi scolastici.

Hinträger opera in assoluta e tranquilla continuità con la tradizione accademica e mai nei suoi scritti ap-pare qualche riflessione sui pur contemporanei rivol-gimenti che accadono a Vienna e nel mondo nel cam-po delle arti e della stessa architettura. Curiosamente

Villa Hinträger a Gries (Bolzano), dove l’architetto vive gli ultimi anni della propria vita. Fotografia Sergio Giovanazzi.

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l’unico riferimento che si è trovato nei testi a qualche personaggio della nuova cultura è un ringraziamento al «Signor Direttore Camillo Sitte» per avergli concesso la pubblicazione di un suo progetto scolastico (per una scuola di una sola aula).

La citazione di Camillo Sitte ci porta direttamente nel cuore del panorama architettonico della Mitteleu-ropa sul finire del secolo.

Lo storicismo rinascimentale di fine Ottocento, che è il dato di fondo del panorama architettonico del tem-po in cui si progetta il Palazzo scolastico di Trento, è il momento finale di una complessa elaborazione teorica e formale e nello stesso tempo la stagione in cui un nuo-vo stile getta le sue radici. Gli ultimi decenni del secolo portano infatti a conclusione un lungo periodo di rifles-sioni sull’architettura, che si può dire iniziato in Francia alla fine del Settecento e che ha avuto in Durand uno dei riferimenti essenziali.

Un’eco dei suoi principi sulla «disposizione» e sul conseguente funzionalismo si ritrova nell’insegna-mento di Alois Hirt, docente all’inizio dell’Ottocento all’accademia di architettura di Berlino: «L’essenza del bello deve emergere dalla costruzione [struttura] e da una disposizione appropriata»16 dell’architettura in sé, secondo un classicismo orientato in senso funzionale che avrà molta fortuna nel corso del secolo.

Un approccio più esaustivo è proposto da Friedrich Weinbrenner, che nel 1810-1819 pubblica l’Architekto-nisches Lehrbuch, un manuale fondato sul fatto che «Bella è la forma i cui contorni esprimono una perfe-zione funzionale. La funzionalità stessa è determinata dal concetto di forma» e che deve esistere una «concor-danza perfetta della forma con l’obiettivo da raggiun-gere»17.

Come noto, è Karl Friedrich Schinkel l’architetto che fissa i caratteri del neoclassicismo in Germania, con i concetti di funzionalità, carattere, simmetria, di visi-bilità della struttura essenziale e infine di costruzione «corretta», affermando che «per l’artista c’è un solo pe-riodo di rivelazione: quello dei Greci»18.

È però con Franz Kugler, maestro di Burckhardt, che, oltre la storiografia, entra nel campo delle osser-vazioni sull’architettura il concetto di «evoluzione del processo vitale»19 e quindi quello di un nuovo tipo di organismo.

A Monaco di Baviera, in fase di grande espansione urbana, si affermano il pensiero e le opere di Leo Von

Klenze. Nei suoi scritti, riecheggiando Schinkel, si giu-stifica l’unione assoluta di statica, materiale e costru-zione, che solo l’architettura greca ha sviluppato con assoluta coerenza. Molte opere di Leo Von Klenze, spe-cialmente a Monaco, costituiscono un punto di arrivo del neoclassicismo tedesco.

Con il suo intervento diretto si svolge qui, nel 1850, il concorso per un «Ateneo», che costituisce un mo-mento di arrivo e nello stesso tempo di partenza; il ban-do proponeva espressamente di «servirsi in libertà dei diversi stili architettonici e della loro ornamentazione per una soluzione adeguata del compito presente» sen-za «perdere di vista il principio formale dell’architettu-ra antico-tedesca cosiddetta gotica»20. Da questa con-fluenza si ha la nascita del Maximilianstil, il massimo dell’eclettismo, che ebbe una diffusione su larga scala in tutta l’area alpina e bavarese.

Un più puro stile neorenaissance fu praticato da Gottfried von Neureuther, docente del Politecnico e maestro dello storicismo.

Il contributo più rilevante alla riflessione ottocente-sca è però l’opera e la dottrina di Gottfried Semper21, in particolare il principio che «l’architettura nasce da una «necessità», ma il suo dispiegamento organico può avvenire solo in libertà, in sintonia con lo stato della società umana»22. Nel suo testo più noto, Die vier Elemente der Baukunst, al V capitolo, definisce l’es-senza dell’architettura che deve «far dipendere forma ed espressione delle sue creazioni non dal materiale, ma dalle idee che vivono in esse»23. L’analogia biolo-gica lo conduce in seguito a un concetto più stretto di organismo: la «compiutezza euritmica dei cristalli e di altre forme completamente regolari della natura» autorizzano l’utilizzazione di forme puramente geo-metriche. Nella realizzazione di numerosi edifici usa però uno stile neo-rinascimentale come espressione di un atteggiamento cosmopolita e di una coscienza nazional-liberale, risposta rassegnata alla mancanza di una nuova «idea storico-universale: fino a quando ciò non avverrà, ci si deve adattare nel migliore dei modi al vecchio»24.

Condizione ben visibile in particolare nelle sue ultime architetture viennesi. Qui infatti eleva opere emblematiche proprio sul Wiener Ring: il Museo di storia dell’arte e il Museo di storia naturale (1872-1881) e il Burgtheater (1880-1886), costruiti con Carl Hasenauer.

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Quando, nell’estate del 1887, il ventottenne Hin-träger inizia a progettare le scuole di Trento, ha già alle sue spalle una notevole esperienza in campo scolastico. Almeno tre grandi complessi scolastici, a Ober-Döbling e a Währing-Döbling presso Vienna, e a Neutitschein in Moravia, forniscono le coordinate che guideranno tutta la sua opera e che possono riassumersi nei concetti di «funzionalità» rispetto ai bisogni e di adesione allo stile rinascimentale in campo estetico.

Un paradigma, questo (lo stadio finale dell’evoluzio-ne architettonica del neoclassico), che Hinträger espli-cita negli interventi progettati nella Freistellung der Karlskirche (che può tradursi «nella zona circostante la chiesa di S. Carlo») a Vienna, tesi a «liberare» lo stori-co edificio dal più modesto tessuto circostante e ripor-tati ampiamente in due numeri del Civil-Techniker25. Qui un inciso apparentemente poco importante rivela i suoi veri maestri, architetti di successo soprattutto nella storicista costruzione di molti edifici sul perime-tro del Ring:

«Già nel 1877, quando venne stabilito il profilo per il palazzo Fruhwirth facendo ricorso ai nostri famosi architetti, i baroni Schmidt, Hansen e Ferstel26, venne raccomandato di lasciare libera la facciata principale della Chiesa di S. Carlo. Anche il presente progetto tiene conto di questa circostanza, per esempio prevedendo una maggiore apertura del Schwarzenbergplatz verso il profilo della Lothringerstrasse, in modo che si veda la facciata principale della chiesa completamente libera [...]».

La citazione dei tre architetti, celebri storicisti di successo (fatto piuttosto raro negli scritti di Hinträger), àncora, anche criticamente, il complesso della sua ope-ra all’indirizzo neorinascimentale così presente nella Vienna di fine secolo.

Le proposte per la chiesa di San Carlo, costituenti una sintesi della posizione teorico-pratica dell’archi-tetto all’inizio della sua attività, mentre sembrano rappresentare l’esatto opposto delle contempora-nee, progressiste tendenze viennesi come quelle di Camillo Sitte in campo urbanistico, di Otto Wagner in architettura, delle Wiener Sezession in generale nell’arte e di Alois Riegl in campo estetico, conten-gono però nella loro concretezza i germi di possibili, futuri sviluppi.

I progetti

Un breve excursus dei principali progetti che gli Hin-träger pubblicano in questi anni sul Civil-Techniker, te-stimonia dunque l’adesione incondizionata ai principi dell’appropriazione stilistica del passato nel momento in cui entra a pieno titolo il giovane Carl, ma anche la successiva, costante evoluzione verso moduli stilistici più aggiornati.

Sul n. 23, dell’agosto 1886, appare la notizia che

«Nel Comune di Penzing [si è svolto un concorso] per una scuola popolare maschile e femminile, nel quale si è scelto, e premiato con il primo premio, tra 19 concorrenti il progetto del signor Carl Hinträger, architetto laureato e assistente alla k. k. technische Hochschule di Vienna, figlio del nostro socio Moriz Hinträger».

È la prima volta che Carl si presenta con un progetto personale ed è qualificato anche come assistente univer-sitario.

Nel 1886, il periodico pubblica ancora un progetto per costruzioni rurali, a firma degli architetti H. Claus e M. Hinträger27. Carl non è ancora dunque socio dello studio. Solo a partire dal 1889 vi sostituisce H. Claus. Sono presentati come esempi di scuole di grandi dimen-sioni due recenti progetti eseguiti con tutta probabilità attorno al 1886: la Scuola popolare e civica di Ober-Döbling presso Vienna, di Moriz Hinträger28 e l’identi-ca scuola di Neutitschein in Moravia, di H. Claus e M. Hinträger29.

Nel 1887 non si vedono particolari progetti dello stu-dio. Nella seconda metà dell’anno il solo Carl elabora il progetto per il concorso di Trento.

Nel 1888 lo studio illustra un edificio di servizio a Pressbaum30 e la Villa del signor Oswald Machanek a Bolzano31, mentre Carl risulta essere, in estate, a Gine-vra32, e il 12 dicembre a Trento.

Nel 1889, oltre al già citato palazzo scolastico di Trento, è pubblicata la scuola popolare maschile di Par-dubitz33 (un concorso dove gli Hinträger partecipano con il motto «Pro Patria», come a Trento) e il nuovo mu-nicipio di Währing34. Ormai i progetti portano la firma dei soli Hinträger, padre e figlio.

Le immagini seguenti danno un’idea delle caratteri-stiche formali presenti nei progetti dello studio quando il giovane Hinträger ne diventa titolare e documentano

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Mädchen-Volks- und BürgerschuleScuola popolare femminile e civicaNeutitschein (Mähren)Claus & Hinträger1887 (Handbuch, nr. 12, 1901)

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Volks- und BürgerschuleScuola popolare e civicaConcorso (motto: Pro patria)TrientCarl Hinträger1887 (C-T, a. XI, nr 1 / Handbuch, nr 12, 1901)

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Volks- und Bürgerschule für Knaben und Mädchen Scuola elementare e civicaDonaufeldM. & C. Hinträger1894 (Handbuch, nr. 12, 1901)

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Volks-und Bürgerschule für Knaben und MädchenScuola popolare e civica maschile e femminileDux (Böhmen)M. & C. Hinträger1896 (Handbuch, nr. 12, 1901)

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l’evoluzione da lui impressa proprio a partire dal con-corso di Trento.

Il prospetto di Neutitschein (1887) ripete i moduli rinascimentali con il bugnato ai piani bassi e l’ordine gigante nei due piani superiori: qui il ritmo delle lesene e delle finestre è molto stretto, quasi ossessivo, di chiara derivazione francese; gli elementi decorativi sono con-centrati nella parte centrale e il sovrastante pinnacolo molto elaborato ha solo una funzione estetica.

Pochi anni dopo, il grande prospetto della scuola di Dux in Boemia (1896), abbandonando ogni riferimento agli ordini classici e introducendo solo misurati accenni decorativi, produce una forte impressione unitaria: una vigorosa massa muraria traforata dal geometrico ripe-tersi delle finestre esprime con immediatezza l’ordine della rigorosa distribuzione interna.

La differenza tra le due architetture è dunque so-stanziale, tanto che con il secondo progetto Hinträger, riducendo la sua adesione allo storicismo, sembra av-viarsi verso il nuovo stile: tra i due si sviluppa il palazzo di Trento che, come vedremo, presenta i primi segni di questo nuovo percorso.

«Nel gennaio del 1888, a seguito della decisione sul concorso internazionale per la costruzione di una scuola di ca. 2000 allievi in Trento, il primo premio, come già partecipato, fu conseguito dal dipl. Arch. Carl Hinträger di Vienna che cura anche l’esecuzione e la direzione lavori.La costruzione è cominciata già nel mese di settembre e sarà completata per l’anno scolastico 1891.La nuova scuola è situata tra il Duomo e l’Adige ed è libera su tutti i lati; essa contiene più di 2000 allievi in tre sezioni, di cui la prima è una scuola popolare per ragazzi, la seconda per ragazze, la terza una scuola borghese e domenicale per ragazzi.Queste tre sezioni sono completamente separate e sono dotate di atri, scale e servizi separati.Molto tempo è stato necessario per la demolizione delle antiche mura cittadine, che attraversavano il lotto; esse erano stare costruite ancora ai tempi del re Teodorico.Capita a poche città della dimensione di Trento di avere predisposto una costruzione così monumentale per la propria gioventù, fornita con tutti i mezzi della comodità e della modernità, che sarà per le generazioni future un degno posto di studio e di educazione.Trento è debitrice del suo attuale sviluppo e abbellimento soprattutto al suo intraprendente podestà Oss Mazzurana».

Hinträger e Trento come «luogo»

Il nuovo palazzo scolastico propone alla città una confi-gurazione stilistica più complessa e ricca di riferimenti rispetto a quanto si può leggere negli altri grandi edifici pubblici che sorgono nel territorio urbano durante gli ultimi decenni del secolo. Il confronto tra le sue partitu-re architettoniche con quelle, ad esempio, del palazzo di giustizia, costruito verso il 1877, o con le analoghe del distrutto palazzo delle poste, pressoché contemporaneo, ambedue di chiara derivazione tedesca, mostra che qui Hinträger ha compiuto un grande passo in avanti, fa-cendo dell’attenzione alla specificità della cultura archi-tettonica del «luogo» il discrimine per scelte proiettate verso il futuro.

Il suo pensiero costante è stato infatti di realizzare un’architettura che si ispirasse chiaramente, senza in-terruzioni o dubbi, allo «spirito» mediterraneo del Ri-nascimento italiano, di cui Trento gli sembrava il pri-mo avamposto. E questo appare eloquentemente nella chiarezza dell’impianto distributivo, nelle proporzioni distese e nel sereno ritmo delle facciate, tanto diversi da quelli dei due edifici prima citati, nella classica esattezza degli ordini architettonici, nell’apparato cromatico da lui definito «dalla dolce intonazione delle pietre bianche e rosse di Trento e dalla simpatica tinta generale delle facciate».

La sua volontà di comprendere ed esprimere i carat-teri «meridionali» del luogo si manifesta chiaramente anche in due proposte che, formulate e difese durante i lavori, non sono state accolte dal Municipio.

La prima riguarda i grandi corridoi che circondano le corti interne e che – ritenendo il clima di Trento simi-le a quello della penisola – avrebbero dovuto rimanere aperti, senza finestre, come nei grandi palazzi rinasci-mentali romani o fiorentini. Infatti «volendo applicare alle arcate del cortile delle invetriate anche nei corridoi si guasterebbe tutta la bellezza architettonica».

La seconda si riferisce alla realizzazione di una co-pertura piana, ancora come nei palazzi romani, al posto di quella a due falde e questo «per una maggiore elegan-za rassomigliando ad un’ampia terrazza».

Il riferimento al carattere «italico» non ha però nulla a che vedere con quanto si verrà affermando negli anni successivi, come espressione del sentimento nazionali-stico, quando lo storicismo rinascimentale si stempera in uno stanco eclettismo, dove valgono le invenzioni, più

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che le interpretazioni della storia, assumendo spesso ca-ratteri ripetitivi di moduli locali. In questo senso si parla di «rinascimento veneto», piuttosto che di «rinascimen-to toscano» o «romano»: sono questi i termini a cui si riferiscono i contemporanei architetti eclettici trentini.

L’atteggiamento che Hinträger dichiara nel suo pa-lazzo scolastico – cioè l’interesse ai problemi della funzionalità, della costruzione, ai caratteri del «luogo» in rapporto all’intera storia e quindi all’unità formale dell’edificio – denuncia da un lato l’adesione a un at-teggiamento cosmopolita e a una coscienza nazional-liberale e richiama la risposta rassegnata di Gottfried Semper alla mancanza di una nuova «idea storico-uni-versale: fino a quando ciò non avverrà, ci si deve adatta-re nel migliore dei modi al vecchio», cioè al rinascimen-to; dall’altro anticipa i motivi di fondo dell’architettura trentina del decennio successivo, che oltre a Vienna guarda a Monaco, dove si sviluppano in modo decisivo le ricerche sui caratteri della «località e dell’ambiente» (Ort und Umgebung) e quelle sui processi di astrazione.

A Monaco, all’inizio del nuovo secolo, Worringer scrive il suo Empatia e astrazione e poco dopo Kandin-sky Lo spirituale nel’arte, ma opera anche uno dei più interessanti architetti e teorici del tempo, Theodor Fi-scher35, maestro di molti architetti moderni, da Domi-nikus Böhm a Hugo Häring, da Bruno Taut a Peter Oud, a Sigurd Lewerentz, a Louis Welzenbacher, e di alcuni tra i migliori architetti trentini della prima metà del secolo, da Giuseppe Tomasi a Guido Segalla, a Wenter Marini, a Giovanni Tiella. La sua influenza sulla nuo-va architettura trentina – tanto nelle opere costruite da Giuseppe Tomasi sul finire del 1910, quanto nelle elabo-razioni di Gerola e dello stesso Wenter sviluppate tra il 1920 e il 1930 – è di tutto rilievo.

Hinträger non approda ancora a questi lidi, ma inizia un percorso che, come si è visto per la scuola di Dux, lo porta su strade parallele. La caduta da cavallo, che ha chiuso la sua carriera professionale, ha interrotto una probabile evoluzione nello spirito dei tempi verso l’au-spicata, nuova «idea storico-universale».

1 Passamani – PaCher 1977: 199, 203.2 boCChi 1989: 301.3 Fortschritte auf dem Gebiete der Architektur.

Lipsia, n. 8, 1914.4 Fino al dicembre 1886 la redazione e ammi-

nistrazione del periodico era in Vienna, IV, Ket-tenbrückengasse 6, presso lo studio di chi allora lo dirigeva. Ma dal 1 gennaio 1887 la direzione passa a Moritz Hinträger, beh. aut. Civil-Architekt e padre di Carl. La redazione e amministrazione è da ora in poi nello studio degli Hinträger, in Heu-gasse 66. Nel 1893 il Civil-Techniker ha soltanto 381 abbonati, sebbene gli iscritti ai diversi colle-gi siano 782 e di questo si lamenta proprio Carl Hinträger nella revisione al bilancio.

