L'idealismo italiano. Saggio storico-critico · 2019. 11. 20. · L'idealismo del Ficino.....67 18....

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Pantaleo Carabellese L'idealismo italiano. Saggio storico-critico www.liberliber.it Pantaleo Carabellese L'idealismo italiano. Saggio storico-critico www.liberliber.it

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Pantaleo CarabelleseL'idealismo italiano.

Saggio storico-critico

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Pantaleo CarabelleseL'idealismo italiano.

Saggio storico-critico

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: L'idealismo italiano. Saggio storico-criticoAUTORE: Carabellese, PantaleoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: L'idealismo italiano : saggio storico-critico / Pantaleo Carabellese. - Napoli : Loffredo,stampa 1938. - 379 p. ; 20 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 20 novembre 2019

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa

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1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI000000 FILOSOFIA / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Raffaele Fantazzini, [email protected] Oliva, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4INTRODUZIONEIL VALORE STORICODELLA FILOSOFIA MODERNA...............................14

1. Dal problema greco dell'oggettività alla soggettiva certezza cristiana.......................................................142. Il problema moderno della certezza soggettiva nel-la verità oggettiva.....................................................183. Il valore storico della filosofia moderna nella sua conquista e nel suo difetto........................................234. L'immanentismo e la genesi italiana della nuova fi-losofia.......................................................................27

CAPITOLO IL'IDEALISMO HEGELIANO.....................................31

5. Tema.....................................................................316. Immanentismo, attivismo, panlogismo.................337. Storicismo.............................................................368. La metafisica hegeliana come dialettismo contrad-dittorio......................................................................399. Soggettivismo della metafisica hegeliana nella sua genesi critica.............................................................4110. Lo Spirito come realtà concreta in quanto negati-vità contraddittoria; le due proposizioni fondamentali dell'hegelismo...........................................................4411. La contraddizione in Hume, Kant, Hegel...........47

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4INTRODUZIONEIL VALORE STORICODELLA FILOSOFIA MODERNA...............................14

1. Dal problema greco dell'oggettività alla soggettiva certezza cristiana.......................................................142. Il problema moderno della certezza soggettiva nel-la verità oggettiva.....................................................183. Il valore storico della filosofia moderna nella sua conquista e nel suo difetto........................................234. L'immanentismo e la genesi italiana della nuova fi-losofia.......................................................................27

CAPITOLO IL'IDEALISMO HEGELIANO.....................................31

5. Tema.....................................................................316. Immanentismo, attivismo, panlogismo.................337. Storicismo.............................................................368. La metafisica hegeliana come dialettismo contrad-dittorio......................................................................399. Soggettivismo della metafisica hegeliana nella sua genesi critica.............................................................4110. Lo Spirito come realtà concreta in quanto negati-vità contraddittoria; le due proposizioni fondamentali dell'hegelismo...........................................................4411. La contraddizione in Hume, Kant, Hegel...........47

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CAPITOLO II.L'ESSENZA DELL'IDEALISMO................................51

12. L'opposizione idea-realtà, fondamento del dialet-tismo contraddittorio, non è l'idealismo...................5113. L'idealismo come soddisfazione della coscienza nella sua oggettività..................................................5414. Platonismo ed hegelismo di fronte alla oggettivitàdi coscienza...............................................................56

CAP. IIIL'IDEALISMO ITALIANODEL RINASCIMENTO...............................................59

15. Rinascimento e Risorgimento come caratteri co-stitutivi della italianità..............................................5916. L'oggettiva esigenza idealistica come essenza del Rinascimento............................................................6117. L'idealismo del Ficino........................................6718. L'essenza immanentistica del platonismo, scoper-ta nel Rinascimento..................................................6919. L'immanentismo di Bruno..................................7020. L'ontologismo di Vico........................................73

CAPO IVLA CRITICA................................................................78

21. Originalità e insufficienza di Cartesio................7822. Originalità e insufficienza di Kant......................8123. Genesi di tali insufficienze.................................8224. Regresso critico dalla metafisica del Rinascimen-to...............................................................................8625. L'immanentismo soggettivo dell'idealismo tede-sco post-kantiano......................................................89

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CAPITOLO II.L'ESSENZA DELL'IDEALISMO................................51

12. L'opposizione idea-realtà, fondamento del dialet-tismo contraddittorio, non è l'idealismo...................5113. L'idealismo come soddisfazione della coscienza nella sua oggettività..................................................5414. Platonismo ed hegelismo di fronte alla oggettivitàdi coscienza...............................................................56

CAP. IIIL'IDEALISMO ITALIANODEL RINASCIMENTO...............................................59

15. Rinascimento e Risorgimento come caratteri co-stitutivi della italianità..............................................5916. L'oggettiva esigenza idealistica come essenza del Rinascimento............................................................6117. L'idealismo del Ficino........................................6718. L'essenza immanentistica del platonismo, scoper-ta nel Rinascimento..................................................6919. L'immanentismo di Bruno..................................7020. L'ontologismo di Vico........................................73

CAPO IVLA CRITICA................................................................78

21. Originalità e insufficienza di Cartesio................7822. Originalità e insufficienza di Kant......................8123. Genesi di tali insufficienze.................................8224. Regresso critico dalla metafisica del Rinascimen-to...............................................................................8625. L'immanentismo soggettivo dell'idealismo tede-sco post-kantiano......................................................89

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CAP. VL'IDEALISMO DEL RISORGIMENTO.....................92

26. Il Risorgimento italiano......................................9227. L'idealismo rosminiano come solutore del proble-ma del principio della conoscenza............................9428. L'ontologismo del Gioberti come conferma dell'idealismo rosminiano.........................................9929. L'italianità della filosofia del risorgimento.......10230. Il pensiero mazziniano come sintesi etica della fi-losofia italiana del Risorgimento............................10531. L'opera del Mazzini come filosofia..................11132. L'idealismo della filosofia di Mazzini..............118

CAP. VICARATTERI DELL'IDEALISMO STORICO ITALIA-NO..............................................................................120

33. Italianità e filosofia...........................................12034. Oggettivismo razionalistico dell'Umanesimo e delRinascimento..........................................................12435. Il razionalismo del Rinascimento progenitore dell'ontologismo del Risorgimento.........................13036. L'idealismo italiano nella filosofia europea: inver-sione e integrazione della tesi dello Spaventa........13337. Carattere fondamentale dell'idealismo italiano: l'oggettività.............................................................13738. Caratteri conseguenti: affermatività ed ontologi-smo..........................................................................13939. Ontologismo idealistico o dialettismo contraddit-torio?.......................................................................142

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CAP. VL'IDEALISMO DEL RISORGIMENTO.....................92

26. Il Risorgimento italiano......................................9227. L'idealismo rosminiano come solutore del proble-ma del principio della conoscenza............................9428. L'ontologismo del Gioberti come conferma dell'idealismo rosminiano.........................................9929. L'italianità della filosofia del risorgimento.......10230. Il pensiero mazziniano come sintesi etica della fi-losofia italiana del Risorgimento............................10531. L'opera del Mazzini come filosofia..................11132. L'idealismo della filosofia di Mazzini..............118

CAP. VICARATTERI DELL'IDEALISMO STORICO ITALIA-NO..............................................................................120

33. Italianità e filosofia...........................................12034. Oggettivismo razionalistico dell'Umanesimo e delRinascimento..........................................................12435. Il razionalismo del Rinascimento progenitore dell'ontologismo del Risorgimento.........................13036. L'idealismo italiano nella filosofia europea: inver-sione e integrazione della tesi dello Spaventa........13337. Carattere fondamentale dell'idealismo italiano: l'oggettività.............................................................13738. Caratteri conseguenti: affermatività ed ontologi-smo..........................................................................13939. Ontologismo idealistico o dialettismo contraddit-torio?.......................................................................142

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CAP. VII.IL NEOHEGELISMO ITALIANO CONTEMPORA-NEO............................................................................147

40. La filosofia dello spirito...................................14741. Lo spirito in Hegel e in Croce..........................15042. L'uomo come lo spirito.....................................15443. Cultura e apriorità.............................................16044. Negazione crociana del Principio e del suo pro-blema......................................................................16345. Soggettivismo...................................................16546. Storicismo: rinnegarsi della filosofia................16847. L'attualismo......................................................17248. Soggettività ed unità nell'attualismo.................17449. Dogmaticità dell'atto trascendentale attualistico.................................................................................17850. L'Io trascendentale come io..............................18051. Dissoluzione del Filosofo.................................18652. Autorinnegarsi del neohegelismo.....................188

APPENDICELA PEDAGOGIA NELL'ATTUALISMO..................190

I. (1914)LA PEDAGOGIA COME FILOSOFIA.............191II. (1915)LA DIDATTICA.................................................199III (1914).L'attualità dello spirito........................................221

CAPITOLO VIII.L'IDEALISMO CRITICO..........................................223

53. Oggettivismo critico di P. Martinetti................223

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CAP. VII.IL NEOHEGELISMO ITALIANO CONTEMPORA-NEO............................................................................147

40. La filosofia dello spirito...................................14741. Lo spirito in Hegel e in Croce..........................15042. L'uomo come lo spirito.....................................15443. Cultura e apriorità.............................................16044. Negazione crociana del Principio e del suo pro-blema......................................................................16345. Soggettivismo...................................................16546. Storicismo: rinnegarsi della filosofia................16847. L'attualismo......................................................17248. Soggettività ed unità nell'attualismo.................17449. Dogmaticità dell'atto trascendentale attualistico.................................................................................17850. L'Io trascendentale come io..............................18051. Dissoluzione del Filosofo.................................18652. Autorinnegarsi del neohegelismo.....................188

APPENDICELA PEDAGOGIA NELL'ATTUALISMO..................190

I. (1914)LA PEDAGOGIA COME FILOSOFIA.............191II. (1915)LA DIDATTICA.................................................199III (1914).L'attualità dello spirito........................................221

CAPITOLO VIII.L'IDEALISMO CRITICO..........................................223

53. Oggettivismo critico di P. Martinetti................223

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54. Trascendentismo religioso................................22455. Critica del simbolismo e del trascendentismo mar-tinettiano; loro genesi dal kantismo........................22856. Storicità e sinteticità della posizione speculativa di B. Varisco...........................................................23357. Dall'accadere idealistico alla personalità di Dio.................................................................................23658. Oggettivismo ed ontologismo varischiano.......24159. La filosofia varischiana come sviluppo critico del rosminianesimo.......................................................244

APPENDICELA FILOSOFIA DI B. VARISCO..............................249

I.IL PENSIERO FILOSOFICO............................249II.IL PENSIERO PEDAGOGICO.........................265III.LA PERSONALITÀ SPECULATIVA...............282

CAPITOLO IXL'OGGETTIVITÀ IDEALISTICA............................289

60. Il problema varischiano della pluralità dei sogget-ti..............................................................................28961. Autorinnegamento del pensiero varischiano nella affermazione della trascendenza.............................29162. La soluzione esplicita e quella implicita del pro-blema religioso nel pensiero del Varisco: l'una esclu-de l'altra..................................................................29463. La critica del concreto e l'oggettività pura dell'Assoluto...........................................................298

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54. Trascendentismo religioso................................22455. Critica del simbolismo e del trascendentismo mar-tinettiano; loro genesi dal kantismo........................22856. Storicità e sinteticità della posizione speculativa di B. Varisco...........................................................23357. Dall'accadere idealistico alla personalità di Dio.................................................................................23658. Oggettivismo ed ontologismo varischiano.......24159. La filosofia varischiana come sviluppo critico del rosminianesimo.......................................................244

APPENDICELA FILOSOFIA DI B. VARISCO..............................249

I.IL PENSIERO FILOSOFICO............................249II.IL PENSIERO PEDAGOGICO.........................265III.LA PERSONALITÀ SPECULATIVA...............282

CAPITOLO IXL'OGGETTIVITÀ IDEALISTICA............................289

60. Il problema varischiano della pluralità dei sogget-ti..............................................................................28961. Autorinnegamento del pensiero varischiano nella affermazione della trascendenza.............................29162. La soluzione esplicita e quella implicita del pro-blema religioso nel pensiero del Varisco: l'una esclu-de l'altra..................................................................29463. La critica del concreto e l'oggettività pura dell'Assoluto...........................................................298

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64. L'oggettività dell'Assoluto non esige anzi esclude l'immanentismo umanistico dell'idealismo tedesco.................................................................................30165. L'immanentismo oggettivo italiano..................304

APPENDICEL'ESIGENZA DELL'OGGETTIVITÀ.......................306CAPITOLO XL'ONTOLOGISMO CRITICO...................................322

66. In qual senso “mio”..........................................32367. Coscienza e riflessione.....................................32468. Le diverse interpretazioni della esigenza della co-scienza nella riflessione filosofica..........................32569. Il realismo.........................................................32770. L'idealismo.......................................................32971. Il pluralismo......................................................33172. L'ontologismo...................................................33473. Difficoltà dell'accorgimento filosofico.............33674. L'errore dello gnoseologismo postkantiano......33875. La nuova Critica...............................................34176. L'ontologismo radicale.....................................34377. L'immanenza.....................................................34978. Unicità e pluralità (Essere ed enti)...................35379. Apriorismo ontologico e problema dell'uomo..355

CAPITOLO XILO HEGELISMO E ALCUNI PROBLEMI FONDA-MENTALI DELLA SPIRITUALITÀ CONTEMPORA-NEA............................................................................359

80. Tema.................................................................35981. La religione.......................................................361

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64. L'oggettività dell'Assoluto non esige anzi esclude l'immanentismo umanistico dell'idealismo tedesco.................................................................................30165. L'immanentismo oggettivo italiano..................304

APPENDICEL'ESIGENZA DELL'OGGETTIVITÀ.......................306CAPITOLO XL'ONTOLOGISMO CRITICO...................................322

66. In qual senso “mio”..........................................32367. Coscienza e riflessione.....................................32468. Le diverse interpretazioni della esigenza della co-scienza nella riflessione filosofica..........................32569. Il realismo.........................................................32770. L'idealismo.......................................................32971. Il pluralismo......................................................33172. L'ontologismo...................................................33473. Difficoltà dell'accorgimento filosofico.............33674. L'errore dello gnoseologismo postkantiano......33875. La nuova Critica...............................................34176. L'ontologismo radicale.....................................34377. L'immanenza.....................................................34978. Unicità e pluralità (Essere ed enti)...................35379. Apriorismo ontologico e problema dell'uomo..355

CAPITOLO XILO HEGELISMO E ALCUNI PROBLEMI FONDA-MENTALI DELLA SPIRITUALITÀ CONTEMPORA-NEA............................................................................359

80. Tema.................................................................35981. La religione.......................................................361

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82. Lo Stato.............................................................36383. Dio....................................................................36684. Soppressione dei problemi................................36885. Dogmatismo dell'antinomicità hegeliana.........37086. Ritorno alla problematicità del filosofare.........372

CONCLUSIONE........................................................37587. La conquista della filosofia moderna e il passag-gio alla nuova filosofia...........................................37588. Rinascimento e Critica alla conquista della con-cretezza...................................................................37889. La boria vichiana, e la nuova filosofia.............382

INDICE DEGLI AUTORI STUDIATI E CITATI......386INDICI DEI CONCETTI...........................................390

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82. Lo Stato.............................................................36383. Dio....................................................................36684. Soppressione dei problemi................................36885. Dogmatismo dell'antinomicità hegeliana.........37086. Ritorno alla problematicità del filosofare.........372

CONCLUSIONE........................................................37587. La conquista della filosofia moderna e il passag-gio alla nuova filosofia...........................................37588. Rinascimento e Critica alla conquista della con-cretezza...................................................................37889. La boria vichiana, e la nuova filosofia.............382

INDICE DEGLI AUTORI STUDIATI E CITATI......386INDICI DEI CONCETTI...........................................390

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PANTALEO CARABELLESE

L'IDEALISMO ITALIANOSAGGIO STORICO-CRITICO

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PANTALEO CARABELLESE

L'IDEALISMO ITALIANOSAGGIO STORICO-CRITICO

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Alla mia piccola Francesca

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Alla mia piccola Francesca

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INTRODUZIONEIL VALORE STORICO

DELLA FILOSOFIA MODERNA1

1. Dal problema greco dell'oggettività alla soggettiva certezza cristiana.

Il problema centrale della filosofia greca, si sa, èquello che poi fu detto dell'oggettività. Si voleva inten-dere che cosa fosse, in sè, il reale. Il problema restò tale,quello dell'essere in sè, anche nella baldanzosa afferma-zione sofistica del sapere soggettivo. Con questo soltan-

1 Questa introduzione è tratta dalla prolusione al corso di Sto-ria della filosofia, pronunciata nella R. Università di Roma il 17gennaio 1930, e pubblicata integralmente nel Giornale critico del-la filosofia italiana (n. 3, 1930). Lascio, con lievi ritocchi, l'impo-stazione allora data al problema. Oggi forse lo porrei diversamen-te; ma alla tesi fondamentale, che qui ritengo utile riproporre, ciònon porterebbe mutamenti notevoli.

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INTRODUZIONEIL VALORE STORICO

DELLA FILOSOFIA MODERNA1

1. Dal problema greco dell'oggettività alla soggettiva certezza cristiana.

Il problema centrale della filosofia greca, si sa, èquello che poi fu detto dell'oggettività. Si voleva inten-dere che cosa fosse, in sè, il reale. Il problema restò tale,quello dell'essere in sè, anche nella baldanzosa afferma-zione sofistica del sapere soggettivo. Con questo soltan-

1 Questa introduzione è tratta dalla prolusione al corso di Sto-ria della filosofia, pronunciata nella R. Università di Roma il 17gennaio 1930, e pubblicata integralmente nel Giornale critico del-la filosofia italiana (n. 3, 1930). Lascio, con lievi ritocchi, l'impo-stazione allora data al problema. Oggi forse lo porrei diversamen-te; ma alla tesi fondamentale, che qui ritengo utile riproporre, ciònon porterebbe mutamenti notevoli.

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to si negò la conoscenza oggettiva di tale essere in sè.Questa negazione, però, aprì la via alla visione dell'idea-lità di questo essere. La stessa varia formulazione dellasaggezza dell'uomo greco partiva anche dalla varia solu-zione di quel problema.

La visione dell'essere in sè come universale idea è lasoluzione del problema, che poi fu detto, dell'oggetto.Soluzione, che raggiunge il culmine del suo svilupponell'Uno plotiniano, in cui è sublimato il mondo platoni-co delle idee. Il problema dell'oggetto è così risolutonella sua massima profondità. E col problemadell'oggetto è risoluto il problema della verità, se è veroche la verità deve essere oggettiva e quindi unica ed uni-versale.

Ma, proprio mentre il problema della verità venivasviluppando la sua soluzione nella chiara concezionedella conquista speculativa che rappresentava ed appor-tava (ripeto: l'essere in sè come l'Idea oggettiva), veni-vasi, anche per questa stessa ragione, maturando la piùprofonda rivoluzione spirituale che la storia ricordi: ilCristianesimo. Una concezione nuova della vita edell'essere in breve conquistò le coscienze e invase ilpensiero: I soggetti umani trovarono sè capaci di certez-za. Essi con questa loro capacità confermavano da unaparte l'idealità del vero essere in sè (mondo intelligibi-le); ma si ritrovavano dall'altra in rapporto con un altroSoggetto, il Soggetto infinito, che, creandoli come Lui,aveva dato loro tale capacità. Egli era quindi la fonte ditutta la loro attuale certezza, e del Suo regno perciò essi

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to si negò la conoscenza oggettiva di tale essere in sè.Questa negazione, però, aprì la via alla visione dell'idea-lità di questo essere. La stessa varia formulazione dellasaggezza dell'uomo greco partiva anche dalla varia solu-zione di quel problema.

La visione dell'essere in sè come universale idea è lasoluzione del problema, che poi fu detto, dell'oggetto.Soluzione, che raggiunge il culmine del suo svilupponell'Uno plotiniano, in cui è sublimato il mondo platoni-co delle idee. Il problema dell'oggetto è così risolutonella sua massima profondità. E col problemadell'oggetto è risoluto il problema della verità, se è veroche la verità deve essere oggettiva e quindi unica ed uni-versale.

Ma, proprio mentre il problema della verità venivasviluppando la sua soluzione nella chiara concezionedella conquista speculativa che rappresentava ed appor-tava (ripeto: l'essere in sè come l'Idea oggettiva), veni-vasi, anche per questa stessa ragione, maturando la piùprofonda rivoluzione spirituale che la storia ricordi: ilCristianesimo. Una concezione nuova della vita edell'essere in breve conquistò le coscienze e invase ilpensiero: I soggetti umani trovarono sè capaci di certez-za. Essi con questa loro capacità confermavano da unaparte l'idealità del vero essere in sè (mondo intelligibi-le); ma si ritrovavano dall'altra in rapporto con un altroSoggetto, il Soggetto infinito, che, creandoli come Lui,aveva dato loro tale capacità. Egli era quindi la fonte ditutta la loro attuale certezza, e del Suo regno perciò essi

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sentivano di far parte (regno di Dio). È porre in pieno ilvalore di quella che noi oggi diciamo soggettività. Lacertezza dei soggetti (fede) rese superfluo il problemadella verità come problema.

Concepito in tal modo il pensiero cristiano come sog-gettiva certezza di fatto, di fronte a quello greco comeproblema della verità, si intende perchè noi sentiamocosì vicini e pur così immensamente lontani tra loro econ noi, quei due grandi spiriti, dei quali l'uno chiude,con la più solenne elevazione soggettiva che la civiltàantica consenta, il pensiero greco, e l'altro sostanzia dimetafisica verità ideale la certezza cristiana: Plotino eAgostino.

Plotino, pur con la sua estasi verso l'Uno (φυγὴ µόνουπρὸς µόνον), Agostino, pur con quella immota per quan-to interiore verità, si attraggono e si repellono insieme:ciascuno di essi ci anima e ci serra il respiro in modoche non possiamo nè abbandonarlo nè chiuderci in luisolo.

Plotino ed Agostino vorrebbero far uno tra loro e connoi, e restano irrimediabilmente due anche di fronte anoi. Ci fanno sentire il bisogno della loro fusione: nelpensiero greco non sentesi l'esigenza della soggettivitàcome realtà, come esistenza; nel pensiero cristiano nonsentesi l'esigenza dell'oggettività come essere in sè,come idealità.

La verità, quindi, non è certo negata nella sua idealitàdalla certezza cristiana, ma rimane quasi di là da questa:la verità dell'oggetto non si fonde con la certezza dei

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sentivano di far parte (regno di Dio). È porre in pieno ilvalore di quella che noi oggi diciamo soggettività. Lacertezza dei soggetti (fede) rese superfluo il problemadella verità come problema.

Concepito in tal modo il pensiero cristiano come sog-gettiva certezza di fatto, di fronte a quello greco comeproblema della verità, si intende perchè noi sentiamocosì vicini e pur così immensamente lontani tra loro econ noi, quei due grandi spiriti, dei quali l'uno chiude,con la più solenne elevazione soggettiva che la civiltàantica consenta, il pensiero greco, e l'altro sostanzia dimetafisica verità ideale la certezza cristiana: Plotino eAgostino.

Plotino, pur con la sua estasi verso l'Uno (φυγὴ µόνουπρὸς µόνον), Agostino, pur con quella immota per quan-to interiore verità, si attraggono e si repellono insieme:ciascuno di essi ci anima e ci serra il respiro in modoche non possiamo nè abbandonarlo nè chiuderci in luisolo.

Plotino ed Agostino vorrebbero far uno tra loro e connoi, e restano irrimediabilmente due anche di fronte anoi. Ci fanno sentire il bisogno della loro fusione: nelpensiero greco non sentesi l'esigenza della soggettivitàcome realtà, come esistenza; nel pensiero cristiano nonsentesi l'esigenza dell'oggettività come essere in sè,come idealità.

La verità, quindi, non è certo negata nella sua idealitàdalla certezza cristiana, ma rimane quasi di là da questa:la verità dell'oggetto non si fonde con la certezza dei

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soggetti, la quale pur non può rimanere senza la sua in-trinseca verità.

E, se, nel primo determinarsi di questa certezza cometeologia della rivelazione (patristica), si sente qua e làpalpitare implicita la stessa oggettiva verità nella sog-gettiva certezza, per quella filosofia invece che vuoleessere soltanto tale (scolastica) e vuole quindi limitarsialla dimostrazione razionale del fissato teologismo,quella verità si fa anche più lontana: si fissa immota aldi là della coscienza in cui vive la certezza, e rimanequindi verità senza certezza. Affermare infatti un essereoggettivo in sè, naturale o spirituale che sia, al di là del-la coscienza che per investigarlo deve viverlo, è, co-munque la cosa si rigiri, verità che prescinde e si scindedalla certezza.

Nella certezza cristiana l'ideale essere in sè platonico,fissandosi, di là dalla coscienza dei soggetti che lo san-no, in un Soggetto stante a sè, non è visto più, o meglionon è visto ancora in quell'oggettività immanente che èla sua verità: esso si pone invece, o si conserva, comel'Essere, a suo modo, concreto, di là dal reale. Si intendequindi, già anche nello stesso suo sorgere, il regno diDio come qualcosa, che, pur affermato dalla coscienza,sia posto di là da questa; ma più ancora si intende nellosviluppo filosofico generale della concezione cristiana ilconsolidarsi sempre più di questa trascendenza, dallacoscienza, del Sommo Essere spirituale da una parte edell'essere naturale dall'altra. Con la scoperta cristianadella certezza soggettiva quindi non solo non è conqui-

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soggetti, la quale pur non può rimanere senza la sua in-trinseca verità.

E, se, nel primo determinarsi di questa certezza cometeologia della rivelazione (patristica), si sente qua e làpalpitare implicita la stessa oggettiva verità nella sog-gettiva certezza, per quella filosofia invece che vuoleessere soltanto tale (scolastica) e vuole quindi limitarsialla dimostrazione razionale del fissato teologismo,quella verità si fa anche più lontana: si fissa immota aldi là della coscienza in cui vive la certezza, e rimanequindi verità senza certezza. Affermare infatti un essereoggettivo in sè, naturale o spirituale che sia, al di là del-la coscienza che per investigarlo deve viverlo, è, co-munque la cosa si rigiri, verità che prescinde e si scindedalla certezza.

Nella certezza cristiana l'ideale essere in sè platonico,fissandosi, di là dalla coscienza dei soggetti che lo san-no, in un Soggetto stante a sè, non è visto più, o meglionon è visto ancora in quell'oggettività immanente che èla sua verità: esso si pone invece, o si conserva, comel'Essere, a suo modo, concreto, di là dal reale. Si intendequindi, già anche nello stesso suo sorgere, il regno diDio come qualcosa, che, pur affermato dalla coscienza,sia posto di là da questa; ma più ancora si intende nellosviluppo filosofico generale della concezione cristiana ilconsolidarsi sempre più di questa trascendenza, dallacoscienza, del Sommo Essere spirituale da una parte edell'essere naturale dall'altra. Con la scoperta cristianadella certezza soggettiva quindi non solo non è conqui-

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stata l'immanenza, ma si ha una duplice trascendenza:restano distinti tra loro, e sempre di là dalla coscienzacerta dei soggetti, il regno di Dio e il mondo naturale,Dio-spirito e universo-materia. A questo punto non ri-troviamo più l'intima certezza nostra, ma siamo soltantodinanzi ad una duplice esteriore verità.

Si intende, quindi, come e perchè questa sublime cer-tezza, indubitabile sia nella sua esaltazione mistica chenella sua razionale dimostrazione, si sia esaurita orga-nizzando l'umanità a chiesa universale e creando unadottrina che la sistematizza.

2. Il problema moderno della certezza soggettiva nella verità oggettiva.

Per questo, e non per la pretesa negatività dialetticadello spirito, in quel magnifico risveglio di attività diogni sorta, col quale si fa finire l'evo medio e iniziarequello moderno della nostra civiltà occidentale, si haquella che fu detta reazione alla tradizione sia comedogmatismo religioso (teologia) sia come immutabileverità razionale (filosofia come scienza). Essa non fureazione: fu senso di esigenza nuova che doveva portarea nuova scoperta speculativa: l'esigenza della verità cherinasce in seno alla certezza, da cui era stata e estraniata.

E si ha prima, da una parte, l'umanesimo, che, con in-genuo ardore assetato di verità e bellezza, crede tornare

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stata l'immanenza, ma si ha una duplice trascendenza:restano distinti tra loro, e sempre di là dalla coscienzacerta dei soggetti, il regno di Dio e il mondo naturale,Dio-spirito e universo-materia. A questo punto non ri-troviamo più l'intima certezza nostra, ma siamo soltantodinanzi ad una duplice esteriore verità.

Si intende, quindi, come e perchè questa sublime cer-tezza, indubitabile sia nella sua esaltazione mistica chenella sua razionale dimostrazione, si sia esaurita orga-nizzando l'umanità a chiesa universale e creando unadottrina che la sistematizza.

2. Il problema moderno della certezza soggettiva nella verità oggettiva.

Per questo, e non per la pretesa negatività dialetticadello spirito, in quel magnifico risveglio di attività diogni sorta, col quale si fa finire l'evo medio e iniziarequello moderno della nostra civiltà occidentale, si haquella che fu detta reazione alla tradizione sia comedogmatismo religioso (teologia) sia come immutabileverità razionale (filosofia come scienza). Essa non fureazione: fu senso di esigenza nuova che doveva portarea nuova scoperta speculativa: l'esigenza della verità cherinasce in seno alla certezza, da cui era stata e estraniata.

E si ha prima, da una parte, l'umanesimo, che, con in-genuo ardore assetato di verità e bellezza, crede tornare

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puramente e semplicemente ai valori ideali del mondoantico, lasciandogli pur vivere accanto (o anche entro),indisturbato, creduto, indiscusso, il mondo della fede.Ma questo ingenuo ritorno all'antica verità si tramuta su-bito, proprio per la vissuta certezza cristiana, in attiva ediretta ricerca della verità stessa, sia questa di ragioneche di fede: il letterario Umanesimo diventa lo scientifi-co, artistico, filosofico, teologico Rinascimento.

È la verità oggettiva riscoperta nella soggettiva cer-tezza cristiana. Certezza infatti è intimità del vero alsoggetto, e si capisce quindi perchè, una volta assapora-ta la certezza, si ritrova il vero non soltanto come ciòche la ragione di Aristotele da una parte, e l'elaborazio-ne patristica e scolastica dall'altra ci impongono comedogma, ma anche, e più, come quello che noi, uominicome Aristotele e come i Padri ed i Filosofi della Chie-sa, uomini, anche noi, venuti dopo di loro, e perciò conragione più consapevole e con esperienza maggiore, in-daghiamo e ritroviamo.

Quindi da una parte la grande concezione metafisicabruniana, in cui è riaffermata col martirio la certezzacristiana del vero.

E dall'altra, alimentato dalla stessa esigenza di certez-za, il tenace pensiero sperimentale e razionale dei Co-pernico, dei Galilei, dei Newton.

Questo senso nuovo della verità fa nascere il proble-ma di quella certezza soggettiva affermata di fatto colCristianesimo: Come è possibile esser certi della verità?

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puramente e semplicemente ai valori ideali del mondoantico, lasciandogli pur vivere accanto (o anche entro),indisturbato, creduto, indiscusso, il mondo della fede.Ma questo ingenuo ritorno all'antica verità si tramuta su-bito, proprio per la vissuta certezza cristiana, in attiva ediretta ricerca della verità stessa, sia questa di ragioneche di fede: il letterario Umanesimo diventa lo scientifi-co, artistico, filosofico, teologico Rinascimento.

È la verità oggettiva riscoperta nella soggettiva cer-tezza cristiana. Certezza infatti è intimità del vero alsoggetto, e si capisce quindi perchè, una volta assapora-ta la certezza, si ritrova il vero non soltanto come ciòche la ragione di Aristotele da una parte, e l'elaborazio-ne patristica e scolastica dall'altra ci impongono comedogma, ma anche, e più, come quello che noi, uominicome Aristotele e come i Padri ed i Filosofi della Chie-sa, uomini, anche noi, venuti dopo di loro, e perciò conragione più consapevole e con esperienza maggiore, in-daghiamo e ritroviamo.

Quindi da una parte la grande concezione metafisicabruniana, in cui è riaffermata col martirio la certezzacristiana del vero.

E dall'altra, alimentato dalla stessa esigenza di certez-za, il tenace pensiero sperimentale e razionale dei Co-pernico, dei Galilei, dei Newton.

Questo senso nuovo della verità fa nascere il proble-ma di quella certezza soggettiva affermata di fatto colCristianesimo: Come è possibile esser certi della verità?

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Questa la genesi ideale, questo il significato e il valo-re profondo di quel che fu detto il problema della filoso-fia moderna: il problema della conoscenza. Problemadella conoscenza, che, così come fu visto e fu posto,vuole appunto giustificare la certezza. Certezza è sog-gettività, e il vero, di cui con la conoscenza siamo certi,è oggettivo. Donde dunque prende capo la conoscenza,che è pur questa via che mena il soggetto alla verità? Ilvalore di Cartesio sta nell'aver reso esplicito il proble-ma. Il suo “cogito” è più la posizione che la soluzionedel problema della certezza; giacchè non è che dire chechi è certo dell'oggettiva verità sono io soggetto pensan-te. La soluzione è forse implicita nella stessa formulacartesiana, ma non esplicata. La soluzione esplicita chene dette il Cartesio, è quasi una estrinseca contamina-zione della certezza con la verità, della fede della co-scienza cristiana con la verità del pensiero greco. Nonostante l'esigenza idealistica dell'argomento ontologico,l'Essere in sè trascende ancor sempre l'animo consape-vole dei soggetti che sono certi: per toccar questo,quell'Essere non può che porgli innata soltanto l'idea disè. Nel “cogito” non si trova l'“esse” nè assoluto nè rela-tivo. E quindi o l'idea, anche se oggettiva, non sarà maivera; o la verità, se propria dell'idea, non toccherà l'esse-re.

Mutare la genesi della conoscenza, trasportandoladalla assoluta idea innata (intima alla coscienza) allasperimentale sensazione dell'esterno (Locke), non risol-ve affatto il problema. Quindi il trasformarsi di questo

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Questa la genesi ideale, questo il significato e il valo-re profondo di quel che fu detto il problema della filoso-fia moderna: il problema della conoscenza. Problemadella conoscenza, che, così come fu visto e fu posto,vuole appunto giustificare la certezza. Certezza è sog-gettività, e il vero, di cui con la conoscenza siamo certi,è oggettivo. Donde dunque prende capo la conoscenza,che è pur questa via che mena il soggetto alla verità? Ilvalore di Cartesio sta nell'aver reso esplicito il proble-ma. Il suo “cogito” è più la posizione che la soluzionedel problema della certezza; giacchè non è che dire chechi è certo dell'oggettiva verità sono io soggetto pensan-te. La soluzione è forse implicita nella stessa formulacartesiana, ma non esplicata. La soluzione esplicita chene dette il Cartesio, è quasi una estrinseca contamina-zione della certezza con la verità, della fede della co-scienza cristiana con la verità del pensiero greco. Nonostante l'esigenza idealistica dell'argomento ontologico,l'Essere in sè trascende ancor sempre l'animo consape-vole dei soggetti che sono certi: per toccar questo,quell'Essere non può che porgli innata soltanto l'idea disè. Nel “cogito” non si trova l'“esse” nè assoluto nè rela-tivo. E quindi o l'idea, anche se oggettiva, non sarà maivera; o la verità, se propria dell'idea, non toccherà l'esse-re.

Mutare la genesi della conoscenza, trasportandoladalla assoluta idea innata (intima alla coscienza) allasperimentale sensazione dell'esterno (Locke), non risol-ve affatto il problema. Quindi il trasformarsi di questo

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da problema della genesi della conoscenza, in problemadel valore di essa; trasformazione, che costituisce lagrandezza di Hume. Problema del valore però che è disoluzione impossibile (questo il significato dello scetti-cismo di Hume), finchè di questa pretesa via all'essere,la conoscenza, che l'uomo crede di possedere, non siveda la possibilità, finchè cioè la conoscenza stessa, nonsolo nella sua genesi e neppure solo nel suo valore, maper se stessa non si ponga come problema.

Questo fa la grandezza di Kant: essersi domandatocome è mai possibile la conoscenza? Solo rispondendo aquesta domanda, saremo in grado di rispondere a quelleche riguardano la sua genesi e il suo valore. Al proble-ma di Kant, così formulato, non ha risposto Kant stesso;ha risposto, a suo modo, Fichte, il quale perciò si pro-clamava il vero Kant. E la risposta fu semplice: la cono-scenza è possibile, perchè l'essere, che il soggetto deveconoscere, è l'oggetto di questo conoscere di cui l'Io è ilsoggetto. Infatti l'Io, nella sua libertà, pone se stesso, e,nell'urto contro l'essere che non è Io, pone tale non Iocome suo oggetto. L'essere conosciuto, dunque, è questonon-Io posto dall'Io. Il principio della opposizione è lostesso che il principio della posizione. La conoscenza èvia all'essere, appunto perchè il soggetto pensante, l'Io,pone, proprio insieme con questa via, il termine di essa,il quale non è che la negazione che esso soggetto fa disè: l'essere conosciuto è il non-Io. Ecco dunque come èpossibile la certezza: la certezza è del soggetto, il qualecome puro assoluto Io, nella sua libertà, pone l'oggetto

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da problema della genesi della conoscenza, in problemadel valore di essa; trasformazione, che costituisce lagrandezza di Hume. Problema del valore però che è disoluzione impossibile (questo il significato dello scetti-cismo di Hume), finchè di questa pretesa via all'essere,la conoscenza, che l'uomo crede di possedere, non siveda la possibilità, finchè cioè la conoscenza stessa, nonsolo nella sua genesi e neppure solo nel suo valore, maper se stessa non si ponga come problema.

Questo fa la grandezza di Kant: essersi domandatocome è mai possibile la conoscenza? Solo rispondendo aquesta domanda, saremo in grado di rispondere a quelleche riguardano la sua genesi e il suo valore. Al proble-ma di Kant, così formulato, non ha risposto Kant stesso;ha risposto, a suo modo, Fichte, il quale perciò si pro-clamava il vero Kant. E la risposta fu semplice: la cono-scenza è possibile, perchè l'essere, che il soggetto deveconoscere, è l'oggetto di questo conoscere di cui l'Io è ilsoggetto. Infatti l'Io, nella sua libertà, pone se stesso, e,nell'urto contro l'essere che non è Io, pone tale non Iocome suo oggetto. L'essere conosciuto, dunque, è questonon-Io posto dall'Io. Il principio della opposizione è lostesso che il principio della posizione. La conoscenza èvia all'essere, appunto perchè il soggetto pensante, l'Io,pone, proprio insieme con questa via, il termine di essa,il quale non è che la negazione che esso soggetto fa disè: l'essere conosciuto è il non-Io. Ecco dunque come èpossibile la certezza: la certezza è del soggetto, il qualecome puro assoluto Io, nella sua libertà, pone l'oggetto

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negando sè, cioè opponendo sè a sè. Dal dubbio di Car-tesio siamo di nuovo alla piena certezza con Fichte.

Con Fichte si ha dunque la soluzione del problemadella filosofia moderna: la dimostrazione della certezzaimplicita alla coscienza cristiana. “Noli foras ire: in teipsum redi: in interiore homine habitat veritas...” avràragione di proclamare Fichte con Agostino. Lo svilupposuccessivo dell'idealismo tedesco attraverso Schelling inHegel, per quel che v'ha di sostanziale, non è che la si-stemazione coerente della soluzione fichtiana del pro-blema della certezza. A questo processo storico della fi-losofia moderna dall'italiano umanesimo al tedescoidealismo assoluto non è difficile rimenare gli altri indi-rizzi, o contrastanti, o accessori, e mostrare come essiconcorrano a determinarne il carattere. Ma è chiaro ch'ionon posso far ora questo: anche a tratti brevissimi im-porterebbe lungo discorso.

Bisogna invece ch'io metta in evidenza il risultato diquesta soluzione del problema moderno, che par proprioquella richiesta dai precedenti problemi speculativi:l'ideale verità dell'oggetto del pensiero greco, la realecertezza dei soggetti della coscienza cristiana. La co-scienza è certa della sua verità, come il Cristianesimoesige; appunto perchè l'oggetto vero, l'essere in sè, èl'idea come il pensiero greco aveva scoperto. Pare che lafilosofia moderna abbia finalmente, con la speculazionetedesca, conciliata la razionale verità del pensiero grecocol fideismo dogmatico della coscienza cristiana.

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negando sè, cioè opponendo sè a sè. Dal dubbio di Car-tesio siamo di nuovo alla piena certezza con Fichte.

Con Fichte si ha dunque la soluzione del problemadella filosofia moderna: la dimostrazione della certezzaimplicita alla coscienza cristiana. “Noli foras ire: in teipsum redi: in interiore homine habitat veritas...” avràragione di proclamare Fichte con Agostino. Lo svilupposuccessivo dell'idealismo tedesco attraverso Schelling inHegel, per quel che v'ha di sostanziale, non è che la si-stemazione coerente della soluzione fichtiana del pro-blema della certezza. A questo processo storico della fi-losofia moderna dall'italiano umanesimo al tedescoidealismo assoluto non è difficile rimenare gli altri indi-rizzi, o contrastanti, o accessori, e mostrare come essiconcorrano a determinarne il carattere. Ma è chiaro ch'ionon posso far ora questo: anche a tratti brevissimi im-porterebbe lungo discorso.

Bisogna invece ch'io metta in evidenza il risultato diquesta soluzione del problema moderno, che par proprioquella richiesta dai precedenti problemi speculativi:l'ideale verità dell'oggetto del pensiero greco, la realecertezza dei soggetti della coscienza cristiana. La co-scienza è certa della sua verità, come il Cristianesimoesige; appunto perchè l'oggetto vero, l'essere in sè, èl'idea come il pensiero greco aveva scoperto. Pare che lafilosofia moderna abbia finalmente, con la speculazionetedesca, conciliata la razionale verità del pensiero grecocol fideismo dogmatico della coscienza cristiana.

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Pare; ma la conciliazione è stata unilaterale: la veritàoggettiva è stata semplicemente negata. E, ad accettarequesta negazione, si finisce col perdere anche la certez-za.

3. Il valore storico della filosofia moderna nella sua conquista e nel suo difetto.

Qual è infatti la conquista che la filosofia modernaapporta al processo speculativo e per esso allo svolgersidella coscienza umana? Qual è il suo valore storico? Laconquista è la dimostrata necessità dell'immanenza delvero nel certo. Non ostante la scoperta platonicadell'essere in sè come idea, tale essere era rimasto sem-pre di là dai soggetti, la cui certezza perciò era inespli-cabile. L'integrazione aristotelica della scoperta platoni-ca aveva non tolta ma bensì fissata quella trascendenza:l'immanenza della ideale forma nella reale cosa non ri-guardava i soggetti conoscenti come tali. La rivoluzionecristiana duplica ed accentua tale trascendenza. La filo-sofia moderna risolve il problema della certezza, sco-prendo l'immanenza dell'essere oggettivo nei soggettipensanti.

Scoperta, che, se si fa esplicita nel pensiero idealisti-co post-critico da Fichte ad Hegel, era già stata, da unaparte, chiaramente posta da Spinoza, e dall'altra già pri-ma vissuta dal nostro Bruno e quasi mostrata in atto dal

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Pare; ma la conciliazione è stata unilaterale: la veritàoggettiva è stata semplicemente negata. E, ad accettarequesta negazione, si finisce col perdere anche la certez-za.

3. Il valore storico della filosofia moderna nella sua conquista e nel suo difetto.

Qual è infatti la conquista che la filosofia modernaapporta al processo speculativo e per esso allo svolgersidella coscienza umana? Qual è il suo valore storico? Laconquista è la dimostrata necessità dell'immanenza delvero nel certo. Non ostante la scoperta platonicadell'essere in sè come idea, tale essere era rimasto sem-pre di là dai soggetti, la cui certezza perciò era inespli-cabile. L'integrazione aristotelica della scoperta platoni-ca aveva non tolta ma bensì fissata quella trascendenza:l'immanenza della ideale forma nella reale cosa non ri-guardava i soggetti conoscenti come tali. La rivoluzionecristiana duplica ed accentua tale trascendenza. La filo-sofia moderna risolve il problema della certezza, sco-prendo l'immanenza dell'essere oggettivo nei soggettipensanti.

Scoperta, che, se si fa esplicita nel pensiero idealisti-co post-critico da Fichte ad Hegel, era già stata, da unaparte, chiaramente posta da Spinoza, e dall'altra già pri-ma vissuta dal nostro Bruno e quasi mostrata in atto dal

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nostro Vico nella storia ideale eterna che pur gli stessiuomini fanno. Nella sostanza di Spinoza ritroviamo dauna parte riconquistato Bruno attraverso Cartesio,dall'altra anticipato, e sotto alcuni aspetti già posto conmaggiore nettezza di visione e maturità di pensiero,l'implicito concetto critico di Dio. Questo precorrimentospinoziano dell'immanentismo critico gli idealisti post-kantiani, e specialmente Schelling, sentono potentemen-te, non ostante il rimprovero di dogmatismo fatto da Fi-chte a Spinoza.

Se abbiamo presente quanto dissi, che cioè la soluzio-ne del problema della filosofia moderna sta già tutta nelpensiero di Fichte, vediamo che essa è ottenuta elevan-do ad Assoluto universale e perciò unico il soggettostesso della certezza, l'io. L'Io libero è il creatore del suomondo; ed è il creatore del mondo. L'Io assolutamentelibero, che perciò non è da confondere con l'empirico io,soggetto alle vicende ed alle ingiurie del tempo, risulta-to e non principio. La speculazione tedesca – sul fonda-mento soggettivistico dato alla coscienza dalla Riformaprotestante con la predicazione del ritorno alla pura esi-genza evangelica della certezza del soggetto – su talfondamento seppe portare al culmine la filosofia moder-na e imporle la soluzione del suo problema: l'elevamen-to del soggetto certo ad unico Assoluto. Nè difficile sa-rebbe rintracciare l'affermazione e lo sviluppo di tal ca-rattere soggettivistico nei vari campi dell'attività spiri-tuale: dal libero esame ai diritti dell'uomo e del proleta-rio; dall'Io assoluto alla assoluta classe. Si è quindi fini-

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nostro Vico nella storia ideale eterna che pur gli stessiuomini fanno. Nella sostanza di Spinoza ritroviamo dauna parte riconquistato Bruno attraverso Cartesio,dall'altra anticipato, e sotto alcuni aspetti già posto conmaggiore nettezza di visione e maturità di pensiero,l'implicito concetto critico di Dio. Questo precorrimentospinoziano dell'immanentismo critico gli idealisti post-kantiani, e specialmente Schelling, sentono potentemen-te, non ostante il rimprovero di dogmatismo fatto da Fi-chte a Spinoza.

Se abbiamo presente quanto dissi, che cioè la soluzio-ne del problema della filosofia moderna sta già tutta nelpensiero di Fichte, vediamo che essa è ottenuta elevan-do ad Assoluto universale e perciò unico il soggettostesso della certezza, l'io. L'Io libero è il creatore del suomondo; ed è il creatore del mondo. L'Io assolutamentelibero, che perciò non è da confondere con l'empirico io,soggetto alle vicende ed alle ingiurie del tempo, risulta-to e non principio. La speculazione tedesca – sul fonda-mento soggettivistico dato alla coscienza dalla Riformaprotestante con la predicazione del ritorno alla pura esi-genza evangelica della certezza del soggetto – su talfondamento seppe portare al culmine la filosofia moder-na e imporle la soluzione del suo problema: l'elevamen-to del soggetto certo ad unico Assoluto. Nè difficile sa-rebbe rintracciare l'affermazione e lo sviluppo di tal ca-rattere soggettivistico nei vari campi dell'attività spiri-tuale: dal libero esame ai diritti dell'uomo e del proleta-rio; dall'Io assoluto alla assoluta classe. Si è quindi fini-

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to col proclamare che “la vera filosofia moderna si fon-da nel principio della soggettività” che “soggettivismo ofilosofia dello spirito vuol dire filosofia vera e propria”che “l'unità di soggetto ed oggetto è assoluta soggettivi-tà”; e così via.

Così però si è scambiato il carattere che la filosofiamoderna ha avuto al suo culmine nella speculazione te-desca, con la conquista definitiva che essa apporta: si èrimasti nel ciclo di essa filosofia moderna, e non se ne èquindi riconosciuto quel valore storico, pel quale da unaparte si scopre netta la conquista apportata da un perio-do di speculazione, ma dall'altra anche si scorge, nellastessa via tenuta per raggiungere tale conquista, e quindinel suo stesso carattere, il difetto che la limita e ci spin-ge a lasciare quella via per aprirne una nuova e così as-sodare meglio, ampliare, ed approfondire la conquistafatta.

Per risolvere il problema della certezza bisognava, sì,continuare a dar valore al soggetto che è certo, perchèbisognava scoprire in lui quella verità, senza il cui pos-sesso non v'ha certezza. E scoprire nel soggetto certol'oggettiva verità è l'eterna conquista del pensiero mo-derno.

Ma scoprire l'oggettiva verità non vuol dire ridurrel'oggettività e quindi anche la verità a concetti negativi,cioè in sostanza negare oggettività e verità per affermaresoltanto soggettività e certezza. Così non si scopre nelsoggetto la verità, ma la si nega: e in definitiva si riescea fare negativo poi anche il soggetto stesso. La si nega,

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to col proclamare che “la vera filosofia moderna si fon-da nel principio della soggettività” che “soggettivismo ofilosofia dello spirito vuol dire filosofia vera e propria”che “l'unità di soggetto ed oggetto è assoluta soggettivi-tà”; e così via.

Così però si è scambiato il carattere che la filosofiamoderna ha avuto al suo culmine nella speculazione te-desca, con la conquista definitiva che essa apporta: si èrimasti nel ciclo di essa filosofia moderna, e non se ne èquindi riconosciuto quel valore storico, pel quale da unaparte si scopre netta la conquista apportata da un perio-do di speculazione, ma dall'altra anche si scorge, nellastessa via tenuta per raggiungere tale conquista, e quindinel suo stesso carattere, il difetto che la limita e ci spin-ge a lasciare quella via per aprirne una nuova e così as-sodare meglio, ampliare, ed approfondire la conquistafatta.

Per risolvere il problema della certezza bisognava, sì,continuare a dar valore al soggetto che è certo, perchèbisognava scoprire in lui quella verità, senza il cui pos-sesso non v'ha certezza. E scoprire nel soggetto certol'oggettiva verità è l'eterna conquista del pensiero mo-derno.

Ma scoprire l'oggettiva verità non vuol dire ridurrel'oggettività e quindi anche la verità a concetti negativi,cioè in sostanza negare oggettività e verità per affermaresoltanto soggettività e certezza. Così non si scopre nelsoggetto la verità, ma la si nega: e in definitiva si riescea fare negativo poi anche il soggetto stesso. La si nega,

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appunto perchè si continua a ritenere valida l'opposizio-ne soggetto-oggetto, certezza-verità, opposizione che in-vece è falsa. La si nega, perchè si continuano ad averedi soggetto e di oggetto i concetti stessi che la veritàgreca e la certezza cristiana presupponevano, e che inve-ce la concretezza moderna obbliga a rivedere.

Non è risolvere il problema della certezza porre que-sta al posto della verità. Verità e certezza non dovrannoescludersi, ma neppure dovranno confondersi, scambiar-si l'una con l'altra: la coscienza non è autocoscienza delsoggetto, ma è puramente e semplicemente coscienzache i soggetti hanno dell'oggetto. Vedere questo conchiarezza è dominare tutta la filosofia moderna nella suaconquista e nel suo difetto, e vedere quindi come la viastessa, tenuta dalla filosofia moderna per la soluzionedel suo problema, limita la conquista stessa, la qualeperciò bisogna che sia, per nuova via, con nuovi mezzi,riconquistata. La conquista dell'immanenza della veritànella certezza, dell'oggetto nei soggetti, di Dionell'uomo, dell'Universale nel singolare va riottenuta,valorizzando positivamente la verità e l'oggetto. E perfar questo bisogna partire non più dalla critica della co-noscenza, ma dalla critica dello stesso concreto, al qualela critica della conoscenza ci ha menati. Il compito dellafilosofia moderna nel suo specifico problema della cer-tezza pare finito. La filosofia moderna comincia a nonesser più... moderna. Risoluto col pensiero greco il pro-blema della verità, posta col pensiero cristiano la certez-za spirituale, impostato col pensiero moderno il proble-

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appunto perchè si continua a ritenere valida l'opposizio-ne soggetto-oggetto, certezza-verità, opposizione che in-vece è falsa. La si nega, perchè si continuano ad averedi soggetto e di oggetto i concetti stessi che la veritàgreca e la certezza cristiana presupponevano, e che inve-ce la concretezza moderna obbliga a rivedere.

Non è risolvere il problema della certezza porre que-sta al posto della verità. Verità e certezza non dovrannoescludersi, ma neppure dovranno confondersi, scambiar-si l'una con l'altra: la coscienza non è autocoscienza delsoggetto, ma è puramente e semplicemente coscienzache i soggetti hanno dell'oggetto. Vedere questo conchiarezza è dominare tutta la filosofia moderna nella suaconquista e nel suo difetto, e vedere quindi come la viastessa, tenuta dalla filosofia moderna per la soluzionedel suo problema, limita la conquista stessa, la qualeperciò bisogna che sia, per nuova via, con nuovi mezzi,riconquistata. La conquista dell'immanenza della veritànella certezza, dell'oggetto nei soggetti, di Dionell'uomo, dell'Universale nel singolare va riottenuta,valorizzando positivamente la verità e l'oggetto. E perfar questo bisogna partire non più dalla critica della co-noscenza, ma dalla critica dello stesso concreto, al qualela critica della conoscenza ci ha menati. Il compito dellafilosofia moderna nel suo specifico problema della cer-tezza pare finito. La filosofia moderna comincia a nonesser più... moderna. Risoluto col pensiero greco il pro-blema della verità, posta col pensiero cristiano la certez-za spirituale, impostato col pensiero moderno il proble-

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ma di tale certezza, abbiamo gli elementi per porre fi-nalmente il problema del concreto. Come è possibilel'essere concreto, cioè la certezza della verità?

4. L'immanentismo e la genesi italiana della nuovafilosofia.

Così ci sta chiaro ora dinanzi, nelle sue linee fonda-mentali, il valore storico della filosofia moderna, col suodifetto, nella sua scoperta.

Da questa scoperta bisogna prendere le mosse per in-tendere da una parte le determinate persone e problemispeculativi che si sono succeduti nel farla, e per prose-guirla dall'altra.

L'immanentismo è soltanto agli albori, non è al tra-monto. Tramonta il soggettivismo della filosofia moder-na che ci lascia questo come passiva eredità da risanare:non tramonta il conquistato concetto di immanenza, chedalla rivalutazione della oggettività non sarà tolto maconfermato, liberato dalle oscurità che il soggettivismogli porta dentro.

Ed è bene, che, come lo Spaventa da par suo mise inchiara luce che la filosofia moderna non è privilegio diquel popolo, presso il quale parve raggiungere il culmi-ne, e che, al dir di Hegel, avrebbe “ricevuto dalla naturail superiore mandato di custode del fuoco sacro della fi-losofia” (Geschichte, in Werke, vol. XVII, pag. 20,

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ma di tale certezza, abbiamo gli elementi per porre fi-nalmente il problema del concreto. Come è possibilel'essere concreto, cioè la certezza della verità?

4. L'immanentismo e la genesi italiana della nuovafilosofia.

Così ci sta chiaro ora dinanzi, nelle sue linee fonda-mentali, il valore storico della filosofia moderna, col suodifetto, nella sua scoperta.

Da questa scoperta bisogna prendere le mosse per in-tendere da una parte le determinate persone e problemispeculativi che si sono succeduti nel farla, e per prose-guirla dall'altra.

L'immanentismo è soltanto agli albori, non è al tra-monto. Tramonta il soggettivismo della filosofia moder-na che ci lascia questo come passiva eredità da risanare:non tramonta il conquistato concetto di immanenza, chedalla rivalutazione della oggettività non sarà tolto maconfermato, liberato dalle oscurità che il soggettivismogli porta dentro.

Ed è bene, che, come lo Spaventa da par suo mise inchiara luce che la filosofia moderna non è privilegio diquel popolo, presso il quale parve raggiungere il culmi-ne, e che, al dir di Hegel, avrebbe “ricevuto dalla naturail superiore mandato di custode del fuoco sacro della fi-losofia” (Geschichte, in Werke, vol. XVII, pag. 20,

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Stuttgart. 1928), non è privilegio perchè essa nacqueproprio in Italia, che, prima nel mondo, chiuse un ciclostorico di speculazione e di vita per aprirne uno nuovo,– così si cominci oggi ad intendere e proclamare chequella nuova filosofia in cui domani dalla critica dellastessa concretezza saranno presentati a nuova vita i pro-blemi classici della coscienza speculativa, quella nuovafilosofia, di cui è immancabile l'avvento, e di cui ci sonogià tanti segni premonitori nella vita in genere e nel pen-siero speculativo in ispecie, quella nuova filosofia, chesaprà vivere il concreto senza cessare di essere filosofia,ebbe in Italia i suoi albori nella prima metà del secoloscorso, proprio quando il Gioberti, con tutta l'opera sua,gridava, ai giovani italiani: “Persuadetevi che se non sipianta una filosofia italiana, non potremo avere nazioneitalica” (Della Rif. catt., CXC).

Anche a prescindere, infatti, dall'altissima concezionepolitico-religiosa del Mazzini, che, se era principio eculmine di quel magnifico rinascere di un grande popoloalla vita statale, che fu il risorgimento italiano, era ancheun riproporre dai principii il problema della coscienzamoderna nella sua fondamentale unità etica; a prescin-derne per tenersi, come abbiamo fin qui fatto, alla strettaforma della speculazione filosofica, quel vigoroso fiori-re di questa nel pensiero di Rosmini e di Gioberti, non ènè la pura e semplice continuazione e sviluppo dell'idea-lismo tedesco, nè solo un vieto ritorno a morte posizionispeculative, perchè sarebbe in Italia, al dire di uno stori-co tedesco, “perdurata quella mancanza di indipendenza

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Stuttgart. 1928), non è privilegio perchè essa nacqueproprio in Italia, che, prima nel mondo, chiuse un ciclostorico di speculazione e di vita per aprirne uno nuovo,– così si cominci oggi ad intendere e proclamare chequella nuova filosofia in cui domani dalla critica dellastessa concretezza saranno presentati a nuova vita i pro-blemi classici della coscienza speculativa, quella nuovafilosofia, di cui è immancabile l'avvento, e di cui ci sonogià tanti segni premonitori nella vita in genere e nel pen-siero speculativo in ispecie, quella nuova filosofia, chesaprà vivere il concreto senza cessare di essere filosofia,ebbe in Italia i suoi albori nella prima metà del secoloscorso, proprio quando il Gioberti, con tutta l'opera sua,gridava, ai giovani italiani: “Persuadetevi che se non sipianta una filosofia italiana, non potremo avere nazioneitalica” (Della Rif. catt., CXC).

Anche a prescindere, infatti, dall'altissima concezionepolitico-religiosa del Mazzini, che, se era principio eculmine di quel magnifico rinascere di un grande popoloalla vita statale, che fu il risorgimento italiano, era ancheun riproporre dai principii il problema della coscienzamoderna nella sua fondamentale unità etica; a prescin-derne per tenersi, come abbiamo fin qui fatto, alla strettaforma della speculazione filosofica, quel vigoroso fiori-re di questa nel pensiero di Rosmini e di Gioberti, non ènè la pura e semplice continuazione e sviluppo dell'idea-lismo tedesco, nè solo un vieto ritorno a morte posizionispeculative, perchè sarebbe in Italia, al dire di uno stori-co tedesco, “perdurata quella mancanza di indipendenza

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nelle ricerche filosofiche, che le era propria fino dallaControriforma del secolo XVI”. (Windelband, Storiadella filosofia moderna, trad. it., III, pag. 7·8).

No: il cosidetto ontologismo, che per diverse vie econ diverse formule Rosmini e Gioberti tendono en-trambi ad affermare pur dandosi reciprocamente l'accusadi quel soggettivismo, che entrambi volevano confutaree condannare; quel loro ontologismo, quando sia vistonei vitali suoi motivi rinnovatori e non nelle concessionial dogmatismo tradizionale, nelle quali cade ogni pensa-tore, ed essi forse più di altri; quel loro ontologismo èappunto l'esigenza nuova che si manifesta col chiudersidel ciclo storico del pensiero moderno e aprirsi di quelnuovo periodo di speculazione, al quale abbiamo accen-nato. La loro confutazione del cartesianismo, del kanti-smo, dell'idealismo non è l'acritica negazione di ogniloro valore, della quale anche oggi sentiamo inintelli-genti clamori, ma è la sensazione, oscura e confusa se sivuole, ma forte e profonda, delle deficienze del pensieromoderno nell'assodare la sua conquista; quel loro onto-logismo, nel suo fondamentale valore, nell'essenza sua,è l'esigenza della oggettività nel campo stesso della spi-ritualità, non è la separazione di un essere oggettivo daun pensare soggettivo, anche se non mancano esplicitiresidui di tale posizione speculativa.

È dunque l'affermazione della oggettività nuova, cheessi intravedono e fanno; della oggettività, che vive nel-la coscienza concreta e la sostanzia; della oggettività,che non è più quella che, più che esteriore, direi indi-

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nelle ricerche filosofiche, che le era propria fino dallaControriforma del secolo XVI”. (Windelband, Storiadella filosofia moderna, trad. it., III, pag. 7·8).

No: il cosidetto ontologismo, che per diverse vie econ diverse formule Rosmini e Gioberti tendono en-trambi ad affermare pur dandosi reciprocamente l'accusadi quel soggettivismo, che entrambi volevano confutaree condannare; quel loro ontologismo, quando sia vistonei vitali suoi motivi rinnovatori e non nelle concessionial dogmatismo tradizionale, nelle quali cade ogni pensa-tore, ed essi forse più di altri; quel loro ontologismo èappunto l'esigenza nuova che si manifesta col chiudersidel ciclo storico del pensiero moderno e aprirsi di quelnuovo periodo di speculazione, al quale abbiamo accen-nato. La loro confutazione del cartesianismo, del kanti-smo, dell'idealismo non è l'acritica negazione di ogniloro valore, della quale anche oggi sentiamo inintelli-genti clamori, ma è la sensazione, oscura e confusa se sivuole, ma forte e profonda, delle deficienze del pensieromoderno nell'assodare la sua conquista; quel loro onto-logismo, nel suo fondamentale valore, nell'essenza sua,è l'esigenza della oggettività nel campo stesso della spi-ritualità, non è la separazione di un essere oggettivo daun pensare soggettivo, anche se non mancano esplicitiresidui di tale posizione speculativa.

È dunque l'affermazione della oggettività nuova, cheessi intravedono e fanno; della oggettività, che vive nel-la coscienza concreta e la sostanzia; della oggettività,che non è più quella che, più che esteriore, direi indi-

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stinta del pensiero greco, nè quella negativa del pensieromoderno, ma quella, di Dio come assoluta Idea imma-nente alla concretezza della coscienza.

È quindi il loro pensiero, specialmente nella formafortemente organica che assunse in Rosmini, l'alba dellanuova speculazione, e non il pallido tramonto di unaspeculazione precritica, la cui unica scialba luce sia datadalla pur negata critica. Quando così a loro ci si accostinutriti di pensiero moderno, sentiremo, nella loro con-danna di questo, non un ritorno alla greca o medievaletrascendenza, ma una affermazione della concretezzaspirituale che superi la unilateralità soggettiva della co-scienza moderna. E sentiremo di quanto il loro pensierosuperi e l'idealismo soggettivo, e certo contemporaneorealismo od ontologismo precritico od anticritico, che,non avendo guadagnato ancora il punto di vista critico, èlungi dal vedere la nuova oggettività che questo ci im-pone.

Potrem noi, quindi, proprio dalla speculazione italia-na trarre ancora gli auspici e gl'incitamenti per il rinno-vamento del pensiero speculativo nel suo problema fon-damentale: la scoperta di Dio. Il nuovo concetto checosì conquisteremo, sarà forse l'inizio o almeno la pre-parazione della via a quella nuova unità della coscienza,della quale l'umanità comincia a sentire esplicito il biso-gno, dopochè, proprio dal culminare della filosofia mo-derna, si è fatto chiaro il dissidio, che da secoli, dal sor-gere stesso del problema della certezza, si era acceso econservato latente, il dissidio tra religione e filosofia.

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stinta del pensiero greco, nè quella negativa del pensieromoderno, ma quella, di Dio come assoluta Idea imma-nente alla concretezza della coscienza.

È quindi il loro pensiero, specialmente nella formafortemente organica che assunse in Rosmini, l'alba dellanuova speculazione, e non il pallido tramonto di unaspeculazione precritica, la cui unica scialba luce sia datadalla pur negata critica. Quando così a loro ci si accostinutriti di pensiero moderno, sentiremo, nella loro con-danna di questo, non un ritorno alla greca o medievaletrascendenza, ma una affermazione della concretezzaspirituale che superi la unilateralità soggettiva della co-scienza moderna. E sentiremo di quanto il loro pensierosuperi e l'idealismo soggettivo, e certo contemporaneorealismo od ontologismo precritico od anticritico, che,non avendo guadagnato ancora il punto di vista critico, èlungi dal vedere la nuova oggettività che questo ci im-pone.

Potrem noi, quindi, proprio dalla speculazione italia-na trarre ancora gli auspici e gl'incitamenti per il rinno-vamento del pensiero speculativo nel suo problema fon-damentale: la scoperta di Dio. Il nuovo concetto checosì conquisteremo, sarà forse l'inizio o almeno la pre-parazione della via a quella nuova unità della coscienza,della quale l'umanità comincia a sentire esplicito il biso-gno, dopochè, proprio dal culminare della filosofia mo-derna, si è fatto chiaro il dissidio, che da secoli, dal sor-gere stesso del problema della certezza, si era acceso econservato latente, il dissidio tra religione e filosofia.

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CAPITOLO IL'IDEALISMO HEGELIANO2

5. Tema.

Sono passati cent'anni da che quello sforzo di rifles-sione che prende nome da Giorgio Guglielmo FedericoHegel (1770-1831) si esaurì come sforzo personale e di-venne quella soluzione, che da lui prende nome, del pro-blema metafisico. Cent'anni fa (14 Novembre 1831) He-gel passò alla storia: passò alla storia il cosiddetto sco-pritore della storia. Passaggio alla storia che segna i li-miti della scoperta stessa: se fosse assoluto lo storici-

2 Il contenuto di questo e di tutti i capitoli seguenti fino alnono fu argomento di una serie di lezioni tenute, a principiodell'anno scolastico 931-32, nell'Università di Roma, in occasionedel centenario della morte di Hegel. La pubblicazione non sareb-be avvenuta senza i diligenti appunti allora fornitimi dalla dott.Anna Rocchi, alla quale perciò anche chi legge sia riconoscente.

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CAPITOLO IL'IDEALISMO HEGELIANO2

5. Tema.

Sono passati cent'anni da che quello sforzo di rifles-sione che prende nome da Giorgio Guglielmo FedericoHegel (1770-1831) si esaurì come sforzo personale e di-venne quella soluzione, che da lui prende nome, del pro-blema metafisico. Cent'anni fa (14 Novembre 1831) He-gel passò alla storia: passò alla storia il cosiddetto sco-pritore della storia. Passaggio alla storia che segna i li-miti della scoperta stessa: se fosse assoluto lo storici-

2 Il contenuto di questo e di tutti i capitoli seguenti fino alnono fu argomento di una serie di lezioni tenute, a principiodell'anno scolastico 931-32, nell'Università di Roma, in occasionedel centenario della morte di Hegel. La pubblicazione non sareb-be avvenuta senza i diligenti appunti allora fornitimi dalla dott.Anna Rocchi, alla quale perciò anche chi legge sia riconoscente.

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smo, non ci potrebbe essere un passaggio alla storia nèdi Hegel nè di chicchesia o di alcun che.

Di tal passaggio il mondo filosofico giustamente ri-corda la data al mondo tutto dell'umano pensiero. CertoHegel è il pensatore che, a ragione od a torto, più hariempito di sè tutto il vivere umano di questi ultimicent'anni. Grandi movimenti d'idee e di vita vissuta sifanno risalire a lui: attuazioni o deviazioni che oggi essisi ritengano del retto vivere consapevole umano, il loroessere (o sia pur soltanto essere ritenuti) nati dal pensie-ro di Hegel è, certo, un successo di quest'ultimo, anchese si vuol ammettere, contro di lui, che non ogni succes-so sia un progredire.

Ora ricordare Hegel è, nel campo filosofico, celebrareo condannare l'idealismo che va sotto il suo nome.L'hegelismo si riafferma oggi come neohegelismo inItalia ed altrove, ed in Italia più che altrove: in Italia,dove questo neohegelismo viene senz'altro detto da se-guaci e da oppositori – e più dagli oppositori che dai se-guaci – idealismo italiano. Il modo, quindi, ch'io ritengoopportuno per ricordare Hegel in Italia è quello di deter-minare da una parte brevemente qual è la caratteristicaessenziale dell'hegelismo, e dimostrare dall'altra qualesia nella sua storia l'idealismo italiano, e quale quindidebba essere la caratteristica intrinseca di un idealismoche possa a ragione dirsi italiano. Riusciremo così amettere anche in evidenza, attraverso il carattere vivodel pensiero italiano, quella che noi riteniamo l'urgenteesigenza vitale dell'attuale speculazione.

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smo, non ci potrebbe essere un passaggio alla storia nèdi Hegel nè di chicchesia o di alcun che.

Di tal passaggio il mondo filosofico giustamente ri-corda la data al mondo tutto dell'umano pensiero. CertoHegel è il pensatore che, a ragione od a torto, più hariempito di sè tutto il vivere umano di questi ultimicent'anni. Grandi movimenti d'idee e di vita vissuta sifanno risalire a lui: attuazioni o deviazioni che oggi essisi ritengano del retto vivere consapevole umano, il loroessere (o sia pur soltanto essere ritenuti) nati dal pensie-ro di Hegel è, certo, un successo di quest'ultimo, anchese si vuol ammettere, contro di lui, che non ogni succes-so sia un progredire.

Ora ricordare Hegel è, nel campo filosofico, celebrareo condannare l'idealismo che va sotto il suo nome.L'hegelismo si riafferma oggi come neohegelismo inItalia ed altrove, ed in Italia più che altrove: in Italia,dove questo neohegelismo viene senz'altro detto da se-guaci e da oppositori – e più dagli oppositori che dai se-guaci – idealismo italiano. Il modo, quindi, ch'io ritengoopportuno per ricordare Hegel in Italia è quello di deter-minare da una parte brevemente qual è la caratteristicaessenziale dell'hegelismo, e dimostrare dall'altra qualesia nella sua storia l'idealismo italiano, e quale quindidebba essere la caratteristica intrinseca di un idealismoche possa a ragione dirsi italiano. Riusciremo così amettere anche in evidenza, attraverso il carattere vivodel pensiero italiano, quella che noi riteniamo l'urgenteesigenza vitale dell'attuale speculazione.

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6. Immanentismo, attivismo, panlogismo

Al pensiero hegeliano, si sa, si attribuisce la genesi dimolte di quelle caratteristiche che si ritengono propriedella cultura contemporanea.

Si dice, p. es., che è merito di Hegel aver dimostratanella forma più radicale l'imprescindibilità dell'imma-nenza, imprescindibilità nella quale si risolve la cosid-detta assolutezza del suo idealismo. Ed è vero. Lo Spiri-to in cui finisce e trionfa l'Idea di Hegel, non solo imma-ne e permane con la sua unicità, universalità, assolutez-za, nella umana coscienza, ma pare anche che esso stes-so non sia altro che l'esplicita cultura umana, onde He-gel, giungendo al suo proprio sistema di pensiero, puòesclamare: qui lo Spirito è giunto fino ad oggi.

Or è proprio questa la fondamentale caratteristicaspeculativa di Hegel, cioè quella da cui tutte le altre, piùo meno rinnovate di fronte al pensiero precedente, ram-pollano? Io credo di no. La esplicita scoperta dell'imma-nenza è, come vedremo, gloria del Rinascimento italia-no. In Hegel si riaffermerà, prenderà nuova configura-zione; ma anche si deformerà, nè credo che avrà limitipiù ampi che, p. es., in Bruno. Certo nell'impeto di gio-ia, con cui lo spirito umano riprende possesso della pro-pria capacità al vero ed integra così la fissità della tradi-zione e la esteriorità della rivelazione, rimane pur sem-pre, quasi a limitarne l'eroico furore, una trascendenzadell'Assoluto, la quale costringe Bruno a porre, accantoall'Artefice interno, inaccesso e inaccessibile il Dio tra-

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6. Immanentismo, attivismo, panlogismo

Al pensiero hegeliano, si sa, si attribuisce la genesi dimolte di quelle caratteristiche che si ritengono propriedella cultura contemporanea.

Si dice, p. es., che è merito di Hegel aver dimostratanella forma più radicale l'imprescindibilità dell'imma-nenza, imprescindibilità nella quale si risolve la cosid-detta assolutezza del suo idealismo. Ed è vero. Lo Spiri-to in cui finisce e trionfa l'Idea di Hegel, non solo imma-ne e permane con la sua unicità, universalità, assolutez-za, nella umana coscienza, ma pare anche che esso stes-so non sia altro che l'esplicita cultura umana, onde He-gel, giungendo al suo proprio sistema di pensiero, puòesclamare: qui lo Spirito è giunto fino ad oggi.

Or è proprio questa la fondamentale caratteristicaspeculativa di Hegel, cioè quella da cui tutte le altre, piùo meno rinnovate di fronte al pensiero precedente, ram-pollano? Io credo di no. La esplicita scoperta dell'imma-nenza è, come vedremo, gloria del Rinascimento italia-no. In Hegel si riaffermerà, prenderà nuova configura-zione; ma anche si deformerà, nè credo che avrà limitipiù ampi che, p. es., in Bruno. Certo nell'impeto di gio-ia, con cui lo spirito umano riprende possesso della pro-pria capacità al vero ed integra così la fissità della tradi-zione e la esteriorità della rivelazione, rimane pur sem-pre, quasi a limitarne l'eroico furore, una trascendenzadell'Assoluto, la quale costringe Bruno a porre, accantoall'Artefice interno, inaccesso e inaccessibile il Dio tra-

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scendente richiesto dalla concezione religiosa realisticache egli conserva. Ma limiti non meno ristretti e, per dipiù, arbitrari ed artificiosi sentiamo nell'immanentismodello Hegel. Ammettere la natura come l'idea fuori disè, come l'esser altro dell'idea è ammettere qualcos'altrooltre “l'Idea”. E se questo qualcos'altro da una parte am-mettesi come realtà e dall'altra dicesi negazione, la ne-gazione diventa la vera realtà la realtà reale: è in ognimodo l'eliminazione della immanenza. Il principio posi-tivo della realtà è di là dalla realtà.

Eliminazione che non è tolta dal mettere come puntodi partenza l'Idea, e come punto di arrivo lo Spirito.L'Idea non è reale se non nella sua negazione, nel suodivenir natura; come idea è astratta. Non è dunque esat-to glorificare Hegel come lo scopritore dell'immanenti-smo, dopochè con Bruno si era affermata esplicita l'inti-mità della mente assoluta alla natura, e col Vico la si eradeterminata nel mondo umano.

E così non è Hegel il primo instauratore dell'attivismodello spirito. La concezione attivistica dell'essere è diLeibniz, il quale non si stanca di ripeterci che dove ci èsostanza ci è attività, e dove c'è attività ci è sostanza. Eche questa attività sia attività spirituale o almeno affinead essa, fu con qualche titubanza o contraddizione affer-mato già dallo stesso Leibniz; ma la deduzione esplicitache ogni sostanza in quanto attiva non possa essere chespiritualità, cioè attività consapevole, è, nel mondo mo-derno (si sa che si potrebbe risalire molto più indietronei secoli: ma limitiamoci a considerare la riaffermazio-

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scendente richiesto dalla concezione religiosa realisticache egli conserva. Ma limiti non meno ristretti e, per dipiù, arbitrari ed artificiosi sentiamo nell'immanentismodello Hegel. Ammettere la natura come l'idea fuori disè, come l'esser altro dell'idea è ammettere qualcos'altrooltre “l'Idea”. E se questo qualcos'altro da una parte am-mettesi come realtà e dall'altra dicesi negazione, la ne-gazione diventa la vera realtà la realtà reale: è in ognimodo l'eliminazione della immanenza. Il principio posi-tivo della realtà è di là dalla realtà.

Eliminazione che non è tolta dal mettere come puntodi partenza l'Idea, e come punto di arrivo lo Spirito.L'Idea non è reale se non nella sua negazione, nel suodivenir natura; come idea è astratta. Non è dunque esat-to glorificare Hegel come lo scopritore dell'immanenti-smo, dopochè con Bruno si era affermata esplicita l'inti-mità della mente assoluta alla natura, e col Vico la si eradeterminata nel mondo umano.

E così non è Hegel il primo instauratore dell'attivismodello spirito. La concezione attivistica dell'essere è diLeibniz, il quale non si stanca di ripeterci che dove ci èsostanza ci è attività, e dove c'è attività ci è sostanza. Eche questa attività sia attività spirituale o almeno affinead essa, fu con qualche titubanza o contraddizione affer-mato già dallo stesso Leibniz; ma la deduzione esplicitache ogni sostanza in quanto attiva non possa essere chespiritualità, cioè attività consapevole, è, nel mondo mo-derno (si sa che si potrebbe risalire molto più indietronei secoli: ma limitiamoci a considerare la riaffermazio-

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ne dell'attività spirituale dopo i ripetuti tentativi fatti pervedere un'intima sostanziale forza attiva delle stesse en-tità naturali come tali), è, dunque, di Berkeley, che daquesta esplicita e chiara e ripetuta affermazione trassel'aperta negazione della sostanzialità della materia. Cer-to Berkeley limitò molto questa sua grande scoperta, to-gliendo agli spiriti finiti la spontaneità attiva del “perci-pere” e rinnegando così implicitamente la loro spiritua-lità. Ma questa grande incoerenza berkeleyana da Hegelnon è stata superata; giacchè egli, proprio come Berke-ley, ha attribuito il conoscere attivo solo ad uno Spiritoassoluto ed unico e ad evitare che da tale attività riman-gano fuori i berkeleyani spiriti finiti, che non sarebberopiù spirito, non ha fatto che elevare a Spirito assoluto lastessa contraddizione che costituisce l'incoerenza e ladifficoltà del pensiero berkeleyano. Comunque: l'attivi-smo dello spirito, e soltanto dello spirito, è già di Berke-ley. Hegel da una parte non ha liberato Berkeley dallasua incoerenza; dall'altra ha, almeno implicitamente, of-fuscata la scoperta berkeleyana, giacchè lo Spirito attivohegeliano presuppone l'Idea, che non si sa se sia lo stes-so Spirito attivo, o in qual senso e con qual valore ne siaun presupposto.

Così se quel panlogismo, pel quale da alcuni si esaltae da altri si condanna Hegel, è visto nella sua intima es-senza di riduzione di ogni realtà ad attivo pensiero co-noscitivo, mal se ne attribuisce il merito ad Hegel. Senon si vuol risalire al cogito cartesiano, si pensi al giudi-zio sintetico sia apriori che aposteriori kantiano. Certo il

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ne dell'attività spirituale dopo i ripetuti tentativi fatti pervedere un'intima sostanziale forza attiva delle stesse en-tità naturali come tali), è, dunque, di Berkeley, che daquesta esplicita e chiara e ripetuta affermazione trassel'aperta negazione della sostanzialità della materia. Cer-to Berkeley limitò molto questa sua grande scoperta, to-gliendo agli spiriti finiti la spontaneità attiva del “perci-pere” e rinnegando così implicitamente la loro spiritua-lità. Ma questa grande incoerenza berkeleyana da Hegelnon è stata superata; giacchè egli, proprio come Berke-ley, ha attribuito il conoscere attivo solo ad uno Spiritoassoluto ed unico e ad evitare che da tale attività riman-gano fuori i berkeleyani spiriti finiti, che non sarebberopiù spirito, non ha fatto che elevare a Spirito assoluto lastessa contraddizione che costituisce l'incoerenza e ladifficoltà del pensiero berkeleyano. Comunque: l'attivi-smo dello spirito, e soltanto dello spirito, è già di Berke-ley. Hegel da una parte non ha liberato Berkeley dallasua incoerenza; dall'altra ha, almeno implicitamente, of-fuscata la scoperta berkeleyana, giacchè lo Spirito attivohegeliano presuppone l'Idea, che non si sa se sia lo stes-so Spirito attivo, o in qual senso e con qual valore ne siaun presupposto.

Così se quel panlogismo, pel quale da alcuni si esaltae da altri si condanna Hegel, è visto nella sua intima es-senza di riduzione di ogni realtà ad attivo pensiero co-noscitivo, mal se ne attribuisce il merito ad Hegel. Senon si vuol risalire al cogito cartesiano, si pensi al giudi-zio sintetico sia apriori che aposteriori kantiano. Certo il

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mondo esterno cartesiano e la cosa in sè kantiana pon-gono limiti a questa riduzione; certo questa si fa più am-pia e più profonda in Hegel. Ma da una parte si pensiche il mondo esterno materiale cartesiano è estensione,e l'estensione per Cartesio è idea chiara e distinta; che lacosa in sè kantiana è noumeno, cioè idea cui la ragione ènecessitata; si pensi cioè che questi limiti si annullanonelle stesse dottrine, dalle quali sono posti. Si rifletta,dall'altra, che la natura hegeliana, nel suo estraniarsidall'Idea, è non meno esterna all'Idea che la natura carte-siana e la cosa in sè kantiana; non meno esterna, anchese vediamo che l'esteriorità non può essere altro che ne-gazione dell'Idea. Comunque, restano Cartesio e Kantgli immortali affermatori della natura come natura cono-sciuta; e questa è l'essenza del panlogismo. Non so sesia un merito speculativo la riduzione fichto-hegelianadella natura come tale a negatività: certo non è meritoloro quella, che è conquista speculativa, della apparte-nenza della realtà come tale all'attivo pensiero che la co-nosce.

7. Storicismo

Ma quello che più comunemente si afferma vanto, evanto esclusivo di Hegel, è lo storicismo. E certo, control'opinione di Kant e di Fichte che condannano, in nomedel carattere scientifico e sistematico della filosofia,

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mondo esterno cartesiano e la cosa in sè kantiana pon-gono limiti a questa riduzione; certo questa si fa più am-pia e più profonda in Hegel. Ma da una parte si pensiche il mondo esterno materiale cartesiano è estensione,e l'estensione per Cartesio è idea chiara e distinta; che lacosa in sè kantiana è noumeno, cioè idea cui la ragione ènecessitata; si pensi cioè che questi limiti si annullanonelle stesse dottrine, dalle quali sono posti. Si rifletta,dall'altra, che la natura hegeliana, nel suo estraniarsidall'Idea, è non meno esterna all'Idea che la natura carte-siana e la cosa in sè kantiana; non meno esterna, anchese vediamo che l'esteriorità non può essere altro che ne-gazione dell'Idea. Comunque, restano Cartesio e Kantgli immortali affermatori della natura come natura cono-sciuta; e questa è l'essenza del panlogismo. Non so sesia un merito speculativo la riduzione fichto-hegelianadella natura come tale a negatività: certo non è meritoloro quella, che è conquista speculativa, della apparte-nenza della realtà come tale all'attivo pensiero che la co-nosce.

7. Storicismo

Ma quello che più comunemente si afferma vanto, evanto esclusivo di Hegel, è lo storicismo. E certo, control'opinione di Kant e di Fichte che condannano, in nomedel carattere scientifico e sistematico della filosofia,

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ogni affermazione di storicismo pragmatico, Hegel af-ferma esplicitamente lo svilupparsi dello spirito attra-verso le successive e progressive posizioni storiche delpensiero filosofico, che è la coscienza stessa di quellosviluppo nella sua storica determinatezza (filosofiacome pensiero del proprio tempo). Ma da una parte lostoricismo di Hegel presuppone a suo fondamento, nellacoscienza, un carattere (l'antiteticità) dal quale esso èdedotto, dall'altra, a non considerare il nostro Machia-velli, che, prima della fissazione illuministica del mon-do umano, di tanta luce rischiarava la storicità dell'uma-no vivere sociale nella costrizione dei singoli alla fonda-zione dei principati, che rendono possibile e saldanonella legale convivenza sociale la vita stessa dei singoli,resta pur sempre il nostro Vico il grande scopritore dellastoria, il grande affermatore del principio che solo diquanto si è fatto, può vedersi la verità, e quindi l'instau-ratore della verità nella storia e della storia nella verità,l'identificatore di storia e verità. Certo Vico limitò que-sta identificazione al mondo umano come tale, vedendo,sì, per primo, la complessa unità spirituale di questo, malasciandogli accanto, fuori di ogni storicità, il mondonaturale in una sostanziale realistica fissità.

Ma, contro questa limitazione vichiana, Hegel non sache ereditare da Schelling il bisogno di fare anche unafilosofia della natura, e, pur passando da una trattazioneteleologica ad una concettuale (Enc., § 245-6) di questa,cercar di fissare la natura tutta con le sue leggi in una“autodeterminazione del concetto”, che è la negazione

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ogni affermazione di storicismo pragmatico, Hegel af-ferma esplicitamente lo svilupparsi dello spirito attra-verso le successive e progressive posizioni storiche delpensiero filosofico, che è la coscienza stessa di quellosviluppo nella sua storica determinatezza (filosofiacome pensiero del proprio tempo). Ma da una parte lostoricismo di Hegel presuppone a suo fondamento, nellacoscienza, un carattere (l'antiteticità) dal quale esso èdedotto, dall'altra, a non considerare il nostro Machia-velli, che, prima della fissazione illuministica del mon-do umano, di tanta luce rischiarava la storicità dell'uma-no vivere sociale nella costrizione dei singoli alla fonda-zione dei principati, che rendono possibile e saldanonella legale convivenza sociale la vita stessa dei singoli,resta pur sempre il nostro Vico il grande scopritore dellastoria, il grande affermatore del principio che solo diquanto si è fatto, può vedersi la verità, e quindi l'instau-ratore della verità nella storia e della storia nella verità,l'identificatore di storia e verità. Certo Vico limitò que-sta identificazione al mondo umano come tale, vedendo,sì, per primo, la complessa unità spirituale di questo, malasciandogli accanto, fuori di ogni storicità, il mondonaturale in una sostanziale realistica fissità.

Ma, contro questa limitazione vichiana, Hegel non sache ereditare da Schelling il bisogno di fare anche unafilosofia della natura, e, pur passando da una trattazioneteleologica ad una concettuale (Enc., § 245-6) di questa,cercar di fissare la natura tutta con le sue leggi in una“autodeterminazione del concetto”, che è la negazione

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pura e semplice di quella esperienza in cui la naturacome tale si risolve, negazione che baldanzosamente fa-ceva dimostrare a Hegel “in base alle sue leggi dialetti-che, che fra Marte e Giove non poteva esserci alcun pia-neta, sei mesi dopo la scoperta di Cerere” (P. Martinetti.“Il metodo dialettico” in Riv. fil. 1931, fasc. IV).

La natura, dunque, resta ancora nello hegelismo comenegatrice o limitatrice della storia, e, per di più, la cono-scenza di essa resta per Hegel come fantastica ricostru-zione concettuale, pur dopo che la sperimentale scienzadel nostro Galilei l'avea saldamente legata alla esperien-za. E se in Vico, a limite della storicità umana, troviamoi famosi corsi e ricorsi, non meno limitata è la storia inHegel, quando egli cerca di fissare l'eterna Idea in deter-minati momenti temporali e temporanei, e, nello sforzodi trasformare in istoria vissuta la logica trascendentale,riesce invece a chiudere il processo storico in un pre-concetto schema ideale, che, nato da ingiustificata o cer-to discutibile tecnica filosofica, porta a concludere lastoria nel pensiero di Hegel rivelatore della avvenuta ri-velazione. Se, adunque, limitazioni ci sono nello storici-smo di Vico, limitazioni ci sono anche nello storicismodi Hegel. A torto dunque si ritiene Hegel lo scopritoredella storia; a torto si darebbe al suo pensiero come fon-damento primo la storicità del reale.

E, oltre queste, altre non meno importanti vedute econcetti della coscienza contemporanea si potrebberoindicare come caratteristiche peculiari del pensiero diHegel: p. es. la critica radicale delle diverse facoltà spi-

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pura e semplice di quella esperienza in cui la naturacome tale si risolve, negazione che baldanzosamente fa-ceva dimostrare a Hegel “in base alle sue leggi dialetti-che, che fra Marte e Giove non poteva esserci alcun pia-neta, sei mesi dopo la scoperta di Cerere” (P. Martinetti.“Il metodo dialettico” in Riv. fil. 1931, fasc. IV).

La natura, dunque, resta ancora nello hegelismo comenegatrice o limitatrice della storia, e, per di più, la cono-scenza di essa resta per Hegel come fantastica ricostru-zione concettuale, pur dopo che la sperimentale scienzadel nostro Galilei l'avea saldamente legata alla esperien-za. E se in Vico, a limite della storicità umana, troviamoi famosi corsi e ricorsi, non meno limitata è la storia inHegel, quando egli cerca di fissare l'eterna Idea in deter-minati momenti temporali e temporanei, e, nello sforzodi trasformare in istoria vissuta la logica trascendentale,riesce invece a chiudere il processo storico in un pre-concetto schema ideale, che, nato da ingiustificata o cer-to discutibile tecnica filosofica, porta a concludere lastoria nel pensiero di Hegel rivelatore della avvenuta ri-velazione. Se, adunque, limitazioni ci sono nello storici-smo di Vico, limitazioni ci sono anche nello storicismodi Hegel. A torto dunque si ritiene Hegel lo scopritoredella storia; a torto si darebbe al suo pensiero come fon-damento primo la storicità del reale.

E, oltre queste, altre non meno importanti vedute econcetti della coscienza contemporanea si potrebberoindicare come caratteristiche peculiari del pensiero diHegel: p. es. la critica radicale delle diverse facoltà spi-

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rituali nell'affermazione dell'assoluta integrità nella uni-tà dello Spirito; la filosofia dello Spirito come culmine efastigio d'ogni filosofia e quindi di ogni conoscere, co-noscere assoluto; l'eticità come valore assoluto delloSpirito culminante nello Stato; ecc. Ma ognun vede checon nessuno di questi caratteri, che pur certo si scoprononel pensiero di Hegel, attingiamo la profondità intimadel suo sistema di pensiero, con nessuno di essi raggiun-giamo quella idea madre da cui tutte le altre rampollino,e che, caratterizzando la personalità speculativa di He-gel, animi tutto il suo pensiero e lo personalizzi e deter-mini anche in quel che ha di comune con altri sistemi dipensiero.

8. La metafisica hegeliana come dialettismo con-traddittorio.

L'idea madre di Hegel, si sa, è proprio l'Idea, che “sidimostra come il puro e semplice pensare identico a sestesso, che insieme si dimostra come la attività di con-trapporre sè a se stesso, per essere per sè, e in questo al-tro soltanto essere in sè (bei sich)” (Encicl., § 18).L'idea è dunque lo stesso pensare, e il pensare è contrap-posizione di sè a sè, pura contrapposizione che è anchecontraddizione.

Si è infatti ripetuto che il principio di non contraddi-zione è principio che vale soltanto per una logica astrat-

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rituali nell'affermazione dell'assoluta integrità nella uni-tà dello Spirito; la filosofia dello Spirito come culmine efastigio d'ogni filosofia e quindi di ogni conoscere, co-noscere assoluto; l'eticità come valore assoluto delloSpirito culminante nello Stato; ecc. Ma ognun vede checon nessuno di questi caratteri, che pur certo si scoprononel pensiero di Hegel, attingiamo la profondità intimadel suo sistema di pensiero, con nessuno di essi raggiun-giamo quella idea madre da cui tutte le altre rampollino,e che, caratterizzando la personalità speculativa di He-gel, animi tutto il suo pensiero e lo personalizzi e deter-mini anche in quel che ha di comune con altri sistemi dipensiero.

8. La metafisica hegeliana come dialettismo con-traddittorio.

L'idea madre di Hegel, si sa, è proprio l'Idea, che “sidimostra come il puro e semplice pensare identico a sestesso, che insieme si dimostra come la attività di con-trapporre sè a se stesso, per essere per sè, e in questo al-tro soltanto essere in sè (bei sich)” (Encicl., § 18).L'idea è dunque lo stesso pensare, e il pensare è contrap-posizione di sè a sè, pura contrapposizione che è anchecontraddizione.

Si è infatti ripetuto che il principio di non contraddi-zione è principio che vale soltanto per una logica astrat-

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ta. Per la logica concreta esso non ha valore, perchèquesta è proprio quella concreta contrapposizione che èla sola possibile identità.

Principio è dunque l'Idea, nella sua dialettica contrad-dittoria. E questo dialettismo contraddittorio non è sol-tanto uno svolgersi della umana ragione in quanto uma-na, svolgersi che corrisponda o meno ad un reale essereo processo reale dell'essere; ma è proprio questo stessoprocesso reale, oltre il quale non v'ha essere. L'essereimmediato, che la coscienza comune nel suo realismopresuppone come un di là di questo processo dialetticodell'idea, è astratto, è un termine della necessaria con-trapposizione, in cui il pensiero è, proprio con e per lasua attività pensante. L'ontologismo quindi si risolve neldialettismo: quel principio di non contraddizione comeschietta identità, che l'intelletto credeva di trarredall'essere con la sua assoluta identità, costringeva la ra-gione, nella sua antinomicità, a credere di vedere un es-sere, che risultava poi irraggiungibile (Hume e Kant).Non c'è nulla da conoscere oltre l'esplicito processo an-tinomico, in cui la ragione si dispiega: non v'ha quindineppure coscienza implicita, come non v'ha essere.

Questo dialettismo della contrapposizione dunque èprincipio e sostanza del reale, è il vero e proprio reale.

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ta. Per la logica concreta esso non ha valore, perchèquesta è proprio quella concreta contrapposizione che èla sola possibile identità.

Principio è dunque l'Idea, nella sua dialettica contrad-dittoria. E questo dialettismo contraddittorio non è sol-tanto uno svolgersi della umana ragione in quanto uma-na, svolgersi che corrisponda o meno ad un reale essereo processo reale dell'essere; ma è proprio questo stessoprocesso reale, oltre il quale non v'ha essere. L'essereimmediato, che la coscienza comune nel suo realismopresuppone come un di là di questo processo dialetticodell'idea, è astratto, è un termine della necessaria con-trapposizione, in cui il pensiero è, proprio con e per lasua attività pensante. L'ontologismo quindi si risolve neldialettismo: quel principio di non contraddizione comeschietta identità, che l'intelletto credeva di trarredall'essere con la sua assoluta identità, costringeva la ra-gione, nella sua antinomicità, a credere di vedere un es-sere, che risultava poi irraggiungibile (Hume e Kant).Non c'è nulla da conoscere oltre l'esplicito processo an-tinomico, in cui la ragione si dispiega: non v'ha quindineppure coscienza implicita, come non v'ha essere.

Questo dialettismo della contrapposizione dunque èprincipio e sostanza del reale, è il vero e proprio reale.

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9. Soggettivismo della metafisica hegeliana nella sua genesi critica.

Per intendere tal dialettismo nel suo valore bisogna ri-cercarne la genesi. E questa va trovata non in una esi-genza della coscienza comune che invece Hegel costrin-ge alla sua scoperta filosofica, ma in un processo schiet-tamente, direi tecnicamente, filosofico, nella soddisfa-zione di una esigenza propria del problema interno dellafilosofia.

Dopo Kant, parve che, senza questo dialettismo con-traddittorio, filosofia come metafisica non ci potesse es-sere. E della metafisica non si può fare a meno: un po-polo senza metafisica è un tempio senza santuario (He-gel). Nel pensiero filosofico tedesco, quindi, messo trale conseguenze distruttrici della critica e la sentita indi-spensabilità della metafisica, si venne a poco a poco ma-turando questa persuasione: Il criticismo, quando hascoperta l'antinomicità della ragione, a cominciare dalcontraddittorio concetto razionale di cosa in sè a finirealle antinomie della idea pura di cosmo, non ha, conquesta scoperta, eliminata la metafisica come scienza:l'ha, invece, fondata. L'ha fondata, perchè la scienza as-soluta non può non avere una sua propria legge, che èproprio l'assenza di ogni legge nell'assoluto spontaneocontrapporsi del pensare come razionalità. L'assolutezzaè questo pensare ragionevole. Nel quale sta lo Spiritocome libertà, e quindi come negazione della legge: asso-

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9. Soggettivismo della metafisica hegeliana nella sua genesi critica.

Per intendere tal dialettismo nel suo valore bisogna ri-cercarne la genesi. E questa va trovata non in una esi-genza della coscienza comune che invece Hegel costrin-ge alla sua scoperta filosofica, ma in un processo schiet-tamente, direi tecnicamente, filosofico, nella soddisfa-zione di una esigenza propria del problema interno dellafilosofia.

Dopo Kant, parve che, senza questo dialettismo con-traddittorio, filosofia come metafisica non ci potesse es-sere. E della metafisica non si può fare a meno: un po-polo senza metafisica è un tempio senza santuario (He-gel). Nel pensiero filosofico tedesco, quindi, messo trale conseguenze distruttrici della critica e la sentita indi-spensabilità della metafisica, si venne a poco a poco ma-turando questa persuasione: Il criticismo, quando hascoperta l'antinomicità della ragione, a cominciare dalcontraddittorio concetto razionale di cosa in sè a finirealle antinomie della idea pura di cosmo, non ha, conquesta scoperta, eliminata la metafisica come scienza:l'ha, invece, fondata. L'ha fondata, perchè la scienza as-soluta non può non avere una sua propria legge, che èproprio l'assenza di ogni legge nell'assoluto spontaneocontrapporsi del pensare come razionalità. L'assolutezzaè questo pensare ragionevole. Nel quale sta lo Spiritocome libertà, e quindi come negazione della legge: asso-

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lutezza quindi è assoluta negazione consapevole. Comesu terreno critico a questo concetto dello Spirito comeassoluta negatività si sia arrivati, è noto: momento pri-mo ed essenziale è il metodo dialettico fichtiano fondatosulla attività libera dell'io etico kantiano posto come as-soluta essenza dell'io, che si attua anche nella contraddi-zione del conoscere. Hegel assorbe il momento fichtianodi posizione in quello di opposizione e questo ponecome ragione assoluta. Con Fichte quindi il dialettismocontraddittorio della conoscenza deve tendere ad annul-lare se stesso e si concepisce quindi come schietto meto-do, che, nella piena realizzazione dell'io come io etico,si annulla; con Hegel invece questa realizzazione dell'ioè riconosciuta soltanto in quel processo. L'opposizionerazionale è la realtà stessa. Presupporre una semplice epura posizione dell'Io è chiudere la dottrina filosofica inuno schietto soggettivismo, e dover chiedere poi, comeFichte e Schelling fanno, soltanto alla genialità dell'ioindividuale del filosofo la garenzia di oggettività, garen-zia che non c'è genialità che possa mai dare.

Il sapere puro si ritrova in sè (identico a sè) solo nellasua negazione, perchè solo allora si trova sapere reale. Ilprincipio di ragione fichtiano cerca di conciliare, me-diante la divisione, la posizione con l'opposizione. LoSpirito hegeliano invece, che sostituisce il principio fi-chtiano di ragione, è il puro ritorno a se stessa di quellaIdea che è insieme il puro astrattissimo sapere e il vuotoessere, e che è l'assoluto cominciamento: ritorno, chenon può essere quella vana conciliazione da Fichte ten-

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lutezza quindi è assoluta negazione consapevole. Comesu terreno critico a questo concetto dello Spirito comeassoluta negatività si sia arrivati, è noto: momento pri-mo ed essenziale è il metodo dialettico fichtiano fondatosulla attività libera dell'io etico kantiano posto come as-soluta essenza dell'io, che si attua anche nella contraddi-zione del conoscere. Hegel assorbe il momento fichtianodi posizione in quello di opposizione e questo ponecome ragione assoluta. Con Fichte quindi il dialettismocontraddittorio della conoscenza deve tendere ad annul-lare se stesso e si concepisce quindi come schietto meto-do, che, nella piena realizzazione dell'io come io etico,si annulla; con Hegel invece questa realizzazione dell'ioè riconosciuta soltanto in quel processo. L'opposizionerazionale è la realtà stessa. Presupporre una semplice epura posizione dell'Io è chiudere la dottrina filosofica inuno schietto soggettivismo, e dover chiedere poi, comeFichte e Schelling fanno, soltanto alla genialità dell'ioindividuale del filosofo la garenzia di oggettività, garen-zia che non c'è genialità che possa mai dare.

Il sapere puro si ritrova in sè (identico a sè) solo nellasua negazione, perchè solo allora si trova sapere reale. Ilprincipio di ragione fichtiano cerca di conciliare, me-diante la divisione, la posizione con l'opposizione. LoSpirito hegeliano invece, che sostituisce il principio fi-chtiano di ragione, è il puro ritorno a se stessa di quellaIdea che è insieme il puro astrattissimo sapere e il vuotoessere, e che è l'assoluto cominciamento: ritorno, chenon può essere quella vana conciliazione da Fichte ten-

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tata mediante la divisione; ma deve essere assoluta iden-tità del soggetto con l'oggetto, e quindi, pel continuofarsi altro di quella Idea che è l'assoluto comiciamento,“assoluta negatività”: “l'essenza dello spirito è formal-mente libertà, assoluta negatività del concetto comeidentità con sè”. (Enc. § 381-2).

Hegel crede così di avere eliminato il soggettivismo.Non ha fatto invece che renderlo assoluto; giacchè ilprincipio dialettico è sempre l'opposizione fichtiana cioèl'io che negando sè pone il non io. Riconoscere comeIdea, assoluta Idea, la contrapposizione, non è che eli-minare soltanto quel primitivo, precosciente, urto dell'Iocon l'essere, urto dal quale Fichte faceva iniziare l'attivi-tà creatrice dell'Io. E quindi tal riconoscimento, se nonfosse rendere assoluto il Soggetto, identificando con l'Iofichtiano quel “puro e semplice pensare che è l'Idea” (§8), – sarebbe rendere assoluto il Nulla, cui si conguaglial'ideale Essere che è principio della scienza (Encicl. §§88), e porre tal Nulla come principio della realtà e realtàstessa, giacchè da tal Nulla non c'è via d'uscita. L'Essereche è Nulla, non diviene: è nulla: non è.

L'hegeliana negatività dello Spirito, adunque, se nonvuol essere nullismo assoluto, deve postulare il soggetti-vismo fíchtiano: finchè si ritiene l'oggetto negazione delsoggetto, non c'è scampo.

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tata mediante la divisione; ma deve essere assoluta iden-tità del soggetto con l'oggetto, e quindi, pel continuofarsi altro di quella Idea che è l'assoluto comiciamento,“assoluta negatività”: “l'essenza dello spirito è formal-mente libertà, assoluta negatività del concetto comeidentità con sè”. (Enc. § 381-2).

Hegel crede così di avere eliminato il soggettivismo.Non ha fatto invece che renderlo assoluto; giacchè ilprincipio dialettico è sempre l'opposizione fichtiana cioèl'io che negando sè pone il non io. Riconoscere comeIdea, assoluta Idea, la contrapposizione, non è che eli-minare soltanto quel primitivo, precosciente, urto dell'Iocon l'essere, urto dal quale Fichte faceva iniziare l'attivi-tà creatrice dell'Io. E quindi tal riconoscimento, se nonfosse rendere assoluto il Soggetto, identificando con l'Iofichtiano quel “puro e semplice pensare che è l'Idea” (§8), – sarebbe rendere assoluto il Nulla, cui si conguaglial'ideale Essere che è principio della scienza (Encicl. §§88), e porre tal Nulla come principio della realtà e realtàstessa, giacchè da tal Nulla non c'è via d'uscita. L'Essereche è Nulla, non diviene: è nulla: non è.

L'hegeliana negatività dello Spirito, adunque, se nonvuol essere nullismo assoluto, deve postulare il soggetti-vismo fíchtiano: finchè si ritiene l'oggetto negazione delsoggetto, non c'è scampo.

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10. Lo Spirito come realtà concreta in quanto ne-gatività contraddittoria; le due proposizioni fondamentali dell'hegelismo.

Con questa elevazione del soggetto come Spirito as-soluto ad assoluta negatività, si ritrova anche nella co-noscenza l'assolutezza, che non si ha più bisogno di do-ver raggiungere, come con Kant e Fichte, soltanto nellaeticità, la quale quindi è trovata nel campo stesso dellaconoscenza: se la conoscenza è attività, non può non es-sere eticità.

È riconquistata quindi la metafisica, ed è riconquista-ta senza negare la scoperta critica, anzi valorizzandolain modo assoluto. La Critica sembra antimetafisica pro-prio per la sua dialettica, in quanto questa, per il suoideale, le sue antinomie, i suoi paralogismi, vien ricono-sciuta come contradditoria e perciò logica soltanto appa-rente. Ebbene non solo la vera conoscenza, ma la realtàstessa è proprio questa dialettica kantiana, che proprioper il suo contraddirsi è vera. Falsa è la vuota vecchialogica, che non si contraddice; vera questa, che Kant,senza volerlo, ha scoperta. La metafisica è riguadagnata,in quanto è riconosciuta come logica dialettica.

Ma con questo, si può opporre, abbiamo salvata lametafisica, ma non per questo scoperta la realtà. Ebbeneno, risponderà Hegel. Se è vero che la ragione è spiri-tualità, e la spiritualità è attività libera, lo Spirito nonpuò trarre da altro questa sua negazione che egli afferma

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10. Lo Spirito come realtà concreta in quanto ne-gatività contraddittoria; le due proposizioni fondamentali dell'hegelismo.

Con questa elevazione del soggetto come Spirito as-soluto ad assoluta negatività, si ritrova anche nella co-noscenza l'assolutezza, che non si ha più bisogno di do-ver raggiungere, come con Kant e Fichte, soltanto nellaeticità, la quale quindi è trovata nel campo stesso dellaconoscenza: se la conoscenza è attività, non può non es-sere eticità.

È riconquistata quindi la metafisica, ed è riconquista-ta senza negare la scoperta critica, anzi valorizzandolain modo assoluto. La Critica sembra antimetafisica pro-prio per la sua dialettica, in quanto questa, per il suoideale, le sue antinomie, i suoi paralogismi, vien ricono-sciuta come contradditoria e perciò logica soltanto appa-rente. Ebbene non solo la vera conoscenza, ma la realtàstessa è proprio questa dialettica kantiana, che proprioper il suo contraddirsi è vera. Falsa è la vuota vecchialogica, che non si contraddice; vera questa, che Kant,senza volerlo, ha scoperta. La metafisica è riguadagnata,in quanto è riconosciuta come logica dialettica.

Ma con questo, si può opporre, abbiamo salvata lametafisica, ma non per questo scoperta la realtà. Ebbeneno, risponderà Hegel. Se è vero che la ragione è spiri-tualità, e la spiritualità è attività libera, lo Spirito nonpuò trarre da altro questa sua negazione che egli afferma

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come reale oggettività: se da altro la traesse, non sareb-be più libero, non sarebbe più spirito. E se altro ci fosse,da altro dovrebbe trarla. Dunque non c'è altro che nonsia questa negazione di sè, che lo Spirito riconosce per-ciò come altro da sè. Così nello stesso momento in cuila spiritualità si pone come viva contrapposizione, que-sta si riconosce come la stessa realtà. Ed è eliminataquindi la cosa in sè di là dalla conoscenza; cosa in sè,che, da una parte, con la sua presenza al di là della co-noscenza anche razionale, determinava la contraddizio-ne in cui era la ragione, e quindi i paralogismi e le anti-nomie di questa, e dall'altra, proprio per questo suo es-sere al di là di questo attivo processo razionale, richie-deva che la contraddizione non ci fosse. Elevata la ra-gione a quella contraddittorietà, in cui, di fronte all'esse-re in sè, essa si chiude, è tolta (cioè è giustificata nellastessa spiritualità) la presenza di esso al di là dello Spiri-to. L'al di là è nello Spirito, per la semplice ragione chequesto è quella stessa contraddizione in cui ci troviamoaffermando quell'al di là. Il concetto kantiano della cosain sè come inconoscibile è giustificato, perchè la con-traddittorietà in cui esso pone la ragione, è propriol'essenza intima della ragione come spiritualità. Perchèci sia una metafisica, la contraddizione non è da elimi-nare, ma invece proprio da conservare, da porre in atto.Eliminarla sarebbe eliminare l'attività stessa della ragio-ne, che è proprio questo suo contraddirsi: e della elimi-nazione della ragione come tale attività non solo non c'è

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come reale oggettività: se da altro la traesse, non sareb-be più libero, non sarebbe più spirito. E se altro ci fosse,da altro dovrebbe trarla. Dunque non c'è altro che nonsia questa negazione di sè, che lo Spirito riconosce per-ciò come altro da sè. Così nello stesso momento in cuila spiritualità si pone come viva contrapposizione, que-sta si riconosce come la stessa realtà. Ed è eliminataquindi la cosa in sè di là dalla conoscenza; cosa in sè,che, da una parte, con la sua presenza al di là della co-noscenza anche razionale, determinava la contraddizio-ne in cui era la ragione, e quindi i paralogismi e le anti-nomie di questa, e dall'altra, proprio per questo suo es-sere al di là di questo attivo processo razionale, richie-deva che la contraddizione non ci fosse. Elevata la ra-gione a quella contraddittorietà, in cui, di fronte all'esse-re in sè, essa si chiude, è tolta (cioè è giustificata nellastessa spiritualità) la presenza di esso al di là dello Spiri-to. L'al di là è nello Spirito, per la semplice ragione chequesto è quella stessa contraddizione in cui ci troviamoaffermando quell'al di là. Il concetto kantiano della cosain sè come inconoscibile è giustificato, perchè la con-traddittorietà in cui esso pone la ragione, è propriol'essenza intima della ragione come spiritualità. Perchèci sia una metafisica, la contraddizione non è da elimi-nare, ma invece proprio da conservare, da porre in atto.Eliminarla sarebbe eliminare l'attività stessa della ragio-ne, che è proprio questo suo contraddirsi: e della elimi-nazione della ragione come tale attività non solo non c'è

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motivo, ma c'è proprio la necessità imprescindibile dellanon eliminazione.

Quindi le due proposizioni fondamentali in cui l'hege-lismo si chiude: 1) Il contraddittorio è il razionale; 2) ilrazionale è il reale. La hegeliana razionalità del reale hadunque come suo presupposto imprescindibile la con-traddittorietà del razionale. La seconda proposizionenell'hegelismo è posta e giustificata soltanto dalla prima.La realtà del razionale è fondata sulla contraddittorietàdella ragione. Dimenticate questa e vedrete ricomparirela cosa in sè inconoscibile; vedrete ricomparire la criticasenza la possibilità di una metafisica; vedrete ricompari-re il realismo a scalzare l'idealismo assoluto hegeliano.Perciò a me pare che ritenere “la dialettica della nega-zione... una soprastruttura rispetto alla più profonda dia-lettica dell'alterità” (Calogero in Verhandlungen des IIHegelcongresses, Tübingen 1932; pag. 74) sia opinionetanto arbitraria quanto d'ostacolo al profondo intendi-mento di Hegel.

In quelle due proposizioni dunque strettamente con-nesse tra loro noi ritroviamo la caratteristica distintivadel pensiero hegeliano. Il quale in tanto è idealismo, inquanto è dialettismo contraddittorio, cioè in tanto, ripe-tiamo, riconosce la realtà come idea, in quanto ritrovacontraddittoria l'Idea come costitutiva del pensare razio-nale.

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motivo, ma c'è proprio la necessità imprescindibile dellanon eliminazione.

Quindi le due proposizioni fondamentali in cui l'hege-lismo si chiude: 1) Il contraddittorio è il razionale; 2) ilrazionale è il reale. La hegeliana razionalità del reale hadunque come suo presupposto imprescindibile la con-traddittorietà del razionale. La seconda proposizionenell'hegelismo è posta e giustificata soltanto dalla prima.La realtà del razionale è fondata sulla contraddittorietàdella ragione. Dimenticate questa e vedrete ricomparirela cosa in sè inconoscibile; vedrete ricomparire la criticasenza la possibilità di una metafisica; vedrete ricompari-re il realismo a scalzare l'idealismo assoluto hegeliano.Perciò a me pare che ritenere “la dialettica della nega-zione... una soprastruttura rispetto alla più profonda dia-lettica dell'alterità” (Calogero in Verhandlungen des IIHegelcongresses, Tübingen 1932; pag. 74) sia opinionetanto arbitraria quanto d'ostacolo al profondo intendi-mento di Hegel.

In quelle due proposizioni dunque strettamente con-nesse tra loro noi ritroviamo la caratteristica distintivadel pensiero hegeliano. Il quale in tanto è idealismo, inquanto è dialettismo contraddittorio, cioè in tanto, ripe-tiamo, riconosce la realtà come idea, in quanto ritrovacontraddittoria l'Idea come costitutiva del pensare razio-nale.

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11. La contraddizione in Hume, Kant, Hegel.

Innestate, su questo carattere fondamentale dell'orga-nismo speculativo hegeliano, tutte le altre caratteristichecui sopra abbiamo accennato, e tutte prenderanno la lorospecifica fisonomia hegeliana: in ciascuna di esse ritro-verete non più un generico carattere che accomuni He-gel ad altri pensatori, ma una nota propria di Hegel, ri-conoscerete da ciascuna di esse la persona speculativa diHegel, perchè la vedrete animata da quella sua incon-fondibile personalità speculativa, che egli si formò svi-luppando in metafisico il pensiero critico, attraverso leesigenze fissate dalla interpretazione del criticismocome idealismo trascendentale.

E questa genesi critica della dialettica contraddittoriacome idea madre dell'idealismo hegeliano, questa genesidalla esigenza critica posta da Kant, fa sì che non si pos-sa confondere la negazione hegeliana del principio dinon contraddizione con quella che già Aristotele trion-falmente confutava in Eraclito. Questa genesi critica èessenziale al pensiero hegeliano; sono certo deviatrici,se esclusive o fatte in linea principale, le affermazioniche oggi si vengon facendo della genesi mistica del si-stema hegeliano. Non v'ha pensatore più tecnicamentefilosofante; non v'ha pensatore che più di Hegel abbiamirato alla soddisfazione della esigenza del filosofare,quale, nel suo tempo, dai suoi grandi predecessori e spe-cialmente da Kant e da Fichte, gli veniva presentata.L'elevazione a concretezza di questa esigenza nella sua

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11. La contraddizione in Hume, Kant, Hegel.

Innestate, su questo carattere fondamentale dell'orga-nismo speculativo hegeliano, tutte le altre caratteristichecui sopra abbiamo accennato, e tutte prenderanno la lorospecifica fisonomia hegeliana: in ciascuna di esse ritro-verete non più un generico carattere che accomuni He-gel ad altri pensatori, ma una nota propria di Hegel, ri-conoscerete da ciascuna di esse la persona speculativa diHegel, perchè la vedrete animata da quella sua incon-fondibile personalità speculativa, che egli si formò svi-luppando in metafisico il pensiero critico, attraverso leesigenze fissate dalla interpretazione del criticismocome idealismo trascendentale.

E questa genesi critica della dialettica contraddittoriacome idea madre dell'idealismo hegeliano, questa genesidalla esigenza critica posta da Kant, fa sì che non si pos-sa confondere la negazione hegeliana del principio dinon contraddizione con quella che già Aristotele trion-falmente confutava in Eraclito. Questa genesi critica èessenziale al pensiero hegeliano; sono certo deviatrici,se esclusive o fatte in linea principale, le affermazioniche oggi si vengon facendo della genesi mistica del si-stema hegeliano. Non v'ha pensatore più tecnicamentefilosofante; non v'ha pensatore che più di Hegel abbiamirato alla soddisfazione della esigenza del filosofare,quale, nel suo tempo, dai suoi grandi predecessori e spe-cialmente da Kant e da Fichte, gli veniva presentata.L'elevazione a concretezza di questa esigenza nella sua

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tecnicità sistematica è il segreto della genesi e della es-senza dell'hegelismo.

Il problema che Hegel risolve nella storia della specu-lazione è quello che Kant esplicitamente aprì col porrein evidenza, in modo tutt'altro che scettico, anzi col met-tere in valore l'antinomicità della ragione nella sua og-gettività fondamentale ed indiscutibile.

Hume aveva riscontrata la contraddizione tra l'ogget-tività analitica della ragione e la soggettività sinteticadel senso coi suoi fatti irriducibili all'apriorità causaledella ragione: in nome di questa contraddizione tra ra-gione e senso, scienza ed esperienza, Hume concludevaper lo scetticismo. Non riusciva per suo conto ad inten-dere ed eliminare tale contraddizione, nè s'accorgevache la conclusione scettica è fondata sul dogmaticamen-te ammesso valore del principio di non contraddizione,riconosciuto, con tutto il pensiero dogmatico preceden-te, alla ragione nella sua apriorità. Non s'accorgeva cosìche egli non diceva altro che questo: la ragione, che haper sua legge l'identità non contraddittoria, non consenteche le si contraddica, cioè non consente altro regno cheil suo: riscontrandone un altro, proclama lo scetticismo.

Kant, senza negare l'identità non contraddittoria comeprincipio logico e quindi come legge suprema della ra-gione, aveva poi scoperta entro la ragione stessa quellacontraddizione che Hume credeva riscontrare tra la ra-gione e il senso. Elevata a grado metafisico, per Kant, laragione è contraddittoria: e non è un demerito questodella ragione e di tutta la coscienza umana; è invece me-

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tecnicità sistematica è il segreto della genesi e della es-senza dell'hegelismo.

Il problema che Hegel risolve nella storia della specu-lazione è quello che Kant esplicitamente aprì col porrein evidenza, in modo tutt'altro che scettico, anzi col met-tere in valore l'antinomicità della ragione nella sua og-gettività fondamentale ed indiscutibile.

Hume aveva riscontrata la contraddizione tra l'ogget-tività analitica della ragione e la soggettività sinteticadel senso coi suoi fatti irriducibili all'apriorità causaledella ragione: in nome di questa contraddizione tra ra-gione e senso, scienza ed esperienza, Hume concludevaper lo scetticismo. Non riusciva per suo conto ad inten-dere ed eliminare tale contraddizione, nè s'accorgevache la conclusione scettica è fondata sul dogmaticamen-te ammesso valore del principio di non contraddizione,riconosciuto, con tutto il pensiero dogmatico preceden-te, alla ragione nella sua apriorità. Non s'accorgeva cosìche egli non diceva altro che questo: la ragione, che haper sua legge l'identità non contraddittoria, non consenteche le si contraddica, cioè non consente altro regno cheil suo: riscontrandone un altro, proclama lo scetticismo.

Kant, senza negare l'identità non contraddittoria comeprincipio logico e quindi come legge suprema della ra-gione, aveva poi scoperta entro la ragione stessa quellacontraddizione che Hume credeva riscontrare tra la ra-gione e il senso. Elevata a grado metafisico, per Kant, laragione è contraddittoria: e non è un demerito questodella ragione e di tutta la coscienza umana; è invece me-

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rito e valore sommo, perchè solo questo suo contraddirsici fa distinguere, o almeno non ci fa confondere, il labilee superficiale regno del fenomeno, in cui l'ente ragione-vole, in quanto fornito e vestito di senso, si muove, colregno dell'essere in sè, che la ragione umana, contraddi-cendosi, ci addita. Questo il valore sommo della ragionepura, teoretica o pratica che sia; l'indicazione di questovalore il significato della dialettica trascendentale, laquale, in quanto logica che dia valore di realtà all'esserein sè visto dalla ragione mercè tale sua intrinseca con-traddizione metafisica, è, per Kant, logica dell'apparen-za e non vera e verace logica: la sua veracità sta soltantoin quella indicazione, che balza viva come concreto si-gnificato di quel tormento, in cui la ragione, con la suasublimazione metafisica, pone il conoscere umano.

Da questa posizione togliete, puramente e semplice-mente, il kantiano essere in sè inconoscibile, toglietecioè l'oggetto, ed avrete Hegel; toglietelo, cioè riducete-lo a quella negazione che Maimon e Fichte avevano di-mostrata come cosa in sè, ed avrete il razionalismo con-traddittorio, senza incomodare nessuna mistica, e procu-rando invece schietta la soluzione speculativa di un pro-blema, con i suoi meriti e il suo difetto: il problema del-la metafisica come scienza assoluta dell'essere in sè; lasoluzione di esso ritrovata nella antinomicità del concet-to dell'essere in sè come assoluta Idea.

“È da ritenersi, dice esplicitamente Hegel (Logica,trad. it, Bari 1925, vol. III pag. 343-4) a proposito diKant, per un passo infinitamente importante che la dia-

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rito e valore sommo, perchè solo questo suo contraddirsici fa distinguere, o almeno non ci fa confondere, il labilee superficiale regno del fenomeno, in cui l'ente ragione-vole, in quanto fornito e vestito di senso, si muove, colregno dell'essere in sè, che la ragione umana, contraddi-cendosi, ci addita. Questo il valore sommo della ragionepura, teoretica o pratica che sia; l'indicazione di questovalore il significato della dialettica trascendentale, laquale, in quanto logica che dia valore di realtà all'esserein sè visto dalla ragione mercè tale sua intrinseca con-traddizione metafisica, è, per Kant, logica dell'apparen-za e non vera e verace logica: la sua veracità sta soltantoin quella indicazione, che balza viva come concreto si-gnificato di quel tormento, in cui la ragione, con la suasublimazione metafisica, pone il conoscere umano.

Da questa posizione togliete, puramente e semplice-mente, il kantiano essere in sè inconoscibile, toglietecioè l'oggetto, ed avrete Hegel; toglietelo, cioè riducete-lo a quella negazione che Maimon e Fichte avevano di-mostrata come cosa in sè, ed avrete il razionalismo con-traddittorio, senza incomodare nessuna mistica, e procu-rando invece schietta la soluzione speculativa di un pro-blema, con i suoi meriti e il suo difetto: il problema del-la metafisica come scienza assoluta dell'essere in sè; lasoluzione di esso ritrovata nella antinomicità del concet-to dell'essere in sè come assoluta Idea.

“È da ritenersi, dice esplicitamente Hegel (Logica,trad. it, Bari 1925, vol. III pag. 343-4) a proposito diKant, per un passo infinitamente importante che la dia-

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lettica sia stata di nuovo riconosciuta come necessariaalla ragione, benchè da ciò s'abbia a ricavare il risultatoopposto a quello che ne venne fuori”.

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lettica sia stata di nuovo riconosciuta come necessariaalla ragione, benchè da ciò s'abbia a ricavare il risultatoopposto a quello che ne venne fuori”.

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CAPITOLO II.L'ESSENZA DELL'IDEALISMO

12. L'opposizione idea-realtà, fondamento del dia-lettismo contraddittorio, non è l'idealismo.

L'assoluta Idea, dunque, per Hegel, non può essereche assoluta negatività, perchè sia realtà, perchè sia;deve negare sè come idea: negare, essa, sè; e non essere,lei, posta (realismo di ogni genere) da qualcosa altro chesia la realtà, che sia. Siffatta posizione dell'idea, giusta-mente pensa Hegel, finirebbe con l'escludere la verità daquel fittizio imaginario duplicato che diverrebbe l'idea(scetticismo di ogni grado).

Questo capovolgimento del rapporto di posizionerealtà-idea nel rapporto di opposizione idea-realtà, colconseguente potere dato all'idea di negarsi nella realtàper soddisfare così le giuste esigenze del realismo, co-

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CAPITOLO II.L'ESSENZA DELL'IDEALISMO

12. L'opposizione idea-realtà, fondamento del dia-lettismo contraddittorio, non è l'idealismo.

L'assoluta Idea, dunque, per Hegel, non può essereche assoluta negatività, perchè sia realtà, perchè sia;deve negare sè come idea: negare, essa, sè; e non essere,lei, posta (realismo di ogni genere) da qualcosa altro chesia la realtà, che sia. Siffatta posizione dell'idea, giusta-mente pensa Hegel, finirebbe con l'escludere la verità daquel fittizio imaginario duplicato che diverrebbe l'idea(scetticismo di ogni grado).

Questo capovolgimento del rapporto di posizionerealtà-idea nel rapporto di opposizione idea-realtà, colconseguente potere dato all'idea di negarsi nella realtàper soddisfare così le giuste esigenze del realismo, co-

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stituisce l'essenza prima dell'idealismo per Hegel e perl'hegelismo. Idealismo varrebbe quindi dialettismo, ilquale a sua volta vale concreta opposizione, viva nega-zione. Cioè l'unico possibile idealismo è quello della ne-gazione dialettica, il quale, in questa, avrebbe scopertala radice e quindi l'essenza ultima e fondamentaledell'idealismo.

Alla confusione, che così si fa, del principio di questaspeciale forma di idealismo, con l'essenza stessa unica eineliminabile di quell'idealismo che è l'esigenza di ognipensare, danno il loro interessato e non autorevole con-senso i realisti, i non idealisti di ogni genere, per potersiilludere di aver confutato l'idealismo quando ne abbianoconfutata la forma datagli dalla antiteticità hegeliana.

Non riescono alla confutazione, convalidano la con-fusione e così in definitiva contribuiscono al trionfo diquella forma di idealismo che vorrebbero confutare.

E così nè dai realisti nè dagli idealisti hegeliani si so-spetta che il principio hegeliano del dialettismo antiteti-co vada messo in discussione non per risalire a un reali-smo precritico, ma proprio per salvare quell'idealismoche è l' unica e l'universale esigenza di ogni pensare equindi anche di ogni filosofare, cioè di ogni accorgersidi quel che il sapere qualche cosa richiede (cfr. cap. XI).E noi invece abbiamo altrove già data la dimostrazione,che qui conseguirà in nuova forma, che proprio queldialettismo antitetico, che si vorrebbe porre come carat-tere essenziale dell'idealismo, rinnega l'esigenza ideali-

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stituisce l'essenza prima dell'idealismo per Hegel e perl'hegelismo. Idealismo varrebbe quindi dialettismo, ilquale a sua volta vale concreta opposizione, viva nega-zione. Cioè l'unico possibile idealismo è quello della ne-gazione dialettica, il quale, in questa, avrebbe scopertala radice e quindi l'essenza ultima e fondamentaledell'idealismo.

Alla confusione, che così si fa, del principio di questaspeciale forma di idealismo, con l'essenza stessa unica eineliminabile di quell'idealismo che è l'esigenza di ognipensare, danno il loro interessato e non autorevole con-senso i realisti, i non idealisti di ogni genere, per potersiilludere di aver confutato l'idealismo quando ne abbianoconfutata la forma datagli dalla antiteticità hegeliana.

Non riescono alla confutazione, convalidano la con-fusione e così in definitiva contribuiscono al trionfo diquella forma di idealismo che vorrebbero confutare.

E così nè dai realisti nè dagli idealisti hegeliani si so-spetta che il principio hegeliano del dialettismo antiteti-co vada messo in discussione non per risalire a un reali-smo precritico, ma proprio per salvare quell'idealismoche è l' unica e l'universale esigenza di ogni pensare equindi anche di ogni filosofare, cioè di ogni accorgersidi quel che il sapere qualche cosa richiede (cfr. cap. XI).E noi invece abbiamo altrove già data la dimostrazione,che qui conseguirà in nuova forma, che proprio queldialettismo antitetico, che si vorrebbe porre come carat-tere essenziale dell'idealismo, rinnega l'esigenza ideali-

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stica, in quanto è una deduzione del presupposto reali-stico.

Esclusa, dunque, l'identificazione di idealismo condialettismo contraddittorio, dobbiamo prima, per ricer-care poi qual sia l'idealismo italiano, intenderci sul con-cetto stesso di idealismo, fissare qual è l'esigenza fonda-mentale di coscienza che diciamo idealismo, e che per-ciò devesi ritrovare, anche se non palese, in ogni formastorica dell'idealismo e in ogni pensare, in quanto vera-mente sia tale.

Si sa che in filosofia gli “ismi”, (indicazioni tipichegeneriche di dottrine) sono pericolosi: ci fan correre ilrischio di cadere in astrazioni, che non vivono in nessu-na determinata dottrina storica. Pur degli “ismi” non sipuò fare a meno, se si vuol cogliere l'essenza intima dideterminate esigenze di coscienza.

L'essenziale è da una parte aver presente sempre quelpericolo e quindi eliminare l'astrattismo dogmatico,sempre che, sia a conforto che a confutazione del nostropersonale pensiero, ci nasca il dubbio che in esso si siacaduti o si stia per cadere, dall'altra e conseguentementedarsi e richiamarsi sempre alla mente, di ogni ismo chesi adoperi, un concetto tale che realmente, con la pro-fondità e vastità sua, soddisfi a tutte quelle esigenze cheesso reca implicite, e alla cui soddisfazione si è da tuttele dottrine, che han voluto avere o han avuto come pro-prio quell'“ismo” cercato di soddisfare: ho detto “cerca-to di soddisfare”, giacchè la storica soddisfazione data èsempre manchevole in filosofia, per la natura stessa del

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stica, in quanto è una deduzione del presupposto reali-stico.

Esclusa, dunque, l'identificazione di idealismo condialettismo contraddittorio, dobbiamo prima, per ricer-care poi qual sia l'idealismo italiano, intenderci sul con-cetto stesso di idealismo, fissare qual è l'esigenza fonda-mentale di coscienza che diciamo idealismo, e che per-ciò devesi ritrovare, anche se non palese, in ogni formastorica dell'idealismo e in ogni pensare, in quanto vera-mente sia tale.

Si sa che in filosofia gli “ismi”, (indicazioni tipichegeneriche di dottrine) sono pericolosi: ci fan correre ilrischio di cadere in astrazioni, che non vivono in nessu-na determinata dottrina storica. Pur degli “ismi” non sipuò fare a meno, se si vuol cogliere l'essenza intima dideterminate esigenze di coscienza.

L'essenziale è da una parte aver presente sempre quelpericolo e quindi eliminare l'astrattismo dogmatico,sempre che, sia a conforto che a confutazione del nostropersonale pensiero, ci nasca il dubbio che in esso si siacaduti o si stia per cadere, dall'altra e conseguentementedarsi e richiamarsi sempre alla mente, di ogni ismo chesi adoperi, un concetto tale che realmente, con la pro-fondità e vastità sua, soddisfi a tutte quelle esigenze cheesso reca implicite, e alla cui soddisfazione si è da tuttele dottrine, che han voluto avere o han avuto come pro-prio quell'“ismo” cercato di soddisfare: ho detto “cerca-to di soddisfare”, giacchè la storica soddisfazione data èsempre manchevole in filosofia, per la natura stessa del

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filosofare, il quale vorrebbe esplicare radicalmentel'implicito, laddove questo non può, per ampia e profon-da che sia l'esplicazione, non può non rimanere presentecome implicito nella esplicazione stessa. Di qui la ne-cessità di quella che io dico critica dei concetti, che ècarattere essenziale della critica del concreto.

13. L'idealismo come soddisfazione della coscien-za nella sua oggettività.

Diamoci dunque questo concetto preciso ed ampiodell'idealismo, come fondamentale esigenza del pensare,della coscienza. Il dialettismo contraddittorio è certo, oalmeno certo ha voluto essere, una dottrina filosoficaidealistica; ma non è, con e per la sua peculiare caratte-ristica di dialettismo contraddittorio, proprio l'idealismonella sua universalità: ne è anzi, vedremo, una negazio-ne proprio per tale sua caratteristica.

La caratterizzazione dell'idealismo risulta semplice echiara, se si ha ben presente il significato intimo e pro-fondo dell'idea, il significato che mai essa non può per-dere qualunque sia l'uso che se ne faccia.

L'idea è l'oggetto intimo alla coscienza dei soggetti.Ed intendo per coscienza proprio la consapevolezza chei soggetti hanno dell'oggetto.

Se questa è l'idea, e questo non può non essere, èidealismo ogni dottrina che ritenga e dimostri soddi-

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filosofare, il quale vorrebbe esplicare radicalmentel'implicito, laddove questo non può, per ampia e profon-da che sia l'esplicazione, non può non rimanere presentecome implicito nella esplicazione stessa. Di qui la ne-cessità di quella che io dico critica dei concetti, che ècarattere essenziale della critica del concreto.

13. L'idealismo come soddisfazione della coscien-za nella sua oggettività.

Diamoci dunque questo concetto preciso ed ampiodell'idealismo, come fondamentale esigenza del pensare,della coscienza. Il dialettismo contraddittorio è certo, oalmeno certo ha voluto essere, una dottrina filosoficaidealistica; ma non è, con e per la sua peculiare caratte-ristica di dialettismo contraddittorio, proprio l'idealismonella sua universalità: ne è anzi, vedremo, una negazio-ne proprio per tale sua caratteristica.

La caratterizzazione dell'idealismo risulta semplice echiara, se si ha ben presente il significato intimo e pro-fondo dell'idea, il significato che mai essa non può per-dere qualunque sia l'uso che se ne faccia.

L'idea è l'oggetto intimo alla coscienza dei soggetti.Ed intendo per coscienza proprio la consapevolezza chei soggetti hanno dell'oggetto.

Se questa è l'idea, e questo non può non essere, èidealismo ogni dottrina che ritenga e dimostri soddi-

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sfatte le esigenze della coscienza nella sua stessa ogget-tività. Realismo è, invece, ogni dottrina che dell'oggetti-vità di coscienza presuppone e cerca di dimostrarel'insufficienza. Ed è quindi chiaro perchè ogni realismo,per realismo che voglia essere, qualcosa sempre postuladel rinnegato idealismo: senza cominciare col dar valoreoggettivo a ciò che si sa (realisti o idealisti che si sia), edi cui perciò si parla, non è possibile affermar nulla cheabbia un significato. Il realista può partire solo da unainsufficienza della oggettività di coscienza, non dallasua totale eliminazione: eliminerebbe così, insieme conl'oggettività, la coscienza stessa, e quindi anche lo stessorealismo che solo la coscienza formula. Assoluto reali-sta, escludente cioè l'oggettività di coscienza, è soltantol'idealista assoluto hegeliano nella idea che si nega perfarsi reale: ma questo realista assoluto si proclama inve-ce assoluto idealista, e sappiamo perchè: perchè riducequella positiva realtà del realismo solo a negazionedell'idea di cui è realtà. Tale negazione è richiesta pro-prio da una ingiustificata limitazione di quel soddisfarsidella coscienza nella propria oggettività: limitazione chesta nel concepire la realtà, come non idea, non oggettivi-tà di coscienza.

E idealismo, invece, ripetiamo, è credere alla oggetti-vità di coscienza, qualunque sia la ragione che di questocredere si adduca: sia questa ragione la sofistica o ber-keleyana relatività dell'oggetto sentito come reale, siainvece quella opposta, platonica o spinoziana, dell'asso-

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sfatte le esigenze della coscienza nella sua stessa ogget-tività. Realismo è, invece, ogni dottrina che dell'oggetti-vità di coscienza presuppone e cerca di dimostrarel'insufficienza. Ed è quindi chiaro perchè ogni realismo,per realismo che voglia essere, qualcosa sempre postuladel rinnegato idealismo: senza cominciare col dar valoreoggettivo a ciò che si sa (realisti o idealisti che si sia), edi cui perciò si parla, non è possibile affermar nulla cheabbia un significato. Il realista può partire solo da unainsufficienza della oggettività di coscienza, non dallasua totale eliminazione: eliminerebbe così, insieme conl'oggettività, la coscienza stessa, e quindi anche lo stessorealismo che solo la coscienza formula. Assoluto reali-sta, escludente cioè l'oggettività di coscienza, è soltantol'idealista assoluto hegeliano nella idea che si nega perfarsi reale: ma questo realista assoluto si proclama inve-ce assoluto idealista, e sappiamo perchè: perchè riducequella positiva realtà del realismo solo a negazionedell'idea di cui è realtà. Tale negazione è richiesta pro-prio da una ingiustificata limitazione di quel soddisfarsidella coscienza nella propria oggettività: limitazione chesta nel concepire la realtà, come non idea, non oggettivi-tà di coscienza.

E idealismo, invece, ripetiamo, è credere alla oggetti-vità di coscienza, qualunque sia la ragione che di questocredere si adduca: sia questa ragione la sofistica o ber-keleyana relatività dell'oggetto sentito come reale, siainvece quella opposta, platonica o spinoziana, dell'asso-

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luta universalità, necessità e immutabilità dell'oggettointeso.

E perciò, anche ogni soggettivismo, cioè ogni elimi-nazione, in uno o in altro modo, della oggettività nel suoschietto valore di oggettività, non può essere coerenteidealismo. E neppure quindi quel soggettivismo assolutodel Soggetto trascendentale che è stato proclamato il va-lore sommo e il risultato ultimo di tutta la filosofia mo-derna, come legittima deduzione di quella inversione delrapporto che abbiam visto costitutiva dell'idealismo an-titetico (§§ prec.). Idealismo e soggettivismo, se voglia-mo tener fede ai concetti che adoperiamo, lungidall'identificarsi nella loro piena e somma espressione,si escludono. Potrebbe parere proprio il contrario, checioè l'idealismo sia oggettivismo. Non è vero neppurquesto, perchè l'oggettività idealistica richiede i soggettidi quella oggettività di coscienza, i quali perciò nonsono gli enti reali del realismo: questi ultimi sono (aloro modo) oggetti, non soggetti di coscienza, oggetti,che, con la loro esistenziale realtà, negano che la co-scienza possa essere soddisfatta dalla propria oggettivi-tà.

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luta universalità, necessità e immutabilità dell'oggettointeso.

E perciò, anche ogni soggettivismo, cioè ogni elimi-nazione, in uno o in altro modo, della oggettività nel suoschietto valore di oggettività, non può essere coerenteidealismo. E neppure quindi quel soggettivismo assolutodel Soggetto trascendentale che è stato proclamato il va-lore sommo e il risultato ultimo di tutta la filosofia mo-derna, come legittima deduzione di quella inversione delrapporto che abbiam visto costitutiva dell'idealismo an-titetico (§§ prec.). Idealismo e soggettivismo, se voglia-mo tener fede ai concetti che adoperiamo, lungidall'identificarsi nella loro piena e somma espressione,si escludono. Potrebbe parere proprio il contrario, checioè l'idealismo sia oggettivismo. Non è vero neppurquesto, perchè l'oggettività idealistica richiede i soggettidi quella oggettività di coscienza, i quali perciò nonsono gli enti reali del realismo: questi ultimi sono (aloro modo) oggetti, non soggetti di coscienza, oggetti,che, con la loro esistenziale realtà, negano che la co-scienza possa essere soddisfatta dalla propria oggettivi-tà.

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14. Platonismo ed hegelismo di fronte alla oggetti-vità di coscienza.

Questa esigenza oggettiva dell'idealismo non era statafinora vista, perchè non si era ancora dimostrata la ridu-zione, senza residui, della cosa in sè come tale cioèdell'Essere assoluto, nell'oggetto di coscienza come talecioè nella Idea assoluta.

L'idea di Platone lascia accanto a sè la cosa sensibile,che timidamente ad essa partecipa; di fronte a sè lasciaquelle anime, che non sappiamo se per loro conto hannoo no natura ideale; ma sopratutto lascia, o almeno nonsappiamo bene se lascia, di sopra a sè Dio come menteche pensa l'idea. L'oggettività della coscienza nel plato-nismo non è dimostrata, pur essendone la sentita esigen-za.

E così l'idea di Hegel non è reale se non quando sinega come idea, cioè l'oggetto proprio della coscienza,che è l'idea, non è l'Essere assoluto. Per porsi come taleEssere, l'Idea hegeliana deve negare sè, e quindi riducesè e l'Assoluto che così raggiunge, a tale negatività. PerHegel l'attività, per essere realizzazione, deve essere ne-gazione della idealità. Il dover essere hegeliano quindirichiede l'idea, ma perchè abbia, e soltanto questo, il po-tere di negarsi come idea. Anche in Hegel l'esigenza og-gettiva che egli esplicitamente aveva messa in evidenza,e rivendicata contro Fichte, non raggiunge la sua soddi-sfazione.

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14. Platonismo ed hegelismo di fronte alla oggetti-vità di coscienza.

Questa esigenza oggettiva dell'idealismo non era statafinora vista, perchè non si era ancora dimostrata la ridu-zione, senza residui, della cosa in sè come tale cioèdell'Essere assoluto, nell'oggetto di coscienza come talecioè nella Idea assoluta.

L'idea di Platone lascia accanto a sè la cosa sensibile,che timidamente ad essa partecipa; di fronte a sè lasciaquelle anime, che non sappiamo se per loro conto hannoo no natura ideale; ma sopratutto lascia, o almeno nonsappiamo bene se lascia, di sopra a sè Dio come menteche pensa l'idea. L'oggettività della coscienza nel plato-nismo non è dimostrata, pur essendone la sentita esigen-za.

