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LE FRONTIERE DELLA SCIENZA L’evoluzione In questo fascicolo sono raccolti alcuni articoli sulle strategie dell’evoluzione pubblicati sull’Aula di Scienze (aulascienze.scuola.zanichelli.it); nel sito si possono trovare anche altre notizie e contenuti multimediali su varie discipline scientifiche. Qui, in particolare, troverai: Colorazioni più chiare contro i cambiamenti climatici; Contro il freddo: ecco le strategie della natura; Ghiaccio bollente; Consigli vegetali per resistere al gelo; Colori d’autunno: il foliage; Piante da battaglia; Veleno o rimedio? Dipende dalla dose; Il sorprendente arsenale dei licheni. Alla fine di ogni articolo ci sono alcune domande di comprensione e dei suggerimenti per fare delle ricerche in Rete, mentre nell’ultima pagina, una bibliografia e sitografia minima suggerisce ulteriori letture per approfondire i temi trattati. ©serg_dibrova/shutterstock

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LE FRONTIEREDELLA

SCIENZA

L’evoluzione

In questo fascicolo sono raccolti alcuni articoli sulle strategie dell’evoluzione pubblicati sull’Aula diScienze (aulascienze.scuola.zanichelli.it); nel sito si possono trovare anche altre notizie e contenutimultimediali su varie discipline scientifiche. Qui, in particolare, troverai:

■ Colorazioni più chiare contro i cambiamenti climatici;■ Contro il freddo: ecco le strategie della natura;■ Ghiaccio bollente;■ Consigli vegetali per resistere al gelo;■ Colori d’autunno: il foliage;■ Piante da battaglia;■ Veleno o rimedio? Dipende dalla dose;■ Il sorprendente arsenale dei licheni.

Alla fine di ogni articolo ci sono alcune domande di comprensione e dei suggerimenti per fare dellericerche in Rete, mentre nell’ultima pagina, una bibliografia e sitografia minima suggerisceulteriori letture per approfondire i temi trattati.

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Colorazioni più chiare contro i cambiamenti climaticidi EUGENIO MELOTTI

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Tra le tante conseguenze del riscaldamen-to globale ce n’è una inattesa. Secondo gliscienziati dell’Imperial College di Londra,la composizione delle comunità di farfal-le e libellule europee negli ultimi anni si èmodificata. Le specie dai colori più chiaristanno soppiantando quelle scure, confi-nate sempre più a Nord.Come succede per lucertole, serpenti ealtri animali eterotermi, negli insetti lacolorazione del corpo è fondamentaleper la termoregolazione. Quelli scuri as-sorbono maggiormente la luce solare equindi riescono a scaldarsi in tempi piùrapidi, un vantaggio non da poco per ani-mali volatori.Non a caso, molte farfalle di montagna, co-me quelle appartenenti al genere Erebia(figura A), hanno colori scuri che spessotendono al nero. Al contrario, nei climipiù caldi può essere utile una livrea bian-ca o molto chiara, che riflette la luce edevita il surriscaldamento.

Che fine fanno gli insetti piùscuri?In uno scenario in cui la temperatura me-dia del pianeta sta aumentando, dunque,non stupisce che le specie scure siano piùpenalizzate, come suggerisce uno studiopubblicato su Nature Communications. Perappurare l’esistenza di una correlazionetra colorazione e temperatura, gli scien-ziati hanno eseguito scansioni del corpo edelle ali di 366 specie di farfalle e 107 spe-cie di libellule presenti in tutta Europa.Hanno poi combinato l’analisi delle im-magini digitali eseguite per valutare le va-riazioni di colore con i dati relativi allemappe di distribuzione delle diverse spe-cie. Risultato: una netta dominanza di in-setti di colore chiaro nelle zone calde delSud dell’Europa, e viceversa una preva-lenza di quelli scuri nel Nord più fresco.

I ricercatori hanno anche esaminato icambiamenti nella distribuzione dellespecie su un periodo di diciotto anni (dal1988 al 2006), per verificare eventuali va-riazioni dovute al riscaldamento climati-co. I risultati hanno mostrato che in me-dia gli insetti stanno diventando piùchiari, e che quelli di colore più scuro sistanno spostando verso le zone più fre-sche ai margini occidentali dell’Europa,ovvero le Alpi e i Balcani.L’autore principale dello studio, DirkZeuss della Philipps-Universität Mar-burg in Germania, ha dichiarato: «Quan-

Rispondi e ricercaa. Che cosa ha dimostrato la ricerca pubblicata su Nature Communications?b. Perché la colorazione incide sulla termoregolazione degli organismi?c. Attraverso una ricerca in Rete verifica se il fenomeno descritto riguarda

soltanto farfalle e libellule o anche altre specie animali.

do studiamo la biodiversità, spesso nonconosciamo le regole generali sul per-ché certe specie si trovano in determina-te zone e non in altre. Con questa ricercasiamo stati in grado di dimostrare qualispecie di farfalle e di libellule in tuttaEuropa sono distribuite in base alla ca-pacità di regolare il calore corporeo at-traverso la loro variazione di colore. Fi-nora potevamo solo osservare i massiccicambiamenti nell’entomofauna negliultimi vent’anni anni. Adesso abbiamoun’idea più precisa della causa di questicambiamenti».

Figura A Come un pannello solare, le ali scure di questa Erebiacassioides assorbono il calore e consentono alla farfalla di regolare lapropria temperatura corporea. Un indubbio vantaggio in alta montagna,che però sta costringendo molte specie scure a spostarsi sempre più aNord e in alta quota per sfuggire al riscaldamento globale.

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Contro il freddo: ecco le strategie della naturadi GIULIA BIANCONI

Ci sono animali che vivono, o forse do-vremmo dire prosperano, a temperatureche vanno anche di molto sotto zero,quando noi invece battiamo i denti. La lo-ro storia evolutiva ci parla di adattamentispinti in questa direzione. Per approfondi-re questi temi abbiamo intervistato SaraBorin, esperta di ambienti estremi del Di-partimento di Scienze e Tecnologie Ali-mentari e Microbiologiche della Facoltàdi Agraria di Milano, Eva Pisano, docentedi biologia al Dipartimento per lo studiodel Territorio e delle sue Risorse dell’Uni-versità di Genova, e Roberto Bargagli, di-rettore del Dipartimento di Scienze Am-bientali dell’Università di Siena.

