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Giulio Leone Agronomi protagonisti sede FIDAF FIDAF Federazione Italiana Dottori in Agraria e Forestali ARDAF Associazione Romana Dottori in Agraria e Forestali ASSOCIAZIONE MANLIO ROSSI-DORIA Libro Giulio Leone OK_Layout 1 09/07/12 13:47 Pagina A

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Giulio Leone

Agronomi protagonisti

sede FIDAF

FIDAFFederazione Italiana

Dottori in Agraria e Forestali

ARDAFAssociazione Romana

Dottori in Agraria e Forestali

ASSOCIAZIONE MANLIO ROSSI-DORIA

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Giulio Leone

Agronomi protagonistiAtti dell’incontro per la

commemorazione di Giulio Leone

Roma, 28 febbraio 2011

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Indice

Luigi Rossi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7Introduzione

Carlo Aiello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11Giulio Leone: l’impegno nella Cassa per il Mezzogiorno

Luigi Cavazza.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 15Giulio Leone: l’impegno per l’agricoltura

Anna Maria Martuccelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 19Il pensiero di Giulio Leone per la gestione delle acque irrigue

Tommaso Maggiore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23Giulio Leone: scritti e memorie

Silvano Marsella. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 31Giulio Leone: il Suo impegno per la FIDAF

Michele De Benedictis. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 33Giulio Leone: l’ultimo dei bonificatori

Franco Ravelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37La sperimentazione irrigua della Cassa per il Mezzogiorno

Nicola Santoro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 43Giulio Leone: esempio di etica e onestà

Francesco Menafra. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45Giulio Leone: un maestro di vita

Giuseppe Murolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 49Giulio Leone: un amico dell’agricoltura campana Roma, luglio 2012

FIDAFwww.fidaf.it [email protected]

[email protected]

ASSOCIAZIONE MANLIO ROSSI-DORIAhttp://host.uniroma3.it/associazioni/rossidoria

[email protected]

Via Livenza, 6 - 00198 Romatel. 06.841.60.36 - 06.890.87.583 - fax 06.884.59.60

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“Senza memoria il progetto sarebbe utopia,senza progetto la memoria sarebbe rimpianto,senza coscienza dell’ora presente,memoria e progetto sarebbero evasione,vuoto esercizio della ragione”

(Bruno Forte)

Massimo Iannetta.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 51Giulio Leone, ineguagliabile per professionalità ed umanità

Edoardo Corbucci. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 55Giulio Leone: vanto dell’Ordine di Roma

Alfonso Pascale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57Giulio Leone e la modernizzazione non governata

Fabrizio De Filippis. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 63Giulio Leone, uomo antico e moderno

Memorie di Giulio Leone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 67

Giulio Leone – Principali Pubblicazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 123

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Agronomi protagonisti

- 7 -

Introduzione

Luigi Rossi *

L’incontro per la commemorazione di Giulio Leone – organizzato da

FIDAF, Associazione Manlio Rossi-Doria e Associazione Romana Dottori in

Scienze Agrarie e Forestali – nasce dalla unanime volontà di ricordare un

Amico, un Collega, della cui intelligente, generosa collaborazione ci siamo

giovati non soltanto noi, ma anche Istituzioni e operatori soprattutto dei set-

tori agricoli, della bonifica e della irrigazione.

Desidero, innanzitutto, rivolgere un caro saluto ai Suoi familiari e rin-

graziarli per la gentilezza, la disponibilità e l’accuratezza, con cui hanno

arricchito la documentazione e le pubblicazioni – tante e tutte assai interes-

santi – che Egli ha elargito.

Un sentito ringraziamento a quanti hanno accolto prontamente il nostro

invito per portare la loro personale testimonianza. Alcuni hanno lavorato e

vissuto a fianco di Giulio e ci aiutano a comprendere meglio quegli aspetti

professionali e umani che lo hanno caratterizzato.