E così l'idea di Hegel non è reale se non quando sinega come idea, cioè l'oggetto proprio della coscienza,che è l'idea, non è l'Essere assoluto. Per porsi come taleEssere, l'Idea hegeliana deve negare sè, e quindi riducesè e l'Assoluto che così raggiunge, a tale negatività. PerHegel l'attività, per essere realizzazione, deve essere ne-gazione della idealità. Il dover essere hegeliano quindirichiede l'idea, ma perchè abbia, e soltanto questo, il po-tere di negarsi come idea. Anche in Hegel l'esigenza og-gettiva che egli esplicitamente aveva messa in evidenza,e rivendicata contro Fichte, non raggiunge la sua soddi-sfazione.

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Il trascendentismo platonico turba ancora la mente diHegel, che non sa trovare altra via per superarlo che ac-cettare come concretezza la contraddizione che vizia ilrealismo. Ed invece proprio su questo vizio ogni ideali-smo fa punto di leva per mostrare la propria insuperabi-lità: non riconosciutolo più come vizio, ogni nostro ar-gomentare, in genere, vien meno: non ci sarebbe più ra-gione di essere idealisti. Se, infatti, la contraddittorietà,in cui la dottrina realistica cade, non è più un assurdo,non c'è proprio nessun bisogno di abbandonare quelladottrina. E lo stesso idealismo hegeliano quindi nonavrebbe più giustificazione alcuna, non sarebbe più me-diato neppur esso.

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Il trascendentismo platonico turba ancora la mente diHegel, che non sa trovare altra via per superarlo che ac-cettare come concretezza la contraddizione che vizia ilrealismo. Ed invece proprio su questo vizio ogni ideali-smo fa punto di leva per mostrare la propria insuperabi-lità: non riconosciutolo più come vizio, ogni nostro ar-gomentare, in genere, vien meno: non ci sarebbe più ra-gione di essere idealisti. Se, infatti, la contraddittorietà,in cui la dottrina realistica cade, non è più un assurdo,non c'è proprio nessun bisogno di abbandonare quelladottrina. E lo stesso idealismo hegeliano quindi nonavrebbe più giustificazione alcuna, non sarebbe più me-diato neppur esso.

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CAP. IIIL'IDEALISMO ITALIANO

DEL RINASCIMENTO

15. Rinascimento e Risorgimento come caratteri costitutivi della italianità.

Nella personalità che il popolo italiano ha tra gli altripopoli moderni nati dal dissolversi, o molteplice indivi-duarsi, se si vuole, del romanesimo cattolico, due movi-menti culturali a me sembrano caratteristici di esso: ilpopolo italiano si presenta già in essi con una propriadecisa e travolgente individualità, con la quale si fa va-lere di fronte alle altre: il Rinascimento ed il Risorgi-mento. Il Rinascimento (compresovi l'Umanesimo eDante) fino a Bruno ed anche a Vico; il Risorgimento daMachiavelli a Mazzini.

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CAP. IIIL'IDEALISMO ITALIANO

DEL RINASCIMENTO

15. Rinascimento e Risorgimento come caratteri costitutivi della italianità.

Nella personalità che il popolo italiano ha tra gli altripopoli moderni nati dal dissolversi, o molteplice indivi-duarsi, se si vuole, del romanesimo cattolico, due movi-menti culturali a me sembrano caratteristici di esso: ilpopolo italiano si presenta già in essi con una propriadecisa e travolgente individualità, con la quale si fa va-lere di fronte alle altre: il Rinascimento ed il Risorgi-mento. Il Rinascimento (compresovi l'Umanesimo eDante) fino a Bruno ed anche a Vico; il Risorgimento daMachiavelli a Mazzini.

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Due complessi e profondi movimenti culturali, che.non ostanti i secoli di servitù politica che par che scavitra essi un abisso incolmabile, sono vicini e ravvicinabi-li, in quanto il secondo profonda le sue radici nel primo,come il primo matura la sua pienezza nel secondo, chefinalmente assicura al popolo, che aveva saputo creare ilRinascimento, l'autonomia politica accanto a quella spi-rituale che il Rinascimento gli aveva dato.

Comunque, qualunque sia la stima che di questi mo-vimenti si faccia e qualunque sia il posto che ad essi vo-glia attribuirsi nello svolgersi della vita italiana ed euro-pea, nessuno, credo, vorrà disconoscerne l'intima italia-nità, una italianità, direi, costitutiva della italiana spiri-tualità. Italianità, che potrà esserci esaltata nei suoi Dan-te, seguita o vituperata nei suoi Macchiavelli, ammiratao calunniata nei suoi Bruno, disconosciuta o ignoratanei suoi Rosmini o Mazzini, ma che resta pur sempre ti-pica italianità.

Ora c'è pensiero speculativo proprio del Rinascimen-to italiano inteso in questi ampi limiti? E c'è in esso pen-siero un filone che deve dirvi idealistico? Infine qual è ilcarattere di questo idealismo del Rinascimento?

Per quanto ancora, io credo, non si sia nettamente in-dividuata la speculazione italiana del Rinascimento neisuoi problemi fondamentali e nelle varie ma connessesoluzioni di essi, pure io ritengo innegabile una specula-zione schiettamente italiana, non, si intende, soltanto peruna ragione geografica cioè perchè fatta in Italia da ita-liani, ma per un proprio deciso carattere nascente dalla

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Due complessi e profondi movimenti culturali, che.non ostanti i secoli di servitù politica che par che scavitra essi un abisso incolmabile, sono vicini e ravvicinabi-li, in quanto il secondo profonda le sue radici nel primo,come il primo matura la sua pienezza nel secondo, chefinalmente assicura al popolo, che aveva saputo creare ilRinascimento, l'autonomia politica accanto a quella spi-rituale che il Rinascimento gli aveva dato.

Comunque, qualunque sia la stima che di questi mo-vimenti si faccia e qualunque sia il posto che ad essi vo-glia attribuirsi nello svolgersi della vita italiana ed euro-pea, nessuno, credo, vorrà disconoscerne l'intima italia-nità, una italianità, direi, costitutiva della italiana spiri-tualità. Italianità, che potrà esserci esaltata nei suoi Dan-te, seguita o vituperata nei suoi Macchiavelli, ammiratao calunniata nei suoi Bruno, disconosciuta o ignoratanei suoi Rosmini o Mazzini, ma che resta pur sempre ti-pica italianità.

Ora c'è pensiero speculativo proprio del Rinascimen-to italiano inteso in questi ampi limiti? E c'è in esso pen-siero un filone che deve dirvi idealistico? Infine qual è ilcarattere di questo idealismo del Rinascimento?

Per quanto ancora, io credo, non si sia nettamente in-dividuata la speculazione italiana del Rinascimento neisuoi problemi fondamentali e nelle varie ma connessesoluzioni di essi, pure io ritengo innegabile una specula-zione schiettamente italiana, non, si intende, soltanto peruna ragione geografica cioè perchè fatta in Italia da ita-liani, ma per un proprio deciso carattere nascente dalla

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personalità stessa dei popolo italiano, del quale essa eramanifestazione.

16. L'oggettiva esigenza idealistica come essenza del Rinascimento.

Comunque, c'è, nel manifestarsi del pensiero filosofi-co italiano dell'Umanesimo e del Rinascimento, una cor-rente idealistica, che ritroviamo dalle origini di esso finoalla sua piena maturità. Platonismo e neoplatonismo, sisa, sono motivi, che il rinascente pensiero filosofico af-ferma e sviluppa, a testimoniare prima (Umanesimo) evivere poi (Rinascimento) la spontanea capacità intrin-seca della coscienza umana nel ritrovare l'oggettiva ve-rità, indipendentemente da ogni rivelazione estranea adessa. Ed è naturale che tale capacità, più che nel natura-lismo aristotelico, già anche compromesso nell'asservi-mento fattone dalla scolastica, fosse sentita e vissutanella platonica intrinsecità della verità ideale, in mododa culminare e fruttificare nella filosofia di Bruno.

È idealismo quello platonico? È idealismo quello delplatonismo e neoplatonismo del Rinascimento? Negareal platonismo il carattere idealistico, proprio per la posi-tiva oggettività dell'idea platonica, proprio per la sua on-tologicità, è partire da quella sopranotata identificazionedell'idealismo col dialettismo antinomico. I limitidell'idealismo platonico stanno invece proprio nella sua

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personalità stessa dei popolo italiano, del quale essa eramanifestazione.

16. L'oggettiva esigenza idealistica come essenza del Rinascimento.

Comunque, c'è, nel manifestarsi del pensiero filosofi-co italiano dell'Umanesimo e del Rinascimento, una cor-rente idealistica, che ritroviamo dalle origini di esso finoalla sua piena maturità. Platonismo e neoplatonismo, sisa, sono motivi, che il rinascente pensiero filosofico af-ferma e sviluppa, a testimoniare prima (Umanesimo) evivere poi (Rinascimento) la spontanea capacità intrin-seca della coscienza umana nel ritrovare l'oggettiva ve-rità, indipendentemente da ogni rivelazione estranea adessa. Ed è naturale che tale capacità, più che nel natura-lismo aristotelico, già anche compromesso nell'asservi-mento fattone dalla scolastica, fosse sentita e vissutanella platonica intrinsecità della verità ideale, in mododa culminare e fruttificare nella filosofia di Bruno.

È idealismo quello platonico? È idealismo quello delplatonismo e neoplatonismo del Rinascimento? Negareal platonismo il carattere idealistico, proprio per la posi-tiva oggettività dell'idea platonica, proprio per la sua on-tologicità, è partire da quella sopranotata identificazionedell'idealismo col dialettismo antinomico. I limitidell'idealismo platonico stanno invece proprio nella sua

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insufficienza a soddisfare compiutamente le esigenzedella coscienza nella propria oggettività: l'idea platonicatradisce troppo chiaramente una origine naturalistica,perchè possa la coscienza vedere in essa la propria og-gettività. Non ostanti tali limiti, però, è innegabile nelplatonismo stesso la viva esigenza idealistica, quale so-pra la determinammo: questa si può dire che caratterizzail platonismo stesso.

Or il significato primo e profondo del ritorno a Plato-ne nell'Umanesimo e nel Rinascimento sta proprio inquesto rinascere schietto della esigenza idealistica, stanel riconoscere al pensare come tale, indipendente daogni esterna imposizione di esperienza o di rivelazione,la capacità di oggettiva verità.

Ed è, a mio avviso, proprio questa esigenza idealisti-ca, rinascente dalla mortificazione che di essa avevatentata lo sviluppo empirico-realistico del Cristianesi-mo, l'origine prima e l'essenza intima dell'Umanesimo edel Rinascimento italiano.

Tale essenza non sta dunque, secondo la concezioneormai tradizionale, in una scoperta dell'uomo e della ter-ra dopo le umiliazioni fatte loro subire da una sopranna-turalistica (e perciò direi troppo naturalistica) trascen-denza. La correzione di questa, e quindi l'elevazionedell'uomo, è conseguenza, non motivo primo, non prin-cipio. E perciò non ci vorrà forse “grande sforzo a scor-gere, sotto i termini storici e contingenti di Rinascimen-to e di Riforma, i termini ideali e fondamentali, di terrae cielo, uomo e Dio, individuo e universo, spirito profa-

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insufficienza a soddisfare compiutamente le esigenzedella coscienza nella propria oggettività: l'idea platonicatradisce troppo chiaramente una origine naturalistica,perchè possa la coscienza vedere in essa la propria og-gettività. Non ostanti tali limiti, però, è innegabile nelplatonismo stesso la viva esigenza idealistica, quale so-pra la determinammo: questa si può dire che caratterizzail platonismo stesso.

Or il significato primo e profondo del ritorno a Plato-ne nell'Umanesimo e nel Rinascimento sta proprio inquesto rinascere schietto della esigenza idealistica, stanel riconoscere al pensare come tale, indipendente daogni esterna imposizione di esperienza o di rivelazione,la capacità di oggettiva verità.

Ed è, a mio avviso, proprio questa esigenza idealisti-ca, rinascente dalla mortificazione che di essa avevatentata lo sviluppo empirico-realistico del Cristianesi-mo, l'origine prima e l'essenza intima dell'Umanesimo edel Rinascimento italiano.

Tale essenza non sta dunque, secondo la concezioneormai tradizionale, in una scoperta dell'uomo e della ter-ra dopo le umiliazioni fatte loro subire da una sopranna-turalistica (e perciò direi troppo naturalistica) trascen-denza. La correzione di questa, e quindi l'elevazionedell'uomo, è conseguenza, non motivo primo, non prin-cipio. E perciò non ci vorrà forse “grande sforzo a scor-gere, sotto i termini storici e contingenti di Rinascimen-to e di Riforma, i termini ideali e fondamentali, di terrae cielo, uomo e Dio, individuo e universo, spirito profa-

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no e spirito religioso” (Croce, Età barocca, 1929, p. 5,);sarà, sotto un certo aspetto, vero che il problema storicodel rapporto tra Rinascimento e Riforma “si configuranella rappresentazione della varia lotta e del vario armo-nizzarsi di quei due termini, non più nella loro nuditàconcettuale, ma... come forze e tendenze da essi anima-te, da essi dominate o predominate, e tuttavia congiun-gentisi sempre” (ib., p. 6-7); – ma, se si vuole intendereil valore di quei termini storici, non si deve vedere sottociascuno quel termine ideale che con la tradizione ancheil Croce vi vede. Bisogna vedervi invece rispettivamentei termini ideali di oggettività per il Rinascimento e sog-gettività per la Riforma, e quindi universalità e singola-rità, divinità e umanità. Si corregge così la troppo facilema altrettanto falsa identificazione (facilitata dal nomedi umanesimo dato all'esplicito risorgere del sapere clas-sico greco-latino) del Rinascimento col momento idealedell'individuo, e della Riforma con quello dell'universo.Se c'è movimento che ha potentemente ed esplicitamen-te negata l'universalità, è proprio la Riforma. Questa ri-mane certo, nel suo primo motivo spirituale, un movi-mento religioso; ma appunto perciò è soltanto riafferma-zione di soggettività.

Il Rinascimento invece è nuova affermazione di Dio,pur non essendo movimento religioso. E perciò l'essenzadi esso, se non è la scoperta dell'uomo, non è neppureuna ripresa di quel conformismo del pensiero classico aquello cristiano, che aveva animato lo svolgersi e dog-matizzarsi della dottrina cristiana. Il Toffanin, che con

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no e spirito religioso” (Croce, Età barocca, 1929, p. 5,);sarà, sotto un certo aspetto, vero che il problema storicodel rapporto tra Rinascimento e Riforma “si configuranella rappresentazione della varia lotta e del vario armo-nizzarsi di quei due termini, non più nella loro nuditàconcettuale, ma... come forze e tendenze da essi anima-te, da essi dominate o predominate, e tuttavia congiun-gentisi sempre” (ib., p. 6-7); – ma, se si vuole intendereil valore di quei termini storici, non si deve vedere sottociascuno quel termine ideale che con la tradizione ancheil Croce vi vede. Bisogna vedervi invece rispettivamentei termini ideali di oggettività per il Rinascimento e sog-gettività per la Riforma, e quindi universalità e singola-rità, divinità e umanità. Si corregge così la troppo facilema altrettanto falsa identificazione (facilitata dal nomedi umanesimo dato all'esplicito risorgere del sapere clas-sico greco-latino) del Rinascimento col momento idealedell'individuo, e della Riforma con quello dell'universo.Se c'è movimento che ha potentemente ed esplicitamen-te negata l'universalità, è proprio la Riforma. Questa ri-mane certo, nel suo primo motivo spirituale, un movi-mento religioso; ma appunto perciò è soltanto riafferma-zione di soggettività.

Il Rinascimento invece è nuova affermazione di Dio,pur non essendo movimento religioso. E perciò l'essenzadi esso, se non è la scoperta dell'uomo, non è neppureuna ripresa di quel conformismo del pensiero classico aquello cristiano, che aveva animato lo svolgersi e dog-matizzarsi della dottrina cristiana. Il Toffanin, che con

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tanta documentazione cerca di dimostrare ciò per l'Uma-nesimo, nell'opporsi giustamente alla tesi tradizionale,va oltre il segno, e quindi non trova neppur lui il caratte-re proprio del movimento spirituale italiano.

La tesi, quindi, dell'individualismo laico, dell' “indo-mito individualismo... dei rappresentanti della culturaitaliana d'allora” (La civiltà del Rinasc., Sansoni, 1927,II, p. 270), fornitaci dal Burckhardt, tedesco certo tantobenemerito della cultura italiana, la tesi dell'estetismo esoggettivismo del Rinascimento, dedotti, come doveva-si, dall'individualismo, non attingono, a mio avviso,l'essenza profonda del Rinascimento; portano a confon-dere lo spirito di un popolo con quello di un altro; unifi-cano in un solo “impulso” (De Ruggero, Burdach) i duemovimenti del Rinascimento e della Riforma, che si in-tegrano bensì tra loro, ma hanno ciascuno essenza e ca-ratteri ben distinti; e finiscono quindi col non far più rin-tracciare l'originalità propria del movimento italiano.

Il Rinascimento italiano non scopre il soggetto uomo;la scoperta della spirituale soggettività umana è del Cri-stianesimo, direi anzi proprio di Cristo; il Rinascimentoitaliano non la riscopre, ma pone, nella scoperta dellavalidità oggettiva del pensiero di tali soggetti, la condi-zione perchè la scoperta cristiana sia integrata. È invecela Riforma, che riscopre puramente e semplicemente ilsoggetto uomo scoperto da Cristo come figlio di Dio, esu questa rimessa in valore della scoperta cristiana svol-ge tutto il suo movimento spirituale religioso e filosofi-co.

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tanta documentazione cerca di dimostrare ciò per l'Uma-nesimo, nell'opporsi giustamente alla tesi tradizionale,va oltre il segno, e quindi non trova neppur lui il caratte-re proprio del movimento spirituale italiano.

La tesi, quindi, dell'individualismo laico, dell' “indo-mito individualismo... dei rappresentanti della culturaitaliana d'allora” (La civiltà del Rinasc., Sansoni, 1927,II, p. 270), fornitaci dal Burckhardt, tedesco certo tantobenemerito della cultura italiana, la tesi dell'estetismo esoggettivismo del Rinascimento, dedotti, come doveva-si, dall'individualismo, non attingono, a mio avviso,l'essenza profonda del Rinascimento; portano a confon-dere lo spirito di un popolo con quello di un altro; unifi-cano in un solo “impulso” (De Ruggero, Burdach) i duemovimenti del Rinascimento e della Riforma, che si in-tegrano bensì tra loro, ma hanno ciascuno essenza e ca-ratteri ben distinti; e finiscono quindi col non far più rin-tracciare l'originalità propria del movimento italiano.

Il Rinascimento italiano non scopre il soggetto uomo;la scoperta della spirituale soggettività umana è del Cri-stianesimo, direi anzi proprio di Cristo; il Rinascimentoitaliano non la riscopre, ma pone, nella scoperta dellavalidità oggettiva del pensiero di tali soggetti, la condi-zione perchè la scoperta cristiana sia integrata. È invecela Riforma, che riscopre puramente e semplicemente ilsoggetto uomo scoperto da Cristo come figlio di Dio, esu questa rimessa in valore della scoperta cristiana svol-ge tutto il suo movimento spirituale religioso e filosofi-co.

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Quando, al contrario, proprio la scoperta dell'esigenzadell'oggettività idealistica si veda nel nostro movimento,si intenderà forse meglio la profonda spiritualità del tipodi filosofo della Rinascenza, del cosiddetto “letterato”(Gentile. Il carattere storico della filosofia italiana), enon la si qualificherà di “astratta intelligenza”, solo per-chè tenuta distinta dalla vita istituzionale (senza questadistinzione le istituzioni non si rinnovano, e il pensieronon progredisce). Si comprenderà sempre meglio la ne-cessità storica ed ideale di quell'appartarsi dalla vita del-lo Stato e della Chiesa, proprio per dedicarsi con animospregiudicato alle proprie ricerche e sostenerle col ne-cessario coraggio e sacrificio. Infine si comprenderàmeglio, perchè possa esser riportato allo stesso spiritoitaliano anche la Controriforma, che, dall'esigenza idea-listica dell'oggettività vissuta nel Rinascimento, ritorna,si riattacca alla esigenza realistica della stessa oggettivi-tà, contro lo spirito soggettivistico della Riforma.

Comunque, checchè si pensi della essenza intima dital unico movimento spirituale dell'Umanesimo e delRinascimento, certo, in una sua corrente filosofica, si ri-tenga o non la centrale, è innegabile l'esigenza idealisti-ca, quale sopra l'abbiamo determinata.

La scoperta, che l'Umanesimo fa, della validità ogget-tiva, a sè stante, di quel pensiero precristiano, che laChiesa aveva conservato e rievocato solo per dare allapropria fede quel carattere culturale che le mancava eriuscire così anche ad una dimostrazione razionale diquesta, tale scoperta doveva poi necessariamente porta-

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Quando, al contrario, proprio la scoperta dell'esigenzadell'oggettività idealistica si veda nel nostro movimento,si intenderà forse meglio la profonda spiritualità del tipodi filosofo della Rinascenza, del cosiddetto “letterato”(Gentile. Il carattere storico della filosofia italiana), enon la si qualificherà di “astratta intelligenza”, solo per-chè tenuta distinta dalla vita istituzionale (senza questadistinzione le istituzioni non si rinnovano, e il pensieronon progredisce). Si comprenderà sempre meglio la ne-cessità storica ed ideale di quell'appartarsi dalla vita del-lo Stato e della Chiesa, proprio per dedicarsi con animospregiudicato alle proprie ricerche e sostenerle col ne-cessario coraggio e sacrificio. Infine si comprenderàmeglio, perchè possa esser riportato allo stesso spiritoitaliano anche la Controriforma, che, dall'esigenza idea-listica dell'oggettività vissuta nel Rinascimento, ritorna,si riattacca alla esigenza realistica della stessa oggettivi-tà, contro lo spirito soggettivistico della Riforma.

Comunque, checchè si pensi della essenza intima dital unico movimento spirituale dell'Umanesimo e delRinascimento, certo, in una sua corrente filosofica, si ri-tenga o non la centrale, è innegabile l'esigenza idealisti-ca, quale sopra l'abbiamo determinata.

La scoperta, che l'Umanesimo fa, della validità ogget-tiva, a sè stante, di quel pensiero precristiano, che laChiesa aveva conservato e rievocato solo per dare allapropria fede quel carattere culturale che le mancava eriuscire così anche ad una dimostrazione razionale diquesta, tale scoperta doveva poi necessariamente porta-

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re, e portò col Rinascimento, alla entusiastica proclama-zione, che quel valore oggettivo non doveva riconoscer-si solo al pensiero antico in quanto antico, sia pure que-sto rappresentato da Platone ed Aristotele, nè solo alpensiero in quanto si rivolge a verità fisiche. Quindi, dauna parte, l'aperta affermazione del valore della nostrastessa riflessione nella scoperta della verità, affermazio-ne promossa e sostenuta dal nuovo vero scientifico cheveniva a detronizzare quello aristotelico, e a dimostrarecosì la vanità della pura e semplice autorità nella sco-perta del vero; e, dall'altra, la meno sicura o almeno piùcontrastata affermazione, che questo pensiero, al qualesi riconosce tale capacità di attingere, per intima sponta-nea forza, il vero, non debba in nessun caso subordinaretale sua capacità ad altro, che non sia la stessa verità dicui il pensiero è capace. Non si nega, nè si mette in dub-bio questo “altro” dal pensiero umano, in quanto umano,altro e come natura e come Dio: si sente solo con chia-rezza, che il Pensiero, come tale, nella sua assolutezza,non può e non deve negarsi al pensiero umano, e perciòquesto, quando sa di vivere tal Pensiero assoluto, nonpuò e non deve ripiegare la propria bandiera, smentirese stesso; niente può costringervelo.

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re, e portò col Rinascimento, alla entusiastica proclama-zione, che quel valore oggettivo non doveva riconoscer-si solo al pensiero antico in quanto antico, sia pure que-sto rappresentato da Platone ed Aristotele, nè solo alpensiero in quanto si rivolge a verità fisiche. Quindi, dauna parte, l'aperta affermazione del valore della nostrastessa riflessione nella scoperta della verità, affermazio-ne promossa e sostenuta dal nuovo vero scientifico cheveniva a detronizzare quello aristotelico, e a dimostrarecosì la vanità della pura e semplice autorità nella sco-perta del vero; e, dall'altra, la meno sicura o almeno piùcontrastata affermazione, che questo pensiero, al qualesi riconosce tale capacità di attingere, per intima sponta-nea forza, il vero, non debba in nessun caso subordinaretale sua capacità ad altro, che non sia la stessa verità dicui il pensiero è capace. Non si nega, nè si mette in dub-bio questo “altro” dal pensiero umano, in quanto umano,altro e come natura e come Dio: si sente solo con chia-rezza, che il Pensiero, come tale, nella sua assolutezza,non può e non deve negarsi al pensiero umano, e perciòquesto, quando sa di vivere tal Pensiero assoluto, nonpuò e non deve ripiegare la propria bandiera, smentirese stesso; niente può costringervelo.

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17. L'idealismo del Ficino.

È, questo, motivo comune all'Umanesimo e al Rina-scimento in tutti i loro indirizzi, motivo che però culmi-na nell'indirizzo idealistico, nel quale trova una più am-pia soddisfazione, un più esplicito riconoscimento. Eperciò troviamo tal motivo nel Ficino come nel Valla, inBruno come in Galilei, in Campanella come in Telesio.

Ma tale consapevolezza della capacità oggettiva delvero riconosciuta alla umana coscienza si sente certo piùnel platonismo di Ficino che nell'eudemonismo del Val-la, più nel neoplatonismo del Bruno che nello sperimen-talismo del Galilei.

Nei primi la coscienza riesce di più a trovar soddisfat-te le proprie esigenze nella propria intima oggettività: eperciò devesi caratterizzare come idealistica.

Quando a questo si ponga mente, e non si voglia ser-vire nè una preconcetta soluzione anticattolica del pro-blema della conoscenza e dell'essere, nè l'immutabilitàdella cattolica tradizione, si vedrà chiaro che, p. es., peril Ficino, se non si può e non si deve dire che “la filoso-fia moderna come celebrazione della soggettività è qua-si tutta sbozzata con M. Ficino” (Saitta, in Giorn. crit.d. fil. it., 1921, fasc. IV p. 1), non si deve d'altra partepresentare la Theologia platonica soltanto come una“nuova patristica” (Toffanin, Storia dell'Umanesimo,1933, p. 207), come una “neo-apologetica” (p. 214) e si-mili. Il Ficino intimo non è certo soggettivista, e tantomeno è il soggettivista di un soggettivismo che conse-

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17. L'idealismo del Ficino.

È, questo, motivo comune all'Umanesimo e al Rina-scimento in tutti i loro indirizzi, motivo che però culmi-na nell'indirizzo idealistico, nel quale trova una più am-pia soddisfazione, un più esplicito riconoscimento. Eperciò troviamo tal motivo nel Ficino come nel Valla, inBruno come in Galilei, in Campanella come in Telesio.

Ma tale consapevolezza della capacità oggettiva delvero riconosciuta alla umana coscienza si sente certo piùnel platonismo di Ficino che nell'eudemonismo del Val-la, più nel neoplatonismo del Bruno che nello sperimen-talismo del Galilei.

Nei primi la coscienza riesce di più a trovar soddisfat-te le proprie esigenze nella propria intima oggettività: eperciò devesi caratterizzare come idealistica.

Quando a questo si ponga mente, e non si voglia ser-vire nè una preconcetta soluzione anticattolica del pro-blema della conoscenza e dell'essere, nè l'immutabilitàdella cattolica tradizione, si vedrà chiaro che, p. es., peril Ficino, se non si può e non si deve dire che “la filoso-fia moderna come celebrazione della soggettività è qua-si tutta sbozzata con M. Ficino” (Saitta, in Giorn. crit.d. fil. it., 1921, fasc. IV p. 1), non si deve d'altra partepresentare la Theologia platonica soltanto come una“nuova patristica” (Toffanin, Storia dell'Umanesimo,1933, p. 207), come una “neo-apologetica” (p. 214) e si-mili. Il Ficino intimo non è certo soggettivista, e tantomeno è il soggettivista di un soggettivismo che conse-

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guirebbe dallo sviluppo postcritico (ma non critico) delpensiero idealistico tedesco; ma non è neppure solol'apologista cattolico, il ripetitore di una “docta pietas”che non fu abbastanza dotta nel suo costituirsi a dottri-na. È invece il Ficino che dice (B. Kieszkowski. Studisul platonismo del Rinasc. in Italia, Sansoni. 1936):“Deum nihil esse aliud, quam universam naturam re-rum” (Theol. plat. II 6, 98); e che quelle “rerum om-nium rationes, quarum fons est Deus, et quae Deus ipsesunt”, (XII, 1, 268), non sono altro che le immutabili es-senze delle cose, poste come idee platoniche e quindinon estranee alla mente umana, perchè latenti “in mentisarcanis” (Kiesz. pag. 81). È il Ficino che aggiunge: "Po-stremo divinum quiddam est hominis anima, id est, ali-quid individuum... ab incorporeo aucthore ita produc-tum, ut ex agentis virtute solummodo, non ex materiaeinchoatione... dependeat, sicut nos docent prisci Theolo-gi Zoroaster, Mercurius, Orpheus, Aglaophemus, Pytha-goras, Plato...” (VI, 1, 156). È il Ficino, il quale perciòafferma consentendo, che “Platonici omnes probant inrationibus contemplandis divinam rationem tactu quo-dam mentis substantiali potius quam imaginato tangi”(XII, 2, 269). E perciò è il Ficino che afferma questa im-mediata capacità della coscienza ad attingere l'oggettivovero nella sua stessa essenza e fonte, Dio. E si spiegaquindi perchè il Ficino, senza rinnegare affatto il suoCristianesimo, dia valore ad ogni religione sinceramenteprofessata, e affermi che “divina providentia non per-

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guirebbe dallo sviluppo postcritico (ma non critico) delpensiero idealistico tedesco; ma non è neppure solol'apologista cattolico, il ripetitore di una “docta pietas”che non fu abbastanza dotta nel suo costituirsi a dottri-na. È invece il Ficino che dice (B. Kieszkowski. Studisul platonismo del Rinasc. in Italia, Sansoni. 1936):“Deum nihil esse aliud, quam universam naturam re-rum” (Theol. plat. II 6, 98); e che quelle “rerum om-nium rationes, quarum fons est Deus, et quae Deus ipsesunt”, (XII, 1, 268), non sono altro che le immutabili es-senze delle cose, poste come idee platoniche e quindinon estranee alla mente umana, perchè latenti “in mentisarcanis” (Kiesz. pag. 81). È il Ficino che aggiunge: "Po-stremo divinum quiddam est hominis anima, id est, ali-quid individuum... ab incorporeo aucthore ita produc-tum, ut ex agentis virtute solummodo, non ex materiaeinchoatione... dependeat, sicut nos docent prisci Theolo-gi Zoroaster, Mercurius, Orpheus, Aglaophemus, Pytha-goras, Plato...” (VI, 1, 156). È il Ficino, il quale perciòafferma consentendo, che “Platonici omnes probant inrationibus contemplandis divinam rationem tactu quo-dam mentis substantiali potius quam imaginato tangi”(XII, 2, 269). E perciò è il Ficino che afferma questa im-mediata capacità della coscienza ad attingere l'oggettivovero nella sua stessa essenza e fonte, Dio. E si spiegaquindi perchè il Ficino, senza rinnegare affatto il suoCristianesimo, dia valore ad ogni religione sinceramenteprofessata, e affermi che “divina providentia non per-

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mittit esse aliquo in tempore ullam mundi regionem om-nis prorsus religionis expertem” (IV, p. 4).

È, ripeto, questo sentir soddisfatte le esigenze dellacoscienza nella e dalla sua propria oggettività, ciò checaratterizza fondamentalmente il Ficino, anche se que-sto motivo è poi da altri offuscato e anche, qualche vol-ta, contraddetto.

18. L'essenza immanentistica del platonismo, sco-perta nel Rinascimento.

Si può quindi dire che la, o almeno una, scoperta spe-culativa, che Umanesimo e Rinascimento fanno, è pro-prio la esigenza idealistica: l'imprescindibilità che il sa-pere come tale abbia la sua oggettività, non ripetibile dafonte esterna, e dalla quale esso sia soddisfatto.

Cioè è la scoperta dell'essenza del platonismo, la qua-le non poteva essere scoperta da Platone stesso e neppu-re da Plotino. Perchè a questa scoperta si addivenisse,bisognava che il pensiero occidentale si fosse trovato difronte all'universalizzarsi cristiano del concetto ebraicodi rivelazione, pel quale il valore oggettivo del pensieroè, più o meno mediatamente, fondato su una Autoritàpersonale estranea a quella coscienza personale, in cui ilpensiero è accolto. La rivelazione cristiana, l'abbia onon alla sua schietta fonte, certo in tutto il suo sviluppomedioevale ha preso e tramandato dall'ebraismo questo

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mittit esse aliquo in tempore ullam mundi regionem om-nis prorsus religionis expertem” (IV, p. 4).

È, ripeto, questo sentir soddisfatte le esigenze dellacoscienza nella e dalla sua propria oggettività, ciò checaratterizza fondamentalmente il Ficino, anche se que-sto motivo è poi da altri offuscato e anche, qualche vol-ta, contraddetto.

18. L'essenza immanentistica del platonismo, sco-perta nel Rinascimento.

Si può quindi dire che la, o almeno una, scoperta spe-culativa, che Umanesimo e Rinascimento fanno, è pro-prio la esigenza idealistica: l'imprescindibilità che il sa-pere come tale abbia la sua oggettività, non ripetibile dafonte esterna, e dalla quale esso sia soddisfatto.

Cioè è la scoperta dell'essenza del platonismo, la qua-le non poteva essere scoperta da Platone stesso e neppu-re da Plotino. Perchè a questa scoperta si addivenisse,bisognava che il pensiero occidentale si fosse trovato difronte all'universalizzarsi cristiano del concetto ebraicodi rivelazione, pel quale il valore oggettivo del pensieroè, più o meno mediatamente, fondato su una Autoritàpersonale estranea a quella coscienza personale, in cui ilpensiero è accolto. La rivelazione cristiana, l'abbia onon alla sua schietta fonte, certo in tutto il suo sviluppomedioevale ha preso e tramandato dall'ebraismo questo

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valore di trascendenza personale, non ostante, direi, leansie di superamento di tale trascendenza, che i piùgrandi spiriti hanno sentito e fatto sentire.

Per questa scoperta dell'essenza del platonismo, ilnuovo platonismo del Rinascimento supera insieme pla-tonismo e Cristianesimo, in quanto riconosce essenzialeall'idealismo del primo quella rivelazione interiore, conla quale l'idea non solo non perde, ma acquista il suo va-lore oggettivo, e riconosce d'altra parte essenziale allaverità oggettiva del secondo quella interiorità della rive-lazione, interiorità senza della quale non v'ha possibilitàdi fede, e che esclude la personalità (l'esser un io) delRivelante.

La scoperta, dunque, dell'idealismo platonico si risol-ve nella esigenza dell'interiorità della rivelazione divina,si risolve cioè nella affermazione dell'immanentismo.Questo il necessario carattere, con cui deve affermarsi lascoperta fatta dal Rinascimento: il valore oggettivo, chela coscienza ha, è inesplicabile ed assurdo, se il suoprincipio non è intimo alla coscienza, se la coscienza,cioè, ha bisogno di ripetere da Altri o da altro il princi-pio di tal valore.

19. L'immanentismo di Bruno.

Il culmine di questa affermazione, che pur si ha qua elà, in modo implicito, occasionale, parziale, sia nello

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valore di trascendenza personale, non ostante, direi, leansie di superamento di tale trascendenza, che i piùgrandi spiriti hanno sentito e fatto sentire.

Per questa scoperta dell'essenza del platonismo, ilnuovo platonismo del Rinascimento supera insieme pla-tonismo e Cristianesimo, in quanto riconosce essenzialeall'idealismo del primo quella rivelazione interiore, conla quale l'idea non solo non perde, ma acquista il suo va-lore oggettivo, e riconosce d'altra parte essenziale allaverità oggettiva del secondo quella interiorità della rive-lazione, interiorità senza della quale non v'ha possibilitàdi fede, e che esclude la personalità (l'esser un io) delRivelante.

La scoperta, dunque, dell'idealismo platonico si risol-ve nella esigenza dell'interiorità della rivelazione divina,si risolve cioè nella affermazione dell'immanentismo.Questo il necessario carattere, con cui deve affermarsi lascoperta fatta dal Rinascimento: il valore oggettivo, chela coscienza ha, è inesplicabile ed assurdo, se il suoprincipio non è intimo alla coscienza, se la coscienza,cioè, ha bisogno di ripetere da Altri o da altro il princi-pio di tal valore.

19. L'immanentismo di Bruno.

Il culmine di questa affermazione, che pur si ha qua elà, in modo implicito, occasionale, parziale, sia nello

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svilupparsi delle tendenze neoplatoniche, sia anche ne-gli indirizzi che apparentemente rinnegano ogni ideali-smo, come in quello di Telesio; il culmine si ha nel pen-siero di Bruno, nel quale questo carattere immanente èesplicitamente riconosciuto alla Divinità. L'artefice in-terno; la mens insita omnibus; l'eroico furore, che solodalla mens insita come artifice è reso possibile, giacchèper tale “impeto razionale” si “doviene un Dio dal con-tatto intellettuale di quel nume oggetto”, e si viene aparlar ed operar non "come vasi ed istrumenti, ma comeprincipali artefici ed efficienti”; l' “alto aspirar dellamente”, che si ottiene col “venire al più intimo di sè...;atteso che quello che vedi alto o basso... son corpi, sonfatture simili a questo globo in cui siamo noi, e nelliquali non più ne meno è la divinità presente che in que-sto nostro o in noi medesimi”; tutti questi e tanti altriconcetti ed impeti lirici, che sprizzano come vive linguedi fuoco entro la tumultuosa ed ingombrante erudizionebruniana, sono il chiaro segno di quel carattere imma-nentistico, in cui finisce l'idealismo e direi anche la filo-sofia tutta del Rinascimento. In questo senso (cf. cap.IX), e solo in questo senso, è falso che “l'immanentismodel Nolano è una fiaba” (Olgiati, Umanesimo..., pag.668). L'immanenza è sinteticamente presentata dal Bru-no nelle stesse parole qui riferite dall'O.: “Tutto Lui(Dio) è in tutto il mondo”. La filosofia del Rinascimen-to, quando anche il Bruno parla di natura, non è grosso-lano naturalismo. Il senso di Telesio e di Campanellanon è quella pura cieca forza di natura, che noi sogliamo

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svilupparsi delle tendenze neoplatoniche, sia anche ne-gli indirizzi che apparentemente rinnegano ogni ideali-smo, come in quello di Telesio; il culmine si ha nel pen-siero di Bruno, nel quale questo carattere immanente èesplicitamente riconosciuto alla Divinità. L'artefice in-terno; la mens insita omnibus; l'eroico furore, che solodalla mens insita come artifice è reso possibile, giacchèper tale “impeto razionale” si “doviene un Dio dal con-tatto intellettuale di quel nume oggetto”, e si viene aparlar ed operar non "come vasi ed istrumenti, ma comeprincipali artefici ed efficienti”; l' “alto aspirar dellamente”, che si ottiene col “venire al più intimo di sè...;atteso che quello che vedi alto o basso... son corpi, sonfatture simili a questo globo in cui siamo noi, e nelliquali non più ne meno è la divinità presente che in que-sto nostro o in noi medesimi”; tutti questi e tanti altriconcetti ed impeti lirici, che sprizzano come vive linguedi fuoco entro la tumultuosa ed ingombrante erudizionebruniana, sono il chiaro segno di quel carattere imma-nentistico, in cui finisce l'idealismo e direi anche la filo-sofia tutta del Rinascimento. In questo senso (cf. cap.IX), e solo in questo senso, è falso che “l'immanentismodel Nolano è una fiaba” (Olgiati, Umanesimo..., pag.668). L'immanenza è sinteticamente presentata dal Bru-no nelle stesse parole qui riferite dall'O.: “Tutto Lui(Dio) è in tutto il mondo”. La filosofia del Rinascimen-to, quando anche il Bruno parla di natura, non è grosso-lano naturalismo. Il senso di Telesio e di Campanellanon è quella pura cieca forza di natura, che noi sogliamo

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concepire dopo aver spogliata la natura di ogni spiritua-lità.

Che questo idealismo ontologico immanentistico diBruno abbia, direi, la sua contaminazione con la coinci-dentia oppositorum del Cusano, non toglie, e direi nondiminuisce quel carattere, il quale poi, nell'esplicito mo-nadismo delle ultime opere bruniane, non è rinnegato,ma viene bensì a rimanifestarsi nella sua intima profon-da difficoltà.

Nè questa entusiastica, sublimatrice scoperta dellaimmanenza viene diminuita di valore, quando ancora inBruno si constata accanto alle mens insita omnibus lamens super omnia, accanto al Dio che è “l'animadell'anima del mondo se non è l'anima stessa” un Dioche "come absoluto, non ha che far con noi”, accantoalla filosofia, che non consente imposte ritrattazioni,una religione che riguardando quel Dio absoluto, delquale nulla deve dirsi, può ritenersi scissa da ogni dimo-strata verità filosofica. Il cammino ideale è fatto di con-quiste, in ciascuna delle quali, solo quando essa sia av-venuta e consolidata, si notano i residui tradizionali chene limitano la portata, e che richiedono anch'essi di es-sere rivalutati e trasformati da quella stessa conquista.Questa bruniana distinzione dell'absoluto che non si co-nosce, dalla mens insita omnibus, in quanto questa siconosce, porta forse a una assurda dualità di assolutez-za, ma sulla distinzione stessa dell'Assoluto in quantonon si conosce esplicitamente, dall'Assoluto ridotto aumano concetto, non è certo detta ancora l'ultima parola.

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concepire dopo aver spogliata la natura di ogni spiritua-lità.

Che questo idealismo ontologico immanentistico diBruno abbia, direi, la sua contaminazione con la coinci-dentia oppositorum del Cusano, non toglie, e direi nondiminuisce quel carattere, il quale poi, nell'esplicito mo-nadismo delle ultime opere bruniane, non è rinnegato,ma viene bensì a rimanifestarsi nella sua intima profon-da difficoltà.

Nè questa entusiastica, sublimatrice scoperta dellaimmanenza viene diminuita di valore, quando ancora inBruno si constata accanto alle mens insita omnibus lamens super omnia, accanto al Dio che è “l'animadell'anima del mondo se non è l'anima stessa” un Dioche "come absoluto, non ha che far con noi”, accantoalla filosofia, che non consente imposte ritrattazioni,una religione che riguardando quel Dio absoluto, delquale nulla deve dirsi, può ritenersi scissa da ogni dimo-strata verità filosofica. Il cammino ideale è fatto di con-quiste, in ciascuna delle quali, solo quando essa sia av-venuta e consolidata, si notano i residui tradizionali chene limitano la portata, e che richiedono anch'essi di es-sere rivalutati e trasformati da quella stessa conquista.Questa bruniana distinzione dell'absoluto che non si co-nosce, dalla mens insita omnibus, in quanto questa siconosce, porta forse a una assurda dualità di assolutez-za, ma sulla distinzione stessa dell'Assoluto in quantonon si conosce esplicitamente, dall'Assoluto ridotto aumano concetto, non è certo detta ancora l'ultima parola.

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20. L'ontologismo di Vico.

E non sembri paradossale connettere al Rinascimentoil nostro Vico, che pare se ne stia solitario, non inteso nèin Italia nè fuori, tra il concluso Rinascimento e il nonattuato Risorgimento, solitario ed ignorato in Europa difronte al trionfante cartesianesimo, che egli vedenell'assurdità del suo psicologismo e quindi soggettivi-smo, del suo staticismo e quindi antistoricismo.

Solitario egli non è in Italia, anche se sconosciuto,perchè egli conclude il Rinascimento col portarne il mo-tivo speculativo ad animare quella storia delle nazioni,che, già nata con la filosofia politica del Macchiavelli,verrà a costituire il motivo ideale del nostro Risorgi-mento, e così tramezza l'uno e l'altro movimento cultu-rale, formandone il punto d'innesto3. E se nella culturaeuropea egli Vico è ignorato, ciò non avviene, nè perchèegli sia inferiore all'iniziato movimento cartesiano, chesfocerà poi nella critica e nello storicismo idealistico, nèperchè precorra i tempi e sia con la seconda e terza fasedel suo pensiero, già lui quasi un pieno Kant e un pienoHegel.

Questa neohegeliana valutazione di Vico (Spaventa,Gentile, del quale è la suddetta valutazione delle due ul-time fasi del pensiero vichiano) ha il difetto comune aquesta, pur tanto benemerita, concezione di tutta la filo-

3 Ha già giustamente visto il Gentile che «le radici delle duefilosofie, bruniana e vichiana, si toccano e s'intrecciano» (Studivichiani, Messina 1915, pag. 30).

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20. L'ontologismo di Vico.

E non sembri paradossale connettere al Rinascimentoil nostro Vico, che pare se ne stia solitario, non inteso nèin Italia nè fuori, tra il concluso Rinascimento e il nonattuato Risorgimento, solitario ed ignorato in Europa difronte al trionfante cartesianesimo, che egli vedenell'assurdità del suo psicologismo e quindi soggettivi-smo, del suo staticismo e quindi antistoricismo.

Solitario egli non è in Italia, anche se sconosciuto,perchè egli conclude il Rinascimento col portarne il mo-tivo speculativo ad animare quella storia delle nazioni,che, già nata con la filosofia politica del Macchiavelli,verrà a costituire il motivo ideale del nostro Risorgi-mento, e così tramezza l'uno e l'altro movimento cultu-rale, formandone il punto d'innesto3. E se nella culturaeuropea egli Vico è ignorato, ciò non avviene, nè perchèegli sia inferiore all'iniziato movimento cartesiano, chesfocerà poi nella critica e nello storicismo idealistico, nèperchè precorra i tempi e sia con la seconda e terza fasedel suo pensiero, già lui quasi un pieno Kant e un pienoHegel.

Questa neohegeliana valutazione di Vico (Spaventa,Gentile, del quale è la suddetta valutazione delle due ul-time fasi del pensiero vichiano) ha il difetto comune aquesta, pur tanto benemerita, concezione di tutta la filo-

3 Ha già giustamente visto il Gentile che «le radici delle duefilosofie, bruniana e vichiana, si toccano e s'intrecciano» (Studivichiani, Messina 1915, pag. 30).

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sofia italiana: è fatta sul paradigma del pensiero tedescopost-kantiano e specialmente hegeliano. E di fronte adessa non hanno forse tutti i torti coloro che rivendicanoun Vico appartenente alla “tradizione platonico-cristia-na” (Chiocchetti, La fil. di G. B. Vico, 1935).

Solo quando infatti dal paradigma dell'idealismo dia-lettico post-kantiano si parla, si può affermare che “co-loro che mettono innanzi l'Antiquissima italorum sa-pientia, e vedono in essa la chiave metafisica dellaScienza nuova, rassomigliano un po' a quei letterati, chevogliono comprendere un dramma di Shakespearecoll'Arte poetica di Orazio alla mano” (Spaventa, Fil. it.,p. 132). Io credo invece che il vero Vico, anche dellaScienza nuova, è proprio lo stesso Vico del De antiquis-sima, che confuta Cartesio, e che non è affatto, anchenei suoi principi metafisici, soltanto il Vico della tradi-zione, ma è il Vico del nuovo pensiero italiano del Rina-scimento, ontologico a suo modo, e, con tale ontologi-smo, rinnegante quella che sarà la deficienza di quellognoseologismo, che è già nato e si svilupperà fuori d'Ita-lia. Così del Vico, visto nel suo schietto carattere italia-no, può ricercarsi la profonda originalità.

In detta confutazione di Cartesio infatti, come apparchiaro dalla Prima risposta al Giornale dei Letterati,Vico sente più o meno distintamente due verità nuove,che egli vede disconosciute da Cartesio e dal cartesiane-simo: 1) L'immanenza dell'Essere assoluto al cogito,dell'essenza all'esistenza, di Dio agli io. Cartesio “avreb-be dovuto dire: Io penso... dunque vi ha cosa che mi so-

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sofia italiana: è fatta sul paradigma del pensiero tedescopost-kantiano e specialmente hegeliano. E di fronte adessa non hanno forse tutti i torti coloro che rivendicanoun Vico appartenente alla “tradizione platonico-cristia-na” (Chiocchetti, La fil. di G. B. Vico, 1935).

Solo quando infatti dal paradigma dell'idealismo dia-lettico post-kantiano si parla, si può affermare che “co-loro che mettono innanzi l'Antiquissima italorum sa-pientia, e vedono in essa la chiave metafisica dellaScienza nuova, rassomigliano un po' a quei letterati, chevogliono comprendere un dramma di Shakespearecoll'Arte poetica di Orazio alla mano” (Spaventa, Fil. it.,p. 132). Io credo invece che il vero Vico, anche dellaScienza nuova, è proprio lo stesso Vico del De antiquis-sima, che confuta Cartesio, e che non è affatto, anchenei suoi principi metafisici, soltanto il Vico della tradi-zione, ma è il Vico del nuovo pensiero italiano del Rina-scimento, ontologico a suo modo, e, con tale ontologi-smo, rinnegante quella che sarà la deficienza di quellognoseologismo, che è già nato e si svilupperà fuori d'Ita-lia. Così del Vico, visto nel suo schietto carattere italia-no, può ricercarsi la profonda originalità.

In detta confutazione di Cartesio infatti, come apparchiaro dalla Prima risposta al Giornale dei Letterati,Vico sente più o meno distintamente due verità nuove,che egli vede disconosciute da Cartesio e dal cartesiane-simo: 1) L'immanenza dell'Essere assoluto al cogito,dell'essenza all'esistenza, di Dio agli io. Cartesio “avreb-be dovuto dire: Io penso... dunque vi ha cosa che mi so-

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stiene... dunque la mia essenza è Iddio che sostiene ilmio pensiero” (De antiquiss. ed. Laterza, 1914, p. 221;ho sottilineato io, non Vico). 2) La non attribuzionedell'esistenza, che si attribuisce a me che cogito, a Dio,che pur costituisce questa mia essenza, perchè "l'existe-re... non è proprietà dei principii”, (ib. p. 220).

Ora la Scienza nuova non solo non esclude, ma con-ferma queste due scoperte metafisiche vichiane, che tan-to lo avvicinano a Bruno; le conferma, in quanto mostrala verificazione loro nel campo della umana storia. Così,e solo così, questa nuova scienza delle reazioni può par-lare di una Provvidenza nella storia. Giacchè, solo quan-do quella mente di Dio, che “pura di ogni corpulenza,agita e muove il tutto” (ib., p. 218), diviene la mia es-senza e sostegno del mio pensiero, solo allora può aversiquella vichiana Provvidenza, che regge il corso delleumane cose e l'informa a universali principii di ordine edi progressiva unità, cui parrebbe contrastare l'egoismodegli esteriori motivi apparenti dell'umano agire. Soloallora si intende come l'umano fatto della storia possaesser tale fatto, che valga come lo stesso vero. Veroumano, che non toglie un più ampio e un più profondovero, nel quale il vero umano come tale si radichi.

Togliete quelle scoperte del De antiquissima, e avreteperduto il Vico filosofico della Scienza nuova, e saretecosì costretti poi a ricostruire la filosofia del Vico conuno storicismo schiettamente umanistico, a giustificareil quale non può essere addotto che un più tardivo gno-

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stiene... dunque la mia essenza è Iddio che sostiene ilmio pensiero” (De antiquiss. ed. Laterza, 1914, p. 221;ho sottilineato io, non Vico). 2) La non attribuzionedell'esistenza, che si attribuisce a me che cogito, a Dio,che pur costituisce questa mia essenza, perchè "l'existe-re... non è proprietà dei principii”, (ib. p. 220).

Ora la Scienza nuova non solo non esclude, ma con-ferma queste due scoperte metafisiche vichiane, che tan-to lo avvicinano a Bruno; le conferma, in quanto mostrala verificazione loro nel campo della umana storia. Così,e solo così, questa nuova scienza delle reazioni può par-lare di una Provvidenza nella storia. Giacchè, solo quan-do quella mente di Dio, che “pura di ogni corpulenza,agita e muove il tutto” (ib., p. 218), diviene la mia es-senza e sostegno del mio pensiero, solo allora può aversiquella vichiana Provvidenza, che regge il corso delleumane cose e l'informa a universali principii di ordine edi progressiva unità, cui parrebbe contrastare l'egoismodegli esteriori motivi apparenti dell'umano agire. Soloallora si intende come l'umano fatto della storia possaesser tale fatto, che valga come lo stesso vero. Veroumano, che non toglie un più ampio e un più profondovero, nel quale il vero umano come tale si radichi.

Togliete quelle scoperte del De antiquissima, e avreteperduto il Vico filosofico della Scienza nuova, e saretecosì costretti poi a ricostruire la filosofia del Vico conuno storicismo schiettamente umanistico, a giustificareil quale non può essere addotto che un più tardivo gno-

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seologismo, la cui deficienza il Vico aveva invece giàintravista.

In breve, l'ontologismo, che pervade la filosofia ita-liana dal primissimo Rinascimento a Vico, lungidall'essere un motivo di inferiorità e falsità della nostraspeculazione di fronte al rimanente pensiero europeocontemporaneo e successivo, è invece motivo di profon-da vitalità, che dà, schietta e non turbata da soggettivi-smo, quella che è la conquista della filosofia moderna(cfr. Introd.).

Quando questo si veda, si andrà molto più profondonell'intendere la geniale intuizione vichiana del verumcome factum: si vedrà il factum come storia, e la verità,e soltanto la verità, come la categoria propria della sto-ria.

E si vedrà anche il progresso che, pur anzi proprio colsuo platonismo, Vico fa fare alla soluzione del problemadell'essere: l'Artefice interno del Bruno, riconosciutonella Idea platonica, come essenza che è, ma non ci è, ciporta molto vicini a vedere, nell'Oggetto, l'Assoluto im-manente a tutti i soggetti, che invece ci sono. Che que-sto già distintamente veda il Vico, certo io non sostengo;ma che quelle due esplicite scoperte, da me sopra messein evidenza, da una parte ci spieghino tutta la filosofiavichiana, e dall'altra diano al pensiero di Vico quella og-gettività idealistica, che veniamo scoprendo propriocome caratteristica del pensiero italiano, a me par chia-ro.

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seologismo, la cui deficienza il Vico aveva invece giàintravista.

In breve, l'ontologismo, che pervade la filosofia ita-liana dal primissimo Rinascimento a Vico, lungidall'essere un motivo di inferiorità e falsità della nostraspeculazione di fronte al rimanente pensiero europeocontemporaneo e successivo, è invece motivo di profon-da vitalità, che dà, schietta e non turbata da soggettivi-smo, quella che è la conquista della filosofia moderna(cfr. Introd.).

Quando questo si veda, si andrà molto più profondonell'intendere la geniale intuizione vichiana del verumcome factum: si vedrà il factum come storia, e la verità,e soltanto la verità, come la categoria propria della sto-ria.

E si vedrà anche il progresso che, pur anzi proprio colsuo platonismo, Vico fa fare alla soluzione del problemadell'essere: l'Artefice interno del Bruno, riconosciutonella Idea platonica, come essenza che è, ma non ci è, ciporta molto vicini a vedere, nell'Oggetto, l'Assoluto im-manente a tutti i soggetti, che invece ci sono. Che que-sto già distintamente veda il Vico, certo io non sostengo;ma che quelle due esplicite scoperte, da me sopra messein evidenza, da una parte ci spieghino tutta la filosofiavichiana, e dall'altra diano al pensiero di Vico quella og-gettività idealistica, che veniamo scoprendo propriocome caratteristica del pensiero italiano, a me par chia-ro.

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Il Vico vero, dunque, (si intende, il Vico filosofo, nonil Vico persona storica che a noi qui non interessa) senon è (e non è certo) colui che smette dal commentareGrozio “sulla riflessione che non conveniva ad uom cat-tolico di religione adornare di note opera di auttore ere-tico” (Autobiografia, 1911, p. 39), non è neppure il pri-mo affermatore di quel soggettivismo umanistico, cheha “come pura esigenza del suo pensiero quella di nonfar creare misteriosamente l'uomo da Dio, ma, razional-mente, Dio dall'uomo” (Gentile, op. cit., pag. 48).

L'uomo secondo Vico crea le religioni e i loro miticiDei, non Dio; anche perchè Dio è presupposto da quellaumana creazione.

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Il Vico vero, dunque, (si intende, il Vico filosofo, nonil Vico persona storica che a noi qui non interessa) senon è (e non è certo) colui che smette dal commentareGrozio “sulla riflessione che non conveniva ad uom cat-tolico di religione adornare di note opera di auttore ere-tico” (Autobiografia, 1911, p. 39), non è neppure il pri-mo affermatore di quel soggettivismo umanistico, cheha “come pura esigenza del suo pensiero quella di nonfar creare misteriosamente l'uomo da Dio, ma, razional-mente, Dio dall'uomo” (Gentile, op. cit., pag. 48).

L'uomo secondo Vico crea le religioni e i loro miticiDei, non Dio; anche perchè Dio è presupposto da quellaumana creazione.

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CAPO IVLA CRITICA.

21. Originalità e insufficienza di Cartesio.

Tra il culminare dell'uno e il culminare dell'altro deidue caratteristici movimenti spirituali italiani, v'è un av-venimento decisivo per l'umana filosofia: la Critica.

Pure questa fondamentale scoperta, dalla quale la me-tafisica è posta su nuove vie, o meglio è portata final-mente a riconoscere la via che batte, questa scoperta,che la filosofia fa di se stessa, ha segnato anche come unmomento d'arresto di fronte alla soluzione del problemaoggettivo della filosofia stessa: momento d'arresto, do-vuto al mancato riconoscimento della scoperta già fattain Italia.

Scoprire insito nelle cose l'Artefice interno comemente, scoprire poi nella stessa mente a noi insita tale

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CAPO IVLA CRITICA.

21. Originalità e insufficienza di Cartesio.

Tra il culminare dell'uno e il culminare dell'altro deidue caratteristici movimenti spirituali italiani, v'è un av-venimento decisivo per l'umana filosofia: la Critica.

Pure questa fondamentale scoperta, dalla quale la me-tafisica è posta su nuove vie, o meglio è portata final-mente a riconoscere la via che batte, questa scoperta,che la filosofia fa di se stessa, ha segnato anche come unmomento d'arresto di fronte alla soluzione del problemaoggettivo della filosofia stessa: momento d'arresto, do-vuto al mancato riconoscimento della scoperta già fattain Italia.

Scoprire insito nelle cose l'Artefice interno comemente, scoprire poi nella stessa mente a noi insita tale

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artefice interno del nostro fare, considerare quindi noiproprio come agenti e non come passivi recipienti di va-lore spirituale, è quel che noi dicemmo (Introd.) scoprirela verità immanente alla certezza, e non posta di là daquesta e così irraggiungibile. Ma di aver scoperta questaimmanenza, il pensiero filosofico anche italiano non siaccorse.

Della mancanza di tale accorgimento risentì il proble-ma dell'origine della certezza.

Questo non aveva ragion di nascere, finchè il cono-scere era basato sull'autorità divina od umana. Si eracerti, perchè altri ce lo assicurava: Dio o un altro uomo.Ma, constatato l'errore nell'autorità (nella Bibbia, in Ari-stotele), ci si persuade, che può esser vero ciò di cuisiam certi, anche contro ciò che l'autorità ci assicura. Esi domanda quindi: Donde questa nostra persuasione,questa nostra certezza, questo nostro coraggio di rove-sciare le autorità? Chè, con l'errore, cade necessaria-mente anche l'autorità che vi incorre.

Noi in Italia avevamo baldanzosamente affermata laverità nuova, senza darci gran pena del problema chetale affermazione imponeva: la giustificazione di questanostra nuova certezza e quindi di ogni certezza. Sentì ilproblema Cartesio, è questo il suo grande merito; ma losentì quasi indipendentemente da questa verità nuova. Ilcapovolgimento del mosso e dell'immoto, l'infinità deimondi, l'interiorità del principio universale dell'esseresono motivi che quasi non risuonano in Cartesio. Questi,come filosofo, si fermò al metodo: non intese che pro-

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artefice interno del nostro fare, considerare quindi noiproprio come agenti e non come passivi recipienti di va-lore spirituale, è quel che noi dicemmo (Introd.) scoprirela verità immanente alla certezza, e non posta di là daquesta e così irraggiungibile. Ma di aver scoperta questaimmanenza, il pensiero filosofico anche italiano non siaccorse.

Della mancanza di tale accorgimento risentì il proble-ma dell'origine della certezza.

Questo non aveva ragion di nascere, finchè il cono-scere era basato sull'autorità divina od umana. Si eracerti, perchè altri ce lo assicurava: Dio o un altro uomo.Ma, constatato l'errore nell'autorità (nella Bibbia, in Ari-stotele), ci si persuade, che può esser vero ciò di cuisiam certi, anche contro ciò che l'autorità ci assicura. Esi domanda quindi: Donde questa nostra persuasione,questa nostra certezza, questo nostro coraggio di rove-sciare le autorità? Chè, con l'errore, cade necessaria-mente anche l'autorità che vi incorre.

Noi in Italia avevamo baldanzosamente affermata laverità nuova, senza darci gran pena del problema chetale affermazione imponeva: la giustificazione di questanostra nuova certezza e quindi di ogni certezza. Sentì ilproblema Cartesio, è questo il suo grande merito; ma losentì quasi indipendentemente da questa verità nuova. Ilcapovolgimento del mosso e dell'immoto, l'infinità deimondi, l'interiorità del principio universale dell'esseresono motivi che quasi non risuonano in Cartesio. Questi,come filosofo, si fermò al metodo: non intese che pro-

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blema di metodo il suo non era, e che il nuovo problemametafisico dell'essere, che la sua indagine presuppone-va, quantunque esplicitamente proposto non fosse anco-ra stato, pure aveva avuto, indiretta e implicita, una so-luzione: la soluzione idealistica italiana, che richiedevacome suo essenziale carattere l'immanentismo. Il pen-siero italiano aveva già conquistata ed attuata la veritànuova, fisica e metafisica: Cartesio ne pose il problemaconoscitivo. Più che questo nuovo empito di verità, suacura è di togliere la causa dell'errore, ricercando e ritro-vando il principio di certezza, quasi voglia ridareall'autorità, scossa dall'errore, il suo prestigio. L'uomocartesiano non ha che da tenere aperti gli occhi dellamente, per essere nel vero, che, chiaro e distinto, è in luicome orma impressa dal di fuori (idee innate). La veritàè tutta analitica (chiara e distinta) come la matematica.Quanta distanza dell'eroico furore di Bruno! Cartesionon sentì l'immanentismo italiano; e perciò egli, purdopo Bruno, presuppose dogmaticamente, da una parte,il trascendente Dio personale della tradizione razionalee rivelata, e, dall'altra, la res extensa, cui niun arteficeinterno muove e vivifica4. Si è quasi risaliti dal Rinasci-

4 Non ignoro l'interpretazione, che del Cartesio già aveva data(Cartesio, 1934) e ora riprende con un altro grosso volume (La fi-losofia di Descartes, 1937), l'Olgiati, il solerte storico della filo-sofia moderna della Università italiana del Sacro Cuore. Mi di-spiace di dover notare che la tesi dell'Olgiati, che, cioè la filosofiadi Cartesio presupponga, da parte di Cartesio, una esplicita con-cezione nuova della realtà, come fenomeno della ragione, sia o mi

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blema di metodo il suo non era, e che il nuovo problemametafisico dell'essere, che la sua indagine presuppone-va, quantunque esplicitamente proposto non fosse anco-ra stato, pure aveva avuto, indiretta e implicita, una so-luzione: la soluzione idealistica italiana, che richiedevacome suo essenziale carattere l'immanentismo. Il pen-siero italiano aveva già conquistata ed attuata la veritànuova, fisica e metafisica: Cartesio ne pose il problemaconoscitivo. Più che questo nuovo empito di verità, suacura è di togliere la causa dell'errore, ricercando e ritro-vando il principio di certezza, quasi voglia ridareall'autorità, scossa dall'errore, il suo prestigio. L'uomocartesiano non ha che da tenere aperti gli occhi dellamente, per essere nel vero, che, chiaro e distinto, è in luicome orma impressa dal di fuori (idee innate). La veritàè tutta analitica (chiara e distinta) come la matematica.Quanta distanza dell'eroico furore di Bruno! Cartesionon sentì l'immanentismo italiano; e perciò egli, purdopo Bruno, presuppose dogmaticamente, da una parte,il trascendente Dio personale della tradizione razionalee rivelata, e, dall'altra, la res extensa, cui niun arteficeinterno muove e vivifica4. Si è quasi risaliti dal Rinasci-

4 Non ignoro l'interpretazione, che del Cartesio già aveva data(Cartesio, 1934) e ora riprende con un altro grosso volume (La fi-losofia di Descartes, 1937), l'Olgiati, il solerte storico della filo-sofia moderna della Università italiana del Sacro Cuore. Mi di-spiace di dover notare che la tesi dell'Olgiati, che, cioè la filosofiadi Cartesio presupponga, da parte di Cartesio, una esplicita con-cezione nuova della realtà, come fenomeno della ragione, sia o mi

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mento al vecchio platonismo da una parte, e alla scola-stica dall'altra, pur con tutto il merito di aver posto quelproblema, la cui soluzione era soltanto implicita nel Ri-nascimento. Questo presupposto dogmatico della tra-scendenza dello spirito e della materia vizia tutto l'argo-mentare cartesiano, e rende insolubile quel circolo vi-zioso che gli fu rimproverato.

Questo circolo rende assurda la soluzione del proble-ma proposto. Perchè Cartesio fosse nel vero, avrebbedovuto saper dare alla soluzione bruniana del problemametafisico l'impostazione gnoseologica e direi spiritualeche a quella soluzione mancava.

22. Originalità e insufficienza di Kant.

Ma a questa soluzione mancava quella impostazione,ed a Cartesio mancò l'accorgimento di dargliela, perchènon era stato posto ancora il problema stesso della filo-

paia destituita di fondamento. Tutto l'argomentare dell'Olgiati èfondato sulla dottrina cartesiana che l'idea è, anch'essa, una realtà,e sulla opinione olgiatiana che l'idea della ragione sia soltanto unfenomeno. Donde l'interpretazione del Cartesianesimo come «fe-nomenismo razionalistico». Anche senza fermarsi sulla discutibi-lissima opinione dell'Olgiati, basta riflettere a quell'“anch'essa”,ch'io ad arte ho aggiunto alla presentazione olgiatiana della dottri-na cartesiana dell'idea, per vedere come Cartesio non riduca larealtà all'idea. E senza questa riduzione il fenomenismo razionali-stico resta una affermazione ingiustificata.

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mento al vecchio platonismo da una parte, e alla scola-stica dall'altra, pur con tutto il merito di aver posto quelproblema, la cui soluzione era soltanto implicita nel Ri-nascimento. Questo presupposto dogmatico della tra-scendenza dello spirito e della materia vizia tutto l'argo-mentare cartesiano, e rende insolubile quel circolo vi-zioso che gli fu rimproverato.

Questo circolo rende assurda la soluzione del proble-ma proposto. Perchè Cartesio fosse nel vero, avrebbedovuto saper dare alla soluzione bruniana del problemametafisico l'impostazione gnoseologica e direi spiritualeche a quella soluzione mancava.

22. Originalità e insufficienza di Kant.

Ma a questa soluzione mancava quella impostazione,ed a Cartesio mancò l'accorgimento di dargliela, perchènon era stato posto ancora il problema stesso della filo-

paia destituita di fondamento. Tutto l'argomentare dell'Olgiati èfondato sulla dottrina cartesiana che l'idea è, anch'essa, una realtà,e sulla opinione olgiatiana che l'idea della ragione sia soltanto unfenomeno. Donde l'interpretazione del Cartesianesimo come «fe-nomenismo razionalistico». Anche senza fermarsi sulla discutibi-lissima opinione dell'Olgiati, basta riflettere a quell'“anch'essa”,ch'io ad arte ho aggiunto alla presentazione olgiatiana della dottri-na cartesiana dell'idea, per vedere come Cartesio non riduca larealtà all'idea. E senza questa riduzione il fenomenismo razionali-stico resta una affermazione ingiustificata.

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sofia come conoscenza assoluta, e cioè tale che non puòripetere da altro il suo valore conoscitivo. Questa cosìsemplice impostazione fu il merito, la cui portata è forseoltre ogni valutazione, di Kant. Ma anche questi nonseppe fare quello che non aveva saputo fare Cartesio.Rimane, sia pure attraverso Hume, sul malfido terrenocartesiano, e perciò anch'egli presuppone da una parte ilconcetto tradizionale di Dio accettato acriticamente,dall'altra una realtà esterna, reale proprio in quantoesterna alla coscienza; e si sdegna contro chi voglia at-tribuirgli una spinoziana immanentistica concezione diDio, una berkeleyana idealistica concezione delle cose.Anch'egli non sente la scoperta italiana. E se Cartesiocade nel circolo riguardo al principio della certezza,Kant cade nella contraddizione dell'essere in sè, che èinsieme noumenico e cioè idealistico, trascendente ecioè realistico.

23. Genesi di tali insufficienze

Il circolo cartesiano e la contraddizione kantiana di-pendono da questo:

Da una parte l'esplicita impostazione e la soluzionedel problema metodologico e del problema gnoseologi-co importavano l'accettazione esplicita di quella che di-cemmo scoperta del pensiero filosofico del Rinascimen-to: l'esigenza idealistica platonica riaffermata nella sua

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sofia come conoscenza assoluta, e cioè tale che non puòripetere da altro il suo valore conoscitivo. Questa cosìsemplice impostazione fu il merito, la cui portata è forseoltre ogni valutazione, di Kant. Ma anche questi nonseppe fare quello che non aveva saputo fare Cartesio.Rimane, sia pure attraverso Hume, sul malfido terrenocartesiano, e perciò anch'egli presuppone da una parte ilconcetto tradizionale di Dio accettato acriticamente,dall'altra una realtà esterna, reale proprio in quantoesterna alla coscienza; e si sdegna contro chi voglia at-tribuirgli una spinoziana immanentistica concezione diDio, una berkeleyana idealistica concezione delle cose.Anch'egli non sente la scoperta italiana. E se Cartesiocade nel circolo riguardo al principio della certezza,Kant cade nella contraddizione dell'essere in sè, che èinsieme noumenico e cioè idealistico, trascendente ecioè realistico.

23. Genesi di tali insufficienze

Il circolo cartesiano e la contraddizione kantiana di-pendono da questo:

Da una parte l'esplicita impostazione e la soluzionedel problema metodologico e del problema gnoseologi-co importavano l'accettazione esplicita di quella che di-cemmo scoperta del pensiero filosofico del Rinascimen-to: l'esigenza idealistica platonica riaffermata nella sua

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oggettività dopo la cristiana valorizzazione dei soggetti:oggettività ideale intima ai soggetti, e perciò costitutivadella realtà in sè. In tanto è possibile con Cartesio porreil “cogito” con le esigenze sue come principio metodo-logico, in quanto si presupponga tale interiorità dell'“esse” oggettivo al “cogito” soggettivo, si presuppongatale interiorità come una ineliminabile esigenza dellostesso cogito. Senza tale interiorità non solo non si puòcapire il cogito come principio di certezza, ma ancormeno si può capire l'argomento ontologico cartesiano.

E così la stessa accettazione era richiesta dalla posi-zione e soluzione del problema critico come indaginesulla possibilità della filosofia e cioè della coscienzadell'essere in sè. In tanto è possibile con Kant concederealla ragione la capacità di istituire tale Critica, in quantosi presuppone che l'oggettività della ragione sia capacedi soddisfare appieno le esigenze ontologiche della co-scienza. Senza questo presupposto la ragione non puòistituire la Critica: la Critica vera e sostanziale la fareb-be sempre quell'essere in sè, che, presupposto fuori dellaragione, denunzierebbe il chiudersi in sè della ragionecome fittizio e falsificatore. Quindi anche il riconosci-mento dei propri limiti, in questo chiudersi in sè dellaragione, che è la soluzione kantiana del posto problema,presuppone quella accettazione. E, presupposta questa,l'essenza fondamentale della Critica non starebbe più nènella inconoscibilità della cosa in sè, nè nell'origine evalore soggettivi delle categorie intellettive e delle ideerazionali, ma bensì nella oggettività dell'intelletto costi-

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oggettività dopo la cristiana valorizzazione dei soggetti:oggettività ideale intima ai soggetti, e perciò costitutivadella realtà in sè. In tanto è possibile con Cartesio porreil “cogito” con le esigenze sue come principio metodo-logico, in quanto si presupponga tale interiorità dell'“esse” oggettivo al “cogito” soggettivo, si presuppongatale interiorità come una ineliminabile esigenza dellostesso cogito. Senza tale interiorità non solo non si puòcapire il cogito come principio di certezza, ma ancormeno si può capire l'argomento ontologico cartesiano.

E così la stessa accettazione era richiesta dalla posi-zione e soluzione del problema critico come indaginesulla possibilità della filosofia e cioè della coscienzadell'essere in sè. In tanto è possibile con Kant concederealla ragione la capacità di istituire tale Critica, in quantosi presuppone che l'oggettività della ragione sia capacedi soddisfare appieno le esigenze ontologiche della co-scienza. Senza questo presupposto la ragione non puòistituire la Critica: la Critica vera e sostanziale la fareb-be sempre quell'essere in sè, che, presupposto fuori dellaragione, denunzierebbe il chiudersi in sè della ragionecome fittizio e falsificatore. Quindi anche il riconosci-mento dei propri limiti, in questo chiudersi in sè dellaragione, che è la soluzione kantiana del posto problema,presuppone quella accettazione. E, presupposta questa,l'essenza fondamentale della Critica non starebbe più nènella inconoscibilità della cosa in sè, nè nell'origine evalore soggettivi delle categorie intellettive e delle ideerazionali, ma bensì nella oggettività dell'intelletto costi-

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tutiva, con le categorie, della legalità del mondo e nellaoggettività della ragione costitutiva, con le idee,dell'essere in sè. In tale essenza del kantismo l'esigenzadella coscienza sarebbe soddisfatta appieno dalla suapropria oggettività e non esigerebbe un'altra oggettivitàche fosse quella reale: l'oggettività intellettiva costitui-rebbe la realtà fenomenica naturale, l'oggettività razio-nale invece costituirebbe la realtà in sè spirituale.

Quando, adunque, cartesianesimo e kantismo avesse-ro esplicitamente professata la scoperta idealistica delRinascimento, avrebbero da una parte confortata questadi una esplicita dimostrazione, ed avrebbero, dall'altra,evitato l'uno il suo psicologismo e l'altro il suo agnosti-cismo o scetticismo.

E invece, per l'assenza di quel riconoscimento, nelcogito cartesiano l'oggettività della coscienza del sog-getto si risolve in un inesplicabile riferimento a qualcosache non è nel cogito, a cominciare da Dio stesso. Il co-gito resta chiuso così nella sua esigenza puramente psi-cologica, rinnega se stesso come cogito, e diviene inca-pace di soddisfare con la propria oggettività l'esigenzadel “qualcosa” presupposto come il vero reale, il verooggetto.

E così anche la sintesi a priori kantiana, per la man-canza di quel riconoscimento, si limita strettamente allaconoscenza umana in quanto tale, e pone assolutamentefuori di questa la vera e propria conoscenza costitutivadelle cose: conoscenza creativa divina e conoscenzaumana diventano assolutamente eterogenee. Quindi la

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tutiva, con le categorie, della legalità del mondo e nellaoggettività della ragione costitutiva, con le idee,dell'essere in sè. In tale essenza del kantismo l'esigenzadella coscienza sarebbe soddisfatta appieno dalla suapropria oggettività e non esigerebbe un'altra oggettivitàche fosse quella reale: l'oggettività intellettiva costitui-rebbe la realtà fenomenica naturale, l'oggettività razio-nale invece costituirebbe la realtà in sè spirituale.

Quando, adunque, cartesianesimo e kantismo avesse-ro esplicitamente professata la scoperta idealistica delRinascimento, avrebbero da una parte confortata questadi una esplicita dimostrazione, ed avrebbero, dall'altra,evitato l'uno il suo psicologismo e l'altro il suo agnosti-cismo o scetticismo.

E invece, per l'assenza di quel riconoscimento, nelcogito cartesiano l'oggettività della coscienza del sog-getto si risolve in un inesplicabile riferimento a qualcosache non è nel cogito, a cominciare da Dio stesso. Il co-gito resta chiuso così nella sua esigenza puramente psi-cologica, rinnega se stesso come cogito, e diviene inca-pace di soddisfare con la propria oggettività l'esigenzadel “qualcosa” presupposto come il vero reale, il verooggetto.

E così anche la sintesi a priori kantiana, per la man-canza di quel riconoscimento, si limita strettamente allaconoscenza umana in quanto tale, e pone assolutamentefuori di questa la vera e propria conoscenza costitutivadelle cose: conoscenza creativa divina e conoscenzaumana diventano assolutamente eterogenee. Quindi la

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sintesi a priori kantiana, se può, alla meglio e certo nonradicalmente, escludere in particolare quel riferimentoal qualcosa reale che non è l'oggetto stesso di coscienza,lo lascia sussistere in generale proprio per affermar diquel qualcosa la estraneità alla conoscenza, la cosiddettainconoscibilità della cosa in sè. L'oggettività di coscien-za deve quindi limitarsi ad una, anch'essa inesplicata edinesplicabile, oggettività fenomenica.

L'oggettivismo di coscienza, quindi, diventa psicolo-gismo in Cartesio; agnosticismo, se non scetticismo inKant. Psicologismo e agnosticismo, che non possono es-sere corretti nè dalla cartesiana veracità divina, nè dallekantiane esigenze della ragione pratica, se prima non èradicalmente tolta la ragione da cui essi nascono, e cioèla trascendenza della esistenza alla coscienza in genere,e la trascendenza della coscienza divina alla coscienzaumana, e cioè se prima non è riconosciuta esplicitamen-te la scoperta idealistica del nostro Rinascimento.

Una teoria ed una critica della conoscenza, quali Car-tesio e Kant vollero fare, perchè non cadessero in merosoggettismo umanistico, dovevano partire da tale sco-perta e quindi anche dal carattere immanentistico diessa. A dover riconoscere questo carattere infatti basta,ed è essenziale, riconoscere valore all'oggettività di co-scienza.

Infatti tale riconoscimento esclude ogni altra oggetti-vità: questa sopprimerebbe quella come oggettività.Questo forse aveva capito molto più profondamente ilnostro Bruno che non Cartesio e Kant. I quali volevano

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sintesi a priori kantiana, se può, alla meglio e certo nonradicalmente, escludere in particolare quel riferimentoal qualcosa reale che non è l'oggetto stesso di coscienza,lo lascia sussistere in generale proprio per affermar diquel qualcosa la estraneità alla conoscenza, la cosiddettainconoscibilità della cosa in sè. L'oggettività di coscien-za deve quindi limitarsi ad una, anch'essa inesplicata edinesplicabile, oggettività fenomenica.

L'oggettivismo di coscienza, quindi, diventa psicolo-gismo in Cartesio; agnosticismo, se non scetticismo inKant. Psicologismo e agnosticismo, che non possono es-sere corretti nè dalla cartesiana veracità divina, nè dallekantiane esigenze della ragione pratica, se prima non èradicalmente tolta la ragione da cui essi nascono, e cioèla trascendenza della esistenza alla coscienza in genere,e la trascendenza della coscienza divina alla coscienzaumana, e cioè se prima non è riconosciuta esplicitamen-te la scoperta idealistica del nostro Rinascimento.

Una teoria ed una critica della conoscenza, quali Car-tesio e Kant vollero fare, perchè non cadessero in merosoggettismo umanistico, dovevano partire da tale sco-perta e quindi anche dal carattere immanentistico diessa. A dover riconoscere questo carattere infatti basta,ed è essenziale, riconoscere valore all'oggettività di co-scienza.

Infatti tale riconoscimento esclude ogni altra oggetti-vità: questa sopprimerebbe quella come oggettività.Questo forse aveva capito molto più profondamente ilnostro Bruno che non Cartesio e Kant. I quali volevano

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dimostrare la validità oggettiva della coscienza, senzaammettere quel carattere immanentistico: era chiudersiin insanabili contraddizioni, che alla lunga si farannocredere esse la stessa realtà, e ci daranno l'aria di specu-lare con una speciale logica, che non dev'essere quellacomune.

Il circolo cartesiano e la contraddizione kantiana di-pendono dunque dal difetto di una consapevolezza pienadi uno sviluppo del nostro Rinascimento. Di questo nonsi era vista l'immanente oggettività.

24. Regresso critico dalla metafisica del Rinasci-mento.

Quindi quello che io dico regresso del problema mo-derno della conoscenza di fronte al problema metafisicodel Rinascimento. L'impostazione esplicita di quello èrimasta inferiore a quella che è implicita nella soluzionedatane dal nostro Rinascimento.

Orbene questa inferiorità fu interpretata da una partecome manchevolezza del Rinascimento, anzichè comeunilateralità della nuova filosofia francese e tedesca, edall'altra come indipendenza del dubbio metodico, dellaCritica, della sintesi a priori, dal pensiero del Rinasci-mento. Quasichè fosse stato possibile porre esplicito ilproblema della certezza senza un preventivo rinnovarsidella coscienza in una nuova metafisica: quel problema

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dimostrare la validità oggettiva della coscienza, senzaammettere quel carattere immanentistico: era chiudersiin insanabili contraddizioni, che alla lunga si farannocredere esse la stessa realtà, e ci daranno l'aria di specu-lare con una speciale logica, che non dev'essere quellacomune.

Il circolo cartesiano e la contraddizione kantiana di-pendono dunque dal difetto di una consapevolezza pienadi uno sviluppo del nostro Rinascimento. Di questo nonsi era vista l'immanente oggettività.

24. Regresso critico dalla metafisica del Rinasci-mento.

Quindi quello che io dico regresso del problema mo-derno della conoscenza di fronte al problema metafisicodel Rinascimento. L'impostazione esplicita di quello èrimasta inferiore a quella che è implicita nella soluzionedatane dal nostro Rinascimento.

Orbene questa inferiorità fu interpretata da una partecome manchevolezza del Rinascimento, anzichè comeunilateralità della nuova filosofia francese e tedesca, edall'altra come indipendenza del dubbio metodico, dellaCritica, della sintesi a priori, dal pensiero del Rinasci-mento. Quasichè fosse stato possibile porre esplicito ilproblema della certezza senza un preventivo rinnovarsidella coscienza in una nuova metafisica: quel problema

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vuole scoprire l'essenza di questo rinnovamento. Maquesta scoperta viene menomata dalla contaminazionedirei del movimento speculativo italiano con quello reli-gioso d'Oltre Alpe. Questo non sente il rinnovamentospeculativo. Crede rinnovare rinnegando millenni di vitaspirituale e non fa che fondare un soggettivismo fideisti-co. La certezza non è riportata alla verità: resta nel suocampo soggettivo. Il cogito di Cartesio, l'io penso diKant risentono di questa soggettività protestante, e perquesto rimane non sentita insoddisfatta l'esigenzadell'oggettività immanente. Il processo spirituale del co-noscere rimane un fatto soggettivo da spiegare in questosuo misterioso riferimento ad un'altra realtà che non siconsustanzia con esso. Ben più pieno era il concetto delconoscere nell'empirismo del Galilei, nel sensismo delTelesio e del Campanella, nel panteismo del Bruno. Lapresenza dell'esigenza oggettiva nel pensiero italiano delRinascimento, lungi dall'essere schietto dogmatismo onaturalismo tradizionale, è la preventiva denunzia deldifetto in cui cadranno il cartesianesimo e la Critica:soggettivismo, che crede di essere compensato dal pro-fessato trascendentismo. Questo carattere di trascenden-za, riconosciuto intrinseco alle stesse dottrine cartesianae kantiana, ci spiega anche, senza imporci il ricorso aldesiderio di quieto vivere, la circospetta umana pruden-za di opinioni in Cartesio, e forse un pò anche in Kant.La loro dottrina, chiusa in un problema di metodo e diconoscenza, non esigeva quel deciso ergersi a sostegnodelle proprie opinioni, conformi o non che fossero al sa-

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vuole scoprire l'essenza di questo rinnovamento. Maquesta scoperta viene menomata dalla contaminazionedirei del movimento speculativo italiano con quello reli-gioso d'Oltre Alpe. Questo non sente il rinnovamentospeculativo. Crede rinnovare rinnegando millenni di vitaspirituale e non fa che fondare un soggettivismo fideisti-co. La certezza non è riportata alla verità: resta nel suocampo soggettivo. Il cogito di Cartesio, l'io penso diKant risentono di questa soggettività protestante, e perquesto rimane non sentita insoddisfatta l'esigenzadell'oggettività immanente. Il processo spirituale del co-noscere rimane un fatto soggettivo da spiegare in questosuo misterioso riferimento ad un'altra realtà che non siconsustanzia con esso. Ben più pieno era il concetto delconoscere nell'empirismo del Galilei, nel sensismo delTelesio e del Campanella, nel panteismo del Bruno. Lapresenza dell'esigenza oggettiva nel pensiero italiano delRinascimento, lungi dall'essere schietto dogmatismo onaturalismo tradizionale, è la preventiva denunzia deldifetto in cui cadranno il cartesianesimo e la Critica:soggettivismo, che crede di essere compensato dal pro-fessato trascendentismo. Questo carattere di trascenden-za, riconosciuto intrinseco alle stesse dottrine cartesianae kantiana, ci spiega anche, senza imporci il ricorso aldesiderio di quieto vivere, la circospetta umana pruden-za di opinioni in Cartesio, e forse un pò anche in Kant.La loro dottrina, chiusa in un problema di metodo e diconoscenza, non esigeva quel deciso ergersi a sostegnodelle proprie opinioni, conformi o non che fossero al sa-

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pere accettato e sancito come razionale o divino, nonesigeva il bruniano eroico furore, dal cui temerario“troppo ardimento” c'era da aspettarsi ogni duolo. Carte-sio, superbo di dimostrare col suo metodo, con matema-tica ineccepibilità, la verità fisica e metafisica, era con-tento di poter fare ciò proprio per lo stesso contenuto diverità che la tradizione gli tramandava. Il rifugio provvi-sorio nelle avite leggi del costume e della religione sipresenta come la stabile casa che egli crede aver costrui-to ex novo. Tanto imprudente nel proclamare di averrealmente dubitato di tutto che fino a lui pensato si fos-se, quanto facile nel presentare come indubitabile veritàconcetti dogmatici tradizionali. Audace senza dubbioKant nel proclamare l'autonomia morale, ma prudentetroppo, e ignaro dell'intima esigenza della sua dottrina,nell'inveire contro l'empietà di Spinoza per il vero o pre-teso panteismo implicito nel pensiero di lui.

Con l'affermarsi della Critica, dunque, noi siamo nelcammino speculativo a questo punto: posizione del pro-blema critico della conoscenza dell'essere in sè, posizio-ne determinata dal rinnovarsi del sapere fisico e metafi-sico specialmente in Italia; ma disconoscimento dellafondamentale esigenza idealistica dell'oggettività, laquale esigenza soltanto aveva reso possibile quel rinno-vamento. Disconoscimento, quindi, anche della imma-nenza (panteismo) implicita a quella esigenza, e ritornoal concetto tradizionale della trascendenza, il quale rin-negava e quel rinnovamento e la posizione stessa delproblema critico.

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pere accettato e sancito come razionale o divino, nonesigeva il bruniano eroico furore, dal cui temerario“troppo ardimento” c'era da aspettarsi ogni duolo. Carte-sio, superbo di dimostrare col suo metodo, con matema-tica ineccepibilità, la verità fisica e metafisica, era con-tento di poter fare ciò proprio per lo stesso contenuto diverità che la tradizione gli tramandava. Il rifugio provvi-sorio nelle avite leggi del costume e della religione sipresenta come la stabile casa che egli crede aver costrui-to ex novo. Tanto imprudente nel proclamare di averrealmente dubitato di tutto che fino a lui pensato si fos-se, quanto facile nel presentare come indubitabile veritàconcetti dogmatici tradizionali. Audace senza dubbioKant nel proclamare l'autonomia morale, ma prudentetroppo, e ignaro dell'intima esigenza della sua dottrina,nell'inveire contro l'empietà di Spinoza per il vero o pre-teso panteismo implicito nel pensiero di lui.

Con l'affermarsi della Critica, dunque, noi siamo nelcammino speculativo a questo punto: posizione del pro-blema critico della conoscenza dell'essere in sè, posizio-ne determinata dal rinnovarsi del sapere fisico e metafi-sico specialmente in Italia; ma disconoscimento dellafondamentale esigenza idealistica dell'oggettività, laquale esigenza soltanto aveva reso possibile quel rinno-vamento. Disconoscimento, quindi, anche della imma-nenza (panteismo) implicita a quella esigenza, e ritornoal concetto tradizionale della trascendenza, il quale rin-negava e quel rinnovamento e la posizione stessa delproblema critico.

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Questo l'idealismo trascendentale di Kant.

25. L'immanentismo soggettivo dell'idealismo te-desco post-kantiano.

Ma conservare l'idealismo anche soltanto trascenden-tale, conservando insieme la trascendenza teistica e rea-listica, non parve possibile: l'uno o l'altra doveva essereabbandonata. E si sa il superbo sforzo di speculazionefatto dal pensiero tedesco per eliminare la trascendenza.

Ma fu, e doveva essere, questa, fatta dalla speculazio-ne tedesca, una falsa eliminazione: l'idealismo rimasetrascendentale, non ostante che tale trascendentalità erarichiesta proprio da quella trascendenza che l'idealismopost-kantiano voleva negare. Un idealismo conquistatoed affermato indipendentemente dall'immanentismo,qual era l'idealismo di Kant, pone o presuppone sin daprincipio l'idea o come puro prodotto, o come limitedell'attività soggettiva, di fronte alla quale la realtà nonsoggettiva conserverà sempre il suo valore, e, negata, sivendicherà portando la stessa negazione nella attivitàsoggettiva. È tutta qui l'essenza del processo idealisticopost-kantiano tedesco da Reinhold ad Hegel. Ed è tuttoqui non il valore bensì l'errore, da cui è pervasa la filo-sofia moderna, quando si riconosce assoluto soggettivi-smo. Quella oggettività concreta, che abbiamo perdutaquando abbiamo staccato l'idealismo dalla immanenza,

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Questo l'idealismo trascendentale di Kant.

25. L'immanentismo soggettivo dell'idealismo te-desco post-kantiano.

Ma conservare l'idealismo anche soltanto trascenden-tale, conservando insieme la trascendenza teistica e rea-listica, non parve possibile: l'uno o l'altra doveva essereabbandonata. E si sa il superbo sforzo di speculazionefatto dal pensiero tedesco per eliminare la trascendenza.

Ma fu, e doveva essere, questa, fatta dalla speculazio-ne tedesca, una falsa eliminazione: l'idealismo rimasetrascendentale, non ostante che tale trascendentalità erarichiesta proprio da quella trascendenza che l'idealismopost-kantiano voleva negare. Un idealismo conquistatoed affermato indipendentemente dall'immanentismo,qual era l'idealismo di Kant, pone o presuppone sin daprincipio l'idea o come puro prodotto, o come limitedell'attività soggettiva, di fronte alla quale la realtà nonsoggettiva conserverà sempre il suo valore, e, negata, sivendicherà portando la stessa negazione nella attivitàsoggettiva. È tutta qui l'essenza del processo idealisticopost-kantiano tedesco da Reinhold ad Hegel. Ed è tuttoqui non il valore bensì l'errore, da cui è pervasa la filo-sofia moderna, quando si riconosce assoluto soggettivi-smo. Quella oggettività concreta, che abbiamo perdutaquando abbiamo staccato l'idealismo dalla immanenza,

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non ci sarà dato più di ritrovarla, anche quando avremoriattaccata l'immanenza all'idealismo, conservando aquesto il carattere che gli proveniva da quel distacco. Edove l'oggettività non è più trovata, o è trovata come ne-gazione, anche l'immanenza affermata sarà soltanto fitti-zia e artificiosa. L'immanenza che riconquisteremo, nonsarà che una immanenza trascendentale, e cioè soggetti-va, che ci condurrà dritto a ridurre dapprima l'ideadell'essere a vuoto essere eguale alla sua negazione, poila coscienza ad una vuota autocoscienza (molto più vuo-ta dell'identità aristotelica contro la quale la si vuoleadoperare), e in fine a riconoscere in questa autoco-scienza soltanto una negatività (opposizione dialetticahegeliana; lo spirito come negatività). Appunto per que-sto distacco non si poteva, senza contraddirsi, passare,entro il pensiero cartesiano, dal dubbio metodico allametafisica, entro quello kantiano, dalla filosofia scienzaalla filosofia riflessione della coscienza, per il problemainterno, e dalla cosa in sè inconoscibile alla inseità delNoumeno come Oggetto puro per il problema oggettivo.

Perchè si fosse riconquistata l'immanenza, bisognavache prima fosse stato abbandonato quell'arbitrario di-stacco, e fosse stato quindi abbandonato l'idealismo tra-scendentale per quell'idealismo concreto che vedemmoanimare il pensiero del nostro Rinascimento.

Ciò non fu fatto nel processo idealistico che seguì alkantismo nel pensiero tedesco, e se ne ebbero quindi leseguenti conseguenze: abbandono dell'Essere in sè, qua-le, nella sua assoluta oggettività, i soggetti spirituali vi-

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non ci sarà dato più di ritrovarla, anche quando avremoriattaccata l'immanenza all'idealismo, conservando aquesto il carattere che gli proveniva da quel distacco. Edove l'oggettività non è più trovata, o è trovata come ne-gazione, anche l'immanenza affermata sarà soltanto fitti-zia e artificiosa. L'immanenza che riconquisteremo, nonsarà che una immanenza trascendentale, e cioè soggetti-va, che ci condurrà dritto a ridurre dapprima l'ideadell'essere a vuoto essere eguale alla sua negazione, poila coscienza ad una vuota autocoscienza (molto più vuo-ta dell'identità aristotelica contro la quale la si vuoleadoperare), e in fine a riconoscere in questa autoco-scienza soltanto una negatività (opposizione dialetticahegeliana; lo spirito come negatività). Appunto per que-sto distacco non si poteva, senza contraddirsi, passare,entro il pensiero cartesiano, dal dubbio metodico allametafisica, entro quello kantiano, dalla filosofia scienzaalla filosofia riflessione della coscienza, per il problemainterno, e dalla cosa in sè inconoscibile alla inseità delNoumeno come Oggetto puro per il problema oggettivo.

Perchè si fosse riconquistata l'immanenza, bisognavache prima fosse stato abbandonato quell'arbitrario di-stacco, e fosse stato quindi abbandonato l'idealismo tra-scendentale per quell'idealismo concreto che vedemmoanimare il pensiero del nostro Rinascimento.

Ciò non fu fatto nel processo idealistico che seguì alkantismo nel pensiero tedesco, e se ne ebbero quindi leseguenti conseguenze: abbandono dell'Essere in sè, qua-le, nella sua assoluta oggettività, i soggetti spirituali vi-

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vono col loro intelletto, col loro sentimento, colla lorovolontà; conseguente elevazione della soggettività cometale ad Assoluto, e conseguente svanire della pluralità edella relativa attività dei soggetti tra loro.

La storica filosofia italiana, invece, è immune da quelprocesso e da tali conseguenze. La vedremo riprenderela sua via, ponendosi vivamente in lotta contro quel pro-cesso, pur inconsapevole che questo significava tornareall'idealismo del Rinascimento col suo necessario carat-tere immanentistico.

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vono col loro intelletto, col loro sentimento, colla lorovolontà; conseguente elevazione della soggettività cometale ad Assoluto, e conseguente svanire della pluralità edella relativa attività dei soggetti tra loro.

La storica filosofia italiana, invece, è immune da quelprocesso e da tali conseguenze. La vedremo riprenderela sua via, ponendosi vivamente in lotta contro quel pro-cesso, pur inconsapevole che questo significava tornareall'idealismo del Rinascimento col suo necessario carat-tere immanentistico.

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CAP. VL'IDEALISMO DEL RISORGIMENTO.

26. Il Risorgimento italiano.

La filosofia italiana del pieno Risorgimento (primametà dell'800) pare che non abbia legame col pensierodel Rinascimento. Non si vede a prima vista, come pos-sa nascere un Rosmini o un Gioberti da un Bruno; men-tre se ne vede e se ne dimostra la genesi da un Kant o daun Hegel.

Pure, al contrario della filosofia tedesca che non hasentita l'esigenza oggettiva vissuta dal Rinascimento ita-liano, il pensiero del Risorgimento sente vivamente taleesigenza. Ma, appunto in nome di questa, rinnegal'immanenza, che invece conseguiva dalla oggettivitàquale era sentita dal Rinascimento, e contrappone talepropria esigenza oggettiva alla immanenza identificata

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CAP. VL'IDEALISMO DEL RISORGIMENTO.

26. Il Risorgimento italiano.

La filosofia italiana del pieno Risorgimento (primametà dell'800) pare che non abbia legame col pensierodel Rinascimento. Non si vede a prima vista, come pos-sa nascere un Rosmini o un Gioberti da un Bruno; men-tre se ne vede e se ne dimostra la genesi da un Kant o daun Hegel.

Pure, al contrario della filosofia tedesca che non hasentita l'esigenza oggettiva vissuta dal Rinascimento ita-liano, il pensiero del Risorgimento sente vivamente taleesigenza. Ma, appunto in nome di questa, rinnegal'immanenza, che invece conseguiva dalla oggettivitàquale era sentita dal Rinascimento, e contrappone talepropria esigenza oggettiva alla immanenza identificata

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col dialettismo contraddittorio tedesco. Così dai pensa-tori del Risorgimento, non si riconosce la stessa loro esi-genza di oggettività in quelli del Rinascimento, e si ac-cumuna questo col soggettivismo tedesco nascente dallaRiforma.

Perciò la nuova filosofia italiana del Risorgimento ap-pare schierata come contro l'idealismo soggettivo cosìcontro l'immanentismo italiano del Rinascimento. Que-sta apparenza è superficiale, è soltanto apparenza; noicercheremo di andare un po' sotto tal superficie e vedre-mo allora anche questa colorirsi diversamente.

Non facciamo un lavoro storico di esposizione dellafilosofia italiana, e perciò non cercheremo le lontaneorigini di quel moto spirituale, che dicesi Risorgimentoitaliano, e che si suole presentare solo come un grandeevento politico, limitato, anche come politico, alla solanazione italiana, e non avente riflessi con la rimanenteattività spirituale. Che il problema centrale di questomovimento sia quello etico-politico, è vero; ma non perquesto esso si limita solo alla conquista della unità e in-dipendenza d'Italia, e comincia solo quando essa si attuain azione politica. Come del Rinascimento, c'è una pro-fonda anima filosofica anche del Risorgimento. La dif-ferenza tra esse è, più che di tempo, di natura. Io vedosvolgersi la filosofia italiana da Dante in poi intorno adue problemi fondamentali, che naturalmente interferi-scono tra loro, pur prendendo di volta in volta in voltaciascuno un deciso predominio sull'altro: il problemateologico-metafisico (posto da Dante, risoluto da Bruno)

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col dialettismo contraddittorio tedesco. Così dai pensa-tori del Risorgimento, non si riconosce la stessa loro esi-genza di oggettività in quelli del Rinascimento, e si ac-cumuna questo col soggettivismo tedesco nascente dallaRiforma.

Perciò la nuova filosofia italiana del Risorgimento ap-pare schierata come contro l'idealismo soggettivo cosìcontro l'immanentismo italiano del Rinascimento. Que-sta apparenza è superficiale, è soltanto apparenza; noicercheremo di andare un po' sotto tal superficie e vedre-mo allora anche questa colorirsi diversamente.

Non facciamo un lavoro storico di esposizione dellafilosofia italiana, e perciò non cercheremo le lontaneorigini di quel moto spirituale, che dicesi Risorgimentoitaliano, e che si suole presentare solo come un grandeevento politico, limitato, anche come politico, alla solanazione italiana, e non avente riflessi con la rimanenteattività spirituale. Che il problema centrale di questomovimento sia quello etico-politico, è vero; ma non perquesto esso si limita solo alla conquista della unità e in-dipendenza d'Italia, e comincia solo quando essa si attuain azione politica. Come del Rinascimento, c'è una pro-fonda anima filosofica anche del Risorgimento. La dif-ferenza tra esse è, più che di tempo, di natura. Io vedosvolgersi la filosofia italiana da Dante in poi intorno adue problemi fondamentali, che naturalmente interferi-scono tra loro, pur prendendo di volta in volta in voltaciascuno un deciso predominio sull'altro: il problemateologico-metafisico (posto da Dante, risoluto da Bruno)

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spesso uso o confuso con quello fisico, e il problemaetico-politico (posto da Marsilio da Padova o dallo stes-so Dante, risoluto da Mazzini). Il primo problema èl'anima del Rinascimento; il secondo è l'anima del Ri-sorgimento. La soluzione del secondo è coerente alla so-luzione del primo; questa coerenza è l'unità della filoso-fia italiana (cfr. cap. VI).

Comunque, questo ora qui non importa. Cerchiamosoltanto di vedere se c'è un idealismo che possa dirsi ita-liano nella pienezza del Risorgimento e quale ne sia ilcarattere. Ricerchiamo ciò nei tre grandi pensatori italia-ni del pieno Risorgimento: Rosmini, Gioberti, Mazzini.

27. L'idealismo rosminiano come solutore del pro-blema del principio della conoscenza.

Rosmini ritiene sè antikantiano, anticritico per eccel-lenza; ed invece è stato poi giudicato non senza ragione,il Kant d'Italia.

Egli ha comune con Kant il problema della conoscen-za come fondamento per risolvere il problema metafisi-co. Egli sente e riconosce la legittimità del problema po-sto da Cartesio e risoluto da Kant.

Mentre in Kant però tal problema prende la forma cri-tica, cioè investe la possibilità stessa della filosofiacome assoluta scienza, in Rosmini prende ancora la for-ma di ricerca della origine delle idee. Dal primo e fon-

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spesso uso o confuso con quello fisico, e il problemaetico-politico (posto da Marsilio da Padova o dallo stes-so Dante, risoluto da Mazzini). Il primo problema èl'anima del Rinascimento; il secondo è l'anima del Ri-sorgimento. La soluzione del secondo è coerente alla so-luzione del primo; questa coerenza è l'unità della filoso-fia italiana (cfr. cap. VI).

Comunque, questo ora qui non importa. Cerchiamosoltanto di vedere se c'è un idealismo che possa dirsi ita-liano nella pienezza del Risorgimento e quale ne sia ilcarattere. Ricerchiamo ciò nei tre grandi pensatori italia-ni del pieno Risorgimento: Rosmini, Gioberti, Mazzini.

27. L'idealismo rosminiano come solutore del pro-blema del principio della conoscenza.

Rosmini ritiene sè antikantiano, anticritico per eccel-lenza; ed invece è stato poi giudicato non senza ragione,il Kant d'Italia.

Egli ha comune con Kant il problema della conoscen-za come fondamento per risolvere il problema metafisi-co. Egli sente e riconosce la legittimità del problema po-sto da Cartesio e risoluto da Kant.

Mentre in Kant però tal problema prende la forma cri-tica, cioè investe la possibilità stessa della filosofiacome assoluta scienza, in Rosmini prende ancora la for-ma di ricerca della origine delle idee. Dal primo e fon-

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damentale “Saggio” fino alla postuma, ricca e profonda,“Teosofia”, il problema rimane in quella forma, antiqua-ta certo per un verso riguardo alla originalità e profondi-tà della Critica, ma forse più concreta per un altro:nell'idea, fin dalla prima impostazione del problema, c'èun sostanziale valore, di essere. L'idea rosminiana è benlungi da quella negazione (schietto, puntuale, passivomutamento), che in essa aveva visto Berkeley, e da quel-la entità puramente soggettiva, che rimarrà poi per tuttala più vitale filosofia europea non italiana. L'essere he-geliano è astrattissimo, è quindi non essere proprio per-chè idea, e l'idea dell'essere è quindi la somma astrazio-ne: è schietta soggettività, e perciò non essere che si rea-lizza nel divenire proprio col riconoscimento del proprionon essere reale. Siamo su tutt'altro terreno con l'ideadell'essere rosminiano, la quale è lo stesso essere ogget-tivo. Già con l'impostazione siamo decisamente fuoridella soggettività del Cartesianesimo, della Critica edell'idealismo tedesco, che al tempo di Rosmini si eragià nettamente delineato come sviluppo soggettivisticodella Critica. E siamo fuori, senza che per questo la co-noscenza umana abbia bisogno di estraneo fondamentoe principio; che anzi solo questo ontologismo dell'ideacome tale fonda e giustifica la validità oggettivadell'umano conoscere.

Così Rosmini, mentre sfugge al soggettivismo ideali-stico nato da Kant in Germania, non è per questo co-stretto a rinnegare il carattere attivo, che Kant dà al co-noscere: come per Kant, così anche per il Rosmini il co-

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damentale “Saggio” fino alla postuma, ricca e profonda,“Teosofia”, il problema rimane in quella forma, antiqua-ta certo per un verso riguardo alla originalità e profondi-tà della Critica, ma forse più concreta per un altro:nell'idea, fin dalla prima impostazione del problema, c'èun sostanziale valore, di essere. L'idea rosminiana è benlungi da quella negazione (schietto, puntuale, passivomutamento), che in essa aveva visto Berkeley, e da quel-la entità puramente soggettiva, che rimarrà poi per tuttala più vitale filosofia europea non italiana. L'essere he-geliano è astrattissimo, è quindi non essere proprio per-chè idea, e l'idea dell'essere è quindi la somma astrazio-ne: è schietta soggettività, e perciò non essere che si rea-lizza nel divenire proprio col riconoscimento del proprionon essere reale. Siamo su tutt'altro terreno con l'ideadell'essere rosminiano, la quale è lo stesso essere ogget-tivo. Già con l'impostazione siamo decisamente fuoridella soggettività del Cartesianesimo, della Critica edell'idealismo tedesco, che al tempo di Rosmini si eragià nettamente delineato come sviluppo soggettivisticodella Critica. E siamo fuori, senza che per questo la co-noscenza umana abbia bisogno di estraneo fondamentoe principio; che anzi solo questo ontologismo dell'ideacome tale fonda e giustifica la validità oggettivadell'umano conoscere.

Così Rosmini, mentre sfugge al soggettivismo ideali-stico nato da Kant in Germania, non è per questo co-stretto a rinnegare il carattere attivo, che Kant dà al co-noscere: come per Kant, così anche per il Rosmini il co-

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noscere umano è attivo giudizio, che, per essere real-mente attivo, deve essere sintetico, cioè attivamente uni-ficante e non inerte dato mentale analizzato. Rosmini ri-conosce e professa in pieno questa dottrina kantiana delgiudizio; anzi la sua teoria della percezione è tentativodi sviluppo ulteriore di tale attivismo conoscitivo kan-tiano, tentativo inteso a liberare la sintesi da ogni neces-sità di una presupposta analisi, che richiederebbe innatele idee-essenze delle cose. Da questa necessità la dottri-na gnoseologica kantiana non è punto esente.

Rosmini, dunque, tiene conto della esigenza cui lacritica kantiana vuole soddisfare, e perciò ricerca e sta-bilisce il principio intimo della conoscenza, dal qualesoltanto questa può ripetere il suo valore. In Kant questaesigenza di un principio del conoscere intimo al cono-scere non è sufficientemente chiara; e perciò il principiokantiano della conoscenza intellettiva da una parte puòporsi nelle oggettive categorie, che, in quanto concettipuri necessari, costituiscono quella necessitante facoltàdi concepire che è l'intelletto, ne sono la necessaria fun-zione nel suo attivo giudicare creativo dei concetti,dall'altra invece può e deve anzi a maggior ragione porsiin quella coscienza in generale o in quell'“io penso”, checi appare come il vero principio unico delle stesse cate-gorie, le quali così verrebbero a perdere ogni loro neces-sitazione, per assumere la più modesta essenza di arbi-trarie creazioni dell'io che pensa. Se l'io è libero, e le ca-tegorie appartengono a lui, esse non sono più neppurequelle azioni necessarie ammesse dallo stesso Fichte:

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noscere umano è attivo giudizio, che, per essere real-mente attivo, deve essere sintetico, cioè attivamente uni-ficante e non inerte dato mentale analizzato. Rosmini ri-conosce e professa in pieno questa dottrina kantiana delgiudizio; anzi la sua teoria della percezione è tentativodi sviluppo ulteriore di tale attivismo conoscitivo kan-tiano, tentativo inteso a liberare la sintesi da ogni neces-sità di una presupposta analisi, che richiederebbe innatele idee-essenze delle cose. Da questa necessità la dottri-na gnoseologica kantiana non è punto esente.

Rosmini, dunque, tiene conto della esigenza cui lacritica kantiana vuole soddisfare, e perciò ricerca e sta-bilisce il principio intimo della conoscenza, dal qualesoltanto questa può ripetere il suo valore. In Kant questaesigenza di un principio del conoscere intimo al cono-scere non è sufficientemente chiara; e perciò il principiokantiano della conoscenza intellettiva da una parte puòporsi nelle oggettive categorie, che, in quanto concettipuri necessari, costituiscono quella necessitante facoltàdi concepire che è l'intelletto, ne sono la necessaria fun-zione nel suo attivo giudicare creativo dei concetti,dall'altra invece può e deve anzi a maggior ragione porsiin quella coscienza in generale o in quell'“io penso”, checi appare come il vero principio unico delle stesse cate-gorie, le quali così verrebbero a perdere ogni loro neces-sitazione, per assumere la più modesta essenza di arbi-trarie creazioni dell'io che pensa. Se l'io è libero, e le ca-tegorie appartengono a lui, esse non sono più neppurequelle azioni necessarie ammesse dallo stesso Fichte:

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non ci sono più categorie. E per lo stesso Kant invecealle categorie non si può rinunziare senza rinunziare alconoscere (giudicare), giacchè non ci sarebbe più distin-zione tra i concetti puri e i concetti empirici. In Rosminiinvece il principio del conoscere intellettivo è chiaro edunivoco: è l'idea dell'essere. Idea dell'essere, che dàl'oggettività ad ogni atto di conoscenza, che il soggettocompie. Può apparire questo del Rosmini un puro esemplice ritorno ad un dogmatismo realistico precritico:non è per nulla. L'idea dell'essere rosminiana è lo stessoessere ideale nella sua schietta assoluta oggettività, laquale è costitutiva della essenza delle cose, quale, attra-verso le impressioni sensibili e i conseguenti giudizipercettivi, conosciamo.

Che questo essere ideale non sia senz'altro l'essere masolo una forma di questo, che è anche reale e morale,nulla toglie alla sua assolutezza oggettiva e alla sua im-manenza nel conoscere.

Questa idealità dell'essere, che Rosmini trae, è vero,da Platone, ma nello stesso tempo fa sostanza attiva del-lo spirituale conoscere umano, a nostro avviso, nellosvolgersi del problema metafisico, dà al cosiddetto inna-tismo rosminiano una decisa superiorità non solo sulleidee innate cartesiane, che, tutte, anche quella di Dio, ri-mangono pure entità mentali umane passive, ma anchesugli stessi concetti puri a priori kantiani, che, se si sonospogliati del passivo innatismo cartesiano, non hannoveramente guadagnata l'oggettività, essendo essi rimastipura attività soggettiva, al di là della quale rimane una

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non ci sono più categorie. E per lo stesso Kant invecealle categorie non si può rinunziare senza rinunziare alconoscere (giudicare), giacchè non ci sarebbe più distin-zione tra i concetti puri e i concetti empirici. In Rosminiinvece il principio del conoscere intellettivo è chiaro edunivoco: è l'idea dell'essere. Idea dell'essere, che dàl'oggettività ad ogni atto di conoscenza, che il soggettocompie. Può apparire questo del Rosmini un puro esemplice ritorno ad un dogmatismo realistico precritico:non è per nulla. L'idea dell'essere rosminiana è lo stessoessere ideale nella sua schietta assoluta oggettività, laquale è costitutiva della essenza delle cose, quale, attra-verso le impressioni sensibili e i conseguenti giudizipercettivi, conosciamo.

Che questo essere ideale non sia senz'altro l'essere masolo una forma di questo, che è anche reale e morale,nulla toglie alla sua assolutezza oggettiva e alla sua im-manenza nel conoscere.

Questa idealità dell'essere, che Rosmini trae, è vero,da Platone, ma nello stesso tempo fa sostanza attiva del-lo spirituale conoscere umano, a nostro avviso, nellosvolgersi del problema metafisico, dà al cosiddetto inna-tismo rosminiano una decisa superiorità non solo sulleidee innate cartesiane, che, tutte, anche quella di Dio, ri-mangono pure entità mentali umane passive, ma anchesugli stessi concetti puri a priori kantiani, che, se si sonospogliati del passivo innatismo cartesiano, non hannoveramente guadagnata l'oggettività, essendo essi rimastipura attività soggettiva, al di là della quale rimane una

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realtà, che, se si identifica con l'oggettività delle catego-rie, toglie al conoscere categorico il suo attivismo, e, seviene senz'altro negata, porta nella sua negazione anchel'oggettività delle categorie, giacchè queste ripetevanotale oggettività proprio dal dar forma conoscitiva a quel-la realtà. Così l'essere ideale rosminiano, pur col tanto didogmatismo, in cui è ancora chiusa la veramente genialeintuizione rosminiana, soddisfa l'esigenza critica moltopiù profondamente dello stesso criticismo: l'oggettivitàconosciuta, l'essere ideale, è lo stesso essere in sè. Ro-smini ha superato di colpo la contraddizione kantianadella cosa in sè: l'ha superata puramente e semplicemen-te con l'ammettere immanente al conoscere umano, suointimo principio, l'assoluta oggettività dell'essere in sè,che è lo stesso lume dell'intelletto. La coscienza in gene-rale di Kant ha presa, in Rosmini, tutt'altra via chel'egoità pura di Fichte: ha preso quella via che l'ideali-smo della Critica deve prendere, quando questa sia ret-tamente interpretata e quello sia visto nel suo carattereessenziale; quando, cioè, sia tolto quel distacco tra il co-noscere e l'essere, che la semplicistica impostazione car-tesiana del problema del conoscere aveva conservato, eche la critica kantiana avrebbe potuto superare, se aves-se continuato a tener fede al suo proposito di voler finirein una metafisica, e non si fosse invece fermata in sèmedesima.

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realtà, che, se si identifica con l'oggettività delle catego-rie, toglie al conoscere categorico il suo attivismo, e, seviene senz'altro negata, porta nella sua negazione anchel'oggettività delle categorie, giacchè queste ripetevanotale oggettività proprio dal dar forma conoscitiva a quel-la realtà. Così l'essere ideale rosminiano, pur col tanto didogmatismo, in cui è ancora chiusa la veramente genialeintuizione rosminiana, soddisfa l'esigenza critica moltopiù profondamente dello stesso criticismo: l'oggettivitàconosciuta, l'essere ideale, è lo stesso essere in sè. Ro-smini ha superato di colpo la contraddizione kantianadella cosa in sè: l'ha superata puramente e semplicemen-te con l'ammettere immanente al conoscere umano, suointimo principio, l'assoluta oggettività dell'essere in sè,che è lo stesso lume dell'intelletto. La coscienza in gene-rale di Kant ha presa, in Rosmini, tutt'altra via chel'egoità pura di Fichte: ha preso quella via che l'ideali-smo della Critica deve prendere, quando questa sia ret-tamente interpretata e quello sia visto nel suo carattereessenziale; quando, cioè, sia tolto quel distacco tra il co-noscere e l'essere, che la semplicistica impostazione car-tesiana del problema del conoscere aveva conservato, eche la critica kantiana avrebbe potuto superare, se aves-se continuato a tener fede al suo proposito di voler finirein una metafisica, e non si fosse invece fermata in sèmedesima.

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28. L'ontologismo del Gioberti come conferma dell'idealismo rosminiano.

Rosmini si ritiene l'Antikant per eccellenza; Gioberti,invece, l'Anticartesio, e come tale anche l'Antirosmini.

Il cartesianesimo, secondo Gioberti, si risolve in psi-cologismo; or questo affetta ed inficia anche tutta la dot-trina rosminiana. Accettare l'impostazione gnoseologicadel problema metafisico, dare all'essere l'idealità, e que-sta idea dell'essere fare forma e principio della cono-scenza è, per il Gioberti, mettersi in condizione di nonpoter superare lo psicologismo iniziale cartesiano, e ca-dere, attraverso quel razionalismo scettico tedesco cheinvano a parole Rosmini condanna, in quel panteismo,che, se è il risultato logico della riforma protestante, nonpuò essere consentito a chi tenga saldo ai valori morali ealle dottrine essenziali del cristianesimo cattolico. Com-battere Kant accettandone il problema che egli ereditada Cartesio, è, pel Gioberti, porsi sul terreno kantiano ecartesiano, e quindi chiudersi la via all'essere nella suaeffettiva realtà. Bisogna piantarsi subito nel pieno delproblema dell'essere per non vedersi tagliata irremissi-bilmente la via per giungervi.

Così Gioberti disconosce, o par che disconosca, la le-gittimità del problema cartesiano, che pur abbiamo vistoimprescindibile, una volta affermata una verità nuovanegatrice di una precedente creduta verità, anzi implici-tamente posto già e in qualche modo risoluto nella stes-

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28. L'ontologismo del Gioberti come conferma dell'idealismo rosminiano.

Rosmini si ritiene l'Antikant per eccellenza; Gioberti,invece, l'Anticartesio, e come tale anche l'Antirosmini.

Il cartesianesimo, secondo Gioberti, si risolve in psi-cologismo; or questo affetta ed inficia anche tutta la dot-trina rosminiana. Accettare l'impostazione gnoseologicadel problema metafisico, dare all'essere l'idealità, e que-sta idea dell'essere fare forma e principio della cono-scenza è, per il Gioberti, mettersi in condizione di nonpoter superare lo psicologismo iniziale cartesiano, e ca-dere, attraverso quel razionalismo scettico tedesco cheinvano a parole Rosmini condanna, in quel panteismo,che, se è il risultato logico della riforma protestante, nonpuò essere consentito a chi tenga saldo ai valori morali ealle dottrine essenziali del cristianesimo cattolico. Com-battere Kant accettandone il problema che egli ereditada Cartesio, è, pel Gioberti, porsi sul terreno kantiano ecartesiano, e quindi chiudersi la via all'essere nella suaeffettiva realtà. Bisogna piantarsi subito nel pieno delproblema dell'essere per non vedersi tagliata irremissi-bilmente la via per giungervi.

Così Gioberti disconosce, o par che disconosca, la le-gittimità del problema cartesiano, che pur abbiamo vistoimprescindibile, una volta affermata una verità nuovanegatrice di una precedente creduta verità, anzi implici-tamente posto già e in qualche modo risoluto nella stes-

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sa affermazione della verità nuova. Pare quindi che Gio-berti anche più risolutamente e più esplicitamente di Ro-smini tagli i ponti col pensiero italiano del Rinascimen-to, e questo senz'altro connetta e identifichi col condan-nato razionalismo scettico d'Oltrealpe. Quindi il porsicon la sua formula (l'Ente crea l'esistente) in piena meta-fisica, che pare non solo precartesiana ma anche preu-manistica.

E tale invece, si sa, essa non è, quando specialmentela si vede negli sviluppi che ebbe nel tumultuoso e riccomaturarsi del pensiero filosofico del Gioberti, cuil'immatura morte di lui tolse una sistematica organizza-zione. Quell'Ente, dal quale (e non da una pura e sempli-ce possibilità, quale il Gioberti riteneva l'essere idealerosminiano) ogni consapevole ontologismo deve partireper giustificare una conoscenza che tocchi veramente leradici dell'essere, quell'Ente è anzitutto intrinseco allostesso esistente, che ha in esso il suo principio. E sequesto Ente, principio creatore dell'esistente, è principioquindi anche di quel soggetto esistente che tale formulaideale afferma, ed è perciò, come suo principio, intrinse-co ad esso, un tale Ente non è, da una parte, molto lonta-no da quella Mente una, che, come artefice intimo, ilBruno sente palpitare nell'intimo di sè, come in tutti gliinfiniti esseri della natura e nelle diverse forme di attivi-tà di questa; e, dall'altra, non si dissomiglia gran che daquell'Essere ideale rosminiano, se, come Ente, è princi-pio creatore dell'esistente, e non l'esistente. Gioberti nonavrà ragione di rimproverare la schietta possibilità

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sa affermazione della verità nuova. Pare quindi che Gio-berti anche più risolutamente e più esplicitamente di Ro-smini tagli i ponti col pensiero italiano del Rinascimen-to, e questo senz'altro connetta e identifichi col condan-nato razionalismo scettico d'Oltrealpe. Quindi il porsicon la sua formula (l'Ente crea l'esistente) in piena meta-fisica, che pare non solo precartesiana ma anche preu-manistica.

E tale invece, si sa, essa non è, quando specialmentela si vede negli sviluppi che ebbe nel tumultuoso e riccomaturarsi del pensiero filosofico del Gioberti, cuil'immatura morte di lui tolse una sistematica organizza-zione. Quell'Ente, dal quale (e non da una pura e sempli-ce possibilità, quale il Gioberti riteneva l'essere idealerosminiano) ogni consapevole ontologismo deve partireper giustificare una conoscenza che tocchi veramente leradici dell'essere, quell'Ente è anzitutto intrinseco allostesso esistente, che ha in esso il suo principio. E sequesto Ente, principio creatore dell'esistente, è principioquindi anche di quel soggetto esistente che tale formulaideale afferma, ed è perciò, come suo principio, intrinse-co ad esso, un tale Ente non è, da una parte, molto lonta-no da quella Mente una, che, come artefice intimo, ilBruno sente palpitare nell'intimo di sè, come in tutti gliinfiniti esseri della natura e nelle diverse forme di attivi-tà di questa; e, dall'altra, non si dissomiglia gran che daquell'Essere ideale rosminiano, se, come Ente, è princi-pio creatore dell'esistente, e non l'esistente. Gioberti nonavrà ragione di rimproverare la schietta possibilità

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all'Essere ideale rosminiano, se egli stesso concepiscel'Ente come principio dell'esistente. Se il Gioberti ri-sponde che l'Ente ha per suo conto anche l'esistenza, ca-dendo così in quella che è la difficoltà fondamentale delsuo sistema speculativo, a maggior ragione potrà rispon-dere Rosmini, che Dio non si esaurisce nell'Essere idea-le lume dell'intelletto, ma ha anche una sua propria real-tà. Ma, quando da queste, che sono le difficoltà intimeed i limiti dei sistemi rosminiano e giobertiano, si pre-scinda, si vede chiaro come l'Ente giobertiano, se Gio-berti veramente esiste e pensa, non sia molto dissimiledall'Essere ideale rosminiano, ma ne è soltanto l'affer-mazione più esplicita e decisa. È l'essere ideale, che su-pera la schietta possibilità in cui Rosmini vuole chiuder-lo, e riconosce in pieno la propria immanenza non soloconoscitiva, ma spirituale in genere. E si capisce cosìche l'Essere ideale rosminiano, perchè sia quello cheRosmini vuole che sia, deve essere l'Ente della formulagiobertiana; e, viceversa, questo Ente, perchè sia vera-mente il principio dell'esistente, e quindi non estrinsecoa questo, deve essere quella Idea che Rosmini divinò, seidea è l'universa oggettività della coscienza dei soggetti,i quali, se sono soggetti coscienti, non possono non ri-trovare in sè stessi tale universa oggettività. O l'esistenteGioberti, soggetto pensante, non è un esistente, o l'Entedella sua formula è proprio quell'Idea che è principio delconoscere rosminiano, se idea è, ed altro non può essere,essere nella mente, oggettività di coscienza.

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all'Essere ideale rosminiano, se egli stesso concepiscel'Ente come principio dell'esistente. Se il Gioberti ri-sponde che l'Ente ha per suo conto anche l'esistenza, ca-dendo così in quella che è la difficoltà fondamentale delsuo sistema speculativo, a maggior ragione potrà rispon-dere Rosmini, che Dio non si esaurisce nell'Essere idea-le lume dell'intelletto, ma ha anche una sua propria real-tà. Ma, quando da queste, che sono le difficoltà intimeed i limiti dei sistemi rosminiano e giobertiano, si pre-scinda, si vede chiaro come l'Ente giobertiano, se Gio-berti veramente esiste e pensa, non sia molto dissimiledall'Essere ideale rosminiano, ma ne è soltanto l'affer-mazione più esplicita e decisa. È l'essere ideale, che su-pera la schietta possibilità in cui Rosmini vuole chiuder-lo, e riconosce in pieno la propria immanenza non soloconoscitiva, ma spirituale in genere. E si capisce cosìche l'Essere ideale rosminiano, perchè sia quello cheRosmini vuole che sia, deve essere l'Ente della formulagiobertiana; e, viceversa, questo Ente, perchè sia vera-mente il principio dell'esistente, e quindi non estrinsecoa questo, deve essere quella Idea che Rosmini divinò, seidea è l'universa oggettività della coscienza dei soggetti,i quali, se sono soggetti coscienti, non possono non ri-trovare in sè stessi tale universa oggettività. O l'esistenteGioberti, soggetto pensante, non è un esistente, o l'Entedella sua formula è proprio quell'Idea che è principio delconoscere rosminiano, se idea è, ed altro non può essere,essere nella mente, oggettività di coscienza.

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Gioberti, dunque, lungi dal confutare Rosmini, non fache dimostrare che l'idealismo del Rosmini è ontologi-smo e non è psicologismo; è immanentismo e non èscetticismo: lo scetticismo può nascere solo là dove siaffermi la trascendenza. L'oggettività del sapere umanocome tale, cioè l'idealismo rosminiano, è confermatadall'ontologismo giobertano, che non fa che dimostraretale oggettività e quindi tale idealismo.

Gioberti e Rosmini sono dunque non identici ma cer-to vicinissimi. L'atto creativo del Gioberti si radicanell'atto di coscienza del Rosmini. Visti così, l'uno el'altro atto acquistano insospettate possibilità di svilup-po.

29. L'italianità della filosofia del risorgimento.

Il pensiero profondamente speculativo di Rosmini,quello filosofico politico di Gioberti si svolgono tra il'25 e il '50, e cioè proprio entro il periodo eroico del Ri-sorgimento italiano, quando la coscienza italiana, giun-ta, come tale, a piena consapevolezza, condiziona il suouniversalismo spirituale con l'esigenza della propria uni-tà e indipendenza di nazione libera. L'universalismo,quindi, di cui sempre è stata affermatrice l'Italia, e cherisuona chiaro e potente nella voce del Gioberti, si trovae si dice soffocato dallo stranierismo, che, sopraffattorein politica, minaccia anche di essere uccisore dello spiri-

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Gioberti, dunque, lungi dal confutare Rosmini, non fache dimostrare che l'idealismo del Rosmini è ontologi-smo e non è psicologismo; è immanentismo e non èscetticismo: lo scetticismo può nascere solo là dove siaffermi la trascendenza. L'oggettività del sapere umanocome tale, cioè l'idealismo rosminiano, è confermatadall'ontologismo giobertano, che non fa che dimostraretale oggettività e quindi tale idealismo.

Gioberti e Rosmini sono dunque non identici ma cer-to vicinissimi. L'atto creativo del Gioberti si radicanell'atto di coscienza del Rosmini. Visti così, l'uno el'altro atto acquistano insospettate possibilità di svilup-po.

29. L'italianità della filosofia del risorgimento.

Il pensiero profondamente speculativo di Rosmini,quello filosofico politico di Gioberti si svolgono tra il'25 e il '50, e cioè proprio entro il periodo eroico del Ri-sorgimento italiano, quando la coscienza italiana, giun-ta, come tale, a piena consapevolezza, condiziona il suouniversalismo spirituale con l'esigenza della propria uni-tà e indipendenza di nazione libera. L'universalismo,quindi, di cui sempre è stata affermatrice l'Italia, e cherisuona chiaro e potente nella voce del Gioberti, si trovae si dice soffocato dallo stranierismo, che, sopraffattorein politica, minaccia anche di essere uccisore dello spiri-

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to italiano anche in cultura, e uccisore quindi di quelprimato spirituale italiano, che l'Italia del Rinascimentoaveva saputo conquistare o confermare. La sopravvenu-ta servitù politica non era indifferente a quel primato.Era assurdo ammettere che l'Italia fosse capace di domi-nare i popoli nel regno dello spirito, e dovesse lasciarsidominare in quello del corpo, posti come spirito culturae religione e come corpo la vita sociale e statale. Era as-surdo per la coscienza italiana, per la quale da Dante inpoi, anche l'attività politica deve sostanziarsi di concretaattività spirituale, autonoma, sovrana. Perciò la servitùpolitica di un popolo – una volta formatasi la coscienzadi questo – lungi dal consentire lo sviluppo o almeno laconservazione del suo primato spirituale, culturale, reli-gioso, è seria minaccia di uccisione in esso di ogni atti-vità spirituale. L'universalistica trattazione italiana delproblema etico-politico (§§ 26) si concreta come proble-ma della propria individualità spirituale di popolo: unpopolo capace non solo di vita ma anche di primato spi-rituale, ha il diritto e il dovere della propria autonomia equindi anche unità politica, sotto pena di perdere, non-chè il primato, la stessa capacità di vita spirituale.

E quindi, pur determinati da schiette ragioni specula-tive, l'antiteutonico idealismo rosminiano e l'anticarte-siano ontologismo giobertiano trovano un comune moti-vo ed una concorde risonanza nella nota che può dirsi,negativamente, antistraniera, e, positivamente, italiana,che rimane chiara nel pensiero dell'uno e dell'altro. Pen-siero, che da questo antistranierismo, dalla sua italianità

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to italiano anche in cultura, e uccisore quindi di quelprimato spirituale italiano, che l'Italia del Rinascimentoaveva saputo conquistare o confermare. La sopravvenu-ta servitù politica non era indifferente a quel primato.Era assurdo ammettere che l'Italia fosse capace di domi-nare i popoli nel regno dello spirito, e dovesse lasciarsidominare in quello del corpo, posti come spirito culturae religione e come corpo la vita sociale e statale. Era as-surdo per la coscienza italiana, per la quale da Dante inpoi, anche l'attività politica deve sostanziarsi di concretaattività spirituale, autonoma, sovrana. Perciò la servitùpolitica di un popolo – una volta formatasi la coscienzadi questo – lungi dal consentire lo sviluppo o almeno laconservazione del suo primato spirituale, culturale, reli-gioso, è seria minaccia di uccisione in esso di ogni atti-vità spirituale. L'universalistica trattazione italiana delproblema etico-politico (§§ 26) si concreta come proble-ma della propria individualità spirituale di popolo: unpopolo capace non solo di vita ma anche di primato spi-rituale, ha il diritto e il dovere della propria autonomia equindi anche unità politica, sotto pena di perdere, non-chè il primato, la stessa capacità di vita spirituale.

E quindi, pur determinati da schiette ragioni specula-tive, l'antiteutonico idealismo rosminiano e l'anticarte-siano ontologismo giobertiano trovano un comune moti-vo ed una concorde risonanza nella nota che può dirsi,negativamente, antistraniera, e, positivamente, italiana,che rimane chiara nel pensiero dell'uno e dell'altro. Pen-siero, che da questo antistranierismo, dalla sua italianità

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lungi dal veder limitato il proprio valore universale, loritiene invece dimostrato. Psicologismo antistorico fran-cese e panteismo scettico teutonico sono falsità che van-no confutate, il che appunto può fare e fa l'idealismo on-tologico italiano. Così anche il motivo strettamente spe-culativo diventa politico. Anticartesianesimo ed antikan-tismo voglion dire in comune anche antistranierismo,pur rimanendo col loro valore schiettamente filosoficouniversale. “Perocchè, scrive il Rosmini nel 1850 (Psi-cologia, § 1278), se le altre genti d'altro sangue, d'altroingegno, educate a più anguste tradizioni e a men subli-mi sventure, poterono unirsi e conseguire spiriti nazio-nali quasi per un istinto, senza avanzata cultura di scien-za; l'italica gente non potè, non potrà venire a tanto checolla guida di una verace filosofia... Così n'uscirà laconcordia degli italiani dall'intima loro indole e natura,lo stesso vero, lo stesso Iddio intervenendo a mediatori”.

Questo motivo qui accennato dal Rosmini, il quale ri-mane pur sempre una personalità schiettamente specula-tiva, è poi, si sa, l'essenza della stessa personalità delGioberti come pensatore (Del primato morale e civiledegli italiani, 1843; Del rinnovamento civile d'Italia,1851) anche più che come uomo d' azione. Il “Rinnova-mento della filosofia antica italiana” aveva già sin dal1834 proposto un altro uomo politico e pensatore, il Ma-miani; e una “Storia della filosofia italiana” aveva, su-bito dopo (1836), tentata il Poli come “supplimento”alla traduzione del Manuale della storia della filosofiadel Tennemann, deplorando che “una storia tecnica e

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lungi dal veder limitato il proprio valore universale, loritiene invece dimostrato. Psicologismo antistorico fran-cese e panteismo scettico teutonico sono falsità che van-no confutate, il che appunto può fare e fa l'idealismo on-tologico italiano. Così anche il motivo strettamente spe-culativo diventa politico. Anticartesianesimo ed antikan-tismo voglion dire in comune anche antistranierismo,pur rimanendo col loro valore schiettamente filosoficouniversale. “Perocchè, scrive il Rosmini nel 1850 (Psi-cologia, § 1278), se le altre genti d'altro sangue, d'altroingegno, educate a più anguste tradizioni e a men subli-mi sventure, poterono unirsi e conseguire spiriti nazio-nali quasi per un istinto, senza avanzata cultura di scien-za; l'italica gente non potè, non potrà venire a tanto checolla guida di una verace filosofia... Così n'uscirà laconcordia degli italiani dall'intima loro indole e natura,lo stesso vero, lo stesso Iddio intervenendo a mediatori”.

Questo motivo qui accennato dal Rosmini, il quale ri-mane pur sempre una personalità schiettamente specula-tiva, è poi, si sa, l'essenza della stessa personalità delGioberti come pensatore (Del primato morale e civiledegli italiani, 1843; Del rinnovamento civile d'Italia,1851) anche più che come uomo d' azione. Il “Rinnova-mento della filosofia antica italiana” aveva già sin dal1834 proposto un altro uomo politico e pensatore, il Ma-miani; e una “Storia della filosofia italiana” aveva, su-bito dopo (1836), tentata il Poli come “supplimento”alla traduzione del Manuale della storia della filosofiadel Tennemann, deplorando che “una storia tecnica e

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speciale della nostra filosofia” non ci fosse, dichiarando“innegabile la sua necessità (p. XXXIX)”, “tenendoconto in essa [nella filosofia dei nostri giorni] anco deipiù tenui lavori o scritti all'intento soprattutto di purifi-care la nostra Nazione dalla macchia di indifferente e diservile, per non dire di nulla, in fatto di filosofia” (p.XLX), e concludendo che “le menti italiane, esse chepossono gloriarsi d'essere eredi della prima scuola filo-sofica d'Europa, debbono essere anco le prime a propor-re il problema universale della definitiva restaurazionefilosofica” (p. 864). Giacchè, si sa, la filosofia italiana lasi faceva cominciare da quella filosofia italica, di cui sisostanziava la filosofia pitagorica ed eleatica.

In genere, in filosofia, non si era ancora consapevolidi un primato ben più prossimo e strettamente italiano,quello del nostro Rinascimento; ma si era d'accordo sul-la universalità e primordialità del pensiero filosofico ita-liano proprio come italiano, e proprio su di essa si face-va punto di leva per la conquista della autonomia politi-ca.

30. Il pensiero mazziniano come sintesi etica della filosofia italiana del Risorgimento.

Su questo terreno speculativo, nello stesso tempo, ita-liano ed universale si afferma il pensiero del più grande,certo del più profondo spirito del nostro Risorgimento:

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speciale della nostra filosofia” non ci fosse, dichiarando“innegabile la sua necessità (p. XXXIX)”, “tenendoconto in essa [nella filosofia dei nostri giorni] anco deipiù tenui lavori o scritti all'intento soprattutto di purifi-care la nostra Nazione dalla macchia di indifferente e diservile, per non dire di nulla, in fatto di filosofia” (p.XLX), e concludendo che “le menti italiane, esse chepossono gloriarsi d'essere eredi della prima scuola filo-sofica d'Europa, debbono essere anco le prime a propor-re il problema universale della definitiva restaurazionefilosofica” (p. 864). Giacchè, si sa, la filosofia italiana lasi faceva cominciare da quella filosofia italica, di cui sisostanziava la filosofia pitagorica ed eleatica.

In genere, in filosofia, non si era ancora consapevolidi un primato ben più prossimo e strettamente italiano,quello del nostro Rinascimento; ma si era d'accordo sul-la universalità e primordialità del pensiero filosofico ita-liano proprio come italiano, e proprio su di essa si face-va punto di leva per la conquista della autonomia politi-ca.

30. Il pensiero mazziniano come sintesi etica della filosofia italiana del Risorgimento.

Su questo terreno speculativo, nello stesso tempo, ita-liano ed universale si afferma il pensiero del più grande,certo del più profondo spirito del nostro Risorgimento:

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Giuseppe Mazzini, che personifica quella che abbiamodetta anima del Risorgimento.

Dio, sia con Rosmini Essere ideale, o si dica Ente conGioberti, è immanente a noi stessi nel nostro pensare enel nostro agire. Ed è questo il Dio di Mazzini: quelconcetto nuovo e pur tanto vecchio di Dio, che il Mazzi-ni fa risuonare vivamente non su abbandonati altari asostegno di pericolanti troni, che ostacolino l'ergersidell'Italia a popolo uno e libero, ma proprio, vivo e vita-le, come anima intima, motivo profondo, ragione indo-mabile di una rivoluzione. La quale pare soltanto politi-ca e limitata ad un popolo, e il Mazzini invece sente, fasentire, vuol imporre, anche attraverso il sacrificio pergrande e diuturno che sia, nel suo valore universale.

La “nuova Europa” l'umanità nuova è promossa e so-stenuta dalla “nuova Italia”, che pur deve ancora nasce-re. Perchè questa, in tale suo voler nascere, dover nasce-re, risale ai “principii i quali soltanto fondano”, in quan-to sono universali; e principio dei principii è Dio. “L'Ita-lia non può vivere se non vivendo per tutti” (Scritti –Ed. naz. – XIII, 178) “Le sorti d'Italia sono quelle delmondo” (Ed. naz., VII, 181).

L'universalità filosofica del problema teologico diRosmini e Gioberti si fa concretamente italiana senza ri-nunziare a se stessa anzi proprio per confermarsi. Di quiil fondamento religioso della predicazione politica e so-ciale del Mazzini. Il risorgimento stesso del popolo ita-liano a libertà e sovranità di Stato si eleva pel Mazzini avalore universale dello spirito valido per tutti i popoli,

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Giuseppe Mazzini, che personifica quella che abbiamodetta anima del Risorgimento.

Dio, sia con Rosmini Essere ideale, o si dica Ente conGioberti, è immanente a noi stessi nel nostro pensare enel nostro agire. Ed è questo il Dio di Mazzini: quelconcetto nuovo e pur tanto vecchio di Dio, che il Mazzi-ni fa risuonare vivamente non su abbandonati altari asostegno di pericolanti troni, che ostacolino l'ergersidell'Italia a popolo uno e libero, ma proprio, vivo e vita-le, come anima intima, motivo profondo, ragione indo-mabile di una rivoluzione. La quale pare soltanto politi-ca e limitata ad un popolo, e il Mazzini invece sente, fasentire, vuol imporre, anche attraverso il sacrificio pergrande e diuturno che sia, nel suo valore universale.

La “nuova Europa” l'umanità nuova è promossa e so-stenuta dalla “nuova Italia”, che pur deve ancora nasce-re. Perchè questa, in tale suo voler nascere, dover nasce-re, risale ai “principii i quali soltanto fondano”, in quan-to sono universali; e principio dei principii è Dio. “L'Ita-lia non può vivere se non vivendo per tutti” (Scritti –Ed. naz. – XIII, 178) “Le sorti d'Italia sono quelle delmondo” (Ed. naz., VII, 181).

L'universalità filosofica del problema teologico diRosmini e Gioberti si fa concretamente italiana senza ri-nunziare a se stessa anzi proprio per confermarsi. Di quiil fondamento religioso della predicazione politica e so-ciale del Mazzini. Il risorgimento stesso del popolo ita-liano a libertà e sovranità di Stato si eleva pel Mazzini avalore universale dello spirito valido per tutti i popoli,

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rientra in quella missione universalistica che egli da Diovede data all'Italia. È falsa politica quella che si fondisui diritti, e rinneghi la religione o ne prescinda. Pare edè, questo della religione come principio immanente allapolitica, motivo vecchissimo; per il quale si è potuto fi-nanche ritenere il sistema mazziniano “uno di quei siste-mi teocratici utopistici di cui fu così feconda la scolasti-ca medioevale”, e in cui “molte fra le idee democratichedi giorni nostri sono state incastrate” (Salvemini, Mazzi-ni, 1915, p. 91). Vecchio motivo, per il quale, si è anchedetto, “la dottrina mazziniana coincide con la più asso-luta intransigenza cattolica” quando nega “nella nuovaumanità il dualismo tra il potere spirituale e il poteretemporale” (ib., p. 58). Salvemini non ha visto, comemoltissimi non vedono, l'unità universale profonda delpensiero mazziniano, dalla quale tutte le sue idee sonodedotte con grandissimo rigore logico complessivo, chedirei rigore spirituale (altro che... “scarsa facoltà di ra-gionamento rigoroso”, Masci, nello stesso Salvem., pag.93). Non vedono quindi la profonda originalità spiritua-le, il tipico rivoluzionarismo filosofico mazziniano nellasua oggettiva universalità; non vedono, perchè partonodal determinato problema politico d'Italia, invece chedall'universale fondamento di esso, e cercano poi di trar-re, a sostegno delle proprie opinioni politiche, in sensoopposto il pensiero di Mazzini (cfr., p. es., la nazionali-stica interpretazione di Mazzini, che Gentile (Profeti delRisorgimento, 1923) oppone a quella del Salvemini edel Levi).