5 Carl Hinträger accenna a questa prospettiva nella lettera 4 novembre 1888, quando dichiara di star terminando «una prospettiva generale dell’intiero fabbricato, rappresentante il futuro aspetto dopo i cambiamenti».

6 Nell’ impossibilità di verificare tutte le annate, si è scelto di valutare i numeri usciti dal 1886 al 1896, cioè negli anni centrali rispetto alla proget-tazione e all’esecuzione del palazzo scolastico di Trento.

7 Civil-Techniker. Vienna, a. 14 (1892), n. 3.8 Civil-Techniker. Vienna, a. 16 (1894), n. 15 e 16.9 Gli esempi progettati dallo studio Hinträger sono

pubblicati nel capitolo precedente.10 Die Volkschulhäuser 1904.11 Oesterr. Wochenschr. f. d. öffentl. Baudienst.,

Allgem. Bauzeitung. Vienna 190412 Zeitschr. d. österr. Ing.- u. Arch.-Vereins, Allgem.

Bauzeitung. Vienna 190413 Oesterr. Wochenschr. f. d. öffentl. Baudienst.,

Allgem. Bauzeitung. Vienna 1905.14 Zeitschr. d. österr. Ing.- u. Arch.-Vereins, Allgem.

Bauzeitung. Vienna 1906.15 Zeitschr. d. österr. Ing.- u. Arch.-Vereins, Allgem.

Bauzeitung. Vienna 1908.16 KruFt 1987: 34.17 KruFt 1987: 37.18 KruFt 1987: 44.19 KruFt 1987: 50.20 KruFt 1987: 59.21 Gottfried Semper (1803-1879) lavorò come ar-

chitetto a Dresda, dove realizzò il Teatro dell’Ope-ra, La Sinagoga, la Pinacoteca (1847), a Zurigo (1864-66), a Vienna. Fondamentale il saggio Lo stile nelle arti tecniche e tettoniche (1861-1863).

22 KruFt 1987: 61.23 semPer 1989: 206 .24 KruFt 1987: 67.25 Civil-Techniker. Vienna, a. 11 (1889), n. 23-24.26 Heinrich Ferstel, autore tra l’altro della neo-

gotica Votivkirche (1856-79), della Hochschule und Museum für angewandte Kunst (1867-71) e della gigantesca, rinascimentale Universität (1873-1884); Theophil Hansen, architetto stori-cista di grande successo, con il Palais Todesco (1861-64), il Müsikvereingebäude(1866-70), il Palais Epstein (1868-72), il Rudolfhof (1871-78) e l’Akademie der bildenden Künste (1871-77); Friedrich Schmidt infine, restauratore della Cat-tedrale di Santo Stefano, con il neogotico Ra-thaus (1872-83) e la monumentale Fünfhauser

Pfarkirche (1874-75). Schmidt è stato tra l’altro maestro di Enrico Nordio, triestino, operante a Trento sul finire dell’Ottocento, restauratore tra l’altro del Duomo nella forma attuale e della Par-rocchiale di Malé.

27 Civil-Techniker. Vienna, a. 8 (1886), n. 27-28.28 Civil-Techniker. Vienna, a. 8 (1886), n. 27-28: 72,

fig. 128,129,130.29 Civil-Techniker. Vienna, a. 8 (1886), n. 27-28: 73-

75, fig 131-134.30 Civil-Tecniker. Vienna, a. 10, (1888), n. 1.31 Civil-Tecniker. Vienna, a. 10, (1888), n. 13.32 Trento, Archivio storico del Comune di Tren-

to, Comune di Trento, Ordinamento austriaco ACTXV/40-85 prot. orig. n. 7090, Lettera del podestà di Trento del 3 agosto 1888.

33 Civil-Tecniker. Vienna, a. 11 (1889), n. 15.34 Civil-Tecniker. Vienna, a. 11 (1889), n. 17.35 Theodor Fisher (1862-1938) fu, oltre che archi-

tetto, valido urbanista. Insegnò a Monaco, poi dal 1902 a Stoccarda, dal 1909 ancora a Monaco. Semplificò dapprima il linguaggio dell’eclettismo storicista utilizzando rigorose soluzioni costrutti-ve. Attraverso queste giunse sul finire del secolo a rifiutare gli stili storici. Celebrato dai contem-poranei per aver affrancato l’architettura da que-sti, è stato poi completamente trascurato dalla storiografia del Neues Bauen, tanto che non si trova traccia della sua opera nelle storie dell’ar-chitettura moderna. Soltanto recentemente la sua opera è stata ripresa da due testi: KerKoFF 1987, e: nerdinGer - sChiCKel 1988, tradotto in Italia due anni dopo.

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«Per l’ingrandimento futuro della città»Il nuovo fabbricato scolastico in via Vittoria: un cantiere nella Trento di fine OttocentoLuca Siracusano

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L’estetica neorinascimentale, lo sviluppo ur-banistico e la promozione del sistema scola-stico favoriti a Trento dalla classe dirigente borghese all’epoca del podestà Paolo Oss

Mazzurana si riflettono nelle vicende che portarono, fra il 1888 e il 1891, alla costruzione del primo edifi-cio affacciato su via Verdi, oggi sede della Facoltà di Sociologia dell’Università degli studi di Trento. Nato come palazzo delle scuole civiche e popolari, il nuovo fabbricato doveva rappresentare, nei disegni dei nota-bili trentini, un’autentica testa di ponte per l’espansione della città nell’area compresa tra la facciata occidentale del duomo di San Vigilio e l’alveo dell’Adige. L’edificio e il nuovo rettifilo di via Verdi, allora denominata via Vittoria, sono infatti nati nello stesso momento. Nella sessione consiliare del 4 aprile 1887 venne decretata con voto unanime la costruzione del nuovo palazzo in località Briamasco, con la conseguente rottura dei secolari argini tracciati dalla cinta muraria medieva-le: nelle esplicite intenzioni dei consiglieri comunali, il luogo prescelto rispondeva al «doppio scopo, e di con-cretare la questione del fabbricato scolastico che è di somma urgenza, e di provvedere per l’ingrandimento futuro della città»1.

L’abbattimento di un tratto delle antiche mura urbi-che e delle vecchie case antistanti il sagrato della catte-drale, dove si apriva un tempo la piazzetta denominata Terlago, la scomparsa dell’orto del beneficio dei Tre Re, che sorgeva a ridosso della cinta muraria, e la devia-zione della roggia di Briamasco garantivano una tabu-la rasa sulla quale il podestà e l’establishment trentino potevano dare corpo ai propri progetti di rinnovamen-to urbano.

La visibilità internazionale conferita al bando di concorso per selezionare il progettista dell’edificio at-testa l’alto livello delle aspettative e l’importanza attri-buita dal municipio alla costruzione. Il 29 aprile 1887 veniva pubblicato l’avviso di concorso su numerose te-state europee (alcune lo pubblicarono per tre giornate consecutive) che andavano da Il Piccolo di Napoli al Wochenblatt für Baukunde di Francoforte, e la notizia del bando veniva trasmessa dal podestà trentino alle sedi comunali di Vienna, Stoccarda e Monaco di Ba-viera. All’appello avrebbero risposto 178 architetti e in-gegneri italiani, austriaci, cechi, elvetici, inglesi, tede-schi, ungheresi che comunicavano il proprio domicilio per ricevere il dettagliato «Programma di concorso per

il fabbricato ad uso delle scuole civiche e popolari», nel quale dovevano trovare posto duemila alunni suddivisi in tre sezioni.

Alla data di scadenza del bando, fissata entro la fine dell’ottobre 1887, giunsero al municipio di Trento venti-due progetti da sottoporre al giudizio della commissione in forma anonima e accompagnati da un motto. Dopo la delibera dei commissari, sottoscritta il primo febbraio 1888 da Carlo Depretis, Giorgio Ciani, Luigi Brugnara e don Giuseppe Giovanelli, direttore della Scuola civica popolare, il consiglio cittadino, riunito nella sessione del 16 febbraio, assegnava i secondi premi agli studi di Giu-seppe Selvelli di Padova e di Lorenzo Garrone ed Enrico Pepione di Torino, cui veniva corrisposta la cifra di 500 fiorini messa in palio per i «due progetti ritenuti meri-tevoli di encomio». Ad aggiudicarsi la commissione del nuovo fabbricato scolastico, con l’annesso premio pe-cuniario di mille fiorini austriaci, fu invece l’architetto Carl Hinträger, che da Vienna aveva inviato il progetto corredato dal motto «Pro Patria». L’esito del concorso trovò ampia risonanza anche grazie alla pubblicazio-ne del progetto vincitore sulla rivista specializzata Der Civil-Techniker 2.

Il palazzo e il suo architetto

Quando si aggiudicò la commissione del nuovo fabbri-cato scolastico di Trento, Carlo Moritz Julius Hinträger (Miskolcz, Ungheria, 2 dicembre 1859 - Gries, Bolzano, 21 gennaio 1913) era un giovane architetto non ancora trentenne. Le ricerche di Sergio Giovanazzi3 hanno por-tato ad una migliore conoscenza della vicenda biografi-ca e della formazione del progettista, allievo di Heirich von Ferstel alla Technische Hochschule di Vienna, di cui sarebbe in seguito diventato professore. Hinträger si era mostrato fin dagli esordi della sua carriera particolar-mente sensibile ai problemi dell’edilizia scolastica, cui avrebbe continuato a dedicarsi attraverso studi e contri-buti scientifici anche dopo l’incidente a cavallo che nel 1901 lo costrinse a ritirarsi a vita privata.

A partire dalla primavera 1888 e per i successivi tre anni, l’architetto intraprese una fitta corrispondenza con il municipio di Trento, cui si impegnava a scrivere in italiano, lingua che, assicurava, stava studiando per non aver bisogno di un interprete ma che probabilmen-

Progetto per i lampioni del palazzo delle scuole popolari e civiche (ora Facoltà di sociologia) disegnato da Carl Hinträger. Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-XV.1885.

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Tavole dei progetti originali della scuole popolari e civiche di Carl Hinträger (ora Facoltà di sociologia) depositati per il concorso indetto dal Comune di Trento. Trento, Archivio Storico del Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-XV.40.1885, tavole allegate.

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te già conosceva almeno in parte: nel corso del proprio iter formativo, l’architetto si era aggiudicato una borsa di studi che gli permise di trascorrere un soggiorno ro-mano. A Trento venivano dunque inviati disegni proget-tuali e mappe, ordinati secondo numeri progressivi, cui facevano riscontro periodici sopralluoghi del progettista per verificare l’andamento dei lavori. Hinträger si rap-portava in prevalenza con l’ingegnere municipale An-nibale Apollonio, incaricato di soprintendere alla nuova fabbrica. Quest’ultimo è senza dubbio una delle figure cardine del rinnovamento urbanistico di Trento all’epo-ca del podestà Oss Mazzurana e fu parte attiva, come si dirà di seguito, in altre importanti campagne costruttive.

L’estetica neorinascimentale promossa da Hinträger aveva incontrato il favore della classe dirigente trentina

e il palazzo inaugurava una serie di tre interventi edi-lizi di stampo storicista diluiti negli anni fra l’Otto e il Novecento, che avrebbero conferito a via Verdi il suo caratteristico aspetto. Risale al 1892, a un solo anno di distanza dall’inaugurazione del fabbricato scolastico, la sede dell’Istituto bacologico, che ospita oggi la Facoltà di economia e commercio. L’edificio fu progettato da Giorgio Ciani, ingegnere municipale che doveva certo condividere gli ideali estetici di Carl Hinträger: Ciani fa-ceva parte della commissione che nel 1888 aveva scelto per il nuovo palazzo scolastico il progetto dell’architet-to di Miskolcz. Fra il 1903 e il 1905, il testimone passò infine ad Emilio Paor, architetto trentino cui si deve la neorinascimentale palazzina della Società filarmonica, che affianca ad oriente il nostro palazzo4.

Cantiere delle scuole popolari e civiche. La fotografia evidenzia

le tecniche di costruzione mediante lunghi scivoli.

Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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Sebbene lodato per la felice disposizione in pian-ta e per la sobrietà decorativa che non eccedeva nel lusso, il progetto di Hinträger fu tuttavia passibile di alcune modifiche, dettate da ragioni di ordine pratico quali l’aumento dell’unica porta prospettata dall’archi-tetto sulla facciata principale ai tre fornici poi effetti-vamente realizzati. Altri cambiamenti furono invece determinati dalla predilezione dei committenti per materiali che potremmo definire più tradizionali. Il municipio aveva ad esempio optato per membrature esterne in pietra calcarea in luogo del cemento previ-sto nel progetto originale e avrebbe chiesto all’archi-tetto di abbandonare la prospettata copertura piana in Holzcement per un più tradizionale tetto con spioven-ti sostenuti da capriate5.

Il cantiere

Nel settembre 1888 la costruzione dell’edificio poteva dunque prendere avvio. L’organizzazione del cantiere prevedeva la suddivisione dei lavori da eseguire in do-dici lotti, cui se ne sarebbe più tardi aggiunto un tre-dicesimo relativo alla decorazione esterna. Per le gare d’appalto associate a ciascun lotto, Hinträger aveva pro-posto alla committenza municipale l’organizzazione di aste ristrette e suggeriva alcuni nomi di ditte con le quali aveva già collaborato. In altri casi fu invece il municipio stesso a rivolgersi all’architetto affinché segnalasse im-prese specializzate, fra cui, ad esempio, «alcune fabbri-che da cui si [potesse] ritirare il bianco di Griffis per le coloriture dei canali di gronda»6.

Cantiere delle scuole popolari e civiche (ora Facoltà di sociologia). Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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Esemplare dell’attenzione di Hinträger per ogni det-taglio della nuova costruzione è il caso dei due grandi lampioni in ghisa che inquadrano l’accesso su via Verdi, dalla lanterna troncopiramidale sostenuta dal fusto a balaustro e dalla base definita da quattro volute montan-ti a doppia curvatura. I due lampioni furono disegnati dall’architetto medesimo e tra la documentazione relati-va al fabbricato scolastico si conserva ancora il progetto in scala 1:15, siglato a Vienna da Hinträger il 26 marzo 1891 e trasmesso per corrispondenza al municipio tren-tino. Da Trento, il bozzetto fu girato ad una ditta vien-nese, la Hess Wolff & Co., che provvide alla fusione dei due manufatti e alla loro spedizione.

Il primo e più importante lotto di lavori era quello relativo alle opere «da sterratore, da muratore, da taglia-pietra, da carpentiere e da copritetto». Ad aggiudicarsi l’asta pubblica, indetta il 14 agosto e tenutasi il 18 set-tembre 1888, fu l’imprenditore trentino Cesare Scotoni. Quest’ultimo era membro di una famiglia di costrutto-ri protagonista a Trento di molte imprese edilizie allo scadere dell’Ottocento, che cambiarono profondamente il tessuto urbano cittadino. Possiamo ricordare, tra gli episodi che lo videro attivo in prima persona, la costru-zione del grande quartiere di caserme posto nell’estrema zona orientale della città e inaugurato nel 1886, realiz-zato su progetto del già citato Annibale Apollonio, che in qualità di soprintendente alla fabbrica del nuovo edi-ficio scolastico si trovava nuovamente a collaborare con Scotoni. La costruzione degli edifici militari rientrava in

un più vasto disegno di fortificazione della regione, che a seguito della perdita asburgica della Lombardia e del Veneto si trovava ad essere ora una zona di frontiera7. In precedenza, l’imprenditore trentino si era aggiudicato altre importanti commissioni pubbliche, quali l’appalto per l’edificazione dell’ospedale psichiatrico di Pergine, eretto fra il 1879 e il 1881 su progetto di Josef Huter8. L’importanza del ruolo rivestito da Scotoni nella costru-zione dell’edificio di via Verdi, in qualità di impresario e capomastro, è confermata dalla presenza del suo nome, accanto a quello di Apollonio e di Hinträger, nel fron-tespizio dell’album fotografico destinato a celebrare l’i-naugurazione del palazzo9.

Il 10 ottobre 1888, finalmente, «continuando una sta-gione bellissima, s’incominciò [...] lo scavo per il dado di fondazione delle muraglie della fabbrica». L’impresa-rio dava quindi avvio ai lavori da sterratore e la terra ricavata dall’orto dei Tre Re venne condotta «mediante carri a due cavali od a due buoi»10 nel parco pubblico in località Centa. La ditta proseguì poi con la demoli-zione delle mura medievali e delle vecchie case che si trovavano di fronte alla porta occidentale del duomo. La successiva costruzione dei paramenti murari e delle impalcature procedeva con metodi piuttosto diversi ri-spetto a quelli che conosciamo: alcune foto d’epoca met-tono in risalto i larghi scivoli utilizzati per il trasporto dei materiali ai piani superiori, in un cantiere che non conosceva l’impiego delle odierne gru.

Per l’esecuzione di questi lavori edili, dobbiamo inol-tre immaginare un cantiere piuttosto «flessibile», nel quale potevano operare solo una dozzina di muratori: come nei primi giorni del 1890, quando, nel gran fred-do, gli operai innalzavano i portali del piano terra. Nei mesi caldi, tuttavia, i muratori potevano essere oltre 40, cui va aggiunto un numero imprecisato di manovali.

Il 13 luglio 1889 risultavano «eseguite tutte le mura-ture del fabbricato fino all’altezza del piano terra» e ver-so la fine dell’inverno seguente non restava che la posa

Atrio delle scuole popolari e civiche (ora Facoltà di sociologia) come appariva al momento della costruzione dell’edificio. Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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dell’ossatura del tetto, da eseguire secondo il contratto siglato il 4 febbraio 1890. Fra le opere della ditta, van-no annoverati anche tutti i lavori da scalpellino, inclusa l’esecuzione delle basi e dei capitelli dorici dell’ingresso principale o dei capitelli compositi che coronano le se-micolonne del registro apicale.

