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L’individuo nella modernità Disagio e frammentazione in C. Taylor e Z. Bauman di Giovanni Petti 1

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L’individuo nella modernità

Disagio e frammentazione in C. Taylor e Z. Bauman

di Giovanni Petti

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Indice

Introduzione ………...………………………………………………………………………………...…3

Capitolo 1 . Il disagio per C. Taylor …...……………………………………………...............6

1.1 Dal dibattito inarticolato al dibattito multi – direzionale ……..………………………………... 7

1.1.1 Il dibattito sulla ragione strumentale ………………...……………………………………. 10

Capitolo 2 . L’incertezza nella post – modernità

2.1 Cos’è l’uomo secondo Bauman ......………………………………………………………. 11

2.2 Come pensa ................................................................................................................... 14

2.3 Come agisce ...…….………..………………………………………………………………… 16

Capitolo 3 Conclusioni – Soluzioni ……………………………………………………..… 18

Bibliografia …...…………………………………………………………………………………………22

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Introduzione

Siamo tutti individui, adesso, ma non per scelta: per necessità. Siamo individui de iure a prescindere dalla questione se siamo o no individui de facto: il nostro dovere è identificazione, la gestione e l’affermazione di noi stessi, e soprattutto l’autosufficienza nello svolgimento di tutti e tre questi compiti, che disponiamo o meno delle risorse richieste dell’adempimento di questo nuovo dovere (un dovere per difetto anziché dovuto; non esiste, semplicemente, un’agenzia che possa fare il lavoro al posto nostro). Molti di noi sono stati individualizzati senza diventare veri individui e molti di più sono ossessionati dal sospetto di non essere, in realtà, abbastanza individui da poter far fronte alle conseguenze dell’individualizzazione.1

Un lavoro, questo, incentrato su studi contemporanei di grandi sociologi, pedagogisti e storici

delle idee, che affrontano questioni attuali di grande rilievo, esprimendo resoconti sulla condizione

odierna della società e dei suoi “membri” nel nostro secolo. Si cercherà di intraprendere un percorso

che segue la scia di due di questi autori, scandagliando i rispettivi diversi metodi nell’osservare la

modernità con grande intuitività e profondità.

I riferimenti bibliografici scelti e presi in esame sono: Il disagio della modernità di Charles

Taylor e La società individualizzata di Zygmunt Bauman. In più si è fatto riferimento al lavoro

antologico di Furio Pesci, Maestri e idee della pedagogia moderna, per attingere all’apparato

storico della pedagogia e delle idee.

La pedagogia moderna, che ha inizio con l'Umanesimo, a differenze dei vecchi orientamenti

si vede ora collocata verso un senso di

[…] “dover essere” che guidò la modernità fin dall’inizio nel suo intento di costruire un nuovo mondo, “disincantato” (Weber), esaltazione della soggettività umana, per il quale la questione educativa si poneva come elemento necessario alla trasformazione delle coscienze, alla loro secolarizzazione progressiva, alla costituzione dell’ “umanità” nella sua autonomia e indipendenza ontologica. La storia della pedagogia non è soltanto parte dell’età moderna, ma si basa sull’idea che la riflessione pedagogica s’identifica con il progetto antropologico ed etico.2 1 Z. Bauman, La Società Individualizzata, Mulino, Bologna, 2010, p. 136.2 F. Pesci, Introduzione a Maestri e Idee della Pedagogia Moderna, 2010 p. IX.

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Questo approccio di studi si presenta perciò eminentemente come interdisciplinare. Quindi

non stupisca se i due saggi studiati appartengono a due sociologi, e discutono di tematiche

prettamente sociologiche.

Inizierò con un breve e rapido “excursus” storico-comparativo con altri autori a questi più

vicini. Certamente quest’“excursus” sarà, per ovvie ragioni di spazio e di tempo, concentrato su

pochissimi altri autori. Si è sicuramente consapevoli dell’impossibilità di raggiungere una completa

ed esaustiva trattazione storica in questa sede.

Procederò quindi approfondendo le tematiche specifiche dei saggi. Dapprima inizierò con il

saggio di C. Taylor per poi passare ad enucleare le linee guida del saggio, o meglio della raccolta di

saggi, di Z. Bauman. Alla fine, tenterò una comparazione tra le diverse e analoghe al tempo stesso

conclusioni alle problematiche proposte dai due autori, mettendo in risalto proprio quella

dimensione interdisciplinare che vede la pedagogia chiamata in causa come principale “mediatrice”. 3

§

La Pedagogia nella modernità

Come sopra detto, la pedagogia nasce con la modernità; suo obiettivo principale è l’impegno

nello studiare la condizione umana dal punto di vista antropologico ed etico.

Se parliamo di “mediazione pedagogica” nella modernità, lo facciamo intendendo una storia della

pedagogia che si propone di “offrire le basi e gli strumenti per la comprensione critica del

presente”.

E’ possibile ad esempio ravvisare una “collaborazione” di tutte le discipline sociali in uno

dei temi fondamentali dell’educazione: la virtù e la morale.

Importanti studi moderni sui rapporti tra etica e storia della pedagogia sono stati quelli svolti

da Alasdair MacIntyre e Charles Taylor.

Il primo riflette sui presupposti sociali della morale e, quindi, sulla produzione di concetti

condivisi dai membri della società. Studia perciò i rapporti interpersonali tra individui e i significati

coprodotti dai partecipanti a questa interrelazione reticolare.

3 Si pensi che Giacomo Cives chiama questa interdisciplinarietà “mediazione pedagogica”.4

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MacIntyre ha proposto una concezione comunitaria dell’etica, secondo cui tanto i criteri delle scelte

morali individuali quanto la legittimità dell’ordine politico e sociale avrebbero il loro fondamento

nella cultura morale di una comunità, invece che un in insieme di diritti riferibili direttamente al

singolo individuo.

La secolarizzazione della morale operata dall’illuminismo, secondo il suo punto di vista, è

da intendere più come una perdita di contenuti etici significativi che come una liberazione

dell’individuo. Il risultato è l’attuale crisi del pensiero morale, e la perdita di legittimità delle

istituzioni, che non godono più di un genuino consenso.

Il secondo parla di “età secolare” intendendo un processo di desacralizzazione della

modernità. Tramite una prospettiva storiografica cerca di studiare come si è venuta stratificando e

creando un’identità personale, un’io. Come condizioni della morale indica l’identità e il bene. Per

identità intende anche la natura, nel senso di un essere orientato teleologicamente verso il bene,

verso la felicità.