Quali organismi vivono atemperature glaciali?Gli organismi che vivono negli ambientifreddi si devono adattare a condizionidette «estreme», lontane dalle tempera-ture fisiologiche per gli esseri umani. Gliorganismi che vivono negli ambienti

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estremi (non solo quelli freddi, ma anchequelli molto caldi o salati o acidi peresempio) vengono per questo chiamatiestremofili, letteralmente «amanti degliestremi». Molti estremofili sono così benadattati al loro habitat che non sopravvi-vono se portati alle nostre condizioni divita. La definizione di ambiente estremodipende quindi dal punto di vista: per unmicrorganismo che vive unicamente atemperature glaciali, sono le nostre lati-tudini a essere un luogo inospitale. Esi-stono microrganismi chiamati psicrofili,che tollerano anche temperature inferio-ri a 0 °C, ma non sopravvivono sopra i20 °C (figura A). Mentre microrganismidefiniti psicrotolleranti riescono a soprav-vivere sia al freddo sia a temperature cal-de, superiori ai 30 °C. Una grande varietàdi microrganismi psicrofili sono stati ri-trovati in tutti gli habitat freddi dellaTerra, fondali oceanici, ghiacciai, suolipermanentemente congelati (perma-frost), e il loro studio è servito a scoprirediversi meccanismi per sopravvivere alfreddo (figura B, nella pagina seguente).

Quali sono questimeccanismi?I microrganismi non riescono a mante-nere all’interno della cellula una tem-peratura diversa dall’ambiente ester-no. I problemi causati dalle basse tem-perature esterne per i microrganismisono sia di tipo fisico, legati ai danniche i cristalli di ghiaccio possono pro-vocare alle strutture cellulari, sia di ti-po biochimico, spiegati dalla legge diArrhenius, che stabilisce che la velocitàdelle reazioni chimiche è inversamen-te proporzionale alla temperatura.Al freddo quindi gli enzimi cellulari ral-lentano l’attività, le proteine tendono acambiare conformazione e le membranecellulari si irrigidiscono, con conseguentidanni alla struttura delle macromolecolee la loro perdita di funzionalità. Per so-pravvivere a questi effetti dannosi provo-cati dal freddo, gli psicrofili possiedonoenzimi modificati attivi a basse tempera-ture, e membrane cellulari più fluide perrisentire meno dell’effetto di irrigidimen-to che condiziona il passaggio di sostanzetra interno ed esterno della cellula. Datoche a basse temperature la solubilità in-tracellulare dell’ossigeno aumenta, le cel-lule devono anche fronteggiare una mag-giore concentrazione di molecole reatti-ve e derivanti dalla incompleta riduzionedell’ossigeno, per esempio i radicali libe-ri, che danneggiano le macromolecoledella cellula. Per evitare questi danni ibatteri psicrofili possiedono particolarienzimi protettivi.Un’ulteriore protezione dagli effettideleteri del freddo è costituita dalla pro-duzione, sia all’interno della cellula sianell’ambiente circostante, di piccole mo-lecole organiche con funzione di anti-gelo, denominate «soluti compatibili».Queste, abbassando la temperatura di con-

Figura A Una colonia dibatteri psicrofili Rhodoglobusvestalii fotografata con ilmicroscopio elettronico ascansione (SEM).

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gelamento dell’acqua, limitano i dannicausati dai cristalli di ghiaccio.Un gruppo di ricercatori appartenenti alaboratori italiani e spagnoli ha scopertoche un batterio psicrofilo isolato in An-tartide e capace di crescere a temperatu-re vicine a 0 °C, Oleispira antartica, produ-ce come protezione dagli effetti del fred-do una particolare proteina, appartenen-te al gruppo delle chaperonine.Durante la sintesi proteica, le chaperoni-ne (presenti in tutte le cellule) guidanola proteina neo-sintetizzata nel processodi riavvolgimento per farle assumere lastruttura tridimensionale definitiva efunzionante. Nel caso dello studio italo-spagnolo è stato ipotizzato che le chape-ronine di O. antartica avessero un ruoloimportante nel proteggere le proteinecellulari dagli effetti dannosi del freddo.Per confermare questa ipotesi i ricercato-ri hanno ingegnerizzato una coltura diEscherichia coli così da fargli produrre al-cune chaperonine di O. antartica. Il batte-rio risultante era in grado di crescere a4 °C, temperatura normalmente proibiti-va per E. coli. Questa scoperta, oltre ad al-largare le nostre conoscenze riguardo al-le capacità degli organismi di resistere alfreddo, ha anche grandi potenzialità percreare ceppi microbici ricombinanti ca-paci di crescere e avere attività particola-ri anche in ambienti freddi.

quali strategie adottanocontro il freddo i pesciche vivono nelle acquepolari?I pesci sono il gruppo di animali chepiù di tutti contribuisce alla biodiver-sità dei vertebrati. Se ne conoscono in-fatti oltre 25 000 specie, distribuite intutti gli ambienti acquatici del mondo;tuttavia solo pochi pesci, molto parti-colari, sono adattati alle condizioniuniche del mare che circonda l’Antar-tide (figura B). In questi ambienti latemperatura è di –2 °C: la temperaturainterna dei pesci, che sono animali ete-rotermi, è identica a quella esterna.Inoltre in questo ambiente marino par-

ticolare si formano in continuazionecristalli di ghiaccio che possono confacilità avviare un processo di congela-mento, sia dall’esterno del corpo, percontatto, oppure dall’interno del cor-po, dove cristalli di ghiaccio penetranocon facilità insieme al cibo ingerito oall’acqua che irrora le branchie duran-te la respirazione.La strategia di base messa in atto daquesti animali è pertanto quella di evi-tare il congelamento. Come? Nel corsodella loro storia evolutiva i progenito-ri degli attuali pesci antartici hannoavuto una mutazione in un tratto delloro DNA che codificava per alcuni en-zimi digestivi pancreatici (simili altripsinogeno); a seguito di questa mo-dificazione il tratto genico «anomalo»ha acquisito la capacità di codificaremolecole con una particolare funzio-ne, quella antigelo. Queste molecolesono piccoli glicopeptidi (tre ammino-acidi legati a una molecola di zucche-ro) prodotti in grande quantità e libe-rati nel sangue e in tutti i liquidi cor-porei. Solo recentemente, dopo aver ri-costruito la storia genetica dei geni co-dificanti queste proteine si è potutoverificare che questi antigelo biologicinon vengono prodotti nel fegato, comesi pensava in precedenza, ma dal pan-creas.

Come agiscono le molecoleantigelo dei pesci antartici?Le numerose piccole molecole antigeloin circolo, una volta arrivate a contattocon cristalli di ghiaccio all’interno delcorpo, ne impediscono la possibilità diconfluire e aumentare di dimensione,bloccando così il processo di congela-mento. L’azione di queste molecole ab-bassa la temperatura di congelamento diquesti animali di circa un grado, portan-dola a –2 °C, quindi a un valore più bassorispetto alla temperatura dell’acqua ma-rina circostante.Una volta superato il problema del conge-lamento a livello generale con l’acquisi-zione della capacità di sintetizzare questeproteine, altre strategie strutturali e fun-zionali molto importanti permettono losvolgimento delle funzioni cellulari e me-taboliche. Le membrane cellulari, peresempio, sono ricche di grassi insaturiche le rendono più fluide e gli enzimi so-no modificati per essere attivi a bassetemperature. In questi aspetti biochimicie cellulari, come si vede, complessi orga-nismi eucarioti come i pesci non si com-portano in modo molto diverso dai batte-ri, anzi c’è una forte convergenza nellestrategie adattative di organismi che sem-brerebbero avere ben poco in comune.