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rientra in quella missione universalistica che egli da Diovede data all'Italia. È falsa politica quella che si fondisui diritti, e rinneghi la religione o ne prescinda. Pare edè, questo della religione come principio immanente allapolitica, motivo vecchissimo; per il quale si è potuto fi-nanche ritenere il sistema mazziniano “uno di quei siste-mi teocratici utopistici di cui fu così feconda la scolasti-ca medioevale”, e in cui “molte fra le idee democratichedi giorni nostri sono state incastrate” (Salvemini, Mazzi-ni, 1915, p. 91). Vecchio motivo, per il quale, si è anchedetto, “la dottrina mazziniana coincide con la più asso-luta intransigenza cattolica” quando nega “nella nuovaumanità il dualismo tra il potere spirituale e il poteretemporale” (ib., p. 58). Salvemini non ha visto, comemoltissimi non vedono, l'unità universale profonda delpensiero mazziniano, dalla quale tutte le sue idee sonodedotte con grandissimo rigore logico complessivo, chedirei rigore spirituale (altro che... “scarsa facoltà di ra-gionamento rigoroso”, Masci, nello stesso Salvem., pag.93). Non vedono quindi la profonda originalità spiritua-le, il tipico rivoluzionarismo filosofico mazziniano nellasua oggettiva universalità; non vedono, perchè partonodal determinato problema politico d'Italia, invece chedall'universale fondamento di esso, e cercano poi di trar-re, a sostegno delle proprie opinioni politiche, in sensoopposto il pensiero di Mazzini (cfr., p. es., la nazionali-stica interpretazione di Mazzini, che Gentile (Profeti delRisorgimento, 1923) oppone a quella del Salvemini edel Levi).

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Vecchio motivo, dunque, quello della religione (Maz-zini vede come religione Dio, e scambia i due termini)come fondamento della politica; ma vecchio motivo checertamente è rinato anche oltre la scolastica; vecchiomotivo, pel quale già Dante invocava l'unico imperatoreavente scettro ed impero in Italia; quel Dante, in nomedel quale il M. prospetta come italiana la sua spiritualefilosofia e sdegna come antiitaliano il materialismo pre-dicato da altri (“italiana la dottrina del materialismo po-litico filosofico sulla terra dove fremono le ossa di Dan-te, di Bruno, di Vico!” ed. naz. III, 205 6, n.). Vecchiomotivo, dunque, nel quale però risuona tal nota che lorende nuovissimo ancora oggi per domani. In terminimazziniani quella nota risolutamente nuova dicesi popo-lo, e, tradotta in linguaggio filosofico, significa imma-nenza di Dio nella coscienza dei governanti e governaticome loro essenza unificatrice in quest'opera, somma-mente spirituale anch'essa, che è il politico ordinamentodei popoli. Ecco in sintesi l'apostolato mazziniano, que-sto il suo eroico furore, pel quale impone a sè una vitapiena di amarezze, di subite infamie, di dolori, tanto piùsanguinanti quanto più consapevoli della ideale necessi-tà di quel sacrificio, in apparenza inutile, delle giovanivite che bruciavano del suo fuoco e si immolavano allasua fede.

Non sembri dunque strana la nostra tesi: M., certosenza proporselo, concreta, sintetizza nella sua dottrinaetico-politica la nuova parola divina, che Rosmini eGioberti, non ostante il loro tradizionalismo, sentono ed

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Vecchio motivo, dunque, quello della religione (Maz-zini vede come religione Dio, e scambia i due termini)come fondamento della politica; ma vecchio motivo checertamente è rinato anche oltre la scolastica; vecchiomotivo, pel quale già Dante invocava l'unico imperatoreavente scettro ed impero in Italia; quel Dante, in nomedel quale il M. prospetta come italiana la sua spiritualefilosofia e sdegna come antiitaliano il materialismo pre-dicato da altri (“italiana la dottrina del materialismo po-litico filosofico sulla terra dove fremono le ossa di Dan-te, di Bruno, di Vico!” ed. naz. III, 205 6, n.). Vecchiomotivo, dunque, nel quale però risuona tal nota che lorende nuovissimo ancora oggi per domani. In terminimazziniani quella nota risolutamente nuova dicesi popo-lo, e, tradotta in linguaggio filosofico, significa imma-nenza di Dio nella coscienza dei governanti e governaticome loro essenza unificatrice in quest'opera, somma-mente spirituale anch'essa, che è il politico ordinamentodei popoli. Ecco in sintesi l'apostolato mazziniano, que-sto il suo eroico furore, pel quale impone a sè una vitapiena di amarezze, di subite infamie, di dolori, tanto piùsanguinanti quanto più consapevoli della ideale necessi-tà di quel sacrificio, in apparenza inutile, delle giovanivite che bruciavano del suo fuoco e si immolavano allasua fede.

Non sembri dunque strana la nostra tesi: M., certosenza proporselo, concreta, sintetizza nella sua dottrinaetico-politica la nuova parola divina, che Rosmini eGioberti, non ostante il loro tradizionalismo, sentono ed

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affermano già con la loro dottrina filosofica. È in questatriade del Risorgimento la voce di un popolo, che fusempre vivo in quella svolgentesi affermazionedell'Assoluto che è la filosofia, anche se altri popoli, gri-dando più forte, seppero imporre come proprio il suc-cesso di idee nate in Italia. L'Essere ideale rosminiano el'Ente giobertano, ripeto, sono, coi loro motivi essenzia-li, fusi nel Dio, nel cui nome Mazzini sveglia il popoloitaliano, e minaccia chi osi ostacolarne l'immancabile ri-nascita politica.

E, così, date anima e corpo di viva soggettività, dimolteplice egoità a quella rosminiana forma realedell'essere, a quell'esistente giobertano, che hanno a co-mune caratteristica la singolarità molteplice, realizzantel'Idea o l'Ente che è ad essa intrinseco; vedete questasingolarità molteplice di spiriti nella necessaria recipro-cità di intendimento e di azione; ed avrete esatto il con-cetto mazziniano di popolo. Popolo è soggettività molte-plice animata da Dio, e perciò una di essenza, di senti-mento, di fine; non è accozzaglia di persone fidante nelnumero e nella forza, mossa solo da motivi di bruto so-stentamento materiale. Altri pensatori e altri popoliavranno un tal concetto di popolo: non è il popolo diMazzini. Realtà rosminiana ed esistenza giobertiana,dunque, fuse costituiscono il popolo libero di Mazzini.

Più ancora: intendete la rosminiana attività dello spi-rito come attuantesi non solo in quella deontologica rea-lizzazione dell'essere ideale, che è, in sostanza, la mora-le rosminiana, ma anche nella stessa conoscenza come

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affermano già con la loro dottrina filosofica. È in questatriade del Risorgimento la voce di un popolo, che fusempre vivo in quella svolgentesi affermazionedell'Assoluto che è la filosofia, anche se altri popoli, gri-dando più forte, seppero imporre come proprio il suc-cesso di idee nate in Italia. L'Essere ideale rosminiano el'Ente giobertano, ripeto, sono, coi loro motivi essenzia-li, fusi nel Dio, nel cui nome Mazzini sveglia il popoloitaliano, e minaccia chi osi ostacolarne l'immancabile ri-nascita politica.

E, così, date anima e corpo di viva soggettività, dimolteplice egoità a quella rosminiana forma realedell'essere, a quell'esistente giobertano, che hanno a co-mune caratteristica la singolarità molteplice, realizzantel'Idea o l'Ente che è ad essa intrinseco; vedete questasingolarità molteplice di spiriti nella necessaria recipro-cità di intendimento e di azione; ed avrete esatto il con-cetto mazziniano di popolo. Popolo è soggettività molte-plice animata da Dio, e perciò una di essenza, di senti-mento, di fine; non è accozzaglia di persone fidante nelnumero e nella forza, mossa solo da motivi di bruto so-stentamento materiale. Altri pensatori e altri popoliavranno un tal concetto di popolo: non è il popolo diMazzini. Realtà rosminiana ed esistenza giobertiana,dunque, fuse costituiscono il popolo libero di Mazzini.

Più ancora: intendete la rosminiana attività dello spi-rito come attuantesi non solo in quella deontologica rea-lizzazione dell'essere ideale, che è, in sostanza, la mora-le rosminiana, ma anche nella stessa conoscenza come

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tale; intendetela, vedendo che lo stesso conoscere è unattivo attuarsi dello spirito, non scisso da quell'operare,che è morale solo se alle idee, attivamente conquistateanch'esse, lo spirito umano adegua la propria opera rea-lizzatrice; ravvicinate questa rosminiana attività dellospirito, ideale, reale e doverosa ad un tempo, ravvicina-tela alla creazione, qual'è prospettata nella formula gio-bertiana e negli sviluppi che Gioberti è venuto poi dan-do, a quella creazione, per la quale l'esistente è tale soloper l'attivo ente creatore che anima e sostanzia la suaesistenza; intendete e ravvicinate, e ditemi se non vedetechiaro dinanzi alla vostra mente quel magnifico concet-to ispiratore e realizzatore di ogni atto o detto del grandeMazzini, il concetto del dovere. Dovere italiano, si puòdire con una frase che indica insieme la genesi ideale dital concetto e il vitale interesse cui esso deve rispondere.Dovere italiano, cioè non freddo dovere puramente for-male, di cui debbasi sentir solo la costrizione e nonl'amoroso afflato, che, chi si sacrifica per esso, riscaldae sospinge, ma dovere sostanziato di interessato amoreper un fine da conseguire, per una accarezzata idea. Ideada realizzare non in ragione del vantaggio che i realizza-tori potran trarre dalla realizzazione stessa, ma solo inconformità delle proprie forze, delle proprie attitudini,tutte da asservire con caldo consenso a quell'ideale mis-sione. Concetto di dovere mazziniano, nel quale si pos-sono trovare sinteticamente fuse le sue due formule“Dio e popolo” e “pensiero ed azione”, come di leggieri

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tale; intendetela, vedendo che lo stesso conoscere è unattivo attuarsi dello spirito, non scisso da quell'operare,che è morale solo se alle idee, attivamente conquistateanch'esse, lo spirito umano adegua la propria opera rea-lizzatrice; ravvicinate questa rosminiana attività dellospirito, ideale, reale e doverosa ad un tempo, ravvicina-tela alla creazione, qual'è prospettata nella formula gio-bertiana e negli sviluppi che Gioberti è venuto poi dan-do, a quella creazione, per la quale l'esistente è tale soloper l'attivo ente creatore che anima e sostanzia la suaesistenza; intendete e ravvicinate, e ditemi se non vedetechiaro dinanzi alla vostra mente quel magnifico concet-to ispiratore e realizzatore di ogni atto o detto del grandeMazzini, il concetto del dovere. Dovere italiano, si puòdire con una frase che indica insieme la genesi ideale dital concetto e il vitale interesse cui esso deve rispondere.Dovere italiano, cioè non freddo dovere puramente for-male, di cui debbasi sentir solo la costrizione e nonl'amoroso afflato, che, chi si sacrifica per esso, riscaldae sospinge, ma dovere sostanziato di interessato amoreper un fine da conseguire, per una accarezzata idea. Ideada realizzare non in ragione del vantaggio che i realizza-tori potran trarre dalla realizzazione stessa, ma solo inconformità delle proprie forze, delle proprie attitudini,tutte da asservire con caldo consenso a quell'ideale mis-sione. Concetto di dovere mazziniano, nel quale si pos-sono trovare sinteticamente fuse le sue due formule“Dio e popolo” e “pensiero ed azione”, come di leggieri

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vedrà chi su quanto ho detto e sulla dottrina ed azionemazziniana per poco rifletta.

31. L'opera del Mazzini come filosofia.

Ma questa dottrina mazziniana è filosofia? E se filo-sofia è idealismo?

È stata contestata al Mazzini la personalità di filoso-fo.

Or filosofo è chi, comunque, qualunque sia l'attivitàche egli esplicitamente svolga, riesce a rifletteresull'Assoluto col pensiero, o con l'azione, o col senti-mento, in modo che nella coscienza umana se ne abbiacome un nuovo disvelarsi, una apparizione nuova, nuo-va esca alla umana realizzazione spirituale. Solo vistacosì la filosofia è quello sforzo immanente alla attivitàspirituale concreta, sforzo di cogliere l'oggettività asso-luta, il quale riesce a tradurre in nuovi più profondi con-cetti quella oggettività, a dare cioè una nuova teoria ditale oggettività, sempre identica a sè, e che, pura, nellasua assolutezza, è sempre e soltanto implicita, perchètrina, e, nella sua concretezza, è sempre e soltanto im-manente, e individuata negli agenti suoi. Ed ecco perchèrimarrà sempre in parte misteriosa l'oggettività del co-noscere come del sentire e del volere, pur essendo certo,tali attività, coscienti ed oggettive, cioè aventi, ciascuna

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vedrà chi su quanto ho detto e sulla dottrina ed azionemazziniana per poco rifletta.

31. L'opera del Mazzini come filosofia.

Ma questa dottrina mazziniana è filosofia? E se filo-sofia è idealismo?

È stata contestata al Mazzini la personalità di filoso-fo.

Or filosofo è chi, comunque, qualunque sia l'attivitàche egli esplicitamente svolga, riesce a rifletteresull'Assoluto col pensiero, o con l'azione, o col senti-mento, in modo che nella coscienza umana se ne abbiacome un nuovo disvelarsi, una apparizione nuova, nuo-va esca alla umana realizzazione spirituale. Solo vistacosì la filosofia è quello sforzo immanente alla attivitàspirituale concreta, sforzo di cogliere l'oggettività asso-luta, il quale riesce a tradurre in nuovi più profondi con-cetti quella oggettività, a dare cioè una nuova teoria ditale oggettività, sempre identica a sè, e che, pura, nellasua assolutezza, è sempre e soltanto implicita, perchètrina, e, nella sua concretezza, è sempre e soltanto im-manente, e individuata negli agenti suoi. Ed ecco perchèrimarrà sempre in parte misteriosa l'oggettività del co-noscere come del sentire e del volere, pur essendo certo,tali attività, coscienti ed oggettive, cioè aventi, ciascuna

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però solo nella speciale sua forma, consapevolezzadell'oggetto.

Or si consideri la personalità intera del Mazzini nelpensiero e nell'azione, e si vedrà sprigionare da essa unateoria nuova, schiettamente mazziniana. Di più: il valorefondamentale della personalità di Mazzini si troveràproprio in questa teoria, della quale è intimamente con-sapevole fino a farne principio di rinnovamento dellafede. “La filosofia, che pretende orgogliosa di essere lascienza della vita, non può che accertare la morte d'unareligione e preparar la via a un'altra” (in Salvemini, pag.30). Questo l'esplicito pensiero di Mazzini sulla filosofianel suo rapporto con la religione; le quali egli non iden-tifica (cfr. invece Gentile, op. cit., VI); e (a parte quellacondanna dell'orgoglio, il quale invece fa l'essenza stes-sa della filosofia proprio perchè abbia tal rapporto am-messo da M., sol che si sostituisca a “scienza” coscien-za) M. ha ragione, e nessuno ha fatto più di lui per con-tribuire ad attuare questa essenza della filosofia. Egliforse sì, oscilla tra l'essere, proprio lui, il nuovo rivelato-re e il rimanere invece il preparatore della nuova rivela-zione, il filosofo, con la sua nuova teoria del Dovere.Dovere, che, di fronte a quello kantiano, ha questa spe-cialissima caratteristica di non dover ignorare anzi didover affermare Dio, pur non incorrendo nella eterono-mia, e di sostanziarlo di concreta coscienza umana. Madel dovere kantiano, consapevole o non che il M. ne sia,egli accetta la netta separazione di esso dal successo. Equesta separazione con quel riempimento fa la grandez-

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però solo nella speciale sua forma, consapevolezzadell'oggetto.

Or si consideri la personalità intera del Mazzini nelpensiero e nell'azione, e si vedrà sprigionare da essa unateoria nuova, schiettamente mazziniana. Di più: il valorefondamentale della personalità di Mazzini si troveràproprio in questa teoria, della quale è intimamente con-sapevole fino a farne principio di rinnovamento dellafede. “La filosofia, che pretende orgogliosa di essere lascienza della vita, non può che accertare la morte d'unareligione e preparar la via a un'altra” (in Salvemini, pag.30). Questo l'esplicito pensiero di Mazzini sulla filosofianel suo rapporto con la religione; le quali egli non iden-tifica (cfr. invece Gentile, op. cit., VI); e (a parte quellacondanna dell'orgoglio, il quale invece fa l'essenza stes-sa della filosofia proprio perchè abbia tal rapporto am-messo da M., sol che si sostituisca a “scienza” coscien-za) M. ha ragione, e nessuno ha fatto più di lui per con-tribuire ad attuare questa essenza della filosofia. Egliforse sì, oscilla tra l'essere, proprio lui, il nuovo rivelato-re e il rimanere invece il preparatore della nuova rivela-zione, il filosofo, con la sua nuova teoria del Dovere.Dovere, che, di fronte a quello kantiano, ha questa spe-cialissima caratteristica di non dover ignorare anzi didover affermare Dio, pur non incorrendo nella eterono-mia, e di sostanziarlo di concreta coscienza umana. Madel dovere kantiano, consapevole o non che il M. ne sia,egli accetta la netta separazione di esso dal successo. Equesta separazione con quel riempimento fa la grandez-

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za del dovere mazziniano, spiega il significato vero del-la predicata ed attuata indissolubile unione di pensieroed azione.

Concretezza spirituale mazziniana, che spiega ancheil restar imperterrito di lui con la sua teoria di fronte agliinsuccessi che paiono rinnegarla, attaccato più a quellacome teoria che alla sua realizzazione pratica. Non unsuccesso, infatti, corona l'opera di Mazzini: le rivoluzio-ni parziali, che accese qua e là devono suscitare l'incen-dio totale, rimangono eroici sublimi sacrifici di pochi,che sembrano e furon detti vani. L'unità e l'indipendenzache devono ottenersi dalla concorde volontà attiva dellostesso popolo italiano, sono conseguite invece, almenoall'inizio, con l'aiuto straniero, per opera di re. Il gover-no, che, perchè nasca dal popolo e si radichi in esso,deve essere repubblicano, diventa invece saldamentemonarchico, perchè ad una monarchia si deve l'operamaggiore di coordinazione e di realizzazione delle forzeoperanti per il riscatto d'Italia. La religione nuova, chedeve far corpo con la politica ed animare il giovane Sta-to nella sua missione, rimane invece la vecchia religionedel papa, che, riconosciuta come la religione stessa delloStato, è, insieme, messa da parte perchè il papa, privatodel suo Stato, scomunica la nuova Italia, acciocchè essarimanga così priva di Dio. La divisione dei due poteri,lo spirituale e il temporale, che sarebbe empietà affer-mare, è invece formulata e codificata.

Ma tutti questi insuccessi – ed altri, il sociale, l'eco-nomico ecc., se ne possono contare – se mettono in dub-

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za del dovere mazziniano, spiega il significato vero del-la predicata ed attuata indissolubile unione di pensieroed azione.

Concretezza spirituale mazziniana, che spiega ancheil restar imperterrito di lui con la sua teoria di fronte agliinsuccessi che paiono rinnegarla, attaccato più a quellacome teoria che alla sua realizzazione pratica. Non unsuccesso, infatti, corona l'opera di Mazzini: le rivoluzio-ni parziali, che accese qua e là devono suscitare l'incen-dio totale, rimangono eroici sublimi sacrifici di pochi,che sembrano e furon detti vani. L'unità e l'indipendenzache devono ottenersi dalla concorde volontà attiva dellostesso popolo italiano, sono conseguite invece, almenoall'inizio, con l'aiuto straniero, per opera di re. Il gover-no, che, perchè nasca dal popolo e si radichi in esso,deve essere repubblicano, diventa invece saldamentemonarchico, perchè ad una monarchia si deve l'operamaggiore di coordinazione e di realizzazione delle forzeoperanti per il riscatto d'Italia. La religione nuova, chedeve far corpo con la politica ed animare il giovane Sta-to nella sua missione, rimane invece la vecchia religionedel papa, che, riconosciuta come la religione stessa delloStato, è, insieme, messa da parte perchè il papa, privatodel suo Stato, scomunica la nuova Italia, acciocchè essarimanga così priva di Dio. La divisione dei due poteri,lo spirituale e il temporale, che sarebbe empietà affer-mare, è invece formulata e codificata.

Ma tutti questi insuccessi – ed altri, il sociale, l'eco-nomico ecc., se ne possono contare – se mettono in dub-

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bio anzi negano il risolversi del pensiero-azione mazzi-niano in una pratica politica possibile al momento dellasua predicazione, non infirmano punto, anzi ne mettonoin evidenza la teoreticità, quella teoreticità, che, inattua-ta in un momento, rimane segno cui mira la futura prati-ca, e rende chi la bandì, “auguratore contemporaneo del-la posterità” (Bovio), si chiami Socrate o Platone, Cristoo Budda, Bruno o Spinoza. E perciò, non ostante ilgrande dolore che a Mazzini costavano i sacrifici cheegli predicava e vedeva attuati senza frutto, le intransi-genze che egli vedeva ostacolo alla causa complessiva epur continuava a professare, le mancate rispondenze di-rette del popolo italiano al grande suo appello, nonostante tutto questo, egli rimaneva costantemente fedelealla sua idea. Questa sua idea della nuova, della giovaneItalia, della nuova Europa, della nuova umanità, è l'ideadella coscienza nuova, è il nuovo concetto di Dio, che lacoscienza umana deve farsi pel riconoscimento di Diointrinseco a se stessa. Di qui nell'umanità i suoi nuoviordinamenti politici e morali, il suo nuovo modo di sen-tire gli stessi bisogni economici, il suo nuovo modo diconcepire la realtà tutta: la nuova Italia è la nuova co-scienza umana. E di ciò il M. è chiaramente consapevo-le. Paragonando sè al Kossuth egli scriveva alla madre:“A voi, madre mia, dirò chiaramente ciò ch'egli è:l'incarnazione dell'Ungheria. Ei l'ama davvero, e a quel-la sacrificherebbe ogni cosa. Per quella e in quella è esarà grande: pel resto, sarà quel che le circostanze vor-ranno... (Gastaldi) ha ragione, non nell'esagerare il meri-

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bio anzi negano il risolversi del pensiero-azione mazzi-niano in una pratica politica possibile al momento dellasua predicazione, non infirmano punto, anzi ne mettonoin evidenza la teoreticità, quella teoreticità, che, inattua-ta in un momento, rimane segno cui mira la futura prati-ca, e rende chi la bandì, “auguratore contemporaneo del-la posterità” (Bovio), si chiami Socrate o Platone, Cristoo Budda, Bruno o Spinoza. E perciò, non ostante ilgrande dolore che a Mazzini costavano i sacrifici cheegli predicava e vedeva attuati senza frutto, le intransi-genze che egli vedeva ostacolo alla causa complessiva epur continuava a professare, le mancate rispondenze di-rette del popolo italiano al grande suo appello, nonostante tutto questo, egli rimaneva costantemente fedelealla sua idea. Questa sua idea della nuova, della giovaneItalia, della nuova Europa, della nuova umanità, è l'ideadella coscienza nuova, è il nuovo concetto di Dio, che lacoscienza umana deve farsi pel riconoscimento di Diointrinseco a se stessa. Di qui nell'umanità i suoi nuoviordinamenti politici e morali, il suo nuovo modo di sen-tire gli stessi bisogni economici, il suo nuovo modo diconcepire la realtà tutta: la nuova Italia è la nuova co-scienza umana. E di ciò il M. è chiaramente consapevo-le. Paragonando sè al Kossuth egli scriveva alla madre:“A voi, madre mia, dirò chiaramente ciò ch'egli è:l'incarnazione dell'Ungheria. Ei l'ama davvero, e a quel-la sacrificherebbe ogni cosa. Per quella e in quella è esarà grande: pel resto, sarà quel che le circostanze vor-ranno... (Gastaldi) ha ragione, non nell'esagerare il meri-

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to mio, ma nel credere ch'io lavoro per la credenza inun principio generale, l'altro pel suo paese esclusiva-mente” (G. O. Griffith – Mazzini, trad. Laterza 1935, p.323). Mazzini non sarà mai ciò “ciò che le circostanzevorranno”, anche perchè Italia sì, ma prima ancoradell'Italia il principio, giacchè senza questo non c'è quel-la. Mazzini è la teoria, non è la pratica di questa nuovaItalia; e, perchè teoria, la nuova Italia è l'umanità nuova.La pratica si chiama Garibaldi, Cavour, Vittorio Ema-nuele II, Crispi e così via tutti i grandi o piccoli, chiariod umili nomi di coloro, dai quali è fatto quel miracolodi rinascimento politico che è la nuova Italia. Nè, inten-diamoci, tal pratica è puramente e semplicemente la ne-gazione di quella teoria che Mazzini personifica. La pra-tica attua, come può, temporaneamente tale teoria, non èla teoria. E della pratica attuazione della nuova Italianon v'è altra teoria che quella mazziniana. Le altre teorietutte (neoguelfa, federalistica, monarchica, ecc...) sonotutte teorie particolaristiche del determinato problemapolitico d'Italia; non risalgono perciò al principio, nonsono veramente teoria. Perciò senza Mazzini compiersinon poteva, così come si compì, quel miracolo che è ilrisorgimento politico d'Italia: quella fede era dappertut-to, anche là dove la si contrastava. Ed è, esso, miracolodella fede, anche quando par che tutto si sia fatto e si siadovuto fare in modo non coerente a quella. “Anche i mi-gliori si adireranno contro l'incorreggibile rivoluziona-rio; ma il rivoluzionario incorreggibile aveva ragione;egli solo aveva ragione” (Savelli, Carlo Pisacane, Val-

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to mio, ma nel credere ch'io lavoro per la credenza inun principio generale, l'altro pel suo paese esclusiva-mente” (G. O. Griffith – Mazzini, trad. Laterza 1935, p.323). Mazzini non sarà mai ciò “ciò che le circostanzevorranno”, anche perchè Italia sì, ma prima ancoradell'Italia il principio, giacchè senza questo non c'è quel-la. Mazzini è la teoria, non è la pratica di questa nuovaItalia; e, perchè teoria, la nuova Italia è l'umanità nuova.La pratica si chiama Garibaldi, Cavour, Vittorio Ema-nuele II, Crispi e così via tutti i grandi o piccoli, chiariod umili nomi di coloro, dai quali è fatto quel miracolodi rinascimento politico che è la nuova Italia. Nè, inten-diamoci, tal pratica è puramente e semplicemente la ne-gazione di quella teoria che Mazzini personifica. La pra-tica attua, come può, temporaneamente tale teoria, non èla teoria. E della pratica attuazione della nuova Italianon v'è altra teoria che quella mazziniana. Le altre teorietutte (neoguelfa, federalistica, monarchica, ecc...) sonotutte teorie particolaristiche del determinato problemapolitico d'Italia; non risalgono perciò al principio, nonsono veramente teoria. Perciò senza Mazzini compiersinon poteva, così come si compì, quel miracolo che è ilrisorgimento politico d'Italia: quella fede era dappertut-to, anche là dove la si contrastava. Ed è, esso, miracolodella fede, anche quando par che tutto si sia fatto e si siadovuto fare in modo non coerente a quella. “Anche i mi-gliori si adireranno contro l'incorreggibile rivoluziona-rio; ma il rivoluzionario incorreggibile aveva ragione;egli solo aveva ragione” (Savelli, Carlo Pisacane, Val-

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lecchi, 1925, p. 108). Ben detto, egli solo aveva ragione(non ho sottolineato io, ma lo stesso Savelli); aveva ra-gione anche quando tutti i fatti parevano negargliela.Nessun fatto mai contrasta o nega i principii, che soloda altri principii possono essere divelti. E anche ogginon certo i principii di Hegel o di Marx hanno diveltoquelli di Mazzini; anche oggi l'italiana rivoluzione, severamente vuol essere italiana e universale, deve avereancora la teoria di Mazzini a fondamento.

La pratica può parere, vista nei suoi singoli atti, ne-cessariamente parziali, astratti, incoerenti o contraddit-tori, può parere che rinneghi, rinnega anche la teoria;ma questi rinnegamenti sono i limiti, che l'essenza uni-versale trova in quella singolarità di atti, in cui in partesi fissa, in parte si fenomenizza. Il rinnegamento conse-gue al necessario naturalizzarsi del valore spiritualenell'opera e con l'opera che l'uomo svolge nella natura.Si spiega così perchè non si debba, come spesso legger-mente si fa, identificare, far uno di teoria e pratica, manon per questo si debba negare l'essenziale nessodell'una con l'altra, o proclamare la vanità della teoria difronte alla efficienza della pratica. Chi questo dice, nonsa quel che si dice.

Senza la teoria mazziniana, dunque, che corona eriassume le precedenti teorie vissute dal pensiero italia-no, non si capisce la pratica della unificazione e indi-pendenza d'Italia, che pur pare così eterogenea a quellateoria. La si studi, non fermandosi al fatto singolo e bru-to, e vi si ritroverà la teoria entro quelle forme, e, se si

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lecchi, 1925, p. 108). Ben detto, egli solo aveva ragione(non ho sottolineato io, ma lo stesso Savelli); aveva ra-gione anche quando tutti i fatti parevano negargliela.Nessun fatto mai contrasta o nega i principii, che soloda altri principii possono essere divelti. E anche ogginon certo i principii di Hegel o di Marx hanno diveltoquelli di Mazzini; anche oggi l'italiana rivoluzione, severamente vuol essere italiana e universale, deve avereancora la teoria di Mazzini a fondamento.

La pratica può parere, vista nei suoi singoli atti, ne-cessariamente parziali, astratti, incoerenti o contraddit-tori, può parere che rinneghi, rinnega anche la teoria;ma questi rinnegamenti sono i limiti, che l'essenza uni-versale trova in quella singolarità di atti, in cui in partesi fissa, in parte si fenomenizza. Il rinnegamento conse-gue al necessario naturalizzarsi del valore spiritualenell'opera e con l'opera che l'uomo svolge nella natura.Si spiega così perchè non si debba, come spesso legger-mente si fa, identificare, far uno di teoria e pratica, manon per questo si debba negare l'essenziale nessodell'una con l'altra, o proclamare la vanità della teoria difronte alla efficienza della pratica. Chi questo dice, nonsa quel che si dice.

Senza la teoria mazziniana, dunque, che corona eriassume le precedenti teorie vissute dal pensiero italia-no, non si capisce la pratica della unificazione e indi-pendenza d'Italia, che pur pare così eterogenea a quellateoria. La si studi, non fermandosi al fatto singolo e bru-to, e vi si ritroverà la teoria entro quelle forme, e, se si

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vuole, anche deformazioni che il suo singolarizzarsi ri-chiede.

Questa teoreticità di M., come cospiratore, comeuomo politico, come uomo vivente la sua vita travaglia-ta sempre sotto condanne a morte, che nessun boia riu-scirà mai ad attuare, questa teoreticità vissuta e saputacome tale costituisce la personalità filosofica di M. piùancora dei saggi filosofici nei quali il M. tentò di ridurlaa dottrina. E in questa teoreticità vi è un rigore logico, viè una coerenza spirituale così salda così profonda, cheben raro è vederla raggiunta o superata. Così Mazzini èun pensatore di razza, di quella buona razza filosofica,ai cui rappresentanti non ci si accosta senza sentirel'ammirazione che ispira la loro salda robusta organizza-zione di coscienza, che sfida ogni contraria affermazio-ne. Il segreto del fascino speciale, che sempre ha ispira-to, ispira e ispirerà il Mazzini, sta specialmente in que-sta individualmente vissuta coerenza di coscienza, chepareva volesse piegare eventi e tempo alla propria im-matura realizzazione. La stessa intima coerenza spiritua-le io trovo in un altro pensatore, che per tanti rispettideve ritenersi agli antipodi di Mazzini, lo Spinoza. Chisi avvicini all'uno e all'altro, si sente pervaso dallo stes-so profondo rispetto, anche se da sentimenti diversi egliè vivamente animato. Sono due anime coerenti fino aquell'eroismo, che la filosofia sempre richiede, ma chepurtroppo ben pochi dei suoi figli riescono ad attuare.

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vuole, anche deformazioni che il suo singolarizzarsi ri-chiede.

Questa teoreticità di M., come cospiratore, comeuomo politico, come uomo vivente la sua vita travaglia-ta sempre sotto condanne a morte, che nessun boia riu-scirà mai ad attuare, questa teoreticità vissuta e saputacome tale costituisce la personalità filosofica di M. piùancora dei saggi filosofici nei quali il M. tentò di ridurlaa dottrina. E in questa teoreticità vi è un rigore logico, viè una coerenza spirituale così salda così profonda, cheben raro è vederla raggiunta o superata. Così Mazzini èun pensatore di razza, di quella buona razza filosofica,ai cui rappresentanti non ci si accosta senza sentirel'ammirazione che ispira la loro salda robusta organizza-zione di coscienza, che sfida ogni contraria affermazio-ne. Il segreto del fascino speciale, che sempre ha ispira-to, ispira e ispirerà il Mazzini, sta specialmente in que-sta individualmente vissuta coerenza di coscienza, chepareva volesse piegare eventi e tempo alla propria im-matura realizzazione. La stessa intima coerenza spiritua-le io trovo in un altro pensatore, che per tanti rispettideve ritenersi agli antipodi di Mazzini, lo Spinoza. Chisi avvicini all'uno e all'altro, si sente pervaso dallo stes-so profondo rispetto, anche se da sentimenti diversi egliè vivamente animato. Sono due anime coerenti fino aquell'eroismo, che la filosofia sempre richiede, ma chepurtroppo ben pochi dei suoi figli riescono ad attuare.

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32. L'idealismo della filosofia di Mazzini.

È idealismo questa così speciale e così viva filosofiadel Mazzini? Forse non può dirsi tale, se intendiamo peridealismo soltanto una determinata soluzione del proble-ma della conoscenza. Mazzini non sente tal problema.Ma per il più comprensivo e profondo significato, chenoi abbiamo ritrovato nel concetto di idealismo, quellasoluzione è, e deve essere, integrata dalle coerenti solu-zioni degli altri problemi metafisici. E Mazzini sentì erisolse certo in modo coerente e profondamente ideali-stico il problema etico-politico, entro il quale si delineatutta la sua figura di pensatore. Il profondo concettomazziniano della inscindibile unità di pensiero ed azio-ne, esaminato nel suo valore metafisico, non significaaltro se non la doverosa necessità dell'oggettivarsi dellacoscienza del soggetto. Ed è la consapevolezza di questanecessità, che sorregge il Mazzini in tutto il suo doloro-so ma pur sempre entusiastico vivere. Si può dire il suodemone, la sua voce interiore, il suo artefice interno.

Al di là della sua singolare persona, al di là della stes-sa Italia considerata come persona che rinasce alla vitapolitica, c'è l'universale valore morale che i singoli indi-vidui e i singoli popoli devono realizzare con la loroopera, col loro stesso essere. Realizzazione, che èl'attuazione di quella voce interiore. L'immanentismometafisico teologico del Bruno, mutato il centro di ri-flessione e quindi il problema determinato da risolvere,diventa l'immanentismo etico-politico di Mazzini, che si

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32. L'idealismo della filosofia di Mazzini.

È idealismo questa così speciale e così viva filosofiadel Mazzini? Forse non può dirsi tale, se intendiamo peridealismo soltanto una determinata soluzione del proble-ma della conoscenza. Mazzini non sente tal problema.Ma per il più comprensivo e profondo significato, chenoi abbiamo ritrovato nel concetto di idealismo, quellasoluzione è, e deve essere, integrata dalle coerenti solu-zioni degli altri problemi metafisici. E Mazzini sentì erisolse certo in modo coerente e profondamente ideali-stico il problema etico-politico, entro il quale si delineatutta la sua figura di pensatore. Il profondo concettomazziniano della inscindibile unità di pensiero ed azio-ne, esaminato nel suo valore metafisico, non significaaltro se non la doverosa necessità dell'oggettivarsi dellacoscienza del soggetto. Ed è la consapevolezza di questanecessità, che sorregge il Mazzini in tutto il suo doloro-so ma pur sempre entusiastico vivere. Si può dire il suodemone, la sua voce interiore, il suo artefice interno.

Al di là della sua singolare persona, al di là della stes-sa Italia considerata come persona che rinasce alla vitapolitica, c'è l'universale valore morale che i singoli indi-vidui e i singoli popoli devono realizzare con la loroopera, col loro stesso essere. Realizzazione, che èl'attuazione di quella voce interiore. L'immanentismometafisico teologico del Bruno, mutato il centro di ri-flessione e quindi il problema determinato da risolvere,diventa l'immanentismo etico-politico di Mazzini, che si

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afferma, più che nelle sue proposizioni conoscitive, nelmodo in cui propone e si sforza di attuare la creazionedell'Italia politica. Deve questa essere un popolo cheagisce per la consapevolezza profonda che ha del suodovere, un popolo cioè, dalla cui esistenza ed opera ri-sulti chiara l'immanenza di Dio in esso. Questo l'inse-gnamento che dà a tutti i popoli Mazzini attraverso laformazione politica del popolo italiano. E perciò con piùpiena ragione, se si dice Rosmini l'antikant e Giobertil'anticartesio, deve dirsi Mazzini l'antimarx, quale egli siritenne e fu.

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afferma, più che nelle sue proposizioni conoscitive, nelmodo in cui propone e si sforza di attuare la creazionedell'Italia politica. Deve questa essere un popolo cheagisce per la consapevolezza profonda che ha del suodovere, un popolo cioè, dalla cui esistenza ed opera ri-sulti chiara l'immanenza di Dio in esso. Questo l'inse-gnamento che dà a tutti i popoli Mazzini attraverso laformazione politica del popolo italiano. E perciò con piùpiena ragione, se si dice Rosmini l'antikant e Giobertil'anticartesio, deve dirsi Mazzini l'antimarx, quale egli siritenne e fu.

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CAP. VICARATTERI DELL'IDEALISMO

STORICO ITALIANO

33. Italianità e filosofia.

C'è, dunque, un idealismo italiano nella filosofiad'Italia.

E invece ancora oggi, a prescindere dalla opinione diHegel che non vede se non un pensiero greco ed un pen-siero tedesco che lo sviluppa e continua, della storica fi-losofia d'Italia, di sistemi di filosofi italiani, in generenon ci si accorge5. Questo non esserci della filosofia ita-

5 Diamo solo qualche esempio di tale o assenza di accorgi-mento o aperta negazione. Chi voglia, credo possa moltiplicaresenza risparmio tali esempi.

In quella pregevolissima presentazione scientifica della filoso-fia moderna fatta da J. E. Erdmann (Versuch einer wissenschaftli-

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CAP. VICARATTERI DELL'IDEALISMO

STORICO ITALIANO

33. Italianità e filosofia.

C'è, dunque, un idealismo italiano nella filosofiad'Italia.

E invece ancora oggi, a prescindere dalla opinione diHegel che non vede se non un pensiero greco ed un pen-siero tedesco che lo sviluppa e continua, della storica fi-losofia d'Italia, di sistemi di filosofi italiani, in generenon ci si accorge5. Questo non esserci della filosofia ita-

5 Diamo solo qualche esempio di tale o assenza di accorgi-mento o aperta negazione. Chi voglia, credo possa moltiplicaresenza risparmio tali esempi.

In quella pregevolissima presentazione scientifica della filoso-fia moderna fatta da J. E. Erdmann (Versuch einer wissenschaftli-

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liana è, anche in Italia, uno stato d'animo diffuso.Stato d'animo piuttosto confermato che tolto

dall'atteggiamento, pel quale, in Italia, si difesedall'accusa di esotismo la dottrina professata (Spaventa),col dimostrare il carattere europeo della filosofia italia-na cioè col commisurare la filosofia italiana a quellastraniera, invece, se mai, di fare il contrario. Non ostan-te i vari tentativi, in tempi diversi, di una presentazionedella filosofia italiana e del suo rinnovamento, la storiadi questa, credo attenda ancora la sua piena organizza-zione.

Nè c'è bisogno per questo di risollevare e risolvere ilvessato problema della nazionalità della speculazione:se i popoli hanno una loro, sia pure empirica, personali-

chen Darstellung der Geschichte der neuern Philosophie) com-parsa tra il 1834 e il 1853, e ora (1931-1933) ristampata in facsi-mile dal Glockner invano si cerca una qualunque traccia della fi-losofia italiana: neppure del Vico c'è magari soltanto il nome.

Nel 5° vol. della 12° ediz. (1928) del Grundriss der Geschich-te der Philosophie dell'Ueberweg, l'ampio repertorio dottrinario ebibliografico meritamente diffusissimo si legge a pag. XXXIII:«Una filosofia specificamente italiana sta nascendo, specifica-mente italiana non ostante il suo partire dall'idealismo tedesco ela sua totale affinità ideale con esso».

Nel «Second Congrès polonais de philosophie» (Varsovie,1930, pag. 30) uno studioso polacco, deplorando la mancanza diuna speculazione teoretica slava, accenna come a termini di con-fronto solo ai «sistemi dei filosofi francesi, tedeschi o inglesi» eimplicitamente col silenzio accomuna così, in quella mancanza, ilpopolo italiano a quegli slavi.

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liana è, anche in Italia, uno stato d'animo diffuso.Stato d'animo piuttosto confermato che tolto

dall'atteggiamento, pel quale, in Italia, si difesedall'accusa di esotismo la dottrina professata (Spaventa),col dimostrare il carattere europeo della filosofia italia-na cioè col commisurare la filosofia italiana a quellastraniera, invece, se mai, di fare il contrario. Non ostan-te i vari tentativi, in tempi diversi, di una presentazionedella filosofia italiana e del suo rinnovamento, la storiadi questa, credo attenda ancora la sua piena organizza-zione.

Nè c'è bisogno per questo di risollevare e risolvere ilvessato problema della nazionalità della speculazione:se i popoli hanno una loro, sia pure empirica, personali-

chen Darstellung der Geschichte der neuern Philosophie) com-parsa tra il 1834 e il 1853, e ora (1931-1933) ristampata in facsi-mile dal Glockner invano si cerca una qualunque traccia della fi-losofia italiana: neppure del Vico c'è magari soltanto il nome.

Nel 5° vol. della 12° ediz. (1928) del Grundriss der Geschich-te der Philosophie dell'Ueberweg, l'ampio repertorio dottrinario ebibliografico meritamente diffusissimo si legge a pag. XXXIII:«Una filosofia specificamente italiana sta nascendo, specifica-mente italiana non ostante il suo partire dall'idealismo tedesco ela sua totale affinità ideale con esso».

Nel «Second Congrès polonais de philosophie» (Varsovie,1930, pag. 30) uno studioso polacco, deplorando la mancanza diuna speculazione teoretica slava, accenna come a termini di con-fronto solo ai «sistemi dei filosofi francesi, tedeschi o inglesi» eimplicitamente col silenzio accomuna così, in quella mancanza, ilpopolo italiano a quegli slavi.

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tà, per la quale ciascuno si distingue dall'altro, non si ca-pisce perchè debba ritenersi delitto di lesa scienza parla-re di un carattere proprio della filosofia di un popolo. Seè da una parte gratuito ed ingiurioso condannare un pen-siero filosofico solo perchè non nazionale, dall'altra nonè vero neanche che “comune ed unico è il carattere dellafilosofia nei popoli moderni”, perchè è “caratteristicadella filosofia antica (l'indiana come la greca) d'essernazionale nel vero significato della parola” (Spaventa,Fil. ital., pag. 21). Ciò importa ammettere che si possaparlare di un tempo mai, in cui la filosofia un caratterecomune ed unico non abbia avuto, o possa venirne maiun altro, in cui questo carattere comune sopprima la per-sonalità del filosofare.

Nè il ricercare ed organizzare la storia della filosofiadi un popolo esclude l'interferenza di questa filosofiacon quella di un altro popolo. Per escludere il pregiudi-zio del nazionalismo non bisogna cadere nel pregiudiziodell'antinazionalismo e salutare con plauso il ricorso alla“scuola tedesca” per “liberarci dai preconcetti naziona-li” (Croce, Storiografia.... 1930, I, 291), in modo quasida sottintendere che solo quelli nazionali italiani sianpreconcetti, e concetti siano invece quelli tedeschi. Sot-tinteso, che risulta quasi obbligatorio, quando si pensiche quella “scuola tedesca” è impersonata daquell'Hegel, pel quale esiste bensì una filosofia tedesca,ma non una filosofia italiana. Da tal pericolo il Croce,nella sua giusta esigenza della universalità del filosofare(da lui peraltro rinnegata nel ridurre il problema filosofi-

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tà, per la quale ciascuno si distingue dall'altro, non si ca-pisce perchè debba ritenersi delitto di lesa scienza parla-re di un carattere proprio della filosofia di un popolo. Seè da una parte gratuito ed ingiurioso condannare un pen-siero filosofico solo perchè non nazionale, dall'altra nonè vero neanche che “comune ed unico è il carattere dellafilosofia nei popoli moderni”, perchè è “caratteristicadella filosofia antica (l'indiana come la greca) d'essernazionale nel vero significato della parola” (Spaventa,Fil. ital., pag. 21). Ciò importa ammettere che si possaparlare di un tempo mai, in cui la filosofia un caratterecomune ed unico non abbia avuto, o possa venirne maiun altro, in cui questo carattere comune sopprima la per-sonalità del filosofare.

Nè il ricercare ed organizzare la storia della filosofiadi un popolo esclude l'interferenza di questa filosofiacon quella di un altro popolo. Per escludere il pregiudi-zio del nazionalismo non bisogna cadere nel pregiudiziodell'antinazionalismo e salutare con plauso il ricorso alla“scuola tedesca” per “liberarci dai preconcetti naziona-li” (Croce, Storiografia.... 1930, I, 291), in modo quasida sottintendere che solo quelli nazionali italiani sianpreconcetti, e concetti siano invece quelli tedeschi. Sot-tinteso, che risulta quasi obbligatorio, quando si pensiche quella “scuola tedesca” è impersonata daquell'Hegel, pel quale esiste bensì una filosofia tedesca,ma non una filosofia italiana. Da tal pericolo il Croce,nella sua giusta esigenza della universalità del filosofare(da lui peraltro rinnegata nel ridurre il problema filosofi-

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co ai problemi storici dell'ora e dei popoli che la vivo-no), mi pare non si sia guardato abbastanza. Non si capi-sce, perchè mai debba essere inibito di ricercare e mette-re in evidenza un “carattere della filosofia italiana” (ib.,I, 218), pur ammettendo, e nessuno ammette più di me(che parlo di uno sforzo di trascendenza della filosofianella pura oggettività spirituale), che “la filosofia è sem-pre puramente umana”. Ma appunto perciò essa è fattadagli uomini nella loro soggettiva individualità. E non sicapisce, perchè quella affinità spirituale, che unisce gliuomini di uno stesso popolo, non debbasi poter manife-stare in questa ricerca dell'universale Assoluto, quale è esarà sempre la filosofia, e, una volta manifestata, nondebba poter essere ricercata, interpretata, e ridotta così,nel rapporto con le altre filosofie, a quel valore univer-sale, nella cui ricerca essa si è manifestata.

Affermare la propria personalità speculativa, è indi-spensabile al filosofare; nè ciò vuol dire chiudersi nellapropria personalità e lasciar che fuori si viva dicendo ilcontrario, ma richiede, proprio come affermazione dipersonalità, la dimostrazione del valore universale deicaratteri che si riconoscono alla propria speculazione. Equel che si dice dei sistemi dei singoli pensatori, devedirsi del sistema speculativo di un popolo, quando aquesto si riconosca una personalità spirituale. Cosìl'ammesso carattere nazionale della speculazione si tra-sforma in carattere universale: È capace il pensiero spe-culativo italiano di difendere e sviluppare il valore uni-versale delle caratteristiche del proprio idealismo stori-

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co ai problemi storici dell'ora e dei popoli che la vivo-no), mi pare non si sia guardato abbastanza. Non si capi-sce, perchè mai debba essere inibito di ricercare e mette-re in evidenza un “carattere della filosofia italiana” (ib.,I, 218), pur ammettendo, e nessuno ammette più di me(che parlo di uno sforzo di trascendenza della filosofianella pura oggettività spirituale), che “la filosofia è sem-pre puramente umana”. Ma appunto perciò essa è fattadagli uomini nella loro soggettiva individualità. E non sicapisce, perchè quella affinità spirituale, che unisce gliuomini di uno stesso popolo, non debbasi poter manife-stare in questa ricerca dell'universale Assoluto, quale è esarà sempre la filosofia, e, una volta manifestata, nondebba poter essere ricercata, interpretata, e ridotta così,nel rapporto con le altre filosofie, a quel valore univer-sale, nella cui ricerca essa si è manifestata.

Affermare la propria personalità speculativa, è indi-spensabile al filosofare; nè ciò vuol dire chiudersi nellapropria personalità e lasciar che fuori si viva dicendo ilcontrario, ma richiede, proprio come affermazione dipersonalità, la dimostrazione del valore universale deicaratteri che si riconoscono alla propria speculazione. Equel che si dice dei sistemi dei singoli pensatori, devedirsi del sistema speculativo di un popolo, quando aquesto si riconosca una personalità spirituale. Cosìl'ammesso carattere nazionale della speculazione si tra-sforma in carattere universale: È capace il pensiero spe-culativo italiano di difendere e sviluppare il valore uni-versale delle caratteristiche del proprio idealismo stori-

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co? È capace, cioè, di dimostrare che le opposte affer-mazioni si fondano su presupposti dogmaticamente am-messi, ingiustificati, che invece esso può criticamentechiarire e quindi correggere od eliminare? Dimostrarquesto è sviluppare sè e costringere a fare altrettanto an-che gli altri (persone o popoli), che veramente filosofi-no, che cioè sian premurosi anche della critica del pro-prio individuale pensiero, e sian quindi pronti a correg-gerlo per procurar davvero ad esso, con la propria perso-na, un valore universale, e non invece, attraverso esso,un successo alla propria persona. L'universalismo italia-no, per suo conto, saprà fare questa critica, questa inte-grazione?

Il successo delle singole persone passa: è residuo divecchie scoperte tratte a proprio profitto. Il valore uni-versale dell'idea resta: sostanzia lo svolgimento spiritua-le di domani. Valore hanno i popoli, che questo sannoprocurare.

Con tale intendimento noi parliamo di una filosofiaitaliana, di un idealismo italiano, di un carattere fonda-mentale di tale idealismo.

34. Oggettivismo razionalistico dell'Umanesimo e del Rinascimento.

Ha dunque quell'idealismo storico italiano, del qualeabbiamo messo in rilievo i punti salienti, un suo caratte-

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co? È capace, cioè, di dimostrare che le opposte affer-mazioni si fondano su presupposti dogmaticamente am-messi, ingiustificati, che invece esso può criticamentechiarire e quindi correggere od eliminare? Dimostrarquesto è sviluppare sè e costringere a fare altrettanto an-che gli altri (persone o popoli), che veramente filosofi-no, che cioè sian premurosi anche della critica del pro-prio individuale pensiero, e sian quindi pronti a correg-gerlo per procurar davvero ad esso, con la propria perso-na, un valore universale, e non invece, attraverso esso,un successo alla propria persona. L'universalismo italia-no, per suo conto, saprà fare questa critica, questa inte-grazione?

Il successo delle singole persone passa: è residuo divecchie scoperte tratte a proprio profitto. Il valore uni-versale dell'idea resta: sostanzia lo svolgimento spiritua-le di domani. Valore hanno i popoli, che questo sannoprocurare.

Con tale intendimento noi parliamo di una filosofiaitaliana, di un idealismo italiano, di un carattere fonda-mentale di tale idealismo.

34. Oggettivismo razionalistico dell'Umanesimo e del Rinascimento.

Ha dunque quell'idealismo storico italiano, del qualeabbiamo messo in rilievo i punti salienti, un suo caratte-

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re, pel quale eventualmente si distingua dall'idealismoespresso nella filosofia di altri popoli?

E dico idealismo “storico”, perchè io alla storia nondo due significati uno filosofico e l'altro volgare: in filo-sofia, come nella coscienza comune, storia è coscienzapassata (o, se si vuole, del passato). Quando, dunque,dico “idealismo storico”, dico idealismo professato nelledottrine ormai storiche della nostra filosofia, e natural-mente come tali non considero quelle che presentementeascoltiamo o cerchiamo noi stessi di esplicare.

Per intendere la risposta che noi diamo a quella do-manda, bisogna aver presente il concetto che noi abbia-mo di tutto lo sviluppo storico della filosofia occidenta-le, e in particolare di quello della filosofia moderna. Noiabbiamo mostrato (cfr. Introd.), come nella soluzionedel problema centrale della filosofia moderna (problemadella certezza) la conquista sia data dall'affermazionedella immanenza del vero nel certo, conquista che trovanon la sua dimostrazione ma i suoi limiti nel soggettivi-smo, in cui esplicitamente finì la filosofia moderna.

Ora, se si riflette ai cenni che abbiamo dato, l'ideali-smo italiano risulta aver proprio come suo specifico ca-rattere quell'immanentismo, che costituisce la scopertadella filosofia moderna, e non questo soggettivismo chela limita. Non esso perciò ripete quella scoperta da altrefilosofie ma viceversa queste la ripetono, deformandola,da quello.

Nell'essenza dell'umanesimo, quando, a ragione, nonsi è voluto più vedere soltanto un puro e semplice for-

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re, pel quale eventualmente si distingua dall'idealismoespresso nella filosofia di altri popoli?

E dico idealismo “storico”, perchè io alla storia nondo due significati uno filosofico e l'altro volgare: in filo-sofia, come nella coscienza comune, storia è coscienzapassata (o, se si vuole, del passato). Quando, dunque,dico “idealismo storico”, dico idealismo professato nelledottrine ormai storiche della nostra filosofia, e natural-mente come tali non considero quelle che presentementeascoltiamo o cerchiamo noi stessi di esplicare.

Per intendere la risposta che noi diamo a quella do-manda, bisogna aver presente il concetto che noi abbia-mo di tutto lo sviluppo storico della filosofia occidenta-le, e in particolare di quello della filosofia moderna. Noiabbiamo mostrato (cfr. Introd.), come nella soluzionedel problema centrale della filosofia moderna (problemadella certezza) la conquista sia data dall'affermazionedella immanenza del vero nel certo, conquista che trovanon la sua dimostrazione ma i suoi limiti nel soggettivi-smo, in cui esplicitamente finì la filosofia moderna.

Ora, se si riflette ai cenni che abbiamo dato, l'ideali-smo italiano risulta aver proprio come suo specifico ca-rattere quell'immanentismo, che costituisce la scopertadella filosofia moderna, e non questo soggettivismo chela limita. Non esso perciò ripete quella scoperta da altrefilosofie ma viceversa queste la ripetono, deformandola,da quello.

Nell'essenza dell'umanesimo, quando, a ragione, nonsi è voluto più vedere soltanto un puro e semplice for-

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male ritorno al sapere antico, si è trovato o un certoestetismo che permette di guardare la vita umana e larealtà come un puro atto di bellezza, o una conquista diun nuovo concetto dell'uomo e una conseguente libera-zione da un estraneo potere potere spirituale. Ora c'ècertamente anche tutto questo nell'Umanesimo, ma fon-damentalmente, e quindi a radice di tutti questi altri ca-ratteri, c'è una consapevolezza della sufficienza dellacoscienza umana al raggiungimento dell'essere; suffi-cienza, della quale la civiltà greco-romana, precedenteall'avvento del Cristianesimo, aveva dato prova; provaammessa come tale dalla stessa filosofia scolastica,quando dimostra la concordanza della verità cristiananon certo con la mitologica religione pagana, ma colpensiero classico che questa religione o poneva da parte,o condannava, o elevava al di là del mito. Quindi il ri-torno alla letteratura di tale civiltà come a prova e godi-mento insieme di tale sufficienza, con la persuasione,che quella verità cristiana, che si è provato essered'accordo con la razionale filosofia antica, non abbia asoffrirne in nulla, ma non con l'intento di asservire anco-ra alla rivelazione il pensiero antico, ripetendo una pa-tristica (e magari una scolastica), della quale, quindi,non si vedrebbe qual novità mai essa costituisca, e costi-tuisca in tal modo da dare allo spirito, anche se confusa,una netta sensazione di vita nuova.

Or, se si vuole dire ragione questa coscienza autono-ma, cui l'umanesimo si appella nel riscoprire le vecchiecarte da essa dettate, può questo carattere della suffi-

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male ritorno al sapere antico, si è trovato o un certoestetismo che permette di guardare la vita umana e larealtà come un puro atto di bellezza, o una conquista diun nuovo concetto dell'uomo e una conseguente libera-zione da un estraneo potere potere spirituale. Ora c'ècertamente anche tutto questo nell'Umanesimo, ma fon-damentalmente, e quindi a radice di tutti questi altri ca-ratteri, c'è una consapevolezza della sufficienza dellacoscienza umana al raggiungimento dell'essere; suffi-cienza, della quale la civiltà greco-romana, precedenteall'avvento del Cristianesimo, aveva dato prova; provaammessa come tale dalla stessa filosofia scolastica,quando dimostra la concordanza della verità cristiananon certo con la mitologica religione pagana, ma colpensiero classico che questa religione o poneva da parte,o condannava, o elevava al di là del mito. Quindi il ri-torno alla letteratura di tale civiltà come a prova e godi-mento insieme di tale sufficienza, con la persuasione,che quella verità cristiana, che si è provato essered'accordo con la razionale filosofia antica, non abbia asoffrirne in nulla, ma non con l'intento di asservire anco-ra alla rivelazione il pensiero antico, ripetendo una pa-tristica (e magari una scolastica), della quale, quindi,non si vedrebbe qual novità mai essa costituisca, e costi-tuisca in tal modo da dare allo spirito, anche se confusa,una netta sensazione di vita nuova.

Or, se si vuole dire ragione questa coscienza autono-ma, cui l'umanesimo si appella nel riscoprire le vecchiecarte da essa dettate, può questo carattere della suffi-

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cienza della coscienza umana essere indicato come ra-zionalismo, che, in quanto riconosce tal sufficienza inuna già vissuta cultura storica, può dirsi razionalismotradizionale.

È, dunque, l'umanesimo una prima affermazione dital sufficienza, che però da una parte lascia sussistereaccanto a sè, non messo affatto in dubbio anzi professa-to il sapere rivelato come tale, e dall'altra non riconosceancora quanto di attivo ci sia in questa razionale rievo-cazione di una razionale cultura storicamente già vissu-ta. In tutto questo non c'entra una egoistica rivelazionedell'uomo come tale, il far l'uomo oggetto della sua pro-pria indagine, segno cui essa mira. Io direi quasi l'oppo-sto; l'uomo è stanco di essere il re, creato, del creato, dipensare unicamente a sè ed alla sua propria salvezza.

Non rinnega per questo, anzi conferma, il bisogno ela certezza di tale salvazione, che la religione gli per-mette; ma sente ancora più potente il bisogno di disper-dere la propria umanità nel valore della natura e dellospirito che la anima. A lui non interessa più se stesso:interessa il mondo nei suoi valori naturali e culturali. Equindi lascia sussistere il concetto che la vera vita siaquella di là dalla terra, appunto perchè non contrapponea quel concetto l'affermazione del valore della vita suquesta terra, ma solo gli aggiunge un concetto che nonlo rinnega affatto, il concetto dell'oggettivo valore dellacoscienza, quando il soggetto di sè e della sua salvezzanon si preoccupi.

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cienza della coscienza umana essere indicato come ra-zionalismo, che, in quanto riconosce tal sufficienza inuna già vissuta cultura storica, può dirsi razionalismotradizionale.

È, dunque, l'umanesimo una prima affermazione dital sufficienza, che però da una parte lascia sussistereaccanto a sè, non messo affatto in dubbio anzi professa-to il sapere rivelato come tale, e dall'altra non riconosceancora quanto di attivo ci sia in questa razionale rievo-cazione di una razionale cultura storicamente già vissu-ta. In tutto questo non c'entra una egoistica rivelazionedell'uomo come tale, il far l'uomo oggetto della sua pro-pria indagine, segno cui essa mira. Io direi quasi l'oppo-sto; l'uomo è stanco di essere il re, creato, del creato, dipensare unicamente a sè ed alla sua propria salvezza.

Non rinnega per questo, anzi conferma, il bisogno ela certezza di tale salvazione, che la religione gli per-mette; ma sente ancora più potente il bisogno di disper-dere la propria umanità nel valore della natura e dellospirito che la anima. A lui non interessa più se stesso:interessa il mondo nei suoi valori naturali e culturali. Equindi lascia sussistere il concetto che la vera vita siaquella di là dalla terra, appunto perchè non contrapponea quel concetto l'affermazione del valore della vita suquesta terra, ma solo gli aggiunge un concetto che nonlo rinnega affatto, il concetto dell'oggettivo valore dellacoscienza, quando il soggetto di sè e della sua salvezzanon si preoccupi.

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Il Rinascimento, nel quale per naturale sviluppo ilmoto umanistico pone capo, sente, anche per le scopertescientifiche che frattanto venivansi facendo nel campodella natura, sente che quella sufficienza è da affermare,solo se essa non si chiude e ferma nella tradizione, cioènel supino accoglimento di già scoperte verità, di giàvissuta bellezza, di già proposti fini. Il razionalismo tra-dizionale dell'Umanesimo diventa, con ciò, il razionali-smo attivo del Rinascimento, che, in questo riconoscerela continuità attiva della ragione scopre la metafisicaimmanenza del sommo ed unico principio di essa, equindi comincia a colmare il baratro che separa il sapererivelato all'uomo da quello ritrovato dall'uomo: si senteche parla ed agisce anche in quest'ultimo il Dio, che siera, nel tempo, rivelato ai suoi profeti e per bocca delsuo umanizzato Figliuolo.

Il Rinascimento, dunque, conferma l'umanesimo e lointegra con due affermazioni fondamentali: la continua-zione della ricerca razionale antica e la consapevolezzache in tale ricerca razionale Dio non può essere assente,se veramente questa è oggettiva e corregge errori, in cuiprima si era incorsi. Tutt'altro dunque che affermazionedel regno dell'uomo contrapposta all'affermazione delregno di Dio. E perciò il Rinascimento, con questo suorazionalismo immanentistico, in cui si compendia il suomoto complessivo, non sta in una scoperta ed afferma-zione della individualità come tale.

Se mai, tale carattere è proprio soltanto del contem-poraneo moto della Riforma tedesca, che, invece di risa-

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Il Rinascimento, nel quale per naturale sviluppo ilmoto umanistico pone capo, sente, anche per le scopertescientifiche che frattanto venivansi facendo nel campodella natura, sente che quella sufficienza è da affermare,solo se essa non si chiude e ferma nella tradizione, cioènel supino accoglimento di già scoperte verità, di giàvissuta bellezza, di già proposti fini. Il razionalismo tra-dizionale dell'Umanesimo diventa, con ciò, il razionali-smo attivo del Rinascimento, che, in questo riconoscerela continuità attiva della ragione scopre la metafisicaimmanenza del sommo ed unico principio di essa, equindi comincia a colmare il baratro che separa il sapererivelato all'uomo da quello ritrovato dall'uomo: si senteche parla ed agisce anche in quest'ultimo il Dio, che siera, nel tempo, rivelato ai suoi profeti e per bocca delsuo umanizzato Figliuolo.

Il Rinascimento, dunque, conferma l'umanesimo e lointegra con due affermazioni fondamentali: la continua-zione della ricerca razionale antica e la consapevolezzache in tale ricerca razionale Dio non può essere assente,se veramente questa è oggettiva e corregge errori, in cuiprima si era incorsi. Tutt'altro dunque che affermazionedel regno dell'uomo contrapposta all'affermazione delregno di Dio. E perciò il Rinascimento, con questo suorazionalismo immanentistico, in cui si compendia il suomoto complessivo, non sta in una scoperta ed afferma-zione della individualità come tale.

Se mai, tale carattere è proprio soltanto del contem-poraneo moto della Riforma tedesca, che, invece di risa-

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lire, come aveva fatto l'italiano Umanesimo, alla tradi-zione razionale nella sua oggettività trascurando il moti-vo della individuale salvezza umana, era risalito invece,confermando proprio questo motivo, alla tradizione ri-velata, ponendo in evidenza la necessità del libero esa-me individuale di tale sapere rivelato. E così, e per ilsuo essere un movimento religioso ritornante ai motiviprimi ed essenziali della salvezza, e per il carattere di li-bero esame individuale in cui quel movimento si con-creta, la Riforma ha proprio questa caratteristica decisadella soggettività individuale come tale. Il soggetto, sipuò dire, è a tu per tu con Dio, Soggetto anche Lui. Ègià nella Riforma virtualmente eliminata l'oggettività. Eforse non è estraneo alla valutazione individualistica delnostro Rinascimento, il partire da questo carattere cheinvece è proprio del movimento spirituale tedesco. Mo-vimento spirituale questo, che rimane quindi nella posi-zione speculativa medievale.

La parti, dunque, a me sembrano da invertire. Non èla Riforma che ha rinnovata la posizione del problemametafisico attraverso la rivoluzione religiosa, ma è inve-ce il cattolico e tradizionale Umanesimo, col conseguen-te Rinascimento, che riesce a porre ex novo il problemaspeculativo, indipendentemente dalla religione, conl'affermazione schietta della sufficienza della coscienzaumana nella sua oggettiva indagine dell'essere.

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lire, come aveva fatto l'italiano Umanesimo, alla tradi-zione razionale nella sua oggettività trascurando il moti-vo della individuale salvezza umana, era risalito invece,confermando proprio questo motivo, alla tradizione ri-velata, ponendo in evidenza la necessità del libero esa-me individuale di tale sapere rivelato. E così, e per ilsuo essere un movimento religioso ritornante ai motiviprimi ed essenziali della salvezza, e per il carattere di li-bero esame individuale in cui quel movimento si con-creta, la Riforma ha proprio questa caratteristica decisadella soggettività individuale come tale. Il soggetto, sipuò dire, è a tu per tu con Dio, Soggetto anche Lui. Ègià nella Riforma virtualmente eliminata l'oggettività. Eforse non è estraneo alla valutazione individualistica delnostro Rinascimento, il partire da questo carattere cheinvece è proprio del movimento spirituale tedesco. Mo-vimento spirituale questo, che rimane quindi nella posi-zione speculativa medievale.

La parti, dunque, a me sembrano da invertire. Non èla Riforma che ha rinnovata la posizione del problemametafisico attraverso la rivoluzione religiosa, ma è inve-ce il cattolico e tradizionale Umanesimo, col conseguen-te Rinascimento, che riesce a porre ex novo il problemaspeculativo, indipendentemente dalla religione, conl'affermazione schietta della sufficienza della coscienzaumana nella sua oggettiva indagine dell'essere.

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35. Il razionalismo del Rinascimento progenitore dell'ontologismo del Risorgimento.

Questa sufficienza era però vissuta, non dimostrata.La dimostrazione non fu data dal cartesianesimo e dallacritica kantiana, perchè questi, nel proporre schietto ilproblema della conoscenza pura, presupponevano que-sta come proprietà o attività del soggetto, e quindi lachiudevano in se stessa, conservando così un presuppo-sto, che ne rendeva impossibile la soluzione, il presup-posto della trascendenza dell'oggetto, che dicevasi real-tà, trascendenza che invece era stata superata nella vis-suta sufficienza del Rinascimento.

La dimostrazione comincia ad aversi con la filosofiadel Risorgimento italiano, in quanto questa vede l'astrat-tezza di tale impostazione del problema della conoscen-za nella sua pretesa di prescindere da ogni oggettiva in-dagine metafisica.

Questa indagine infatti deve necessariamente consu-stanziarsi con quel problema, perchè essa non sia arbi-traria e questo non sia astratto. Nella essenza quindi ditutta la filosofia del Risorgimento (non ostante cheespliciti e reiterati siano gli sforzi specialmente del Ro-smini per riuscire a dimostrare la trascendenza) sta que-sto carattere ontologico, che pur non rinnega anzi vuolproprio soddisfare l'esigenza gnoseologica della filoso-fia moderna. Ma vuol soddisfarla, direi, concretamente,e quindi non scindendo la conoscenza dall'essere, scis-

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35. Il razionalismo del Rinascimento progenitore dell'ontologismo del Risorgimento.

Questa sufficienza era però vissuta, non dimostrata.La dimostrazione non fu data dal cartesianesimo e dallacritica kantiana, perchè questi, nel proporre schietto ilproblema della conoscenza pura, presupponevano que-sta come proprietà o attività del soggetto, e quindi lachiudevano in se stessa, conservando così un presuppo-sto, che ne rendeva impossibile la soluzione, il presup-posto della trascendenza dell'oggetto, che dicevasi real-tà, trascendenza che invece era stata superata nella vis-suta sufficienza del Rinascimento.

La dimostrazione comincia ad aversi con la filosofiadel Risorgimento italiano, in quanto questa vede l'astrat-tezza di tale impostazione del problema della conoscen-za nella sua pretesa di prescindere da ogni oggettiva in-dagine metafisica.

Questa indagine infatti deve necessariamente consu-stanziarsi con quel problema, perchè essa non sia arbi-traria e questo non sia astratto. Nella essenza quindi ditutta la filosofia del Risorgimento (non ostante cheespliciti e reiterati siano gli sforzi specialmente del Ro-smini per riuscire a dimostrare la trascendenza) sta que-sto carattere ontologico, che pur non rinnega anzi vuolproprio soddisfare l'esigenza gnoseologica della filoso-fia moderna. Ma vuol soddisfarla, direi, concretamente,e quindi non scindendo la conoscenza dall'essere, scis-

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sione perpetrata specialmente dalla critica, scissione, perla quale non ci sarà più dato di riconquistare l'essere.Non più dunque il tradizionale scolastico presuppostodell'essere, dato il quale e dopo il quale venga il cono-scere; ma neppure il conoscere preso a sè solo e quindigiudice vuoto di se stesso, che naturalmente diventa as-soluto per un verso in quanto si riempie di sè, ma scetti-co per l'altro in quanto ha cominciato col vuotarsi, preli-minarmente, di essere. L'ontologismo idealistico del no-stro Risorgimento è dunque quasi la dimostrazione, con-sapevole o non che sia, dell'immanentismo razionalisti-co conquistato dal nostro Rinascimento. Questa dimo-strazione non si ha con Cartesio o Kant o Hegel, si hainvece coll'idealismo oggettivo del Rosmini, coll'ontolo-gismo idealistico del Gioberti e specialmente coll'imma-nentismo morale del Mazzini.

Dimostrazione, ostacolata ancora, ancora offuscata dacontrari motivi, e che perciò si ritrova nell'intima coe-renza logica e nel principio vitale delle dottrine, e delloro nesso, anzichè in esplicite professioni di fede deiloro autori. Ed io credo che il cattolicesimo tradizionaleaveva ragione, quando, in nome della trascendenza epersonalità di Dio, condannava la dottrina di Rosmini eGioberti, che, non ostante la loro aperta e reiterata pro-fessione di fede tradizionale, quella trascendenza perso-nale di Dio presentavano in modo irriconoscibile.

Dal razionalismo tradizionale, dunque, dell'Umanesi-mo arriviamo all'immanentismo morale del Mazzini.Carattere unico e comprensivo di questa corrente ideali-

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sione perpetrata specialmente dalla critica, scissione, perla quale non ci sarà più dato di riconquistare l'essere.Non più dunque il tradizionale scolastico presuppostodell'essere, dato il quale e dopo il quale venga il cono-scere; ma neppure il conoscere preso a sè solo e quindigiudice vuoto di se stesso, che naturalmente diventa as-soluto per un verso in quanto si riempie di sè, ma scetti-co per l'altro in quanto ha cominciato col vuotarsi, preli-minarmente, di essere. L'ontologismo idealistico del no-stro Risorgimento è dunque quasi la dimostrazione, con-sapevole o non che sia, dell'immanentismo razionalisti-co conquistato dal nostro Rinascimento. Questa dimo-strazione non si ha con Cartesio o Kant o Hegel, si hainvece coll'idealismo oggettivo del Rosmini, coll'ontolo-gismo idealistico del Gioberti e specialmente coll'imma-nentismo morale del Mazzini.

Dimostrazione, ostacolata ancora, ancora offuscata dacontrari motivi, e che perciò si ritrova nell'intima coe-renza logica e nel principio vitale delle dottrine, e delloro nesso, anzichè in esplicite professioni di fede deiloro autori. Ed io credo che il cattolicesimo tradizionaleaveva ragione, quando, in nome della trascendenza epersonalità di Dio, condannava la dottrina di Rosmini eGioberti, che, non ostante la loro aperta e reiterata pro-fessione di fede tradizionale, quella trascendenza perso-nale di Dio presentavano in modo irriconoscibile.

Dal razionalismo tradizionale, dunque, dell'Umanesi-mo arriviamo all'immanentismo morale del Mazzini.Carattere unico e comprensivo di questa corrente ideali-

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stica della filosofia italiana è dunque un oggettivismo dicoscienza, che appunto ne costituisce l'essenza idealisti-ca. Essenza idealistica, che, rimasta implicita nel Rina-scimento, si chiarisce e si conferma come tale nel Risor-gimento, in quanto se ne trae come conseguenza il rico-noscimento esplicito della spiritualità dell'oggetto, rico-noscimento cioè che quell'oggetto, che deve essere im-manente ai soggetti, deve essere di natura spirituale poi-chè i soggetti sono spirito. Tale spiritualità non era certostata messa in organica evidenza nel Rinascimento; macostituisce la caratteristica essenziale del nostro Risorgi-mento nel suo differenziarsi dal Rinascimento, che pro-prio per tale differenza è non l'opposto ma il progenitoredi quello. La filosofia del Risorgimento è nata dunquedalla stessa filosofia italiana, anche se della stranieratiene, come deve, il debito, e certo non piccolo conto. Ilprocesso storico della speculazione italiana ha una suaunità intima: dall'oggettività della coscienza razionalenel Rinascimento si giunge alla spiritualità dell'oggettorichiesta, se non esplicitamente vista, dalla conoscenzadi Rosmini, dalla creazione di Gioberti, dal dovere diMazzini.

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stica della filosofia italiana è dunque un oggettivismo dicoscienza, che appunto ne costituisce l'essenza idealisti-ca. Essenza idealistica, che, rimasta implicita nel Rina-scimento, si chiarisce e si conferma come tale nel Risor-gimento, in quanto se ne trae come conseguenza il rico-noscimento esplicito della spiritualità dell'oggetto, rico-noscimento cioè che quell'oggetto, che deve essere im-manente ai soggetti, deve essere di natura spirituale poi-chè i soggetti sono spirito. Tale spiritualità non era certostata messa in organica evidenza nel Rinascimento; macostituisce la caratteristica essenziale del nostro Risorgi-mento nel suo differenziarsi dal Rinascimento, che pro-prio per tale differenza è non l'opposto ma il progenitoredi quello. La filosofia del Risorgimento è nata dunquedalla stessa filosofia italiana, anche se della stranieratiene, come deve, il debito, e certo non piccolo conto. Ilprocesso storico della speculazione italiana ha una suaunità intima: dall'oggettività della coscienza razionalenel Rinascimento si giunge alla spiritualità dell'oggettorichiesta, se non esplicitamente vista, dalla conoscenzadi Rosmini, dalla creazione di Gioberti, dal dovere diMazzini.

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36. L'idealismo italiano nella filosofia europea: in-versione e integrazione della tesi dello Spa-venta.

Unico dunque lo sviluppo di pensiero che va dal Ri-nascimento al Risorgimento.

Dobbiam perciò fissar chiaramente il carattere che necontraddistingue l'idealismo, perchè possa poi ancheoggi trarsene uno sviluppo che dicasi a ragione italiano.E non, vedremo, solo per conservare intatta la tradizione(carattere del pensiero italiano è proprio questo integra-re sempre, e, solo quando occorra, rinnegare la tradizio-ne, con la ricerca attiva della verità), ma per poter, pro-prio conservando la nostra personalità speculativa di po-polo, contribuire al rinnovamento e sviluppo del proble-ma metafisico universale.

Questo nostro pensiero italiano non fu mai visto e,valorizzato nella sua concretezza. E perciò, contro quelliche, non intendendo nel suo profondo valore rivoluzio-nario questa nostra filosofia, pur, proprio in nome di unaitaliana filosofia, muovevano guerra a quanti nell'Italiarinata insegnavano un pensiero idealistico che prendevanome e movenze da Hegel, fu giusta e santa la rivendi-cazione di esso, fatta dallo Spaventa e dai suoi seguacied amici, con la dimostrazione che egli, insegnandol'hegelismo in Italia, faceva trionfare un idealismo italia-no, che condizionò già il sorgere e svilupparsi di quello

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36. L'idealismo italiano nella filosofia europea: in-versione e integrazione della tesi dello Spa-venta.

Unico dunque lo sviluppo di pensiero che va dal Ri-nascimento al Risorgimento.

Dobbiam perciò fissar chiaramente il carattere che necontraddistingue l'idealismo, perchè possa poi ancheoggi trarsene uno sviluppo che dicasi a ragione italiano.E non, vedremo, solo per conservare intatta la tradizione(carattere del pensiero italiano è proprio questo integra-re sempre, e, solo quando occorra, rinnegare la tradizio-ne, con la ricerca attiva della verità), ma per poter, pro-prio conservando la nostra personalità speculativa di po-polo, contribuire al rinnovamento e sviluppo del proble-ma metafisico universale.

Questo nostro pensiero italiano non fu mai visto e,valorizzato nella sua concretezza. E perciò, contro quelliche, non intendendo nel suo profondo valore rivoluzio-nario questa nostra filosofia, pur, proprio in nome di unaitaliana filosofia, muovevano guerra a quanti nell'Italiarinata insegnavano un pensiero idealistico che prendevanome e movenze da Hegel, fu giusta e santa la rivendi-cazione di esso, fatta dallo Spaventa e dai suoi seguacied amici, con la dimostrazione che egli, insegnandol'hegelismo in Italia, faceva trionfare un idealismo italia-no, che condizionò già il sorgere e svilupparsi di quello

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tedesco, e che nella sua parte essenziale era stato poi an-che ripreso dai nostri pensatori dei Risorgimento.

Ma bisogna invertire e integrare la tesi di Spaventadell'europeismo del pensiero italiano. Questa infatti,partendo dal presupposto che l'unico possibile idealismosia quello dialettico hegeliano nato da Kant, limita il va-lore della filosofia italiana del Rinascimento alla solacapacità di generare la filosofa francese e tedesca, e dà

poi soltanto un valore di imitazione, di ripetizione otutt'al più di sviluppo della filosofia kantiana ed hegelia-na al pensiero di Rosmini e di Gioberti. Così il ricono-sciuto idealismo italiano viene ad essere commisuratoad una forma ben diversa di idealismo, e quindi contraf-fatto. Questa contraffazione si presenta come idealismoitaliano: idealismo italiano sarebbe il dialettismo hege-liano prima in potenza, e, dopo, in una invano negataimitazione. Così è naturale che lo Spaventa finisca colriconoscere come carattere della filosofia italiana il nonaverne nessuno, e l'avere bensì quello europeo. È unmodo molto dialettico di risolvere il problema della na-zionalità di una filosofia. Così l'idealismo italiano vieneanch'esso ad aver valore solo in quanto finisce in quelsoggettivismo assoluto, in cui lo Spaventa pone il som-mo valore e la definitiva conquista della filosofia mo-derna. Noi invece abbiamo mostrato qui ed altrove,come la filosofia francese e tedesca sia stata un discono-scimento di quello che era il vero valore della filosofiaitaliana del Rinascimento, disconoscimento per il qualequella immanenza, già raggiunta dal pensiero italiano,

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tedesco, e che nella sua parte essenziale era stato poi an-che ripreso dai nostri pensatori dei Risorgimento.

Ma bisogna invertire e integrare la tesi di Spaventadell'europeismo del pensiero italiano. Questa infatti,partendo dal presupposto che l'unico possibile idealismosia quello dialettico hegeliano nato da Kant, limita il va-lore della filosofia italiana del Rinascimento alla solacapacità di generare la filosofa francese e tedesca, e dà

poi soltanto un valore di imitazione, di ripetizione otutt'al più di sviluppo della filosofia kantiana ed hegelia-na al pensiero di Rosmini e di Gioberti. Così il ricono-sciuto idealismo italiano viene ad essere commisuratoad una forma ben diversa di idealismo, e quindi contraf-fatto. Questa contraffazione si presenta come idealismoitaliano: idealismo italiano sarebbe il dialettismo hege-liano prima in potenza, e, dopo, in una invano negataimitazione. Così è naturale che lo Spaventa finisca colriconoscere come carattere della filosofia italiana il nonaverne nessuno, e l'avere bensì quello europeo. È unmodo molto dialettico di risolvere il problema della na-zionalità di una filosofia. Così l'idealismo italiano vieneanch'esso ad aver valore solo in quanto finisce in quelsoggettivismo assoluto, in cui lo Spaventa pone il som-mo valore e la definitiva conquista della filosofia mo-derna. Noi invece abbiamo mostrato qui ed altrove,come la filosofia francese e tedesca sia stata un discono-scimento di quello che era il vero valore della filosofiaitaliana del Rinascimento, disconoscimento per il qualequella immanenza, già raggiunta dal pensiero italiano,

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doveva essere riconquistata per nuova tortuosa via, chetrasformava necessariamente l'immanentismo in sogget-tivismo, il quale poi finisce col dover essere non ideali-smo, quale si dice, ma o assoluto trascendentismo o em-pirismo fenomenologico. Perciò il pensiero idealisticotedesco nato dalla Critica, anche quando conquisterà,per suo conto, l'immanenza, resterà sempre con la suaspeciale caratteristica, inconfondibile con quella che hae deve avere l'immanentismo italiano: soggettivismol'uno, oggettivismo l'altro. Il pensiero tedesco ha abban-donato l'essere, per misurare il conoscere pur continuan-do a credere (Kant) all'essere nella sua trascendenza.Perciò, mentre il pensiero italiano del Rinascimentoaveva già superato il dualismo di verità e certezza, affer-mando, anche se alle volte naturalisticamente, imma-nente come principio l'essere oggettivo ai soggetti chene sono certi, la filosofia tedesca, intenta com'era, per ilmotivo soggettivistico sviluppato dalla Riforma, a darragione della soggettiva certezza, si chiuse in questa. Seunico principio di consapevolezza è la certezza soggetti-va, la soggettività come tale è insuperabile: l'oggettivitàsarà ridotta a negazione (Fichte). E si crederà poi di ri-guadagnarla riducendo la soggettività stessa a questa ne-gazione dell'oggettività, cioè riducendo la coscienza adopposizione contraddittoria. Hegel crederà di aver com-battuto e vinto il soggettivismo di Fichte con la dialetti-cità contraddittoria. Non si accorge che non ha fatto al-tro che accettare in pieno come spiritualità il principiodi opposizione fichtiano, al quale principio Fichte era

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doveva essere riconquistata per nuova tortuosa via, chetrasformava necessariamente l'immanentismo in sogget-tivismo, il quale poi finisce col dover essere non ideali-smo, quale si dice, ma o assoluto trascendentismo o em-pirismo fenomenologico. Perciò il pensiero idealisticotedesco nato dalla Critica, anche quando conquisterà,per suo conto, l'immanenza, resterà sempre con la suaspeciale caratteristica, inconfondibile con quella che hae deve avere l'immanentismo italiano: soggettivismol'uno, oggettivismo l'altro. Il pensiero tedesco ha abban-donato l'essere, per misurare il conoscere pur continuan-do a credere (Kant) all'essere nella sua trascendenza.Perciò, mentre il pensiero italiano del Rinascimentoaveva già superato il dualismo di verità e certezza, affer-mando, anche se alle volte naturalisticamente, imma-nente come principio l'essere oggettivo ai soggetti chene sono certi, la filosofia tedesca, intenta com'era, per ilmotivo soggettivistico sviluppato dalla Riforma, a darragione della soggettiva certezza, si chiuse in questa. Seunico principio di consapevolezza è la certezza soggetti-va, la soggettività come tale è insuperabile: l'oggettivitàsarà ridotta a negazione (Fichte). E si crederà poi di ri-guadagnarla riducendo la soggettività stessa a questa ne-gazione dell'oggettività, cioè riducendo la coscienza adopposizione contraddittoria. Hegel crederà di aver com-battuto e vinto il soggettivismo di Fichte con la dialetti-cità contraddittoria. Non si accorge che non ha fatto al-tro che accettare in pieno come spiritualità il principiodi opposizione fichtiano, al quale principio Fichte era

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stato spinto dal concetto negativo di oggettività, cui erapervenuto. Così il pensiero tedesco non esce dal mo-mento di certezza e non pone neppure il principio, concui si possa integrare la certezza con la verità: nellostesso dialettismo hegeliano siamo a questo punto (cfr.già § 9).

Bisogna dunque invertire la giusta rivendicazione delpensiero italiano entro quello europeo cominciata dalloSpaventa: il valore dell'idealismo italiano del Rinasci-mento non va posto e ricercato nei limiti in cui esso hadeterminato l'idealismo tedesco in quanto soggettivi-smo; va riconosciuto invece nell'aver esso fatto, primo,quella che è la scoperta fondamentale della filosofia mo-derna, l'immanenza. E così il valore della filosofia delRisorgimento non sta nei limiti, in cui essa possa esserridotta all'idealismo tedesco, ma nella dimostrazione deidifetti di tale idealismo, e quindi nel superamento diesso, nella prosecuzione della scoperta del Rinascimen-to attraverso lo sviluppo della oggettività nel campo del-la coscienza, e nello schiudere, attraverso le esigenzedell'immanentismo oggettivo, la nuova via alla filosofia.

Dimostrar ciò analiticamente è compito che noi nonassolviamo ora, ma additiamo soltanto: la storia della fi-losofia italiana nella sua speciale organicità è, ripetiamo,ancora da fare.

E oltrechè invertire, dicevo, bisogna anche integrare,mostrando l'unità del pensiero italiano non solo nel sen-so che si riconosca l'unità di carattere, d'impronta, diprovenienza da una stessa persona speculativa (il popolo

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stato spinto dal concetto negativo di oggettività, cui erapervenuto. Così il pensiero tedesco non esce dal mo-mento di certezza e non pone neppure il principio, concui si possa integrare la certezza con la verità: nellostesso dialettismo hegeliano siamo a questo punto (cfr.già § 9).

Bisogna dunque invertire la giusta rivendicazione delpensiero italiano entro quello europeo cominciata dalloSpaventa: il valore dell'idealismo italiano del Rinasci-mento non va posto e ricercato nei limiti in cui esso hadeterminato l'idealismo tedesco in quanto soggettivi-smo; va riconosciuto invece nell'aver esso fatto, primo,quella che è la scoperta fondamentale della filosofia mo-derna, l'immanenza. E così il valore della filosofia delRisorgimento non sta nei limiti, in cui essa possa esserridotta all'idealismo tedesco, ma nella dimostrazione deidifetti di tale idealismo, e quindi nel superamento diesso, nella prosecuzione della scoperta del Rinascimen-to attraverso lo sviluppo della oggettività nel campo del-la coscienza, e nello schiudere, attraverso le esigenzedell'immanentismo oggettivo, la nuova via alla filosofia.

Dimostrar ciò analiticamente è compito che noi nonassolviamo ora, ma additiamo soltanto: la storia della fi-losofia italiana nella sua speciale organicità è, ripetiamo,ancora da fare.

E oltrechè invertire, dicevo, bisogna anche integrare,mostrando l'unità del pensiero italiano non solo nel sen-so che si riconosca l'unità di carattere, d'impronta, diprovenienza da una stessa persona speculativa (il popolo

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italiano nella sua propria personalità spirituale); ma an-che nel senso che si riconosca il profondo motivo svol-gentesi nell'intimità di questa persona speculativa, che,si intende, sente anche la ripercussione degli altrui moti-vi, ma rimane sempre con quel suo motivo intimo e pro-fondo, che nasce dalla sua stessa personalità, e quinditrasforma in propri pensieri anche quelli che dagli altririceve, sapendolo o meno.

Non dunque veramente circolarità del pensiero italia-no nel senso, dimostrato dallo Spaventa, che rientri inItalia un pensiero, che, per quanto nato in Italia, ricevafuori di questa il suo sviluppo e il suo crisma; ma vitali-tà del pensiero italiano entro il pensiero filosofico uma-no, vitalità, per la quale esso rivive in se stesso a suomodo anche elementi vitali sviluppati fuori, e trae dallealtrui opposizioni ed errori motivi di nuovo svolgimentodi se stesso.

37. Carattere fondamentale dell'idealismo italia-no: l'oggettività.

L'idealismo italiano, adunque, lungi dal dover trovareil suo valore solo nel “coincidere con l'ultimo risultatodella speculazione alemanna” (Spaventa, Fil. it. 19263,p. 32), ha caratteristiche ben distinte e tali che non costi-tuiscono un demerito o una mancanza di sviluppo difronte al dialettismo hegeliano, ma anzi svolgono un

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italiano nella sua propria personalità spirituale); ma an-che nel senso che si riconosca il profondo motivo svol-gentesi nell'intimità di questa persona speculativa, che,si intende, sente anche la ripercussione degli altrui moti-vi, ma rimane sempre con quel suo motivo intimo e pro-fondo, che nasce dalla sua stessa personalità, e quinditrasforma in propri pensieri anche quelli che dagli altririceve, sapendolo o meno.

Non dunque veramente circolarità del pensiero italia-no nel senso, dimostrato dallo Spaventa, che rientri inItalia un pensiero, che, per quanto nato in Italia, ricevafuori di questa il suo sviluppo e il suo crisma; ma vitali-tà del pensiero italiano entro il pensiero filosofico uma-no, vitalità, per la quale esso rivive in se stesso a suomodo anche elementi vitali sviluppati fuori, e trae dallealtrui opposizioni ed errori motivi di nuovo svolgimentodi se stesso.

37. Carattere fondamentale dell'idealismo italia-no: l'oggettività.

L'idealismo italiano, adunque, lungi dal dover trovareil suo valore solo nel “coincidere con l'ultimo risultatodella speculazione alemanna” (Spaventa, Fil. it. 19263,p. 32), ha caratteristiche ben distinte e tali che non costi-tuiscono un demerito o una mancanza di sviluppo difronte al dialettismo hegeliano, ma anzi svolgono un

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motivo, dal cui abbandono risulta l'errore della filosofiamoderna, il motivo della oggettività. L'idealismo storicoitaliano è contraddistinto, sempre, da questa, più o menoentusiastica, in uno o in un altro modo formulata, masempre netta affermazione dell'oggettività della coscien-za: per essa si immola Bruno. L'idealismo tedesco inve-ce, se lo facciamo risalire a Lutero – non credo si debbarisalire a Eckhart – ha avuto come motivo dominante lasoggettività: dal libero esame di Lutero all'Io assoluto diFichte. È presupposta fino a Fichte una realtà trascen-dente, dall'urto con la quale, con lo stesso Fichte, nasceil potere creativo dell'io libero. Hegel credette di elimi-nare il soggettivismo di Fichte, ma (cfr. § 9) non feceche elevarlo ad assoluto soggettivismo. La posteriore in-terpretazione dell'hegelismo teoretica e pratica intuì esviluppò questa esigenza soggettivistica di Hegel. E,conseguentemente, il Soggetto fu detto l'Assoluto, e as-soluto fu ritenuto l'urto stesso, elevato a valore di dialet-tica di tal Soggetto. Onde non vi sono che Io, Spirito, in-teso come sintetica opposizione, che nulla abbia fuori disè; onde l'io, nella sua singolarità, inteso come assolutoin quanto Io; onde il sogno ha tanta e tale oggettivitàquanta e quale Dio stesso; onde l'immediato successo èmisura del valore.

Tutto ciò ed altro affine, che pur è stato affermato orisulta come conseguenza dell'idealismo, non può con-seguire dal carattere oggettivo dell'idealismo italiano;consegue invece dall'idealismo trascendentale.

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motivo, dal cui abbandono risulta l'errore della filosofiamoderna, il motivo della oggettività. L'idealismo storicoitaliano è contraddistinto, sempre, da questa, più o menoentusiastica, in uno o in un altro modo formulata, masempre netta affermazione dell'oggettività della coscien-za: per essa si immola Bruno. L'idealismo tedesco inve-ce, se lo facciamo risalire a Lutero – non credo si debbarisalire a Eckhart – ha avuto come motivo dominante lasoggettività: dal libero esame di Lutero all'Io assoluto diFichte. È presupposta fino a Fichte una realtà trascen-dente, dall'urto con la quale, con lo stesso Fichte, nasceil potere creativo dell'io libero. Hegel credette di elimi-nare il soggettivismo di Fichte, ma (cfr. § 9) non feceche elevarlo ad assoluto soggettivismo. La posteriore in-terpretazione dell'hegelismo teoretica e pratica intuì esviluppò questa esigenza soggettivistica di Hegel. E,conseguentemente, il Soggetto fu detto l'Assoluto, e as-soluto fu ritenuto l'urto stesso, elevato a valore di dialet-tica di tal Soggetto. Onde non vi sono che Io, Spirito, in-teso come sintetica opposizione, che nulla abbia fuori disè; onde l'io, nella sua singolarità, inteso come assolutoin quanto Io; onde il sogno ha tanta e tale oggettivitàquanta e quale Dio stesso; onde l'immediato successo èmisura del valore.

Tutto ciò ed altro affine, che pur è stato affermato orisulta come conseguenza dell'idealismo, non può con-seguire dal carattere oggettivo dell'idealismo italiano;consegue invece dall'idealismo trascendentale.

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L'Essere ideale rosminiano, contrapposto all'Io di Fi-chte, il Dio di Mazzini contrapposto allo Stato di Hegel,sono, ciascuno con le proprie deficienze, forse i concettipiù significativi dell'opposto carattere fondamentale deidue idealismi: oggettività, e soggettività.

38. Caratteri conseguenti: affermatività ed ontolo-gismo.

Da questi opposti caratteri risultano gli altri che sipossono ricercare e determinare. Accenneremo soltantoa due: affermatività ed ontologismo dell'idealismo italia-no, negatività e dialettismo dell'idealismo tedesco.

Affermatività così del soggetto di coscienza, comedell'oggetto di essa, comunque essi siano intesi, e quan-do anche siano spogliati della veste dogmatica che anco-ra conservano. Intendere invece lo stesso urto (l'opposi-zione sintetica) come l'Assoluto toglie non solo glieventuali urtanti tra loro, ma anche l'Unico urtante (rin-negante) sè. Quindi il concetto hegeliano dello spiritocome negatività. Quindi il “mai” in cui si risolve l'attodella filosofia idealistica tedesca, di fronte al “sempre”in cui si risolve invece quello dell'idealismo italiano.

Atto dico dell'uno e dell'altro, giacchè è ben da averpresente che l'affermazione, in cui l'idealismo italiano faconsistere l'essere, non è lo statico il materiale essere difronte all'attivo al logico divenire dell'hegelismo. Se ci

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L'Essere ideale rosminiano, contrapposto all'Io di Fi-chte, il Dio di Mazzini contrapposto allo Stato di Hegel,sono, ciascuno con le proprie deficienze, forse i concettipiù significativi dell'opposto carattere fondamentale deidue idealismi: oggettività, e soggettività.

38. Caratteri conseguenti: affermatività ed ontolo-gismo.

Da questi opposti caratteri risultano gli altri che sipossono ricercare e determinare. Accenneremo soltantoa due: affermatività ed ontologismo dell'idealismo italia-no, negatività e dialettismo dell'idealismo tedesco.

Affermatività così del soggetto di coscienza, comedell'oggetto di essa, comunque essi siano intesi, e quan-do anche siano spogliati della veste dogmatica che anco-ra conservano. Intendere invece lo stesso urto (l'opposi-zione sintetica) come l'Assoluto toglie non solo glieventuali urtanti tra loro, ma anche l'Unico urtante (rin-negante) sè. Quindi il concetto hegeliano dello spiritocome negatività. Quindi il “mai” in cui si risolve l'attodella filosofia idealistica tedesca, di fronte al “sempre”in cui si risolve invece quello dell'idealismo italiano.

Atto dico dell'uno e dell'altro, giacchè è ben da averpresente che l'affermazione, in cui l'idealismo italiano faconsistere l'essere, non è lo statico il materiale essere difronte all'attivo al logico divenire dell'hegelismo. Se ci

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sono avanzi di concezione statica e materialisticanell'essere della filosofia italiana, non minori ce ne sononel divenire dell'idealismo tedesco. E d'altra parte il pri-mo è attivistico (essere di Rosmini, atto creativo di Gio-berti, dovere di Mazzini) non meno del secondo, con ladifferenza che l'attività, che il secondo dà al reale, vera epropria attività non può dirsi, se è primordialmente atti-vità del negare, negazione.

L'attività del negare presuppone un attivo affermare,senza del quale attività del negare vuol dire soltanto attoper cui non si è, cioè assoluto non fare. È naturale chequando all'idealismo italiano come tale si ritenga essen-ziale l'inattivo essere cioè il morto stare, è naturale cheper vivificarlo si ricorra a dargli quella vita che si crederiscontrare altrove. Il vero è, invece, che la vita altroveriscontrata non è tale: la vera attività sta nell'attodell'essere, nell'assoluto porre.

Finalmente: è stato dimostrato (cap. I) che essenza in-tima dell'hegelismo è l'opposizione contraddittoria. Ladialettica dei distinti, nella filosofia hegeliana, è residuoingiustificato, che non scaturisce dal principio intimodello stesso hegelismo, ma lo sopprime (l'attualismo inquesto ha piena ragione contro la filosofia dello spirito:cfr. cap. VII). Al posto di quella opposizione dialetticacontraddittoria, troviamo invece nell'idealismo storicoitaliano affermato quell'ontologismo, che, si può dire, èsempre stato il motivo profondo del pensiero filosoficonato in Italia, anche quando un popolo italiano ancoranon c'era. Ontologismo, che non significa affatto – e

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sono avanzi di concezione statica e materialisticanell'essere della filosofia italiana, non minori ce ne sononel divenire dell'idealismo tedesco. E d'altra parte il pri-mo è attivistico (essere di Rosmini, atto creativo di Gio-berti, dovere di Mazzini) non meno del secondo, con ladifferenza che l'attività, che il secondo dà al reale, vera epropria attività non può dirsi, se è primordialmente atti-vità del negare, negazione.

L'attività del negare presuppone un attivo affermare,senza del quale attività del negare vuol dire soltanto attoper cui non si è, cioè assoluto non fare. È naturale chequando all'idealismo italiano come tale si ritenga essen-ziale l'inattivo essere cioè il morto stare, è naturale cheper vivificarlo si ricorra a dargli quella vita che si crederiscontrare altrove. Il vero è, invece, che la vita altroveriscontrata non è tale: la vera attività sta nell'attodell'essere, nell'assoluto porre.

Finalmente: è stato dimostrato (cap. I) che essenza in-tima dell'hegelismo è l'opposizione contraddittoria. Ladialettica dei distinti, nella filosofia hegeliana, è residuoingiustificato, che non scaturisce dal principio intimodello stesso hegelismo, ma lo sopprime (l'attualismo inquesto ha piena ragione contro la filosofia dello spirito:cfr. cap. VII). Al posto di quella opposizione dialetticacontraddittoria, troviamo invece nell'idealismo storicoitaliano affermato quell'ontologismo, che, si può dire, èsempre stato il motivo profondo del pensiero filosoficonato in Italia, anche quando un popolo italiano ancoranon c'era. Ontologismo, che non significa affatto – e

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forse mai ha significato questo – affermazione di essere,che, solo perchè essere, è cosa estranea al pensiero edall'attività, cioè, in breve, non è. Questa visione passivae realistica dell'essere non è affatto propria dell'ontolo-gismo idealistico, il quale ha per sua caratteristica, senzadella quale non si sa neppure che cosa possa voler direontologismo, ha per sua caratteristica il sostanziare diessere l'atto di coscienza come tale, e reciprocamenteportare nell'essere quell'attività che in un modo o in al-tro troviamo costituire la spiritualità come tale, quellaspiritualità che perciò sempre fu vista come forma ani-matrice di un qualcosa di informe. L'ontologismo èl'intuizione potente, se non chiara, di questo esseredell'attività spirituale come tale, di questo agire spiri-tualmente di ogni ente proprio nel suo valore di essere; èintendere, con Kant, ma oltre Kant, che il vero essere insè non è di quelle empiriche cose che variamente la pra-tica ci finge, ma è quell'Essere in sè che è il Noumeno,l'oggetto puro di coscienza. Questo vuol dire ontologi-smo, non altro; e, ripeto, identificare l'essere dell'ontolo-gismo con l'essere del realismo è non saper più quel chesi dice, anche se questa identificazione storicamente èavvenuta in celebri dottrine: questo non significa altrose non che permaneva in esse quella confusione che laconcezione realistica dell'essere vi aveva portato, e dicui un primo chiarimento è proprio l'affermazione di on-tologismo (cfr. cap. XI). Per questo carattere il processoattivo dell'essere non è dialettica di opposti, ma attua-zione dell'oggetto nei soggetti.

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forse mai ha significato questo – affermazione di essere,che, solo perchè essere, è cosa estranea al pensiero edall'attività, cioè, in breve, non è. Questa visione passivae realistica dell'essere non è affatto propria dell'ontolo-gismo idealistico, il quale ha per sua caratteristica, senzadella quale non si sa neppure che cosa possa voler direontologismo, ha per sua caratteristica il sostanziare diessere l'atto di coscienza come tale, e reciprocamenteportare nell'essere quell'attività che in un modo o in al-tro troviamo costituire la spiritualità come tale, quellaspiritualità che perciò sempre fu vista come forma ani-matrice di un qualcosa di informe. L'ontologismo èl'intuizione potente, se non chiara, di questo esseredell'attività spirituale come tale, di questo agire spiri-tualmente di ogni ente proprio nel suo valore di essere; èintendere, con Kant, ma oltre Kant, che il vero essere insè non è di quelle empiriche cose che variamente la pra-tica ci finge, ma è quell'Essere in sè che è il Noumeno,l'oggetto puro di coscienza. Questo vuol dire ontologi-smo, non altro; e, ripeto, identificare l'essere dell'ontolo-gismo con l'essere del realismo è non saper più quel chesi dice, anche se questa identificazione storicamente èavvenuta in celebri dottrine: questo non significa altrose non che permaneva in esse quella confusione che laconcezione realistica dell'essere vi aveva portato, e dicui un primo chiarimento è proprio l'affermazione di on-tologismo (cfr. cap. XI). Per questo carattere il processoattivo dell'essere non è dialettica di opposti, ma attua-zione dell'oggetto nei soggetti.

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Anche da questi pochi sommari cenni, necessaria-mente generici, ma tali che ciascuno a suo agio può de-terminare nelle dottrine dei singoli pensatori, anche daessi risulta chiaro come l'idealismo italiano e quello te-desco si vedano come appartenere a due distinte perso-nalità speculative, inconfondibili anche se in necessariocontatto tra loro: idealismo oggettivo, affermativo, onto-logico l'uno; idealismo soggettivo, negativo, antiteticol'altro.

39. Ontologismo idealistico o dialettismo contrad-dittorio?

Ma, si può dire: “Ce ne dispiacerebbe per la nostraItalia, ma appunto questi caratteri, che voi volete stabili-re come schiettamente italiani, costituiscono la debolez-za dell'italiana filosofia. E perciò questa, se vuole, comedeve, esser nel vero, bisogna che si corregga, che rinne-ghi i suoi caratteri e abbracci quelli, che, pur esotici,sono dimostrati veri. Il torto, per es., di Campanella,dice esplicitamente lo Spaventa, sta proprio nel non avervista la negatività dello spirito”.

Or noi riteniamo invece, e crediamo di averne giàdata esauriente dimostrazione, alla cui illustrazione sto-rica tende anche questo scritto, che quello che può dirsiparola universale della filosofia stia in questi caratteriche abbiamo detto italiani, e in nome dei quali l'Italia

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Anche da questi pochi sommari cenni, necessaria-mente generici, ma tali che ciascuno a suo agio può de-terminare nelle dottrine dei singoli pensatori, anche daessi risulta chiaro come l'idealismo italiano e quello te-desco si vedano come appartenere a due distinte perso-nalità speculative, inconfondibili anche se in necessariocontatto tra loro: idealismo oggettivo, affermativo, onto-logico l'uno; idealismo soggettivo, negativo, antiteticol'altro.

39. Ontologismo idealistico o dialettismo contrad-dittorio?

Ma, si può dire: “Ce ne dispiacerebbe per la nostraItalia, ma appunto questi caratteri, che voi volete stabili-re come schiettamente italiani, costituiscono la debolez-za dell'italiana filosofia. E perciò questa, se vuole, comedeve, esser nel vero, bisogna che si corregga, che rinne-ghi i suoi caratteri e abbracci quelli, che, pur esotici,sono dimostrati veri. Il torto, per es., di Campanella,dice esplicitamente lo Spaventa, sta proprio nel non avervista la negatività dello spirito”.

Or noi riteniamo invece, e crediamo di averne giàdata esauriente dimostrazione, alla cui illustrazione sto-rica tende anche questo scritto, che quello che può dirsiparola universale della filosofia stia in questi caratteriche abbiamo detto italiani, e in nome dei quali l'Italia

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speculativa ha fatto sempre sentire la sua voce (cfr. In-trod.).

L'oggettività dell'idealismo italiano del Risorgimentoè il correttivo del difetto dell'idealismo tedesco.

L'idealismo hegeliano che è il coronamento sinteticodell'idealismo trascendentale tedesco postkantiano, ha lasua essenza nel riconoscimento della realtà proprio inquella contraddizione logica, la cui presenza nel pensie-ro si riteneva prima come prova della inesistenza diquella realtà che in tale contraddizione ponesse il pen-siero.

Valutazione della contraddizione, che, si sa, non ènuova: Aristotele stesso l'aveva trovata e confutata. He-gel, però dopo tutto lo sviluppo idealistico ha di nuovoquesto: pone la opposizione reale, che per il pensierogreco era soltanto denunziata dalla contraddizione logi-ca, proprio come la stessa contraddizione logica, e cosìreciprocamente, in modo che l'opposto reale non è che ilcontraddittorio logico. Ora, che in qualche modo il logi-co sia lo stesso reale, è nota comune di ogni idealismo; èun altro modo, e più ristretto, di esprimere quella chenoi dicemmo validità oggettiva della coscienza. Ma que-sta validità oggettiva della coscienza, o, hegelianamen-te, questo dover il logico essere lo stesso reale, importanecessariamente che questo logico-reale sia il contrad-dittorio-opposto? Il processo storico, più che la dimo-strazione esplicita, che credo non si sia mai data, di que-sto risultato io ritengo che abbia un'origine molto mode-sta: questa è l'accettazione dogmatica del concetto reali-

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speculativa ha fatto sempre sentire la sua voce (cfr. In-trod.).

L'oggettività dell'idealismo italiano del Risorgimentoè il correttivo del difetto dell'idealismo tedesco.

L'idealismo hegeliano che è il coronamento sinteticodell'idealismo trascendentale tedesco postkantiano, ha lasua essenza nel riconoscimento della realtà proprio inquella contraddizione logica, la cui presenza nel pensie-ro si riteneva prima come prova della inesistenza diquella realtà che in tale contraddizione ponesse il pen-siero.

Valutazione della contraddizione, che, si sa, non ènuova: Aristotele stesso l'aveva trovata e confutata. He-gel, però dopo tutto lo sviluppo idealistico ha di nuovoquesto: pone la opposizione reale, che per il pensierogreco era soltanto denunziata dalla contraddizione logi-ca, proprio come la stessa contraddizione logica, e cosìreciprocamente, in modo che l'opposto reale non è che ilcontraddittorio logico. Ora, che in qualche modo il logi-co sia lo stesso reale, è nota comune di ogni idealismo; èun altro modo, e più ristretto, di esprimere quella chenoi dicemmo validità oggettiva della coscienza. Ma que-sta validità oggettiva della coscienza, o, hegelianamen-te, questo dover il logico essere lo stesso reale, importanecessariamente che questo logico-reale sia il contrad-dittorio-opposto? Il processo storico, più che la dimo-strazione esplicita, che credo non si sia mai data, di que-sto risultato io ritengo che abbia un'origine molto mode-sta: questa è l'accettazione dogmatica del concetto reali-

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stico di cosa in sè. Per tal concetto la cosa in sè è con-traddittoria: è “esse in re”, che, in quanto tale, non èl'“esse in mente”, mentre è l'“esse in re”, che la mentepensa, cioè l'“esse in mente”. Dunque l'essere reale, lacosa in sè è e non è essere nella mente; è e non è fuoridella mente. Conservato tal concetto della realtà, questanon può essere se non la stessa contraddizione. Non ciaccorgiamo però che per poter dedurre questa conclusio-ne da quel concetto escludiamo proprio quella contrad-dizione che vogliamo elevare a realtà. E se ha valoretale esclusione, non ha più valore il concetto della realtàdedotto attraverso essa: o, se ha valore questo dedottoconcetto, non ha valore quella esclusione e quindi nonabbiamo più modo di dedurlo.

Il contraddittorista ci risponderà che appunto questainconseguenza in cui egli è, prova la verità della suadottrina. Se si potesse dedurre, sarebbe valido il princi-pio di non contraddizione, che invece la realtà, nel suovivo divenire, esclude. E darà così ragione ad Aristotele,che aveva già chiaramente notato che la discussione diogni dottrina, che ammetta la validità della contraddi-zione, è impossibile per la semplice ragione che per di-scutere bisogna presupporre un principio di cui si conte-sti o si neghi la verità. Ora il contraddittorista non puòammettere nessun principio, perchè la contraddizioneche è il suo principio sta nel dire e non dire, cioè non ènulla. “Con lui di nulla si può discutere (σϰέψις); infattiegli nulla dice. Non dice nè così nè non così, ma così enon così. E poi al contrario li nega entrambi dicendo che

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stico di cosa in sè. Per tal concetto la cosa in sè è con-traddittoria: è “esse in re”, che, in quanto tale, non èl'“esse in mente”, mentre è l'“esse in re”, che la mentepensa, cioè l'“esse in mente”. Dunque l'essere reale, lacosa in sè è e non è essere nella mente; è e non è fuoridella mente. Conservato tal concetto della realtà, questanon può essere se non la stessa contraddizione. Non ciaccorgiamo però che per poter dedurre questa conclusio-ne da quel concetto escludiamo proprio quella contrad-dizione che vogliamo elevare a realtà. E se ha valoretale esclusione, non ha più valore il concetto della realtàdedotto attraverso essa: o, se ha valore questo dedottoconcetto, non ha valore quella esclusione e quindi nonabbiamo più modo di dedurlo.

Il contraddittorista ci risponderà che appunto questainconseguenza in cui egli è, prova la verità della suadottrina. Se si potesse dedurre, sarebbe valido il princi-pio di non contraddizione, che invece la realtà, nel suovivo divenire, esclude. E darà così ragione ad Aristotele,che aveva già chiaramente notato che la discussione diogni dottrina, che ammetta la validità della contraddi-zione, è impossibile per la semplice ragione che per di-scutere bisogna presupporre un principio di cui si conte-sti o si neghi la verità. Ora il contraddittorista non puòammettere nessun principio, perchè la contraddizioneche è il suo principio sta nel dire e non dire, cioè non ènulla. “Con lui di nulla si può discutere (σϰέψις); infattiegli nulla dice. Non dice nè così nè non così, ma così enon così. E poi al contrario li nega entrambi dicendo che

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non è nè così nè non così” (Aristotele, Metafisica, 1008a). E come da discutere, non c'è neppure nulla da confu-tare: del cozzo (urto fichtiano), dicemmo, tolti i cozzanti(che Fichte ammette), non resta che... il non cozzareneppure, cioè il puro “non”, anche se si dirà cozzarepuro. È dunque impossibile la confutazione dell'hegeli-smo, e questa impossibilità è certo una sua forza.

Ma questa sua forza si traduce in estrema debolezza;giacchè appunto questa impossibilità di confutazione, ri-sultando dal non esserci nulla affatto, diventa la più po-tente confutazione: ci dimostra infatti il nulla di coscien-za. Di fronte all'assoluto nulla non possiamo, è vero,confutare; ma non possiamo neppure accettare. Non ab-biamo nulla da confutare, ma non abbiamo neppure nul-la da accettare. I contraddittoristi ci dicano qualchecosa, e allora confuteremo o confermeremo. Nel nullanon ci si intende affatto: non c'è materia di intendimen-to, non c'è intendimento.

Possiamo dunque, in linea generale, di fronteall'essenza dell'hegelismo, prendere e tenere la posizio-ne aristotelica, tanto più che proprio mi pare nè Hegelnè altri l'abbiano scossa. Vedremo all'occorrenza quelche di determinato e positivo si nasconde sotto questonulla che dell'hegelismo dovrebbe esser principio, e inesso ricercheremo allora quel che ci sia di valido omeno: dinanzi a tutto noi ci sforziamo di aprire gli oc-chi, tranne che dinanzi al nulla, per la semplicissima ra-gione che non ci sono neppure gli occhi, e non ci siamonoi con gli occhi.

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non è nè così nè non così” (Aristotele, Metafisica, 1008a). E come da discutere, non c'è neppure nulla da confu-tare: del cozzo (urto fichtiano), dicemmo, tolti i cozzanti(che Fichte ammette), non resta che... il non cozzareneppure, cioè il puro “non”, anche se si dirà cozzarepuro. È dunque impossibile la confutazione dell'hegeli-smo, e questa impossibilità è certo una sua forza.

Ma questa sua forza si traduce in estrema debolezza;giacchè appunto questa impossibilità di confutazione, ri-sultando dal non esserci nulla affatto, diventa la più po-tente confutazione: ci dimostra infatti il nulla di coscien-za. Di fronte all'assoluto nulla non possiamo, è vero,confutare; ma non possiamo neppure accettare. Non ab-biamo nulla da confutare, ma non abbiamo neppure nul-la da accettare. I contraddittoristi ci dicano qualchecosa, e allora confuteremo o confermeremo. Nel nullanon ci si intende affatto: non c'è materia di intendimen-to, non c'è intendimento.

Possiamo dunque, in linea generale, di fronteall'essenza dell'hegelismo, prendere e tenere la posizio-ne aristotelica, tanto più che proprio mi pare nè Hegelnè altri l'abbiano scossa. Vedremo all'occorrenza quelche di determinato e positivo si nasconde sotto questonulla che dell'hegelismo dovrebbe esser principio, e inesso ricercheremo allora quel che ci sia di valido omeno: dinanzi a tutto noi ci sforziamo di aprire gli oc-chi, tranne che dinanzi al nulla, per la semplicissima ra-gione che non ci sono neppure gli occhi, e non ci siamonoi con gli occhi.

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Il vero è che dell'hegelismo principio non è il nulla,ma l'equivoco che è una cosa ben diversa. Ora di fronteal nulla noi possiamo non occuparci oltre ed andare perla nostra strada, come faceva Spinoza di fronte agli scet-tici, dopo aver dimostrato che essi non potevano dir nul-la. Di fronte all'equivoco abbiamo cercato e cercheremodi chiarirlo, semprechè ci si presenti dinanzi.

Possiamo dunque tornare con sicuro animo ai caratte-ri notati nell'idealismo storico italiano, fiduciosi che ilsuo principio fondamentale di ontologismo idealisticonon solo non ha da ripiegare la sua bandiera di fronte aldialettismo contraddittorio, ma ha da occupare un cam-po lasciato deserto dall'opposto esercito. Questo infattiha dichiarato, o almeno comincia oggi a dichiarare, chein filosofia non c'è più nulla da fare. Se dunque la filo-sofia ci sarà, prenderà ancora una volta le mosse dellafilosofia italiana, dimostrando ancora una volta la veritàdi quanto Victor Hugo scriveva al Gonfaloniere di Fi-renze: “L'Italia ha questo di mirabile che essa è la terradei precursori”. Se poi la filosofia più non ci sarà, avràavuto ragione Hegel, ma non certo come filosofo, se lafilosofia si sarà dimostrata non degna di esistere.

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Il vero è che dell'hegelismo principio non è il nulla,ma l'equivoco che è una cosa ben diversa. Ora di fronteal nulla noi possiamo non occuparci oltre ed andare perla nostra strada, come faceva Spinoza di fronte agli scet-tici, dopo aver dimostrato che essi non potevano dir nul-la. Di fronte all'equivoco abbiamo cercato e cercheremodi chiarirlo, semprechè ci si presenti dinanzi.

Possiamo dunque tornare con sicuro animo ai caratte-ri notati nell'idealismo storico italiano, fiduciosi che ilsuo principio fondamentale di ontologismo idealisticonon solo non ha da ripiegare la sua bandiera di fronte aldialettismo contraddittorio, ma ha da occupare un cam-po lasciato deserto dall'opposto esercito. Questo infattiha dichiarato, o almeno comincia oggi a dichiarare, chein filosofia non c'è più nulla da fare. Se dunque la filo-sofia ci sarà, prenderà ancora una volta le mosse dellafilosofia italiana, dimostrando ancora una volta la veritàdi quanto Victor Hugo scriveva al Gonfaloniere di Fi-renze: “L'Italia ha questo di mirabile che essa è la terradei precursori”. Se poi la filosofia più non ci sarà, avràavuto ragione Hegel, ma non certo come filosofo, se lafilosofia si sarà dimostrata non degna di esistere.

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CAP. VII.IL NEOHEGELISMO ITALIANO

CONTEMPORANEO

40. La filosofia dello spirito.

Occuparci dell'idealismo nella seconda metà dell'otto-cento, riteniamo non necessario. Quell'indirizzo cheGentile classifica come platonico (cfr. Le origini dellafilosofia contemporanea in Italia, vol. I I platonici,Messina, 1917), e che vuol essere il continuatoredell'idealismo italiano, non credo che costituisca un ap-profondimento della nostra filosofia del Risorgimento,quantunque forse non sia da tenersi tanto a vile quanto ilsuccesso del positivismo e del neohegelismo ha procu-rato. In esso c'è una conferma dei caratteri dell'ideali-smo italiano, ma piuttosto in arresto che in isviluppo.

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CAP. VII.IL NEOHEGELISMO ITALIANO

CONTEMPORANEO

40. La filosofia dello spirito.

Occuparci dell'idealismo nella seconda metà dell'otto-cento, riteniamo non necessario. Quell'indirizzo cheGentile classifica come platonico (cfr. Le origini dellafilosofia contemporanea in Italia, vol. I I platonici,Messina, 1917), e che vuol essere il continuatoredell'idealismo italiano, non credo che costituisca un ap-profondimento della nostra filosofia del Risorgimento,quantunque forse non sia da tenersi tanto a vile quanto ilsuccesso del positivismo e del neohegelismo ha procu-rato. In esso c'è una conferma dei caratteri dell'ideali-smo italiano, ma piuttosto in arresto che in isviluppo.

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Rosmini, Gioberti, Mazzini non furono profondamenteintesi nè sviluppati.

Come in politica, dopo lo sforzo eroico del Risorgi-mento, ci fu quel mediocre assestarsi borghese, contro ilquale levò la sua voce potente Carducci, così nella spe-culazione non si mantenne l'altezza raggiunta. Compiutolo sforzo, l'Italia ebbe bisogno di un momento di sosta,di riposo, di raccoglimento, e forse anche di non origi-nale accoglimento. E forse in questo essa tenne più de-gnamente il suo posto e nel positivismo con l'Ardigò enel neohegelismo con lo Spaventa (cfr. gli altri tre vol.della detta opera del Gentile). Per quanto riguardal'idealismo dello Spaventa, dal punto di vista storico (elo Spaventa a nostro avviso fu prevalentemente uno sto-rico), basta quanto ne abbiamo già detto; dal punto divista teorico, la critica fatta all'idealismo di Hegel equella che ci accingiamo a fare del contemporaneo neo-hegelismo vale anche per la sua posizione speculativa.

Veniamo dunque al presente, cioè allo sforzo teoreti-co in atto, che noi italiani d'oggi veniamo compiendo, eche riteniamo idealismo.

In prima linea sta quello che seguaci ed oppositorirealisti dicono senz'altro idealismo italiano, e cioè uncaratteristico neohegelismo, che riprende e sottopone aradicali e profonde trasformazioni il pensiero hegelianodi De Sanctis e Spaventa: la filosofia dello spirito di B.Croce, l'attualismo di G. Gentile.

Non è nostro compito dire delle benemerenze certomolto grandi che i due eminenti, italianissimi uomini si

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Rosmini, Gioberti, Mazzini non furono profondamenteintesi nè sviluppati.

Come in politica, dopo lo sforzo eroico del Risorgi-mento, ci fu quel mediocre assestarsi borghese, contro ilquale levò la sua voce potente Carducci, così nella spe-culazione non si mantenne l'altezza raggiunta. Compiutolo sforzo, l'Italia ebbe bisogno di un momento di sosta,di riposo, di raccoglimento, e forse anche di non origi-nale accoglimento. E forse in questo essa tenne più de-gnamente il suo posto e nel positivismo con l'Ardigò enel neohegelismo con lo Spaventa (cfr. gli altri tre vol.della detta opera del Gentile). Per quanto riguardal'idealismo dello Spaventa, dal punto di vista storico (elo Spaventa a nostro avviso fu prevalentemente uno sto-rico), basta quanto ne abbiamo già detto; dal punto divista teorico, la critica fatta all'idealismo di Hegel equella che ci accingiamo a fare del contemporaneo neo-hegelismo vale anche per la sua posizione speculativa.

Veniamo dunque al presente, cioè allo sforzo teoreti-co in atto, che noi italiani d'oggi veniamo compiendo, eche riteniamo idealismo.

In prima linea sta quello che seguaci ed oppositorirealisti dicono senz'altro idealismo italiano, e cioè uncaratteristico neohegelismo, che riprende e sottopone aradicali e profonde trasformazioni il pensiero hegelianodi De Sanctis e Spaventa: la filosofia dello spirito di B.Croce, l'attualismo di G. Gentile.

Non è nostro compito dire delle benemerenze certomolto grandi che i due eminenti, italianissimi uomini si

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sono guadagnate, con l'alto pensiero e l'assidua opera,verso la cultura e la vita nazionale in genere, provocan-do nella prima un vivo rinnovamento da quel positivi-smo scientifico, in cui l'anima nazionale minacciava diristagnare, e nella seconda un concreto senso della attivaspiritualità sociale e politica.

Nè dobbiamo esporre ed esaminare tutta la loro filo-sofia, ma solo ricercare il carattere fondamentale delloro idealismo e valutarne la consistenza.

Riguardo alla valutazione dell'idealismo storico italia-no, merito e torto comuni ad entrambe queste filosofieci paiono quegli stessi da noi già riconosciuti al podero-so sforzo compiuto dallo Spaventa (§ 36).

I principi essenziali della filosofia dello spirito sonochiari, almeno nell'apparenza loro.

1. La filosofia è filosofia dello spirito, perchè “la verascienza, che non è intuizione ma concetto, non indivi-duale ma universale, non può non essere la vera scienzadello spirito, ossia di ciò che la realtà ha di universale:filosofia” (Estetica, 1912, p. 36). Ossia: non v'ha scien-za che dello spirito, in quanto soltanto questo è univer-salità. La filosofia, quindi, che è la scienza per eccellen-za, è scienza dello spirito: nè più nè meno.

2. Ma lo spirito, questa universalità del reale, è attivi-tà teoretica (conoscitiva), “mera contemplazione teoreti-ca delle cose”, che si suddistingue in attività intuitiva(conoscenza particolare) e concettuale (conoscenza uni-versale), e attività pratica (volitiva), “produttiva non diconoscenze ma di azioni”, e che anch'essa si suddistin-

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sono guadagnate, con l'alto pensiero e l'assidua opera,verso la cultura e la vita nazionale in genere, provocan-do nella prima un vivo rinnovamento da quel positivi-smo scientifico, in cui l'anima nazionale minacciava diristagnare, e nella seconda un concreto senso della attivaspiritualità sociale e politica.

Nè dobbiamo esporre ed esaminare tutta la loro filo-sofia, ma solo ricercare il carattere fondamentale delloro idealismo e valutarne la consistenza.

Riguardo alla valutazione dell'idealismo storico italia-no, merito e torto comuni ad entrambe queste filosofieci paiono quegli stessi da noi già riconosciuti al podero-so sforzo compiuto dallo Spaventa (§ 36).

I principi essenziali della filosofia dello spirito sonochiari, almeno nell'apparenza loro.

1. La filosofia è filosofia dello spirito, perchè “la verascienza, che non è intuizione ma concetto, non indivi-duale ma universale, non può non essere la vera scienzadello spirito, ossia di ciò che la realtà ha di universale:filosofia” (Estetica, 1912, p. 36). Ossia: non v'ha scien-za che dello spirito, in quanto soltanto questo è univer-salità. La filosofia, quindi, che è la scienza per eccellen-za, è scienza dello spirito: nè più nè meno.

2. Ma lo spirito, questa universalità del reale, è attivi-tà teoretica (conoscitiva), “mera contemplazione teoreti-ca delle cose”, che si suddistingue in attività intuitiva(conoscenza particolare) e concettuale (conoscenza uni-versale), e attività pratica (volitiva), “produttiva non diconoscenze ma di azioni”, e che anch'essa si suddistin-

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gue nei due gradi dell'attività pratica, particolare (azioneinteressata) e universale (azione morale). Donde le quat-tro scienze costitutive della filosofia: estetica, logica,economia, etica.

3. Tra queste due forme e due gradi dell'attività spiri-tuale c'è un continuo processo circolare, che, portandol'attività spirituale continuamente su se stessa, ne formail progresso e ne costituisce la storicità.

4. In conseguenza la filosofia, in quanto costituita daquelle quattro scienze rispondenti ai quattro momentispirituali, diventa storia. Così filosofia, scienza, storiaassumono un unico valore, e la storia, in questa riduzio-ne a filosofia, diventa tutta storia contemporanea.

5. Reciprocamente la filosofia perde la sua specificaessenza ed il suo proprio problema, e si risolve nellamoltitudine dei problemi offerti dalla vivente storia, del-la quale viene così a costituire una metodologia, dedottadalla storia stessa e quindi risolventesi in questa. Ap-punto perchè l'attività spirituale è divenire, cioè storia,non c'è più filosofia, che presupporrebbe una realtà fon-damento della storia.

41. Lo spirito in Hegel e in Croce.

È hegelismo questo del Croce? Per un verso, sì. Lacrociana riduzione della filosofia a filosofia dello spiritoè la dimostrazione che “quel che è vivo” tra le hegeliane

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gue nei due gradi dell'attività pratica, particolare (azioneinteressata) e universale (azione morale). Donde le quat-tro scienze costitutive della filosofia: estetica, logica,economia, etica.

3. Tra queste due forme e due gradi dell'attività spiri-tuale c'è un continuo processo circolare, che, portandol'attività spirituale continuamente su se stessa, ne formail progresso e ne costituisce la storicità.

4. In conseguenza la filosofia, in quanto costituita daquelle quattro scienze rispondenti ai quattro momentispirituali, diventa storia. Così filosofia, scienza, storiaassumono un unico valore, e la storia, in questa riduzio-ne a filosofia, diventa tutta storia contemporanea.

5. Reciprocamente la filosofia perde la sua specificaessenza ed il suo proprio problema, e si risolve nellamoltitudine dei problemi offerti dalla vivente storia, del-la quale viene così a costituire una metodologia, dedottadalla storia stessa e quindi risolventesi in questa. Ap-punto perchè l'attività spirituale è divenire, cioè storia,non c'è più filosofia, che presupporrebbe una realtà fon-damento della storia.

41. Lo spirito in Hegel e in Croce.

È hegelismo questo del Croce? Per un verso, sì. Lacrociana riduzione della filosofia a filosofia dello spiritoè la dimostrazione che “quel che è vivo” tra le hegeliane

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scienze filosofiche è soltanto la filosofia dello spirito.Fenomenologia, logica, filosofia della natura, filosofiadella storia sono “quel che è morto” di Hegel. La logicasi salva, solo in quanto è filosofia dello spiritoanch'essa, per quanto non la esaurisca.

Ma dopo questa riduzione non si capisce più qualconcetto Croce possa farsi dello spirito.

Certo quello che egli assume nella costruzione dellasua filosofia, non è lo spirito hegeliano.

Lo Spirito assoluto hegeliano non può svolgersi senon attraverso il dialettismo contraddittorio dell'esserecol nulla in quanto puramente logici; dell'idea con laschietta “negazione di se stessa” (Enc. §§ 247), che co-stituisce la natura; e finalmente dello spirito soggettivocome libertà con lo spirito oggettivo come necessità esi-stente (Enc., §§ 385).

E perciò la filosofia, appunto perchè deve essere filo-sofia dello spirito, deve percorrere questo svolgimento equindi essere prima Logica (svolgimento dell'antinomiadell'Idea in se stessa) poi Filosofia della natura (svolgi-mento dell'antinomia dell'Idea con se stessa) e solo cosìdivenire in ultimo Filosofia dello Spirito, in quantoespressione sintetica della detta antinomia dell'idea conse stessa e quindi ritorno all'Idea nella sua stessa antino-micità, organizzato secondo l'antitesi di soggetto ed og-getto.

Tolti questi svolgimenti antinomici, è tolto lo Spiritocome negatività, è tolto quindi l'hegeliano processo del-lo Spirito.

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scienze filosofiche è soltanto la filosofia dello spirito.Fenomenologia, logica, filosofia della natura, filosofiadella storia sono “quel che è morto” di Hegel. La logicasi salva, solo in quanto è filosofia dello spiritoanch'essa, per quanto non la esaurisca.

Ma dopo questa riduzione non si capisce più qualconcetto Croce possa farsi dello spirito.

Certo quello che egli assume nella costruzione dellasua filosofia, non è lo spirito hegeliano.

Lo Spirito assoluto hegeliano non può svolgersi senon attraverso il dialettismo contraddittorio dell'esserecol nulla in quanto puramente logici; dell'idea con laschietta “negazione di se stessa” (Enc. §§ 247), che co-stituisce la natura; e finalmente dello spirito soggettivocome libertà con lo spirito oggettivo come necessità esi-stente (Enc., §§ 385).

E perciò la filosofia, appunto perchè deve essere filo-sofia dello spirito, deve percorrere questo svolgimento equindi essere prima Logica (svolgimento dell'antinomiadell'Idea in se stessa) poi Filosofia della natura (svolgi-mento dell'antinomia dell'Idea con se stessa) e solo cosìdivenire in ultimo Filosofia dello Spirito, in quantoespressione sintetica della detta antinomia dell'idea conse stessa e quindi ritorno all'Idea nella sua stessa antino-micità, organizzato secondo l'antitesi di soggetto ed og-getto.

Tolti questi svolgimenti antinomici, è tolto lo Spiritocome negatività, è tolto quindi l'hegeliano processo del-lo Spirito.

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Ha quindi ragione il Croce, quando non riconosce nècome hegelismo nè come neohegelismo la sua Filosofia,pur riconoscendo in Hegel il “grande antenato” di que-sta, soltanto in quanto “nello Hegel si dà risalto soprat-tutto alla vigorosa tendenza verso l'immanenza e la con-cretezza, e alla concezione di una logica filosofica in-trinsecamente diversa da quella del naturalismo” (Con-tributo alla critica di me stesso, 1926, pag. 63).

Ma non ha ragione quando dice che “la Filosofiacome scienza dello spirito, da me disegnata,... è la totaleeversione dello hegelismo” (ib.). Perchè fosse tale, biso-gnava che il Croce, “ponendo come solo reale lo spiri-to”, un concetto dello spirito avesse cercato di darsi incoerenza con questa riduzione del reale a spirito.

E invece il Croce, anche nell'accettare da Hegel ilconcetto del reale come spirito in quanto processo, vi in-troduce, un po' credo senza accorgersene, il concettopsicologico tradizionale dello spirito con le sue facoltà,e questo concetto sostituisce a quello hegeliano.

Perciò della pur giusta distinzione dell'attività spiri-tuale egli non può dare la tradizionale giustificazionedelle facoltà dello spirito, perchè lo spirito come proces-so reale esclude quella tradizionale ammissione di facol-tà. Nè può cercare altra giustificazione per la mancatacritica del concetto di spirito, e il dogmatico ravvicina-mento del concetto psicologico di spirito al concetto he-geliano di spirito come processo.

Il concetto crociano di spirito rimane dunque quellopsicologico tradizionale. A questa umana psiche Croce

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Ha quindi ragione il Croce, quando non riconosce nècome hegelismo nè come neohegelismo la sua Filosofia,pur riconoscendo in Hegel il “grande antenato” di que-sta, soltanto in quanto “nello Hegel si dà risalto soprat-tutto alla vigorosa tendenza verso l'immanenza e la con-cretezza, e alla concezione di una logica filosofica in-trinsecamente diversa da quella del naturalismo” (Con-tributo alla critica di me stesso, 1926, pag. 63).

Ma non ha ragione quando dice che “la Filosofiacome scienza dello spirito, da me disegnata,... è la totaleeversione dello hegelismo” (ib.). Perchè fosse tale, biso-gnava che il Croce, “ponendo come solo reale lo spiri-to”, un concetto dello spirito avesse cercato di darsi incoerenza con questa riduzione del reale a spirito.

E invece il Croce, anche nell'accettare da Hegel ilconcetto del reale come spirito in quanto processo, vi in-troduce, un po' credo senza accorgersene, il concettopsicologico tradizionale dello spirito con le sue facoltà,e questo concetto sostituisce a quello hegeliano.

Perciò della pur giusta distinzione dell'attività spiri-tuale egli non può dare la tradizionale giustificazionedelle facoltà dello spirito, perchè lo spirito come proces-so reale esclude quella tradizionale ammissione di facol-tà. Nè può cercare altra giustificazione per la mancatacritica del concetto di spirito, e il dogmatico ravvicina-mento del concetto psicologico di spirito al concetto he-geliano di spirito come processo.

Il concetto crociano di spirito rimane dunque quellopsicologico tradizionale. A questa umana psiche Croce

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addossa la croce tutta della realtà, intendendo comerealtà il processo e come reale processo lo spirito inquanto psiche umana. Forse a questa identificazione puòridursi anche l'hegelismo; ma, sia questa o non sia hege-liana, il problema, dinanzi al quale ci troviamo con He-gel e con tutti i suoi epigoni più o meno conformisti, è,se una volta arrivati alla concezione dello spirito come ilprocesso reale e quindi alla riduzione di ogni realtà aspirito, si possa anche conservare insieme il concettopsicologico dello spirito come spiritualità umana. Ciòimporta dire: la spiritualità umana è il processo reale,universale ed unico; e inversamente. Or vedere esplici-tamente questa sottintesa affermazione è sentirnel'assurdo. Nell'accettare infatti il concetto di spiritocome spiritualità umana, e nell'assumere quindi implici-tamente il valore psicologico dello spirito noi concepia-mo lo spirito come il potere, che l'uomo ha, di rappre-sentarsi (coscienza psicologica) la realtà, la quale per-ciò è ammessa, rappresentabile bensì, ma non riducibilenè alla propria rappresentazione, nè allo spirito (dettopotere) formatore della rappresentazione. Ma nel tempostesso, col ritenere siffatta spiritualità umana spiritocome reale processo universale, escludiamo tale irridu-cibilità.

E questa è pura contraddizione, che si risolve nel nondire nulla; non è idealismo. Contro siffatto idealismo èsempre e ancora più valida la protesta che contro Berke-ley faceva Kant: la realtà ridotta a sogno (insieme dirappresentazioni umane senza realtà) non è realtà. Lo

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addossa la croce tutta della realtà, intendendo comerealtà il processo e come reale processo lo spirito inquanto psiche umana. Forse a questa identificazione puòridursi anche l'hegelismo; ma, sia questa o non sia hege-liana, il problema, dinanzi al quale ci troviamo con He-gel e con tutti i suoi epigoni più o meno conformisti, è,se una volta arrivati alla concezione dello spirito come ilprocesso reale e quindi alla riduzione di ogni realtà aspirito, si possa anche conservare insieme il concettopsicologico dello spirito come spiritualità umana. Ciòimporta dire: la spiritualità umana è il processo reale,universale ed unico; e inversamente. Or vedere esplici-tamente questa sottintesa affermazione è sentirnel'assurdo. Nell'accettare infatti il concetto di spiritocome spiritualità umana, e nell'assumere quindi implici-tamente il valore psicologico dello spirito noi concepia-mo lo spirito come il potere, che l'uomo ha, di rappre-sentarsi (coscienza psicologica) la realtà, la quale per-ciò è ammessa, rappresentabile bensì, ma non riducibilenè alla propria rappresentazione, nè allo spirito (dettopotere) formatore della rappresentazione. Ma nel tempostesso, col ritenere siffatta spiritualità umana spiritocome reale processo universale, escludiamo tale irridu-cibilità.

E questa è pura contraddizione, che si risolve nel nondire nulla; non è idealismo. Contro siffatto idealismo èsempre e ancora più valida la protesta che contro Berke-ley faceva Kant: la realtà ridotta a sogno (insieme dirappresentazioni umane senza realtà) non è realtà. Lo

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spirito, come processo reale, dunque, non può esserepuro potere rappresentativo: presupporrebbe il “chi” e il“che” della rappresentazione.

Bisogna, perciò, decidersi per un concetto psicologicoo per un concetto, idealistico, dialettico, concreto, ocom'altro dir si voglia, dello spirito. Se conserviamo ilprimo, in verità non concepiamo proprio il processo rea-le come spirito, ma diciamo che l'uomo non può conce-pire la realtà se non vissuta nelle rappresentazioni, che,nel proprio processo psicologico di uomo, ne ha. E, di-cendo questo, saremmo in un psicologismo umanistico,che, col suo presentarsi sotto forma di logicismo hege-liano o spiritualismo neohegeliano, è certo meno grosso-lano ma forse più equivoco e non meno falso di ogni al-tro umanismo esplicito o implicito (fenomenismo, rela-tivismo, pragmatismo, ecc.).

42. L'uomo come lo spirito.

A meno che non si voglia assumere senz'altro l'identi-ficazione dell'uomo come tale con lo spirito come uni-versale ed unico processo reale. E quest'assunzione èforse il sottinteso del neohegelismo italiano in genere. Afarla passare inosservata servono la distinzionedell'uomo natura dall'uomo spirito, dell'uomo empirico,abitante della terra, dall'uomo pensiero, e l'asserzioneche il primo, come ogni altra realtà, è da ridursi al se-

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spirito, come processo reale, dunque, non può esserepuro potere rappresentativo: presupporrebbe il “chi” e il“che” della rappresentazione.

Bisogna, perciò, decidersi per un concetto psicologicoo per un concetto, idealistico, dialettico, concreto, ocom'altro dir si voglia, dello spirito. Se conserviamo ilprimo, in verità non concepiamo proprio il processo rea-le come spirito, ma diciamo che l'uomo non può conce-pire la realtà se non vissuta nelle rappresentazioni, che,nel proprio processo psicologico di uomo, ne ha. E, di-cendo questo, saremmo in un psicologismo umanistico,che, col suo presentarsi sotto forma di logicismo hege-liano o spiritualismo neohegeliano, è certo meno grosso-lano ma forse più equivoco e non meno falso di ogni al-tro umanismo esplicito o implicito (fenomenismo, rela-tivismo, pragmatismo, ecc.).

42. L'uomo come lo spirito.

A meno che non si voglia assumere senz'altro l'identi-ficazione dell'uomo come tale con lo spirito come uni-versale ed unico processo reale. E quest'assunzione èforse il sottinteso del neohegelismo italiano in genere. Afarla passare inosservata servono la distinzionedell'uomo natura dall'uomo spirito, dell'uomo empirico,abitante della terra, dall'uomo pensiero, e l'asserzioneche il primo, come ogni altra realtà, è da ridursi al se-

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condo dialetticamente, cioè col suo concetto: l'uomo na-tura è il concetto, che l'uomo spirito si fa di esso, negan-do sè come spirito. Così l'uomo spirito, in questo suopensare la natura come la propria negazione, è lo spiritodialettico, cioè l'effettivo processo reale universale.

Ora io non voglio qui nè da una parte tornare a discu-tere il concetto dialettico antitetico dello spirito, tantopiù che questo non è, abbiam visto, accettato dal Croceintegralmente, nè dall'altra porre o risolvere il graveproblema dell'uomo. Voglio soltanto chiarire, se, purcon siffatta, o altra che sia, concezione dialettica dellospirito come attivo processo reale, in cui tutto (natura,essere, attività, pensiero, ecc.) si risolve, si possa sottin-tendere l'identificazione dell'uomo con lo spirito e dellospirito con l'uomo.

