L'inganno delle apparenze

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i narratori rocco cascini l inganno delle apparenze La seconda avventura del Commissario Rinaldi

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Il secondo giallo di Rocco Cascini.

Transcript of L'inganno delle apparenze

ISBN 978-88-96171-02-8

€ 12,50

... era solo una vecchia signora, in piedi, di fronte a lui, dietro una zanzariera che deformava i lineamenti del suo corpo e ne faceva assumere così l’immagine di un fantasma. Il commissario la guardò e noto che altrettanto faceva lei, in maniera f issa, terrorizzante...

ISBN 978-88-96171-04-2

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ze ROCCO CASCINI è nato a Stigliano nel 1980, ma è cresciuto e vive a Matera.È laureato in Economia Aziendale presso la Bocconidi Milano, e proprio durante il suo soggiorno milanese ha maturato la sua passione per la scrittura. Con il primo romanzo, “Guardie e ladri”, pubblicato nella stessa collana nel 2007, aveva già ottenuto il terzo posto al premio nazionale letterario “Mario Pannunzio”.Cascini, giallista, scrive costantemente. È infatuato dalla grande letteratura di genere, dedito specialmente alla lettura di thriller, noir e, ovviamente, gialli.Il romanzo d’esordio ha ottenuto un buon successo di pubblico e di critica.

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CAPItoLo 1

Come una giornata estiva soleggiata che il passaggio di una nuvo-la solitaria improvvisamente oscura, così era Matera, una città viva e tranquilla che di tanto in tanto attraversava periodi bui; una cittadina con momenti foschi, ma di breve durata.

E ne era ben cosciente il commissario di Polizia Luca Rinaldi. Il suo lavoro proseguiva senza grossi sussulti, pacatamente. Eppure ben sa-peva che, prima o poi, la nube sarebbe tornata.

Più prima che poi.Si dice che dopo un mese di vacanza occorra almeno una settimana

per riabituarsi alla propria routine di vita. Questa convinzione per lui non valeva. Era tornato da mesi dall’Australia e ancora non si era rein-serito completamente nella sua monotona vita. Forse per la noiosità del suo lavoro, o forse perché in quella grande isola nella parte opposta del mondo aveva scoperto ciò che davvero desiderava più di ogni altra cosa: una vita avventuriera e nello stesso tempo spensierata, intrigan-te. Ci aveva trascorso soltanto un mese, ma l’Australia continuava ad attrarlo più di ogni altra cosa. Si ripromise di tornarci appena possibi-le, giusto il tempo di racimolare altri risparmi.

Ci ripensava continuamente, tutti i giorni. Da quando apriva gli oc-chi al mattino, mentre era con la testa sui fascicoli da studiare, fino a quando si riaddormentava, la sua mente proponeva ripetutamente i coccodrilli dell’Adelaide River, i tramonti indimenticabili di Broome, i quokka di Rottnest Island, e poi lo spettacolo multicolore dell’Uluru, fino alla bellissima Sidney.

Sogni e desideri a parte, l’Australia per lui ebbe un’importanza vi-tale. Fu grazie a essa, infatti, che riuscì se non a dimenticare almeno ad allontanare la terribile vicenda del taglia-corpi. Anche se di quel pe-riodo non tutto era proprio da cancellare. Era stata una vera e propria esperienza di vita, utile per conoscere meglio se stesso e gli altri e che

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inoltre gli permise di consolidare la sua passione per la musica. In bre-ve, era una delle tipiche situazioni nelle quali si può guardare il bic-chiere mezzo pieno o mezzo vuoto, anche se lui ogni bicchiere preferi-va sempre svuotarlo.

Sembrava una giornata qualunque, a parte quel nuovo e pungente freddo mattutino. Le stagioni oramai si confondevano una con l’altra. La primavera e l’autunno non esistevano più, l’inverno non era sem-pre inverno e l’estate non era sempre estate. A parte il puntuale cal-do di luglio e il freddo di febbraio, il clima aveva perso la sua regola-rità. Sul calendario era già inverno ma solo quel martedì il freddo era veramente invernale, e aveva sostituito la temperatura mite dei gior-ni precedenti. Il traffico di via Lucana era come al solito insopportabile e il commissario si domandò per l’ennesima volta se fossero troppe le macchine o troppo poche le strade o, ancora, se poco il lavoro o la vo-glia di lavorare dei materani. Come ogni mattina, per evitare ulterio-ri ingorghi, arrivato all’altezza della vecchia scuola “Alessandro Volta”, Rinaldi voltò a sinistra per via Lanera e la percorse dritta fino alla cir-convallazione. Evitò volutamente la strada che circonda il castello per due motivi: per non cadere in tristi ricordi; per non rovinarsi la gior-nata a riflettere sullo squallore di un parcheggio di camper adiacente a un castello medievale.