Perciò l’interiorità umana naturale assume un ruolo centrale nell’accesso alla realtà e al

bene. L’originalità del suo pensiero non sta nell’aver semplicemente accostato il concetto di identità

personale a quello di morale, ma nell’aver individuato le radici di entrambe nella cristianità.

Le fasi storiche di svolta, in cui è possibile ravvisare questi cambiamenti, sono state: la

riforma protestante; la nascita di una società “disciplinare” borghese, manierata; quello che chiama

“effetto nova”: la fine del deismo; la nascita di una concezione impersonale della modernità e

perciò la nascita del disagio; il pluralismo “più secolarizzato”: universo della “non credenza” in

espansione. Infatti i primi tentativi di laicizzazione della ragione in campo educativo li ravvisiamo

negli illuministi: sono Rousseau e Diderot che propongono una pedagogia secolare atta a far uscire

l’uomo dalla sua minorità e perciò a rendergli possibile un’emancipazione per mezzo della ragione.

Ultimo grande cambiamento, Taylor, lo ravvisa nell’Ottocento: l’epoca della mobilitazione e

radicalizzazione delle posizioni secolari contro la religione; epoca in cui i frutti di quella forte

sacralizzazione iniziano ad essere raccolti.

Da questo momento in poi gli orizzonti sono “frantumati” (Taylor). Lyotard parla di

“dissenso”, Girard di “risentimento”, Bauman di “individualizzazione”. Possiamo dire che elemento

unificante è il tentativo di definire le coordinate della rinnovata condizione umana emersa nel

Novecento.

In maniera ricorrente, in tutti i paesi occidentali, si è affacciato il dubbio sulla natura “spersonalizzazione” […]. La vicenda della pedagogia del Novecento si può, forse, leggere come un tentativo incessante di porre rimedio a questa tendenza […]. 44 F. Pesci, introduzione, a op. cit., p. XV. Un approfondimento a quell’ “attivismo pedagogico” che, con

Dewey, Ferrière, la Montessori e altri, cercò di emancipare la tradizione pedagogica da riduzionismi legandola a 5

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Capitolo1.

“ Il disagio” per C. Taylor

Fin dalle prime battute del suo saggio, Taylor propone una definizione del concetto chiave

che guida il suo lavoro: disagio. Con questo si fa riferimento a frammenti della modernità che gli

uomini sperimentano come declino nonostante il progresso della nostra civiltà. Tre sono le fonti di

preoccupazione che alimentano questo disagio dell’uomo nella modernità: l’individualismo, la

ragione strumentale e le conseguenze pratico-politiche delle precedenti.

Con il primo di questi, l’individualismo, cambia l’autocoscienza dell’uomo entro un nuovo

orizzonte che prima era gerarchico, cosmico e che, anche se limitava la libertà umana, contribuiva

comunque a dare un senso al mondo. Invece ora si vede fiondato in un universo caratterizzato da

“disincantamento” con il quale nasce la libertà moderna a discapito del senso.

Questa perdita di senso era legata a un restringimento. Gli uomini perdevano la visione più ampia perché si concentravano sulle loro vite individuali. […] Il lato oscuro dell’individualismo è il suo incentrarsi sull’io, che a un tempo appiattisce e restringe le nostre vite, ne impoverisce il significato, e le allontana dall’interesse per gli altri e la società. 5L’individualismo rappresenta una questione cardine della modernità che come vedremo viene

altrettanto ben affrontata in un’analisi sistematica dall’altro studioso preso in esame6.

Il secondo fenomeno è la ragiona strumentale. Con tale attributo s’intende una ragione al

servizio dell’economia e dell’utilitarismo; una ragione figlia di questa modernità, che potrebbe

allargare la sua rete d’azione non solo sui meccanismi esterni della politica e dell’economia – dei

quali ne è già la “linfa vitale” – ma su noi stessi. Con questa ragione infatti “si volatilizza ciò che vi

era […] di stabile”; così nel Manifesto del Partito Comunista Marx.

E’ ovvio che entrambi tali dispositivi ci conducono direttamente al terzo, quello politico.

Questa dimensione oggi è da concepire come un’arena, come un “contesto vincolante” che limita le

nostre scelte individuali, dando invece più voce in capitolo alla ragione strumentale. I rischi di

questa posizione sono ovviamente molti: oltre alla perdita di senso e moralità – data l’accentuazione

dell’aspetto della vita privata su quella vissuta in comune con gli altri – si assiste anche ad un problematiche di ampio respiro sociale ed antropologico, sarebbe opportuno, ma di nuovo, per ovvie ragioni di tempo e di spazio spazio, rimando allo stesso testo; in particolare per questi argomenti vedi: pp. 161- p. 204 e pp. 262 - 269.

5 C. Taylor, Il disagio della modernità, ed. Laterza, Bari, 2006, p. 6.6 Vedi infra, cap. 3, pp. 6 – 11.

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eclissarsi dei fini e prospettive – data invece la supremazia della ragione strumentale. Oltretutto si

percepisce un’enorme perdita in termini di libertà d’azione individuale. Se è in tale luogo “politico”

che si riscontrano tutti questi problemi, sarà qui che dovremo cercare delle soluzioni e quindi

proporre alternative.

Taylor procede con l’affrontare da un punto di vista quasi storiografico i dibattiti che su

questi controversi argomenti sono stati prodotti dagli studiosi negli ultimi anni, riportando sia

l’opinione dei lodatori sia dei detrattori. L’intento non è né di appoggiare gli uni né gli altri, ma di

fare emergere il buono da entrambi per giungere ad una conclusione più creativa e propositiva.

1.1 Dal dibattito inarticolato al dibattito multi – direzionale

Parliamo di “dibattito inarticolato” riferendoci a quella diatriba “scarna e autoreferenziale” nata

da alcuni studiosi in materia di individualismo. Si presenta il problema, di cui sopra, in termini

d’individualismo dell’auto-realizzazione.

Questa definizione molto in voga in alcuni studiosi contemporanei – si pensi ai celebri saggi di

Christopher Lasch La cultura del narcisismo e L’io minimo – implica e presuppone l’adozione di

un relativismo come posizione morale: l’idea che ognuno sia padrone di e debba rispondere solo a

se stesso.

Questa posizione finisce per oscurare alcune problematiche fondamentali della modernità. Gli

ideali morali proposti da questi autori (“narcisismo”, “edonismo”, “egoismo”, “lassismo”) sono

utilizzati indebitamente per spiegare in maniera semplificata tutti i casi cui possono essere applicati.

