Liceo Classico “Francesco Scaduto” · 4/6/2010 · Analisi e materiali critici sui film della...

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Liceo Classico “Francesco Scaduto” Via Dante, 22 – 90011 Bagheria 091 961359 091 963848 Cod. Sc. PAPC01000V – Distretto 7\45 Cod. Fisc. 90007790828 e-mail - [email protected] Analisi e materiali critici sui film della rassegna cinematografica 2010/2011 A cura del prof. Domenico Aiello

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Liceo Classico “Francesco Scaduto” �Via Dante, 22 – 90011 Bagheria � 091 961359 � 091 963848

Cod. Sc. PAPC01000V – Distretto 7\45 Cod. Fisc. 90007790828 e-mail - [email protected]

Analisi e materiali critici sui film della rassegna cinematografica 2010/2011 A cura del prof. Domenico Aiello

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I perché di una rassegna

Matrimoni e altri disastri nella commedia all’ital iana d’oggi Mine vaganti, Ferzan Ozpetek, Italia 2010-, Commedia,116 minuti Oggi sposi, Luca Lucini, Italia 2010, Commedia, 114 minuti

La memoria e il sogno: le vite spezzate dalla storia

Il concerto, R.Mihaileanu, Francia 2009, Commedia, 120 minuti Il segreto dei suoi occhi, J.J.Campanella, Argentina 2009, Drammatico,129 minuti Il Labirinto del fauno Guillermo del Toro, Spagna 2006,Drammatico-fantastico, 114 minuti

Tornatore secondo Robert de Niro

Stanno tutti bene, Kirk Jones, USA 2011, Commedia

Introduzione

La rassegna di quest’anno vuole toccare i grandi temi della vita e della storia attraverso lo sguardo talora leggero e ironico ( come i film di Ozpetek ,Lucini, Mihaileanu,Jones) oppure fantastico ( come nello splendido film di Del Toro ,Il Labirinto del fauno) e infine commosso e rigoroso come nel film argentino di Campanella, vincitore dell’Oscar ,come miglior film straniero 2010. Qualcuno potrebbe osservare che in una rassegna scolastica il genere –commedia non sembri adatto e opportuno : gli studenti avrebbero bisogno di riflettere su argomenti importanti e serissimi e vedere film analogamente impegnativi ma risponderei con le parole di Francois Truffaut: Se devo mandare un messaggio spedisco un telegramma , non faccio un film! . La commedia cinematografica ha espresso molte volte il disagio e l’inquietudine , la difficoltà di scegliere e di crescere con una forza che derivava dalla apparente leggerezza del dialogo e dalla risata che nasce dalle situazioni grottesche e paradossali della nostra vita: pensiamo a Chaplin, Lubitsch,Wilder,Monicelli e Risi tra i classici e a Benigni e Troisi tra i più vicini a noi.

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Anche la presenza di un film complesso e duro come Il labirinto del fauno si presta ad una riflessione interessantissima sulle radici profonde dei racconti di fiabe, e degli strettissimi rapporti tra il fantastico, letterario e visivo, e la vita quotidiana con i suoi drammi e le sue ferite , vista con gli occhi una pura di cuore come la piccola Ofelia, protagonista e vittima nello stesso tempo. Un film commovente e straziante che ci toccherà intimamente. Il regista alterna ritmi leggeri e visionari a crudi reportage sul sadismo della natura umana e non sempre il mondo è salvato dai ragazzini, come scriveva Elsa Morante. Rigoroso e asciutto invece il film Il segreto dei suoi occhi che ci racconta la storia di una stranissima investigazione sospesa tra memoria privata e memoria collettiva: un giallo dei sentimenti lucido e intimo insieme. Doveroso omaggio al nostro carissimo concittadino Giuseppe Tornatore la proposta del primo remake di un suo film del 1990 Stanno tutti bene, che consiglio caldamente di rivedere nel bel DVD recentemente uscito: un film che , dopo il successo di Nuovo Cinema Paradiso , venne quasi stroncato da una critica miope e faziosa, incapace di leggere nel viaggio del protagonista alla ricerca dei sogni dei suoi figli il viaggio di una nazione che aveva perso la voglia di autenticità e verità per annegarsi nella menzogna eretta a sistema. Marcello Mastroianni ci regalò allora una delle sue più belle interpretazioni e speriamo di rivedere oggi un grande De Niro. ________________________________________________________________________________ Il labirinto del fauno

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Anno 2006

Titolo Originale El laberinto del fauno

Altri titoli Pan's Labyrinth

Durata 114

Origine SPAGNA, MESSICO, USA

Colore C

Genere DRAMMATICO, FANTASY, HORROR, THRILLER

Produzione WARNER BROS., TEQUILA GANG, ESPERANTO FILMOJ, ESTUDIOS

PICCASO, OMM, TELECINCO, SENTENTIA ENTERTAINMENT

Distribuzione VIDEA CDE

Data uscita 24-11-2006

Vietato 14

Regia

Guillermo del Toro

Attori

Ivana Baquero Ofelia

Doug Jones Pan

Sergi López Capitano Vidal

Ariadna Gil Carmen

Maribel Verdú Mercedes

Álex Angulo Dottore

Roger Casamajor Pedro

Federico Luppi Casares

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Manolo Solo Garcés

Milo Taboada

Chema Ruiz

Ivan Massagué

Mina Lira

Sebastián Haro

César Vea Serrano

Sceneggiatura

Guillermo del Toro

Fotografia

Guillermo Navarro

Musiche

Javier Navarrete

Montaggio

Bernat Vilaplana

Scenografia

Eugenio Caballero

Arredamento

Pilar Revuelta

Costumi

Rocío Redondo

Effetti

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Everett Burrell

Edward Irastorza

CafeFX

Trama Spagna, 1944. Ufficialmente la Guerra Civile spagnola è giunta al suo epilogo, ma in realtà, un piccolo gruppo di ribelli continua a lottare asserragliato sulle montagne a nord di Navarra. La piccola Ofelia, una deliziosa e sognante bambina di dieci anni, è in viaggio insieme a sua madre Carmen, una splendida donna incinta, per raggiungere Navarra. Sono dirette a incontrare il capitano Vidal, il nuovo marito di Carmen e patrigno di Ofelia, che non lo ha mai visto. Vidal, capitano dell'esercito fascista di Franco, ha ricevuto l'ordine di liberare la regione dai ribelli. Giunta a Navarra, Ofelia ha una spiacevole sorpresa: Vidal si è stabilito in un vecchio mulino in disuso e, imperioso e abituato al comando, la intimidisce e non la tratta in modo amichevole. Lasciata sola a se stessa, la bambina ha come unica compagnia quella di Mercedes, la giovane cuoca che prepara il pasto per i soldati, ma, appassionata al mondo delle fate, Ofelia ama anche sognare e trascorrere le sue giornate da sola. Un giorno, per caso, scopre un antico labirinto al centro del quale sorge una scalinata che conduce ad una camera segreta. E' qui che Ofelia incontra Pan, un vecchio satiro che la sta aspettando da tempo per sottoporla a tre prove di coraggio utili a rivelare la sua vera identità... Critica "Guillermo Del Toro, che con la sua precocità e i suoi gusti è un po' il Peter Jackson messicano (i due registi si somigliano perfino), lo fa con l'ambiguità sempre un po' sgradevole del fantasy, che cerca il mito dietro la storia, l'eterno dietro il contingente. (...) Il tutto con tensione ininterrotta, scene violentissime e un gusto del macabro che non risparmia neppure i bambini. Non sappiamo a chi possa essere diretto un film così anomalo, ma una cosa è certa: non è per loro." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 28 maggio 2006) "Decisamente piatto e pretenzioso è 'El laberinto del fauno' di Guillermo Del Toro. Sinora noto per gli horror 'Cronos' e 'Mimic' di scarsa presa e farraginosa sostanza, il quarantaduenne regista messicano si trasferisce a sorpresa nella Spagna franchista per materializzare i mostruosi, ma in parte benevoli, fantasmi che convivono con la psiche di una ragazzina. (...) Nonostante gli accurati bozzetti animati da sofisticati effetti speciali, la fotografia visionaria, la musica destabilizzante e le scenografie a metà strada tra il fiabesco e il realistico, il leitmotiv vagamente (banalmente) politico dell'innocenza in lotta contro la barbarie non riscatta la monotonia narrativa." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 28 maggio 2006) "Chi conosce il cinema di Guillermo Del Toro potrebbe scambiare 'Il Labirinto del Fauno' per un horror: lo ha fatto perfino il Festival di Cannes, annunciando con enfasi che il film segnava l'ingresso in concorso del cinema di genere. In realtà, si tratta d'altro. Assai più vicino alla 'Spina del diavolo' (con cui ha molte analogie) che a blockbuster da pop-corn come 'Mimic' o 'Hellboy', è piuttosto un racconto iniziatico in forma di fiaba, un viaggio allegorico in un universo parallelo; un film d'autore, in ogni caso, destinato in origine al debutto di Guillermo, a riprova della sua predilezione per un 'fantastico' più cerebrale e poetico."('la Repubblica', 24 novembre 2006) "Se il quadro che ci presenta 'Il labirinto del fauno' è di pura fantasia, la cornice è autentica. Secondo Bartolomé Bennassar, autore dell'ottimo studio 'La guerra di Spagna' (Einaudi), tra i fenomeni seguiti al conflitto civile che insanguinò la Spagna fra il ' 36 e il ' 39 ci furono 'la durata insolita della repressione e il persistere di una resistenza interna limitata nel tempo e nello spazio'. Alla ferocia dei franchisti, impegnati nello sterminio sanguinoso degli ultimi repubblicani, corrispose da parte dei vinti un atteggiamento difensivo; e in questo il film ispano-messicano di Guillermo del Toro si discosta un po' dalla realtà, mostrando nell'estate del '44 un'improbabile banda partigiana aggressiva e vincente. Tutto ciò avviene, in modo assai bizzarro, all'interno di una favola. (...) Niente premi, molto onore. La formula che accompagna i film ingiustamente ignorati dalle giurie dei festival si applica a quest'opera del dotatissimo del Toro, uscita da Cannes senza riconoscimenti ufficiali. Merito anche delle scene di Eugenio Caballero e della fotografia di

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Guillermo Navarro, oltre che degli interpreti. Vanno ricordati la piccola Vaquero, la fiera Verdú e il veemente López, che si assume l'ingrato compito di calamitare su di sé tutto l'odio del pubblico." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera, 24 novembre 2006) "Un film antifranchista che non tiene conto che il franchismo ha traghettato, che piaccia o no, la Spagna in un presente democratico e progressista. Ma il destino della piccola Ofelia non è del tutto rassicurante. Forse Del Toro intende che anche Zapatero non rappresenta il futuro della Spagna. Resta comunque l'aspetto formale, che offre immagini surreali e atmosfere arcane di notevole qualità, in tal senso il regista, piccolo maestro dell'horror, gioca la carta della metafora politica, che toglie il respiro poetico ad ogni contesto, a meno di non essere Berthold Brecht." (Adriano De Carlo, 'Il Giornale', 25 novembre 2006) "Fatto di piccoli tocchi, grandi interpretazioni, insopportabile realismo e invenzioni fantastiche, il film riesce ad evitare sia il peso della metafora sia il lieto fine. Con ispirazione pittorica debitrice degli incubi di Francisco Goya, i luoghi diventano un inferno barocco appena illuminato dalle fantasticherie di Ofelia e le creature possono essere spaventose come l'Uomo pallido, un lemure cieco che s'infila gli occhi per vedere e inseguire le sue piccole vittime. In questa fiaba insolita la morte è sporca e vera (e come avrebbero voluto i Grimm), vincono gli Orchi." (Piera Detassis, 'Panorama', 30 novembre 2006) Note - IN CONCORSO AL 59MO FESTIVAL DI CANNES (2006). - PRESENTATO FUORI CONCORSO AL 24MO TORINO FILM FESTIVAL (2006). - OSCAR 2007: MIGLIORE FOTOGRAFIA, SCENOGRAFIA, TRUCCO (DAVID MARTI' E MONTSE RIBE'). ALTRE NOMINATIONS: MIGLIOR FILM STRANIERO, SCENEGGIATURA ORIGINALE E COLONNA SONORA

16 Luglio 2010 - 8:28am — prodotto

Il labirinto del fauno

(Spagnia/Messico/USA, 2006) regia di Guillermo Del Toro

Sinossi

Spagna, 1944. Uno sparuto gruppo di resistenti combatte ancora contro le truppe di Franco. Ofelia, una ragazzina di dieci anni, sta accompagnando sua madre Carmen, incinta e malata, dal suo nuovo patrigno, il sadico comandante delle truppe franchiste Vidal, che si trova accampato nei pressi di un vecchio mulino. Ofelia, che è appassionata di fiabe e di racconti

fantastici, vede un piccolo insetto volante che segue la loro vettura e si convince che si tratti di una fata.

Una volta arrivati al mulino, l’insetto guida Ofelia lungo un misterioso labirinto che si trova nei pressi dell’accampamento. Qui incontra una creatura fantastica, un Fauno, che afferma di conoscerla e di sapere che Ofelia è in realtà la principessa di un regno nascosto e magico e che deve superare tre prove prima che la luna diventi piena. Il fauno consegna ad Ofelia un libro magico e si raccomanda di non dire a nessuno quello di cui hanno parlato, né a sua madre, né ai suoi nuovi amici: Mercedes, la cameriera, e il dottore, che aiutano segretamente i partigiani.