Figura B I pesci adattati a vivere in ambienti polaripresentano ghiaccio al proprio interno e vivonospesso sotto lastre di acqua ghiacciata.

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sono ben 200 le specieintrodotte per sbaglioin Antartide dall’uomo:Come è possibile chesi siano adattate cosìvelocemente al freddo?

Per affrontare il problema occorre di-stinguere le diverse zone biogeografi-che: Antartide continentale, Antartidemarittimo e sub-Antartide. L’Antartidecontinentale è un deserto freddo e so-prattutto a causa della mancanza di ac-qua liquida, i microrganismi, le spore ei pollini trasportati dal vento, dagli uc-celli migratori o importati accidental-mente dall’uomo con gli aerei, le navi,i vestiti e alcuni tipi di alimenti comele patate o altri vegetali, hanno scarsis-sime possibilità di svilupparsi. Nellezone del continente dove solo per bre-vissimi periodi durante l’estate austra-le può essere disponibile dell’acqua li-quida, possono crescere solo batteri,funghi microscopici, alghe, licheni emuschi. Molte specie non sono ende-miche dell’Antartide (ma cosmopolite)

e come succede in altri ambienti estre-mi, esse riescono a sopravvivere alfreddo e al buio dell’inverno antarticoin una forma di vita latente, in assenzao quasi di acqua nei tessuti, per poi ri-prendere il loro metabolismo non ap-pena, in estate, tornerà disponibilel’acqua.In uno studio apparso su Proceedingsof the National Academy of Sciences siparla invece di Antartide marittimo esub-Antartide (costa occidentale dellaPenisola Antartica e le molte isole checircondano il continente). Questi terri-tori sono caratterizzati da condizioniambientali meno estreme (disponibili-tà di acqua e temperature spesso supe-riori a 0 °C) e quindi, anche da maggio-re biodiversità. Nell’Antartide maritti-mo vi sono due specie di piante erbaceee la biodiversità della flora e della fau-na aumenta considerevolmente nelleisole sub-antartiche. Queste infatti, sitrovano alla stessa latitudine e con con-dizioni climatiche e ambientali abba-stanza simili a quelle della Scandinaviao di altre regioni antropizzate dell’emi-sfero settentrionale. Quindi la presenzadi circa 200 specie «aliene» negli ecosi-

stemi terrestri delle isole sub-antarti-che non deve sorprendere: si tratta perlo più di piante erbacee invasive su sca-la globale (soprattutto Poaceae ed Aste-raceae) già pre-adattate alle condizioniambientali di isole come le Kerguelen ole Crozet. Siccome lo studio delle spe-cie aliene è stato rivolto soprattutto al-le piante superiori e alla macro-fauna,molto probabilmente, nei prossimi an-ni nelle isole sub-antartiche verrannoscoperti molti altri «invasori», special-mente tra batteri, microinvertebratiterrestri, alghe, funghi, licheni, epati-che e muschi (figura C).

Rispondi e ricercaa. Quali adattamenti sono stati

adottati dagli esseri viventi chepopolano le regioni più fredde delpianeta?

b. Che differenza esiste tra i termini«estremofilo», «psicrofilo» e«psicrotollerante»?

c. Quali conseguenze ha avuto per laflora e la fauna locali l’introduzionedi nuove specie in Antartide?

d. Attraverso una ricerca inRete, prepara uno slideshow diimmagini che evidenzino i miglioriadattamenti al freddo e al caldomostrati da animali e piante di tuttoil pianeta.

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Figura C La popolazione di Pringleaantiscorbutica, o cavolo delle Kerguelen, è stataridotta sensibilmente dall’introduzione diconigli da parte dell’uomo, così come moltiuccelli hanno perso le proprie nidiate a causadei gatti portati dagli esploratori come animalidi compagnia.

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Ghiaccio bollentedi STEFANO DALLA CASA

I Notothenioidei, spesso chiamati «pescighiaccio», sono un sottordine di pesci dif-fusi nell’emisfero meridionale (figura A).Le specie che vivono più vicino al Polohanno nei loro fluidi corporei particolariproteine che si legano ai cristalli dighiaccio e ne impediscono l’accresci-mento, permettendo agli animali di noncongelarsi.Diversi animali, e persino piante, possie-dono analoghe proteine antigelo ma ipesci ghiaccio sono diventati ormai unesempio classico per spiegare come l’e-voluzione permetta alle forme viventi dicolonizzare anche gli ambienti più ino-spitali.Ora una nuova ricerca pubblicata sullarivista Proceedings of the National Academyof Sciences, ha invece svelato il rovesciodella medaglia di questa elegante trovataevolutiva dei Notothenioidei: le stesseproteine che impediscono ai cristalli dighiaccio di accrescersi, impediscono an-che a questi ultimi di sciogliersi quandole temperature sono superiori allo zero.

Esiste il ghiaccio a temperaturesuperiori al punto di congelamento?Era noto da tempo che in condizioni di la-boratorio le AFP (anti-freezing proteins) po-tessero creare ghiaccio «sovrariscaldato»,cioè cristalli che sono stabili a temperatu-re superiori al punto di congelamento (equindi non si sciolgono), ma ora un grup-po internazionale di biologi ha dimostra-to che questo accade normalmente ancheall’interno dei pesci ghiaccio.Per stabilirlo, i ricercatori hanno campio-nato i Notothenioidei presenti nel Canaledi Mcmurdo, in Antartide, quasi perenne-mente bloccato dai ghiacci durante il pe-riodo invernale. I pesci sono stati trasferitiin laboratorio e monitorati in speciali ac-quari dove i ricercatori potevano alzare eabbassare a piacimento la temperatura. Icampioni di siero prelevati hanno rivelatoche, grazie alle proteine anti-gelo, i nucleidi ghiaccio resistevano anche quando latemperatura dell’acqua era superiore an-

che di un grado rispetto al punto di conge-lamento, che per l’ambiente interno deiNotothenioidei è stato valutato –1 °C.