Ciò che occorre spiegare è ciò che è peculiare della nostra epoca. Il punto non è soltanto che gli esseri umani sacrificano i loro rapporti […] per inseguire le loro carriere: qualcosa del genere è forse sempre esistito. Il punto è che oggi molti si sentono chiamati a far questo, sentono che debbono comportarsi così […]. 7Perciò senza “realizzarci”, diremmo noi oggi, ci sentiremo persi. L’accento di questi autori è

chiaramente posto sull’aspetto politico.

Ma Taylor insiste sulla scorrettezza di questo ragionamento: non bisogna perciò prendere

l’ideale di autenticità come un semplice ideale morale di per sé già dato, immobile o

7 Ibidem, p. 21.7

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immodificabile, né degradarlo, perché tutti questi intellettuali finiscono anche col cadere in quello

che Taylor chiama “liberalismo della neutralità”, col quale si cerca di dare una mera spiegazione

della vita privata come sottoprodotto del mutamento sociale. Si finisce perciò col mettere ai margini

della politica lo studio della vita privata.

Quel che bisogna fare è invece studiare l’autenticità in modo da cercare di renderla valida

come idea morale. Nelle condizioni in cui è versata ora, sembra quasi “impresentabile”: deve essere

ripristinata.

La vera e “autentica” autenticità nasce dalla dislocazione dell’accento morale, che se prima

veniva inteso come mero calcolo delle conseguenze ora diventa necessario; necessario per gli esseri

umani, necessario perché dettato dalla nostra interiorità.

Come sopra detto8 il cambiamento forte dato dalla modernità è stato principalmente un

cambiamento di “fonte”. Se prima la fonte era teistica, se era Dio, dall’ottocento è stata sostituita

dalla natura.

Con Rousseau si assiste alla prima rottura: è la voce della natura che parla in e con noi,

dobbiamo perciò recuperare la nostra vera e autentica natura. In Rousseau l’autenticità è intesa

come libertà che si autodetermina. E quest’autodeterminazione implica la fine del concetto di

volontà particolare, a discapito di quella generale, unica e indivisibile. Il passo da qui al negare

categoricamente qualsiasi possibilità d’individuazione, e perciò al totalitarismo, è breve.

Una seconda e forte rottura, per Taylor, si ha invece con Herder: “Ciascuna persona ha

propria misura nell’essere uomo”. Importante per Herder è perciò essere fedeli a se stessi. Secondo

Taylor, non possiamo eludere quegli orizzonti che invece sono di per sé “ineludibili”. L’uomo non è

tale se non commisurato ad “altri e altro”, non è tale se non rispetto a qualcosa di diverso. Taylor

sottolinea perciò più il carattere dialogico della vita umana. Nega categoricamente il soggettivismo

assoluto. “Lo stesso eremita ha come interlocutore Dio”.

Detto ciò, possiamo e dobbiamo definire noi stessi tramite uno sfondo significativo

necessario; se non c’è un terreno comune di gioco, si cade nel relativismo soggettivistico. Se non

c’è condivisione di senso e scambio di altri significati non c’è autoaffermazione, né potrei mai

capire cosa costui mi sta dicendo.

Le cose assumono importanza contro uno sfondo d’intelligibilità. […]. Ne segue che una delle cose che non possiamo fare, se vogliamo definire noi stessi, è sopprimere o negare gli orizzonti contro i quali le cose assumono significato per noi. […] In alcune forme questi discorsi scivolano verso un’affermazione della scelta in sé presa. Tutte le opzioni hanno l’identico valore perché sono scelte liberamente, ed è la scelta che conferisce valore. E’ qui all’opera il principio soggettivistico che sottende il relativismo morbido. Ma 8 Vd. Infra, Introduzione, p. 2.

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ciò nega implicitamente l’esistenza di un orizzonte di significati in forza del quale alcune cose sono più ed altre meno importanti, ed altre ancora non lo sono affatto. 9 L’autenticità non può essere difesa in maniere tali da distruggere gli orizzonti di valore. Ha bisogno

che le venga invece riconsegnata dignità e nobiltà tramite una condivisa scala valoriale.

L’uomo che cerca di dare significato alla propria vita deve necessariamente muoversi entro

un orizzonte di questioni che hanno esse stesse grande significato.

L’idea di vedere l’essere umano moderno come intrappolato coattivamente e definitivamente

in un sistema ineludibile fatto di capitalismo aggressivo, industrializzazione “schizomorfa” e

urbanizzazione incontenibile e incontrollabile, viene perciò fortemente criticata.

L’uomo ha due “modalità di esistenza sociale”: quella per diritto universale, che tutti

indistintamente possiedono e che implica equità sociale, e quella che appartiene alla sfera intima,

fatta di amore per il prossimo e che implica riconoscimento nell’altro.10

Questi valgono da sempre, ma ci sono due novità introdotte dalla modernità: se prima le

distinzioni sociali potevano essere stabilite dalla posizione sociale occupata dai membri e quindi

dalla carica onorifica assunta da ognuno, ora è l’“uguaglianza delle forme di riconoscimento”

conferite dalla dignità a prevalere.

E se prima l’identità era sempre legata a quella posizione sociale, ora per identità s’intende

qualcosa che nasce prima della società e perciò “non può essere socialmente derivato”.

Identità e riconoscimento nell’altro vanno di pari passo. L’io e il noi fanno un tutt’uno anche se un

tutt’uno composito e pieno di differenze.

Tutte quelle teorie slittano per questi motivi, verso una concezione che ammette sì

l’autodeterminazione, ma come debole e perciò incline a un impulso più forte di auto-indulgenza, il

quale conduce all’ egocentrismo.

Io dico che dobbiamo vedere questa cultura come tale che rispecchia in parte un’aspirazione etica, l’ideale dell’autenticità, e che essa non autorizza di per sé le sue varianti egocentriche. 11Le medesime mostrano la teoria del narcisismo come inoppugnabile mentre Taylor come

“piena di tensioni”. Questo perché oltre allo slittamento verso un egocentrismo e antropocentrismo

radicale – radicale perché alimenta la propensione verso la realizzazione esclusivamente nei termini

dell’io trascurando l’altro o gli altri – comporta delle gravi conseguenze anche nell’“alta” cultura e

guida quindi ad una sorta di nichilismo, di mancanza totale di orizzonti di senso.

9 Ivi, pp. 44 – 45.10 Cfr. nota 1.11 Cfr. Ibid, p. 65.

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E’ per ragione di questa presunta assenza di senso che dall’Ottocento si è cominciato a dare

molta più importanza all’esperienza estetica; l’artista rappresenta l’individuo che più di tutti riesce a

rendere la potenza dell’essere umano e che tramite la propria sconfinata potenza (sconfinata per

assenza di limiti di significato) può spingersi oltre la datità fenomenica.