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La prima prova consiste nell’uccidere un grosso rospo che vive in un tronco, e prendere una chiave nel suo stomaco. Ofelia riesce nel tentativo. Carmen intanto sta molto male e il dottore è pessimista sull'evoluzione della malattia. Vidal, che dalla donna vuole solo avere un erede maschio, dice al dottore di fare di tutto per salvare il bambino e sacrificare la madre se necessario. Ofelia intanto, con l’aiuto del fauno, tenta di salvare la madre con una radice di mandragola.

La ragazzina affronta la seconda prova, ma per poco non fallisce e il fauno la rimprovera. Intanto Vidal scopre la mandragola sotto il letto di Carmen e punisce Ofelia con violenza. Carmen inizia allora a peggiorare. Il capitano, intanto, uccide il dottore, avendo scoperto che l'uomo aiuta i partigiani, e minaccia Mercedes che riesce però a fuggire. Un ufficiale medico fa nascere il bambino ma non riesce a salvare Carmen. Intanto il fauno chiede a Ofelia la terza prova: la bambina dovrà portare il fratellino nel labirinto. Il fauno la aspetta e chiede il sangue del bambino, Ofelia rifiuta.

Intanto Vidal la raggiunge e la vede parlare all’aria. Le intima di dargli il bambino e la uccide, ma in quel momento Mercedes e i ribelli lo circondano, gli tolgono il bambino e lo uccidono a loro volta. Mercedes soccorre Ofelia morente, che sogna ora di trovarsi all’interno del palazzo del regno magico dove è finalmente tornata principessa.

Introduzione al Film

La fiaba e la Storia

Uno degli elementi più interessanti del film rivela la particolare poetica del regista messicano Guillermo del Toro, quella di un cinema capace di fondere insieme visionarietà e tematiche contemporanee, fiaba e Storia. Il cinema di del Toro, infatti, trova nella fiaba il genere attraverso il quale le visioni e le immagini si possono liberare, possono creare forme ed atmosfere capaci di emozionare, impaurire, inquietare, ma anche e soprattutto affascinare, mostrandosi così come parte integrante dell’esperienza interiore di ogni persona. La fiaba è, in questo senso, non un allontanamento dalla realtà, ma, al contrario, una modalità attraverso la quale il reale si dispiega come allucinazione, come fantasia, come deformazione o come schermo. Allo stesso tempo, in un film come Il labirinto del fauno – che segue idealmente un altro film di del Toro caratterizzato dallo stesso mélange tra fiaba e Storia, vale a dire La spina del diavolo (El Espinazo del diablo, Spagna/Messico, 2001), ambientato in un orfanotrofio infestato da un fantasma negli ultimi giorni della guerra civile spagnola – la dimensione fantastica acquista una straordinaria ambiguità.

Il mondo del fauno che solo Ofelia può vedere rimane un’incognita: lo spettatore non saprà mai se ciò a cui ha assistito è il frutto della fervida immaginazione della bambina (e dunque l’immaginario rifugio da un mondo crudele da cui non si riesce a fuggire veramente) o è realmente, nell’universo filmico, un luogo e un mondo appartenenti ad una dimensione alternativa. Ma questo non è in fondo importante; l’ambiguità deve rimanere tale, proprio perché è la contrapposizione (stridente e crudele) tra i due mondi a costituire la forza espressiva del film, la sua potenza. La dialettica delle immagini del film è infatti una dialettica tra due finzioni del desiderio: quella dei ribelli che si oppongono ancora alla dittatura di Franco (in realtà, nel 1944 la guerra civile era già terminata e non esistevano più sacche di resistenza combattenti), e quella di Ofelia, il cui mondo magico costituisce un’ulteriore resistenza alla ferocia del potere dittatoriale. Non si tratta quindi di opposizione tra due mondi, ma di parallelismo.

In entrambi i casi, una visione, un desiderio diventano la molla per combattere contro la tirannia, la dittatura – lo fanno i partigiani che combattono anche se ormai il Paese è nelle mani di Franco e lo fa Ofelia che rifiuta di versare il sangue innocente del suo fratellino per entrare nel mondo magico.

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Il regista messicano, in questa prospettiva, rivela la forza del cinema come fantasia e desiderio, senza però mai pensare (o far pensare) che fantasia e desiderio siano un modo per fuggire il reale: essi sono parte del reale, ne costituiscono, anzi, la necessaria linfa vitale. E questa dialettica è in fondo ciò che costituisce il cinema, che forma le sue immagini; immagini che sono, come nel film di del Toro, al tempo stesso reali e immaginarie, immateriali e necessarie.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Il mondo salvato

Ofelia è, senza dubbio, l’assoluta protagonista del film. Orfana di padre, con una madre sposata ad un uomo che non la ama ed è pronto a sbarazzarsi di lei, la piccola protagonista è il centro del film, perché è attraverso lei che si intersecano i due mondi che costituiscono l’universo de Il labirinto del fauno. Ofelia rappresenta nel film anzitutto l’innocenza dello sguardo. I suoi gesti e i suoi comportamenti sono tutti tesi a fare del bene (come quando cerca in tutti i modi di salvare la madre o il suo fratellastro dalla morte) o a individuare nel mondo i segni della magia e della bellezza (è lei a riconoscere in un piccolo insetto volante una fata). La bambina è colei che rifiuta la logica della violenza e della guerra, pur non riuscendo ad impedire che la violenza abbia spesso la meglio (non riesce ad impedire che il patrigno tolga la mandragola dal letto della madre morente, non riesce ad impedire la morte del dottore o l’aggressione a Mercedes), ma, allo stesso tempo, con la sua avventura nel mondo magico, grazie alle tre prove da lei superate, Ofelia si immerge in (o crea, il che è lo stesso), un mondo che diventa il luogo dove salvarsi, dove scoprire e preservare l'innocenza.

L’ultima prova, infatti, quella che Ofelia si rifiuta di eseguire (uccidere il bambino che ha portato al fauno), è il gesto finale attraverso il quale la violenza viene bandita, rifiutata appunto. Attraverso quel gesto Ofelia è salva, ella vive come principessa del mondo incantato, e muore come ragazzina immersa nel mondo storico. Nel finale del film le due immagini di Ofelia non si fondono insieme, proprio per evitare qualsiasi catarsi, qualsiasi interpretazione “buonista” del mondo di fantasia in cui la bambina si muove. Il mondo magico è in fondo un mondo anche crudele, dove si può morire (le fate muoiono nel tentativo di salvare Ofelia dal mostro che la sta inseguendo); la rappresentazione fantastica della realtà è di fatto un raddoppiamento del reale, ma qui Ofelia (che è soggetta al potere degli adulti nella vita reale) è protagonista, può appunto decidere il suo fato, agire per cambiare il suo destino.

L’impotenza della bambina nel mondo reale si rovescia nel mondo di fantasia, realizza, nel senso proprio del termine, il desiderio di agire nel mondo, di avere un ruolo, di avere il potere di cambiare gli eventi. In questo senso, dunque, l’universo del labirinto del fauno è un universo che rende visibile l’immagine del desiderio infantile, l’immagine del gioco (ma di un gioco dal quale, come si è detto, la violenza e la paura non sono escluse), in cui il bambino esprime se stesso come volontà di essere, anzitutto un soggetto. In questo modo il mondo, viene in un certo senso salvato, perché accanto alla prospettiva tragica delle guerra (di una guerra già combattuta e già perduta), se ne fa strada un’altra che, lungi dall’essere mero rifugio, si pone come possibilità di riscatto e di salvezza.

Riferimenti ad altre pellicole

Il cinema come creatore i fiabe moderne, di favole adulte ha prodotto spesso film notevoli e vere e proprie tendenze cinematografiche, a partire dal cinema di Tim Burton , uno dei registi che può essere accostato per sensibilità allo sguardo cinematografico di Guillermo del Toro. In particolare, un film come Big Fish – Storie di una vita incredibile (Big Fish, USA, 2003) può essere avvicinato a Il labirinto del Fauno, proprio per la sua capacità di fondere inseme la fantasia del racconto

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capace di reinventare la realtà e la visione “prosaica” del mondo, che altri personaggi hanno della vita del protagonista.

Anche nella Hollywood classica il connubio tra realtà e reinterpretazione fantastica della stessa è stato spesso affrontato, ad esempio in Sogni Proibiti (The Secret Life of Walter Mitty, USA, 1947) di Norman Z. McLeod, o ancora nel classico Il mago di Oz (The Wizard of Oz, USA, 1939) di Victor Fleming, tratto dal famoso romanzo di Franck Baum, film le cui immagini fantastiche del regno di Oz sono di fatto la rappresentazione del punto di vista di una bambina, proprio come nel film di del Toro. Proprio il contrasto tra brutalità della storia e sguardo infantile è alla base di una delle trasposizioni più famose de Il diario di Anna Frank (The Diary of Anne Frank, USA, 1959) di George Stevens, in cui l’orrore della guerra si contrappone ad uno sguardo – quello della piccola ragazza ebrea Anna – che lucidamente immagina un altro mondo possibile.

Daniele Dottorini

Da WWW.minori.it

l Labirinto del fauno – Tra storia e mito

maggio 11, 2010 di controreazioni

Regia: Guillermo del Toro

Interpreti: Alex Angulo, Ivana Baquero, Doug Jones, Sergi López, Maribel Verdù

Paese: Messico-Spagna-U.S.A. (2006)

“Il Labirinto del fauno”, così come il precedente “La spina del diavolo”, è ambientato nel corso del conflitto civile spagnolo, ma in una fase, successiva alla fine delle ostilità ufficiali - siamo infatti nel 1944 – in cui la dittatura di Franco è ormai del tutto affermata e non restano che poche sacche di ribelli, confinati in una montagna non ben specificata, a resistere contro il fascismo avanzante. L’intreccio tra storie individuali e storia collettiva, a tragedia della repubblica ormai consumata, si fa qui molto più evidente e diretto che non ne “La spina del diavolo”, in cui, appunto, il conflitto in corso era sotteso agli eventi ma nell’economia visibile del film occupava uno spazio ben più ristretto. Al tempo stesso si afferma la separazione tra quei due mondi, onirico e materiale, che nel suo precedente lavoro Del Toro aveva tenuto fortemente insieme, al punto da attribuire all’intervento dell’irreale sul reale la chiave di volta di tutto l’intreccio drammatico.

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Ne “Il Labirinto del fauno” il mondo irreale è confinato esclusivamente nel rapporto tra la giovane protagonista femminile – Ofelia – e quell’universo misterioso e mitico dentro il quale lei viene condotta dal fauno, a sua volta annunciato da fate che prendono le forme del reale – in questo caso quelle di una libellula – per introdurla all’irreale, o a una nuova dimensione che probabilmente coincide con l’al di là. All’esterno di quel labirinto, che è costruito non a caso dentro un bosco, ossia in un altrove non solo spaziale ma anche temporale rispetto alla città degli uomini, si pone il mondo reale che prende per fantasie o peggio ancora per vaneggiamenti, o nere magie, le visioni e le pratiche che Ofelia sperimenta a contatto con il fauno. La distanza tra i due mondi è marcata dal loro differente rapporto con il tempo, questa diversità di rapporto con il tempo implica a sua volta due diverse categorie in cui la descrizione dei mondi va a inquadrarsi.

Il mondo irreale, e che sarebbe più corretto chiamare fiabesco, è quello del mito e dal mito deriva l’indeterminatezza del tempo, oltre che lo stile narrativo e qualche riferimento colto. Il mito è caratterizzato, infatti, come prima cosa dall’avvenire in un tempo mai quantificato che è poi il tempo comune alle fiabe moderne e agli eroi greci corrispondente alla formula iniziale del “c’era una volta”. L’assenza, dal principio, di un benché minimo inquadramento spazio-temporale del mito è corrispondente alla mancanza di ogni linearità nel tempo che esso scandisce: il mito è narrazione privata del bisogno di sentirsi scienza, ragione per cui non apre una catena di connessioni causali ma viene raccontato per essere tramandato. Il mito, ossia, non crea affatto futuro, e quindi non costruisce una linea del tempo, ma rinnova un eterno passato a cui si rimanda la suggestione del ritorno senza però mai azzardarsi a svelarlo del tutto, perché altrimenti verrebbe meno la carne di mistero di cui la narrazione non esaustiva si alimenta. Alle figure del mito, inoltre, il regista si richiama, sia nella figura del fauno sia, soprattutto, nei riferimenti sparsi, il più evidente dei quali è quello rintracciabile nella scena che ha per protagonista l’orco divoratore di bambini e che richiama alla mente la storia di Proserpina e dei frutti di Ade. Il mito, infine, chiude un cerchio e, a differenza della vita, rinnova in questa circolarità l’eterno e il superamento della morte, anche in questo caso intesa come redenzione ma una redenzione circoscritta, appunto, a quel mondo “irreale” e quindi non percepibile come tale da chi si ritrova a vivere in una dimensione altra.