Un’offesa a quanto di più grande l’uomo possa conservare, un ol-traggio alla storia.

Anche il suo ingresso in Questura non fu diverso dal solito. Come ogni mattina, la prima persona ad accoglierlo fu Irene.

- Buongiorno commissario. Come sta oggi?- Peggio di ieri e sicuramente non meglio di domani.Da quando era tornato dall’Australia non faceva che ripetere quel-

la frase.- Ci sono novità?- Stanotte c’è stata una rissa tra ragazzi a Piazza Kennedy. Roba di

poco conto.- L’abbiamo filmata?- Penso di sì.- Dì a Laura di procurarmi una copia.Chissà perché professiamo pace e fratellanza ogni giorno ma non

nascondiamo un certo fascino per le scene di violenza collettiva, allo stadio, in piazza, in Parlamento. Inguaribile istinto umano?

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Anche l’ufficio era sempre lo stesso, sempre in disordine e con una leggera puzza di fumo che i deodoranti non bastavano a coprire. L’ora-rio era di quelli buoni. Il suo puntuale ritardo non mancò neanche quel giorno. Si prevedeva la solita noiosa mattinata, non c’erano indagini in corso e la festa della Bruna era ancora lontana. Una passeggiata per le vie del centro era quanto di meglio potesse desiderare in quel momen-to, Australia a parte.

C’era, tuttavia, un elemento nuovo. Avvertì un forte dolore al pre-molare che, come la calunnia di Rossini, era partito in sordina ma col passare delle ore si acutizzava sempre di più. Era un appuntamento fisso, legato indissolubilmente al cambiamento climatico. Il freddo di quella mattina era reso gelido dal forte vento al punto da annullare completamente la dominante presenza del sole. Arrivato in Piazza Vit-torio Veneto, il commissario alzò lo sguardo per vedere l’ora sul gran-de orologio del Palazzo dell’Annunziata.

Le 10 e 35.Nello stesso momento una nuvola, grigia, passò velocemente sopra

la sua testa coprendo il freddo sole. Gli antichi greci lo avrebbero forse preso come un presagio, Rinaldi

invece se ne disinteressò e proseguì la sua passeggiata, pregustando la focaccia che lo attendeva di lì a qualche minuto.

Dopo la chiusura dell’indagine sul taglia-corpi anche Rinaldi aveva vissuto il suo momento di notorietà. Ormai la società è fin troppo abi-tuata a creare stereotipi mediatici. Non conta più essere un bravo can-tante, un famoso attore, un politico, un capace sportivo per essere ri-conoscibile e apprezzato dal pubblico. Chiunque può diventare famo-so. Basta, ad esempio, accettare di rinchiudersi in quattro mura con una decina di altri esibizionisti o flirtare in Tv con un uomo creato ad hoc, per crearsi l’illusione di essere una star, senza avere la consape-volezza, purtroppo, di essere sì una stella, ma cadente, una meteora, sfruttata per uno scopo pubblicitario di breve durata.

Rinaldi non aveva nessuna voglia di stare sotto la luce dei riflettori. Le telecamere lo imbarazzavano, le interviste ancora di più. Avvertiva del fastidio pure nel sentirsi osservato dall’occhio umano. Per sua for-tuna, anche lui era stato solo una meteora. Di colpo, le attenzioni sul suo conto cessarono ed era tornato il solito, poco appariscente, com-missario di Polizia.

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Tra una sigaretta e l’altra, un incontro e un altro, una chiacchiera e un’altra, era trascorsa tutta la mattinata. Per nulla pentito di aver ru-bato una mezza giornata di stipendio, raggiunse la trattoria dove Lu-cio era già pronto per preparargli il pranzo giornaliero.

Orecchiette alla murgiana e cotoletta alla milanese. Ottimi, se solo avesse potuto gustarli. Il dolore al dente si riacutizzò improvvisamen-te al contatto con il cibo.

- Non ha gradito, commissario?, domandò incredula la cameriera quando vide il pranzo ancora sulla tavola.