Di una certa importanza era anche il secondo lotto di lavori, connesso ai «serramenti e pavimenti» ma che comprendeva anche l’intaglio del cornicione ligneo a lacunari che corona tutt’oggi l’edificio. Ad aggiudicarsi l’appalto fu Ferdinando Wolf, che fra i maestri presenti nel nostro cantiere è quello che più di tutti giocava in casa: la sua fabbrica, ricordata anche in una pubblicazio-ne dell’epoca volta ad esaltare l’operosità dell’industria austriaca sotto Francesco Giuseppe I11, sorgeva proprio

nell’area di Briamasco e pressoché dirimpetto al nostro palazzo, dove si trova attualmente la Facoltà di Giuri-sprudenza. Come per i già citati lampioni fusi a Vienna, anche per il cornicione si conserva il disegno progettua-le, siglato in calce dal timbro di Carl Hinträger, che in una lettera inviata al municipio apprezzava l’opera del falegname di Trento: «Ho ispezionato i lavori eseguiti dall’impresa Ferdinando Wolf, compresi quelli del cor-nicione principale commessigli dall’impresa Scotoni, e trovai tutto eseguito a regola d’arte ed esattamente con-forme ai disegni ed ai dettagli in grandezza naturale»12. Wolf fu attivo presso altri cantieri pubblici, fra cui quel-lo del palazzo della Camera di commercio e d’industria di Rovereto e, ancora una volta in via Verdi, quello della già ricordata sede della Società filarmonica di Trento.

Interno delle scuole popolari e civiche (ora Facoltà di sociologia). Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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Il palazzo e la sua decorazione

Nell’estate 1891 la costruzione del fabbricato scolastico si avviava alla conclusione e l’edificio era ormai pronto per gli ultimi interventi decorativi interni. Fra le impre-se trentine, austriache e tedesche coinvolte nel cantiere possiamo ricordare il bandaio Giovanni Parisi di Tren-to, i cui operai vennero richiamati dal sorvegliante tec-nico Silvio Pasini perché non rispettavano le misure di sicurezza, la fonderia Reitlinger di Jenbach in Tirolo, la ditta Wassergas di Vienna coinvolta nei lavori idraulici, l’impresa Bayer & Liebfried di Esslingen am Neckar nel Württemberg che aveva fornito gli infissi.

Ad aggiudicarsi i lavori dell’undicesimo lotto, relativi ai «lavori da pittore di stanze», furono i fratelli Lona di Trento, che il 22 luglio 1891 siglavano il contratto con il municipio trentino. Ai Lona dobbiamo le «coloriture decorative dell’interno di alcuni locali, in tutti i corri-doi, i vestiboli, le scale»: si tratta, ad esempio, del fregio a meandro che corona le pareti dell’atrio al piano terra e della decorazione del soffitto a lacunari e rosette, cen-trato da una grande specchiatura ovoidale. Questi brani decorativi, visibili anche nelle foto d’epoca raccolte nel

già citato album fotografico del 1891, sono stati recu-perati solo nel corso del recente restauro, ultimato nel 2009, che li ha liberati da uno strato di ridipintura.

Sempre nel vestibolo del piano terra, attirano l’at-tenzione i due grandi pilastri che, sul lato meridionale dell’atrio, introducono alla scalinata che sale al primo piano. Questi ultimi si differenziano dalle membrature lapidee e dalle rimanenti colonne dell’edificio perché non sono stati intagliati nella pietra calcarea, materiale che costituiva l’elemento di continuità fra il vecchio (la vicina cattedrale) e il nuovo che si andava affermando: i due pilastri sono in granito rosa di Baveno. I sei pezzi separati (le basi attiche, i fusti monolitici e i capitelli) furono ordinati nel luglio 1891 al marmista milanese In-

Particolari dell’interno della Facoltà di sociologia, opera dei fratelli Lona, come appaiono dopo il restauro. Fotografie Paolo Chistè (Università degli Studi di Trento).

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nocenzo Pirovano e viaggiarono su rotaia dalla stazione di Arona a quella di Ala.

Circa un anno prima era stato aggiunto un tredicesi-mo lotto ai dodici previsti nel bando iniziale, rubricato come «lavori da pittore cioè graffiti», che merita un di-scorso a sé stante. Nel contesto architettonico locale del tardo XIX secolo, connotato dalla predilezione dei no-tabili trentini per soluzioni di chiara impronta neorina-scimentale (che, come si è detto, trovavano nel neonato rettifilo di via Verdi il terreno su cui germogliare), è ben comprensibile la decisione di decorare a graffito il fregio del paramento murario esterno e dei due cortili interni, i pennacchi delle finestre dell’ordine superiore e le fine-stre cieche. La tecnica della decorazione a graffito fiorì a Firenze proprio in età rinascimentale e vanta fra le più antiche testimonianze l’ornato bicromo del cortile delle colonne a Palazzo Medici Riccardi, al quale si associano pagamenti a Maso di Bartolomeo del 1452. Nella città toscana, la tradizione di ornare a graffito le facciate e le corti dei palazzi non si era mai interrotta e ancora nel tardo Ottocento poteva vantare numerosi esempi, tan-to più nel fervore del riassetto urbanistico che interessò Firenze a partire dal lustro in cui fu capitale del Regno

d’Italia (1865-1870)13. Il 5 giugno 1890, Paolo Oss Maz-zurana, podestà trentino, si rivolse dunque direttamente al municipio toscano e firmò di suo pugno una lettera per farsi consigliare qualche esperto artigiano, erede di quella illustre tradizione, «conoscendo la valentia degli artisti fiorentini in questo genere di lavori e non conoscendo il nome dei medesimi, […] colla preghiera di volergli indicare il nome e l’indirizzo di alcuni fra i migliori ed onesti artisti allo scopo di entrare secoloro in trattative».

La risposta del comune fiorentino non si fece atten-dere e fu esaustiva14. Non conosciamo tuttavia le ragioni che portarono i committenti del fabbricato scolastico ad imboccare una strada del tutto differente. Fu infatti Alcide Davide Campestrini a siglare il contratto per l’e-secuzione dei lavori del tredicesimo lotto per una spesa finale di circa 2.300 fiorini austriaci. Il pittore trentino veniva da una famiglia di fede irredentista: dopo aver appreso la professione di decoratore, nel 1881 si era re-cato diciottenne a Milano, renitente alla leva nell’eserci-to asburgico. Nel capoluogo lombardo aveva intrapreso gli studi all’Accademia di Brera e anche grazie all’ausilio del marchese Visconti Venosta, presidente dell’istitu-

Decorazioni a finto graffito, opera di Alcide Davide Campestrini, esterno della Facoltà di sociologia. Fotografie Paolo Chistè (Università degli Studi di Trento).

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zione braidense, aveva ottenuto il permesso di rientrare nella sua città natale. Quando nell’estate 1890 si aggiudi-cò la commissione trentina, Campestrini doveva ancora affermarsi come artista e solo quattro anni più tardi si sarebbe aggiudicato il premio Gavazzi con un dipinto di soggetto storico, intitolato i Negligenti ed ispirato ad un passo del Purgatorio dantesco. Grazie a quel succes-so, il pittore poté finalmente entrare a Brera come socio onorario15.

Il 30 giugno 1890, Campestrini inviava da Milano i bozzetti per la decorazione del palazzo al conte Carlo Lodron: non sappiamo se quest’ultimo ebbe un qualche ruolo nella scelta del pittore trentino, ma è certo che il conte figuri tra i personaggi ritratti dall’artista. Dalla corrispondenza con il municipio emerge una certa titu-banza riguardo alla tecnica da impiegare per l’esecuzio-ne dell’ornato: in una lettera del 4 luglio 1890 vengono richiesti al pittore «graffiti finti» mentre quattro giorni più tardi gli si comunica che la giunta municipale si era risolta per «graffiti veri». Venivano inoltre richiesti car-toni in scala 1:1 da applicare sulla facciata per valutare l’impatto della decorazione. L’esecuzione, avviata il 15 luglio e terminata il 6 ottobre, dovette ad ogni modo ricadere sulla tecnica dell’affresco, come confermano i superstiti brani e come aveva modo di far notare al municipio trentino, con tono a dir poco piccato, Carl Hinträger.

«Invece di essere veri sgraffiti – scriveva l’architetto –, le decorazioni del nuovo fabbricato sono semplicemente “affreschi”. I graffiti devono venir eseguiti con due stabiliture di eguale spessore ma di tinta differente; una di queste costituisce l’ornato e l’altra il fondo dell’ornato […]. Riguardo ai finti graffiti del fabbricato devo osservare: 1) che lo stacco fra l’ornato ed il fondo è troppo risentito […] 2) che i disegni […] non corrispondono alle linee architettoniche del fabbricato, e non possono avere la pretesa di essere artistici».16

Come s’è detto, il progettista controllava con scrupolo ogni dettaglio della nuova costruzione e aveva disegna-to personalmente i lampioni e il cornicione ligneo del sottotetto, lodando dell’intagliatore Ferdinando Wolf proprio la fedeltà al disegno fornitogli. Si capisce quin-di come dovesse risultare intollerabile per Hinträger la decorazione di Campestrini, di cui non solo criticava la tecnica esecutiva ma la stessa invenzione: si trattava,

dopo tutto, dell’unico elemento sfuggito al diretto con-trollo dell’architetto, che proponeva addirittura di can-cellare i dipinti murali e di sostituirli con una coloritura a finto marmo. Sarebbe stato il tempo a dare ragione a Hinträger e i girali d’acanto, le candelabre e le grottesche dipinti da Campestrini e dai suoi collaboratori sarebbe-ro in buona parte svaniti poco a poco, consumati dagli agenti atmosferici, probabilmente per un uso non otti-male della tecnica dell’affresco17.

Il 5 ottobre 1891 il nuovo fabbricato delle scuole poteva quindi aprire i battenti agli alunni: non senza qualche intoppo, se alcuni docenti lamentavano nei mesi invernali le temperature assai rigide (6-7 gradi!) che si pativano nelle aule. L’edificio avrebbe affrontato due conflitti mondiali, dopo i quali si resero necessari interventi di restauro, e avrebbe mantenuto la propria destinazione originaria per i suoi primi settant’anni, pur mutando l’intitolazione delle scuole (dapprima Regina Elena, a partire dal 1957 Giuseppe Verdi) e ospitando al secondo piano, a partire dagli anni venti del secolo scorso e per un quarantennio circa, le sale del Museo tridentino di scienze naturali. Il resto è storia recente, con «l’arrivo dei sociologi» nel 1962, il restauro degli intonaci, del cornicione e dei paramenti lapidei esterni del 1994 e quello degli interni del 2006-2009, curato da Sergio Giovanazzi.

Decorazioni a finto graffito, opera di Alcide Davide Campestrini, esterno della Facoltà di sociologia. Fotografie Paolo Chistè (Università degli Studi di Trento).

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1 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-XV- 1885, Protocolli di sessione del Consiglio comunale di Trento, in data 4 aprile 1887.

2 Civil-Technicher. Vienna, a. 11 (1889), n. 1: 1-2.3 Cfr. Sergio Giovanazzi in questo volume.4 Cfr. Giulia Mori in questo volume.5 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-XV- 1885, Protocolli di sessione del Consiglio comunale di Trento, in data 16 febbraio 1888.

6 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-XV-1885, lettera di Paolo Oss Mazzura-na a Carl Hinträger in data 25 giugno 1890.

7 Pasetti medin 2003: 508-509.8 Pasini – Pinamonti 2003: XXVII.9 Trento, Biblioteca Comunale, album fotografico

n. 4. Il frontespizio riporta la dicitura: «a Grata memoria delle comuni fatiche nelle erezione del palazzo scolastico di Trento costruito anche a spese del civico erario in base al progetto pre-miato dell’ ingegnere archetto Carlo Hinträger di

Vienna sotto la direzione dell’ ingegnere Annibale Apollonio con l’opera dell’ imprenditore Cesare Scotoni mdCCCXiC».

10 Trento, Archivio storico del Comune di Tren-to, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-XV-1885, Registro del I lotto di lavori.

11 Gross-industrie 1898: 331.12 Trento, Archivio Storico Comunale, 3.8, XV,

1885, lettera di Carl Hinträger al municipio di Trento in data 21 maggio 1890.

13 PeCChioli 2005 (in particolare: 111-133).14 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-XV-1885, lettera del podestà fiorentino a Paolo Oss Mazzurana datata 23 giugno 1890. Il sindaco toscano suggeriva quali migliori deco-ratori a graffito «i Professori Baldamoli Pietro con studio in via Ghibellina e Burchi Augusto, dimo-rante nel Lungarno Soderini».

15 ambrosi 1894: 494; deGasPeri – niColetti – Pi-setta 1998: 108-113.

16 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8-XV- 1885, Carl Hinträger, Rapporto in occasione della mia IX ispezione ai lavori del

nuovo fabbricato scolastico di Trento, Trento, in data 12 ottobre 1890.

17 A proposito di un dipinto murale di Campestrini, eseguito per la chiesa parrocchiale di San Felice da Nola a Pressano, si scrisse ad esempio che «l’affresco è assai deperito. È la sorte che toc-ca troppo facilmente ai lavori su muro del pittore Campestrini». asson 1964: 20-21.

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Il lungo ritardodella scuola trentina Quinto Antonelli

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L’introduzione nella città delle scuole ispirate alla riforma di Maria Teresa era avvenuta nel 1795, a vent’anni dalla promulgazione della legge, in virtù del legato testamentario lascia-

to da Carlo Sebastiano Trapp. Ma i tempi non erano cer-to propizi agli studi: a partire dal 1796 il Tirolo meridio-nale, in tre diversi periodi, viene occupato dalle truppe di Napoleone. In seguito, nel dicembre 1802 scompare il Principato vescovile. Nel 1805 il Tirolo meridionale pas-sa al Regno di Baviera. Nell’aprile 1909 entra in Trento Andreas Hofer a capo di ventimila insorti, ma nell’otto-bre successivo Trento e il Trentino vengono incorporati nel Regno italico fino al 14 ottobre 1813 quando le trup-pe austriache riprendono possesso della città.

I passaggi delle truppe, la trasformazione delle scuole in caserme e in ospedali, le differenti dominazioni che si alternano ognuna con la velleità di introdurre una pro-pria riforma scolastica, impediscono di fatto, per quasi vent’anni, l’affermarsi dell’istruzione popolare1.

Con la restaurazione, con la riorganizzazione ammi-nistrativa del Paese, trova applicazione anche nel Tirolo meridionale e quindi nella città di Trento il Politische Ver-fassung der deutschen Schulen in den K. K. deutschen Erb-staaten, ovvero la sistematica raccolta di istruzioni, tese a regolamentare ogni aspetto dell’organizzazione scolasti-ca elementare, emanata da Francesco I ancora nel 18052. Il Regolamento politico (così nella traduzione italiana) da un lato riconferma l’impianto scolastico di Maria Teresa e di Giuseppe II, ma dall’altro mette in piedi una rigida, uniforme, armatura legislativa entro cui accentua il pri-mato della religione nella formazione degli alunni e quel-lo della Chiesa nei compiti di sorveglianza e di direzione.

Il problema della frequenza

Tra il 1820 e il 1822 siamo, a Trento, in piena riorga-nizzazione scolastica: la scuola maschile viene collocata presso lo stabile dell’ex ginnasio dei Gesuiti, dato che il ginnasio liceo statale si era definitivamente trasferito nel 1816 nell’ex convento delle Clarisse urbaniste della SS. Trinità. Nel 1822 i fanciulli obbligati alla scuola sono 700, i frequentanti 652 divisi nelle quattro classi previste dal Regolamento politico e in sei sezioni e dunque affidati ad altrettanti maestri che si trovavano ad avere una me-dia di oltre 100 scolari a testa.

La scuola femminile riapre nel 1816 presso l’ex con-vento delle Orsoline, soppresso quattro anni prima. Nel 1822 le fanciulle obbligate sono 720, ma le frequentanti solo 290, meno della metà, divise in tre classi e quattro sezioni3.

Una così ridotta frequenza, quasi uno sfregio all’ob-bligo scolastico, appare clamorosa e preoccupante: da addebitarsi, in parte, alla presenza di tante scuole priva-te, come scrive il direttore don Andrea Garbari a margi-ne della relazione dell’ispettore locale; in parte alle tasse, che ai genitori sembrano gravose. In parte, aggiungiamo noi, ad un costume che, fin dal Seicento, aveva penaliz-zato l’alfabetizzazione femminile.

Quanto alle «scuole» private, queste sembrano più il retaggio della situazione pre-teresiana, quando chiun-que poteva insegnare in casa propria dietro pagamen-to. Il censimento di tutte le maestre e i maestri privati della città, promosso dall’ufficio del podestà nel luglio del 1821, rileva ben 23 situazioni di questo genere. Ac-canto ad alcune istitutrici ed istruttori che rivolgono le loro attenzioni alle famiglie nobili di Trento, troviamo sarte, cucitrici, ex monache, negozianti che insegnano alle bambine quasi esclusivamente a cucire, a ricama-re, a fare la maglia, ovvero i lavori femminili4. La scelta delle famiglie, che sottraggono le figlie alla scuola pub-blica, esprime una netta preferenza per la continuità con il passato, per forme precoci di apprendistato e nel contempo diffidenza per un’istruzione percepita come formale ed «astratta», cui forse non si riconosce un’uti-lità immediata.

Negli anni successivi il problema della frequenza non si risolve, anzi si manifesta con caratteristiche diverse anche nella scuola maschile. A differenza delle fanciulle che alla scuola proprio non si iscrivono, i «giovanotti», come li chiama il direttore in una relazione del 1829, tendono a frequentarla saltuariamente, solo per qual-che mese in inverno: sono figli di «villici», di mugnai, di osti, di filandieri, di tessitori, di facchini, di giornalieri, di zattieri; e ancora, di calzettai, di falegnami, di sarti, di calzolai, di ortolani, di «rivendicoli», di spazzacamini, di vetrai5. Tutti esigono l’aiuto dei figli in famiglia e sul la-voro. Tanto più che il Regolamento politico recepiva una norma di Giuseppe II che consentiva l’impiego di ma-nodopera infantile a partire dai 9 anni compiuti, dopo appena tre anni di scuola6.

Così per recuperare un’alfabetizzazione che si sareb-be persa nel corso del tempo, la Commissione aulica de-

Quaderno degli esercizi della V classe elementare, anno scolastico 1914-1915. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Enrico Guadagnini.

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gli studi introduce nel 1826 «la scuola di ripetizione» di tre anni per i ragazzi e le ragazze nell’età compresa tra i 13 e i 15 anni, da tenersi nei giorni festivi. Con qualche difficoltà si istituisce anche a Trento, ma con la frequen-za che è facile immaginare.

Scuole di campagna, scuole di città

Allontaniamoci dalla città, per lo spazio di un paragra-fo, ed allarghiamo lo sguardo al distretto di Trento così come si presenta a metà del secolo. Sulla base della re-lazione che il Magistrato politico-economico invia nel 1841 al Capitanato circolare possiamo disegnare una mappa piuttosto sorprendente7.