Nella dimensione altra la circolarità scompare del tutto, la storia ha una sua cornice temporale precisa e tutta la lotta alla fine è finalizzata intorno a un orologio e a una discendenza patrilineare: il primo è un mezzo che scandisce, sebbene con l’ausilio di un meccanismo circolare, il trascorrere del presente in futuro; la seconda è l’incarnazione materiale del futuro nella nuova vita di un bambino la cui genitorialità è risolta nel finale. Anche in questo caso, tuttavia, la risoluzione del “dramma” coincide con una redenzione del dolore.

Sui due concetti di tempo, e quindi sui due mondi, brilla la costellazione cattolica della “salvezza” che, per quanto amara possa essere, ha un tono forse più edulcorato, e buonista, che non nel precedente “La spina del diavolo”, cosicché la scorrevolezza e il fascino dell’impianto narrativo vengono interrotti da un finale che è il punto meno realistico, e più retoricamente hollywoodiano per dialoghi ed avvenimento consumato, dell’intero film. L’equilibrio creato tra tempo circolare e tempo lineare, in cui il primo ha a priori una potenzialità armonica che al secondo manca, alla fine viene ricondotto alla circolarità e all’armonia del primo annullando, o riducendo a strumento retorico, il secondo. Questa scelta indebolisce tutto l’impianto di un pur ottimo film che ha il merito indubbio di restituire i fascisti di ogni razza all’assenza di dignità e gloria che non hanno mai avuto e che però qualche “anima bella”, almeno in Italia, da anni tenta proditoriamente di assegnare loro.

Gregorio Sorgonà

In www.controreazioni/wordpress.com

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Il concerto

Anno 2009

Titolo Originale Le concert

Altri titoli The Concert

Durata 120

Origine FRANCIA, ROMANIA, BELGIO, ITALIA

Colore C

Genere COMMEDIA

Specifiche

tecniche

35 MM

Produzione ALAIN ATTAL, RADU MIHAILEANU PER LES

PRODUCTIONS DU TRÉSOR, OÏ OÏ OÏ PRODUCTIONS,

CASTEL FILMS, PANACHE PRODUCTIONS, FRANCE 3

CINÉMA, MARS FILMS, EUROPACORP, RTBF, BIM

DISTRIBUZIONE

Distribuzione BIM (2010) - DVD: 01 HOME ENTERTAINMENT (2010)

Data uscita 05-02-2010

Regia

Radu Mihaileanu

Attori

Aleksei Guskov Andreï Filipov

Dmitri Nazarov Sacha Grossman

Mélanie Laurent Anne-Marie Jacquet

guarda il trailer

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François Berléand Olivier Morne Duplessis

Miou-Miou Guylène de la Rivière

Valeri Barinov Ivan Gavrilov

Anna Kamenkova Pavlova Irina Filipovna

Lionel Abelanski Jean-Paul Carrère

Alexander Komissarov Victor Vikitch

Ramzy Bedia (Ramzy) Proprietario del 'Trou Normand'

Laurent Bateau

Soggetto

Héctor Cabello Reyes

Thierry Degrandi

Sceneggiatura

Radu Mihaileanu

Alain-Michel Blanc (collaborazione)

Matthew Robbins (collaborazione)

Fotografia

Laurent Dailland

Musiche

Armand Amar

Montaggio

Ludovic Troch

Scenografia

Stanislas Reydellet

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Christian Niculescu

Arredamento

Gina Stancu

Costumi

Viorica Petrovici

Trama

All'epoca dell'Unione Sovietica, sotto il governo di Brezhnev, il direttore dell'orchestra del Bolchoï, Andrei Filipov, era all'apice del successo. Tuttavia, il suo rifiuto di allontanare alcuni musicisti di origine ebraica, tra cui il suo caro amico Sacha Grossman, gli costò l'allontanamento e la disgrazia. Il cinquantenne Andrei, dopo la caduta del blocco sovietico, continua a lavorare per il prestigioso teatro ma in qualità di custode, vessato e ingiuriato dal direttore cha ha per lui una profonda antipatia. L'occasione del riscatto per Andrei giunge sotto forma di un fax, che l'uomo trova per caso, in cui l'orchestra è invitata a Parigi per tenere un concerto al Théâtre du Châtelet. Andrei non ci pensa due volte: convoca tutti i suoi vecchi compagni musicisti - ridotti ormai a compiere i mestieri più disparati per sopravvivere - e decide di presentarsi a Parigi al posto della vera Orchestra del Bolchoï per rivivere finalmente i fasti di un tempo. Ma il suo soggiorno parigino sarà anche occasione per incontrare la celebre violinista Anne-Marie Jacquet e chiudere i conti con il proprio passato. Critica "Non si sa se per questa ardita manomissione (e per l'esecuzione dell'orchestra sinfonica di Budapest e della violinista Sarah Nemtanu), ai melomani si rizzeranno i capelli in testa, ma per i cinespettatori, quel vorticare di strumenti e di volti e di suoni che si trasfigurano nella passione di creare, tutti insieme, quella che il protagonista chiama "l'armonia suprema", è un'esperienza di profondo incanto, come capita di rado al cinema." (Natalia Aspesi, 'la Repubblica', 19 ottobre 2009) "Romeno attivo in Francia, ha la mano felice di un tragicomico di cultura yiddish, non persegue il realismo, ma quell'affabulazione interculturale che, in questo caso: sposta nel colorito dipinto caricaturale il sogno di riscatto, con un concerto a Parigi, d'un direttore d'orchestra del Bolshoi distrutto da Breznev 30 anni fa. Al Bolshoi oggi fa le pulizie il grande Filipov e l'orchestra che, con uno stratagemma, sostituisce a quella vera per eseguire allo Chatelet l'amatissimo e ossessionante concerto per violino di Cajkovskij, è ormai una banda di sopravvissuti nella Russia dei mafiosi: abnorme, totalmente inverosimile musicalmente, totalmente verosimile nelle emozioni musicali (la vertigine del suono sulle emozioni dei personaggi), divertente, melodrammatico. In Italia in primavera." (Silvio Danese, 'Quotidiano Nazionale', 19 ottobre 2009) "Le 'Concert' è più divertente, con le disavventure di un gruppo di ex musicisti del Bolshoi, epurati ai tempi di Breznev, che per uno scherzo del destino (favorito da un ex direttore) si trovano a suonare a Parigi. Ironizzando su tutto, dai nostalgici del comunismo alle manie di grandezza dei nuovi oligarchi fino allo «spirito» commerciale degli ebrei, il film trascina lo spettatore in un'avventura sempre più sorprendente e sempre più divertente, che saprà anche

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innescare un attimo di commozione. E che scivola via sui binari di una sceneggiatura (del regista) che non sarebbe dispiaciuta neanche a Lubitsch." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 19 ottobre 2009) "'Le concert', nuovo film del regista romeno di 'Train de vie', Radu Mihaileanu, racconta la rivincita di un grande direttore d'orchestra sovietico silurato sotto Breznev per aver osato difendere i propri musicisti ebrei. (...) La fase del reclutamento e della trasferta a Parigi, dove gli orchestrali si disperdono per arrabattarsi con mille mestieri da emigranti, è un crescendo di trovate esilaranti che nasconde a dovere la svolta mélo della seconda parte. Per coronare il trionfo difatti la scalcinata orchestra suonerà con una star del violino (Mélanie Laurent) che a sua insaputa ha più di un legame con quel gruppo di straccioni. E qui Mihaileanu cala l'asso, fondendo l'anima satirica e quella politica con un'esecuzione del concerto per violino di Caikovskij che strappa immancabilmente le lacrime alla platea. Trasformando il sogno comunista in armonie musicali, e le persecuzioni di un intero popolo in un'intricata vicenda di famiglia. Un poco macchinoso, a tratti. Ma i fantasmi del comunismo e dell'antisemitismo sono più vivi che mai. Per questo continuano a far ridere e piangere." (Fabio Ferzetti, 'Il messaggero', 19 ottobre 2009) "Divertente come 'Train de vie', costruito sullo stesso meccanismo: banda di sfigati che cerca la sua grande occasione." (Maria Rosa Mancuso, 'Il Foglio', 21 ottobre 2009) "Non è un buon momento per il cinema d'autore. Molte sale cittadine chiudono, autori consacrati come Michael Haneke o Ken Loach faticano a ritrovare il loro pubblico, ma chissà che questa commedia franco-rumena non sia un'eccezione. Fa ridere molto, commuove sino alle lacrime, dice qualcosa di ragionevole sul post-comunismo, invita a una civile convivenza contro la persistenza del pregiudizio culturale, offre una stupenda pagina musicale ottocentesca, il Concerto per violino e orchestra n. 1 di Ciaikovskij, trasformandola in metafora leggera sul rapporto tra singolo e collettività (...). A suo modo 'Il concerto' è un film perfetto anche nelle sue sbavature. Per Mihaileanu, ebreo rumeno scappato in Francia prima che Ceausescu fosse fucilato, è un omaggio all'animo e al temperamento slavi, una commedia «sull'incontro tra i barbari dell'Est, eccessivi e vitali, e i ricchi dell'Ovest, assopiti ed estenuati». Ci si può stare. (...) Il regista cita Lubitsch, Chaplin e Wilder tra i suoi modelli. Ma vedendo 'Il concerto' viene da pensare, per la struttura corale, tra equivoci buffi e affondi amarognoli, a film come 'Full Monty' o 'The Committments'. Chiaro che alla fine, sul filo del rasoio, mentre tutto sta per saltare nell'ignominia generale, il Maestro riuscirà a riunire i suoi musicisti, persi per la ville lumière o presi da traffici loschi, e dare avvio al sospirato concerto. Esordio disastroso, ma bastano le prime note della violinista-star Anne Marie Jacquet, la cui vita custodisce un doloroso segreto, perché l'armonia dei suoni si libri nell'aria e i musicisti ebrei e zingari ritrovino l'accordatura interrotta dalle persecuzioni. «Bisogna sempre distinguere tra po polo russo e regime sovietico», avverte Mihaileanu, che pure rifiutò di imparare quella lingua per protesta e oggi se ne pente. Il regista sfodera un tocco speciale nel mettere in scena questa moderna stangata che sbriciola molti luoghi comuni, vive di un'energia ribalda e strafottente, sia pure dentro un fondo malinconico scolpito sul viso gentile del protagonista: il russo Alexeij Guskov." (Michele Anselmi, 'Il Riformista', 03 febbraio 2010) "Un melodramma dell'Est in cui si ride e si piange. Nel quale le emozioni ti travolgono fino al gran finale. E con la solita pungente ironia che fa da architrave ad una storia di «camuffamento». C'è tutto Radu Mihaileanu, insomma, anche nel suo nuovo film: 'Il concerto' (...). Se in 'Train de vie' Mihaileanu usa l'ironia contro l'orrore dell'olocausto, qui ne fa arma contro la barbarie dei regimi. (...) Radu Mihaileanu usa tutta la sua ironia per

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fotografare la Russia di oggi, tra oligarchi mafiosi che si prendono a fucilate durante matrimoni super kitsch e i «pezzi» di passato che ritornano. Tra i quali la figura di una giovanissima violinista francese (la straordinaria Mélanie Laurent) dietro alla quale si cela il vero colpo di scena del film. Il ritmo è serrato e le risate pure. Soprattutto quando l'azione si sposta a Parigi, tra sbronze e fughe dell'improbabile orchestra. Ma, alla fine, quando tutti saliranno sul palco, il concerto sarà un successo." (Gabriella Gallozzi, 'L'Unità', 03 febbraio 2010) "Metà farsa e metà pathos, 'Il concerto' di Radu Mihaileanu è un esempio di cinema capace di rispecchiare sentimentalmente il mondo contemporaneo nel suo passato e nel suo presente. (...) 'Il concerto' è un film attraversato da piccole scene comiche, da qualche macchietta svergognata: ma ricco di indomabile vitalità, di ammaliante sapienza narrativa, divertente, interessante, commovente. Attori bravissimi, colonna sonora magnifica; e la parte finale, il concerto, davvero magistrale." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 05 febbraio 2010) "Dodici anni fa aveva conquistato le platee di tutto il mondo con il suo 'Train de vie - Un treno per vivere', premiatissima favola sull'Olocausto dall'amaro finale. Ora il rumeno Radu Mihaileanu firma uno dei film più applauditi all'ul timo Festival di Roma, 'Il concerto', nel quale orchestra con mirabile armonia generi e personaggi, lacrime e risate, note musicali ed emotive. (...) Melodramma, romanticismo e commedia dissacrante si amalgamano con grande leggerezza e conducono verso un travolgente finale che tra musica e sguardi non potrà che commuovere gli spettatori." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 05 febbraio 2010) Note - PRESENTATO IN ANTEPRIMA, FUORI CONCORSO, ALL A IV EDIZIONE DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA (2009). - DAVID DI DONATELLO 2010 COME MIGLIOR FILM DELL'UN IONE EUROPEA E NASTRO D'ARGENTO 2010 COME MIGLIOR FILM EUROPEO.

Le Concert -Approfondimenti

Intervista con il regista

Radu Mihaileanu Come è nato il progetto?

Sono stato contattato da un produttore che mi ha proposto un copione scritto da due giovani autori: era la storia di una falsa orchestra del Bolshoi che approdava a Parigi. L'idea di base mi piaceva molto, il resto meno. Così ho chiesto al produttore se potevo sviluppare una mia sceneggiatura a partire dal soggetto iniziale e mi ha dato il suo consenso.

