L’intervista “Così Holden e la Karenina cureranno le ... · PDF fileNel...

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In effetti nel libro troviamo disturbi molto diversi tra loro, dalla paura di invecchiare al- l’impotenza. Quali malattie può curare un romanzo? «Prevalentemente i problemi psicologici e legati alla sfera emotiva. Esiste un conforto mi- gliore per un cuore infranto di un buon romanzo? Ma speria- mo che anche i rimedi consiglia- ti nel libro per i malanni fisici non siano privi di efficacia. La nostra cura per il singhiozzo (The Fit di Philip Hensher) è ric- ca di consigli pratici: bere un bic- chiere d’acqua con la testa pie- gata in avanti, trattenere il fiato, fumare una sigaretta o baciare. C’è perfino una terapia per gua- rire dall’“odio per il proprio na- so”: Il profumo di Patrick Sü- skind». (Nella versione italiana, curata da Fabio Stassi, è stato ag- giunto Uno, nessuno e centomi- la, che inizia proprio con un’os- servazione sul naso del protago- nista, ndr). Tra gli ingredienti c’è dun- que una buona dose di umori- smo. Il buon umore può favori- O gnuno di noi ha speri- mentato almeno una volta nella vita la for- tuna di imbattersi nel libro giusto al momento giusto. Leggendo Madame Bovary ab- biamo smesso di sentirci gli uni- ci a soffrire per amore e grazie a Colette abbiamo sognato nuove eccitanti avventure. Il potere dei romanzi è anche questo: farci sentire meno soli, darci il corag- gio di cambiare. È proprio par- tendo da questa consapevolez- za che va sempre più prendendo piede una forma di terapia che usa i libri per alleviare i nostri di- sagi. È notizia di pochi giorni fa che il servizio sanitario inglese ha lanciato un programma di riabilitazione che prevede ma- nuali di self-help e opere di fic- tion per curare la depressione, mentre in Italia è appena partito a Firenze un workshop per for- mare biblioterapisti tenuto dal- la psicoterapeuta Rachele Bin- di. Con questo spirito, Ella Berthoud e Susan Elderkin — una pittrice e insegnante d’arte, l’altra scrittrice — da qualche tempo lavorano nel tempio del- la biblioterapia a Londra, la School of Life di Alain de Botton. Curarsi con i libri (Sellerio) è il saggio in cui hanno raccolto i lo- ro consigli di lettura, un pron- tuario di rimedi letterari per vari malanni, dalle pene amorose agli acciacchi fisici, che ha scala- to la top ten e in due mesi ha ven- duto oltre 50mila copie. L’idea che l’arte abbia un po- tere terapeutico non è certo nuova. Aristotele parlava di ca- tarsi, per esempio. Cosa cambia nel vostro approccio? «La biblioterapia affonda le sue radici nell’antica Grecia. Da parte nostra vogliamo mostrare come i romanzi possano aiutar- ci ad affrontare i cambiamenti esistenziali, sia emotivi che fisi- ci. Non c’è niente che apparten- ga alla vita che non sia già stato esplorato nella letteratura». In che modo la letteratura può incidere sulla nostra psi- che? «I romanzi possono rappre- sentare un vero punto di svolta. Il giovane Holden o Lo Zen e l’ar- te della manutenzione della mo- tocicletta sono libri cruciali, so- prattutto se letti all’età giusta, quando si è adolescenti. Ci fan- no sentire compresi. La lettera- tura può curare in tanti modi: può dare conforto e compagnia, può rappresentare un pungolo, può darci una mano a prendere coscienza delle difficoltà degli altri e a relativizzare le nostre. A volte a curarci è il contenuto del- le storie, altre è semplicemente il ritmo della scrittura a calmarci, come nel caso di Mrs Dalloway di Virginia Woolf, ottimo per af- frontare il lunedì mattina. Il po- stino suona sempre due volte di James M. Cain è invece un rime- dio perfetto contro l’apatia». re la guarigione? «Può alleggerire il nostro cari- co emotivo. Ma il questo libro non è solo humour: disagi come la depressione o la fine di una storia d’amore vengono trattati seriamente». È però difficile credere che un romanzo possa aiutare a risol- vere un problema serio come la depressione. «Siamo consapevoli che è ar- duo affrontare con la letteratura la depressione clinica. Alcuni romanzi possono però accom- pagnare i depressi nello spazio scuro della loro malinconia. Spesso accade quando il prota- gonista della narrazione è a sua volta infelice. Chi penserebbe di dare La campana di vetro di Syl- via Plath a una persona seria- mente depressa? Noi lo faccia- mo». I farmaci possono avere però effetti collaterali, sono rimedi e allo stesso tempo veleni. Vale anche per i libri: garantite sulla loro efficacia? «Alcuni romanzi hanno un potere curativo evidente. Come