Carlo Aiello lo ricorda nel suo “periodo di maggiore e prolungato impe-

gno professionale nel ruolo di Capo del Servizio Bonifiche e poi di Vice

Direttore Generale della Cassa per il Mezzogiorno”.

Luigi Cavazza ne ricorda l’impegno per l’agricoltura e sottolinea l’atti-

vità di Ricerca e sperimentazione del Gruppo di Consulenti per l’Irrigazione,

voluto da Leone presso il Servizio Bonifiche.

Anna Maria Martuccelli racconta la ventennale collaborazione con

l’ANBI, “in un clima di leale collaborazione e di costante impegno volto ad

approfondire, secondo le rispettive competenze, i diversi problemi che la

gestione delle acque ha posto al nostro Paese e l’evolversi della legislazione”.

Tommaso Maggiore presenta le pubblicazioni e le memorie professiona-

li di Giulio Leone, raccolte scrupolosamente e con grande affetto dalle figlie.

Silvano Marsella, Presidente onorario della FIDAF, ricorda “il Collega

che per la Sua lunga ed elevata attività professionale si identificava con la

Federazione di cui sosteneva tutti i fini istituzionali dando ad essa completa

adesione”.

*Luigi Rossi, Presidente FIDAF.

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IntroduzioneAgronomi protagonisti

- 8 -

Michele De Benedictis, ricordandolo come ultimo dei bonificatori, rico-

nosce che “Giulio Leone è stato un uomo di grandi qualità, umane e profes-

sionali: con la sua scomparsa si chiude quella generazione di grandi “tecnici”

alla cui competenza e impegno possiamo ascrivere l’ingresso dell’agricoltu-

ra meridionale nella modernità”.

Franco Ravelli ricorda le scelte di Leone per promuovere le strutture e

le attività di ricerca sperimentale in materia di irrigazione, nonché la relativa

assistenza tecnica.

Nicola Santoro sottolinea l’impegno dei Tecnici e degli Amministratori

“i quali si cimentavano nella difficile sfida della realizzazione di opere stra-

ordinarie, indispensabili per cogliere i frutti dei radicali, indifferibili proces-

si di trasformazione delle attività agricole tutte” e quanto Giulio Leone ci ha

insegnato con l’esempio che “ogni iniziativa, anche nel campo professionale,

deve essere sorretta da etica e onestà”.

Francesco Menafra ricorda in particolare la costante presenza di Giulio

nella vita della Associazione Romana Dottori in Scienze Agrarie e Forestali

in cui ha sempre svolto, fino agli anni più recenti, un ruolo determinante nel

promuovere, insieme con la FIDAF, nuove attività e studi, quali il pregevole

volumetto su “L’uso dell’acqua in agricoltura” pubblicato nel 2007 e

“Agronomi protagonisti” del 2009. “I suoi contributi di idee e di proposte,

sempre coerenti con la profonda conoscenza delle problematiche del

Mezzogiorno, la sua perseverante attenzione allo sviluppo del territorio,

hanno rappresentato una guida irrinunciabile per capire quanto avveniva

intorno a noi”.

Massimo Iannetta, impossibilitato a partecipare, in un breve messaggio

lo ricorda come referente nel recente Progetto ENEA, RIADE – Ricerca

Integrata per l’applicazione di tecnologie e processi innovativi per la lotta alla

desertificazione; MIUR – 2000-2006, sottolineando la sua “ineguagliabile

professionalità e umanità”.

Edoardo Corbucci conserva presso l’Ordine dei Dottori agronomi e

Dottori forestali di Roma il Certificato di Laurea in Scienze Agrarie, ottenu-

to a pieni voti e con lode, a soli 21 anni, nonché quello di Abilitazione;

dichiarando che Egli è sicuramente annoverato tra coloro che hanno contri-

buito a creare l’attuale agricoltura.