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Come si è svolto il processo di scrittura?

Innanzitutto, con il mio complice Alain-Michel Blanc, sono andato due settimane in Russia per incontrare tutte le persone che in seguito avrebbero ispirato i nostri personaggi. Questi colloqui ci hanno offerto un'enorme quantità di spunti per i dialoghi, le scene e le idee che hanno poi preso corpo nella sceneggiatura. Era il 2002, prima delle riprese di Vai e vivrai. Quando la Productions du Trésor ha ripreso il progetto di Le Concert, per un po' abbiamo pensato di girare il film in inglese con attori americani. Per puro caso, il destino ha deciso diversamente e siamo tornati alle lingue originarie della storia: il francese e il russo. Ad ogni modo, la sceneggiatura è stata condensata nella sua struttura definitiva dal nuovo trio che si è formato: il produttore Alain Attal, Alain-Michel Blanc e io.

In Le Concert ritroviamo il tema dell'impostura positiva…

È un tema che mi pervade mio malgrado. Forse dipende dal fatto che mio padre, che si chiamava Buchman, durante la guerra dovette cambiare cognome per sopravvivere. Diventò Mihaileanu per affrontare il regime nazista e successivamente il regime stalinista. Anche se io ho tratto benefici dalla sua scelta, esiste in me un conflitto tra queste due identità. D'altronde, ho a lungo sofferto per il fatto di essere considerato un "estraneo" nel luogo dove mi trovo, che sia la Francia, la Romania o qualsiasi altro paese ovviamente. Oggi lo considero una ricchezza e sono felice di sentirmi ovunque partecipe e al tempo stesso estraneo. Probabilmente è per questo che all'inizio i miei personaggi hanno immense difficoltà e fingono di essere quello che non sono: per liberarsi da se stessi e cercare di gettare un ponte verso gli altri.

Il film parte subito su una nota ironica con la manifestazione degli ex comunisti che in realtà sono delle comparse…

Quando sono andato in Russia con Alain-Michel Blanc, siamo rimasti colpiti da questa manifestazione che si svolge tutte le domeniche mattina a Mosca e che cristallizza il paradosso della nuova società russa: da un lato, gli ex comunisti pervasi di nostalgia, i venditori di medaglie che smerciano la loro mercanzia a manifestanti e turisti e, dall'altro, i nuovi capitalisti duri e puri. In mezzo, c'è una grande quantità di persone, di cui alcune sono un po' smarrite. Ho trovato questo contrasto tragico e comico al tempo stesso.

Attraverso la metafora del concerto, il film parla dei rapporti fondamentali tra il singolo e la collettività.

Durante il missaggio ho capito che questa metafora è insita anche nella scelta stessa del concerto che occupa la parte finale del film, il Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij. Secondo me, alla base dell'attuale crisi, c'è proprio il rapporto tra il singolo e la collettività. Oggi constatiamo che abbiamo raggiunto il massimo grado di individualismo e che gli esseri umani si sentono in una situazione precaria rispetto al mondo: vorrebbero

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mantenere i diritti fondamentali dell'individuo, tornando tuttavia a una società più solidale. E mi sono reso conto che quel concerto di Čajkovskij non potrebbe essere armonioso se il violino e l'orchestra non fossero complementari. Se il violino non suona bene, l'orchestra va per conto suo e viceversa, i due elementi sono indissociabili. La crisi dimostra con forza l'importanza di questo binomio: il legame tra individuo e collettività deve essere molto solido e, per trovare l'armonia e il benessere, bisogna cercare di suonare il più possibile all'unisono.

Quest'armonia si forgia anche attraverso gli scambi tra russi, gitani e francesi che hanno tutti una visione del mondo molto diversa …

È quello che oggi si chiama "dialogo interculturale" : in ogni società, compresa quella francese, grazie alle ondate migratorie, è molto presente la mescolanza delle culture, che arrichisce tutti, malgrado le difficoltà che comporta. È il nostro mondo di oggi e lo sarà ancora di più domani. Ed è quello che descrive il film, quando un gruppo di semi-barboni russi, gitani ed ebrei, originari di Mosca, approda a Parigi: è l'incontro tra una cultura slavo-orientale e una cultura occidentale, ricca e cartesiana. All'inizio lo shock è esplosivo: i "barbari" dell'est, di cui io faccio parte, arrivano nel paese dei "civilizzati", che temono che i loro diritti acquisiti siano minacciati e che le regole che hanno definito non vengano rispettate. Ma alla fine, malgrado le tensioni, da questo incontro scaturiranno bellezza e luce. E il concerto esprime l'armonia che nasce da questo scontro tra culture.

Appunto, come si può definire «l'armonia suprema» di cui spesso parla Andreï nel film?

È il sogno che vogliono realizzare i miei personaggi russi che sono stati messi al bando dalla società. In qualche momento della nostra vita, siamo tutti stati messi alla prova e "al tappeto", come si dice nel pugilato. È molto difficile rialzarsi ed è proprio questo che i miei personaggi tentano di fare. Cercano innanzitutto di ritrovare l'autostima e poi di rimettersi in piedi e di tornare a essere degli esseri umani con una dignità. Per ritrovare un'armonia suprema, anche solo per un secondo, per il tempo di un concerto, e per dimostrare a se stessi che hanno ancora la forza di sognare e di stare in piedi. È una piccola vittoria sulla morte, che ci spia da dietro le quinte. Sono interrogativi che possono riferirsi anche a chi non ha mai sofferto in modo tragico: sono capace di sognare, di desiderare di raggiungere "l'armonia suprema"? Sono in grado di cambiare?

Come si può descrivere l'umorismo del film?

L'umorismo che preferisco è quello in reazione alla sofferenza e alle difficoltà. Per me, l'ironia è un'arma gioiosa e intelligente, una ginnastica della mente, contro la barbarie e la morte, un modo per spezzare la tragedia che ne è la sorella gemella. Di fatto, nel film, l'umorismo deriva da una ferita che si è aperta trent'anni prima, nell'Unione Sovietica di Brežnev. A quell'epoca, i personaggi sono stati umiliati e messi al tappeto. La loro volontà di rialzarsi e di riconquistare la dignità si esplicita anche attraverso l'umorismo. Al di là della loro tragedia, i protagonisti di Le Concert trovano la forza di portare fino in fondo i loro sogni, grazie all'ironia. A mio parere, è la più bella espressione dell'energia vitale.

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C'è anche una sorta di umorismo picaresco che scaturisce dall'incontro tra russi e francesi…

Anche all'interno della loro società, i personaggi russi del film stonavano un po', vivevano ai margini. Al loro arrivo in Francia, la contrapposizione è ancora più sorprendente e suscita dei contrasti che trovo molto divertenti. Per questo ho voluto apporre qualche "tocco di colore" esotico, caratteristico di quest'orda di slavi, nell'universo della società francese, che appare monotono e assopito quando è visto da una certa distanza.

E lo ritroviamo anche nel contrasto tra le ambientazioni in Russia e in Francia.

Esattamente. Abbiamo cercato di sviluppare un trattamento diverso delle due società attraverso le scenografie, i costumi, le luci, i suoni e la messa in scena. In Russia, gli ambienti e i costumi sono al tempo stesso colorati e "avvizziti", antiquati, le linee sono spesso caotiche, mentre Parigi è più luminosa, spesso dorata, piena di contrasti e raffigurata con tratti rettilinei, con quadrati. Per esempio, quando i russi telefonano al direttore del Théâtre du Châtelet, sono in uno squallido sgabuzzino, dagli arredi e dai tratti confusi, situato nel seminterrato del Bolshoi, in un ambiente acustico rumoroso, mentre l'ufficio del loro interlocutore parigino è magnificamente arredato, quasi bianco, pulito, silenzioso e perfettamente rettilineo. Mentre i russi sono nell'imperfezione totale, il francese, interpretato da Berléand, tende verso una certa perfezione. Inoltre, i russi sono spesso filmati con la macchina da presa a spalla, perché sono in costante movimento, sono "inquadrati male", mentre Duplessis e la sua squadra sono più che altro filmati in modo simmetrico, con la macchina da presa fissa o che fa dei movimenti controllati. Mi piace anche molto la scena del ristorante tra Andreï e Anne-Marie. Il contrasto tra il loro abbigliamento mi ricorda molto il mio arrivo in Francia: Andreï indossa un vestito nuovo, ma che sembra troppo grande e di altri tempi, pur essendo presentabile, dal momento che vuole essere all'altezza della cena; Anne-Marie indossa un grazioso chemisier color argento, semplice, moderno, sobrio. I suoi gioielli discreti brillano come i suoi occhi e le luci che li circondano, internamente ed esternamente. Solo Andreï sembra un inserto rappezzato nella Ville Lumière.

Il modo in cui i russi si impadroniscono del francese è esilarante!

Anche in questo caso mi sono ispirato a un'esperienza personale. Quand'ero piccolo, ho imparato il francese con una signora di origine francese di circa 70 anni che aveva lasciato la Francia per seguire un rumeno di cui si era innamorata. Avendo lasciato il suo paese da molto tempo, si esprimeva in una lingua che non si parlava più in Francia. Quindi ho imparato un francese letterario e molto antiquato e, quando sono arrivato in Francia, anch'io ho usato gran parte delle espressioni arcaiche che usano i miei personaggi nel film. Ricordo, per esempio, di aver ringraziato una signora che mi aveva aiutato a ottenere il visto d'ingresso dicendole: "La bacio calorosamente"! E in effetti avevo letto in numerosi libri che il "baciamano" era un gesto alquanto rispettoso… I miei personaggi pensano di parlare un perfetto francese, ma in realtà risultano quasi incomprensibili: ho trovato in questa

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discrepanza un effetto comico molto efficace. È anche un modo per rendere omaggio a una generazione che ha adorato la cultura francese e che oggi sta scomparendo.

Eppure, ognuno dei protagonisti russi ha una conoscenza del francese che gli è propria.

Sì, ci sono tre registri linguistici differenti che ci hanno molto divertiti durante la fase della scrittura. Innanzitutto c'è Ivan, che pensa di padroneggiare meglio di tutti la lingua (evidentemente l'ha imparata con un'anziana signora francese negli anni '50) e compone delle frasi pompose: se la cava abbastanza bene, malgrado commetta numerosi errori di significato e di sintassi. Poi c'è Andreï, che parla un po' meno bene, ma conserva una certa preziosità arcaica, infarcendo le sue frasi di "non è così?" a ogni piè sospinto. E infine c'è Sacha, il suo miglior amico, che ha un vocabolario molto limitato e parla un francese maccheronico, aiutandosi con qualche parola russa.

Il film descrive il tipo di intellettuali e artisti che c'erano sotto Brežnev.

Anche se una leggera brezza di libertà si era messa a soffiare circa dieci anni prima della Perestrojka, il potere cercava ancora di imbavagliare gli intellettuali, dal momento che ogni regime totalitario ha paura che le opinioni degli intellettuali si propaghino tra le masse e che queste ultime si ribellino. Brežnev diffidava in particolare degli ebrei che spesso si erano espressi su questioni sensibili e avevano parenti all'estero in grado di diffondere le loro idee. È per questo che Brežnev ha scacciato i musicisti ebrei dall'orchestra del Bolchoj, insieme ai russi che li hanno difesi. Allo stesso modo, il regime temeva i gitani, e le minoranze in genere, che non si sommettevano alla sua autorità. Di fatto i gitani non hanno mai obbedito agli ordini in alcun paese: sono gli esseri umani più liberi della terra. Ho voluto descrivere tra le righe questa realtà. Per contro, ho cercato di mostrare che un gesto di per sé insignificante, come il licenziamento di un direttore d'orchestra e di alcuni musicisti ebrei, può generare un trauma terribile in tutta una generazione che può impiegare anche trent'anni a riprendersi. È il caso di molti destini spezzati di persone originarie dei paesi dell’Est.

Attraverso la questione della trasmissione, lei si interroga anche sul significato dei valori.

Ho la sensazione che a partire dalla fine del XX secolo non abbiamo prestato abbastanza attenzione a una delle conseguenze della diffusione e dello sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione: la nascita della virtualità. Secondo me, è stata la virtualità a provocare l'attuale crisi: abbiamo messo da parte i valori reali, il lavoro, l'incontro, il tempo, l'amicizia, l'amore, la conoscenza, e abbiamo adottato sempre di più i valori virtuali, i soldi, l'informazione, il ritmo frenetico, la comunicazione, l'acquisizione di strumenti. Ho l'impressione che oggi gli esseri umani abbiano voglia di recuperare i veri valori. Capiscono anche che nello scambio con l'Altro risiede la vera ricchezza e cercano di ristabilire un equilibrio nel rapporto individuo/comunità. In quest'ottica, il film racconta che senza l'amicizia e senza questo viaggio per incontrare un'altra cultura è impossibile raggiungere la felicità.

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In lei si percepisce anche una volontà iconoclasta di sconvolgere le convenzioni.