non usare Jane Eyre per un cuo- re infranto? O Ciao, a domani di William Maxwell quando si sof- fre per la rottura di un’amicizia? Ma con altri è più difficile capire come utilizzarli. Anna Karenina è una cura per la gelosia? O per l’adulterio? O per il mal di denti, visto che Vronsky ne soffre? Sia- mo state molto combattute: è l’unico romanzo che nel libro ri- corre due volte». L’elenco dei romanzi da con- sigliare è potenzialmente infi- nito. Come li avete selezionati? «Abbiamo costruito la nostra rete ricorrendo anche ai consigli di amici, parenti e pazienti. È stato un percorso a doppio sen- so: scrivendo questo libro anche noi ci siamo curate». vio. Tutto quello che sappiamo della vita ci viene dagli altri, dalle storie che ci hanno raccontato, dai romanzi che abbiamo letto, dagli insegnamenti che abbiamo rice- vuto. Dunque, leggere questi ma- nuali non fa che prolungare la normale esperienza del saggiare altre vite e altre possibilità, che è appunto la sostanza di quello che chiamiamo “cultura”. Il problema del copiare gli altri, però, è che non sempre riesce, e questa è una delle maggiori fonti di frustrazione. Non mi sembra inverosimile che alle normali sof- ferenze l’utente di manuali di au- toaiuto debba venire ad aggiun- gere un penoso senso di inade- guatezza, il non sentirsi all’altezza dei precetti enunciati nel libro comprato per migliorare. Finen- do poi vittima di insopportabili sensi di colpa come quelli, evoca- ti sin dal titolo, da Devi cambiare la tua vita di Peter Sloterdijk (Corti- na, 2010). Certo, a pochi è dato di giunge- re all’aureo motto di Beckett «fal- lire ancora, fallire meglio». Perso- nalmente, alla via dell’autoaiuto controproporrei l’eteroaiuto. Se, come spesso avviene, questo do- vesse mancare, suggerirei di leg- gere, piuttosto che manuali di au- toaiuto, storie tristissime e trage- die. Era già l’intuizione di Aristo- tele: vedendo le disgrazie atroci che accadono a persone migliori di noi, ci sentiamo meglio, subia- mo una purificazione dell’animo, diventiamo noi stessi migliori. E forse in questo miglioramento è compresa la rinuncia alla piena realizzazione di una perfezione umana che sta alla base dei ma- nuali di autoaiuto. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA PIERGIORGIO ODIFREDDI D omani è la Giornata della memoria, che ricorda ciò che non si deve dimenticare: lo sterminio nazista di un numero compreso fra i 12 e i 17 milioni di persone, secondo le cifre riportate da Wikipedia. Un genocidio plurimo e generalizzato di circa 6 milioni di ebrei, 3 di prigionieri di guerra sovietici, 2 di polacchi non ebrei, 2 di slavi, 1,5 di dissidenti politici, e 1 di zingari, disabili, omosessuali, massoni e altre frange della popolazione europea. La vicenda nazista può essere letta da vari punti di vista, e anche la scienza sperimentale ha il suo. Che giunge alle stesse conclusioni tratte da Hannah Arendt in La banalità del male, un’analisi del processo di Gerusalemme ad Adolf Eichmann del 1961. Conclusioni che sono riassunte nel titolo: i criminali nazisti non erano persone particolarmente malvagie o perverse, ma banali cittadini che obbedivano inconsapevolmente all’autorità costituita. Ed è appunto Obbedienza all’autorità il titolo di un famoso e conturbante saggio di Stanley Milgram, che tra il 1960 e il 1963 effettuò esperimenti su vari volontari e si accorse che erano quasi tutti disposti a infliggere sofferenze anche gravi a persone sconosciute, purché qualcuno dicesse loro di farlo. Nel 1971 Philip Zimbardo ottenne risultati analoghi, raccontati nel libro L’effetto Lucifero: cattivi si diventa?, e mostrati nel film Experiment. Questa volta, bastava dividere i soggetti in “guardie” e “detenuti”, per far sì che si comportassero effettivamente secondo i loro ruoli. I nazisti erano dunque Uomini comuni, come Christopher Browning intitola appunto il suo libro sulla “soluzione finale” in Polonia. E nazisti possiamo essere tutti, comportandoci in maniera conformista rispetto a un potere totalitario. Tabelline Cattivi si diventa? Esperimenti sulla banalità del male © RIPRODUZIONE RISERVATA ILLUSTRAZIONE DI OLIMPIA ZAGNOLI L’intervista Ella Berthoud e Susan Elderkin sono le autrici di un prontuario-bestseller sulla biblioterapia “Problemi psicologici, ma anche mal di denti o singhiozzo: la narrativa è una medicina efficace” “Così Holden e la Karenina cureranno le vostre malattie” RAFFAELLA DE SANTIS “Jane Eyre? Ottimo per i cuori infranti E offriamo Sylvia Plath a chi è affetto da depressione” Repubblica Nazionale