Ma succede la stessa cosa anchein natura?I biologi sono tornati a pesca nel gennaiodel 2013 (estate nell’emisfero australe), inun momento in cui le acque del Canale diMcmurdo erano diventate calde in modoanomalo. Anche in questo caso, nono-stante la temperatura fosse di mezzo gra-do superiore a quella di congelamento,nel siero dei pesci continuava a esserci ilghiaccio, stabilizzato dalle proteine AFP.Questo, secondo i ricercatori, significache i pesci non hanno possibilità di disfar-si dei nuclei di ghiaccio presenti nei lorotessuti quando le acque sono più calde.Come fanno, allora, a evitare che si accu-muli troppo ghiaccio? I ricercatori azzar-dano l’ipotesi che sia il sistema immuni-tario a riconoscere il ghiaccio incapsulatodalle proteine e a riuscire così a disfarse-ne, oppure è anche possibile che il ghiac-cio possa accumularsi senza interferireseriamente col ciclo vitale dell’animale.In ogni caso, questi strani pesci non hannoancora finito di insegnarci l’evoluzione.

Rispondi e ricercaa. Perché i Notothenioidei vengono

anche chiamati «pesci ghiaccio»?b. Descrivi brevemente il processo che

consente a questi pesci di resisterenelle gelide acque dei Poli.

c. Aiutandoti con una ricerca inRete, descrivi almeno tre casi diadattamento animale a un ambienteestremo e presentali attraverso unapresentazione in PowerPoint (oprogrammi simili).

Figura A I pesci ghiaccio hanno un corpotraslucido, molto allungato, con testa schiacciata,bocca e occhi piuttosto grandi.

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Consigli vegetali per resistere al gelodi EUGENIO MELOTTI

Quando fa molto freddo, i mammiferivanno in letargo, o per lo meno aumen-tano il grasso sottocutaneo e infoltisco-no la pelliccia. E le piante? Non poten-dosi spostare, devono resistere al gelocome riescono. Ma non fatevi inganna-re: sono ben equipaggiate (figura A).Le prime piante con fiori (le angiosperme)si sono evolute in luoghi dal clima tropica-le caldo. Ma nella conquista delle terreemerse nemmeno le latitudini più estremeo le cime montuose le hanno fermate, tan-to che oggi sono di gran lunga il gruppodominante, con circa 300 000 specie.Per passare dai tropici all’Artico, natural-mente, è stato necessario adottare alcunestrategie, ma tutto sommato nemmenotroppe. Un gruppo internazionale di ri-cercatori ha infatti scoperto che moltiadattamenti utili ad affrontare il gelo era-no già presenti da tempo. Semplicemente,sono stati riutilizzati per altri scopi.

Quali sono i principali adattamentidelle piante contro il freddo?Nello studio, pubblicato su Nature, i ricer-catori guidati da Amy Zanne hanno rico-

struito il più grande albero evolutivo del-le angiosperme finora realizzato, che in-clude oltre 32 000 specie. Hanno quindiindividuato alcuni tratti fondamentaliper superare i mesi più freddi, in gran par-te sfruttando gli immensi database delNational Evolutionary Synthesis Center inNorth Carolina e della Macquarie Univer-sity in Australia.Tra i principali adattamenti c’è la perditadelle foglie tipica delle caducifoglie, spes-so accompagnata a una riduzione dell’ap-parato radicale e all’interruzione del tra-sporto di liquidi fino al ritorno della bellastagione. Altre piante, invece, si disfanoanche del fusto, lasciando alle radici ilcompito di ricostruirlo. I semi svernantisono un’altra ottima soluzione, economi-ca ed efficace.Oltre al freddo, però, c’è un altro perico-lo mortale. Il congelamento e il disgeloinfatti possono portare alla formazionedi piccole bolle d’aria (come quelle chesi osservano nei cubetti di ghiaccio).Bolle sufficientemente grandi, formatedall’unione di bolle più piccole, potreb-bero ostruire completamente i vasi chetrasportano acqua e linfa, condannandoa morte la pianta. Per ridurre un simile

rischio, alberi come il pioppo e la betul-la hanno ridotto le dimensioni delle cel-lule vascolari.Quando i ricercatori hanno combinatoi dati sul congelamento di foglie e stelidi migliaia di specie con il loro alberoevolutivo, hanno avuto qualche sor-presa. Alcuni adattamenti, come la ri-generazione dall’apparato radicale e lariduzione delle cellule dei tessuti va-scolari erano già presenti molto tempoprima che le piante sperimentasserol’ibernazione.Questi tratti si erano probabilmenteevoluti per far fronte a periodi di sicci-tà, ma si sono rivelati molto utili an-che per superare la sfida del freddo.Fanno eccezione le caducifoglie: la per-dita delle foglie si è infatti evoluta co-me specifica strategia antigelo.

Rispondi e ricercaa. È corretto affermare che gli animali

hanno più difese delle piante contro ilgelo? Perché?

b. Quali sono le principali strategieantigelo adottate dalle piante?

c. Fai una ricerca in Rete e verificaquali piante sono presenti nellatua zona e quali accorgimentiadottano nel periodo invernale,quindi esponi brevemente irisultati.

Figura A Mentre gli animali possono migrare o andare in letargo nei mesi invernali, le piante adottanostrategie di autoconservazione, che riducono al minimo gli sprechi energetici fino all’arrivo della primavera.

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Colori d’autunno: il foliagedi GIULIA BIANCONI

Nel periodo autunnale tutti gli anni ve-diamo cambiare in maniera graduale l’a-spetto del nostro verde urbano e dellacampagna. Le chiome degli alberi pro-gressivamente si tingono di giallo e aran-cione, oppure virano in sfumature di ros-so e marrone. Poi, con l’avvicinarsi dell’in-verno, una parte di queste foglie cade ine-sorabilmente a terra. Paolo Trost insegnafisiologia molecolare delle piante all’Uni-versità di Bologna e assieme a lui voglia-mo capire quale sia la spiegazione biolo-gica e chimica alla base di questi fenome-ni, che sempre più spesso vengono defini-ti con un termine francese: foliage.

Quali sono le piante che nelperiodo autunnale presentano ilcambio di colore delle foglie?La comparsa di colori autunnali nellachioma è un fenomeno tipico delle fore-ste decidue dei climi temperati (figura A).

Le piante decidue (o caducifoglie) sonoalberi e arbusti che perdono le foglie pri-ma di una stagione climatica sfavorevole,che nelle regioni temperate dell’emisferoNord è rappresentata dall’inverno. Nontutte le piante decidue presentano i colo-ri autunnali tipici del foliage: si stima in-fatti che sia solo un quarto delle speciearboree dei climi temperati a mostrarequesta caratteristica.Nella maggior parte delle caducifoglie, in-fatti, la foglia verde schiarisce progressi-vamente e poi diventa bruna prima di ca-dere, non diventa rossa o totalmente gial-la. In altre specie, invece, il colore dellefoglie cambia completamente: da verdepuò virare verso il giallo o l’arancione, op-pure puntare decisamente al rosso bril-lante, al porpora o al marrone. In questespecie le foglie colorate possono restareattaccate all’albero per lunghi periodi, inalcuni casi fino a due mesi, donando allesingole piante e all’intera foresta degli ef-fetti cromatici spettacolari.