IntroduzioneAgronomi protagonisti

- 9 -

Alfonso Pascale, considera Leone nell’ambito di “quel nucleo di grandi

tecnici che, in aderenza alle direttive fissate in sede politico-istituzionale e

con una forte impronta tecnico-scientifica sia personale che di gruppo, attua-

rono gli interventi che dettero uno scossone all’economia e alla società italia-

na, determinandone la modernizzazione”.

Fabrizio De Filippis, infine, avendo sposato la figlia Laura, ci porta una

testimonianza speciale, da familiare: “Giulio Leone era un uomo antico e

moderno nello stesso tempo ….”, e, da Economista agrario: “… nella mia

esperienza professionale mi è capitato di frequentare luoghi dove Giulio

aveva operato e dove era viva e presente la scia di stima, affetto e ammira-

zione che sempre lasciava: il Centro di Portici, la SIDEA (Società Italiana di

Economia Agraria), l’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria),

l’Associazione Manlio Rossi-Doria e, molto più recentemente, l’ANBI

(Associazione Nazionale delle Bonifiche)”.

Per me è difficile esprimere in un ricordo i pensieri e i sentimenti che mi

hanno legato a Giulio. Lo conobbi nell’Associazione Romana e subito mi

colpì per l’attenzione con cui ascoltava noi giovani e ci incoraggiava ad espri-

mere le nostre idee. Divenne ben presto un riferimento importante e quando

invitavo i neo laureati a frequentare l’Associazione per incontrare persone

esperte e preziose per “orientare al lavoro”, immancabilmente pensavo a Lui.

Sul piano professionale Egli era animato da una straordinaria curiosità di

conoscere le ultime conquiste della scienza e le opportunità offerte dalle

nuove tecnologie. Non credo per motivazioni puramente accademiche, ma

per studiarne le possibili applicazioni alla luce della Sua straordinaria espe-

rienza. Si interessava della genetica delle piante agrarie (mia materia scienti-

fica) e si aggiornava continuamente. Mi colpiva per la diligenza e il rigore

con cui leggeva tante pubblicazioni e per domande sempre puntuali e aggior-

nate.

I Suoi interessi spaziavano su tutto il sistema agro-alimentare. Anche per

Giulio, l’agricoltura era un insieme inscindibile costituito da alimenti,

ambiente, energia e salute. Lo era sempre stato! Da bravo Direttore di grandi

Aziende agrarie, conosceva bene tutti i fattori della produzione e il valore

delle risorse umane e professionali.

Riconosceva il ruolo centrale dell’agricoltura nella società e la forza

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Introduzione Agronomi protagonisti

- 11 -

Giulio Leone: l’impegno nella Cassa per il Mezzogiorno

Carlo Aiello *

E’ con non poca tristezza che mi accingo a ricordare, con la stima e l’af-

fetto di sempre, Giulio Leone nel suo periodo di maggiore e prolungato impe-

gno professionale nel ruolo di Capo del Servizio Bonifiche e poi di Vice

Direttore Generale della Cassa per il Mezzogiorno.

Dopo l’esperienza di Direttore dell’Opera Sila e poi di Direttore del

Consorzio di Bonifica del Volturno, arricchita da impegni professionali in

Italia e all’estero, egli fu chiamato dalla Presidenza e dal C.d.A. dell’Istituto

a coprire l’alto incarico intorno al 1963.

Era il momento in cui l’intervento straordinario affrontava con maggio-

re organicità la realizzazione dei grandi sistemi idrici del Mezzogiorno (con

dighe – circa 100 – canali e opere complesse di approvvigionamento idrico

ad uso plurimo), l’ampliamento, e messa in efficienza, delle reti idriche nella

pianura meridionale, il finanziamento diffuso sul territorio di trasformazioni

radicali delle strutture produttive delle aziende agricole (400 mila progetti di

miglioramento fondiario) la gran parte ad integrale complemento delle opere

pubbliche nelle aree di bonifica, ma anche nei territori interni di bonifica.