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Page 1: L’intervista “Così Holden e la Karenina cureranno le ... · PDF fileNel 1971 Philip Zimbardo ottenne risultati analoghi, raccontati nel libro L’effetto Lucifero: cattivi si

In effetti nel libro troviamodisturbi molto diversi tra loro,dalla paura di invecchiare al-l’impotenza. Quali malattiepuò curare un romanzo?

«Prevalentemente i problemipsicologici e legati alla sferaemotiva. Esiste un conforto mi-gliore per un cuore infranto diun buon romanzo? Ma speria-mo che anche i rimedi consiglia-ti nel libro per i malanni fisicinon siano privi di efficacia. Lanostra cura per il singhiozzo(The Fit di Philip Hensher) è ric-ca di consigli pratici: bere un bic-chiere d’acqua con la testa pie-gata in avanti, trattenere il fiato,

fumare una sigaretta o baciare.C’è perfino una terapia per gua-rire dall’“odio per il proprio na-so”: Il profumo di Patrick Sü-skind». (Nella versione italiana,curata da Fabio Stassi, è stato ag-giunto Uno, nessuno e centomi-la, che inizia proprio con un’os-servazione sul naso del protago-nista, ndr).

Tra gli ingredienti c’è dun-que una buona dose di umori-smo. Il buon umore può favori-

Ognuno di noi ha speri-mentato almeno unavolta nella vita la for-tuna di imbattersi nel

libro giusto al momento giusto.Leggendo Madame Bovary ab-biamo smesso di sentirci gli uni-ci a soffrire per amore e grazie aColette abbiamo sognato nuoveeccitanti avventure. Il potere deiromanzi è anche questo: farcisentire meno soli, darci il corag-gio di cambiare. È proprio par-tendo da questa consapevolez-za che va sempre più prendendopiede una forma di terapia cheusa i libri per alleviare i nostri di-sagi. È notizia di pochi giorni fache il servizio sanitario ingleseha lanciato un programma diriabilitazione che prevede ma-nuali di self-help e opere di fic-tion per curare la depressione,mentre in Italia è appena partitoa Firenze un workshop per for-mare biblioterapisti tenuto dal-la psicoterapeuta Rachele Bin-di. Con questo spirito, EllaBerthoud e Susan Elderkin —una pittrice e insegnante d’arte,l’altra scrittrice — da qualchetempo lavorano nel tempio del-la biblioterapia a Londra, laSchool of Life di Alain de Botton.Curarsi con i libri (Sellerio) è ilsaggio in cui hanno raccolto i lo-ro consigli di lettura, un pron-tuario di rimedi letterari per varimalanni, dalle pene amoroseagli acciacchi fisici, che ha scala-to la top ten e in due mesi ha ven-duto oltre 50mila copie.