La manifestazione dei colori autunnali èun carattere a forte controllo genetico.L’ambiente fa la sua parte per quanto ri-guarda l’innesco e la durata del foliage,ma la manifestazione di questo carattere(il fenotipo) dipende soprattutto dal pa-trimonio genetico delle diverse specie. Enon necessariamente specie strettamen-te imparentate si comportano allo stessomodo da questo punto di vista. Di 85 spe-cie di acero recentemente analizzate, in-fatti, circa un terzo non presenta il folia-ge, mentre altre specie all’interno del ge-nere Acer diventano gialle e/o rosse inautunno. In uno studio recente ben 290specie arboree appartenenti a famigliebotaniche diverse sono state classificatesulla base dei colori autunnali: per lamaggior parte sono rappresentate da an-giosperme, cioè piante che produconofiori. Interessante è il caso delle varietàcoltivate di melo (selezionate artificial-mente per la qualità dei frutti) che nonpresentano il foliage, al contrario dellevarietà selvatiche. Ci sono esempi anchetra le gimnosperme, anche se si tratta dipoche specie: alcuni larici diventanogialli, mentre nei Taxodium è prevalenteuna colorazione bruna. Bellissimo è an-che il colore giallo che assume il Ginkgobiloba, gimnosperma antichissima.

quali differenze presentanole piante che manifestanoil foliage rispetto a quelleche sono colorate di rossotutto l’anno, come alcuniaceri?Il colore verde delle foglie dipende dallaclorofilla, un pigmento che ha un’eleva-ta capacità di assorbire alcune compo-nenti della luce visibile, una proprietà

Figura A Un tipico paesaggio boschivo dell’Italia prealpina,dove i boschi di caducifoglie si tingono di giallo e arancioprima dell’inverno.

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fondamentale per la fotosintesi. La clo-rofilla assorbe prevalentemente le com-ponenti blu e rossa della luce solare, mariflette la luce verde che noi percepia-mo. Anche se le foglie d’estate ci appa-iono verdi, ciò non significa che noncontengano altre molecole colorate(pigmenti); la loro presenza è di solitocompletamente mascherata dalla cloro-filla e quindi non percepibile dall’oc-chio umano.In autunno, con l’invecchiamento dellefoglie, nelle piante decidue la clorofillaviene progressivamente degradata, e sirivelano gli altri pigmenti presenti. NelNord Europa questi sono rappresentatisoprattutto dai carotenoidi. I colori deidiversi tipi di carotenoidi spaziano dalgiallo, all’arancione e al rosso, anche se icarotenoidi rossi (come il licopene che co-lora i frutti del pomodoro) non sono co-muni nelle foglie. La funzione dei carote-noidi è sia di aiuto alla fotosintesi, per-ché assorbono parte della luce che nonviene assorbita dalla clorofilla, sia di fo-toprotezione: la fotosintesi stessa può es-sere infatti fonte di stress ossidativo e icarotenoidi sono importanti antiossi-danti naturali.Negli alberi con colori autunnali che vi-rano verso il rosso sono chiamati in cau-sa ulteriori pigmenti, le antocianine oantociani (una particolare categoria diflavonoidi). A differenza di clorofilla ecarotenoidi, le antocianine non hannoun ruolo nella fotosintesi e non sononormalmente presenti nelle foglie. Ven-gono prodotte in condizioni di stress, peresempio a causa del freddo, e in alcunespecie anche durante l’invecchiamentodelle foglie (senescenza). Le antocianinesono responsabili della colorazione au-tunnale rossa di specie come l’acero sac-carifero (Acer saccharum) diffuso in NordAmerica. In altre specie di acero, peresempio Acer palmatum, le antocianinefogliari sono presenti in grande quantitàdurante l’intera stagione vegetativa, eper questo motivo le foglie sono semprerosse. Sono situazioni particolari in cuila colorazione della clorofilla, che pure èpresente altrimenti queste piante nonpotrebbero vivere, è sovrastata dal coloredelle antocianine.

Che significato ha questa fase nellavita di una pianta caducifoglia?Queste piante hanno foglie troppo delica-te per resistere alle temperature invernalie non adatte a sopportare eventuali gelate.Temperature basse e molta luce, tipiche inuna bella giornata d’inverno, rappresenta-no delle condizioni difficili per questepiante: l’apparato fotosintetico può infattitrasformarsi in una fonte di «Specie Reat-tive dell’Ossigeno» (ROS), molecole moltoaggressive che possono danneggiare le fo-glie e renderle facile preda di patogeni. In-somma, per molte specie arboree la perdi-ta delle foglie in autunno può essere unaforma di difesa preventiva, non troppo co-stosa per il bilancio globale della pianta vi-sto che gran parte dei nutrienti possonoessere recuperati prima che la foglia siaabbandonata al suo destino.

Perché in alcune specie la perditadelle foglie si accompagna allacomparsa dei colori autunnalimentre in molte altre no?Sono state avanzate diverse teorie alternati-ve per spiegare il fenomeno. L’idea di fondoè che la colorazione autunnale sviluppatada alcune piante debba rappresentare unaforma avanzata di protezione, nei confrontidi stress fisici o nei confronti di insetti pa-rassiti. Nel primo caso si parla di un’ipotesifotoprotettiva: con l’arrivo dell’autunno lapianta si prepara a recuperare i nutrientidalle foglie e smantellare i loro apparati fo-tosintetici. Senza clorofilla infatti la lucepuò indurre facilmente la formazione diROS. Non solo i carotenoidi che sono giàpresenti nella foglia, ma anche le antociani-ne sintetizzate specificamente in autunnopossono avere una funzione fotoprotettiva:in particolare le antocianine svolgono unruolo schermante perché assorbono lucesenza trasmetterla agli apparati fotosinteti-ci. Non solo, sia le antocianine sia i carote-noidi hanno anche un’attività antiossidan-te e neutralizzano direttamente le ROS.La più importante ipotesi alternativa èquella della coevoluzione, basata sull’os-

servazione di molte specie di insetti, co-me gli afidi, che cercano rifugio negli al-beri in autunno per svernare. Il coloreacceso del fogliame autunnale, soprat-tutto le tonalità del rosso, verrebbero in-terpretate dagli insetti come un segnaledi pericolo. Alcuni studi hanno di fattodimostrato che gli afidi sono più attrattidalle foglie verdi rispetto a quelle rosse.Alcune specie vegetali avrebbero quindievoluto la colorazione rossa autunnaleper evitare di essere colonizzate dagli afi-di e altri insetti durante l’inverno. Inol-tre, almeno in alcuni casi, è stato dimo-strato che le foglie ricche di antocianinehanno un maggior contenuto di sostantefenoliche che costituiscono delle difesechimiche nei confronti degli erbivori.