Penso che la vita sia fatta sia di regole sia di momenti in cui è necessario sconvolgere le stesse regole per andare avanti e sperimentare nuovi territori. I miei personaggi, che sono in uno stato di disintegrazione a causa della perdita del lavoro e della stabilità e non hanno nulla più da perdere, non hanno altra scelta che tentare di arrangiarsi: sono quindi condannati a rinnovarsi e progredire. In condizioni simili, tutto è possibile, anche a costo di infrangere le leggi stabilite: si fabbricano da soli il passaporto, non vanno alle prove per dedicarsi a vari traffici, insomma, vivono di espedienti e si ingegnano per sopravvivere. Tutti i miei personaggi hanno una componente poetica, i piedi per terra e la testa tra le nuvole, perché io credo che non sia possibile separare del tutto realtà e fantasia.

Come sempre è ricorso ad attori di origini diverse.

Sì. Ci sono innanzitutto cinque straordinari attori russi che sono molto famosi nel loro paese. Sono rimasto colpito dalla loro capacità di esprimere al tempo stesso l'interiorità e l'esteriorità e di recitare con tutto il loro corpo. In più, ho avuto la fortuna di lavorare con attori francesi eccezionali. Ma, soprattutto, è stato meraviglioso assistere all'incontro tra queste due scuole che a poco a poco sono arrivate a comprendersi. E non dimentico i miei amici attori rumeni! Insomma, è stato un melting pot incredibile.

Le Concert -Spunti di riflessione

Spunti di riflessione di Luciana Della Fornace

1. Dal 1917 anno in cui scoppiò la rivoluzione, la Russia fu dominata fino ad oggi, solo ed esclusivamente da dittatori: da Nikolai Lenin a Iosif Stalin, da Nikita Krusciov a Leonid Breznev. Quali furono i rapporti tra i suddetti Presidenti dell’URSS e l’Occidente? Effettuate ricerche in merito.

2. Grazie ai patti firmati a Yalta nel febbraio 1945 tra le nazioni, ormai vincitrici della II Guerra mondiale, Stalin, per la debolezza di Franklin Delano Roosevelt, il Presidente americano gravemente malato e per l’impotenza furiosa di Winston Churchill, primo Ministro inglese, riuscì ad allargare il dominio dell’Unione sovietica a tanti Stati limitrofi che divennero suoi satelliti. I russi, giunsero, con la loro sfera di competenza, fino a Berlino che del resto, alla fine dell’aprile 1945, erano stati i primi a occupare. Pochi anni dopo in quella città martoriata costruirono il famigerato muro che separava i quartieri est dai quartieri ovest. Perché, quando si trattò di coinvolgere Berlino con la costruzione del muro, l’Occidente iniziò a reagire? Famoso, a questo proposito, fu un discorso di John Kennedy in visita a Berlino ovest. Quali furono le parole che pronunciò che esaltarono tutto il mondo occidentale?

3. Nel 1989, il muro di Berlino venne distrutto da un popolazione felice di incontrarsi dopo tanto tempo, fra genitori e figli, fratelli e amici. Chi era allora a capo dell’URSS? Come ciò potè accadere?

4. Quando cadde il muro nella città tedesca che tornò ad essere la capitale della Germania, l’URSS e i Paesi satelliti iniziarono a occidentalizzarsi in maniera forse più negativa che positiva. Secondo voi la brama di possedere, anche se poco, la convinzione di aver

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raggiunto una libertà per tanto tempo negata, non portò a un consumismo disordinato e in alcuni casi, anche eccessivo? Esprimete la vostra opinione in merito.

5. Sotto il regime di Breznev in Unione sovietica agli intellettuali e agli artisti ebrei fu resa la vita difficile in maniera subdola, diversa da quelle realizzate dagli altri dittatori. Perché? Effettuate ricerche.

6. La comunità ebraica in tutto il mondo è unita dalla sua religione e da un insieme di intenti, usi, costumi e abitudini ma ciò non toglie che ci siano ebrei italiani (a Roma, ad esempio, presenti dai tempi di Giulio Cesare), tedeschi, russi, francesi, ecc. ecc. Perché, anche quando non si raggiunse per loro la tragica soluzione finale come sotto il nazismo gli ebrei da sempre hanno dovuto vivere ( e in alcuni paesi ancora vivono) situazioni difficili?

7. La storia di Andrei Filipov, negli anni ’70, considerato uno dei più grandi musicisti sovietici e direttore dell’orchestra del mitico teatro Bolshoi di Mosca è legata alla religione ebraica professata da molti membri del suo gruppo orchestrale. Perché? Quale decisione prese il potere nei suoi riguardi quando …

8. Andrei è un uomo con tutta la sua fragilità, ma dove trova, quando e perché, il coraggio di ribellarsi, rinunciando a ciò che più conta nella sua vita?

9. Andrei vive, agli inizi della storia filmica, ferito e roso dal senso di colpa. Perché il suo senso morale gli impedisce di perdonare se stesso? E di quale colpa egli, tanti anni prima, si è macchiato?

10. Perché, quando Andrei decide di andare segretamente a Parigi con i suoi vecchi orchestrali va a cercare, per prima cosa, Ivan che aveva contribuito a distruggere la sua vita?

11. Chi è Ivan? E qual è il forte legame che lo lega ad Andrei? 12. Qual è la reazione di Ivan quando Andrei va a cercarlo per parlargli di ciò che intende fare

ed eventualmente, per chiedere il suo aiuto? 13. Quanto la fede nell’ideale comunista spinse Ivan, tanto tempo prima, a decisioni così

dolorose per altri? 14. Quanto essere un ufficiale del KGB ha condizionato e condiziona anche se diversamente le

scelte di Ivan? 15. Secondo Voi il personaggio di Ivan ha ancora nostalgia dell’Unione Sovietica? 16. Perché nonostante le sue caratteristiche psicologico-politiche e comportamentali, Ivan

contribuisce a far sì che il concerto si svolga? 17. Sacha, l’amico di Andrei, ha valori di amicizia molto forti. Possiamo affermare che per lui,

rappresenti una sorta di fratello maggiore che lo protegga? 18. Sacha ha avuto la vita spezzata dal “suo” partito. Perché? 19. La rabbia e il risentimento di Sacha nei riguardi di quanto abbia dovuto partire risorgono

prepotentemente quand’egli rincontra Ivan. Perché? 20. Chi è Anne-Marie? E perché se ella perdona Andrei, la vita dell’uomo può ritornare

normale? 21. Perché Anne-Marie, in un momento delicatissimo della sua carriera di concertista, accetta

di interpretare Cajkowskij per la prima volta? 22. Come e perché Duplessis, il rigido e quasi cinico direttore del teatro parigino “Le Chatelet”

si convince aiutare Andrei nel suo piano pazzesco? 23. Chi è Guylène e perché tiene tanto ad Anne-Marie e alla sua carriera? 24. Guylène appare, appena la si incontra nel film, una donna molto dura ma, a poco a poco,

nel corso della storia, scopriamo che nasconde un segreto molto pesante e molto difficile da portare. Cos’è accaduto tanti anni prima?

25. Quale legame lega Guylène ad Andrei? 26. Perché Guylène è la prima a comprendere il motivo per cui i musicisti russi vogliono,

proprio a Parigi, interpretare quel brano di Cajkowskij? 27. Chi è Irina e quale forza dà ad Andrei per spingerlo a portare a termine il suo progetto? 28. Un antico proverbio afferma: “Dietro il successo di un uomo c’è sempre una donna

intelligente”: è questo che Irina è per Andrei? Ma basta l’intelligenza oppure serve anche l’amore?

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29. Vi siete resi conto come, nella colonna sonora del film, si ascoltino musiche sinfoniche, cori liturgici che legano il passato al presente, canti popolari russi, musica gitana e musica moderna? Se siete riusciti ad “ascoltare” oltre che a “vedere” quali sono le sensazioni che avete provato nell’udire la colonna sonora dell’opera di Mihaileanu?

30. Armand Amar, il compositore della colonna sonora originale, sostiene che, nel film, la musica è un “personaggio” come tutti gli altri, anzi è il motore dell’intreccio del film. Siete d’accordo?

31. Armand Amar, il compositore delle musiche originali del film ha avuto anche l’arduo compito di ridurre da 22 minuti a 12 il più bel concerto, per violino e orchestra di Petr ll’ic Cajkowskij? Secondo voi c’è riuscito, mantenendo l’armonia suprema dell’opera?

32. Cos’è per voi l’armonia suprema di cui si parla nella domanda precedente sapendo che:

a) per Radu Mihaileanu: è la musica che anima il suo film

b) per Armand Amar, il musicista: è un modo di vivere

c) per Alexei Guskov che interpreta Andrei il protagonista, è: l’amore

d) per Dmitry Nazarov (Sacha) è: una fiaba che potrebbe divenire realtà

e) per Valeri Barinov (Ivan) è: l’obiettivo che vogliamo raggiungere, senza mai riuscirci, fortunatamente

f) per Mélanie Laurent (Anne-Marie Jacquet) è: un momento di grazia

g) per François Berleand (il direttore Duplessis) è: un’osmosi straordinaria tra il pubblico, il concertista, l’orchestra e il brano musicale

h) per Anna Kamenkova (Irina) è: la musica.

33. Radu Mihaileanu, il regista del film è rumeno e, dopo gli anni del crudele, tremendo dominio di Nicolae Ceausescu nel suo Paese, è comprensibile sentirlo affermare: “La tragedia è la condizione normale dell’essere umano, la felicità quasi un incidente”. Commentate.

In www.agiscuola.it

Mine Vaganti

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Mine vaganti

Anno 2009

Altri titoli Loose Cannons

Durata 116

Origine ITALIA

Colore C

Genere COMMEDIA, DRAMMATICO

Specifiche tecniche 35 MM

Produzione DOMENICO PROCACCI PER FANDANGO IN

COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA

Distribuzione 01 DISTRIBUTION (2010) - DVD E BLU-RAY: 01

DISTRIBUTION (2010)

Data uscita 12-03-2010

Regia

Ferzan Özpetek

Attori

Riccardo Scamarcio Tommaso

Nicole Grimaudo Alba

Alessandro Preziosi Antonio, fratello di Tommaso

Lunetta Savino Stefania, madre di Tommaso

Ennio Fantastichini Vincenzo, padre di Tommaso

Elena Sofia Ricci Zia Luciana

Ilaria Occhini Nonna di Tommaso

Bianca Nappi Elena, sorella di Tommaso

guarda il trailer

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Massimiliano Gallo Salvatore

Paola Minaccioni Teresa

Emanuela Gabrieli Giovanna

Carolina Crescentini La nonna da giovane

Giorgio Marchese Nicola

Matteo Taranto Domenico

Carmine Recano Marco

Gianluca De Marchi Davide

Giancarlo Montigelli Brunetti

Mauro Bonaffini Massimiliano

Crescenza Guarnieri Antonietta

Daniele Pecci Andrea

Gea Martire Patrizia

Sceneggiatura

Ferzan Özpetek

Ivan Cotroneo

Fotografia

Maurizio Calvesi

Musiche

Andrea Guerra

La canzone "Sogno" (muisca di Marco Giacomelli e Fabio Petrillo,

testi di Ilaria Cortese e Nicoletta Strambelli in arte Patty Pravo) è

cantata da Patty Pravo.

Montaggio

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Patrizio Marone

Scenografia

Andrea Crisanti

Costumi

Alessandro Lai

• Trama Stefania e Vincenzo aspettano con ansia il ritorno del figlio Tommaso. Anche zia Luciana, la nonna, sua sorella Elena e Alba, l'amica di sempre, non vedono l'ora di rivederlo. E tutti coltivano in segreto la speranza che Tommaso accetti di affiancare suo fratello Antonio nella gestione del pastificio di famiglia. Nessuno, però, ha fatto i conti con il destino e anche per questo Tommaso si troverà a rimanere a casa dei suoi genitori più a lungo di quanto aveva previsto... Critica "«Non farti mai dire dagli altri chi devi amare, e chi devi odiare. Sbaglia per conto tuo, sempre». (...) Ed è anche la filosofia di 'Mine vaganti' ottavo film di Ferzan Ozpetek, che dopo l'incauto corpo a corpo con la letteratura (in 'Un giorno perfetto', il romanzo della Mazzucco risultò più resistente del previsto) torna alla sceneggiatura originale firmata, questa volta, con Ivan Cotroneo. E torna soprattutto alla dimensione a lui congeniale dello schietto dramma familiare che si nutre di sfumature e di leggerezze e che non ha paura né di farciture comiche né di pronunciati sentimentalismi. Un dramma che pone al centro ancora una volta l'omosessualità non tanto come paradigma borghese della sensibilità o della raffinatezza quanto come istanza di libertà, capace ancora di suscitare resistenze e sollevare ribellioni. E, almeno in questo senso, l'ambientazione in una Lecce splendidamente barocca nel paesaggio quanto volgare negli arricchiti cittadini, risulta esemplare. (...) Ed è proprio nel racconto corale della famiglia (...) delle peripezie quotidiane, delle preoccupazioni sociali, dei malintesi grossolani (...) che il film si offre più generosamente allo spettatore. Lo fa senza rete di sicurezza con quella spontaneità di colori che contraddistingue il tocco di Ozpetek. Sicché 'Mine vaganti' oscilla tra le grossolanità della commedia salentina, stile migliore Lino Banfi, e le raffinatezze di Stefhan Elliot al tempo di 'Priscilla la regina del deserto'. Poteva stare in Concorso come molti reclamano? Forse. Intanto si dirà che è piaciuto molto al pubblico berlinese. Non è poco in previsione di una distribuzione internazionale." (Andrea Martini, 'Nazione, Carlino, Giorno', 14 febbraio 2010) "Probabilmente il complimento più appropriato da fare a "Mine vaganti" è che è un film contagioso. E non è un complimento da poco perché sa trasmettere allo spettatore l'entusiasmo e l'energia che hanno guidato Ozpetek nel dirigerlo e sa catturarlo con qualcosa che non è solo una trama intrigante o un cast indovinato, ma una marcia in più, quella che troppe volte i registi italiani 'dimenticano' di ingranare. Non tutto funziona alla perfezione nel film. (...) Per la prima volta, però, Ozpetek lo fa senza preoccuparsi troppo di cadere nell'eccesso (merito del nuovo cosceneggiatore Ivan Cotroneo?): accentua i caratteri, sfiora la farsa, scherza con gli stereotipi (...) per arrivare a recuperare una libertà che mandi a quel paese le preoccupazioni di correttezza e di buon gusto rivendicando così in maniera diretta e 'sfacciata' quello che nei suoi film precedenti affidava più alla testa che alla pancia. In questo modo finiscono per sembrare meno artificiose anche le 'solite' riprese circolari intorno alla tavola mentre l'invito a difendere con orgoglio i propri desideri (sessuali e non) prende forza maggiore proprio dalla minor esemplarità dei personaggi. In fondo, se 'mine vaganti' devono essere, che lo siano soprattutto per forza di stile e di recitazione!" (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Srea', 11 marzo 2010)