Nei dieci paesi che formano il distretto scolastico (Mattarello, Valsorda, Cognola, Villamontagna, Ra-vina, Romagnano, Gardolo, Sardagna, Montevaccino, Vela) troviamo altrettante scuole «minori» (questa la definizione del Regolamento politico in opposizione alle scuole cittadine dette «maggiori»), formate da due

classi parallele, una per i maschi e una per le femmine, o da un’unica classe promiscua. Ciò significa che nella medesima aula coabitavano per i sei anni dell’obbligo bambini di età differente, dai sei ai dodici anni e che il maestro doveva articolare il suo insegnamento in base all’età, alla preparazione di ognuno, alle abilità acquisite. Siamo ancora alle scuole di alfabetizzazione: «il leggere, lo scrivere ed il far conti sono all’infuori dell’istruzione religiosa, gli unici oggetti d’insegnamento scolastico, dei quali abbisognano gli allievi»8. Vari e diversamente approfonditi sono invece gli oggetti destinati alle scuole maggiori: all’apprendimento della lettura e della scrittu-ra si aggiungono la calligrafia, l’ortografia e la gramma-tica; al far di conto, la geometria e poi nozioni di fisica e di storia naturale e di geografia.

Sorprendente è poi ritrovare nel ruolo di maestro il parroco, il curato o il cooperatore, così com’era costu-me nelle «scolette» parrocchiali di antico regime: segno concretissimo del controllo che l’apparato ecclesiastico esercita sull’organizzazione scolastica; segno, nel con-tempo, anche della scarsa attrazione che la professione di maestro poteva esercitare sui figli della piccola borghesia urbana (scarsissima dal punto di vista economico). E ar-riviamo dunque al compenso, che varia da paese a paese, da scuola a scuola, in base al numero dei bambini e al sesso dell’insegnante: le maestre in genere percepiscono un terzo meno dei colleghi maschi. Si tratta per tutti di uno stipendio ridottissimo: 50/80 fiorini i maestri, 20/30 fiorini le maestre. Assolutamente «tenue» se confrontato, ad esempio, con ciò che ricevono i maestri della scuola maggiore di Trento: 200 fiorini i maestri, 125 gli assisten-ti; 200 fiorini anche le due maestre più anziane, 180 altre due, 120 le assistenti. Certo c’è da considerare il tempo scolastico: la scuola minore di campagna ha la durata di cinque mesi, dal primo novembre fino alla fine di mar-zo (quattro ore al giorno: due al mattino, due al pome-riggio), quando invece le scuole cittadine, coprendo un arco temporale ben più ampio, estendono l’anno scola-stico dal primo novembre fino al 21 settembre.

Il ricorso ai parroci ha dunque una motivazione an-che economica: il povero compenso per il ruolo di ma-estro va ad aggiungersi ad altri compensi e ad eventuali benefici. Ben altro stipendio avrebbe richiesto un laico che avesse voluto vivere della propria professione di in-segnante o, in parole più esplicite, avesse voluto trasfor-mare questa occupazione ancora marginale, buona per preti e donne, in una vera e propria professione.

Interno delle scuole popolari e civiche (ora Facoltà di sociologia). Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

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La scuola femminile delle Figlie del Sacro Cuore

Nel 1844, a completare la confessionalizzazione della scuola, l’istruzione femminile cittadina viene ceduta alle monache del Sacro Cuore. Raccontiamolo con agio questo passaggio. Il progetto nasce negli anni trenta, quando il vescovo Giovanni Nepomuceno de Tschiderer accarezza l’dea di introdurre anche a Trento, sull’esem-pio di Rovereto, l’istituto delle Dame inglesi. La scuola pubblica femminile di Rovereto fin dal 1782 era infatti

gestita dall’istituto educativo che poi era riuscito a pas-sare indenne attraverso la bufera napoleonica e la domi-nazione bavara e quella italica. Con il ritorno dell’Au-stria le Dame inglesi avevano ampliato il complesso di Santa Croce al fine di accogliere le 300 alunne della scuola maggiore e la scuola di metodica per la prepara-zione delle maestre.

Così nel 1839, il vescovo Tschiderer riesce ad ottene-re dall’erario la cessione dell’edificio già monastero del-le Orsoline (rimaniamo sempre nella medesima casa). Restaurati edificio e chiesa, nel maggio 1842 vi entrano

Mappa dell’impero austro-ungarico. In: Atlante scolastico per la geografia politica e fisica. Gotha: Giusto Perthes, 1859.

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cinque suore provenienti da Rovereto. Ma improvvisa-mente due anni dopo, con la risoluzione del 4 giugno 1844, l’imperatore Ferdinando I ordina che nella casa delle Orsoline dovevano entrare, in luogo delle Dame inglesi, le Figlie del Sacro Cuore, un istituto sorto die-ci anni prima a Bergamo e approvato dalla Santa Sede nel 1841. Già nel luglio successivo giungono dunque le prime suore del nuovo istituto che, manifestando un’o-perosità senza precedenti, riescono ad aprire la scuola puntualmente il primo di novembre9.

L’inizio, a detta degli agiografi, sembra promettente, ma anche con le suore del Sacro Cuore il problema della frequenza rimane grave: nel 1846 su 600 ragazze obbli-gate le frequentanti sono 33910; nell’anno successivo su 557 solo 316 si presentano a scuola11.

Capitanato, Magistrato e Direzione scolastica accen-tuano dunque il controllo sulle famiglie e sulle maestre private. Vengono interrogati i capi rione per scoprire la presenza di scuole private non dichiarate. I genitori sono chiamati a giustificare l’assenza delle figlie.

In una relazione diretta al Magistrato politico-eco-nomico, il direttore Garbari scrive esplicitamente che le scuole private sono illegali, che vanno soppresse, che non c’è possibilità di controllo su ciò che insegnano. Ma anche che le nuove scuole pubbliche tenute della Figlie del Sacro Cuore non sono esenti da inconvenienti: «poi-ché a motivo di questa la scuola ordinaria viene degra-data, e considerata come scuola di fanciulle di povera gente, e quindi è poco frequentata. Si aggiunga, esservi chi dica, che la Scuola civica fu introdotta per mero in-teresse. Per questo avviene, che non pochi genitori ama-no meglio di affidare l’istruzione delle proprie figlie a maestre private, od anche di tenerle in casa»12.

Un riordino «classista» delle scuole maschili della città

Il 1850 è, in questa nostra cronologia, un anno impor-tante. Dopo gli eventi del 1848, dopo la promulgazione della cosiddetta «costituzione di marzo» del 1849, alle amministrazioni locali vengono riconosciute autonome attribuzioni. Di più, la legge provvisoria del 17 marzo del medesimo anno relativa ai comuni, pone quest’ultimi al fondamento del moderno stato costituzionale13. In que-sto contesto anche Trento sostituisce le vecchie forme di governo locale (il Magistrato politico-economico di no-mina statale) con una nuova rappresentanza comuna-le eletta dai cittadini. La statuto, approvato il 29 marzo 1851, stabilisce le forme e gli ambiti dell’autogoverno14. Ma già nel 1850 il Municipio prende in considerazio-ne il «problema scolastico» della città. Così un comita-to straordinario, composto da alcuni facoltosi membri del consiglio comunale, propone una riorganizzazione delle scuole popolari maschili, mettendo in atto alcune possibilità offerte dal Regolamento politico del 1805. Il progetto viene presentato dal dottor Antonio Faes il 20 luglio 1850 e approvato dall’assemblea comunale nella seduta del 31 agosto15.

In sostanza, al posto di un’unica scuola maggiore di quattro classi obbligatoria per tutti, viene prevista una pluralità di luoghi educativi in relazione ai supposti bi-sogni delle varie classi sociali che compongono la città.

Esercizio di calligrafia. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Enrico Guadagnini.

Copertina del Libro di lettura per le scuole popolari austriache.

Vienna: Deposito dei libri scolastici, 1916.

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E dunque ci si propone di istituire: «1. Scuole popolari inferiori, dette anche Scuole ele-mentari minori.2. Scuole popolari superiori, dette anche Scuole elemen-tari maggiori.3. Scuole reali, dette anche Scuole civili.4. Scuole dominicali e festive».

Il progetto, che intende separare e isolare i figli delle classi «pericolose», è lucidamente classista e recupera perfino l’eredità del «giuseppinismo», là dove affida al clero e alla religione compiti di subordinazione sociale («La religione salda il difetto della legislazione», aveva scritto molti anni prima Josef von Sonnenfeld, rettore dell’Università di Vienna e ascoltato Consigliere di Stato di Giuseppe II16).

Insomma ai figli del «popolo basso», quello che si «procaccia esclusivamente il sostentamento col lavoro delle proprie mani, e colle materiali fatiche», vanno de-stinate tre apposite scuole popolari inferiori: una nella

parrocchia della Cattedrale, una in quella di Santa Ma-ria Maggiore, la terza nella parrocchia di San Pietro. Ogni scuola deve avere due classi e due maestri capaci di insegnare a leggere, scrivere e far di conto. La direzio-ne è affidata al parroco. La durata è di sei mesi, da no-vembre ad aprile. Inoltre, ai figli dei lavoratori andranno insegnate alcune poche cose:

a) la religione al primo posto perché «la religione com’è il fondamento d’ogni scienza morale, è anche la sola e sicura base di ogni proprietà pubblica e privata»;

b) leggere e scrivere quel tanto che occorre a coloro che faranno gli operai, i facchini, gli ortolani;

c) far di conto ovvero le quattro operazioni: «Le quattro prime operazioni dell’aritmetica bene insegna-te valgono tutto per il popolo che dei corsi d’aritme-tica non sa che farne nella sua povera vita». Quanto alla ginnastica, essa non appare opportuna «per que-sta classe del popolo, che sarà presto chiamata al fisico esercizio della fatica».

Lezioni alle scuole elementari (ora Facoltà di sociologia). Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni storico-artistici, Archivio fotografico storico, Fondo Sergio Perdomi, neg. n. TN 3071.

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Infine non sarà il caso, si afferma, di insistere sull’ob-bligo alla frequenza generalizzata a queste scuole: chi vuole può essere esentato purché dimostri di istruire i propri figli in altro modo.

La scuola popolare maggiore, destinata agli allievi più promettenti, può dunque diventare l’anello di con-giunzione con l’istruzione superiore: tre classi, quattro maestri compreso il catechista, ventidue ore settimanali (religione, leggere, calligrafia, aritmetica – decimali, rot-ti, frazioni, regola del tre semplice –, grammatica, orto-grafia, scrivere sotto dettatura, componimenti).

Ma la parte più innovativa della riorganizzazione proposta consiste nell’intenzione di istituire una scuola reale (scuola dei Realien, delle res, degli affari). Come ramo dell’istruzione elementare, a completamento della scuola maggiore, era già prevista dal Regolamento poli-

tico: «Essa dovrà consistere in una sezione generale, e precipuamente in quella di economia, affinché gli scola-ri, che vogliono dedicarsi all’economia rurale, possano conseguire l’intera loro istituzione, e quelli poi che vo-gliono darsi al traffico, almeno le necessarie cognizioni preliminari»17. Qui invece il progetto, almeno negli in-tenti, sembra essere più ambizioso: una scuola di quat-tro anni del tutto autonoma, divisa in due sezioni con insegnamenti scientifici e tecnici: matematica, aritmeti-ca applicata, tecnologia, storia naturale, fisica, chimica, disegno, storia patria, geografia, scienza di tener libri di cambio, di dogana, e di monopolio, la scienza di com-mercio, l’agraria, amministrazione economica, la cal-ligrafia, la lingua tedesca, la lingua patria, la religione. Programma e organizzazione riprendono in parte il vec-chio Piano per l’erezione di un istituto tecnico nella città

Libro di lettura per le scuole popolari austriache, Vienna:

Deposito dei libri scolastici, s. d.

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di Trento, che Francesco Raspi aveva dato alle stampe nel 183218 e in parte all’Entwurf der Organisation der Gymnasien un Realschulen in Österreich, la legge istitu-tiva dell’istruzione tecnico-scientifica giusto emanata il 16 settembre 1849.

Il piano non incontrerà il favore del Ministero per il culto e la pubblica istruzione, che favorì invece la nasci-ta della Scuola reale elisabettiana di Rovereto, cosicché, come vedremo, le «reali» trentine rimarranno legate all’istruzione di base.

Alla fine degli anni cinquanta le scuole maschili di Trento si presentano come l’esito di un compromesso tra la razionalizzazione voluta dal Municipio e le leggi ministeriali in fatto d’istruzione.

Collocate tutte nel palazzo degli ex gesuiti, troviamo dunque una scuola elementare minore (una sola, non le tre proposte distribuite nelle varie parrocchie sotto il controllo del parroco) composta da tre classi ascen-denti; una scuola elementare maggiore di quattro classi; due classi della scuola reale (dove i maestri più preparati insegnano: lingua tedesca, disegno, storia naturale, ar-chitettura, matematica, aritmetica applicata, geometria, fisica e meccanica, lingua italiana, geografia e storia, calligrafia); il corso dei «preparandi», ovvero il corso di preparazione pedagogica obbligatorio per chi voleva di-ventare maestro, controllato e gestito dal direttore delle scuole don Giacomo Ceola19.

Ma non si creda che la battaglia per la frequenza ob-bligatoria sia del tutto vinta o che l’alfabetizzazione sia

una conquista diffusa ed acquisita una volta per tutte. La lettera del parroco di Piedicastello, don Giovanni Hart-mann, indirizzata al Municipio di Trento ci racconta una realtà parzialmente diversa:

«Nell’anno 1859 conoscendo io la somma ignoranza della gioventù di questo sobborgo, di cui la maggior parte non sapeva neppur leggere, e moltissimi neppur scrivere il loro nome, non potendoli mandare in città di notte tempo, perché fu esperimentato che ciò fu in altri tempi causa di mali morali, per cui i Genitori assolutamente non li manderebbero, ed io stesso mi dovrei opporre, pensava di istituire qui una scuola serale, per il qual scopo pregava questo lodevole Municipio d’una sovvenzione, che fu gentilmente accordata. In quell’inverno del 1859/60 fu di fatti tenuta questa scuola, e molti se ne approfittarono, in modo, che chi non sapeva neppur sillabare, e di questi ve n’erano di 24 anni, poterono alla fine dell’inverno leggere, e s’incominciava anche a scrivere».

Vorrebbe quindi riprendere la scuola serale, ma la popolazione è poverissima e lui non sa come affrontare le spese del lume, dei libri, della legna e quindi supplica il Municipio di provvedere20.

Dieci anni dopo, nel 1868, alla vigilia della radicale legge «fondamentale» che muterà l’organizzazione sco-lastica di base, la statistica delle scuole cittadine è la se-guente: scuola elementare minore maschile, 3 classi con 196 alunni; scuola elementare maggiore maschile, 4 clas-si con 455 alunni; scuola reale maschile, 2 classi con 49 alunni; scuola civica femminile, 4 classi con 266 alunne.

Basilio Armani, Corso elementare di disegno geometrico e prospettico, Trento: Monauni, s. d.

Terzo libro di lettura per le scuole popolari austriache, Vienna: Deposito dei libri scolastici, 1916.

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Appare inequivocabile, ancora all’altezza del 1868, l’asimmetria tra l’organizzazione delle scuole maschili, frequentate da 700 alunni e di quelle femminili (gestite, lo ricordiamo, ancora dalle suore del Sacro Cuore), fre-quentate da appena 266 scolare.

L’esito della legge «fondamentale»: le scuole civico-popolari

La legge di riforma del 186921 è frutto del nuovo corso liberale ai vertici del governo austriaco e del processo di «deconfessionalizzazione» che porta al ridimensio-namento del concordato con la chiesa cattolica, al rico-noscimento del matrimonio civile, all’introduzione del controllo statale sulla scuola.

La legge, che verrà definita «fondamentale», si apre con una dichiarazione di tolleranza: «Ogni scuola po-polare, alla cui fondazione o mantenimento lo Stato, la Provincia od il Comune contribuiscono tutte o parte delle spese, è un istituto pubblico e come tale accessibile alla gioventù indipendentemente dalla professione reli-giosa». E continua disegnando una nuova organizzazio-ne scolastica articolata in quattro punti:a) in luogo della vecchia divisione tra scuole «maggiori» e «minori», vengono istituite nelle città come nelle cam-pagne le «scuole popolari generali» con un repertorio di materie allargato allo studio delle scienze naturali, del-la geografia e della storia, del canto e della ginnastica. Nelle città, le scuole popolari possono essere completate dalle «scuole civiche», che cercano di offrire «a chi non frequenta scuole medie una coltura superiore», ovvero nozioni di fisica e di geometria, di computisteria, di di-

Lezione alle scuole elementari Giuseppe Verdi (ora Facoltà di sociologia). Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni storico-artistici, Archivio fotografico storico, Fondo Sergio Perdomi, neg. n. TN 3076.

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segno geometrico e a mano libera; b) l’obbligo scolastico viene innalzato ai 14 anni, per otto anni complessivi di scuola; c) vengono istituiti gli istituiti magistrali di quattro anni, con annesse le scuole di pratica, per la formazione dei maestri e delle maestre; d) viene prevista e agevolata anche la formazione «in servizio» dei maestri col favorire la nascita di riviste magistrali, con l’istituzione obbligatoria delle bibliote-che scolastiche, delle conferenze periodiche e di corsi di perfezionamento.

All’indomani della riforma, le scuole maschili e fem-minili della città prendono il nome di «Scuole civico-po-polari», provviste di otto classi ascendenti, frequentate da alunni e alunne dai 6 ai 14 anni di età. Il numero esorbi-tante di scolari rende il palazzo degli ex gesuiti del tutto insufficiente, anche perché, in seguito alla Legge «fonda-mentale», ospita, in aggiunta, la scuola pubblica femmi-nile sottratta alla gestione delle Figlie del Sacro Cuore.

Ecco una statistica ragionata dell’anno scolastico 1884/85.

La scuola maschile è frequentata da 1097 alunni complessivi ed è articolata in una scuola popolare nu-merosissima di cinque classi (divise in un doppio corso) con 683 scolari: 83 e 87 nelle due prime, 83 e 87 nelle seconde, 73 e 77 nelle terze, 59 e 56 nelle quarte, 42 e 36 nelle quinte. I maestri sono 10. Alla popolare si ag-

giunge una scuola civica ridottissima di tre classi con 48 scolari in tutto, finalizzata, per riprendere la retorica del momento, «a promuovere una classe di artigiani, di commercianti, di imprenditori in grado di creare lavo-ro e ricchezza». La funzione della «civica» è ribadita di quando in quando e sempre con enfasi sulle pagine del Catalogo delle scuole: «Sia pure la scuola civica scuola di cultura generale, ma di cultura che faccia germogliare a tempo nelle giovani menti le pratiche applicazioni della scienza e dell’arte al lavoro22».