Come si determina il distaccodelle foglie?Il distacco delle foglie, ovvero l’abscissio-ne fogliare (figura B), è un processo atti-vo che la pianta regola in modo accurato.La prima necessità della pianta deciduaè il recupero in autunno delle sostanze

Figura B Al microscopio ottico è possibileosservare l’inizio del distacco di una foglia dalramo che la sostiene, mentre già si vede la gemmadella nuova foglia che spunterà a primavera.

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nutritive presenti all’interno delle foglieche entrano in fase senescente. Le protei-ne sono un’importante fonte di azoto chevengono degradate ad amminoacidi, tra-sportati poi dalla foglia al resto della pian-ta. La stessa sorte tocca agli elementi mi-nerali. Terminata la fase di recupero, puòiniziare l’abscissione. Il distacco del pic-ciolo avviene in un punto ben definito, incorrispondenza di uno o più strati di cel-lule modificate che costituiscono la zonadi abscissione. Queste cellule sono morfo-logicamente diverse dalle altre cellule delpicciolo: lungo l’asse di accrescimento delpicciolo sono molto più schiacciate espesso si possono riconoscere, così diffe-renziate, molti mesi prima dell’autunno.Due sono i principali ormoni coinvoltinell’abscissione, l’auxina e l’etilene. Il loroeffetto è antagonistico: mentre l’auxinacontrasta l’abscissione, l’etilene la pro-muove. Prima dell’autunno, i livelli di au-xina nelle foglie sono sufficienti a impe-dire l’effetto dell’etilene, ma l’innesco delprocesso di abscissione avviene proprioquando, nella foglia senescente, l’auxinainizia a mancare. L’azione dell’etileneconsiste nell’attivazione di geni che codi-ficano per enzimi capaci di disgregare laparete cellulare, ma solo nelle cellule del-la zona di abscissione. Il risultato è un di-stacco netto della foglia in un punto benpreciso. Per evitare che le ferite generatedall’abscissione fogliare diventino facilisiti di penetrazione per microrganismipatogeni, le piante le cicatrizzano con de-positi di sostanze come callosio e ligninae, in alcuni casi, producono anche protei-ne ad azione antimicrobica.

Esiste un’influenza dei gas serrasul fenomeno del foliage?Non ci sono molti studi in proposito, maè almeno possibile tracciare qualche

Figura C A differenza dei boschi europei, quelli dell’Americasettentrionale sono formati soprattutto da aceri, che d’autunnomostrano una colorazione rossastra molto intensa.

considerazione ragionevole. Fermo re-stando che la manifestazione dei coloriautunnali ha una forte base genetica e ri-guarda solo alcune specie, l’intensità e ladurata del fenomeno dipendono certa-mente dall’ambiente. Per esempio, so-prattutto nelle foreste del Nord Americasi ritiene che l’alternanza di giorni caldi esoleggiati e notti fredde (ma senza gelate)sia una condizione che favorisce le piùspettacolari colorazioni autunnali. Vice-versa un autunno uniformemente caldopotrebbe diminuire l’intensità del foliage.L’aumento dei gas serra nell’atmosfera ècausa di un aumento globale della tempe-ratura che riguarda anche le regioni tem-perate. È possibile che il riscaldamentoglobale contribuisca al ritardo della com-parsa dei colori autunnali e che forse inun futuro prossimo, quando le tempera-ture saranno più elevate, ne risulti atte-nuata anche l’intensità.In effetti le foreste del Nord America, ein modo particolare nella regione delNew England, sono costituite prevalen-temente da specie che assumono colora-zioni spettacolari in autunno. In partico-lare prevalgono in tutto il Nord America,come pure in Estremo Oriente, gli alberia colorazione autunnale rossa. All’oppo-sto, nelle foreste temperate del Nord Eu-ropa prevale la colorazione gialla e mol-te specie non hanno colori autunnali. La

ragione del minor numero relativo dispecie europee con vivaci colorazioniautunnali va ricercata nel maggior tassodi estinzione di specie arboree che si èverificato nel nostro continente a segui-to delle glaciazioni del Pleistocene. Il fo-liage del New England (figura C) è pri-ma di tutto una conseguenza della mag-gior ricchezza di specie presenti in que-sta regione che hanno conservato questocarattere. Per le ragioni già ricordate, inquesta zona contribuiscono certamenteanche le condizioni climatiche che nefanno risaltare l’intensità e, ai nostri oc-chi, la bellezza.

Rispondi e ricercaa. Che cosa indicano i termini

«foliage» e «abscissione»?b. Quali pigmenti sono presenti nelle

piante e quali funzioni svolgono?c. Quali differenze esistono tra

un bosco prealpino e un bosconordamericano?

d. Aiutandoti con una ricerca inRete, compara il comportamentoautunnale di un acero (Acersaccharum), una quercia (Quercusrobur) e un castagno (Castaneasativa).

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poi hanno analizzato i loro tessuti, sco-prendo che la totalità dell’HexVic accu-mulato era stato prodotto a partire dalcomposto radioattivo.Secondo questi risultati, appena pubbli-cati sulla rivista Proceedings of the Natio-nal Academy of Sciences, i pomodori nonsolo usano un composto volatile per co-municare il pericolo, ma trasportano lamolecola al loro interno e la utilizzanocome base per sintetizzare la loro armadi difesa. I ricercatori stanno già estendola loro attenzione ad altre colture in gra-do di sintetizzare HexVic, come il sorgo eil riso, che potrebbero rivelare similimeccanismi di difesa. Kenji Matsui, unodegli autori della ricerca, ha spiegato:«Ora stiamo provando a isolare i genicoinvolti nella sintesi dei composti vola-tili. Speriamo che ulteriori, approfonditi,studi porteranno a nuove tecnologie chepermetteranno di applicare queste sco-perte all’agricoltura».

Rispondi e ricercaa. Quali meccanismi di difesa sono

noti nelle piante?b. È corretto affermare che gli animali

non trovano ostacoli quando sicibano delle piante? Perché?

c. Aiutandoti con una ricerca in Retefai alcuni esempi di sistemi di difesadei vegetali e presentali alla classecon uno slideshow di fotografie.

Piante da battagliadi STEFANO DALLA CASA

Figura A Le piante non sono quegli organismi inerti che appaiono,ma sanno adattarsi all’attacco degli animali producendo sostanze didifesa in tempi rapidissimi.