- Macchè. Ho un mal di denti infernale!- Vuole un Aulin?- Meglio un whisky. Doppio.Lui era per i metodi di cura antichi. Tornò in Questura con un grande senso di vuoto allo stomaco. Si

rese conto di non aver neanche salutato i due colleghi Giacomo e Lau-ra. Con sorpresa si accorse che non erano in ufficio. Chiese notizie a Irene.

- Sono usciti pochi minuti fa, dopo aver ricevuto una telefonata.- Una telefonata? Da chi?- Un infermiere.- Un infermiere?- Mi hanno detto così.- Sono andati all’ospedale, allora?- No. Non mi hanno precisato nulla. Hanno detto, però, che avreb-

bero richiamato se ce ne fosse stato bisogno.Rinaldi si incamminò verso l’ufficio, dove si distese sulla sua como-

da sedia in pelle e fumò una sigaretta. Passarono pochi minuti quando ricevette una telefonata. Era Irene.

Gli comunicò che avrebbe dovuto raggiungere immediatamente un in-dirizzo preciso nel rione Piccianello.

Il celebre rione Piccianello, rinomato nella città soprattutto come

punto di partenza della santa processione della festa padronale, era a due passi dalla Questura e il commissario ci impiegò poco ad arrivarci. La destinazione era una delle case a due piani tipiche della zona. Da-vanti l’abitazione erano parcheggiate un’ambulanza, tre volanti e, con grande sorpresa, l’auto del dottor Bianchi, il capo della Scientifica. Sul ciglio della porta i capelli di Laura erano sensualmente agitati dal ven-

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to, mentre Giacomo se ne stava pensieroso, ma appena lo vide gli andò incontro.

- Allora?- Ho paura di dirtelo.Rinaldi lo guardò quasi spaventato. Il curioso vicinato era perfetta-

mente disposto a cerchio oltre le barriere e col passare dei minuti au-mentava sempre di più.

- Si faccia coraggio, ispettore. Ciao Laura.La donna che alcuni mesi prima gli aveva salvato la vita lo salutò al-

zando le sopracciglia. - Avete perso la parola?- Forse è meglio che parli prima con il dottore.Rinaldi varcò il portone d’ingresso. Davanti a sé apparve la porta di

una casa, ma non era quella la sua destinazione, bensì il piano superio-re. Salì gli scalini, lentamente, mentre già udiva un insistente vociare. Appena arrivò sul pianerottolo dell’abitazione, lesse il nome della fa-miglia inquilina: Bertolli.

Attraversò l’anticamera e si ritrovò di fronte a uno spettacolo rac-capricciante. Un uomo aveva il capo disteso, disarmato, su un tavolo. Non c’erano però tracce di sangue, solo un vassoio con due tazze da tè. Il dottor Bianchi si avvide della sua presenza e gli andò incontro. Altri due uomini proseguirono il loro lavoro alla ricerca di tracce.

- Che cosa diavolo è successo?- Lo hai appena nominato.- Il diavolo?- Sì. È tornato.Il commissario guardò meglio il volto dell’uomo sulla cinquantina di-

steso sul tavolo. Aveva un accenno di calvizie che stava prendendo sem-pre più spazio tra la capigliatura brizzolata. Di più non poteva vedere da quella posizione, notava solo uno strano colore bluastro del suo viso.

- Omicidio?Il dottor Bianchi annuì. - Ha mai letto Agatha Christie?- Cosa c’entra Agatha Christie?- Sembra la ricostruzione di uno dei suoi romanzi. Una tazza di tè

avvelenato.- Avvelenato?- Cianuro.

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Rinaldi rabbrividì. - E in quantità non indifferente. Bastano pochi milligrammi di cia-

nuro per provocare una morte veloce. In questo caso credo sia stata immediata.

- Ed era nel tè?Il dottor Bianchi sorrise.- Il cianuro è un veleno creato dalla natura forse per un unico sco-

po: uccidere.- Quell’uomo è quindi stato assassinato? – domandò Rinaldi, come

se non volesse ammetterlo.- Entri a dare un’occhiata.Sembrava veramente l’ambientazione di uno di quei vecchi gialli

delle serie televisive. Il silenzio tombale e l’oscurità contribuivano a rendere la scena particolarmente inquietante.

- Qui dentro c’è stato un altro uomo. Guardi a terra.Sparsi sul pavimento c’erano dei cocci di quello che era stato un

vaso e pure un piccolo sgabello che, presumibilmente, aveva avuto il compito di reggerlo.