Ma, come ripetuto più volte da Taylor, non può essere questa la sola giusta spiegazione; è

necessaria una via di mezzo.

Possiamo dire che l’autenticità implica creazione e costruzione […], e non di rado anche opposizione alle regole della società […]. Ma è anche vero che essa esige l’apertura ad orizzonti di significato (giacché altrimenti la creazione perde lo sfondo che solo può salvarla dall’irrilevanza).12

Vedremo più avanti quale è questa via di mezzo.

1.1.1 Il dibattito sulla ragione strumentale

Anche riguardo al secondo fenomeno di preoccupazione (la ragione strumentale), si trovano

teorie estreme che vedono contrapposti da una parte i lodatori e dall’altra i detrattori, i quali non

coincidono con quelli dell’autenticità, e che sono anzi spesso invertiti rispetto a quelli.

Queste discussioni polarizzate, come quelle, finiscono per eclissare la positività dell’oggetto in

questione.

Un dispositivo come quello della ragione strumentale sarebbe ed è invece fondamentale in

una società capitalistica e tecnologica, che ci costringe “ad agire in conformità delle razionalità

moderna indipendentemente dal fatto che essa si accordi o no con il nostro orizzonte morale”.13

Ma questa dimensione non è ineluttabile, o perlomeno non è l’unica possibile. La ragione pratica

può vedersi in parte limitata, arginata per opera della nostra forza morale, della nostra interiorità

che, come suddetto, viene sempre prima della società.

Capitolo 2 12 Ibidem, p. 78.13 Cfr. Ivi, p. 114.

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L’incertezza nella post-modernità.

2.1. Cos’è l’uomo secondo Bauman?

Anche Bauman ci offre molte riflessioni sulla cosiddetta "crisi postmoderna". Incertezza,

dispersione, frammentarietà, sgretolamento del tempo, individualismo e perdita dei valori durevoli

solo alcuni dei concetti-chiave della trattazione. Una società moderna nella cui costruzione delle

gerarchie di influenza la "notorietà" si è sostituita alla "fama". La "visibilità pubblica" pertanto ha

rimpiazzato ad esempio le "credenziali accademiche". È il tempo della "mediocrazia".

Però il leitmotiv di questa opera è il concetto di “incertezza”14. Questo rappresenta il primo

fattore forte della tendenza all’individualizzazione. Le cause che hanno condotto a tale situazione

sono molteplici, ma tutte possono far capo ad un comune spartiacque: lo sviluppo capitalistico.

Bauman procede nell’elencarle una per una delineando da dove e come emergono questi sentimenti

fatti di “ansie, paure e risentimenti”.

La svolta è stata sicuramente impressa dalla rivoluzione industriale. Nella nuova società

industriale si è assistito ad un cambiamento – che si è visto accelerare specialmente negli ultimi

cinquant’anni in modo esponenziale – che ha condotto per primo a quel grande fenomeno che Marx

aveva definito la separazione tra lavoratori e i loro mezzi di sussistenza.

I lavoratori diventavano entità autonome, dei contenitori di forza-lavoro da riempire; e il

lavoro a sua volta diventava un oggetto manipolabile, distinto dal prodotto. Questa inattività del

“lavoratore-contenitore” venne percepita dai contemporanei come un’emancipazione dell’uomo e

delle sue capacità. Allora nulla sembrava fuori dalla portata delle suddette capacità umane.

Il secondo passo della modernità fu quello di unire capitale e lavoro. La reciproca

dipendenza dell’uno dall’altro garantiva anche reciproca sicurezza. Era un legame saldo che

rendeva saldi e sicuri anche i singoli contraenti.

Laddove allora però la mentalità prevalente era una mentalità a “lungo termine”, e garantiva

perciò alla vita una lunga durata, ora la caratteristica della nuova modernità è una mentalità a “breve

termine”; le posizioni sociali odierne sono prive di sicurezza intrinseca, e specialmente la vita

lavorativa è “satura d’incertezze”.

Ed oggi l’insicurezza che comporta tale situazione è sorprendentemente nuova, senza precedenti,

incontrollabile.

14 Vedi per esempio il saggio che ha pubblicato al riguardo due anni prima: La società dell’incertezza, Bologna, Mulino, 1999. E qualcosa di simile viene detto da Taylor nelle prime battute; si pensi alla citazione del Manifesto di Marx.

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La versione odierna della modernità, “liquefatta”, “fluida”, dispersa, sparpagliata e deregolamentata, non fa presagire un divorzio e una rottura definitiva delle comunicazioni, quanto piuttosto un disimpegno tra capitale a lavoro. Si è passati dal matrimonio alla convivenza […].15

Il capitale aspira e anela a raggiungere quella totale indipendenza dal lavoro anche se non

potrà mai raggiungerla. Cercherà progressivamente di scrollarsi di dosso il peso del lavoro umano,

il quale si vedrà via via soppiantato da altre tipologie lavorative non umane. Intendo dire che nella

prima fase di sviluppo capitalistico il tasso di crescita e di profitto era proporzionale alla quantità di

manodopera coinvolta nel processo produttivo. Ora invece l’epoca dell’industria ad alta intensità di

lavoro è finita.

Il sistema capitalistico-lavorativo in cui viviamo è un sistema quasi del tutto autosufficiente,

che si modella da solo. Incline al risparmio e alla produzione a basso costo, una volta abituatosi a

lavorare su di un modello non tornerà più indietro, ma spingerà verso una maggiore ottimizzazione

dei tempi e dei costi. Ciò significa che una volta estromesse dal gioco le persone sono private di

qualsiasi utilità.

Il mondo che viviamo oggi è un mondo artificiale, creato da noi e tenuto in vita da una forza

che potremmo definire economia politica dell’incertezza (così lo definisce Bronislaw Baczko in L’

Utopia). Certamente il caos che da tutto ciò ne deriva presenterà degli aspetti positivi. Infatti se da

un lato la dimensione caotica comporta incertezza, questa nostra modernità, proprio perché

“liquida”, “leggera”, “fluida”, permetterà anche vantaggi in termini di “mobilità”.

La mobilità in quanto tale è legata al concetto di precarietà, ma al tempo stesso anche al

repentino e fluido scorrere delle informazioni da una parte, e al movimento sociale dall’altra. Più in

generale: è il contrasto tra un incontrollabile anelare all’ordine – ad un ordine equilibrato che

potrebbe rappresentare la realizzazione del singolo o semplicemente il suo desiderio di

realizzazione – e un incontrollato e nascosto, se non bizzarramente assente ordine del mondo a

creare ansia. Tendere all’infinito, che è anche indefinito e perciò ignoto, è lacerante.