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"Se il cinepanettone seduce anche l'autore, si fa opera buffa adottando gli stereotipi del genere, il cinema italiano resterà fuori dalla sperimentazione planetaria. 'Mine vaganti' senza carica esplosiva; come accade al film di Ferzan Ozpetek, (...) ci presenta una galleria di normalizzati spacciati per 'eccentrici' in una Lecce abbagliante, pronta a ritrarsi di fronte alla commediaccia della gaytudine. Quella che il sensibile regista di 'Le fate ignoranti' traduce in una parodia 'liberatoria' dei due fratelli omosex (...). La borghesia leccese altera e crudele è trasformata in una becera tavolata di caricature, ripresa in carrellate circolari, babele dialettale storpiata. Così che gli elementi di 'disturbo', i due fratelli, risultano totalmente mimetici, e compongono il quadro della famiglia del sud così come ce l'ha presentata la commedia all'italiana. Ma se all'epoca il genere registrava i 'mostri' del belpaese, adesso il pantheon di figurine scomposte è irricevibile, a cominciare dalle donne. (...) Tutto questo dovrebbe aprire nuovi varchi di tolleranza nel pubblico omofobico?" (Marluccia Ciotta, 'Il Manifesto', 12 marzo 2010) "Ferzan Ozpetek, per ambientare il suo 'Mine vaganti', (...) ha scelto la Puglia. (...) Così tra ulivi, masserie da sogno, chiese barocche, si snoda la saga di una stirpe di pastai che non riesce a tenere alto il buon nome del casato, secondo i crismi della tradizione. (...) Si ride molto e non si bada alle sbavature." (Cristina Battocletti, 'Il Sole 24 Ore', 12 marzo 2010) "Esplosivo e adorabile, esce 'Mine vaganti' di Ferzan Ozpetek, commedia a tratti tragica, che mette in scena non solo il tema dell'omosessualità, da dichiarare ai genitori, ma anche i panni sporchi di famiglia. (...) Col solito stile non convenzionale, Ozpetek traccia mirabilmente uno spaccato nazionale, tra modernità e tradizione." (Salvatore Trapani, 'Il Giornale', 12 marzo 2010) "Piacerà anche a chi non è un fan acceso del cinema di Ferzan Ozpetek. Noi, tanto fan non siamo mal stati. Al turco romanizzato abbiamo sempre fatto due rimproveri (solo due ma basilari). Primo, un'insistenza martellante ossessiva per i temi omosessuali (in 'Le fate ignoranti' infilava il dubbio malignetto che nessuna eterosessualità è al di sopra di ogni sospetto ) - Perciò tra le molte cose che avevamo apprezzato nel suo precedente 'Un giorno perfetto', c'era l'assenza di gay nella trama (un personaggio omo nel romanzo era diventato nel film donna etero). Secondo rilievo anti Ferzan, i secondi tempi tutti zoppicanti, tutti inferiori alle prime parti (dalle 'Fate' a 'Saturno contro' ). Bene, il tema di sempre è rimasto, ma stavolta il film corre. Spedito, dalla prima scena all'ultima, zeppo di colpi di scena. Ribaldo e senza tregua come una delle grandi commedie di Pietro Germi ( 'Sedotta e abbandonata', 'Signore e signori' ). E recitato benissimo. Da Fantastichini, naturalmente, ma anche da Scamarcio e da una fantastica Elena Sofia Ricci (l'assatanata zia)." (Maurizio Cabona, 'Libero', 12 marzo 2010) "Segreti di famiglia. Tutti ne hanno, nessuno li vuole. Ma il bello dei segreti è che sono contagiosi. Ogni segreto ne genera un altro, poi un altro e un altro ancora. Che alla lunga, naturalmente, sono sempre meno segreti e sempre più comici (o tragici, ma più di rado). 'Mine vaganti' applica questo principio al clan patriarcale di un industriale della pasta leccese e ci porta di sorpresa in sorpresa con una leggerezza e una verve che il regista de 'Le fate ignoranti' aveva un po' perso per strada dopo tanti film seri o seriosi se non cupi ma poco convincenti (come l'ultimo, 'Un giorno perfetto'). (...) Lasciando a Ozpetelc l'estro, il piacere, la libertà di giocare con quel mondo in cui ognuno recita una parte premendo come mai prima sul pedale del comico. Come nella lunga e irresistibile visita degli amici gay venuti da Roma a trovare Scamarcio. Un gruppo di pazze caricaturali (ma palestrate...) che solo Fantastichini, nel suo perbenismo all'antica può scambiare per virili rubacuori. Con conseguenze assolutamente esilaranti (anche perché la servitù non la beve). A conferma che per dare il meglio prima o poi bisogna buttare a mare convenzioni e preoccupazioni inutili. Anche dietro alla macchina da presa." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero, 12 marzo 2010) "E' questa nonna il centro più autentico di una vicenda scritta da Ozpetek con Ivan Cotroneo e poi rappresentata con modi sempre intensi, tra un via vai di situazioni, spesso attorno a tavole da

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pranzo, in cui ogni psicologia è sottilmente cesellata alternando i climi ansiosi ad altri ora polemici ora ironici. In una cornice in cui la solarità mediterranea di Lecce e nella Puglia è messa in sapiente contrasto con il buio che pesa su tutti quegli animi feriti da duri contrasti. Con un felice equilibrio sia drammatico sia emotivo tra le cui pieghe stona solo una sequenza che indugia sull'intrusione di una banda di amici omosessuali di Tommaso piovuti giù da Roma con atteggiamenti a dir poco macchiettistici. Ma la si dimentica quasi subito per apprezzare la salda bravura della maggior parte degli interpreti: Riccardo Scamarcio (Tommaso), con una mimica eloquente sempre sospesa tra reticenza e dolore; Alessandro Preziosi (Antonio), con dignità e misura quasi severe; Ennio Fantastichini (il padre), perfetto prima nello sbalordimento furioso poi nel terrore provinciale di possibili scandali; Ilaria Occhini (la nonna), il personaggio più bello e sofferto, espresso con accenti finissimi; da grandissima attrice." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 13 marzo 2010) "Bisogna stare attenti a quel che si dice su Ferzan Ozpetek. L'anno scorso, rispondendo a un'inchiesta di Ciak sullo stato del cinema la domanda precisa era: 'Le tre cose che non vorreste più vedere in un film italiano' - un incauto rispose 'le cucine di Ozpetek, con tanta gente attorno al tavolo'. Non l'avesse mai detto. Il regista si arrabbiò moltissimo e per dispetto promise ancora più gente con il tovagliolo al collo. Promessa mantenuta in 'Mine vaganti', ma trasferendosi in sala da pranzo, perché nel sud dei pastai - tale è l'azienda di famiglia - mangia in cucina solo la servitù. (...) La materia per una commedia degli equivoci c'era, nelle mani di un regista davvero intenzionato a divertire. Non solo a stringere complicità con il suo pubblico di riferimento, o a cercare di allargarlo come capita qui senza scontentare i primi fan. (...) Con il film di Ozpetek abbiamo quasi esaurito 'i gruppi di famiglia in un interno' girati quest'anno dai registi italiani. Resta 'Happy Family' di Gabriele Salvatores." ('Il Foglio', 13 marzo 2010) Note - REALIZZATO CON IL SOSTEGNO DI APULIA FILM COMMISSION REGIONE LECCE. - SUONO: MARCO GRILLO. - PRESENTATO AL 60. FESTIVAL DI BERLINO (2010) NELLA SEZIONE 'PANORAMA SPECIAL'. - DAVID DI DONATELLO 2010 PER: MIGLIOR ATTRICE E ATTORE NON PROTAGONISTI (ILARIA OCCHINI E ENNIO FANTASTICHINI). ERA CANDIDATO ANCHE PER: MIGLIOR FILM, REGISTA, SCENEGGIATURA, PRODUTTORE, ATTRICE NON PROTAGONISTA (ERA CANDIDATA ANCHE ELENA SOFIA RICCI), DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA, MUSICISTA, CANZONE ORIGINALE, SCENOGRAFO, COSTUMISTA E MONTATORE. - NASTRO D'ARGENTO 2010 PER: MIGLIORE COMMEDIA, ATTORE NON PROTAGONISTA (ENNIO FANTASTICHINI EX AEQUO CON LUCA ZINGARETTI PER "IL FIGLIO PIÙ PICCOLO" DI PUPI AVATI E "LA NOSTRA VITA" DI DANIELE LUCHETTI), ATTRICE NON PROTAGONISTA (ELENA SOFIA RICCI E LUNETTA SAVINO EX AEQUO CON ISABELLA RAGONESE PER "LA NOSTRA VITA" E "DUE VITE PER CASO" DI ALESSANDRO ARONADIO), FOTOGRAFIA E CANZONE ORIGINALE. ERA CANDIDATO ANCHE PER: MIGLIOR REGIA, SCENEGGIATURA, ATTORE PROTAGONISTA (RICCARDO SCAMARCIO), SCENOGRAFIA E COLONNA SONORA.

Scheda da Cinematografo.it

INTERVISTA A FERZAN OZPETEK

Queste Mine Vaganti ondeggiano dentro una grande famiglia che come in altri suoi film costituisce una comunità eccentrica, calorosa, rumorosa e a suo modo solidale. Le cosiddette "famiglie Ozpetek", quelle conosciute e ambientate nel suo quartiere Ostiense di Roma. Qui invece ha trasferito tutto al Sud d'Italia, scegliendo Lecce, il Salento, la Puglia. Come mai questa svolta ?

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Per me la famiglia è quella classica e specie in questo film ho sentito la presenza e la forza del rapporto padre, madre e figli. Ci tengo però nello stesso tempo a considerare la famiglia degli amici e degli affetti sinceri al di là dei legami di sangue.

La scelta di Lecce risale alla mia prima visita della città, otto anni fa, e ne rimasi subito affascinato. In ogni caso per questo film io volevo il Sud con le sue particolarità, la classicità e le tradizioni. E Lecce ha una splendida atmosfera, dall'estetica dell'architettura agli ambienti naturali, al cibo eccellente, tutto un insieme di cose che da tempo mi spingevano a cercare laggiù la collocazione del mio film. E il risultato è stato meraviglioso, un'accoglienza straordinaria. Devo dire che dopo l'esperienza di Lecce mi sento più forte nell'affrontare la vita, sono entrate tante persone nuove nella mia esistenza, una serie di amici salentini che spero possano rimanere a lungo nella mia vita.

Nella gran Commedia della famiglia Cantone che mette in scena, tra ipocrisie sotterfugi e rimpianti, certi tratti rimandano allo sguardo acuto e amaro di autori come Monicelli e Germi. Si tratta di omaggi consapevoli e voluti o di semplici coincidenze, involontarie?

Al termine delle primissime proiezioni che ho fatto qualcuno mi ha citato in effetti questi autori, nomi eccellenti come pure Petri. Per me naturalmente è un grande onore venire accostato a certi cineasti e in tutta sincerità la cosa mi mette un po' a disagio, provo un certo imbarazzo. Dietro al mio lavoro ci sono sicuramente autori che mi hanno influenzato ed elementi che mi porto dentro. Del resto mi sono formato e sono cresciuto con il loro e tanto altro cinema italiano. Dunque è motivo di orgoglio avere questi accostamenti anche se sono involontari, una cosa di cui non ho coscienza al momento di girare.

Mine vaganti è una sua sceneggiatura originale firmata insieme ad Ivan Cotroneo. Da quali spunti o suggestioni siete partiti nell'elaborazione dello script e quanto è fedele il girato alla scrittura? Infatti da certi dialoghi tra gli interpreti sembra emergere una buona dose di improvvisazione creativa...