È vero: come ogni realtà naturale, l'uomo natura nonpuò essere ammesso come reale se non col concetto chese ne ha, e perciò è condizionato dalla spiritualità che lorende concepibile. Ma il punto da chiarire è se la spiri-tualità, come condizione della concepibilità di ogni real-tà, e quindi come effettivo ed unico processo reale, sial'uomo.

La tacita ammissione di questa identità è o un equivo-co o un assurdo.

È un equivoco, se con la voce uomo non intendiamodir altro che quella spiritualità. Quella voce superflua al-lora bisogna sopprimere: l'identità così è tolta.

Quell'ammissione invece è un assurdo, se in essa por-tiamo il concetto di uomo. Giacchè non possiamo inten-

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condo dialetticamente, cioè col suo concetto: l'uomo na-tura è il concetto, che l'uomo spirito si fa di esso, negan-do sè come spirito. Così l'uomo spirito, in questo suopensare la natura come la propria negazione, è lo spiritodialettico, cioè l'effettivo processo reale universale.

Ora io non voglio qui nè da una parte tornare a discu-tere il concetto dialettico antitetico dello spirito, tantopiù che questo non è, abbiam visto, accettato dal Croceintegralmente, nè dall'altra porre o risolvere il graveproblema dell'uomo. Voglio soltanto chiarire, se, purcon siffatta, o altra che sia, concezione dialettica dellospirito come attivo processo reale, in cui tutto (natura,essere, attività, pensiero, ecc.) si risolve, si possa sottin-tendere l'identificazione dell'uomo con lo spirito e dellospirito con l'uomo.

È vero: come ogni realtà naturale, l'uomo natura nonpuò essere ammesso come reale se non col concetto chese ne ha, e perciò è condizionato dalla spiritualità che lorende concepibile. Ma il punto da chiarire è se la spiri-tualità, come condizione della concepibilità di ogni real-tà, e quindi come effettivo ed unico processo reale, sial'uomo.

La tacita ammissione di questa identità è o un equivo-co o un assurdo.

È un equivoco, se con la voce uomo non intendiamodir altro che quella spiritualità. Quella voce superflua al-lora bisogna sopprimere: l'identità così è tolta.

Quell'ammissione invece è un assurdo, se in essa por-tiamo il concetto di uomo. Giacchè non possiamo inten-

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dere come uomo la stessa opposizione dialettica spirito-natura: non saremmo usciti dall'equivoco sopracitato.Quale è dunque il concetto di uomo nella filosofia dellospirito? Non so, e non voglio ora ricercare, se il Croce sisia posto mai esplicitamente tale problema: saprebbetroppo di quegli eterni problemi da Croce derisi. Ma,certo, l'uomo crociano è spirito vivente, che si è fatta esi vien continuamente facendo nella propria storia la suacultura e cioè la sua propria essenza. Ora, se vogliamoconservare quella identificazione di uomo coll'unicoprocesso che è lo spirito, o concepiamo l'uomo, proprioin quanto specie vivente sulla terra, eterno, universale,necessario, condizionante ogni concetto, come la spiri-tualità, per cui è concepibile quel concetto di uomo; o,se l'uomo come specie concepiamo nato sulla terra, con-cepiamo anche come nato con lui lo spirito, se questo èl'uomo stesso. Non c'è via di mezzo: o non comincial'uomo, o comincia lo spirito. Se non comincia l'uomo,tutto il concetto di natura come divenire, come nasci-mento di individui e cominciamento di enti, di essenze,di specie, empirico o non che sia, va abbandonato: sia-mo alla più desolante e morta fissità di essenza, tutte lealtre (e cioè tutti gli altri concetti) si riducono a quella diuomo. Se poi comincia lo spirito col cominciaredell'uomo, è evidente che lo spirito presuppone qualchecosa che non possiamo dire spirito, come e in quantol'uomo presuppone qualche cosa che non possiamo direuomo: la materia precede lo spirito.

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dere come uomo la stessa opposizione dialettica spirito-natura: non saremmo usciti dall'equivoco sopracitato.Quale è dunque il concetto di uomo nella filosofia dellospirito? Non so, e non voglio ora ricercare, se il Croce sisia posto mai esplicitamente tale problema: saprebbetroppo di quegli eterni problemi da Croce derisi. Ma,certo, l'uomo crociano è spirito vivente, che si è fatta esi vien continuamente facendo nella propria storia la suacultura e cioè la sua propria essenza. Ora, se vogliamoconservare quella identificazione di uomo coll'unicoprocesso che è lo spirito, o concepiamo l'uomo, proprioin quanto specie vivente sulla terra, eterno, universale,necessario, condizionante ogni concetto, come la spiri-tualità, per cui è concepibile quel concetto di uomo; o,se l'uomo come specie concepiamo nato sulla terra, con-cepiamo anche come nato con lui lo spirito, se questo èl'uomo stesso. Non c'è via di mezzo: o non comincial'uomo, o comincia lo spirito. Se non comincia l'uomo,tutto il concetto di natura come divenire, come nasci-mento di individui e cominciamento di enti, di essenze,di specie, empirico o non che sia, va abbandonato: sia-mo alla più desolante e morta fissità di essenza, tutte lealtre (e cioè tutti gli altri concetti) si riducono a quella diuomo. Se poi comincia lo spirito col cominciaredell'uomo, è evidente che lo spirito presuppone qualchecosa che non possiamo dire spirito, come e in quantol'uomo presuppone qualche cosa che non possiamo direuomo: la materia precede lo spirito.

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In ogni caso lo spirito come attivo universale proces-so reale (quella che io dico la coscienza come concretez-za dell'essere) scompare per dar luogo o all'uomo vivoab aeterno o alla materia come antecedente dello spirito.

Nè in ciò può cambiar nulla la fenomenicità o incon-sistenza del tempo inteso come “prima” e “poi”, datialla terra e ai viventi su di essa e quindi agli uomini peruna schietta esigenza del senso: quand'anche fosse pos-sibile scindere i concetti, coi quali pur quel “prima” equel “poi” attribuiamo, da questo “prima” e “poi” deglioggetti fenomenici, terra e viventi, e considerar tali con-cetti come non tocchi da questa fenomenicità, ciò nontoglierebbe ma richiederebbe ugualmente la non identi-ficazione della spiritualità, che condiziona la concettua-lità del reale, con l'umanità come tale. Con quella scis-sione tutt'al più cadremmo nella dottrina delle essenzeeterne pensate, indipendentemente dal loro esistere, dauna mente, che non sarebbe certo l'uomo, che non puònon dover fare i conti con l'esistenza, a cominciare dallapropria. Senza dire, che, se facciamo il senziente, inquanto tale, creatore arbitrario di quel “prima” e “poi”,cadiamo nel grosso problema del significato di questosentire fenomenico o fenomenizzante nella sua distin-zione dal concepire reale, e abbandoniamo l'uomo cometale.

Nè infine vale prescindere dal cominciare o menodell'uomo o dello spirito. Giacchè sempre o concepiamol'uomo vivo col concetto di spirito, ed allora non vi saràpiù posto di uomo per l'uomo natura: questi rimane un

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In ogni caso lo spirito come attivo universale proces-so reale (quella che io dico la coscienza come concretez-za dell'essere) scompare per dar luogo o all'uomo vivoab aeterno o alla materia come antecedente dello spirito.

Nè in ciò può cambiar nulla la fenomenicità o incon-sistenza del tempo inteso come “prima” e “poi”, datialla terra e ai viventi su di essa e quindi agli uomini peruna schietta esigenza del senso: quand'anche fosse pos-sibile scindere i concetti, coi quali pur quel “prima” equel “poi” attribuiamo, da questo “prima” e “poi” deglioggetti fenomenici, terra e viventi, e considerar tali con-cetti come non tocchi da questa fenomenicità, ciò nontoglierebbe ma richiederebbe ugualmente la non identi-ficazione della spiritualità, che condiziona la concettua-lità del reale, con l'umanità come tale. Con quella scis-sione tutt'al più cadremmo nella dottrina delle essenzeeterne pensate, indipendentemente dal loro esistere, dauna mente, che non sarebbe certo l'uomo, che non puònon dover fare i conti con l'esistenza, a cominciare dallapropria. Senza dire, che, se facciamo il senziente, inquanto tale, creatore arbitrario di quel “prima” e “poi”,cadiamo nel grosso problema del significato di questosentire fenomenico o fenomenizzante nella sua distin-zione dal concepire reale, e abbandoniamo l'uomo cometale.

Nè infine vale prescindere dal cominciare o menodell'uomo o dello spirito. Giacchè sempre o concepiamol'uomo vivo col concetto di spirito, ed allora non vi saràpiù posto di uomo per l'uomo natura: questi rimane un

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povero ente fenomenico di natura, concetto non conci-piente, passiva psiche incapace di spiritualità; la vitavera è dello spirito non dell'uomo. O inversamente con-cepiamo lo spirito concreto col concetto di uomo vivo,ed allora non vi sarà più posto di spirito per lo spiritoconcreto: lo spirito rimane come naturale psiche inatti-va, incapace di attivo processo reale. Nel primo casocon la spiritualità dell'uomo si perde anche ogni spiri-tualità (l'affermazione che l'uomo ne fa, è priva di sensoperchè fatta da una psiche incapace di spiritualità); nelsecondo caso con la spiritualità in genere si perde anchela spiritualità umana.

Dunque in ogni caso lo spirito come attivo universaleprocesso reale scompare per dar luogo a una passivapsichicità naturale come il tradizionale specchio dellarealtà, o il pseudocritico fenomeno di questa: la realtàreale non è spirito. Si perde così l'immanenza: l'umani-smo non salva, uccide l'immanenza.

Invece il vero è che quando noi pensiamo, che, milio-ni o miliardi di anni fa (la lunghezza della durata nonimporta), nonchè l'uomo vivo sulla terra, non c'era nep-pure la terra che era anch'essa in via di formazione, èvero che questo pensar la terra come materia ancora in-candescente senza viventi di sorta e quindi senza uomi-ni, è anch'esso un concetto e richiede una spiritualità.Ma questo concetto della terra senza viventi, e quindisenza uomini pensanti, in tanto costringe con la sua con-cettualità me uomo pensante e mi obbliga, anch'esso, adammettere la crociana risoluzione della realtà a spirito,

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povero ente fenomenico di natura, concetto non conci-piente, passiva psiche incapace di spiritualità; la vitavera è dello spirito non dell'uomo. O inversamente con-cepiamo lo spirito concreto col concetto di uomo vivo,ed allora non vi sarà più posto di spirito per lo spiritoconcreto: lo spirito rimane come naturale psiche inatti-va, incapace di attivo processo reale. Nel primo casocon la spiritualità dell'uomo si perde anche ogni spiri-tualità (l'affermazione che l'uomo ne fa, è priva di sensoperchè fatta da una psiche incapace di spiritualità); nelsecondo caso con la spiritualità in genere si perde anchela spiritualità umana.

Dunque in ogni caso lo spirito come attivo universaleprocesso reale scompare per dar luogo a una passivapsichicità naturale come il tradizionale specchio dellarealtà, o il pseudocritico fenomeno di questa: la realtàreale non è spirito. Si perde così l'immanenza: l'umani-smo non salva, uccide l'immanenza.

Invece il vero è che quando noi pensiamo, che, milio-ni o miliardi di anni fa (la lunghezza della durata nonimporta), nonchè l'uomo vivo sulla terra, non c'era nep-pure la terra che era anch'essa in via di formazione, èvero che questo pensar la terra come materia ancora in-candescente senza viventi di sorta e quindi senza uomi-ni, è anch'esso un concetto e richiede una spiritualità.Ma questo concetto della terra senza viventi, e quindisenza uomini pensanti, in tanto costringe con la sua con-cettualità me uomo pensante e mi obbliga, anch'esso, adammettere la crociana risoluzione della realtà a spirito,

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in quanto non risolve la spiritualità solo in quella uma-nità, che, con quel concetto, concepiamo non ancor nata,e dà alla spiritualità un valore, che l'umanità come talenon può mai esaurire. Giacchè, altrimenti, quella con-cettualità non ha significato.

Lo spirito, dunque, che intimamente la condiziona,che, cioè, ne è il sostanziale processo reale, non èl'uomo in quanto si rappresenta la terra e l'uomo natura,e quindi le ammette come realtà esistenti al di là di sestesso che se le rappresenta, ma è ciò che deve sostan-ziare insieme ogni psiche rappresentativa ed ogni realtàfisica rappresentata, se è vero che questa, nella suaschietta fisicità (materialità, cioè essere al di là dellarappresentazione), non è in alcun modo ammissibilecome realtà veramente reale, se è vero, cioè, che è ine-rente alla realtà la necessità dell'esser rappresentata, equindi il superamento della sua fisicità nella spiritualità.Proprio per questo superamento dell'uomo come uomovivo, la psiche umana è necessitata da quella concettua-lità, e in questa necessitazione (cioè in questo supera-mento dell'uomo vivo) essa attinge la spiritualità, cioè lametafisica concretezza dell'essere.

La ragione dunque (la concepibilità dell'uomo naturada parte dell'uomo spirito), attraverso la quale, nel neo-hegelismo in genere, si insinua la tesi della identitàdell'uomo con lo spirito come processo reale, non solonon dimostra questa tesi, ma la esclude col suo stessovalore. Questa ragione infatti dimostra in primo luogo,che per ogni reale, e quindi anche per l'uomo, devonsi

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in quanto non risolve la spiritualità solo in quella uma-nità, che, con quel concetto, concepiamo non ancor nata,e dà alla spiritualità un valore, che l'umanità come talenon può mai esaurire. Giacchè, altrimenti, quella con-cettualità non ha significato.

Lo spirito, dunque, che intimamente la condiziona,che, cioè, ne è il sostanziale processo reale, non èl'uomo in quanto si rappresenta la terra e l'uomo natura,e quindi le ammette come realtà esistenti al di là di sestesso che se le rappresenta, ma è ciò che deve sostan-ziare insieme ogni psiche rappresentativa ed ogni realtàfisica rappresentata, se è vero che questa, nella suaschietta fisicità (materialità, cioè essere al di là dellarappresentazione), non è in alcun modo ammissibilecome realtà veramente reale, se è vero, cioè, che è ine-rente alla realtà la necessità dell'esser rappresentata, equindi il superamento della sua fisicità nella spiritualità.Proprio per questo superamento dell'uomo come uomovivo, la psiche umana è necessitata da quella concettua-lità, e in questa necessitazione (cioè in questo supera-mento dell'uomo vivo) essa attinge la spiritualità, cioè lametafisica concretezza dell'essere.

La ragione dunque (la concepibilità dell'uomo naturada parte dell'uomo spirito), attraverso la quale, nel neo-hegelismo in genere, si insinua la tesi della identitàdell'uomo con lo spirito come processo reale, non solonon dimostra questa tesi, ma la esclude col suo stessovalore. Questa ragione infatti dimostra in primo luogo,che per ogni reale, e quindi anche per l'uomo, devonsi

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ammettere la possibilità e necessità del suo concetto (lequali complessivamente posson dirsi concettualità), per-chè esso sia reale; e in secondo luogo pone in evidenza,che questa concettualità dimostra o concorre a dimostra-re la spiritualità del concreto processo reale. Confonderequesta spiritualità, così dimostrata, con l'uomo è toglieretale dimostrazione, è non essersi ancora spogliati delconcetto psicologico dello spirito, è non aver superata lafisica nella metafisica. E questo, per protestar che si fac-cia contro la metafisica, è necessario, quando si vogliaammettere sul serio che il concreto processo reale è lospirito.

43. Cultura e apriorità.

Questa esigenza concretamente spirituale del conce-pire, la quale, lungi dal dimostrare, esclude la limitazio-ne dello spirito a uomo, non mi pare quella toccata dalCroce con la sua distinzione dei pseudoconcetti dai con-cetti, ai quali ultimi, in fondo, sarebbe riservata la spiri-tualità.

Questa distinzione, chiusa com'è nel campo logico,presuppone, implicita, quella identificazione dello spiri-to con l'uomo, che sopra abbiamo criticata: soltanto iconcetti e non i pseudoconcetti sarebbero i concetti del-lo spirito che è l'uomo. Essa quindi nulla ci può dire ri-guardo all'uomo stesso come spirito; non riesce ad at-

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ammettere la possibilità e necessità del suo concetto (lequali complessivamente posson dirsi concettualità), per-chè esso sia reale; e in secondo luogo pone in evidenza,che questa concettualità dimostra o concorre a dimostra-re la spiritualità del concreto processo reale. Confonderequesta spiritualità, così dimostrata, con l'uomo è toglieretale dimostrazione, è non essersi ancora spogliati delconcetto psicologico dello spirito, è non aver superata lafisica nella metafisica. E questo, per protestar che si fac-cia contro la metafisica, è necessario, quando si vogliaammettere sul serio che il concreto processo reale è lospirito.

43. Cultura e apriorità.

Questa esigenza concretamente spirituale del conce-pire, la quale, lungi dal dimostrare, esclude la limitazio-ne dello spirito a uomo, non mi pare quella toccata dalCroce con la sua distinzione dei pseudoconcetti dai con-cetti, ai quali ultimi, in fondo, sarebbe riservata la spiri-tualità.

Questa distinzione, chiusa com'è nel campo logico,presuppone, implicita, quella identificazione dello spiri-to con l'uomo, che sopra abbiamo criticata: soltanto iconcetti e non i pseudoconcetti sarebbero i concetti del-lo spirito che è l'uomo. Essa quindi nulla ci può dire ri-guardo all'uomo stesso come spirito; non riesce ad at-

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trarre nel suo ambito l'uomo pensante, il Croce stesso, p.es.. Egli, con la sua filosofia dello spirito, è concetto opseudoconcetto? Se egli è un pseudoconcetto, non socome potranno essere concetti quelli formulati da lui. Sepoi egli è concetto, concetti sono tutti gli uomini che glistanno accanto o che lo precedettero: concetto non è lospirito; a meno che lo spirito non sia soltanto B. Croce.

Il vero è che lo spirito, in virtù del quale Croce scrivecon tanta invidiabile chiarezza, e al quale riducesi ognirealtà, non è nè solo B. Croce come soggetto pensante,nè l'umanità tutta assommata in un unico soggetto pen-sante.

Questo non so se Kant disse mai con chiarezza, macerto con chiarezza si può dedurre dalla protesta cheegli faceva contro l'elevazione della esperienza, sia puredi tutta l'umanità, a giustificazione dell'apriori nella suanecessità e universalità. E lo spirito di Croce dovrebbeessere proprio l'apriori di Kant, perchè si possa ammet-tere la riduzione della realtà a spirito. E invece Croce,con tutti gli idealisti soggettivi, riduce lo spirito a unpuro aposteriori, cioè alla complessiva esperienzadell'uomo. Giacchè questo mi par che si faccia, quandolo spirito si identifica con l'esplicatasi cultura umana.

È chiaro che neppure questa cultura umana in quantotale può esaurire lo spirito in quanto universale processoreale. Essa come cultura storica umana è cominciata, equella necessitazione alla universale ed eterna spirituali-tà, che abbiamo dimostrato esistere per i concetti, esisteper la complessiva cultura. Anch'essa è cominciata con

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trarre nel suo ambito l'uomo pensante, il Croce stesso, p.es.. Egli, con la sua filosofia dello spirito, è concetto opseudoconcetto? Se egli è un pseudoconcetto, non socome potranno essere concetti quelli formulati da lui. Sepoi egli è concetto, concetti sono tutti gli uomini che glistanno accanto o che lo precedettero: concetto non è lospirito; a meno che lo spirito non sia soltanto B. Croce.

Il vero è che lo spirito, in virtù del quale Croce scrivecon tanta invidiabile chiarezza, e al quale riducesi ognirealtà, non è nè solo B. Croce come soggetto pensante,nè l'umanità tutta assommata in un unico soggetto pen-sante.

Questo non so se Kant disse mai con chiarezza, macerto con chiarezza si può dedurre dalla protesta cheegli faceva contro l'elevazione della esperienza, sia puredi tutta l'umanità, a giustificazione dell'apriori nella suanecessità e universalità. E lo spirito di Croce dovrebbeessere proprio l'apriori di Kant, perchè si possa ammet-tere la riduzione della realtà a spirito. E invece Croce,con tutti gli idealisti soggettivi, riduce lo spirito a unpuro aposteriori, cioè alla complessiva esperienzadell'uomo. Giacchè questo mi par che si faccia, quandolo spirito si identifica con l'esplicatasi cultura umana.

È chiaro che neppure questa cultura umana in quantotale può esaurire lo spirito in quanto universale processoreale. Essa come cultura storica umana è cominciata, equella necessitazione alla universale ed eterna spirituali-tà, che abbiamo dimostrato esistere per i concetti, esisteper la complessiva cultura. Anch'essa è cominciata con

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l'uomo, se è il prodotto dell'uomo vivente sulla terra; eperciò anch'essa si dissolve come oggettiva cultura, selo spirito concreto si riconosce soltanto come uomovivo. Ed invece col suo valore di pensiero e non di purarappresentazione soggettiva del mondo reale, la culturaumana è esigenza della spiritualità del reale. Ma questaesigenza esclude il ridursi della spiritualità soltanto atale esplicita cultura umana, ed esige, in questa, quellaimmanenza implicita dello spirito, che, proprio perchècondiziona dal di dentro ogni concettualità, è irriducibi-le a esplicito concetto e quindi anche ad esplicita culturain tutta la sua storia. Tutta la storica cultura umana dun-que ha in sè una implicita spiritualità irriducibile a espli-cita storia. Questa è sempre vita vissuta, esperienza fat-ta. La necessità storica, che da questa deriva, quando siesclude quel fondamento spirituale della umana storiacol ridurre l'uno all'altra, è necessità naturalistica, e nonquell'apriorità spirituale, che è richiesta dal concetto dispirito come processo reale.

Questa apriorità, e più precisamente questo distingue-re l'apriorità spirituale dall'umano processo storico, incui è immanente, è, dunque, l'esigenza imprescindibiledella riduzione della realtà a spirito, che giustamente sidice nata da Kant, ma che antikantianamente viene inte-sa come riduzione della realtà a umanità.

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l'uomo, se è il prodotto dell'uomo vivente sulla terra; eperciò anch'essa si dissolve come oggettiva cultura, selo spirito concreto si riconosce soltanto come uomovivo. Ed invece col suo valore di pensiero e non di purarappresentazione soggettiva del mondo reale, la culturaumana è esigenza della spiritualità del reale. Ma questaesigenza esclude il ridursi della spiritualità soltanto atale esplicita cultura umana, ed esige, in questa, quellaimmanenza implicita dello spirito, che, proprio perchècondiziona dal di dentro ogni concettualità, è irriducibi-le a esplicito concetto e quindi anche ad esplicita culturain tutta la sua storia. Tutta la storica cultura umana dun-que ha in sè una implicita spiritualità irriducibile a espli-cita storia. Questa è sempre vita vissuta, esperienza fat-ta. La necessità storica, che da questa deriva, quando siesclude quel fondamento spirituale della umana storiacol ridurre l'uno all'altra, è necessità naturalistica, e nonquell'apriorità spirituale, che è richiesta dal concetto dispirito come processo reale.

Questa apriorità, e più precisamente questo distingue-re l'apriorità spirituale dall'umano processo storico, incui è immanente, è, dunque, l'esigenza imprescindibiledella riduzione della realtà a spirito, che giustamente sidice nata da Kant, ma che antikantianamente viene inte-sa come riduzione della realtà a umanità.

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44. Negazione crociana del Principio e del suo problema.

L'assunto fondamentale crociano, dunque, della ridu-zione della realtà a spirito, non può avere nessun valore,se prima non poniamo il problema dello spirito, al qualevogliamo ridurre la realtà.

Or questo è problema metafisico, che nella mente delCroce non ha nessuna risonanza. Sotto questo aspetto lafilosofia del Croce, lungi dall'essere hegelismo, rimaneben al di sotto di esso come di ogni vero sistema filoso-fico, che in un qualche modo senta e si sforzi di risolve-re il problema metafisico, che è il proprio del sapere fi-losofico. E questo non è ridurre la filosofia a “sublimeinconcludenza” (Croce, Ultimi Saggi, 1935, p. 353), maricercare il principio della umana coscienza. Ricerca pe-renne e sempre più profonda; ricerca, che non è ricercadell'inizio, del cominciamento della coscienza, se l'ini-zio rimanda necessariamente a qualcosa di là dall'inizia-to e il principio invece non può non essere intrinseco alprincipiato.

Il passaggio dalla estrinsecità del principio al princi-piato (estrinsecità che vuol dire confusione dello estrin-seco generante con l'intrinseco principio), il passaggiocioè dalla trascendenza, la quale è la ragione di tutti gliassurdi della filosofia prestoricistica (assurdi non toltima confermati dalla dichiarazione del principio come“causa sui”), alla opposta eliminazione del principio dal

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44. Negazione crociana del Principio e del suo problema.

L'assunto fondamentale crociano, dunque, della ridu-zione della realtà a spirito, non può avere nessun valore,se prima non poniamo il problema dello spirito, al qualevogliamo ridurre la realtà.

Or questo è problema metafisico, che nella mente delCroce non ha nessuna risonanza. Sotto questo aspetto lafilosofia del Croce, lungi dall'essere hegelismo, rimaneben al di sotto di esso come di ogni vero sistema filoso-fico, che in un qualche modo senta e si sforzi di risolve-re il problema metafisico, che è il proprio del sapere fi-losofico. E questo non è ridurre la filosofia a “sublimeinconcludenza” (Croce, Ultimi Saggi, 1935, p. 353), maricercare il principio della umana coscienza. Ricerca pe-renne e sempre più profonda; ricerca, che non è ricercadell'inizio, del cominciamento della coscienza, se l'ini-zio rimanda necessariamente a qualcosa di là dall'inizia-to e il principio invece non può non essere intrinseco alprincipiato.

Il passaggio dalla estrinsecità del principio al princi-piato (estrinsecità che vuol dire confusione dello estrin-seco generante con l'intrinseco principio), il passaggiocioè dalla trascendenza, la quale è la ragione di tutti gliassurdi della filosofia prestoricistica (assurdi non toltima confermati dalla dichiarazione del principio come“causa sui”), alla opposta eliminazione del principio dal

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processo, eliminazione che a sua volta è ragione di tuttigli assurdi dello storicismo, a cominciare da quello chelo costituisce; detto passaggio, che si è creduto, ma nonè, passaggio dalla trascendenza alla immanenza, è me-diato soltanto dalla supina accettazione della necessitàdella trascendenza del principio, il quale perciò è nega-to. Mediazione puramente dialettica antitetica e non cri-tica, la quale ultima invece richiede l'esame critico delconcetto di principio, il suo approfondimento, e non lasua negazione, ma la dichiarazione della sua immanen-za.

Questo esame critico del concetto stesso di principioil Croce non mi par che abbia compiuto, e perciò, rite-nendosi in ciò più hegeliano di Hegel, nega ogni proble-ma del principio, e nega quindi che possa esserci unproblema proprio della filosofia. Egli ritiene vano e in-concludente il problema del principio del filosofare inispecie e della coscienza in genere; problema, invece,che è certo un motivo profondo se non l'asse ideale ditutta la speculazione hegeliana, pur segnando il punto incui l'hegelismo mostra la sua debolezza. Vano e incon-cludente il problema del principio, giacchè per Croceprincipio è soltanto quello che ciascuno prende là dovecapita; e quindi è vano e inconcludente il filosofare stes-so in quanto richieda il principio, che valorizzi questocomunque cominciare dei singoli filosofanti, il princi-pio, che è l'oggetto proprio della filosofia come tale,proprio perchè è il principio della coscienza nella suaineliminabilità, cioè nella esigenza che si riduca ad essa

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processo, eliminazione che a sua volta è ragione di tuttigli assurdi dello storicismo, a cominciare da quello chelo costituisce; detto passaggio, che si è creduto, ma nonè, passaggio dalla trascendenza alla immanenza, è me-diato soltanto dalla supina accettazione della necessitàdella trascendenza del principio, il quale perciò è nega-to. Mediazione puramente dialettica antitetica e non cri-tica, la quale ultima invece richiede l'esame critico delconcetto di principio, il suo approfondimento, e non lasua negazione, ma la dichiarazione della sua immanen-za.

Questo esame critico del concetto stesso di principioil Croce non mi par che abbia compiuto, e perciò, rite-nendosi in ciò più hegeliano di Hegel, nega ogni proble-ma del principio, e nega quindi che possa esserci unproblema proprio della filosofia. Egli ritiene vano e in-concludente il problema del principio del filosofare inispecie e della coscienza in genere; problema, invece,che è certo un motivo profondo se non l'asse ideale ditutta la speculazione hegeliana, pur segnando il punto incui l'hegelismo mostra la sua debolezza. Vano e incon-cludente il problema del principio, giacchè per Croceprincipio è soltanto quello che ciascuno prende là dovecapita; e quindi è vano e inconcludente il filosofare stes-so in quanto richieda il principio, che valorizzi questocomunque cominciare dei singoli filosofanti, il princi-pio, che è l'oggetto proprio della filosofia come tale,proprio perchè è il principio della coscienza nella suaineliminabilità, cioè nella esigenza che si riduca ad essa

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tutta la realtà. Eliminata dalla umana coscienza quellaricerca del principio, l'immanenza, per la quale si ritienedi dover fare quella eliminazione, non vale più della tra-scendenza alla quale si oppone, in quanto viene a disco-noscere quella necessità dell'apriori, la quale soltantopuò giustificare l'immanenza. Il vero è che quella imma-nenza sta sullo stesso terreno di quella trascendenza: perl'una e per l'altra la coscienza non è possibile.

45. Soggettivismo.

Così in quella che il Croce ritiene concretezza storicadei problemi nascenti dallo svolgersi vivo dello spiritoumano, si risolve anche la filosofia, che riesce ad avereuna sua funzione ed un suo contenuto solo come meto-dologia di quella storia nei suoi sempre nuovi problemi.E solo così la filosofia per Croce è quel che deve essere,filosofia dello spirito.

Dello spirito, ricordiamo, che è spirito umano, il qua-le è soggetto di fronte alla natura che è oggetto. È un al-tro motivo che Croce prende ingenuamente dalla tradi-zione: lo spirito come soggetto. E così il Croce può sod-disfare, con la sua filosofia dello spirito, alla esigenza,che eredita ed accetta dallo Spaventa, che la filosofia siasoggettivismo. E mentre l'hegelismo puro di Spaventa eGentile cerca di soddisfare l'esigenza della oggettività,confondendo questa con la negatività, in Croce non c'è

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tutta la realtà. Eliminata dalla umana coscienza quellaricerca del principio, l'immanenza, per la quale si ritienedi dover fare quella eliminazione, non vale più della tra-scendenza alla quale si oppone, in quanto viene a disco-noscere quella necessità dell'apriori, la quale soltantopuò giustificare l'immanenza. Il vero è che quella imma-nenza sta sullo stesso terreno di quella trascendenza: perl'una e per l'altra la coscienza non è possibile.

45. Soggettivismo.

Così in quella che il Croce ritiene concretezza storicadei problemi nascenti dallo svolgersi vivo dello spiritoumano, si risolve anche la filosofia, che riesce ad avereuna sua funzione ed un suo contenuto solo come meto-dologia di quella storia nei suoi sempre nuovi problemi.E solo così la filosofia per Croce è quel che deve essere,filosofia dello spirito.

Dello spirito, ricordiamo, che è spirito umano, il qua-le è soggetto di fronte alla natura che è oggetto. È un al-tro motivo che Croce prende ingenuamente dalla tradi-zione: lo spirito come soggetto. E così il Croce può sod-disfare, con la sua filosofia dello spirito, alla esigenza,che eredita ed accetta dallo Spaventa, che la filosofia siasoggettivismo. E mentre l'hegelismo puro di Spaventa eGentile cerca di soddisfare l'esigenza della oggettività,confondendo questa con la negatività, in Croce non c'è

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neppure il senso o il dubbio del problema. E perciò ilsuo soggettivismo storicistico è soltanto un umanismoempiristico, che, come filosofia, resta ai margini dellaspeculazione: è un borghese filosofare col buon sensocomune al di là (o al di qua, se si vuole) di ogni metafi-sica critica o precritica, al di là anche di ogni critica, e diogni filosofico dubbio iniziale.

E così dal tutto dimostrare (questo è il valore dellatanto decantata mediazione) si cade nel nulla dimostrareper vivere alla giornata, per tirare a campare. L'empirici-tà storico-umanistica non è meno empiricità di quellascientifico-naturalistica. E quella empiricità è l'ultimosignificato dello storicismo crociano, e forse il significa-to vero di ogni storicismo.

Certo il Croce cerca di distinguere l'empirico, l'appar-tenente alla cronaca, il pseudoconcetto, dal filosofico,dal veramente storico, dal concetto; ma questa distinzio-ne richiede che la filosofia abbia una sua consistenza, unsuo oggetto, un suo problema. Solo così essa forse potràessere anche metodologia della storia e dare il criterioper organizzare e fare quella distinzione. Quando invecesdegniamo di dare un suo problema alla filosofia, non ciè dato più modo di sostenere la distinzione. E se Croceha potuto fare della storia, l'ha fatta perchè ha trovatagià fatta nel sapere umano anche una filosofia. Certonon la sua ultima filosofia della non filosofia gli avreb-be permesso di costruire una storia.

Nè in questo empirismo del buon senso umano, qual èla filosofia crociana, può veramente parlarsi di ideali-

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neppure il senso o il dubbio del problema. E perciò ilsuo soggettivismo storicistico è soltanto un umanismoempiristico, che, come filosofia, resta ai margini dellaspeculazione: è un borghese filosofare col buon sensocomune al di là (o al di qua, se si vuole) di ogni metafi-sica critica o precritica, al di là anche di ogni critica, e diogni filosofico dubbio iniziale.

E così dal tutto dimostrare (questo è il valore dellatanto decantata mediazione) si cade nel nulla dimostrareper vivere alla giornata, per tirare a campare. L'empirici-tà storico-umanistica non è meno empiricità di quellascientifico-naturalistica. E quella empiricità è l'ultimosignificato dello storicismo crociano, e forse il significa-to vero di ogni storicismo.

Certo il Croce cerca di distinguere l'empirico, l'appar-tenente alla cronaca, il pseudoconcetto, dal filosofico,dal veramente storico, dal concetto; ma questa distinzio-ne richiede che la filosofia abbia una sua consistenza, unsuo oggetto, un suo problema. Solo così essa forse potràessere anche metodologia della storia e dare il criterioper organizzare e fare quella distinzione. Quando invecesdegniamo di dare un suo problema alla filosofia, non ciè dato più modo di sostenere la distinzione. E se Croceha potuto fare della storia, l'ha fatta perchè ha trovatagià fatta nel sapere umano anche una filosofia. Certonon la sua ultima filosofia della non filosofia gli avreb-be permesso di costruire una storia.

Nè in questo empirismo del buon senso umano, qual èla filosofia crociana, può veramente parlarsi di ideali-

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smo. Certo l'affermazione, che l'assoluta scienza è quel-la dello spirito, esclude una oggettività non spirituale;ma esclude anche ogni oggettività. E di questa esclusio-ne la filosofia crociana non può renderci conto. L'ogget-tività continua ad essere identificata con la naturalità, efilosofia dello spirito vuol dire che la filosofia oggi deveessere soggettivismo, cioè deve riguardare (o essere) ilsoggetto uomo, senza curarsi dell'oggetto natura, chedarà luogo a pseudoconcetti, appunto perchè il veroconcepire è soggettivo, è limitato entro la spiritualitàche è umanità.

Ritroviamo così, quantunque privato dei principi dacui è dedotto, il carattere dell'idealismo tedesco proprionel suo opporsi a quello italiano, quel soggettivismo, peril quale, anche quando si faceva una filosofia della natu-ra considerata come oggetto, non si costruivano che del-le fantastiche filosofie naturali. Queste fantasticherie ilCroce ha il merito di aver abbandonato come filosofia,per lasciar la natura alla indagine degli scienziati.

Ma non ha poi sentita l'esigenza della oggettività in-trinseca alla stessa spiritualità. Perciò la sua filosofiamanca di fondamento: ha abbandonato quello positivi-stico della natura scientifica, non ha guadagnato quelloidealistico della Idea assoluta immanente alla coscienzaumana. Le profonde voci di un Bruno, di un Rosmini, diun Mazzini non risuonano nella filosofia del Croce.

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smo. Certo l'affermazione, che l'assoluta scienza è quel-la dello spirito, esclude una oggettività non spirituale;ma esclude anche ogni oggettività. E di questa esclusio-ne la filosofia crociana non può renderci conto. L'ogget-tività continua ad essere identificata con la naturalità, efilosofia dello spirito vuol dire che la filosofia oggi deveessere soggettivismo, cioè deve riguardare (o essere) ilsoggetto uomo, senza curarsi dell'oggetto natura, chedarà luogo a pseudoconcetti, appunto perchè il veroconcepire è soggettivo, è limitato entro la spiritualitàche è umanità.

Ritroviamo così, quantunque privato dei principi dacui è dedotto, il carattere dell'idealismo tedesco proprionel suo opporsi a quello italiano, quel soggettivismo, peril quale, anche quando si faceva una filosofia della natu-ra considerata come oggetto, non si costruivano che del-le fantastiche filosofie naturali. Queste fantasticherie ilCroce ha il merito di aver abbandonato come filosofia,per lasciar la natura alla indagine degli scienziati.

Ma non ha poi sentita l'esigenza della oggettività in-trinseca alla stessa spiritualità. Perciò la sua filosofiamanca di fondamento: ha abbandonato quello positivi-stico della natura scientifica, non ha guadagnato quelloidealistico della Idea assoluta immanente alla coscienzaumana. Le profonde voci di un Bruno, di un Rosmini, diun Mazzini non risuonano nella filosofia del Croce.

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46. Storicismo: rinnegarsi della filosofia.

La dottrina crociana dunque, che parte dogmatica-mente dalla filosofia dello spirito come la scienza, fini-sce col negare a questa scienza un suo oggetto, un suoproblema. E perciò le singolari scienze, costitutive dellafilosofia (Estetica, Logica, Economia, Etica, cui poi siaggiunge una Teoria della Storiografia), non si sa pro-prio da che siano tenute insieme e fatte un solo organicotutto. E così, insieme con la filosofia, in questa storici-stica continua insorgenza di nuovi problemi, devonsi di-sperdere anche queste stesse determinate scienze, chepur il Croce crede di aver costruite, o ricostruite.

Una filosofia senza oggetto doveva cominciare colmoltiplicarsi e finire con l'annullarsi; perchè, se v'ha maisapere, cui sia essenziale quella unificazione, che solodalla oggettività è data, questo è proprio la filosofia. Edoggetto della filosofia è l'Assoluto, proprio per il carat-tere di assoluta unificazione del sapere, cui essa preten-de. Doveva dunque finire col rinnegarsi la filosofia delCroce, proprio in quanto ha voluto tener fermo ad unaschietta soggettività dello spirito, la quale, senza una og-gettività che la fondi, si disperde in una empiricità, dacui invano si cerca di salvare il valore spirituale. Tal rin-negamento è il significato di quella esplicita negazionedi filosofi e di filosofia che Croce ha finito col fare.

E in questo rinnegamento si manifesta l'intima essen-za dogmatica, non critica, del pensiero crociano. Il Cro-ce non sospetta neppure la possibilità che l'astrattezza

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46. Storicismo: rinnegarsi della filosofia.

La dottrina crociana dunque, che parte dogmatica-mente dalla filosofia dello spirito come la scienza, fini-sce col negare a questa scienza un suo oggetto, un suoproblema. E perciò le singolari scienze, costitutive dellafilosofia (Estetica, Logica, Economia, Etica, cui poi siaggiunge una Teoria della Storiografia), non si sa pro-prio da che siano tenute insieme e fatte un solo organicotutto. E così, insieme con la filosofia, in questa storici-stica continua insorgenza di nuovi problemi, devonsi di-sperdere anche queste stesse determinate scienze, chepur il Croce crede di aver costruite, o ricostruite.

Una filosofia senza oggetto doveva cominciare colmoltiplicarsi e finire con l'annullarsi; perchè, se v'ha maisapere, cui sia essenziale quella unificazione, che solodalla oggettività è data, questo è proprio la filosofia. Edoggetto della filosofia è l'Assoluto, proprio per il carat-tere di assoluta unificazione del sapere, cui essa preten-de. Doveva dunque finire col rinnegarsi la filosofia delCroce, proprio in quanto ha voluto tener fermo ad unaschietta soggettività dello spirito, la quale, senza una og-gettività che la fondi, si disperde in una empiricità, dacui invano si cerca di salvare il valore spirituale. Tal rin-negamento è il significato di quella esplicita negazionedi filosofi e di filosofia che Croce ha finito col fare.

E in questo rinnegamento si manifesta l'intima essen-za dogmatica, non critica, del pensiero crociano. Il Cro-ce non sospetta neppure la possibilità che l'astrattezza

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dell'illuminismo sia vinta altrimenti che non con l'oppo-sta astrattezza dello storicismo, che invece il Croce, contutti gli storicisti, ritiene lo stesso processo concreto del-la spiritualità (cfr. ultimamente, B. Croce. La naissancede l'historisme in Rev. de Methaph. et de Mor., 1937, n.3, pag. 603-621, a prop. di due vol. del Meinecke sullostesso argomento). Non sospetta, che da quel Kant, cheegli pone tra gli autori della rivoluzione storicistica, laquale egli, sotto alcune riserve (quella del posto dovutoa Vico), accetta come “opera principalmente tedesca”(p. 617), possa e debba (per il valore vero della Criticakantiana da trarsi dalle scoperte filosofiche italiane chela precedettero e la seguirono) dedursi una metafisicacritica, più profonda sia dell'illuminismo che dello stori-cismo. Non sospetta ciò, e continua allegramente a pren-dersela con “i professionali della filosofia” (cfr. una po-stilla inserita nella 3a ediz., 1927, del vol. IV della Fil.d. spir. p. 307.), senza discuterne le esigenze, i problemi,le dottrine; e, in questo scagliarsi contro i professionali,si fonda proprio su tedeschi professionali della filosofia,quali senza dubbio furono “Kant, Fichte, Schelling etHegel les auteurs de la révolution historiste” (La nais...pag. 617), mentre ignora filosofi classici italiani, profes-sionali o non professionali che siano stati, quali Bruno,Rosmini, Mazzini, e si involge, nella sua pragmaticaprecettistica spirituale, in continui equivoci (uno deifondamentali, quello di tempo, non criticato nel suo si-gnificato, e continuamente dato e tolto allo storicismosecondo le opportunità delle argomentazioni) e contrad-

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dell'illuminismo sia vinta altrimenti che non con l'oppo-sta astrattezza dello storicismo, che invece il Croce, contutti gli storicisti, ritiene lo stesso processo concreto del-la spiritualità (cfr. ultimamente, B. Croce. La naissancede l'historisme in Rev. de Methaph. et de Mor., 1937, n.3, pag. 603-621, a prop. di due vol. del Meinecke sullostesso argomento). Non sospetta, che da quel Kant, cheegli pone tra gli autori della rivoluzione storicistica, laquale egli, sotto alcune riserve (quella del posto dovutoa Vico), accetta come “opera principalmente tedesca”(p. 617), possa e debba (per il valore vero della Criticakantiana da trarsi dalle scoperte filosofiche italiane chela precedettero e la seguirono) dedursi una metafisicacritica, più profonda sia dell'illuminismo che dello stori-cismo. Non sospetta ciò, e continua allegramente a pren-dersela con “i professionali della filosofia” (cfr. una po-stilla inserita nella 3a ediz., 1927, del vol. IV della Fil.d. spir. p. 307.), senza discuterne le esigenze, i problemi,le dottrine; e, in questo scagliarsi contro i professionali,si fonda proprio su tedeschi professionali della filosofia,quali senza dubbio furono “Kant, Fichte, Schelling etHegel les auteurs de la révolution historiste” (La nais...pag. 617), mentre ignora filosofi classici italiani, profes-sionali o non professionali che siano stati, quali Bruno,Rosmini, Mazzini, e si involge, nella sua pragmaticaprecettistica spirituale, in continui equivoci (uno deifondamentali, quello di tempo, non criticato nel suo si-gnificato, e continuamente dato e tolto allo storicismosecondo le opportunità delle argomentazioni) e contrad-

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dizioni, che, nascosti dalla facile discorsività del suoscrivere, si rendono manifesti a chi saggi la coerenza fi-losofica e la profondità spirituale del sistema crociano.

E così egli riesce, conveniamo, a “trar ragni dai bu-chi” (Fil. d. spir., IV, 1927, p. 307), a spolverare, ad ae-rare anche l'ambiente culturale, in cui egli vive, e delquale egli vuol essere filtro depuratore, ma non riescecerto a condurci ad una maggiore profondità d'intendi-mento dell'attività spirituale, il che fu e sarà sempre lamira dei filosofi. Che sia rammarico del non raggiuntosegno il così poco nobile scagliarsi contro i professiona-li della filosofia?

Il Croce non sospetta che prima di ridurre a storia ilprocesso concreto del reale come processo spirituale, ilfilosofo possa e debba voler ricercare il concetto stessodi storia. Può darsi che per questa ricerca si trovi che lastoria venga sì ad inserirsi nell'attività spirituale comesua determinazione, ma non l'esaurisca, e che la storia,come determinata attività spirituale umana (storiogra-fia), richieda che si ponga anche il problema della spiri-tualità. Senza questa critica del concetto di storia la pro-clamazione di storicismo non è che porre come concre-tezza la puntuale empirica coscienza del proprio temporipensata a proprio libito, e questa dire storia, e porrecome dogma indiscutibile l'elevazione di questa empiri-ca coscienza propria a storia, e di questa a concretezza.Donde lo spettacolo istruttivo, che di fronte a determi-nate posizioni storiche di fatto di taluni popoli odell'umanità, taluni storicisti le dichiarino conformi alla

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dizioni, che, nascosti dalla facile discorsività del suoscrivere, si rendono manifesti a chi saggi la coerenza fi-losofica e la profondità spirituale del sistema crociano.

E così egli riesce, conveniamo, a “trar ragni dai bu-chi” (Fil. d. spir., IV, 1927, p. 307), a spolverare, ad ae-rare anche l'ambiente culturale, in cui egli vive, e delquale egli vuol essere filtro depuratore, ma non riescecerto a condurci ad una maggiore profondità d'intendi-mento dell'attività spirituale, il che fu e sarà sempre lamira dei filosofi. Che sia rammarico del non raggiuntosegno il così poco nobile scagliarsi contro i professiona-li della filosofia?

Il Croce non sospetta che prima di ridurre a storia ilprocesso concreto del reale come processo spirituale, ilfilosofo possa e debba voler ricercare il concetto stessodi storia. Può darsi che per questa ricerca si trovi che lastoria venga sì ad inserirsi nell'attività spirituale comesua determinazione, ma non l'esaurisca, e che la storia,come determinata attività spirituale umana (storiogra-fia), richieda che si ponga anche il problema della spiri-tualità. Senza questa critica del concetto di storia la pro-clamazione di storicismo non è che porre come concre-tezza la puntuale empirica coscienza del proprio temporipensata a proprio libito, e questa dire storia, e porrecome dogma indiscutibile l'elevazione di questa empiri-ca coscienza propria a storia, e di questa a concretezza.Donde lo spettacolo istruttivo, che di fronte a determi-nate posizioni storiche di fatto di taluni popoli odell'umanità, taluni storicisti le dichiarino conformi alla

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storicità dello spirito, e taluni altri si dolgano, perchè “l'atmosphère ou le monde actuel nous comdamne à vivreest une atmosphère de mensonge” (La nais... p. 608).Siamo di fronte a una realtà spirituale, che non sarebbestorica, solo perchè da noi non è pensata come storica,ma come contravvenente alla storicità. Di fronte a que-sta condanna della storia come va, perchè non pensataconforme ai proprii quadri ideali, non so come possa poiil Croce ricorrere a quella concreta realtà storica, che è ilmotivo principale dell'opporsi della filosofia dello spiri-to a quella dell'atto, che chiuderebbe il filosofo in un in-controllabile atto mistico.

Il vero è che la espulsa oggettività prende la sua rivin-cita, e, ponendosi accanto al soggetto costruttore dellafilosofia, trae nel proprio annullamento anche la costrui-ta filosofia del soggetto. La metafisica è, per presuppo-sto, annullata in quanto filosofia dell'oggetto; la filosofiadello spirito, come sapere del soggetto, è, a sua volta,annullata, per conseguenza del suo svolgimento. Tutta lafilosofia scompare, e Croce ha il merito di aver ricono-sciuto ciò esplicitamente e di essersi messo a far altro,continuando la sua prodigiosa attività storica, letteraria,critica, con cui viene meravigliosamente arricchendo ilpatrimonio culturale italiano.

La filosofia del Croce, dunque, proprio in quanto nonha traccia della profonda problematicità metafisicadell'idealismo storico italiano, si risolve in un psicologi-smo umanistico, in una dottissima e limpida precettisti-ca dell'attività spirituale umana. Ma proprio questa es-

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storicità dello spirito, e taluni altri si dolgano, perchè “l'atmosphère ou le monde actuel nous comdamne à vivreest une atmosphère de mensonge” (La nais... p. 608).Siamo di fronte a una realtà spirituale, che non sarebbestorica, solo perchè da noi non è pensata come storica,ma come contravvenente alla storicità. Di fronte a que-sta condanna della storia come va, perchè non pensataconforme ai proprii quadri ideali, non so come possa poiil Croce ricorrere a quella concreta realtà storica, che è ilmotivo principale dell'opporsi della filosofia dello spiri-to a quella dell'atto, che chiuderebbe il filosofo in un in-controllabile atto mistico.

Il vero è che la espulsa oggettività prende la sua rivin-cita, e, ponendosi accanto al soggetto costruttore dellafilosofia, trae nel proprio annullamento anche la costrui-ta filosofia del soggetto. La metafisica è, per presuppo-sto, annullata in quanto filosofia dell'oggetto; la filosofiadello spirito, come sapere del soggetto, è, a sua volta,annullata, per conseguenza del suo svolgimento. Tutta lafilosofia scompare, e Croce ha il merito di aver ricono-sciuto ciò esplicitamente e di essersi messo a far altro,continuando la sua prodigiosa attività storica, letteraria,critica, con cui viene meravigliosamente arricchendo ilpatrimonio culturale italiano.

La filosofia del Croce, dunque, proprio in quanto nonha traccia della profonda problematicità metafisicadell'idealismo storico italiano, si risolve in un psicologi-smo umanistico, in una dottissima e limpida precettisti-ca dell'attività spirituale umana. Ma proprio questa es-

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senza della filosofia crociana, mentre, insieme con lachiara e forte personalità spirituale da cui essa emana,spiega le ragioni del facile successo e dell'utile assorbi-mento nella cultura, costituisce anche la condanna diessa come filosofia.

47. L'attualismo.

Da una parte più legato strettamente all'hegelismo,dall'altra più chiaramente ed esplicitamente indicato econsiderato come il vero e proprio idealismo italiano èl'attualismo. I caratteri fondamentali di questa dottrina,che vuole riproporre la filosofia hegeliana come viva fi-losofia, riformandone la dialettica, a me sembrano i se-guenti:

1. Il reale è il reale conosciuto come tale, e perciò larealtà è l'atto stesso della conoscenza.

2. La conoscenza, quindi, essendo attività spirituale, èla stessa eticità, che non è dunque distinguibile dalla co-noscenza stessa. Conoscere è agire, ed agire è conosce-re. Non v'ha dunque distinzione tra intelletto e volontà.

3. Quest'atto spirituale, essendo conoscenza del realeoggettivo come tale cioè come non io, è l' opposizioneattuata dall'io negando sè come io, come soggetto, e po-nendosi, con tal negazione, come oggetto. Il soggetto èl'attivo pensiero pensante, e l'oggetto è il passivo pensa-to. Passivo pensato, che, non potendoci essere passività

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senza della filosofia crociana, mentre, insieme con lachiara e forte personalità spirituale da cui essa emana,spiega le ragioni del facile successo e dell'utile assorbi-mento nella cultura, costituisce anche la condanna diessa come filosofia.

47. L'attualismo.

Da una parte più legato strettamente all'hegelismo,dall'altra più chiaramente ed esplicitamente indicato econsiderato come il vero e proprio idealismo italiano èl'attualismo. I caratteri fondamentali di questa dottrina,che vuole riproporre la filosofia hegeliana come viva fi-losofia, riformandone la dialettica, a me sembrano i se-guenti:

1. Il reale è il reale conosciuto come tale, e perciò larealtà è l'atto stesso della conoscenza.

2. La conoscenza, quindi, essendo attività spirituale, èla stessa eticità, che non è dunque distinguibile dalla co-noscenza stessa. Conoscere è agire, ed agire è conosce-re. Non v'ha dunque distinzione tra intelletto e volontà.

3. Quest'atto spirituale, essendo conoscenza del realeoggettivo come tale cioè come non io, è l' opposizioneattuata dall'io negando sè come io, come soggetto, e po-nendosi, con tal negazione, come oggetto. Il soggetto èl'attivo pensiero pensante, e l'oggetto è il passivo pensa-to. Passivo pensato, che, non potendoci essere passività

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nello spirito, che è atto puro, non è che l'attivo pensieropensante (soggetto unico) negato (oggetto molteplice).

4. Il pensato come negato è ineliminabile dal pensierocome atto, il quale perciò è questo atto del negare. Ilprincipio dell'essere (affermazione; identità non antino-mica) non è valido per l' attività. Questo negare costitui-sce la dialetticità dello Spirito.

5. L'assoluto atto del pensare, il Pensiero pensante, èil Soggetto pensante, che perciò ha in sè la sua negazio-ne. L'atto puro è il Soggetto assoluto.

6. Il Soggetto assoluto è dunque la realtà veramentereale, la concreta realtà. Questa è conoscenza dialettica,pensiero, il quale è filosofia. Il Soggetto assoluto è dun-que il Filosofo. Donde l'assolutezza e l'universalità delFilosofo come tale: è Io trascendentale, è atto in atto.

7. Il Filosofo come tale, essendo l'atto stesso spiritua-le, ed essendo, questo atto spirituale, dialettico, essendocioè divenire spirituale, ed essendo questo storia, il Filo-sofo come tale è la storia stessa (l'hegeliana filosofiacome spirito del proprio tempo). Identità quindi di filo-sofia e storia della filosofia, e riduzione della realtà tuttaa storia filosofica, a storia dell'Io trascendentale.

8. Storicismo, dunque, ma solo in quanto assolutismodel soggetto, solo in quanto assoluto dialettismo sogget-tivo, in nome del quale il G. ha voluto ultimamente di-stinguere nettamente l'attualismo dallo storicismo, cheritenga essenziale il tempo alla storia, e che il G. denun-zia come una terza forma di metafisica dopo quella tei-stica e naturalistica. Giacchè, per il G., è vero che “la

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nello spirito, che è atto puro, non è che l'attivo pensieropensante (soggetto unico) negato (oggetto molteplice).

4. Il pensato come negato è ineliminabile dal pensierocome atto, il quale perciò è questo atto del negare. Ilprincipio dell'essere (affermazione; identità non antino-mica) non è valido per l' attività. Questo negare costitui-sce la dialetticità dello Spirito.

5. L'assoluto atto del pensare, il Pensiero pensante, èil Soggetto pensante, che perciò ha in sè la sua negazio-ne. L'atto puro è il Soggetto assoluto.

6. Il Soggetto assoluto è dunque la realtà veramentereale, la concreta realtà. Questa è conoscenza dialettica,pensiero, il quale è filosofia. Il Soggetto assoluto è dun-que il Filosofo. Donde l'assolutezza e l'universalità delFilosofo come tale: è Io trascendentale, è atto in atto.

7. Il Filosofo come tale, essendo l'atto stesso spiritua-le, ed essendo, questo atto spirituale, dialettico, essendocioè divenire spirituale, ed essendo questo storia, il Filo-sofo come tale è la storia stessa (l'hegeliana filosofiacome spirito del proprio tempo). Identità quindi di filo-sofia e storia della filosofia, e riduzione della realtà tuttaa storia filosofica, a storia dell'Io trascendentale.

8. Storicismo, dunque, ma solo in quanto assolutismodel soggetto, solo in quanto assoluto dialettismo sogget-tivo, in nome del quale il G. ha voluto ultimamente di-stinguere nettamente l'attualismo dallo storicismo, cheritenga essenziale il tempo alla storia, e che il G. denun-zia come una terza forma di metafisica dopo quella tei-stica e naturalistica. Giacchè, per il G., è vero che “la

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vita, il significato dei fatti del passato.... possono sgor-gare soltanto dalla personalità del soggetto”, è vero chequesta personalità non è “concepita in astratto, ma perquella che essa è con una certa cultura, certi interessi,certi determinati rapporti con documenti, monumenti odavanzi: giacchè l'uomo è sempre un uomo, in quantouomo di questo mondo omnimode determinatum”; èvero che “ricondotta tutta la realtà storica alla concretasintesi, in cui essa infatti ci si presenta, nell'attodell'autocoscienza, la storia fa tutt'uno con la storiogra-fia”; e cioè è vero che “un uomo... omnimode determi-natum” è il “soggetto” dalla cui personalità sgorga lavita dei fatti, è l'atto di autocoscienza “a cui è ricondottatutta la realtà storica”. È vero tutto questo; ma è vero an-che che “la storia che si fa, la sola che realmente ci sia,non è nel tempo, ma nel pensiero e del pensiero; è eter-na.... Il tempo storico vive morendo nel pensiero...; ètempo annullandosi come tempo nell'eternità del pensie-ro che lo contiene” (Il superamento del tempo nella sto-ria, in Rendiconti dei Lincei; fasc. 11-12 del 1935,Roma, 1936; p. 767-8).

48. Soggettività ed unità nell'attualismo.

L'attualismo è dunque proprio quel soggettivismo as-soluto, nel quale Spaventa faceva consistere l'essenza edil valore di tutta la filosofia moderna. Anche il Gentile,

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vita, il significato dei fatti del passato.... possono sgor-gare soltanto dalla personalità del soggetto”, è vero chequesta personalità non è “concepita in astratto, ma perquella che essa è con una certa cultura, certi interessi,certi determinati rapporti con documenti, monumenti odavanzi: giacchè l'uomo è sempre un uomo, in quantouomo di questo mondo omnimode determinatum”; èvero che “ricondotta tutta la realtà storica alla concretasintesi, in cui essa infatti ci si presenta, nell'attodell'autocoscienza, la storia fa tutt'uno con la storiogra-fia”; e cioè è vero che “un uomo... omnimode determi-natum” è il “soggetto” dalla cui personalità sgorga lavita dei fatti, è l'atto di autocoscienza “a cui è ricondottatutta la realtà storica”. È vero tutto questo; ma è vero an-che che “la storia che si fa, la sola che realmente ci sia,non è nel tempo, ma nel pensiero e del pensiero; è eter-na.... Il tempo storico vive morendo nel pensiero...; ètempo annullandosi come tempo nell'eternità del pensie-ro che lo contiene” (Il superamento del tempo nella sto-ria, in Rendiconti dei Lincei; fasc. 11-12 del 1935,Roma, 1936; p. 767-8).

48. Soggettività ed unità nell'attualismo.

L'attualismo è dunque proprio quel soggettivismo as-soluto, nel quale Spaventa faceva consistere l'essenza edil valore di tutta la filosofia moderna. Anche il Gentile,

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come il Croce, conferma la soggettività della filosofia,che voglia essere moderna. L'oggetto è il pensato: pluri-mo, passivo, soggetto negato. Il Soggetto è il pensante:unico, attivo, negante. E, quindi, l'atto puro, questo “far-si dello Spirito” che è lo Spirito, non è che la negazione:per l'attualismo, come per l'hegelismo, non c'è dialetticasenza negazione che la costituisca.

Che dei concetti che l'attualismo adopera, ci sia unacritica, non direi. Come per la filosofia dello spirito,così per l'attualismo non si vede la necessità di una criti-ca dei concetti nel filosofare: questa, infatti, richiedel'abbandono della dottrina hegeliana dell'autoconcetto, el'attualismo invece fa centro del suo argomentare pro-prio l'hegeliano autoconcetto dialettico, ritenuto lo stes-so Spirito, lo stesso Logo concreto, il quale perciò èprincipio dialettico, che esclude la dialettica naturale, enon presuppone altra dialettica logica che la propria dia-lettica spirituale di pensiero pensante.

L'attualismo è dunque un idealismo soggettivo, nega-tivo, antinomico (dialettico contraddittorio). Ha in sècioè proprio quelle caratteristiche che trovammo essen-ziali all'idealismo tedesco nel suo netto differenziarsi daquello italiano. L'attualismo, infatti, dell'hegelismo nonè correzione nel senso voluto dall'idealismo storico ita-liano, ma è soltanto esasperazione, col ritorno al fichti-smo da cui esso era nato: è, cioè, la dimostrazione chequel soggettivismo, che Schelling ed Hegel rimprovera-vano a Fichte, e dal quale si ripromettevano di liberarela filosofia per raggiungere così l'assoluta scienza, che

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come il Croce, conferma la soggettività della filosofia,che voglia essere moderna. L'oggetto è il pensato: pluri-mo, passivo, soggetto negato. Il Soggetto è il pensante:unico, attivo, negante. E, quindi, l'atto puro, questo “far-si dello Spirito” che è lo Spirito, non è che la negazione:per l'attualismo, come per l'hegelismo, non c'è dialetticasenza negazione che la costituisca.

Che dei concetti che l'attualismo adopera, ci sia unacritica, non direi. Come per la filosofia dello spirito,così per l'attualismo non si vede la necessità di una criti-ca dei concetti nel filosofare: questa, infatti, richiedel'abbandono della dottrina hegeliana dell'autoconcetto, el'attualismo invece fa centro del suo argomentare pro-prio l'hegeliano autoconcetto dialettico, ritenuto lo stes-so Spirito, lo stesso Logo concreto, il quale perciò èprincipio dialettico, che esclude la dialettica naturale, enon presuppone altra dialettica logica che la propria dia-lettica spirituale di pensiero pensante.

L'attualismo è dunque un idealismo soggettivo, nega-tivo, antinomico (dialettico contraddittorio). Ha in sècioè proprio quelle caratteristiche che trovammo essen-ziali all'idealismo tedesco nel suo netto differenziarsi daquello italiano. L'attualismo, infatti, dell'hegelismo nonè correzione nel senso voluto dall'idealismo storico ita-liano, ma è soltanto esasperazione, col ritorno al fichti-smo da cui esso era nato: è, cioè, la dimostrazione chequel soggettivismo, che Schelling ed Hegel rimprovera-vano a Fichte, e dal quale si ripromettevano di liberarela filosofia per raggiungere così l'assoluta scienza, che

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Fichte, a loro avviso, non aveva toccata, quel soggettivi-smo è il carattere stesso dell'hegelismo (cfr. § 9), ed èinsuperabile come carattere della realtà e filosofia: Io(trascendentale) sono l'Unico ed il reale. Questo sogget-tivismo Hegel credeva di aver superato, quando avevaposto a principio della realtà e della filosofia quella ideadell'essere, che nella sua vuotezza si identificava e si ne-gava nel nulla. È merito dell'attualismo aver dimostrato,con rigore maggiore di quanto finora era stato fatto inItalia e fuori, che quella astrattissima idea, dal cui anti-tetico sviluppo Hegel traeva prima una logica, e poi unafilosofia della natura, per passare soltanto da questa aduna filosofia dello spirito, quella idea presupponeva giàlo Spirito, o idea non era. E se dello Spirito come princi-pio devesi conservare la natura dialettica, esso non puòessere che quel principio di opposizione fichtiano, cherichiede l'assolutezza dell'Io. Questa dimostrazione faapparire l'attualismo piuttosto fichtismo che hegelismo:è, in verità, riduzione di Hegel alla sua origine ed allasua essenza.

L'attualismo, quindi, in quanto dialettica antitetica delsoggetto puro (Io trascendentale), non continua il carat-tere storico dell'idealismo italiano, ed è soltanto incon-sapevole tentativo di innesto del carattere speculativogermanico alla robusta pianta della speculazione italia-na, nell'accettata credenza che il soggettivismo germani-co sia la propaggine o la vera fioritura di essa (Spaven-ta); laddove, abbiam visto (cap. VI), questo carattere èproprio della coscienza germanica della sua distinzione

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Fichte, a loro avviso, non aveva toccata, quel soggettivi-smo è il carattere stesso dell'hegelismo (cfr. § 9), ed èinsuperabile come carattere della realtà e filosofia: Io(trascendentale) sono l'Unico ed il reale. Questo sogget-tivismo Hegel credeva di aver superato, quando avevaposto a principio della realtà e della filosofia quella ideadell'essere, che nella sua vuotezza si identificava e si ne-gava nel nulla. È merito dell'attualismo aver dimostrato,con rigore maggiore di quanto finora era stato fatto inItalia e fuori, che quella astrattissima idea, dal cui anti-tetico sviluppo Hegel traeva prima una logica, e poi unafilosofia della natura, per passare soltanto da questa aduna filosofia dello spirito, quella idea presupponeva giàlo Spirito, o idea non era. E se dello Spirito come princi-pio devesi conservare la natura dialettica, esso non puòessere che quel principio di opposizione fichtiano, cherichiede l'assolutezza dell'Io. Questa dimostrazione faapparire l'attualismo piuttosto fichtismo che hegelismo:è, in verità, riduzione di Hegel alla sua origine ed allasua essenza.

L'attualismo, quindi, in quanto dialettica antitetica delsoggetto puro (Io trascendentale), non continua il carat-tere storico dell'idealismo italiano, ed è soltanto incon-sapevole tentativo di innesto del carattere speculativogermanico alla robusta pianta della speculazione italia-na, nell'accettata credenza che il soggettivismo germani-co sia la propaggine o la vera fioritura di essa (Spaven-ta); laddove, abbiam visto (cap. VI), questo carattere èproprio della coscienza germanica della sua distinzione

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da quella italiana, ed è il disconoscimento non la confer-ma della scoperta, che già il pensiero italiano aveva fat-ta.

L'Io unico dell'attualismo non è dunque il legittimorampollo nè dell'Artefice interno di Bruno, nè della co-gnitio abdita di Campanella, nè dell'Essere ideale di Ro-smini, nè dell'Ente di Gioberti, nè di Dio di Vico e diMazzini, nè di tutti questi nella intima unificazione delloro valore di oggettiva assolutezza, immanente ai sog-getti, ma non perciò identificabile come Soggetto. Nonè, per quanto a tutti questi motivi ideali certamente econtinuamente ricorra il pensiero del Gentile. Il vero èche esso fu, nella sua prima formazione, improntato allaforma speculativa tedesca come somma insuperabile sa-pienza. Ma poi l'italiana la nativa spontaneità dello spi-rito di lui sentì potentemente quella affermazione di uni-tà, che costituisce il pensiero speculativo e direi anchelo stesso spirito italiano. E così la filosofia del Gentilerisultò tutta una entusiastica appassionata dimostrazionedella unità identica della attività spirituale; ed in questosta insieme l'italianità e il valore positivo della sua spe-culazione. Ma, per quella sua prima formazione, eglicercò di subordinare tale affermazione di unità a quellaforma speculativa tedesca, a quel soggettivismo che glivietava di vedere la vera anima della speculazione italia-na. E sta qui il disvalore e il limite della speculazionegentiliana. Quella subordinazione da una parte falsifical'unità (unicità), togliendo la positiva assoluta oggettivi-tà e quindi la sua concreta identità, e dall'altra rende im-

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da quella italiana, ed è il disconoscimento non la confer-ma della scoperta, che già il pensiero italiano aveva fat-ta.

L'Io unico dell'attualismo non è dunque il legittimorampollo nè dell'Artefice interno di Bruno, nè della co-gnitio abdita di Campanella, nè dell'Essere ideale di Ro-smini, nè dell'Ente di Gioberti, nè di Dio di Vico e diMazzini, nè di tutti questi nella intima unificazione delloro valore di oggettiva assolutezza, immanente ai sog-getti, ma non perciò identificabile come Soggetto. Nonè, per quanto a tutti questi motivi ideali certamente econtinuamente ricorra il pensiero del Gentile. Il vero èche esso fu, nella sua prima formazione, improntato allaforma speculativa tedesca come somma insuperabile sa-pienza. Ma poi l'italiana la nativa spontaneità dello spi-rito di lui sentì potentemente quella affermazione di uni-tà, che costituisce il pensiero speculativo e direi anchelo stesso spirito italiano. E così la filosofia del Gentilerisultò tutta una entusiastica appassionata dimostrazionedella unità identica della attività spirituale; ed in questosta insieme l'italianità e il valore positivo della sua spe-culazione. Ma, per quella sua prima formazione, eglicercò di subordinare tale affermazione di unità a quellaforma speculativa tedesca, a quel soggettivismo che glivietava di vedere la vera anima della speculazione italia-na. E sta qui il disvalore e il limite della speculazionegentiliana. Quella subordinazione da una parte falsifical'unità (unicità), togliendo la positiva assoluta oggettivi-tà e quindi la sua concreta identità, e dall'altra rende im-

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possibile ogni vera soggettività spirituale; quella subor-dinazione fa finire il puro atto gentiliano nella più puraempiria soggettiva, che non può essere meno patologica(Kant) di quella oggettiva, se l'immagine sognata non èmeno patologica della immagine sentita.

Così quel potente anelito all'unità, quella dimostrazio-ne dell'ineliminabile spiritualità del reale, che costitui-sce l'innegabile e non piccolo valore del pensiero genti-liano, a noi par nato dalla classica speculazione italiana;il suo disvalore nasce proprio dalla contaminazione colsoggettivismo tedesco, che gli toglie consistenza e coe-renza, e fa finire quella potente affermazione di assolutaunità e spiritualità in una schietta negatività o nella piùlabile empiricità.

49. Dogmaticità dell'atto trascendentale attualisti-co.

È naturale quindi che l'attualismo nel suo complessi-vo valore intrinseco soggiaccia alle stesse critiche cheabbiam rivolte al dialettismo tedesco come tale.

La riforma della dialettica, da Spaventa iniziata e daGentile compiuta, lungi dall'eliminare il principio antite-tico di essa, vuole renderlo più rigoroso, facendolo risa-lire alla sua fonte fichtiana. Il reale sono Io nella miadialetticità, e la dialetticità sono Io.

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possibile ogni vera soggettività spirituale; quella subor-dinazione fa finire il puro atto gentiliano nella più puraempiria soggettiva, che non può essere meno patologica(Kant) di quella oggettiva, se l'immagine sognata non èmeno patologica della immagine sentita.

Così quel potente anelito all'unità, quella dimostrazio-ne dell'ineliminabile spiritualità del reale, che costitui-sce l'innegabile e non piccolo valore del pensiero genti-liano, a noi par nato dalla classica speculazione italiana;il suo disvalore nasce proprio dalla contaminazione colsoggettivismo tedesco, che gli toglie consistenza e coe-renza, e fa finire quella potente affermazione di assolutaunità e spiritualità in una schietta negatività o nella piùlabile empiricità.

49. Dogmaticità dell'atto trascendentale attualisti-co.

È naturale quindi che l'attualismo nel suo complessi-vo valore intrinseco soggiaccia alle stesse critiche cheabbiam rivolte al dialettismo tedesco come tale.

La riforma della dialettica, da Spaventa iniziata e daGentile compiuta, lungi dall'eliminare il principio antite-tico di essa, vuole renderlo più rigoroso, facendolo risa-lire alla sua fonte fichtiana. Il reale sono Io nella miadialetticità, e la dialetticità sono Io.

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Così la dialettica antitetica, in questo risalire, conl'attualismo, alla sua fonte (l'Io assoluto), perde ognicontenuto, perchè abbandona esplicitamente quello he-geliano dell'essere col nulla, e non ritrova più quello fi-chtiano dell'io libero, urtante contro una impermeabilerealtà, e creante così a sè il mondo della natura sentita,perchè dopo Hegel è inammissibile quest'urto. Così del-la dialettica attualistica non si capisce il perchè. E non sivede quindi la possibilità della mediazione attualistica.Dove l'Unico è soggetto come assoluto Unico, non c'èpossibilità d'altro; per questo Plotino era indotto a nega-re all'Unico l'essere. Unico non devo esser Io, perchè siapossibile la mediazione; questa ci può essere solo làdove ci sia un implicito da esplicare, un immediato damediare. L'implicito, l'immediato, è senz'altro soppressonell'hegelismo fichtiano che è l'attualismo, con la sop-pressione dell'urto di Fichte, dell'astratta idea dell'esseredi Hegel.

Quindi la mediazione trascendentale attualistica è po-sta come indimostrato e indimostrabile dogma più in-transigente degli altri. Ogni altro dogma, infatti, riman-da chi il dogma accoglie, all'altro soggetto che il dogmaafferma, sia questi colui che emana il dogma come“editto o decreto” (cfr. al prop. di tal significato di dog-ma, Buonaiuti, I dogmi del Signore, in Religio, 1938, 1,p. 10), o sia invece il Rivelatore della Verità. Da tale rin-vio la dogmaticità (rinunzia a giustificare, a dimostrare)è di molto limitata, se non tolta, per lo sforzo, inelimina-

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Così la dialettica antitetica, in questo risalire, conl'attualismo, alla sua fonte (l'Io assoluto), perde ognicontenuto, perchè abbandona esplicitamente quello he-geliano dell'essere col nulla, e non ritrova più quello fi-chtiano dell'io libero, urtante contro una impermeabilerealtà, e creante così a sè il mondo della natura sentita,perchè dopo Hegel è inammissibile quest'urto. Così del-la dialettica attualistica non si capisce il perchè. E non sivede quindi la possibilità della mediazione attualistica.Dove l'Unico è soggetto come assoluto Unico, non c'èpossibilità d'altro; per questo Plotino era indotto a nega-re all'Unico l'essere. Unico non devo esser Io, perchè siapossibile la mediazione; questa ci può essere solo làdove ci sia un implicito da esplicare, un immediato damediare. L'implicito, l'immediato, è senz'altro soppressonell'hegelismo fichtiano che è l'attualismo, con la sop-pressione dell'urto di Fichte, dell'astratta idea dell'esseredi Hegel.

Quindi la mediazione trascendentale attualistica è po-sta come indimostrato e indimostrabile dogma più in-transigente degli altri. Ogni altro dogma, infatti, riman-da chi il dogma accoglie, all'altro soggetto che il dogmaafferma, sia questi colui che emana il dogma come“editto o decreto” (cfr. al prop. di tal significato di dog-ma, Buonaiuti, I dogmi del Signore, in Religio, 1938, 1,p. 10), o sia invece il Rivelatore della Verità. Da tale rin-vio la dogmaticità (rinunzia a giustificare, a dimostrare)è di molto limitata, se non tolta, per lo sforzo, inelimina-

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bile, di interpretare il verbo rivelato, di intendere l'edittoche ci costringe.

L'attualismo invece gratuitamente pone l'affermantechiuso in sè stesso, irremissibilmente, con la sua irrefre-nabile antinomicità.

Nè di questa può essere sufficiente giustificazione lalibertà messa come assoluta ineliminabile essenza dellaspiritualità. A parte il gratuito passaggio dalla spirituali-tà libera a me (o viceversa), la libertà non è salva, se l'Ionon può non essere antinomico. La determinazione dellalibertà come antiteticità ci fa senz'altro perdere la con-quista kantiana (forse l'unica conquista fatta nel tormen-tato problema della libertà) della positività del fare: lalibertà torna ad essere quella del negare, se il fare si ri-duce a negare (antiteticità). Appellarsi alla sintesi èvano, quando la sintesi non è che nesso antitetico.

50. L'Io trascendentale come io.

Del trascendentale atto dialettico attuale non restadunque che l'empiricissima mediazione che io faccio inquanto “omnimode determinatum” (§§ 47, n. 8); la tra-scendentalità dell'atto è scomparsa. Io Filosofo che sonol'ultima, la somma, l'unica parola della concretezza at-tualistica, Io Filosofo, che sono il Logo stesso nella miaattualità, sono lo stesso Soggetto assoluto trascendenta-le. E, se è vero il metodo dell'immanenza quale è profes-

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bile, di interpretare il verbo rivelato, di intendere l'edittoche ci costringe.

L'attualismo invece gratuitamente pone l'affermantechiuso in sè stesso, irremissibilmente, con la sua irrefre-nabile antinomicità.

Nè di questa può essere sufficiente giustificazione lalibertà messa come assoluta ineliminabile essenza dellaspiritualità. A parte il gratuito passaggio dalla spirituali-tà libera a me (o viceversa), la libertà non è salva, se l'Ionon può non essere antinomico. La determinazione dellalibertà come antiteticità ci fa senz'altro perdere la con-quista kantiana (forse l'unica conquista fatta nel tormen-tato problema della libertà) della positività del fare: lalibertà torna ad essere quella del negare, se il fare si ri-duce a negare (antiteticità). Appellarsi alla sintesi èvano, quando la sintesi non è che nesso antitetico.

50. L'Io trascendentale come io.

Del trascendentale atto dialettico attuale non restadunque che l'empiricissima mediazione che io faccio inquanto “omnimode determinatum” (§§ 47, n. 8); la tra-scendentalità dell'atto è scomparsa. Io Filosofo che sonol'ultima, la somma, l'unica parola della concretezza at-tualistica, Io Filosofo, che sono il Logo stesso nella miaattualità, sono lo stesso Soggetto assoluto trascendenta-le. E, se è vero il metodo dell'immanenza quale è profes-

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sato dall'attualismo (Riforma della dialettica), deve es-sere vera anche la reciproca di detta proposizione, cioèIo trascendentale sono Io Filosofo dialettico come tale.Se questa inversione non fosse possibile, tutta l'imma-nenza attualistica non significherebbe nulla. Io Filosofonella mia storica determinatezza parlo dunque in modoassoluto: non sillaba del mio parlare è senza valore.

Ed Io Filosofo, essendo Io trascendentale, sono unico:non consento quindi altro io, col quale io sia in recipro-cità di pensiero. Io Filosofo, nella mia storica determi-natezza, sono dunque solo: non ho altri cui persuadere,con cui convenire, da cui dissentire. Solipsismo assolu-tistico, che, per il suo carattere immanentistico soggetti-vo, finisce in un solipsismo empiristico. Solipsismo em-piristico, che l'attualismo condanna, senza accorgersiche il solipsismo assolutistico, che esso professa e chegià per sè solo non è meno condannabile di quello empi-ristico, finisce nel solipsismo empiristico6. O altrimenti

6 Il precipitare nell'empirismo (sia pure un empirismo sogget-tivistico o umanistico), che è ineliminabile se l'attualismo nonvuol rifugiarsi nell'altro estremo del misticismo trascendentista, sifa, a mio avviso, evidente negli ultimi saggi del Gentile; dove silegge, che l'io puro è sentimento, (Introduzione alla filosofia1933, p. 113, 145, ecc), che il sentimento è «il principio in cui ilpensiero, al suo primo albore [quel pensiero, nella cui eternità siannulla il tempo storico (cfr. § 47, n. 8), avrebbe dunque un albo-re!], e la realtà nella sua più profonda radice coincidono» (p. 87),è il «nucleo primitivo dello spirito» (p. 33); dove si legge, che«questo sentire è alla base della vita dello spirito, il principio del-la conoscenza; di là da ogni conoscere» (Filosofia dell'arte, 1931,

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sato dall'attualismo (Riforma della dialettica), deve es-sere vera anche la reciproca di detta proposizione, cioèIo trascendentale sono Io Filosofo dialettico come tale.Se questa inversione non fosse possibile, tutta l'imma-nenza attualistica non significherebbe nulla. Io Filosofonella mia storica determinatezza parlo dunque in modoassoluto: non sillaba del mio parlare è senza valore.

Ed Io Filosofo, essendo Io trascendentale, sono unico:non consento quindi altro io, col quale io sia in recipro-cità di pensiero. Io Filosofo, nella mia storica determi-natezza, sono dunque solo: non ho altri cui persuadere,con cui convenire, da cui dissentire. Solipsismo assolu-tistico, che, per il suo carattere immanentistico soggetti-vo, finisce in un solipsismo empiristico. Solipsismo em-piristico, che l'attualismo condanna, senza accorgersiche il solipsismo assolutistico, che esso professa e chegià per sè solo non è meno condannabile di quello empi-ristico, finisce nel solipsismo empiristico6. O altrimenti

6 Il precipitare nell'empirismo (sia pure un empirismo sogget-tivistico o umanistico), che è ineliminabile se l'attualismo nonvuol rifugiarsi nell'altro estremo del misticismo trascendentista, sifa, a mio avviso, evidente negli ultimi saggi del Gentile; dove silegge, che l'io puro è sentimento, (Introduzione alla filosofia1933, p. 113, 145, ecc), che il sentimento è «il principio in cui ilpensiero, al suo primo albore [quel pensiero, nella cui eternità siannulla il tempo storico (cfr. § 47, n. 8), avrebbe dunque un albo-re!], e la realtà nella sua più profonda radice coincidono» (p. 87),è il «nucleo primitivo dello spirito» (p. 33); dove si legge, che«questo sentire è alla base della vita dello spirito, il principio del-la conoscenza; di là da ogni conoscere» (Filosofia dell'arte, 1931,

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l'immanenza soggettiva se ne va: se io spirito non fossiIo lo Spirito, sarei soltanto una delle tante morte cose, incui lo Spirito si nega; lo Spirito non sarei io, che sareinatura, cioè spiritualità negata, passività, oggetto.

E se (contro la lettera e lo spirito dell'attualismo) ab-bandonassimo pure tale immanenza per l'assolutezza

pag. 193), che «non c'è pensiero che non sia l'atto di un soggettocolorato della sua soggettività» (ib., p. 194), ecc.; e dove in gene-rale il G., tratto forse dai problemi che vuol risolvere (natura,esperienza, arte), accentua il sentimento, e lo pone come lo stessoio puro. Or la spiritualità del sentire non gli contesterò certo io,che l'ho sempre (cfr. La coscienza morale, 1914) affermata inmodo radicale; ma questa spiritualità non si raggiunge, quando sicontinua ad avere un concetto realistico del sentire in genere, e,con l'antica psicologia, si concepisce il sentimento come costituti-vo del soggetto come tale. Con queste concezioni il G. tenterà in-vano di sfuggire all'empirismo che ne consegue, e alla incoerenzain cui egli cade, quando pone il sentimento come lo stesso iopuro. Il ricorso al sentimento fondamentale rosminiano, mi parvano. Questo infatti è la rosminiana forma reale dell'essere, e que-sta a sua volta è la singolarità plurima proprio in quanto soggetti-vità reale. Quindi la pluralità (col valore datole da G., di materia-lità, passività, fenomenicità, negazione) dei soggetti nella loro de-terminazione (che dovrà essere, estrinseca, causale, meccanica inquanto propria di quella pluralità) sarebbe quell'«uomo di questomondo o omnimode determinatum», che è l'Io puro gentiliano,sarebbe quel soggetto, quell'autocoscienza «a cui è ricondotta tut-ta la realtà storica». Quella pluralità nella sua meccanica determi-nazione sarebbe l'Io trascendentale. E questo è empirismo radica-le; non è nè idealismo, nè spiritualismo, nè liberismo. E comeempirismo radicale è una pura e semplice contraddizione, un as-surdo, oltrechè l'incoerenza o l'equivoco massimo dell'attualismo.

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l'immanenza soggettiva se ne va: se io spirito non fossiIo lo Spirito, sarei soltanto una delle tante morte cose, incui lo Spirito si nega; lo Spirito non sarei io, che sareinatura, cioè spiritualità negata, passività, oggetto.

E se (contro la lettera e lo spirito dell'attualismo) ab-bandonassimo pure tale immanenza per l'assolutezza

pag. 193), che «non c'è pensiero che non sia l'atto di un soggettocolorato della sua soggettività» (ib., p. 194), ecc.; e dove in gene-rale il G., tratto forse dai problemi che vuol risolvere (natura,esperienza, arte), accentua il sentimento, e lo pone come lo stessoio puro. Or la spiritualità del sentire non gli contesterò certo io,che l'ho sempre (cfr. La coscienza morale, 1914) affermata inmodo radicale; ma questa spiritualità non si raggiunge, quando sicontinua ad avere un concetto realistico del sentire in genere, e,con l'antica psicologia, si concepisce il sentimento come costituti-vo del soggetto come tale. Con queste concezioni il G. tenterà in-vano di sfuggire all'empirismo che ne consegue, e alla incoerenzain cui egli cade, quando pone il sentimento come lo stesso iopuro. Il ricorso al sentimento fondamentale rosminiano, mi parvano. Questo infatti è la rosminiana forma reale dell'essere, e que-sta a sua volta è la singolarità plurima proprio in quanto soggetti-vità reale. Quindi la pluralità (col valore datole da G., di materia-lità, passività, fenomenicità, negazione) dei soggetti nella loro de-terminazione (che dovrà essere, estrinseca, causale, meccanica inquanto propria di quella pluralità) sarebbe quell'«uomo di questomondo o omnimode determinatum», che è l'Io puro gentiliano,sarebbe quel soggetto, quell'autocoscienza «a cui è ricondotta tut-ta la realtà storica». Quella pluralità nella sua meccanica determi-nazione sarebbe l'Io trascendentale. E questo è empirismo radica-le; non è nè idealismo, nè spiritualismo, nè liberismo. E comeempirismo radicale è una pura e semplice contraddizione, un as-surdo, oltrechè l'incoerenza o l'equivoco massimo dell'attualismo.

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dell'unico Io nella sua pura attualità antinomica, che ab-biamo vista vuota e ingiustificata (§§ 49), questo assolu-to creatore di passivi enti, in verità non creerebbe nulla.

È, questa, difficoltà della tradizionale posizionedell'Unico bastante a sè stesso; difficoltà, che Hegel,lungi dall'aver risoluta, non ha neppure sentita. La tradi-

Si dica altrettanto del ricorso alla concezione spinoziana dellamens umana come idea corporis. Essa è un modo della sostanza enon certo l'unico, come vorrebbe essere l'Io puro. Finchè il G.non abbandona la dialettica negazione della pluralità dei soggetti,da quelle concezioni non può trarre null'altro che un coerente em-pirismo che le rinnega.

Non starò poi a mettere in evidenza come in questi saggi e spe-cie nei primi due della Introduzione è professata esplicitamentel'identificazione dell'uomo con lo spirito concepito come il pro-cesso reale unico. Per tale identificazione vale quanto si disse nel§ 42, con l'aggravante che non è raro sentire dire dal G., per indi-care che tale o tale altra attività dello spirito è ineliminabile dallaspiritualità, che essa è nata con l'uomo. È ammettere la nascitadello spirito con quella dell'uomo!

Quanto poi alla “Nuova dimostrazione dell'esistenza di Dio”,che ritrovo nella Introduzione e che, al suo primo comparire(1932), avevo subito letta con vivo interesse, cercando il chiari-mento di quel groviglio di assurdi, col quale il titolo stesso mi sipresentava (ritenevo e ritengo che io avevo già dimostrato checontinuare ad impostare il problema di Dio come problema dellaSua esistenza non è che un dire e disdire), devo confessare di nonaver trovato nè detto chiarimento nè la confutazione della miatesi. Affrontare comunque il problema di Dio senza affrontare ilproblema del concetto che possiamo farci di Lui, a me pare im-presa vana. E perciò, dopo aver letto il nuovo saggio del Gentile,si rimane, a parte tutto, in questo dubbio: Il Dio, di cui qui il G.

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dell'unico Io nella sua pura attualità antinomica, che ab-biamo vista vuota e ingiustificata (§§ 49), questo assolu-to creatore di passivi enti, in verità non creerebbe nulla.

È, questa, difficoltà della tradizionale posizionedell'Unico bastante a sè stesso; difficoltà, che Hegel,lungi dall'aver risoluta, non ha neppure sentita. La tradi-

Si dica altrettanto del ricorso alla concezione spinoziana dellamens umana come idea corporis. Essa è un modo della sostanza enon certo l'unico, come vorrebbe essere l'Io puro. Finchè il G.non abbandona la dialettica negazione della pluralità dei soggetti,da quelle concezioni non può trarre null'altro che un coerente em-pirismo che le rinnega.

Non starò poi a mettere in evidenza come in questi saggi e spe-cie nei primi due della Introduzione è professata esplicitamentel'identificazione dell'uomo con lo spirito concepito come il pro-cesso reale unico. Per tale identificazione vale quanto si disse nel§ 42, con l'aggravante che non è raro sentire dire dal G., per indi-care che tale o tale altra attività dello spirito è ineliminabile dallaspiritualità, che essa è nata con l'uomo. È ammettere la nascitadello spirito con quella dell'uomo!

Quanto poi alla “Nuova dimostrazione dell'esistenza di Dio”,che ritrovo nella Introduzione e che, al suo primo comparire(1932), avevo subito letta con vivo interesse, cercando il chiari-mento di quel groviglio di assurdi, col quale il titolo stesso mi sipresentava (ritenevo e ritengo che io avevo già dimostrato checontinuare ad impostare il problema di Dio come problema dellaSua esistenza non è che un dire e disdire), devo confessare di nonaver trovato nè detto chiarimento nè la confutazione della miatesi. Affrontare comunque il problema di Dio senza affrontare ilproblema del concetto che possiamo farci di Lui, a me pare im-presa vana. E perciò, dopo aver letto il nuovo saggio del Gentile,si rimane, a parte tutto, in questo dubbio: Il Dio, di cui qui il G.

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zione, se non altro, ammette degli spiriti creati accantoallo Spirito creatore: è un modo di sentire e superare ladifficoltà, per quanto ingenuo lo si possa ritenere. Tuttol'idealismo trascendentale post-kantiano non sente nep-pure la presenza della difficoltà. Esigenza fondamentalecostitutiva dell'io è proprio l'alterità, cioè il riconosci-mento degli altri come io: e solo da questo si può salireall'assolutezza dell'Unico, che appunto per questo non èIo. L'Idea di Hegel messa come principio, anche seastratta e quindi vuota, salvava o almeno pareva che sal-vasse l'idealismo dialettico da questa morta assolutezzadi un Io; la fichtiana sostituzione ad essa dello Spiritocome Io (senza nessuna realtà opposta contro cui cozza-re, e quindi presupposta con l'Io dall'urto stesso) ve laporta dentro o almeno la pone in evidenza.

L'attualismo in verità ripudia nettamente quella tra-scendenza dell'Io puro; e allora non può avere altro si-

dimostra nuovamente l'esistenza, è il Dio creato dalla filosofia(Modernismo, Laterza, 1906, p. 62: «Il bisogno religioso non puòessere più appagato altrimenti che... con la filosofia che creaDio»), il Dio creato razionalmente dall'uomo (Studi vichiani,Messina, 1915, p. 48), o il Dio, che, comunque, con la sua esi-stenza condizionerebbe la filosofia e la creazione razionale uma-na? Alla domanda non si risponde senza fare la critica dell'auto-concetto, senza distinguere il concetto dall'idea, senza superare ilconcetto dell'oggetto come "fenomeno prodotto dall'attività co-struttiva del soggetto” (Introd., p. 211), concetto pel quale neces-sariamente si fa finire in tal fenomeno o Dio o me pensante pro-prio anche come pensante (cfr. già la mia Critica del concreto,1921, cap. VI).

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zione, se non altro, ammette degli spiriti creati accantoallo Spirito creatore: è un modo di sentire e superare ladifficoltà, per quanto ingenuo lo si possa ritenere. Tuttol'idealismo trascendentale post-kantiano non sente nep-pure la presenza della difficoltà. Esigenza fondamentalecostitutiva dell'io è proprio l'alterità, cioè il riconosci-mento degli altri come io: e solo da questo si può salireall'assolutezza dell'Unico, che appunto per questo non èIo. L'Idea di Hegel messa come principio, anche seastratta e quindi vuota, salvava o almeno pareva che sal-vasse l'idealismo dialettico da questa morta assolutezzadi un Io; la fichtiana sostituzione ad essa dello Spiritocome Io (senza nessuna realtà opposta contro cui cozza-re, e quindi presupposta con l'Io dall'urto stesso) ve laporta dentro o almeno la pone in evidenza.

L'attualismo in verità ripudia nettamente quella tra-scendenza dell'Io puro; e allora non può avere altro si-

dimostra nuovamente l'esistenza, è il Dio creato dalla filosofia(Modernismo, Laterza, 1906, p. 62: «Il bisogno religioso non puòessere più appagato altrimenti che... con la filosofia che creaDio»), il Dio creato razionalmente dall'uomo (Studi vichiani,Messina, 1915, p. 48), o il Dio, che, comunque, con la sua esi-stenza condizionerebbe la filosofia e la creazione razionale uma-na? Alla domanda non si risponde senza fare la critica dell'auto-concetto, senza distinguere il concetto dall'idea, senza superare ilconcetto dell'oggetto come "fenomeno prodotto dall'attività co-struttiva del soggetto” (Introd., p. 211), concetto pel quale neces-sariamente si fa finire in tal fenomeno o Dio o me pensante pro-prio anche come pensante (cfr. già la mia Critica del concreto,1921, cap. VI).

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gnificato che questo: io “uomo di questo mondo omni-mode determinatum” cioè io, nella mia puntuale deter-minatezza storica, sono l'atto di autocoscienza, “a cui èricondotta tutta la realtà storica”.

Cioè io sono l'autoconcetto che è la storia, proprio inquanto sono “uomo di questo mondo omnimode deter-minatum”. Quindi o assoluto solipsismo del singolare(assurdo inconcepibile), in cui la pluralità è tolta anchecome negazione (oggettività), perchè un oggetto, un unodi tanti (io) è assolutizzato come l'unico Io: o paleseequivoco, pel quale io una volta sono quell'oggetto,quell'uno di tanti che è l'aspetto negativo dell'atto puro,e una volta invece sono lo stesso atto puro, sempre pro-prio come lo stesso Io “uomo di questo mondo omnimo-de determinatum”.

Perciò come la distinzione crociana dei concetti daipseudoconcetti non salvava la riduzione dello spirito apsiche umana (§ 42), così la dottrina gentilianadell'autoconcetto non salva la riduzione dello spirito,sempre come processo reale, ad Io trascendentale e diquesto a quell'io singolare, che sono io uomo di questomondo omnimode determinatum. La prima riduzioneassunta, senza critica, dal fichtismo porta logicamentealla seconda, la quale dimostra poi, insieme alla propria,la falsità anche della prima.

In tal modo il sottinteso della filosofia dello spirito,che la psiche umana in quanto tale sia lo stesso processoreale che è lo spirito, con la identificazione fatta dellospirito come tale con l'Io come atto puro nell'attualismo

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gnificato che questo: io “uomo di questo mondo omni-mode determinatum” cioè io, nella mia puntuale deter-minatezza storica, sono l'atto di autocoscienza, “a cui èricondotta tutta la realtà storica”.

Cioè io sono l'autoconcetto che è la storia, proprio inquanto sono “uomo di questo mondo omnimode deter-minatum”. Quindi o assoluto solipsismo del singolare(assurdo inconcepibile), in cui la pluralità è tolta anchecome negazione (oggettività), perchè un oggetto, un unodi tanti (io) è assolutizzato come l'unico Io: o paleseequivoco, pel quale io una volta sono quell'oggetto,quell'uno di tanti che è l'aspetto negativo dell'atto puro,e una volta invece sono lo stesso atto puro, sempre pro-prio come lo stesso Io “uomo di questo mondo omnimo-de determinatum”.

Perciò come la distinzione crociana dei concetti daipseudoconcetti non salvava la riduzione dello spirito apsiche umana (§ 42), così la dottrina gentilianadell'autoconcetto non salva la riduzione dello spirito,sempre come processo reale, ad Io trascendentale e diquesto a quell'io singolare, che sono io uomo di questomondo omnimode determinatum. La prima riduzioneassunta, senza critica, dal fichtismo porta logicamentealla seconda, la quale dimostra poi, insieme alla propria,la falsità anche della prima.

In tal modo il sottinteso della filosofia dello spirito,che la psiche umana in quanto tale sia lo stesso processoreale che è lo spirito, con la identificazione fatta dellospirito come tale con l'Io come atto puro nell'attualismo

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non è stato eliminato, ma è diventato l'esplicita riduzio-ne dello spirito come processo reale al determinato pro-cesso psicologico singolare del filosofo. Così quell'inne-gabile approfondimento speculativo, che caratterizzal'attualismo di fronte alla filosofia dello spirito, e checonsiste nel salire al concetto di questo spirito in quantoprocesso reale, finisce in un impoverimento ancoramaggiore dello spirito, in quanto si passa dallo spiritoconcepito come umanità in Croce, allo spirito concepitocome io singolare uomo, che parlo, in Gentile.

51. Dissoluzione del Filosofo.

E, passando dalla discussione, diremmo, trascenden-tale, a quella concreta, che pur dovrebbe far uno con laprima, notiamo, che, proprio per questa riduzione delloSpirito ad io singolare, nell'attualismo mentre da unaparte c'è questa apoteosi del Filosofo come Io trascen-dentale, proprio per la stessa ragione – e del resto incoerenza con la professata contraddizione – c'è,dall'altra, lo svanire del filosofo come tale, il suo annul-lamento, che ora comincia esplicitamente ad essere am-messo da parte attualistica, ma non certo dallo stessoGentile. Il filosofo si dissolve nel concreto scienziato(cfr. già il mio art. “Che cosa è la filosofia” 1921).

Non può nascere la problematicità filosofica, dove ilfilosofo è lo stesso creatore: del che potrebbero essere

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non è stato eliminato, ma è diventato l'esplicita riduzio-ne dello spirito come processo reale al determinato pro-cesso psicologico singolare del filosofo. Così quell'inne-gabile approfondimento speculativo, che caratterizzal'attualismo di fronte alla filosofia dello spirito, e checonsiste nel salire al concetto di questo spirito in quantoprocesso reale, finisce in un impoverimento ancoramaggiore dello spirito, in quanto si passa dallo spiritoconcepito come umanità in Croce, allo spirito concepitocome io singolare uomo, che parlo, in Gentile.

51. Dissoluzione del Filosofo.

E, passando dalla discussione, diremmo, trascenden-tale, a quella concreta, che pur dovrebbe far uno con laprima, notiamo, che, proprio per questa riduzione delloSpirito ad io singolare, nell'attualismo mentre da unaparte c'è questa apoteosi del Filosofo come Io trascen-dentale, proprio per la stessa ragione – e del resto incoerenza con la professata contraddizione – c'è,dall'altra, lo svanire del filosofo come tale, il suo annul-lamento, che ora comincia esplicitamente ad essere am-messo da parte attualistica, ma non certo dallo stessoGentile. Il filosofo si dissolve nel concreto scienziato(cfr. già il mio art. “Che cosa è la filosofia” 1921).

Non può nascere la problematicità filosofica, dove ilfilosofo è lo stesso creatore: del che potrebbero essere

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contenti solo i puri ripetitori, che, rifugiandosi nella sto-ria, si darebbero l'aria così di essere creatori, senza lasensazione dell'inesplicato problema, senza il dubbio, iltravaglio, la coscienza dell'inesplicato residuo anchedopo la propria esplicazione, cose tutte invece che sonol'assidua compagnia della riflessione filosofica.

Questa scompare quindi nella elevazione della filoso-fia alla stessa concretezza creatrice.

E questa concretezza si risolve poi nel momentaneosuccesso, che diventa unico indice di verità e di valore.Non resta più campo al valore di quelle idee, che comeimmediato successo non abbiano che l'oscurità il sacrifi-cio delle persone che le bandiscono. Così la fattura uma-na della storia umana non fu scoperta di Vico, ma di chidopo parecchi secoli divulgò Vico; e la storia umananon fu fattura umana prima di Vico, o prima di chi lo di-vulgò. Vico non scoprì l'essenza della storia; la pose, lacreò. Nè questa considerazione è superabile con l'empi-ricità del tempo e l'eternità del pensiero. Con gli oppor-tuni adattamenti valgono qui gli argomenti addotti giàper lo spirito come l'uomo (§ 42). Di quella empiricitàdel tempo poteva parlare Kant; non può più parlare chipropugna il metodo dell'assoluta immanenza, pel quale“un uomo di questo mondo omnimode determinatum”, èil soggetto a cui è ricondotta tutta la “realtà storica” (§47, n. 8). Senza la successione non c'è l'“omnimode de-terminatum”, e non c'è quindi la realtà storica. Quellaeternità del pensiero è risoluta senza residuo nella più

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contenti solo i puri ripetitori, che, rifugiandosi nella sto-ria, si darebbero l'aria così di essere creatori, senza lasensazione dell'inesplicato problema, senza il dubbio, iltravaglio, la coscienza dell'inesplicato residuo anchedopo la propria esplicazione, cose tutte invece che sonol'assidua compagnia della riflessione filosofica.

Questa scompare quindi nella elevazione della filoso-fia alla stessa concretezza creatrice.

E questa concretezza si risolve poi nel momentaneosuccesso, che diventa unico indice di verità e di valore.Non resta più campo al valore di quelle idee, che comeimmediato successo non abbiano che l'oscurità il sacrifi-cio delle persone che le bandiscono. Così la fattura uma-na della storia umana non fu scoperta di Vico, ma di chidopo parecchi secoli divulgò Vico; e la storia umananon fu fattura umana prima di Vico, o prima di chi lo di-vulgò. Vico non scoprì l'essenza della storia; la pose, lacreò. Nè questa considerazione è superabile con l'empi-ricità del tempo e l'eternità del pensiero. Con gli oppor-tuni adattamenti valgono qui gli argomenti addotti giàper lo spirito come l'uomo (§ 42). Di quella empiricitàdel tempo poteva parlare Kant; non può più parlare chipropugna il metodo dell'assoluta immanenza, pel quale“un uomo di questo mondo omnimode determinatum”, èil soggetto a cui è ricondotta tutta la “realtà storica” (§47, n. 8). Senza la successione non c'è l'“omnimode de-terminatum”, e non c'è quindi la realtà storica. Quellaeternità del pensiero è risoluta senza residuo nella più

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empirica temporalità successiva, cioè nella più labiletemporaneità.

Il vero è che l'attualismo non ha potuto sentire la sco-perta che la filosofia moderna deve al pensiero italiano,l'immanenza oggettiva dell'Assoluto, perchè ha volutoessere ed è il coronamento dell'idealismo trascendentalegermanico, che, nello sforzo di mettere in evidenza lasoggettività, la perde col renderla unica ed assoluta. Perquesta sua essenza l'attualismo, come il pragmatismo, ilbergsonismo, il relativismo d'ogni specie, attivistico ointellettualistico che sia, è, dirò brunianamente, crepu-scolo che pone fine al giorno del soggettivismo, non èaurora che inauguri il giorno della nuova filosofia, svol-gendo quei bagliori che pur già dalla prima metàdell'Ottocento si annunziavano all'orizzonte italiano.

52. Autorinnegarsi del neohegelismo.

Così entrambe le forme del neohegelismo italiano fi-niscono in una autodissoluzione della filosofia. Croceparte dalla filosofia come assoluto sapere, e finisce colnegarla esplicitamente in nome della storica realtà spiri-tuale. Gentile parte invece da questa e finisce col rinne-garla nella puntualità dell'atto trascendentale come spiri-to filosofante. E perciò il concetto gentiliano dell'auto-concetto aspetta di esser tolto di mezzo (Logica II,1923, pag. 148-9), proprio perchè divenuto concetto, e

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empirica temporalità successiva, cioè nella più labiletemporaneità.

Il vero è che l'attualismo non ha potuto sentire la sco-perta che la filosofia moderna deve al pensiero italiano,l'immanenza oggettiva dell'Assoluto, perchè ha volutoessere ed è il coronamento dell'idealismo trascendentalegermanico, che, nello sforzo di mettere in evidenza lasoggettività, la perde col renderla unica ed assoluta. Perquesta sua essenza l'attualismo, come il pragmatismo, ilbergsonismo, il relativismo d'ogni specie, attivistico ointellettualistico che sia, è, dirò brunianamente, crepu-scolo che pone fine al giorno del soggettivismo, non èaurora che inauguri il giorno della nuova filosofia, svol-gendo quei bagliori che pur già dalla prima metàdell'Ottocento si annunziavano all'orizzonte italiano.

52. Autorinnegarsi del neohegelismo.

Così entrambe le forme del neohegelismo italiano fi-niscono in una autodissoluzione della filosofia. Croceparte dalla filosofia come assoluto sapere, e finisce colnegarla esplicitamente in nome della storica realtà spiri-tuale. Gentile parte invece da questa e finisce col rinne-garla nella puntualità dell'atto trascendentale come spiri-to filosofante. E perciò il concetto gentiliano dell'auto-concetto aspetta di esser tolto di mezzo (Logica II,1923, pag. 148-9), proprio perchè divenuto concetto, e

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quindi non più spirito filosofante. Quella storica realtàspirituale non si sa più dove pescarla se è un autoconcet-to, che una volta espresso non è più tale e quindi non èpiù realtà. La realtà spirituale sta in questo non essere, oalmeno non essere esprimibile: tutt'altro quindi che sto-ria, e tutt'altro anche che idealismo, il quale richiede, co-munque si formuli, l'oggettività insita nel sapere.

Così tutto il neohegelismo italiano finisce in un auto-rinnegamento, che par quasi denunziare questo trapian-tamento di esotica dottrina, fatto da uomini, di italianis-sima cultura teoretica e mentalità pratica, che voglionocostringere la loro e tutta l'italiana spiritualità in un si-stema, che ne rinnega le caratteristiche, e che sta, sì, alculmine della filosofia moderna, ma solo in quantoquella conquista che caratterizza questa, ha vissuta edaffermata solo con lo spirito soggettistico del germane-simo.

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quindi non più spirito filosofante. Quella storica realtàspirituale non si sa più dove pescarla se è un autoconcet-to, che una volta espresso non è più tale e quindi non èpiù realtà. La realtà spirituale sta in questo non essere, oalmeno non essere esprimibile: tutt'altro quindi che sto-ria, e tutt'altro anche che idealismo, il quale richiede, co-munque si formuli, l'oggettività insita nel sapere.

Così tutto il neohegelismo italiano finisce in un auto-rinnegamento, che par quasi denunziare questo trapian-tamento di esotica dottrina, fatto da uomini, di italianis-sima cultura teoretica e mentalità pratica, che voglionocostringere la loro e tutta l'italiana spiritualità in un si-stema, che ne rinnega le caratteristiche, e che sta, sì, alculmine della filosofia moderna, ma solo in quantoquella conquista che caratterizza questa, ha vissuta edaffermata solo con lo spirito soggettistico del germane-simo.

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APPENDICE7

LA PEDAGOGIA NELL'ATTUALISMO

7 I. e II. furono le recensioni dei due volumi del «Sommario dipedagogia come scienza filosofica» del Gentile, pubblicate la Inel «Logos», Vol. I, Fasc. 1, Perugia 1914, e la II ne «Il Concilia-tore» Vol. II, Fasc. II, Torino 1915. Le ripubblico letteralmenteperchè ancora forse non inutili in sè, ma soprattutto in quantochiarificatrici del mio atteggiamento iniziale di fronte all'attuali-smo. Per la stessa ragione pubblico anche III. Chi conosce il miopensiero posteriore, farà da sè le opportune postille: in sostanzal'atteggiamento iniziale è pienamente confermato dal successivosviluppo della mia riflessione. Ripubblico dunque senza mutaresillaba.

Il primo incontro del mio pensiero critico con quello hegelianodel Gentile si veda nel volume (La percezione intellettiva di A.Rosmini, 1907) e nei due articoli polemici (ma di una polemica,da ambo le parti, tanto serena ed obbiettiva, quanto rispettosa edalta) rosminiani del 1911 (Intuito e sintesi primitiva in A. Romini)e del 1912 (La potenza e l'intuito come potenza nella ideologiarosminiana), pubblicati nella Rivista di filosofia.

La mia prima critica alla filosofia del Croce si veda invecenell'opuscolo La coscienza morale (1914).

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APPENDICE7

LA PEDAGOGIA NELL'ATTUALISMO

7 I. e II. furono le recensioni dei due volumi del «Sommario dipedagogia come scienza filosofica» del Gentile, pubblicate la Inel «Logos», Vol. I, Fasc. 1, Perugia 1914, e la II ne «Il Concilia-tore» Vol. II, Fasc. II, Torino 1915. Le ripubblico letteralmenteperchè ancora forse non inutili in sè, ma soprattutto in quantochiarificatrici del mio atteggiamento iniziale di fronte all'attuali-smo. Per la stessa ragione pubblico anche III. Chi conosce il miopensiero posteriore, farà da sè le opportune postille: in sostanzal'atteggiamento iniziale è pienamente confermato dal successivosviluppo della mia riflessione. Ripubblico dunque senza mutaresillaba.

Il primo incontro del mio pensiero critico con quello hegelianodel Gentile si veda nel volume (La percezione intellettiva di A.Rosmini, 1907) e nei due articoli polemici (ma di una polemica,da ambo le parti, tanto serena ed obbiettiva, quanto rispettosa edalta) rosminiani del 1911 (Intuito e sintesi primitiva in A. Romini)e del 1912 (La potenza e l'intuito come potenza nella ideologiarosminiana), pubblicati nella Rivista di filosofia.

La mia prima critica alla filosofia del Croce si veda invecenell'opuscolo La coscienza morale (1914).

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I. (1914)LA PEDAGOGIA COME FILOSOFIA

«Il mio vorrebbe essere un libro adatto agli alunnidelle scuole normali e di tutte le scuole, dove si prepara-no i futuri insegnanti; non perchè adatto a loro soltanto,anzi perchè adatto a tutti gli uomini colti, che cercanocome cerco io da tempo, come han cercato mille e milleprima di me, una coscienza e una fede, per sè e per glialtri...» Questo dichiara l'A. nella prefazione al libro,che nella dedica dice il meglio dell'anima sua. E di que-sto intento, di porre in un libro destinato alle scuole unvivo soffio di vita che gli faccia perdere ogni caratteredi pedanteria scolastica, va data all'A. ampia lode. Nonv'ha cosa più sciocca ed iniqua insieme di quel voler,come si dice, adattare alle scuole un dato sapere: adat-tarlo per molti vuol dire facilitarlo, e facilitare ad ognicosto il più delle volte è deturpare, è snaturare.

Il libro è diviso in tre parti: 1a L'uomo; 2a L'educazio-ne; 3a Le forme della educazione.

1. – L'A., stabilito nei primi 5 capitoli che conoscerele cose, «entrare nell'interno delle cose non è altro cheentrare nell'interno di noi medesimi»; che noi medesiminon siamo che soggetto, che il soggetto è autocoscienzae che questa, come quello, è universale e non ha plurale,– in quasi tutti quelli successivi non fa che liberarsi, conuna dialettica serrata e incalzante, di tutte le distinzioni,che l'ordinaria psicologia fa tra i fatti psichici. A torto si

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I. (1914)LA PEDAGOGIA COME FILOSOFIA

«Il mio vorrebbe essere un libro adatto agli alunnidelle scuole normali e di tutte le scuole, dove si prepara-no i futuri insegnanti; non perchè adatto a loro soltanto,anzi perchè adatto a tutti gli uomini colti, che cercanocome cerco io da tempo, come han cercato mille e milleprima di me, una coscienza e una fede, per sè e per glialtri...» Questo dichiara l'A. nella prefazione al libro,che nella dedica dice il meglio dell'anima sua. E di que-sto intento, di porre in un libro destinato alle scuole unvivo soffio di vita che gli faccia perdere ogni caratteredi pedanteria scolastica, va data all'A. ampia lode. Nonv'ha cosa più sciocca ed iniqua insieme di quel voler,come si dice, adattare alle scuole un dato sapere: adat-tarlo per molti vuol dire facilitarlo, e facilitare ad ognicosto il più delle volte è deturpare, è snaturare.

Il libro è diviso in tre parti: 1a L'uomo; 2a L'educazio-ne; 3a Le forme della educazione.

1. – L'A., stabilito nei primi 5 capitoli che conoscerele cose, «entrare nell'interno delle cose non è altro cheentrare nell'interno di noi medesimi»; che noi medesiminon siamo che soggetto, che il soggetto è autocoscienzae che questa, come quello, è universale e non ha plurale,– in quasi tutti quelli successivi non fa che liberarsi, conuna dialettica serrata e incalzante, di tutte le distinzioni,che l'ordinaria psicologia fa tra i fatti psichici. A torto si

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parla di sensazioni interne ed esterne, organiche e senso-rie, di forma e contenuto di esse; come a torto si distin-gue il tono della sensazione dalla sensazione stessa, etanto più a torto si vuol trovare un tono doloroso accan-to a quello piacevole. Così non si può stabilire distinzio-ne alcuna tra sensazione, percezione e rappresentazione:percezione e rappresentazione, che fan nascere un mon-do di falsi problemi con le relative assurde soluzioni (in-conscio psichico, conservazione delle rappresentazioni,psicofisica, ecc....). Nè devesi parlare di associazione eneppure di linguaggio come di segno, che, come tale,non potrebbe che indicare la rappresentazione in quantorappresentazione: la parola quindi anch'essa non è che lasensazione stessa. E così non sono che vane ombre tuttii «concetti di cui sogliono discorrere i logici, come ter-mini del giudizio, soggetti di definizione e di divisione emembri del raziocinio», (p. 72), e quindi anche tuttiquesti atti, in quanto che il concetto che ne è il princi-pio, non è che, anch'esso, sensazione. E come tutte que-ste distinzioni dell'attività teoretica in sè, il G. demoliscequella tra attività teoretica e pratica, perchè fondata suun falso concetto della realtà. Giacchè va tolta anche ladistinzione tra spirito e materia: «Se c'è materia, tutto èmateria; se c'è spirito, tutto è spirito» (p. 95). E dinanzial bivio di «negare lo spirito, il pensiero, il soggetto, noistessi che dovremmo fare la negazione, o di negare lamateria» (p. 96), il G. conclude col porre lo spirito comeattività universale e col riaffermare quindi il principio,da cui egli parte in questa analisi dell'uomo, che, cioè,

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parla di sensazioni interne ed esterne, organiche e senso-rie, di forma e contenuto di esse; come a torto si distin-gue il tono della sensazione dalla sensazione stessa, etanto più a torto si vuol trovare un tono doloroso accan-to a quello piacevole. Così non si può stabilire distinzio-ne alcuna tra sensazione, percezione e rappresentazione:percezione e rappresentazione, che fan nascere un mon-do di falsi problemi con le relative assurde soluzioni (in-conscio psichico, conservazione delle rappresentazioni,psicofisica, ecc....). Nè devesi parlare di associazione eneppure di linguaggio come di segno, che, come tale,non potrebbe che indicare la rappresentazione in quantorappresentazione: la parola quindi anch'essa non è che lasensazione stessa. E così non sono che vane ombre tuttii «concetti di cui sogliono discorrere i logici, come ter-mini del giudizio, soggetti di definizione e di divisione emembri del raziocinio», (p. 72), e quindi anche tuttiquesti atti, in quanto che il concetto che ne è il princi-pio, non è che, anch'esso, sensazione. E come tutte que-ste distinzioni dell'attività teoretica in sè, il G. demoliscequella tra attività teoretica e pratica, perchè fondata suun falso concetto della realtà. Giacchè va tolta anche ladistinzione tra spirito e materia: «Se c'è materia, tutto èmateria; se c'è spirito, tutto è spirito» (p. 95). E dinanzial bivio di «negare lo spirito, il pensiero, il soggetto, noistessi che dovremmo fare la negazione, o di negare lamateria» (p. 96), il G. conclude col porre lo spirito comeattività universale e col riaffermare quindi il principio,da cui egli parte in questa analisi dell'uomo, che, cioè,

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«non solo per intendere se stesso, ma per intendere ilmondo, l'uomo deve tornare a se stesso, soggetto assolu-to, o soggetto che è tutto soggetto, e che non lascia nullafuori di sè» (p. 110). E l'unica categoria di questo sog-getto è quella di essere esso stesso una sensazione, cioèun pensiero, un atto, una sintesi a priori che è unitàdell'immediato e della mediazione. Lo spirito è pensieroe non ha altra categoria che sè medesimo, e perciò èeterno atto e quindi eterno svolgimento. Questa ideadello spirito come sviluppo, tratta da una approfonditaconcezione della sintesi appercettiva kantiana, è, io cre-do, la sola parte positiva che il G. pone in mezzo a tuttele accennate negazioni.

2. – La nota critica e negativa che già è in predominioin questa prima e fondamentale parte, si accentua o al-meno si mantiene in prevalenza nelle due seguenti.

In quella che riguarda l'educazione, infatti, l'A., dopoaver nei primi due capitoli dimostrato che se vogliamodare un nome alla scienza che si occupa dell'uomo qualeprima è stato delineato, cioè come «la stessa realtà uni-versale considerata nella sua attualità in cui è soggetto»(p. 113), la si deve dire filosofia «come scienza univer-sale e concreta che non ammette nè integrazioni nè spe-cificazioni» (p. 115), e dopo aver identificata la pedago-gia con la filosofia così intesa, superando così il duali-smo di una pedagogia o psicologica o etica, passasenz'altro, prima di e per poter dimostrare questa identi-

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«non solo per intendere se stesso, ma per intendere ilmondo, l'uomo deve tornare a se stesso, soggetto assolu-to, o soggetto che è tutto soggetto, e che non lascia nullafuori di sè» (p. 110). E l'unica categoria di questo sog-getto è quella di essere esso stesso una sensazione, cioèun pensiero, un atto, una sintesi a priori che è unitàdell'immediato e della mediazione. Lo spirito è pensieroe non ha altra categoria che sè medesimo, e perciò èeterno atto e quindi eterno svolgimento. Questa ideadello spirito come sviluppo, tratta da una approfonditaconcezione della sintesi appercettiva kantiana, è, io cre-do, la sola parte positiva che il G. pone in mezzo a tuttele accennate negazioni.

2. – La nota critica e negativa che già è in predominioin questa prima e fondamentale parte, si accentua o al-meno si mantiene in prevalenza nelle due seguenti.

In quella che riguarda l'educazione, infatti, l'A., dopoaver nei primi due capitoli dimostrato che se vogliamodare un nome alla scienza che si occupa dell'uomo qualeprima è stato delineato, cioè come «la stessa realtà uni-versale considerata nella sua attualità in cui è soggetto»(p. 113), la si deve dire filosofia «come scienza univer-sale e concreta che non ammette nè integrazioni nè spe-cificazioni» (p. 115), e dopo aver identificata la pedago-gia con la filosofia così intesa, superando così il duali-smo di una pedagogia o psicologica o etica, passasenz'altro, prima di e per poter dimostrare questa identi-

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tà, a «liberarsi da taluni comunissimi inveterati pregiu-dizi» (p. 124).

Primo tra questi il dualismo educatore-educando,«pregiudizio che si potrebbe dire monadistico», a com-battere il quale il G. dimostra l'insussistenza della tecni-ca, perchè fondata sul falso concetto di potenza, el'impossibilità che si abbia una dualità di soggettinell'atto educativo, perchè, se fossero due, non sarebbe-ro spiriti e il loro atto non sarebbe più atto spirituale.Laddove l'atto educativo non è che una sintesi a priori,di cui il G. cerca di mostrare l'attuazione in alcuni esem-pi concreti; l'educazione è processo dello spirito. Controquesto concetto sta anche il secondo pregiudizio, quelloche il G. dice pedologico: che cioè del processo educati-vo ci possa essere un principio e un termine, come seesso fosse nel tempo e non contenesse invece esso stes-so il tempo, come se il bambino avesse una psicologiatutta propria. «Al pregiudizio pedologico fa riscontroquello che si può dire il pregiudizio professionale delpedagogismo» (p. 159). Giacchè si è ammesso un bam-bino da educare, converrà avere un maestro che sappial'arte di educare, che abbia appreso il metodo. Ma per-chè ciò fosse possibile, obbietta il G., dovrebbesi poter«staccare la norma dal fatto, o meglio l'atto dal fatto»(173). Il vero metodo quindi non può essere che un me-todo vivo, quello che ciascun maestro vien attuandonell'atto stesso del suo insegnamento. E siccome lascienza di quest'atto come processo dello spirito non èche filosofia, così filosofia anch'essa è la metodica. E di

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tà, a «liberarsi da taluni comunissimi inveterati pregiu-dizi» (p. 124).

Primo tra questi il dualismo educatore-educando,«pregiudizio che si potrebbe dire monadistico», a com-battere il quale il G. dimostra l'insussistenza della tecni-ca, perchè fondata sul falso concetto di potenza, el'impossibilità che si abbia una dualità di soggettinell'atto educativo, perchè, se fossero due, non sarebbe-ro spiriti e il loro atto non sarebbe più atto spirituale.Laddove l'atto educativo non è che una sintesi a priori,di cui il G. cerca di mostrare l'attuazione in alcuni esem-pi concreti; l'educazione è processo dello spirito. Controquesto concetto sta anche il secondo pregiudizio, quelloche il G. dice pedologico: che cioè del processo educati-vo ci possa essere un principio e un termine, come seesso fosse nel tempo e non contenesse invece esso stes-so il tempo, come se il bambino avesse una psicologiatutta propria. «Al pregiudizio pedologico fa riscontroquello che si può dire il pregiudizio professionale delpedagogismo» (p. 159). Giacchè si è ammesso un bam-bino da educare, converrà avere un maestro che sappial'arte di educare, che abbia appreso il metodo. Ma per-chè ciò fosse possibile, obbietta il G., dovrebbesi poter«staccare la norma dal fatto, o meglio l'atto dal fatto»(173). Il vero metodo quindi non può essere che un me-todo vivo, quello che ciascun maestro vien attuandonell'atto stesso del suo insegnamento. E siccome lascienza di quest'atto come processo dello spirito non èche filosofia, così filosofia anch'essa è la metodica. E di

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qui il G. parte per presentarci in calde e ben colorite pa-gine il maestro come «lo stesso spirito che si pone nelsuo assoluto valore spirituale», e della cui opera non de-vesi confondere il valore col prezzo, e per sorpassarepoi il concetto empirico del maestro persona individua-le, affermando il tutto come «il solo vero concreto totalemaestro dell'uomo» (p. 191), e quindi affermando cheattraverso la specializzazione degli studi che è necessa-ria perchè «carattere intrinseco della essenziale indivi-dualità dello spirito» (p. 198), devesi attuare l'universa-lità della educazione, mediante un «sapere intelligente-mente rispettoso di tutte le forme del sapere» (p. 199),qual è la filosofia.

3. – Adunque «uno spirito, una filosofia, un'educazio-ne» (p. 203): questa unità risolve la secolare quistionedella educazione negativa (Rousseau) o positiva (Helve-tius), richiedendola negativa e positiva insieme: «negati-va perchè lo spirito è uno; è una realtà unica; positivaperchè questa realtà non è ma si fa; non è cosa... ma spi-rito» (p. 215). Questa stessa unità richiede che l'educa-zione sia «attuale; cioè formale in quanto materiale, emateriale, in quanto formale» (p. 228): formalismo ematerialismo educativo convengono e devono conveni-re, secondo il G., in un puro mnemonismo, perchè sonofalsi entrambi e per uno stesso falso presupposto: la di-visione tra materia e forma dello spirito. Oltrechè questaantinomia intrinseca all'istruzione va sorpassata e negataanche quella che pone l'istruzione di fronte all'educazio-

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qui il G. parte per presentarci in calde e ben colorite pa-gine il maestro come «lo stesso spirito che si pone nelsuo assoluto valore spirituale», e della cui opera non de-vesi confondere il valore col prezzo, e per sorpassarepoi il concetto empirico del maestro persona individua-le, affermando il tutto come «il solo vero concreto totalemaestro dell'uomo» (p. 191), e quindi affermando cheattraverso la specializzazione degli studi che è necessa-ria perchè «carattere intrinseco della essenziale indivi-dualità dello spirito» (p. 198), devesi attuare l'universa-lità della educazione, mediante un «sapere intelligente-mente rispettoso di tutte le forme del sapere» (p. 199),qual è la filosofia.

3. – Adunque «uno spirito, una filosofia, un'educazio-ne» (p. 203): questa unità risolve la secolare quistionedella educazione negativa (Rousseau) o positiva (Helve-tius), richiedendola negativa e positiva insieme: «negati-va perchè lo spirito è uno; è una realtà unica; positivaperchè questa realtà non è ma si fa; non è cosa... ma spi-rito» (p. 215). Questa stessa unità richiede che l'educa-zione sia «attuale; cioè formale in quanto materiale, emateriale, in quanto formale» (p. 228): formalismo ematerialismo educativo convengono e devono conveni-re, secondo il G., in un puro mnemonismo, perchè sonofalsi entrambi e per uno stesso falso presupposto: la di-visione tra materia e forma dello spirito. Oltrechè questaantinomia intrinseca all'istruzione va sorpassata e negataanche quella che pone l'istruzione di fronte all'educazio-

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ne morale. Come la formazione dello spirito come intel-ligenza si ottiene con un «processo spirituale, che è con-tinua posizione e soluzione di problemi», così, nella for-mazione di esso come carattere, il processo spirituale«ci si presenta pure come continua posizione e soddisfa-zione di bisogni» (240). E siccome «il problema vero ereale è un bisogno» (p. 242), così i due processi si iden-tificano, sono uno stesso ed unico processo. E questoche alcuni vogliono religioso, mentre altri lo pretendonoscientifico o estetico, deve invece essere comprensivo eriassuntivo di tutti questi indirizzi, cioè filosofico: «lasola educazione laica davvero è l'educazione filosofica,non negazione della educazione religiosa, nè dell'educa-zione estetica ma della loro esclusività» (p. 260). Daquesta comprensiva educazione non è esclusa neppurequella che si dice educazione fisica che sta nella sempremaggiore spiritualizzazione del corpo.

4. – Queste le linee sostanziali, attraverso le quali ilG. svolge la sua Pedagogia come scienza filosofica, ani-mato sempre e riscaldato da una stessa fede che la realtànon sia altro che lo spirito nel suo farsi e che la pedago-gia non può essere che scienza di questo spirito e quindipura filosofia. Ma questa fede a me pare, però, che ab-bia ricevuto un contenuto non da una sua propria espli-cazione, ma soltanto da una rivendicazione di sè mede-sima contro le opposte fedi. Se queste venissero a man-care, e l'ipotesi non deve al G. sembrare arbitraria, per-chè deve naturalmente sperare che gli oppositori si con-

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ne morale. Come la formazione dello spirito come intel-ligenza si ottiene con un «processo spirituale, che è con-tinua posizione e soluzione di problemi», così, nella for-mazione di esso come carattere, il processo spirituale«ci si presenta pure come continua posizione e soddisfa-zione di bisogni» (240). E siccome «il problema vero ereale è un bisogno» (p. 242), così i due processi si iden-tificano, sono uno stesso ed unico processo. E questoche alcuni vogliono religioso, mentre altri lo pretendonoscientifico o estetico, deve invece essere comprensivo eriassuntivo di tutti questi indirizzi, cioè filosofico: «lasola educazione laica davvero è l'educazione filosofica,non negazione della educazione religiosa, nè dell'educa-zione estetica ma della loro esclusività» (p. 260). Daquesta comprensiva educazione non è esclusa neppurequella che si dice educazione fisica che sta nella sempremaggiore spiritualizzazione del corpo.

4. – Queste le linee sostanziali, attraverso le quali ilG. svolge la sua Pedagogia come scienza filosofica, ani-mato sempre e riscaldato da una stessa fede che la realtànon sia altro che lo spirito nel suo farsi e che la pedago-gia non può essere che scienza di questo spirito e quindipura filosofia. Ma questa fede a me pare, però, che ab-bia ricevuto un contenuto non da una sua propria espli-cazione, ma soltanto da una rivendicazione di sè mede-sima contro le opposte fedi. Se queste venissero a man-care, e l'ipotesi non deve al G. sembrare arbitraria, per-chè deve naturalmente sperare che gli oppositori si con-

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vertano alla sua fede, che cosa gli rimarrebbe a direchiudendosi nel suo principio del puro concretismo sto-rico dell'atto? Io credo che dovrebbe di necessità postu-lare quella empiria, che egli dice falsa perchè astratta, edastratta perchè parziale; solo così, su questa parzialità,potrebbe egli erigere l'unità concreta dell'atto. Perciònon a difetto ed a scarso acume dell'A. – che anzi le suepagine come son piene di vigore, così anche sono disse-minate qua e là di sagge ed acute osservazioni che trag-gono pieno il consentimento – devesi quell'andamentopolemico e distruttivo che anima e riempie quasi tutto ilvolume, ma al principio fondamentale, verso il quale ilG. par che abbia ora orientato, sviluppandolo, il suopensiero. Ma di questo principio più opportunamentenella recensione seguente8.

Qui, trattandosi di pedagogia, mi par debbasi notare,che, prima di identificare senz'altro la filosofia con lapedagogia, si sarebbe dovuto fare un attento esamedell'oggetto che questa pretesa o vera scienza dice suo.Esame che ancora da nessun indirizzo pedagogico, com-preso quello che il G. sostiene, vien seriamente fatto, mache pure è il solo che può dirci qualcosa sulla natura esul contenuto di questo sapere pedagogico. E si affanna-no gli uni ad affermare la individuale autonomia dellascienza pedagogica, gli altri a negarla, senza sapernel'oggetto. Si fa presto a dire che l'oggetto è l'educazione,quando di questa educazione non si è fatta una critica

8 Cfr. il n. III di questa appendice.

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vertano alla sua fede, che cosa gli rimarrebbe a direchiudendosi nel suo principio del puro concretismo sto-rico dell'atto? Io credo che dovrebbe di necessità postu-lare quella empiria, che egli dice falsa perchè astratta, edastratta perchè parziale; solo così, su questa parzialità,potrebbe egli erigere l'unità concreta dell'atto. Perciònon a difetto ed a scarso acume dell'A. – che anzi le suepagine come son piene di vigore, così anche sono disse-minate qua e là di sagge ed acute osservazioni che trag-gono pieno il consentimento – devesi quell'andamentopolemico e distruttivo che anima e riempie quasi tutto ilvolume, ma al principio fondamentale, verso il quale ilG. par che abbia ora orientato, sviluppandolo, il suopensiero. Ma di questo principio più opportunamentenella recensione seguente8.

Qui, trattandosi di pedagogia, mi par debbasi notare,che, prima di identificare senz'altro la filosofia con lapedagogia, si sarebbe dovuto fare un attento esamedell'oggetto che questa pretesa o vera scienza dice suo.Esame che ancora da nessun indirizzo pedagogico, com-preso quello che il G. sostiene, vien seriamente fatto, mache pure è il solo che può dirci qualcosa sulla natura esul contenuto di questo sapere pedagogico. E si affanna-no gli uni ad affermare la individuale autonomia dellascienza pedagogica, gli altri a negarla, senza sapernel'oggetto. Si fa presto a dire che l'oggetto è l'educazione,quando di questa educazione non si è fatta una critica

8 Cfr. il n. III di questa appendice.

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compiuta ed esatta. Se questa avesse fatta, il G. si sareb-be accorto, che, quando egli pone come un pregiudizioil dualismo educatore educando, nega senz'altro ognieducazione nel senso in cui questa parola ha un signifi-cato, ed un valore suo proprio, per ammetterla, se mai,solo in quanto l'educazione si identifica con qualunquealtro atto. Or quando di una qualche cosa od atto noi di-ciamo di occuparci, è chiaro che dobbiamo occuparci diesso in ciò che lo distingue da tutte le altre cose od atti,e non in ciò che lo accomuna. Se no, noi non parliamodi esso in quanto esso. Or la parola educare, se ha un si-gnificato distinto dalle altre parole, mi par che valgaproprio influire di un ente su di un altro ente, perchè, oalmeno soltanto in modo che, questo ne risulti sviluppa-to.

La tirannia dello spazio non mi consente di continua-re in questa come in altre discussioni certo di grande in-teresse. Ma forse non mancherà occasione. Di questomio libero discutere certo il G. non mi serberà rancore,qualunque sia l'apprezzamento che egli ne faccia.

In complesso il volume del G. mi sembra un acutosaggio di critica pedagogica, pieno di vita, di buon sen-so, di dottrina, e perciò di interessante ed utile letturaper qualunque persona colta e non soltanto per chis'avvii all'insegnamento o lo pratichi. Utile soprattuttoper la fiducia, che indirettamente inspira, dell'uomo insè medesimo. Ma esso è fondato sul principio della uni-tà del soggetto, che, se pur si presenta come valido mez-zo di eliminazione di parecchie difficoltà, a me sembra

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compiuta ed esatta. Se questa avesse fatta, il G. si sareb-be accorto, che, quando egli pone come un pregiudizioil dualismo educatore educando, nega senz'altro ognieducazione nel senso in cui questa parola ha un signifi-cato, ed un valore suo proprio, per ammetterla, se mai,solo in quanto l'educazione si identifica con qualunquealtro atto. Or quando di una qualche cosa od atto noi di-ciamo di occuparci, è chiaro che dobbiamo occuparci diesso in ciò che lo distingue da tutte le altre cose od atti,e non in ciò che lo accomuna. Se no, noi non parliamodi esso in quanto esso. Or la parola educare, se ha un si-gnificato distinto dalle altre parole, mi par che valgaproprio influire di un ente su di un altro ente, perchè, oalmeno soltanto in modo che, questo ne risulti sviluppa-to.

La tirannia dello spazio non mi consente di continua-re in questa come in altre discussioni certo di grande in-teresse. Ma forse non mancherà occasione. Di questomio libero discutere certo il G. non mi serberà rancore,qualunque sia l'apprezzamento che egli ne faccia.

In complesso il volume del G. mi sembra un acutosaggio di critica pedagogica, pieno di vita, di buon sen-so, di dottrina, e perciò di interessante ed utile letturaper qualunque persona colta e non soltanto per chis'avvii all'insegnamento o lo pratichi. Utile soprattuttoper la fiducia, che indirettamente inspira, dell'uomo insè medesimo. Ma esso è fondato sul principio della uni-tà del soggetto, che, se pur si presenta come valido mez-zo di eliminazione di parecchie difficoltà, a me sembra

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però proprio in contraddizione con l'ordine dei fatti chedeve spiegare. L'opposto principio, dirò col G., monado-logico presenta certo gravi difficoltà da superare, ma mipar proprio il presupposto del fatto stesso educativo.

II. (1915)LA DIDATTICA

1. La pedagogia è filosofia, perchè il farsi dello spiri-to è lo spirito stesso. Questo il G. aveva dimostrato nelvolume precedente (cfr. I).

In questo egli ci parla della Didattica, cioè della peda-gogia come didattica e quindi deve cominciare dal de-terminare la pedagogia nella sua distinzione dalla filoso-fia. «La pedagogia [filosofica] consiste nella riduzionedella pedagogia [empirica] alla filosofia» (p. 15).

La didattica (pedagogica e quindi filosofica) a suavolta consisterà perciò nella riduzione della didattica[empirica e quindi non pedagogica] alla pedagogia (equindi alla filosofia).

Questo mi pare il concetto fondamentale che il G.svolge nella introduzione, fondandolo su una concezio-ne dialettica della distinzione, sul concetto dello «spe-ciale» concepito come distinto dal «generale» solo «perla sua maggiore determinatezza derivante da nuove dif-ferenze dinamiche generatesi nell'intimo dello stessoconcetto generale» (p. 20), e sulla già affermata identitàdi intelletto e di volontà. Quest'ultima fa sì che il G. nonpossa concepire la didattica «come teoria della istruzio-

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però proprio in contraddizione con l'ordine dei fatti chedeve spiegare. L'opposto principio, dirò col G., monado-logico presenta certo gravi difficoltà da superare, ma mipar proprio il presupposto del fatto stesso educativo.

II. (1915)LA DIDATTICA

1. La pedagogia è filosofia, perchè il farsi dello spiri-to è lo spirito stesso. Questo il G. aveva dimostrato nelvolume precedente (cfr. I).

In questo egli ci parla della Didattica, cioè della peda-gogia come didattica e quindi deve cominciare dal de-terminare la pedagogia nella sua distinzione dalla filoso-fia. «La pedagogia [filosofica] consiste nella riduzionedella pedagogia [empirica] alla filosofia» (p. 15).

La didattica (pedagogica e quindi filosofica) a suavolta consisterà perciò nella riduzione della didattica[empirica e quindi non pedagogica] alla pedagogia (equindi alla filosofia).

Questo mi pare il concetto fondamentale che il G.svolge nella introduzione, fondandolo su una concezio-ne dialettica della distinzione, sul concetto dello «spe-ciale» concepito come distinto dal «generale» solo «perla sua maggiore determinatezza derivante da nuove dif-ferenze dinamiche generatesi nell'intimo dello stessoconcetto generale» (p. 20), e sulla già affermata identitàdi intelletto e di volontà. Quest'ultima fa sì che il G. nonpossa concepire la didattica «come teoria della istruzio-

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ne in senso stretto» (p. 19), e perciò, essendo essa unateoria della scuola, deve la scuola non essere altro chel'educazione stessa. E quindi non è scuola soltanto quel-la che si dice scuola. ma tutto è scuola; e la prima diffe-renzia dal resto solo per la consapevolezza che del suoessere acquista.

Dopo questa introduzione il G. passa ad una «Didat-tica Generale» che comprende «L'etica del sapere,L'unità del sapere come unità dello spirito, L'analisi del-lo spirito e L'analisi del sapere».

Essendo la didattica teoria della scuola e non essen-doci scuola senza disciplina (p. 31) bisogna anzituttoguardare che cosa è questa disciplina.

Il giudizio pratico non differisce dal teorico che per lasua concretezza; «il giudizio teorico, appunto perchèastratto, non esiste» (p. 38), e il riconoscimento praticodell'autorità, in cui consiste la disciplina, non è in fondoche il concreto giudizio di autorità (unità di legge e divolontà), che il soggetto universale, che si personificanel maestro, fa. Perciò «la disciplina non è il doveredello scolaro, ma il dovere; il dovere fondamentale delmaestro» (p. 42). Che deve fare il maestro per adempie-re questo dovere? «Esser uomo» (p. 50), cioè farsiuomo, «realizzare la natura umana, che è la stessa natu-ra dell'essere universale: lo spirito» (p. 51), e perciò«studiare, sui libri o sul gran libro del mondo, che sonotutti un solo libro, l'animo nostro» (p. 62). Così la disci-plina diviene la stessa scuola, in quanto «si può definirel'etica del sapere» (p. 54). Siccome però «l'indisciplina

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ne in senso stretto» (p. 19), e perciò, essendo essa unateoria della scuola, deve la scuola non essere altro chel'educazione stessa. E quindi non è scuola soltanto quel-la che si dice scuola. ma tutto è scuola; e la prima diffe-renzia dal resto solo per la consapevolezza che del suoessere acquista.

Dopo questa introduzione il G. passa ad una «Didat-tica Generale» che comprende «L'etica del sapere,L'unità del sapere come unità dello spirito, L'analisi del-lo spirito e L'analisi del sapere».

Essendo la didattica teoria della scuola e non essen-doci scuola senza disciplina (p. 31) bisogna anzituttoguardare che cosa è questa disciplina.

Il giudizio pratico non differisce dal teorico che per lasua concretezza; «il giudizio teorico, appunto perchèastratto, non esiste» (p. 38), e il riconoscimento praticodell'autorità, in cui consiste la disciplina, non è in fondoche il concreto giudizio di autorità (unità di legge e divolontà), che il soggetto universale, che si personificanel maestro, fa. Perciò «la disciplina non è il doveredello scolaro, ma il dovere; il dovere fondamentale delmaestro» (p. 42). Che deve fare il maestro per adempie-re questo dovere? «Esser uomo» (p. 50), cioè farsiuomo, «realizzare la natura umana, che è la stessa natu-ra dell'essere universale: lo spirito» (p. 51), e perciò«studiare, sui libri o sul gran libro del mondo, che sonotutti un solo libro, l'animo nostro» (p. 62). Così la disci-plina diviene la stessa scuola, in quanto «si può definirel'etica del sapere» (p. 54). Siccome però «l'indisciplina

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è immanente alla disciplina ed è suo antecedente neces-sario», così nasce la necessità del castigo. Laddove«quello che non può essere giustificato, è il premio, chesi risolve in una falsificazione dei fini etici immanentinell'attività spirituale, e quindi in una vera e propria cor-ruzione» (p. 62).

Così «lo studio del concetto di disciplina... ci ha fattoentrare nella teoria della istruzione» la quale richiede«l'unità dell'autocoscienza e della coscienza» (p. 65). «Ilsapere è generazione di se stesso» (p. 67) e perciò, con-tro ogni concezione realistica e quindi atomistica diesso, va concepito come uno e procedente per momentiinfiniti: esso è «realizzazione infinita della infinità» (p.77). Una cosiffatta realizzazione crea il carattere e susci-ta l'interesse, per cui «la coscienza del maestro è il mo-mento infinito della autocoscienza dello scolaro» (p. 82)e per cui l'educazione non è soltanto piacere o soltantosforzo, ma «è insieme e per lo stesso motivo attraente efaticosa» (p. 83). In questa realizzazione noi vediamocome ogni sapere è strumentale sì, ma è solo strumentodi se stesso, e perciò «ogni momento di esso, come mo-mento spirituale, è infinito... Anche il leggere e lo scri-vere, nell'attualità sua, è sapere, è spirito, e quindi è uninfinito e non può tenersi per strumento di nulla» (p.86).

Dal non vedere il sapere come tale realizzazione na-sce il doppio errore dell'analisi dello spirito e dell'analisidel sapere. Per il primo si cercano nello spirito le sue

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è immanente alla disciplina ed è suo antecedente neces-sario», così nasce la necessità del castigo. Laddove«quello che non può essere giustificato, è il premio, chesi risolve in una falsificazione dei fini etici immanentinell'attività spirituale, e quindi in una vera e propria cor-ruzione» (p. 62).