Ma a leggere i numeri, la realtà scolastica è quella che è: l’articolazione della scuola in otto anni progressivi è solo un’illusione, mentre risulta evidente che gli scolari sostano per l’intero periodo dell’obbligo scolastico so-prattutto nelle prime classi della scuola popolare. Solo una ridottissima élite giunge a godere, nella civica, degli insegnamenti della fisica, della meccanica, della chimi-ca, del disegno a mano libera, del tedesco.

La scuola popolare ha anche un corso serale di recu-pero frequentato da 102 giovani, per lo più apprendisti artigiani: il programma è ridotto a cinque ore di italiano e cinque di aritmetica.

Una seconda scuola serale, ma di indirizzo professio-nale, è frequentata da 33 artigiani. È divisa in un corso preparatorio, uno di meccanica e uno di chimica.

Ed infine nel palazzo scolastico trova posto anche la scuola festiva, frequentata da 198 ragazzi di età compre-sa tra i 13 e i 15 anni.

La scuola femminile sconta ancora la concorrenza delle scuole private: è frequentata solo da 292 alunne di-vise tra le quattro classi della scuola popolare23. Rimar-chiamo di nuovo l’asimmetria evidente tra le due scuo-le: solo nell’anno scolastico 1888/89 la scuola femminile giungerà ad avere un corso completo di cinque classi24.

La costruzione del palazzo delle scuole di via Alessandro Vittoria

Questi anni ottanta sono segnati dalla presenza e dal dinamismo del podestà Paolo Oss Mazzurana, che dà corpo e corso alla modernizzazione della città: dal ri-sanamento dei vecchi quartieri alla costruzione delle prime case popolari, all’introduzione dell’energia elet-trica, dentro un più vasto programma di «risorgimento» economico.

Quaderno degli esercizi della V classe elementare, anno scolastico 1914-1915. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Enrico Guadagnini.

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Tra le realizzazioni più importanti e lungimiranti sta la costruzione del grande palazzo delle scuole civico-popolari25. Nel 1886 il Municipio già attiva le pratiche necessarie per la costruzione dell’edificio lungo la via,

Visita dell’imperatore Francesco Giuseppe a Trento, 1894. Il sovrano è riconoscibile mentre esce dal palazzo scolastico (ora Facoltà di sociologia). Trento, Biblioteca comunale di Trento, Fondo iconografico.

del tutto nuova, intitolata ad Alessandro Vittoria. Il 21 gennaio 1887 si apre il concorso pubblico26. I parteci-panti avrebbero dovuto seguire le proposte elaborate dal Municipio, che mettevano in rilievo il ruolo e la funzio-ne della scuola cittadina.

Come si sa, il progetto vincente è firmato da Carlo Hinträger, architetto viennese con larga esperienza nel ramo delle costruzioni di edifici scolastici. Nella relazio-ne inviata al Municipio, riprende e ribadisce gli aspetti più moderni che avrebbero dovuto caratterizzare la futu-ra scuola: i locali ariosi e spaziosi, l’illuminazione a gas, il riscaldamento e la ventilazione secondo i sistemi miglio-ri, un giardino, una palestra per la ginnastica27. Quanto ai diversi accessi voluti dal Municipio, Hinträger scrive: «Le tre sezioni sono affatto divise ed hanno particolari entrate, vestiboli, scale, corridoi e cessi. La prima sezione (cioè scuola popolare maschile) è situata nella parte di mezzo verso la via, che mena al Duomo; la seconda se-zione (scuola civica) è situata a sinistra, e la terza sezione (scuola popolare femminile) a destra»28.

La costruzione delle nuove scuole, che si preannun-ciano imponenti, sono seguite con grande interesse dai cittadini e ancor più dal personale scolastico. Nella cronaca scolastica del Catalogo 1888 leggiamo che «già il piccone e la marra lavorano alacremente ad innalza-re il superbo Edifizio, che attesterà ai più tardi nipoti l’illuminato, sapiente ed intraprendente coraggio della generazione presente e dei padri della patria, che la go-vernano, i quali si accinsero alla grand’opera destinata ad accrescere più che l’esterno decoro della Città, l’ab-bellimento civile e morale dei cittadini; quod est in vo-tis29». L’enfasi si muta in iperbole nel Catalogo dell’anno successivo: «Il nuovo grandioso edifizio scolastico che stà maestosamente sorgendo, e che in riguardo a scuole popolari sarà probabilmente il più grandioso e splendi-do della Monarchia, come Faro di luce della prima spe-cie, resterà monumento glorioso e perenne, per attestare ai posteri con quali cure gli attuali Padri della Patria si argomentassero di educare ad un più prospero avvenire i figli del popolo, le più care speranze della Patria30».

Alla fine dell’estate del 1891 la nuova scuola è finita. L’Alto Adige ne dà l’annuncio il 23 settembre: «Nelle pa-gine della storia di Trento resterà sempre degno di molto encomio questo periodo in cui la città non è rifuggita da sacrificio alcuno, per dare agi, incoraggiamento, splen-dore all’istruzione ed all’educazione del suo popolo»31. In ottobre, 2.105 scolari entrano nel nuovo edificio.

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Obbligo scolastico e lavoro minorile

L’anno successivo il palazzo di via Alessandro Vitto-ria diventa anche la sede del neo istituito Consiglio sco-lastico civico. Con la legge provinciale n. 7 del 30 aprile 1892, la Contea del Tirolo recepisce infatti le direttive sulla sorveglianza già presenti nella legge «fondamenta-le» del 1869 e dà vita, quindi, ad un vero e proprio siste-ma di organi consiliari, che a diversi livelli controllano e dirigono il funzionamento della scuola.

In ogni piccola comunità opera il Consiglio scolasti-co locale, composto dal parroco, dal maestro dirigente, dal podestà e da altri due membri eletti dalla rappre-sentanza comunale: amministra il fondo scolastico, ha cura dell’edificio, promuove la frequenza, sorveglia la durata della scuola e la disciplina degli scolari. A livello superiore, il Consiglio scolastico distrettuale è l’anel-lo di congiunzione tra la miriade di consigli locali e il

Consiglio scolastico provinciale di Innsbruck, diretto interlocutore del Ministero del culto e dell’istruzione. A Trento e a Rovereto vengono introdotti, con i medesimi compiti di quelli locali, i Consigli scolastici civici.

Il Consiglio che si insedia a Trento nell’autunno del 1892 è composto dal podestà Paolo Oss Mazzurana (presidente di diritto) e, quali membri, da monsignor De Zambelli, preposito, don Giuseppe Divina, parroco di San Pietro, Vincenzo Paissani, ispettore scolastico di-strettuale, Francesco Holzer, direttore dell’Istituto ma-gistrale femminile, don Giuseppe Giovanelli, direttore delle scuole civico-popolari (sostituito da lì a poco da don Luigi Rigo); e dai consiglieri comunali Luigi Bru-gnara, Francesco Larcher, Vittorio de Riccabona.

La sorveglianza del Consiglio scolastico civico, sol-lecitata ossessivamente dal direttore don Luigi Rigo, viene orientata soprattutto sugli alunni a rilevarne la frequentazione, a concedere o meno l’esonero dall’ob-

Cerimonia per la consegna della bandiera alle scuole elementari di via Verdi, alla presenza di Ernesta Bittanti, vedova di Cesare Battisti. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio iconografico Battisti.

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bligo scolastico, a censurare i casi di indisciplina. Dalle note e dalle relazioni emerge, nel primo decennio del Novecento, una situazione sociale piuttosto drammati-ca: i genitori contadini ed artigiani – scrive don Rigo – «lottano tra l’indigenza e il dovere e le autorità ne re-stan perplesse»32. Lottano, in altre parole, tra l’esigenza di avviare i loro figli al lavoro prima dei 14 anni e il rispetto dell’obbligo scolastico. Di qui le assenze e le richieste, a centinaia, di esonero. Qualche nome, qual-che professione.

Mario Bampi, 13 anni, nel 1906 «è già collocato all’ar-te come intagliatore presso Antonio Antonielli, dichiara la madre – ed è inscritto e frequenta la scuola d’arti e mestieri. Il ragazzo non ha alcuna voglia di continuare le scuole popolari»33.

La madre analfabeta di Annibale Bertoldi, 12 anni, detta la sua richiesta in questi termini:

«Si presenta la Sig.a Fanni Bertoldi e dichiara di essere costretta per urgenti bisogni di famiglia a chiedere l’esenzione del figlio Annibale. Essa ha 6 figli tutti giovani e sprovveduti; il ragazzo ha perso ogni amore allo studio in vista dei continui maltrattamenti avuti dal maestro nell’ultimo anno scolastico, percui ben poco si potrebbe aspettarsi nel farlo continuare la scuola dove si reca di mala voglia. Egli si dedicherebbe invece tosto alla professione di tagliapietra e frequenterebbe la scuola d’arti e mestieri, dove potrebbe ricavare molto miglior profitto che alla scuola popolare».

Emanuele Galvagni, 13 anni, parte per Lipsia. Giu-seppe Pelz, 12 anni, è avviato al lavoro di fabbro.

Federico Lunardelli, contadino, chiede un parziale esonero dalla scuola per i suoi figli Achille, di 9 anni e Luigi di 11 anni «adoperando gli stessi per l’ultimazione dei lavori di campagna».

Nel 1909 le domande accolte di esenzione dalla scuo-la sono 55934.

Così Augusta Gretter, 12 anni, lavora nella Filanda Ferrari; Stefania Zanetti, 11 anni, fa la stagione dei bachi da seta; Luigi Parziani, 12 anni, è apprendista falegna-me; Carlo Prada, 13 anni, è occupato in un negozio di manifatture; Giuseppe Baldo, 13 anni, serve in un nego-zio di coloniali; Nerino Cattani, 12 anni, viene esonerato per fare il tagliapietra; Mario Bazzanella, 12 anni, fa il vetraio con il padre; Giuseppe Dorigatti, 12 anni, è ap-prendista fabbro.

Maestri «scomodi»

La legge «fondamentale» del 1869 mette anche le basi per una crescita professionale dei maestri trentini. Negli anni ottanta, proprio a partire dalla scuola di Trento, si diffondono sul territorio le associazioni magistrali con la rivista Il Didascalico, che si inserisce nello straordina-rio circuito delle riviste didattiche italiane riportandone, a beneficio del pubblico trentino, esperienze ed idee35.

I maestri diventano protagonisti, per prima volta, della loro professione e dell’organizzazione scolasti-ca: sul piano della difesa dei loro diritti diventano un interlocutore attivo e talvolta scomodo per il governo provinciale.

Questa nuova consapevolezza intellettuale, questa acquisita autonomia culturale, questa inedita presenza associativa suscitano l’allarmato controllo delle gerar-chie scolastiche. In primo luogo del Consiglio scolastico civico, che non manca di intervenire e di censurare ogni comportamento considerato politicamente sospetto o scorretto: la partecipazione ad una gita ciclistica, la pre-senza ad un comizio socialista o alla conferenza di un intellettuale sgradito. Come capita alle sorelle Conci,

Copertina de «Il didascalico», rivista delle Società magistrali trentine.

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maestre a Trento e alla Vela, colpite il 26 aprile 1911 da «severa redarguizione» per aver preso parte alla confe-renza di Romolo Murri36.

Ma l’evento forse più significativo, con il quale chiu-diamo questa cronistoria, succede nel giugno 1909. Pri-vati del diritto di sciopero e di rappresentanza sindacale, i maestri devono inventarsi «gesti» dimostrativi, come, appunto, quello clamoroso inscenato a Trento la dome-nica 10 giugno 1909, quando si rifiutano di accompa-gnare gli scolari alla processione del Corpus Domini37. La motivazione ufficiale è economica: i maestri trentini non sono forniti dell’abito di cerimonia e non hanno i denari per comperarne uno nuovo («non possono asso-lutamente permettersi il lusso d’un vestito assai costoso da indossarsi una volta l’anno»). Il gesto vuole sottoli-neare ed amplificare la «miseria» della retribuzione loro concessa, ben al di sotto di quella percepita dagli altri impiegati dello Stato di pari livello, ma nondimeno si qualifica come anticlericale, denunciando l’ambiguo intreccio tra chiesa e scuola, la pervasività dei riti, la presenza della scuola organizzata nelle feste religiose, la

precettazione dei maestri senza rispetto per la loro li-bertà di culto.

Tanto più che il rifiuto avviene a tre mesi di distan-za dal voto del Consiglio comunale di Trento favorevo-le all’abolizione dell’obbligo della frequenza alla messa quotidiana da parte degli scolari, che aveva suscitato lo sconcerto della Chiesa e del movimento cattolico38.

In giugno lo scandalo si rinnova e il Consiglio sco-lastico civico muove contro i maestri una durissima censura: l’ispettore Antonio Valentini denuncia i mae-stri per aver disprezzato «il sentimento religioso di tan-te tante famiglie», mentre i parroci di San Pietro e di Santa Maria, membri di diritto del Consiglio, parlano apertamente di «scandalo gravissimo». Alla fine giun-ge la pena disciplinare della «redarguizione», secondo il paragrafo 47a) della legge provinciale 30 aprile 1892, «per impedire ulteriori insubordinazioni, per tutelare il prestigio ed il decoro dell’Autorità scolastica, e per ri-cordare ai maestri i loro obblighi di saggi educatori, che essi si sono assunti inviolabilmente col prestato giura-mento di servizio»39.

1 antonelli 2001: 9-46.2 Cfr. reGolamento PolitiCo 1847. L’edizione ripor-

ta il testo del 1805 e le ordinanze posteriori; in nota quelle in corso nelle singole province. Cfr. antonelli 2003: XXiX-lXiv.

3 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–VII.1826. Relazione dell’ ispettore loca-le Conte Lodron Laterano del 14 febbraio 1826 indirizzata al Magistrato civico di Trento.

4 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Co-mune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–VII.1821. Verbale: Trento, 29 luglio 1821.

5 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XXIV.1829. Relazione del direttore don Andrea Garbari, anno scolastico 1828/29.

6 reGolamento PolitiCo 1847: sezione decima quinta, §. 310, pp. 177-178. Sulla questione si veda albertini 1996.

7 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XXIV. 1842.

8 reGolamento PolitiCo 1847: 21-23.9 rosati 1905. rosati 1931: 5-12.10 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XXIV 1846. Relazione del direttore don Andrea Garbari, 2 agosto 1846.

11 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Co-mune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XXIV 1847.

12 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XXIV 1847. Relazione del direttore don Andrea Garbari, 14 marzo 1847.

13 biGaran 1996.14 reGolamento Comunale 1851.15 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XXIV.1850. Riferimento del comitato straordinario eletto dalla cittadina rappresentan-

za onde preavvisare ai bisogni di riforme dell’ i-struzione elementare in base al piano ministeriale di organizzazione delle scuole reali, civili, e popo-lari, Trento nel giugno 1850.

16 sonnenFels 1784: 55.17 reGolamento PolitiCo 1847: 19-20.18 rasPi 1832. sPaGnolli 1999: 38-40.19 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XV 1859. Lettera del direttore delle scuole don Giacomo Ceola, indirizzata al Ca-pitanato con lo stato del personale della Capo scuola maschile di Trento, 11 gennaio 1859.

20 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XV. 1861. Lettera del parroco di Piedi-castello, don Giovanni Hartmann al Municipio di Trento, 12 novembre 1861.

21 leGGe 1869.22 CataloGo 1878/1879.23 CataloGo 1884/1885.24 CataloGo 1888/1889.25 Corradini 1999/2000. Corradini 2001: 169-182.26 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XV. 40.1885: Atto del Municipio di Trento, 21 gennaio 1887.

27 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XV.40. 1885: Relazione concernente il progetto di concorso per un edificio scolastico popolare e civile in Trento, presentata in data 29 settembre 1887, n. prot. 9443. «Le idee princi-pali del progetto».

28 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Ordinamento austriaco, ACT3.8–XV.40. 1885: Relazione concernente il progetto di concorso per un edificio scolastico popolare e civile in Trento, presentata in data 29 settembre 1887, n. prot. 9443. «Spiegazione dei piani A. Divisione».

29 CataloGo 1887/1888.

30 CataloGo 1888/1889.31 L’Alto Adige, 23 settembre 1891, «Il nuovo edifi-

zio scolastico».32 CataloGo 1900/1901.33 Trento, Archivio storico del Comune di Trento,

Comune di Trento, Archivio del Consiglio scola-stico civico, busta 16.6: «Domande di esenzione dall’obbligo scolastico anno 1906». Anche le ci-tazioni che seguono sono tratte dalla medesima busta.

34 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Archivio del Consiglio scola-stico civico, busta 19.28: «Domande di esenzio-ne dalla scuola, 1909».

35 Chiosso 1992: 141-142. Il dizionario curato da Giorgio Chiosso contiene anche una scheda sul Didascalico, in cui tra l’altro si scrive: «Alla fine del secolo Il Didascalico contava 950 abbonati, su un totale di 1.100 maestri trentini […] con un buon numero di copie diffuse anche in Istria tanto da ambire per un momento a divenire ‘l’organo di tutti i maestri italiani della Monarchia’, cioè anche di Trieste, del Goriziano e della Dalmazia».

36 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Archivio del Consiglio sco-lastico civico, busta 25.40: «Sorelle Conci e Ro-molo Murri».

37 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Archivio del Consiglio scola-stico civico, busta 21.50: «Atti riflettenti l’asten-sione dei maestri dalla processione del Corpus Domini nell’anno 1909».

38 Il Popolo, 4 marzo; 6 marzo; 8 marzo 1909. In particolare si legga il numero del 19 aprile 1909, «Il comizio di Trento contro l’obbligo della mes-sa», che riporta l’ intervento di Cesare Battisti.

39 Trento, Archivio storico del Comune di Trento, Comune di Trento, Archivio del Consiglio scola-stico civico, busta 21.50: «Atti riflettenti l’asten-sione dei maestri dalla processione del Corpus Domini nell’anno 1909». «Verbale del Consiglio scolastico civico di Trento del 9 luglio 1909».