A questo centrale problema dell’incertezza si lega ovviamente anche quello della libera iniziativa

umana. L’ insicurezza e la libertà sembrano andare di pari passo. Dal lato opposto vediamo la

sicurezza legarsi anche ad un altro concetto: quello di responsabilità. Gli esseri umani hanno

bisogno sia di libertà che di sicurezza e il sacrificio dell’una può comportare sofferenza. “Tuttavia è

un sacrificio non evitabile”. Il conseguente senso d’impotenza e d’inadeguatezza causano disagio.

Viceversa laddove è invece evidente l’assenza da vincoli, da impedimenti, parliamo di libertà. 15 Cfr. Ibidem, p. 36.

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Ma se prima – in termini storico-cronologici, come abbiamo infatti mostrato con

l’emancipazione lavorativa dell’uomo – la conquista dell’emancipazione veniva accolta come un

fattore solamente positivo, oggi ci si rende conto che libertà comporta anche insicurezza. Il punto è

che non è possibile fare un ragionamento scindendo il concetto d’individuo come autoaffermantesi

dalla società di cui fa parte o viceversa.

Quindi se pensiamo a tale individuo, dobbiamo figurarcelo come proiettato in una società

che lo spinge verso una coatta “azione individualizzatrice”, nella stessa misura in cui le attività

degli individui consistono nel “rinegoziare quotidianamente la rete di coinvolgimenti reciproci detta

società”. La società è, potremmo dire, un gioco di rimandi reciproci.

La libertà è uno dei valori dei quali gli esseri umani difficilmente possono fare a meno. Ma esiste un altro valore ugualmente cruciale – la sicurezza – e i due valori non possono che entrare in conflitto, benché l’uno non possa esistere senza l’altro. La sicurezza senza libertà significa schiavitù, la libertà senza sicurezza apre la strada all’angoscia dell’impotenza. Nel corso della storia abbiamo ricercato un equilibrio soddisfacente tra libertà e sicurezza, e non l’abbiamo mai trovato; ed è probabile che non lo troveremo mai. 16Il problema sorge laddove tale individuo si vede fluttuare tra un rischio e l’altro snervato da

ansie e paure. “L’uomo oggi è senza futuro”. Questa non è una semplice affermazione retorica. Un

uomo capace di proiettarsi nel futuro, è anche un uomo capace di modellare il presente, e quindi un

essere che riesce a possedere il suo presente. Oggi questa “presa sul presente” è resa impossibile

proprio dalla stessa dimensione d’insicurezza in cui versa.

Da tutto questa serie di preoccupazioni una questione sorge d’obbligo: non sarà che dallo sfrenato

individualismo ne consegue anche un “menefreghismo” in campo morale? O meglio, se ognuno

vive la propria vita individualmente, dove inizia e dove finisce il ruolo della “responsabilità civile”

che ogni socio o cittadino investe? “Sono forse il custode di mio fratello”?

Certo è che non possiamo pensare come giusta una dimensione vissuta nella totale certezza,

il che comporterebbe una totale libertà e perciò una totale assenza di responsabilità17. La

responsabilità limita la libertà, è vero, ma al tempo stesso gli conferisce un senso all’interno di un

contesto condiviso – o per dirla con Taylor, all’interno di uno “sfondo di significato”.

Potremmo dire che la responsabilità è il dispositivo atto a seguire le norme che regolano la

libertà. Questo significa che per libertà non possiamo intendere una libertà deregolamentata. E’

16 Cfr. An interview with Zygmunt Bauman, intervista a cura di Massimo Cappitti, raccolta il 30 maggio 2000. Traduzione di Valeria Annicchiarico, in Individually, Together, a cura di Carmen Laccardi, trad. di Paolo Costa, ed. Diabasis, Reggio Emilia, 2008, p. 123.

17 Anzi, una dimensione di assoluta certezza si potrebbe presentare molto peggiore dell’insicurezza stessa. Al riguardo vd. Infra, par. 3.1, p. 10.

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proprio la deregola- mentazione una delle piaghe che infesta la nostra società. Bisogna ammettere

che la “responsabilità dell’Altro” non mostra alcunché di razionale, né utile in termini di rendiconto

personale, è ovvio.

[…] non c’è nessuna buona ragione per cui dovremmo essere custodi di nostro fratello, aver cura di lui, essere morali, e in una società orientata all’utile i poveri e gli inattivi, privi di scopo e di funzione, non possono contare su prove razionali del loro diritto alla felicità. Sì, ammettiamolo, non c’è alcunché di “ragionevole” nell’assumersi la responsabilità, nel prendersi cura degli altri e nell’essere morali. La morale non ha altro che se stessa per sorreggersi: è meglio avere a cuore qualcosa che lavarsene le mani, anche se questo non arricchisce le persone e non incrementa la redditività delle aziende. 18Il gesto morale potremmo dire è quello disinteressato, genuino e autentico, ma difficilmente

predeterminabile in una società fatta d’interessi e tornaconti personali.

2.2 Come pensa l’uomo

Caratteristica peculiare della nostra modernità è che ha cessato di mettersi in discussione.

Questa affermazione di Cornelius Castoriadis viene più volte citata da Bauman per sottolineare

l’assenza ad oggi di una critica costruttiva e positiva, che è invece l’unica maniera di produrre

un’alternativa a sé stessa. Questa peculiare assenza sembra dettata dalla sua propria intrinseca ed

ineluttabile “nuova natura”. Intendo dire che è il significato stesso di “essere moderni” – “essere

incapaci a fermarsi” – ad implicare assenza di criticità, riflessione, giustificazione e così via. Una

critica che si vede “disarmata” poiché privata delle illusioni, intese come idee regolative, forze che

spingono verso un fine ultimo di perfezione; ma anche “privatizzata”, “deregolamentata”, poiché

quello che prima era affidato alla ragione umana intesa come collettiva della specie umana, oggi

viene assegnato al singolo individuo.

Da questo “rinsecchito” orizzonte collettivistico, deriva come conseguenza logica, un

depotenziamento o meglio, uno svuotamento del concetto di progresso. Come detto nel paragrafo

precedente, se per progresso intendiamo la sicurezza del presente, per coloro che si sentono privi di

questa sicurezza l’idea di progresso sarà sicuramente vuota; al contrario per coloro che si sentono in

potere di cambiare le cose sarà la proiezione verso un miglioramento sarà possibile.

18 Cfr. Z. Bauman, La società individualizzata, op. cit., p. 108. Per integrare la trattazione Baumaniana della morale, cfr. infra par. 3.2, pp. 10 e 11, e par. 4 pp. 14 e15.