Così «lo studio del concetto di disciplina... ci ha fattoentrare nella teoria della istruzione» la quale richiede«l'unità dell'autocoscienza e della coscienza» (p. 65). «Ilsapere è generazione di se stesso» (p. 67) e perciò, con-tro ogni concezione realistica e quindi atomistica diesso, va concepito come uno e procedente per momentiinfiniti: esso è «realizzazione infinita della infinità» (p.77). Una cosiffatta realizzazione crea il carattere e susci-ta l'interesse, per cui «la coscienza del maestro è il mo-mento infinito della autocoscienza dello scolaro» (p. 82)e per cui l'educazione non è soltanto piacere o soltantosforzo, ma «è insieme e per lo stesso motivo attraente efaticosa» (p. 83). In questa realizzazione noi vediamocome ogni sapere è strumentale sì, ma è solo strumentodi se stesso, e perciò «ogni momento di esso, come mo-mento spirituale, è infinito... Anche il leggere e lo scri-vere, nell'attualità sua, è sapere, è spirito, e quindi è uninfinito e non può tenersi per strumento di nulla» (p.86).

Dal non vedere il sapere come tale realizzazione na-sce il doppio errore dell'analisi dello spirito e dell'analisidel sapere. Per il primo si cercano nello spirito le sue

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varie facoltà e quindi si pretende avere una diversa di-dattica per ciascuna di esse.

Per il secondo si fraziona il sapere nelle materied'insegnamento, si distingue dalla scienza il metodod'insegnamento di essa, si moltiplicano gli insegnanti inmodo che ciascuno si tenga stretto e limitato al suo cam-po e si discute se l'insegnamento debba essere ciclico oper gradi senza vedere che non può non essere l'uno el'altro insieme.

Perciò la didattica speciale (che costituisce la 2a partedel volume) il G. non può intenderla «nel senso ordina-rio di didattica delle varie facoltà e delle varie materied'insegnamento» (p. 141). Egli invece trova che c'è unadidattica speciale storica e una didattica speciale filo-sofica.

Della prima, che consiste nella stessa attualitàdell'insegnare, non possiamo dir nulla, giacchè «la di-dattica generale non trova se non quest'unico metodovero e ragionevole da raccomandare a ogni maestro: divolere fermamente, volere costantemente insegnare» (p.143). Una didattica speciale filosofica «non è stata maitentata, perchè non si è visto mai nettamente il caratterefilosofico del problema didattico» (p. 144). Essa è «fon-data sul concetto della unità dello spirito, che la nuovafilosofia sostituisce al vecchio concetto della classifica-zione delle scienze» (p. 245).

«Il problema della classificazione delle scienze è as-surdo» (p. 147). «E così alla didattica speciale delle fa-coltà e delle materie sottentra la didattica speciale delle

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varie facoltà e quindi si pretende avere una diversa di-dattica per ciascuna di esse.

Per il secondo si fraziona il sapere nelle materied'insegnamento, si distingue dalla scienza il metodod'insegnamento di essa, si moltiplicano gli insegnanti inmodo che ciascuno si tenga stretto e limitato al suo cam-po e si discute se l'insegnamento debba essere ciclico oper gradi senza vedere che non può non essere l'uno el'altro insieme.

Perciò la didattica speciale (che costituisce la 2a partedel volume) il G. non può intenderla «nel senso ordina-rio di didattica delle varie facoltà e delle varie materied'insegnamento» (p. 141). Egli invece trova che c'è unadidattica speciale storica e una didattica speciale filo-sofica.

Della prima, che consiste nella stessa attualitàdell'insegnare, non possiamo dir nulla, giacchè «la di-dattica generale non trova se non quest'unico metodovero e ragionevole da raccomandare a ogni maestro: divolere fermamente, volere costantemente insegnare» (p.143). Una didattica speciale filosofica «non è stata maitentata, perchè non si è visto mai nettamente il caratterefilosofico del problema didattico» (p. 144). Essa è «fon-data sul concetto della unità dello spirito, che la nuovafilosofia sostituisce al vecchio concetto della classifica-zione delle scienze» (p. 245).

«Il problema della classificazione delle scienze è as-surdo» (p. 147). «E così alla didattica speciale delle fa-coltà e delle materie sottentra la didattica speciale delle

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forme dello spirito» (p. 152). Ora il ritmo per cui lo spi-rito «si determina distinguendosi sempre in un modo de-terminato» (p. 152), «si dispiega evidentemente per tremomenti distinti: giacchè il reale che si idealizza perrealizzarsi, importa: 1° il reale, 2° l'ideale, e 3° l'unitàdel reale e dell'ideale». «Il ritmo, adunque, significaun'unità viva, o una sintesi a priori, necessaria, di duetermini che nella sintesi hanno la loro concretezza erealtà» (p. 154). Le tre forme di tal ritmo sono l'io, ilnon-io e l'unità loro e «noi ordinariamente le chiamiamoarte, religione e filosofia, quando non intendiamo conquesti tre termini tre prodotti spirituali (tre materie delladidattica), ma tre categorie spirituali... tre aspetti assuntidall'unica attività dello spirito nel suo ritmico processoin modo che ciascuno di essi si vegga quando si sia giàsuperato» (p. 155). Perciò «la didattica generale si spe-cifica nella didattica dell'arte, nella didattica della reli-gione e nella didattica della filosofia» (p. 160). La prima«consiste nello svolgimento dello spirito come arte, opura soggettività» ed è «la forma fondamentaledell'insegnamento» (p. 162). «Ogni insegnamento, comeinsegnamento estetico, è costituzione dell'umana perso-nalità» (p. 164). Quando ciò si dimentica, ogni insegna-mento, che pur dovrebbe essere estetico, finisce conl'essere la cosa più antiestetica. Così la calligrafia; cosìil comporre a tema obbligato; così la lettura di un libroche non interessi. «Qualunque sia lo strumento adopera-to, l'attività educatrice deve in primo luogo essere attivi-tà formatrice dello spirito quale soggettività pura (p.

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forme dello spirito» (p. 152). Ora il ritmo per cui lo spi-rito «si determina distinguendosi sempre in un modo de-terminato» (p. 152), «si dispiega evidentemente per tremomenti distinti: giacchè il reale che si idealizza perrealizzarsi, importa: 1° il reale, 2° l'ideale, e 3° l'unitàdel reale e dell'ideale». «Il ritmo, adunque, significaun'unità viva, o una sintesi a priori, necessaria, di duetermini che nella sintesi hanno la loro concretezza erealtà» (p. 154). Le tre forme di tal ritmo sono l'io, ilnon-io e l'unità loro e «noi ordinariamente le chiamiamoarte, religione e filosofia, quando non intendiamo conquesti tre termini tre prodotti spirituali (tre materie delladidattica), ma tre categorie spirituali... tre aspetti assuntidall'unica attività dello spirito nel suo ritmico processoin modo che ciascuno di essi si vegga quando si sia giàsuperato» (p. 155). Perciò «la didattica generale si spe-cifica nella didattica dell'arte, nella didattica della reli-gione e nella didattica della filosofia» (p. 160). La prima«consiste nello svolgimento dello spirito come arte, opura soggettività» ed è «la forma fondamentaledell'insegnamento» (p. 162). «Ogni insegnamento, comeinsegnamento estetico, è costituzione dell'umana perso-nalità» (p. 164). Quando ciò si dimentica, ogni insegna-mento, che pur dovrebbe essere estetico, finisce conl'essere la cosa più antiestetica. Così la calligrafia; cosìil comporre a tema obbligato; così la lettura di un libroche non interessi. «Qualunque sia lo strumento adopera-to, l'attività educatrice deve in primo luogo essere attivi-tà formatrice dello spirito quale soggettività pura (p.

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182). «Per didattica della religione si intende la teoriadell'insegnamento come svolgimento dello spirito inquanto pura oggettività» (p. 183). «Il Dio, di cui qui sitratta, è l'oggetto in cui il soggetto non si riconosce, o laforma della pura oggettività» (p. 184). «Tutto quello checonosciamo, è oggetto ed è perciò divino» (p. 187). Per-ciò mentre «l'arte si chiude nella certezza»; «la religioneaspira alla verità; e il grande valore del nostro insegna-mento religioso dipende dal grande valore del culto del-la verità» (p. 197). «Se l'insegnamento estetico par chesi concentri nell'insegnamento letterario, e dell'arte ingenerale, questo religioso pare che si concentri princi-palmente nell'insegnamento scientifico» (p. 199). Mapoi «la religione si differenzia nel seno della religiosità»(p. 208). «La scienza è appunto quel regresso da causa acausa della causa, che non può aver mai fine; la religio-ne, che è ignoranza rispetto alla scienza, non è regressonè progresso, ma rinunzia fin da principio a ogni proces-so, ad uscire comunque dal fatto da spiegare per ispie-garlo». «Sicchè scienza e religione, mentre si combatto-no, sono d'accordo nel principio, che è la inintelligibilitàassoluta del fatto» (p. 211). «Scienza e religione... sonooriginariamente una medesima forma spirituale». E sic-come «l'espressione schietta di questa forma, in cui l'Iosi fa assoluto oggetto, è rimasta rappresentata dalla se-conda», a questa «a tal titolo spetta un luogo nella scuo-la» (p. 212).

Però «l'insegnamento religioso, come l'insegnamentoartistico, è una forma astratta dell'insegnamento» (p.

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182). «Per didattica della religione si intende la teoriadell'insegnamento come svolgimento dello spirito inquanto pura oggettività» (p. 183). «Il Dio, di cui qui sitratta, è l'oggetto in cui il soggetto non si riconosce, o laforma della pura oggettività» (p. 184). «Tutto quello checonosciamo, è oggetto ed è perciò divino» (p. 187). Per-ciò mentre «l'arte si chiude nella certezza»; «la religioneaspira alla verità; e il grande valore del nostro insegna-mento religioso dipende dal grande valore del culto del-la verità» (p. 197). «Se l'insegnamento estetico par chesi concentri nell'insegnamento letterario, e dell'arte ingenerale, questo religioso pare che si concentri princi-palmente nell'insegnamento scientifico» (p. 199). Mapoi «la religione si differenzia nel seno della religiosità»(p. 208). «La scienza è appunto quel regresso da causa acausa della causa, che non può aver mai fine; la religio-ne, che è ignoranza rispetto alla scienza, non è regressonè progresso, ma rinunzia fin da principio a ogni proces-so, ad uscire comunque dal fatto da spiegare per ispie-garlo». «Sicchè scienza e religione, mentre si combatto-no, sono d'accordo nel principio, che è la inintelligibilitàassoluta del fatto» (p. 211). «Scienza e religione... sonooriginariamente una medesima forma spirituale». E sic-come «l'espressione schietta di questa forma, in cui l'Iosi fa assoluto oggetto, è rimasta rappresentata dalla se-conda», a questa «a tal titolo spetta un luogo nella scuo-la» (p. 212).

Però «l'insegnamento religioso, come l'insegnamentoartistico, è una forma astratta dell'insegnamento» (p.

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218). Basta guardare quel che realmente è l'arte e la reli-gione per vedere «quel che pareva unicamente religione,mutarsi in arte... e l'arte mutarsi in religione senza cessa-re di essere arte» (p. 223). Di qui la necessità di una su-periore didattica che è quella della filosofia. «Il vero in-segnamento non è la costituzione dell'Io come persona-lità, nè la costituzione dell'Io come oggetto o mondo;ma la costituzione della personalità del mondo, o delmondo della personalità» (p. 224). «Nè si opponga cheneanche la filosofia basta alla soddisfazione di tutte leesigenze dello spirito, poichè la filosofia è semplice spe-culazione...» (p. 227). La filosofia, di cui qui si intendeparlare, non è «concepita come teoria opposta alla vita»ma «come la stessa natura dell'animo nostro»; «nascecon noi ed è noi stessi» (p. 228). «Il porro unum perciòdella vera e schietta preparazione del maestro... è questoconcetto chiaro... della realtà, che nella filosofia ci apregli occhi» (p. 230); «la sola compiuta didattica è... la fi-losofia... la moralità della scuola, cioè del maestro» (p.231). «E la scuola morale è la scuola critica d'ogni purasoggettività o d'ogni pura oggettività, in cui a volta avolta tende a paralizzarsi il ritmo della vita spirituale».«Questa critica è la cosa più semplice di questo mondo»(p. 237); ma «è anche la più difficile impresa in cui sitravagli la mente umana» (p. 239). «Questo capire è tut-to ciò che c'è da fare a questo mondo» (p. 239); «èl'eterno processo; per cui sempre si capisce, e non si ca-pisce mai» (p. 240).

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218). Basta guardare quel che realmente è l'arte e la reli-gione per vedere «quel che pareva unicamente religione,mutarsi in arte... e l'arte mutarsi in religione senza cessa-re di essere arte» (p. 223). Di qui la necessità di una su-periore didattica che è quella della filosofia. «Il vero in-segnamento non è la costituzione dell'Io come persona-lità, nè la costituzione dell'Io come oggetto o mondo;ma la costituzione della personalità del mondo, o delmondo della personalità» (p. 224). «Nè si opponga cheneanche la filosofia basta alla soddisfazione di tutte leesigenze dello spirito, poichè la filosofia è semplice spe-culazione...» (p. 227). La filosofia, di cui qui si intendeparlare, non è «concepita come teoria opposta alla vita»ma «come la stessa natura dell'animo nostro»; «nascecon noi ed è noi stessi» (p. 228). «Il porro unum perciòdella vera e schietta preparazione del maestro... è questoconcetto chiaro... della realtà, che nella filosofia ci apregli occhi» (p. 230); «la sola compiuta didattica è... la fi-losofia... la moralità della scuola, cioè del maestro» (p.231). «E la scuola morale è la scuola critica d'ogni purasoggettività o d'ogni pura oggettività, in cui a volta avolta tende a paralizzarsi il ritmo della vita spirituale».«Questa critica è la cosa più semplice di questo mondo»(p. 237); ma «è anche la più difficile impresa in cui sitravagli la mente umana» (p. 239). «Questo capire è tut-to ciò che c'è da fare a questo mondo» (p. 239); «èl'eterno processo; per cui sempre si capisce, e non si ca-pisce mai» (p. 240).

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«La didattica muore dunque rinascendo nella filoso-fia; in una filosofia che non rimane, come la vecchia di-dattica, esterna legislatrice della scuola, ma si fa leggeintima della scuola stessa: l'anima del maestro che èuomo di buona volontà» (p. 242).

2. Con tali parole il G. mette fine al suo bel volume.E ad esse non può non consentire chiunque intenda checosa dica il G. dicendo filosofia e chiunque sappia vera-mente, e per pratica e per riflessione, che cosa sia edu-care.

Io ho finora riassunto il pensiero dell'A.; dovrei oradiscuterlo. Una tale discussione però, se compiuta edesauriente, importerebbe un volume non minore – dimole, intendo – di quello del G. stesso. Mi fermerò per-ciò solo a discutere alcune quistioni tra quelle in cui iosento di non poter convenire col G. Dei tanti punti in cuiconsento, e per i quali mi par che il volume sia ancheuna buona azione e un grande servizio reso alla scuolacol rompere l'alto sonno nella testa ai ripetitori meccani-ci di lezioni ed ai timidi curatori e conservatori di unamorta calma spirituale sotto forma di gradevolezza e fa-cilità, certo sarebbe anche utile discutere; ma senza dub-bio più utile è la discussione là dove si dissente.

Non discuterò le tre forme della attività dello spiritonella loro derivazione dalla natura sintetica del suo atto:sarebbe un discutere tutta la concezione filosofica del G.nella sua giustificazione e nelle sue conseguenze. Ma ame pare che il bisogno di inquadrare l'attività spirituale

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«La didattica muore dunque rinascendo nella filoso-fia; in una filosofia che non rimane, come la vecchia di-dattica, esterna legislatrice della scuola, ma si fa leggeintima della scuola stessa: l'anima del maestro che èuomo di buona volontà» (p. 242).

2. Con tali parole il G. mette fine al suo bel volume.E ad esse non può non consentire chiunque intenda checosa dica il G. dicendo filosofia e chiunque sappia vera-mente, e per pratica e per riflessione, che cosa sia edu-care.

Io ho finora riassunto il pensiero dell'A.; dovrei oradiscuterlo. Una tale discussione però, se compiuta edesauriente, importerebbe un volume non minore – dimole, intendo – di quello del G. stesso. Mi fermerò per-ciò solo a discutere alcune quistioni tra quelle in cui iosento di non poter convenire col G. Dei tanti punti in cuiconsento, e per i quali mi par che il volume sia ancheuna buona azione e un grande servizio reso alla scuolacol rompere l'alto sonno nella testa ai ripetitori meccani-ci di lezioni ed ai timidi curatori e conservatori di unamorta calma spirituale sotto forma di gradevolezza e fa-cilità, certo sarebbe anche utile discutere; ma senza dub-bio più utile è la discussione là dove si dissente.

Non discuterò le tre forme della attività dello spiritonella loro derivazione dalla natura sintetica del suo atto:sarebbe un discutere tutta la concezione filosofica del G.nella sua giustificazione e nelle sue conseguenze. Ma ame pare che il bisogno di inquadrare l'attività spirituale

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umana in questa triplice forma abbia qualche volta con-dotto il G. a falsare o almeno a non vedere compiuta-mente la natura delle determinazioni, che comunementesi danno della attività stessa. Fermiamoci un po' sullanatura della religione.

Senza dubbio chi dice religione dice attività spiritua-le, se ritiene la religione un qualche cosa. Ora per il G.la religione è un qualche cosa: è un momento essenzialedell'atto sintetico dello spirito, il momento dell'oggetti-vità. Lo spirito, che, nella sua spontaneità creatrice, og-gettiva e quindi idealizza sè, fermato in questa idealitàche è l'oggetto, è religione. La religione per ciò è laschietta oggettività così come l'arte è la schietta sogget-tività. Però la religione, così genericamente intesa, si de-termina in scienza, storia o più propriamente tradizione,e religione in istretto senso, secondo che l'oggetto è ilfatto conosciuto nella sua individualità di fatto, ovvero èil fatto riconosciuto come un antecedente di noi uomini,ovvero infine è il fatto riconosciuto nella sua schiettanatura di fatto, e perciò non conosciuto, cioè riconosciu-to come mistero. E che questa forma dello spirito debbadirsi religiosa e non scientifica o storica risulta dall'esse-re la religione l'espressione più genuina di essa in quan-to dà del fatto la vera natura cioè l'inconoscibilità, il mi-stero.

Appunto per questa inconoscibilità del fatto come fat-to il processo conoscitivo si risolve in un «movimentodell'oggetto che di noto diventa ignoto» (p. 187). Il mo-mento in cui noi diciamo di conoscere un oggetto, è pro-

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umana in questa triplice forma abbia qualche volta con-dotto il G. a falsare o almeno a non vedere compiuta-mente la natura delle determinazioni, che comunementesi danno della attività stessa. Fermiamoci un po' sullanatura della religione.

Senza dubbio chi dice religione dice attività spiritua-le, se ritiene la religione un qualche cosa. Ora per il G.la religione è un qualche cosa: è un momento essenzialedell'atto sintetico dello spirito, il momento dell'oggetti-vità. Lo spirito, che, nella sua spontaneità creatrice, og-gettiva e quindi idealizza sè, fermato in questa idealitàche è l'oggetto, è religione. La religione per ciò è laschietta oggettività così come l'arte è la schietta sogget-tività. Però la religione, così genericamente intesa, si de-termina in scienza, storia o più propriamente tradizione,e religione in istretto senso, secondo che l'oggetto è ilfatto conosciuto nella sua individualità di fatto, ovvero èil fatto riconosciuto come un antecedente di noi uomini,ovvero infine è il fatto riconosciuto nella sua schiettanatura di fatto, e perciò non conosciuto, cioè riconosciu-to come mistero. E che questa forma dello spirito debbadirsi religiosa e non scientifica o storica risulta dall'esse-re la religione l'espressione più genuina di essa in quan-to dà del fatto la vera natura cioè l'inconoscibilità, il mi-stero.

Appunto per questa inconoscibilità del fatto come fat-to il processo conoscitivo si risolve in un «movimentodell'oggetto che di noto diventa ignoto» (p. 187). Il mo-mento in cui noi diciamo di conoscere un oggetto, è pro-

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prio quello in cui quell'oggetto per noi è morto, è un mi-stero. Noi conosciamo il nostro oggetto, fintantochè sia-mo in esso facendolo, cioè siamo soggetto. «L'ignoto èl'oggetto che si è distaccato dal soggetto: l'atto che si èquasi raffreddato, ed è divenuto un fatto» (p. 189). Cosìogni conoscenza, se è conoscenza di fatti, si risolve inuna non conoscenza; giacchè la conoscenza non è teore-tica, è pratica: conoscere è creare l'oggetto. Si potrebbedimostrare come da ciò debba risultare la falsità o alme-no l'illusorietà di ogni conoscenza concettuale, e quindiil chiudersi della conoscenza in qualcosa di molto similealla intuizione bergsoniana. Ma non vogliamo entrare inuna discussione gnoseologica, che importerebbe primaquella, che abbiam detto di voler evitare, intorno alleforme della attività dello spirito.

Domandiamo invece: si può veramente quella che co-munemente si intende per religione racchiudersi in co-siffatta forma di oggettività? Dove sarebbe quella perso-nalità trascendente, in cui si racchiude il divino e che èil vero e proprio oggetto di ogni attività religiosa? Onoi, spirito, veramente ci chiudiamo nell'oggetto cometale e non lo riviviamo come nostro atto creativo, ma loriconosciamo solo come oggetto, come morta creatura,ed allora ci troviamo tutt'altro che dinanzi al divino: citroviamo proprio dinanzi a ciò che postula il divino, di-nanzi alla creatura che postula il creatore. O invece noiriviviamo l'oggetto come nostro atto creativo e alloranon siamo più nella forma religiosa che il G. ci presentadello spirito, ma nella forma filosofica. Spiegare la reli-

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prio quello in cui quell'oggetto per noi è morto, è un mi-stero. Noi conosciamo il nostro oggetto, fintantochè sia-mo in esso facendolo, cioè siamo soggetto. «L'ignoto èl'oggetto che si è distaccato dal soggetto: l'atto che si èquasi raffreddato, ed è divenuto un fatto» (p. 189). Cosìogni conoscenza, se è conoscenza di fatti, si risolve inuna non conoscenza; giacchè la conoscenza non è teore-tica, è pratica: conoscere è creare l'oggetto. Si potrebbedimostrare come da ciò debba risultare la falsità o alme-no l'illusorietà di ogni conoscenza concettuale, e quindiil chiudersi della conoscenza in qualcosa di molto similealla intuizione bergsoniana. Ma non vogliamo entrare inuna discussione gnoseologica, che importerebbe primaquella, che abbiam detto di voler evitare, intorno alleforme della attività dello spirito.

Domandiamo invece: si può veramente quella che co-munemente si intende per religione racchiudersi in co-siffatta forma di oggettività? Dove sarebbe quella perso-nalità trascendente, in cui si racchiude il divino e che èil vero e proprio oggetto di ogni attività religiosa? Onoi, spirito, veramente ci chiudiamo nell'oggetto cometale e non lo riviviamo come nostro atto creativo, ma loriconosciamo solo come oggetto, come morta creatura,ed allora ci troviamo tutt'altro che dinanzi al divino: citroviamo proprio dinanzi a ciò che postula il divino, di-nanzi alla creatura che postula il creatore. O invece noiriviviamo l'oggetto come nostro atto creativo e alloranon siamo più nella forma religiosa che il G. ci presentadello spirito, ma nella forma filosofica. Spiegare la reli-

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gione è dimostrare la possibilità o l'impossibilità di unsoggetto trascendente, dinanzi al quale si prostri o si an-nulli il soggetto particolare. Quando lo spirito «vedel'oggetto innanzi a sè, non vedendo sè stesso» (p. 186),non è in attitudine religiosa, in attitudine di adorazione,è soltanto in attitudine di conoscenza. Perciò se questaforma dello spirito mi spiega la scienza, non mi spiegala religione. Non è vero che «il divino non è se nonl'oggetto come tale» (p. 186), neppure se ammettiamo,come il G. ammette, che l'oggetto in quanto puro ogget-to è infinito anche se «sia una goccia d'acqua». Che Diosia infinito non vuol dire che l'infinito sia Dio. Il Diodella religione è la persona dinanzi a cui ci prostriamo,non è la cosa che non conosciamo. E il mistero delle re-ligioni non sta tanto nell'affermare l'inconoscibilitàdell'oggetto creduto, quanto nel determinarne la perso-nalità e l'attività in un modo sconosciuto. Tutti i misteridicono qualche cosa: il vero mistero non dovrebbe dirnulla. Se la religione, quindi, è mistero, non è nulla; sela religione è qualche cosa, è qualcosa più o qualcosad'altro che un mistero. Se intendiamo ridurre a nulla lareligione riducendola a mistero, ci incombe l'obbligo didimostrare che essa non sia che mistero cioè non sianulla. La via presa dal G. per tale dimostrazione nonpare concludente, perchè i sostenitori della religione po-trebbero cominciare col contestargli che sia religionequella che egli presenta.

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gione è dimostrare la possibilità o l'impossibilità di unsoggetto trascendente, dinanzi al quale si prostri o si an-nulli il soggetto particolare. Quando lo spirito «vedel'oggetto innanzi a sè, non vedendo sè stesso» (p. 186),non è in attitudine religiosa, in attitudine di adorazione,è soltanto in attitudine di conoscenza. Perciò se questaforma dello spirito mi spiega la scienza, non mi spiegala religione. Non è vero che «il divino non è se nonl'oggetto come tale» (p. 186), neppure se ammettiamo,come il G. ammette, che l'oggetto in quanto puro ogget-to è infinito anche se «sia una goccia d'acqua». Che Diosia infinito non vuol dire che l'infinito sia Dio. Il Diodella religione è la persona dinanzi a cui ci prostriamo,non è la cosa che non conosciamo. E il mistero delle re-ligioni non sta tanto nell'affermare l'inconoscibilitàdell'oggetto creduto, quanto nel determinarne la perso-nalità e l'attività in un modo sconosciuto. Tutti i misteridicono qualche cosa: il vero mistero non dovrebbe dirnulla. Se la religione, quindi, è mistero, non è nulla; sela religione è qualche cosa, è qualcosa più o qualcosad'altro che un mistero. Se intendiamo ridurre a nulla lareligione riducendola a mistero, ci incombe l'obbligo didimostrare che essa non sia che mistero cioè non sianulla. La via presa dal G. per tale dimostrazione nonpare concludente, perchè i sostenitori della religione po-trebbero cominciare col contestargli che sia religionequella che egli presenta.

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3. Per quanto riguarda poi lo spirito filosofico infor-matore di tutto il lavoro, a me pare che in questo secon-do volume, mentre sostanzialmente si mantiene o si haintenzione di mantenere la dottrina già svolta nel primo,c'è come un inizio di superamento di questa in una co-scienza più profonda delle esigenze rimaste insoddisfat-te.

Il punto fondamentale, per il quale la dottrina del G.mi par che non risponda ad una compiuta e coerenteconcezione della realtà, è l'assoluta unità del soggetto equindi l'assoluta unità dell'atto sintetico dello spirito.

In questo volume il G. sente più vivamente l'esigenzadella molteplicità e della diversità.

Di qui l'affacciarsi, come per una logica insita allarealtà stessa delle cose pensate, come per una diretta in-tuizione della realtà, che si sente a disagio negli schemicreatisi, l'affacciarsi di concetti implicanti la negazionedell'unico soggetto assoluto ed affermanti la molteplicitàanche dei soggetti, anche nei soggetti; di qui un farsi piùreale della natura, un fatto che è un risultato dell'atto, eche, una volta fatto, ha una sua speciale realtà di fatto,che il G. dice idealità.

E ciò non soltanto in singoli argomenti e concetti, chesarebbe lungo cogliere qua e là nell'impeto della esposi-zione ed approfondire nel loro proprio valore, ma anchenella concezione generale della didattica speciale.

Ammettiamo pure che arte e religione siano momentiastratti dello spirito che nella sua integrità è filosofia,cioè è compiuto ritmo dello spirito. Ma siamo noi o non

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3. Per quanto riguarda poi lo spirito filosofico infor-matore di tutto il lavoro, a me pare che in questo secon-do volume, mentre sostanzialmente si mantiene o si haintenzione di mantenere la dottrina già svolta nel primo,c'è come un inizio di superamento di questa in una co-scienza più profonda delle esigenze rimaste insoddisfat-te.

Il punto fondamentale, per il quale la dottrina del G.mi par che non risponda ad una compiuta e coerenteconcezione della realtà, è l'assoluta unità del soggetto equindi l'assoluta unità dell'atto sintetico dello spirito.

In questo volume il G. sente più vivamente l'esigenzadella molteplicità e della diversità.

Di qui l'affacciarsi, come per una logica insita allarealtà stessa delle cose pensate, come per una diretta in-tuizione della realtà, che si sente a disagio negli schemicreatisi, l'affacciarsi di concetti implicanti la negazionedell'unico soggetto assoluto ed affermanti la molteplicitàanche dei soggetti, anche nei soggetti; di qui un farsi piùreale della natura, un fatto che è un risultato dell'atto, eche, una volta fatto, ha una sua speciale realtà di fatto,che il G. dice idealità.

E ciò non soltanto in singoli argomenti e concetti, chesarebbe lungo cogliere qua e là nell'impeto della esposi-zione ed approfondire nel loro proprio valore, ma anchenella concezione generale della didattica speciale.

Ammettiamo pure che arte e religione siano momentiastratti dello spirito che nella sua integrità è filosofia,cioè è compiuto ritmo dello spirito. Ma siamo noi o non

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siamo qualche volta e alcuni artisti e altra volta e altriscienziati? Sì, è vero, noi artisti siamo anche scienziati,ma di questo nostro ritenerci viventi in un momentoastratto dello spirito, deve pur esserci una ragione.

Della astrazione deve esserci una speciale realtà. Equando questa speciale realtà cerchiamo di cogliere, noivediamo che la vera concreta realtà è proprio questaastrazione. Il filosofo che vuol vivere la realtà nella suainterezza e che quindi vuol riunire tutte le astrazioni nel-la concretezza del suo universo si sforza invano di riu-scire rimanendo nella piena concretezza e vi riesce solonella misura in cui sa, di quella universa concretezza,fare la sua propria astrazione. L'esistenza stessa quindidi una filosofia, che affermi la concretezza della realtà,importa nel suo stesso essere la realtà della astrazione. Ètanto vero che la filosofia non è la realtà, che lo stessoG. sa, che, scrivendo e trattando filosofia, non deve scri-vere e trattare arte o scienza e riconosce come scienziatoo artista chi tratta arte o scienza; con questo riconosci-mento egli dà alla sua filosofia la stessa concretezza chedà alla scienza ed all'arte di quegli altri. E siccome que-sta arte e questa scienza in quanto tali sono momentiastratti del ritmo spirituale, così la filosofia in quantotale è momento astratto dello stesso ritmo. Cioè quel rit-mo veramente non vive che in momenti astratti, ed essonon ne costituisce altro che la formale unità. Quandosiam pervenuti a questo punto, vediamo allora che quelliche dicevamo momenti astratti sono in realtà gli atticoncreti e quell'unico atto concreto non è invece che

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siamo qualche volta e alcuni artisti e altra volta e altriscienziati? Sì, è vero, noi artisti siamo anche scienziati,ma di questo nostro ritenerci viventi in un momentoastratto dello spirito, deve pur esserci una ragione.

Della astrazione deve esserci una speciale realtà. Equando questa speciale realtà cerchiamo di cogliere, noivediamo che la vera concreta realtà è proprio questaastrazione. Il filosofo che vuol vivere la realtà nella suainterezza e che quindi vuol riunire tutte le astrazioni nel-la concretezza del suo universo si sforza invano di riu-scire rimanendo nella piena concretezza e vi riesce solonella misura in cui sa, di quella universa concretezza,fare la sua propria astrazione. L'esistenza stessa quindidi una filosofia, che affermi la concretezza della realtà,importa nel suo stesso essere la realtà della astrazione. Ètanto vero che la filosofia non è la realtà, che lo stessoG. sa, che, scrivendo e trattando filosofia, non deve scri-vere e trattare arte o scienza e riconosce come scienziatoo artista chi tratta arte o scienza; con questo riconosci-mento egli dà alla sua filosofia la stessa concretezza chedà alla scienza ed all'arte di quegli altri. E siccome que-sta arte e questa scienza in quanto tali sono momentiastratti del ritmo spirituale, così la filosofia in quantotale è momento astratto dello stesso ritmo. Cioè quel rit-mo veramente non vive che in momenti astratti, ed essonon ne costituisce altro che la formale unità. Quandosiam pervenuti a questo punto, vediamo allora che quelliche dicevamo momenti astratti sono in realtà gli atticoncreti e quell'unico atto concreto non è invece che

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l'astratta unità loro. Le parti sono invertite, ma la realtàresta la stessa: c'è una astrazione e una concretezza, unaunità e una molteplicità che si integrano necessariamen-te l'una con l'altra. Nessuna di esse è eliminabile o deri-vabile dall'altra. È vero: partendo da una fondamentaleed assoluta molteplicità, sia questa di atomi, di enti, o diatti, non riuscirete a ricostruire l'universo, la realtà,l'essere nella sua unità; ma parimenti partendo dalla as-soluta unità come vera e piena concretezza non riuscire-te neppure a spiegarmi gli atti infiniti e vari in cui quellaunità si realizza.

Quando ciò avremo ben compreso, troveremo chequelle analisi dello spirito e quelle analisi del sapere nonsono poi quegli assurdi problemi che si vogliono in essevedere. Saranno assurde le posizioni e le soluzioni fino-ra date di essi problemi, ma non sono assurde le esigen-ze, a soddisfare le quali quei problemi furono così postie risoluti. Bisognerà quindi rifarsi da capo nella posizio-ne e nella soluzione di essi, ma non si può abbandonarli.

4. Così anche non è un risolvere il problema del rap-porto tra la scuola e la vita, il dire che la scuola è vita (p.232-234). D'accordo; e ciò non negheranno neppure co-loro che sostengono che la scuola è preparazione allavita; se qualcosa si fa, bisogna ben che si sia vivi. Maqui si tratta di sapere se la scuola, in quanto organismoavente speciali caratteri – ed io consento col G. che ilfondamentale sia quello della coscienza che essa ha disè come formatrice dell'uomo – non abbia anche perciò

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l'astratta unità loro. Le parti sono invertite, ma la realtàresta la stessa: c'è una astrazione e una concretezza, unaunità e una molteplicità che si integrano necessariamen-te l'una con l'altra. Nessuna di esse è eliminabile o deri-vabile dall'altra. È vero: partendo da una fondamentaleed assoluta molteplicità, sia questa di atomi, di enti, o diatti, non riuscirete a ricostruire l'universo, la realtà,l'essere nella sua unità; ma parimenti partendo dalla as-soluta unità come vera e piena concretezza non riuscire-te neppure a spiegarmi gli atti infiniti e vari in cui quellaunità si realizza.

Quando ciò avremo ben compreso, troveremo chequelle analisi dello spirito e quelle analisi del sapere nonsono poi quegli assurdi problemi che si vogliono in essevedere. Saranno assurde le posizioni e le soluzioni fino-ra date di essi problemi, ma non sono assurde le esigen-ze, a soddisfare le quali quei problemi furono così postie risoluti. Bisognerà quindi rifarsi da capo nella posizio-ne e nella soluzione di essi, ma non si può abbandonarli.

4. Così anche non è un risolvere il problema del rap-porto tra la scuola e la vita, il dire che la scuola è vita (p.232-234). D'accordo; e ciò non negheranno neppure co-loro che sostengono che la scuola è preparazione allavita; se qualcosa si fa, bisogna ben che si sia vivi. Maqui si tratta di sapere se la scuola, in quanto organismoavente speciali caratteri – ed io consento col G. che ilfondamentale sia quello della coscienza che essa ha disè come formatrice dell'uomo – non abbia anche perciò

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degli speciali rapporti con la rimanente vita. Se questispeciali rapporti non ha e quindi non ha speciali fini, senon è che vivere, perchè mai abbiamo bisogno di unascuola? E perchè mai riteniamo di averne bisogno pro-prio per vivere? Non è tempo perduto la scuola che siasoltanto vita e niente affatto preparazione alla vita? Nonè quindi esatto, pur racchiudendo molta verità, chel'astrattezza della scuola consista «nel non sentirvisi l'Ioquello stesso Io che esso è fuori della scuola» (p. 234).Appunto perchè è nella scuola, bisogna che si senta di-verso, pur senza dimenticarsi o smentirsi affatto; perchè,se no, non ci sarebbe la lezione, non ci sarebbe l'inse-gnamento. Un maestro, sia esso di prima elementare odi qualunque istituto superiore, che creda di insegnarecosì come conversa fuori della scuola, non sarà nè buonconversatore nè buon maestro. Mancherà alla sua con-versazione quella certa briosa leggerezza, che, senza es-ser frivola, attira le simpatie e suscita l'interesse del con-versare; mancherà alla sua lezione quell'anima poderosache, nella intensa vita che ha del proprio oggetto, destail massimo sforzo possibile e trascina ad una sempremaggiore comprensione, ad un capire sempre più arduoche stanca, magari estenua, ma non annoia, e suscitacosì l'interesse dell'apprendere. Seguiamo il G.nell'esempio che egli dà. «In iscuola si legge d'un bimboche attraversa il bosco di notte, e urlava il vento, e a luipareva urlassero i lupi, e ne fu tutto atterrito. Scuolaastratta è quella in cui gli scolaretti per questa letturanon sono atterriti, perchè la lettura serve alla conoscen-

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degli speciali rapporti con la rimanente vita. Se questispeciali rapporti non ha e quindi non ha speciali fini, senon è che vivere, perchè mai abbiamo bisogno di unascuola? E perchè mai riteniamo di averne bisogno pro-prio per vivere? Non è tempo perduto la scuola che siasoltanto vita e niente affatto preparazione alla vita? Nonè quindi esatto, pur racchiudendo molta verità, chel'astrattezza della scuola consista «nel non sentirvisi l'Ioquello stesso Io che esso è fuori della scuola» (p. 234).Appunto perchè è nella scuola, bisogna che si senta di-verso, pur senza dimenticarsi o smentirsi affatto; perchè,se no, non ci sarebbe la lezione, non ci sarebbe l'inse-gnamento. Un maestro, sia esso di prima elementare odi qualunque istituto superiore, che creda di insegnarecosì come conversa fuori della scuola, non sarà nè buonconversatore nè buon maestro. Mancherà alla sua con-versazione quella certa briosa leggerezza, che, senza es-ser frivola, attira le simpatie e suscita l'interesse del con-versare; mancherà alla sua lezione quell'anima poderosache, nella intensa vita che ha del proprio oggetto, destail massimo sforzo possibile e trascina ad una sempremaggiore comprensione, ad un capire sempre più arduoche stanca, magari estenua, ma non annoia, e suscitacosì l'interesse dell'apprendere. Seguiamo il G.nell'esempio che egli dà. «In iscuola si legge d'un bimboche attraversa il bosco di notte, e urlava il vento, e a luipareva urlassero i lupi, e ne fu tutto atterrito. Scuolaastratta è quella in cui gli scolaretti per questa letturanon sono atterriti, perchè la lettura serve alla conoscen-

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za dei vocaboli, alla ripetizione della grammatica e altrifini estrinseci alla realtà spirituale di cui si tratta nel li-bro» (p. 234). Certo, se noi leggiamo quel racconto perintenderne, viverne il contenuto, e non lo facciamo sen-tire, siamo senza dubbio dei cattivi maestri, senza dub-bio non intendiamo veramente neppure noi. Ma se noiquel brano leggiamo proprio unicamente per fare unesercizio grammaticale, ebbene siamo cattivi maestri sefacciamo sentire i brividi del terrore, mentre dobbiamofar gustare l'organismo logico o sintattico o anche lessi-cale di esso. L'analisi e la ricomposizione del brano, chenoi allora dobbiamo fare, son determinate dall'intentoche noi dobbiamo conseguire, e più avrem presente que-sto e più il nostro processo di analisi e ricomposizionesarà vivo, sarà interessante, pur senza occuparci, se nonin via subordinata e per quanto serve allo scopo, delcontenuto significativo del brano letto. Gli esercizigrammaticali, che annoiano e quindi non interessano efanno odiare libri maestri e scuola, sono quelli di cui ilmaestro stesso non sente il valore, sono quelli che pro-prio come esercizi grammaticali mancano di vita e cre-dono di trovarla nel contenuto e fondono quindi due di-versi esercizi non riuscendo ad ottenerne neppure uno.

Contro la innocente, ma pur tanto interessante, gram-matica, G. io credo che sia animato da un pregiudizionaturalistico ed utilitario. Sì, nella vita non facciamoanalisi logiche; ma facciamo pur sempre delle analisi, edi queste la fondamentale è quella logica. Vogliate vera-mente insegnare grammatica, quando ciò fate; sappiate

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za dei vocaboli, alla ripetizione della grammatica e altrifini estrinseci alla realtà spirituale di cui si tratta nel li-bro» (p. 234). Certo, se noi leggiamo quel racconto perintenderne, viverne il contenuto, e non lo facciamo sen-tire, siamo senza dubbio dei cattivi maestri, senza dub-bio non intendiamo veramente neppure noi. Ma se noiquel brano leggiamo proprio unicamente per fare unesercizio grammaticale, ebbene siamo cattivi maestri sefacciamo sentire i brividi del terrore, mentre dobbiamofar gustare l'organismo logico o sintattico o anche lessi-cale di esso. L'analisi e la ricomposizione del brano, chenoi allora dobbiamo fare, son determinate dall'intentoche noi dobbiamo conseguire, e più avrem presente que-sto e più il nostro processo di analisi e ricomposizionesarà vivo, sarà interessante, pur senza occuparci, se nonin via subordinata e per quanto serve allo scopo, delcontenuto significativo del brano letto. Gli esercizigrammaticali, che annoiano e quindi non interessano efanno odiare libri maestri e scuola, sono quelli di cui ilmaestro stesso non sente il valore, sono quelli che pro-prio come esercizi grammaticali mancano di vita e cre-dono di trovarla nel contenuto e fondono quindi due di-versi esercizi non riuscendo ad ottenerne neppure uno.

Contro la innocente, ma pur tanto interessante, gram-matica, G. io credo che sia animato da un pregiudizionaturalistico ed utilitario. Sì, nella vita non facciamoanalisi logiche; ma facciamo pur sempre delle analisi, edi queste la fondamentale è quella logica. Vogliate vera-mente insegnare grammatica, quando ciò fate; sappiate

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tenere nei limiti richiesti le distinzioni e superarle ed in-tegrarle secondo il concetto che dell'organismo della lin-gua e del pensiero vi siete fatto; e vedrete poi, se l'inse-gnamento grammaticale ammazza la scuola o invece vi-vifica le menti. E non c'era oggi proprio bisogno che an-che il G. avesse portato il peso della sua autorità e delsuo pensiero contro quell'insegnamento grammaticale,che dall'indirizzo utilitario, cui si vuole asservire lascuola snaturandola, già tanto ha sofferto, e con la suadeturpazione o eliminazione già tanto ha fatto soffrirealla scuola di oggi.

Cosi anche è vero che nessuno «fuori della scuola, seè una persona seria, se ha un carattere, e sente di avereuna propria dignità, e cioè un posto nel mondo, ha maifatto un componimento» (p. 172); uno di quei componi-menti a temi obbligati che sono il tormento sopratuttodei maestri. Ma è vero anche che l'avvocato che ha dadifendere una causa; il medico che ha da diagnosticare ecurare un male, l'artista che ha nella sua opera da incar-nare una idea, ecc., si trovano proprio dinanzi a temi ob-bligati, che non hanno nulla che fare con quei famositemi della scuola, ma che, proprio come questi, mettonoa prova la sua facoltà di utilizzare tutto quanto egli sanella dimostrazione di quella tesi o in quella indagine,che il mondo, invece che il maestro, qui gli pone davan-ti. Perciò non è vero che sia un tormento per gli scolariil tema. Non vive la vita della scuola e non sente il biso-gno prepotente di una affermazione spontanea della pro-pria individualità, che pur da sola non saprebbe decider-

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tenere nei limiti richiesti le distinzioni e superarle ed in-tegrarle secondo il concetto che dell'organismo della lin-gua e del pensiero vi siete fatto; e vedrete poi, se l'inse-gnamento grammaticale ammazza la scuola o invece vi-vifica le menti. E non c'era oggi proprio bisogno che an-che il G. avesse portato il peso della sua autorità e delsuo pensiero contro quell'insegnamento grammaticale,che dall'indirizzo utilitario, cui si vuole asservire lascuola snaturandola, già tanto ha sofferto, e con la suadeturpazione o eliminazione già tanto ha fatto soffrirealla scuola di oggi.

Cosi anche è vero che nessuno «fuori della scuola, seè una persona seria, se ha un carattere, e sente di avereuna propria dignità, e cioè un posto nel mondo, ha maifatto un componimento» (p. 172); uno di quei componi-menti a temi obbligati che sono il tormento sopratuttodei maestri. Ma è vero anche che l'avvocato che ha dadifendere una causa; il medico che ha da diagnosticare ecurare un male, l'artista che ha nella sua opera da incar-nare una idea, ecc., si trovano proprio dinanzi a temi ob-bligati, che non hanno nulla che fare con quei famositemi della scuola, ma che, proprio come questi, mettonoa prova la sua facoltà di utilizzare tutto quanto egli sanella dimostrazione di quella tesi o in quella indagine,che il mondo, invece che il maestro, qui gli pone davan-ti. Perciò non è vero che sia un tormento per gli scolariil tema. Non vive la vita della scuola e non sente il biso-gno prepotente di una affermazione spontanea della pro-pria individualità, che pur da sola non saprebbe decider-

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si per una qualche via, quello scolaro che non sente unaviva commozione in quel momento in cui attende dalmaestro la parola, che guidi la sua spontaneità creatrice.E l'ansia della ricerca, e la difficoltà del dubbio, e l'ama-ra delusione del non capire, del non sentire nella via in-dicata la propria via, e poi la soddisfazione di aver tro-vato, di aver capito e quindi di aver dimostrato o con-traddetto, e la gioia di aver creato e la orgogliosa soddi-sfazione nella coscienza di aver pensato, di aver trattodalla propria mente qualche cosa, sono veri palpiti diquel piccolo artista che è lo scolaro, di quella piccolaopera d'arte che è la composizione scolastica. L'obbligoeteronomico del tema è scomparso; è rimasta la sponta-neità creatrice. Il maestro che non sappia creare questostato d'animo nei suoi discepoli, non è buon maestro. Eneppure per lui la composizione è un tormento, quandola revisione e la critica la fa nella scuola, se veramentesa farla e se veramente intende. È un tormento mortifi-cante e insopportabile quando egli deve farle a casa, edeve quindi con irraggiungibile artificio portarsi giù allivello dei suoi piccoli scolari e riscaldarsi a freddo e vi-vere un'anima che egli lì non sente.

5. Tralasciando di discutere altri punti di indole piùstrettamente didattica e scolastica, mi fermerò breve-mente sulla quistione delle pene e dei premi.

La pena pel G. è immanente nella funzione stessa del-la scuola, in quanto questa importa «fatica e sforzo: ca-dute, quindi, e risorgimenti» (p. 57). «La scuola real-

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si per una qualche via, quello scolaro che non sente unaviva commozione in quel momento in cui attende dalmaestro la parola, che guidi la sua spontaneità creatrice.E l'ansia della ricerca, e la difficoltà del dubbio, e l'ama-ra delusione del non capire, del non sentire nella via in-dicata la propria via, e poi la soddisfazione di aver tro-vato, di aver capito e quindi di aver dimostrato o con-traddetto, e la gioia di aver creato e la orgogliosa soddi-sfazione nella coscienza di aver pensato, di aver trattodalla propria mente qualche cosa, sono veri palpiti diquel piccolo artista che è lo scolaro, di quella piccolaopera d'arte che è la composizione scolastica. L'obbligoeteronomico del tema è scomparso; è rimasta la sponta-neità creatrice. Il maestro che non sappia creare questostato d'animo nei suoi discepoli, non è buon maestro. Eneppure per lui la composizione è un tormento, quandola revisione e la critica la fa nella scuola, se veramentesa farla e se veramente intende. È un tormento mortifi-cante e insopportabile quando egli deve farle a casa, edeve quindi con irraggiungibile artificio portarsi giù allivello dei suoi piccoli scolari e riscaldarsi a freddo e vi-vere un'anima che egli lì non sente.

5. Tralasciando di discutere altri punti di indole piùstrettamente didattica e scolastica, mi fermerò breve-mente sulla quistione delle pene e dei premi.

La pena pel G. è immanente nella funzione stessa del-la scuola, in quanto questa importa «fatica e sforzo: ca-dute, quindi, e risorgimenti» (p. 57). «La scuola real-

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mente non è disciplina senza essere insieme indiscipli-na». E quindi sorge il problema dei castighi, come cor-rettivo della indisciplina e restaurazione della discipli-na... «La indisciplina non è propriamente... la violazionedella disciplina, perchè la disciplina ancora non c'è... Sela disciplina precedesse l'indisciplina, dal bene nasce-rebbe il male, e l'indisciplina rappresenterebbe un realeregresso» (55-56). La indisciplina nasce pel fatto che la«unità di soggetto e oggetto, di libertà e di autorità, divolontà e di legge», in cui consiste la disciplina, «non èdata immediatamente. Il soggetto, oggettivatosi, da pri-ma non si riconosce nell'oggetto» (p. 56-57). «Il fine delcastigo è... l'instaurazione della disciplina, dell'etica delsapere rotta a mezzo della opposizione tra la libertà e lalegge»: e perciò «esso deve riuscire a realizzare l'unità...nella stessa anima dello scolaro indisciplinato» (p. 57-58), e «non può consistere in altro che in una modifica-zione dello spirito» (p. 59). Il dissidio tra maestro e sco-laro è il «primo e fondamentale castigo a cui tutti gli al-tri possono ridursi... E la scissura sarà avvertita dalloscolaro come una scissura non tra sè e un altro, ma trasè e sè, tra il sè universale qual è, per lui, quello che fauno coll'io del maestro, e questo sè nuovo, particolare»(p. 60-61).

Al contrario il premio «non può essere giustificato»(p. 62); giungendo postumo e da altri, esso si risolve inuna vera corruzione dello spirito.

Questa soluzione della quistione dei premi, pur aven-do in sè molto di vero, mi par fondamentalmente inesat-

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mente non è disciplina senza essere insieme indiscipli-na». E quindi sorge il problema dei castighi, come cor-rettivo della indisciplina e restaurazione della discipli-na... «La indisciplina non è propriamente... la violazionedella disciplina, perchè la disciplina ancora non c'è... Sela disciplina precedesse l'indisciplina, dal bene nasce-rebbe il male, e l'indisciplina rappresenterebbe un realeregresso» (55-56). La indisciplina nasce pel fatto che la«unità di soggetto e oggetto, di libertà e di autorità, divolontà e di legge», in cui consiste la disciplina, «non èdata immediatamente. Il soggetto, oggettivatosi, da pri-ma non si riconosce nell'oggetto» (p. 56-57). «Il fine delcastigo è... l'instaurazione della disciplina, dell'etica delsapere rotta a mezzo della opposizione tra la libertà e lalegge»: e perciò «esso deve riuscire a realizzare l'unità...nella stessa anima dello scolaro indisciplinato» (p. 57-58), e «non può consistere in altro che in una modifica-zione dello spirito» (p. 59). Il dissidio tra maestro e sco-laro è il «primo e fondamentale castigo a cui tutti gli al-tri possono ridursi... E la scissura sarà avvertita dalloscolaro come una scissura non tra sè e un altro, ma trasè e sè, tra il sè universale qual è, per lui, quello che fauno coll'io del maestro, e questo sè nuovo, particolare»(p. 60-61).

Al contrario il premio «non può essere giustificato»(p. 62); giungendo postumo e da altri, esso si risolve inuna vera corruzione dello spirito.

Questa soluzione della quistione dei premi, pur aven-do in sè molto di vero, mi par fondamentalmente inesat-

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ta. Anzitutto quel postulare la mediatezza della unità disoggetto e oggetto per giustificare la nascita della disci-plina dalla indisciplina e non viceversa mi pare non siain accordo con la dottrina generale dell'A. O il soggettosi è già oggettivato e l'unità ci è già, è immediatamenteposta nell'oggettivarsi che esso fa, e quindi ci è già la di-sciplina; o non si è ancora oggettivato ed allora non c'èl'oggetto e quindi è naturale che egli non vi si riconosca,anzi è impossibile che possa riconoscersi: non avrebbein che riconoscersi. Ovvero dobbiamo ammettere chepuò l'unità attuarsi immediatamente ma senza il ricono-scimento dell'un termine nell'altro in cui esso si attua, eallora l'atto sintetico non è più quale il G. ce lo avevaprima descritto, e il soggetto non è innanzi tutto autoco-scienza. In generale poi dire che la disciplina nasce dallaindisciplina e non viceversa mi pare sia quanto dire chel'essere venga dal nulla come nulla, il che non so se il G.voglia e possa sostenere.

Inoltre del carattere specifico del castigo, di ciò cherende pena la pena, mi pare che il G. non dia sufficienteconto. La scissura è colpa o pena? Se è pena, come pare(p. 60-61), in che consiste la precedente colpa? Abbiamvisto che è scissura anch'essa, mancato riconoscimentodel soggetto nel proprio oggetto. Il castigo così si risol-ve nella coscienza della colpa: «il castigo deve far senti-re tale scissura» (p. 61). Or se il castigo ha come suo ca-rattere specifico la consapevolezza della colpa, la colpanon dovrà essere inconsapevole del suo esser colpa? Esarà ancora meritevole di castigo?

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ta. Anzitutto quel postulare la mediatezza della unità disoggetto e oggetto per giustificare la nascita della disci-plina dalla indisciplina e non viceversa mi pare non siain accordo con la dottrina generale dell'A. O il soggettosi è già oggettivato e l'unità ci è già, è immediatamenteposta nell'oggettivarsi che esso fa, e quindi ci è già la di-sciplina; o non si è ancora oggettivato ed allora non c'èl'oggetto e quindi è naturale che egli non vi si riconosca,anzi è impossibile che possa riconoscersi: non avrebbein che riconoscersi. Ovvero dobbiamo ammettere chepuò l'unità attuarsi immediatamente ma senza il ricono-scimento dell'un termine nell'altro in cui esso si attua, eallora l'atto sintetico non è più quale il G. ce lo avevaprima descritto, e il soggetto non è innanzi tutto autoco-scienza. In generale poi dire che la disciplina nasce dallaindisciplina e non viceversa mi pare sia quanto dire chel'essere venga dal nulla come nulla, il che non so se il G.voglia e possa sostenere.

Inoltre del carattere specifico del castigo, di ciò cherende pena la pena, mi pare che il G. non dia sufficienteconto. La scissura è colpa o pena? Se è pena, come pare(p. 60-61), in che consiste la precedente colpa? Abbiamvisto che è scissura anch'essa, mancato riconoscimentodel soggetto nel proprio oggetto. Il castigo così si risol-ve nella coscienza della colpa: «il castigo deve far senti-re tale scissura» (p. 61). Or se il castigo ha come suo ca-rattere specifico la consapevolezza della colpa, la colpanon dovrà essere inconsapevole del suo esser colpa? Esarà ancora meritevole di castigo?

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Il vero si è che, se togliamo dalla pena il suo caratterespecifico che è il dolore, non come reazione naturaledell'atto colpevole secondo la dottrina spenceriana chequi il G. accetta, ma come meritata sofferenza per ciòche contro la legge si è voluto, non c'è più pena. Perciònon è vero che« il dolore anche qui o non nasce, o nascemorendo nel suo opposto: in questo caso, nella dolcezzadel pentimento, che è instaurazione della unità spiritua-le» (p. 61). La pena non c'è più, quando c'è già il penti-mento. La pena o è costrizione dolorosa, di cui la sog-gettività particolare in quanto tale sente la imposizione,o non c'è pena. Ed ecco così riaffacciarsi quella esigenzache richiede insieme con la unità del soggetto universaleanche la molteplicità dei soggetti particolari.

In ultimo, ridotto il castigo a coscienza della propriacolpa e quindi ad attuazione di quella unità prima nega-ta, abbiamo poi il diritto di sostenere che il premio è unaimmoralità perchè abitua «i giovani a guardare fuor dise stessi a un fine, il cui raggiungimento non dipende intutto da loro, ma anche dal beneplacito altrui che potràesserci e potrà anche non esserci» (p. 63)? Non si vedeche perfettamente così possiamo considerare anche lepene, se le prendiamo nella loro origine exstrasoggettivadi fronte al soggetto colpevole? Non si vede che ancheesse potranno essere considerate come qualcosa di po-stumo, che, al loro arrivo, eventualmente colpiranno deimeritevoli e non più dei colpevoli? E viceversa perchèanche il premio non possiamo porlo nella intima co-scienza dell'allievo consapevole della attuata unità della

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Il vero si è che, se togliamo dalla pena il suo caratterespecifico che è il dolore, non come reazione naturaledell'atto colpevole secondo la dottrina spenceriana chequi il G. accetta, ma come meritata sofferenza per ciòche contro la legge si è voluto, non c'è più pena. Perciònon è vero che« il dolore anche qui o non nasce, o nascemorendo nel suo opposto: in questo caso, nella dolcezzadel pentimento, che è instaurazione della unità spiritua-le» (p. 61). La pena non c'è più, quando c'è già il penti-mento. La pena o è costrizione dolorosa, di cui la sog-gettività particolare in quanto tale sente la imposizione,o non c'è pena. Ed ecco così riaffacciarsi quella esigenzache richiede insieme con la unità del soggetto universaleanche la molteplicità dei soggetti particolari.

In ultimo, ridotto il castigo a coscienza della propriacolpa e quindi ad attuazione di quella unità prima nega-ta, abbiamo poi il diritto di sostenere che il premio è unaimmoralità perchè abitua «i giovani a guardare fuor dise stessi a un fine, il cui raggiungimento non dipende intutto da loro, ma anche dal beneplacito altrui che potràesserci e potrà anche non esserci» (p. 63)? Non si vedeche perfettamente così possiamo considerare anche lepene, se le prendiamo nella loro origine exstrasoggettivadi fronte al soggetto colpevole? Non si vede che ancheesse potranno essere considerate come qualcosa di po-stumo, che, al loro arrivo, eventualmente colpiranno deimeritevoli e non più dei colpevoli? E viceversa perchèanche il premio non possiamo porlo nella intima co-scienza dell'allievo consapevole della attuata unità della

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libertà con la legge? Se è colpa il non avvenuto ricono-scimento del proprio oggetto e pena la coscienza di que-sto mancato riconoscimento, non potrà esser meritol'aver subito riconosciuto il proprio oggetto e premio lacoscienza di tal riconoscimento? Perchè dobbiamo, nelrimprovero del maestro vissuto dallo scolaro nella e conla propria coscienza, vedere una pena e non possiamo ri-tener premio la parola dello stesso maestro non pur dilode ma di approvazione e di incoraggiamento, parolaanch'essa sentita e vissuta nella intima coscienza delloscolaro come soddisfazione del dovere compiuto? Secastigo è il primo, premio è la seconda. Il vero è che quipremio e castigo, che, entrambi, non possono rinunziarealla loro natura eteronomica, vengono ridotti alla mini-ma possibile influenza, e vengono quanto più è possibiledenaturati, perchè vivono, come meglio possono, nellaautonomia dello scolaro che vogliamo formare uomo eperciò autonomo. Ed ecco perchè si è tanto più bravimaestri quanto meno si ha bisogno di pene e di premi;ecco perchè è tanto migliore l'educazione quanto piùnon ha bisogno di questi pungoli esterni e necessaria-mente utilitari; ecco perchè non ha più bisogno di scuolao di maestro chi può compiutamente farne a meno. Lascuola è o dovrebbe essere un progressivo sviluppo del-la autonomia della persona attraverso una progressivaapprossimazione a zero della eteronomia di essa.

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libertà con la legge? Se è colpa il non avvenuto ricono-scimento del proprio oggetto e pena la coscienza di que-sto mancato riconoscimento, non potrà esser meritol'aver subito riconosciuto il proprio oggetto e premio lacoscienza di tal riconoscimento? Perchè dobbiamo, nelrimprovero del maestro vissuto dallo scolaro nella e conla propria coscienza, vedere una pena e non possiamo ri-tener premio la parola dello stesso maestro non pur dilode ma di approvazione e di incoraggiamento, parolaanch'essa sentita e vissuta nella intima coscienza delloscolaro come soddisfazione del dovere compiuto? Secastigo è il primo, premio è la seconda. Il vero è che quipremio e castigo, che, entrambi, non possono rinunziarealla loro natura eteronomica, vengono ridotti alla mini-ma possibile influenza, e vengono quanto più è possibiledenaturati, perchè vivono, come meglio possono, nellaautonomia dello scolaro che vogliamo formare uomo eperciò autonomo. Ed ecco perchè si è tanto più bravimaestri quanto meno si ha bisogno di pene e di premi;ecco perchè è tanto migliore l'educazione quanto piùnon ha bisogno di questi pungoli esterni e necessaria-mente utilitari; ecco perchè non ha più bisogno di scuolao di maestro chi può compiutamente farne a meno. Lascuola è o dovrebbe essere un progressivo sviluppo del-la autonomia della persona attraverso una progressivaapprossimazione a zero della eteronomia di essa.

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III (1914).L'attualità dello spirito.9

Se il pensiero, la verità sta nel farsi, e quindi, una vol-ta fatta, è falsa, anzi non è più nulla, ma è soltanto vanoflatus vocis, e il farsi non si riduce a farsi qualcosa ma apuro farsi, è chiaro che tutto ciò di cui parliamo è falso,perchè parliamo sempre di qualcosa che fu. Quindi lanecessità in cui io mi trovo di ritener falsa la dottrina delD. R., se voglio seguirne lo stesso canone fondamentale,e quindi di negar questo stesso, e quindi di pormi neces-sariamente fuor dell'attualità dello spirito, di affermarqualche cosa oltre questa pura puntualità attuale, se real-mente voglio dell'attualità dello spirito essere conse-guente affermatore. Devo affermar la natura proprio innome di quel principio, pel quale il D. R. mi grida che«pensar la natura come natura è un assurdo», perchè «inquanto la si pensa, la natura è già spirito». Quindi il vo-stro principio che lo spirito, a cui tutta la realtà si riduce,è atto puro, deve esser da me pensato come atto noncome fatto, cioè non deve per me valere come principio,ma deve, passando dal vostro al mio pensiero, farsi ed inquesto farsi sarà la sua verità non nel suo essere. Quindila impossibilità di avere alcun principio di verità: quelche tale ci sembra, non è che la negazione di verità,quando vuol essere principio di verità. E tutto questo ac-

9 È il brano che qui interessa, della recensione de La filosofiacontemporanea di G. De Ruggero, che fu pubblicata in Logos, fa-cendo seguito al N. I di questa appendice.

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III (1914).L'attualità dello spirito.9

Se il pensiero, la verità sta nel farsi, e quindi, una vol-ta fatta, è falsa, anzi non è più nulla, ma è soltanto vanoflatus vocis, e il farsi non si riduce a farsi qualcosa ma apuro farsi, è chiaro che tutto ciò di cui parliamo è falso,perchè parliamo sempre di qualcosa che fu. Quindi lanecessità in cui io mi trovo di ritener falsa la dottrina delD. R., se voglio seguirne lo stesso canone fondamentale,e quindi di negar questo stesso, e quindi di pormi neces-sariamente fuor dell'attualità dello spirito, di affermarqualche cosa oltre questa pura puntualità attuale, se real-mente voglio dell'attualità dello spirito essere conse-guente affermatore. Devo affermar la natura proprio innome di quel principio, pel quale il D. R. mi grida che«pensar la natura come natura è un assurdo», perchè «inquanto la si pensa, la natura è già spirito». Quindi il vo-stro principio che lo spirito, a cui tutta la realtà si riduce,è atto puro, deve esser da me pensato come atto noncome fatto, cioè non deve per me valere come principio,ma deve, passando dal vostro al mio pensiero, farsi ed inquesto farsi sarà la sua verità non nel suo essere. Quindila impossibilità di avere alcun principio di verità: quelche tale ci sembra, non è che la negazione di verità,quando vuol essere principio di verità. E tutto questo ac-

9 È il brano che qui interessa, della recensione de La filosofiacontemporanea di G. De Ruggero, che fu pubblicata in Logos, fa-cendo seguito al N. I di questa appendice.

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cade, quando si dimentica che nel pensiero non c'è sol-tanto il puro atto il puro divenire, ma c'è il fatto dell'atto,l'essere del divenire. Ed è questa la profonda misteriosanatura del pensiero, che voi potete, quanto volete, sop-primere nella vostra immaginazione, quando a tutti i co-sti volete una spiegazione che cercate e non trovate, mache si riaffaccia sempre imperiosa negli assurdi conse-guenti dalla menomazione o deturpazione di essa nelleaccettate soluzioni. A questa vanità non solo di ogni fi-losofia ma anche di ogni pensiero e quindi di ogni realtàio credo che meni diritto questa specie di storicismo as-soluto. Così a me par che cadano in una stessa condannasia la concezione estetica della distribuzione delle parti,sia il criterio valutativo delle dottrine, sia la dottrina ver-so il cui trionfo è orientato tutto lo svolgimento del li-bro: la mancanza di oggettività. L'A. ci dirà che l'ogget-tività è risoluta nella soggettività; a noi pare, e abbiamcercato, di sfuggita, di darne qualche ragione, chel'oggettività sia semplicemente soppressa.

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cade, quando si dimentica che nel pensiero non c'è sol-tanto il puro atto il puro divenire, ma c'è il fatto dell'atto,l'essere del divenire. Ed è questa la profonda misteriosanatura del pensiero, che voi potete, quanto volete, sop-primere nella vostra immaginazione, quando a tutti i co-sti volete una spiegazione che cercate e non trovate, mache si riaffaccia sempre imperiosa negli assurdi conse-guenti dalla menomazione o deturpazione di essa nelleaccettate soluzioni. A questa vanità non solo di ogni fi-losofia ma anche di ogni pensiero e quindi di ogni realtàio credo che meni diritto questa specie di storicismo as-soluto. Così a me par che cadano in una stessa condannasia la concezione estetica della distribuzione delle parti,sia il criterio valutativo delle dottrine, sia la dottrina ver-so il cui trionfo è orientato tutto lo svolgimento del li-bro: la mancanza di oggettività. L'A. ci dirà che l'ogget-tività è risoluta nella soggettività; a noi pare, e abbiamcercato, di sfuggita, di darne qualche ragione, chel'oggettività sia semplicemente soppressa.

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CAPITOLO VIII.L'IDEALISMO CRITICO

53. Oggettivismo critico di P. Martinetti.

Accanto al neohegelismo, soffusa di alta religiosità,contenuta ma orgogliosa, si è oggi affermata e continuaad affermarsi in Italia un'altra forma di idealismo: l'idea-lismo critico di P. Martinetti e di B. Varisco.

Il pensiero del Martinetti nasce direttamente da quellodi Kant. Dalla dottrina kantiana, però, è da eliminare,egli mostra, “la teoria della subbiettività delle forme” lequali tutte, nella loro oggettività, si riducono ad una “in-tuizione intellettiva, assolutamente iniziale dell'unità,che è quindi in realtà l'unico, il vero elemento apriori,che si estrinseca successivamente nelle varie forme diunità della coscienza e che sospinge senza posa l'intelli-genza a cercare l'unità suprema e perfetta in un principio

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CAPITOLO VIII.L'IDEALISMO CRITICO

53. Oggettivismo critico di P. Martinetti.

Accanto al neohegelismo, soffusa di alta religiosità,contenuta ma orgogliosa, si è oggi affermata e continuaad affermarsi in Italia un'altra forma di idealismo: l'idea-lismo critico di P. Martinetti e di B. Varisco.

Il pensiero del Martinetti nasce direttamente da quellodi Kant. Dalla dottrina kantiana, però, è da eliminare,egli mostra, “la teoria della subbiettività delle forme” lequali tutte, nella loro oggettività, si riducono ad una “in-tuizione intellettiva, assolutamente iniziale dell'unità,che è quindi in realtà l'unico, il vero elemento apriori,che si estrinseca successivamente nelle varie forme diunità della coscienza e che sospinge senza posa l'intelli-genza a cercare l'unità suprema e perfetta in un principio

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trascendente. (Introd. alla Met., 1904, pag. 240). E quin-di “la realtà noumenica non è un in sè inaccessibile; vi èla possibilità di conoscere e di rappresentare simbolica-mente il noumeno per mezzo del fenomeno” (ib., pag.244). Noumeno, che, pur nella sua trascendenza, nonpuò avere una natura extramentale, giacchè “non vi è,dietro al mio processo di coscienza, un essere di naturadiversa”.

Con questa netta affermazione dell'oggettività delleforme della conoscenza, il pensiero del Martinetti sistacca decisamente dal processo soggettivisticodell'idealismo post-kantiano tedesco per avvicinarsiall'oggettività dell'idealismo rosminiano. Di qui anchel'esclusione della kantiana inconoscibilità della cosa insè: di questa risulta l'appartenenza alla coscienza, anchese il processo conoscitivo umano non può presentarlache in simbolo.

54. Trascendentismo religioso.

Questo schietto carattere simbolico della umana co-noscenza induce il Martinetti a sostenere la trascenden-za dell'Assoluto di fronte ad essa: è la trascendenza ri-spetto al mondo fenomenico, al quale è necessariamentelimitata la nostra conoscenza.

Quindi, posta la trascendenza come esigenza della re-ligione, il definitivo e fondamentale carattere religioso

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trascendente. (Introd. alla Met., 1904, pag. 240). E quin-di “la realtà noumenica non è un in sè inaccessibile; vi èla possibilità di conoscere e di rappresentare simbolica-mente il noumeno per mezzo del fenomeno” (ib., pag.244). Noumeno, che, pur nella sua trascendenza, nonpuò avere una natura extramentale, giacchè “non vi è,dietro al mio processo di coscienza, un essere di naturadiversa”.

Con questa netta affermazione dell'oggettività delleforme della conoscenza, il pensiero del Martinetti sistacca decisamente dal processo soggettivisticodell'idealismo post-kantiano tedesco per avvicinarsiall'oggettività dell'idealismo rosminiano. Di qui anchel'esclusione della kantiana inconoscibilità della cosa insè: di questa risulta l'appartenenza alla coscienza, anchese il processo conoscitivo umano non può presentarlache in simbolo.

54. Trascendentismo religioso.

Questo schietto carattere simbolico della umana co-noscenza induce il Martinetti a sostenere la trascenden-za dell'Assoluto di fronte ad essa: è la trascendenza ri-spetto al mondo fenomenico, al quale è necessariamentelimitata la nostra conoscenza.

Quindi, posta la trascendenza come esigenza della re-ligione, il definitivo e fondamentale carattere religioso

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della filosofia, che afferma tale trascendenza, “l'identitàdi natura della filosofia e della religione” (Saggi, 19292,p. 52), essendo filosofia e religione “manifestazioni di-verse di un'attività unica, la quale può essere chiamatagenericamente, in un più largo senso, religione”. Quindila problematicità del filosofare, conseguente alla esigen-za critica kantiana, è intesa come “rinnovamento specu-lativo del materiale teoretico dei simboli religiosi”,come “aspetto e fattore vitale di un grande movimentoreligioso” come “preparazione interiore di una religiosi-tà più intensa e profonda” (ib., p. 58). Motivi nobilissi-mi, in cui chiaramente risuonano quelle note che domi-navano il rinnovamento speculativo del nostro Rinasci-mento, anche se a parole allora si rinnegava o non si ri-conosceva o non si accentuava il nesso tra questo rinno-varsi della speculazione e la forma positiva della religio-ne. Nesso, per il quale il Martinetti dovrebbe, a nostroavviso, concludere per l'immanenza dell'Assoluto nellacoscienza, mentre abbiamo visto che egli afferma deci-samente la trascendenza, impostandone il problema inmodo kantiano; trascendenza, rispetto al fenomenicomondo sensibile, che non è essere in sè, e quindi ancherispetto alla coscienza umana, in quanto questa ha il suocontenuto concreto da detto mondo fenomenico. Questaimpostazione, a nostro avviso, fa sì che tal concetto ditrascendenza, inteso in quel che può o deve significare,non ci riporta affatto alla antica trascendenza, che è qua-si soltanto una duplicazione di natura sensibile, ma ci

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della filosofia, che afferma tale trascendenza, “l'identitàdi natura della filosofia e della religione” (Saggi, 19292,p. 52), essendo filosofia e religione “manifestazioni di-verse di un'attività unica, la quale può essere chiamatagenericamente, in un più largo senso, religione”. Quindila problematicità del filosofare, conseguente alla esigen-za critica kantiana, è intesa come “rinnovamento specu-lativo del materiale teoretico dei simboli religiosi”,come “aspetto e fattore vitale di un grande movimentoreligioso” come “preparazione interiore di una religiosi-tà più intensa e profonda” (ib., p. 58). Motivi nobilissi-mi, in cui chiaramente risuonano quelle note che domi-navano il rinnovamento speculativo del nostro Rinasci-mento, anche se a parole allora si rinnegava o non si ri-conosceva o non si accentuava il nesso tra questo rinno-varsi della speculazione e la forma positiva della religio-ne. Nesso, per il quale il Martinetti dovrebbe, a nostroavviso, concludere per l'immanenza dell'Assoluto nellacoscienza, mentre abbiamo visto che egli afferma deci-samente la trascendenza, impostandone il problema inmodo kantiano; trascendenza, rispetto al fenomenicomondo sensibile, che non è essere in sè, e quindi ancherispetto alla coscienza umana, in quanto questa ha il suocontenuto concreto da detto mondo fenomenico. Questaimpostazione, a nostro avviso, fa sì che tal concetto ditrascendenza, inteso in quel che può o deve significare,non ci riporta affatto alla antica trascendenza, che è qua-si soltanto una duplicazione di natura sensibile, ma ci

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spinge verso un approfondimento e non una negazionedel concetto di immanenza.

Idealismo oggettivo, dunque, questo del Martinetti,per quanto egli ancora non riconosca quella che è la ca-ratteristica fondamentale di ogni idealismo in quantotale, e cioè l'immanenza dell'assoluto essere come og-getto puro della coscienza, forse perchè si ferma allaconcezione che direi tedesca dell'idealismo, e che lo co-stringe insieme al simbolismo conoscitivo e alla trascen-denza: l'insuperabilità della coscienza vista soltantocome io, “proposizione iniziale che concede per cosìdire l'accesso alla filosofia” (ib., p. 75-7).

Su questa proposizione iniziale egli poi fonda la di-stinzione tra le varie forme di idealismo, ritenendo fon-damentale quella “che potremmo stabilire tra idealismoimmanente e trascendente. Il primo è un adattamentodella concezione idealistica alle tendenze naturalistiche,empiriche: esso riconosce che il mondo è una granderealtà spirituale, ma limita questa realtà alle forme em-piricamente date: questa realtà si svolge in un corso pe-renne sempre rinnovato e in fondo sempre eguale, e laperfezione più alta dello spirito sta nell'immedesimarsicon l'unità universale, nell'elevare la propria coscienzaal punto di vista della vita universale. Il secondo inveceha un carattere più profondamente metafisico e religio-so: per esso la realtà spirituale che noi viviamo, non èqualche cosa di assoluto, ma tende a risolversi in unavita ed in una unità più profonda, che sono rispetto a noitrascendenti, che superano ogni nostra apprensione; e la

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spinge verso un approfondimento e non una negazionedel concetto di immanenza.

Idealismo oggettivo, dunque, questo del Martinetti,per quanto egli ancora non riconosca quella che è la ca-ratteristica fondamentale di ogni idealismo in quantotale, e cioè l'immanenza dell'assoluto essere come og-getto puro della coscienza, forse perchè si ferma allaconcezione che direi tedesca dell'idealismo, e che lo co-stringe insieme al simbolismo conoscitivo e alla trascen-denza: l'insuperabilità della coscienza vista soltantocome io, “proposizione iniziale che concede per cosìdire l'accesso alla filosofia” (ib., p. 75-7).

Su questa proposizione iniziale egli poi fonda la di-stinzione tra le varie forme di idealismo, ritenendo fon-damentale quella “che potremmo stabilire tra idealismoimmanente e trascendente. Il primo è un adattamentodella concezione idealistica alle tendenze naturalistiche,empiriche: esso riconosce che il mondo è una granderealtà spirituale, ma limita questa realtà alle forme em-piricamente date: questa realtà si svolge in un corso pe-renne sempre rinnovato e in fondo sempre eguale, e laperfezione più alta dello spirito sta nell'immedesimarsicon l'unità universale, nell'elevare la propria coscienzaal punto di vista della vita universale. Il secondo inveceha un carattere più profondamente metafisico e religio-so: per esso la realtà spirituale che noi viviamo, non èqualche cosa di assoluto, ma tende a risolversi in unavita ed in una unità più profonda, che sono rispetto a noitrascendenti, che superano ogni nostra apprensione; e la

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vita non è un processo sempre uguale, ma un'ascensioneverso una unità che è presentemente a noi inaccessibile:la perfezione dei gradi e delle forme della vita dipendedal grado dell'unità che essi realizzano, ed ogni formapiù alta di realtà non è mai che un'immagine, un simbo-lo” (p. 76). Chi voglia risolvere il problema religioso,non può non accettare, secondo il Martinetti, quest'ulti-ma forma di idealismo. L'idealismo immanentistico nonsente il problema religioso; per esso “la religione o nonè nemmeno un problema o è pensato come qualche cosache maschera e serve la vita morale.” La religione inve-ce diventa “cardine stesso della vita” nell' idealismo tra-scendente “e la vita morale non ha termine e consistenzavera che nella coscienza religiosa” (p. 78). Quindi l'inti-ma essenza religiosa della filosofia. “Io sono convinto,egli dice, che una profonda analisi critica dell'esperienzae della realtà non soltanto ci rivela in essa la manifesta-zione di una energia spirituale universale, ma ci rinviaad una unità spirituale assoluta che ne trascende tutte leforme particolari.... Io credo che una spiegazione soddi-sfacente dei grandi fatti dell'ordine spirituale, non possavenire raggiunta se non in quanto essi vengono conside-rati come preparazioni e condizioni della vita religiosa.”(p. 78-79).

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vita non è un processo sempre uguale, ma un'ascensioneverso una unità che è presentemente a noi inaccessibile:la perfezione dei gradi e delle forme della vita dipendedal grado dell'unità che essi realizzano, ed ogni formapiù alta di realtà non è mai che un'immagine, un simbo-lo” (p. 76). Chi voglia risolvere il problema religioso,non può non accettare, secondo il Martinetti, quest'ulti-ma forma di idealismo. L'idealismo immanentistico nonsente il problema religioso; per esso “la religione o nonè nemmeno un problema o è pensato come qualche cosache maschera e serve la vita morale.” La religione inve-ce diventa “cardine stesso della vita” nell' idealismo tra-scendente “e la vita morale non ha termine e consistenzavera che nella coscienza religiosa” (p. 78). Quindi l'inti-ma essenza religiosa della filosofia. “Io sono convinto,egli dice, che una profonda analisi critica dell'esperienzae della realtà non soltanto ci rivela in essa la manifesta-zione di una energia spirituale universale, ma ci rinviaad una unità spirituale assoluta che ne trascende tutte leforme particolari.... Io credo che una spiegazione soddi-sfacente dei grandi fatti dell'ordine spirituale, non possavenire raggiunta se non in quanto essi vengono conside-rati come preparazioni e condizioni della vita religiosa.”(p. 78-79).

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55. Critica del simbolismo e del trascendentismo martinettiano; loro genesi dal kantismo.

L'idealismo critico del Martinetti, dunque, rimane an-cora saldamente legato alla kantiana concezione feno-menistica della conoscenza, e legato quindi anche alconcetto, che io dico realistico, di senso, dal quale deri-va la fenomenicità della conoscenza: concetto realistico,che non ha più ragion d'essere quando si ammette larealtà come spiritualità. L'intimo valore spirituale, chepuò essere dedotto dal posto che il senso assume in unTelesio e in un Campanella e anche in un Rosmini, forsesfugge al Martinetti. Dall'ammesso fenomenismodell'oggetto della conoscenza e forse anche della co-scienza, nasce la necessità in cui trovasi il Martinetti disalvare l'oggettività del nostro conoscere soltanto coldare a questo un valore simbolico. Valore simbolico, chenon si sa donde possa esser tratto, se in quell'io di cuifacciamo punto di leva per ammettere la spiritualità delreale, non è immanente quell'Essere assoluto, del qualeinvece si afferma netta e recisa la trascendenza.

I soggetti, cui non sia immanente l'Essere assoluto,non solo non ne hanno coscienza, ma non hanno neppu-re nè motivo nè capacità di assurgere a Lui, elevando asimboli le proprie cognizioni.

Il Martinetti non ha visto che l'oggettività pura è pro-prio quella immanente all'io, per la quale soltanto questopuò non esserci dato “per via di processi che ne trave-

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55. Critica del simbolismo e del trascendentismo martinettiano; loro genesi dal kantismo.

L'idealismo critico del Martinetti, dunque, rimane an-cora saldamente legato alla kantiana concezione feno-menistica della conoscenza, e legato quindi anche alconcetto, che io dico realistico, di senso, dal quale deri-va la fenomenicità della conoscenza: concetto realistico,che non ha più ragion d'essere quando si ammette larealtà come spiritualità. L'intimo valore spirituale, chepuò essere dedotto dal posto che il senso assume in unTelesio e in un Campanella e anche in un Rosmini, forsesfugge al Martinetti. Dall'ammesso fenomenismodell'oggetto della conoscenza e forse anche della co-scienza, nasce la necessità in cui trovasi il Martinetti disalvare l'oggettività del nostro conoscere soltanto coldare a questo un valore simbolico. Valore simbolico, chenon si sa donde possa esser tratto, se in quell'io di cuifacciamo punto di leva per ammettere la spiritualità delreale, non è immanente quell'Essere assoluto, del qualeinvece si afferma netta e recisa la trascendenza.

I soggetti, cui non sia immanente l'Essere assoluto,non solo non ne hanno coscienza, ma non hanno neppu-re nè motivo nè capacità di assurgere a Lui, elevando asimboli le proprie cognizioni.

Il Martinetti non ha visto che l'oggettività pura è pro-prio quella immanente all'io, per la quale soltanto questopuò non esserci dato “per via di processi che ne trave-

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stono la natura” (p. 75). Ponete la coscienza soltantocome io, considerate poi l'io soltanto nella sua puntuali-tà soggettiva; e, se non volete elevarlo ad assoluto comeha fatto l'idealismo tedesco post-kantiano, che il M. aragione condanna, lo avrete soltanto attraverso questiprocessi che ne travestono la natura, lo avrete cioè nellaintima fenomenizzazione del senso interno. E avrete an-che uccisa ogni sua capacità di simboleggiare e quindiogni sua capacità religiosa.

E così anche, non ammessa immanente all'io l'assolu-ta oggettività, nella cui esplicazione la filosofia possasvolgere la sua problematicità, non si capisce come eperchè mai possa la filosofia avere ancora il compito,come giustamente riconosce il Martinetti, di eterna rin-giovanitrice della religione, che la Chiesa tende a fissareed adagiare in forme sacramentali di culto, in cui essacristallizza ed uccide il vivo valore simbolico del ritoiniziale (La religione, 1935, in Riv. di fil. p. 204-8).Senza l'immanenza dell'Oggetto assoluto o è perduta lafilosofia, in quanto essa puramente e semplicemente siannulla nella religione, o della filosofia è perduta l'inti-ma connaturale finalità religiosa: essa rimarrebbe conl'immanentistico suo processo conoscitivo, e la religionevivrebbe sostenuta ed alimentata da altro sapere, etero-geneo a quello filosofico, perchè direttamente provocatodal di fuori, dall'Assoluto trascendente. Il vero è che ilMartinetti forse soggiace ancora ad un duplice, direi op-posto, pregiudizio: da una parte, con Hegel, professal'identità di natura della religione e della filosofia,

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stono la natura” (p. 75). Ponete la coscienza soltantocome io, considerate poi l'io soltanto nella sua puntuali-tà soggettiva; e, se non volete elevarlo ad assoluto comeha fatto l'idealismo tedesco post-kantiano, che il M. aragione condanna, lo avrete soltanto attraverso questiprocessi che ne travestono la natura, lo avrete cioè nellaintima fenomenizzazione del senso interno. E avrete an-che uccisa ogni sua capacità di simboleggiare e quindiogni sua capacità religiosa.

E così anche, non ammessa immanente all'io l'assolu-ta oggettività, nella cui esplicazione la filosofia possasvolgere la sua problematicità, non si capisce come eperchè mai possa la filosofia avere ancora il compito,come giustamente riconosce il Martinetti, di eterna rin-giovanitrice della religione, che la Chiesa tende a fissareed adagiare in forme sacramentali di culto, in cui essacristallizza ed uccide il vivo valore simbolico del ritoiniziale (La religione, 1935, in Riv. di fil. p. 204-8).Senza l'immanenza dell'Oggetto assoluto o è perduta lafilosofia, in quanto essa puramente e semplicemente siannulla nella religione, o della filosofia è perduta l'inti-ma connaturale finalità religiosa: essa rimarrebbe conl'immanentistico suo processo conoscitivo, e la religionevivrebbe sostenuta ed alimentata da altro sapere, etero-geneo a quello filosofico, perchè direttamente provocatodal di fuori, dall'Assoluto trascendente. Il vero è che ilMartinetti forse soggiace ancora ad un duplice, direi op-posto, pregiudizio: da una parte, con Hegel, professal'identità di natura della religione e della filosofia,

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dall'altra ritiene, con lo stesso Hegel e con la tradizioneortodossa, che non possa esservi religione senza trascen-denza. Pregiudizi entrambi, a mio avviso, e che bisognacominciare dal correggere se veramente si vuol contri-buire a quell'elevamento e rinnovamento religioso, cheanch'io ritengo fondamentale prodotto e fine del proces-so speculativo.

Il Martinetti, quindi, mentre a mio avviso sente poten-temente il carattere oggettivo ed ontologico dell'ideali-smo italiano nella nobile tradizione della sua storia, si èda questa allontanato proprio per essere rimasto sover-chiamente attaccato al criticismo kantiano nella suaschietta impostazione gnoseologica, la quale richiede lasua posteriore interpretazione soggettivistica. Proprioqueste non gli permettono di vedere che l'immanenzapuò avere, ed ha già virtualmente avuto proprio nellastoria del pensiero italiano, un significato ben diverso daquello empirico, che egli giustamente ha messo in evi-denza e condannato. Tener conto della critica, ma supe-rarne l'impostazione gnoseologica e l'interpretazionesoggettivistica tedesca bisognava, per conquistare d'uncolpo quello che è lo schietto portato dell'idealismo ita-liano, il carattere oggettivo e immanentistico della realtàspirituale. E questo carattere avrebbe messo il Martinettidi fronte ai grandi problemi metafisici (Dio, sua perso-nalità o meno, la creazione, i soggetti e loro molteplicitào unicità, natura ecc.), che sono, invece, quasi sottintesinella loro soluzione più che impostati proprio come pro-blemi, quando non siano dichiarati vani. Che cosa infatti

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dall'altra ritiene, con lo stesso Hegel e con la tradizioneortodossa, che non possa esservi religione senza trascen-denza. Pregiudizi entrambi, a mio avviso, e che bisognacominciare dal correggere se veramente si vuol contri-buire a quell'elevamento e rinnovamento religioso, cheanch'io ritengo fondamentale prodotto e fine del proces-so speculativo.

Il Martinetti, quindi, mentre a mio avviso sente poten-temente il carattere oggettivo ed ontologico dell'ideali-smo italiano nella nobile tradizione della sua storia, si èda questa allontanato proprio per essere rimasto sover-chiamente attaccato al criticismo kantiano nella suaschietta impostazione gnoseologica, la quale richiede lasua posteriore interpretazione soggettivistica. Proprioqueste non gli permettono di vedere che l'immanenzapuò avere, ed ha già virtualmente avuto proprio nellastoria del pensiero italiano, un significato ben diverso daquello empirico, che egli giustamente ha messo in evi-denza e condannato. Tener conto della critica, ma supe-rarne l'impostazione gnoseologica e l'interpretazionesoggettivistica tedesca bisognava, per conquistare d'uncolpo quello che è lo schietto portato dell'idealismo ita-liano, il carattere oggettivo e immanentistico della realtàspirituale. E questo carattere avrebbe messo il Martinettidi fronte ai grandi problemi metafisici (Dio, sua perso-nalità o meno, la creazione, i soggetti e loro molteplicitào unicità, natura ecc.), che sono, invece, quasi sottintesinella loro soluzione più che impostati proprio come pro-blemi, quando non siano dichiarati vani. Che cosa infatti

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non sarebbe vano là dove il conoscere non ha che un va-lore simbolico? Un simbolo vale l'altro, e non v'ha ra-gione di contendere per sostituire una bandiera adun'altra, quando non si sostituisca insieme una più altafede. E perciò può il M. domandarsi: “Che senso ha ildisputare sulla personalità o impersonalità di Dio? Chiha un concetto adeguato di Dio, sa che il riferire a luiquesti concetti umani è un assurdo: egli è sopra tuttiquesti limiti” (Relig., pag. 109).

Dove può notarsi che proprio il “concetto adeguato”(?) di Dio (tale adeguazione non escluderebbe da talconcetto una natura simbolica?) potrebbe richiedere ladiscussione di quel problema. Non potrebbe la imperso-nalità (io dico, invece, l'assoluta oggettività) valere pro-prio quel che il M. dice esser “sopra tutti questi limiti”?

Siamo sempre lì: a parte le inevitabili incongruenze,con la dichiarazione dell'assoluto simbolismo del cono-scere umano non c'è possibilità di impostazione e solu-zione di problemi metafisici. E, senza questa possibilità,si capisce la dichiarazione di “dogmatismo e d'intolle-ranza per ogni propaganda e sopratutto per ogni pretesadi voler imporre agli altri, anche solo con l'insegnamen-to, le proprie dottrine personali” (Relig., pag. 209). Chenon si debba insegnar la propria dottrina come la filoso-fia, mi par esatta esigenza dell'insegnar filosofia (cfr. ilmio art. L'insegnam. della filos., 1921), ed ho sempresostenuto e praticato; ma che non si debba, non, s'inten-de, “voler imporre”, ma cercar di persuadere, critica-mente, attraverso il vivo insegnamento di fondamentali

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non sarebbe vano là dove il conoscere non ha che un va-lore simbolico? Un simbolo vale l'altro, e non v'ha ra-gione di contendere per sostituire una bandiera adun'altra, quando non si sostituisca insieme una più altafede. E perciò può il M. domandarsi: “Che senso ha ildisputare sulla personalità o impersonalità di Dio? Chiha un concetto adeguato di Dio, sa che il riferire a luiquesti concetti umani è un assurdo: egli è sopra tuttiquesti limiti” (Relig., pag. 109).

Dove può notarsi che proprio il “concetto adeguato”(?) di Dio (tale adeguazione non escluderebbe da talconcetto una natura simbolica?) potrebbe richiedere ladiscussione di quel problema. Non potrebbe la imperso-nalità (io dico, invece, l'assoluta oggettività) valere pro-prio quel che il M. dice esser “sopra tutti questi limiti”?

Siamo sempre lì: a parte le inevitabili incongruenze,con la dichiarazione dell'assoluto simbolismo del cono-scere umano non c'è possibilità di impostazione e solu-zione di problemi metafisici. E, senza questa possibilità,si capisce la dichiarazione di “dogmatismo e d'intolle-ranza per ogni propaganda e sopratutto per ogni pretesadi voler imporre agli altri, anche solo con l'insegnamen-to, le proprie dottrine personali” (Relig., pag. 209). Chenon si debba insegnar la propria dottrina come la filoso-fia, mi par esatta esigenza dell'insegnar filosofia (cfr. ilmio art. L'insegnam. della filos., 1921), ed ho sempresostenuto e praticato; ma che non si debba, non, s'inten-de, “voler imporre”, ma cercar di persuadere, critica-mente, attraverso il vivo insegnamento di fondamentali

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dottrine storiche della filosofia, della propria soluzionedei problemi filosofici, mi pare schietto scetticismo. Equesto, sulla essenza religiosa della filosofia, non puònon aprir l'adito al più ampio dogmatismo fideistico.

Tale incapacità metafisica è, anch'essa, io credo, unriflesso del criticismo gnoseologico kantiano con la di-chiarata impossibilità di una soluzione di tali problemimetafisici: dal conoscere, cui sia essenziale oggetto ilfenomeno, l'essere in sè con le sue esigenze metafisicheresta escluso. Ed allora o non ci sarà possibile giungerein nessun snodo alla coscienza di Dio, o, se in un qual-che modo ci giungiamo, non possiamo che “pensar Diocome un'unità contrapposta alla nostra individualità spi-rituale”, concezione che il M. giustamente condanna,perchè con essa “il fatalismo è inevitabile e la realtà in-finita di Dio non lascia più posto ad alcun altro essere:la libertà di uno spirito finito è accanto ad essa impensa-bile” (Libertà, 1908, p. 490).

Invano quindi il M., in questo assoluto simbolismo,che, io credo, è proprio la conseguenza e non il supera-mento di tal concezione di Dio come assolutamente con-trapposto alla nostra individualità spirituale, cerca di su-perare tale contrapposizione (Libertà 490-1): anche con-cessa, nel trascendentismo assoluto del M., la capacitàdel simboleggiare, il concetto ultimo, cui arriva il M., èquello di Dio come ragione “pensata non come univer-salità pura, ma come una vera omnitudo realitatis, nellaquale ogni momento della ragione è conservato e subli-mato come un suo momento essenziale” (ib. 491). O

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dottrine storiche della filosofia, della propria soluzionedei problemi filosofici, mi pare schietto scetticismo. Equesto, sulla essenza religiosa della filosofia, non puònon aprir l'adito al più ampio dogmatismo fideistico.

Tale incapacità metafisica è, anch'essa, io credo, unriflesso del criticismo gnoseologico kantiano con la di-chiarata impossibilità di una soluzione di tali problemimetafisici: dal conoscere, cui sia essenziale oggetto ilfenomeno, l'essere in sè con le sue esigenze metafisicheresta escluso. Ed allora o non ci sarà possibile giungerein nessun snodo alla coscienza di Dio, o, se in un qual-che modo ci giungiamo, non possiamo che “pensar Diocome un'unità contrapposta alla nostra individualità spi-rituale”, concezione che il M. giustamente condanna,perchè con essa “il fatalismo è inevitabile e la realtà in-finita di Dio non lascia più posto ad alcun altro essere:la libertà di uno spirito finito è accanto ad essa impensa-bile” (Libertà, 1908, p. 490).

Invano quindi il M., in questo assoluto simbolismo,che, io credo, è proprio la conseguenza e non il supera-mento di tal concezione di Dio come assolutamente con-trapposto alla nostra individualità spirituale, cerca di su-perare tale contrapposizione (Libertà 490-1): anche con-cessa, nel trascendentismo assoluto del M., la capacitàdel simboleggiare, il concetto ultimo, cui arriva il M., èquello di Dio come ragione “pensata non come univer-salità pura, ma come una vera omnitudo realitatis, nellaquale ogni momento della ragione è conservato e subli-mato come un suo momento essenziale” (ib. 491). O

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siamo con Hegel, senza la deduzione dialettica hegelia-na, e Dio, come Dio, non risulta (cf. Cap. XI); o Dio ri-mane ragione inaccessibile dalla nostra ragione (e que-sto alle volte pare il pensiero del M.) e la spiritualitàdella nostra individualità, che il M. vuole ad ogni costodifesa, scompare.

Il vero è che, come dicemmo, alla posizione martinet-tiana è inibito ogni problema metafisico, e con tale ini-bizione non v'ha più filosofia.

56. Storicità e sinteticità della posizione speculati-va di B. Varisco.

La filosofia di B. Varisco, invece, sta tutta nella impo-stazione di questi grandi problemi metafisici: una solu-zione accettata, creduta, vissuta, ma non risultante daquesta impostazione, può far parte della sua fede di cre-dente, non è suo patrimonio di pensatore. In questa im-postazione il puro kantismo è superato di colpo.

V'ha chi considera questa filosofia come già sorpassa-ta, antistorica. Il V. infatti non parte da una posizionespeculativa storica, già posta ed accettata come puntod'arrivo della speculazione: par che rivanghi terreno giàabbandonato da secoli, pur nel suo discutere voci recen-tissime.

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siamo con Hegel, senza la deduzione dialettica hegelia-na, e Dio, come Dio, non risulta (cf. Cap. XI); o Dio ri-mane ragione inaccessibile dalla nostra ragione (e que-sto alle volte pare il pensiero del M.) e la spiritualitàdella nostra individualità, che il M. vuole ad ogni costodifesa, scompare.

Il vero è che, come dicemmo, alla posizione martinet-tiana è inibito ogni problema metafisico, e con tale ini-bizione non v'ha più filosofia.

56. Storicità e sinteticità della posizione speculati-va di B. Varisco.

La filosofia di B. Varisco, invece, sta tutta nella impo-stazione di questi grandi problemi metafisici: una solu-zione accettata, creduta, vissuta, ma non risultante daquesta impostazione, può far parte della sua fede di cre-dente, non è suo patrimonio di pensatore. In questa im-postazione il puro kantismo è superato di colpo.

V'ha chi considera questa filosofia come già sorpassa-ta, antistorica. Il V. infatti non parte da una posizionespeculativa storica, già posta ed accettata come puntod'arrivo della speculazione: par che rivanghi terreno giàabbandonato da secoli, pur nel suo discutere voci recen-tissime.

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L'accusa di antistoricismo viene da alcuni riduttoridella concretezza a sola storia e della storia a filosofiacome storia di se stessa.

Il vero è che il loro storicismo non può o non vuoleintendere la storicità dei pensiero del V., che è molto piùprofonda della loro. Quello storicismo, infatti, nel tenta-tivo di ridurre il pensiero speculativo nella sua viventeattualità alla sua storia, finisce col ridurre storia e specu-lazione o ad un assoluto vuoto pneumatico, o ad un con-tingentismo, senza consistenza e senza principi. Il V. in-vece parte proprio da esigenze della coscienza comune,che egli non trovi appieno soddisfatte dal sapere filoso-fico inteso rigorosamente come tale. Or senza questo ri-corso ad insoddisfatte esigenze della coscienza comunecome punto di partenza, non c'è possibilità di riempirequel vuoto, di superare quella inconsistente contingenza.Quel ricorso evita il chiudersi della filosofia nella suastoria e ci fa, direi, sorprendere la filosofia nel suo attua-le perenne generarsi, nella sua problematicità, dalla vivaconcreta coscienza; e così, mentre da una parte ci evital'assoluta vuotezza di un'autocoscienza che non sa nulla(attualismo), dall'altra non costringe la filosofia ad ab-bandonare i suoi problemi immanenti, per vivere giornoper giorno dei problemi che l'atmosfera storica umana ledà (filosofia dello spirito).

Il preteso regresso quindi nella posizione speculativadel V., di fronte al grado raggiunto dalla speculazionehegeliana, costituisce invece la sinteticità della sua dot-

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L'accusa di antistoricismo viene da alcuni riduttoridella concretezza a sola storia e della storia a filosofiacome storia di se stessa.

Il vero è che il loro storicismo non può o non vuoleintendere la storicità dei pensiero del V., che è molto piùprofonda della loro. Quello storicismo, infatti, nel tenta-tivo di ridurre il pensiero speculativo nella sua viventeattualità alla sua storia, finisce col ridurre storia e specu-lazione o ad un assoluto vuoto pneumatico, o ad un con-tingentismo, senza consistenza e senza principi. Il V. in-vece parte proprio da esigenze della coscienza comune,che egli non trovi appieno soddisfatte dal sapere filoso-fico inteso rigorosamente come tale. Or senza questo ri-corso ad insoddisfatte esigenze della coscienza comunecome punto di partenza, non c'è possibilità di riempirequel vuoto, di superare quella inconsistente contingenza.Quel ricorso evita il chiudersi della filosofia nella suastoria e ci fa, direi, sorprendere la filosofia nel suo attua-le perenne generarsi, nella sua problematicità, dalla vivaconcreta coscienza; e così, mentre da una parte ci evital'assoluta vuotezza di un'autocoscienza che non sa nulla(attualismo), dall'altra non costringe la filosofia ad ab-bandonare i suoi problemi immanenti, per vivere giornoper giorno dei problemi che l'atmosfera storica umana ledà (filosofia dello spirito).

Il preteso regresso quindi nella posizione speculativadel V., di fronte al grado raggiunto dalla speculazionehegeliana, costituisce invece la sinteticità della sua dot-

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trina, di fronte alla dogmatica analiticità degli storicistisviluppatori di Hegel.

Sinteticità proprio kantiana, se la sintesi kantiana nonvogliamo ridurre alla concezione grettamente psicologi-ca di un giudizio, in cui il predicato abbia in sè qualcosache non è nel soggetto. Sinteticità kantiana che non è lahegeliana dialetticità antinomica, che se ne è voluto trar-re, ma è conoscenza nuova di quella realtà concreta incui e da cui, come da suo principio, si radica e si svolgela riflessione filosofica.

Solo quando sentiamo, al di là del pensiero filosofico,qualcosa di inesplicato da criticare, solo quando, al di làdella storica filosofia, esigenze della nostra coscienzaconcreta ci muovono a filosofare, solo allora, io dico,noi portiamo la speculazione ad un più alto grado, noisuperiamo la schietta analisi, in cui, invece, ci chiudia-mo rimanendo nella storia della filosofia.

Dalla sinteticità del filosofare consegue sviluppo eprogresso nella speculazione. I grandi movimenti dipensiero speculativo, Socrate, Platone, Cristianesimo,Rinascimento, Critica sono tutti movimenti di pensieroderivati da insoddisfatte esigenze, riconosciute cometali, e che, presentandosi allo spirito riflessivo del filo-sofo, rendono necessario un nuovo indirizzo, una nuovaposizione di pensiero, aprono un nuovo ciclo nella storiadella filosofia, la quale così non è costretta, per poter dirqualcosa, a dover rinnegare quello che aveva già detto.

Oggi, dopo che la filosofia moderna nel suo sviluppotedesco, svolgendo forse, a suo modo, il fondamentale

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trina, di fronte alla dogmatica analiticità degli storicistisviluppatori di Hegel.

Sinteticità proprio kantiana, se la sintesi kantiana nonvogliamo ridurre alla concezione grettamente psicologi-ca di un giudizio, in cui il predicato abbia in sè qualcosache non è nel soggetto. Sinteticità kantiana che non è lahegeliana dialetticità antinomica, che se ne è voluto trar-re, ma è conoscenza nuova di quella realtà concreta incui e da cui, come da suo principio, si radica e si svolgela riflessione filosofica.

Solo quando sentiamo, al di là del pensiero filosofico,qualcosa di inesplicato da criticare, solo quando, al di làdella storica filosofia, esigenze della nostra coscienzaconcreta ci muovono a filosofare, solo allora, io dico,noi portiamo la speculazione ad un più alto grado, noisuperiamo la schietta analisi, in cui, invece, ci chiudia-mo rimanendo nella storia della filosofia.

Dalla sinteticità del filosofare consegue sviluppo eprogresso nella speculazione. I grandi movimenti dipensiero speculativo, Socrate, Platone, Cristianesimo,Rinascimento, Critica sono tutti movimenti di pensieroderivati da insoddisfatte esigenze, riconosciute cometali, e che, presentandosi allo spirito riflessivo del filo-sofo, rendono necessario un nuovo indirizzo, una nuovaposizione di pensiero, aprono un nuovo ciclo nella storiadella filosofia, la quale così non è costretta, per poter dirqualcosa, a dover rinnegare quello che aveva già detto.

Oggi, dopo che la filosofia moderna nel suo sviluppotedesco, svolgendo forse, a suo modo, il fondamentale

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motivo cristiano, ha portato al trionfo dell'uomo comesoggetto assoluto, e questo trionfo si ritiene idealismo,si ripresenta insoddisfatta nella coscienza comune l'esi-genza dell'oggettività del conoscere di tal soggetto. Nelfar sentire questa esigenza e nel promuoverne la filoso-fica soluzione il pensiero del Varisco è e sarà una istan-za di primo ordine. E così anche: tutto il pensiero specu-lativo moderno par fatto per allontanare il problemadell'esigenza religiosa, non per risolverlo. Or il Variscoil pensiero moderno non vuole affatto rinnegare, mavuole anche dare una risposta a quella esigenza.

57. Dall'accadere idealistico alla personalità di Dio.

Nel dare tale risposta il pensiero del V. passa per trefasi di sviluppo (cfr. appendice, 1), positivismo agnosti-co, idealismo critico, criticismo teistico: fasi di sviluppodi uno stesso sistema ideale, di un unico coerente pen-siero nel suo svolgimento (cfr. app., III). Vediamone iprincipi fondamentali, cogliendoli nella fase di pienosviluppo, nel criticismo teistico. Punto di partenza èl'accadere fisico col suo mutamento: un prima e un poi,un visto, un toccato, un mosso, ecc. Questo accadere di-ciamo realtà: è una costatazione di fatto. Ma constatia-mo anche che tale accadere è la conoscenza dell'acca-dere stesso: ricercare se e che cosa sia l'accadere al di là

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motivo cristiano, ha portato al trionfo dell'uomo comesoggetto assoluto, e questo trionfo si ritiene idealismo,si ripresenta insoddisfatta nella coscienza comune l'esi-genza dell'oggettività del conoscere di tal soggetto. Nelfar sentire questa esigenza e nel promuoverne la filoso-fica soluzione il pensiero del Varisco è e sarà una istan-za di primo ordine. E così anche: tutto il pensiero specu-lativo moderno par fatto per allontanare il problemadell'esigenza religiosa, non per risolverlo. Or il Variscoil pensiero moderno non vuole affatto rinnegare, mavuole anche dare una risposta a quella esigenza.

57. Dall'accadere idealistico alla personalità di Dio.

Nel dare tale risposta il pensiero del V. passa per trefasi di sviluppo (cfr. appendice, 1), positivismo agnosti-co, idealismo critico, criticismo teistico: fasi di sviluppodi uno stesso sistema ideale, di un unico coerente pen-siero nel suo svolgimento (cfr. app., III). Vediamone iprincipi fondamentali, cogliendoli nella fase di pienosviluppo, nel criticismo teistico. Punto di partenza èl'accadere fisico col suo mutamento: un prima e un poi,un visto, un toccato, un mosso, ecc. Questo accadere di-ciamo realtà: è una costatazione di fatto. Ma constatia-mo anche che tale accadere è la conoscenza dell'acca-dere stesso: ricercare se e che cosa sia l'accadere al di là

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di quel che io ne so, non significa nulla: la ricerca infattisuppone già che si ritrovi nell'accadimento qualcosa cheio conosca come appartenente ad esso. La distinzione,adunque, che pur facciamo, tra accadimento e conoscen-za dell'accadimento, è la distinzione tra qualcosa di im-plicito alla coscienza e di già esplicito in essa.

Questa risoluzione, schiettamente idealistica,dell'accadere reale nell'accadere saputo implicitamente oesplicitamente, porta però il V. a distinguere il suo idea-lismo da quello tedesco post-kantiano: è, sì, da elimina-re la separazione tra soggetto ed oggetto, in quantol'oggetto si risolve completamente nella coscienza delsoggetto; ma il dover essere tale coscienza non soloesplicita ma anche implicita, esige invece la distinzionetra soggetto e soggetto, cioè esige che ci sia l'uno el'altro, e che perciò i soggetti siano molti. Eliminata cioèla posizione realistica (separazione dell'oggetto dal sog-getto), si rende necessaria, se l'identità di accadimento econoscenza dell'accadimento vogliamo mantenere, lapluralità dei soggetti, la loro numericità distinta. E, se èvero che non c'è che un solo accadere complessivo, èchiaro che tali molti soggetti, aventi coscienza dell'acca-dere, non posson essere che centri diversi di essa realtà.

Ma questi centri di accadimento sono anch'essi, o essisoltanto gli accadimenti stessi nella loro singolarità, ov-vero ciascun centro dell'accadere in tanto è centro inquanto in esso c'è qualcosa che supera gli accadimentistessi e che non è perciò riducibile a questi? A tal do-manda io non so trovare in V. una chiara e sicura rispo-

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di quel che io ne so, non significa nulla: la ricerca infattisuppone già che si ritrovi nell'accadimento qualcosa cheio conosca come appartenente ad esso. La distinzione,adunque, che pur facciamo, tra accadimento e conoscen-za dell'accadimento, è la distinzione tra qualcosa di im-plicito alla coscienza e di già esplicito in essa.

Questa risoluzione, schiettamente idealistica,dell'accadere reale nell'accadere saputo implicitamente oesplicitamente, porta però il V. a distinguere il suo idea-lismo da quello tedesco post-kantiano: è, sì, da elimina-re la separazione tra soggetto ed oggetto, in quantol'oggetto si risolve completamente nella coscienza delsoggetto; ma il dover essere tale coscienza non soloesplicita ma anche implicita, esige invece la distinzionetra soggetto e soggetto, cioè esige che ci sia l'uno el'altro, e che perciò i soggetti siano molti. Eliminata cioèla posizione realistica (separazione dell'oggetto dal sog-getto), si rende necessaria, se l'identità di accadimento econoscenza dell'accadimento vogliamo mantenere, lapluralità dei soggetti, la loro numericità distinta. E, se èvero che non c'è che un solo accadere complessivo, èchiaro che tali molti soggetti, aventi coscienza dell'acca-dere, non posson essere che centri diversi di essa realtà.

Ma questi centri di accadimento sono anch'essi, o essisoltanto gli accadimenti stessi nella loro singolarità, ov-vero ciascun centro dell'accadere in tanto è centro inquanto in esso c'è qualcosa che supera gli accadimentistessi e che non è perciò riducibile a questi? A tal do-manda io non so trovare in V. una chiara e sicura rispo-

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sta. L'impostazione prima della speculazione del V., perla sua stessa esigenza religiosa, fa considerare questicentri singolari come sentimenti irriducibili ad accadere,come valori elementari; la soluzione ultima di quellastessa esigenza, ponendo l'accadere tutto come esplicitacoscienza di Dio, richiede i soggetti come singolari ac-cadimenti e niente più.

Comunque, posti i soggetti come centri dell'accadere,sorge subito per il V. la necessità di rendersi conto delladurata di essi. Se accadere è passare dall'implicitoall'esplicito, ogni centro dell'accadere è in continuo svi-luppo, cioè passa dall'implicito sapere al sapere esplici-to. Ogni inizio di sviluppo non è un assoluto inizio.Ogni formazione di sistema di coscienza, che diciamopersona, non avrà quindi un assoluto cominciamento; selo avesse, non potrebbe risolversi nel passaggiodall'implicito all'esplicito. E come per l'inizio, così perla cessazione: non può essere assoluta. I soggetti, dun-que, proprio perchè centri dell'accadere, non possono nèaver cominciato nè finire, sono eterni. La non cessazio-ne futura è fondata sulla esistenza precedente; ciò chenon comincia non può neppure finire; e non finisce sol-tanto ciò che non comincia.

Così dal riconoscimento dell'accadere come cono-scenza dell'accadere, cioè proprio da quella caratteristi-ca, da cui l'idealismo postkantiano aveva dedotta l'asso-luta unicità del soggetto cioè il Soggetto assoluto, il V.invece deduce la pluralità dei soggetti. Idealismo vari-

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sta. L'impostazione prima della speculazione del V., perla sua stessa esigenza religiosa, fa considerare questicentri singolari come sentimenti irriducibili ad accadere,come valori elementari; la soluzione ultima di quellastessa esigenza, ponendo l'accadere tutto come esplicitacoscienza di Dio, richiede i soggetti come singolari ac-cadimenti e niente più.

Comunque, posti i soggetti come centri dell'accadere,sorge subito per il V. la necessità di rendersi conto delladurata di essi. Se accadere è passare dall'implicitoall'esplicito, ogni centro dell'accadere è in continuo svi-luppo, cioè passa dall'implicito sapere al sapere esplici-to. Ogni inizio di sviluppo non è un assoluto inizio.Ogni formazione di sistema di coscienza, che diciamopersona, non avrà quindi un assoluto cominciamento; selo avesse, non potrebbe risolversi nel passaggiodall'implicito all'esplicito. E come per l'inizio, così perla cessazione: non può essere assoluta. I soggetti, dun-que, proprio perchè centri dell'accadere, non possono nèaver cominciato nè finire, sono eterni. La non cessazio-ne futura è fondata sulla esistenza precedente; ciò chenon comincia non può neppure finire; e non finisce sol-tanto ciò che non comincia.

Così dal riconoscimento dell'accadere come cono-scenza dell'accadere, cioè proprio da quella caratteristi-ca, da cui l'idealismo postkantiano aveva dedotta l'asso-luta unicità del soggetto cioè il Soggetto assoluto, il V.invece deduce la pluralità dei soggetti. Idealismo vari-

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schiano ed idealismo postkantiano vengono, pur parten-do dallo stesso punto, a risultati diametralmente opposti.

Però, insieme con la molteplicità dei soggetti, va de-dotta, proprio dallo stesso principio dell'accadere comeconoscenza di esso, l'unità dell'accadere stesso. Il muta-mento infatti, che vedemmo essere carattere essenzialedell'accadere, richiede un principio fondamentale delmutare stesso. Riconosciamo così entro il mutare la leg-ge immutabile del mutare, qualcosa cioè che costituendol'unità dell'accadere, fa sì che questo non si disperda inuna assoluta inconcepibile pluralità, ma abbia invece insè un'assoluta unità. Non vi può essere mutamento senzalegge, legge che è proprio oggettiva conoscenzadell'accadere, ma che è insieme l'essere dell'accadere.L'essere dell'accadere è perciò anche il concetto, che,pur presente come costitutivo di quei sistemi che sonogli espliciti soggetti, è legge, che, unificando questi, fasì che gli accadimenti siano gli stessi per i molti sogget-ti. Così quei molti sistemi parziali, che sono i molti sog-getti, si raggruppano in un sistema unico: l'essere uni-versale. Da ciò il riconoscimento che il soggetto fa, an-che nel proprio sistema, dell'altrui sistema. Ricomparecosì in V. l'oggetto e vi ricompare non come cosa al di làdei soggetti, nè come soggetto, ma come concetto ine-rente alla coscienza dei soggetti cioè come unificazionedi questi. Quindi la verità del concepire categorico conle leggi di temporalità, spazialità, causalità.

Ma se l'unificazione, cioè l'essere degli accadimenti,che è la legge dei soggetti, fosse soltanto tal legge e nul-

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schiano ed idealismo postkantiano vengono, pur parten-do dallo stesso punto, a risultati diametralmente opposti.

Però, insieme con la molteplicità dei soggetti, va de-dotta, proprio dallo stesso principio dell'accadere comeconoscenza di esso, l'unità dell'accadere stesso. Il muta-mento infatti, che vedemmo essere carattere essenzialedell'accadere, richiede un principio fondamentale delmutare stesso. Riconosciamo così entro il mutare la leg-ge immutabile del mutare, qualcosa cioè che costituendol'unità dell'accadere, fa sì che questo non si disperda inuna assoluta inconcepibile pluralità, ma abbia invece insè un'assoluta unità. Non vi può essere mutamento senzalegge, legge che è proprio oggettiva conoscenzadell'accadere, ma che è insieme l'essere dell'accadere.L'essere dell'accadere è perciò anche il concetto, che,pur presente come costitutivo di quei sistemi che sonogli espliciti soggetti, è legge, che, unificando questi, fasì che gli accadimenti siano gli stessi per i molti sogget-ti. Così quei molti sistemi parziali, che sono i molti sog-getti, si raggruppano in un sistema unico: l'essere uni-versale. Da ciò il riconoscimento che il soggetto fa, an-che nel proprio sistema, dell'altrui sistema. Ricomparecosì in V. l'oggetto e vi ricompare non come cosa al di làdei soggetti, nè come soggetto, ma come concetto ine-rente alla coscienza dei soggetti cioè come unificazionedi questi. Quindi la verità del concepire categorico conle leggi di temporalità, spazialità, causalità.

Ma se l'unificazione, cioè l'essere degli accadimenti,che è la legge dei soggetti, fosse soltanto tal legge e nul-

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la più, cioè, per sè, fosse soltanto oggettiva, noi dovrem-mo rinnegare la risoluzione dell'accadere nella cono-scenza dell'accadere, e cioè, il principio stesso di ognifilosofare e di ogni essere. Tale risoluzione infatti richie-de la coscienza implicita, e da questa è ineliminabilel'errore, il quale, come atto di coscienza, importa chenell'accadere idealisticamente inteso ci sia qualcosa chementre accade non accade: l'atto erroneo, accadimento esua negazione insieme. L'accadere idealistico, adunque,non può essere quello della identificazione di accadere econoscenza umana dell'accadere. Deve dunque esserviassoluta identificazione di accadere con la conoscenzadell'accadere, una identificazione, che, eliminando lacoscienza implicita, elimina l'errore che da questa o suquesta nasce. Quest'idea di Essere, dunque, che costitui-sce l'essere stesso delle cose, non si esaurisce nell'esseresoltanto l'idea unificatrice delle menti dei molti soggetti,ma richiede, perchè veramente essenza delle cose possaessere, che sia anche Soggetto per suo conto; cioè, Per-sona, la cui oggettività è la stessa oggettività che risultaa tutti gli altri singoli soggetti, i quali pur possono errareper l'implicito, che la loro parzialità richiede. L'unifica-zione oggettiva dell'accadere adunque richiede, se vo-gliamo salvare l'accadere come ideale, che essa non siasoltanto schietta oggettività dei molti soggetti, ma siaanche Persona, Dio, che può rivelarsi anche eccezional-mente, oltre il sostanziare che fa l'essere risultante allacoscienza dei soggetti.

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la più, cioè, per sè, fosse soltanto oggettiva, noi dovrem-mo rinnegare la risoluzione dell'accadere nella cono-scenza dell'accadere, e cioè, il principio stesso di ognifilosofare e di ogni essere. Tale risoluzione infatti richie-de la coscienza implicita, e da questa è ineliminabilel'errore, il quale, come atto di coscienza, importa chenell'accadere idealisticamente inteso ci sia qualcosa chementre accade non accade: l'atto erroneo, accadimento esua negazione insieme. L'accadere idealistico, adunque,non può essere quello della identificazione di accadere econoscenza umana dell'accadere. Deve dunque esserviassoluta identificazione di accadere con la conoscenzadell'accadere, una identificazione, che, eliminando lacoscienza implicita, elimina l'errore che da questa o suquesta nasce. Quest'idea di Essere, dunque, che costitui-sce l'essere stesso delle cose, non si esaurisce nell'esseresoltanto l'idea unificatrice delle menti dei molti soggetti,ma richiede, perchè veramente essenza delle cose possaessere, che sia anche Soggetto per suo conto; cioè, Per-sona, la cui oggettività è la stessa oggettività che risultaa tutti gli altri singoli soggetti, i quali pur possono errareper l'implicito, che la loro parzialità richiede. L'unifica-zione oggettiva dell'accadere adunque richiede, se vo-gliamo salvare l'accadere come ideale, che essa non siasoltanto schietta oggettività dei molti soggetti, ma siaanche Persona, Dio, che può rivelarsi anche eccezional-mente, oltre il sostanziare che fa l'essere risultante allacoscienza dei soggetti.

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Dio deve dunque essere Persona, perchè l'accadere cisia. A questa Persona non è essenziale l'accadere; essapuò essere senza questo, di cui però è condizione essen-ziale, è la stessa essenza. Questa la trascendenza relativadel V.: quasi un compromesso tra panteismo e teismo;panteismo, in quanto nella sua essenziale immutabileoggettività lo stesso accadere è Dio: teismo, in quantoproprio a questa oggettività si riconosce una trascenden-te personalità. Dimostrata razionalmente questa, è insie-me dimostrata la possibilità della rivelazione; la qualerientra nel campo della fede: alla filosofia basta averedimostrato tale possibilità. Si può, senza contravvenirealla ragione, credere nella rivelazione. “Si può”; il V.non dimostra che si deve. E il problema religioso inveceè risoluto positivamente, quando si dimostri che non sipossa non credere o non adorare.

58. Oggettivismo ed ontologismo varischiano.

Il principio del filosofare per V. non è dunque nè l'Iodi Fichte o dell'attualismo neo-hegeliano, nè la vuotaidea dell'essere uguale al nulla dello schietto Hegel, mal'accadere come conoscenza degli accadimenti, la cuilegge immanente è l'essere, il quale perciò, propriocome tal legge, è il supremo concetto, è l'Essere idealerosminiano. Questa legge, che è concetto, è, abbiam vi-sto, la stessa oggettività, per la quale i pensieri concreti

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Dio deve dunque essere Persona, perchè l'accadere cisia. A questa Persona non è essenziale l'accadere; essapuò essere senza questo, di cui però è condizione essen-ziale, è la stessa essenza. Questa la trascendenza relativadel V.: quasi un compromesso tra panteismo e teismo;panteismo, in quanto nella sua essenziale immutabileoggettività lo stesso accadere è Dio: teismo, in quantoproprio a questa oggettività si riconosce una trascenden-te personalità. Dimostrata razionalmente questa, è insie-me dimostrata la possibilità della rivelazione; la qualerientra nel campo della fede: alla filosofia basta averedimostrato tale possibilità. Si può, senza contravvenirealla ragione, credere nella rivelazione. “Si può”; il V.non dimostra che si deve. E il problema religioso inveceè risoluto positivamente, quando si dimostri che non sipossa non credere o non adorare.

58. Oggettivismo ed ontologismo varischiano.

Il principio del filosofare per V. non è dunque nè l'Iodi Fichte o dell'attualismo neo-hegeliano, nè la vuotaidea dell'essere uguale al nulla dello schietto Hegel, mal'accadere come conoscenza degli accadimenti, la cuilegge immanente è l'essere, il quale perciò, propriocome tal legge, è il supremo concetto, è l'Essere idealerosminiano. Questa legge, che è concetto, è, abbiam vi-sto, la stessa oggettività, per la quale i pensieri concreti

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(gli accadimenti) di un soggetto (un centro dell'accade-re) non sono propri soltanto di quel soggetto, ma di tuttii soggetti. Quella riduzione, quindi, che abbiam vistofatta dal V. della dualità soggetto-oggetto alla pluralitàsoggetto-soggetto, in tanto non porta il pensiero del V.ad un assoluto pluralismo, in quanto l'oggetto si ripre-senta come immanente al soggetto stesso. Cioè l'oggetti-vità è vista col suo carattere positivo, e non come nega-zione del soggetto. E in tanto il filosofare può partiredall'accadere, in quanto, di questo accadere, positiva im-manente legge è l'Essere ideale nella sua oggettività.Idealismo oggettivo dunque questo del V., non ostantel'apparenza di empiricità e soggettività, che pare rime-narlo da una parte ad un empirismo prekantiano edall'altra ad un idealismo soggettivistico post-kantiano.Che anzi la seconda apparenza condiziona la prima.Quando si sia ben capito che la varischiana riduzionedella diade soggetto-oggetto alla pluralità soggetto-sog-getto non è riduzione a pura soggettività, ma eliminazio-ne della oggettività naturalistica e ripresentazione dellaoggettività, nella sua natura idealistica, come nesso e su-peramento della pluralità soggetto-soggetto, si potrà unabuona volta non tacciare più di empirismo il pensierodel V.

E capir questo è capire che l'oggettività scoperta dalV. è ben diversa dalla oggettività svolta dall'idealismopost-kantiano. Ed è capire quindi che essa non è affattola negazione che il Soggetto trascendentale fa di sè. In-fatti, anche avendo presente il punto di arrivo della spe-

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(gli accadimenti) di un soggetto (un centro dell'accade-re) non sono propri soltanto di quel soggetto, ma di tuttii soggetti. Quella riduzione, quindi, che abbiam vistofatta dal V. della dualità soggetto-oggetto alla pluralitàsoggetto-soggetto, in tanto non porta il pensiero del V.ad un assoluto pluralismo, in quanto l'oggetto si ripre-senta come immanente al soggetto stesso. Cioè l'oggetti-vità è vista col suo carattere positivo, e non come nega-zione del soggetto. E in tanto il filosofare può partiredall'accadere, in quanto, di questo accadere, positiva im-manente legge è l'Essere ideale nella sua oggettività.Idealismo oggettivo dunque questo del V., non ostantel'apparenza di empiricità e soggettività, che pare rime-narlo da una parte ad un empirismo prekantiano edall'altra ad un idealismo soggettivistico post-kantiano.Che anzi la seconda apparenza condiziona la prima.Quando si sia ben capito che la varischiana riduzionedella diade soggetto-oggetto alla pluralità soggetto-sog-getto non è riduzione a pura soggettività, ma eliminazio-ne della oggettività naturalistica e ripresentazione dellaoggettività, nella sua natura idealistica, come nesso e su-peramento della pluralità soggetto-soggetto, si potrà unabuona volta non tacciare più di empirismo il pensierodel V.

E capir questo è capire che l'oggettività scoperta dalV. è ben diversa dalla oggettività svolta dall'idealismopost-kantiano. Ed è capire quindi che essa non è affattola negazione che il Soggetto trascendentale fa di sè. In-fatti, anche avendo presente il punto di arrivo della spe-

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culazione del V., Dio come Persona, questa Persona nonè affatto l'Io trascendentale dell'idealismo tedesco post-kantiano e del conseguente attualismo italiano. Il Sog-getto della personalità di Dio è, per V., Soggetto trascen-dente, non immanente in quanto Soggetto, è il Dio po-stulato dalla rivelazione religiosa. L'oggettività, dunque,non è mai negazione, nè di fronte al Soggetto assoluto,che come oggetto si pone in quanto sostanzia l'accadere,nè di fronte ai soggetti singolari che non pongono quellaoggettività negando se stessi. Se l'Essere ideale non fos-se positivo come tale, la mia soggettività, necessaria-mente singolare in quanto mia, svanirebbe, cioè io sareinegato come soggetto, e quindi non sarei affatto, o sareisoltanto, a dirla con i post-kantiani, un soggetto empiri-co, una cosa di natura. I molti soggetti, adunque, nonescludono la positività dell'oggetto, ma, la richiedonocome condizione essenziale del loro esserci. Siamo agliantipodi dell'idealismo post-kantiano.

Più lontano ancora è il concetto varischiano del reale,come processo dell'accadere, da quel dialettismo con-traddittorio, in cui finisce l'idealismo trascendentale. Iltempo, e ciò che in esso avviene, è, pel V., reale, e il rea-le non si risolve in atto puro di pura negatività. Leggefondamentale di sviluppo ne è l'essere, non la contraddi-zione; centri attivi di questo reale accadere sono proprioi molti soggetti e non l'Unico soggetto assoluto che ren-derebbe tutta una menzogna la consapevole attività diquesti molti. In complesso dunque il V. nega esplicita-mente i caratteri costitutivi dell'hegelismo e dell'ideali-

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culazione del V., Dio come Persona, questa Persona nonè affatto l'Io trascendentale dell'idealismo tedesco post-kantiano e del conseguente attualismo italiano. Il Sog-getto della personalità di Dio è, per V., Soggetto trascen-dente, non immanente in quanto Soggetto, è il Dio po-stulato dalla rivelazione religiosa. L'oggettività, dunque,non è mai negazione, nè di fronte al Soggetto assoluto,che come oggetto si pone in quanto sostanzia l'accadere,nè di fronte ai soggetti singolari che non pongono quellaoggettività negando se stessi. Se l'Essere ideale non fos-se positivo come tale, la mia soggettività, necessaria-mente singolare in quanto mia, svanirebbe, cioè io sareinegato come soggetto, e quindi non sarei affatto, o sareisoltanto, a dirla con i post-kantiani, un soggetto empiri-co, una cosa di natura. I molti soggetti, adunque, nonescludono la positività dell'oggetto, ma, la richiedonocome condizione essenziale del loro esserci. Siamo agliantipodi dell'idealismo post-kantiano.

Più lontano ancora è il concetto varischiano del reale,come processo dell'accadere, da quel dialettismo con-traddittorio, in cui finisce l'idealismo trascendentale. Iltempo, e ciò che in esso avviene, è, pel V., reale, e il rea-le non si risolve in atto puro di pura negatività. Leggefondamentale di sviluppo ne è l'essere, non la contraddi-zione; centri attivi di questo reale accadere sono proprioi molti soggetti e non l'Unico soggetto assoluto che ren-derebbe tutta una menzogna la consapevole attività diquesti molti. In complesso dunque il V. nega esplicita-mente i caratteri costitutivi dell'hegelismo e dell'ideali-

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smo post-kantiano in genere, pur accettando il punto dipartenza idealistico della Critica: l'insuperabilità dellacoscienza come coscienza dell'accadere.

59. La filosofia varischiana come sviluppo critico del rosminianesimo.

Si intende quindi la continuazione storica che il V. fadella filosofia italiana in genere e di quella del Rosminiin ispecie.

Per Rosmini l'oggettività della conoscenza umana èdata dall'essere ideale che è intuito dalla mente, e che,creando l'intelletto, dà all'uomo la possibilità di oggetti-vare le sue conoscenze sensibili. Il V. accetta l'afferma-zione rosminiana della validità oggettiva del conoscereumano come dipendente dall'essere ideale, e pone que-sto come l'essenza stessa dell'accadere; ma nello stessotempo valuta la Critica al suo vero valore, che va, comevedemmo, riconosciuto al lume della filosofia italianadel Risorgimento. Valore, che significa soltanto questo:se veramente la conoscenza è oggettiva come l'ideali-smo italiano del Risorgimento mette in evidenza,l'oggetto deve appartenere alla coscienza. L'appartenen-za dell'oggetto alla coscienza e quindi il nuovo concettodi concretezza è la vera scoperta di Kant. Questo valoredella Critica è stato forse intravisto dal V. Ed è quindinaturale che egli veda la superfluità di quell'intuito, me-

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smo post-kantiano in genere, pur accettando il punto dipartenza idealistico della Critica: l'insuperabilità dellacoscienza come coscienza dell'accadere.

59. La filosofia varischiana come sviluppo critico del rosminianesimo.

Si intende quindi la continuazione storica che il V. fadella filosofia italiana in genere e di quella del Rosminiin ispecie.

Per Rosmini l'oggettività della conoscenza umana èdata dall'essere ideale che è intuito dalla mente, e che,creando l'intelletto, dà all'uomo la possibilità di oggetti-vare le sue conoscenze sensibili. Il V. accetta l'afferma-zione rosminiana della validità oggettiva del conoscereumano come dipendente dall'essere ideale, e pone que-sto come l'essenza stessa dell'accadere; ma nello stessotempo valuta la Critica al suo vero valore, che va, comevedemmo, riconosciuto al lume della filosofia italianadel Risorgimento. Valore, che significa soltanto questo:se veramente la conoscenza è oggettiva come l'ideali-smo italiano del Risorgimento mette in evidenza,l'oggetto deve appartenere alla coscienza. L'appartenen-za dell'oggetto alla coscienza e quindi il nuovo concettodi concretezza è la vera scoperta di Kant. Questo valoredella Critica è stato forse intravisto dal V. Ed è quindinaturale che egli veda la superfluità di quell'intuito, me-

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diante il quale il R. faceva salire l'uomo alla oggettivitàdell'Essere. Se l'Essere ideale non è fuori della coscien-za ma è l'essere costitutivo della coscienza stessa delsoggetto, l'intuito rosminiano, questa specialissima me-diazione tra l'Essere ideale e l'umana mente, è superfluo,la coscienza è coscienza, dice in qualche luogo il V., enon ha bisogno di speciali atti per essere saputa.

Si dà così al pensiero quel valore di oggettività cheesso ha sempre avuto, ma che non era stato ancora abba-stanza visto. E proprio con questo valorizzare l'oggetti-vità del pensiero si pone finalmente il problema criticodei soggetti; problema assente nel pensiero di Kant (isoggetti vi sono ammessi dogmaticamente) e nell'ideali-smo post-kantiano, e che era stato sentito ma confusa-mente dal nostro Rosmini nella distinzione della formareale dell'essere da quella ideale. La possibilità dellaforma reale dell'essere è proprio il problema della plura-lità nella coscienza, cioè della soggettività. Il V. ha quasiimplicita una tal concezione, quando afferma l'intimitàdell'Essere ideale ai soggetti reali. E proprio per questainclusione dell'ideale nel reale, dell'Unico nei molti, ilV. supera il dualismo rosminiano e supera anche queldualismo kantiano tra senso e intelletto, che il sentimen-to fondamentale del Rosmini invano si sforza di supera-re. E perciò anche il V., mentre considera con Kantl'accadere come fenomenico, dall'altra parte dà col Ro-smini realtà a un tale accadere. E si mette quindi controKant, in quanto nega sotto il fenomeno un quid inacces-sibile (cosa in sè), essendo la realtà data dallo stesso fe-

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diante il quale il R. faceva salire l'uomo alla oggettivitàdell'Essere. Se l'Essere ideale non è fuori della coscien-za ma è l'essere costitutivo della coscienza stessa delsoggetto, l'intuito rosminiano, questa specialissima me-diazione tra l'Essere ideale e l'umana mente, è superfluo,la coscienza è coscienza, dice in qualche luogo il V., enon ha bisogno di speciali atti per essere saputa.

Si dà così al pensiero quel valore di oggettività cheesso ha sempre avuto, ma che non era stato ancora abba-stanza visto. E proprio con questo valorizzare l'oggetti-vità del pensiero si pone finalmente il problema criticodei soggetti; problema assente nel pensiero di Kant (isoggetti vi sono ammessi dogmaticamente) e nell'ideali-smo post-kantiano, e che era stato sentito ma confusa-mente dal nostro Rosmini nella distinzione della formareale dell'essere da quella ideale. La possibilità dellaforma reale dell'essere è proprio il problema della plura-lità nella coscienza, cioè della soggettività. Il V. ha quasiimplicita una tal concezione, quando afferma l'intimitàdell'Essere ideale ai soggetti reali. E proprio per questainclusione dell'ideale nel reale, dell'Unico nei molti, ilV. supera il dualismo rosminiano e supera anche queldualismo kantiano tra senso e intelletto, che il sentimen-to fondamentale del Rosmini invano si sforza di supera-re. E perciò anche il V., mentre considera con Kantl'accadere come fenomenico, dall'altra parte dà col Ro-smini realtà a un tale accadere. E si mette quindi controKant, in quanto nega sotto il fenomeno un quid inacces-sibile (cosa in sè), essendo la realtà data dallo stesso fe-

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nomeno; si mette contro Rosmini, in quanto riduce larealtà naturale a fenomeno. L'accadere dunque non è ilpuro apparire di una estranea cosa, ma è proprio l'acca-dere, di cui tutti i soggetti sono centri consapevoli, inquanto sono coscienza dell'essere che è l'essenza diquell'accadere.

Il pensiero del V. è dunque una specie di ontologi-smo, e costituisce un approfondimento notevole del pen-siero rosminiano su base critica. Base critica, che il V.rinnova, traendone i motivi, consapevole o no che eglidi ciò sia, dallo storico carattere immanentisticodell'idealismo italiano, che vedemmo in Bruno come inRosmini. Il pensiero del V., perciò, continua la storiadell'idealismo italiano, dalla quale invece abbiamo vistoallontanarsi il neoheghelismo. L'immanentismo è dal V.affermato con maggior consapevolezza attraverso l'esi-genza critica dell'appartenenza dell'oggetto alla coscien-za. La confutazione che Rosmini e Gioberti facevano diKant, è accettata; ma è ritrovata nella categoricità kan-tiana quella oggettività, il cui difetto motivava la confu-tazione. Questo stesso rinnovamento della Critica porta-va poi il V. a porre il problema dei soggetti, per il qualeegli si distingue nettamente dai pensatori precedenti econtemporanei.

Il problema dei soggetti, in fondo il vecchio problemadell'anima, era scomparso dalla filosofia idealisticapost-kantiana. Il V. lo pone allo studio e lo impone al dilà della sua vecchia impostazione della immortalità: è

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nomeno; si mette contro Rosmini, in quanto riduce larealtà naturale a fenomeno. L'accadere dunque non è ilpuro apparire di una estranea cosa, ma è proprio l'acca-dere, di cui tutti i soggetti sono centri consapevoli, inquanto sono coscienza dell'essere che è l'essenza diquell'accadere.

Il pensiero del V. è dunque una specie di ontologi-smo, e costituisce un approfondimento notevole del pen-siero rosminiano su base critica. Base critica, che il V.rinnova, traendone i motivi, consapevole o no che eglidi ciò sia, dallo storico carattere immanentisticodell'idealismo italiano, che vedemmo in Bruno come inRosmini. Il pensiero del V., perciò, continua la storiadell'idealismo italiano, dalla quale invece abbiamo vistoallontanarsi il neoheghelismo. L'immanentismo è dal V.affermato con maggior consapevolezza attraverso l'esi-genza critica dell'appartenenza dell'oggetto alla coscien-za. La confutazione che Rosmini e Gioberti facevano diKant, è accettata; ma è ritrovata nella categoricità kan-tiana quella oggettività, il cui difetto motivava la confu-tazione. Questo stesso rinnovamento della Critica porta-va poi il V. a porre il problema dei soggetti, per il qualeegli si distingue nettamente dai pensatori precedenti econtemporanei.

Il problema dei soggetti, in fondo il vecchio problemadell'anima, era scomparso dalla filosofia idealisticapost-kantiana. Il V. lo pone allo studio e lo impone al dilà della sua vecchia impostazione della immortalità: è

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prima da vedere, se e in che senso si possa parlar di ani-me, cioè di pluralità nel campo della spiritualità.

Così il V. nella lotta tra il pensiero ortodosso che con-danna senz'altro come patologia tutta la speculazionemoderna, e questa che confina quello in sorpassate for-me storiche o in accomodanti dimostrazioni di miti reli-giosi, riprende lo sforzo dei Rosmini, dei Gioberti, deiMazzini, e cerca di salvare i valori essenziali della tradi-zione, piegando a una dimostrazione di questi le conqui-ste della autonoma indagine filosofica moderna.

L'idealismo del V., adunque, riprendendo con mag-giore consapevolezza critica il motivo dell'immanenti-smo oggettivo, continua l'idealismo italiano nei suoi ca-ratteri fondamentali, dando specialmente alla filosofiadel Rosmini maggiore consapevolezza di sè. Non è dun-que il pensiero varischiano un sopravissuto momentodogmatico, che rimanga solo ai margini della correnteviva del pensiero speculativo, ma è profonda corrente dipensiero, che, continuando lo sforzo della speculazioneitaliana, scalza alle basi il soggettivismo e mettendo inevidenza le esigenze della oggettività prepara la nuovaatmosfera speculativa.

Che questa profonda corrente viva oggi non affiorialla superficie, è spiegabile quando si pensi che tradizio-nalisti col loro attaccamento alle istituzioni, e novatoricol loro attivismo superficiale sentono entrambi il loroquieto vivere minato da questa speculazione, che purcon intento apologetico, qual è in fondo quello del V.,

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prima da vedere, se e in che senso si possa parlar di ani-me, cioè di pluralità nel campo della spiritualità.

Così il V. nella lotta tra il pensiero ortodosso che con-danna senz'altro come patologia tutta la speculazionemoderna, e questa che confina quello in sorpassate for-me storiche o in accomodanti dimostrazioni di miti reli-giosi, riprende lo sforzo dei Rosmini, dei Gioberti, deiMazzini, e cerca di salvare i valori essenziali della tradi-zione, piegando a una dimostrazione di questi le conqui-ste della autonoma indagine filosofica moderna.

L'idealismo del V., adunque, riprendendo con mag-giore consapevolezza critica il motivo dell'immanenti-smo oggettivo, continua l'idealismo italiano nei suoi ca-ratteri fondamentali, dando specialmente alla filosofiadel Rosmini maggiore consapevolezza di sè. Non è dun-que il pensiero varischiano un sopravissuto momentodogmatico, che rimanga solo ai margini della correnteviva del pensiero speculativo, ma è profonda corrente dipensiero, che, continuando lo sforzo della speculazioneitaliana, scalza alle basi il soggettivismo e mettendo inevidenza le esigenze della oggettività prepara la nuovaatmosfera speculativa.

Che questa profonda corrente viva oggi non affiorialla superficie, è spiegabile quando si pensi che tradizio-nalisti col loro attaccamento alle istituzioni, e novatoricol loro attivismo superficiale sentono entrambi il loroquieto vivere minato da questa speculazione, che purcon intento apologetico, qual è in fondo quello del V.,

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come era quello del Rosmini, riesce a scoprire la inso-stenibile dogmaticità degli uni e degli altri.

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come era quello del Rosmini, riesce a scoprire la inso-stenibile dogmaticità degli uni e degli altri.