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Il Museo di storia naturale Cinquanta anni in via VerdiGino Tomasi

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Il destinare ai musei un collocamento nei palazzi più prestigiosi dei centri urbani ha da sempre costituito una tendenza osservata non solo nelle grandi città, ma anche nei centri minori. Tendenza che sembra

denotare un parallelismo con la natura stessa dei mate-riali scientifici, artistici o storici accolti nelle ostensioni, che venivano scelti, fino a tempi recenti, privilegiando i pezzi più prestigiosi per aspetto, rarità, eccezionalità.

Una chiara dimostrazione della considerazione di cui godevano anche nella città di Trento queste strutture culturali, che hanno sempre goduto di particolare ap-poggio da parte delle amministrazioni comunali, è data dalla destinazione delle collezioni espositive del Museo di storia naturale. Fino alla vigilia dell’accoglimento nel palazzo scolastico di via Verdi, avvenuta nel 1922, le collezioni trovarono tre collocazioni diverse. Sempre però in palazzi centrali di rilevante importanza storico-architettonica: il palazzo Thun in via Belenzani (colle-zioni botaniche e mineralogiche accolte in 69 vetrine), il Palazzo Vecchio al Castello del Buonconsiglio (colle-zioni petrografiche e paleontologiche in 44 vetrine) e il palazzo scolastico (con l’ingresso iniziale di collezioni zoologiche e varie in 65 vetrine).

Se questa collocazione in sedi cittadine di elevato prestigio può essere rivelatrice dell’attenzione riservata a queste istituzioni culturali in via di affermazione, nel contempo essa era scarsamente governabile oltre a ren-dere difficoltosa una fruizione pubblica.

Riconosciuta l’idoneità funzionale, il prestigio edifi-ciale e di centralità e la gradevole convivenza con la pre-esistente utenza scolastica, agevolata anche dalla indi-pendenza di accesso, venne deliberata la destinazione al Museo del piano superiore del palazzo scolastico di via Verdi1. Nel contempo furono adottate altre indipendenti soluzioni per i musei storico-artistici, nei confronti dei quali non era più proponibile la commistione.

L’organizzazione degli spazi

Bisogna però attendere il 1924, grazie soprattutto alla dedizione e alla riconosciuta competenza di Giovanni Battista Trener, per una concreta e completa unifica-zione delle collezioni e per l’allestimento di laboratori, biblioteca, servizi vari. Va precisato che la loro priorità di approntamento e di distribuzione doveva ubbidire

all’appagamento delle tre funzioni che ormai il Museo era in grado di seguire dignitosamente: l’esposizione dei materiali, l’incremento delle collezioni, la ricerca natu-ralistica. L’armonica coesistenza di questi fattori della normale fisiologia musearia determina i connotati e il successo di questi strumenti culturali.

Il periodo storico e la mentalità operativa del primo direttore Trener hanno decisamente favorito quelle ope-razioni di rispondenza esteriore in grado di dimostrare nuove capacità, soprattutto di fronte alla incontestabile maggiore affermazione scientifica del finitimo mondo tedesco. Questa volontà, che possiamo chiamare agoni-stica, si è tradotta in forme dimostrative di grande posi-tività, quali congressi, campagne di ricerca, creazione di canali editoriali e in particolare nell’intenso incremento dei patrimoni collezionistici, che tendevano alla com-pletezza. Il prezzo però di questa così acclamata attività è stato quello di lasciare le ostensioni per il pubblico, pur di notevole vastità, in una veste di avvertibile tra-scuratezza e povertà di corredi informativi2.

Il successore di Trener, dal 1932 al 1945, Lino Bo-nomi, non apportò sostanziali innovazioni agli appara-ti divulgativi, preferendo, grazie anche alla sua innata cordialità, potenziare i rapporti con istituti di ricerca e musei, portando in tal modo lustro e simpatia al nome del museo trentino.

Il ritorno del Trener dal 1945 al 1954 si tradusse nel-la creazione del Centro di studi alpini, facente capo al Consiglio nazionale delle ricerche, del quale il Museo divenne sede organizzativa3. Le ricerche in tal modo effettuate erano indirizzate a tematiche scientifiche di forte impegno e coinvolgimento specialistico. Di conse-guenza l’assetto delle esposizioni al pubblico, pur nella loro ricchezza e compostezza informativa, non hanno subito nessuna segnalabile evoluzione.

Al suo decesso, avvenuto nel 1954, seguì un regime commissariale previsto di breve durata, ma che in realtà durò un decennio. Nonostante la penuria di finanzia-menti, il direttore scientifico Vittorio Marchesoni, assie-me a quello amministrativo Luigi Tomasi, riuscirono a dare al Museo quella fisionomia operativa che i tempi richiedevano, armonizzando la ricerca scientifica e la relativa pubblicazione con la cura delle collezioni e con più evoluti criteri di divulgazione.

Nel 1964, riconosciuta la difficoltà di continuare con il complesso meccanismo di finanziamento regionale e comunale, venne istituito con legge provinciale il Mu-

Sala espositiva del Museo tridentino di scienze naturali situato all’ultimo piano delle scuole elementari Giuseppe Verdi (ora Facoltà di sociologia). Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni storico-artistici, Archivio fotografico storico, Fondo Sergio Perdomi, neg. n. TN 2763.

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seo tridentino di scienze naturali. Lo statuto, totalmente rinnovato, ha permesso l’autonomia gestionale, affidata ad un consiglio di amministrazione e un comitato scien-tifico, la nomina di un Direttore effettivo nella persona di Gino Tomasi, l’adozione di un articolato organigram-ma del personale, la garanzia della continuità editoriale, il potenziamento e la creazione di nuove sezioni stac-cate, la possibilità di effettuare precisi programmi di campagne di ricerca e soprattutto di adeguarsi gradual-mente ai più moderni criteri di museografia. È l’inizio di una fase di sviluppo in continua evoluzione, ma che subì una brusca interruzione a seguito della destinazione di tutto il palazzo alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento.

Ne seguì la prima indicazione per una nuova sede al palazzo delle Albere, dove ancora negli anni 1973-74 iniziarono i lavori di adattamento. Riconosciuta poi la impossibilità di rimediare alla insufficienza di spazio, fu prospettata la destinazione del palazzo Voltolini-Ben-venuti in via Belenzani, intendimento subito superato dalla maturata disponibilità del palazzo Sardagna in via Calepina.

Nel 1975 furono effettuate le impegnative operazioni di trasloco. Riferendosi solamente alle strutture esposi-tive, e non alle altre difficoltà, esse dovettero essere quasi completamente sostituite, nonostante un recente rinno-vo, date le caratteristiche architettoniche della nuova sede, che non ne permettevano un riuso. Lo stesso com-pleto rifacimento si rese necessario anche per gran parte dei contenitori delle collezioni scientifiche.

La lunga permanenza, dal 1922-24 al 1975, nel pa-lazzo non portò alcun intervento tecnico degno di se-gnalazione. Unico adattamento fu quello all’accesso al sottotetto, che permise un utilizzo di abbondanti spazi

inutilizzati e l’allestimento di un modesto ma funzio-nale osservatorio meteorologico, che accolse il corredo strumentale già operante nelle dismesse stazioni cli-matiche condotte dal Centro di studi alpini a Merano e Gries.

I congressi

L’utilizzo della sede per lo svolgimento dei congressi, riunioni, corsi, favorito anche dalla notevole capienza dell’aula magna e fino ad un certo tempo della fore-steria, caratterizzò e diede prestigio al Museo. La loro elevata frequenza, la diversità di motivazioni e risultati culturali rendono qui inaffrontabile una loro cronaca. Due di essi però sono particolarmente significativi.

Nel 1924, in occasione della traslazione della salma di Giovanni Canestrini nel famedio cittadino, fu inau-gurata nella sede di via Verdi la sezione di zoologia. Ciò costituì l’occasione per un fruttuoso incontro di autorità e studiosi italiani e trentini, in un periodo in cui poteva-no ormai considerarsi sedate, almeno nel pensiero degli studiosi, l’acredine e la ripulsa che anni prima avevano accompagnato il pensiero del grande zoologo evoluzio-nista darwiniano.

Di eccezionale prestigio la XIX riunione della Società italiana per il progresso delle scienze (SIPS), effettuata a Bolzano e Trento dal 7 al 14 settembre 1930, organizza-ta e sostenuta dal Museo, le cui motivazioni scientifiche erano accompagnate dalla volontà del fautore Trener, di rinsaldare i rapporti culturali tra le due città nel quadro di quella regionalità sempre da lui tenacemente perse-guita.

Il successo fu così grande da dare a questo evento una eco mai raggiunta prima e, secondo taluni commenta-tori, nemmeno in tempi successivi. Memorabile la mo-bilitazione di illustri scienziati. Tra i più noti in campo naturalistico, tecnico e medico vanno ricordati Gugliel-mo Marconi, che soggiornò a Trento presso la foresteria del Museo, Agostino Gemelli, Sergio Sergi, Giorgio Dal Piaz, Giovanni Gentile, Francesco Vercelli, Pericle Du-cati, Luigi De Marchi, Roberto Almagià, Luigi Devoto, Enrico Fermi, Alessandro Ghigi, Alberto Blanc ed altri. Le loro relazioni scientifiche ad alto livello tenute nelle due sedi vennero ospitate in due corposi volumi di totali 1.720 pagine4.

Biblioteca del Museo di Storia Naturale di Trento situato all’ultimo piano delle scuole elementari Giuseppe Verdi (ora Facoltà di sociologia). Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni storico-artistici, Archivio fotografico storico, Fondo Sergio Perdomi, neg. n. TN 2765

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Pagina iniziale del Registro di foresteria del Museo con le firme dei partecipanti al Congresso SIPS del 1930. È riconoscibile la firma di Guglielmo Marconi.Trento, Museo tridentino di scienze naturali.

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Nessuna migliore occasione di questa per dare so-lenne inaugurazione al Museo di storia naturale. La cerimonia si svolse alla presenza del principe di Udine in rappresentanza del Re d’Italia, del Ministro dell’edu-cazione nazionale Giuliano Balbino, del senatore Luigi Simonetta in rappresentanza del Senato, di S. E. Gu-glielmo Marconi presidente dell’accademia d’Italia e del Consiglio nazionale delle ricerche. Quest’ultimo presie-dette a Trento la prima riunione plenaria del C.N.R, e in questa occasione eminenti personalità presentarono i loro rapporti su aspetti scientifici e tecnici interessanti in particolare modo il Trentino-Alto Adige.

Associazioni ed enti ospiti

Oltre ai normali rapporti con musei e istituti scientifici, il Museo ha stabilito durature intese collaborative con associazioni naturalistiche ed ambientali in gran parte locali. Di esse un sommario elenco in ordine alla data di nascita e di ingresso nel palazzo scolastico.

La Società di scienze naturali, erede della Società di scienze naturali della Venezia Tridentina, nata nel

1929, a sua volta derivata dalla Società del Museo civico di storia naturale, fondata nel 1859, rinasce e riprende la sua attività dal 1948 in poi, con un totale rinnovamento statutario, assumendo la duplice funzione di creare un accesso alla vita del Museo mediante un libero atto as-sociativo che permetta di partecipare alla sua vita con spontanee iniziative5, e contemporaneamente di per-seguire una più diffusa ed autonoma azione divulgati-va, in tal senso compensativa della più severa fisiologia museologica. La creazione e la diffusione di un proprio periodico rende atto del suo successo. È motivo di com-piacimento annotare che è difficile ravvisare i confini di attività in gran parte condivise tra Museo e società, non solo nei campi seguiti, ma nel personale coinvolgimento dei fautori.

Pro Cultura. Costituisce legittimo vanto del Museo quello di aver messo a disposizione per tutta la dura-ta della sua permanenza nel palazzo scolastico, dal 1922-24 al 1975, il salone delle conferenze ed ospitato la ricca biblioteca della benemerita Pro Cultura. Que-sta organizzazione, diffusa anche nelle principali vallate, dal 1900 e con le sole interruzioni delle due guerre, ha avuto il merito di costituire, grazie alla continua dedi-zione di illustri nomi locali, la più grande e libera so-cietà culturale trentina rivolta sia a tutti i settori dello scibile, sia alla stimolazione conoscitiva e al dibattito sui più accesi problemi sociali. La fitta serie di conferenze e corsi ne sono chiara dimostrazione. Si ricordano con ammirazione la serie delle «Lecturae Dantis»6 di Giulio Benedetto Emert, le recite poetiche di Edda Albertini, le lezioni botaniche ed idrobiologiche di Vittorio Mar-chesoni, le reiterate prese di posizione delle nascenti Associazioni protezionistiche in materia di paesaggio, flora, fauna ecc. Attività tutte queste ed indirizzi di pen-siero che, con gli inevitabili adattamenti storici, tuttora sopravvivono.

Sezione di agrogeologia e fitopatologia. Per ini-ziativa di Giulio Catoni, da sempre grande amico e so-stenitore del Museo, ancora nel 1922 furono create le basi per l’istituzione di tale sezione, d’intesa con l’Istitu-to agrario di Trento. Essa fu operativamente consolidata nel 1929, con la messa a disposizione del relativo ufficio ed annesso laboratorio. Ne seguì una fattiva partecipa-zione all’affermazione del Museo in tutti i suoi program-mi, durata fino al periodo bellico.

Movimento italiano per la protezione della natu-ra (MIPN) – Sezione di Trento. Dal 1954 questa bene-

Successive sedi cittadine del Museo di Storia Naturale: 1. Palazzo Salvadori in via Manci (dal 1846) – 2. Palazzo a Prato in via Calepina (dal 1857) – 3. Palazzo Thun in via Belenzani – 4. Castello del Buonconsiglio – 5. Palazzo scolastico in via Verdi (dal 1922-24 al 1975) – 6. Palazzo Sardagna in via Calepina (dal 1975).

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merita Associazione, fondata nel 1948, fu ospitata pres-so il Museo, dove operò in perfetta intesa fino al 1960 in maniera ufficiale, ma con perduranti iniziative editoriali anche negli anni successivi, quali la coedizione dal 1954 al 1970 di più di una ventina di scritti per la salvaguardia della natura in tutte le sue manifestazioni.

Sezione di Trento dell’Istituto di geologia dell’U-niversità di Trieste. Con convenzione del 1965 venne stabilita una intesa collaborativa tra i due enti, in atto ormai da diversi anni per iniziativa del direttore dell’I-stituto stesso, Giulio Antonio Venzo. Ne seguì una inin-

terrotta attività di ricerca per la stesura di una Carta della franosità, sistemazione geoidrologica dei versanti montuosi consecutiva alle alluvioni, con ricerche ed in-terventi protratti per molti anni.

Comitato onoranze bresadoliane. Creato nel 1965 con la finalità di gestione del patrimonio scientifico bre-sadoliano, consistente soprattutto nel completamento editoriale della sua Iconographia mycologica e relativa diffusione. La sua attività si concluse nel 1983 ed il re-lativo patrimonio passò al Museo e venne devoluto ad iniziative editoriali in campo botanico.

Esposizione del Museo tridentino di scienze naturali nei corridoi dell’ultimo piano delle scuole elementari Giuseppe Verdi (ora Facoltà di sociologia). Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni storico-artistici, Archivio fotografico storico, Fondo Sergio Perdomi, neg. n. TN 2764

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Comitato etnografico trentino. Taluni aspetti e si-gnificati dei materiali etnografici erano in primo tempo ritenuti collegabili alle tematiche proprie di un Museo naturalistico. Questa considerazione fece accettare la proposta, fatta da un cultore della materia, Giuseppe Šebesta, di raccogliere, studiare ed esporre gli strumenti relativi agli usi e costumi delle popolazioni alpine. A tale fine venne costituito nel 1965 un Comitato, costituito da sei esperti ed amministratori. Il materiale raccolto con il finanziamento del Museo fu stipato nei magazzini dei sotterranei, ma sia la loro volumetria che l’imprevisto impegno che comportava l’iniziativa, accompagnato dalla prospettiva della costituzione di un Museo au-tonomo degli usi e costumi della gente trentina a San Michele all’Adige, segnarono nel 1972 la rinuncia alla gestione di questa prestigiosa sezione.

Gruppo di studio per il rilevamento delle risorse idriche. Gli studi relativi a questa ricerca, affidati dall’am-ministrazione provinciale ad Enzo Vuillermin, ed effet-tuati dal 1967 al 1976, portarono ad un inventario delle risorse idriche del Trentino-Alto Adige. L’urgenza di tali studi è dimostrata dalla considerazione che delle circa 9.000 tra sorgenti, pozzi, falde, opere di presa, solo 1.500 avevano sufficienti dati descrittivi. Gli operatori ospitati presso i laboratori del Museo provvidero alla raccolta ed archiviazione dei dati ed alla finale relazione di sintesi.

Laboratorio di idrobiologia. Dal 1967 una conven-zione tra il Museo e l’ispettorato regionale per la caccia, pesca e protezione della natura permise l’istituzione del laboratorio, affidato ad Alvise Vittori. Ne seguì un pe-riodo di grande attività, considerato che la problematica in materia si rivelava in continua urgente ricerca di so-luzioni.

Gruppo micologico «Giacomo Bresadola». Nato nel 1957 per iniziativa di un gruppo di appassiona-ti locali, il Gruppo fu accolto nel Museo nel 1967, con l’assegnazione di una sede stabile. Ne seguì una intensa collaborazione, dato che esso perseguiva preferenzial-mente conoscenze naturalistiche nel campo micologico, non solo riguardanti la sistematica, ma anche l’ecologia, la tossicologia ecc. A sua cura una mostra micologica annuale, corsi di addestramento per operatori profes-sionali di ispezione sanitaria, ricerche ecc. Il successo di questa sua attività varcò presto i confini provinciali e si dilatò in campo nazionale, con l’istituzione di una cinquantina di sezioni in tutte le regioni d’Italia, con più di centomila soci.

Gruppo amici della natura. La nascita nel 1972 di questo vivace Gruppo, in spontaneo appoggio al Museo ed alla Società di scienze naturali, rappresentò un episo-dio di associazionismo locale caratterizzato dall’inten-dimento di operare all’insegna di una totale autonomia programmatica ed organizzativa. Numerosi contributi scritti ed una accorta azione di proselitismo lo hanno caratterizzato pur nella sua non lunga vita, conclusasi nel 1978 con la morte del suo fondatore Elio Pedrotti e la contemporanea disattenzione causata dal trasferi-mento del Museo.

Gruppo mineralogico e paleontologico «G. A. Scopoli». Fondato nel 1974, il Gruppo non ebbe una sede permanente, ma partecipò strettamente alla vita del Museo. La sua attività si estese alla promozione di studi mineralogici, petrografici e paleontologici, orga-nizzazione di mostre, scambi collezionistici, pubblica-zioni scientifiche e divulgative, frequenti raduni dei soci.