È esattamente così, è proprio vero. Sono partito da una idea che riguardava un fatto vero accaduto ad un mio amico, all'inizio c'èra una confessione-rivelazione tra due fratelli, una cosa da cui il mio amico è uscito quasi distrutto. Poi ho steso la sceneggiatura con Ivan Cotroneo che ha continuato a frequentare il set mentre si girava, giù in Puglia, e insieme cambiavamo dialoghi e modificavamo le scene a seconda dell'atmosfera del set. Ci sono stati in effetti vari interventi e trasformazioni.

Un cast ricco ed importante che ha miscelato tra nomi già familiari al suocinema (Grimaudo, Fantastichini, Savino) e scelte inedite (Scamarcio, Preziosi, Pecci, la Ricci, la Occhini). Quali idee ci sono dietro le scelte degli interpreti per i ruoli principali e non?

Con Scamarcio e Preziosi volevo lavorare da tempo, diciamo che li avevo nel mirino. Elena Sofia Ricci mi sembrava perfetta per il ruolo. Ho apprezzato molto Pecci che ha accettato un ruolo così particolare e insolito nella sua carriera ancora prima di leggere la sceneggiatura, come è stato del resto per tutti gli altri attori. Poi sulla sceneggiatura abbiamo fatto tutti insieme come al solito una bellissima lettura iniziale ed altre più specifiche sui singoli ruoli nelle settimane successive una volta giù nel Salento. Con Ennio e Lunetta si è rafforzata la bella collaborazione che avevamo già sperimentato e Nicole Grimaudo mi ha dato ancora una volta grandi soddisfazioni. Con il cast abbiamo stabilito un rapporto alchemico molto costruttivo, felice, positivo.

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Non più di due mesi fa in una lunga intervista televisiva Madonna ha definito "Ferzan Ozpetek un regista semplicemente geniale". È un buono spunto per parlare allora della musica di questo film che specie per certe atmosfere mélo si manifesta con canzoni appassionate e divertenti motivi pop-dance oltre che con accenti ritmici del folk meridionale. Senza dimenticare il finale con l'inedita Patty Pravo. Che lavoro ha fatto con autori e compositori?

Quando mi hanno riferito di Madonna sono stato molto contento, felice ed anche orgoglioso ma ho recitato la parte con distacco, non dando a vedere la mia soddisfazione, come se la cosa non mi avesse colpito più di tanto. Con Patty Pravo è andata molto bene fin dal momento in cui mi ha inviato il suo splendido brano Il sogno. Poi ho inserito nel film altre canzoni che piacciono a me e che ho amato in diversi periodi della mia vita. Infine ci sono le composizioni originali di Pasquale Catalano che io ritengo veramente un grandissimo musicista.

• Spunti di Riflessione:

di Giulia Serinelli

1. Perché Tommaso, il rampollo più giovane della famiglia Cantone, proprietaria di uno dei più importanti pastifici del Salento, ha deciso di trasferirsi a Roma?

2. Qual è il motivo che spinge Tommaso a rientrare a casa?

3. Tommaso svela il suo "segreto" al fratello maggiore Antonio, come reagisce Antonio alla rivelazione del fratello?

4. Un evento del tutto imprevisto impedirà a Tommaso di realizzare i suoi propositi. Ognuno dei componenti della famiglia ha una sua personale reazione all'evento. Descrivetele e provate a ricostruirne le cause.

5. Perché, secondo voi, Tommaso mente alla sua famiglia in merito alla facoltà universitaria che frequenta?

6. All'inizio del film, Tommaso sembra deciso, vuole sentirsi libero, smettere di mentire alla sua famiglia e rivelarsi ai suoi occhi per quello che è: uno studente di lettere innamorato del suo compagno Marco. Qual è il motivo che gli impedirà di portare avanti i suoi propositi?

7. L'equilibrio di un'intera famiglia viene destabilizzato. Agli occhi di Vincenzo, il padre di Antonio e Tommaso, il ruolo sociale assunto dalla famiglia Cantone sembra crollare. Secondo voi, quanto la visione di Vincenzo corrisponde alla realtà?

8. Cosa impedisce al padre di Antonio e Tommaso di preoccuparsi esclusivamente della felicità dei propri figli, come ogni genitore dovrebbe fare?

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9. La nonna, la madre, la sorella di Antonio e Tommaso non sono del tutto ignare della omosessualità dei due fratelli. Perché l'equilibrio della famiglia salta solo a seguito della rivelazione di Antonio al padre Vincenzo?

10. I rapporti familiari dovrebbero essere basati sulla sincerità, la fiducia e la reciproca comprensione. La famiglia dovrebbe essere il principale supporto della crescita personale e sociale dell'individuo. Ciò purtroppo non sempre avviene. Quali sono, secondo voi, le conseguenze dell'assenza di tali condizioni?

11. Perché, secondo voi, le stravaganze della zia Elena Sofia Ricci hanno la tacita tolleranza di tutti i componenti della famiglia?

12. Una delle frasi cardine, attorno alle quali ruota la pellicola, è il monito che la nonna rivolge a Tommaso "Non farti mai dire dagli altri chi devi amare e chi devi odiare, sbaglia per conto tuo sempre." Accettereste il consiglio?

13. Quanto la particolare visione della vita della nonna di Tommaso è legata al ricordo del suo amore impossibile?

14. Uno dei protagonisti principali del film è una Lecce da cartolina, tra ulivi, pasticciotti e l'azzurro mare di Gallipoli. Parte della critica ha descritto l'ambientazione del film come uno spaccato, fortemente omofobo, ricco di stereotipi e luoghi comuni? Siete d'accordo?

15. Come reagisce Tommaso all'improvviso arrivo dei suoi amici romani?

16. Perché la figura dell'amica Alba assume per Tommaso un ruolo importante?

17. Quali sono le cause che spingono la nonna a compiere la sua scelta definitiva? E quali conseguenze tale scelta comporterà per ognuno dei componenti della famiglia?

18. A cosa si riferisce il titolo "Mine Vaganti"? Chi è o chi sono, secondo voi, le vere mine vaganti del film?

19. Parte della critica ha obiettato che Ozpetek rappresenta il suo mondo; un mondo ideale, un'omosessualità borghese che non rompe gli schemi. Commentate.

Oggi sposi di Luca Lucini

Oggi sposi

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Anno 2009

Altri titoli Just Married

Durata 118

Origine ITALIA

Colore C

Genere COMMEDIA

Specifiche tecniche 35 MM

Produzione RICCARDO TOZZI, MARCO CHIMENZ, GIOVANNI

STABILINI PER CATTLEYA

Distribuzione UNIVERSAL - DVD: UNIVERSAL HOME VIDEO

(2010)

Data uscita 23-10-2009

Regia

Luca Lucini

Attori

Luca Argentero Nicola Impanato

Moran Atias Alopa

Dario Bandiera Salvatore Sciacca

Carolina Crescentini Giada

Francesco Montanari Attilio Panecci

Filippo Nigro Fabio Di Caio

Gabriella Pession Sabrina Monti

Michele Placido Sabino Impanato

Renato Pozzetto Renato Di Caio

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Isabella Ragonese Chiara Malagò

Lunetta Savino Violetta Impanato

Hassani Shapi Ambasciatore

Annalisa De Simone

Soggetto

Fausto Brizzi

Marco Martani

Fabio Bonifacci

Sceneggiatura

Fabio Bonifacci

Fausto Brizzi (collaborazione)

Marco Martani (collaborazione)

Fotografia

Manfredo Archinto

Musiche

Giuliano Taviani

Carmelo Travia

Montaggio

Fabrizio Rossetti

Scenografia

Marco Belluzzi

Costumi

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Roberto Chiocchi

Trama Storia di quattro coppie alle prese con i preparativi delle rispettive nozze: Nicola Impanato, poliziotto

pugliese ed ex dongiovanni incallito, ha deciso di sposare la figlia dell'Ambasciatore indiano e si prepara a

convincere suo padre, un contadino nato e cresciuto a Morticola, ad accettare un matrimonio hindu; due

giovani precari, Salvatore e Chiara, per organizzare un matrimonio a costo zero, decidono di far imbucare i

parenti di lui, siciliani attenti alle tradizioni, al matrimonio del secolo, quello della soubrette Sabrina con il

magnate Attilio Panecci. Nel frattempo, il pm romano Fabio Di Caio, che segue da tempo le mosse di Attilio

cercando di incastrarlo, deve riuscire a dissuadere suo padre dallo sposare una massaggiatrice poco più che

ventenne.

Critica "Il racconto, secondo la struttura degli episodi a tema incrociati, mescola fra loro la storia di Luca

Argentero, che vorrebbe sposare la bella indiana Moran Atias, nonostante lo stile rustico del padre

contadino Michele Placido; quella dei precari Dario Bandiera e Isabella Ragonese, che vorrebbero sposarsi a

costo zero; quella della soubrette Gabriella Pession, che vorrebbe impalmare il magnate della finanza

Francesco Montanari; quella del magistrato Filippo Nigro, che cerca di dissuadere suo padre Renato

Pozzetto dai condurre all'altare la massaggiatrice Carolina Crescentini. Il tutto spingendo sul pedale della

farsa, a furia di avare risate e generose volgarità." (Giacomo Vallati, 'Avvenire', 21 ottobre 2009)

"Il film di Luca Lucini con un ottimo cast, conferma che il regista ha un particolare feeling con la commedia-

corale (come il suo precedente 'Amore, bugie e calcetto'). Una commedia frizzante, allegra e ben recitata

dove, ed è la cosa più importante, si ride molto. Una sceneggiatura che intreccia le storie di quattro coppie,

scritta dall'esperto Fabio Bonifacci, con la collaborazione del duo Martani-Brizzi, la coppia d'oro di 'Notte

prima degli esami'." (Giampiero De Chiara, 'Libero', 21 ottobre 2009)

"'Oggi sposi' lavora su formule consolidate, tra affondi dialettali, sfide etnico-gastronomiche, un pizzico di

mostruosità antropologici riferimenti alla dittatura mediatica e una punta di critica sociale (per fortuna non

moralistica). All'incontro stampa, Dario Bandiera s'è divertito a sfottere noi giornalisti, trattandoci da

"sagome". Pare che qualche collega se la sia presa." (Michele Anselmi, 'Il Riformista', 21 ottobre 2009)

"'Oggi sposi' è più di una frizzante commedia. E' un investimento. E' la razione sotto il marchio Cattleya di

gran parte delle energie creative della generazione dei quarantenni che si dedicano a coltivare e rinnovare

il linguaggio del cinema leggero e di intrattenimento di massa. La convergenza dei due principali filoni di

successo nella commedia giovanile italiana sia comica che romantica: 'Tre metri sopra il cielo' e 'Notte

prima degli esami'. Il regista Luca Lucini di 'Tre metri ...', 'L'uomo perfetto', 'Amore bugie e calcetto', 'Solo

un padre'. Lo sceneggiatore Fabio Bonifacci di 'Diverso da chi?', 'Si può fare', 'Notturno bus', 'E allora

mambo'. Gli ideatori Fausto Brizzi e Marco Martani a lungo partner di fiducia di Neri Parenti per i

cinepanettoni, coartefici dell'exploit di 'Notte prima degli esami', il primo regista di 'Ex'". (Paolo D'Agostini,

'la Repubblica', 21 ottobre 2009)

"Inconsapevolmente, lo spunto per il prolisso 'Oggi sposi' di Luca Lucini dev'essere stato 'I mostri' di Dino

Risi. Il problema che, alla fine, si coglie che questi personaggi non sono mostri, neppure il magistrato che

usa la polizia come Don Rodrigo i bravi. Nemmeno il finale - in stile Bollywood (la Cinecittà indiana) - è

originale, ma offre l'unico momento sereno di quadro desolante per ciò che rappresenta più che per come

lo rappresenta, cioè senza cattiveria. Quattro giovani coppie di fidanzati e due mature coppie sposate in età

affastellano velleità che forse sono comuni: lo diranno gli incassi. A infastidire è che ogni personaggio paia

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uscito dalle fiction di Italia 1. Lucini guida questo sodalizio di diseredati dell'intelligenza. Abdicando alla

sua." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 21 ottobre 2009)

"'Oggi sposi' di Lucini è molto più elementare e lineare ma sa comunque indovinare alcune situazioni

davvero esilaranti. Il soggetto (di Brizzi e Martani) ricorda molto 'Ex', con meno ambizioni sociologiche ma

con un più evidente gusto per il ritmo e la risata: protagoniste, quattro coppie che si preparano al giorno

del sì. Non tutte le storie hanno la stessa forza e la stessa carica comica e l'intreccio del caso che si incarica

di legare i destini di tutti qualche volta arranca. Ma alcuni personaggi sono decisamente ben inventati, a

cominciare da Placido e Pannofino, contadini zotici e testardi, a Vito, poliziotto bulimico e pasticcione,

all'imbranato commissario interpretato da Filippo Nigro. Fossimo stati a Hollywood avrebbero forse fatto

riscrivere la sceneggiatura un altro paio di volte, ma nessuno è perfetto e nel cinema italiano di oggi

sarebbe ingiusto lamentarsi." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 21 ottobre 2009)

"Una commedia, evviva. E siccome di mezzo non ci sono i gay si ride per davvero. Fabio Bonifacci di 'Amore

bugie e calcetto' si conferma il più bravo sceneggiare italiano. Il regista Luca Lucini compie il miracolo mai

riuscito a nessun regista di casa nostra: non solo riesce a far cambiare pettinatura agli attori, si impegna

anche sugli accenti. Luca Argentero recita in un credibile pugliese, e speriamo che finalmente la finiranno di

rimproverargli il reality." (Maria Rosa Mancuso, 'Il Foglio', 21 ottobre 2009)

Note - SUONO: MAURIZIO ARGENTIERI.