L’idea che l’arte abbia un po-tere terapeutico non è certonuova. Aristotele parlava di ca-tarsi, per esempio. Cosa cambianel vostro approccio?

«La biblioterapia affonda lesue radici nell’antica Grecia. Daparte nostra vogliamo mostrarecome i romanzi possano aiutar-ci ad affrontare i cambiamentiesistenziali, sia emotivi che fisi-ci. Non c’è niente che apparten-ga alla vita che non sia già statoesplorato nella letteratura».

In che modo la letteraturapuò incidere sulla nostra psi-che?

«I romanzi possono rappre-sentare un vero punto di svolta.Il giovane Holden o Lo Zen e l’ar-te della manutenzione della mo-tocicletta sono libri cruciali, so-prattutto se letti all’età giusta,quando si è adolescenti. Ci fan-no sentire compresi. La lettera-tura può curare in tanti modi:può dare conforto e compagnia,può rappresentare un pungolo,può darci una mano a prenderecoscienza delle difficoltà deglialtri e a relativizzare le nostre. Avolte a curarci è il contenuto del-le storie, altre è semplicemente ilritmo della scrittura a calmarci,come nel caso di Mrs Dallowaydi Virginia Woolf, ottimo per af-frontare il lunedì mattina. Il po-stino suona sempre due volte diJames M. Cain è invece un rime-dio perfetto contro l’apatia».

re la guarigione?«Può alleggerire il nostro cari-

co emotivo. Ma il questo libronon è solo humour: disagi comela depressione o la fine di unastoria d’amore vengono trattatiseriamente».

È però difficile credere che unromanzo possa aiutare a risol-vere un problema serio come ladepressione.

«Siamo consapevoli che è ar-duo affrontare con la letteraturala depressione clinica. Alcuniromanzi possono però accom-pagnare i depressi nello spazioscuro della loro malinconia.Spesso accade quando il prota-gonista della narrazione è a suavolta infelice. Chi penserebbe didare La campana di vetro di Syl-via Plath a una persona seria-mente depressa? Noi lo faccia-mo».

I farmaci possono avere peròeffetti collaterali, sono rimedi eallo stesso tempo veleni. Valeanche per i libri: garantite sullaloro efficacia?

«Alcuni romanzi hanno unpotere curativo evidente. Comenon usare Jane Eyre per un cuo-re infranto? O Ciao, a domani diWilliam Maxwell quando si sof-fre per la rottura di un’amicizia?Ma con altri è più difficile capirecome utilizzarli. Anna Kareninaè una cura per la gelosia? O perl’adulterio? O per il mal di denti,visto che Vronsky ne soffre? Sia-mo state molto combattute: èl’unico romanzo che nel libro ri-corre due volte».

L’elenco dei romanzi da con-sigliare è potenzialmente infi-nito. Come li avete selezionati?

«Abbiamo costruito la nostrarete ricorrendo anche ai consiglidi amici, parenti e pazienti. Èstato un percorso a doppio sen-so: scrivendo questo libro anchenoi ci siamo curate».

vio. Tutto quello che sappiamodella vita ci viene dagli altri, dallestorie che ci hanno raccontato, dairomanzi che abbiamo letto, dagliinsegnamenti che abbiamo rice-vuto. Dunque, leggere questi ma-nuali non fa che prolungare lanormale esperienza del saggiarealtre vite e altre possibilità, che èappunto la sostanza di quello chechiamiamo “cultura”.