Associazione astrofili del Trentino. Dal 1976 è ini-ziato il suo accoglimento, che si è esplicato con studi e divulgazioni in campo astrofisico, ospitalità della ricca biblioteca, organizzazione di osservazioni astrofisiche.

Associazione forestale del Trentino. Fondata nel 1978 ed aperta agli appassionati e cultori delle cono-scenze forestali pure ed applicate, è stata per alcuni anni ospite del Museo. Dal 1980 edita il periodico Dendro-natura.

Le ferite della guerra

I molteplici disagi della guerra che hanno rallentato ogni attività non primaria e i continui bombardamenti diurni e notturni hanno indotto la direzione del Museo a provvedere al trasporto della biblioteca e delle colle-zioni nei sotterranei rinforzati dell’edificio. L’operazio-ne si rivelò quanto mai opportuna, perché il 13 maggio 1944 un grappolo di bombe colpì la parte sud del palaz-zo, demolendola fino alle fondamenta. Andò totalmente distrutto il laboratorio di fitopatologia con tutto l’archi-vio di Giulio Catoni ed un certo numero di preparati animali che, trattandosi di banali trofei di caccia e di esemplari esotici di scarsa considerazione e dei quali era già prevista l’eliminazione, erano volutamente stati lasciati nel salone dei mammiferi. Il materiale custodi-to nei sotterranei, che è stato possibile raggiungere solo

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L’edificio delle scuole elementari Giuseppe Verdi (ora Facoltà di sociologia) dopo il bombardamento del 13 maggio 1944. Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni storico-artistici, Archivio fotografico storico, Fondo miscellanea, neg. n. TN a-8741.

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Effetti del bombardamento del 13 maggio 1944 e la ricostruzione del palazzo. Trento, Museo tridentino di scienze naturali.

La tipica vetrina-deposito cosidetta “a leggìo”, largamente adottata in tutta Europa, costituiva anche a Trento, oltre ai diseguali vetrinoni verticali, il mobile dominante. Essa permetteva l’esposizione nella parte superiore, singola o doppia, ed accoglieva nella cassettiera sottostante i materiali di riferimento. Trento, Museo tridentino di scienze naturali.

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dopo alcuni giorni grazie ad una breccia aperta tra le macerie, rimase miracolosamente intatto.

Altre notizie di ulteriori danni causati dal famigerato aereo «Pippo» e di furti di materiali non scientifici do-vuti ad un distaccamento di lavoratori russi, polacchi e bulgari ospitati nel palazzo, fanno parte del desolante scenario che per lunghi mesi afflisse pesantemente la vita cittadina.

Il saltuario presidio militare germanico nel palazzo non ha procurato alcun particolare disagio, essendo di breve durata. Di esso è anzi ricordata la correttezza negli infrequenti contatti di vicinanza. Chi scrive ricorda lo spettacolo del parcheggio dei panzer tedeschi nel cortile a sud (che occupavano agevolmente scavalcando il mu-retto che anteriormente sorreggeva le pesanti cancellate ormai asportate per utilizzare il metallo a scopo bellico) e i militari che si esibivano in acrobatiche esercitazioni ginniche sull’asta dei cannoni.

La ricostruzione dell’edificio avvenne in tempi bre-vi, mentre la fornitura delle nuove vetrine subì notevole ritardo, aggravato dal fatto che esse dovettero essere ri-fatte esattamente identiche a quelle distrutte, con costi maggiori e riproposizione di stili superati e inadatti.

Conclusioni

Il cinquantennio di permanenza del Museo di storia naturale, successivamente Museo tridentino di scien-ze naturali in questo palazzo, ha rappresentato un non breve periodo che ha gradualmente accolto le princi-pali fasi del suo percorso evolutivo: accrescimento del suo patrimonio, disponibile sia alla visibilità che all’u-so scientifico, effettuazione di ricerche in tutti i setto-ri naturalistici, fitta organizzazione di convegni, corsi e congressi. Tra questi costituisce un rilevante ricordo storico quello della Società italiana per il progresso delle scienze accolto nel 1930, che autorevolmente è ritenu-to, grazie soprattutto allo straordinario contemporaneo afflusso delle più alte personalità scientifiche nazionali dell’epoca, un avvenimento di insuperato successo e va-lidità scientifica in campo nazionale.

Tutte queste attività sono dovute alla personale ini-ziativa dei direttori e collaboratori interni, senza alcuna sudditanza a dettami o condizionamenti esterni.

I rapporti di convivenza con la scuola elementare, con il fugace presidio militare ed infine con la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento sono stati cordiali e privi di particolari episodi da rievocare.

È anche opportuno aggiungere che la razionalità del-la disposizione dei locali ha non poco favorito tutte le necessità espositive, laboratoriali e di studio proprie del Museo, senza sostanziali rinunce. Ciò ha costituito una fortunata eccezione alle costrizioni che accompagnano di norma il riadattamento dei palazzi storici.

1 Per la bibliografia sull’argomento, si rimanda a Guida 1930, tomasi 2008, tomasi 2010.

2 trener 1931.3 CianCio 2006.4 La trascrizione completa dei contributi e la crona-

ca della manifestazione è riportata in siPs 1934, i commenti e le valutazioni in: siPs 2006 e lan-ZinGer 2007.

5 La più completa sintesi biografica dei fautori e collaboratori del Museo e della Società di scien-ze naturali, cui va il merito del sostegno interno ed esterno delle attività, è costituita dal volume: bonomi 1930.

6 Il termine «Lectura», poco rispettoso della lingua latina, era usato in sede fiorentina e fu adottato anche dall’Emert.

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Largo all’Università!Storia di una sede contesa Giovanni Agostini

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Estate 2010. Lucidi corrimano e marmi, porte smaltate. Coppi di vetro e acciaio, soffitti in tinte chiare, tecnologia amica dell’uomo. Se fosse in vendita, sull’annuncio scriverebbero

«finiture di pregio». Ma è già di qualcuno. L’ha spuntata Sociologia, l’ultima arrivata.

Estate 1962. «Come direttore delle scuole ‘Verdi’ e – in tal veste – come rappresentante delle seicento e più famiglie che mandano i loro figli a tale scuola, protesto nella maniera più vibrata, invitando i cittadini interes-sati, gli educatori, i sindacati della scuola e tutti quanti hanno a cuore le sorti della scuola del popolo a prendere posizione contro un simile provvedimento»1.

Il dottor Massimo Franch, direttore delle scuole Ver-di, sembra quasi incredulo. La notizia che il «suo» pa-lazzo fosse stato scelto come sede per la nascente facoltà ronzava ufficiosa già da qualche tempo in città. Un’idea inaccettabile: ma «non si [è] pensato che l’Universi-tà ha bisogno di una sede decorosa e funzionale»? Ma come si è «potuto decidere con tanta facilità di buttar a mare la più vecchia scuola media cittadina»? Certo, «si dirà che la soluzione è provvisoria (ahimè, quante soluzioni ‘provvisorie’ sono divenute ‘definitive’!), che si occupano solo le aule del piano rialzato […] [, ma] è ciò concepibile da un punto di vista morale, igienico, pra-tico, […] organizzativo?» È tanta l’acredine e la grinta della lettera, che a leggerla oggi verrebbe come prima tentazione quella di liquidarla – semplicemente – come eccessiva. Ma se torniamo indietro, se proviamo ad im-maginarci di leggere queste righe direttamente dalle pa-gine dell’Alto Adige appena comprato, allora il quadro si fa più chiaro. È il 19 luglio 1962, e quello del direttore Franch è un grido di battaglia. In controluce alle accuse e alle rivendicazioni si scorgono i tratti di uno scontro campale, della sfida tra presìdi culturali, del duello tra istituti che non si contendono solo uno spazio, ma an-che un ruolo e una gerarchia nella Trento che s’affaccia alla modernità. Questa lettera è la reazione avvilita di chi pur avendo «dal 1891 […] sempre accolto i fanciulli di Trento – e quanti i nomi di alunni divenuti illustri» si sente ora tradito e messo in discussione. Sembra non essere solo una questione di sede, è il fastidio di sen-tir preferita alla propria storia di scuola, «che è scuola di tutti», il dubbio futuro di «una scuola di pochi, che, per giunta, devono venire in gran parte da fuori». È la rivendicazione di una distanza tra chi queste cose non riesce a comprenderle, «forse perché non sono che un

povero maestro» e i «docenti […] preparati» e le «le-zioni ad alto livello»; una distanza che il maestro rifiuta possa, nella sua città, diventare gerarchia. La conclusio-ne è un monito reazionario: «farò di tutto per difenderla contro ogni intrusione», «non si voglia togliere il pane quotidiano ai nostri bambini per offrire un pezzetto di bistecca ai figli degli altri».

Nel 1962 Trento è una città piuttosto grigia e con di-versi problemi. Il lavoro scarseggia, il boom economico stenta ad arrivare e qualcuno parte ancora per cercare lavoro all’estero. In questo clima, per molti, la fonda-zione di un’università è un’istanza che non andrebbe nemmeno iscritta all’ordine del giorno, figuriamoci l’i-dea d’intenderla come una priorità. L’avvocato Bruno Kessler, democristiano, fresco Presidente della Provin-cia di Trento, non la pensa così. Da circa un anno è con-vinto che l’università possa essere un motore, una spinta propulsiva per la città e per i territori che la circondano. Di più, pensa che una Facoltà di Sociologia – materia che come corso di laurea in Italia ancora non esiste – possa formare una professionalità nuova, preparando persone capaci di sfruttare ed ottenere il massimo dal boom economico in arrivo, sapendo però controllare, allo stesso tempo, gli effetti negativi e le distorsioni che questo potrebbe produrre sulla comunità trentina. Que-ste convinzioni lo fanno agire in modo deciso, tessendo alleanze, smussando le obiezioni, garantendo in prima persona per le sue scelte. Il mondo politico lo segue. La Democrazia cristiana è di gran lunga il primo partito, sia al Comune che in Provincia. Questo non annulla i timori interni, ma parlarsi tra compagni di tessera si-gnifica capirsi meglio e l’unità del partito è ancora un valore ben più importante di qualche divergenza. Anche i socialisti e i liberali, chi più timido chi più convinto, sono quasi tutti a favore dell’università, mentre i comu-nisti (un unico consigliere provinciale) si oppongono. Dal settembre del 1961, quando nasce l’idea di fondare una siffatta facoltà, molto lavoro è stato fatto. L’univer-sità sta insomma per aprire e la sede, appunto, sarà pa-lazzo Verdi.

I giorni successivi alla requisitoria di Franch arrivano altre lettere ai giornali. Si leggono parole indignate, di protesta, altre invece bisognose di spiegazioni. Un grup-petto scrive suggerendo alternative: «Non esiste forse un magnifico palazzetto del 1571 in via Calepina detto dei Lodron?»; c’è «uno squallido orto comunale attiguo al Liceo-Ginnasio ‘G. Prati’, [un’] area facilmente edifi-

Comizio davanti alla Facoltà di sociologia. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Paolo Padova.

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cabile ad Auditorium o sale di lezioni e laboratori»2. In quelle stesse settimane anche il Comune di Trento – pro-prietario dello stabile – intuendo difficoltà e resistenze propone alternative. L’assessore alla pubblica istruzione, professor Luigi Tomasi, suggerisce: «l’opportunità che si orienti la scelta sulla villa Postai (ex villa Madruzzo) a Ponte Alto»3. Bruno Kessler non cambia però idea: vuo-le via Verdi. Per ottenerla, opinione pubblica a parte, è necessario convincere il Comune di Trento, all’epo-ca retto dal sindaco Nilo Piccoli, e il provveditore agli studi, Paolo Sacripanti. Tra di loro, o tra loro emissari, inizia così una fitta corrispondenza. Kessler scrive a Pic-coli, lo incalza sul poco tempo a disposizione, gli ricorda che l’università deve aprire ad ottobre e deve aprire là: devo «parlarti […] del problema Università, […] è […] assolutamente urgente […] la sede, per la quale penso che l’unica soluzione possibile e funzionale sia quella delle scuole Verdi». Piccoli, dopo qualche titubanza, sposa la linea del compagno di partito e porta la que-stione in Consiglio comunale dove lo «sfratto», però, suscita alcune perplessità. Se ne discute tra i banchi, in Consiglio e in Giunta. I tempi si allungano, Kessler lo pressa: «Non dubito che, con la buona volontà di tutti […] questo argomento possa al più presto chiudersi in modo positivo». Non sono ancora tutti d’accordo ma la decisione è presa. Il provveditore Sacripanti si accoda: «si autorizza – in via di massima – l’uso del piano sopra-elevato della scuola elementare ‘Verdi’»; la lettera prose-gue con un elenco di numerose condizioni. Il 13 agosto 1962 l’assessore Tomasi riferisce alla Giunta municipale

che «il provveditore agli studi […] ha autorizzato, con scadenza improrogabile al 30 settembre 1964, l’uso del piano sopra elevato delle scuole elementari “Verdi” per la sede provvisoria dell’Istituto Universitario di Scien-ze Sociali». Il risultato è stato raggiunto, Piccoli scrive a Kessler: «Per quanto concerne la sede dell’Universi-tà al piano rialzato dell’edificio scolastico di via Verdi, sono lieto di informarLa che la Giunta municipale ha concordato sui termini convenuti». Kessler ossequia: «Desidero esprimere la mia più viva riconoscenza per l’appoggio determinante offerto dalla S.V. Ill.ma per la soluzione del problema della sede». Sacripanti scri-ve allora alla dirigenza delle scuole Verdi e comunica decisione e spostamenti: «In seguito […] [alla] destina-zione del piano rialzato […] a sede provvisoria di detta Facoltà, lo scrivente ufficio, in accordo con le Ammini-strazioni comunale e provinciale di Trento, dispone che le classi e i servizi già funzionanti presso la sede di via Verdi siano dislocati nel seguente modo: 1. Cinque clas-si elementari e la poliambulanza nell’edificio scolastico di via V. Veneto; 2. Le classi postelementari ed eventual-mente la refezione scolastica nel padiglione n. 2 delle ex caserme Diaz […]; 3. Le classi speciali e differenziali nei locali dell’Oratorio del Duomo».

Se Comune e provveditore sono stati convinti, l’opi-nione pubblica non è invece ancora conquistata. Non tutti infatti sono convinti della bontà dell’accordo tra i vertici provinciali, quelli comunali e il Provveditora-to agli studi. Questo ballo a tre, tanto efficace quanto svelto, non trova ad esempio sponda nel quotidiano Alto Adige. Il pezzo che pubblica il giornale è piuttosto duro e mette in discussione le condizioni fissate dal Provve-ditore per il nulla osta. Perché: «le 18 ampie e luminose aule sono i dormitori delle ex caserme Diaz»4, e perché «saremmo anche curiosi di sapere se […] possa sanzio-nare questa permuta a favore di una facoltà universita-ria di cui gli organi ministeriali non solo ignorano l’e-sistenza, ma ne sono tenuti ufficialmente all’oscuro». Il Provveditorato non è un organo politico e da un Ufficio terzo, fa intendere il quotidiano, ci si sarebbe aspettata una scelta più partecipata e meno verticistica. Tuttavia, chiosa stringato: «non sappiamo se al Provveditorato ci sia qualcosa di collegiale». Se vacilla l’ente neutro fi-guriamoci chi è di parte – e della stessa parte – come Comune e Provincia; l’Alto Adige li scherniscce aperta-mente: «Il Comune concede alla Provincia perché essa conceda all’Istituto di cultura perché questo conceda

Vista di via verdi dal balcone della facciata della Facoltà di sociologia. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Paolo Padova.

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all’Istituto universitario, la sede di via Verdi?» Il com-mento è laconico: «Come da un piccolo osso si può ri-costruire l’intera conformazione di un dinosauro, da un piccolo, urtante difetto di chiarezza ci si può far l’idea a volte di tutto un andazzo». Nelle fila degli oppositori anche il direttore Franch non demorde e risponde punto su punto al Provveditore: «i locali messi […] a disposi-zione […] non sono idonei […][,] sono situati piuttosto lontani uno dall’altro; un’aula è separata da un semplice uscio da un’altra in cui si fa quotidianamente lezione ai giovani delle ACLI; i servizi igienici sono in comune; la terza aula è molto piccola […]. Inoltre i servizi igienici si trovano su una terrazza all’aperto il che, in inverno, potrebbe essere pregiudizievole alla salute dei bambini;

[e ancora] le aule sono usate sempre alla domenica e per due pomeriggi alla settimana dalle associazioni cattoli-che, ciò interferisce in senso negativo sulla possibilità di uso dei mezzi didattici […]; [e conclude] i pavimenti sono costituiti da piastrelle di graniglia, quindi troppo freddi e malsani».

Niente da fare, le lamentele cadono nel vuoto. Nell’au-tunno di quell’anno, come previsto, l’Istituto superiore di scienze sociali apre i battenti con duecentoventisei studenti iscritti. Intanto, i ragazzi delle Verdi vanno già a scuola da qualche settimana e anche gli impiegati del Museo di scienze naturali sono tornati dalle ferie e van-no al lavoro regolarmente. Già, perché c’è anche un Mu-seo attivo in città fin dai primi dell’Ottocento. Il Museo

Fotografia di una classe femminile delle scuole elementari Giuseppe Verdi (ora Facoltà di sociologia), anno scolastico 1966-1967. Collezione privata.

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di scienze naturali, nel suo secolo e mezzo di storia, ha cambiato diverse sedi: dopo palazzo Sardagna e Castello del Buonconsiglio, dal 1924 si è spostato proprio all’ul-timo piano di palazzo Verdi. Lassù confinato, il Museo gode tutto sommato di una certa autonomia e non ha dunque particolari lagnanze da esternare per l’arrivo dei nuovi inquilini.