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A questo punto Bauman ci dice qualcosa di fondamentale da una parte riguardo alla

condizione socio-economica di una fetta sempre maggiore di popolazione mondiale, dall’altra sull’

istruzione della popolazione in generale.

Per il primo problema è fondamentale capire che i poveri giocano un ruolo di primo piano in

termini di benessere ambientale e umanitario dell’intero globo.

Potremmo dire oggi, al tempo del capitalismo trionfante, che non bada più a ciò che è scritto su qualsiasi muro, che il resto della società umana non può essere liberato dalla sua paura e impotenza ambientale se la sua parte più povera non viene liberata dalla sua miseria. 19

I poveri si presentano come esempio della liberazione dall’incertezza. Ma la certezza che hanno

ottenuto, o che gli è stata assegnata è peggio dell’incertezza ed è da temersi. Quindi oltre che un

esempio rappresentano un monito per il resto della società.

Il discorso può quindi ben spostarsi nel campo del Welfare-State, della sussistenza, che

dovrebbe essere la “roccia su cui devono poggiare tutti i progetti e le aspirazioni dell’esistenza”.

Roccia che viene frantumata dal corso di questa economia politica dell’incertezza che tende a

distruggere perciò tutte le regole delle autorità politiche particolari in favore di una incontrollabile

ed incontrollata globalizzazione.

Per quanto concerne invece il secondo argomento, Bauman propone una distinzione

tripartita tra tipologie di apprendimento: “primario”, “secondario”, “terziario”. Il primo tipo si

occupa del contenuto, ed è l’apprendimento basilare,di primo grado.

Il secondo ci viene presentato come decisivo per il contesto sociale, per la struttura della

società, che Gregory Bateson definisce “deutero-apprendimento”. Con questo il destinatario

dell’azione educativa acquisisce competenze ben più importanti per la propria vita futura rispetto

alle conoscenze singole.

Bauman ci parla di un terzo tipo che, partendo dalle incompletezze dei primi due, affronta la

problematica nella sua piena ampiezza sociale. Come detto sopra, tutti i punti di riferimento che

prima davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione delle strategie di vita e che un

tempo erano stabili sembrano in piena trasformazione.

Se

questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso, […]. La cosa migliore da fare è non preoccuparsi di costruire modelli; il tipo di abitudine acquisito con l’apprendimento terziario consiste nel fare a meno delle abitudini. 2019 Cfr. Ivi, p. 149.20 Ibidem, p. 160.

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2.3 Come agisce?

Oggi nelle scelte personali la parola chiave è "adesso". Si pensi ad esempio al problema

della trasformazione attuale dei concetti di sesso ed erotismo. Le unioni sono considerate "cose da

consumare anziché da produrre". L'erotismo "emancipato dai suoi vincoli riproduttivi e amorosi" si

è rivelato la base di una "sessualità duttile" contribuendo così allo smantellamento del tessuto delle

relazioni interpersonali. Le nazioni e le famiglie, una volta "ponti" tra la mortalità individuale e

l'immortalità collettiva, hanno cessato di "esemplificare la durata infinita". Le prime apparendo

inadeguate al cospetto della potenza del capitale extraterritoriale e nomade. Le seconde avendo

perso un ormeggio qual era il matrimonio a cui "ancorare la catena ininterrotta dei legami di

parentela". Inoltre il nostro tempo "è contrassegnato da una preoccupazione ossessiva per il corpo"

considerato come "strumento di piacere" e perciò consegnato "in pasto a tutte le attrattive che il

mondo ha in serbo".

Ma se vogliamo affrontare una seria trattazione dell’agire umano non possiamo escludere

problematiche etiche e morali. Come detto sopra,21 la morale si presenta come un dispositivo

incalcolabile in un orizzonte invece fatto di calcoli personali in termini di interessi. Perciò ci si era

chiesti se era ancora possibile pensare una morale. Bauman intende la morale principalmente così

come ci viene proposta da Lévinas: “l’ essere per l’ Altro”.

Ciò che condivide con Lévinas è che gli esseri umani non sono né ‘buoni per natura’, come

vorrebbe Rousseau, né ‘cattivi per natura’, come invece per Hobbes, ma morali – cioè so trovano a

dover scegliere tra il bene e il male. Siamo perciò tutti esposti alla nostra responsabilità verso gli

Altri, ma da ciò non ne consegue che tutti noi e in qualsiasi momento ci faremo carico di questa

responsabilità, o che daremo tutti la medesima risposta.

In altre parole, siamo ‘gettati in una situazione di scelta morale, condizione necessaria ma non sufficiente dell’essere buoni. E questo è anche ciò che rende possibile la società. Ogni società manipola il potenziale morale dei propri membri, stabilendo i confini dell’universo degli obblighi morali, stabilendo le condizioni per l’applicazione di una responsabilità incondizionata e dando voce alla domanda etica non formulata. 22

21 Vd. Infra, cap. 3, p. 8.22 Cfr. Z. Bauman, An interview, cit., p. 121.

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Perciò la società gioca un ruolo fondamentale cercando di mitigare o eliminare del tutto

l’ambivalenza insita nella situazione morale nella quale noi tutti ci troviamo. Laddove Lévinas

ammette come condizione necessaria della “validità morale” questa ambiguità, sola situazione in

cui l’io morale può affermarsi poiché richiede scelta e responsabilità, Bauman propone invece una

moralità dell’individuo al centro della società.

La “diade morale” (Io e l’ Altro) postulata da Lévinas non è tale se vista dall’interno, ma

solo se la si oggettivizza dall’esterno diventa una “coppia”, un “loro”. Ma per Bauman non esiste un

essere morale doppio. L’unione come tale è “vulnerabile” perché né io né l’Altro siamo sostituibili.

E’ proprio l’insostituibilità a rendere morale l’unione.

Dopotutto, il potere della responsabilità morale si basa precisamente sulla sua incondizio- natezza; il potere della domanda etica risiede nel fatto che non è formulata e richiede uno sforzo infinito di interpretazione. 23Esiste quindi un Terzo, momento in cui nasce la società. Dal suo punto di vista quella che

prima era una diade morale diventa un gruppo, un ‘entità dotata di vita propria, una totalità

maggiore delle sue parti. I soggetti diventano individui paragonabili tra loro, sostituibili, giudicabili

e di fatto giudicati da questo Terzo. E ciò è possibile farlo perché esiste anche una “legislazione”,

una normativa oggettiva a cui fare riferimento.