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Quando una giraffa bruca un’acacia, lapianta comincia a sintetizzare tannini: inbrevissimo tempo non solo le foglie del-la pianta diventano immangiabili, maquando le piante vicine captano i tanni-ni dispersi nell’aria (si tratta infatti dicomposti volatili) cominciano a produrlia loro volta, preparandosi a un eventualeattacco da parte degli erbivori (figura A).Questo è solo uno dei tanti esempi di co-me le piante riescono a comunicare tra lo-ro per difendersi a vicenda, un po’ comedei soldati che avvisano i compagnidell’arrivo del nemico. Quello che ancoranon sapevamo è che le piante, oltre alleinformazioni, si passano anche le “muni-zioni”.Quando i pomodori sono attaccati daibruchi delle nottue, comuni parassiti del-le piante della famiglia Nottuidi, sintetiz-zano un composto pesticida chiamatoHexVic, o (Z)-3-hexenylvicianoside, grazieal quale riescono a tenere sotto controllol’infestazione. In condizioni di aerazionecontrollata, un gruppo di ricercatori giap-ponesi ha scoperto come le piante che si

trovano sottovento rispetto a quelle at-taccate dai bruchi producono molto piùHexVic di quelle del gruppo di controllo.

È sufficiente la comunicazioneaerea per salvare le piante daun attacco imminente?

Fin qui sembrerebbe un caso analogo aquello delle acacie: qualche molecola vo-latile rilasciata nell’aria evidentementeinduce le piante vicine a preparare leproprie difese. Gli scienziati però sospet-tavano che l’HexVic prodotto dalle pian-te “avvisate” non fosse sintetizzato dalnulla, ma a partire dal (Z)-3-esenolo, uncomposto presente nell’aria, cioè utiliz-zando una delle molecole che rilascianoi pomodori attaccati dai bruchi. Per te-stare questa ipotesi gli scienziati hannoirrorato le piante con una versione leg-germente radioattiva della molecola e

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«Tutto è veleno, e nulla esiste senza vele-no. Solo la dose fa in modo che il velenonon faccia effetto», scriveva Paracelsonel 1538. In effetti anche una sostanzainnocua come l’acqua è tossica se nell’ar-co della giornata non ne beviamo alme-no un paio di litri. Ma è vero anche ilcontrario: veleni potenti prodotti damolte piante sono, a certe dosi, medicineutili contro diverse malattie.

La natura presenta pochi velenidavvero potenti e molte sostanzeinerti?In natura i veleni sono la norma più chel’eccezione perché offrono un vantag-gio competitivo specialmente alle pian-te, ai funghi e in generale agli organi-smi fissati al suolo, che non possonofuggire dai predatori. A meno che sianoricoperti di spine o disgustosi, una pian-ta o un fungo innocui hanno infatti alteprobabilità di finire divorati da qualcheanimale.I veleni sono comuni anche nel mondoacquatico e anzi sono a volte più poten-ti di quelli terrestri, perché devono fun-zionare alla diluizione imposta dall’ac-qua. Ma anche qui, l’ambiguità fra vele-no e rimedio è forte.Una delle tossine prodotte da alcunianimali marini che appartengono algruppo dei tunicati è diventata la tra-bectedina, un farmaco che alle dosi cor-rette funziona contro alcuni tumori. Lascoperta delle proprietà antitumorali èquasi tutta italiana: viene dal laborato-rio di Maurizio d’Incalci dell’IstitutoMario Negri di Milano.Il carattere ambivalente di (quasi) ognisostanza naturale o artificiale, che a se-conda della dose può essere un veleno oun rimedio, affascina da sempre i far-

macologi che considerano il mondo deicomposti biologici non solo un terrenodi caccia formidabile, ma anche unastraordinaria fonte di ispirazione. Lestrutture chimiche che si sono afferma-te nel corso dell’evoluzione sono infattiestremamente complesse, raffinate edifficili da imitare, tanto che per alcunichimici riuscire a riprodurre i compostipiù complessi è una sfida intellettualeal di là dell’eventuale utilità medica.

Perché dobbiamo imitare unasostanza se la natura è in gradodi produrla da sola?A volte una sostanza naturale ha unbuon effetto terapeutico, ma è anche unpo’ tossica: se è possibile sintetizzarla inlaboratorio, si può eliminare o sostitui-re la parte che la rende poco sicura. Èquello che è accaduto per esempio all’a-cido salicilico, che è contenuto nella cor-

teccia del salice bianco, una pianta cu-rativa nota fin dai tempi dei Sumeri.L’aggiunta del gruppo acetile ha portatoall’efficace e sicura Aspirina®.Un’altra ragione per passare dal prodot-to naturale a uno di sintesi è che la na-tura è un fornitore inaffidabile: non so-lo il raccolto può essere più o meno ab-bondante a seconda delle stagioni, mala concentrazione della sostanza che ciinteressa può variare addirittura da or-ganismo a organismo, se per esempiouno è più esposto di un altro ai predato-ri ed è quindi stimolato a produrre piùtossine.Prendete, per esempio, certe piccole ra-ne dorate dalla splendida pelle gialla elucida (figura A), nella loro pelle si tro-va la batracotossina, un veleno potentis-simo che se ingerito può uccidere diver-si animali neppure troppo piccoli. Lerane però non producono neanche ungrammo della dispendiosa tossina secrescono in cattività, in luoghi protettidove non si trovano i predatori tipici

Veleno o rimedio? Dipende dalla dosedi LISA VOZZA

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Figura A La rana freccia (Phyllobates terribilis) è un piccolo anfibioaltamente tossico che popola le foreste pluviali della Colombia.

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della foresta equatoriale da cui proven-gono. Da questa tossina non si ricavanofarmaci, ma è un esempio di come laproduzione naturale dei veleni, e dei ri-medi, fluttui molto, a seconda dellecondizioni.L’artemisinina è un farmaco fra i più effi-caci contro la malaria, ma le fluttua-zioni del raccolto e dei prezzi creanoproblemi notevoli. L’artemisinina è in-fatti estratta dal 1972 da un arbusto chia-mato Artemisia annua (figura B), ma glieffetti di questa sostanza contro le febbrimalariche sono noti in Cina almeno dal340 d.C. Negli ultimi anni il gene neces-sario a produrre l’artemisinina è stato in-serito in un microrganismo che può pro-durre il farmaco in modo molto più co-stante, prevedibile ed economico rispet-to alle coltivazioni dai raccolti e dai prez-zi fluttuanti. Un bel vantaggio per gli ol-tre 200 milioni di pazienti malarici checi sono nel mondo!Altri veleni naturali che sono diventatifarmaci utili sono la scopolamina, un far-maco ottenuto dalla belladonna (figura C)che ha aiutato generazioni di marinai eastronauti a vincere la nausea da movi-mento; gli alcaloidi estratti dai papaverida oppio, come la morfina e la codeina, usatinella terapia del dolore (oltre che comedroghe ricreative e di abuso, figura D); e ilpaclitaxel, un antitumorale trovato nellacorteccia velenosa dell’albero del tasso. El’elenco potrebbe continuare.I veleni usati come medicine sono forseil più bell’esempio del fatto che la naturadi per sé non è mai benigna né maligna.La natura è una risorsa neutra: gli effettiche produce dipendono dall’uso che nefacciamo e soprattutto dalle dosi.