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APPENDICE10

LA FILOSOFIA DI B. VARISCO

I.11

IL PENSIERO FILOSOFICO

10 Aggiungo anche a questo capitolo una appendice per lestesse ragioni per le quali l'ho aggiunta al capitolo precedente. Itre scritti, che la compongono, sono rispettivamente del 1926, del1927, del 1934, e sono qui ripubblicati alla lettera. Devesi tenerconto che già nel 1914 io avevo pubblicato il mio saggio suL'Essere e il problema religioso (Laterza, Bari), che aveva persottotitolo «A proposito del Conosci te stesso di B. Varisco», e incui esaminavo criticamente le concezioni fondamentali della filo-sofia varischiana.

Mi permetto di richiamare l'attenzione specialmente di giovanistudiosi, su questo nostro vigoroso pensatore: è bandito, presso laReale Accademia dei Lincei, un concorso al premio di lire venti-mila per «la migliore opera inedita sul pensiero filosofico, politi-co, educativo di B. Varisco». Il concorso, che credo aperto ancheagli stranieri, si chiuderà il 31 dicembre 1939.

11 È riproduzione letterale dal «Giornale critico della filosofiaitaliana» fasc. IV del 1926.

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APPENDICE10

LA FILOSOFIA DI B. VARISCO

I.11

IL PENSIERO FILOSOFICO

10 Aggiungo anche a questo capitolo una appendice per lestesse ragioni per le quali l'ho aggiunta al capitolo precedente. Itre scritti, che la compongono, sono rispettivamente del 1926, del1927, del 1934, e sono qui ripubblicati alla lettera. Devesi tenerconto che già nel 1914 io avevo pubblicato il mio saggio suL'Essere e il problema religioso (Laterza, Bari), che aveva persottotitolo «A proposito del Conosci te stesso di B. Varisco», e incui esaminavo criticamente le concezioni fondamentali della filo-sofia varischiana.

Mi permetto di richiamare l'attenzione specialmente di giovanistudiosi, su questo nostro vigoroso pensatore: è bandito, presso laReale Accademia dei Lincei, un concorso al premio di lire venti-mila per «la migliore opera inedita sul pensiero filosofico, politi-co, educativo di B. Varisco». Il concorso, che credo aperto ancheagli stranieri, si chiuderà il 31 dicembre 1939.

11 È riproduzione letterale dal «Giornale critico della filosofiaitaliana» fasc. IV del 1926.

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l. All'animo modesto e sdegnoso, all'acuto e profondointelletto di Bernardino Varisco, non si addice, anchequando si deve soltanto rendergli onore, la pura esalta-zione discorsiva dei meriti del suo vivere.

Egli certo preferisce che anche ora le nostre menti siprotendano verso quel Vero, la cui indagine fu ed è lasua appassionata fatica.

Io tenterò quindi – nel modo, che le mie deboli forzeconsentono, nei limiti, che al tempo impone la solennitàstessa dell'ora – di cogliere, quale a me si presenta, ilvalore intinto del pensiero del V. nella sua originalità edattualità.

Quanto al vivere, Egli è stato già felicemente scolpi-to: «artefice silenzioso della nuova Italia»12. Artefice,

12 Le parole sono di G. Gentile, che le dettò per la medagliarecante l'effigie del venerando maestro: «Giubileo – di – Bernar-dino Varisco – Pensatore e Maestro – Artefice silenzioso – dellanuova Italia».

La medaglia e il volume di Scritti filosofici, pubblicati in onoredel Varisco, furono a Lui presentati, il 14 Aprite 1926, con eleva-te parole di compiacimento e di augurio, dal Rettore della R. Uni-versità di Roma prof. Giorgio Del Vecchio, dinanzi alle autorità,ai colleghi, agli ammiratori ed ai discepoli dell'insigne uomo, iquali gremivano l'aula magna dell'Ateneo romano.

L'opera fervida ed assidua spesa dal Varisco come insegnantenella Università di Roma, fu messa bellamente in evidenza dalPreside della Facoltà di Lettere e Filosofia prof. Giuseppe Cardi-nali.

E fu allora pronunziato anche il discorso che qui ora si pubbli-ca.

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l. All'animo modesto e sdegnoso, all'acuto e profondointelletto di Bernardino Varisco, non si addice, anchequando si deve soltanto rendergli onore, la pura esalta-zione discorsiva dei meriti del suo vivere.

Egli certo preferisce che anche ora le nostre menti siprotendano verso quel Vero, la cui indagine fu ed è lasua appassionata fatica.

Io tenterò quindi – nel modo, che le mie deboli forzeconsentono, nei limiti, che al tempo impone la solennitàstessa dell'ora – di cogliere, quale a me si presenta, ilvalore intinto del pensiero del V. nella sua originalità edattualità.

Quanto al vivere, Egli è stato già felicemente scolpi-to: «artefice silenzioso della nuova Italia»12. Artefice,

12 Le parole sono di G. Gentile, che le dettò per la medagliarecante l'effigie del venerando maestro: «Giubileo – di – Bernar-dino Varisco – Pensatore e Maestro – Artefice silenzioso – dellanuova Italia».

La medaglia e il volume di Scritti filosofici, pubblicati in onoredel Varisco, furono a Lui presentati, il 14 Aprite 1926, con eleva-te parole di compiacimento e di augurio, dal Rettore della R. Uni-versità di Roma prof. Giorgio Del Vecchio, dinanzi alle autorità,ai colleghi, agli ammiratori ed ai discepoli dell'insigne uomo, iquali gremivano l'aula magna dell'Ateneo romano.

L'opera fervida ed assidua spesa dal Varisco come insegnantenella Università di Roma, fu messa bellamente in evidenza dalPreside della Facoltà di Lettere e Filosofia prof. Giuseppe Cardi-nali.

E fu allora pronunziato anche il discorso che qui ora si pubbli-ca.

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operante nella intimità della coscienza dalla pensosaprofondità del suo animo. Profondità, tutta fervore diopera costruttiva, quando anche non sia tradotta in de-terminate costruzioni esteriori. Egli parla dal profondoal profondo. Devono quindi queste nostre onoranze si-gnificare anche e provocare il plauso e la gratitudine,con cui l'Italia, alla fine pienamente consapevole e fieradi sè, bisogna che rimiri questo grande suo figlio a Leidevoto, figlio che – con l'indagine tenace e profonda –con lo stile italianamente lucido, lineare, semplice – conla parola viva di Maestro alimentata da inestinguibile ar-dore di ricerca e tendente sempre alle radici profondedella convinzione – con la critica incalzante, sostenutada una onestà filosofica scrupolosa oltre ogni limite –con l'inflessibile rigore verso se stesso, mitigato soltantodalla indulgenza verso altri – con la incondizionata de-dizione alla Patria, nella sua alta missione di Pensatore edi Maestro – con la chiara augurale visione, infine, sen-tita e fatta sentire, già da gran tempo, al di fuori e al di-sopra di ogni partigiana concezione politica, di una Ita-lia in tutta la fierezza e dignità della sua persona sovra-na – figlio, in breve, che, improntando così la coscienzacivile delle giovani generazioni alla più nobile forma diumanità e dando al patrimonio spirituale d'Italia una ric-chezza che copiosi ancora continuerà a portare i suoifrutti, non nel campo speculativo soltanto, ma in tutta lapiù profonda concretezza del vivere, può dirsi veramen-te artefice, tanto delicato e profondo quanto silenzioso e

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operante nella intimità della coscienza dalla pensosaprofondità del suo animo. Profondità, tutta fervore diopera costruttiva, quando anche non sia tradotta in de-terminate costruzioni esteriori. Egli parla dal profondoal profondo. Devono quindi queste nostre onoranze si-gnificare anche e provocare il plauso e la gratitudine,con cui l'Italia, alla fine pienamente consapevole e fieradi sè, bisogna che rimiri questo grande suo figlio a Leidevoto, figlio che – con l'indagine tenace e profonda –con lo stile italianamente lucido, lineare, semplice – conla parola viva di Maestro alimentata da inestinguibile ar-dore di ricerca e tendente sempre alle radici profondedella convinzione – con la critica incalzante, sostenutada una onestà filosofica scrupolosa oltre ogni limite –con l'inflessibile rigore verso se stesso, mitigato soltantodalla indulgenza verso altri – con la incondizionata de-dizione alla Patria, nella sua alta missione di Pensatore edi Maestro – con la chiara augurale visione, infine, sen-tita e fatta sentire, già da gran tempo, al di fuori e al di-sopra di ogni partigiana concezione politica, di una Ita-lia in tutta la fierezza e dignità della sua persona sovra-na – figlio, in breve, che, improntando così la coscienzacivile delle giovani generazioni alla più nobile forma diumanità e dando al patrimonio spirituale d'Italia una ric-chezza che copiosi ancora continuerà a portare i suoifrutti, non nel campo speculativo soltanto, ma in tutta lapiù profonda concretezza del vivere, può dirsi veramen-te artefice, tanto delicato e profondo quanto silenzioso e

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tenace, del rinnovarsi spirituale di questa nostra gloriosae sempre giovane Italia.

Egli sentì subito, non appena, rotti i confini in cui lediscipline matematiche lo chiudevano, ritrovò la suavera via e si rivelò e si fece maestro di quello sforzo fi-losofico che è l'intimo sostentamento di ogni vivereumano – sentì subito che alla rinascita spirituale si pote-va e si doveva giungere attraverso un profondo rinnova-mento del pensiero filosofico.

Vide con chiarezza che sul preteso fatto oggettivo dinatura non era possibile fondare quel regno dello Spiri-to, che è la sola realtà che veramente risulta, e nel qualesoltanto la vita umana può ritrovare a suo principio nonl'interesse, fuggitivo e parziale, cui pur inevitabilmentele singole persone sono legate, ma il valore universaleche vive perenne e dal quale soltanto tutti i possibili in-teressi singolari possono avere un qualche significato.

E senza tentennamenti da una parte, senza cecità dineofito dall'altra, si mise deciso per la via del rinnova-mento.

In questa poi, la sua schietta e salda tempra di filoso-fo, arricchita, come raramente ci è dato notare nella sto-ria del pensiero, di sicura e profonda cultura scientificada una parte, di sentita cultura umanistica dall'altra, nonpoteva non stampare la sua propria orma: nel movimen-to spirituale idealistico il V. ha una sua propria e decisaoriginalità.

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tenace, del rinnovarsi spirituale di questa nostra gloriosae sempre giovane Italia.

Egli sentì subito, non appena, rotti i confini in cui lediscipline matematiche lo chiudevano, ritrovò la suavera via e si rivelò e si fece maestro di quello sforzo fi-losofico che è l'intimo sostentamento di ogni vivereumano – sentì subito che alla rinascita spirituale si pote-va e si doveva giungere attraverso un profondo rinnova-mento del pensiero filosofico.

Vide con chiarezza che sul preteso fatto oggettivo dinatura non era possibile fondare quel regno dello Spiri-to, che è la sola realtà che veramente risulta, e nel qualesoltanto la vita umana può ritrovare a suo principio nonl'interesse, fuggitivo e parziale, cui pur inevitabilmentele singole persone sono legate, ma il valore universaleche vive perenne e dal quale soltanto tutti i possibili in-teressi singolari possono avere un qualche significato.

E senza tentennamenti da una parte, senza cecità dineofito dall'altra, si mise deciso per la via del rinnova-mento.

In questa poi, la sua schietta e salda tempra di filoso-fo, arricchita, come raramente ci è dato notare nella sto-ria del pensiero, di sicura e profonda cultura scientificada una parte, di sentita cultura umanistica dall'altra, nonpoteva non stampare la sua propria orma: nel movimen-to spirituale idealistico il V. ha una sua propria e decisaoriginalità.

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2. Originalità che, per quanto da tutti confusamentesentita, a me pare che non sia stata vista ancora con suf-ficiente esattezza.

Del pensiero del V., che pur dà alla filosofia comeprincipale compito l'orientamento della vita, non parefacile ritrovare l'intimo e sostanziale orientamento. E sispiega: Egli è rinnovatore della Critica. Donde il carat-tere fondamentale del suo pensiero: di critica suscitatri-ce di problemi, più che di sistematica dottrina metafisi-ca.

Certo, della originalità di un pensatore la genesi sta inquello che può dirsi il problema del suo vivere. Ma perscoprirla non bisogna chiudersi in questo. Di solito – iodirei sempre – l'originalità di un filosofo trascendel'impostazione e la soluzione del suo problema.

Or si sa che il problema, con cui si afferma la perso-nalità speculativa di B. V. è la giustificazione della reli-gione. Ce ne ha data la soluzione in tre momenti che siintegrano successivamente.

Il sentimento, su cui si fonda la religione, è oppostoalla ragione. Or, pur non avendo la ragione motivo alcu-no per ricorrere al sentimento, questo non resta per altrosoppresso. Tipico l'esempio dato, se mal non ricordo, aquesto proposito: mi si imputi un reato, del quale sono emi so assolutamente innocente. Pure il reato può presen-tarsi ai giudici in circostanze tali da dovere io stesso darloro ragione, quando me ne ritengono autore. Tuttavia ioresto innocente.

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2. Originalità che, per quanto da tutti confusamentesentita, a me pare che non sia stata vista ancora con suf-ficiente esattezza.

Del pensiero del V., che pur dà alla filosofia comeprincipale compito l'orientamento della vita, non parefacile ritrovare l'intimo e sostanziale orientamento. E sispiega: Egli è rinnovatore della Critica. Donde il carat-tere fondamentale del suo pensiero: di critica suscitatri-ce di problemi, più che di sistematica dottrina metafisi-ca.

Certo, della originalità di un pensatore la genesi sta inquello che può dirsi il problema del suo vivere. Ma perscoprirla non bisogna chiudersi in questo. Di solito – iodirei sempre – l'originalità di un filosofo trascendel'impostazione e la soluzione del suo problema.

Or si sa che il problema, con cui si afferma la perso-nalità speculativa di B. V. è la giustificazione della reli-gione. Ce ne ha data la soluzione in tre momenti che siintegrano successivamente.

Il sentimento, su cui si fonda la religione, è oppostoalla ragione. Or, pur non avendo la ragione motivo alcu-no per ricorrere al sentimento, questo non resta per altrosoppresso. Tipico l'esempio dato, se mal non ricordo, aquesto proposito: mi si imputi un reato, del quale sono emi so assolutamente innocente. Pure il reato può presen-tarsi ai giudici in circostanze tali da dovere io stesso darloro ragione, quando me ne ritengono autore. Tuttavia ioresto innocente.

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Quando però in questa posizione si matura la conce-zione idealistica, per la quale l'essere non può scindersidal sapere, il primo momento si tramuta nel secondo,pel quale il sentimento si manifesta traducibile in ragio-ne (dottrina varischiana del valore) e comincia effettiva-mente a tradursi: Il Dio del sentimento ci risulta nellaragione almeno come assoluto Pensiero che è assolutoEssere. Nel Dio religioso del sentimento resta ancoraqualche cosa (la personalità di Dio), della quale la ragio-ne par che possa fare a meno.

Nel terzo momento infine il problema è risoluto ra-zionalmente nella sua pienezza: l'opposizione tra senti-mento e ragione è del tutto vinta: è dimostrata razional-mente la personalità di Dio, approfondendosi il valoredelle leggi concettuali estemporanee da una parte, le esi-genze della ineliminabile sub-coscienza umanadall'altra. Il sentimento religioso, così, può essere, tutto,tradotto in ragione, cioè può essere dimostrato come unaoggettiva necessità razionale.

Orbene io credo che la originalità del pensiero del V.non stia tutta e fondamentalmente in questa impostazio-ne e progressiva soluzione del problema religioso.

Certo non è piccolo suo merito avere, già da grantempo, dal primo affacciarsi alla speculazione, impostoesplicitamente alla coscienza contemporanea il proble-ma della religione in termini rigorosi, mentre da unaparte le anime religiose o si appartavano dai progressidel pensiero speculativo e scientifico o invano cercava-no di salvare, nella interpretazione del dogma, la religio-

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Quando però in questa posizione si matura la conce-zione idealistica, per la quale l'essere non può scindersidal sapere, il primo momento si tramuta nel secondo,pel quale il sentimento si manifesta traducibile in ragio-ne (dottrina varischiana del valore) e comincia effettiva-mente a tradursi: Il Dio del sentimento ci risulta nellaragione almeno come assoluto Pensiero che è assolutoEssere. Nel Dio religioso del sentimento resta ancoraqualche cosa (la personalità di Dio), della quale la ragio-ne par che possa fare a meno.

Nel terzo momento infine il problema è risoluto ra-zionalmente nella sua pienezza: l'opposizione tra senti-mento e ragione è del tutto vinta: è dimostrata razional-mente la personalità di Dio, approfondendosi il valoredelle leggi concettuali estemporanee da una parte, le esi-genze della ineliminabile sub-coscienza umanadall'altra. Il sentimento religioso, così, può essere, tutto,tradotto in ragione, cioè può essere dimostrato come unaoggettiva necessità razionale.

Orbene io credo che la originalità del pensiero del V.non stia tutta e fondamentalmente in questa impostazio-ne e progressiva soluzione del problema religioso.

Certo non è piccolo suo merito avere, già da grantempo, dal primo affacciarsi alla speculazione, impostoesplicitamente alla coscienza contemporanea il proble-ma della religione in termini rigorosi, mentre da unaparte le anime religiose o si appartavano dai progressidel pensiero speculativo e scientifico o invano cercava-no di salvare, nella interpretazione del dogma, la religio-

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ne positiva, e dall'altra la coscienza colta d'ogni genere,scientifica, filosofica, artistica trascurava le insoddisfat-te esigenze della religiosità.

Ma la più profonda originalità del V. a me pare chestia nella impostazione chiara ed esplicita del problemadella soggettività, che egli ha dovuto affrontare per lasoluzione del massimo problema (quello religioso).

In una prefazione (al mio saggio su «La percez. intel.di A. Rosmini», 1907), che con legittimo compiacimentoio ritengo il primo passo verso la fase idealistica, il V. sidomandava che cosa significasse mai, in una filosofiadella immanenza, una coscienza in universale, che nonsi capisce qual soggetto mai possa essere. Da quella do-manda però si maturò in lui la consapevolezza della ine-liminabilità di tal coscienza in universale dalla nostrastessa coscienza: essa è lo stesso essere razionale che cirisulta come costituente quella realtà, di cui, con la no-stra esperienza, siamo centri consapevoli. È la stessa og-gettività che non sta di fronte e al di là del soggetto, malo costituisce: è quindi l'essere dello stesso soggetto.Così la coscienza, costitutiva della soggettività, in quan-to coscienza in universale è anche oggetto. È quindi eli-minabile la dualità soggetto-oggetto. Ma proprio da ciò,da cui risulta l'eliminazione di tale dualità, risulta anche,ineliminabile, la molteplicità dei soggetti. Così la duali-tà soggetto-oggetto si trasforma nella distinzione sog-getto-soggetto. Senza di questa non solo riesce impossi-bile ammettere la esperienza che pure non possiamo ne-

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ne positiva, e dall'altra la coscienza colta d'ogni genere,scientifica, filosofica, artistica trascurava le insoddisfat-te esigenze della religiosità.

Ma la più profonda originalità del V. a me pare chestia nella impostazione chiara ed esplicita del problemadella soggettività, che egli ha dovuto affrontare per lasoluzione del massimo problema (quello religioso).

In una prefazione (al mio saggio su «La percez. intel.di A. Rosmini», 1907), che con legittimo compiacimentoio ritengo il primo passo verso la fase idealistica, il V. sidomandava che cosa significasse mai, in una filosofiadella immanenza, una coscienza in universale, che nonsi capisce qual soggetto mai possa essere. Da quella do-manda però si maturò in lui la consapevolezza della ine-liminabilità di tal coscienza in universale dalla nostrastessa coscienza: essa è lo stesso essere razionale che cirisulta come costituente quella realtà, di cui, con la no-stra esperienza, siamo centri consapevoli. È la stessa og-gettività che non sta di fronte e al di là del soggetto, malo costituisce: è quindi l'essere dello stesso soggetto.Così la coscienza, costitutiva della soggettività, in quan-to coscienza in universale è anche oggetto. È quindi eli-minabile la dualità soggetto-oggetto. Ma proprio da ciò,da cui risulta l'eliminazione di tale dualità, risulta anche,ineliminabile, la molteplicità dei soggetti. Così la duali-tà soggetto-oggetto si trasforma nella distinzione sog-getto-soggetto. Senza di questa non solo riesce impossi-bile ammettere la esperienza che pure non possiamo ne-

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gare, ma perdiamo anche quella coscienza in universale,con cui abbiamo dovuto identificare l'essere.

Così nella comune forma di ogni concezione idealisti-ca, che cioè la realtà saputa sia lo stesso sapere la realtàe che realtà non vi sia al di là della realtà saputa, l'ideali-smo del Varisco viene ad assumere una impronta propriache gli è data specialmente da quella negazione delladualità soggetto-oggetto.

Tutto l'idealismo post-kantiano è fondato non sullanegazione di questa, ma sulla sua riduzione all'attivitàstessa del soggetto. Donde l'oggetto, molteplice, astrat-to, posto dallo stesso Soggetto unico universale col suonegarsi. Distinguere questo Soggetto universale dall'attocon cui si nega e pone l'oggetto (com'era il presuppostoimplicito dell'idealismo assoluto fino a Spaventa) equindi doverlo ritenere (anche se ciò non si vuole) comein qualche modo trascendente l'atto stesso; ovvero risol-vere il Soggetto universale in questo atto come il Genti-le cerca di fare col trasformare l'idealismo assoluto inattualismo – non muta la costituzione fondamentale ditale idealismo e quindi non toglie la dualità soggetto-oggetto: non riconosce infatti l'oggetto come costitutivodel soggetto, l'essere come realtà unica della coscienza.

Ed è invece questo riconoscimento la caratteristicapropria dell'idealismo del V., nella quale è evidente laparentela col Rosmini.

Da questa caratteristica discende l'altra della concre-tezza dei soggetti particolari in quanto tali nella loro re-ciproca distinzione, che non è però separazione.

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gare, ma perdiamo anche quella coscienza in universale,con cui abbiamo dovuto identificare l'essere.

Così nella comune forma di ogni concezione idealisti-ca, che cioè la realtà saputa sia lo stesso sapere la realtàe che realtà non vi sia al di là della realtà saputa, l'ideali-smo del Varisco viene ad assumere una impronta propriache gli è data specialmente da quella negazione delladualità soggetto-oggetto.

Tutto l'idealismo post-kantiano è fondato non sullanegazione di questa, ma sulla sua riduzione all'attivitàstessa del soggetto. Donde l'oggetto, molteplice, astrat-to, posto dallo stesso Soggetto unico universale col suonegarsi. Distinguere questo Soggetto universale dall'attocon cui si nega e pone l'oggetto (com'era il presuppostoimplicito dell'idealismo assoluto fino a Spaventa) equindi doverlo ritenere (anche se ciò non si vuole) comein qualche modo trascendente l'atto stesso; ovvero risol-vere il Soggetto universale in questo atto come il Genti-le cerca di fare col trasformare l'idealismo assoluto inattualismo – non muta la costituzione fondamentale ditale idealismo e quindi non toglie la dualità soggetto-oggetto: non riconosce infatti l'oggetto come costitutivodel soggetto, l'essere come realtà unica della coscienza.

Ed è invece questo riconoscimento la caratteristicapropria dell'idealismo del V., nella quale è evidente laparentela col Rosmini.

Da questa caratteristica discende l'altra della concre-tezza dei soggetti particolari in quanto tali nella loro re-ciproca distinzione, che non è però separazione.

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Così, mentre in generale le forme di idealismo post-kantiano sopprimono, ed a ragione, la concretezza reali-stica della separazione tra soggetto ed oggetto, e, con-servando l'oggettività solo come astratta negazione delSoggetto, non possono sostituire, alla soppressa separa-zione, una concreta distinzione, l'idealismo del Variscomostra come invece quella separazione debba essere tra-sformata nella idealistica distinzione concreta di sogget-to e soggetto.

Così quella esigenza prima personale del Varisco, del-la oggettività reale del Dio che si adora, si trasforma inquesta esigenza e scoperta della natura concreta dei sog-getti particolari. È posto in pieno il problema della sog-gettività nell'ambito della concretezza kantiana. La posi-zione di questo problema costituisce la vera originalitàdel V., giacchè fino a lui la concezione della soggettivitànon era stata posta esplicitamente in discussione. Daquesta discussione io credo che debba scaturire non solouna più esatta consapevolezza del soggetto in quantotale, ma anche una più profonda comprensione della es-senza della religione.

3. Ma appunto la dimostrazione, data dal V., dellamolteplicità dei soggetti starebbe, per molti, a dimostra-re la poca storicità del suo pensiero. Questo in fondonon avrebbe superato l'empirismo prekantiano, e perciòsi risolverebbe in un infecondo tentativo di riportarequell'empirismo nel campo idealistico. Così il pensierodel V. sarebbe quasi appartato dalla corrente viva del

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Così, mentre in generale le forme di idealismo post-kantiano sopprimono, ed a ragione, la concretezza reali-stica della separazione tra soggetto ed oggetto, e, con-servando l'oggettività solo come astratta negazione delSoggetto, non possono sostituire, alla soppressa separa-zione, una concreta distinzione, l'idealismo del Variscomostra come invece quella separazione debba essere tra-sformata nella idealistica distinzione concreta di sogget-to e soggetto.

Così quella esigenza prima personale del Varisco, del-la oggettività reale del Dio che si adora, si trasforma inquesta esigenza e scoperta della natura concreta dei sog-getti particolari. È posto in pieno il problema della sog-gettività nell'ambito della concretezza kantiana. La posi-zione di questo problema costituisce la vera originalitàdel V., giacchè fino a lui la concezione della soggettivitànon era stata posta esplicitamente in discussione. Daquesta discussione io credo che debba scaturire non solouna più esatta consapevolezza del soggetto in quantotale, ma anche una più profonda comprensione della es-senza della religione.

3. Ma appunto la dimostrazione, data dal V., dellamolteplicità dei soggetti starebbe, per molti, a dimostra-re la poca storicità del suo pensiero. Questo in fondonon avrebbe superato l'empirismo prekantiano, e perciòsi risolverebbe in un infecondo tentativo di riportarequell'empirismo nel campo idealistico. Così il pensierodel V. sarebbe quasi appartato dalla corrente viva del

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movimento spirituale e sarebbe quindi ridotto ad essere,ai margini di questa corrente, un tranquillo seno di ac-que, limpide sì, perchè rinnovato dalle fresche ondeidealistiche, ma incapace di rodere quella lingua di terra,che lo apparta dalla viva corrente e lo tiene quasi a con-tatto degli stagni del realismo.

Io credo il contrario. A tale valutazione di inattualitàstorica può forse dar appiglio chi, non scendendo nellaprofondità critica del pensiero del V., lo presenti o, dauna parte, soltanto come sistema metafisico che ha riso-luto il problema religioso nel senso tradizionale e costi-tuisce quindi il più valido appoggio che oggi possa es-serci per la fede cattolica, o, dall'altra, come un compro-messo tra il realismo intellettualistico prekantiano el'idealismo assoluto post-kantiano; – non chi, invece,veda e indichi il grande rinnovamento, di cui quel pen-siero è capace per il suo fondamentale carattere critico,attraverso il quale furon raggiunti e quella soluzione equesto compromesso.

Nel suo valore fondamentale e nella sua integrità ilpensiero del Maestro che noi onoriamo, lungi del meri-tare questa diminuzione, è della più grande attualità sto-rica. Attualità storica, per cui, da una parte, si ricongiun-ge a tutte le più valide conquiste del pensiero speculati-vo moderno da Cartesio fino a Gentile, e dall'altra, fa-cendoci sentire le deficienze di tutte queste, è ampia viaaperta per le possibilità di speculazioni future.

È l'unico possibile sviluppo quello che del «cogito»cartesiano si è avuto con la coscienza in universale di

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movimento spirituale e sarebbe quindi ridotto ad essere,ai margini di questa corrente, un tranquillo seno di ac-que, limpide sì, perchè rinnovato dalle fresche ondeidealistiche, ma incapace di rodere quella lingua di terra,che lo apparta dalla viva corrente e lo tiene quasi a con-tatto degli stagni del realismo.

Io credo il contrario. A tale valutazione di inattualitàstorica può forse dar appiglio chi, non scendendo nellaprofondità critica del pensiero del V., lo presenti o, dauna parte, soltanto come sistema metafisico che ha riso-luto il problema religioso nel senso tradizionale e costi-tuisce quindi il più valido appoggio che oggi possa es-serci per la fede cattolica, o, dall'altra, come un compro-messo tra il realismo intellettualistico prekantiano el'idealismo assoluto post-kantiano; – non chi, invece,veda e indichi il grande rinnovamento, di cui quel pen-siero è capace per il suo fondamentale carattere critico,attraverso il quale furon raggiunti e quella soluzione equesto compromesso.

Nel suo valore fondamentale e nella sua integrità ilpensiero del Maestro che noi onoriamo, lungi del meri-tare questa diminuzione, è della più grande attualità sto-rica. Attualità storica, per cui, da una parte, si ricongiun-ge a tutte le più valide conquiste del pensiero speculati-vo moderno da Cartesio fino a Gentile, e dall'altra, fa-cendoci sentire le deficienze di tutte queste, è ampia viaaperta per le possibilità di speculazioni future.

È l'unico possibile sviluppo quello che del «cogito»cartesiano si è avuto con la coscienza in universale di

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Kant, e, di questa, è l'unica possibile interpretazionequella che è stata data dall'idealisino postkantiano e spe-cialmente dall'idealismo assoluto e dall'attualismo? Ilpensiero del V., mentre ce ne mette in evidenza gli ele-menti validi, ci obbliga a riesaminare l'uno e l'altra.

Di Kant, pur con tutto lo sviluppo idealistico, che sene è avuto, non si è vista ancora tutta la grande massa didogmatismo. Una concezione dogmatica appunto inKant è quella del soggetto. E, dopo Kant, del soggetto osi è sottinteso il concetto realistico (come in ogni formadi dualismo spiritualistico e di positivismo), ovvero, purvista l'astrattezza di un soggetto separato dalla realtà insè, non si è ricercato il possibile concetto, ma si è sosti-tuito senz'altro il soggetto alla stessa realtà in sè. Il V.,invece, vedemmo, pone esplicitamente il problema dellasoggettività e dimostra la molteplicità dei soggetti.

Si può questo problema discutere, impostare diversa-mente, risolvere forse in altro modo di quel che il Vari-sco abbia fatto, ma averlo decisamente posto è suo meri-to. Ed è suo merito, ripeto, perché per tale posizione nonsolo non rinnega nessuna delle conquiste fatte dall'uma-no pensiero, ma proprio di esse si serve; e tanto menorinnega quella concretezza spirituale dell'essere, che fula vera scoperta di K., e che, attraverso la inconsapevolerielaborazione del Rosmini, il Varisco ci spinge a risco-prire in modo più ampio, più pienamente consapevole.

È qui appunto il merito peculiare del V. nello svilup-po storico del pensiero filosofico.

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Kant, e, di questa, è l'unica possibile interpretazionequella che è stata data dall'idealisino postkantiano e spe-cialmente dall'idealismo assoluto e dall'attualismo? Ilpensiero del V., mentre ce ne mette in evidenza gli ele-menti validi, ci obbliga a riesaminare l'uno e l'altra.

Di Kant, pur con tutto lo sviluppo idealistico, che sene è avuto, non si è vista ancora tutta la grande massa didogmatismo. Una concezione dogmatica appunto inKant è quella del soggetto. E, dopo Kant, del soggetto osi è sottinteso il concetto realistico (come in ogni formadi dualismo spiritualistico e di positivismo), ovvero, purvista l'astrattezza di un soggetto separato dalla realtà insè, non si è ricercato il possibile concetto, ma si è sosti-tuito senz'altro il soggetto alla stessa realtà in sè. Il V.,invece, vedemmo, pone esplicitamente il problema dellasoggettività e dimostra la molteplicità dei soggetti.

Si può questo problema discutere, impostare diversa-mente, risolvere forse in altro modo di quel che il Vari-sco abbia fatto, ma averlo decisamente posto è suo meri-to. Ed è suo merito, ripeto, perché per tale posizione nonsolo non rinnega nessuna delle conquiste fatte dall'uma-no pensiero, ma proprio di esse si serve; e tanto menorinnega quella concretezza spirituale dell'essere, che fula vera scoperta di K., e che, attraverso la inconsapevolerielaborazione del Rosmini, il Varisco ci spinge a risco-prire in modo più ampio, più pienamente consapevole.

È qui appunto il merito peculiare del V. nello svilup-po storico del pensiero filosofico.

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Fra quelli che l'intimo valore di K. non avevano senti-to affatto e continuavano a ripetere la separazionedell'essere dal sapere, dell'oggetto dal soggetto, e quelliche avevano fissata la interpretazione kantiana in unacerta forma di idealismo, ponendo la scoperta realtàconcreta come atto conoscitivo del Soggetto universale,egli dimostra agli uni come sono fuori di ogni attualitàstorica, dimostra agli altri che la loro attualità va riesa-minata ed integrata. Da una più piena interpretazioneidealistica di Kant possono, devono nascere altri proble-mi.

Porta la discussione di questi ad una riaffermazionedella antica trascendenza? Il V., per quanto con una li-mitazione immanentistica, lo crede, e fa sforzi poderosidi speculazione per dimostrarlo. Or, comunque si vogliagiudicare tal dimostrazione, certo essi ci inducono ascoprire l'esigenza sottostante all'antica trascendenza,cioè ci impongono una più matura rielaborazione dellostesso concetto di trascendenza. Anch'esso va ripropostocome problema.

In breve, l'attualità del pensiero del V., oltrechè nellasua stessa originalità, sta anche nella sua capacità di svi-luppo, sta nei molti e vitali germi, che contiene, dellenuove posizioni degli antichi problemi della metafisicadell'essere, nel campo di quella che si è detta metafisicadel conoscere, il cui principio essenziale il V. accettasenza limitazioni.

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Fra quelli che l'intimo valore di K. non avevano senti-to affatto e continuavano a ripetere la separazionedell'essere dal sapere, dell'oggetto dal soggetto, e quelliche avevano fissata la interpretazione kantiana in unacerta forma di idealismo, ponendo la scoperta realtàconcreta come atto conoscitivo del Soggetto universale,egli dimostra agli uni come sono fuori di ogni attualitàstorica, dimostra agli altri che la loro attualità va riesa-minata ed integrata. Da una più piena interpretazioneidealistica di Kant possono, devono nascere altri proble-mi.

Porta la discussione di questi ad una riaffermazionedella antica trascendenza? Il V., per quanto con una li-mitazione immanentistica, lo crede, e fa sforzi poderosidi speculazione per dimostrarlo. Or, comunque si vogliagiudicare tal dimostrazione, certo essi ci inducono ascoprire l'esigenza sottostante all'antica trascendenza,cioè ci impongono una più matura rielaborazione dellostesso concetto di trascendenza. Anch'esso va ripropostocome problema.

In breve, l'attualità del pensiero del V., oltrechè nellasua stessa originalità, sta anche nella sua capacità di svi-luppo, sta nei molti e vitali germi, che contiene, dellenuove posizioni degli antichi problemi della metafisicadell'essere, nel campo di quella che si è detta metafisicadel conoscere, il cui principio essenziale il V. accettasenza limitazioni.

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4. Questa particolare sua attualità si ripercuote, comedi ogni vero e profondo movimento speculativo deve es-sere, nelle esigenze della stessa vita sociale umana.

Tutti ricordiamo con quanto caldo amore, quasi soffu-so di tristezza per una fondamentale incomprensioneche gli par di sentirsi d'intorno, con quanto amore, dice-vo, egli ha cercato di volgarizzare il profondo suo pen-siero metafisico nei lucidi e tanto vibranti di umana sim-patia quanto circospetti nelle affermazioni e matemati-camente rigorosi nelle deduzioni, nei molti, dicevo arti-coli di etica, di pedagogia, di politica. Il problema fon-damentale che in essi si agita, è unico: il posto della par-ticolare individualità umana insopprimibile nella saldaunità spirituale della convivenza.

E questo che ancora non si vede chiaro come proble-ma del presente nel vivere sociale, è il problema del suoimmediato futuro.

A proposito di questa individualità personale soggetti-va e della caratteristica di libertà, che le compete, oggimolto si parla a vuoto, giacchè non si ricerca e tantomeno si pone a fondamento la nuova concezione che ditale individualità le conquiste speculative già fatte ci im-pongono.

La concezione atomica, individualistica della essenzaumana, che, dopo una affermazione trascendente avutanella pratica religiosa, si era in gran parte riversata nelleconcezioni sociali egualitarie positivistiche o materiali-stiche, deve ritenersi definitivamente condannata. Ma

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4. Questa particolare sua attualità si ripercuote, comedi ogni vero e profondo movimento speculativo deve es-sere, nelle esigenze della stessa vita sociale umana.

Tutti ricordiamo con quanto caldo amore, quasi soffu-so di tristezza per una fondamentale incomprensioneche gli par di sentirsi d'intorno, con quanto amore, dice-vo, egli ha cercato di volgarizzare il profondo suo pen-siero metafisico nei lucidi e tanto vibranti di umana sim-patia quanto circospetti nelle affermazioni e matemati-camente rigorosi nelle deduzioni, nei molti, dicevo arti-coli di etica, di pedagogia, di politica. Il problema fon-damentale che in essi si agita, è unico: il posto della par-ticolare individualità umana insopprimibile nella saldaunità spirituale della convivenza.

E questo che ancora non si vede chiaro come proble-ma del presente nel vivere sociale, è il problema del suoimmediato futuro.

A proposito di questa individualità personale soggetti-va e della caratteristica di libertà, che le compete, oggimolto si parla a vuoto, giacchè non si ricerca e tantomeno si pone a fondamento la nuova concezione che ditale individualità le conquiste speculative già fatte ci im-pongono.

La concezione atomica, individualistica della essenzaumana, che, dopo una affermazione trascendente avutanella pratica religiosa, si era in gran parte riversata nelleconcezioni sociali egualitarie positivistiche o materiali-stiche, deve ritenersi definitivamente condannata. Ma

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non le si è ancora sostituita, almeno esplicitamente, unanuova concezione della soggettività particolare.

Fino a Kant si può dire che noi ci sapevamo e sapeva-mo le cose nella nostra e nella loro finitezza; Kant mo-strò che appunto perciò ci sapevamo soltanto nella no-stra parvenza; si doveva di necessità ignorare l'Essere, laCoscienza infinita, Dio. Con la elaborazione che, dopoKant, della dottrina kantiana si è fatta, par quasi che in-vece abbiamo coscienza chiara soltanto dell'infinito.Abbiamo perduto il finito, sia pure posto, come a mioavviso devesi, come determinazione dell'Infinito. Allaricerca di quel che c'è di immanente, di eterno, di realenello stesso finito richiama con insistenza il pensiero delV., che pur ha sempre fiso lo sguardo alla soluzione delproblema dell'Infinito. Quindi il carattere schiettamenteimmanentistico e pratico della sua speculazione, purnella sua fondamentale essenza religiosa. Quella conser-vazione di valori, in cui da parecchi si fa consistere lareligione (concezione in parte accettata dal V. viene cosìa fondare anche, e prima d'ogni altra cosa, la validitàstessa degli atti in cui si esplica la vita terrena. Quindi lasoluzione degli stessi problemi dell'ora che urge, fonda-ta sulle stesse concezioni che ci accertano di quella con-servazione di valori. Quindi la opinione, cui il V. è sem-pre rimasto fedele, che non può avere fondamentaleonestà di vita chi della soluzione del massimo problemanon si preoccupi. Quindi la concezione del tempo edell'accadere in esso come reale e non soltanto fenome-nico.

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non le si è ancora sostituita, almeno esplicitamente, unanuova concezione della soggettività particolare.

Fino a Kant si può dire che noi ci sapevamo e sapeva-mo le cose nella nostra e nella loro finitezza; Kant mo-strò che appunto perciò ci sapevamo soltanto nella no-stra parvenza; si doveva di necessità ignorare l'Essere, laCoscienza infinita, Dio. Con la elaborazione che, dopoKant, della dottrina kantiana si è fatta, par quasi che in-vece abbiamo coscienza chiara soltanto dell'infinito.Abbiamo perduto il finito, sia pure posto, come a mioavviso devesi, come determinazione dell'Infinito. Allaricerca di quel che c'è di immanente, di eterno, di realenello stesso finito richiama con insistenza il pensiero delV., che pur ha sempre fiso lo sguardo alla soluzione delproblema dell'Infinito. Quindi il carattere schiettamenteimmanentistico e pratico della sua speculazione, purnella sua fondamentale essenza religiosa. Quella conser-vazione di valori, in cui da parecchi si fa consistere lareligione (concezione in parte accettata dal V. viene cosìa fondare anche, e prima d'ogni altra cosa, la validitàstessa degli atti in cui si esplica la vita terrena. Quindi lasoluzione degli stessi problemi dell'ora che urge, fonda-ta sulle stesse concezioni che ci accertano di quella con-servazione di valori. Quindi la opinione, cui il V. è sem-pre rimasto fedele, che non può avere fondamentaleonestà di vita chi della soluzione del massimo problemanon si preoccupi. Quindi la concezione del tempo edell'accadere in esso come reale e non soltanto fenome-nico.

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5. E però il pensiero di B. V. avrà il suo sviluppo, im-plicito od esplicito che ne sia il riferimento. Contribuirecon le poche nostre forze a che questo riferimento siaesplicito, qualunque sia il risultato cui perveniamo conquella meditazione libera, scevra più che si può di pre-concetti e di interessi che non siano quelli speculativi,preoccupata soltanto di toccare la profondità dell'Essere,senza vane ambizioni, senza il puerile timore di confes-sar falso ciò che altra volta ci parve vero, ma pur col piùostinato proposito di render sempre più salda quella fon-damentale coerenza che è il requisito essenziale dellapersona, con quella meditazione in breve, della qualeEgli ci dà preclaro esempio, della quale specialmenteEgli ci è venerato Maestro, della quale Maestro Eglideve esser ritenuto da chiunque voglia consacrare sestesso a quello sforzo verso il Divino, nel quale consistela filosofia – è promessa che noi crediamo doveroso ri-petere dinanzi a quanti oggi son qui convenuti a renderea Lui onore.

Nè crediamo così di porre dei limiti alla nostra inda-gine, ma di fondarne anzi la migliore libertà. Giacchè,come ho cercato di mostrare, la viva attualità del pensie-ro del V. sta sopratutto nel fermento che esso suscita.Può forse, nella forma definitiva della soluzione del pro-blema religioso, il sentimento personale – cioè in fondouna somma di opinioni fondate su precedenti specula-zioni e costituenti una non più distinta tradizione – averpresa l'apparenza di esplicita razionalità e aver quindi inqualche momento sovrapposta la personalità empirica

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5. E però il pensiero di B. V. avrà il suo sviluppo, im-plicito od esplicito che ne sia il riferimento. Contribuirecon le poche nostre forze a che questo riferimento siaesplicito, qualunque sia il risultato cui perveniamo conquella meditazione libera, scevra più che si può di pre-concetti e di interessi che non siano quelli speculativi,preoccupata soltanto di toccare la profondità dell'Essere,senza vane ambizioni, senza il puerile timore di confes-sar falso ciò che altra volta ci parve vero, ma pur col piùostinato proposito di render sempre più salda quella fon-damentale coerenza che è il requisito essenziale dellapersona, con quella meditazione in breve, della qualeEgli ci dà preclaro esempio, della quale specialmenteEgli ci è venerato Maestro, della quale Maestro Eglideve esser ritenuto da chiunque voglia consacrare sestesso a quello sforzo verso il Divino, nel quale consistela filosofia – è promessa che noi crediamo doveroso ri-petere dinanzi a quanti oggi son qui convenuti a renderea Lui onore.

Nè crediamo così di porre dei limiti alla nostra inda-gine, ma di fondarne anzi la migliore libertà. Giacchè,come ho cercato di mostrare, la viva attualità del pensie-ro del V. sta sopratutto nel fermento che esso suscita.Può forse, nella forma definitiva della soluzione del pro-blema religioso, il sentimento personale – cioè in fondouna somma di opinioni fondate su precedenti specula-zioni e costituenti una non più distinta tradizione – averpresa l'apparenza di esplicita razionalità e aver quindi inqualche momento sovrapposta la personalità empirica

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con le sue indistinte esigenze a quella personalità specu-lativa con le sue esplicite argomentazioni, che prende eprenderà nome da Bernardino Varisco. Ma ciò ètutt'altro che dimostrato, e, comunque, troviamo nel suostesso pensiero i motivi più validi le ragioni più espliciteper intendere e sceverare questa eventuale sovrapposi-zione.

La personalità speculativa di B. V. sta in una nuovaforma di criticismo, capace, io credo, in quel che appun-to ha di nuovo e di critico, dei più vitali sviluppi. Criti-cismo, si intende, non in quanto ricerca i limiti del sape-re (punto di partenza di Kant), ma in quanto (inavvertitopunto di arrivo dello stesso Kant) non tollera, nel sape-re, presupposti che non possano giustificarsi.

Ed è perciò che io penso che si debba ai giovani ita-liani consigliare e prescrivere la meditazione attenta de-gli scritti del V.

Vi troveranno tutti un nutrimento spirituale diprim'ordine per la loro formazione intellettuale, morale,civile.

Coloro poi che all'insegnamento umanistico o proprioalla speculazione vorranno consacrare la loro vita, oltrela formazione della loro coscienza filosofica nella piùscrupolosa e vigile attitudine critica, incitante sempre ariesaminare ogni affermazione, per poco che di essa siabbia ragion di dubitare, prenderanno da lui l'abito diporsi, sì, con tutta l'intimità della persona viva, nel pro-blema che si vuol risolvere, ma di sforzarsi sempre dievitare anche che le personali tendenze che non si sa an-

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con le sue indistinte esigenze a quella personalità specu-lativa con le sue esplicite argomentazioni, che prende eprenderà nome da Bernardino Varisco. Ma ciò ètutt'altro che dimostrato, e, comunque, troviamo nel suostesso pensiero i motivi più validi le ragioni più espliciteper intendere e sceverare questa eventuale sovrapposi-zione.

La personalità speculativa di B. V. sta in una nuovaforma di criticismo, capace, io credo, in quel che appun-to ha di nuovo e di critico, dei più vitali sviluppi. Criti-cismo, si intende, non in quanto ricerca i limiti del sape-re (punto di partenza di Kant), ma in quanto (inavvertitopunto di arrivo dello stesso Kant) non tollera, nel sape-re, presupposti che non possano giustificarsi.

Ed è perciò che io penso che si debba ai giovani ita-liani consigliare e prescrivere la meditazione attenta de-gli scritti del V.

Vi troveranno tutti un nutrimento spirituale diprim'ordine per la loro formazione intellettuale, morale,civile.

Coloro poi che all'insegnamento umanistico o proprioalla speculazione vorranno consacrare la loro vita, oltrela formazione della loro coscienza filosofica nella piùscrupolosa e vigile attitudine critica, incitante sempre ariesaminare ogni affermazione, per poco che di essa siabbia ragion di dubitare, prenderanno da lui l'abito diporsi, sì, con tutta l'intimità della persona viva, nel pro-blema che si vuol risolvere, ma di sforzarsi sempre dievitare anche che le personali tendenze che non si sa an-

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cora giustificare, travisino o turbino la chiarezza ogget-tiva del problema stesso. E attraverso questa illimitataonestà teoretica sentiranno tutto il disinteresse praticodella sua profonda coscienza. E dalle notizie che avran-no dell'uomo nella esemplare modestia del suo vivere,sapranno come ad un alto intelletto, vivente tutto nelprodigio della sua speculazione, possa alle volte esserpiù agevole indagare profondamente i misteriosi recessidella coscienza, che divulgarne la scoperta, anche oggicon questa ipertrofia di stampa di ogni genere. Sonoesempi che possono far dolore riguardo alla incapacitàsociale di trar frutto da tutti i valori umani, e specie daquelli che dell'umanità alimentano l'intima essenza spi-rituale, ma sono sempre esempi che fortemente contri-buiscono a stabilire la fede nella bontà dell'animo e nel-la potenza dell'intelletto, bontà e potenza, delle quali ilV. è chiaro esempio nell'alta e nobile sua figura di Pen-satore e di Maestro.

II.13

IL PENSIERO PEDAGOGICO

1. In nuova e più decorosa veste tipografica, in for-mato più adatto, esce, dopo qualche anno dalla prima,questa seconda edizione degli Scritti pedagogici del Va-

13 È la recensione della seconda edizione de «La scuola per lavita», Venezia, 1927. Essa fu pubblicata nel Giornale critico del-la filosofia italiana, fasc. 6 del 1927: la riporto integralmente ealla lettera.

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cora giustificare, travisino o turbino la chiarezza ogget-tiva del problema stesso. E attraverso questa illimitataonestà teoretica sentiranno tutto il disinteresse praticodella sua profonda coscienza. E dalle notizie che avran-no dell'uomo nella esemplare modestia del suo vivere,sapranno come ad un alto intelletto, vivente tutto nelprodigio della sua speculazione, possa alle volte esserpiù agevole indagare profondamente i misteriosi recessidella coscienza, che divulgarne la scoperta, anche oggicon questa ipertrofia di stampa di ogni genere. Sonoesempi che possono far dolore riguardo alla incapacitàsociale di trar frutto da tutti i valori umani, e specie daquelli che dell'umanità alimentano l'intima essenza spi-rituale, ma sono sempre esempi che fortemente contri-buiscono a stabilire la fede nella bontà dell'animo e nel-la potenza dell'intelletto, bontà e potenza, delle quali ilV. è chiaro esempio nell'alta e nobile sua figura di Pen-satore e di Maestro.

II.13

IL PENSIERO PEDAGOGICO

1. In nuova e più decorosa veste tipografica, in for-mato più adatto, esce, dopo qualche anno dalla prima,questa seconda edizione degli Scritti pedagogici del Va-

13 È la recensione della seconda edizione de «La scuola per lavita», Venezia, 1927. Essa fu pubblicata nel Giornale critico del-la filosofia italiana, fasc. 6 del 1927: la riporto integralmente ealla lettera.

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risco, che fu merito di V. Cento aver raccolti e pubblica-ti. E come migliorato nella forma esteriore, così il volu-me è arricchito, nel contenuto, di alcuni articoli e note ogià pubblicati dal V. in questi ultimi anni, o che vedonola luce ora per la prima volta. Pregio anche di questanuova edizione è la riorganizzazione di tutti gli studi,con l'aggiunta dei titoli a ciascun paragrafo, che forma-no un esatto sommario analitico del contenuto del volu-me.

Così il libro ha perduto l'aspetto di raccolta e si pre-senta come un libro organico di dottrina pedagogica,uno di quei libri – per applicare allo stesso V. la dottrinapedagogica che egli sostiene – dai quali nella scuola sipotrà apprendere pedagogia, non perchè manuale diquesta, («giacchè la pedagogia non può essere contenutain un manuale», p. 45; cfr. anche p. 69-70), ma perchèl'allievo maestro, non potendo adagiarsi nelle opinionialtrui, che deve invece «interpretare mettendole in rela-zione coi tempi e tra loro» (p. 42), e deve trarre la suacultura pedagogica dallo studio non di manuali, ma del-le opere dei principali pedagogisti» (p. 41). E sempre«pedagogisti di qualche valore furono quelli appuntoche sentirono con forza e conobbero con chiarezza lecondizioni del loro tempo e le manchevolezze dell'edu-cazione allora in voga» (p. 53). E non è forse superfluoripetere che tale si dimostra il V. in questo suo libro, chenon è dunque un ricettario dell'educatore, ma un libro divita, nato dalla vita stessa della scuola italiana dinanzi aipiù fondamentali ed urgenti problemi che essa ha dovu-

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risco, che fu merito di V. Cento aver raccolti e pubblica-ti. E come migliorato nella forma esteriore, così il volu-me è arricchito, nel contenuto, di alcuni articoli e note ogià pubblicati dal V. in questi ultimi anni, o che vedonola luce ora per la prima volta. Pregio anche di questanuova edizione è la riorganizzazione di tutti gli studi,con l'aggiunta dei titoli a ciascun paragrafo, che forma-no un esatto sommario analitico del contenuto del volu-me.

Così il libro ha perduto l'aspetto di raccolta e si pre-senta come un libro organico di dottrina pedagogica,uno di quei libri – per applicare allo stesso V. la dottrinapedagogica che egli sostiene – dai quali nella scuola sipotrà apprendere pedagogia, non perchè manuale diquesta, («giacchè la pedagogia non può essere contenutain un manuale», p. 45; cfr. anche p. 69-70), ma perchèl'allievo maestro, non potendo adagiarsi nelle opinionialtrui, che deve invece «interpretare mettendole in rela-zione coi tempi e tra loro» (p. 42), e deve trarre la suacultura pedagogica dallo studio non di manuali, ma del-le opere dei principali pedagogisti» (p. 41). E sempre«pedagogisti di qualche valore furono quelli appuntoche sentirono con forza e conobbero con chiarezza lecondizioni del loro tempo e le manchevolezze dell'edu-cazione allora in voga» (p. 53). E non è forse superfluoripetere che tale si dimostra il V. in questo suo libro, chenon è dunque un ricettario dell'educatore, ma un libro divita, nato dalla vita stessa della scuola italiana dinanzi aipiù fondamentali ed urgenti problemi che essa ha dovu-

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to risolvere od almeno affrontare in questi ultimi decen-ni.

È diviso in sei capitoli: I. - Teorie pedagogiche gene-rali. – II. - Pedagogia e scienza naturale. – III. - Cennisull'educazione fisica. – IV. - Scuola e Religione. – V. -Questioni pratiche. – VI. - Questioni politiche.

Non staremo qui ad esporre e criticare uno ad uno tut-ti gli articoli che, vari e nutriti, compongono l'opera delMaestro, che, pur intento com'è, a dar l'ultima manoall'opera conclusiva e riassuntiva del suo pensiero, dicui viva è l'attesa nel campo speculativo, trova ancora insè giovanile energia per riorganizzare il proprio pensieropedagogico, e polemizzare con quella misura ed effica-cia che a lui sono proprie, con chi, sulle più vitali qui-stioni, abbia espresso riserve o critiche.

Di taluna di tali quistioni noi accenneremo brevemen-te.

2. Il primo capitolo riguarda l'essenza stessa della pe-dagogia. La scienza pedagogica, che, con i ritrovati del-la propria scientificità, credeva (qualunque indirizzo siseguisse nell'organizzarli) di potersi porre normadell'educare, e guardava quindi con commiserazione lapovera umanità passata che non educata ma diseducataera stata dai tristi maestri non illuminati da quest'ultimoe più radioso dei lumi – dopo il colpo assestatole in tem-po dal Gentile, cadde, almeno in Italia, tramortita o for-se morta. Certo di un rinvenimento non c'è segno alcu-no.

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to risolvere od almeno affrontare in questi ultimi decen-ni.

È diviso in sei capitoli: I. - Teorie pedagogiche gene-rali. – II. - Pedagogia e scienza naturale. – III. - Cennisull'educazione fisica. – IV. - Scuola e Religione. – V. -Questioni pratiche. – VI. - Questioni politiche.

Non staremo qui ad esporre e criticare uno ad uno tut-ti gli articoli che, vari e nutriti, compongono l'opera delMaestro, che, pur intento com'è, a dar l'ultima manoall'opera conclusiva e riassuntiva del suo pensiero, dicui viva è l'attesa nel campo speculativo, trova ancora insè giovanile energia per riorganizzare il proprio pensieropedagogico, e polemizzare con quella misura ed effica-cia che a lui sono proprie, con chi, sulle più vitali qui-stioni, abbia espresso riserve o critiche.

Di taluna di tali quistioni noi accenneremo brevemen-te.

2. Il primo capitolo riguarda l'essenza stessa della pe-dagogia. La scienza pedagogica, che, con i ritrovati del-la propria scientificità, credeva (qualunque indirizzo siseguisse nell'organizzarli) di potersi porre normadell'educare, e guardava quindi con commiserazione lapovera umanità passata che non educata ma diseducataera stata dai tristi maestri non illuminati da quest'ultimoe più radioso dei lumi – dopo il colpo assestatole in tem-po dal Gentile, cadde, almeno in Italia, tramortita o for-se morta. Certo di un rinvenimento non c'è segno alcu-no.

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È superfluo il dire che il V. stende anche lui l'atto dimorte di una tale scienza e contribuisce a dimostrare chein verità essa mai non fu viva.

Non per questo però si può dire che egli identifichi opossa identificare la pedagogia con la filosofia, come sisuole ripetere, fondandosi su affermazioni esplicite dellostesso V. (cfr., p. es., pag. 17, 44, ecc.).

Questa identificazione, nella netta affermazione chene fa il Gentile, è il risultato ineliminabile del raccosta-mento del concetto herbartiano di educazione (forma-zione dello spirito) con la concezione hegeliana dellaunità dello Spirito. Se lo Spirito è unico, la formazionenon potrà essere che autoformazione. E quindi la stessaassoluta scienza dello Spirito (filosofia) sarà pedagogia.

Ora è risaputo che il V. non accetta la concezione nèhegeliana nè attualistica dello Spirito; non può quindiaccettare una tale identificazione.

Nè, a mio avviso, vi giunge per altra via e cioè me-diante il concetto di unità essenziale dell'umana culturaritrovato nella pedagogia e costitutivo della filosofia (p.15-17), o con quello, che è la stessa cosa, della «dottrinadella vita (filosofia), costruita nel solo modo possibile,cioè con riguardo all'esigenza della vita» (p. 21-22). Daciò, se mai, esattamente concluderà che «non è possibilestabilire una separazione precisa tra una dottrinadell'educazione (pedagogia propriamente detta) e unadottrina della vita. (p. 38). Ma il non essere separate(che cosa mai è separato nella attività spirituale?) nonvuol dire non avere ciascuna una propria caratteristica

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È superfluo il dire che il V. stende anche lui l'atto dimorte di una tale scienza e contribuisce a dimostrare chein verità essa mai non fu viva.

Non per questo però si può dire che egli identifichi opossa identificare la pedagogia con la filosofia, come sisuole ripetere, fondandosi su affermazioni esplicite dellostesso V. (cfr., p. es., pag. 17, 44, ecc.).

Questa identificazione, nella netta affermazione chene fa il Gentile, è il risultato ineliminabile del raccosta-mento del concetto herbartiano di educazione (forma-zione dello spirito) con la concezione hegeliana dellaunità dello Spirito. Se lo Spirito è unico, la formazionenon potrà essere che autoformazione. E quindi la stessaassoluta scienza dello Spirito (filosofia) sarà pedagogia.

Ora è risaputo che il V. non accetta la concezione nèhegeliana nè attualistica dello Spirito; non può quindiaccettare una tale identificazione.

Nè, a mio avviso, vi giunge per altra via e cioè me-diante il concetto di unità essenziale dell'umana culturaritrovato nella pedagogia e costitutivo della filosofia (p.15-17), o con quello, che è la stessa cosa, della «dottrinadella vita (filosofia), costruita nel solo modo possibile,cioè con riguardo all'esigenza della vita» (p. 21-22). Daciò, se mai, esattamente concluderà che «non è possibilestabilire una separazione precisa tra una dottrinadell'educazione (pedagogia propriamente detta) e unadottrina della vita. (p. 38). Ma il non essere separate(che cosa mai è separato nella attività spirituale?) nonvuol dire non avere ciascuna una propria caratteristica

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per la quale si distingua essenzialmente dall'altra. E chivoglia ricercare con una certa attenzione critica il diver-so atteggiamento di pensiero di tre articoli che costitui-scono il primo capitolo, scritti a distanza di parecchianni l'uno dall'altro (1911, 1917, 1922: a proposito, per-chè sopprimere la data e il giornale o rivista in cui cia-scuno scritto comparve? Non avrebbero nociuto alla or-ganicità del libro. Se ne poteva, se mai, fare un indice aparte, aggiunto all'indice del volume. E spero che in unaprossima edizione che m'auguro molto prossima,l'aggiunta sia fatta) – noterà forse nei due ultimi e spe-cialmente nel terzo un maggiore sviluppo del concettodi pedagogia come cultura, e, se non un abbandono, cer-to come un'ombra sulla identità di filosofia e pedagogia.

La filosofia, per il V., è scienza che ha una ben deter-minata natura, che egli anche qui ci tiene ancora a preci-sare, aggiungendo, in questa edizione, una nota (pag.19-22), che merita rilievo dal punto di vista filosofico.La filosofia è, sì, anch'essa, unità di cultura, ma è anche,per questo, scienza dei massimi problemi, la cui soluzio-ne noi troveremo cercando «le condizioni di possibilità»del nostro conoscere, il quale certo, in quanto lo abbia-mo, deve esser possibile (pag. 20). La filosofia è dunquemetafisica fondata sulla gnoseologia.

Non è perfettamente la stessa cosa la pedagogia, se,pur essendo anch'essa unità di cultura, dottrina di vita,richiede che la cultura pedagogica si tragga «dalle operedei principali pedagogisti», e, come vedemmo, tali furo-no quelli che «sentirono con forza e conobbero con

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per la quale si distingua essenzialmente dall'altra. E chivoglia ricercare con una certa attenzione critica il diver-so atteggiamento di pensiero di tre articoli che costitui-scono il primo capitolo, scritti a distanza di parecchianni l'uno dall'altro (1911, 1917, 1922: a proposito, per-chè sopprimere la data e il giornale o rivista in cui cia-scuno scritto comparve? Non avrebbero nociuto alla or-ganicità del libro. Se ne poteva, se mai, fare un indice aparte, aggiunto all'indice del volume. E spero che in unaprossima edizione che m'auguro molto prossima,l'aggiunta sia fatta) – noterà forse nei due ultimi e spe-cialmente nel terzo un maggiore sviluppo del concettodi pedagogia come cultura, e, se non un abbandono, cer-to come un'ombra sulla identità di filosofia e pedagogia.

La filosofia, per il V., è scienza che ha una ben deter-minata natura, che egli anche qui ci tiene ancora a preci-sare, aggiungendo, in questa edizione, una nota (pag.19-22), che merita rilievo dal punto di vista filosofico.La filosofia è, sì, anch'essa, unità di cultura, ma è anche,per questo, scienza dei massimi problemi, la cui soluzio-ne noi troveremo cercando «le condizioni di possibilità»del nostro conoscere, il quale certo, in quanto lo abbia-mo, deve esser possibile (pag. 20). La filosofia è dunquemetafisica fondata sulla gnoseologia.

Non è perfettamente la stessa cosa la pedagogia, se,pur essendo anch'essa unità di cultura, dottrina di vita,richiede che la cultura pedagogica si tragga «dalle operedei principali pedagogisti», e, come vedemmo, tali furo-no quelli che «sentirono con forza e conobbero con

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chiarezza le condizioni del loro tempo». Si ha così unaconcezione assolutamente storicistica della pedagogia, ilche non credo possa dirsi, per il V., della filosofia. Co-munque, i principali pedagogisti sono senz'altro i princi-pali filosofi, o hanno nell'opera loro una qualche deter-minazione, per la quale più specialmente li diciamo pe-dagogisti?

Il vero è che, morta la pretesa scienza pedagogica au-tonoma, nella concreta coscienza comune (che ad unacosiffatta scienza non ha mai in realtà creduto) non è perquesto morto il concetto stesso di educazione in quantodistinto da quello di spiritualità. Or, se si vuole ricercareche cosa possa mai essere oggi la pedagogia, bisognapor mente a questa distinzione, bisogna cioè istituireuna indagine critica del concetto stesso di educazione.

Questa indagine il V. non si è proposto neppur lui. Ilconcetto di educazione è presupposto o accettato dog-maticamente nella, piuttosto empirica, formulazionespenceriana di preparazione alla vita (cfr. pag. 1, 38,ecc.), e non è quindi senz'altro identificato (come logi-camente fa il Gentile per concludere alla unità di peda-gogia e filosofia) con quello della vita stessa. Perciò ilproblema della pedagogia resta, per così dire, aperto.

Esclusa una scienza dell'educare, sia essa intesa comenaturalistica scienza di osservazione o normativa scien-za razionale, resta ancora a sapere se entro la concretaattività spirituale possa esserci posto per una specificaattività dell'educare, la cui teoria, nell'ambito della filo-sofia, possa dirsi pedagogia o com'altro si voglia. Se in-

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chiarezza le condizioni del loro tempo». Si ha così unaconcezione assolutamente storicistica della pedagogia, ilche non credo possa dirsi, per il V., della filosofia. Co-munque, i principali pedagogisti sono senz'altro i princi-pali filosofi, o hanno nell'opera loro una qualche deter-minazione, per la quale più specialmente li diciamo pe-dagogisti?

Il vero è che, morta la pretesa scienza pedagogica au-tonoma, nella concreta coscienza comune (che ad unacosiffatta scienza non ha mai in realtà creduto) non è perquesto morto il concetto stesso di educazione in quantodistinto da quello di spiritualità. Or, se si vuole ricercareche cosa possa mai essere oggi la pedagogia, bisognapor mente a questa distinzione, bisogna cioè istituireuna indagine critica del concetto stesso di educazione.

Questa indagine il V. non si è proposto neppur lui. Ilconcetto di educazione è presupposto o accettato dog-maticamente nella, piuttosto empirica, formulazionespenceriana di preparazione alla vita (cfr. pag. 1, 38,ecc.), e non è quindi senz'altro identificato (come logi-camente fa il Gentile per concludere alla unità di peda-gogia e filosofia) con quello della vita stessa. Perciò ilproblema della pedagogia resta, per così dire, aperto.

Esclusa una scienza dell'educare, sia essa intesa comenaturalistica scienza di osservazione o normativa scien-za razionale, resta ancora a sapere se entro la concretaattività spirituale possa esserci posto per una specificaattività dell'educare, la cui teoria, nell'ambito della filo-sofia, possa dirsi pedagogia o com'altro si voglia. Se in-

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vece il concetto di educazione ci risulterà empirico opragmatico, sarà vano ricercare, nello stesso ambito, unvero e proprio sapere pedagogico. Questo apparterrà allastoria empirica dei fatti umani.

La pura e semplice identificazione di pedagogia confilosofia risulterebbe così specificata nel primo caso, ab-bandonata nel secondo.

3. Il capitolo secondo su «Pedagogia e scienza natura-le», dopo aver chiarito che soprattutto l'educazione ma-gistrale, cioè l'educazione dell'educatore, deve essereeducazione umana e non tecnica, perchè del formarl'uomo non si è trovata e non si troverà mai l'arte, ribatteefficacemente il pregiudizio che il futuro maestro possa«essere guidato a ritrovare da sè, coi suoi esperimenti, leprincipali leggi fisiche e chimiche» (p. 72).

Lo Spencer, buon'anima, voleva la scienza, e la scien-za sola educatrice, perchè essa sola ci dà le nozioni utili,e quindi ci prepara efficacemente alla vita, nella qualequelle nozioni apprese dobbiamo «utilizzare». Per chiquesto ancora creda, cade a proposito l'arguta osserva-zione del V., che cioè egli «fa come chi si imaginasse,che per viaggiare comodamente basti aver in tasca, o amemoria, l'orario delle strade ferrate» (p. 81). E in fattodi concezione pedagogica moltissimi ancora sono a que-sto punto. L'utilitarismo, nella civiltà borghese, ha cer-cato di travolgere anche il concetto stesso della educa-zione e della scuola. Insegnare non è, no, svolgere odelevare la mente nel sapere; è invece procurare cogni-

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vece il concetto di educazione ci risulterà empirico opragmatico, sarà vano ricercare, nello stesso ambito, unvero e proprio sapere pedagogico. Questo apparterrà allastoria empirica dei fatti umani.

La pura e semplice identificazione di pedagogia confilosofia risulterebbe così specificata nel primo caso, ab-bandonata nel secondo.

3. Il capitolo secondo su «Pedagogia e scienza natura-le», dopo aver chiarito che soprattutto l'educazione ma-gistrale, cioè l'educazione dell'educatore, deve essereeducazione umana e non tecnica, perchè del formarl'uomo non si è trovata e non si troverà mai l'arte, ribatteefficacemente il pregiudizio che il futuro maestro possa«essere guidato a ritrovare da sè, coi suoi esperimenti, leprincipali leggi fisiche e chimiche» (p. 72).

Lo Spencer, buon'anima, voleva la scienza, e la scien-za sola educatrice, perchè essa sola ci dà le nozioni utili,e quindi ci prepara efficacemente alla vita, nella qualequelle nozioni apprese dobbiamo «utilizzare». Per chiquesto ancora creda, cade a proposito l'arguta osserva-zione del V., che cioè egli «fa come chi si imaginasse,che per viaggiare comodamente basti aver in tasca, o amemoria, l'orario delle strade ferrate» (p. 81). E in fattodi concezione pedagogica moltissimi ancora sono a que-sto punto. L'utilitarismo, nella civiltà borghese, ha cer-cato di travolgere anche il concetto stesso della educa-zione e della scuola. Insegnare non è, no, svolgere odelevare la mente nel sapere; è invece procurare cogni-

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zioni utili. E conseguentemente educare non è formareanimi forti che sappian vivere e morire con dignità; maè soltanto preparare efficacemente alla vita, la quale,come fatto generico umano, si risolve in tante mai no-zioni, e come fatto individuale, si voglia o non, esige otollera tante transazioni o compromessi, ripieghi o sot-terfugi, silenzi che mentiscono o parole che non dicono.Preparare a questa vita che è il fatto di tutti i giorni, èl'ideale educativo di quelli che sul fatto credono di fon-dare la necessità. Ed invece educare è proprio elevarsi aldi là del fatto, a questa umana necessità. Educare è sco-prire e scolpire le linee essenziali della umana spirituali-tà al di là delle piccole miserie che le incrostano e defor-mano.

Questa concezione dell'educare è implicita special-mente in questa critica che il V. fa del contenuto scienti-fico dell'insegnamento; per quanto l'accettato concettospenceriano dell'educazione ci faccia alle volte rasentarela concezione utilitaria della scuola. La formazioneumanistica, che possiam dire filosofica, è quella som-mamente utile, in fondo dimostra il V., perchè è quellache meglio serve a darci un orientamento nel vario etempestoso vivere umano. Di tale utilità nel procurareun orientamento temo che i sostenitori della scienza nonsi lasceranno facilmente persuadere: la scuola che diquesto si preoccupi, corre grande pericolo di caderenell'empirismo utilitario a base di scienze di osservazio-ne.

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zioni utili. E conseguentemente educare non è formareanimi forti che sappian vivere e morire con dignità; maè soltanto preparare efficacemente alla vita, la quale,come fatto generico umano, si risolve in tante mai no-zioni, e come fatto individuale, si voglia o non, esige otollera tante transazioni o compromessi, ripieghi o sot-terfugi, silenzi che mentiscono o parole che non dicono.Preparare a questa vita che è il fatto di tutti i giorni, èl'ideale educativo di quelli che sul fatto credono di fon-dare la necessità. Ed invece educare è proprio elevarsi aldi là del fatto, a questa umana necessità. Educare è sco-prire e scolpire le linee essenziali della umana spirituali-tà al di là delle piccole miserie che le incrostano e defor-mano.

Questa concezione dell'educare è implicita special-mente in questa critica che il V. fa del contenuto scienti-fico dell'insegnamento; per quanto l'accettato concettospenceriano dell'educazione ci faccia alle volte rasentarela concezione utilitaria della scuola. La formazioneumanistica, che possiam dire filosofica, è quella som-mamente utile, in fondo dimostra il V., perchè è quellache meglio serve a darci un orientamento nel vario etempestoso vivere umano. Di tale utilità nel procurareun orientamento temo che i sostenitori della scienza nonsi lasceranno facilmente persuadere: la scuola che diquesto si preoccupi, corre grande pericolo di caderenell'empirismo utilitario a base di scienze di osservazio-ne.

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Io, dico il vero, non chiederei alla scuola di darmi untale orientamento o anche solo l'attitudine ad esso. Lechiedo soltanto di farmi, con l'istruzione, uomo. Nonchèl'orientamento, la stessa attitudine ad orientarci ci vienedalla vita vissuta nella realtà, dalla esigenza stessa incui, come uomini, siamo di orientarci e quindi anchedalla scuola come una qualunque forma di vita vissuta, enon come scuola. Non trovo perciò esatta la formula di«scuola per la vita» a caratterizzarne l'essenza intima.La scuola per... la scuola, se un «per» si vuol trovare. Siimpari per la scuola e si saprà per la vita. Se si vuol im-parare per la vita, non si saprà nè per questa nè per lascuola. La scuola, se è veramente tale, detta leggi allavita, non le riceve. La scuola, nella sua pura essenzateorica, è sovrana; come istituzione sociale vive, sì,come deve, soggetta allo Stato, ma forma essa, la vita,non è serva di questa. Ciò conferma la natura filosoficadella scuola; ed in ciò io credo che consenta il V.

Torniamo alla scienza. C'è, abbiam visto, ancora piùche volere la scienza educatrice per l'utilità delle sue no-zioni. Si vuole la scienza nella scuola che prepara i futu-ri maestri, perchè li renderà capaci di ritrovare da sè leprincipali leggi fisiche! Ne farà, cioè, dei Galilei o New-ton in erba, o già a frutto. Non si pensa che la scienza,insegnata, è la meno atta a dare attitudini umane, cioècreatrici, perchè il suo insegnamento è sempre necessa-riamente dogmatico. Lo stesso scienziato non si formeràcerto solo con l'apprendere una già fatta scienza, ma benpiù invece rivivendo le angosciose indagini dei ricerca-

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Io, dico il vero, non chiederei alla scuola di darmi untale orientamento o anche solo l'attitudine ad esso. Lechiedo soltanto di farmi, con l'istruzione, uomo. Nonchèl'orientamento, la stessa attitudine ad orientarci ci vienedalla vita vissuta nella realtà, dalla esigenza stessa incui, come uomini, siamo di orientarci e quindi anchedalla scuola come una qualunque forma di vita vissuta, enon come scuola. Non trovo perciò esatta la formula di«scuola per la vita» a caratterizzarne l'essenza intima.La scuola per... la scuola, se un «per» si vuol trovare. Siimpari per la scuola e si saprà per la vita. Se si vuol im-parare per la vita, non si saprà nè per questa nè per lascuola. La scuola, se è veramente tale, detta leggi allavita, non le riceve. La scuola, nella sua pura essenzateorica, è sovrana; come istituzione sociale vive, sì,come deve, soggetta allo Stato, ma forma essa, la vita,non è serva di questa. Ciò conferma la natura filosoficadella scuola; ed in ciò io credo che consenta il V.

Torniamo alla scienza. C'è, abbiam visto, ancora piùche volere la scienza educatrice per l'utilità delle sue no-zioni. Si vuole la scienza nella scuola che prepara i futu-ri maestri, perchè li renderà capaci di ritrovare da sè leprincipali leggi fisiche! Ne farà, cioè, dei Galilei o New-ton in erba, o già a frutto. Non si pensa che la scienza,insegnata, è la meno atta a dare attitudini umane, cioècreatrici, perchè il suo insegnamento è sempre necessa-riamente dogmatico. Lo stesso scienziato non si formeràcerto solo con l'apprendere una già fatta scienza, ma benpiù invece rivivendo le angosciose indagini dei ricerca-

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tori o nella letteratura scientifica o nello stesso laborato-rio. Molti scienziati non vogliono ancora persuadersi,che, con tutto il rispetto che si ha per loro, per le loro in-dagini, e per l'utilità che queste arrecano, le scienze po-sitive hanno, fra tutto il sapere, la minore efficacia edu-cativa. Ed è bene che ciò sia dimostrato e ripetuto dachi, come il V., della scienza ha sicuro possesso, e nonne esclude il valore conoscitivo. Se vogliamo aver spe-ranza che anche grandi scienziati sorgano, cominciamodal formarli prima uomini: non inaridiamo con la tecni-ca le fonti della vita, se vogliamo che questa generi poiuna sempre più perfezionata tecnica.

4. Nel capitolo terzo, «Cenni sull'educazione fisica»,il V. tocca una quistione delicata molto e che in genere ètaciuta, quella dell'educazione sessuale. Lo Spencer di-ceva che un futuro storico dei nostri sistemi educativi,potrebbe dal loro contenuto esser tratto a credere che ri-guardassero conventi, tanto è il silenzio assoluto di essiin materia sessuale. Non è certo nel senso voluto dalloSpencer che il V. pone e cerca di risolvere la quistione;non crede «che un'istruzione sessuale diretta ed esplicitasia di qualche utilità» (p. 101).

Egli ricerca invece, come si possa fare per educarealla purezza. E il «come» lo trova in un principio gene-rale, che cioè «al bimbo... va inspirato, così da render-glielo abituale, il più grande rispetto, e per gli altri, e persè medesimo» (p. 100), e in uno speciale, che egli credeconsegua da questo primo, che cioè «il piacere non deve

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tori o nella letteratura scientifica o nello stesso laborato-rio. Molti scienziati non vogliono ancora persuadersi,che, con tutto il rispetto che si ha per loro, per le loro in-dagini, e per l'utilità che queste arrecano, le scienze po-sitive hanno, fra tutto il sapere, la minore efficacia edu-cativa. Ed è bene che ciò sia dimostrato e ripetuto dachi, come il V., della scienza ha sicuro possesso, e nonne esclude il valore conoscitivo. Se vogliamo aver spe-ranza che anche grandi scienziati sorgano, cominciamodal formarli prima uomini: non inaridiamo con la tecni-ca le fonti della vita, se vogliamo che questa generi poiuna sempre più perfezionata tecnica.

4. Nel capitolo terzo, «Cenni sull'educazione fisica»,il V. tocca una quistione delicata molto e che in genere ètaciuta, quella dell'educazione sessuale. Lo Spencer di-ceva che un futuro storico dei nostri sistemi educativi,potrebbe dal loro contenuto esser tratto a credere che ri-guardassero conventi, tanto è il silenzio assoluto di essiin materia sessuale. Non è certo nel senso voluto dalloSpencer che il V. pone e cerca di risolvere la quistione;non crede «che un'istruzione sessuale diretta ed esplicitasia di qualche utilità» (p. 101).

Egli ricerca invece, come si possa fare per educarealla purezza. E il «come» lo trova in un principio gene-rale, che cioè «al bimbo... va inspirato, così da render-glielo abituale, il più grande rispetto, e per gli altri, e persè medesimo» (p. 100), e in uno speciale, che egli credeconsegua da questo primo, che cioè «il piacere non deve

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esser mai rimuginato» (p. 113), perchè «chi si preoccupadel suo piacere, chi si ingegna d'intensificarlo con pro-cedimenti estranei alla funzione con cui è associato, e dimeglio assaporarlo con dei rimuginamenti, oziosi pernon dir peggio, viola gravemente il rispetto che deve ase stesso» (p. 103).

E senza dubbio il V. ha ragione. Tanti genitori chenella più piena buona fede esaltano i godimenti – diqualunque genere – avuti in altri tempi, o che hanno inatto, inspirano, certo senza volerlo, qualche volta volen-dolo, la persuasione che fine del vivere sia il godere eche è proprio un peccato che al godimento si arrivi attra-verso tanta dolorosa fatica: prova questa, per chi voglia,che un peccato veramente deve pur esserci stato.

Ma, perchè rimuginare il godimento sia offesa allapropria dignità di uomini e quindi deformazionedell'animo del bimbo che ignaro assiste e apprende, bi-sogna che il godimento non sia mai considerato fine a sestesso. Quando in un qualche senso o modo come finelo poniamo, la dimostrazione che vogliam dare che larievocazione gioiosa del godimento sia venir meno alladignità, non regge più. Sia il godimento massimo o mi-nimo, il più o il meno elevato, sia la beatitudine eterna oil fugace gioire di un attimo, sempre non è elevabile afine. Elevarlo in un caso – sia pure unico ed assoluto – èperdere il diritto a rimproverare, a chi altri piaceri, chenon sian quello elevato a fine, rimugina, l'offesa allapropria dignità. Dovremmo andar ricercando e stabilen-

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esser mai rimuginato» (p. 113), perchè «chi si preoccupadel suo piacere, chi si ingegna d'intensificarlo con pro-cedimenti estranei alla funzione con cui è associato, e dimeglio assaporarlo con dei rimuginamenti, oziosi pernon dir peggio, viola gravemente il rispetto che deve ase stesso» (p. 103).

E senza dubbio il V. ha ragione. Tanti genitori chenella più piena buona fede esaltano i godimenti – diqualunque genere – avuti in altri tempi, o che hanno inatto, inspirano, certo senza volerlo, qualche volta volen-dolo, la persuasione che fine del vivere sia il godere eche è proprio un peccato che al godimento si arrivi attra-verso tanta dolorosa fatica: prova questa, per chi voglia,che un peccato veramente deve pur esserci stato.

Ma, perchè rimuginare il godimento sia offesa allapropria dignità di uomini e quindi deformazionedell'animo del bimbo che ignaro assiste e apprende, bi-sogna che il godimento non sia mai considerato fine a sestesso. Quando in un qualche senso o modo come finelo poniamo, la dimostrazione che vogliam dare che larievocazione gioiosa del godimento sia venir meno alladignità, non regge più. Sia il godimento massimo o mi-nimo, il più o il meno elevato, sia la beatitudine eterna oil fugace gioire di un attimo, sempre non è elevabile afine. Elevarlo in un caso – sia pure unico ed assoluto – èperdere il diritto a rimproverare, a chi altri piaceri, chenon sian quello elevato a fine, rimugina, l'offesa allapropria dignità. Dovremmo andar ricercando e stabilen-

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do quella tal distinzione di piaceri, che invano si è sem-pre tentata.

Accetta il V. questa assoluta non elevazione del piace-re a fine? Non so. Certo egli qui dice esplicitamente che«il piacere, anche il più elevato, non va cercato come seavesse per sè valor di fine» (pag. 107). Ammetterne laricerca però è pur sempre dargli valor di fine; è pur sem-pre consentire l'identificazione esplicita della finalitàcon la sentimentalità, che caratterizzano invece due di-stinte attività spirituali. Se non ci liberiamo dalla equi-voca concezione che sia, in concreto, pur soltanto possi-bile cercare il piacere, non troveremo certo il modo,dopo lo sforzo kantiano, di far progredire la soluzionedel problema morale.

Il V. adunque è sulla via giusta nell'additare il rimedioper attenuare questo, ed infiniti altri mali, nei quali colpratico vivere incorriamo, trascinati da una falsa dottri-na individualistica o da manco di forze spirituali; maforse non è riuscito a spezzare nell'organico suo pensie-ro la salda catena di tradizioni che il rimedio propostovorrebbe infranta. Quello scambio delle categorie spiri-tuali della finalità e del sentimento ha fatto finora sì chealla concezione della vita-piacere non si sapesse opporrealtro che quella della vita-sacrificio. E non si vedeva chequest'ultima concezione non superava affatto la naturadi quella prima: che anzi l'accettava fondamentalmente,– distinguendo soltanto la vita espiazione dolorosa, dallavera vita che non può essere che godimento. In concretola volontà non segue nè l'una nè l'altra concezione, mo-

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do quella tal distinzione di piaceri, che invano si è sem-pre tentata.

Accetta il V. questa assoluta non elevazione del piace-re a fine? Non so. Certo egli qui dice esplicitamente che«il piacere, anche il più elevato, non va cercato come seavesse per sè valor di fine» (pag. 107). Ammetterne laricerca però è pur sempre dargli valor di fine; è pur sem-pre consentire l'identificazione esplicita della finalitàcon la sentimentalità, che caratterizzano invece due di-stinte attività spirituali. Se non ci liberiamo dalla equi-voca concezione che sia, in concreto, pur soltanto possi-bile cercare il piacere, non troveremo certo il modo,dopo lo sforzo kantiano, di far progredire la soluzionedel problema morale.

Il V. adunque è sulla via giusta nell'additare il rimedioper attenuare questo, ed infiniti altri mali, nei quali colpratico vivere incorriamo, trascinati da una falsa dottri-na individualistica o da manco di forze spirituali; maforse non è riuscito a spezzare nell'organico suo pensie-ro la salda catena di tradizioni che il rimedio propostovorrebbe infranta. Quello scambio delle categorie spiri-tuali della finalità e del sentimento ha fatto finora sì chealla concezione della vita-piacere non si sapesse opporrealtro che quella della vita-sacrificio. E non si vedeva chequest'ultima concezione non superava affatto la naturadi quella prima: che anzi l'accettava fondamentalmente,– distinguendo soltanto la vita espiazione dolorosa, dallavera vita che non può essere che godimento. In concretola volontà non segue nè l'una nè l'altra concezione, mo-

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strandone con ciò l'erroneità (dico erroneità, non unila-teralità).

5. Nel cap. su «Scuola e religione» ci son forse le pa-gine più profonde. Esso comprende ora, oltre i due arti-coli che lo costituivano nella prima edizione, un terzo(«La superstizione»), in cui è esplicitamente affrontatoil problema della rivelazione di fronte al sapere umano.

Il sapere umano, proprio in quanto tale, senza aiutisuperumani, arriva fino a Dio. La scuola è, per naturasua, sapere umano. Non può quindi e non deve, senzadisorganizzazioni, tacere di Dio, che deve invece esser-ne il presupposto immanente e che perciò deve rendersiesplicito, semprechè se ne presenti l'occasione. E in que-sto noi siamo perfettamente d'accordo col V. È soltantoda notare, che, perchè ciò di fatto avvenga nell'insegna-mento elementare, bisogna disporre di maestri, che que-sta organicità del sapere, da cui scaturisce presente laDivinità, sentano essi stessi. E quindi la quistionedell'insegnamento religioso nella scuola è quistione del-la formazione religiosa dei maestri: nè più, nè meno.

Non capisco invece perchè il V., una volta affermatochiaramente che è superstizioso ogni tentativo di fonde-re la dottrina religiosa rivelata con la scienza umana,possa poi volere che nella scuola stessa, accanto a que-sta scienza umana in cui pur vive Dio (e che comescienza, ripeto, dobbiamo, secondo il V., tener distintadalla rivelazione se non vogliamo cadere nella supersti-zione) si possa e si debba «introdurre anche un'istruzio-

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strandone con ciò l'erroneità (dico erroneità, non unila-teralità).

5. Nel cap. su «Scuola e religione» ci son forse le pa-gine più profonde. Esso comprende ora, oltre i due arti-coli che lo costituivano nella prima edizione, un terzo(«La superstizione»), in cui è esplicitamente affrontatoil problema della rivelazione di fronte al sapere umano.

Il sapere umano, proprio in quanto tale, senza aiutisuperumani, arriva fino a Dio. La scuola è, per naturasua, sapere umano. Non può quindi e non deve, senzadisorganizzazioni, tacere di Dio, che deve invece esser-ne il presupposto immanente e che perciò deve rendersiesplicito, semprechè se ne presenti l'occasione. E in que-sto noi siamo perfettamente d'accordo col V. È soltantoda notare, che, perchè ciò di fatto avvenga nell'insegna-mento elementare, bisogna disporre di maestri, che que-sta organicità del sapere, da cui scaturisce presente laDivinità, sentano essi stessi. E quindi la quistionedell'insegnamento religioso nella scuola è quistione del-la formazione religiosa dei maestri: nè più, nè meno.

Non capisco invece perchè il V., una volta affermatochiaramente che è superstizioso ogni tentativo di fonde-re la dottrina religiosa rivelata con la scienza umana,possa poi volere che nella scuola stessa, accanto a que-sta scienza umana in cui pur vive Dio (e che comescienza, ripeto, dobbiamo, secondo il V., tener distintadalla rivelazione se non vogliamo cadere nella supersti-zione) si possa e si debba «introdurre anche un'istruzio-

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ne strettamente religiosa (catechistica)» (p. 125), che è,io penso, introdurre la rivelazione entro la scienza uma-na, cioè avviare alla superstizione.

Se si vuole stare alla distinzione fatta dal V., mi pareche la conseguenza (esclusione, dalla scuola, di ogni in-segnamento religioso rivelato) sia ineliminabile. Non èquindi da meravigliarsi se chi quella distinzione non fa,o, anche facendola, pone un necessario rapporto di su-bordinazione del sapere umano a quello rivelato (tranne,si intende, a intendere umanamente un tale sapere rive-lato!) non si dichiari completamente soddisfatto dellasoluzione che il V. dà al problema (cfr. le obiezioni delGemelli e dell'Olgiati e le incisive risposte del V. p. 144-147). A parte le inesattezze e le mutilazioni, di cui giu-stamente il V. si duole con l'Olgiati, il motivo profondodel dissenso è questo. Il V., in quanto filosofo o pedago-gista o scrittore in generale, è prima filosofo e poi cre-dente. Egli sa che il filosofo, in quanto tale, non può es-ser «poi» proprio a nulla, e quindi prima distingue tracredenza e filosofia, e poi pur partendo dalla filosofiaarriva alla credenza, la giustifica, almeno nella sua pos-sibilità. I suoi contraddittori, invece, sono, anche inquanto investigatori, prima credenti e poi filosofi: perloro dalla rivelazione bisogna sempre partire; non si puòsoltanto arrivarci (l'arrivo infatti, per un pensiero umanonecessariamente difettoso, potrebbe anche mancare).

E sarà perciò vero il circolo vizioso che il V., rivol-gendosi specialmente all'Olgiati, mette in evidenza(«Forse il mio errore sta in questo: che io non voglio

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ne strettamente religiosa (catechistica)» (p. 125), che è,io penso, introdurre la rivelazione entro la scienza uma-na, cioè avviare alla superstizione.

Se si vuole stare alla distinzione fatta dal V., mi pareche la conseguenza (esclusione, dalla scuola, di ogni in-segnamento religioso rivelato) sia ineliminabile. Non èquindi da meravigliarsi se chi quella distinzione non fa,o, anche facendola, pone un necessario rapporto di su-bordinazione del sapere umano a quello rivelato (tranne,si intende, a intendere umanamente un tale sapere rive-lato!) non si dichiari completamente soddisfatto dellasoluzione che il V. dà al problema (cfr. le obiezioni delGemelli e dell'Olgiati e le incisive risposte del V. p. 144-147). A parte le inesattezze e le mutilazioni, di cui giu-stamente il V. si duole con l'Olgiati, il motivo profondodel dissenso è questo. Il V., in quanto filosofo o pedago-gista o scrittore in generale, è prima filosofo e poi cre-dente. Egli sa che il filosofo, in quanto tale, non può es-ser «poi» proprio a nulla, e quindi prima distingue tracredenza e filosofia, e poi pur partendo dalla filosofiaarriva alla credenza, la giustifica, almeno nella sua pos-sibilità. I suoi contraddittori, invece, sono, anche inquanto investigatori, prima credenti e poi filosofi: perloro dalla rivelazione bisogna sempre partire; non si puòsoltanto arrivarci (l'arrivo infatti, per un pensiero umanonecessariamente difettoso, potrebbe anche mancare).

E sarà perciò vero il circolo vizioso che il V., rivol-gendosi specialmente all'Olgiati, mette in evidenza(«Forse il mio errore sta in questo: che io non voglio

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presupporre la personalità divina? Ma, ch.mo prof. O.«non presupporre» non significa nè «rifiutare» nè «re-vocare in dubbio» significa semplicemente non assume-re come premessa la conclusione che si vuol dimostrare.Io non approvo i circoli viziosi – pag. 146); ma la suaeliminazione è veramente possibile, quando si dà per as-solutamente vero un determinato sapere, in quanto rive-lazione? Il sapere del soprannaturale (rivelazione) è pro-prio distinguibile in modo assoluto da quello del natura-le? Ecco, p. es., Dio stesso e la sua personalità sono peril Varisco da una parte sapere naturale e dall'altra rivela-zione. In questo campo comune non si corre pericoloche il sapere naturale riesca a conclusioni contrarie a ve-rità rivelate? Ricorrere, per superare la difficoltà, allaimmanenza nella natura, del Dio che ha rivelato se stes-so anche soprannaturalmente è porsi nel circolo vizioso,perchè è ammettere come premessa la verità rivelata chedeve conseguire dal sapere naturale.

È vano illudersi: la posizione filosofica è sempre po-sizione adogmatica, e che perciò non può escludere inmodo assoluto il rischio di diventare posizione antidog-matica. Questa della distinzione del sapere, a dir vero,non mi pare la via giusta per risolvere il problema dellareligione positiva nella scuola, e forse neppure per risol-vere quello della religione in generale nelle attività spi-rituali: c'è pericolo di tornare alla doppia verità, che val-se solo come via d'uscita da un soffocante dogmatismo.

La quistione va forse posta più profondamente o al-meno in modo diverso: è quistione di atteggiamenti spi-

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presupporre la personalità divina? Ma, ch.mo prof. O.«non presupporre» non significa nè «rifiutare» nè «re-vocare in dubbio» significa semplicemente non assume-re come premessa la conclusione che si vuol dimostrare.Io non approvo i circoli viziosi – pag. 146); ma la suaeliminazione è veramente possibile, quando si dà per as-solutamente vero un determinato sapere, in quanto rive-lazione? Il sapere del soprannaturale (rivelazione) è pro-prio distinguibile in modo assoluto da quello del natura-le? Ecco, p. es., Dio stesso e la sua personalità sono peril Varisco da una parte sapere naturale e dall'altra rivela-zione. In questo campo comune non si corre pericoloche il sapere naturale riesca a conclusioni contrarie a ve-rità rivelate? Ricorrere, per superare la difficoltà, allaimmanenza nella natura, del Dio che ha rivelato se stes-so anche soprannaturalmente è porsi nel circolo vizioso,perchè è ammettere come premessa la verità rivelata chedeve conseguire dal sapere naturale.

È vano illudersi: la posizione filosofica è sempre po-sizione adogmatica, e che perciò non può escludere inmodo assoluto il rischio di diventare posizione antidog-matica. Questa della distinzione del sapere, a dir vero,non mi pare la via giusta per risolvere il problema dellareligione positiva nella scuola, e forse neppure per risol-vere quello della religione in generale nelle attività spi-rituali: c'è pericolo di tornare alla doppia verità, che val-se solo come via d'uscita da un soffocante dogmatismo.

La quistione va forse posta più profondamente o al-meno in modo diverso: è quistione di atteggiamenti spi-

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rituali diversi e non di cognizioni. La scuola è, per natu-ra sua, filosofica (filosofia è sforzo verso Dio), non reli-giosa (religione è contentezza del possesso di Dio):giacchè essa è critica e non dogmatica. E quella religio-sità generica additata dal V. come anima di ogni conte-nuto di insegnamento è veramente filosofia: quella for-mazione religiosa degli insegnanti, che sopra dicevamo,è in realtà formazione filosofica. Questa farà sì che laloro, non copra con la rivelazione l'ignoranza o non rin-neghi con parole di Dio le più evidenti scoperte o inven-zioni del pensiero, che non può non essere divino, quan-do veramente pensiero sia. Quella formazione filosofica,in breve, eviterà, per dirla col V., che la rivelazione di-venti superstizione. E la formazione filosofica degli in-segnanti è anche formazione filosofica degli allievi: è laformazione spirituale quale la scuola nella sua specificaessenza può e deve dare.

In tale organismo, dunque, per sua natura critico enon dogmatico, è irrazionale, contraddittorio introdurrecome insegnamento, l'elemento religioso in quanto rive-lato, cioè porre come conoscenze proposizioni che talinon sono, perchè sfuggono ad ogni giustificazione cono-scitiva, ed hanno in altro il loro valore. E ciò, per di più,sarebbe senza nessuna efficacia formativa.

La religione che abbia, proprio in quanto religione, uncontenuto dottrinario da insegnare, ha anche per questoil suo campo adatto: la famiglia e la chiesa. E non perquesto la scuola non avrà contatti con la religione positi-va in una società che di questa realmente viva. La reli-

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rituali diversi e non di cognizioni. La scuola è, per natu-ra sua, filosofica (filosofia è sforzo verso Dio), non reli-giosa (religione è contentezza del possesso di Dio):giacchè essa è critica e non dogmatica. E quella religio-sità generica additata dal V. come anima di ogni conte-nuto di insegnamento è veramente filosofia: quella for-mazione religiosa degli insegnanti, che sopra dicevamo,è in realtà formazione filosofica. Questa farà sì che laloro, non copra con la rivelazione l'ignoranza o non rin-neghi con parole di Dio le più evidenti scoperte o inven-zioni del pensiero, che non può non essere divino, quan-do veramente pensiero sia. Quella formazione filosofica,in breve, eviterà, per dirla col V., che la rivelazione di-venti superstizione. E la formazione filosofica degli in-segnanti è anche formazione filosofica degli allievi: è laformazione spirituale quale la scuola nella sua specificaessenza può e deve dare.

In tale organismo, dunque, per sua natura critico enon dogmatico, è irrazionale, contraddittorio introdurrecome insegnamento, l'elemento religioso in quanto rive-lato, cioè porre come conoscenze proposizioni che talinon sono, perchè sfuggono ad ogni giustificazione cono-scitiva, ed hanno in altro il loro valore. E ciò, per di più,sarebbe senza nessuna efficacia formativa.

La religione che abbia, proprio in quanto religione, uncontenuto dottrinario da insegnare, ha anche per questoil suo campo adatto: la famiglia e la chiesa. E non perquesto la scuola non avrà contatti con la religione positi-va in una società che di questa realmente viva. La reli-

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gione sarà, in essa, forma di vita, non di insegnamento,cioè la scuola nella sua funzione potrà o dovrà essereaccompagnata da quelle forme di culto che soglionoprecedere o seguire ogni atto della vita pubblica o priva-ta (p. es. invocazioni, ringraziamenti, ecc.). E un tale ac-compagnamento, io credo, avrebbe veramente un valoreformativo religioso. Ma perchè ci sia sul serio, bisognache la religione positiva che si esprime in quelle forme,sia sentita e viva nelle coscienze.

6. Quanto ho finora detto, basta certo per far com-prendere come ogni lettore, sia egli giovane candidatoall'insegnamento o uomo maturo di studi e di senno, tro-verà, anche in queste pagine dettate alla buona con in-tenti pratici, le profonde vedute e gli stimoli al pensaredi cui son sempre pieni gli scritti del V. Tali intenti pra-tici egli troverà specialmente nei vari fondamentali pro-blemi che il V. prende a discutere e a risolvere negli ulti-mi due capitoli, che, mentre hanno quell'eterno valorespirituale delle verità sentite e vissute, hanno anche peril tempo in cui furono scritti, un notevole valore storicodi presentimento, di incitamento, di intima comprensio-ne dei motivi profondi della vita del popolo italiano.

Nella «Conclusione» il V., riprendendo l'ordine diconsiderazioni da cui era partito e che si è svolto nellesingole quistioni, si domanda come è dunque possibileche la scuola sia, attraverso l'istruzione che impartisce,efficacemente educativa, cioè prepari il meglio che pos-sa a vivere. Il complicarsi della civiltà ha fatto sì che

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gione sarà, in essa, forma di vita, non di insegnamento,cioè la scuola nella sua funzione potrà o dovrà essereaccompagnata da quelle forme di culto che soglionoprecedere o seguire ogni atto della vita pubblica o priva-ta (p. es. invocazioni, ringraziamenti, ecc.). E un tale ac-compagnamento, io credo, avrebbe veramente un valoreformativo religioso. Ma perchè ci sia sul serio, bisognache la religione positiva che si esprime in quelle forme,sia sentita e viva nelle coscienze.

6. Quanto ho finora detto, basta certo per far com-prendere come ogni lettore, sia egli giovane candidatoall'insegnamento o uomo maturo di studi e di senno, tro-verà, anche in queste pagine dettate alla buona con in-tenti pratici, le profonde vedute e gli stimoli al pensaredi cui son sempre pieni gli scritti del V. Tali intenti pra-tici egli troverà specialmente nei vari fondamentali pro-blemi che il V. prende a discutere e a risolvere negli ulti-mi due capitoli, che, mentre hanno quell'eterno valorespirituale delle verità sentite e vissute, hanno anche peril tempo in cui furono scritti, un notevole valore storicodi presentimento, di incitamento, di intima comprensio-ne dei motivi profondi della vita del popolo italiano.

Nella «Conclusione» il V., riprendendo l'ordine diconsiderazioni da cui era partito e che si è svolto nellesingole quistioni, si domanda come è dunque possibileche la scuola sia, attraverso l'istruzione che impartisce,efficacemente educativa, cioè prepari il meglio che pos-sa a vivere. Il complicarsi della civiltà ha fatto sì che

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«ciò che ognuno dovrebbe sapere, non c'è nessuno chelo sappia» (p. 227). Quell'esperienza, che è veramente lagrande scuola della vita, è impossibile che entri tuttanella scuola. E non può entrarvi che in minima parte at-traverso tanti fattori, dei quali «il più efficace resta sem-pre l'insegnante» (p. 230). E «gli insegnanti saranno ca-paci più o meno, secondo che siano più o meno ben pre-parati nelle scuole ad hoc. Se questo fosse rigorosamen-te vero, se ne concluderebbe che per migliorare le scuo-le bisogna avere già delle scuole ottime: il circolo sareb-be senza uscita» (ib.). Ma perchè l'insegnante compren-da l'esigenza della vita «bisogna, e basta, superare quel-la grettezza, in fondo egoistica e pigra, da cui siamo in-dotti a chiuderci come in un guscio nel nostro minusco-lo mondo abituale» (p. 231).

Formare adunque uomini che vogliano e sappiano su-perare, in teoria e in pratica, nel sapere e nell'agire, ilgretto egoismo e porli come insegnanti è risolvere ilproblema della scuola.

III.14

LA PERSONALITÀ SPECULATIVA

B. V. nacque a Chiari, il 20 aprile 1850. dal prof. Car-lo e da Giulia Bonatelli sorella del filosofo Francesco.Si licenziò dal Liceo nel 1867 vincendo la medagliad'argento nel concorso ministeriale per gli allievi dei Li-

14 Pubblicato nell'Annuario 1933-34 dell'Università di Roma.

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«ciò che ognuno dovrebbe sapere, non c'è nessuno chelo sappia» (p. 227). Quell'esperienza, che è veramente lagrande scuola della vita, è impossibile che entri tuttanella scuola. E non può entrarvi che in minima parte at-traverso tanti fattori, dei quali «il più efficace resta sem-pre l'insegnante» (p. 230). E «gli insegnanti saranno ca-paci più o meno, secondo che siano più o meno ben pre-parati nelle scuole ad hoc. Se questo fosse rigorosamen-te vero, se ne concluderebbe che per migliorare le scuo-le bisogna avere già delle scuole ottime: il circolo sareb-be senza uscita» (ib.). Ma perchè l'insegnante compren-da l'esigenza della vita «bisogna, e basta, superare quel-la grettezza, in fondo egoistica e pigra, da cui siamo in-dotti a chiuderci come in un guscio nel nostro minusco-lo mondo abituale» (p. 231).

Formare adunque uomini che vogliano e sappiano su-perare, in teoria e in pratica, nel sapere e nell'agire, ilgretto egoismo e porli come insegnanti è risolvere ilproblema della scuola.

III.14

LA PERSONALITÀ SPECULATIVA

B. V. nacque a Chiari, il 20 aprile 1850. dal prof. Car-lo e da Giulia Bonatelli sorella del filosofo Francesco.Si licenziò dal Liceo nel 1867 vincendo la medagliad'argento nel concorso ministeriale per gli allievi dei Li-

14 Pubblicato nell'Annuario 1933-34 dell'Università di Roma.

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cei, si laureò in ingegneria a Padova nel 1873, insegnòmatematica nei R. Istituti Tecnici dal 1874 al 1904, filo-sofia nell'Università di Roma dal 1905 al 1925.

Due soli riconoscimenti del suo valore di studioso edi uomo: il premio reale dell'Accademia dei Lincei (del-la quale poi fu socio dal 1914) per la filosofia nel 1900,la nomina a senatore, per aver illustrata la patria, nel1928.

Morì nella sua Chiari il 21 ottobre 1933, assistito dal-la figlia Giulia.

Il VARISCO si rivelò pensatore a 50 anni suonati con«Scienza e Opinioni» (1901) volume che gli dette il pre-mio reale, la notorietà, la cattedra romana. E si riveló, sidice, positivista, in quanto traeva dal fatto, naturalistica-mente inteso, la legge che lo regola. In verità il volumefu la prima autocritica del positivismo italiano: dimo-strò l'astrattezza della spiegazione positivistica dellarealtà. Il VARISCO infatti in esso sostiene che entrol'uomo, che sa ciò che gli consta come scienza e la cuiverità è quindi inoppugnabile, al di là della pur esaurien-te spiegazione scientifica della sua essenza di uomo, ri-mane l'uomo che opina ed opinando crede, e che, inquesto suo opinare, non è nè spiegato dalla scienza per-chè l'opinione non è ridotta a incontrastabile verità, nèsoppresso, perchè l'opinione rimane, come opinione, chesi eleva a fede, ineliminabile. L'uomo, quindi, che, comeed entro la rimanente realtà, è spiegato dalla scienza po-sitiva, della quale il VARISCO dà, nel detto volume, unaspecie di enciclopedia filosofica, è un uomo astratto;

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cei, si laureò in ingegneria a Padova nel 1873, insegnòmatematica nei R. Istituti Tecnici dal 1874 al 1904, filo-sofia nell'Università di Roma dal 1905 al 1925.

Due soli riconoscimenti del suo valore di studioso edi uomo: il premio reale dell'Accademia dei Lincei (del-la quale poi fu socio dal 1914) per la filosofia nel 1900,la nomina a senatore, per aver illustrata la patria, nel1928.

Morì nella sua Chiari il 21 ottobre 1933, assistito dal-la figlia Giulia.

Il VARISCO si rivelò pensatore a 50 anni suonati con«Scienza e Opinioni» (1901) volume che gli dette il pre-mio reale, la notorietà, la cattedra romana. E si riveló, sidice, positivista, in quanto traeva dal fatto, naturalistica-mente inteso, la legge che lo regola. In verità il volumefu la prima autocritica del positivismo italiano: dimo-strò l'astrattezza della spiegazione positivistica dellarealtà. Il VARISCO infatti in esso sostiene che entrol'uomo, che sa ciò che gli consta come scienza e la cuiverità è quindi inoppugnabile, al di là della pur esaurien-te spiegazione scientifica della sua essenza di uomo, ri-mane l'uomo che opina ed opinando crede, e che, inquesto suo opinare, non è nè spiegato dalla scienza per-chè l'opinione non è ridotta a incontrastabile verità, nèsoppresso, perchè l'opinione rimane, come opinione, chesi eleva a fede, ineliminabile. L'uomo, quindi, che, comeed entro la rimanente realtà, è spiegato dalla scienza po-sitiva, della quale il VARISCO dà, nel detto volume, unaspecie di enciclopedia filosofica, è un uomo astratto;

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non è l'uomo vivo concreto. Questo ha in sè qualcosa,che la scienza deve dichiararsi impotente a giustificare osopprimere, e che pur investe il principio stesso di ognirealtà di fatto: il puro fatto viene ad essere scosso nellasua validità di principio della realtà e del suo sapere.

Questo il primo valore dell'affermarsi del pensiero delVARISCO un richiamarsi alla realtà concreta dell'uomocome tale, oltre la realtà astratta che sola di lui può dar-ci la scienza.

E questo rimane il motivo fondamentale di tutto ilpensiero del VARISCO. Quando quest'autocritica del posi-tivismo il VARISCO faceva, ancora non si era affermato ilneohegelismo: non c'era ancora stata in Italia l'aperta epiena ribellione idealistica contro il positivismo. La ri-bellione idealistica dà al pensiero del VARISCO coscienzaesplicita dell'astrattezza positivistica.

Così l'autocritica del VARISCO ritrova la sua giustifica-zione: ogni gnoseologismo non può essere positivistico,perchè l'accadere è la conoscenza dell'accadere, e perciòimporta il concetto che è la legge non caduca (estempo-ranea) dell'accadere (temporaneo). Perciò il fatto di làdalla conoscenza non è principio di realtà e tanto menodi conoscenza, principio è l'idea immanente alla cono-scenza stessa: idea, che è lo stesso Essere, che condizio-na l'esperienza. Il qualcosa, che la filosofia positivisticanon poteva nè espugnare nè rinnegare, si rivela e si giu-stifica nella filosofia che è più comprensiva e più con-creta di ogni scienza particolare, giacchè «a rigore, lascienza, di cui tanti parlano con enfasi, non esiste». Il

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non è l'uomo vivo concreto. Questo ha in sè qualcosa,che la scienza deve dichiararsi impotente a giustificare osopprimere, e che pur investe il principio stesso di ognirealtà di fatto: il puro fatto viene ad essere scosso nellasua validità di principio della realtà e del suo sapere.

Questo il primo valore dell'affermarsi del pensiero delVARISCO un richiamarsi alla realtà concreta dell'uomocome tale, oltre la realtà astratta che sola di lui può dar-ci la scienza.

E questo rimane il motivo fondamentale di tutto ilpensiero del VARISCO. Quando quest'autocritica del posi-tivismo il VARISCO faceva, ancora non si era affermato ilneohegelismo: non c'era ancora stata in Italia l'aperta epiena ribellione idealistica contro il positivismo. La ri-bellione idealistica dà al pensiero del VARISCO coscienzaesplicita dell'astrattezza positivistica.

Così l'autocritica del VARISCO ritrova la sua giustifica-zione: ogni gnoseologismo non può essere positivistico,perchè l'accadere è la conoscenza dell'accadere, e perciòimporta il concetto che è la legge non caduca (estempo-ranea) dell'accadere (temporaneo). Perciò il fatto di làdalla conoscenza non è principio di realtà e tanto menodi conoscenza, principio è l'idea immanente alla cono-scenza stessa: idea, che è lo stesso Essere, che condizio-na l'esperienza. Il qualcosa, che la filosofia positivisticanon poteva nè espugnare nè rinnegare, si rivela e si giu-stifica nella filosofia che è più comprensiva e più con-creta di ogni scienza particolare, giacchè «a rigore, lascienza, di cui tanti parlano con enfasi, non esiste». Il

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VARISCO è fuori del positivismo, pel quale esiste la Scien-za, a cui si riduce la filosofia. Siamo ai «Massimi Pro-blemi» (1910): l'uomo astratto della filosofia come lascienza positiva è tolto di mezzo, per l'uomo concretoche ha in sè quell'opinabile, divenuto gnoseologicamen-te vero, anche se non positivamente constante.

Ma se il VARISCO così è fuori del positivismo non è perquesto in quell'idealismo neohegeliano che ha dichiaratala ribellione e mossa la lotta e che ha dato al VARISCO laconsapevolezza della sua critica al positivismo. Non è inquell'idealismo, perchè in esso il VARISCO sente un astrat-tismo, per quanto di diversa natura, pure non meno gra-ve di quello positivistico (Conosci te stesso, 1912): po-sitivismo ed idealismo antitetico sono sullo stesso terre-no. Il VARISCO pone la speculazione su terreno diverso,più saldo ed anche storicamente più maturo. Più saldo,perchè posto nelle esigenze stesse della concreta co-scienza comune, donde la sinteticità del filosofare vari-schiano. Storicamente più maturo, perchè preparato dal-la critica interiore del positivismo, che fa poi vedere ildifetto stesso di questo nella opposta posizione specula-tiva.

Questo terreno speculativo più saldo è la critica final-mente riconosciuta non soltanto come riflessione gene-ratrice dell'esplicito idealismo, ma anche come esigenzaintima essenziale ad ogni posizione speculativa e quindirichiesta dallo stesso idealismo che non voglia finire indogmatismo.

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VARISCO è fuori del positivismo, pel quale esiste la Scien-za, a cui si riduce la filosofia. Siamo ai «Massimi Pro-blemi» (1910): l'uomo astratto della filosofia come lascienza positiva è tolto di mezzo, per l'uomo concretoche ha in sè quell'opinabile, divenuto gnoseologicamen-te vero, anche se non positivamente constante.

Ma se il VARISCO così è fuori del positivismo non è perquesto in quell'idealismo neohegeliano che ha dichiaratala ribellione e mossa la lotta e che ha dato al VARISCO laconsapevolezza della sua critica al positivismo. Non è inquell'idealismo, perchè in esso il VARISCO sente un astrat-tismo, per quanto di diversa natura, pure non meno gra-ve di quello positivistico (Conosci te stesso, 1912): po-sitivismo ed idealismo antitetico sono sullo stesso terre-no. Il VARISCO pone la speculazione su terreno diverso,più saldo ed anche storicamente più maturo. Più saldo,perchè posto nelle esigenze stesse della concreta co-scienza comune, donde la sinteticità del filosofare vari-schiano. Storicamente più maturo, perchè preparato dal-la critica interiore del positivismo, che fa poi vedere ildifetto stesso di questo nella opposta posizione specula-tiva.

Questo terreno speculativo più saldo è la critica final-mente riconosciuta non soltanto come riflessione gene-ratrice dell'esplicito idealismo, ma anche come esigenzaintima essenziale ad ogni posizione speculativa e quindirichiesta dallo stesso idealismo che non voglia finire indogmatismo.

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E questa denunzia di astrattismo nell'idealismo post-kantiano in genere il VARISCO fa fin dai suoi passi versola fase idealistica (1907), quando si domanda che cosasignificasse mai in una filosofia dell'immanenza una co-scienza in universale, che non si capisce qual soggettomai possa essere.

All'astrattismo del fatto si è sostituito l'astrattismo diuna coscienza che è consapevole di sè. Ed il concreto èinvece che io soggetto particolare, pensando tra soggettiparticolari, attuo con la mia realtà di persona pensante ilconcetto di essere come legge. Di qui l'impostazione delproblema dei soggetti nella stessa speculazione idealisti-ca, che, finchè questo non pone e non risolve, rimarrà inun soggettivismo naturalistico. Quindi lo speciale carat-tere dell'idealismo varischiano, che dai neohegeliani,che non vedono l'astrattismo del loro dogmatico princi-pio di autocoscienza dialettica, è ritenuto euristico, men-tre è e vuol essere concreto contro l'astrattezza del fattoda una parte e dell'autoconcetto dall'altra.

Raggiunte le concrete persone nella loro realtà meta-fisica e manifesta, dimostrata la loro pluralità, l'ideali-smo dà al VARISCO la possibilità di salire a Dio comeSoggetto assoluto, attraverso quell'essere ideale unifica-tore di queste singole persone pensanti. Con questo Sog-getto assoluto (Unità e molteplicità, 1920; Linee di filo-sofia critica, 1925; Sommario di filosofia, 1927) è resapossibile la rivelazione e, con questa, la religione, in cuisi salda esplicito il nesso dei soggetti particolari con

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E questa denunzia di astrattismo nell'idealismo post-kantiano in genere il VARISCO fa fin dai suoi passi versola fase idealistica (1907), quando si domanda che cosasignificasse mai in una filosofia dell'immanenza una co-scienza in universale, che non si capisce qual soggettomai possa essere.

All'astrattismo del fatto si è sostituito l'astrattismo diuna coscienza che è consapevole di sè. Ed il concreto èinvece che io soggetto particolare, pensando tra soggettiparticolari, attuo con la mia realtà di persona pensante ilconcetto di essere come legge. Di qui l'impostazione delproblema dei soggetti nella stessa speculazione idealisti-ca, che, finchè questo non pone e non risolve, rimarrà inun soggettivismo naturalistico. Quindi lo speciale carat-tere dell'idealismo varischiano, che dai neohegeliani,che non vedono l'astrattismo del loro dogmatico princi-pio di autocoscienza dialettica, è ritenuto euristico, men-tre è e vuol essere concreto contro l'astrattezza del fattoda una parte e dell'autoconcetto dall'altra.

Raggiunte le concrete persone nella loro realtà meta-fisica e manifesta, dimostrata la loro pluralità, l'ideali-smo dà al VARISCO la possibilità di salire a Dio comeSoggetto assoluto, attraverso quell'essere ideale unifica-tore di queste singole persone pensanti. Con questo Sog-getto assoluto (Unità e molteplicità, 1920; Linee di filo-sofia critica, 1925; Sommario di filosofia, 1927) è resapossibile la rivelazione e, con questa, la religione, in cuisi salda esplicito il nesso dei soggetti particolari con

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Quello universale ed assoluto, senza che i primi debba-no nulla rinnegare della loro personale autonomia.

Ritroviamo l'uomo concreto nel suo valore eterno, edin quello temporale; nel suo sviluppo nel tempo che ècostitutivo della realtà fisica e nel suo esistere eternocome spirituale condizione metafisica dell'accadere fisi-co.

Questa l'intima originalità e l'unità di sviluppo delpensiero varischiano: la conquista del concreto esserespirituale umano contro l'opposta astrazione, quella po-sitivistica e quella dialettica. Contro il fatto dell'uomonatura e il concetto dell'uomo-Dio si ritrovano, nel pen-siero del VARISCO, gli spiriti pensanti a condizione delletemporali leggi che diciamo natura e aventi eterno prin-cipio nel Soggetto assoluto, che anche pel VARISCO rima-ne, proprio come Soggetto (Io assoluto), principio primodella concreta realtà metafisica. Questa quindi, anchepel VARISCO, come per l'idealismo post-kantiano, conti-nua ad essere soggettiva.

Riconquista critica, dunque, della soggettività: impo-stazione del problema dei soggetti in campo critico, equindi ritorno, attraverso un più profondo soggettivismo(questo il valore e questo il limite del pensiero vari-schiano), alla tradizionale personalità di Dio, trascen-dente con la sua assolutezza le singole persone umane,ma immanente, come loro oggettività, in queste, il cuipensare ed agire perciò non sono un simboleggiarevano, un fare apparente.

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Quello universale ed assoluto, senza che i primi debba-no nulla rinnegare della loro personale autonomia.

Ritroviamo l'uomo concreto nel suo valore eterno, edin quello temporale; nel suo sviluppo nel tempo che ècostitutivo della realtà fisica e nel suo esistere eternocome spirituale condizione metafisica dell'accadere fisi-co.

Questa l'intima originalità e l'unità di sviluppo delpensiero varischiano: la conquista del concreto esserespirituale umano contro l'opposta astrazione, quella po-sitivistica e quella dialettica. Contro il fatto dell'uomonatura e il concetto dell'uomo-Dio si ritrovano, nel pen-siero del VARISCO, gli spiriti pensanti a condizione delletemporali leggi che diciamo natura e aventi eterno prin-cipio nel Soggetto assoluto, che anche pel VARISCO rima-ne, proprio come Soggetto (Io assoluto), principio primodella concreta realtà metafisica. Questa quindi, anchepel VARISCO, come per l'idealismo post-kantiano, conti-nua ad essere soggettiva.

Riconquista critica, dunque, della soggettività: impo-stazione del problema dei soggetti in campo critico, equindi ritorno, attraverso un più profondo soggettivismo(questo il valore e questo il limite del pensiero vari-schiano), alla tradizionale personalità di Dio, trascen-dente con la sua assolutezza le singole persone umane,ma immanente, come loro oggettività, in queste, il cuipensare ed agire perciò non sono un simboleggiarevano, un fare apparente.

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Il problema di Dio, e quello delle anime, eterna, in-sopprimibile, fondamentale esigenza della coscienza ra-zionale sono finalmente posti in campo critico da unaparte contro la persistente trattazione dogmatica negatri-ce della critica, dall'altra contro l'equivoca trattazioneidealistica negatrice dei problemi.

Perciò chi voglia questi grandi problemi metafisicimodernamente indagare, non potrà prescindere dal pen-siero varischiano, che, lungi dall'essere il residuo ar-cheologico di superate posizioni, speculative, è invecevalidissimo sforzo di più profonda comprensione dellaconcretezza spirituale, attraverso la confutazionedell'opposta astrattezza del positivismo e dell'idealismoantitetico, confutazione fondata sulla Critica, la quale èriconosciuta come esigenza insuperabile della specula-zione.

Con questo valore il VARISCO rimane nella storia dellafilosofia come il rinnovatore della Critica e l'instaurato-re della metafisica critica. La pubblicazione che speria-mo prossima, del volume (Dall'uomo a Dio), al qualeegli da molti anni lavorava, compiendo la personalitàspeculativa del VARISCO, porrà questa come punto di arri-vo della speculazione italiana a tutt'oggi e punto di par-tenza per quanti vorranno lavorare con profitto a disve-lare l'assoluto principio della realtà con quella incondi-zionata dedizione alla ricerca, con quello sdegno delplateale plauso, con quella ansiosa incessante autocriticacaratteristica del filosofo, con quell'intima adesioneall'universale valore spirituale umano attraverso le for-

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Il problema di Dio, e quello delle anime, eterna, in-sopprimibile, fondamentale esigenza della coscienza ra-zionale sono finalmente posti in campo critico da unaparte contro la persistente trattazione dogmatica negatri-ce della critica, dall'altra contro l'equivoca trattazioneidealistica negatrice dei problemi.

Perciò chi voglia questi grandi problemi metafisicimodernamente indagare, non potrà prescindere dal pen-siero varischiano, che, lungi dall'essere il residuo ar-cheologico di superate posizioni, speculative, è invecevalidissimo sforzo di più profonda comprensione dellaconcretezza spirituale, attraverso la confutazionedell'opposta astrattezza del positivismo e dell'idealismoantitetico, confutazione fondata sulla Critica, la quale èriconosciuta come esigenza insuperabile della specula-zione.

Con questo valore il VARISCO rimane nella storia dellafilosofia come il rinnovatore della Critica e l'instaurato-re della metafisica critica. La pubblicazione che speria-mo prossima, del volume (Dall'uomo a Dio), al qualeegli da molti anni lavorava, compiendo la personalitàspeculativa del VARISCO, porrà questa come punto di arri-vo della speculazione italiana a tutt'oggi e punto di par-tenza per quanti vorranno lavorare con profitto a disve-lare l'assoluto principio della realtà con quella incondi-zionata dedizione alla ricerca, con quello sdegno delplateale plauso, con quella ansiosa incessante autocriticacaratteristica del filosofo, con quell'intima adesioneall'universale valore spirituale umano attraverso le for-

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me della spiritualità nazionale, doti delle quali il VARISCO

fu esempio rarissimo. E per quest'ultima che egli ebbeprofonda e potentemente fece sentire, egli fu, già vivo,giustamente scolpito come «artefice silenzioso dellanuova Italia».

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me della spiritualità nazionale, doti delle quali il VARISCO

fu esempio rarissimo. E per quest'ultima che egli ebbeprofonda e potentemente fece sentire, egli fu, già vivo,giustamente scolpito come «artefice silenzioso dellanuova Italia».

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CAPITOLO IXL'OGGETTIVITÀ IDEALISTICA

60. Il problema varischiano della pluralità dei soggetti.

La speculazione varischiana si impone, dunque, per-chè, pur e proprio nell'esplicare i caratteri dell'oggettivoimmanentismo idealistico italiano, imposta nettamente,sugli stessi principi critici, il problema della soggettivi-tà, che la speculazione tedesca aveva ridotta a unicità, ein cui invece il V. ritrova proprio la pluralità spirituale.

Il problema dei soggetti era stato fatto sentire, insie-me con la esigenza idealistica, dal Berkeley. Questi, in-fatti, affermata la spiritualità come attività sostanziale,sentì la difficoltà che gli spiriti finiti costituiscono con-tro una tale affermazione: essi dovrebbero avere, se spi-riti sono, quell'attività sostanziale, essere quella sostanza

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CAPITOLO IXL'OGGETTIVITÀ IDEALISTICA

60. Il problema varischiano della pluralità dei soggetti.

La speculazione varischiana si impone, dunque, per-chè, pur e proprio nell'esplicare i caratteri dell'oggettivoimmanentismo idealistico italiano, imposta nettamente,sugli stessi principi critici, il problema della soggettivi-tà, che la speculazione tedesca aveva ridotta a unicità, ein cui invece il V. ritrova proprio la pluralità spirituale.

Il problema dei soggetti era stato fatto sentire, insie-me con la esigenza idealistica, dal Berkeley. Questi, in-fatti, affermata la spiritualità come attività sostanziale,sentì la difficoltà che gli spiriti finiti costituiscono con-tro una tale affermazione: essi dovrebbero avere, se spi-riti sono, quell'attività sostanziale, essere quella sostanza

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che è appunto il costitutivo della spiritualità, ma che siriconosce soltanto in Dio. Autore delle “idee”, che costi-tuiscono la realtà, è Dio. Ma d'altra parte la mia singola-rità spirituale non si ritrova entro quell'“esse” delle ideeridotto ad un “percipi”: questo “percipi” non dà ragionedel mio attivo “percepire”; non vi si trova neppure, perla stessa ragione, l'altrui singolarità spirituale: l'altro ionon può essere soltanto un “percipi”. La berkeleyana in-tuizione, distinta dalla idea e dal suo “percipi”, forsenon risolve la difficoltà; ma egli ha, incontrastabile, ilmerito di aver fatto sentire che c'è un problema dei sog-getti da risolvere, quando la realtà sia, come devesi, por-tata nella spiritualità conoscitiva. La soluzione, non datada Bercheley, non è stata data neppure dalla speculazio-ne posteriore. Kant ammette dogmaticamente gli spiritisingolari nella loro pluralità; il pensiero idealistico post-kantiano elimina non risolve il problema, sopprimendosenz'altro come antispirituale la pluralità. Che sia anti-spirituale però non dimostra.

Il Varisco sente la mancata soluzione e pone così nelcampo critico idealistico il problema dei molti soggetti.Vedemmo già l'idealistica riduzione dell'oggetto a sog-getto implicare pel V. la distinzione tra soggetto e sog-getto, proprio come coscienza e non empirica sua nega-zione. E ci soddisfi o meno la costituzione varischianadei soggetti, ciò non toglie che il problema della sogget-tività sia stato posto in campo critico. E già il solo porloesclude la fichte-hegeliana unicità dell'io, in quanto laposizione stessa del problema da parte di un soggetto fi-

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che è appunto il costitutivo della spiritualità, ma che siriconosce soltanto in Dio. Autore delle “idee”, che costi-tuiscono la realtà, è Dio. Ma d'altra parte la mia singola-rità spirituale non si ritrova entro quell'“esse” delle ideeridotto ad un “percipi”: questo “percipi” non dà ragionedel mio attivo “percepire”; non vi si trova neppure, perla stessa ragione, l'altrui singolarità spirituale: l'altro ionon può essere soltanto un “percipi”. La berkeleyana in-tuizione, distinta dalla idea e dal suo “percipi”, forsenon risolve la difficoltà; ma egli ha, incontrastabile, ilmerito di aver fatto sentire che c'è un problema dei sog-getti da risolvere, quando la realtà sia, come devesi, por-tata nella spiritualità conoscitiva. La soluzione, non datada Bercheley, non è stata data neppure dalla speculazio-ne posteriore. Kant ammette dogmaticamente gli spiritisingolari nella loro pluralità; il pensiero idealistico post-kantiano elimina non risolve il problema, sopprimendosenz'altro come antispirituale la pluralità. Che sia anti-spirituale però non dimostra.

Il Varisco sente la mancata soluzione e pone così nelcampo critico idealistico il problema dei molti soggetti.Vedemmo già l'idealistica riduzione dell'oggetto a sog-getto implicare pel V. la distinzione tra soggetto e sog-getto, proprio come coscienza e non empirica sua nega-zione. E ci soddisfi o meno la costituzione varischianadei soggetti, ciò non toglie che il problema della sogget-tività sia stato posto in campo critico. E già il solo porloesclude la fichte-hegeliana unicità dell'io, in quanto laposizione stessa del problema da parte di un soggetto fi-

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losofante, di fronte all'altro che tal problema ignora oesclude, mostra la pluralità e quindi la correlatività deisoggetti.

E solo con questo riconoscimento potremo riflettereche è pregiudizio realistico il ritenere l'oggetto, in quan-to essere, non coscienza, e il soggetto, in quanto co-scienza, non essere, ed entrare così più profondamentenelle intime esigenze dell'idealismo.

61. Autorinnegamento del pensiero varischiano nella affermazione della trascendenza.

La pluralità, dunque, che si deve riconoscere comesoggettività, non è negazione di coscienza, ma è esigen-za di questa anche in quanto concreta realtà implicantela unità dei soggetti.

Questo il nucleo vitale e centrale della speculazionedel V. E questo importa la concezione di Dio come Og-getto puro, immanente alla coscienza dei singoli.

Il concetto, invece, di Dio come Persona, che non èperciò questa oggettività, giacchè in se stessa è Io, con-cetto che viene ad aggiungersi con l'intento di soddisfarequella esigenza della trascendenza, che si crede propriadella religione, a nostro avviso intacca profondamentequesto nucleo vitale del pensiero del V. Se l'unicità dicoscienza non si esaurisce nel sostanziare la pluralitàspirituale costituendo l'Oggetto puro, l'Unico, della co-

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losofante, di fronte all'altro che tal problema ignora oesclude, mostra la pluralità e quindi la correlatività deisoggetti.

E solo con questo riconoscimento potremo riflettereche è pregiudizio realistico il ritenere l'oggetto, in quan-to essere, non coscienza, e il soggetto, in quanto co-scienza, non essere, ed entrare così più profondamentenelle intime esigenze dell'idealismo.

61. Autorinnegamento del pensiero varischiano nella affermazione della trascendenza.

La pluralità, dunque, che si deve riconoscere comesoggettività, non è negazione di coscienza, ma è esigen-za di questa anche in quanto concreta realtà implicantela unità dei soggetti.

Questo il nucleo vitale e centrale della speculazionedel V. E questo importa la concezione di Dio come Og-getto puro, immanente alla coscienza dei singoli.

Il concetto, invece, di Dio come Persona, che non èperciò questa oggettività, giacchè in se stessa è Io, con-cetto che viene ad aggiungersi con l'intento di soddisfarequella esigenza della trascendenza, che si crede propriadella religione, a nostro avviso intacca profondamentequesto nucleo vitale del pensiero del V. Se l'unicità dicoscienza non si esaurisce nel sostanziare la pluralitàspirituale costituendo l'Oggetto puro, l'Unico, della co-

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scienza stessa, ma ha, per suo conto, al di là e anchesenza di questa pluralità consapevole, una soggettivitàsua come assoluta Persona, quei molti, cui a fatica si erafatto posto nel campo della spiritualità, lo riperdono. Ètolto quel passo, che il V. aveva fatto sul criticismo esull'idealismo post-kantiano: questo affaccerebbe dinuovo tutte le sue pretese alla Unicità del soggetto. Glispiriti singolari in quanto tali, i soggetti, gli io ridiventa-no quella empirica pluralità che è negazione dello spiri-to; e si ripresentano quindi tutte quelle difficoltà, al cuisuperamento il V. aveva rivolta la sua speculazione.

Ed è perduta anche d'altra parte la nuova dimostrazio-ne che V. aveva raggiunta di Dio, dimostrazione che eratutta fondata sulla sostanzialità oggettiva dei soggetti dicoscienza, era cioè fondata sulla concezione della ogget-tività di Dio, che era implicita in questa dimostrazione.Quando torniamo invece al Dio-Persona, al Dio che diceio, questa dimostrazione è tolta. Io, come tale, infatti, ri-chiedo reciprocità di coscienza: dire io è dire uno tratanti; importa cioè alterità di coscienza, alterità che ri-chiede pluralità nella unicità.

La soggettività come tale richiede quindi numericità erelazione, e, nel suo complesso, è totalità, che per esserel'insieme dei soggetti, non smentisce il suo caratteresoggettivo.

Perciò Dio non è neppure l'hegeliano tutto comprensi-vo delle parziali reciprocità; da una parte si esaurirebbenella relatività dei soggetti e non sarebbe più Dio, edall'altra non sarebbe neppure un soggetto, perchè non

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scienza stessa, ma ha, per suo conto, al di là e anchesenza di questa pluralità consapevole, una soggettivitàsua come assoluta Persona, quei molti, cui a fatica si erafatto posto nel campo della spiritualità, lo riperdono. Ètolto quel passo, che il V. aveva fatto sul criticismo esull'idealismo post-kantiano: questo affaccerebbe dinuovo tutte le sue pretese alla Unicità del soggetto. Glispiriti singolari in quanto tali, i soggetti, gli io ridiventa-no quella empirica pluralità che è negazione dello spiri-to; e si ripresentano quindi tutte quelle difficoltà, al cuisuperamento il V. aveva rivolta la sua speculazione.

Ed è perduta anche d'altra parte la nuova dimostrazio-ne che V. aveva raggiunta di Dio, dimostrazione che eratutta fondata sulla sostanzialità oggettiva dei soggetti dicoscienza, era cioè fondata sulla concezione della ogget-tività di Dio, che era implicita in questa dimostrazione.Quando torniamo invece al Dio-Persona, al Dio che diceio, questa dimostrazione è tolta. Io, come tale, infatti, ri-chiedo reciprocità di coscienza: dire io è dire uno tratanti; importa cioè alterità di coscienza, alterità che ri-chiede pluralità nella unicità.

La soggettività come tale richiede quindi numericità erelazione, e, nel suo complesso, è totalità, che per esserel'insieme dei soggetti, non smentisce il suo caratteresoggettivo.

Perciò Dio non è neppure l'hegeliano tutto comprensi-vo delle parziali reciprocità; da una parte si esaurirebbenella relatività dei soggetti e non sarebbe più Dio, edall'altra non sarebbe neppure un soggetto, perchè non

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sarebbe singolare. La singolarità, quando è intesa comeunicità, è senz'altro soppressa.

Il Tutto-Soggetto non consente altri soggetti entro iltutto.

Da una parte ci ritroviamo costretti a quella soppres-sione dei soggetti singolari, che sono invece la scopertaspeculativa del V., e dall'altra vediamo, per questa stessaragione, riportato il concetto varischiano di Dio a quellohegeliano. Si ripete per altra via quella alternativa, cui ciaveva menato il pensiero del Martinetti (cfr. § 55).

Il vero è che, se Dio è assolutezza (assoluta indipen-denza) di coscienza, l'affermazione di Dio come Io è ne-gazione di Dio, ed esaltazione a Dio dell'io, che diventa,per sè unico ed assoluto. I molti io sono tolti alla radice:non c'è più possibilità di altri io, là dove l'Assoluto è Io.Sono tolti insieme Dio e gli io del V.

Così il pensiero del V. per questa, che, lungi dall'essere deduzione dal centro vitale della sua speculazio-ne, è sovrastruttura, in cui il credente cattolico prende ilsopravvento al filosofo, e costringe questo alle sue cre-dute esigenze; per questa sovrastruttura finisce col rin-negare sè in quanto ha di vitale e fecondo: l'ammissionecritica della pluralità dei soggetti, Dio come sostantivospirituale di tale pluralità.

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sarebbe singolare. La singolarità, quando è intesa comeunicità, è senz'altro soppressa.

Il Tutto-Soggetto non consente altri soggetti entro iltutto.

Da una parte ci ritroviamo costretti a quella soppres-sione dei soggetti singolari, che sono invece la scopertaspeculativa del V., e dall'altra vediamo, per questa stessaragione, riportato il concetto varischiano di Dio a quellohegeliano. Si ripete per altra via quella alternativa, cui ciaveva menato il pensiero del Martinetti (cfr. § 55).

Il vero è che, se Dio è assolutezza (assoluta indipen-denza) di coscienza, l'affermazione di Dio come Io è ne-gazione di Dio, ed esaltazione a Dio dell'io, che diventa,per sè unico ed assoluto. I molti io sono tolti alla radice:non c'è più possibilità di altri io, là dove l'Assoluto è Io.Sono tolti insieme Dio e gli io del V.

Così il pensiero del V. per questa, che, lungi dall'essere deduzione dal centro vitale della sua speculazio-ne, è sovrastruttura, in cui il credente cattolico prende ilsopravvento al filosofo, e costringe questo alle sue cre-dute esigenze; per questa sovrastruttura finisce col rin-negare sè in quanto ha di vitale e fecondo: l'ammissionecritica della pluralità dei soggetti, Dio come sostantivospirituale di tale pluralità.

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62. La soluzione esplicita e quella implicita del problema religioso nel pensiero del Varisco: l'una esclude l'altra.

Quest'autorinnegamento del pensiero varischiano èdeterminato dunque dalla aggiunta affermazione dellatrascendente personalità di Dio.

La dimostrazione di questa, secondo l'opinione del V.,giustificherebbe il principio fondamentale del cattolici-smo, e porrebbe in accordo la speculazione modernacon la dottrina religiosa cattolica, risolverebbe il proble-ma religioso. A nostro avviso, invece, tale dimostrazio-ne, rinnegando il nucleo centrale della speculazione delV., rinnega anche quella possibilità di soluzione del pro-blema religioso che in quel nucleo è implicita.

Infatti quella esplicita soluzione, che il V. dà al pro-blema religioso, come ogni soluzione che finora se nesia data nella cultura ebraico-cristiana, presupponeanch'essa che non vi possa essere religione senza unSoggetto trascendente. E ricadiamo così in quella che èl'essenziale difficoltà della religione precritica o acritica:il richiedere e l'annullare insieme i soggetti individuali.Ma è veramente essenziale alla religione la trascendenzadi un Soggetto assoluto?

Il fatto (anche molto contestabile) che le religioni po-sitive fino ad oggi richiedano nella loro dottrina, la tra-scendenza personale di Dio, non vuol dire che l'essenzaintima della religione richieda, essa, tale trascendenza. Il

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62. La soluzione esplicita e quella implicita del problema religioso nel pensiero del Varisco: l'una esclude l'altra.

Quest'autorinnegamento del pensiero varischiano èdeterminato dunque dalla aggiunta affermazione dellatrascendente personalità di Dio.

La dimostrazione di questa, secondo l'opinione del V.,giustificherebbe il principio fondamentale del cattolici-smo, e porrebbe in accordo la speculazione modernacon la dottrina religiosa cattolica, risolverebbe il proble-ma religioso. A nostro avviso, invece, tale dimostrazio-ne, rinnegando il nucleo centrale della speculazione delV., rinnega anche quella possibilità di soluzione del pro-blema religioso che in quel nucleo è implicita.

Infatti quella esplicita soluzione, che il V. dà al pro-blema religioso, come ogni soluzione che finora se nesia data nella cultura ebraico-cristiana, presupponeanch'essa che non vi possa essere religione senza unSoggetto trascendente. E ricadiamo così in quella che èl'essenziale difficoltà della religione precritica o acritica:il richiedere e l'annullare insieme i soggetti individuali.Ma è veramente essenziale alla religione la trascendenzadi un Soggetto assoluto?

Il fatto (anche molto contestabile) che le religioni po-sitive fino ad oggi richiedano nella loro dottrina, la tra-scendenza personale di Dio, non vuol dire che l'essenzaintima della religione richieda, essa, tale trascendenza. Il

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quid facti non fu mai per questo solo un quid juris: do-mani, quando un più profondo concetto di religioneavrem conquistato, forse saprem vedere con occhi piùprofondi, in ragione di tale conquista, anche l'essenzadelle stesse religioni storiche.

Questo, della esigenza della trascendenza da partedella religione, è un presupposto, di cui l'immanenzaidealistica impone l'esame e non la cieca accettazione. Etale esame importa la revisione critica del concetto direligione. Solo in coerenza con questa potremo liberarcidella opposizione tra immanenza speculativa e trascen-denza religiosa, opposizione nella quale il pensieroumano occidentale si dibatte da secoli, sin da quando,cioè, si vide come problema l'esigenza della immanen-za.

Ora tale revisione critica del concetto di religione ilV. (maggiore traccia invece se ne trova nel Martinetti) sipuò dire che deliberatamente esclude dal suo filosofare,pur essendoci in questo i principii fondamentali per unatale revisione. Infatti, una volta intesa la soggettivitàcome singolarità spirituale entro la viva concretezza del-la coscienza, si è in grado di vedere più profondamentee quindi rinnovato il concetto stesso di religione: daquesto rinnovamento poi è lecito aspettare l'accordo trareligione e filosofia moderna.

La religione infatti è fondamentale fede e la fede nonè che consapevolezza della singolarità del proprio spiri-to in quanto racchiudente, implicito in sè, l'Assolutouniversale che lo sostanzia.

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quid facti non fu mai per questo solo un quid juris: do-mani, quando un più profondo concetto di religioneavrem conquistato, forse saprem vedere con occhi piùprofondi, in ragione di tale conquista, anche l'essenzadelle stesse religioni storiche.

Questo, della esigenza della trascendenza da partedella religione, è un presupposto, di cui l'immanenzaidealistica impone l'esame e non la cieca accettazione. Etale esame importa la revisione critica del concetto direligione. Solo in coerenza con questa potremo liberarcidella opposizione tra immanenza speculativa e trascen-denza religiosa, opposizione nella quale il pensieroumano occidentale si dibatte da secoli, sin da quando,cioè, si vide come problema l'esigenza della immanen-za.

Ora tale revisione critica del concetto di religione ilV. (maggiore traccia invece se ne trova nel Martinetti) sipuò dire che deliberatamente esclude dal suo filosofare,pur essendoci in questo i principii fondamentali per unatale revisione. Infatti, una volta intesa la soggettivitàcome singolarità spirituale entro la viva concretezza del-la coscienza, si è in grado di vedere più profondamentee quindi rinnovato il concetto stesso di religione: daquesto rinnovamento poi è lecito aspettare l'accordo trareligione e filosofia moderna.

La religione infatti è fondamentale fede e la fede nonè che consapevolezza della singolarità del proprio spiri-to in quanto racchiudente, implicito in sè, l'Assolutouniversale che lo sostanzia.

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La credenza puramente esteriore non è fede: anchechi crede nella rivelazione dal di fuori, ha bisogno difarla divenire rivelazione interiore per crederla. Inelimi-nabile quindi dalla fede questa coscienza della singolari-tà. E coscienza singolare di Dio è religione, per quantosi esplichi poi in dogmi e si traduca in chiesa. L'esplica-zione e la traduzione non sono la sua essenza intima, mala suppongono. Suppongono cioè la fede, che è coscien-za dell'Essere unico nei singoli che noi siamo, e che im-porta perciò l'immanenza dell'Unico nel molteplice enon la trascendenza di quello a questo.