Il problema del copiare gli altri,però, è che non sempre riesce, equesta è una delle maggiori fontidi frustrazione. Non mi sembrainverosimile che alle normali sof-

ferenze l’utente di manuali di au-toaiuto debba venire ad aggiun-gere un penoso senso di inade-guatezza, il non sentirsi all’altezzadei precetti enunciati nel librocomprato per migliorare. Finen-do poi vittima di insopportabilisensi di colpa come quelli, evoca-ti sin dal titolo, da Devi cambiare latua vita di Peter Sloterdijk (Corti-na, 2010).

Certo, a pochi è dato di giunge-re all’aureo motto di Beckett «fal-lire ancora, fallire meglio». Perso-nalmente, alla via dell’autoaiutocontroproporrei l’eteroaiuto. Se,

come spesso avviene, questo do-vesse mancare, suggerirei di leg-gere, piuttosto che manuali di au-toaiuto, storie tristissime e trage-die. Era già l’intuizione di Aristo-tele: vedendo le disgrazie atrociche accadono a persone miglioridi noi, ci sentiamo meglio, subia-mo una purificazione dell’animo,diventiamo noi stessi migliori. Eforse in questo miglioramento ècompresa la rinuncia alla pienarealizzazione di una perfezioneumana che sta alla base dei ma-nuali di autoaiuto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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PIERGIORGIO ODIFREDDI

Domani è la Giornata della memoria,che ricorda ciò che non si devedimenticare: lo sterminio nazista di un

numero compreso fra i 12 e i 17 milioni dipersone, secondo le cifre riportate daWikipedia. Un genocidio plurimo egeneralizzato di circa 6 milioni di ebrei, 3 diprigionieri di guerra sovietici, 2 di polacchinon ebrei, 2 di slavi, 1,5 di dissidenti politici, e1 di zingari, disabili, omosessuali, massoni ealtre frange della popolazione europea. La vicenda nazista può essere letta da varipunti di vista, e anche la scienzasperimentale ha il suo. Che giunge alle stesse

conclusioni tratte da Hannah Arendt in Labanalità del male, un’analisi del processo diGerusalemme ad Adolf Eichmann del 1961.Conclusioni che sono riassunte nel titolo: icriminali nazisti non erano personeparticolarmente malvagie o perverse, mabanali cittadini che obbedivanoinconsapevolmente all’autorità costituita. Ed è appunto Obbedienza all’autorità il titolodi un famoso e conturbante saggio di StanleyMilgram, che tra il 1960 e il 1963 effettuòesperimenti su vari volontari e si accorse cheerano quasi tutti disposti a infliggeresofferenze anche gravi a persone

sconosciute, purché qualcuno dicesse loro difarlo. Nel 1971 Philip Zimbardo ottennerisultati analoghi, raccontati nel libro L’effettoLucifero: cattivi si diventa?, e mostrati nel filmExperiment. Questa volta, bastava dividere isoggetti in “guardie” e “detenuti”, per far sìche si comportassero effettivamente secondoi loro ruoli. I nazisti erano dunque Uominicomuni, come Christopher Browning intitolaappunto il suo libro sulla “soluzione finale” inPolonia. E nazisti possiamo essere tutti,comportandoci in maniera conformistarispetto a un potere totalitario.

Tabelline

Cattivi si diventa?Esperimentisulla banalitàdel male

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ILLUSTRAZIONE DI OLIMPIA ZAGNOLI

L’intervista

Ella Berthoud e Susan Elderkin sono le autrici di un prontuario-bestseller sulla biblioterapia“Problemi psicologici, ma anche mal di denti o singhiozzo: la narrativa è una medicina efficace”

“Così Holden e la Kareninacureranno le vostre malattie”

RAFFAELLA DE SANTIS

“Jane Eyre? Ottimoper i cuori infrantiE offriamo SylviaPlath a chi è affettoda depressione”

Repubblica Nazionale