L’università si stabilisce quindi al piano rialzato e si serve per il transito degli ingressi principali. Ad ottobre le aule sono ancora in difetto di manutenzione ma, fa sapere l’Adige, «si sta lavorando sodo per ammodernare i locali e renderli degni di accogliere professori e stu-

denti»5. Gli scolari, titolari del secondo piano, entrano invece da due porticine laterali che danno verso via Gio-vanni Prati. La peggio sembra toccata proprio al Museo perché «evidenti necessità logistiche […] hanno consi-gliato la segreteria dell’Istituto a separare nettamente le aule universitarie da quelle delle elementari e […] del museo [innalzando] un muro.» Così facendo «purtrop-po […] il Museo è stato isolato ed ha oggi il suo ingresso [come gli scolari] nella porticina ad ovest del piazzale». Poco male, viene da pensare, un ingresso varrà l’altro. Le cose non stanno proprio così. Infatti, nonostante la porticina sia stata diligentemente sistemata, viene uti-lizzata come ingresso da ben sette esercizi contempora-neamente. Serve al Museo di scienze naturali, alle scuole elementari, ai bidelli, ai gestori della cabina della SIT, per la sala di tiro a segno, per il vivaio pesci dell’Ufficio regionale caccia e pesca e anche come accesso al magaz-zino comunale dei mobili pignorati. «Un po’ troppo», ammette sempre l’Adige, soprattutto considerato che «il Museo – del quale è previsto un potenziamento anche mediante una legge regionale di prossima discussione – rimane piuttosto sacrificato». Docile ma non inerte, il Museo, reagisce. Grazie forse all’accondiscendenza di-mostrata fino a quel momento, chiede ed ottiene di ve-dersi riaffidato il più decoroso ingresso di via Rosmini.

I problemi delle scuole Verdi, intanto, non si limita-no più alla semplice convivenza forzata tra scolari e stu-denti maturi. La destinazione «provvisoria» del primo piano a Sociologia aveva infatti comportato lo sgombe-ro della poliambulanza scolastica, della scuola differen-ziale per bambini ritardati, di quattro classi e della sala insegnanti della scuola postelementare, di tre aule della scuola elementare e di un ampio locale con la cucina per la refezione scolastica. Il disagio prodotto da questa mo-vimentazione non sfugge alle opposizioni politiche che prendono posizione sui giornali. Tra questi Sandro Ca-nestrini domanda dalle colonne dell’Alto Adige: «Perché per realizzarla si è ricorsi allo sfratto di una benemerita scuola elementare pubblica (e Dio sa se Trento ne ha in soprannumero!) attraverso l’eccessiva accondiscenden-za del Provveditorato, disposto a smantellare una scuo-la pubblica, come le scuole Verdi, per far luogo ad una Università privata?»6.

Passano i mesi ma i disagi restano. Nel settembre del 1963 sono rimaste a palazzo Verdi sedici classi delle venti che erano. Centotrenta alunni – cinque classi – sono stati spostati in un edificio all’angolo tra via Vitto-

«I tempi non rispettati alla base del malcontento». L’Adige. Trento, 6 ottobre 1967.

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rio Veneto e via Mattioli. Si badi bene, non è questa una cosa straordinaria. Le scuole da sempre aprono e chiu-dono, si spostano e si fondono, tagliano o assommano sezioni. In questo caso la nostra perplessità emerge però dalla fatica a rintracciare – carte alla mano – un piano. Che progetto c’è per queste scuole? Quali sono i tempi di questo progetto? Quali le azioni da compiere? Non si capisce, le scuole Verdi sembrano subire Sociologia come un ciclone. L’impressione è che a queste antiche scuole poco o nulla capiti per scelta diretta, ma quasi tutto avvenga invece di riflesso, come effetto delle de-cisioni e dei bisogni della nuova università. Mentre per Sociologia ci si industria, si lotta, si progetta, sulle Verdi sembrano intervenire solo scelte estemporanee, con col-locazioni e ricollocazioni alla bisogna (degli altri). Della mancanza di un piano preciso e dell’assenza di una po-litica chiara, ci pare sia cartina di tornasole un articolo dell’Alto Adige del 10 settembre 1963. Il pezzo racconta dei lavori in atto per la ristrutturazione di un’altra scuo-la, la San Bartolomeo. A un tratto, tra le righe, si legge: «in questo edificio è stato altresì ricavato l’ufficio della poliambulanza scolastica»7. L’ufficio era a palazzo Verdi e il sindaco Piccoli aveva espressamente scritto al Prov-veditore relativamente all’urgenza di ricollocarlo. È pas-sato un anno e ancora solo se ne parla.

Nove mesi dopo, sei mesi prima della «scadenza improrogabile» fissata da Sacripanti per la revoca del-la concessione, Kessler si muove. In una relazione del 25 marzo 1964 scrive: «Constatato che l’attuale sede di Palazzo Verdi è risultata la migliore soluzione possibile sia per la funzionalità dell’edificio che per la centralità, la Provincia ha iniziato trattative col Comune di Trento per l’acquisto dello stabile». Insomma, sociologia vuole restare. C’è però un problema: se il primo anno gli stu-denti iscritti erano duecentoventisei, all’inizio del terzo,

distribuiti nei vari anni, sono oltre seicento. Diventa quindi: «Problema di urgenza immediata – continua il documento – […] quello dell’ampliamento della sede – già insufficiente ai bisogni – […] in vista dell’arrivo – a novembre – di nuovi studenti». Non solo dunque So-ciologia non ha alcuna intenzione di cercarsi, come da patti, una nuova sede. Ora vuole addirittura più spazio e nuove aule per garantire un’offerta adeguata ai tanti studenti iscritti. Ma come trovare nuovi spazi in un pa-lazzo già così affollato, dove tre autorevoli strutture con-vivono fianco a fianco e dove le porticine sono buone addirittura per sette esercizi? Kessler ha le idee chiare: «Si confida nella comprensione dei responsabili della Scuola elementare […] per la soluzione provvisoria di questo problema, in attesa di quella definitiva da trovare di comune accordo fra i vari responsabili». Lo stato del-le cose si è quindi rovesciato. La situazione «provviso-ria» non è più quella di Sociologia – ospite temporanea d’un edificio non suo – ma quella delle Verdi, inquilina sopportata in attesa dello sfratto da gestire «di comune accordo fra i vari responsabili». Tra Kessler e la realiz-zazione del suo piano c’è però il Comune, proprietario dello stabile, che potrebbe opporsi. Questo non avviene e il sindaco Piccoli, al suo terzo mandato da primo cit-tadino, sposa invece ancora una volta la linea del «suo»

Scritte sui muri della Facoltà di sociologia accanto alla targa del Museo tridentino di scienze naturali, ospitato fino al 1975 all’ultimo piano del palazzo. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Paolo Padova.

Consegna dei primi diplomi di laurea nell’aula magna del Museo tridentino di scienze naturali. Trento, Università degli studi di Trento, Archivio storico dell’Università di Trento.

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presidente provinciale. Il 20 aprile 1964, un mese dopo la relazione di Kessler, è indetta un’adunanza aperta ad ore diciotto e trenta: «La Giunta comunale, […] ritenuto doveroso per il Comune favorire il sorgere in Trento di un istituto di studi superiori […], a seguito di oppor-tune trattative, […] concede alla Provincia autonoma di Trento il piano rialzato della scuola elementare ‘G. Verdi’». Nuova improrogabile scadenza: un anno salvo tacita rinnovazione. L’anno dopo Trento ha un nuovo sindaco, Edo Benedetti, anche lui democristiano. Il taci-to rinnovo arriva puntuale, ma sarà l’ultimo. Il 4 agosto 1966, infatti, Benedetti è relatore in Giunta: «Il sindaco riferisce sul colloquio, avuto in data odierna, con il pre-sidente della Provincia di Trento e l’assessore provinciale

alla pubblica istruzione, in ordine […] [all’] alienazione dell’edificio sede della scuola ‘Verdi’». La Provincia vuole comprare tutto il palazzo per darlo all’università. La Fa-coltà di sociologia, riconosciuta a livello nazionale, mar-cia a pieno regime e le si prospetta un radioso cammino. Le immatricolazioni aumentano ogni anno (trecento nell’anno 1965-1966, settecentotrentasei l’anno succes-sivo) e il piano rialzato più le poche stanze al secondo non bastano più. Il Comune dal canto suo ha bisogno di scuole e, se le vecchie vengono cedute, bisogna costruir-ne di nuove: «è stato definito in via di massima il proble-ma dell’alienazione dell’edificio comunale […] in modo che ancora per l’anno scolastico 1967-1968 il medesimo passi completamente all’università e il Comune [utiliz-

Assemblea di studenti universitari della facoltà di sociologia. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Archivio Paolo Padova.

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zando i soldi incassati] abbia a disposizione un nuovo e moderno edificio sull’area dell’attuale civico macello». Alla Provincia il tanto bramato palazzo Verdi; al Comu-ne ottocento milioni di lire in quattro rate da duecento milioni annui, soldi buoni per ultimare la nuova sede scolastica di via Tomaso Gar. L’Adige titola «Un passo avanti dell’edilizia scolastica»8. Si potrebbe pensare sia una soluzione che accontenta tutti, ma non è così. Infat-ti, siccome nel contratto di vendita il Comune s’è impe-gnato a mettere a disposizione l’edificio di via Verdi «li-bero da cose di pertinenza comunale» entro il 30 giugno 1967, secondo il verbale di Giunta del 19 dicembre 1966 questo «comporta […] una qualche difficoltà per trovare sistemazione alla scuola elementare ‘G. Verdi’, in quan-to ben difficilmente entro il mese di ottobre 1967 potrà essere ultimata la nuova sede sull’area di via Tommaso Gar». Naturalmente: «Si vedrà […] di trovare una solu-zione di ripiego per la durata non superiore a un anno». Sembra una beffa. I genitori si sentono vessati e reagi-scono. La missiva data primo giugno 1967: «Al signor sindaco, al signor presidente della Giunta provinciale, al signor provveditore agli Studi […]. Contrariamente alle aspettative ed alla logica, il nuovo edificio scolastico in via Tomaso Gar non potrà essere pronto per l’inizio del prossimo anno scolastico»; «finora il disagio per la ces-sione di parte delle Verdi come sede universitaria è stato sostenuto tutto dagli scolari, riuniti talvolta in classi di 38-40 elementi per l’abbinamento forzato di classi pa-rallele […] da ormai 4 anni»; «alla ripresa delle scuole, nel caso si effettuasse il progettato provvisorio trasferi-mento nella sede dell’ex ospedale militare, il disagio sarà nuovamente tutto a carico degli scolari e delle loro fa-miglie»9. Le richieste sono puntuali, ma la «lunga batta-glia» sembra averli logorati. Le istanze appaiono talvolta

rassegnate: «fino a quando non sarà disponibile il nuovo edificio […] la scolaresca continui ad usare le aule delle scuole Verdi, prolungando, in fin dei conti, per alcuni mesi una situazione che già si protrae da anni»; tal’altre quasi grottesche: «l’attuale macello civico sia allontana-to al più presto possibile […] [perché] per le sue carat-teristiche (rumori, odori, pericoli d’ogni genere), [è] il servizio meno adatto per trovarsi a ridosso del cortile e dell’edificio scolastico». Il documento raggiunge cen-totrentadue adesioni. L’entusiasmo li spinge a domanda-re l’impossibile, a chiedere che «una più razionale Sede Universitaria venga trovata attraverso altra soluzione»10. Non avviene nulla di tutto ciò.

Nell’autunno del 1967 anche le ultime classi vengono fatte sgomberare. L’ex macello in via Gar non è pronto, e gli scolari vengono ospitatati alle scuole Bronzetti in via Santa Maria Maddalena. L’Adige pubblica un pezzo sul malcontento11, ma chiude fiducioso: «una certa insod-disfazione, ma nella certezza di un ‘domani migliore’». Dalle Verdi l’ultimo ad andarsene sarà il bidello, barri-cato nell’abitazione interna della quale non voleva per-dere l’usufrutto. Se ne andrà solo in seguito a logoran-ti trattative con l’amministrazione pubblica e con una procedura disciplinare a suo carico.

Pochi mesi prima s’erano intanto celebrate le pri-me lauree. Era il mese di luglio ed erano tutti presenti: studenti, professori, autorità. Erano in molti e serviva spazio. L’amministrazione dell’università s’era quindi rivolta al Museo di scienze. I rapporti erano di buon vicinato e il Museo aveva concesso l’aula magna. Sette anni dopo l’università di Trento è una realtà affermata e in continua espansione. È il 1975, le serve più spazio, le serve anche l’ultimo piano. Oggi il Museo tridentino di scienze naturali si trova in via Calepina.

1 «L’università alle ‘Verdi’». Alto Adige. Bolzano. 19 luglio 1962.

2 «Va bene l’Università ma non alle ‘Verdi’». Alto Adige. Bolzano. 3 agosto 1962.

3 Trento, Archivio del Comune di Trento, Sezione di deposito – serie speciale di carteggio, teca 384/1. Se non espressamente specificato in nota, tutti i documenti e la corrispondenza citati sono conservati in tale unità archivistica, segna-latami da Thomas Cammilleri, Andrea Giorgi e Leonardo Mineo, che ringrazio.

4 «Il Dinosauro». Alto Adige. Bolzano. 3 settembre 1962.

5 «L’ingresso dai 7 usi». l’Adige. Trento. 13 ottobre 1962.

6 Sandro Canestrini, Alto Adige. Bolzano. 7 no-vembre 1962.

7 «Si sta sopraelevando la scuola San Bartolo-meo». Alto Adige. Bolzano.10 settembre 1963.

8 «Nel 1967 faranno trasloco gli scolari delle ‘Ver-di’». l’Adige. Trento. 17 settembre 1966.

9 Trento, Soprintendenza per i Beni Archivistici, Li-brari e Archelogici - Archivio provinciale, Fondo edilizia scolastica, b. 49, A25a.

10 Trento, Soprintendenza per i Beni Archivistici, Li-brari e Archelogici - Archivio provinciale, Fondo edilizia scolastica, b. 49, A25a.

11 «I tempi non rispettati la base del malcontento». l’Adige. Trento. 6 ottobre 1967.

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Informazioni biografiche

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Giovanni Agostini si è laureato in Relazioni internazio-nali presso l’Università di Bologna. È autore di alcuni saggi e della monografia Sociologia a Trento (il Mulino: 2008). Collabora alle ricerche del comitato di studio per la storia dell’Università degli Studi di Trento e con la casa editrice Il Margine. È socio della casa di produzio-ne FilmWork srl.

Quinto Antonelli è ricercatore presso la Fondazione Museo storico del Trentino. È stato tra i fondatori della rivista storica «Materiali di lavoro» e dell’Archivio della scrittura popolare, di cui ora è responsabile. Si occupa delle forme autobiografiche della gente comune; dei pro-cessi di alfabetizzazione e di scolarizzazione; della storia culturale della Grande Guerra. In quest’ambito ha pub-blicato I dimenticati della Grande Guerra. La memoria dei combattenti trentini (1914-1920) (Il Margine: 2008).

Luigi Blanco insegna Storia delle istituzioni po-litiche presso la Facoltà di Sociologia dell’Univer-sità di Trento. I suoi interessi di ricerca spazia-no dalla storia dell’amministrazione pubblica alla storia del territorio, dalla storia dei corpi tecnici alla storia delle istituzioni scientifiche e culturali in età moderna e contemporanea. Tra le pubblicazioni più recenti si segnala la cura dei volumi: Le radici dell’auto-nomia. Conoscenza del territorio e intervento pubblico in Trentino secc. XVIII-XX (Angeli: 2005) e Organizzazione del potere e territorio. Contributi per una lettura storica della spazialità (Angeli: 2008).

Franco Cagol è responsabile dell’Archivio storico del Comune di Trento. Già collaboratore dell’Università de-gli studi di Verona, con la quale ha pubblicato i propri stu-di di medievistica, partecipa ora all’attività didattica e di ricerca dell’Università degli studi di Trento. Si occupa di archivistica e storia delle istituzioni pubblicando le sue ricerche su riviste locali e nazionali, tra le quali «Stu-di Trentini di Scienze Storiche», «Archivio Trentino», «Nuova Rassegna di legislazione, dottrina e giurispru-denza,», «Archivi per la storia».

Sergio Giovanazzi è architetto. Dal 1961 al 1975 collabora con il prof. Giuseppe Samonà. Fino a metà degli anni settanta il suo interesse principa-le riguarda la pianificazione a scala territoriale e locale, assieme al progetto di opere pubbliche. Realizza nume-

rosi interventi per centri turistici, in Italia e all’estero; sviluppa l’attività di restauro di edifici storici. Dal 1988 ricerca nel campo dell’architettura contemporanea, con conferenze sui principali architetti europei. Fonda nel 1993 il Circolo Trentino per l’Architettura contempora-nea. Svolge numerose lezioni e seminari nelle Università di Venezia, Milano e Trento.

Giulia Mori ha conseguito la laurea specialistica in Gestione e conservazione dei beni culturali presso l’U-niversità di Trento, con una tesi dedicata allo scultore Cesare Zocchi. È borsista alla Biblioteca comunale di Trento. Le sue ricerche sono in via di pubblicazione su «Studi Trentini di Scienze Storiche» e negli atti del con-vegno Le fonti documentarie per la storia dell’Università di Trento (1962-1972) (il Mulino: 2011). Ha collaborato con l’Università di Trento, la Soprintendenza per i beni architettonici della Provincia autonoma di Trento e il Mart.

Luca Siracusano è dottorando presso l’Università di Trento ed è stato due volte borsista della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi di Firenze (2009 e 2010). Ha pubblicato le sue ricerche su «Studi Trentini di Scienze Storiche» ed ha collaborato ai cata-loghi di esposizioni in Italia e a Salisburgo.

Gino Tomasi è stato direttore del Museo tridentino di scienze naturali dal 1964 al 1992, attualmente direttore emerito, progettista dei parchi naturali del Trentino; pre-sidente e componente del direttivo di accademie, asso-ciazioni ed enti scientifici locali e nazionali, accademico del Gruppo italiano scrittori di montagna. Si occupa di geografia alpina, limnologia, cartografia e protezioni-smo naturalistico. È autore di circa 200 pubblicazioni, tra cui alcune monografie, su queste tematiche.

Elena Tonezzer ha conseguito il titolo di dottore di ri-cerca in Studi storici presso l’Università di Trento. È ri-cercatrice presso la Fondazione Museo storico del Tren-tino, dove è responsabile del settore di ricerca dedicato alla storia di Trento. Ha pubblicato le sue ricerche su riviste trentine e nazionali, tra le quali «Archivio Trenti-no», «Scienza & Politica. Per una storia delle dottrine», «Contemporanea. Rivista di storia dell’800 e del ’900». È curatrice del primo volume degli Scritti e discorsi di Alcide De Gasperi (il Mulino: 2006).

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Finito di stampare pressoPublistampa Arti Grafiche s.n.c., Perginenel mese di novembre 2010

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ISBN: 978-88-7197-132-2€ 14,00