Questo, dunque, della spirituale singolarità molteplicedei soggetti, che è il problema centrale della speculazio-ne del V., potrebbe anche soddisfare l'esigenza metafisi-ca di quel credere che fu il motivo psicologico del suospeculare. Ma tale soddisfazione richiedeva che il filo-sofo avesse continuata la revisione critica di un presup-posto dottrinario, che il credente presentava al suo esa-me. Nell'intendimento critico della trascendenza il V. siferma a mezza strada, perchè vede l'immanenza nonquale è implicita nell'idealismo italiano che egli prose-gue, ma nell'idealismo tedesco a cui quello si oppone. Eanch'egli quindi crede di parteggiare per l'idealismo ita-liano, quando abbandona l'immanenza per la trascen-denza. E non fa così anch'egli che rinnegare, insiemealla sua dottrina, la soluzione che questa poteva dare delproblema religioso. Anche sotto questo aspetto nella suaterza fase il pensiero del V. riesce al proprio rinnega-mento. Se il Soggetto fosse unico (e ammettere accanto

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La credenza puramente esteriore non è fede: anchechi crede nella rivelazione dal di fuori, ha bisogno difarla divenire rivelazione interiore per crederla. Inelimi-nabile quindi dalla fede questa coscienza della singolari-tà. E coscienza singolare di Dio è religione, per quantosi esplichi poi in dogmi e si traduca in chiesa. L'esplica-zione e la traduzione non sono la sua essenza intima, mala suppongono. Suppongono cioè la fede, che è coscien-za dell'Essere unico nei singoli che noi siamo, e che im-porta perciò l'immanenza dell'Unico nel molteplice enon la trascendenza di quello a questo.

Questo, dunque, della spirituale singolarità molteplicedei soggetti, che è il problema centrale della speculazio-ne del V., potrebbe anche soddisfare l'esigenza metafisi-ca di quel credere che fu il motivo psicologico del suospeculare. Ma tale soddisfazione richiedeva che il filo-sofo avesse continuata la revisione critica di un presup-posto dottrinario, che il credente presentava al suo esa-me. Nell'intendimento critico della trascendenza il V. siferma a mezza strada, perchè vede l'immanenza nonquale è implicita nell'idealismo italiano che egli prose-gue, ma nell'idealismo tedesco a cui quello si oppone. Eanch'egli quindi crede di parteggiare per l'idealismo ita-liano, quando abbandona l'immanenza per la trascen-denza. E non fa così anch'egli che rinnegare, insiemealla sua dottrina, la soluzione che questa poteva dare delproblema religioso. Anche sotto questo aspetto nella suaterza fase il pensiero del V. riesce al proprio rinnega-mento. Se il Soggetto fosse unico (e ammettere accanto

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ai molti soggetti il Soggetto assoluto è lo stesso che am-mettere l'Unico Soggetto), tutto sarebbe esplicito: non visarebbe posto per l'adorazione e per la fede; la religionesarebbe non posta ma tolta.

Resta da eliminare la ragione, della quale il V. fa pun-to di leva per limitare l'immanenza e passare alla tra-scendenza: l'errore, che pare inesplicabile ed inammissi-bile in una concezione idealistica della realtà, e che necostituisce certo una difficoltà, dalla quale mal ci si libe-ra negando senz'altro l'errore. E non noi negheremo ladifficoltà del problema dell'errore.

Ricorderemo soltanto: 1. che di non minore difficoltàè il problema dell'errore nella concezione trascendenti-stica e teististico-personale: basta ricordare il rompicapodel problema fondamentale della teodicea tradizionale;2. che l'errore importa necessariamente la presenza deisoggetti singolari come attiva spiritualità, come bene ilV. ha messo in evidenza; 3. che quindi con lo scompari-re dei soggetti singolari una volta posta l'assolutezza delSoggetto, è tolta anche la possibilità di ammettere espiegare l'errore; 4. che, dunque, anche per questa ragio-ne, il passaggio alla trascendenza non risolve il proble-ma dell'errore, ma toglie la possibilità della sua soluzio-ne; 5. che perciò sia possibile trovare questa, solo quan-do l'affermata immanenza oggettiva non si abbandoni, eche quindi anche sotto questo aspetto la filosofia del V.,quando passa alla trascendenza, finisce col rinnegare sè.

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ai molti soggetti il Soggetto assoluto è lo stesso che am-mettere l'Unico Soggetto), tutto sarebbe esplicito: non visarebbe posto per l'adorazione e per la fede; la religionesarebbe non posta ma tolta.

Resta da eliminare la ragione, della quale il V. fa pun-to di leva per limitare l'immanenza e passare alla tra-scendenza: l'errore, che pare inesplicabile ed inammissi-bile in una concezione idealistica della realtà, e che necostituisce certo una difficoltà, dalla quale mal ci si libe-ra negando senz'altro l'errore. E non noi negheremo ladifficoltà del problema dell'errore.

Ricorderemo soltanto: 1. che di non minore difficoltàè il problema dell'errore nella concezione trascendenti-stica e teististico-personale: basta ricordare il rompicapodel problema fondamentale della teodicea tradizionale;2. che l'errore importa necessariamente la presenza deisoggetti singolari come attiva spiritualità, come bene ilV. ha messo in evidenza; 3. che quindi con lo scompari-re dei soggetti singolari una volta posta l'assolutezza delSoggetto, è tolta anche la possibilità di ammettere espiegare l'errore; 4. che, dunque, anche per questa ragio-ne, il passaggio alla trascendenza non risolve il proble-ma dell'errore, ma toglie la possibilità della sua soluzio-ne; 5. che perciò sia possibile trovare questa, solo quan-do l'affermata immanenza oggettiva non si abbandoni, eche quindi anche sotto questo aspetto la filosofia del V.,quando passa alla trascendenza, finisce col rinnegare sè.

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63. La critica del concreto e l'oggettività pura dell'Assoluto.

Il V. credente pare dunque che abbia preso il soprav-vento al V. filosofo, e abbia fatto rinnegare al secondo ladimostrazione che pareva mettere in pericolo la fede delprimo. Ritenere questo però è non rendere il doverosoomaggio a quella intransigente e direi spietata autocriti-ca, che il V. continuamente ha esercitata su se stesso. Viè stato, invece, un presupposto ingiustificato che è rima-sto latente nel pensiero del V., e che fa finire anche que-sto nel proprio rinnegamento.

Qual è questo presupposto?Il V. ha giustamente visto che la soluzione del proble-

ma dei soggetti richiede quella del problema dell'ogget-to, ed ha preso il principio di questa soluzione dal Ro-smini. Ma non ha visto che la soluzione del problemadell'oggetto richiede l'impostazione del problema criticodello stesso concreto. Il V. è rimasto nella kantiana criti-ca come problema della conoscenza.

Or questa limitazione della critica impedisce una ra-dicale soluzione del problema dell'oggettività. Il concet-to varischiano dell'oggetto oscilla anch'esso tra la conce-zione precritica dell'oggetto come dato, della quale ri-sente ancora molto la concezione rosminiana, e quellaidealistica dell'oggetto come prodotto. Perchè l'oggetti-vità ideale di Rosmini divenga, eliminando l'una e l'altraconcezione, l'oggettività unica del concreto in quanto

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63. La critica del concreto e l'oggettività pura dell'Assoluto.

Il V. credente pare dunque che abbia preso il soprav-vento al V. filosofo, e abbia fatto rinnegare al secondo ladimostrazione che pareva mettere in pericolo la fede delprimo. Ritenere questo però è non rendere il doverosoomaggio a quella intransigente e direi spietata autocriti-ca, che il V. continuamente ha esercitata su se stesso. Viè stato, invece, un presupposto ingiustificato che è rima-sto latente nel pensiero del V., e che fa finire anche que-sto nel proprio rinnegamento.

Qual è questo presupposto?Il V. ha giustamente visto che la soluzione del proble-

ma dei soggetti richiede quella del problema dell'ogget-to, ed ha preso il principio di questa soluzione dal Ro-smini. Ma non ha visto che la soluzione del problemadell'oggetto richiede l'impostazione del problema criticodello stesso concreto. Il V. è rimasto nella kantiana criti-ca come problema della conoscenza.

Or questa limitazione della critica impedisce una ra-dicale soluzione del problema dell'oggettività. Il concet-to varischiano dell'oggetto oscilla anch'esso tra la conce-zione precritica dell'oggetto come dato, della quale ri-sente ancora molto la concezione rosminiana, e quellaidealistica dell'oggetto come prodotto. Perchè l'oggetti-vità ideale di Rosmini divenga, eliminando l'una e l'altraconcezione, l'oggettività unica del concreto in quanto

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coscienza, bisogna superare l'impostazione gnoseologi-ca del problema della realtà. E si riconoscerà allora chenon solo, come Rosmini e Varisco hanno riconosciuto,l'oggettività è divina, ma anche la Divinità è oggettiva.

Si potrà allora anche trarre a profondissima significa-zione la duplice presentazione kantiana di Dio comenoumeno e quindi idea da una parte, e come cosa in sèinconoscibile dall'altra. Inconoscibile il noumeno che èDio, ma solo perchè esso è Idea e il nostro conoscere èconcetto, cioè soggettiva ricerca ed esplicazionedell'Idea, discorsività. L'Idea pur inconoscibile vi è pre-sente e animatrice; ma non si risolve mai del tutto in unconcetto. Questa l'inconoscibilità pensabile kantiana: laspiritualità che non si risolve in un determinato concet-to. E perciò il concetto non è autoconcetto. La confusio-ne dell'idea col concetto è stata una delle più gravi chel'idealismo post-kantiano abbia fatta, dando all'idea sol-tanto il valore di concetto, e quindi snaturando anchequesto col farlo antitetico, perchè potesse assumerel'assolutezza dell'idea.

Intendere l'assolutezza come oggettività pura richie-deva, dunque, la critica della stessa concretezza e nonsolo della capacità conoscitiva del soggetto di fronteall'oggetto. Questa limitazione della critica al conoscerepresuppone uno scambio dell'oggetto col concreto.Quando fosse stata vista invece come puramente ogget-tiva l'assolutezza, si sarebbe visto che lo Spirito assolutonon può essere Io. Affermare infatti Dio come Io è porsiin questa alternativa: o far prevalere l'esigenza

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coscienza, bisogna superare l'impostazione gnoseologi-ca del problema della realtà. E si riconoscerà allora chenon solo, come Rosmini e Varisco hanno riconosciuto,l'oggettività è divina, ma anche la Divinità è oggettiva.

Si potrà allora anche trarre a profondissima significa-zione la duplice presentazione kantiana di Dio comenoumeno e quindi idea da una parte, e come cosa in sèinconoscibile dall'altra. Inconoscibile il noumeno che èDio, ma solo perchè esso è Idea e il nostro conoscere èconcetto, cioè soggettiva ricerca ed esplicazionedell'Idea, discorsività. L'Idea pur inconoscibile vi è pre-sente e animatrice; ma non si risolve mai del tutto in unconcetto. Questa l'inconoscibilità pensabile kantiana: laspiritualità che non si risolve in un determinato concet-to. E perciò il concetto non è autoconcetto. La confusio-ne dell'idea col concetto è stata una delle più gravi chel'idealismo post-kantiano abbia fatta, dando all'idea sol-tanto il valore di concetto, e quindi snaturando anchequesto col farlo antitetico, perchè potesse assumerel'assolutezza dell'idea.

Intendere l'assolutezza come oggettività pura richie-deva, dunque, la critica della stessa concretezza e nonsolo della capacità conoscitiva del soggetto di fronteall'oggetto. Questa limitazione della critica al conoscerepresuppone uno scambio dell'oggetto col concreto.Quando fosse stata vista invece come puramente ogget-tiva l'assolutezza, si sarebbe visto che lo Spirito assolutonon può essere Io. Affermare infatti Dio come Io è porsiin questa alternativa: o far prevalere l'esigenza

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dell'Assoluto, e quindi, negando numericità, relazione etotalità (caratteri del soggettivo) finire in un concettopressochè eleatico dell'Assoluto pur concependolo comespirituale, spirito assolutamente di là dall'agire, del qua-le invano si cercherebbe una qualsiasi giustificazione oconcezione; o far prevalere l'esigenza dell'io, e quindi,ponendo in Dio come tale la numericità e la relazione,concepirlo come il Tutto, ed eludere così, con Hegel,senza risolverla la kantiana difficoltà dell'Incondiziona-to, assumendo questo come l'insieme delle condizioni.La trascendenza relativa è tolta proprio da quella perso-nalità di Dio, che dovrebbe provarla. Alla visionedell'assolutezza come oggettività pura ci mena appuntola critica del concreto.

Per la concezione tradizionale ipostatizzata dallo He-gel e accettata dogmaticamente dai neo-hegeliani,l'Assoluto è, in quanto non relativo, l'opposto del relati-vo. Or, quando si abbiano presenti le esigenze della sco-perta del concreto fatta da Kant, si vedrà che Assoluto,appunto perchè come tale non relativo, non significa dilà dal relativo, opposto come assoluto al relativo, mi si-gnifica, una volta ammesso un mondo di relazioni,l'immanente a questo, l'assoluto principio di questo. Al-trimenti, facciamo anche il mondo di relazioni assoluto,e quindi anche l'assoluto relativo. "Senza questa imma-nenza, l'Assoluto diventa, per suo conto, relativo, e il re-lativo diventa impossibile come relativo. Giacchè in tan-to è possibile relazione in quanto c'è unicità. Unicità cheè appunto l'assoluto" (Prob. teol., p. 90). Negare l'imma-

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dell'Assoluto, e quindi, negando numericità, relazione etotalità (caratteri del soggettivo) finire in un concettopressochè eleatico dell'Assoluto pur concependolo comespirituale, spirito assolutamente di là dall'agire, del qua-le invano si cercherebbe una qualsiasi giustificazione oconcezione; o far prevalere l'esigenza dell'io, e quindi,ponendo in Dio come tale la numericità e la relazione,concepirlo come il Tutto, ed eludere così, con Hegel,senza risolverla la kantiana difficoltà dell'Incondiziona-to, assumendo questo come l'insieme delle condizioni.La trascendenza relativa è tolta proprio da quella perso-nalità di Dio, che dovrebbe provarla. Alla visionedell'assolutezza come oggettività pura ci mena appuntola critica del concreto.

Per la concezione tradizionale ipostatizzata dallo He-gel e accettata dogmaticamente dai neo-hegeliani,l'Assoluto è, in quanto non relativo, l'opposto del relati-vo. Or, quando si abbiano presenti le esigenze della sco-perta del concreto fatta da Kant, si vedrà che Assoluto,appunto perchè come tale non relativo, non significa dilà dal relativo, opposto come assoluto al relativo, mi si-gnifica, una volta ammesso un mondo di relazioni,l'immanente a questo, l'assoluto principio di questo. Al-trimenti, facciamo anche il mondo di relazioni assoluto,e quindi anche l'assoluto relativo. "Senza questa imma-nenza, l'Assoluto diventa, per suo conto, relativo, e il re-lativo diventa impossibile come relativo. Giacchè in tan-to è possibile relazione in quanto c'è unicità. Unicità cheè appunto l'assoluto" (Prob. teol., p. 90). Negare l'imma-

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nenza dell'Assoluto nel relativo è negare la concretezzadi coscienza, nella quale c'è del relativo, è ridurre la co-scienza ad una inconcepibile relatività scettica. Affer-mare la concretezza della coscienza è ammetterel'immanenza oggettiva dell'Assoluto ed escludere un al-tro modo di essere dell'Assoluto, che sarebbe un secon-do e più vero Assoluto.

A questa concezione critica dell'Assoluto come og-gettività pura non è salito Hegel, quando ha assolutizza-to di peso la volgare concezione della opposizione fraassoluto e relativo, mentre le è molto vicina la concezio-ne immanentistica del nostro Bruno. Il V. anche si avvi-cina ad essa quando riconosce la divinità dell'oggetto dicoscienza; ma non ha fatto il passo ulteriore: riconosce-re, con una pura e semplice inversione, l'assoluta ogget-tività di Dio.

64. L'oggettività dell'Assoluto non esige anzi esclude l'immanentismo umanistico dell'idea-lismo tedesco.

Non si nega nè si diminuisce Dio col non attribuirglila personalità, ma col dargliela: gli si darebbe relativitàe lo si subordinerebbe ai nostri bisogni. Intendere Diocome l'Oggetto puro è scoprire la ragione profondadell'immanentismo sia che si affermi come naturalismorealistico o idealistico (Telesio, Bruno), o come intellet-

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nenza dell'Assoluto nel relativo è negare la concretezzadi coscienza, nella quale c'è del relativo, è ridurre la co-scienza ad una inconcepibile relatività scettica. Affer-mare la concretezza della coscienza è ammetterel'immanenza oggettiva dell'Assoluto ed escludere un al-tro modo di essere dell'Assoluto, che sarebbe un secon-do e più vero Assoluto.

A questa concezione critica dell'Assoluto come og-gettività pura non è salito Hegel, quando ha assolutizza-to di peso la volgare concezione della opposizione fraassoluto e relativo, mentre le è molto vicina la concezio-ne immanentistica del nostro Bruno. Il V. anche si avvi-cina ad essa quando riconosce la divinità dell'oggetto dicoscienza; ma non ha fatto il passo ulteriore: riconosce-re, con una pura e semplice inversione, l'assoluta ogget-tività di Dio.

64. L'oggettività dell'Assoluto non esige anzi esclude l'immanentismo umanistico dell'idea-lismo tedesco.

Non si nega nè si diminuisce Dio col non attribuirglila personalità, ma col dargliela: gli si darebbe relativitàe lo si subordinerebbe ai nostri bisogni. Intendere Diocome l'Oggetto puro è scoprire la ragione profondadell'immanentismo sia che si affermi come naturalismorealistico o idealistico (Telesio, Bruno), o come intellet-

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tualismo (Rosmini), o come moralismo (Mazzini), escoprire perciò la via maestra dell'idealismo italiano. Edè anche soddisfare l'esigenza, da cui nasce l'affermazio-ne della trascendenza. Ciò non può vedere chi ancoranon sa cancellare dalla mente il falso concettodell'oggettività naturalistica, e non sa aprire gli occhi aquella oggettività che sostanzia il suo essere. E intendia-mo quindi quella che direi perplessità del pensiero ita-liano del '400 e del '500 nella esigenza delle due verità,e nella bruniana affermazione della mens super omniaoltre quella insita omnibus. È proprio questa legittimaesigenza di religiosità che si fa valere anche di frontealla esaltazione per la scoperta fatta della oggettività delnostro esplicito conoscere razionale.

Si manifesta così nella nostra speculazione il caratte-ristico equilibrio della nostra spiritualità nazionale. Difronte agli eccessi dell'empirismo inglese e dell'apriori-smo tedesco, il pensiero italiano afferma – e si può direha sempre affermato – quell'immanentismo oggettivo,che, con questo suo carattere di oggettività, limita lepretese dei soggetti, entro i quali si scopre immanentel'Assoluto, e così conserva la condizione fondamentaledella religiosità: l'ammissione che l'esplicita ragioneumana, pur avendo valore oggettivo perchè fondata nel-la stessa oggettività, col suo esplicito pensare non esau-risce la spiritualità nel suo valore infinito ed eterno. Equesta è sempre immanenza ed è la vera immanenza:quella, cioè, che, una volta scoperta ed affermata, non si

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tualismo (Rosmini), o come moralismo (Mazzini), escoprire perciò la via maestra dell'idealismo italiano. Edè anche soddisfare l'esigenza, da cui nasce l'affermazio-ne della trascendenza. Ciò non può vedere chi ancoranon sa cancellare dalla mente il falso concettodell'oggettività naturalistica, e non sa aprire gli occhi aquella oggettività che sostanzia il suo essere. E intendia-mo quindi quella che direi perplessità del pensiero ita-liano del '400 e del '500 nella esigenza delle due verità,e nella bruniana affermazione della mens super omniaoltre quella insita omnibus. È proprio questa legittimaesigenza di religiosità che si fa valere anche di frontealla esaltazione per la scoperta fatta della oggettività delnostro esplicito conoscere razionale.

Si manifesta così nella nostra speculazione il caratte-ristico equilibrio della nostra spiritualità nazionale. Difronte agli eccessi dell'empirismo inglese e dell'apriori-smo tedesco, il pensiero italiano afferma – e si può direha sempre affermato – quell'immanentismo oggettivo,che, con questo suo carattere di oggettività, limita lepretese dei soggetti, entro i quali si scopre immanentel'Assoluto, e così conserva la condizione fondamentaledella religiosità: l'ammissione che l'esplicita ragioneumana, pur avendo valore oggettivo perchè fondata nel-la stessa oggettività, col suo esplicito pensare non esau-risce la spiritualità nel suo valore infinito ed eterno. Equesta è sempre immanenza ed è la vera immanenza:quella, cioè, che, una volta scoperta ed affermata, non si

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può più negare, anche se si può e si deve intenderlasempre più profondamente.

Non è immanentismo la dottrina che afferma che nonv'ha altro pensiero che l'umano, e questo umano pensie-ro pone nell'esplicita conoscenza affermantesi in deter-minate proposizioni, e nell'insieme di queste affermazio-ni che regolano la vita umana, e che in quanto tali si di-cono cultura o civiltà. Questo chiudere la realtà naturaleed umana, divina e terrena nella umana cultura non èimmanentismo. È invece umanesimo che crede di sal-varsi dai confini naturalistici in cui si chiude e dalle dif-ficoltà in cui cade lo schietto l'aperto umanesimo, pro-clamando che l'uomo non è quell'essere che nasce emuore, ma è il pensiero stesso nella sua eternità. E sisalverebbe in effetto quando dicesse che l'uomo, inquanto tale, è pensiero, ma che l'esplicito pensare uma-no non esaurisce il pensiero, e cioè non riducesse il pen-sare a esplicito pensare umano. Con questa riduzione sipresenta l'uomo nel suo nascere e morire e quindi nelsuo determinato durare; si presenta l'uomo naturalistico;cadiamo nell'umanesimo naturalistico con l'aggravanteche non ne facciamo professione e quindi mentiamo anoi stessi. È questo l'immanentismo che l'idealismo tra-scendentale post-kantiano in genere e l'hegelismo e ilneohegelismo han tratto dalla indebita elevazione dellacritica a metafisica con la dottrina della mediazione delpensiero.

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può più negare, anche se si può e si deve intenderlasempre più profondamente.

Non è immanentismo la dottrina che afferma che nonv'ha altro pensiero che l'umano, e questo umano pensie-ro pone nell'esplicita conoscenza affermantesi in deter-minate proposizioni, e nell'insieme di queste affermazio-ni che regolano la vita umana, e che in quanto tali si di-cono cultura o civiltà. Questo chiudere la realtà naturaleed umana, divina e terrena nella umana cultura non èimmanentismo. È invece umanesimo che crede di sal-varsi dai confini naturalistici in cui si chiude e dalle dif-ficoltà in cui cade lo schietto l'aperto umanesimo, pro-clamando che l'uomo non è quell'essere che nasce emuore, ma è il pensiero stesso nella sua eternità. E sisalverebbe in effetto quando dicesse che l'uomo, inquanto tale, è pensiero, ma che l'esplicito pensare uma-no non esaurisce il pensiero, e cioè non riducesse il pen-sare a esplicito pensare umano. Con questa riduzione sipresenta l'uomo nel suo nascere e morire e quindi nelsuo determinato durare; si presenta l'uomo naturalistico;cadiamo nell'umanesimo naturalistico con l'aggravanteche non ne facciamo professione e quindi mentiamo anoi stessi. È questo l'immanentismo che l'idealismo tra-scendentale post-kantiano in genere e l'hegelismo e ilneohegelismo han tratto dalla indebita elevazione dellacritica a metafisica con la dottrina della mediazione delpensiero.

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65. L'immanentismo oggettivo italiano.

E questa è falsificazione di immanentismo. Non èquesto l'immanentismo che noi troviamo affermato dalpensiero italiano già nel primo suo risorgere, e che noicerchiamo di fissare come concetto esplicito con mag-gior rigore. L'immanentismo richiede soltanto che siaimplicito nella coscienza il Principio assoluto che la ren-de coscienza. Questo è il concetto di immanenza, che,una volta trovato, non si può più rinnegare. Giacchè, inconcreto, esso non fu mai negato: fu sempre attuato.Non è stato che scoperto, esplicato. Ed è stato uno sco-prire qualcosa del principio stesso: e questo fa e sempreha fatto e farà il filosofare degno di questo nome. El'uomo è pensante, perchè sa questa immanenza, la qualequindi è la coscienza stessa: è la coscienza soggettiva diDio.

Niente più, ma neppure niente meno. Togliete l'esi-genza dell'implicito da questa coscienza, e ne avrete di-strutta l'immanenza. Questa rimane parola vuota di sen-so, perchè non c'è nulla che immanga, dove la realtà siamediazione e la mediazione sia l'umana affermazione.Non c'è che questa: in essa quindi non immane nulla.

Questo travisamento dell'immanenza è operadell'idealismo tedesco, la scoperta della vera immanen-za resta scoperta tutta italiana.

Perciò nel valutare il nostro pensiero nazionale nondobbiamo adeguarlo a quello che deforma la nostra sco-perta. Può darsi, anzi è da ammettersi senz'altro, che

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65. L'immanentismo oggettivo italiano.

E questa è falsificazione di immanentismo. Non èquesto l'immanentismo che noi troviamo affermato dalpensiero italiano già nel primo suo risorgere, e che noicerchiamo di fissare come concetto esplicito con mag-gior rigore. L'immanentismo richiede soltanto che siaimplicito nella coscienza il Principio assoluto che la ren-de coscienza. Questo è il concetto di immanenza, che,una volta trovato, non si può più rinnegare. Giacchè, inconcreto, esso non fu mai negato: fu sempre attuato.Non è stato che scoperto, esplicato. Ed è stato uno sco-prire qualcosa del principio stesso: e questo fa e sempreha fatto e farà il filosofare degno di questo nome. El'uomo è pensante, perchè sa questa immanenza, la qualequindi è la coscienza stessa: è la coscienza soggettiva diDio.

Niente più, ma neppure niente meno. Togliete l'esi-genza dell'implicito da questa coscienza, e ne avrete di-strutta l'immanenza. Questa rimane parola vuota di sen-so, perchè non c'è nulla che immanga, dove la realtà siamediazione e la mediazione sia l'umana affermazione.Non c'è che questa: in essa quindi non immane nulla.

Questo travisamento dell'immanenza è operadell'idealismo tedesco, la scoperta della vera immanen-za resta scoperta tutta italiana.

Perciò nel valutare il nostro pensiero nazionale nondobbiamo adeguarlo a quello che deforma la nostra sco-perta. Può darsi, anzi è da ammettersi senz'altro, che

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l'idealismo tedesco, nato dalla Riforma, con le sue pro-prie esigenze spirituali della oggettività, abbia contribui-to a farci intendere nella sua schietta natura la nostrascoperta, ma ciò non autorizza affatto altri e tanto menonoi a vedere il genuino valore filosofico proprio soltantoin quella deformazione della scoperta da noi fatta.

Questo schietto immanentismo possiamo con giustoorgoglio dire italiano, anche se lo troviamo nei Rosminicome nei Bruno, nei Mazzini come nei Vico, limitato dauna esplicita ammissione di trascendenza. Questa am-missione non è che il sentimento della necessità di sal-vare il valore spirituale della religione, che dall'afferma-ta immanenza pareva messo in dubbio, perchè si con-fondeva la realtà concreta con la natura nella sua esi-stente determinatezza, l'attività spirituale apriori checondiziona l'esperienza, con l'esperienza stessa, intesa,proprio in quanto esperienza conoscitiva, come la stessaconcreta coscienza.

Non si vedeva ancora una più profonda concretezzadi quella naturale. E ciò non vedesi forse ancora neppu-re oggi ed è l'ostacolo maggiore a che si veda l'Oggettodel concreto, senza confonder quello con questo. Anchemolti di quelli che l'Infinito bruniano o spinoziano sen-tono, lo sentono ancora, come gli stessi Bruno e Spino-za, molto naturalisticamente, e forse anche più di loro. Èscoperta l'infinità dei mondi; resta a scoprire l'infinitàche al concreto è data dal suo Oggetto, da Dio.

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l'idealismo tedesco, nato dalla Riforma, con le sue pro-prie esigenze spirituali della oggettività, abbia contribui-to a farci intendere nella sua schietta natura la nostrascoperta, ma ciò non autorizza affatto altri e tanto menonoi a vedere il genuino valore filosofico proprio soltantoin quella deformazione della scoperta da noi fatta.

Questo schietto immanentismo possiamo con giustoorgoglio dire italiano, anche se lo troviamo nei Rosminicome nei Bruno, nei Mazzini come nei Vico, limitato dauna esplicita ammissione di trascendenza. Questa am-missione non è che il sentimento della necessità di sal-vare il valore spirituale della religione, che dall'afferma-ta immanenza pareva messo in dubbio, perchè si con-fondeva la realtà concreta con la natura nella sua esi-stente determinatezza, l'attività spirituale apriori checondiziona l'esperienza, con l'esperienza stessa, intesa,proprio in quanto esperienza conoscitiva, come la stessaconcreta coscienza.

Non si vedeva ancora una più profonda concretezzadi quella naturale. E ciò non vedesi forse ancora neppu-re oggi ed è l'ostacolo maggiore a che si veda l'Oggettodel concreto, senza confonder quello con questo. Anchemolti di quelli che l'Infinito bruniano o spinoziano sen-tono, lo sentono ancora, come gli stessi Bruno e Spino-za, molto naturalisticamente, e forse anche più di loro. Èscoperta l'infinità dei mondi; resta a scoprire l'infinitàche al concreto è data dal suo Oggetto, da Dio.

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APPENDICEL'ESIGENZA DELL'OGGETTIVITÀ15

1) Mentre Schelling ed Hegel muovevano entrambi aFichte l'accusa di soggettivismo, proprio essi accentua-vano il valore della soggettività; ed oggi è giudizio pres-sochè comune in campo idealistico che «la vera filosofiamoderna si fonda nel principio della soggettività» (Spa-venta, Rinascimento..., Venezia. 1928, pag. 33): che«soggettivismo, o filosofia dello spirito, vuol dire filo-sofia vera e propria» (Croce, Nuovi Saggi di estetica,19262 pag. 100): che perciò è essenziale «concepirel'esperienza come soggetto», «risolvere il dualismo disoggetto e oggetto con l'interiorizzarlo nell'autoconsape-volezza del soggetto», «col riaffermarli nella loro unitàche è assoluta soggettività» (Giorn. Crit., luglio 1928).«Soggettività perciò che sono io, ma non siamo io e tu»(ib.). Così idealismo e assoluta soggettività paiono ter-mini identici. E ridotto l'Assoluto all'io, è naturale che si

15 È la comunicazione fatta al VII Congresso nazionale di fi-losofia del 1929 in Roma, e stampata negli Atti.

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APPENDICEL'ESIGENZA DELL'OGGETTIVITÀ15

1) Mentre Schelling ed Hegel muovevano entrambi aFichte l'accusa di soggettivismo, proprio essi accentua-vano il valore della soggettività; ed oggi è giudizio pres-sochè comune in campo idealistico che «la vera filosofiamoderna si fonda nel principio della soggettività» (Spa-venta, Rinascimento..., Venezia. 1928, pag. 33): che«soggettivismo, o filosofia dello spirito, vuol dire filo-sofia vera e propria» (Croce, Nuovi Saggi di estetica,19262 pag. 100): che perciò è essenziale «concepirel'esperienza come soggetto», «risolvere il dualismo disoggetto e oggetto con l'interiorizzarlo nell'autoconsape-volezza del soggetto», «col riaffermarli nella loro unitàche è assoluta soggettività» (Giorn. Crit., luglio 1928).«Soggettività perciò che sono io, ma non siamo io e tu»(ib.). Così idealismo e assoluta soggettività paiono ter-mini identici. E ridotto l'Assoluto all'io, è naturale che si

15 È la comunicazione fatta al VII Congresso nazionale di fi-losofia del 1929 in Roma, e stampata negli Atti.

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dica che «più io è perfino una sgrammaticatura» (ib.,nov. 1928, pag. 455).

Noto subito che la sgrammaticatura fondamentale stanella elevazione del singolare ad Unico. Comunque, ioprofesso la pretesa sgrammaticatura dei «più io», pro-prio perchè ritengo falso che «il pensiero sia il mio enon il tuo»; più falsa la giustificazione che «tu, in quan-to altro da me non puoi pensare, come non può pensareciascuno di noi»; falsissimo infine che il dire «tu inquanto altro da me voglia dire tu in quanto oggetto».

La dimostrazione di tali falsità risulterà dalla stessadimostrazione del tema che mi son proposto.

Io mi domando: Possiamo veramente disfarcidell'oggettività? O non c'è invece una ineliminabile esi-genza di essa?

E dell'oggettività restiam privi, sempre che e comun-que mettiamo l'oggetto come negativo, l'oggettivitàcome negatività.

Pure questa negatività dell'oggetto appare come il ri-sultato ineliminabile del processo storico della filosofiamoderna nel suo indirizzo idealistico postkantiano.Donde la notata identità di soggettivismo e filosofia, diSoggetto ed Assoluto.

Per rispondere, quindi, alle sopradette domande biso-gna prima esaminare le linee essenziali di quel processostorico per quanto riguarda il concetto di oggettività.

Kant, proprio mentre istituisce la critica della ragionecome potere conoscitivo del soggetto, parte da un con-cetto realistico-materialistico dell'oggetto (Obiekt, non

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dica che «più io è perfino una sgrammaticatura» (ib.,nov. 1928, pag. 455).

Noto subito che la sgrammaticatura fondamentale stanella elevazione del singolare ad Unico. Comunque, ioprofesso la pretesa sgrammaticatura dei «più io», pro-prio perchè ritengo falso che «il pensiero sia il mio enon il tuo»; più falsa la giustificazione che «tu, in quan-to altro da me non puoi pensare, come non può pensareciascuno di noi»; falsissimo infine che il dire «tu inquanto altro da me voglia dire tu in quanto oggetto».

La dimostrazione di tali falsità risulterà dalla stessadimostrazione del tema che mi son proposto.

Io mi domando: Possiamo veramente disfarcidell'oggettività? O non c'è invece una ineliminabile esi-genza di essa?

E dell'oggettività restiam privi, sempre che e comun-que mettiamo l'oggetto come negativo, l'oggettivitàcome negatività.

Pure questa negatività dell'oggetto appare come il ri-sultato ineliminabile del processo storico della filosofiamoderna nel suo indirizzo idealistico postkantiano.Donde la notata identità di soggettivismo e filosofia, diSoggetto ed Assoluto.

Per rispondere, quindi, alle sopradette domande biso-gna prima esaminare le linee essenziali di quel processostorico per quanto riguarda il concetto di oggettività.

Kant, proprio mentre istituisce la critica della ragionecome potere conoscitivo del soggetto, parte da un con-cetto realistico-materialistico dell'oggetto (Obiekt, non

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Gegenstand) da conoscere: l'oggetto reale è assoluta-mente l'altro dal soggetto conoscente che ha ed è ragio-ne; è l'altro dalla coscienza del soggetto; e quindi fuoridi questa.

Ora, lo stesso istituire, che la ragione fa, di una criticadi sè stessa, per appurarne la capacità conoscitiva, im-portava che la coscienza chiudesse sè in sè e finissequindi col vedere l'oggetto (il fuori della coscienza delsoggetto conoscente, in quanto altro da questo), come lanegazione entro la coscienza di tal soggetto.

Il soggetto idealistico post-kantiano pose in evidenzacome esigenza filosofica questa esigenza della Critica:l'oggetto, che è fuori della coscienza, è soltanto negazio-ne nell'ambito della coscienza, se la Critica è reale o pursoltanto possibile.

Sarebbe lungo notare qui i gradi di questo processostorico che doveva rendersi e si rese sempre più eviden-te e che cominciò dalla affermazione di una duplice og-gettività (in sè e conosciuta: reale e formale) e finì, dopola negazione dell'oggettività reale, anche nella negazio-ne della oggettività formale.

L'essenziale è, per noi, che conclusione del processo èla riduzione dell'oggetto come tale a pura e semplice ne-gazione, e che quindi il processo di oggettivazione sipresenti come processo di negazione che lo stesso Sog-getto, in quanto coscienza, fa di sè.

2) Ora perchè questo processo storico sia valido nelsuo risultato, bisogna che sia esatto il concetto di ogget-

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Gegenstand) da conoscere: l'oggetto reale è assoluta-mente l'altro dal soggetto conoscente che ha ed è ragio-ne; è l'altro dalla coscienza del soggetto; e quindi fuoridi questa.

Ora, lo stesso istituire, che la ragione fa, di una criticadi sè stessa, per appurarne la capacità conoscitiva, im-portava che la coscienza chiudesse sè in sè e finissequindi col vedere l'oggetto (il fuori della coscienza delsoggetto conoscente, in quanto altro da questo), come lanegazione entro la coscienza di tal soggetto.

Il soggetto idealistico post-kantiano pose in evidenzacome esigenza filosofica questa esigenza della Critica:l'oggetto, che è fuori della coscienza, è soltanto negazio-ne nell'ambito della coscienza, se la Critica è reale o pursoltanto possibile.

Sarebbe lungo notare qui i gradi di questo processostorico che doveva rendersi e si rese sempre più eviden-te e che cominciò dalla affermazione di una duplice og-gettività (in sè e conosciuta: reale e formale) e finì, dopola negazione dell'oggettività reale, anche nella negazio-ne della oggettività formale.

L'essenziale è, per noi, che conclusione del processo èla riduzione dell'oggetto come tale a pura e semplice ne-gazione, e che quindi il processo di oggettivazione sipresenti come processo di negazione che lo stesso Sog-getto, in quanto coscienza, fa di sè.

2) Ora perchè questo processo storico sia valido nelsuo risultato, bisogna che sia esatto il concetto di ogget-

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tività che ne è il presupposto: alterità dalla coscienzadel soggetto conoscente, e quindi estraneità ad essa(fuori). È esatto questo concetto? È veramente questo ilconcetto di oggettività?

Per rispondere bisogna cominciare dall'esaminare edintendere lo stesso concetto di alterità.

Per la coscienza comune (e intendo coscienza nonnella sua incoerenza volgare, ma coscienza nella massi-ma sua coerenza che è logicità) altro è, sì, altro dall'uno,del quale è altro, ma, appunto per essere altro diquell'uno, è proprio come l'uno. Il che ci è confermatodall'uso linguistico: per dire che un galantuomo è statodepredato da ladri, non diciamo che egli è stato spoglia-to da altri ladri. I ladri posti come altri dall'uno chiame-rebbero anche questo in loro compagnia. In breve: alte-rità importa moltiplicazione, ma non eterogeneità; ilconcetto di alterità non è quello di diversità, nè quello diestraneità.

Inteso ciò, è facile intendere che l'altro, che si trova (equindi ciascuno di noi trova) nell'io consapevole comesua stessa essenza, l'altro quindi, di cui il soggetto cono-scente non può non esser consapevole, è l'altro io, cioèl'altro da me ma come me, cioè, evidentemente, il purotu.

Nella coscienza comune è questo puro altro il «tu», enon quello fichtiano dell'«io posto come io da me e nonda se stesso» (Werke, Leipzig, 1910, III, pag. 85). Il tucome io non è affatto posto da me come io. Neppure iosarei io, se tu non fossi per me anche un io; e tu non sa-

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tività che ne è il presupposto: alterità dalla coscienzadel soggetto conoscente, e quindi estraneità ad essa(fuori). È esatto questo concetto? È veramente questo ilconcetto di oggettività?

Per rispondere bisogna cominciare dall'esaminare edintendere lo stesso concetto di alterità.

Per la coscienza comune (e intendo coscienza nonnella sua incoerenza volgare, ma coscienza nella massi-ma sua coerenza che è logicità) altro è, sì, altro dall'uno,del quale è altro, ma, appunto per essere altro diquell'uno, è proprio come l'uno. Il che ci è confermatodall'uso linguistico: per dire che un galantuomo è statodepredato da ladri, non diciamo che egli è stato spoglia-to da altri ladri. I ladri posti come altri dall'uno chiame-rebbero anche questo in loro compagnia. In breve: alte-rità importa moltiplicazione, ma non eterogeneità; ilconcetto di alterità non è quello di diversità, nè quello diestraneità.

Inteso ciò, è facile intendere che l'altro, che si trova (equindi ciascuno di noi trova) nell'io consapevole comesua stessa essenza, l'altro quindi, di cui il soggetto cono-scente non può non esser consapevole, è l'altro io, cioèl'altro da me ma come me, cioè, evidentemente, il purotu.

Nella coscienza comune è questo puro altro il «tu», enon quello fichtiano dell'«io posto come io da me e nonda se stesso» (Werke, Leipzig, 1910, III, pag. 85). Il tucome io non è affatto posto da me come io. Neppure iosarei io, se tu non fossi per me anche un io; e tu non sa-

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resti tu, se io non fossi per te anche un tu, come tu seiper me.

Fichte non si accorgeva che per combattere, e a ragio-ne, la riduzione dell'io ad io empirico, finiva col porreimplicitamente la negazione di quell'io libero kantianoche era il punto di partenza della sua speculazione.

Per salvare dalla empiricità l'io puro, senza per questoperdere l'io stesso, bisognava scoprirne la pura alterità:tu non sei posto da me, come io non sono posto da te.

Lasciando qui da parte (non perchè siano problemi in-solubili con la dottrina che si espone, ma perchè non sipossono certo risolvere qui tutti i problemi che conquello fondamentale che trattiamo sono connessi), la-sciando da parte la libertà e il porsi da sè dell'io, risultadunque che, quando da ogni determinazione empiricaprescindiamo nel precisare l'altro che troviamo essenzia-le all'io consapevole, troviamo che l'alterità pura è pro-prio l'egoità pura, soggettività. Non troviamo il non io,ma l'altro io, il tu.

Perciò l'altro, che noi troviamo essenziale all'io con-sapevole, da una parte, non è quell'eterogeneo al sogget-to, che, perché tale, deve essere, anche come tale, fuoridel soggetto stesso, estraneo ad esso, cioè non èquell'oggetto affermato da ogni dottrina gnoseologicarealistica e dualistica, dal quale Kant prese le mosse edel quale ebbe il merito di affermare, con incontroverti-bile chiarezza, la inconoscibilità, e conseguentemente lanegazione.

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resti tu, se io non fossi per te anche un tu, come tu seiper me.

Fichte non si accorgeva che per combattere, e a ragio-ne, la riduzione dell'io ad io empirico, finiva col porreimplicitamente la negazione di quell'io libero kantianoche era il punto di partenza della sua speculazione.

Per salvare dalla empiricità l'io puro, senza per questoperdere l'io stesso, bisognava scoprirne la pura alterità:tu non sei posto da me, come io non sono posto da te.

Lasciando qui da parte (non perchè siano problemi in-solubili con la dottrina che si espone, ma perchè non sipossono certo risolvere qui tutti i problemi che conquello fondamentale che trattiamo sono connessi), la-sciando da parte la libertà e il porsi da sè dell'io, risultadunque che, quando da ogni determinazione empiricaprescindiamo nel precisare l'altro che troviamo essenzia-le all'io consapevole, troviamo che l'alterità pura è pro-prio l'egoità pura, soggettività. Non troviamo il non io,ma l'altro io, il tu.

Perciò l'altro, che noi troviamo essenziale all'io con-sapevole, da una parte, non è quell'eterogeneo al sogget-to, che, perché tale, deve essere, anche come tale, fuoridel soggetto stesso, estraneo ad esso, cioè non èquell'oggetto affermato da ogni dottrina gnoseologicarealistica e dualistica, dal quale Kant prese le mosse edel quale ebbe il merito di affermare, con incontroverti-bile chiarezza, la inconoscibilità, e conseguentemente lanegazione.

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Ma d'altra parte, se non è il «fuori» realistico, tale al-tro non è neppure il puro prodotto idealistico. Se non èpuro prodotto l'io, non è neppure tale l'altro. Si sa chequesto altro dall'io, concepito come puro prodotto, rap-presentando la passività là dove non c'è che pura attivi-tà, e là dove l'attività non è che io, doveva finire col di-ventare una pura negazione dell'io (non-io), e quindi,senz'altro, la negazione. L'altro non è dunque neppurequel «non», a cui l'idealismo ha ridotto l'oggetto realisti-co.

L'idealismo voleva e doveva negare l'eterogeneità og-gettiva, e finì invece, per l'identificazione e confusioneche il realismo faceva tra eterogeneità e alterità, col ne-gare con la prima anche la seconda.

L'altro, adunque, essendo il reciproco tu dell'io con-sapevole, non è nè il fuori eterogeneo all'io, nè la puranegazione dell'io.

Questa alterità sempre afferma chi dice io, il quale,ciò dicendo, anche trascendentalmente, si distingue,senza per questo separarsi assolutamente, da un chi checonosce di fronte a sè, e non da un che che riconosca as-solutamente eterogeneo e fuori di sè. Anche in questoFichte vide male e contribuì fondamentalmente a porreil pensiero idealistico su falsa strada, dicendo che «chidice io, con questo io distingue sè non dalle altre perso-ne, ma dalle cose» (ib., pag, 88). Confuse la singolaritàtrascendentale dell'io puro con la particolarità empiricadell'io uomo vivente. Così dall'approfondimento dellaalterità, che trovasi nell'io consapevole, ci è risultato che

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Ma d'altra parte, se non è il «fuori» realistico, tale al-tro non è neppure il puro prodotto idealistico. Se non èpuro prodotto l'io, non è neppure tale l'altro. Si sa chequesto altro dall'io, concepito come puro prodotto, rap-presentando la passività là dove non c'è che pura attivi-tà, e là dove l'attività non è che io, doveva finire col di-ventare una pura negazione dell'io (non-io), e quindi,senz'altro, la negazione. L'altro non è dunque neppurequel «non», a cui l'idealismo ha ridotto l'oggetto realisti-co.

L'idealismo voleva e doveva negare l'eterogeneità og-gettiva, e finì invece, per l'identificazione e confusioneche il realismo faceva tra eterogeneità e alterità, col ne-gare con la prima anche la seconda.

L'altro, adunque, essendo il reciproco tu dell'io con-sapevole, non è nè il fuori eterogeneo all'io, nè la puranegazione dell'io.

Questa alterità sempre afferma chi dice io, il quale,ciò dicendo, anche trascendentalmente, si distingue,senza per questo separarsi assolutamente, da un chi checonosce di fronte a sè, e non da un che che riconosca as-solutamente eterogeneo e fuori di sè. Anche in questoFichte vide male e contribuì fondamentalmente a porreil pensiero idealistico su falsa strada, dicendo che «chidice io, con questo io distingue sè non dalle altre perso-ne, ma dalle cose» (ib., pag, 88). Confuse la singolaritàtrascendentale dell'io puro con la particolarità empiricadell'io uomo vivente. Così dall'approfondimento dellaalterità, che trovasi nell'io consapevole, ci è risultato che

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essa, lungi dal darci l'oggettività, ci dà invece la schiettasoggettività anche di quello stesso io consapevole, dacui necessariamente parto e devo partire, e che senza ri-conoscere anche sè come un «altro» svanirebbe irrime-diabilmente come io puro.

Si afferma così propria della coscienza, non eteroge-nea ad essa, anzi condizione trascendentale della con-cretezza in cui essa si attua, la molteplicità come positi-va caratteristica della singolarità soggettiva.

L'alterità è dunque positiva e soggettiva: l'altro delsoggetto consapevole non è dunque l'oggetto.

3) L'altro non è dunque oggetto nè come il realisticofuori della coscienza, nè come l'idealistico prodotto chela coscienza ottiene negandosi.

Nè, reciprocamente, l'oggetto, come tale, è mai l'altro;perchè l'altro importa moltiplicazione soggettiva.

Il processo storico quindi, che (§ 1), abbiamo visto,finisce nella negazione del concetto di oggettività, èesatto soltanto in questo senso, ed in ciò ha anche il suogrande valore: si nega il concetto realistico di oggettivi-tà, che è doppiamente falso, perchè riduce l'oggettivitàad alterità, e scambia l'alterità con l'eterogeneità.

Aver ridotta l'oggettività realistica a negazione è averdimostrata la falsità del concetto realistico di oggettivi-tà, non è aver ridotta l'oggettività pura a negazioneanch'essa. Se l'oggetto è la natura realistica (non co-scienza), l'oggetto è negazione. Ma l'oggetto è proprio,in quanto tale, non coscienza, realistica natura? Se an-

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essa, lungi dal darci l'oggettività, ci dà invece la schiettasoggettività anche di quello stesso io consapevole, dacui necessariamente parto e devo partire, e che senza ri-conoscere anche sè come un «altro» svanirebbe irrime-diabilmente come io puro.

Si afferma così propria della coscienza, non eteroge-nea ad essa, anzi condizione trascendentale della con-cretezza in cui essa si attua, la molteplicità come positi-va caratteristica della singolarità soggettiva.

L'alterità è dunque positiva e soggettiva: l'altro delsoggetto consapevole non è dunque l'oggetto.

3) L'altro non è dunque oggetto nè come il realisticofuori della coscienza, nè come l'idealistico prodotto chela coscienza ottiene negandosi.

Nè, reciprocamente, l'oggetto, come tale, è mai l'altro;perchè l'altro importa moltiplicazione soggettiva.

Il processo storico quindi, che (§ 1), abbiamo visto,finisce nella negazione del concetto di oggettività, èesatto soltanto in questo senso, ed in ciò ha anche il suogrande valore: si nega il concetto realistico di oggettivi-tà, che è doppiamente falso, perchè riduce l'oggettivitàad alterità, e scambia l'alterità con l'eterogeneità.

Aver ridotta l'oggettività realistica a negazione è averdimostrata la falsità del concetto realistico di oggettivi-tà, non è aver ridotta l'oggettività pura a negazioneanch'essa. Se l'oggetto è la natura realistica (non co-scienza), l'oggetto è negazione. Ma l'oggetto è proprio,in quanto tale, non coscienza, realistica natura? Se an-

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che qui ricorriamo alla coscienza comune, troviamo checomunque si sviluppi o si riduca quella concezione dioggetto, che è tanto essenziale alla coscienza che senzadi essa questa più non ci sarebbe, essa è sempre quelladi «essere presente alla coscienza».

Pare, questa, l'oggettività del realismo ingenuo, ed èinvece, a chi ben la guardi, quella del più scaltrito idea-lismo.

«Presenza alla coscienza», e quindi interiorità nonesteriorità; «essere» e quindi costitutivo di ciò in cui èpresente come essere. Costitutivo quindi di quel sogget-to, che, come tale, lasciato nella pura alterità, nellaschietta reciprocità col tu, non avrebbe essere, non sa-rebbe.

Oggetto quindi è proprio l'essere in sè, costitutivodell'io consapevole, quando questo sia visto non soltantonella trascendentale molteplicità, ma nel suo essere, cia-scuno, un io; è il costitutivo di ciascun io, che così esolo così è concreto.

L'oggettività perciò è esigenza proprio dell'io concre-to, giacchè l'io, se non riconoscesse a sè come altro, equindi ad ogni altro, l'essere, cercherebbe di chiudersi inuna trascendentale astrattezza, cioè cercherebbe di nonessere. L'io è concreto, in quanto è come altro.

Guadagniamo così un concetto positivo dell'oggettocome essere in sè, che dà alla pura astratta coscienzadell'io la spiritualità.

Spiritualità che dà concretezza a quella pura alteritàdi coscienza che è la soggettività; e fa sì che quella che

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che qui ricorriamo alla coscienza comune, troviamo checomunque si sviluppi o si riduca quella concezione dioggetto, che è tanto essenziale alla coscienza che senzadi essa questa più non ci sarebbe, essa è sempre quelladi «essere presente alla coscienza».

Pare, questa, l'oggettività del realismo ingenuo, ed èinvece, a chi ben la guardi, quella del più scaltrito idea-lismo.

«Presenza alla coscienza», e quindi interiorità nonesteriorità; «essere» e quindi costitutivo di ciò in cui èpresente come essere. Costitutivo quindi di quel sogget-to, che, come tale, lasciato nella pura alterità, nellaschietta reciprocità col tu, non avrebbe essere, non sa-rebbe.

Oggetto quindi è proprio l'essere in sè, costitutivodell'io consapevole, quando questo sia visto non soltantonella trascendentale molteplicità, ma nel suo essere, cia-scuno, un io; è il costitutivo di ciascun io, che così esolo così è concreto.

L'oggettività perciò è esigenza proprio dell'io concre-to, giacchè l'io, se non riconoscesse a sè come altro, equindi ad ogni altro, l'essere, cercherebbe di chiudersi inuna trascendentale astrattezza, cioè cercherebbe di nonessere. L'io è concreto, in quanto è come altro.

Guadagniamo così un concetto positivo dell'oggettocome essere in sè, che dà alla pura astratta coscienzadell'io la spiritualità.

Spiritualità che dà concretezza a quella pura alteritàdi coscienza che è la soggettività; e fa sì che quella che

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abbiam detta reciprocità pura si attui come reciproco ri-sultare degli altri tra loro. Risultare che non toglie, maconferma la spiritualità degli io nella concretezza: senzaquesta spiritualità quel risultare non ci sarebbe.

E spiritualità, ricordiamo, è essere costitutivo di io at-tivamente consapevoli, cioè assoluta capacità di iniziati-va. Di qui e la lotta e la conseguente armonia.

4) Senza che dunque si rinneghi, anzi appunto perchèsi confermi la soggettività come alterità pura, si richiedel'oggettività come unicità pura: l'essere come iniziativa,assoluto costitutivo di ciascun io.

Questo è il risultato che deve trarsi dal processo idea-listico, quando da questo si tolga il falso supposto dellaconcezione realistica della oggettività.

Tolta questa, infatti, nello stesso Kant l'oggettività ri-mane costituita da quell'ineliminabile ed assoluta uni-versalità della coscienza, che è in Kant, l'idea pura del-la ragione come noumeno; noumeno, non dobbiamo di-menticare, che è anche la cosa in sè: cosa in sè, che, peressere noumeno, è l'essere in sè, ma che, appunto perquesto, è l'essere costitutivo dell'io ragionevole.

Invece il processo storico dell'idealismo partendo daKant quale è stato finora inteso, supera l'eterogeneitàrealistica, (assoluta estraneità), ma conservando il con-cetto dell'oggetto come eterogeneo e quindi immolandoquesto sull'altare della soggettività. Cioè supera l'etero-geneità tra i termini della coscienza (soggetto, oggetto)annullandone assolutamente uno, proprio mentre ricono-

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abbiam detta reciprocità pura si attui come reciproco ri-sultare degli altri tra loro. Risultare che non toglie, maconferma la spiritualità degli io nella concretezza: senzaquesta spiritualità quel risultare non ci sarebbe.

E spiritualità, ricordiamo, è essere costitutivo di io at-tivamente consapevoli, cioè assoluta capacità di iniziati-va. Di qui e la lotta e la conseguente armonia.

4) Senza che dunque si rinneghi, anzi appunto perchèsi confermi la soggettività come alterità pura, si richiedel'oggettività come unicità pura: l'essere come iniziativa,assoluto costitutivo di ciascun io.

Questo è il risultato che deve trarsi dal processo idea-listico, quando da questo si tolga il falso supposto dellaconcezione realistica della oggettività.

Tolta questa, infatti, nello stesso Kant l'oggettività ri-mane costituita da quell'ineliminabile ed assoluta uni-versalità della coscienza, che è in Kant, l'idea pura del-la ragione come noumeno; noumeno, non dobbiamo di-menticare, che è anche la cosa in sè: cosa in sè, che, peressere noumeno, è l'essere in sè, ma che, appunto perquesto, è l'essere costitutivo dell'io ragionevole.

Invece il processo storico dell'idealismo partendo daKant quale è stato finora inteso, supera l'eterogeneitàrealistica, (assoluta estraneità), ma conservando il con-cetto dell'oggetto come eterogeneo e quindi immolandoquesto sull'altare della soggettività. Cioè supera l'etero-geneità tra i termini della coscienza (soggetto, oggetto)annullandone assolutamente uno, proprio mentre ricono-

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sce che la coscienza è sinteticità e quindi importa polari-tà distinta. La coscienza concreta è sempre essenzialesintesi implicita di termini: non esclusione (realismo),non produzione (idealismo), ben inteso, di termini. Bi-sogna quindi mantenere la distinzione di termini positi-vi, pur togliendo la eterogeneità realistica: è, questa,ineliminabile esigenza della coscienza concreta nellasua implicita sintesi.

Donde la necessità del polarizzarsi per esplicarsi, mail suo permanere come inesauribile implicazione. Sequesto vorrà dirsi dialettismo non ho nulla in contrario,purchè però si intenda bene che questa dialettica non ènè quella platonica, nè quella hegeliana, per quanto pre-parata dall'una e dall'altra.

Quando questo concetto positivo dell'oggettività noi(aiutati da Rosmini, ma superandone i tanti ostacoli e ilimiti dogmatici che egli quasi si impone) abbiamo con-quistato nel campo stesso dell'idealismo rintracciandolonella stessa posizione speculativa di Kant, che così esolo così è suscettibile di una interpretazione idealistica,possiamo formulare in modo nuovo la stessa scopertakantiana della sintesi, e formularla proprio in conformitàdella coscienza comune. Essenziale al pensiero di Kantnon è l'inconoscibilità dell'essere in sè, ma propriol'essere in sè, che egli, con la riduzione di esso a noume-no, scopre proprio nella coscienza, senza che per ciòesso perda la sua oggettività.

Solo quanto Kant è visto così, si può affermare checomincia da lui (e comincia soltanto; ancora oggi siamo

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sce che la coscienza è sinteticità e quindi importa polari-tà distinta. La coscienza concreta è sempre essenzialesintesi implicita di termini: non esclusione (realismo),non produzione (idealismo), ben inteso, di termini. Bi-sogna quindi mantenere la distinzione di termini positi-vi, pur togliendo la eterogeneità realistica: è, questa,ineliminabile esigenza della coscienza concreta nellasua implicita sintesi.

Donde la necessità del polarizzarsi per esplicarsi, mail suo permanere come inesauribile implicazione. Sequesto vorrà dirsi dialettismo non ho nulla in contrario,purchè però si intenda bene che questa dialettica non ènè quella platonica, nè quella hegeliana, per quanto pre-parata dall'una e dall'altra.

Quando questo concetto positivo dell'oggettività noi(aiutati da Rosmini, ma superandone i tanti ostacoli e ilimiti dogmatici che egli quasi si impone) abbiamo con-quistato nel campo stesso dell'idealismo rintracciandolonella stessa posizione speculativa di Kant, che così esolo così è suscettibile di una interpretazione idealistica,possiamo formulare in modo nuovo la stessa scopertakantiana della sintesi, e formularla proprio in conformitàdella coscienza comune. Essenziale al pensiero di Kantnon è l'inconoscibilità dell'essere in sè, ma propriol'essere in sè, che egli, con la riduzione di esso a noume-no, scopre proprio nella coscienza, senza che per ciòesso perda la sua oggettività.

Solo quanto Kant è visto così, si può affermare checomincia da lui (e comincia soltanto; ancora oggi siamo

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ben lontani dal vederlo con chiarezza) la scoperta delconcreto, che sta nella sintesi della coscienza: i soggettihanno coscienza dell'oggetto.

Noi consapevoli, adunque, nella e per la nostra con-cretezza esigiamo l'oggettività. Solo ponendo la positi-vità di questa, proprio in quanto oggettività, siamo ingrado di renderci conto della sintesi, in cui concreta-mente la coscienza consiste, sintesi, non negativamenteantitetica, ma positivamente sintetica, che nella stessascoperta kantiana può e deve essere formulata proprionello stesso modo in cui la ritroviamo nella coscienzacomune: i soggetti (singolarità molteplice della coscien-za) sono consapevoli (hanno coscienza) dell'oggetto(universalità della coscienza). Questa concreta consape-volezza è la spiritualità.

Si intende così come e perchè il soggetto, necessaria-mente relativo nelle sua pura essenza di alterità, richiedeimmanente a sè l'Oggetto come Assoluto.

5) Abbiamo visto fin qui conte la coscienza concretaesiga l'oggettività; non la separa da sè e neppure la nega.Ogni contrario risultato od istanza è conseguenza di unerroneo concetto implicito della oggettività.

Bisognerebbe ora mostrare, reciprocamente:Un tale concetto positivo dell'oggettività a sua volta

che cosa esige, che cosa rende possibile nel concretostesso?

Rispondere a queste domande sarebbe costruire tuttala teoria del concreto. Abbozzi generali e cenni su pro-

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ben lontani dal vederlo con chiarezza) la scoperta delconcreto, che sta nella sintesi della coscienza: i soggettihanno coscienza dell'oggetto.

Noi consapevoli, adunque, nella e per la nostra con-cretezza esigiamo l'oggettività. Solo ponendo la positi-vità di questa, proprio in quanto oggettività, siamo ingrado di renderci conto della sintesi, in cui concreta-mente la coscienza consiste, sintesi, non negativamenteantitetica, ma positivamente sintetica, che nella stessascoperta kantiana può e deve essere formulata proprionello stesso modo in cui la ritroviamo nella coscienzacomune: i soggetti (singolarità molteplice della coscien-za) sono consapevoli (hanno coscienza) dell'oggetto(universalità della coscienza). Questa concreta consape-volezza è la spiritualità.

Si intende così come e perchè il soggetto, necessaria-mente relativo nelle sua pura essenza di alterità, richiedeimmanente a sè l'Oggetto come Assoluto.

5) Abbiamo visto fin qui conte la coscienza concretaesiga l'oggettività; non la separa da sè e neppure la nega.Ogni contrario risultato od istanza è conseguenza di unerroneo concetto implicito della oggettività.

Bisognerebbe ora mostrare, reciprocamente:Un tale concetto positivo dell'oggettività a sua volta

che cosa esige, che cosa rende possibile nel concretostesso?

Rispondere a queste domande sarebbe costruire tuttala teoria del concreto. Abbozzi generali e cenni su pro-

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blemi speciali ne ho già dati; verrà, spero, la dimostra-zione integrale.

Qui mi limito a mettere in evidenza da una parte uncorollario storico e dall'altra come un elenco dei princi-pali concetti sistematici, cui l'esposta concezionedell'oggettività dà luogo suscitando nuove impostazionie soluzioni di vecchi problemi.

Dal punto di vista storico la detta rivalutazione positi-va dell'oggettività proprio nel campo idealistico kantia-no richiede, per il passato, una ricomprensione più pro-fonda ed una rivalutazione di tutta la storia della filoso-fia specialmente moderna, a cominciare dalla pretesascoperta cartesiana dell'autocoscienza, pretesa scopertache logicamente fa soggiacere Cartesio all'accusa di so-lipsismo che Cartesio non merita, perchè, bene o maleche sia, il suo «cogito» non è l'autocoscienza, a finireall'Essere rosminiano nella sua triplice forma, del qualefinora non fu vista la fecondità critica, e col quale si ha,a mio avviso una prima, non chiaramente consapevole,affermazione della accennata scoperta kantiana del con-creto.

Richiede poi per il futuro la necessità di riistituire lafilosofia come metafisica, che sia la nuova metafisicanon quale fu preconizzata e non saputa trovare (perchèimpossibile a trovarsi) da Kant, ma quale è richiesta dal-lo sviluppo dello stesso concetto di Critica, e quindi fon-data non più soltanto, come Kant pretendeva di poterfare, su una Critica della conoscenza (Critica che cosìlimitata presuppone, mentre nega, il confutato concetto

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blemi speciali ne ho già dati; verrà, spero, la dimostra-zione integrale.

Qui mi limito a mettere in evidenza da una parte uncorollario storico e dall'altra come un elenco dei princi-pali concetti sistematici, cui l'esposta concezionedell'oggettività dà luogo suscitando nuove impostazionie soluzioni di vecchi problemi.

Dal punto di vista storico la detta rivalutazione positi-va dell'oggettività proprio nel campo idealistico kantia-no richiede, per il passato, una ricomprensione più pro-fonda ed una rivalutazione di tutta la storia della filoso-fia specialmente moderna, a cominciare dalla pretesascoperta cartesiana dell'autocoscienza, pretesa scopertache logicamente fa soggiacere Cartesio all'accusa di so-lipsismo che Cartesio non merita, perchè, bene o maleche sia, il suo «cogito» non è l'autocoscienza, a finireall'Essere rosminiano nella sua triplice forma, del qualefinora non fu vista la fecondità critica, e col quale si ha,a mio avviso una prima, non chiaramente consapevole,affermazione della accennata scoperta kantiana del con-creto.

Richiede poi per il futuro la necessità di riistituire lafilosofia come metafisica, che sia la nuova metafisicanon quale fu preconizzata e non saputa trovare (perchèimpossibile a trovarsi) da Kant, ma quale è richiesta dal-lo sviluppo dello stesso concetto di Critica, e quindi fon-data non più soltanto, come Kant pretendeva di poterfare, su una Critica della conoscenza (Critica che cosìlimitata presuppone, mentre nega, il confutato concetto

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di oggettività naturalistica), ma sulla Critica del concre-to.

6) Quanto alle esigenze che nella concezione sistema-tica del concreto la detta oggettività importa, mi limitoad elencare le più importanti posizioni speculative, cuiessa dà luogo dando adito alla reimpostazione di vecchiproblemi, ritenuti morti sol perchè si era dimostrata lafalsità della primitiva loro soluzione ed impostazione.

Tale concezione dell'oggettività, adunque, esige e per-mette:

a) la distinzione tra il concreto e l'Assoluto;b) e quindi l'immanenza dell'Assoluto nel concreto,

senza che per questo l'uno sia identificato con l'altro;c) l'approfondimento, quindi, del concetto di Dio fino

alla Idea pura come Essere in sè, e, in conseguenza, larivalutazione e il rinnovamento della prova ontologica;

d) la conseguente distinzione dell'affermazione di Dioin concreto (teologismo concreto) da quella che se ne fanella forma religiosa dello spirito (l'adorazione di Dionon è tutto il riconoscimento concreto di Dio);

e) donde la concezione della filosofia come problemaoggettivo di Dio (sforzo teorico) e della religione comecertezza soggettiva di Dio (fede pratica);

f) e quindi, infine, la soddisfazione, in queste due atti-vità, dell'esigenza della trascendenza con una dottrinadell'immanenza.

Mi fermo un momento su quest'ultimo punto che èsommamente importante in questa rinascita di valori re-

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di oggettività naturalistica), ma sulla Critica del concre-to.

6) Quanto alle esigenze che nella concezione sistema-tica del concreto la detta oggettività importa, mi limitoad elencare le più importanti posizioni speculative, cuiessa dà luogo dando adito alla reimpostazione di vecchiproblemi, ritenuti morti sol perchè si era dimostrata lafalsità della primitiva loro soluzione ed impostazione.

Tale concezione dell'oggettività, adunque, esige e per-mette:

a) la distinzione tra il concreto e l'Assoluto;b) e quindi l'immanenza dell'Assoluto nel concreto,

senza che per questo l'uno sia identificato con l'altro;c) l'approfondimento, quindi, del concetto di Dio fino

alla Idea pura come Essere in sè, e, in conseguenza, larivalutazione e il rinnovamento della prova ontologica;

d) la conseguente distinzione dell'affermazione di Dioin concreto (teologismo concreto) da quella che se ne fanella forma religiosa dello spirito (l'adorazione di Dionon è tutto il riconoscimento concreto di Dio);

e) donde la concezione della filosofia come problemaoggettivo di Dio (sforzo teorico) e della religione comecertezza soggettiva di Dio (fede pratica);

f) e quindi, infine, la soddisfazione, in queste due atti-vità, dell'esigenza della trascendenza con una dottrinadell'immanenza.

Mi fermo un momento su quest'ultimo punto che èsommamente importante in questa rinascita di valori re-

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ligiosi, che forse caratterizza il nostro tempo, e chespesso e volentieri è scambiata con una voluta rinascitadi dogmi ecclesiastici.

A questo proposito, è vano illudersi; ed è sommamen-te dannoso non guardare alle intime radici le difficoltà:dal Rinascimento, e, se si vuole, dall'Umanesimo in poi,nella coscienza è nato e si è venuto man mano accen-tuando, non per colpa o merito della scienza, ma proprioe soltanto della filosofia, un dissidio sostanziale e pro-fondo tra religione e filosofia, coscienza religiosa e co-scienza colta, dogma e critica, affermando la primacome essenziale alla religione la trascendenza di Dio, inquanto Spirito assoluto, dalla concretezza in cui l'uomovive, e ritenendo invece la seconda che tale concretezzanon è possibile senza l'assoluta immanenza di Dio inessa.

Ora, finchè la filosofia crede di avere, da una parte,per suo conto dimostrata l'immanenza, e, dall'altra, con-tinua, essa stessa (oltrechè la religione), a ritenere inve-ce essenziale alla religione la trascendenza, non è possi-bile sperare conciliazione tra filosofia e religione, non èpossibile colmare l'abisso che si è venuto facendo sem-pre più profondo, non è possibile riconquistarequell'unità di coscienza, che è oggi il bisogno tanto piùsentito, quanto più si è consapevoli dello storico dissi-dio: bisogno, di cui appunto è principale manifestazionela detta sensibilità di rinascita religiosa. E non c'è quindipossibilità di rinascita religiosa senza composizione dital dissidio. È vano e dannoso, girare intorno al proble-

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ligiosi, che forse caratterizza il nostro tempo, e chespesso e volentieri è scambiata con una voluta rinascitadi dogmi ecclesiastici.

A questo proposito, è vano illudersi; ed è sommamen-te dannoso non guardare alle intime radici le difficoltà:dal Rinascimento, e, se si vuole, dall'Umanesimo in poi,nella coscienza è nato e si è venuto man mano accen-tuando, non per colpa o merito della scienza, ma proprioe soltanto della filosofia, un dissidio sostanziale e pro-fondo tra religione e filosofia, coscienza religiosa e co-scienza colta, dogma e critica, affermando la primacome essenziale alla religione la trascendenza di Dio, inquanto Spirito assoluto, dalla concretezza in cui l'uomovive, e ritenendo invece la seconda che tale concretezzanon è possibile senza l'assoluta immanenza di Dio inessa.

Ora, finchè la filosofia crede di avere, da una parte,per suo conto dimostrata l'immanenza, e, dall'altra, con-tinua, essa stessa (oltrechè la religione), a ritenere inve-ce essenziale alla religione la trascendenza, non è possi-bile sperare conciliazione tra filosofia e religione, non èpossibile colmare l'abisso che si è venuto facendo sem-pre più profondo, non è possibile riconquistarequell'unità di coscienza, che è oggi il bisogno tanto piùsentito, quanto più si è consapevoli dello storico dissi-dio: bisogno, di cui appunto è principale manifestazionela detta sensibilità di rinascita religiosa. E non c'è quindipossibilità di rinascita religiosa senza composizione dital dissidio. È vano e dannoso, girare intorno al proble-

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ma senza affrontarlo: se veramente è essenziale alla reli-gione la trascendenza, la filosofia moderna, se crede ase stessa, deve avere il coraggio di negare, insieme conla trascendenza, la stessa religione come valida formaspirituale.

Se no, bisogna ricercare se proprio sia essenziale allareligione la trascendenza nel senso realistico ed assolutotradizionale, ovvero anche la religione possa e debbafarne a meno, pur rimanendo una valida forma della spi-ritualità.

Io credo che la religione possa e debba rinunziarci; esolo per questa via vedo la possibilità di una effettiva ri-nascita di valori religiosi. Contro non vedo che confuta-te posizioni dottrinarie dogmatiche, che si voglionoscambiare a tutti i costi con la religione e la religiositàstessa: non sempre (e forse si potrebbe dir mai) la Chie-sa costituita è la religione.

La rivelazione religiosa che salverà questa, e riforme-rà (o distruggerà per rinnovarla ab imis) quella, verrà.

Ora noi filosofi dobbiamo sforzarci verso la nuovavia, approfondire il concetto di religione: quello morali-stico, cui si è tentato di ridurla, a me non pare sufficien-te affatto.

L'abbozzato modo di soddisfare con una dottrinadell'immanenza l'esigenza (polarizzarsi essenziale alconcreto) da cui nasceva la tradizionale trascendenza, ame pare che consenta la speciale forma religiosa dellaspiritualità e colmi l'abisso apertosi con la scopertadell'immanenza, portando nella stessa filosofia non la

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ma senza affrontarlo: se veramente è essenziale alla reli-gione la trascendenza, la filosofia moderna, se crede ase stessa, deve avere il coraggio di negare, insieme conla trascendenza, la stessa religione come valida formaspirituale.

Se no, bisogna ricercare se proprio sia essenziale allareligione la trascendenza nel senso realistico ed assolutotradizionale, ovvero anche la religione possa e debbafarne a meno, pur rimanendo una valida forma della spi-ritualità.

Io credo che la religione possa e debba rinunziarci; esolo per questa via vedo la possibilità di una effettiva ri-nascita di valori religiosi. Contro non vedo che confuta-te posizioni dottrinarie dogmatiche, che si voglionoscambiare a tutti i costi con la religione e la religiositàstessa: non sempre (e forse si potrebbe dir mai) la Chie-sa costituita è la religione.

La rivelazione religiosa che salverà questa, e riforme-rà (o distruggerà per rinnovarla ab imis) quella, verrà.

Ora noi filosofi dobbiamo sforzarci verso la nuovavia, approfondire il concetto di religione: quello morali-stico, cui si è tentato di ridurla, a me non pare sufficien-te affatto.

L'abbozzato modo di soddisfare con una dottrinadell'immanenza l'esigenza (polarizzarsi essenziale alconcreto) da cui nasceva la tradizionale trascendenza, ame pare che consenta la speciale forma religiosa dellaspiritualità e colmi l'abisso apertosi con la scopertadell'immanenza, portando nella stessa filosofia non la

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tradizionale trascendenza, ma l'eterna esigenza spiritualea cui si cercava di soddisfare col concetto tradizionale,del quale si è mano mano scoperta la grossolanità.

Concludendo, io ritengo che la concretezza spiritualeesiga l'oggettività pura dell'Essere in sè come noumeno;e che a sua volta questa oggettività permetta ed esiga ladistinzione della filosofia dalla religione e riesca così arinnovare il concetto stesso di religione, permettendoneuna vitale coesistenza con le conquiste del pensiero filo-sofico moderno.

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tradizionale trascendenza, ma l'eterna esigenza spiritualea cui si cercava di soddisfare col concetto tradizionale,del quale si è mano mano scoperta la grossolanità.

Concludendo, io ritengo che la concretezza spiritualeesiga l'oggettività pura dell'Essere in sè come noumeno;e che a sua volta questa oggettività permetta ed esiga ladistinzione della filosofia dalla religione e riesca così arinnovare il concetto stesso di religione, permettendoneuna vitale coesistenza con le conquiste del pensiero filo-sofico moderno.

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CAPITOLO XL'ONTOLOGISMO CRITICO16.

16 È un discorso, che, col titolo «Il mio ontologismo», fu tenu-to il 3 giugno 1936 nella Biblioteca filosofica di Palermo, e fu poipubblicato nel Giornale critico della filosofia italiana (Dicembre,1936) con l'aggiunta di una appendice qui non riportata.

Credo utile ripubblicarlo, anche perchè espone in sintesi ilprincipio da cui l'indagine storica e la critica attuale qui sono gui-dati. E poi tra noi, che dissi «italiani d'oggi» (§ 40), devo include-re anche me. Dimenticarmi, cosa del resto impossibile, non sareb-be meritoria oggettività, ma colpevole abbandono del valore rela-tivo (cioè del valore di alterità) di me, a tutto vantaggio (e quindi,ritengo, a svantaggio filosofico) o dell'annullamento o della subli-mazione di me come tale. L'intervento di me significa proprio losforzo per evitare questi due estremi; è quindi atto di consapevolepresenza e di modestia doverosa.

Risulterà forse qualche ripetizione, che del resto non mancagià anche nei capitoli precedenti. Tale, p. es., quella del § 77 difronte ai § 64 e 65. Preferisco lasciare le ripetizioni al rimaneg-giare. Le ripetizioni, anche se non portino, come in Kant, lucenuova, per lo meno, nella conferma del già detto da altro punto divista, contribuiscono ad evitare fraintendimenti.

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CAPITOLO XL'ONTOLOGISMO CRITICO16.

16 È un discorso, che, col titolo «Il mio ontologismo», fu tenu-to il 3 giugno 1936 nella Biblioteca filosofica di Palermo, e fu poipubblicato nel Giornale critico della filosofia italiana (Dicembre,1936) con l'aggiunta di una appendice qui non riportata.

Credo utile ripubblicarlo, anche perchè espone in sintesi ilprincipio da cui l'indagine storica e la critica attuale qui sono gui-dati. E poi tra noi, che dissi «italiani d'oggi» (§ 40), devo include-re anche me. Dimenticarmi, cosa del resto impossibile, non sareb-be meritoria oggettività, ma colpevole abbandono del valore rela-tivo (cioè del valore di alterità) di me, a tutto vantaggio (e quindi,ritengo, a svantaggio filosofico) o dell'annullamento o della subli-mazione di me come tale. L'intervento di me significa proprio losforzo per evitare questi due estremi; è quindi atto di consapevolepresenza e di modestia doverosa.

Risulterà forse qualche ripetizione, che del resto non mancagià anche nei capitoli precedenti. Tale, p. es., quella del § 77 difronte ai § 64 e 65. Preferisco lasciare le ripetizioni al rimaneg-giare. Le ripetizioni, anche se non portino, come in Kant, lucenuova, per lo meno, nella conferma del già detto da altro punto divista, contribuiscono ad evitare fraintendimenti.

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66. In qual senso “mio”.

Una dichiarazione preliminare sul possessivo “mio”,col quale io posso e devo designare quell'ontologismo,che si rende manifesto con la scoperta critica della con-cretezza spirituale.

Per chi, com'io faccio, sostiene la più rigorosa proble-maticità della filosofia, riducendola a sforzo della tra-scendenza nella e della umana coscienza, sforzo da rin-novare sempre attraverso la critica, quel possessivo puòsuonare o aperta contraddizione, o rinunzia ad ogni mioulteriore filosofare. Non è l'una, perchè sono consapevo-le che la mia come ogni altra dottrina va criticamente ri-pensata, perchè sia ulteriormente sviluppata nella suaverità. Non è l'altra, perchè già vedo, o vedo ancora, ledifficoltà nascenti dalla intima essenza viva del princi-pio speculativo ch'io mi sforzo di far riconoscere; diffi-coltà, il cui chiarimento porterà forse ancora a dissocia-zioni più profonde del meccanismo filosofico tradizio-nale, comune a tutti gli attuali indirizzi di pensiero spe-culativo; difficoltà, perciò, che non sono affatto quellemossemi da recensenti, che, benevoli o no che siano,pur tutti si appoggiano a posizioni da me già criticate emanifestano quindi più o meno apertamente di non essergiunti a quella critica del concreto, che deve sostituire lacritica della conoscenza. Queste ultime pretese obbie-zioni nè aiutano lo sviluppo del mio pensiero nè lo tur-bano affatto, perchè non colgono il principio fondamen-tale: sarebbero quindi, se mai, obbiezioni proprio per le

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66. In qual senso “mio”.

Una dichiarazione preliminare sul possessivo “mio”,col quale io posso e devo designare quell'ontologismo,che si rende manifesto con la scoperta critica della con-cretezza spirituale.

Per chi, com'io faccio, sostiene la più rigorosa proble-maticità della filosofia, riducendola a sforzo della tra-scendenza nella e della umana coscienza, sforzo da rin-novare sempre attraverso la critica, quel possessivo puòsuonare o aperta contraddizione, o rinunzia ad ogni mioulteriore filosofare. Non è l'una, perchè sono consapevo-le che la mia come ogni altra dottrina va criticamente ri-pensata, perchè sia ulteriormente sviluppata nella suaverità. Non è l'altra, perchè già vedo, o vedo ancora, ledifficoltà nascenti dalla intima essenza viva del princi-pio speculativo ch'io mi sforzo di far riconoscere; diffi-coltà, il cui chiarimento porterà forse ancora a dissocia-zioni più profonde del meccanismo filosofico tradizio-nale, comune a tutti gli attuali indirizzi di pensiero spe-culativo; difficoltà, perciò, che non sono affatto quellemossemi da recensenti, che, benevoli o no che siano,pur tutti si appoggiano a posizioni da me già criticate emanifestano quindi più o meno apertamente di non essergiunti a quella critica del concreto, che deve sostituire lacritica della conoscenza. Queste ultime pretese obbie-zioni nè aiutano lo sviluppo del mio pensiero nè lo tur-bano affatto, perchè non colgono il principio fondamen-tale: sarebbero quindi, se mai, obbiezioni proprio per le

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posizioni speculative dei recensenti, non per la mia (ve-dasi, nel Giorn. crit., l'appendice qui soppressa).

Questo “mio” ontologismo, dunque, è mio come sfor-zo non ancora chiuso di quell'umano disvelare l'Assolu-to, che io ritengo sia il filosofare, e che da un trentennioperseguo, pur dopo le inevitabili ingenuità iniziali e at-traverso i conseguenti sviluppi e ritrattazioni. Quellaqualsiasi formula quindi, in cui mi verrebbe oggi fatto difissare il motivo fondamentale di tale mio sforzo, vapresa come formula ancora viva nello sforzo di com-prensione che ne vengo facendo, e non come immutabi-le possesso teoretico, cui io stesso non abbia da togliereo da aggiungere verbo nel ripensarla.

E veniamo al tema.

67. Coscienza e riflessione.

Chi sa, sa qualche cosa. Non è eliminabile il “qualchecosa”, come non è eliminabile il “chi” nel sapere. Per-ciò, in generale, il sapere è un mio-sapere-l'essere, incui il “chi” si è puntualizzato in me, e il “qualche cosa”si è universalizzato nell'essere. Nel sapere c'è, ed è ineli-minabile, questa puntualizzazione soggettiva che si diceio, questa universalizzazione oggettiva che si dice esse-re.

Questa, in genere, è la coscienza: comunque si sia co-scienza, si è questo “mio-saper-l'essere”. Ma appunto

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posizioni speculative dei recensenti, non per la mia (ve-dasi, nel Giorn. crit., l'appendice qui soppressa).

Questo “mio” ontologismo, dunque, è mio come sfor-zo non ancora chiuso di quell'umano disvelare l'Assolu-to, che io ritengo sia il filosofare, e che da un trentennioperseguo, pur dopo le inevitabili ingenuità iniziali e at-traverso i conseguenti sviluppi e ritrattazioni. Quellaqualsiasi formula quindi, in cui mi verrebbe oggi fatto difissare il motivo fondamentale di tale mio sforzo, vapresa come formula ancora viva nello sforzo di com-prensione che ne vengo facendo, e non come immutabi-le possesso teoretico, cui io stesso non abbia da togliereo da aggiungere verbo nel ripensarla.

E veniamo al tema.

67. Coscienza e riflessione.

Chi sa, sa qualche cosa. Non è eliminabile il “qualchecosa”, come non è eliminabile il “chi” nel sapere. Per-ciò, in generale, il sapere è un mio-sapere-l'essere, incui il “chi” si è puntualizzato in me, e il “qualche cosa”si è universalizzato nell'essere. Nel sapere c'è, ed è ineli-minabile, questa puntualizzazione soggettiva che si diceio, questa universalizzazione oggettiva che si dice esse-re.

Questa, in genere, è la coscienza: comunque si sia co-scienza, si è questo “mio-saper-l'essere”. Ma appunto

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nell'essere così, in concreto, coscienza, non ci si accorgedel che cosa sia il sapere. Cercar di avere, esplicito, que-sto accorgimento è filosofare, il quale perciò è riflettere.

In questo riflettere dobbiamo evitare due pericoli op-posti, in uno dei quali, volendosi evitare l'altro, la specu-lazione storica ha finito spesso col cadere: lo scambiodella riflessione con l'astrazione, (è la posizione tradi-zionale), lo scambio di essa con la stessa concretezza dicoscienza (è la posizione hegeliana e specialmente at-tualistica).

68. Le diverse interpretazioni della esigenza della coscienza nella riflessione filosofica.

Questo accorgersi che la coscienza, il sapere, è il mio-sapere-l'essere, consente dal punto di vista logico, ed hagià sviluppato dal punto di vista storico, diverse inter-pretazioni di questo mio-sapere-l'essere.

Queste interpretazioni sono proprie di esso accorgi-mento, sono della riflessione; chè questo mio-sapere-l'essere in concreto rimane qual è, e non muta secondola diversa interpretazione che se ne dà. Se mutasse,quella interpretazione non sarebbe più interpretazione,ma la stessa concretezza di coscienza; si cadrebbe cioènel secondo dei pericoli sopraccennati.

Vediamo queste interpretazioni.

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nell'essere così, in concreto, coscienza, non ci si accorgedel che cosa sia il sapere. Cercar di avere, esplicito, que-sto accorgimento è filosofare, il quale perciò è riflettere.

In questo riflettere dobbiamo evitare due pericoli op-posti, in uno dei quali, volendosi evitare l'altro, la specu-lazione storica ha finito spesso col cadere: lo scambiodella riflessione con l'astrazione, (è la posizione tradi-zionale), lo scambio di essa con la stessa concretezza dicoscienza (è la posizione hegeliana e specialmente at-tualistica).

68. Le diverse interpretazioni della esigenza della coscienza nella riflessione filosofica.

Questo accorgersi che la coscienza, il sapere, è il mio-sapere-l'essere, consente dal punto di vista logico, ed hagià sviluppato dal punto di vista storico, diverse inter-pretazioni di questo mio-sapere-l'essere.

Queste interpretazioni sono proprie di esso accorgi-mento, sono della riflessione; chè questo mio-sapere-l'essere in concreto rimane qual è, e non muta secondola diversa interpretazione che se ne dà. Se mutasse,quella interpretazione non sarebbe più interpretazione,ma la stessa concretezza di coscienza; si cadrebbe cioènel secondo dei pericoli sopraccennati.

Vediamo queste interpretazioni.

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O si accentua l'essere e lo si riconosce quindi princi-pio (ὰϱχή) di questo mio-sapere-l'essere. A tale accentua-zione si può riportare ogni indirizzo storico della specu-lazione, che si è qualificato come realismo. O invece siaccentua il sapere come principio. A tale accentuazionesi può riportare ogni indirizzo storico della speculazio-ne, che si qualifichi come idealismo.

Dalla insoddisfazione dell'idealismo e del realismo, lariflessione vien portata a mettere in evidenza il “chi”come schietto e vero principio incondizionato, dando atal “chi” colore realistico o idealistico. Però questa in-terpretazione, che può dirsi pluralistica, si riportaall'una o all'altra delle due predette interpretazioni fon-damentali, e diventa o atomismo o monadismo. E perciòfinalmente, constatata l'erroneità di tutte queste interpre-tazioni, diciam così, analitiche, la riflessione se ne liberaponendo come principio proprio tutto questo mio-sapere-l'essere. A questa, dirò, sinteticità del sapere, nel-la sua ingenerabilità proprio come mio-sapere-l'essere,si può riportare ogni indirizzo storico della speculazioneche si qualifichi come ontologismo.

La storia della speculazione ha realizzate queste pos-sibili interpretazioni, che la riflessione filosofica inge-nua (l'accorgimento, cioè, che, nell'accorgersi del sape-re, cerca di prescindere dalla storia che di esso accorgi-mento si è avuta) trova di questo ineliminabile saperecome mio-sapere-l'essere: la storia ha qui, come sempre,il suo fondamento e il suo principio nella logica dellacoscienza.

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O si accentua l'essere e lo si riconosce quindi princi-pio (ὰϱχή) di questo mio-sapere-l'essere. A tale accentua-zione si può riportare ogni indirizzo storico della specu-lazione, che si è qualificato come realismo. O invece siaccentua il sapere come principio. A tale accentuazionesi può riportare ogni indirizzo storico della speculazio-ne, che si qualifichi come idealismo.

Dalla insoddisfazione dell'idealismo e del realismo, lariflessione vien portata a mettere in evidenza il “chi”come schietto e vero principio incondizionato, dando atal “chi” colore realistico o idealistico. Però questa in-terpretazione, che può dirsi pluralistica, si riportaall'una o all'altra delle due predette interpretazioni fon-damentali, e diventa o atomismo o monadismo. E perciòfinalmente, constatata l'erroneità di tutte queste interpre-tazioni, diciam così, analitiche, la riflessione se ne liberaponendo come principio proprio tutto questo mio-sapere-l'essere. A questa, dirò, sinteticità del sapere, nel-la sua ingenerabilità proprio come mio-sapere-l'essere,si può riportare ogni indirizzo storico della speculazioneche si qualifichi come ontologismo.

La storia della speculazione ha realizzate queste pos-sibili interpretazioni, che la riflessione filosofica inge-nua (l'accorgimento, cioè, che, nell'accorgersi del sape-re, cerca di prescindere dalla storia che di esso accorgi-mento si è avuta) trova di questo ineliminabile saperecome mio-sapere-l'essere: la storia ha qui, come sempre,il suo fondamento e il suo principio nella logica dellacoscienza.

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Esaminiamo, nelle loro linee essenziali, queste diver-se interpretazioni, vedendone il valore logico e lo svol-gimento storico.

69. Il realismo.

Il principio, si dice, non può non essere l'essere: pri-ma di sapere e per sapere si è. È istanza della coscienzacomune: che si possa prescindere dall'essere e dalla suaprimordialità, non par neppure pensabile: il pensare (ilsapere in genere) non può, proprio esso stesso, non op-tare per l'essere come immediata ed assoluta condizionedi se stesso.

Questa istanza della coscienza comune ha trovatosempre, nella speculazione storica, la sua vigorosa affer-mazione, dalle primitive scuole ioniche del pensiero el-lenico ai realismi, scaltri od ingenui che siano, insorgen-ti oggi d'ogni parte.

In questa affermazione della primordialità (assolutoprincipio, assoluta indipendenza, ragione della innegabi-lità della coscienza) dell'essere, questo essere quasi sistacca non solo dal “chi” del sapere ma anche dal saperestesso, che par proprio soltanto di quel “chi”, solidifi-candosi in un assurdo qualcosa che possa e debba pre-scindere in modo assoluto dal sapere, in quanto l'essereè incondizionata condizione del sapere.

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Esaminiamo, nelle loro linee essenziali, queste diver-se interpretazioni, vedendone il valore logico e lo svol-gimento storico.

69. Il realismo.

Il principio, si dice, non può non essere l'essere: pri-ma di sapere e per sapere si è. È istanza della coscienzacomune: che si possa prescindere dall'essere e dalla suaprimordialità, non par neppure pensabile: il pensare (ilsapere in genere) non può, proprio esso stesso, non op-tare per l'essere come immediata ed assoluta condizionedi se stesso.

Questa istanza della coscienza comune ha trovatosempre, nella speculazione storica, la sua vigorosa affer-mazione, dalle primitive scuole ioniche del pensiero el-lenico ai realismi, scaltri od ingenui che siano, insorgen-ti oggi d'ogni parte.

In questa affermazione della primordialità (assolutoprincipio, assoluta indipendenza, ragione della innegabi-lità della coscienza) dell'essere, questo essere quasi sistacca non solo dal “chi” del sapere ma anche dal saperestesso, che par proprio soltanto di quel “chi”, solidifi-candosi in un assurdo qualcosa che possa e debba pre-scindere in modo assoluto dal sapere, in quanto l'essereè incondizionata condizione del sapere.

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In questo solidificarsi quel che c'è di valido nella af-fermazione logica ingenua dell'essere, si disperde, el'essere diviene uno stare inattivo, morto, in verità nonessente: staccati dall'essere come non primordiali il“chi” ed il “sapere”, anche l'essere non è più essere per-chè privo della sua attività, e tanto meno è primordiale:è un fittizio residuo di processo astrattivo fatto dal “chi”proprio col suo sapere. Di questa vuota inattiva essenzadell'essere primordiale viene anche riempito il “chi”, ilquale è fatto così un ente, il cui sapere (che gli è pro-prio) diviene anch'esso una inattiva specularità, abban-donata la quale pare venga abbandonato anche il sapere.

E ancor meno, in questa solidificazione dell'essere,viene conservato il valore ingenuo ed ineliminabile delsapere, che diventa un assurdo indicibile. Di questo as-surdo è espressione ingenua il dualismo (spirito, mate-ria), che necessariamente mette capo ad un radicale scet-ticismo, in quanto degli enti stessi spirituali, come diquelli materiali, presuppone un essere che è prima e aldi là del sapere, ed è quindi non saputo nella sua primor-dialità. Di tal conseguente scetticismo, poi, ultima mani-festazione è quella, cui si giunse, quando con una con-cezione, che ha più sapore di barzelletta che di concettoseriamente pensato, si disse tal sapere epifenomeno: sicacciò l'essere (la sostanza) fuori di ogni attività e si ri-dusse quindi l'attività a qualcosa che non è ma soltantoappare, e il sapere (l'attività spirituale) a una ridicola ap-parenza di apparenza.

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In questo solidificarsi quel che c'è di valido nella af-fermazione logica ingenua dell'essere, si disperde, el'essere diviene uno stare inattivo, morto, in verità nonessente: staccati dall'essere come non primordiali il“chi” ed il “sapere”, anche l'essere non è più essere per-chè privo della sua attività, e tanto meno è primordiale:è un fittizio residuo di processo astrattivo fatto dal “chi”proprio col suo sapere. Di questa vuota inattiva essenzadell'essere primordiale viene anche riempito il “chi”, ilquale è fatto così un ente, il cui sapere (che gli è pro-prio) diviene anch'esso una inattiva specularità, abban-donata la quale pare venga abbandonato anche il sapere.

E ancor meno, in questa solidificazione dell'essere,viene conservato il valore ingenuo ed ineliminabile delsapere, che diventa un assurdo indicibile. Di questo as-surdo è espressione ingenua il dualismo (spirito, mate-ria), che necessariamente mette capo ad un radicale scet-ticismo, in quanto degli enti stessi spirituali, come diquelli materiali, presuppone un essere che è prima e aldi là del sapere, ed è quindi non saputo nella sua primor-dialità. Di tal conseguente scetticismo, poi, ultima mani-festazione è quella, cui si giunse, quando con una con-cezione, che ha più sapore di barzelletta che di concettoseriamente pensato, si disse tal sapere epifenomeno: sicacciò l'essere (la sostanza) fuori di ogni attività e si ri-dusse quindi l'attività a qualcosa che non è ma soltantoappare, e il sapere (l'attività spirituale) a una ridicola ap-parenza di apparenza.

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Ammettere la primordialità dell'essere, adunque, nelprocesso storico speculativo ci ha reso inconcepibilel'essere stesso, il chi lo sa, e il sapere. L'ingenua inelimi-nabile esigenza della coscienza è quindi, proprio in gra-zia di quel processo interpretativo, rimasta priva di ognisignificato; l'innegabilità della coscienza è stata ridottaalla negazione della coscienza (assurdo).

70. L'idealismo.

Da questo annullarsi di ogni coscienza nel cosiddettorealismo, l'accorgimento filosofico è spinto a dare aquella stessa esigenza una interpretazione, che pare op-posta alla prima.

Si pone allora come principio non più l'essere, ma ilsapere stesso: è facile infatti constatare, e fu constatatosin dai primordi della speculazione, che ciò che vera-mente consta è il sapere. Si interpreti come si vogliaquesto constare, esso è ineliminabile: l'ammissionedell'essere come primordiale è, tutt'al più, una esigenzache si deduce dal sapere, il quale ci consta; questo dun-que condiziona anche tale primordialità dell'essere; cioèè primordiale tal sapere con le sue esigenze dell'essere enon l'essere stesso.

E storicamente la speculazione a tale interpretazioneè ricorsa sempre nel tempo stesso e in antagonismo allainterpretazione realistica. Ma in questo ricorrere ha con-

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Ammettere la primordialità dell'essere, adunque, nelprocesso storico speculativo ci ha reso inconcepibilel'essere stesso, il chi lo sa, e il sapere. L'ingenua inelimi-nabile esigenza della coscienza è quindi, proprio in gra-zia di quel processo interpretativo, rimasta priva di ognisignificato; l'innegabilità della coscienza è stata ridottaalla negazione della coscienza (assurdo).

70. L'idealismo.

Da questo annullarsi di ogni coscienza nel cosiddettorealismo, l'accorgimento filosofico è spinto a dare aquella stessa esigenza una interpretazione, che pare op-posta alla prima.

Si pone allora come principio non più l'essere, ma ilsapere stesso: è facile infatti constatare, e fu constatatosin dai primordi della speculazione, che ciò che vera-mente consta è il sapere. Si interpreti come si vogliaquesto constare, esso è ineliminabile: l'ammissionedell'essere come primordiale è, tutt'al più, una esigenzache si deduce dal sapere, il quale ci consta; questo dun-que condiziona anche tale primordialità dell'essere; cioèè primordiale tal sapere con le sue esigenze dell'essere enon l'essere stesso.

E storicamente la speculazione a tale interpretazioneè ricorsa sempre nel tempo stesso e in antagonismo allainterpretazione realistica. Ma in questo ricorrere ha con-

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servata, della interpretazione realistica, quella che hodetto solidificazione dell'essere, in base alla quale ap-punto siffatta interpretazione idealistica pare opposta aquella realistica.

Da Platone ad Hegel, attraverso tutte le gamme e lefogge dell'idealismo, sussiste tale interpretazionedell'ineliminabile mio-sapere-l'essere. L'idea di Platoneavrà altri difetti di fronte alla idea di Hegel, ma è nonmeno idealistica di questa nell'affermare la primordialitàdel sapere. E, per converso, l'idea di Hegel suppone nonmeno dell'idea platonica quella realistica solidificazionedell'essere, che, abbiam visto, per troppo affermare laprimordialità dell'essere, lo sopprime.

Anche questa interpretazione così finisce col toglierel'esigenza interpretata, invece di svilupparla e farvela in-tendere.

Da una parte, infatti, l'essere, ineliminabile, nella suaunità di essere, dalla esigenza stessa, prima si duplicacol porre nel sapere un vero essere diverso da un falsoessere che ha le sembianze, e soltanto queste, di esserreale di fronte al primo (platonismo in genere), e poi,per la logica intrinseca a questa duplicazione, si annullaper lasciare pieno il campo al sapere (idealismo tedescopostkantiano).

Dall'altra parte il sapere, proprio in conseguenza diquesto processo di annullamento dell'essere, si affermacome intrinsecamente contraddittorio a cominciare dalladichiarazione tante volte e così variamente ripetuta chequel che veramente si sa è di non sapere, fino alla espli-

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servata, della interpretazione realistica, quella che hodetto solidificazione dell'essere, in base alla quale ap-punto siffatta interpretazione idealistica pare opposta aquella realistica.

Da Platone ad Hegel, attraverso tutte le gamme e lefogge dell'idealismo, sussiste tale interpretazionedell'ineliminabile mio-sapere-l'essere. L'idea di Platoneavrà altri difetti di fronte alla idea di Hegel, ma è nonmeno idealistica di questa nell'affermare la primordialitàdel sapere. E, per converso, l'idea di Hegel suppone nonmeno dell'idea platonica quella realistica solidificazionedell'essere, che, abbiam visto, per troppo affermare laprimordialità dell'essere, lo sopprime.

Anche questa interpretazione così finisce col toglierel'esigenza interpretata, invece di svilupparla e farvela in-tendere.

Da una parte, infatti, l'essere, ineliminabile, nella suaunità di essere, dalla esigenza stessa, prima si duplicacol porre nel sapere un vero essere diverso da un falsoessere che ha le sembianze, e soltanto queste, di esserreale di fronte al primo (platonismo in genere), e poi,per la logica intrinseca a questa duplicazione, si annullaper lasciare pieno il campo al sapere (idealismo tedescopostkantiano).

Dall'altra parte il sapere, proprio in conseguenza diquesto processo di annullamento dell'essere, si affermacome intrinsecamente contraddittorio a cominciare dalladichiarazione tante volte e così variamente ripetuta chequel che veramente si sa è di non sapere, fino alla espli-

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cita dichiarazione della necessità della antitesi dialettica.La coscienza, conquistata l'autocoscienza, diventa, inquesta stessa conquista, negativa: si pone col togliersi. Euna tale autocoscienza – se anche, in campo idealistico,autocoscienza un qualche significato possa avere – nonè coscienza, e tanto meno è espressione della detta esi-genza (mio-sapere-l'essere).

Nè miglior sorte tocca a quel “chi” espresso nel“mio”, quando finisce – e poste le premesse deve finire– con l'assumere quella unicità, che è l'esclusione diquel che significa “mio”, di quel che significa “chi”.

71. Il pluralismo.

Un'altra interpretazione pare possa essere quella cheaccentui il “chi”, ritenendolo la ragione primordialedell'innegabilità della coscienza. Il principio vero, ilvero sostantivo, si fa considerare, che da tale esigenzadella coscienza è indicato senza possibilità di equivoci,è quel “chi”, in cui come in proprio centro si raccoglieessere e sapere: per salti che si facciano, non si va oltredi esso, se non a furia di astrazioni, che inavvertitamen-te ci allontanano dalla esigenza stessa. Riflessione certodi grande valore, e che si è venuta mano mano affinandonel corso storico della speculazione.

Questa interpretazione infatti, nel suo svolgimentostorico, ha prima accettata schiettamente la pluralità

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cita dichiarazione della necessità della antitesi dialettica.La coscienza, conquistata l'autocoscienza, diventa, inquesta stessa conquista, negativa: si pone col togliersi. Euna tale autocoscienza – se anche, in campo idealistico,autocoscienza un qualche significato possa avere – nonè coscienza, e tanto meno è espressione della detta esi-genza (mio-sapere-l'essere).

Nè miglior sorte tocca a quel “chi” espresso nel“mio”, quando finisce – e poste le premesse deve finire– con l'assumere quella unicità, che è l'esclusione diquel che significa “mio”, di quel che significa “chi”.

71. Il pluralismo.

Un'altra interpretazione pare possa essere quella cheaccentui il “chi”, ritenendolo la ragione primordialedell'innegabilità della coscienza. Il principio vero, ilvero sostantivo, si fa considerare, che da tale esigenzadella coscienza è indicato senza possibilità di equivoci,è quel “chi”, in cui come in proprio centro si raccoglieessere e sapere: per salti che si facciano, non si va oltredi esso, se non a furia di astrazioni, che inavvertitamen-te ci allontanano dalla esigenza stessa. Riflessione certodi grande valore, e che si è venuta mano mano affinandonel corso storico della speculazione.

Questa interpretazione infatti, nel suo svolgimentostorico, ha prima accettata schiettamente la pluralità

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come ineliminabile caratteristica del “chi”, e, nell'impli-cito presupposto realistico della solidificazionedell'essere, è finita in un atomismo, che va da quello de-mocriteo a quello dei filosofi fisici del seicento e sette-cento e a quello sempre rinascente, anche se non confes-sato, nelle contemporanee forme di realismo positivisti-co.

Una tale interpretazione storica della primordialità del“chi” finisce senz'altro nell'indirizzo realistico e quindinella inconcepibilità di questo, aggiungendovi l'assurdodi una pluralità assoluta incomunicabile, posta la quale èvano ricercare una qualsiasi unificazione, che è inscindi-bile dalla esigenza da interpretare.

Quando poi questa pluralità viene riconosciuta, daquel suo doversi necessariamente qualificare come qua-lità di “mio” nel sapere (Leibniz), come pluralità spiri-tuale, e il “chi” vien quindi riconosciuto non come ato-mo materiale, ma come monade rappresentativa, si è fat-to certo un gran progresso nell'intendimento di quellaesigenza (monadismo). Ma siccome non si abbandonaquella tacita solidificazione dell'essere del realismo, lemonadi si chiudono ciascuna in sè proprio come gli ato-mi, con l'aggravante che il “chi”, che, come ciascuno, sichiude in sè, quando si riconosce spiritualità e perciòcoscienza, non può ammettere altro oltre questo propriochiudersi e concludersi: confessato o non che sia, colmonadismo ingenuo siamo al solipsismo, che a giustaragione ne è stato storicamente concluso. Il monadismonon si salva dalla inconcepibilità del realismo, se non a

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come ineliminabile caratteristica del “chi”, e, nell'impli-cito presupposto realistico della solidificazionedell'essere, è finita in un atomismo, che va da quello de-mocriteo a quello dei filosofi fisici del seicento e sette-cento e a quello sempre rinascente, anche se non confes-sato, nelle contemporanee forme di realismo positivisti-co.

Una tale interpretazione storica della primordialità del“chi” finisce senz'altro nell'indirizzo realistico e quindinella inconcepibilità di questo, aggiungendovi l'assurdodi una pluralità assoluta incomunicabile, posta la quale èvano ricercare una qualsiasi unificazione, che è inscindi-bile dalla esigenza da interpretare.

Quando poi questa pluralità viene riconosciuta, daquel suo doversi necessariamente qualificare come qua-lità di “mio” nel sapere (Leibniz), come pluralità spiri-tuale, e il “chi” vien quindi riconosciuto non come ato-mo materiale, ma come monade rappresentativa, si è fat-to certo un gran progresso nell'intendimento di quellaesigenza (monadismo). Ma siccome non si abbandonaquella tacita solidificazione dell'essere del realismo, lemonadi si chiudono ciascuna in sè proprio come gli ato-mi, con l'aggravante che il “chi”, che, come ciascuno, sichiude in sè, quando si riconosce spiritualità e perciòcoscienza, non può ammettere altro oltre questo propriochiudersi e concludersi: confessato o non che sia, colmonadismo ingenuo siamo al solipsismo, che a giustaragione ne è stato storicamente concluso. Il monadismonon si salva dalla inconcepibilità del realismo, se non a

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costo di una maggiore assurdità e contraddizione: quelladi riconoscere la pluralità della sostantiva coscienzasoggettiva e pur dover ammettere l'assoluta affermativi-tà di uno solo di questi molti: l'io che afferma.

Nè l'assurdità si supera, se, contaminando il monadi-smo con le esigenze dell'idealismo, si afferma, rinnegan-do la pluralità di coscienza, l'assoluta unicità del “chi”(Spinoza, Fichte: non ci si scandalizzi del ravvicinamen-to); non si supera, perchè si è nella più palese contraddi-zione, ammettendosi nel punto di partenza, come asso-luto principio (il modo pensante Spinoza, il genio filo-sofico Fichte) quella pluralità spirituale che Leibniz eBerkeley videro con chiarezza, e confessando invecequesto assoluto principio come assoluto Unico (Sostan-za spinoziana, Io assoluto fichtiano).

Il “chi”, dunque, posto come principio, o conserva ilcarattere suo plurale, e diventa inconcepibile come prin-cipio; o si cerca di concepire come assoluta unicità, eperde il suo carattere, rinnega se stesso. Sempre poi im-plica o l'interpretazione realistica o quella idealistica,con le loro rispettive incongruenze. Una tale interpreta-zione, adunque, anch'essa, nel suo sviluppo storico fini-sce col sopprimere, anzichè con l'interpretare, l'esigenzainnegabile della coscienza.

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costo di una maggiore assurdità e contraddizione: quelladi riconoscere la pluralità della sostantiva coscienzasoggettiva e pur dover ammettere l'assoluta affermativi-tà di uno solo di questi molti: l'io che afferma.

Nè l'assurdità si supera, se, contaminando il monadi-smo con le esigenze dell'idealismo, si afferma, rinnegan-do la pluralità di coscienza, l'assoluta unicità del “chi”(Spinoza, Fichte: non ci si scandalizzi del ravvicinamen-to); non si supera, perchè si è nella più palese contraddi-zione, ammettendosi nel punto di partenza, come asso-luto principio (il modo pensante Spinoza, il genio filo-sofico Fichte) quella pluralità spirituale che Leibniz eBerkeley videro con chiarezza, e confessando invecequesto assoluto principio come assoluto Unico (Sostan-za spinoziana, Io assoluto fichtiano).

Il “chi”, dunque, posto come principio, o conserva ilcarattere suo plurale, e diventa inconcepibile come prin-cipio; o si cerca di concepire come assoluta unicità, eperde il suo carattere, rinnega se stesso. Sempre poi im-plica o l'interpretazione realistica o quella idealistica,con le loro rispettive incongruenze. Una tale interpreta-zione, adunque, anch'essa, nel suo sviluppo storico fini-sce col sopprimere, anzichè con l'interpretare, l'esigenzainnegabile della coscienza.

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72. L'ontologismo.

È naturale che si pensi quindi, infine, a porre l'esigen-za stessa nella sua integrità come la stessa primordialità,come il vero e proprio principio: l'essere non è scindibi-le dal sapere di colui che sa, e tal sapere non è scindibiledall'essere. L'esigenza non vien interpretata, ma bensìeliminata, quando crediamo di trovare in essa degli ele-menti tali che uno di essi debba esser dichiarato princi-pio di fronte agli altri: da ciò gli assurdi del realismo,dell'idealismo, del pluralismo. Questi sono eliminati tut-ti, quando la esigenza la poniamo primordiale nella suaintegrità. E pare evidente, che non possa farsi altrimenti,se si vuol evitare prima quella solidificazione dell'esseretanto gratuita quanto falsa e negatrice della esigenza dacui viene sviluppata, poi quel contraddittorio vuoto dicoscienza in cui il sapere finisce quando quella solidifi-cazione dell'essere si cerca di evitare, infine quell'ele-varsi del singolo ad assoluto unico, quando da essocome incondizionato si parte.

In fondo tale primordialità di questa esigenza fonda-mentale della coscienza è quella che è stata storicamenteespressa in quell'indirizzo speculativo che si qualificacome ontologismo. Da Parmenide ad Anselmo d'Aosta eCartesio, ai nostri Rosmini e Gioberti, quasi mediatricedei due primi opposti indirizzi suaccennati, si è nellaspeculazione storica sempre affermata questa ammissio-ne dell'essere con la sua primordialità nello stesso sape-re, primordiale anch'esso come l'essere che gli appartie-

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72. L'ontologismo.

È naturale che si pensi quindi, infine, a porre l'esigen-za stessa nella sua integrità come la stessa primordialità,come il vero e proprio principio: l'essere non è scindibi-le dal sapere di colui che sa, e tal sapere non è scindibiledall'essere. L'esigenza non vien interpretata, ma bensìeliminata, quando crediamo di trovare in essa degli ele-menti tali che uno di essi debba esser dichiarato princi-pio di fronte agli altri: da ciò gli assurdi del realismo,dell'idealismo, del pluralismo. Questi sono eliminati tut-ti, quando la esigenza la poniamo primordiale nella suaintegrità. E pare evidente, che non possa farsi altrimenti,se si vuol evitare prima quella solidificazione dell'esseretanto gratuita quanto falsa e negatrice della esigenza dacui viene sviluppata, poi quel contraddittorio vuoto dicoscienza in cui il sapere finisce quando quella solidifi-cazione dell'essere si cerca di evitare, infine quell'ele-varsi del singolo ad assoluto unico, quando da essocome incondizionato si parte.

In fondo tale primordialità di questa esigenza fonda-mentale della coscienza è quella che è stata storicamenteespressa in quell'indirizzo speculativo che si qualificacome ontologismo. Da Parmenide ad Anselmo d'Aosta eCartesio, ai nostri Rosmini e Gioberti, quasi mediatricedei due primi opposti indirizzi suaccennati, si è nellaspeculazione storica sempre affermata questa ammissio-ne dell'essere con la sua primordialità nello stesso sape-re, primordiale anch'esso come l'essere che gli appartie-

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ne, e a cui appartiene. Il famoso argomento ontologico,nella sua essenza di dedurre l'essere dal puro sapere, è lachiara espressione di tale indirizzo metafisico, ed èquindi non soltanto soluzione di un determinato proble-ma, ma principio fondamentale, inesplicato nella massi-ma parte, di tutta una concezione metafisica, quella cheio qui dico ontologismo. Questo quindi non è da confon-dere con quella pretesa parte della filosofia, che vogliaproprio dar ragione dell'essere come tale, indipendente-mente dalla coscienza che se ne abbia. Una tale ontolo-gia è proprio la negazione dell'ontologismo metafisico,che necessariamente richiede, anche se non espressaesplicitamente, la primordialità della detta esigenza dicoscienza.

Nell'affermazione storica di tale interpretazione peròè avvenuto, che quella tale solidificazione realisticadell'essere, che abbiam visto insinuarsi anche nella op-posta interpretazione idealistica e in quella pluralistica,si è insinuata anche nella mediatrice concezione ontolo-gica, con la quale si è quindi preteso di salire aquell'essere, estraneo alla coscienza in quanto esistere,proprio in nome e per una esigenza della coscienza. Ainegatori dell'ontologismo non poteva quindi esser diffi-cile mostrare questa evidente incongruenza: l'essere, se,in quanto tale, è estraneo alla coscienza, deve avere unsuo proprio modo di farsi valere, deve avere una suapropria primordialità, costrittiva se mai della coscienza,e non conseguente a questa.

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ne, e a cui appartiene. Il famoso argomento ontologico,nella sua essenza di dedurre l'essere dal puro sapere, è lachiara espressione di tale indirizzo metafisico, ed èquindi non soltanto soluzione di un determinato proble-ma, ma principio fondamentale, inesplicato nella massi-ma parte, di tutta una concezione metafisica, quella cheio qui dico ontologismo. Questo quindi non è da confon-dere con quella pretesa parte della filosofia, che vogliaproprio dar ragione dell'essere come tale, indipendente-mente dalla coscienza che se ne abbia. Una tale ontolo-gia è proprio la negazione dell'ontologismo metafisico,che necessariamente richiede, anche se non espressaesplicitamente, la primordialità della detta esigenza dicoscienza.

Nell'affermazione storica di tale interpretazione peròè avvenuto, che quella tale solidificazione realisticadell'essere, che abbiam visto insinuarsi anche nella op-posta interpretazione idealistica e in quella pluralistica,si è insinuata anche nella mediatrice concezione ontolo-gica, con la quale si è quindi preteso di salire aquell'essere, estraneo alla coscienza in quanto esistere,proprio in nome e per una esigenza della coscienza. Ainegatori dell'ontologismo non poteva quindi esser diffi-cile mostrare questa evidente incongruenza: l'essere, se,in quanto tale, è estraneo alla coscienza, deve avere unsuo proprio modo di farsi valere, deve avere una suapropria primordialità, costrittiva se mai della coscienza,e non conseguente a questa.

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Con questa salita all'essere, concepito come prima,più, ed altro che coscienza, l'ontologismo storico finiscenel realismo con una incongruenza in più: a quella ridu-zione all'assurdo dell'essere, del sapere e di colui che sa,propria del realismo, va aggiunta questa palese millante-ria della coscienza, che l'ontologismo storico ha comesuo carattere distintivo.

73. Difficoltà dell'accorgimento filosofico.

Sono così esaurite le possibilità logiche di interpreta-zione della esigenza di coscienza, almeno nella forma incui l'abbiamo espressa. E lo sviluppo storico di esse ciobbliga a concludere, che, mentre senza quella esigenzanon c'è coscienza, non appena ci facciamo ad interpreta-re, cioè a dare un significato a quella esigenza, ci invol-giamo in difficoltà che portano l'esigenza stessaall'assurdo, cioè all'annullamento di quella coscienza, laquale perciò, proprio in nome della esigenza stessa, ci faa sua volta constatare l'assurdo ed eliminare la data in-terpretazione.

E dando valore definitivo a questa constatazione, do-vremmo concludere che la colpa di questo assurdo a cuinoi filosofando poniamo capo, è tutta di questo filosofa-re, cioè (§ 67) di questo accorgimento, che ci pone nellanecessità di dare una interpretazione a quella esigenza,laddove la coscienza per attuarsi, con la sua esigenza,

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Con questa salita all'essere, concepito come prima,più, ed altro che coscienza, l'ontologismo storico finiscenel realismo con una incongruenza in più: a quella ridu-zione all'assurdo dell'essere, del sapere e di colui che sa,propria del realismo, va aggiunta questa palese millante-ria della coscienza, che l'ontologismo storico ha comesuo carattere distintivo.

73. Difficoltà dell'accorgimento filosofico.

Sono così esaurite le possibilità logiche di interpreta-zione della esigenza di coscienza, almeno nella forma incui l'abbiamo espressa. E lo sviluppo storico di esse ciobbliga a concludere, che, mentre senza quella esigenzanon c'è coscienza, non appena ci facciamo ad interpreta-re, cioè a dare un significato a quella esigenza, ci invol-giamo in difficoltà che portano l'esigenza stessaall'assurdo, cioè all'annullamento di quella coscienza, laquale perciò, proprio in nome della esigenza stessa, ci faa sua volta constatare l'assurdo ed eliminare la data in-terpretazione.

E dando valore definitivo a questa constatazione, do-vremmo concludere che la colpa di questo assurdo a cuinoi filosofando poniamo capo, è tutta di questo filosofa-re, cioè (§ 67) di questo accorgimento, che ci pone nellanecessità di dare una interpretazione a quella esigenza,laddove la coscienza per attuarsi, con la sua esigenza,

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anche nelle più alte manifestazioni sue di scienza, diarte, di politica, non ha bisogno che quella esigenza siainterpretata. Il filosofare, se veramente consiste, comedicemmo, nell'accorgimento della esigenza della co-scienza, è dunque un compito superfluo, inattuabile, chemanifesta questa sua inattuabilità col portare la coscien-za al suo annullamento: annullamento impossibile, che èinvece indizio manifesto della nullità dell'opera che por-ta a tale annullamento. E, se crediamo di salvare la filo-sofia ritenendo essenziale antinomismo quei parziali as-surdi storici, e riducendo la coscienza concreta a tale an-tinomismo, in realtà non facciamo che da una parte ca-dere nel secondo dei pericoli sopra denunziati (§ 67)dell'accorgimento filosofico, falsificando insieme e filo-sofia e coscienza concreta in questa essenza o atto unicodi antinomicità, e dall'altra dover ugualmente rinunziarealla filosofia per la coscienza concreta, con cui la si èidentificata.

Su questi motivi sorge e risorge sempre d'ogni parte,intorno alla filosofia, il grido antifilosofico, sia esso reli-gioso, scientifico, estetico, etico, del senso comune, ecc.E a questo grido di tempo in tempo si accomuna unaqualche voce filosofica o pseudo-filosofica in una auto-denunzia accorata o burlesca secondo lo spirito di coluiche la personifica.

Ciò non ostante, l'accorgimento rimane: dialettica na-turale (Kant) dell'umana ragione in quanto umana o al-tro che esso sia, esso rimane, al di là di ogni grido antifi-losofico interno ed esterno, a render nell'uomo più pro-

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anche nelle più alte manifestazioni sue di scienza, diarte, di politica, non ha bisogno che quella esigenza siainterpretata. Il filosofare, se veramente consiste, comedicemmo, nell'accorgimento della esigenza della co-scienza, è dunque un compito superfluo, inattuabile, chemanifesta questa sua inattuabilità col portare la coscien-za al suo annullamento: annullamento impossibile, che èinvece indizio manifesto della nullità dell'opera che por-ta a tale annullamento. E, se crediamo di salvare la filo-sofia ritenendo essenziale antinomismo quei parziali as-surdi storici, e riducendo la coscienza concreta a tale an-tinomismo, in realtà non facciamo che da una parte ca-dere nel secondo dei pericoli sopra denunziati (§ 67)dell'accorgimento filosofico, falsificando insieme e filo-sofia e coscienza concreta in questa essenza o atto unicodi antinomicità, e dall'altra dover ugualmente rinunziarealla filosofia per la coscienza concreta, con cui la si èidentificata.

Su questi motivi sorge e risorge sempre d'ogni parte,intorno alla filosofia, il grido antifilosofico, sia esso reli-gioso, scientifico, estetico, etico, del senso comune, ecc.E a questo grido di tempo in tempo si accomuna unaqualche voce filosofica o pseudo-filosofica in una auto-denunzia accorata o burlesca secondo lo spirito di coluiche la personifica.

Ciò non ostante, l'accorgimento rimane: dialettica na-turale (Kant) dell'umana ragione in quanto umana o al-tro che esso sia, esso rimane, al di là di ogni grido antifi-losofico interno ed esterno, a render nell'uomo più pro-

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fonda e quindi più ampia nella sua attualità quella esi-genza di coscienza. La filosofia non è nè un assurdo,che tenti turbare o annullare la coscienza concreta (scet-ticismo), nè una serie di antitesi, che riduca a queste an-che la coscienza concreta (dialettismo antinomico). Lesingole posizioni assurde, in cui essa cade, manifestanosoltanto che la coscienza esplicita umana è sempre lon-tana dall'esaurire, con l'esplicazione sua, la coscienzaimplicita, cioè quella vissuta esigenza, e richiede sem-pre una continua revisione dei concetti che interpretanoquella esigenza (critica del concreto). Vivere quella esi-genza, cioè essere spiritualità, è qualcosa ben più cherenderla esplicita con la nostra umana riflessione, laquale peraltro, sola, nel suo sforzo, fa gli uomini accortidi quella spiritualità.

L'accorgimento, dunque, non va abbandonato, nè èpossibile mai che abbandonato sia.

74. L'errore dello gnoseologismo postkantiano.

Se non è possibile abbandonare l'accorgimento, biso-gna cercar di superare l'assurdo, dinanzi al quale gli svi-luppi storici delle interpretazioni logiche ci hanno con-dotto. La presenza di tale assurdo nello sviluppo storicodi una interpretazione logica non elimina la necessità diuna fondazione logica (intendo fondazione che si risolvanella esigenza stessa della coscienza indipendentemente

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fonda e quindi più ampia nella sua attualità quella esi-genza di coscienza. La filosofia non è nè un assurdo,che tenti turbare o annullare la coscienza concreta (scet-ticismo), nè una serie di antitesi, che riduca a queste an-che la coscienza concreta (dialettismo antinomico). Lesingole posizioni assurde, in cui essa cade, manifestanosoltanto che la coscienza esplicita umana è sempre lon-tana dall'esaurire, con l'esplicazione sua, la coscienzaimplicita, cioè quella vissuta esigenza, e richiede sem-pre una continua revisione dei concetti che interpretanoquella esigenza (critica del concreto). Vivere quella esi-genza, cioè essere spiritualità, è qualcosa ben più cherenderla esplicita con la nostra umana riflessione, laquale peraltro, sola, nel suo sforzo, fa gli uomini accortidi quella spiritualità.

L'accorgimento, dunque, non va abbandonato, nè èpossibile mai che abbandonato sia.

74. L'errore dello gnoseologismo postkantiano.

Se non è possibile abbandonare l'accorgimento, biso-gna cercar di superare l'assurdo, dinanzi al quale gli svi-luppi storici delle interpretazioni logiche ci hanno con-dotto. La presenza di tale assurdo nello sviluppo storicodi una interpretazione logica non elimina la necessità diuna fondazione logica (intendo fondazione che si risolvanella esigenza stessa della coscienza indipendentemente

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dal suo sviluppo storico), senza la quale è impossibileogni sviluppo storico: la logica dunque (coscienzaapriori) a fondamento della storia e non viceversa; logi-ca, che è tutt'altro che astratta: è l'essenza intima dellastoria stessa.

Di questa storia della speculazione bisogna manmano scoprire la deficienza e correggerla: solo così lastoria della speculazione progredisce; solo così (e noncon la dialettica antitetica e cioè col gratuito autorinne-garsi della storia, che è conseguenza necessaria dellasoppressione della fondazione logica della storia) losvolgersi della filosofia si concilia con la sua innegabileperennità.

Ora fino a Kant l'inavvertito errore fondamentale del-la filosofia era l'affermazione della possibilità di una on-tologia indipendente dalla gnoseologia. La scoperta kan-tiana, il suo copernicanesimo, è la denunzia di questoerrore. Kant scoprì e corresse l'errore del dogmatismometafisico.

Lo scoprì con la critica della conoscenza. Ma comeconseguenza si affermò, dopo Kant, il chiudersi rigorosodella filosofia nella conoscenza stessa kantianamenteconcepita. L'ontologia scomparve e scomparve così nonsoltanto la metafisica dogmatica ma ogni metafisica.Scomparso l'essere dell'ontologia precritica, la filosofiadivenne non più dell'essere, ma del conoscere. Questadivenne l'esigenza del filosofare: si conobbe il conosce-re, si divenne trascendentali. In questa trascendentalitàconoscitiva, o, meglio, in questa conoscenza trascenden-

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dal suo sviluppo storico), senza la quale è impossibileogni sviluppo storico: la logica dunque (coscienzaapriori) a fondamento della storia e non viceversa; logi-ca, che è tutt'altro che astratta: è l'essenza intima dellastoria stessa.

Di questa storia della speculazione bisogna manmano scoprire la deficienza e correggerla: solo così lastoria della speculazione progredisce; solo così (e noncon la dialettica antitetica e cioè col gratuito autorinne-garsi della storia, che è conseguenza necessaria dellasoppressione della fondazione logica della storia) losvolgersi della filosofia si concilia con la sua innegabileperennità.

Ora fino a Kant l'inavvertito errore fondamentale del-la filosofia era l'affermazione della possibilità di una on-tologia indipendente dalla gnoseologia. La scoperta kan-tiana, il suo copernicanesimo, è la denunzia di questoerrore. Kant scoprì e corresse l'errore del dogmatismometafisico.

Lo scoprì con la critica della conoscenza. Ma comeconseguenza si affermò, dopo Kant, il chiudersi rigorosodella filosofia nella conoscenza stessa kantianamenteconcepita. L'ontologia scomparve e scomparve così nonsoltanto la metafisica dogmatica ma ogni metafisica.Scomparso l'essere dell'ontologia precritica, la filosofiadivenne non più dell'essere, ma del conoscere. Questadivenne l'esigenza del filosofare: si conobbe il conosce-re, si divenne trascendentali. In questa trascendentalitàconoscitiva, o, meglio, in questa conoscenza trascenden-

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tale si risolve ogni speculazione post-kantiana degna diquesto nome: si crede di avere a fondamento la conqui-sta kantiana nella sua irrefutabilità.

La conquista kantiana invece così non è stata prose-guita; è stata tradita ed abbandonata: l'errore realistico,denunziato da Kant, è continuato, non ostante la decisaaffermazione idealistica. L'errore realistico infatti si an-nida nel concetto di conoscenza, della quale Kant istituìla critica (cioè l'esame della possibilità), concetto cheegli acriticamente prese dalla filosofia tradizionale delsuo tempo. Questo concetto, prima della critica, consen-tiva e richiedeva una impossibile ontologia dogmatica,perchè conoscenza era ritenuta un misterioso potere percui il soggetto di coscienza afferma l'essere come esi-stente, appunto perchè essere, al di là della coscienzache se ne ha. È un concetto di conoscenza che nega lasopra illustrata esigenza di coscienza: è il concetto reali-stico di conoscenza. Or questo non è corretto ma confer-mato dall'idealismo post-kantiano, quando, chiudendosirigorosamente nel conoscere, dimostra che l'essere cometale non è altro che la negazione che il soggetto stesso dicoscienza fa di sè per porsi come essere (non io). L'erro-re è confermato, perchè tal deduzione è tratta proprio daquel concetto.

E perciò ogni gnoseologismo, che nasce dal trascen-dentalismo critico, qualunque sia l'etichetta (relativismo,positivismo critico, idealismo) che esteriormente essoassuma, anche quando è in antitesi col realismo, non neè mai la correzione.

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tale si risolve ogni speculazione post-kantiana degna diquesto nome: si crede di avere a fondamento la conqui-sta kantiana nella sua irrefutabilità.

La conquista kantiana invece così non è stata prose-guita; è stata tradita ed abbandonata: l'errore realistico,denunziato da Kant, è continuato, non ostante la decisaaffermazione idealistica. L'errore realistico infatti si an-nida nel concetto di conoscenza, della quale Kant istituìla critica (cioè l'esame della possibilità), concetto cheegli acriticamente prese dalla filosofia tradizionale delsuo tempo. Questo concetto, prima della critica, consen-tiva e richiedeva una impossibile ontologia dogmatica,perchè conoscenza era ritenuta un misterioso potere percui il soggetto di coscienza afferma l'essere come esi-stente, appunto perchè essere, al di là della coscienzache se ne ha. È un concetto di conoscenza che nega lasopra illustrata esigenza di coscienza: è il concetto reali-stico di conoscenza. Or questo non è corretto ma confer-mato dall'idealismo post-kantiano, quando, chiudendosirigorosamente nel conoscere, dimostra che l'essere cometale non è altro che la negazione che il soggetto stesso dicoscienza fa di sè per porsi come essere (non io). L'erro-re è confermato, perchè tal deduzione è tratta proprio daquel concetto.

E perciò ogni gnoseologismo, che nasce dal trascen-dentalismo critico, qualunque sia l'etichetta (relativismo,positivismo critico, idealismo) che esteriormente essoassuma, anche quando è in antitesi col realismo, non neè mai la correzione.

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Nè, a salvarsi da questo gnoseologismo, vale rifugiar-si, come i più scaltriti indirizzi e pensatori odierni fan-no, in un attivismo negatore di ogni conoscenza: il rime-dio è peggiore del male, ed è anch'esso una conseguenzadella mancata correzione del concetto realistico di cono-scenza, che è ancora alla base di ogni speculazione.L'intellettiva necessaria conoscenza non è risolubile nel-la volitiva attività finale: l'annullar l'una nell'altra è an-cora un indizio della conservazione del concetto realisti-co di conoscenza. La cosiddetta filosofia del conoscereadunque, in cui si è voluta riassumere tutta la filosofiamoderna, bisogna che diventi puramente e semplice-mente filosofia, com'era prima della scoperta kantiana inquanto vera filosofia era. Se si vuole proseguire Kant etener fede alla sua denunzia dell'errore realistico, devesicorreggere in conformità della illustrata esigenza di co-scienza il concetto stesso di conoscenza. Questa corre-zione riapre la via all'ontologismo eliminando l'assurdoin cui è caduto lo sviluppo storico di esso.

75. La nuova Critica.

Ma è possibile salvare questa integrità della esigenzadi coscienza, salvare, cioè lo schietto ontologismo? Èpossibile chiudere l'interpretazione ontologica più rigo-rosamente di quanto finora si sia fatto in tutto il proces-so storico della filosofia, in quell'assoluta inscindibilità

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Nè, a salvarsi da questo gnoseologismo, vale rifugiar-si, come i più scaltriti indirizzi e pensatori odierni fan-no, in un attivismo negatore di ogni conoscenza: il rime-dio è peggiore del male, ed è anch'esso una conseguenzadella mancata correzione del concetto realistico di cono-scenza, che è ancora alla base di ogni speculazione.L'intellettiva necessaria conoscenza non è risolubile nel-la volitiva attività finale: l'annullar l'una nell'altra è an-cora un indizio della conservazione del concetto realisti-co di conoscenza. La cosiddetta filosofia del conoscereadunque, in cui si è voluta riassumere tutta la filosofiamoderna, bisogna che diventi puramente e semplice-mente filosofia, com'era prima della scoperta kantiana inquanto vera filosofia era. Se si vuole proseguire Kant etener fede alla sua denunzia dell'errore realistico, devesicorreggere in conformità della illustrata esigenza di co-scienza il concetto stesso di conoscenza. Questa corre-zione riapre la via all'ontologismo eliminando l'assurdoin cui è caduto lo sviluppo storico di esso.

75. La nuova Critica.

Ma è possibile salvare questa integrità della esigenzadi coscienza, salvare, cioè lo schietto ontologismo? Èpossibile chiudere l'interpretazione ontologica più rigo-rosamente di quanto finora si sia fatto in tutto il proces-so storico della filosofia, in quell'assoluta inscindibilità

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della esigenza di coscienza, inscindibilità che abbiamvisto costituire la caratteristica propria di essa interpre-tazione?

Tale possibilità c'è già, in germe, nella kantiana cosain sè positivamente pensabile e da pensare (noumeno)anche se inconoscibile. Ma perchè essa si sviluppi, biso-gna che la critica sia non più soltanto della conoscenza odi altra determinata forma della coscienza, ma dellostesso essere, che, per essere concreto (e cioè integraleessere che è), non può essere scisso dalla coscienza, del-la quale, quindi, nella sua integrità si fa la critica, quan-do si fa la critica del concreto.

Solo questa, abbandonato il concetto realistico di co-noscenza e determinato il valore di questa come una for-ma della coscienza, pone in evidenza la necessaria sog-gettività ed oggettività, in solido, della concretezza.L'andar ancora pensando, in campo filosofico, soggettida una parte ed oggetti dall'altra, o il chiudersi in unaimprescindibile ed insuperabile soggettività è indizioche non si è raggiunta, con la propria riflessione, la con-cretezza. Raggiunta questa, il primordiale e immanenteatteggiamento del filosofare è quello critico, che garen-tisce l'oggettività raggiunta con i concetti filosofici mer-cè l'intrinseca capacità di questi a correggere i presuppo-sti impliciti che risultino incoerenti. La filosofia ridiven-ta metafisica senza cacciar dal suo seno la critica, anziponendola come necessario suo momento preliminare:la filosofia trascendentale si riconosce solo come mo-

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della esigenza di coscienza, inscindibilità che abbiamvisto costituire la caratteristica propria di essa interpre-tazione?

Tale possibilità c'è già, in germe, nella kantiana cosain sè positivamente pensabile e da pensare (noumeno)anche se inconoscibile. Ma perchè essa si sviluppi, biso-gna che la critica sia non più soltanto della conoscenza odi altra determinata forma della coscienza, ma dellostesso essere, che, per essere concreto (e cioè integraleessere che è), non può essere scisso dalla coscienza, del-la quale, quindi, nella sua integrità si fa la critica, quan-do si fa la critica del concreto.

Solo questa, abbandonato il concetto realistico di co-noscenza e determinato il valore di questa come una for-ma della coscienza, pone in evidenza la necessaria sog-gettività ed oggettività, in solido, della concretezza.L'andar ancora pensando, in campo filosofico, soggettida una parte ed oggetti dall'altra, o il chiudersi in unaimprescindibile ed insuperabile soggettività è indizioche non si è raggiunta, con la propria riflessione, la con-cretezza. Raggiunta questa, il primordiale e immanenteatteggiamento del filosofare è quello critico, che garen-tisce l'oggettività raggiunta con i concetti filosofici mer-cè l'intrinseca capacità di questi a correggere i presuppo-sti impliciti che risultino incoerenti. La filosofia ridiven-ta metafisica senza cacciar dal suo seno la critica, anziponendola come necessario suo momento preliminare:la filosofia trascendentale si riconosce solo come mo-

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mento della filosofia, la quale solo così non si esauriscein se stessa.

76. L'ontologismo radicale.

L'ontologismo così raggiunto si libera di quella soli-dificazione realistica dell'essere, che lo portava all'assur-do.

Per essere nell'essere, più semplicemente per essere,non c'è bisogno di uscire dal sapere; per sapere non c'èbisogno di un'attività che non sia lo stesso essere. Cioè:l'essere è spiritualità.

Questa è la conseguenza, che finora non fu avvertita,della scoperta kantiana della possibilità della conoscen-za; possibilità, che richiede la concretezza della coscien-za, come vedesi quando dalla critica della scienza (criti-ca della ragion pura, kantiana), abbandonato il concettorealistico di conoscenza, si sale alla critica della co-scienza concreta17.

17 Si veda al riguardo una mia comunicazione all'ottavo con-gresso internazionale di filosofia tenuto a Praga: «Dalla criticadella scienza (ragion pura) alla critica del concreto» in «Actes»...Prague, 1936, p. 744-750. Mi permetto di citarla, perchè credonon se ne sappia l'esistenza. Che agli altri miei lavori precedenti,storici e teoretici, ci sia frequente, tacito riferimento, non è forsesuperfluo avvertire. I principali sono indicati nella prefazione delmio Problema teologico..., Firenze, Sansoni, 1931.

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mento della filosofia, la quale solo così non si esauriscein se stessa.

76. L'ontologismo radicale.

L'ontologismo così raggiunto si libera di quella soli-dificazione realistica dell'essere, che lo portava all'assur-do.

Per essere nell'essere, più semplicemente per essere,non c'è bisogno di uscire dal sapere; per sapere non c'èbisogno di un'attività che non sia lo stesso essere. Cioè:l'essere è spiritualità.

Questa è la conseguenza, che finora non fu avvertita,della scoperta kantiana della possibilità della conoscen-za; possibilità, che richiede la concretezza della coscien-za, come vedesi quando dalla critica della scienza (criti-ca della ragion pura, kantiana), abbandonato il concettorealistico di conoscenza, si sale alla critica della co-scienza concreta17.

17 Si veda al riguardo una mia comunicazione all'ottavo con-gresso internazionale di filosofia tenuto a Praga: «Dalla criticadella scienza (ragion pura) alla critica del concreto» in «Actes»...Prague, 1936, p. 744-750. Mi permetto di citarla, perchè credonon se ne sappia l'esistenza. Che agli altri miei lavori precedenti,storici e teoretici, ci sia frequente, tacito riferimento, non è forsesuperfluo avvertire. I principali sono indicati nella prefazione delmio Problema teologico..., Firenze, Sansoni, 1931.

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Con quest'ultima, poi, dal dualismo non unificabile disapere e di essere, dualismo che è caratteristica, consa-pevole, del realismo, e, inconsapevole, dell'idealismo, sisale a quella individuazione di coscienza, che ci dà ra-gione della genesi di quel dualismo, ma lo elimina sod-disfacendo, in maniera non contraddittoria, l'esigenza,cui esso soddisfaceva cadendo nell'assurdo.

Quel dualismo, non parrebbe vero, è nato proprio dal-la esigenza intrinseca alla coscienza come tale, quelladel dover esserci in essa un “chi” di coscienza un “qual-che cosa” di coscienza. Separato violentemente ed arbi-trariamente (non ce ne n'è proprio ragione alcuna) il“qualche cosa” dalla coscienza e ritenuto così essere,tale essere è stato creduto estraneo alla coscienza. Di ri-flesso il “chi”, rimasto, in detta esigenza della coscien-za, a stretto contatto del sapere, si è identificato conquesto in modo che si è quasi creduto spoglio diquell'essere; e giustamente, dal momento che quell'esse-re era stato reso estraneo alla coscienza stessa. A questo“chi” identificato con la coscienza è stato dato, nella fi-losofia moderna, nome e valore di soggetto; a quel“qualche cosa” estraniato dalla coscienza è stato dato in-vece nome e valore di oggetto. Così il dualismo di sape-re ed essere quasi si ipostatizzò, nella filosofia moderna,in tal soggetto che in quanto coscienza non è, ed in taloggetto che in quanto essere non sa: il soggetto sa,l'oggetto è.

L'introduzione di questa determinazione del saperecome soggettività e dell'essere come oggettività, chiari-

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Con quest'ultima, poi, dal dualismo non unificabile disapere e di essere, dualismo che è caratteristica, consa-pevole, del realismo, e, inconsapevole, dell'idealismo, sisale a quella individuazione di coscienza, che ci dà ra-gione della genesi di quel dualismo, ma lo elimina sod-disfacendo, in maniera non contraddittoria, l'esigenza,cui esso soddisfaceva cadendo nell'assurdo.

Quel dualismo, non parrebbe vero, è nato proprio dal-la esigenza intrinseca alla coscienza come tale, quelladel dover esserci in essa un “chi” di coscienza un “qual-che cosa” di coscienza. Separato violentemente ed arbi-trariamente (non ce ne n'è proprio ragione alcuna) il“qualche cosa” dalla coscienza e ritenuto così essere,tale essere è stato creduto estraneo alla coscienza. Di ri-flesso il “chi”, rimasto, in detta esigenza della coscien-za, a stretto contatto del sapere, si è identificato conquesto in modo che si è quasi creduto spoglio diquell'essere; e giustamente, dal momento che quell'esse-re era stato reso estraneo alla coscienza stessa. A questo“chi” identificato con la coscienza è stato dato, nella fi-losofia moderna, nome e valore di soggetto; a quel“qualche cosa” estraniato dalla coscienza è stato dato in-vece nome e valore di oggetto. Così il dualismo di sape-re ed essere quasi si ipostatizzò, nella filosofia moderna,in tal soggetto che in quanto coscienza non è, ed in taloggetto che in quanto essere non sa: il soggetto sa,l'oggetto è.

L'introduzione di questa determinazione del saperecome soggettività e dell'essere come oggettività, chiari-

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tasi dopo Kant specialmente per opera di Fichte e pelsuo deciso opporre l'egoità critica alla spinoziana so-stanzialità dogmatica della cosa, è falsa nel privare diessere il soggetto e di coscienza l'oggetto; ma ha il suointrinseco grande valore nel mettere in evidenza i termi-ni, dai quali l'esigenza di coscienza, che stiamo esami-nando, non può prescindere. Ed abbandonando la falsitàe conservando il valore, si constata, d'accordo con la co-scienza comune che non è niente affatto realistica, chela soggettività è la plurale singolarità di coscienzaespressa nel “chi”, la quale è la vera e propria egoità, el'oggettività invece è l'unicità della coscienza stessa, laquale è la vera e propria inseità.

Coscienza, che ci dà l'essenza dell'essere, il quale per-ciò si individua: il “chi” non resta priva di essere; il“qualche cosa” non resta privo di coscienza. L'egoità,contro il parere di Fichte e dei contemporanei risuscita-tori del suo Io assoluto, non è mai, in quanto tale, asso-luta: è la stessa relatività (che non vuol dire affatto em-piricità contingente). L'inseità, come Spinoza vide rima-nendo così al disopra di Fichte, non è mai, in quantotale, egoità: è la stessa assolutezza (irrelatività, non alte-rità).