Se è necessario studiare la morale nella società odierna, bisogna fare i conti necessariamente

con le sue caratteristiche. Parlare di una morale razionale oggi non sembra più possibile. In atri

termini, non c’è più spazio per la logica degli interessi umani, né per lo studio delle “conseguenze

impreviste” delle azioni umane; né per l’ipotesi che quando gli interessi sono molteplici e

contrapposti, ogni speranza che un determinato insieme di principi finisca per prevalere deve

trovare supporto in un’analisi ponderata delle forze sociali e politiche in grado di assicurare quella

vittoria.

Capitolo 3

Conclusioni-Soluzioni

Tirando le somme del suo saggio, Taylor sembra quasi dirci che sono piuttosto le cattive o

incomplete teorie proposte dagli stessi studiosi e intellettuali a rendere la condizione umana

23 Cfr. Ibidem, p. 122.17

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peggiore di quella che è veramente. La rigidità di queste posizioni comporta l’esclusione e

l’eclissarsi di problematiche che potrebbero fondamentalmente tentare di risolvere la situazione o

perlomeno ipotizzarla.

Con ciò non si vuole banalizzare la disputa appiattendola e riducendola a semplice schema

che vede opposti da una parte gli “ottimisti” e dall’altra i “pessimisti”; si tratta piuttosto di non

fermarsi alla mera analisi dei fatti, ma da questi prendere spunto per creare o ricercare punti

d’incontro, piattaforme su cui poter impiantare una sana discussione e quindi da cui poter trarre

conclusioni.

La soluzione che Taylor ci propone sembra intrisa di un certo “ottimismo”, ma come dicevo

questo non deve indurre a pensare ad una semplificazione del problema. In verità la soluzione è

positiva più che ottimistica; positiva e propositiva, un potenziale punto di partenza se non un nuovo

punto di vista da cui osservare le numerose nuove problematiche che da questi scaturiscono.

Taylor tiene a ribadire che questo tipo di soluzione scaturisce da esigenze eminentemente

pratiche. Essendo l’uomo “un essere in carne ed ossa”, per trattare nel modo giusto un uomo

dobbiamo rispettare la sua “natura incarnata”, dialogica e temporale; la sua concretezza. Per

esempio per quanto riguarda il problema particolare della ragione strumentale, quello che si ricerca

è un’alternativa alla semplice accettazione o al semplice rifiuto di una tecnologia. E questa

alternativa viene trovata nella “benevolenza pratica”, in termini di una tecnologia al servizio della

benevolenza, del benessere comune.

Come detto all’inizio, le possibili soluzioni sono tutte proiettate nella dimensione pratico-

politica. In una società “volubile” servono diverse e volubili “modalità operative” che collaborino e

si limitino a vicenda. Serve perciò un mercato, come anche un impianto statale, un’azione collettiva

per la difesa dei diritti individuali e anche un’efficiente apparato democratico.

Se una delle istituzioni avrà la meglio, ciò comporterà una forte individualizzazione e quindi

una maggiore frammentazione. Questa atomizzazione e questa frammentazione sono alimentate dal

fallimento delle iniziative democratiche, ma anche da mancanza di fiducia nell’azione comune.

Un raggruppamento parziale ben organizzato e compatto riesce magari a far valere le sue ragioni, ma l’idea che la maggioranza della popolazione possa formulare e condurre in porto un progetto comune appare un’ingenua utopia. E così la gente getta la spugna. 24Questo orizzonte conduce a considerare la dimensione politica come sempre più giocata in

termini di uguaglianza, e perciò di difesa di diritti umani. Infatti l’aspetto giudiziario oggi prevale

su quello politico, o meglio, quello politico si vede spesso disciolto in quello giudiziario. D’altra

24 Cfr. C. Taylor, Il disagio, cit., p. 132.18

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parte riscontriamo attiva partecipazione di fette selezionate di popolazione a cui stanno a cuore

cause particolari, battersi per queste anche sul terreno politico.

Problema principale è che questi due aspetti ne implicano un terzo, quello democratico, che

unito ai precedenti produce un’atrofia, un’alienazione dei cittadini dovuta alla mancanza di un

funzionante meccanismo rappresentativo e che non alimenta nient’altro se non maggiore

frammentazione e atomizzazione25.

Ecco perciò che la soluzione potrebbe essere ricercata nella “formazione di un intento

democratico comune”. Ma proprio questo è difficilmente realizzabile oggi.

Una società frammentata è una società i cui membri trovano sempre più arduo riconoscersi comunitariamente nella loro società politica. Questa mancanza d’identificazione può rispecchiare un orizzonte atomistico, che porta gli uomini a vedere la società in termini puramente strumentali. 26 E’ dovere di tutti capire che un tentativo serio d’impegnarsi nella lotta culturale del nostro

tempo esige la promozione di una “politica del potenziamento della democrazia”. La

frammentazione è direttamente proporzionale al grado di mancanza d’identificazione nella

comunità politica, quindi se manca compattezza politica delle differenze, queste rimangono pure e

semplici differenze.

Invece la lotta cui ci troviamo a far fronte deve essere combattuta a più livelli – intellettuale,

spirituale, politico – in modo da permettere un continuo adattamento a situazioni particolari e una

maggiore flessibilità. E’ per questo motivo che Taylor parla non più di “dibattito inarticolato”, ma

di “dibattito multilaterale”.27

Con Bauman non credo si possa parlare di vera e propria soluzione ad un unico problema.

Essendo il suo lavoro una raccolta di saggi – seppur imperniata su un unico tema – è forse meglio

parlare di differenti conclusioni.

I due saggi hanno ovviamente uno stampo diverso; si tratta di differenti intenti; forse più

“politico” quello di Taylor, e meno “attivo politicamente” quello di Bauman, ma non per questo

meno completo e attraente. Veniamo al punto focale “baumiano”.

25 Una critica all’incompletezza della forma politica democratica viene mossa anche da Bauman. Laddove il vero e perfetto modello di democrazia rimane per l’appunto un modello, utopisticamente irraggiungibile, “il miglior contrassegno di una società democratica, sono le sue continue lamentele sul proprio carattere non sufficientemente democratico”. Così in Ivi. p. 73. “Gli individui oggi entrano nell’ agorà solo per trovarsi in compagnia di altri individui solitari come loro, e tornano alle proprie case con una solitudine corroborata e ribadita. Questo è il nodo gordiano che lega le mani e piedi al futuro della democrazia: la crescente impotenza pratica delle istituzioni pubbliche rende meno attraenti le tematiche e le prese di posizione comuni, mentre la sempre minore capacità e volontà di tradurre le sofferenze private in questioni pubbliche semplifica il lavoro delle forze globali che stimolano quell’impotenza alimentandosi dei suoi risultati”. Così Ibidem, p. 258.