- PRESENTATO IN ANTEPRIMA, FUORI CONCORSO, ALLA IV EDIZIONE DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL

FILM DI ROMA (2009).

Oggi Sposi": Felicitazioni Lucini!

Nel pieno della sua maturità artistica, Lucini sforna una commedia che sfugge agli schemi

tradizionali.

Valutazione:

Martedì 20 ottobre 2009

Decisamente sopra le righe la commedia di Luca Lucini, fuori Concorso al IV Festival del Cinema di Roma,

dai toni ilari. Un film non facile perché estremo. Se vogliamo, pionieristico nella nuova stagione del cinema

italiano del XXI secolo, e pertanto collaterale a tanta produzione tricolore che rientra negli schemi della

commedia sentimentale o amara o demenziale. Ed anche definire “Oggi Sposi” un film di genere sarebbe

riduttivo.

E’ palese il lavoro minuzioso e attento sia dal punto di vista della scrittura che della regia. L’impegno degli

attori tutti dell’andare oltre gli schemi recitativi dei soliti ruoli. La Pession, finalmente si libera della veste

caprese; Argentero che recita in dialetto pugliese e gesticola come un uomo del Sud; Placido che ritorna

alle radici pugliesi del mondo contadino, Pannifino che gli fa magnificamente da spalla, e infine Nigro, che

dà grande prova della sua versatilità recitativa, dimostrandosi quasi un nuovo Verdone.

Dal punto di vista drammaturgico tutto torna. Le quattro storie di sposi, indecisi e pressati dalle richieste

familiari, rispecchiano le quotidianità dei matrimoni dei nostri tempi.

Lucini finalmente esce allo scoperto e approccia di petto il grande pubblico.

Marcella Peruggini

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Il segreto dei suoi occhi

Anno 2009

Titolo Originale El secreto de sus ojos

Altri titoli Dans ses yeux

The Secret of Her Eyes

The Secret in Their Eyes

Durata 129

Origine ARGENTINA

Colore C

Genere THRILLER

Tratto da romanzo "La pregunta de sus ojos" di Eduardo

Sacheri

Produzione JUAN JOSÉ CAMPANELLA, GERARDO HERRERO,

MARIELA BESUIEVSKY PER TORNASOL FILMS,

HADDOCK FILMS, 100 BARES, TELEFE, TVE, CANAL+

Distribuzione LUCKY RED (2010)

Data uscita 04-06-2010

Regia

Juan José Campanella

Attori

Ricardo Darín Benjamín Espósito

Soledad Villamil Irene Menéndez Hastings

Pablo Rago Ricardo Morales

Javier Godino Isidoro Gómez

guarda il trailer

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Guillermo Francella Pablo Sandoval

José Luis Gioia Ispettor Báez

Carla Quevedo Liliana Coloto

Rudy Romano Ordóñez

Mario Alarcón Juez Fortuna Lacalle

Alejandro Abelenda Mariano

Sebastián Blanco Tino

Mariano Argento Romano

Juan José Ortíz Agente Cardozo

Kiko Cerone Molinari

Fernando Pardo Sicora

Soggetto

Eduardo Sacheri (romanzo)

Sceneggiatura

Eduardo Sacheri

Juan José Campanella

Fotografia

Félix Monti

Musiche

Juan Federico Jusid (Federico Jusid)

Montaggio

Juan José Campanella

Scenografia

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Marcelo Pont Vergés

Costumi

Cecilia Monti

Effetti

Rodrigo S. Tomasso (supervisione)

Trama L'agente federale Benjamín Espósito ha da tanti anni un sogno in un cassetto: scrivere un romanzo.

Non vuole inventarsi una storia, ma desidera raccontare un episodio che ha vissuto in prima persona e che

in 25 anni non è riuscito a dimenticare. Nel giugno del 1974, in Argentina, appena prima di lasciare la

propria patria per dieci anni e andare volontariamente in esilio, Benjamín era stato chiamato per

investigare su un omicidio di una crudeltà inimmaginabile. La vittima era una donna, rapita dalla sua casa

nei dintorni di Buenos Aires e uccisa senza pietà. Suo marito, Ricardo Morales, ne era rimasto sconvolto,

così come tutti quelli che si erano avvicinati alla loro disgrazia. Scrivere questa storia, raccontarla, è

diventato per Benjamín un vero e proprio bisogno: soltanto in questo modo potrà finalmente fare i conti

con il passato e con la donna di cui era innamorato, che in tutti questi anni non è riuscito a dimenticare. I

ricordi, però, a volte giocano brutti scherzi e percorrono tortuosi cammini diretti a verità sepolte.

Critica "Un delitto efferato, un amore impossibile, la memoria che indaga: è Il segreto dei suoi occhi

dell'argentino Juan José Campanella, Oscar 2010 per il miglior film straniero. Tratto dal romanzo di Eduardo

Sacheri, un mélo a tinte noir, che segue tra '74 e '99 un omicidio irrisolto, soprattutto per Benjamin

Esposito (Ricardo Darin), pensionato dal tribunale ma crumiro di cuore (lrene, la bella Soledad Villamil).

Regista dei serial 'Law & Order' e 'Dr. House', Campanella inquadra l'amore al tempo della (futura)

dittatura, ma il fuoco è tutto per Benjamin e Irene, il resto onestamente lo dichiara in apertura è effetto

flou: piacevole come una buona, se non ottima, fiction tv può essere. Di cinema, rimane un virtuosistico

piano sequenza allo stadio e una considerazione: gridammo allo scandalo per l'esclusione di 'Gomorra', ma

preferire Campanella ad Haneke e Audiard è un altro segreto dei suoi occhi. Quelli dell'Academy." (Federico

Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 3 giugno 2010)

"Si fa fatica a spiegare la ragione per cui un film elegante e complesso come 'Il nastro bianco' di Haneke (o

drammatico e cupo come 'Il profeta' di Audiard) sia stato sconfitto, al traguardo del premio più ambito del

mondo, da un giallo non certo innovativo o sorprendente come 'Il segreto dei suoi occhi', che recupera in

toni più dimessi e quotidiani il mito degli investigatori solitari resi celebri da Hammet e Chandler. A meno

che non si consideri l'impianto saldamente classico della produzione, la struttura piacevolmente

tradizionale della sceneggiatura, la scelta coerentemente realistica della regia: nessuna tentazione autoriale

(come in Haneke), nessuna ambizione modernista (come in Audiard), ma un sano, levigato film all'antica.

Come se ne facevano una volta. (...) La sceneggiatura del regista e del romanziere Eduardo Sacheri (il cui

omonimo libro, all'origine del film, è in uscita anche in italiano presso Bur Extra) affida ai giorni nostri la

doppia soluzione del film, quella gialla e quella sentimentale, ma dedica la maggior parte del suo percorso a

scavare dentro al contrasto tra giustizia pubblica e vendetta privata, tra responsabilità del singolo e doveri

dello Stato. È un viaggio soffuso di malinconia, dove spesso gli sguardi fanno intuire quello che le parole

non riescono a dire (ecco il senso del titolo, riferito agli occhi della bella e fin troppo controllata Irene), e

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dove affiora quell'ambiguo sentimento di solitudine e disperazione, passionalità e coscienza della sconfitta

che spesso attraversa l'anima argentina. (E che può spiegare il favore con cui quest'opera è stata accolta dai

giurati dell'Academy). Non tutto il film è costruito con lo stesso equilibrio narrativo, a volte la sceneggiatura

non sembra capace di evitare scene dal facile impatto emotivo (...) ma altrove sa trovare momenti più

intimi e convincenti, quando affronta il senso dell'amicizia (...) o ci ricorda l'importanza che i sentimenti

possono avere nella vita." (Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 2 giugno 2010)

"'El secreto de sus ojos' è uno di quei film, di quei racconti, che si possono fare solo a distanza di tempo dai

fatti storici cui ci si riferisce. In maniera, peraltro, in- diretta. Tratto da un romanzo del 2005 (di Eduardo

Sacheri), contiene il cuore nero della feroce dittatura militare durata dal 1976 al 1983 non molto, ma è

come se un lanciafiamme fosse passato su una generazione tuttavia la storia che racconta riguarda il poco

prima e il molto dopo. E non è una storia di avvenimenti storici ma di personaggi la cui vita, del tutto

secondaria rispetto alla Storia, è segnata da un omicidio e dall'amore negato. (...) C'è naturalmente un

finale, uno scioglimento dell'intreccio noir, o thriller (e anche un po' horror), che non si può svelare. Che

accomuna chi cerca di fare pace con i ricordi, le frustrazioni e i treni mancati, e chi cerca solo e

ossessivamente vendetta o giustizia personale. E anche chi sembrava avesse vinto tutto e non ha vinto

niente. Più che cattivi e buoni (non che il film faccia d'ogni erba un fascio, i cattivissimi ci sono stati eccome

ma i buoni non sono eroi) tutti esseri umani messi sotto un treno carico di dolore; tutte vite fallite, delle

vittime e dei loro carnefici. Tutti parte dello stesso nodo perverso da sciogliere attraverso, parole del

regista, 'il parlare e raccontare, ricordare e confrontare i ricordi. Ineludibile, inevitabile primo passo'. Lungo

il cammino volto a girare pagina per ricominciare." (Paolo D'agostini, 'La Repubblica', 2 giugno 2010)

Note - OSCAR 2010 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.

Stanno tutti bene (film 2009) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Questa voce sull'argomento film è solo un abbozzo.

.

Stanno tutti bene

Robert De Niro in una scena del film

Titolo originale Everybody's Fine

Paese Stati Uniti d'America

Anno 2009

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Durata 99 min

Colore colore

Audio sonoro

Rapporto 2,35:1

Genere drammatico, commedia

Regia Kirk Jones

Soggetto Massimo De Rita, Tonino

Guerra, Giuseppe Tornatore

Sceneggiatura Kirk Jones

Produttore Vittorio Cecchi Gori, Glynis

Murray, Gianni Nunnari

Casa di

produzione

Miramax Films, Hollywood Gang

Productions, Radar Pictures

Distribuzione

(Italia) Medusa Film

Fotografia Henry Braham

Montaggio Andrew Mondshein

Musiche Dario Marianelli

Scenografia Andrew Jackness

Interpreti e personaggi

• Robert De Niro: Frank Goode • Drew Barrymore: Rosie Goode • Kate Beckinsale: Amy Goode • Sam Rockwell: Robert Goode • Katherine Moennig: Jilly • Melissa Leo: Colleen • James Frain: Tom

Doppiatori italiani

• Stefano De Sando: Frank Goode • Ilaria Stagni: Rosie Good • Chiara Colizzi: Amy Goode

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• Riccardo Rossi: Robert Goode

Premi

• Hollywood Film Festival: miglior attore (Robert De Niro)

Stanno tutti bene (Everybody's Fine) è un film del 2009 diretto da Kirk Jones, remake statunitense dell'omonimo film di Giuseppe Tornatore.

Protagonista del film è Robert De Niro, che interpreta il ruolo che fu di Marcello Mastroianni, al suo fianco vi sono Kate Beckinsale, Drew Barrymore e Sam Rockwell.

Il film è uscito nelle sale statunitensi il 4 dicembre 2009. In Italia il film avrebbe dovuto essere distribuito il 9 aprile 2010, ma è stato poi posticipato al 12 novembre 2010.

Trama [

Frank Goode è ormai vedovo e padre di quattro ragazzi trentenni, ognuno dei quali abita in una città diversa degli Stati Uniti. Dal momento che ognuno di essi non andrà a trovarlo per le vacanze natalizie, egli, cardiopatico, non seguendo il consiglio del medico di fiducia, intraprenderà un viaggio in lungo e in largo per gli Stati Uniti e andrà a trovare i suoi figli, ognuno dei quali mostrerà una vita falsa al padre, per farlo stare bene. Così Rosie nasconderà che è omosessuale ed ha un bebè, Amy nasconderà il divorzio con il marito e il nuovo compagno, Robert nasconderà il suo fracasso nel mondo della musica e tutti insieme nasconderanno le condizioni dell'altro fratello, narcotrafficante, in prigione in Messico per commercio di droga. Il padre deciderà dunque di tornare a casa prendendo l'aereo, il quale, durante il viaggio, entrerà in numerosi vuoti d'aria che porteranno Frank ad un arresto cardiaco. È in ospedale, quando tutti i figli sono sopraggiunti, che Frank riceve la notizia della morte per overdose del figlio. Lo stesso Frank, di notte, durante un sogno, vedrà le vere vite dei suoi figli, rivelate dai figli stessi quando erano i piccoli. Il film si conclude con la famiglia che si riunisce per Natale e festeggia tutta assieme la ricorrenza, ricordando i parenti scomparsi.

Collegamenti esterni [modifica]

• (EN) Sito ufficiale • Scheda su Stanno tutti bene dell'Internet Movie Database

Il film uscirà a Novembre: prossimamente notizie e recensioni.

A presto