- Evidentemente l’uomo, nella foga, ha fatto cadere il vaso e si è di-sinteressato di raccogliere i cocci.

- Perché continua a ripetere che è stato un uomo?- Abbiamo trovato delle orme di scarpe da uomo.Rinaldi si bloccò nella visione del pavimento.- C’è una particolarità, però.- E sarebbe?- Le orme si fermano all’ingresso del soggiorno, all’interno della

stanza non abbiamo ritrovato alcuna traccia.- Non è entrato nessun altro in casa prima di voi?- Sì, l’infermiere dell’ambulanza e la moglie della vittima. Ma le loro

scarpe non corrispondono alle orme che abbiamo rinvenuto. Il killer calza un 43.

- Altre prove?- No, per il momento.Rinaldi annuì e si avvicinò al deceduto. Avvertì qualcosa di strano

nell’aria.- Cos’è quest’odore?- Mandorle amare! Quando il cianuro viene ingerito lascia questo

particolare odore. Le analisi lo confermeranno.

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- Intende dire che non è ancora certo che si tratti di cianuro?- No, ma quest’odore è già una conferma.Rinaldi si guardò attorno. Non trovò nulla di interessante a una

prima occhiata. - È sicuro di non aver trovato nessun biglietto, un qualsiasi indi-

zio?Il dottor Bianchi lo guardò perplesso. - Gli omicidi non sono tutti seriali, commissario.Rinaldi preferì non obiettare.- Segni di effrazione alla porta?- Nessuno. Dia un’occhiata.La serratura era uno di quei vecchi modelli a tiratura. Il pezzo di

ferro era completamente tirato indietro, dunque la porta era libera-mente spalancabile.

- Immagino, allora, che l’assassino abbia trovato la via libera per en-trare in casa. Dunque, conosceva la vittima.

- Sembra di sì. E tra l’altro ha avuto pure la pignoleria di far sparire ogni sua traccia dal soggiorno.

- Portando lo straccio con sé?Rinaldi aggrottò la fronte e si fece pensieroso. Ma era inutile par-

larne con il dottor Bianchi.- Mi faccia sapere se ci saranno novità.Uscì di casa e fu subito investito dal forte e fastidioso vento. - Che te ne pare?, gli domandò subito Giacomo. - Artistico.I due lo guardarono meravigliati.- Ricostruitemi l’accaduto.Fu l’ispettore a parlare.- La vittima si chiama Enrico Bertolli, autista di pullman, sposato

con due figli. Il corpo ucciso è stato ritrovato da sua moglie, la signo-ra Adelina Scanzano, casalinga. Appena ha visto il corpo di suo mari-to giacere sul tavolo ha avvertito l’ambulanza. E l’infermiere, accorto-si che non si trattava di un semplice malore, ha chiamato la Questura. Quando qualcuno ha sibilato la parola omicidio ti abbiamo chiamato.

- Dov’è la signora?Fu Laura a intervenire.- Nell’ambulanza.- Non è il caso di interrogarla ora.

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- Lo penso pure io, rispose la donna. - Avvertiamo il questore?, domandò Giacomo.- Non è a Matera. Anche perché se ci fosse lui, io non sarei qui.E quest’ultima frase la diceva tutta sul rapporto che i due avevano

negli ultimi tempi.- Raccogliete tutte le informazioni necessarie. Penso che ormai ci

siate abituati. Aspetto un rapporto entro domani mattina.Il commissario si allontanò e raggiunse la sua Peugeot. Attraversò

la strada sentendosi addosso gli occhi della gente. Non poté non avver-tire i loro mormorii, ma se ne infischiò.

Era solo l’inizio.

Rientrò in Questura e si avvicinò subito a Irene.- Irene, prova a contattare il questore e avvertilo che c’è stato un

omicidio. Digli che ci stiamo già muovendo. Se ti chiede di parlare con me digli che sono irreperibile.

Irene lo guardò con gli occhi sgranati.- Un omicidio?- Già. Non c’è tempo da perdere.La notizia ci mise pochissimo a fare il giro della città. In casi come

quelli si dice che Matera altro non è che un grande paese. TRM aveva già realizzato un servizio esaustivo, ci mancava solo che

dicesse pure il nome dell’assassino. Da Laura e Giacomo ancora nes-suna notizia. Il sole era calato da un pezzo e il commissario rinunciò all’idea di muovere i primi passi in giornata. Non poteva che riflettere su quanto visto in quella breve visita.

E il suo istinto gli diceva che la situazione era tutto fuorché chiara.