26 Cfr. Ivi, p. 137.27 Cfr. con Infra, introduzione, p. 1, e nota 28.

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Nonostante le divergenze apparenti su alcuni punti, i due autori giungono a simili conclusioni.

Forse schierarsi spalla a spalla e marciare a tempo, come in passato, potrebbe risolvere la situazione? […] Il guaio è che di questi tempi i problemi più comuni degli “individui per destino” non sono additivi: non formano, sommandosi, una “causa comune”. Già in partenza essi sono privi della sagoma o “interfaccia” adatta a farli combaciare con quelli degli altri. […] Il solo vantaggio che può venire dalla frequentazione degli altri sofferenti è la rassicurazione che lottare da soli è ciò che tutti fanno quotidianamente.[…] La prima cosa che s’impara dalla compagnia degli altri è che il solo servizio che questa frequentazione può rendere è un consiglio su come sopravvivere nella propria irreparabile solitudine, e che la vita di chiunque è piena di rischi che si devono affrontare e combattere da soli. 28Irreparabile è la solitudine. Questo è certamente il punto di partenza ineluttabile con cui ognuno

deve fare i conti. Se si esclude quest’aspetto, e dall’esclusione di esso si cerca di procedere verso

una nuova teoria, le conclusioni saranno del tutto errate e fuorvianti.

Di fronte a questo quadro presentato con retorica monocroma e un po' moralistica l'autore

auspica il recupero degli "standard etici". A livello politico in particolare ritiene che il futuro del

welfare state si combatta "sul fronte della crociata etica". Solo neutralizzando lo "spettro ossessivo

dell'insicurezza" è possibile aspirare alla restaurazione della "fede in valori stabili e durevoli". La

sociologia a tal fine deve contribuire all'uscita dell'individuo dall'isolamento e alla ricostruzione di

una sfera pubblica.

Alla sociologia spetta quindi un ruolo fondamentale nel portare a termine un compito che

[…] non consiste nel “correggere il senso comune” e nello stabilire in modo normativo la rappresentazione autentica della realtà umana […]. L’essenza del compito non è restringere, ma allargare; non selezionare le possibilità umane degne di essere perseguite, ma impedire che esse siano precluse, compromesse o semplicemente perse di vista.[…] L’articolazione delle storie di vita è l’attività attraverso la quale la vita riceve significato e finalità. Nel tipo di società in cui viviamo l’articolazione è, e deve necessariamente rimanere, un compito e un diritto dell’individuo. La sociologia è anch’essa una storia, ma il messaggio di questa storia particolare è che ci sono più modi di raccontare una storia di quanti ne sogni il nostro narrare quotidiano, e ci sono più modi di vivere di quanti ne suggerisca ciascuna delle storie che ci raccontiamo e a cui crediamo, e che invece ci si propone come l’unica possibile.29E come dice poco più avanti questo compito di “mappatura” della rete di connessioni sociale

coinvolge anche la politica. C’è un disegno preciso che può permetterci, una volta individuati i

28 Cfr. Z. Bauman, op. cit., pp. 65 – 66.29 Cfr. Ibidem, pp. 21 – 22.

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problemi, di proiettarci verso l’aspetto pratico-politico30, il quale non può essere ovviamente portato

a termine dalla sola sociologia, ma di cui la sociologia copre solamente un pezzo.

La pedagogia ad esempio intesa come insegnamento e istruzione si vede assegnata un ruolo

altrettanto fondamentale31. Ma è finita l’idea di un sistema unico di regole di educazione

inflessibile. Non si vuole certamente banalizzarne i contenuti, anzi, la si vuole discolpare, o meglio

sgravare, dall’accusa di negligenza o carenza di teorie.

Il problema è più vasto; ha a che vedere con la “liquefazione universale delle identità, la dispersione

delle autorità, la polifonia dei messaggi valoriali e la conseguente frammentarietà della vita”32 e

chiama perciò in causa le “culture”, tutte.

La ricerca di una nuova soggettività, così chiaramente affermata da Taylor nel suo lavoro

comparativo tra Hegel e la società odierna, sembra essere un continuo ed ininterrotto movimento,

così come lo è lo ‘spirito hegeliano’:

Se il tentativo filosofico di determinare la situazione della libertà è il tentativo di pervenire a una concezione dell’uomo in cui l’agire libero è la risposta a ciò che siamo – o a un invito che ci viene, dalla sola natura o da un Dio che è anche al di là della natura (il dibattito non finirà mai) – allora esso ricorrerà sempre, al di qua delle conclusioni di Hegel, alle strenue e pentranti meditazioni sullo spirito incarnato.33 Perciò anche se abbiamo parlato di “soluzioni” e “conclusioni”, è ovvio che non possiamo

prendere né le une né le altre come definitive. Possiamo dire che siamo ancora in fase di analisi del

problema. E’ solo attraverso tutta questa varietà di modalità o, per dirla con Taylor, è tramite un

“dibattito multilaterale” che speriamo di raggiungere, con uno “sforzo continuo congiunto”, dei

miglioramenti.

30 Questo un punto forte in comune tra i due autori. Ricordo che se Taylor divide in tre sezioni la sua trattazione – individualismo, ragione strumentale, politica – altrettanto fa Bauman – Come siamo, come pensiamo, come agiamo.

Entrambi pongono come fine un concreto tentativo di teorizzare un possibile cambiamento nella società attuale, intervenendo direttamente nella dimensione che più lo può permettere, cioè quella politica. Proprio i differenti approcci che utilizzano e le differenti conclusioni raggiunte danno più credito e valore a quello appena detto su Bauman.

31 Sull’istruzione e l’educazione Cfr. infra par 3.1 p. 10; oppure il corrispondente capitolo decimo di Bauman, in Id, op. cit., pp .157 – 177.

32 Cfr. Ibid., p. 161.33 C. Taylor, Hegel e la società moderna, trad. it. di Andrea La Porta, Mulino, Bologna, 1984, p. 233.

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Bibliografia

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Bologna, 1984.

• Id., Il disagio della modernità, trad. it. di G. Ferrari degli Uberti, Laterza, Bari, 2006.

• Z. Bauman, La società individualizzata, trad. it. di Giovanni Arganese, Mulino,

Bologna, 2002.

• Id., Individualmente insieme, a cura di Carmen Leccardi, traduzioni di René

Capovin, Paolo Costa, Valeria Annicchiarico, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia,

2008.

• F. Pesci, Maestri e idee della pedagogia moderna, Mondadori Università, Milano,

2010.

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