Ridotto così l'ontologismo al suo schietto carattere,l'essere non ha più bisogno di esser colto al di là dellacoscienza pur in nome di una esigenza della coscienza,il sapere non ha più bisogno di ridursi a non essere pro-prio per affermare l'essere. L'idea ontologica deve esse-re, è, ontologica per davvero; e solo così può argomen-

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tasi dopo Kant specialmente per opera di Fichte e pelsuo deciso opporre l'egoità critica alla spinoziana so-stanzialità dogmatica della cosa, è falsa nel privare diessere il soggetto e di coscienza l'oggetto; ma ha il suointrinseco grande valore nel mettere in evidenza i termi-ni, dai quali l'esigenza di coscienza, che stiamo esami-nando, non può prescindere. Ed abbandonando la falsitàe conservando il valore, si constata, d'accordo con la co-scienza comune che non è niente affatto realistica, chela soggettività è la plurale singolarità di coscienzaespressa nel “chi”, la quale è la vera e propria egoità, el'oggettività invece è l'unicità della coscienza stessa, laquale è la vera e propria inseità.

Coscienza, che ci dà l'essenza dell'essere, il quale per-ciò si individua: il “chi” non resta priva di essere; il“qualche cosa” non resta privo di coscienza. L'egoità,contro il parere di Fichte e dei contemporanei risuscita-tori del suo Io assoluto, non è mai, in quanto tale, asso-luta: è la stessa relatività (che non vuol dire affatto em-piricità contingente). L'inseità, come Spinoza vide rima-nendo così al disopra di Fichte, non è mai, in quantotale, egoità: è la stessa assolutezza (irrelatività, non alte-rità).

Ridotto così l'ontologismo al suo schietto carattere,l'essere non ha più bisogno di esser colto al di là dellacoscienza pur in nome di una esigenza della coscienza,il sapere non ha più bisogno di ridursi a non essere pro-prio per affermare l'essere. L'idea ontologica deve esse-re, è, ontologica per davvero; e solo così può argomen-

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tare l'argomento che da essa parte. Questo perciò deveconcludere all'assolutezza di essa, e non, come falsa-mente fu fatto finora, compreso lo stesso Hegel, alla esi-stenza di essa, la quale, nella sua propria esistenza, nonsarebbe più l'Assoluto.

In tal modo l'esigenza di coscienza è ontologica pro-prio come esigenza di coscienza; è quindi la stessa esi-genza dell'essere, la quale si sostanzia proprio nel sape-re: l'essere, cioè, è spirito e non materia, la quale, se nonè pura e schietta negazione, come fu riconosciuto sin daiprimordi della speculazione, è tutt'al più fenomenica.

Si soddisfa così un'altra sempre riaffacciantesi esigen-za, quella del vero e proprio spiritualismo, che Leibnizebbe il merito di affermare con esplicito vigore e chia-rezza; esigenza, per la quale il “chi”, per essere coscien-za, non ha bisogno di rinunziare ad essere un ente. E sisoddisfa d'altra parte una esigenza, che par opposta, riaf-facciantesi pur essa sempre, per la quale si riconosce alsoggetto, pur nella singolarità sua, il diritto alla afferma-zione dell'essere nella sua universalità, quando la co-scienza si chiude nella sua rigorosa purezza di coscien-za.

L'essenziale è che ci si persuada che il sapere sostan-zia l'essere.

L'errore originario, per cui il “qualche cosa” empiricosi era solidificato in essere assoluto, ci aveva quasi tra-scinati, senza che noi ce ne accorgessimo, a non ritener-ci enti pel semplice fatto che eravamo consapevoli. Lad-dove doveva avvenire proprio il contrario: che doveva-

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tare l'argomento che da essa parte. Questo perciò deveconcludere all'assolutezza di essa, e non, come falsa-mente fu fatto finora, compreso lo stesso Hegel, alla esi-stenza di essa, la quale, nella sua propria esistenza, nonsarebbe più l'Assoluto.

In tal modo l'esigenza di coscienza è ontologica pro-prio come esigenza di coscienza; è quindi la stessa esi-genza dell'essere, la quale si sostanzia proprio nel sape-re: l'essere, cioè, è spirito e non materia, la quale, se nonè pura e schietta negazione, come fu riconosciuto sin daiprimordi della speculazione, è tutt'al più fenomenica.

Si soddisfa così un'altra sempre riaffacciantesi esigen-za, quella del vero e proprio spiritualismo, che Leibnizebbe il merito di affermare con esplicito vigore e chia-rezza; esigenza, per la quale il “chi”, per essere coscien-za, non ha bisogno di rinunziare ad essere un ente. E sisoddisfa d'altra parte una esigenza, che par opposta, riaf-facciantesi pur essa sempre, per la quale si riconosce alsoggetto, pur nella singolarità sua, il diritto alla afferma-zione dell'essere nella sua universalità, quando la co-scienza si chiude nella sua rigorosa purezza di coscien-za.

L'essenziale è che ci si persuada che il sapere sostan-zia l'essere.

L'errore originario, per cui il “qualche cosa” empiricosi era solidificato in essere assoluto, ci aveva quasi tra-scinati, senza che noi ce ne accorgessimo, a non ritener-ci enti pel semplice fatto che eravamo consapevoli. Lad-dove doveva avvenire proprio il contrario: che doveva-

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no cioè spogliare di essere quel “qualche cosa” in quan-to eventualmente si distinguesse dal sapere, e conserva-re così l'essere puro del sapere a dar valore di universali-tà alla coscienza.

Contro il mancato accorgimento di noi come enti pro-prio in quanto consapevoli, mancato accorgimento pelquale andavamo vanamente agitandoci in cerca di un es-sere fuori della coscienza perchè ne avevamo spogliatonoi, tutti i grandi spiriti speculativi hanno sempre alta-mente protestato. La protesta è uguale in Agostino conla tenace affermazione della verità interiore a noi che laricerchiamo, mentre essa non si ricerca, e in Spinozacon l'insufficientemente se non erroneamente valutatasua concezione degli enti come modi di Dio e quindidelle menti come cognizioni di Dio.

E contro l'aberrazione del chiudersi della coscienzanel “qualcosa” empirico e rinnegare così l'essere ogget-tivo in nome del “qualcosa”, han levata la loro protestatutti i grandi spiriti profondamente mistici, che, non sa-pendo far sentire in altro modo l'assolutezza ontologicadell'Oggetto di coscienza, hanno affogato se stessi inquesto. Affogamento impossibile, che era ancora un ri-flesso del non accorgerci di noi. Nel rinnegamento mi-stico l'affermante era più vivo che mai: bastava che ri-nunziasse esplicitamente, come rinunziava di fatto, allarealistica trascendenza dell'Essere assoluto e all'assurdaqualificazione di Lui come Io.

Quando entriamo, dunque, nel rigoroso ontologismo,vediamo come la coscienza è lo stesso essere: essere,

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no cioè spogliare di essere quel “qualche cosa” in quan-to eventualmente si distinguesse dal sapere, e conserva-re così l'essere puro del sapere a dar valore di universali-tà alla coscienza.

Contro il mancato accorgimento di noi come enti pro-prio in quanto consapevoli, mancato accorgimento pelquale andavamo vanamente agitandoci in cerca di un es-sere fuori della coscienza perchè ne avevamo spogliatonoi, tutti i grandi spiriti speculativi hanno sempre alta-mente protestato. La protesta è uguale in Agostino conla tenace affermazione della verità interiore a noi che laricerchiamo, mentre essa non si ricerca, e in Spinozacon l'insufficientemente se non erroneamente valutatasua concezione degli enti come modi di Dio e quindidelle menti come cognizioni di Dio.

E contro l'aberrazione del chiudersi della coscienzanel “qualcosa” empirico e rinnegare così l'essere ogget-tivo in nome del “qualcosa”, han levata la loro protestatutti i grandi spiriti profondamente mistici, che, non sa-pendo far sentire in altro modo l'assolutezza ontologicadell'Oggetto di coscienza, hanno affogato se stessi inquesto. Affogamento impossibile, che era ancora un ri-flesso del non accorgerci di noi. Nel rinnegamento mi-stico l'affermante era più vivo che mai: bastava che ri-nunziasse esplicitamente, come rinunziava di fatto, allarealistica trascendenza dell'Essere assoluto e all'assurdaqualificazione di Lui come Io.

Quando entriamo, dunque, nel rigoroso ontologismo,vediamo come la coscienza è lo stesso essere: essere,

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che non ha altra realtà piena che la sua affermazione chene è la coscienza. E intendiamo allora l'inconfutabilitàdell'argomento ontologico; l'intendiamo a patto che siaconfessata l'essenza spirituale dell'essere: essenza spiri-tuale, per la quale il soggetto, chiudendosi come io nellacoscienza pura, può e deve sentire in tale sua purezzal'Essere assoluto come Oggetto puro della sua coscien-za.

È il privilegio dell'uomo sentire, attraverso lo sforzodi liberazione dalla natura in cui vive, l'essenza concretadell'essere, della quale Dio è principio come pura suaoggettività, e gli io sono i realizzatori nella pienezza im-plicita di coscienza, che, solo attraverso sforzi continui ereiterati, traducono in pallida coscienza esplicita semprebisognosa di maggiore esplicazione. L'uomo con la suaspiritualità tocca il concreto e lo traduce nella sua operaumana in mezzo alla natura. L'accorgimento che con laspiritualità si è nel concreto, viene a lui da due attivitàspirituali (filosofia e religione), che si esauriscono neldare questo accorgimento, e perciò, pur anzi proprioanimandola, trascendono la stessa spiritualità concretaumana.

Noi, molti io, sappiamo, Dio l'Unico.

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che non ha altra realtà piena che la sua affermazione chene è la coscienza. E intendiamo allora l'inconfutabilitàdell'argomento ontologico; l'intendiamo a patto che siaconfessata l'essenza spirituale dell'essere: essenza spiri-tuale, per la quale il soggetto, chiudendosi come io nellacoscienza pura, può e deve sentire in tale sua purezzal'Essere assoluto come Oggetto puro della sua coscien-za.

È il privilegio dell'uomo sentire, attraverso lo sforzodi liberazione dalla natura in cui vive, l'essenza concretadell'essere, della quale Dio è principio come pura suaoggettività, e gli io sono i realizzatori nella pienezza im-plicita di coscienza, che, solo attraverso sforzi continui ereiterati, traducono in pallida coscienza esplicita semprebisognosa di maggiore esplicazione. L'uomo con la suaspiritualità tocca il concreto e lo traduce nella sua operaumana in mezzo alla natura. L'accorgimento che con laspiritualità si è nel concreto, viene a lui da due attivitàspirituali (filosofia e religione), che si esauriscono neldare questo accorgimento, e perciò, pur anzi proprioanimandola, trascendono la stessa spiritualità concretaumana.

Noi, molti io, sappiamo, Dio l'Unico.

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77. L'immanenza.

Chi questa critica della coscienza ha una volta rag-giunta; chi così è riuscito a scalzare dalle basi l'errorerealistico ed a raggiungere il valore profondo dell'onto-logismo, dinanzi al quale si è potuto sorridere e presen-tare burlescamente isole e talleri, per postulare dallaloro rappresentazione la loro esistenza, ma non si è maisaputo confutarlo, riuscendo tutt'al più solo a scovare lostesso imbarazzo del proprio realismo anche nell'ontolo-gismo; chi, dunque, l'ontologismo ha chiuso rigorosa-mente nel suo carattere e lo ha sottratto così al realismoche era il suo punto debole, non può non sentir tedio ditutte le posizioni speculative, che, per idealiste e attivi-stiche che si dicano, nascondono nel loro seno ancoratutti gli equivoci che da quell'errore nascono. Si cominciuna buona volta a far la critica dei concetti prima di de-durre da essi.

L'ontologismo dunque trova nella stessa coscienzal'essere e nell'essere la coscienza: tutto che si sappia è;tutto che sia è spirito.

Si supera così l'ontologismo storico, e non si abban-dona anzi si conferma l'ontologismo logico, il quale ècapace di render conto dei motivi validi che si trovanonelle altre accennate interpretazioni della esigenza di co-scienza. Il torto dell'ontologismo storico era appuntoquello di non essere sufficientemente ontologico.

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77. L'immanenza.

Chi questa critica della coscienza ha una volta rag-giunta; chi così è riuscito a scalzare dalle basi l'errorerealistico ed a raggiungere il valore profondo dell'onto-logismo, dinanzi al quale si è potuto sorridere e presen-tare burlescamente isole e talleri, per postulare dallaloro rappresentazione la loro esistenza, ma non si è maisaputo confutarlo, riuscendo tutt'al più solo a scovare lostesso imbarazzo del proprio realismo anche nell'ontolo-gismo; chi, dunque, l'ontologismo ha chiuso rigorosa-mente nel suo carattere e lo ha sottratto così al realismoche era il suo punto debole, non può non sentir tedio ditutte le posizioni speculative, che, per idealiste e attivi-stiche che si dicano, nascondono nel loro seno ancoratutti gli equivoci che da quell'errore nascono. Si cominciuna buona volta a far la critica dei concetti prima di de-durre da essi.

L'ontologismo dunque trova nella stessa coscienzal'essere e nell'essere la coscienza: tutto che si sappia è;tutto che sia è spirito.

Si supera così l'ontologismo storico, e non si abban-dona anzi si conferma l'ontologismo logico, il quale ècapace di render conto dei motivi validi che si trovanonelle altre accennate interpretazioni della esigenza di co-scienza. Il torto dell'ontologismo storico era appuntoquello di non essere sufficientemente ontologico.

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L'essere così raggiunto è capace di soddisfare alle piùvive esigenze, di fronte alle quali la coscienza speculati-va odierna si divide nettamente in opposte parti.

Accenno, per es., al problema della immanenza.L'idealismo soggettivo ha creduto di dover rinnegare

la tradizionale trascendenza dell'essere, ed a ragione:non è vano ripetere che qualunque affermazione di tra-scendenza è un atto di immanenza.

Ma non si è curato di vedere, se, al disotto della solu-zione tradizionale affermativa del problema della tra-scendenza (che è poi lo stesso problema dell'essere),non ci sia una qualche esigenza dall'idealismo o nonsoddisfatta o soddisfatta proprio allo stesso precisomodo in cui la soddisfano i trascendentisti. Affermare latrascendenza è per detto idealismo cadere nel realismodella cosa in sè. Ora il problema della cosa in sè non èda confondere con la soluzione realistica dello stessoproblema. Il problema della cosa in sè è il problema del-la oggettività dell'essere, come il problema dell'io è ilproblema della sua soggettività. Quando questi due pro-blemi sian visti e risoluti ontologicamente, allora, sì, do-vremo affermare la immanenza ma con un valore diver-so da quello con cui vien affermata nell'idealismo sog-gettivo, e di fronte al quale, pur nella sua vecchia forma,risorge a ragione il trascendentismo.

Il problema della cosa in sè, non visto come problemadell'oggettività, limita la cosa in sè alla cosa naturale na-turalisticamente intesa, e, riconosciuta quindi falsa, ine-sistente, negativa la sua assolutezza, coinvolge in una

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L'essere così raggiunto è capace di soddisfare alle piùvive esigenze, di fronte alle quali la coscienza speculati-va odierna si divide nettamente in opposte parti.

Accenno, per es., al problema della immanenza.L'idealismo soggettivo ha creduto di dover rinnegare

la tradizionale trascendenza dell'essere, ed a ragione:non è vano ripetere che qualunque affermazione di tra-scendenza è un atto di immanenza.

Ma non si è curato di vedere, se, al disotto della solu-zione tradizionale affermativa del problema della tra-scendenza (che è poi lo stesso problema dell'essere),non ci sia una qualche esigenza dall'idealismo o nonsoddisfatta o soddisfatta proprio allo stesso precisomodo in cui la soddisfano i trascendentisti. Affermare latrascendenza è per detto idealismo cadere nel realismodella cosa in sè. Ora il problema della cosa in sè non èda confondere con la soluzione realistica dello stessoproblema. Il problema della cosa in sè è il problema del-la oggettività dell'essere, come il problema dell'io è ilproblema della sua soggettività. Quando questi due pro-blemi sian visti e risoluti ontologicamente, allora, sì, do-vremo affermare la immanenza ma con un valore diver-so da quello con cui vien affermata nell'idealismo sog-gettivo, e di fronte al quale, pur nella sua vecchia forma,risorge a ragione il trascendentismo.

Il problema della cosa in sè, non visto come problemadell'oggettività, limita la cosa in sè alla cosa naturale na-turalisticamente intesa, e, riconosciuta quindi falsa, ine-sistente, negativa la sua assolutezza, coinvolge in una

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unica negazione quella cosa in sè e questa cosa di natu-ra, e concepisce così, in questa negatività, il valore diquella esperienza in cui e con cui la cosa di natura risul-ta. Eleva così l'esperienza, che per intrinseca esigenzasua è naturale, ad atto speculativo, oltre e fuori del qualenon vi sia realtà. In tal senso proclama l'immanenza diquesto atto speculativo riconosciuto come l'unica possi-bile esperienza. Così da una parte quella che la coscien-za comune intende come esperienza svanisce, e dall'altral'immanenza viene intesa come il chiudersi l'esaurirsidella coscienza umana nella conoscenza esplicita d'espe-rienza.

Così l'immanenza non significa più nulla, e perde tut-to il suo valore quella che fu la scoperta del nostro Rina-scimento speculativo. L'immanenza diventa un grettoumanismo, che, sotto le vesti di idealismo assoluto, na-sconde un naturalismo non confessato.

Se immanenza ha un significato, essa deve valere ine-liminabile presenza del principio assoluto dell'essere en-tro gli enti relativi nella loro singolarità. Or chi pensialla sinteticità primordiale, che della esigenza di co-scienza l'interpretazione ontologica richiede, vedrà inche modo questa consenta ed esiga l'immanenza, soddi-sfacendo insieme quella che è l'esigenza viva della tradi-zionale trascendenza: il non esaurirsi dell'Assoluto nellacoscienza esplicita umana. Lo storico concetto umanosuppone l'Idea, che, essa, è dialettica e condiziona il dia-lettismo storico umano sempre progrediente, ma sempreinadeguato alla dialetticità pura dell'Idea.

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unica negazione quella cosa in sè e questa cosa di natu-ra, e concepisce così, in questa negatività, il valore diquella esperienza in cui e con cui la cosa di natura risul-ta. Eleva così l'esperienza, che per intrinseca esigenzasua è naturale, ad atto speculativo, oltre e fuori del qualenon vi sia realtà. In tal senso proclama l'immanenza diquesto atto speculativo riconosciuto come l'unica possi-bile esperienza. Così da una parte quella che la coscien-za comune intende come esperienza svanisce, e dall'altral'immanenza viene intesa come il chiudersi l'esaurirsidella coscienza umana nella conoscenza esplicita d'espe-rienza.

Così l'immanenza non significa più nulla, e perde tut-to il suo valore quella che fu la scoperta del nostro Rina-scimento speculativo. L'immanenza diventa un grettoumanismo, che, sotto le vesti di idealismo assoluto, na-sconde un naturalismo non confessato.

Se immanenza ha un significato, essa deve valere ine-liminabile presenza del principio assoluto dell'essere en-tro gli enti relativi nella loro singolarità. Or chi pensialla sinteticità primordiale, che della esigenza di co-scienza l'interpretazione ontologica richiede, vedrà inche modo questa consenta ed esiga l'immanenza, soddi-sfacendo insieme quella che è l'esigenza viva della tradi-zionale trascendenza: il non esaurirsi dell'Assoluto nellacoscienza esplicita umana. Lo storico concetto umanosuppone l'Idea, che, essa, è dialettica e condiziona il dia-lettismo storico umano sempre progrediente, ma sempreinadeguato alla dialetticità pura dell'Idea.

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Così pur nel limite della spiritualità umana esplicita,divenuta cioè cultura ed opera esteriore vivente nelmondo, non si nega il principio assoluto, senza del qualenon v'ha spiritualità. Che la spiritualità in quanto umana– se all'uomo si dà un determinato significato, altrimentiè vano questo qualificare o determinare la spiritualitàcome umana, e l'uomo come un ente vivente natural-mente nel mondo pur con tutta la sua spiritualità – nonsia la stessa spiritualità assoluta, a me par cosa che nonpossa essere messa in dubbio (cfr. § 42); ma che in essasia implicito quell'Assoluto, del quale essa è la esplicitaconfessione, a me par cosa altrettanto indubitabile.

Quando l'immanenza sia così intesa, essa soddisfa leragioni profonde della trascendenza tradizionale senzaincorrere in quell'antropomorfismo grossolano in cuitale esigenza si è voluta chiudere. L'esigenza vera dellatrascendenza è che l'essere non si limiti alla coscienzaesplicita che i singoli ne hanno nel loro vivere naturale.E la soprannatura, così, vista come questa concretezzaspirituale, di cui l'uomo è nella natura il testimone e ilconfessore, diventa una concezione ben più profonda diquella tradizionale soprannatura, che non è che una du-plicazione della natura, in rispondenza, spesso, delle piùnaturali e cioè delle meno spirituali inclinazioni umane.

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Così pur nel limite della spiritualità umana esplicita,divenuta cioè cultura ed opera esteriore vivente nelmondo, non si nega il principio assoluto, senza del qualenon v'ha spiritualità. Che la spiritualità in quanto umana– se all'uomo si dà un determinato significato, altrimentiè vano questo qualificare o determinare la spiritualitàcome umana, e l'uomo come un ente vivente natural-mente nel mondo pur con tutta la sua spiritualità – nonsia la stessa spiritualità assoluta, a me par cosa che nonpossa essere messa in dubbio (cfr. § 42); ma che in essasia implicito quell'Assoluto, del quale essa è la esplicitaconfessione, a me par cosa altrettanto indubitabile.

Quando l'immanenza sia così intesa, essa soddisfa leragioni profonde della trascendenza tradizionale senzaincorrere in quell'antropomorfismo grossolano in cuitale esigenza si è voluta chiudere. L'esigenza vera dellatrascendenza è che l'essere non si limiti alla coscienzaesplicita che i singoli ne hanno nel loro vivere naturale.E la soprannatura, così, vista come questa concretezzaspirituale, di cui l'uomo è nella natura il testimone e ilconfessore, diventa una concezione ben più profonda diquella tradizionale soprannatura, che non è che una du-plicazione della natura, in rispondenza, spesso, delle piùnaturali e cioè delle meno spirituali inclinazioni umane.

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78. Unicità e pluralità (Essere ed enti).

Ed un altro solo voglio accennare dei problemi specu-lativi, che, in questo chiudersi rigoroso in sè dell'ontolo-gismo, trovano la soluzione che supera gli assurdi in cuiera finito il loro sviluppo storico; dico il problemadell'unità dell'essere. Problema, vivo specialmentenell'interpretazione ontologica della coscienza, ma che,esplicito o sottinteso, è sentito e risoluto in tutte le altreinterpretazioni.

Si sa che nel pensiero occidentale il problema fu net-tamente posto dalla speculazione eleatica: l'essere nonpuò essere che uno, ogni pluralità è fittizia. Pur attraver-so Platone, che cercò di salvare la pluralità delle essenzein questo immoto identico essere unico, Plotino risentìquesta insopprimibile esigenza dell'Unico, che egli cre-dette di poter salvare negandogli l'essere: Plotino salvacosì l'Uno di Parmenide, senza rinnegare la pluralità diPlatone.

Orbene questo Unico di Plotino invano ha tentato at-traverso millenni di speculazione di riguadagnarequell'essere che aveva con Parmenide. Il tentativo piùprofondo è stato quello di Spinoza. L'Unico guadagnal'essere presentandosi come sostanza assoluta. L'Unico èessere, l'Unico è, appunto perchè è la sostanza, è l'Esse-re. Finchè l'Unico si vorrà fare Ente, Plotino avrà sem-pre ragione. Questa la grande profonda, intuizione diSpinoza, la quale, però, di fronte allo gnoseologismonato da Cartesio e culminato in Hegel, fu abbandonata,

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78. Unicità e pluralità (Essere ed enti).

Ed un altro solo voglio accennare dei problemi specu-lativi, che, in questo chiudersi rigoroso in sè dell'ontolo-gismo, trovano la soluzione che supera gli assurdi in cuiera finito il loro sviluppo storico; dico il problemadell'unità dell'essere. Problema, vivo specialmentenell'interpretazione ontologica della coscienza, ma che,esplicito o sottinteso, è sentito e risoluto in tutte le altreinterpretazioni.

Si sa che nel pensiero occidentale il problema fu net-tamente posto dalla speculazione eleatica: l'essere nonpuò essere che uno, ogni pluralità è fittizia. Pur attraver-so Platone, che cercò di salvare la pluralità delle essenzein questo immoto identico essere unico, Plotino risentìquesta insopprimibile esigenza dell'Unico, che egli cre-dette di poter salvare negandogli l'essere: Plotino salvacosì l'Uno di Parmenide, senza rinnegare la pluralità diPlatone.

Orbene questo Unico di Plotino invano ha tentato at-traverso millenni di speculazione di riguadagnarequell'essere che aveva con Parmenide. Il tentativo piùprofondo è stato quello di Spinoza. L'Unico guadagnal'essere presentandosi come sostanza assoluta. L'Unico èessere, l'Unico è, appunto perchè è la sostanza, è l'Esse-re. Finchè l'Unico si vorrà fare Ente, Plotino avrà sem-pre ragione. Questa la grande profonda, intuizione diSpinoza, la quale, però, di fronte allo gnoseologismonato da Cartesio e culminato in Hegel, fu abbandonata,

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non fu vista nei suoi motivi profondi fu adattata alle esi-genze di tale gnoseologismo e quindi falsificata.

Nella sostanza spinoziana, infatti, rimangono da sal-vare gli enti. Devesi giustificare più profondamente quelperseverare nel loro esse, che Spinoza stesso vide, inve-ce di condannarli a non essere in quanto non sostanza.Giacchè, se il problema dell'essere dell'Unico è di solu-zione impossibile finchè di tale Unico si vuol fare unente, di soluzione impossibile ridiventa, se per salvarel'Essere assoluto, sono abbandonati gli enti. Si presentaallora ineliminabile l'assurdo hegeliano del non esseredell'essere. Or tra questi due estremi di fare, dell'Unico,l'Ente e quindi un ente, o di fare, dell'essere, schiettonon essere per eliminare questa entificazione dell'Unico,la filosofia si dibatte, fino a che non si riconosca comeesigenza dell'essere la stessa esigenza della coscienza:solo così si vedrà nell'essere l'esigenza dell'oggettività edella soggettività, e si riconoscerà nell'Unico quell'Esse-re in sè, che è l'oggetto di tutti i soggetti, che è l'Oggettopuro di coscienza e l'assoluta unicità identica dell'essere.Noi così integriamo Spinoza, sviluppando il motivo bru-niano, che Spinoza, direi traviato da Cartesio, cristalliz-zò, e Leibniz sviluppò soltanto sotto l'aspetto degli entie non anche sotto quello dell'Unico.

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non fu vista nei suoi motivi profondi fu adattata alle esi-genze di tale gnoseologismo e quindi falsificata.

Nella sostanza spinoziana, infatti, rimangono da sal-vare gli enti. Devesi giustificare più profondamente quelperseverare nel loro esse, che Spinoza stesso vide, inve-ce di condannarli a non essere in quanto non sostanza.Giacchè, se il problema dell'essere dell'Unico è di solu-zione impossibile finchè di tale Unico si vuol fare unente, di soluzione impossibile ridiventa, se per salvarel'Essere assoluto, sono abbandonati gli enti. Si presentaallora ineliminabile l'assurdo hegeliano del non esseredell'essere. Or tra questi due estremi di fare, dell'Unico,l'Ente e quindi un ente, o di fare, dell'essere, schiettonon essere per eliminare questa entificazione dell'Unico,la filosofia si dibatte, fino a che non si riconosca comeesigenza dell'essere la stessa esigenza della coscienza:solo così si vedrà nell'essere l'esigenza dell'oggettività edella soggettività, e si riconoscerà nell'Unico quell'Esse-re in sè, che è l'oggetto di tutti i soggetti, che è l'Oggettopuro di coscienza e l'assoluta unicità identica dell'essere.Noi così integriamo Spinoza, sviluppando il motivo bru-niano, che Spinoza, direi traviato da Cartesio, cristalliz-zò, e Leibniz sviluppò soltanto sotto l'aspetto degli entie non anche sotto quello dell'Unico.

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79. Apriorismo ontologico e problema dell'uomo.

Perchè si veda e si sviluppi questo motivo profondodell'ontologismo, che io ritengo animatore della venaspeculativa italiana (anche se questa non si voglia far ri-salire alla italica speculazione del pensiero ellenico nel-la Magna Grecia), bisogna che l'ontologismo riconoscail carattere suo fondamentale (§ 10, 11), e si veda nasce-re e costituire non dalla dogmatica grossolana ontologia,ma da quell'ontologismo, essenzialmente critico e quin-di spiritualistico, che Agostino tradusse dall'oggettivi-smo ellenico nel soggettivismo cristiano. La ripresa piùpiena di quest'ontologismo (e non un soggettivistico an-tropomorfismo in cui fu mutato dall'unilaterale sviluppospeculativo di altri popoli) fu il motivo vitale dell'italia-nissimo Rinascimento (cap. III, VI); la stessa ripresa fuil motivo vitale della filosofia del nostro Risorgimento(cap. V, VI). Quando si riavvicina il pensiero del rivolu-zionario Mazzini a quello del tradizionale Rosmini, siintende come il pensiero italiano del Risorgimento, nelprofondo suo motivo di vita, non si esaurisca punto inuno sforzo per salvare la tradizione a costo di fermare lastoria rinnegando il pensiero, ma risponda esplicitamen-te alle esigenze di ogni concreta storia: salvarne l'assolu-to suo principio, determinandone così il rinnovamentoprofondo. Questo rappresenta nel campo del pensierouniversale il risorgere dell'Italia nazionale a Stato unicoindipendente. L'Italia risorge affermando l'oggettivitàassoluta spirituale, della quale si sente una eminente

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79. Apriorismo ontologico e problema dell'uomo.

Perchè si veda e si sviluppi questo motivo profondodell'ontologismo, che io ritengo animatore della venaspeculativa italiana (anche se questa non si voglia far ri-salire alla italica speculazione del pensiero ellenico nel-la Magna Grecia), bisogna che l'ontologismo riconoscail carattere suo fondamentale (§ 10, 11), e si veda nasce-re e costituire non dalla dogmatica grossolana ontologia,ma da quell'ontologismo, essenzialmente critico e quin-di spiritualistico, che Agostino tradusse dall'oggettivi-smo ellenico nel soggettivismo cristiano. La ripresa piùpiena di quest'ontologismo (e non un soggettivistico an-tropomorfismo in cui fu mutato dall'unilaterale sviluppospeculativo di altri popoli) fu il motivo vitale dell'italia-nissimo Rinascimento (cap. III, VI); la stessa ripresa fuil motivo vitale della filosofia del nostro Risorgimento(cap. V, VI). Quando si riavvicina il pensiero del rivolu-zionario Mazzini a quello del tradizionale Rosmini, siintende come il pensiero italiano del Risorgimento, nelprofondo suo motivo di vita, non si esaurisca punto inuno sforzo per salvare la tradizione a costo di fermare lastoria rinnegando il pensiero, ma risponda esplicitamen-te alle esigenze di ogni concreta storia: salvarne l'assolu-to suo principio, determinandone così il rinnovamentoprofondo. Questo rappresenta nel campo del pensierouniversale il risorgere dell'Italia nazionale a Stato unicoindipendente. L'Italia risorge affermando l'oggettivitàassoluta spirituale, della quale si sente una eminente

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soggettivazione nel mondo umano. Questo dicono con-cordemente Rosmini, Gioberti, Mazzini.

Una ripresa quindi dell'ontologismo storico italiano èquella che io tento e che non è da confondersi nè col tra-dizionale ontologismo dell'Essere e degli esseri, qualeultimamente tenta rinascere in Francia, nè con l'ontolo-gismo che in Germania si deduce del fenomenologismo.

L'una e l'altra riflessione filosofica a me par che nonabbiano attinta quella concretezza piena, che è la sco-perta verso cui ci mena la possibilità della critica messain evidenza da Kant.

E non è, si intende, neppure l'ontologismo del nostroRisorgimento, che anch'esso non aveva vista la concre-tezza: è la giustificazione radicale di quell'ontologia checostituisce l'essenza della coscienza in quanto innegabi-le spiritualità, e che perciò non trae nè l'Essere nè gli es-seri da quel divenire naturale, in cui l'uomo pur vive, mache certo non è l'essenza nè dell'uomo nè della realtà. Dinaturalismo soffre ancora tutta la speculazione contem-poranea, anche quando la si dice idealismo assoluto.

La cosiddetta coscienza trascendentale, rinnegando enon sviluppando il motivo vitale della possibilità dellacritica, non è altro che riflessione della coscienza empi-rica. A questa riflessione si è dato il nome di autoco-scienza: in verità si è negata la coscienza nella assolu-tezza del suo essere; si è negato l'argomento ontologiconella inconfutabilità sua; si è negata l'apriorità. E questainvece è innegabile proprio come apriorità. Se infattiessa è forma, cui l'empirico, per avere una qualche sus-

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soggettivazione nel mondo umano. Questo dicono con-cordemente Rosmini, Gioberti, Mazzini.

Una ripresa quindi dell'ontologismo storico italiano èquella che io tento e che non è da confondersi nè col tra-dizionale ontologismo dell'Essere e degli esseri, qualeultimamente tenta rinascere in Francia, nè con l'ontolo-gismo che in Germania si deduce del fenomenologismo.

L'una e l'altra riflessione filosofica a me par che nonabbiano attinta quella concretezza piena, che è la sco-perta verso cui ci mena la possibilità della critica messain evidenza da Kant.

E non è, si intende, neppure l'ontologismo del nostroRisorgimento, che anch'esso non aveva vista la concre-tezza: è la giustificazione radicale di quell'ontologia checostituisce l'essenza della coscienza in quanto innegabi-le spiritualità, e che perciò non trae nè l'Essere nè gli es-seri da quel divenire naturale, in cui l'uomo pur vive, mache certo non è l'essenza nè dell'uomo nè della realtà. Dinaturalismo soffre ancora tutta la speculazione contem-poranea, anche quando la si dice idealismo assoluto.

La cosiddetta coscienza trascendentale, rinnegando enon sviluppando il motivo vitale della possibilità dellacritica, non è altro che riflessione della coscienza empi-rica. A questa riflessione si è dato il nome di autoco-scienza: in verità si è negata la coscienza nella assolu-tezza del suo essere; si è negato l'argomento ontologiconella inconfutabilità sua; si è negata l'apriorità. E questainvece è innegabile proprio come apriorità. Se infattiessa è forma, cui l'empirico, per avere una qualche sus-

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sistenza, deve riempire, è costituita tale dalla concretez-za. La quale concretezza quindi è un prius e non un postdella fenomenica natura. Da questa perciò essa non puòripetere entità e farle sue (platonismo): nè può ridur lesue forme, che sono il suo stesso sviluppo, a leggi di na-tura (categorismo kantiano): esse finirebbero col diveni-re quelle stesse temporanee manifestazioni che sono isuccessivi sistemi di natura, e che sono sempre e soltan-to fenomenicità. Riducete l'apriorità solo entro questemanifestazioni che come tali si impongono con la loropseudonecessità, e avrete tolta ogni coscienza (spiritua-lità) anche se la dite autocoscienza, avrete annullataogni forma spirituale.

Questa apriorità è il privilegio umano nella natura.Come e perchè mai questo piccolo ente, che nasce emuore sulla terra, tra tanti altri che nascono e muoiono,abbia questo sublime privilegio di essere davvero unente e cioè di aprire entro la natura lo spiraglio verso laconcretezza ed affermar questa decisamente come unqualcosa di più vero e profondo di quella natura, dellaquale col suo nascere vivere e morire egli stesso, comeindividuo e come specie, fa parte, è problema sempreaperto alla speculazione.

Ed è problema non risoluto nel pensiero moderno. Edirei forse anche problema non mai risoluto, se si esclu-dono come soluzioni filosofiche le soluzioni mitiche re-ligiose a tipo antropomorfico o antropocentrico. Proble-ma non risoluto, perchè mal ponibile prima che questoradicale ontologismo si vedesse; problema, che col suo

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sistenza, deve riempire, è costituita tale dalla concretez-za. La quale concretezza quindi è un prius e non un postdella fenomenica natura. Da questa perciò essa non puòripetere entità e farle sue (platonismo): nè può ridur lesue forme, che sono il suo stesso sviluppo, a leggi di na-tura (categorismo kantiano): esse finirebbero col diveni-re quelle stesse temporanee manifestazioni che sono isuccessivi sistemi di natura, e che sono sempre e soltan-to fenomenicità. Riducete l'apriorità solo entro questemanifestazioni che come tali si impongono con la loropseudonecessità, e avrete tolta ogni coscienza (spiritua-lità) anche se la dite autocoscienza, avrete annullataogni forma spirituale.

Questa apriorità è il privilegio umano nella natura.Come e perchè mai questo piccolo ente, che nasce emuore sulla terra, tra tanti altri che nascono e muoiono,abbia questo sublime privilegio di essere davvero unente e cioè di aprire entro la natura lo spiraglio verso laconcretezza ed affermar questa decisamente come unqualcosa di più vero e profondo di quella natura, dellaquale col suo nascere vivere e morire egli stesso, comeindividuo e come specie, fa parte, è problema sempreaperto alla speculazione.

Ed è problema non risoluto nel pensiero moderno. Edirei forse anche problema non mai risoluto, se si esclu-dono come soluzioni filosofiche le soluzioni mitiche re-ligiose a tipo antropomorfico o antropocentrico. Proble-ma non risoluto, perchè mal ponibile prima che questoradicale ontologismo si vedesse; problema, che col suo

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esplicito porsi su terreno ontologico, riapre nel campospeculativo tanti problemi che si ritenevano morti e se-polti, a cominciare da quelli dell'istinto a finire a quellodegli individui nella loro singolare capacità spirituale.

Il problema dell'uomo va posto radicalmente. Nè cer-to dovrà per questo sospendersi l'umana attività concre-ta, anche se in essa non potrà non manifestarsi l'ango-scia della posizione di un problema non risoluto. A ri-solverlo, a questa opera di trascendenza che sanerà quel-la crisi e procurerà così nuovo sviluppo alla umana atti-vità concreta, stan lì apposta i filosofi, nella loro sempreaugurabile pochezza di numero.

La difficoltà del problema che si apre o si riapre, ilnumero dei problemi secondari che ne nascono, sono in-dizio della falsità della via che a tal riapertura mena?Credo decisamente che siano indizio del contrario, e lastoria della speculazione me ne è mallevadrice.

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esplicito porsi su terreno ontologico, riapre nel campospeculativo tanti problemi che si ritenevano morti e se-polti, a cominciare da quelli dell'istinto a finire a quellodegli individui nella loro singolare capacità spirituale.

Il problema dell'uomo va posto radicalmente. Nè cer-to dovrà per questo sospendersi l'umana attività concre-ta, anche se in essa non potrà non manifestarsi l'ango-scia della posizione di un problema non risoluto. A ri-solverlo, a questa opera di trascendenza che sanerà quel-la crisi e procurerà così nuovo sviluppo alla umana atti-vità concreta, stan lì apposta i filosofi, nella loro sempreaugurabile pochezza di numero.

La difficoltà del problema che si apre o si riapre, ilnumero dei problemi secondari che ne nascono, sono in-dizio della falsità della via che a tal riapertura mena?Credo decisamente che siano indizio del contrario, e lastoria della speculazione me ne è mallevadrice.

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CAPITOLO XILO HEGELISMO E ALCUNI PRO-BLEMI FONDAMENTALI DELLA

SPIRITUALITÀ CONTEMPORANEA18

80. Tema.

I presupposti espliciti – cioè altra volta e per altra viagiustificati – di queste mie considerazioni sono i se-

18 Comunicazione fatta al 3° Congresso hegeliano, tenuto inRoma dal 19 al 23 Aprile 1933, e pubblicata in Verhandlungendes dritten Hegelcongresses..; Mohr, Tübingen; Villink, Haarlem,1934.

Essa, in questo volume, doveva essere appendice del primo ca-pitolo. Una svista del tipografo nei caratteri della composizionemi ha persuaso a metterla come ultimo capitolo a sè stante.L'architettura del lavoro forse ne guadagna. Chiusa, tra la deter-minazione del carattere specifico dell'idealismo hegeliano comeculmine del soggettivismo tedesco, fatta nel capitolo primo, e lariprova della sua insufficienza fatta in quest'ultimo, la dimostra-zione della originalità dell'idealismo italiano risulta forse più ar-monicamente inquadrata.

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CAPITOLO XILO HEGELISMO E ALCUNI PRO-BLEMI FONDAMENTALI DELLA

SPIRITUALITÀ CONTEMPORANEA18

80. Tema.

I presupposti espliciti – cioè altra volta e per altra viagiustificati – di queste mie considerazioni sono i se-

18 Comunicazione fatta al 3° Congresso hegeliano, tenuto inRoma dal 19 al 23 Aprile 1933, e pubblicata in Verhandlungendes dritten Hegelcongresses..; Mohr, Tübingen; Villink, Haarlem,1934.

Essa, in questo volume, doveva essere appendice del primo ca-pitolo. Una svista del tipografo nei caratteri della composizionemi ha persuaso a metterla come ultimo capitolo a sè stante.L'architettura del lavoro forse ne guadagna. Chiusa, tra la deter-minazione del carattere specifico dell'idealismo hegeliano comeculmine del soggettivismo tedesco, fatta nel capitolo primo, e lariprova della sua insufficienza fatta in quest'ultimo, la dimostra-zione della originalità dell'idealismo italiano risulta forse più ar-monicamente inquadrata.

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guenti: 1.° Che un sapere filosofico, come tale, distintoanche dalla sua storia, benchè anche ad essa connesso,ci sia e debba continuare ad esserci; 2.° che di tal sapereinvece si debba dedurre l'annullamento dalla identifica-zione del sapere filosofico col sapere storico; 3.° cheperciò questa identificazione sia un errore fondamenta-le. Presupposti, perchè il non valere di queste considera-zioni importerebbe anche il non esserci del sapere filo-sofico come tale.

E veniamo al tema. La filosofia, per me, non è soltan-to “lo spirito del proprio tempo”: non perchè essa sia in-capace di risolvere i problemi della concreta vita spiri-tuale, o perchè al contrario si occupi solo di una supe-riore vita lontana e diversa da quella che vive nella co-scienza comune; ma proprio perchè investe i problemispirituali di ogni tempo, e quindi non esaurisce la suavalidità nel colore del tempo, in cui trovasi a vivere. Semai, essa è lo spirito di ogni tempo.

Mi è perciò lecito, non ostante questo ripudio ch'iofaccio di tal concetto hegeliano della filosofia, doman-dare se lo hegelismo risponda a talune fra le più tormen-tose e profonde domande, di fronte alle quali oggi la fi-losofia è posta dalla stessa concretezza spirituale che vi-viamo. Le domande che prescelgo, potranno essere, sesi vuole, negate come domande; ma, poste, sono di unaevidente fondamentalità. E sono: la religione, lo Stato,Dio. Si vuol sapere se la coscienza umana può trovareoggi nello hegelismo una risposta soddisfacente o alme-no una indicazione orientatrice.

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guenti: 1.° Che un sapere filosofico, come tale, distintoanche dalla sua storia, benchè anche ad essa connesso,ci sia e debba continuare ad esserci; 2.° che di tal sapereinvece si debba dedurre l'annullamento dalla identifica-zione del sapere filosofico col sapere storico; 3.° cheperciò questa identificazione sia un errore fondamenta-le. Presupposti, perchè il non valere di queste considera-zioni importerebbe anche il non esserci del sapere filo-sofico come tale.

E veniamo al tema. La filosofia, per me, non è soltan-to “lo spirito del proprio tempo”: non perchè essa sia in-capace di risolvere i problemi della concreta vita spiri-tuale, o perchè al contrario si occupi solo di una supe-riore vita lontana e diversa da quella che vive nella co-scienza comune; ma proprio perchè investe i problemispirituali di ogni tempo, e quindi non esaurisce la suavalidità nel colore del tempo, in cui trovasi a vivere. Semai, essa è lo spirito di ogni tempo.

Mi è perciò lecito, non ostante questo ripudio ch'iofaccio di tal concetto hegeliano della filosofia, doman-dare se lo hegelismo risponda a talune fra le più tormen-tose e profonde domande, di fronte alle quali oggi la fi-losofia è posta dalla stessa concretezza spirituale che vi-viamo. Le domande che prescelgo, potranno essere, sesi vuole, negate come domande; ma, poste, sono di unaevidente fondamentalità. E sono: la religione, lo Stato,Dio. Si vuol sapere se la coscienza umana può trovareoggi nello hegelismo una risposta soddisfacente o alme-no una indicazione orientatrice.

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81. La religione.

È risaputo che la religione per Hegel, proprio comereligione, “non è sentimento puro; perchè è anch'essamediazione...., coscienza del vero in sè e per sè, verarealtà dell'autocoscienza, essa soltanto il vero sapere as-soluto” (Fil. d. rel., Introd.). Ed è sapere assoluto, inquanto essa è “religione rivelata, e cioè rivelata da Dio”(Enc., § 564). Ma quel sapere assoluto, che esclude chela religione come tale sia soltanto un implicito senti-mento di Dio (Fil. d. rel., ed Encicl., luoghi cit.), non èche la filosofia, la quale è “in fatto, anch'essa, adorazio-ne, religione” (Fil. d. rel.): il contenuto dello spirito “es-sendo religioso è essenzialmente speculativo”; “la filo-sofia ha un contenuto speculativo e perciò religioso”(Enc., § 573). Così Hegel, proprio mentre vuole distin-guere e farci capire la differenza tra religione e filosofia,non fa e non può fare che ridurre la religione alla filoso-fia, avendo messo come essenza della religione il sapereesplicito di Dio e come essenza della filosofia l'adora-zione di Dio stesso. Così, in Hegel e nello hegelismo,l'esplicita dimostrativa conoscenza filosofica è la stessaadorazione religiosa.

E la coscienza comune invece ha voluto sempre sape-re, e oggi più che mai vuol risapere, se ha valore, o no,quello specifico stato di coscienza che diciamo religioneed è essenzialmente adorazione (non si deve confonderel'adorazione col culto, e tanto meno col culto propiziato-rio). Stato di coscienza, in cui questa non dimostra, non

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81. La religione.

È risaputo che la religione per Hegel, proprio comereligione, “non è sentimento puro; perchè è anch'essamediazione...., coscienza del vero in sè e per sè, verarealtà dell'autocoscienza, essa soltanto il vero sapere as-soluto” (Fil. d. rel., Introd.). Ed è sapere assoluto, inquanto essa è “religione rivelata, e cioè rivelata da Dio”(Enc., § 564). Ma quel sapere assoluto, che esclude chela religione come tale sia soltanto un implicito senti-mento di Dio (Fil. d. rel., ed Encicl., luoghi cit.), non èche la filosofia, la quale è “in fatto, anch'essa, adorazio-ne, religione” (Fil. d. rel.): il contenuto dello spirito “es-sendo religioso è essenzialmente speculativo”; “la filo-sofia ha un contenuto speculativo e perciò religioso”(Enc., § 573). Così Hegel, proprio mentre vuole distin-guere e farci capire la differenza tra religione e filosofia,non fa e non può fare che ridurre la religione alla filoso-fia, avendo messo come essenza della religione il sapereesplicito di Dio e come essenza della filosofia l'adora-zione di Dio stesso. Così, in Hegel e nello hegelismo,l'esplicita dimostrativa conoscenza filosofica è la stessaadorazione religiosa.

E la coscienza comune invece ha voluto sempre sape-re, e oggi più che mai vuol risapere, se ha valore, o no,quello specifico stato di coscienza che diciamo religioneed è essenzialmente adorazione (non si deve confonderel'adorazione col culto, e tanto meno col culto propiziato-rio). Stato di coscienza, in cui questa non dimostra, non

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afferma proposizioni universali, e perciò non è filosofia;ma semplicemente adora, e attivamente adora, e perciònon sente di essere in una sua forma inferiore da elimi-narsi con la esplicita consapevolezza dimostrativa, chedà la filosofia. La coscienza comune vuol sapere, se, perriconoscere valido questo spirituale adorare, devesi rifu-giare ancora nella teoretica professione di trascendenzae perciò chiudere gli occhi della ragione alla confutazio-ne di questa, abbandonare quella dimostrazione dellaimmanenza, che pare la conquista fondamentale che laspeculazione ha data alla coscienza moderna. A questedomande lo hegelismo non risponde, ma ci pone e ci la-scia in una contraddizione non risoluta e non superata.Una volta infatti essa ci indica, come perfetta, insupera-bile e immutabile religione, la religione scritta rivelata,accettando, con la rivelazione fatta da Dio, la trascen-denza di Dio come essenziale alla religione. Certo per lahegeliana accezione protestante del Cristianesimo è fon-damentale il libero esame individuale, ma pur sempresolo di una immutabile lettera scritta, e per di più nellaassoluta coincidenza con lo Stato; coincidenza, che nonfa che sostituire all'autorità Chiesa l'autorità Stato, nelladeterminazione della storica religione protestante comel'insuperabile religione. E così non solo ammette la in-superabilità della forma religiosa della coscienza, machiude anche e fissa questa in eterno nella forma positi-va storica di essa che dicesi Protestantesimo. Un'altravolta, invece, trovando nella filosofia la vera assolutareligione, ponendo l'assolutezza dello Spirito nella sua

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afferma proposizioni universali, e perciò non è filosofia;ma semplicemente adora, e attivamente adora, e perciònon sente di essere in una sua forma inferiore da elimi-narsi con la esplicita consapevolezza dimostrativa, chedà la filosofia. La coscienza comune vuol sapere, se, perriconoscere valido questo spirituale adorare, devesi rifu-giare ancora nella teoretica professione di trascendenzae perciò chiudere gli occhi della ragione alla confutazio-ne di questa, abbandonare quella dimostrazione dellaimmanenza, che pare la conquista fondamentale che laspeculazione ha data alla coscienza moderna. A questedomande lo hegelismo non risponde, ma ci pone e ci la-scia in una contraddizione non risoluta e non superata.Una volta infatti essa ci indica, come perfetta, insupera-bile e immutabile religione, la religione scritta rivelata,accettando, con la rivelazione fatta da Dio, la trascen-denza di Dio come essenziale alla religione. Certo per lahegeliana accezione protestante del Cristianesimo è fon-damentale il libero esame individuale, ma pur sempresolo di una immutabile lettera scritta, e per di più nellaassoluta coincidenza con lo Stato; coincidenza, che nonfa che sostituire all'autorità Chiesa l'autorità Stato, nelladeterminazione della storica religione protestante comel'insuperabile religione. E così non solo ammette la in-superabilità della forma religiosa della coscienza, machiude anche e fissa questa in eterno nella forma positi-va storica di essa che dicesi Protestantesimo. Un'altravolta, invece, trovando nella filosofia la vera assolutareligione, ponendo l'assolutezza dello Spirito nella sua

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speculativa dimostrazione, e quindi accettandonel'immanenza, elimina senz'altro come non valida (un in-feriore valore dell'assolutezza è un non valore) tale for-ma adorante della coscienza. Elimina quindi anche latrascendenza che si crede richiesta da essa, e pone comesapere assoluto soltanto l'esplicita filosofia storicamentesvoltasi nel sapere umano, giacchè in essa “l'idea, eternain sè e per sè, si attua, si produce e gode sè stessa eter-namente, come Spirito assoluto” (Enc., fine).

Siamo, dunque, tra la pura conservazione del concettotradizionale di religione, e lo schietto annullamento del-la esigenza religiosa come tale.

82. Lo Stato.

Il dialettismo antitetico, che è certo il principio fonda-mentale e l'essenza dello hegelismo, non ha superato,come pure Hegel si proponeva, il soggettivismo fichtia-no: ha soltanto eliminato dall'Io fichtiano il principio diposizione, conservandone il solo principio di opposizio-ne, nel quale viene come condensato quello fichtiano diragione. La mediazione è opposizione; in questa media-zione credesi di ritrovare anche l'oggettività. E non ci siaccorge che questa conserva quel carattere negativo, acui da Fichte essa era stata quasi costretta, e perde anchequel residuo positivo che al di là della conoscenza Fich-te ancora le riconosce (teoria dell'urto). Il dialettismo

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speculativa dimostrazione, e quindi accettandonel'immanenza, elimina senz'altro come non valida (un in-feriore valore dell'assolutezza è un non valore) tale for-ma adorante della coscienza. Elimina quindi anche latrascendenza che si crede richiesta da essa, e pone comesapere assoluto soltanto l'esplicita filosofia storicamentesvoltasi nel sapere umano, giacchè in essa “l'idea, eternain sè e per sè, si attua, si produce e gode sè stessa eter-namente, come Spirito assoluto” (Enc., fine).

Siamo, dunque, tra la pura conservazione del concettotradizionale di religione, e lo schietto annullamento del-la esigenza religiosa come tale.

82. Lo Stato.

Il dialettismo antitetico, che è certo il principio fonda-mentale e l'essenza dello hegelismo, non ha superato,come pure Hegel si proponeva, il soggettivismo fichtia-no: ha soltanto eliminato dall'Io fichtiano il principio diposizione, conservandone il solo principio di opposizio-ne, nel quale viene come condensato quello fichtiano diragione. La mediazione è opposizione; in questa media-zione credesi di ritrovare anche l'oggettività. E non ci siaccorge che questa conserva quel carattere negativo, acui da Fichte essa era stata quasi costretta, e perde anchequel residuo positivo che al di là della conoscenza Fich-te ancora le riconosce (teoria dell'urto). Il dialettismo

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antitetico hegeliano quindi non esce dal soggettivismofichtiano, ed ha come sola conseguenza la riduzione an-che di quello Spirito assoluto, a cui l'Io fichtiano è statoelevato perchè ricomprenda in sè l'oggetto, a quella ne-gatività che Fichte poneva soltanto nell'oggetto di cono-scenza come tale.

Per eliminare il soggettivismo dovevasi porre e risol-vere il problema della soggettività, o anche, se si vuole,della egoità, e quindi anche quello della oggettivitàcome tale. Neppure con Hegel sappiamo se io possa odebba essere l'uno o i molti, e se si soddisfi l'esigenzafondamentale della coscienza quando si conserva laconcezione fichtiana dell'oggetto, che ben esaminata poiè quella stessa tradizionale.

E perciò Hegel non ci dà la soluzione del problemaetico, quando pone nello Stato “la sostanza etica consa-pevole di sè”, ed intende per Stato “la storia del mon-do”, e per consapevolezza di sè quella negatività, a cuisi riduce la positività e la realtà dello Spirito assolutonello hegelismo. Donde la confusione della libertà eticacon la legge scritta, e con la negazione di questa. Quindila soluzione del problema dello Stato: o nell'assolutismopiù intransigente con la identificazione dell'individuoStato, come storia del mondo, con un popolo “domina-tore del mondo” (Enc., § 550); e, per questo, con “la vo-lontà di un individuo che decide” (§ 542), giacchè “ladivisione dei poteri... deve essere ricondotta all'unitàideale, cioè alla soggettività”; o nella lotta, che è, direi,l'aspetto umano concreto della negazione dello Spirito

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antitetico hegeliano quindi non esce dal soggettivismofichtiano, ed ha come sola conseguenza la riduzione an-che di quello Spirito assoluto, a cui l'Io fichtiano è statoelevato perchè ricomprenda in sè l'oggetto, a quella ne-gatività che Fichte poneva soltanto nell'oggetto di cono-scenza come tale.

Per eliminare il soggettivismo dovevasi porre e risol-vere il problema della soggettività, o anche, se si vuole,della egoità, e quindi anche quello della oggettivitàcome tale. Neppure con Hegel sappiamo se io possa odebba essere l'uno o i molti, e se si soddisfi l'esigenzafondamentale della coscienza quando si conserva laconcezione fichtiana dell'oggetto, che ben esaminata poiè quella stessa tradizionale.

E perciò Hegel non ci dà la soluzione del problemaetico, quando pone nello Stato “la sostanza etica consa-pevole di sè”, ed intende per Stato “la storia del mon-do”, e per consapevolezza di sè quella negatività, a cuisi riduce la positività e la realtà dello Spirito assolutonello hegelismo. Donde la confusione della libertà eticacon la legge scritta, e con la negazione di questa. Quindila soluzione del problema dello Stato: o nell'assolutismopiù intransigente con la identificazione dell'individuoStato, come storia del mondo, con un popolo “domina-tore del mondo” (Enc., § 550); e, per questo, con “la vo-lontà di un individuo che decide” (§ 542), giacchè “ladivisione dei poteri... deve essere ricondotta all'unitàideale, cioè alla soggettività”; o nella lotta, che è, direi,l'aspetto umano concreto della negazione dello Spirito

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assoluto hegeliano, essendo l'opposizione reciprocamen-te negatrice l'unica possibile unità, ed essendo, quindi,“le vicende della storia universale rappresentate dalladialettica degli spiriti particolari dei popoli, che è il giu-dizio del mondo” (§ 548).

E la coscienza comune, invece, vuol sapere, qual è ilprincipio unico dell'unificarsi dei molti nell'unità delloStato, e quindi degli stessi Stati nella loro pluralità; prin-cipio unico, al quale sempre si appellano, in modo espli-cito o implicito, sia i reggitori di ciascuno Stato entro loStato stesso, per fondarvi la loro autorità, sia gli stessiStati contendenti anche nella stessa contesa. Giacchèquesta presuppone, di diritto e di fatto, la convivenza: lalotta (l'opposizione) presuppone l'unità, che non può es-sere la lotta stessa; la lotta nasce da una presupposta im-manente unità che non si manifesta solo nella lotta, chene è soltanto una parziale negazione. Questa rinnovatacoscienza politica del bisogno di unità già il nostroMazzini sentiva chiaramente, e ne additava la soddisfa-zione nell'infondere, direi, il vetustissimo principio diDio nel proclamato principio del popolo. È su questa viala soluzione del problema dello Stato, che Hegel nonvede. Con lo hegelismo siamo, senza mediazione possi-bile, tra l'intransigente assolutezza monarchica e l'asso-luta libertà di lotta, come tra Stati, così tra classi, che neprendano il posto, e quindi anche tra individui, la cuipluralità spirituale Hegel non rinnega. Siamo tra unoStato di diritto divino trascendente (non ostante la criti-ca della concezione cattolica con i suoi molti motivi

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assoluto hegeliano, essendo l'opposizione reciprocamen-te negatrice l'unica possibile unità, ed essendo, quindi,“le vicende della storia universale rappresentate dalladialettica degli spiriti particolari dei popoli, che è il giu-dizio del mondo” (§ 548).

E la coscienza comune, invece, vuol sapere, qual è ilprincipio unico dell'unificarsi dei molti nell'unità delloStato, e quindi degli stessi Stati nella loro pluralità; prin-cipio unico, al quale sempre si appellano, in modo espli-cito o implicito, sia i reggitori di ciascuno Stato entro loStato stesso, per fondarvi la loro autorità, sia gli stessiStati contendenti anche nella stessa contesa. Giacchèquesta presuppone, di diritto e di fatto, la convivenza: lalotta (l'opposizione) presuppone l'unità, che non può es-sere la lotta stessa; la lotta nasce da una presupposta im-manente unità che non si manifesta solo nella lotta, chene è soltanto una parziale negazione. Questa rinnovatacoscienza politica del bisogno di unità già il nostroMazzini sentiva chiaramente, e ne additava la soddisfa-zione nell'infondere, direi, il vetustissimo principio diDio nel proclamato principio del popolo. È su questa viala soluzione del problema dello Stato, che Hegel nonvede. Con lo hegelismo siamo, senza mediazione possi-bile, tra l'intransigente assolutezza monarchica e l'asso-luta libertà di lotta, come tra Stati, così tra classi, che neprendano il posto, e quindi anche tra individui, la cuipluralità spirituale Hegel non rinnega. Siamo tra unoStato di diritto divino trascendente (non ostante la criti-ca della concezione cattolica con i suoi molti motivi

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profondi e validi) e uno Stato a sovranità popolare; trauno Stato-Chiesa (sia pure questa Chiesa quella prote-stante) e uno Stato-Popolo. L'unità tra questi estreminon è trovata, essendo conservati gli estremi stessi nellaloro reciproca negazione.

83. Dio.

Insufficienza ancora maggiore lo hegelismo manifestanel dare una risposta al problema di Dio. Questo non èsoltanto il problema della religione, ma è il problemadella identità ed unicità della coscienza entro la diversitàe pluralità degli spiriti, è il problema della oggettivitàdella coscienza: senza Dio la coscienza è necessaria-mente soggettiva, cioè relativa, priva di validità univer-sale.

Kant aveva proclamato, e credeva di aver dimostrato,che l'Assoluto, nella sua realtà, non era raggiungibiledalla conoscenza umana. La quale però, ponendosicome scienza necessaria, proclama di aver raggiuntal'assolutezza. Non raggiunge, dice Kant, che la totalitàdelle condizioni in quelle forme, cui tutte le condizioni,nella loro concretezza conoscitiva, devono obbedire.Questo incondizionato logico, che riassume in sè la tota-lità delle condizioni, per Kant non è da scambiarsi conl'Assoluto, che è l'Incondizionato reale. Attraverso ilprocesso dell'idealismo trascendentale postkantiano,

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profondi e validi) e uno Stato a sovranità popolare; trauno Stato-Chiesa (sia pure questa Chiesa quella prote-stante) e uno Stato-Popolo. L'unità tra questi estreminon è trovata, essendo conservati gli estremi stessi nellaloro reciproca negazione.

83. Dio.

Insufficienza ancora maggiore lo hegelismo manifestanel dare una risposta al problema di Dio. Questo non èsoltanto il problema della religione, ma è il problemadella identità ed unicità della coscienza entro la diversitàe pluralità degli spiriti, è il problema della oggettivitàdella coscienza: senza Dio la coscienza è necessaria-mente soggettiva, cioè relativa, priva di validità univer-sale.

Kant aveva proclamato, e credeva di aver dimostrato,che l'Assoluto, nella sua realtà, non era raggiungibiledalla conoscenza umana. La quale però, ponendosicome scienza necessaria, proclama di aver raggiuntal'assolutezza. Non raggiunge, dice Kant, che la totalitàdelle condizioni in quelle forme, cui tutte le condizioni,nella loro concretezza conoscitiva, devono obbedire.Questo incondizionato logico, che riassume in sè la tota-lità delle condizioni, per Kant non è da scambiarsi conl'Assoluto, che è l'Incondizionato reale. Attraverso ilprocesso dell'idealismo trascendentale postkantiano,

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l'inconoscibile assoluto kantiano è ridotto a quella nega-zione racchiusa nella dichiarazione di inconoscibilità, eil kantiano assoluto logico è elevato senz'altro ad Asso-luto reale, assumendo da questo la negatività con cuiesso si presenta nella conoscenza, e facendola costituti-va della stessa conoscenza (è questo il processo geneticodell'antiteticità fichtiano-hegeliana). Così il mondo dellecondizioni, costitutivo della conoscenza umana, è, nellasua concreta totalità, messo come l'Assoluto incondizio-nato e quindi ritenuto lo Spirito assoluto, Dio. E ciò,mentre dall'altro lato si insiste sulla rivelazione di Dioavvenuta soltanto col Cristianesimo e quindi concepitacome fatto storico determinato, e si conserva all'argo-mento ontologico la posizione dimostrativa di esistenza,che non può non richiedere la singolarità specifica diDio e la sua trascendenza dalla singolarità degli spiritifiniti.

Con lo hegelismo siamo quindi tra il tradizionale Diocreatore e persona, che si è manifestato agli uomini nel-la insuperabile e immutabile rivelazione cristiana, e unDio che essendo “la concreta totalità” (Enc., § 51), nonè più il Dio rivelatore del Cristianesimo, e neppure sol-tanto Dio nella distinzione dal mondo e da me. Lo hege-lismo non soddisfa quindi la coscienza comune, che,dopo tanti secoli di lotte spirituali e di indagini intornoal problema tradizionale di Dio, vuol oggi sapere se tut-te le credute conquiste del pensiero moderno, che si de-signano più o meno vagamente col termine di immanen-za, sono tutte fole, perchè restano immutati il tradiziona-

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l'inconoscibile assoluto kantiano è ridotto a quella nega-zione racchiusa nella dichiarazione di inconoscibilità, eil kantiano assoluto logico è elevato senz'altro ad Asso-luto reale, assumendo da questo la negatività con cuiesso si presenta nella conoscenza, e facendola costituti-va della stessa conoscenza (è questo il processo geneticodell'antiteticità fichtiano-hegeliana). Così il mondo dellecondizioni, costitutivo della conoscenza umana, è, nellasua concreta totalità, messo come l'Assoluto incondizio-nato e quindi ritenuto lo Spirito assoluto, Dio. E ciò,mentre dall'altro lato si insiste sulla rivelazione di Dioavvenuta soltanto col Cristianesimo e quindi concepitacome fatto storico determinato, e si conserva all'argo-mento ontologico la posizione dimostrativa di esistenza,che non può non richiedere la singolarità specifica diDio e la sua trascendenza dalla singolarità degli spiritifiniti.

Con lo hegelismo siamo quindi tra il tradizionale Diocreatore e persona, che si è manifestato agli uomini nel-la insuperabile e immutabile rivelazione cristiana, e unDio che essendo “la concreta totalità” (Enc., § 51), nonè più il Dio rivelatore del Cristianesimo, e neppure sol-tanto Dio nella distinzione dal mondo e da me. Lo hege-lismo non soddisfa quindi la coscienza comune, che,dopo tanti secoli di lotte spirituali e di indagini intornoal problema tradizionale di Dio, vuol oggi sapere se tut-te le credute conquiste del pensiero moderno, che si de-signano più o meno vagamente col termine di immanen-za, sono tutte fole, perchè restano immutati il tradiziona-

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le concetto di Dio e la tradizionale soluzione del suoproblema; ovvero se si può e si deve, anche con co-scienza moderna, dare ascolto a questa voce di Dio cheoggi si fa sentire più chiara. E la voce di Dio non è piùtale, quando Dio è la stessa concreta totalità; il problemadi Dio ha un significato, solo se in un qualche modo di-stinguiamo Dio dal mondo. Identificare Dio con la con-creta totalità è sopprimere il problema, non porlo e tantomeno risolverlo.

84. Soppressione dei problemi.

E la ragione, forse unica, certo principale di questainsoddisfazione della coscienza contemporanea nei suoifondamentali problemi spirituali da parte dello hegeli-smo, sta in questo: essa si trova di fronte più ad una sop-pressione dei problemi che ad una loro soluzione.

Soppresso, non risoluto, è il problema della religione,quando la si afferma prima, con la sua esigenza di tra-scendenza, come verità assoluta (a parte anche l'insuffi-cienza di tal riduzione della religione a verità), ma la sinega poi superandola nella filosofia che è la vera veritàassoluta, con la sua esigenza di immanenza.

Soppresso, non risoluto, è il problema dello Stato,quando, nella sublimazione dello Stato a sostanza etica,si dimentica la deduzione della sovranità, e nella conse-guente identificazione dello Spirito assoluto con tutta la

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le concetto di Dio e la tradizionale soluzione del suoproblema; ovvero se si può e si deve, anche con co-scienza moderna, dare ascolto a questa voce di Dio cheoggi si fa sentire più chiara. E la voce di Dio non è piùtale, quando Dio è la stessa concreta totalità; il problemadi Dio ha un significato, solo se in un qualche modo di-stinguiamo Dio dal mondo. Identificare Dio con la con-creta totalità è sopprimere il problema, non porlo e tantomeno risolverlo.

84. Soppressione dei problemi.

E la ragione, forse unica, certo principale di questainsoddisfazione della coscienza contemporanea nei suoifondamentali problemi spirituali da parte dello hegeli-smo, sta in questo: essa si trova di fronte più ad una sop-pressione dei problemi che ad una loro soluzione.

Soppresso, non risoluto, è il problema della religione,quando la si afferma prima, con la sua esigenza di tra-scendenza, come verità assoluta (a parte anche l'insuffi-cienza di tal riduzione della religione a verità), ma la sinega poi superandola nella filosofia che è la vera veritàassoluta, con la sua esigenza di immanenza.

Soppresso, non risoluto, è il problema dello Stato,quando, nella sublimazione dello Stato a sostanza etica,si dimentica la deduzione della sovranità, e nella conse-guente identificazione dello Spirito assoluto con tutta la

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storia cosmica, tutto si fa Stato, e quindi nulla più vienecontrassegnato da esso, e qualunque forma di sovranità(anche quella dell'individuo singolare) diventa legittimasenza più indicazioni possibili per negare una sovranitàdi fatto qualunque essa sia e per ingiusta che la si riten-ga. Uno Stato non giusto, nella concezione hegeliana, èinconcepibile: altrettanto giusto lo Stato di Lenin e quel-lo caotico d'Italia nei suoi varii Facta, quanto lo Statofascista nel suo sforzo per realizzare la profetica visionedel Mazzini. La storia stessa è ingiustificabile e incon-cepibile nei suoi conati, là dove tutto sia storia. Lo stori-cismo assoluto, quando si spogli del suo dottrinario am-manto dialettico, non è che empirismo.

Soppresso, non risoluto, infine, è il problema di Dio,quando da una parte si conserva senza critica il concettotradizionale di Dio persona che si rivela solo in un certomodo e in un certo tempo, e dall'altra Dio in quanto Spi-rito assoluto è concepito come la concreta totalità.

Così, nello hegelismo, la reiterata discussione deiproblemi, spesso in HEGEL così piena di profonde consi-derazioni, finisce in una soluzione soltanto apparente,giacchè quella discussione sostanzialmente riducesi adeliminare i problemi anzichè a risolverli. E la ragione diciò sta nell'essenza intima dello hegelismo, nel suo prin-cipio fondamentale. Dicemmo che questo è la dialettici-tà antitetica dello Spirito. Per Hegel il procedere inge-nuo della filosofia (dommatismo) è il “non aver ancoracoscienza della opposizione del pensiero in sè” (Enc., §26). Per questa opposizione lo Spirito (che è la più alta

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storia cosmica, tutto si fa Stato, e quindi nulla più vienecontrassegnato da esso, e qualunque forma di sovranità(anche quella dell'individuo singolare) diventa legittimasenza più indicazioni possibili per negare una sovranitàdi fatto qualunque essa sia e per ingiusta che la si riten-ga. Uno Stato non giusto, nella concezione hegeliana, èinconcepibile: altrettanto giusto lo Stato di Lenin e quel-lo caotico d'Italia nei suoi varii Facta, quanto lo Statofascista nel suo sforzo per realizzare la profetica visionedel Mazzini. La storia stessa è ingiustificabile e incon-cepibile nei suoi conati, là dove tutto sia storia. Lo stori-cismo assoluto, quando si spogli del suo dottrinario am-manto dialettico, non è che empirismo.

Soppresso, non risoluto, infine, è il problema di Dio,quando da una parte si conserva senza critica il concettotradizionale di Dio persona che si rivela solo in un certomodo e in un certo tempo, e dall'altra Dio in quanto Spi-rito assoluto è concepito come la concreta totalità.

Così, nello hegelismo, la reiterata discussione deiproblemi, spesso in HEGEL così piena di profonde consi-derazioni, finisce in una soluzione soltanto apparente,giacchè quella discussione sostanzialmente riducesi adeliminare i problemi anzichè a risolverli. E la ragione diciò sta nell'essenza intima dello hegelismo, nel suo prin-cipio fondamentale. Dicemmo che questo è la dialettici-tà antitetica dello Spirito. Per Hegel il procedere inge-nuo della filosofia (dommatismo) è il “non aver ancoracoscienza della opposizione del pensiero in sè” (Enc., §26). Per questa opposizione lo Spirito (che è la più alta

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definizione dello Assoluto) è negatività proprio in quel-la identificazione del soggetto con l'oggetto (entrambiconcetto) che costituisce l'infinità e l'assolutezza delloSpirito: “essenza dello Spirito è la libertà, l'assoluta ne-gatività del concetto come identità con sè”. Il suo deter-minarsi è rivelare questa libertà, cioè questa negatività.(Enc., §§ 381-385). Questa negatività dello Spirito èquella che si traduce (o è senz'altro) nella dialettica op-posizione del pensare, che è la stessa filosofia, la qualeperciò è conoscenza del necessario come libero (Enc., §572). È stato perciò già notato, in campo neohegeliano,come non ci possa essere problema, di cui non si sappiagià la soluzione. La verità è che nello hegelismo il fattostoricamente accaduto giustifica sè col suo essere acca-duto; non c'è problema, dalla soluzione del quale il fattoconsegua nelle sue nuove determinazioni di fatto. Il fat-to giustifica sè stesso: aver detto che tal fatto è la stessaspiritualità, non muta nulla in questa autogiustificazionedel fatto.

85. Dogmatismo dell'antinomicità hegeliana.

Non può, dunque, nello hegelismo nascere problema.Il problema infatti nasce dalla constatazione di una esi-genza della coscienza comune non pienamente soddi-sfatta da un esplicito concetto filosofico che si sia cre-duto realizzato dalla esperienza. Ora, quando questa in-

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definizione dello Assoluto) è negatività proprio in quel-la identificazione del soggetto con l'oggetto (entrambiconcetto) che costituisce l'infinità e l'assolutezza delloSpirito: “essenza dello Spirito è la libertà, l'assoluta ne-gatività del concetto come identità con sè”. Il suo deter-minarsi è rivelare questa libertà, cioè questa negatività.(Enc., §§ 381-385). Questa negatività dello Spirito èquella che si traduce (o è senz'altro) nella dialettica op-posizione del pensare, che è la stessa filosofia, la qualeperciò è conoscenza del necessario come libero (Enc., §572). È stato perciò già notato, in campo neohegeliano,come non ci possa essere problema, di cui non si sappiagià la soluzione. La verità è che nello hegelismo il fattostoricamente accaduto giustifica sè col suo essere acca-duto; non c'è problema, dalla soluzione del quale il fattoconsegua nelle sue nuove determinazioni di fatto. Il fat-to giustifica sè stesso: aver detto che tal fatto è la stessaspiritualità, non muta nulla in questa autogiustificazionedel fatto.

85. Dogmatismo dell'antinomicità hegeliana.

Non può, dunque, nello hegelismo nascere problema.Il problema infatti nasce dalla constatazione di una esi-genza della coscienza comune non pienamente soddi-sfatta da un esplicito concetto filosofico che si sia cre-duto realizzato dalla esperienza. Ora, quando questa in-

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soddisfazione si ritiene senz'altro negazione – e per dipiù negazione di fatto con nuova esperienza storica –del precedente concetto e della precedente esperienza,come la dialettica antitetica ritiene, allora il problemanon è possibile che nasca, perchè è senz'altro eliminatoda quella negazione, che è la caratteristica del nuovo, inquanto questo deve essere, già a priori, opposto a quellodialetticamente superato. E dove non c'è problema, nonc'è filosofia; donde la legittimità dello hegeliano (quan-tunque non di Hegel) superamento della stessa filosofia.E non essendoci problema, il nuovo fatto prende le ap-parenze di problema e soluzione insieme. In verità sia-mo alla già notata giustificazione del fatto con sè stesso.La negazione, come essenziale atto della negatività (li-bertà) dello Spirito, e come solo modo di affermarsi del-la libera positività dello Spirito assoluto (l'Infinito si ri-vela con quelle negazioni che sono il finito), si presentacome soluzione di quel problema che in verità non c'èstato, in quanto è stata eliminata la condizione del na-scere del problema, cioè quella Critica, in cui si traducela sopraddetta consapevolezza della insoddisfazione. LaCritica, che così è fonte della problematicità (è in questola grandezza di Kant, non nei pretesi limiti in cui è chiu-sa la ragione, non nella pretesa eliminazione della meta-fisica dell'essere), è momento essenziale del sapere filo-sofico. E questa Critica appunto anche oggi ci fa accorti,che quel creduto superamento della Critica con la dialet-ticità antinomica dello Spirito, non è che il dogmaticoarrestarsi dei pensiero filosofico dinnanzi alla difficoltà

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soddisfazione si ritiene senz'altro negazione – e per dipiù negazione di fatto con nuova esperienza storica –del precedente concetto e della precedente esperienza,come la dialettica antitetica ritiene, allora il problemanon è possibile che nasca, perchè è senz'altro eliminatoda quella negazione, che è la caratteristica del nuovo, inquanto questo deve essere, già a priori, opposto a quellodialetticamente superato. E dove non c'è problema, nonc'è filosofia; donde la legittimità dello hegeliano (quan-tunque non di Hegel) superamento della stessa filosofia.E non essendoci problema, il nuovo fatto prende le ap-parenze di problema e soluzione insieme. In verità sia-mo alla già notata giustificazione del fatto con sè stesso.La negazione, come essenziale atto della negatività (li-bertà) dello Spirito, e come solo modo di affermarsi del-la libera positività dello Spirito assoluto (l'Infinito si ri-vela con quelle negazioni che sono il finito), si presentacome soluzione di quel problema che in verità non c'èstato, in quanto è stata eliminata la condizione del na-scere del problema, cioè quella Critica, in cui si traducela sopraddetta consapevolezza della insoddisfazione. LaCritica, che così è fonte della problematicità (è in questola grandezza di Kant, non nei pretesi limiti in cui è chiu-sa la ragione, non nella pretesa eliminazione della meta-fisica dell'essere), è momento essenziale del sapere filo-sofico. E questa Critica appunto anche oggi ci fa accorti,che quel creduto superamento della Critica con la dialet-ticità antinomica dello Spirito, non è che il dogmaticoarrestarsi dei pensiero filosofico dinnanzi alla difficoltà

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scaturita dalla soluzione (quella kantiana) del problemacritico.

Perciò lo hegelismo è dogmatismo: dogmatismo delladialettica, non meno intransigente del dogmatismo dellaintuizione; dogmatismo della mediazione, non meno in-giustificato, nella sua assolutezza, del dogmatismo dellaimmediatezza.

Per trarre quindi profitto dal contributo che il pensie-ro di Hegel ha dato al progresso della filosofia, bisognafrancamente riconoscere questo dogmatismo del princi-pio fondamentale hegeliano e riporlo, senza ambagi etergiversazioni, in discussione. Non si tratta di riformarela dialettica hegeliana rendendola più rigorosa nel suoprincipio, si tratta bensí di vedere la infondatezza di talprincipio, ricercandone l'umile origine in una difficoltà,che direi tecnica, in cui la filosofia si era impigliatadopo la grande scoperta kantiana e proprio in conse-guenza delle deduzioni che da tale scoperta Kant falsa-mente traeva.

86. Ritorno alla problematicità del filosofare.

Passi, dunque, alla storia anche Hegel con la sua dia-lettica logica, come già passò alla storia la dialettica na-turalistica del suo grande predecessore greco, come pas-sò alla storia l'idea di Platone e la forma di Aristotele, ilsum di Cartesio e l'inconoscibile di Kant. Ma della dia-

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scaturita dalla soluzione (quella kantiana) del problemacritico.

Perciò lo hegelismo è dogmatismo: dogmatismo delladialettica, non meno intransigente del dogmatismo dellaintuizione; dogmatismo della mediazione, non meno in-giustificato, nella sua assolutezza, del dogmatismo dellaimmediatezza.

Per trarre quindi profitto dal contributo che il pensie-ro di Hegel ha dato al progresso della filosofia, bisognafrancamente riconoscere questo dogmatismo del princi-pio fondamentale hegeliano e riporlo, senza ambagi etergiversazioni, in discussione. Non si tratta di riformarela dialettica hegeliana rendendola più rigorosa nel suoprincipio, si tratta bensí di vedere la infondatezza di talprincipio, ricercandone l'umile origine in una difficoltà,che direi tecnica, in cui la filosofia si era impigliatadopo la grande scoperta kantiana e proprio in conse-guenza delle deduzioni che da tale scoperta Kant falsa-mente traeva.

86. Ritorno alla problematicità del filosofare.

Passi, dunque, alla storia anche Hegel con la sua dia-lettica logica, come già passò alla storia la dialettica na-turalistica del suo grande predecessore greco, come pas-sò alla storia l'idea di Platone e la forma di Aristotele, ilsum di Cartesio e l'inconoscibile di Kant. Ma della dia-

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lettica antitetica hegeliana bisogna saper, voler davverofare la critica; e non è fare la critica il ricorrere, spinti dapragmatico timore dell'eventuale dissolversi dei valorispirituali, a quelle vecchie posizioni speculative, dallacui deficienza appunto l'hegelisrno è nato. Così nè sisalvano valori spirituali, nè si fa critica; e la dialetticahegeliana continua tranquilla a cantare il suo inno di vit-toria.

Però, anche di fronte a siffatte pavide preoccupazioniche rivedere cristallizzati concetti tradizionali sia provo-care dei cataclismi spirituali, la oggi tentata resurrezioneattuale di hegelismo, questo neohegelismo di oggi io ri-tengo che non abbia maggior valore di quel neokanti-smo, a cui si ricorreva pochi decenni fa per salvare lapericolante barca della filosofia nei marosi della scienzapositiva, tra i quali si era messa a navigare. Le resurre-zioni di pensieri filosofici possono servire, e servono disicuro, a scoprire il fuoco vivo sotto la cenere di unaeventuale accidia speculativa, ma non servono a far bril-lare di luce nuova il pensiero filosofico, che, perchè aciò riesca, deve, nutrito della sua storia e sostenuto daquell'ansia problematica che spinge ad andar sempre piùprofondo, cercar il problema entro la stessa coscienzacomune che si manifesta nelle concrete forme di attivitàspirituale, e questo enucleare proprio come problemaanche a costo di dare nelle secche dello scetticismo.Verrà chi trarrà fuori da queste secche la nave della me-tafisica, i cui fianchi non temono scogli, nè procelle. Siaffrontino dunque eventuali pericoli: il danno, il naufra-

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lettica antitetica hegeliana bisogna saper, voler davverofare la critica; e non è fare la critica il ricorrere, spinti dapragmatico timore dell'eventuale dissolversi dei valorispirituali, a quelle vecchie posizioni speculative, dallacui deficienza appunto l'hegelisrno è nato. Così nè sisalvano valori spirituali, nè si fa critica; e la dialetticahegeliana continua tranquilla a cantare il suo inno di vit-toria.

Però, anche di fronte a siffatte pavide preoccupazioniche rivedere cristallizzati concetti tradizionali sia provo-care dei cataclismi spirituali, la oggi tentata resurrezioneattuale di hegelismo, questo neohegelismo di oggi io ri-tengo che non abbia maggior valore di quel neokanti-smo, a cui si ricorreva pochi decenni fa per salvare lapericolante barca della filosofia nei marosi della scienzapositiva, tra i quali si era messa a navigare. Le resurre-zioni di pensieri filosofici possono servire, e servono disicuro, a scoprire il fuoco vivo sotto la cenere di unaeventuale accidia speculativa, ma non servono a far bril-lare di luce nuova il pensiero filosofico, che, perchè aciò riesca, deve, nutrito della sua storia e sostenuto daquell'ansia problematica che spinge ad andar sempre piùprofondo, cercar il problema entro la stessa coscienzacomune che si manifesta nelle concrete forme di attivitàspirituale, e questo enucleare proprio come problemaanche a costo di dare nelle secche dello scetticismo.Verrà chi trarrà fuori da queste secche la nave della me-tafisica, i cui fianchi non temono scogli, nè procelle. Siaffrontino dunque eventuali pericoli: il danno, il naufra-

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gio, se mai, sarà soltanto nostro, individualmente. E chialla filosofia consacra la sua vita, non deve temere even-tuali naufragi anche spirituali: è il coraggio che al filo-sofo si richiede.

Torniamo, dunque, o andiamo, se si vuole, alla schiet-ta esplicita problematicità del filosofare, e riponiamo indiscussione il principio fondamentale dello hegelismo;la dialettica antitetica. Sopprime essa il filosofare per lamancanza di problematicità, non risponde alla esigenzafondamentale della coscienza, che non è opposizione trail soggetto e l'oggetto, ma è individuazione che i sogget-ti singoli fanno dell'unico Essere in sè.

E così continueremo a filosofare, a specificamente fi-losofare, pur non estraniandoci dalla concreta spirituali-tà, anzi vivendone l'intima esigenza e quindi risponden-do ai problemi che in tutti i tempi da essa sono propostialla filosofia.

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gio, se mai, sarà soltanto nostro, individualmente. E chialla filosofia consacra la sua vita, non deve temere even-tuali naufragi anche spirituali: è il coraggio che al filo-sofo si richiede.

Torniamo, dunque, o andiamo, se si vuole, alla schiet-ta esplicita problematicità del filosofare, e riponiamo indiscussione il principio fondamentale dello hegelismo;la dialettica antitetica. Sopprime essa il filosofare per lamancanza di problematicità, non risponde alla esigenzafondamentale della coscienza, che non è opposizione trail soggetto e l'oggetto, ma è individuazione che i sogget-ti singoli fanno dell'unico Essere in sè.

E così continueremo a filosofare, a specificamente fi-losofare, pur non estraniandoci dalla concreta spirituali-tà, anzi vivendone l'intima esigenza e quindi risponden-do ai problemi che in tutti i tempi da essa sono propostialla filosofia.

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CONCLUSIONE

87. La conquista della filosofia moderna e il pas-saggio alla nuova filosofia.

Chi voglia raccogliere in un capo unico il risultatodella presente indagine, vede con chiarezza che essoconsiste nella dimostrazione che l'idealismo storico ita-liano, proprio con la sua inconfondibile originalità, dà ilmaggiore apporto alla conquisti della filosofia modernanel procedere della umana speculazione.

Gli argomenti addotti da altri popoli all'approfondi-mento e al consolidamento di tale conquista, come il ra-zionalismo francese e l'empirismo inglese nella fonda-zione del metodo del retto conoscere, e, come, sopratut-to, il soggettivismo tedesco nella trasformazione di talmetodo del conoscere in effettivo conoscere e di questoin concreta realtà; tali argomenti han certo contribuito achiarire la natura di quell'Oggetto, che, per esser vero,

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CONCLUSIONE

87. La conquista della filosofia moderna e il pas-saggio alla nuova filosofia.

Chi voglia raccogliere in un capo unico il risultatodella presente indagine, vede con chiarezza che essoconsiste nella dimostrazione che l'idealismo storico ita-liano, proprio con la sua inconfondibile originalità, dà ilmaggiore apporto alla conquisti della filosofia modernanel procedere della umana speculazione.

Gli argomenti addotti da altri popoli all'approfondi-mento e al consolidamento di tale conquista, come il ra-zionalismo francese e l'empirismo inglese nella fonda-zione del metodo del retto conoscere, e, come, sopratut-to, il soggettivismo tedesco nella trasformazione di talmetodo del conoscere in effettivo conoscere e di questoin concreta realtà; tali argomenti han certo contribuito achiarire la natura di quell'Oggetto, che, per esser vero,

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deve essere principio immanente dei soggetti che nehanno coscienza certa; ma la dimostrazione, prima neltempo e fondamentale nell'essenza, della positiva imma-nenza di tal principio nei soggetti è italiana, e costituisceil motivo dominante della italiana filosofia.

E perciò quegli indirizzi, che oggi finiscono nel sog-gettivismo, il quale caratterizza l'originalità della filoso-fia di un altro popolo, tralignano dalla italiana filosofia,e, nel tralignar da questa, perdono la conquista della fi-losofia moderna: l'immanenza della verità nella certez-za, e cioè la concretezza.

Il riconoscimento esplicito di tale conquista, che, nelperiodo della sua elaborazione, fu soltanto attivo e pro-fondo motivo implicito della speculazione, apre a questaun nuovo periodo. Tale riconoscimento comincia a ren-dersi esplicito nella dottrina rosminiana della oggettivitàdell'Essere ideale. In Rosmini perciò noi vediamo gli al-bori della nuova filosofia; laddove in Hegel vediamopiuttosto il coronamento, certo grandioso e solenne, diquella filosofia che fu moderna. L'Enciclopedia di Hegelè la Summa di tale filosofia, come la Summa di S. Tom-maso fu l'Enciclopedia della filosofia medioevale.

Il riconoscimento esplicito della concretezza, dunque,ne pone il problema, chiudendo quello della conoscenzadell'essere, come risoluto dalla filosofia moderna conl'affermazione della concretezza. E così, mentre da unaparte apre un periodo della speculazione, imponedall'altra la necessità di rivalutare la storica filosofiamoderna in base a questa conquista fatta da essa.

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deve essere principio immanente dei soggetti che nehanno coscienza certa; ma la dimostrazione, prima neltempo e fondamentale nell'essenza, della positiva imma-nenza di tal principio nei soggetti è italiana, e costituisceil motivo dominante della italiana filosofia.

E perciò quegli indirizzi, che oggi finiscono nel sog-gettivismo, il quale caratterizza l'originalità della filoso-fia di un altro popolo, tralignano dalla italiana filosofia,e, nel tralignar da questa, perdono la conquista della fi-losofia moderna: l'immanenza della verità nella certez-za, e cioè la concretezza.

Il riconoscimento esplicito di tale conquista, che, nelperiodo della sua elaborazione, fu soltanto attivo e pro-fondo motivo implicito della speculazione, apre a questaun nuovo periodo. Tale riconoscimento comincia a ren-dersi esplicito nella dottrina rosminiana della oggettivitàdell'Essere ideale. In Rosmini perciò noi vediamo gli al-bori della nuova filosofia; laddove in Hegel vediamopiuttosto il coronamento, certo grandioso e solenne, diquella filosofia che fu moderna. L'Enciclopedia di Hegelè la Summa di tale filosofia, come la Summa di S. Tom-maso fu l'Enciclopedia della filosofia medioevale.

Il riconoscimento esplicito della concretezza, dunque,ne pone il problema, chiudendo quello della conoscenzadell'essere, come risoluto dalla filosofia moderna conl'affermazione della concretezza. E così, mentre da unaparte apre un periodo della speculazione, imponedall'altra la necessità di rivalutare la storica filosofiamoderna in base a questa conquista fatta da essa.

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Come la filosofia antica greco-romana fu rivalutatanel pensiero medioevale in base alla riconosciuta con-quista di essa (la platonica e neoplatonica idealitàdell'oggetto); come la filosofia cristiana fu anch'essa,nel pensiero moderno, rivalutata in base alla sua ricono-sciuta conquista (la certezza, la spiritualità dei soggetti);così la filosofia moderna bisogna che sia rivalutata inbase alla sua conquista (l'immanenza dell'ideale oggettonegli spirituali soggetti). La filosofia si avanza in nuoviperiodi (o scuole o sistemi) proprio col riconoscerecome esplicita conquista quello che, nella elaborazionedi questa, era implicito motivo animatore della specula-zione. Tutta la storia della filosofia va dunque rivalutatain base alla conquista apportata dalla filosofia che fumoderna. La concretezza si pone essa come problema:in questo senso, io dissi già da tempo, la critica si ponecome critica dello stesso essere; dalla critica della cono-scenza bisogna passare alla critica del concreto.

La critica kantiana sta alla filosofia moderna, come ladialettica di Platone sta alla filosofia greca. In essa colladottrina del noumeno è implicitamente risoluto il pro-blema della filosofia moderna, come nella dialettica pla-tonica era risoluto quello della filosofia greca. E come ilplatonismo da una parte sfociò nella metafisica cristia-na; il cui soggettivismo religioso di origine orientale sipuò in certo modo ritenere radicale correzionedell'oggettivismo platonico, e dall'altra culminò e siesaurì in un neoplatonismo essenzialmente ellenico; cosìil criticismo da una parte sfociò nell'italiano ontologi-

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Come la filosofia antica greco-romana fu rivalutatanel pensiero medioevale in base alla riconosciuta con-quista di essa (la platonica e neoplatonica idealitàdell'oggetto); come la filosofia cristiana fu anch'essa,nel pensiero moderno, rivalutata in base alla sua ricono-sciuta conquista (la certezza, la spiritualità dei soggetti);così la filosofia moderna bisogna che sia rivalutata inbase alla sua conquista (l'immanenza dell'ideale oggettonegli spirituali soggetti). La filosofia si avanza in nuoviperiodi (o scuole o sistemi) proprio col riconoscerecome esplicita conquista quello che, nella elaborazionedi questa, era implicito motivo animatore della specula-zione. Tutta la storia della filosofia va dunque rivalutatain base alla conquista apportata dalla filosofia che fumoderna. La concretezza si pone essa come problema:in questo senso, io dissi già da tempo, la critica si ponecome critica dello stesso essere; dalla critica della cono-scenza bisogna passare alla critica del concreto.

La critica kantiana sta alla filosofia moderna, come ladialettica di Platone sta alla filosofia greca. In essa colladottrina del noumeno è implicitamente risoluto il pro-blema della filosofia moderna, come nella dialettica pla-tonica era risoluto quello della filosofia greca. E come ilplatonismo da una parte sfociò nella metafisica cristia-na; il cui soggettivismo religioso di origine orientale sipuò in certo modo ritenere radicale correzionedell'oggettivismo platonico, e dall'altra culminò e siesaurì in un neoplatonismo essenzialmente ellenico; cosìil criticismo da una parte sfociò nell'italiano ontologi-

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smo di Rosmini, il cui religioso oggettivismo di originecattolica si può ritenere fondamentale correzione delsoggettivismo critico di origine protestante, e dall' altraculminò e si va esaurendo in un dialettismo hegelianoessenzialmente tedesco.

88. Rinascimento e Critica alla conquista della concretezza.

La tesi storica, quindi, che io qui pongo, non dovreb-be essere, e non è, incoerente con quella che posi e di-mostrai riguardo alla interpretazione di Kant e allo svi-luppo erroneo della Critica nell'idealismo postkantiano.Anzi non è neppure diversa da questa: è la stessa tesi daun altro punto di vista.

Nella prima tesi, quella di una interpretazione dellaCritica, che consentisse la metafisica ed evitasse il sog-gettivismo, io mostrai che ciò che costituisce la scopertaspeculativa fatta da Kant nella Critica, non solo non ri-chiede la negazione dell'essere in sè e la conseguenteidentificazione del problema dell'oggettività, con quellodella negatività, ma richiede l'approfondimento, e lo svi-luppo dell'essere in sè in senso idealistico e cioè comeoggetto di coscienza.

In questa io dimostro che quell'idealismo, che, nelsenso più vasto del termine, costituisce l'asse direttivodella speculazione moderna (dire idealismo è lo stesso

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smo di Rosmini, il cui religioso oggettivismo di originecattolica si può ritenere fondamentale correzione delsoggettivismo critico di origine protestante, e dall' altraculminò e si va esaurendo in un dialettismo hegelianoessenzialmente tedesco.

88. Rinascimento e Critica alla conquista della concretezza.

La tesi storica, quindi, che io qui pongo, non dovreb-be essere, e non è, incoerente con quella che posi e di-mostrai riguardo alla interpretazione di Kant e allo svi-luppo erroneo della Critica nell'idealismo postkantiano.Anzi non è neppure diversa da questa: è la stessa tesi daun altro punto di vista.

Nella prima tesi, quella di una interpretazione dellaCritica, che consentisse la metafisica ed evitasse il sog-gettivismo, io mostrai che ciò che costituisce la scopertaspeculativa fatta da Kant nella Critica, non solo non ri-chiede la negazione dell'essere in sè e la conseguenteidentificazione del problema dell'oggettività, con quellodella negatività, ma richiede l'approfondimento, e lo svi-luppo dell'essere in sè in senso idealistico e cioè comeoggetto di coscienza.

In questa io dimostro che quell'idealismo, che, nelsenso più vasto del termine, costituisce l'asse direttivodella speculazione moderna (dire idealismo è lo stesso

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che dire immanentismo) ha carattere oggettivo comeidealismo italiano, e carattere soggettivo come ideali-smo tedesco.

Per l'idealismo post-kantiano l'identità delle mie duetesi è chiara: la dimostrazione della falsità dell'idealismotedesco in quanto soggettivismo, e quindi negazionedell'oggetto, dimostrazione che io davo allora provandoche da quel che c'è di innegabile nel kantismo non è dadedurre l'affermazione ma piuttosto la negazione delloschietto soggettivismo, è diventata la dimostrazione, cheora qui do, che l'idealismo italiano del Risorgimento,continuando quello del Rinascimento, afferma il suo va-lore proprio nella prova della esigenza della positiva og-gettività, che invece nel soggettivismo tedesco post kan-tiano è ridotta a schietta negazione.

Resta più difficile a vedere l'identità delle tesi per lastessa critica kantiana, in quanto questa certo è anche fi-losofia tedesca. Si può dire: se è vera la scoperta che voifate propria di Kant, se veramente con Kant si hal'implicita risoluzione del problema della filosofia mo-derna, la tesi della oggettività come carattere propriodell'idealismo italiano cade.

Non cade, rispondo; viene confermata.Infatti lo gnoseologismo, che, dedotto dalla filosofia

francese e dalla inglese, Kant prese come punto di par-tenza e lasciò come esplicito punto di arrivo con la di-chiarazione della inconoscibilità dell'essere in sè, inquanto trascendente il conoscere; tale gnoseologismokantiano non supera il soggettivismo. Questo è vinto

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che dire immanentismo) ha carattere oggettivo comeidealismo italiano, e carattere soggettivo come ideali-smo tedesco.

Per l'idealismo post-kantiano l'identità delle mie duetesi è chiara: la dimostrazione della falsità dell'idealismotedesco in quanto soggettivismo, e quindi negazionedell'oggetto, dimostrazione che io davo allora provandoche da quel che c'è di innegabile nel kantismo non è dadedurre l'affermazione ma piuttosto la negazione delloschietto soggettivismo, è diventata la dimostrazione, cheora qui do, che l'idealismo italiano del Risorgimento,continuando quello del Rinascimento, afferma il suo va-lore proprio nella prova della esigenza della positiva og-gettività, che invece nel soggettivismo tedesco post kan-tiano è ridotta a schietta negazione.

Resta più difficile a vedere l'identità delle tesi per lastessa critica kantiana, in quanto questa certo è anche fi-losofia tedesca. Si può dire: se è vera la scoperta che voifate propria di Kant, se veramente con Kant si hal'implicita risoluzione del problema della filosofia mo-derna, la tesi della oggettività come carattere propriodell'idealismo italiano cade.

Non cade, rispondo; viene confermata.Infatti lo gnoseologismo, che, dedotto dalla filosofia

francese e dalla inglese, Kant prese come punto di par-tenza e lasciò come esplicito punto di arrivo con la di-chiarazione della inconoscibilità dell'essere in sè, inquanto trascendente il conoscere; tale gnoseologismokantiano non supera il soggettivismo. Questo è vinto

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soltanto dall'ontologismo, che invece fu sempre l'animadella filosofia italiana, la quale non ebbe mai come ca-rattere proprio lo gnoseologismo.

In questo, vedemmo, si differenzia la filosofia moder-na in quanto inaugurata dal Rinascimento italiano, dallafilosofia moderna europea in quanto inaugurata dal car-tesianesimo inteso e sviluppato con lo spirito soggettivi-stico della Riforma.

Di questo gnoseologismo Kant tocca il limite, e cosìne costituisce, si può dire, una inconsapevole critica.Critica, che, come tale, viene a sconfessare lo gnoseolo-gismo e a mostrare la necessità di quell'ontologismo,che, anche se ingenuo, era già professato dall'idealismoitaliano prima della impostazione moderna del problemagnoseologico con Cartesio. E invece, sia detto fra paren-tesi, la presente speculazione idealistica italiana, tuttatrascinata dall'idealismo tedesco post-kantiano, continuaa fondarsi proprio sullo gnoseologismo; il quale, al con-trario, va abbandonato, e perchè falso nel voler fondareuna metafisica e perchè incoerente con l'esigenza onto-logica propria della speculazione italiana: questo, riten-go, l'errore anche di Varisco e Martinetti.

Il Kant esplicito, il Kant sistematico della Critica del-la ragione specialmente teoretica, fu non soltanto gno-seologo ma anche gnoseologista, e fu il più rigorosognoseologista. Il merito di Kant fu nell'aver, senza vo-lerlo, dimostrato che, anche quando si parta dalla gno-seologia, per sforzi che si facciano – sforzi dei qualiKant toccò il vertice – non si può rimanere in essa (il

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soltanto dall'ontologismo, che invece fu sempre l'animadella filosofia italiana, la quale non ebbe mai come ca-rattere proprio lo gnoseologismo.

In questo, vedemmo, si differenzia la filosofia moder-na in quanto inaugurata dal Rinascimento italiano, dallafilosofia moderna europea in quanto inaugurata dal car-tesianesimo inteso e sviluppato con lo spirito soggettivi-stico della Riforma.

Di questo gnoseologismo Kant tocca il limite, e cosìne costituisce, si può dire, una inconsapevole critica.Critica, che, come tale, viene a sconfessare lo gnoseolo-gismo e a mostrare la necessità di quell'ontologismo,che, anche se ingenuo, era già professato dall'idealismoitaliano prima della impostazione moderna del problemagnoseologico con Cartesio. E invece, sia detto fra paren-tesi, la presente speculazione idealistica italiana, tuttatrascinata dall'idealismo tedesco post-kantiano, continuaa fondarsi proprio sullo gnoseologismo; il quale, al con-trario, va abbandonato, e perchè falso nel voler fondareuna metafisica e perchè incoerente con l'esigenza onto-logica propria della speculazione italiana: questo, riten-go, l'errore anche di Varisco e Martinetti.

Il Kant esplicito, il Kant sistematico della Critica del-la ragione specialmente teoretica, fu non soltanto gno-seologo ma anche gnoseologista, e fu il più rigorosognoseologista. Il merito di Kant fu nell'aver, senza vo-lerlo, dimostrato che, anche quando si parta dalla gno-seologia, per sforzi che si facciano – sforzi dei qualiKant toccò il vertice – non si può rimanere in essa (il

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che vuol dire essere gnoseologista), perchè la gnoseolo-gia pura implica quell'ontologismo, che, nella filosofiamoderna era già, prima di Kant e prima di Cartesio, ca-rattere della speculazione italiana. La scoperta kantianafu quindi la nuova India colombiana (Kant con la suacritica non cercava un nuovo continente; cercava l'anti-co, proprio come Colombo), nuova India che già la spe-culazione italiana effettivamente abitava. La nuova viakantiana serve però a dare alla speculazione italiana co-scienza esplicita, che il territorio, che essa già abita, èveramente nuovo mondo e non il vecchio mondo, cheessa ha, senza saperlo, o sapendolo confusamente, ab-bandonato. Ma deve e può darle questa coscienza, soloquando quella via sia vista proprio dal continente giàabitato dagli italiani; solo quando la critica della cono-scenza abbia approdato all'essere della coscienza. Altri-menti per quella nuova via o si crederà di avere soltantoscorta come senza approdi la vecchia India (inconosci-bilità kantiana) o si riterrà che mai a nulla approdare sipossa, perchè prode non ci sono (negatività dialetticapostkantiana), e soltanto navigare è necessario, prenderterra no (è invece necessario anche prender terra: la ri-cerca che si riempia di se stessa, è vuota, e non è neppu-re ricerca; è niente). La scoperta del nuovo continente(Dio, l'Essere assoluto, immanente alla coscienza) erastata fatta, diciam così, per via di terra dal pensiero ita-liano; la via di mare, intrapresa da Cartesio come viadella schietta certezza, e sublimata da Kant come viadella soggettiva categoricità della natura creduta ogget-

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che vuol dire essere gnoseologista), perchè la gnoseolo-gia pura implica quell'ontologismo, che, nella filosofiamoderna era già, prima di Kant e prima di Cartesio, ca-rattere della speculazione italiana. La scoperta kantianafu quindi la nuova India colombiana (Kant con la suacritica non cercava un nuovo continente; cercava l'anti-co, proprio come Colombo), nuova India che già la spe-culazione italiana effettivamente abitava. La nuova viakantiana serve però a dare alla speculazione italiana co-scienza esplicita, che il territorio, che essa già abita, èveramente nuovo mondo e non il vecchio mondo, cheessa ha, senza saperlo, o sapendolo confusamente, ab-bandonato. Ma deve e può darle questa coscienza, soloquando quella via sia vista proprio dal continente giàabitato dagli italiani; solo quando la critica della cono-scenza abbia approdato all'essere della coscienza. Altri-menti per quella nuova via o si crederà di avere soltantoscorta come senza approdi la vecchia India (inconosci-bilità kantiana) o si riterrà che mai a nulla approdare sipossa, perchè prode non ci sono (negatività dialetticapostkantiana), e soltanto navigare è necessario, prenderterra no (è invece necessario anche prender terra: la ri-cerca che si riempia di se stessa, è vuota, e non è neppu-re ricerca; è niente). La scoperta del nuovo continente(Dio, l'Essere assoluto, immanente alla coscienza) erastata fatta, diciam così, per via di terra dal pensiero ita-liano; la via di mare, intrapresa da Cartesio come viadella schietta certezza, e sublimata da Kant come viadella soggettiva categoricità della natura creduta ogget-

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tiva, non avrebbe potuto far approdare a nulla, se suquella via non fosse esistito il continente dell'immanen-za oggettiva, in cui già viveva la speculazione italiana.La noumenicità kantiana, proprio in quanto pone la cri-tica kantiana in contraddizione con se stessa e quindi laelimina come gnoseologismo, è il punto di contatto, incui la speculazione tedesca soggettivistica sfocia neces-sariamente in quella oggettivistica italiana, e da una par-te confessa il proprio fallimento, dall'altra costringel'ontologismo a diventare critico, ad intendere l'oggetti-vità pura nella concretezza.

La tesi storica ora sostenuta, dunque, non solo non èin contraddizione con quella più generale sostenuta pre-cedentemente, ma ne è la esplicita conferma.

L'una tesi della oggettività noumenica come intrinse-ca alla coscienza critica era un porre il problema delconcreto indipendentemente dai sistemi e dalle personeche in essi si esauriscono. L'altra tesi della immanenzaoggettiva come carattere specifico del sistema speculati-vo italiano è un porre lo stesso problema del concretodal punto di vista dei sistemi, attraverso i quali la suaposizione si è venuta maturando.

89. La boria vichiana, e la nuova filosofia.

Resta a vedere se questa tesi del valore della italianafilosofia (da non confondersi, intendiamoci, con la tesi

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tiva, non avrebbe potuto far approdare a nulla, se suquella via non fosse esistito il continente dell'immanen-za oggettiva, in cui già viveva la speculazione italiana.La noumenicità kantiana, proprio in quanto pone la cri-tica kantiana in contraddizione con se stessa e quindi laelimina come gnoseologismo, è il punto di contatto, incui la speculazione tedesca soggettivistica sfocia neces-sariamente in quella oggettivistica italiana, e da una par-te confessa il proprio fallimento, dall'altra costringel'ontologismo a diventare critico, ad intendere l'oggetti-vità pura nella concretezza.

La tesi storica ora sostenuta, dunque, non solo non èin contraddizione con quella più generale sostenuta pre-cedentemente, ma ne è la esplicita conferma.

L'una tesi della oggettività noumenica come intrinse-ca alla coscienza critica era un porre il problema delconcreto indipendentemente dai sistemi e dalle personeche in essi si esauriscono. L'altra tesi della immanenzaoggettiva come carattere specifico del sistema speculati-vo italiano è un porre lo stesso problema del concretodal punto di vista dei sistemi, attraverso i quali la suaposizione si è venuta maturando.

89. La boria vichiana, e la nuova filosofia.

Resta a vedere se questa tesi del valore della italianafilosofia (da non confondersi, intendiamoci, con la tesi

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della italianità del valore filosofico) non possa essere at-tribuita a quella che potremmo dire con Vico “boria del-le nazioni”, e più ancora a quella “boria dei dotti”, che,secondo lo stesso Vico, si “aggiunge” alla prima.

Quanto alla boria delle nazioni, già giustificata sareb-be una boria italiana dalla boria di altre nazioni. Maquella sottostante a questa nostra indagine non è borianazionale nè nel comune significato, nè nel significatovichiano.

Non è; perchè io nè risalgo a quella italica filosofia,che, pur nell'ambito della civiltà ellenica, nasceva o al-meno si sviluppava nella nostra terra, sempre feconda, ecerto non soltanto di biade; nè do al pensiero italiano delRinascimento una chiara ed intera consapevolezza delconcreto, scoperto dalla filosofia moderna: a questa sco-perta il cartesianesimo e il kantismo sono tutt'altro chesuperflui. Il mio saggio sta nel porre in linea l'Italia trale nazioni civili occidentali, e mostrare che, nella gra-duale conquista speculativa, essa non solo tiene degna-mente il suo posto, ma è prima e sempre sul filone cen-trale della ricerca, a cui devono immettere quelli laterali,se vogliono contribuire allo sviluppo della ricerca stes-sa. E proprio perchè l'Italia non si lascia mai deviaredalla traccia della universale oggettività nel cammino fi-losofico (e forse in ogni campo dell'attività spirituale),essa riesce a tenere, tra i soggetti ricercanti, il posto cen-trale e a far che tutti contribuiscano alla ricerca che parsoltanto sua. Dobbiamo questo nascondere o non mette-re in evidenza, solo perchè abbiamo questo alto privile-

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della italianità del valore filosofico) non possa essere at-tribuita a quella che potremmo dire con Vico “boria del-le nazioni”, e più ancora a quella “boria dei dotti”, che,secondo lo stesso Vico, si “aggiunge” alla prima.

Quanto alla boria delle nazioni, già giustificata sareb-be una boria italiana dalla boria di altre nazioni. Maquella sottostante a questa nostra indagine non è borianazionale nè nel comune significato, nè nel significatovichiano.

Non è; perchè io nè risalgo a quella italica filosofia,che, pur nell'ambito della civiltà ellenica, nasceva o al-meno si sviluppava nella nostra terra, sempre feconda, ecerto non soltanto di biade; nè do al pensiero italiano delRinascimento una chiara ed intera consapevolezza delconcreto, scoperto dalla filosofia moderna: a questa sco-perta il cartesianesimo e il kantismo sono tutt'altro chesuperflui. Il mio saggio sta nel porre in linea l'Italia trale nazioni civili occidentali, e mostrare che, nella gra-duale conquista speculativa, essa non solo tiene degna-mente il suo posto, ma è prima e sempre sul filone cen-trale della ricerca, a cui devono immettere quelli laterali,se vogliono contribuire allo sviluppo della ricerca stes-sa. E proprio perchè l'Italia non si lascia mai deviaredalla traccia della universale oggettività nel cammino fi-losofico (e forse in ogni campo dell'attività spirituale),essa riesce a tenere, tra i soggetti ricercanti, il posto cen-trale e a far che tutti contribuiscano alla ricerca che parsoltanto sua. Dobbiamo questo nascondere o non mette-re in evidenza, solo perchè abbiamo questo alto privile-

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gio di essere italiani, o dobbiamo, peggio ancora, forza-re la caratteristica della nostra spiritualità e della nostraspeculazione, perchè prenda la maschera di altra perso-na spirituale?

L'una non è modestia, ma assenza colpevole; l'altronon è altruismo e progressismo ma soltanto disconosci-mento della propria persona.

Non dunque boria della nazione italiana, questa chequi spira e ispira.

E neppure boria di dotti, che vogliano ritrovar chiara,nell'antico pensiero, la loro propria esigenza, la loro pro-pria scoperta.

Per conto mio, di niuna cosa son tanto persuaso,quanto della problematicità di ogni scoperta filosofica,tanto più problematica quanto più profonda. E già quan-do, come in nube luminosa, cominciai a vedere quellache poi mi si è venuta formando concezione chiara, iotentavo quasi sottrarmi al peso di essa; sempre e forseanche troppo propenso all'esame del "quid valeant hu-meri, quid ferre recusent” io allora, scrivevo: “dalla mo-desta opera mia io chiedo soltanto che chi ha costruiti ochi ha capacità di costruire quegli strumenti di lavoroper i venturi quali sono tutte le fondamentali opere filo-sofiche, possa aver, dalla insoddisfazione del mio spiri-to, incitamento a costruirne altri, se a me non riuscirà dicostruirne mai alcuno” (Coscienza morale, 1914-15,pag. VI).

Se di tali strumenti io ora abbia già costruito o possaancor costruire qualcuno, io non so; ma so di certo, che,

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gio di essere italiani, o dobbiamo, peggio ancora, forza-re la caratteristica della nostra spiritualità e della nostraspeculazione, perchè prenda la maschera di altra perso-na spirituale?

L'una non è modestia, ma assenza colpevole; l'altronon è altruismo e progressismo ma soltanto disconosci-mento della propria persona.

Non dunque boria della nazione italiana, questa chequi spira e ispira.

E neppure boria di dotti, che vogliano ritrovar chiara,nell'antico pensiero, la loro propria esigenza, la loro pro-pria scoperta.

Per conto mio, di niuna cosa son tanto persuaso,quanto della problematicità di ogni scoperta filosofica,tanto più problematica quanto più profonda. E già quan-do, come in nube luminosa, cominciai a vedere quellache poi mi si è venuta formando concezione chiara, iotentavo quasi sottrarmi al peso di essa; sempre e forseanche troppo propenso all'esame del "quid valeant hu-meri, quid ferre recusent” io allora, scrivevo: “dalla mo-desta opera mia io chiedo soltanto che chi ha costruiti ochi ha capacità di costruire quegli strumenti di lavoroper i venturi quali sono tutte le fondamentali opere filo-sofiche, possa aver, dalla insoddisfazione del mio spiri-to, incitamento a costruirne altri, se a me non riuscirà dicostruirne mai alcuno” (Coscienza morale, 1914-15,pag. VI).

Se di tali strumenti io ora abbia già costruito o possaancor costruire qualcuno, io non so; ma so di certo, che,

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al di là di ogni mia riluttanza a sobbarcarmi al peso ditentare una parola nuova in filosofia – pur in quei limitiin cui di “nuovo” si possa mai parlare in filosofia – iosono da questa parola attratto, anche se difetto di culturae di forza, nel trascorrer rapido degli anni, contenda ame pur l'inizio di quello sviluppo che essa deve avere.

Lungi, dunque, dall'affermarla come già vissuta dainostri antichi questa dottrina ontologica del concreto, lavedo ancora tutta da sviluppare, sebbene certamente ilgerme vitale di tale sviluppo sia nel nostro pensiero ita-liano.

Ripeterò con Spinoza: “non praesumo me optimaminvenisse philosophiam, sed veram me intelligere scio”(Ep. LXXVI.).

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al di là di ogni mia riluttanza a sobbarcarmi al peso ditentare una parola nuova in filosofia – pur in quei limitiin cui di “nuovo” si possa mai parlare in filosofia – iosono da questa parola attratto, anche se difetto di culturae di forza, nel trascorrer rapido degli anni, contenda ame pur l'inizio di quello sviluppo che essa deve avere.

Lungi, dunque, dall'affermarla come già vissuta dainostri antichi questa dottrina ontologica del concreto, lavedo ancora tutta da sviluppare, sebbene certamente ilgerme vitale di tale sviluppo sia nel nostro pensiero ita-liano.

Ripeterò con Spinoza: “non praesumo me optimaminvenisse philosophiam, sed veram me intelligere scio”(Ep. LXXVI.).

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INDICE DEGLI AUTORI STUDIATIE CITATI

AgostinoAnselmo d'AostaArdigòAristoteleBerkeleyBrunoBuonaiutiBurckhardtBurdachCalogeroCampanellaCardinali GiuseppeCarducciCartesioCento V.ChiocchettiCopernicoCroce

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INDICE DEGLI AUTORI STUDIATIE CITATI

AgostinoAnselmo d'AostaArdigòAristoteleBerkeleyBrunoBuonaiutiBurckhardtBurdachCalogeroCampanellaCardinali GiuseppeCarducciCartesioCento V.ChiocchettiCopernicoCroce

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CusanoDanteDel Vecchio GiorgioDemocritoDe RuggieroDe SanctisEckhartEraclitoErdmann J. E.FichteFicinoGalilei G.GastaldiGemelliGentileGiobertiGlocknerGriffith G. O.GrozioHegelHelvetiusHerbartHugo VictorHumeKantKieszkowski B.KossuthLeibnizLenin

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CusanoDanteDel Vecchio GiorgioDemocritoDe RuggieroDe SanctisEckhartEraclitoErdmann J. E.FichteFicinoGalilei G.GastaldiGemelliGentileGiobertiGlocknerGriffith G. O.GrozioHegelHelvetiusHerbartHugo VictorHumeKantKieszkowski B.KossuthLeibnizLenin

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LeviLockeLuteroMachiavelliMaimonMamianiMarsilio da PadovaMartinettiMarxMasciMazziniMeineckeNewtonOlgiatiParmenidePlatonePlotinoPoliProcloReinholdRosminiRousseauSalveminiSavelliSchellingSocrateSpaventaSpencerSpinoza

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LeviLockeLuteroMachiavelliMaimonMamianiMarsilio da PadovaMartinettiMarxMasciMazziniMeineckeNewtonOlgiatiParmenidePlatonePlotinoPoliProcloReinholdRosminiRousseauSalveminiSavelliSchellingSocrateSpaventaSpencerSpinoza

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Tommaso d'AquinoTelesioUeberwegTennemannToffaninVallaVariscoVicoWindelband.

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Tommaso d'AquinoTelesioUeberwegTennemannToffaninVallaVariscoVicoWindelband.

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INDICI DEI CONCETTI19

accadere fisicoadogmatiea e antidogmatica posizioneadorazioneaffermatività (cfr. idealismo italiano)agnosticismoalteritàanaliticità dogmaticaantinomicità, antinomismo, antiteticità (cfr. dialetti-

ca).antistoricismo (cfr. cartesianesimo)antropomorfismoaposteriori come spiritoapriori, apriorità, apriorismoArtefice internoassolutismoAssoluto assolutezza

19 Questo e il precedente indice debbo alla cortesia della Si-gnorina Prof. Fiorentina Damonte. Io vivamente La ringrazio, espero che anche i lettori gliene saranno riconoscenti.

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INDICI DEI CONCETTI19

accadere fisicoadogmatiea e antidogmatica posizioneadorazioneaffermatività (cfr. idealismo italiano)agnosticismoalteritàanaliticità dogmaticaantinomicità, antinomismo, antiteticità (cfr. dialetti-

ca).antistoricismo (cfr. cartesianesimo)antropomorfismoaposteriori come spiritoapriori, apriorità, apriorismoArtefice internoassolutismoAssoluto assolutezza

19 Questo e il precedente indice debbo alla cortesia della Si-gnorina Prof. Fiorentina Damonte. Io vivamente La ringrazio, espero che anche i lettori gliene saranno riconoscenti.

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assoluta negativitàprincipioideasaperetrascendenteimmanentesoggettooggetto della filosofiacome io

astrattezza trascendentaleastrattismo dogmaticoattivismo, attività (cfr. Leibniz, Berkeley, Kant, Fich-

te, Hegel, Rosmini, realtà, attualismo)volitiva attività finale

atomismo (democriteo)atomo materialeatto (creativo) (cfr. Gioberti)

a. puro (attualismo) (cfr. Gentile).autoconcettoautocoscienza, autoconsapevolezzaautoformazione (cfr. unità dello spirito)autonomia (morale), (politica)autoritàbergsonismocartesianesimo; circolo c.categoria

categoricità kantianavarischiana

certezza (cfr. Cristianesimo)

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assoluta negativitàprincipioideasaperetrascendenteimmanentesoggettooggetto della filosofiacome io

astrattezza trascendentaleastrattismo dogmaticoattivismo, attività (cfr. Leibniz, Berkeley, Kant, Fich-

te, Hegel, Rosmini, realtà, attualismo)volitiva attività finale

atomismo (democriteo)atomo materialeatto (creativo) (cfr. Gioberti)

a. puro (attualismo) (cfr. Gentile).autoconcettoautocoscienza, autoconsapevolezzaautoformazione (cfr. unità dello spirito)autonomia (morale), (politica)autoritàbergsonismocartesianesimo; circolo c.categoria

categoricità kantianavarischiana

certezza (cfr. Cristianesimo)

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come soggettivacertezza e veritàproblema della certezza

chiesa universalec. protestantecogito (come posizione del problema della certezza)cognitio abditacognizioni di Diocoincidentia oppositorumconcetti empiriciconcettualitàconcreto

concretezza dell'essere concretezza di coscienzacritica della concretezzaconcreta totalità

conoscenza: problema della c.concetto realistico della c.possibilità della c.conoscere attivoconoscenza creatrice divina e umanaconoscenza dell'accadereconoscenza intellettiva

contingentismocontraddizione

il contradditorio come il razionaleControriformacopernicanesimocorsi e ricorsi

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come soggettivacertezza e veritàproblema della certezza

chiesa universalec. protestantecogito (come posizione del problema della certezza)cognitio abditacognizioni di Diocoincidentia oppositorumconcetti empiriciconcettualitàconcreto

concretezza dell'essere concretezza di coscienzacritica della concretezzaconcreta totalità

conoscenza: problema della c.concetto realistico della c.possibilità della c.conoscere attivoconoscenza creatrice divina e umanaconoscenza dell'accadereconoscenza intellettiva

contingentismocontraddizione

il contradditorio come il razionaleControriformacopernicanesimocorsi e ricorsi

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coscienza (cfr. verità, certezza) (passim):c. comuneunità di c.c. esplicita umanac. implicitac. aprioric. trascendentalec. empirica

Cristianesimo (cfr, certezza, coscienza, essere in sè,oggettività, soggettività, trascendenza)

Critica, criticismocriticismo teisticocritica del concretoc. dei concettic. della conoscenzaproblema criticocritica kantiana

cultura oggettivadialettica, dialettismo, dialetticità (cfr. antiteticità,

contraddizione, idealismo)dialettismo contraddittoriometodo dialettico fichtianodialettica kantianadialettismo hegelianod. tedescod. trascendentaledialettismo e idealismonegatività dialetticaconcetto dialettico dello spirito

394

coscienza (cfr. verità, certezza) (passim):c. comuneunità di c.c. esplicita umanac. implicitac. aprioric. trascendentalec. empirica

Cristianesimo (cfr, certezza, coscienza, essere in sè,oggettività, soggettività, trascendenza)

Critica, criticismocriticismo teisticocritica del concretoc. dei concettic. della conoscenzaproblema criticocritica kantiana

cultura oggettivadialettica, dialettismo, dialetticità (cfr. antiteticità,

contraddizione, idealismo)dialettismo contraddittoriometodo dialettico fichtianodialettica kantianadialettismo hegelianod. tedescod. trascendentaledialettismo e idealismonegatività dialetticaconcetto dialettico dello spirito

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dialettica antitetica del soggetto purodialettismo attualisticodialettica naturale

Dio (cfr. Rinascimento, Cristianesimo, Mazzini)problema di DioDio nella filosofia modernaDio come idea immanente alla coscienzaDio nella speculazione italianaDio trascendente in BrunoDio nel RinascimentoDio di MazziniDio nella scienza umana

discorsivitàdiveniredogma, dogmatismo (cfr. Patristica Scolastica)

d. religioso, tradizionaled. in Spinozad. nel Rinascimentoastrattismo dogmaticodogmatismo realistico precriticodogmatismo pedagogico della scienza

divenire (cfr. filosofia dello spirito)dovereEconomiaeducazione

e. fisicae. sessuale

egoità purae. critica

395

dialettica antitetica del soggetto purodialettismo attualisticodialettica naturale

Dio (cfr. Rinascimento, Cristianesimo, Mazzini)problema di DioDio nella filosofia modernaDio come idea immanente alla coscienzaDio nella speculazione italianaDio trascendente in BrunoDio nel RinascimentoDio di MazziniDio nella scienza umana

discorsivitàdiveniredogma, dogmatismo (cfr. Patristica Scolastica)

d. religioso, tradizionaled. in Spinozad. nel Rinascimentoastrattismo dogmaticodogmatismo realistico precriticodogmatismo pedagogico della scienza

divenire (cfr. filosofia dello spirito)dovereEconomiaeducazione

e. fisicae. sessuale

egoità purae. critica

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eleatica speculazioneempirismo

empirismo fenomenologicoe. utilitarioempiricitàumanismo empiristicoempirico concettopseudoconcettoempirico soggetto

Ente (cfr. Gioberti)epifenomenoerrore

e. realisticoesigenza di coscienzaesistenza

e. nel Giobertiesperienza

e. per Kante. come soggetto

essenze eterneessere in sè, cosa in sè (cfr. idealità, noumeno) nella

filosofia grecaessere principiocome idea universale, oggettivae passim;nel pensiero cristianoSommo essere spiritualecome oggetto del conoscerecome idea scoperta dal pensiero greco

396

eleatica speculazioneempirismo

empirismo fenomenologicoe. utilitarioempiricitàumanismo empiristicoempirico concettopseudoconcettoempirico soggetto

Ente (cfr. Gioberti)epifenomenoerrore

e. realisticoesigenza di coscienzaesistenza

e. nel Giobertiesperienza

e. per Kante. come soggetto

essenze eterneessere in sè, cosa in sè (cfr. idealità, noumeno) nella

filosofia grecaessere principiocome idea universale, oggettivae passim;nel pensiero cristianoSommo essere spiritualecome oggetto del conoscerecome idea scoperta dal pensiero greco

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in Kant e nell'idealismoinconoscibilità dell'essere in sè

Essereideale rosminiano

estetica (cfr. filosofia dello spirito)estetismo (cfr. Rinascimento)eterogeneitàeteronomiaeticità come valore assoluto dello spirito

e. come conoscenzaeudemonismofede (cfr. certezza, coscienza, dogma tradizione)fenomeno, fenomenicità, fenomenologismo

realtà fenomenica naturalefenomenologia (Hegel)fenomenismofenomenicità del tempo

filosofia modernaf. come umano disvelare l'Assolutof. grecaf. come scienzaf. come scienza o conoscenza assolutaf. come pensiero del proprio tempoproblema interno della filosofiasuperamento della filosofiafilosofia italicaf. pitagorica ed eleaticatedescaf. della storia

397

in Kant e nell'idealismoinconoscibilità dell'essere in sè

Essereideale rosminiano

estetica (cfr. filosofia dello spirito)estetismo (cfr. Rinascimento)eterogeneitàeteronomiaeticità come valore assoluto dello spirito

e. come conoscenzaeudemonismofede (cfr. certezza, coscienza, dogma tradizione)fenomeno, fenomenicità, fenomenologismo

realtà fenomenica naturalefenomenologia (Hegel)fenomenismofenomenicità del tempo

filosofia modernaf. come umano disvelare l'Assolutof. grecaf. come scienzaf. come scienza o conoscenza assolutaf. come pensiero del proprio tempoproblema interno della filosofiasuperamento della filosofiafilosofia italicaf. pitagorica ed eleaticatedescaf. della storia

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f. della naturaf. dello spirito (cfr. Croce)f. come concretezza creatricef. come dottrina della vitaf. come sforzo verso Diof. come rifletteref. del conosceref. come dialettica del pensare

finalità e sentimentalitàfuori realisticofurore (eroico)gnoseologismo, gnoseologia

(problema gnoseologico)(esigenza gnoseolog. cfr. filos. moderna)

hegelismoposizione hegeliana

ideai. assolutai. di Hegeli. fuori di sè come naturai. innataestensione come idea chiara e distinta(origine dell'i.)i. rosminianai. come oggettiv. di coscienza.i. razionalerealtà non idea

identità (principio logico)Illuminismo

398

f. della naturaf. dello spirito (cfr. Croce)f. come concretezza creatricef. come dottrina della vitaf. come sforzo verso Diof. come rifletteref. del conosceref. come dialettica del pensare

finalità e sentimentalitàfuori realisticofurore (eroico)gnoseologismo, gnoseologia

(problema gnoseologico)(esigenza gnoseolog. cfr. filos. moderna)

hegelismoposizione hegeliana

ideai. assolutai. di Hegeli. fuori di sè come naturai. innataestensione come idea chiara e distinta(origine dell'i.)i. rosminianai. come oggettiv. di coscienza.i. razionalerealtà non idea

identità (principio logico)Illuminismo

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immanentismo, immanenzai. del vero nel certo nella filosofia modernai. della forma ideale nella cosa realei. criticodell'essere assoluto al cogitoi. italianoi. trascendentale cioè soggettivoi. dell'essere ideale rosminianoi. etico-politico di Mazzinii. metafisico (cfr. Bruno)i. oggettivoi. nell'attualismo

incondizionatoindividualismoindividuazione di coscienzaindividui (problema degli individui)infinitoinnate (idee)inseitàintelletto (cfr. Kant)intellettualismointuizione (intellettiva)io (cfr. Kant, Fichte, Hegel)

i. assoluto e fichtianoi. trascendentalei. creatore del mondoi. empirico, individualei. eticoi. penso di Kant

399

immanentismo, immanenzai. del vero nel certo nella filosofia modernai. della forma ideale nella cosa realei. criticodell'essere assoluto al cogitoi. italianoi. trascendentale cioè soggettivoi. dell'essere ideale rosminianoi. etico-politico di Mazzinii. metafisico (cfr. Bruno)i. oggettivoi. nell'attualismo

incondizionatoindividualismoindividuazione di coscienzaindividui (problema degli individui)infinitoinnate (idee)inseitàintelletto (cfr. Kant)intellettualismointuizione (intellettiva)io (cfr. Kant, Fichte, Hegel)

i. assoluto e fichtianoi. trascendentalei. creatore del mondoi. empirico, individualei. eticoi. penso di Kant

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i. libero kantianoi. spirito di Hegeli. puro.i. puro come sentimentoi. concretoi. come puntualizzazione soggettiva

ioniche (scuole)irrelativitàlibero esame (cfr. Riforma)libertà

l. assoluta di lotta (cfr. Stato)logica, logicismo, logicità

l. apparentel. dialettical. trascendentalel. hegeliana

logo concretomateriamens super omniametafisica e problema metafisico

m. come scienza assolutam. dogmatica

metodo dubbio metodico, problema metodologico.mio-saper-l'esseremisticismo, mistica

m. nel sistema hegelianom. trascendentista

modi di Diomolteplicità

400

i. libero kantianoi. spirito di Hegeli. puro.i. puro come sentimentoi. concretoi. come puntualizzazione soggettiva

ioniche (scuole)irrelativitàlibero esame (cfr. Riforma)libertà

l. assoluta di lotta (cfr. Stato)logica, logicismo, logicità

l. apparentel. dialettical. trascendentalel. hegeliana

logo concretomateriamens super omniametafisica e problema metafisico

m. come scienza assolutam. dogmatica

metodo dubbio metodico, problema metodologico.mio-saper-l'esseremisticismo, mistica

m. nel sistema hegelianom. trascendentista

modi di Diomolteplicità

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m. trascendentalemonadismomoralismonatura

n. come idea fuori di sèn. fenomenican. conosciutan. filosofia della n.n. nel Rinascimenton. oggettività e naturalitàn. come autodeterminazione del concetton. realistican. ridotta a negatività

naturalismon. aristotelicon. tradizionale

nazionalismonazionalità della speculazione

negatività (cfr. dialettica)dello spiritoe oggettività

neoapologeticaneohegelismoneokantismoneoplatonismo (cfr. Bruno)non ionoumenonulla (assoluto)numericità

401

m. trascendentalemonadismomoralismonatura

n. come idea fuori di sèn. fenomenican. conosciutan. filosofia della n.n. nel Rinascimenton. oggettività e naturalitàn. come autodeterminazione del concetton. realistican. ridotta a negatività

naturalismon. aristotelicon. tradizionale

nazionalismonazionalità della speculazione

negatività (cfr. dialettica)dello spiritoe oggettività

neoapologeticaneohegelismoneokantismoneoplatonismo (cfr. Bruno)non ionoumenonulla (assoluto)numericità

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oggettività, oggettivo, oggettivismo (cfr. essere in sè)e veritàessere oggettivonel pensiero cristianocome negativitàidealisticadi coscienzaassolutaimmanenteconcretanel saperenella filos. grecadella ragionenel Rinascimentoidealeesigenza della oggettività

oggetto (cfr. oggettività, essere in sè)come ideaberkeleyana relatività dell'oggettodi coscienzanaturacome pensatorealisticoontologismo, argomento ontologico, ontologicità, on-

tologiacriticoprecriticostoricoidealistico

402

oggettività, oggettivo, oggettivismo (cfr. essere in sè)e veritàessere oggettivonel pensiero cristianocome negativitàidealisticadi coscienzaassolutaimmanenteconcretanel saperenella filos. grecadella ragionenel Rinascimentoidealeesigenza della oggettività

oggetto (cfr. oggettività, essere in sè)come ideaberkeleyana relatività dell'oggettodi coscienzanaturacome pensatorealisticoontologismo, argomento ontologico, ontologicità, on-

tologiacriticoprecriticostoricoidealistico

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logicoargomento ontologico

panlogismopanteismoparalogismopedagogia, scienza pedagogica (cfr. Gentile, Varisco)

essenza della p.identificazione di p. e filosofiacome dottrina della vitacome culturaproblema della p.pedagogia e scienza naturale

pensiero grecopensiero-azione (cfr. Mazzini)pensiero moderno (cfr. filosofia moderna)percipere (cfr. Berkeley. Rosmini)persona-Dioplatonismopluralismopluralità dei soggetti e di coscienzapopolo (cfr. Mazzini)positivismopragmatismoprimordialità (dell'essere o del sapere)principio

di ragione fichtianoassoluto

problematicità metafisicaprotestantesimo

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logicoargomento ontologico

panlogismopanteismoparalogismopedagogia, scienza pedagogica (cfr. Gentile, Varisco)

essenza della p.identificazione di p. e filosofiacome dottrina della vitacome culturaproblema della p.pedagogia e scienza naturale

pensiero grecopensiero-azione (cfr. Mazzini)pensiero moderno (cfr. filosofia moderna)percipere (cfr. Berkeley. Rosmini)persona-Dioplatonismopluralismopluralità dei soggetti e di coscienzapopolo (cfr. Mazzini)positivismopragmatismoprimordialità (dell'essere o del sapere)principio

di ragione fichtianoassoluto

problematicità metafisicaprotestantesimo

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provvidenza nella storia (cfr. Vico)pseudoconcettipsichicitàpsicologismo, psicologia; cartesiano

e ontologismoantistorico francesecome oggettività di coscienzatradizionale nel concepire lo spiritoumanistico

ragion pura, teoretica e praticarazionalismo: scettico tedesco

tradizionaleattivo del Rinascimentoimmanentistico

realtà, realecome esistenzacome negazionecome attivo pensiero conoscitivocome dialettismo, come contrapposizionedel razionalecome ideacome non ideacome spiritospiritualità del reale

realismocontemporaneopositivisticoreligiosodella coscienza comune

404

provvidenza nella storia (cfr. Vico)pseudoconcettipsichicitàpsicologismo, psicologia; cartesiano

e ontologismoantistorico francesecome oggettività di coscienzatradizionale nel concepire lo spiritoumanistico

ragion pura, teoretica e praticarazionalismo: scettico tedesco

tradizionaleattivo del Rinascimentoimmanentistico

realtà, realecome esistenzacome negazionecome attivo pensiero conoscitivocome dialettismo, come contrapposizionedel razionalecome ideacome non ideacome spiritospiritualità del reale

realismocontemporaneopositivisticoreligiosodella coscienza comune

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e ontologismoesigenza realistica dell'oggettività

reciprocità di coscienzaregno di Dio (cfr. cristianesimo)relativismo, relativitàrelazionereligione, religiosità

r. e filosofiainsegnamento r.r. positivar. come forma di vitarinascita religiosa

riformarivelazioneromanesimo cattolicosaggezzascetticismoscienze positivescolasticascuola (cfr. Varisco e Stato)

natura filosofica della scuolas. e vitas. e insegnamento religiosos. educativa

sensismo (cfr. Telesio, Campanella)senso comunesentire (spiritualità del s.)simbolismo conoscitivosingolare, singolarità (cfr. unico)

405

e ontologismoesigenza realistica dell'oggettività

reciprocità di coscienzaregno di Dio (cfr. cristianesimo)relativismo, relativitàrelazionereligione, religiosità

r. e filosofiainsegnamento r.r. positivar. come forma di vitarinascita religiosa

riformarivelazioneromanesimo cattolicosaggezzascetticismoscienze positivescolasticascuola (cfr. Varisco e Stato)

natura filosofica della scuolas. e vitas. e insegnamento religiosos. educativa

sensismo (cfr. Telesio, Campanella)senso comunesentire (spiritualità del s.)simbolismo conoscitivosingolare, singolarità (cfr. unico)

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plurale singolarità di coscienzasintesi, sintesi a priorisinteticità

s. del saperes. primordiale

sofistica relativitàsoggettivismo, soggettivo, soggettività

soggettivismo e posizione dell'ios. fichtianos. umanisticos. fideisticos. assolutos. tedescos. cristianos. idealisticos. storicisticos. e filosofiasoggettiva certezzasapereelevazione nell'estasipensaresoggettività e realtàs. e coscienzas. e filos. modernas. sintetica del sensos. protestantes. individuales. delle formes. assoluta

406

plurale singolarità di coscienzasintesi, sintesi a priorisinteticità

s. del saperes. primordiale

sofistica relativitàsoggettivismo, soggettivo, soggettività

soggettivismo e posizione dell'ios. fichtianos. umanisticos. fideisticos. assolutos. tedescos. cristianos. idealisticos. storicisticos. e filosofiasoggettiva certezzasapereelevazione nell'estasipensaresoggettività e realtàs. e coscienzas. e filos. modernas. sintetica del sensos. protestantes. individuales. delle formes. assoluta

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soggetto (cfr. soggettivismo)s. e certezzas. infinito, unico, assolutos. pensantes. idealistico postkantianos. e esseres. e oggettos. e riformafilosofia del soggetto

solidificazione dell'esseresolipsismo

s. assolutos. empiristico

suprannatura tradizionalesostanza, sostanzialità

spinozianaspirito

s. e Ideas. assoluto, unicos. finiti berkeleyanis. e libertànegatività dello s.s. come processos. nel concetto crocianos. come spiritualità umanaconcetto psicologico dello s.s. e naturas. e culturas. e soggetto

407

soggetto (cfr. soggettivismo)s. e certezzas. infinito, unico, assolutos. pensantes. idealistico postkantianos. e esseres. e oggettos. e riformafilosofia del soggetto

solidificazione dell'esseresolipsismo

s. assolutos. empiristico

suprannatura tradizionalesostanza, sostanzialità

spinozianaspirito

s. e Ideas. assoluto, unicos. finiti berkeleyanis. e libertànegatività dello s.s. come processos. nel concetto crocianos. come spiritualità umanaconcetto psicologico dello s.s. e naturas. e culturas. e soggetto

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s. come atto purofilosofia dello s.s. come io singolare

spiritualitàs. come attività consapevoles. dell'oggettos. e umanitàs. del reales. e libertàs. e passivitàproblema della s.s. e educaz.

Statostoricismo, storicità, storiografia

s. assolutos. pragmaticos. idealisticos. umanisticos. crocianos. astratto

superstizionesuperamento della criticateismoteodicea tradizionaleteologia, problema teologicoteoria, teoreticità (cfr. Mazzini)totalità

t. concretatrascendenza, trascendentismo

408

s. come atto purofilosofia dello s.s. come io singolare

spiritualitàs. come attività consapevoles. dell'oggettos. e umanitàs. del reales. e libertàs. e passivitàproblema della s.s. e educaz.

Statostoricismo, storicità, storiografia

s. assolutos. pragmaticos. idealisticos. umanisticos. crocianos. astratto

superstizionesuperamento della criticateismoteodicea tradizionaleteologia, problema teologicoteoria, teoreticità (cfr. Mazzini)totalità

t. concretatrascendenza, trascendentismo

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t. cristianat. aristotelicat. grecat. dell'assolutot. platonicat. soprannaturalisticat. personalet. dello spiritot. e coscienzat. e scetticismot. dell'oggettot. in Rosminit. e immanenzat. dell'io purot. teistica e realisticat. tradizionale dell'essere

trascendentaleumanesimounicità del soggettounico e singolareuniversale, universalità, universalismo: universale

veritàassolutonel singolaremissioneuniversalità e Riformau. del filosofareu. della coscienzauniversalismo italiano

409

t. cristianat. aristotelicat. grecat. dell'assolutot. platonicat. soprannaturalisticat. personalet. dello spiritot. e coscienzat. e scetticismot. dell'oggettot. in Rosminit. e immanenzat. dell'io purot. teistica e realisticat. tradizionale dell'essere

trascendentaleumanesimounicità del soggettounico e singolareuniversale, universalità, universalismo: universale

veritàassolutonel singolaremissioneuniversalità e Riformau. del filosofareu. della coscienzauniversalismo italiano

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uno plotinianouomo crociano

u. come spiritualitàu. come natura

utilitarismoverità (cfr. certezza); v. universale, oggettivav. assolutav. nel Cristianesimov. dell'oggettov. e certezzav. razionalev. nella filosofia modernav. nella storiav. idealeverum come factumricerca attiva della v.doppia v.vita

410

uno plotinianouomo crociano

u. come spiritualitàu. come natura

utilitarismoverità (cfr. certezza); v. universale, oggettivav. assolutav. nel Cristianesimov. dell'oggettov. e certezzav. razionalev. nella filosofia modernav. nella storiav. idealeverum come factumricerca attiva della v.doppia v.vita

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