Rispondi e ricercaa. È corretto affermare che farmaci e veleni sono due categorie di sostanze nettamente separate? Perché?b. Che cosa spinge alcune specie in natura a produrre veleni?c. Aiutandoti, se necessario, con una ricerca in Rete, fai un esempio di veleno di origine animale e uno di origine

vegetale.

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Figura B L'Artemisia annua è unapiccola pianta erbacea originariadella Cina, ma presente anche inItalia, soprattutto nella PianuraPadana.

Figura C La pericolosità delle bacchedell’Atropa belladonna è nota findall’antica Grecia, ma nel Rinascimento lenobildonne ne utilizzavano piccole dosiper far risaltare i loro occhi, sfruttando leproprietà stimolanti delle sostanze in essecontenute.

Figura D Il frutto del papavero,da cui si ricava l'oppio.

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Un’alleanza reciprocamente vantaggio-sa fra due organismi, un’alga e un fungooppure un cianobatterio e un fungo, èla ricetta alla base di ogni lichene (figu-ra A), di cui si contano migliaia di spe-cie in ogni angolo del pianeta (persinoin Antartide). L’alga o il cianobatterioprovvedono con zuccheri sintetizzatitramite la fotosintesi al nutrimento delfungo, che non può alimentarsi da solo;in cambio il fungo protegge l’alga o ilcianobatterio, fabbricando più di sei-cento composti a difesa della simbiosi.Ma a volte anche i cianobatteri contri-buiscono alla produzione delle sostanzedifensive.L’arsenale di molecole protegge i liche-ni da ogni pericolo: i danni dei raggiUV, le infezioni dei microbi, i morsidegli erbivori (sempre famelici), l’in-zuppamento d’acqua, solo per citarnealcuni. A molte di queste sostanze sidevono fra l’altro i fantastici colori deilicheni, la fluorescenza di certe specieai raggi UV e i cambiamenti cromaticiin reazione ad alcune sostanze chimi-che.

La pericolosità dei licheni èconosciuta da tempo?La tossicità dei licheni è nota da secoli,al punto che alcune specie, fra cui ilcosiddetto «lichene dei lupi», eranousate per avvelenare diversi animaliferoci. Fra i veleni più potenti prodottidai licheni ci sono le microcistine,presenti in circa una specie su otto ein grado di provocare gravi danni al fe-gato negli esseri umani e in altri ani-mali.Anche se sono meno note dell’arseni-co, le microcistine sono un veleno po-

tente, tanto che l’Organizzazione Mon-diale della Sanità raccomanda che laloro concentrazione nell’acqua potabi-le non superi i 0,001 mg/L. Le microci-stine sono infatti presenti nei laghi enei fiumi, dove i cianobatteri non lega-ti ai licheni proliferano, liberando tos-sine che possono accumularsi nei pe-sci, nei molluschi e intossicare gli esse-ri umani attraverso la catena alimenta-re. Nei licheni le microcistine si accu-mulano nel tallo (la parte vegetativa dellichene) e creano così un deterrente ef-ficace contro gli animali tentati dalleappetitose fronde colorate (figura B,nella pagina seguente). Un gruppo diricercatori dell’Università di Helsinkiha analizzato più di ottocento campio-ni di licheni provenienti da tutto il

mondo, trovando molte varianti del ge-ne che codifica per le microcistine incirca un centinaio di specie e tracce ditossine in una quarantina di queste. Lascoperta è stata pubblicata su Procee-dings of the National Academy of Sciencesa fine febbraio 2012.

I licheni possono tornare utiliagli esseri umani?Un’altra arma prodotta dai licheni è for-se l’unica sostanza in grado di distrugge-re i prioni, secondo uno studio america-no pubblicato su PlosOne nel 2011. I prio-ni, responsabili della cosiddetta «malat-tia della mucca pazza» e di altre patolo-

Il sorprendente arsenale dei lichenidi LISA VOZZA

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Figura A Indicatori ambientali,fonti di utili farmaci o di pericolosiveleni: i licheni sono una fonte discoperte molto variegata per gliecologi e i farmacologi.

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Altre letture per approfondireLe stranezze del clima, Climate Central, Zanichelli, Bologna, 2013Quando i cavalli avevano le dita, Gould S. J., Feltrinelli, Milano, 2012Alle origini della vita, De Duve C., Bollati Boringhieri, Torino, 2011Darwin, Secord J. – Carroll S. – Jones S. – Seabright P. – Duprè J., Zanichelli, Bologna, 2011La teoria dell’evoluzione (Farsi un’idea), Pievani T., Il Mulino, Bologna, 2010Darwin. Alla scoperta dell’albero della vita, Eldredge N., Codice Edizioni, Torino, 2006Il gene egoista, Dawkins, R., Zanichelli, Bologna, 1979

Alcuni siti d'informazione scientificawww.pikaia.eu, il portale dell’evoluzionelescienze.it, l’edizione italiana di Scientific Americanevolution.berkeley.edu, il sito sull’evoluzione della Berkeley University of Californianature.com/news, la sezione di notizie giornaliere della rivista scientifica internazionale Nature

gie neurologiche anche umane, sono frale più tenaci molecole biologiche. Resi-stono a tutto: cottura, congelamento, di-sinfettanti, alta pressione, irraggiamen-to, formalina, proteasi e molto altro. Mauna breve immersione in compagnia diun lichene li demolisce in pochi minuti,come ha raccontato Jennifer Frazer nelsuo blog sul sito di Scientific American.Oltre che navigati produttori di veleni, ilicheni sono anche fini sensori dellaqualità dell’aria. Senza parti decidueche si rinnovano di anno in anno, néstomi che si possono aprire o chiudere, ilicheni sono in effetti esposti all’aria

più delle piante e senza interruzioni. Ilicheni inoltre non hanno radici, perciòl’aria è anche la fonte primaria di ognisostanza proveniente dall’esterno. Perqueste ragioni i licheni accumulano so-stanze che spesso riflettono la composi-zione dell’aria nell’ambiente. Non solo,ma fra le migliaia di specie ce ne sono didiversamente sensibili agli inquinanti.Queste caratteristiche ne hanno fattouna sentinella biologica ideale per mo-nitorare la qualità dell’aria, che è statoscelto da istituzioni come il Servizio fo-restale degli Stati Uniti o l’Open Air La-boratory britannico.

Rispondi e ricercaa. Quali fattori portano alla nascita di

un lichene?b. Che cosa si intende con il

termine «simbiosi»? Fai alcuniesempi.

c. Attraverso una ricerca inRete verifica quali licheni sitrovano nella tua zona e qualiindicazioni offrono sullaqualità dell’ambiente in cui sisviluppano.

Figura B Le renne(Rangifer tarandus) sinutrono di numerosespecie di licheni,come testimoniato dalnome di uno di questi(Cladonia rangiferina).

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BIOLOGIA*2014 FRONTIERE SCIENZA BIE

ISBN 978-88-08-83685-4

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