Programmazione, progettazione e gestione di tali interventi presuppone-

vano lungimiranza gestionale, impegno tecnico, e sforzo comune dell’intero

Servizio a lui affidato nonché corretta e rigorosa cura delle relazioni burocra-

tiche e umane al centro e in periferia.

Tali compiti egli seppe assolvere, fin dal primo momento, con scrupolo

professionale, onestà intellettuale, coinvolgendo al massimo il personale e i

dirigenti del Servizio a lui sottoposti. A tutti egli offrì il suo convincente

esempio di rettitudine e di impegno costante per raggiungere i risultati, pos-

sibili solo attraverso il rispetto reciproco e la semplicità dei rapporti.

Lavorare con lui era un piacere perché si sapeva di avere una guida sicura e

lungimirante.

Nell’impegno già gravoso dell’assolvimento dei compiti istituzionali (v.

gestione oculata della notevole mole di finanziamenti, per opere di bonifica e

miglioramenti fondiari), il suo grande merito fu di allargare la sua sensibilità

*Prof. Carlo Aiello, Università La Sapienza, Roma.

Agronomi protagonisti

- 10 -

straordinaria dell’innovazione. Aveva vissuto direttamente la grande rivolu-

zione produttiva dovuta al miglioramento genetico, alla chimica e alla mec-

canica. Era stato un protagonista della bonifica, “l’ultimo dei bonificatori”.

Non solo aveva accolto l’innovazione con interesse, ma ne era stato forte pro-

pugnatore. Mi ricordava la saggezza di mia nonna che, nel suo dialetto roma-

gnolo, usava dire: “... sono nata troppo presto!”

Ricordo un Suo approfondimento sulla necessità di far convergere le

Scienze verso la soluzione di problemi complessi. L’intensificazione tecnolo-

gica può risolvere alcuni problemi importanti e di grande interesse economi-

co, ma può sollevarne altri come dimostrato dall’agricoltura intensiva. Le

nuove varietà di grano altamente produttive (quelle di Nazareno Strampelli,

ad esempio) avevano risolto in Italia e in tanti altri Paesi il gravissimo pro-

blema della fame, ma erano state indirettamente la causa della perdita di bio-

diversità genetica, per l’abbandono delle varietà non competitive.

La intensificazione tecnologica da sola non basta, bisogna privilegiare la

conoscenza; anzi: l’insieme delle conoscenze, in funzione di obiettivi validi

e duraturi. Non è un bell’esempio per il nostro Paese così fortemente a rischio

di dissesto idrogeologico, né che la prima Carta geologica sia stata realizza-

ta a Caltanissetta, essenzialmente per l’interesse che lo zolfo suscitava negli

anni 1860-1870, né che il completamento della Carta Geologica debba aspet-

tare, presumibilmente, ancora cinquant’anni!

Giulio Leone a novant’anni continuava ad essere affascinato dai fonda-

menti della Società della Conoscenza e intimamente aderiva ad essi. Gli era

ben chiaro che la società moderna deve fondare sviluppo e competitività su

sapere, ricerca e innovazione; nel rispetto della dignità dell’uomo, dei suoi

valori e della sua capacità operosa.

Insieme a Voi, serberò il più commosso e grato ricordo di Giulio, al quale

continuerò a fare riferimento, soprattutto nei momenti difficili, per trarre

sostegno dai consigli, dagli insegnamenti, dai contributi di eccezionale espe-

rienza e saggezza che Lui ha sempre generosamente elargito.

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Carlo AielloAgronomi protagonisti

- 12 -

di tecnico e di dirigente illuminato a tutta la vasta gamma di strumenti e di

tipologie di interventi volti allo sviluppo organico ed alla qualificazione del-

l’agricoltura del Mezzogiorno: delle aree portate dall’irrigazione alle più

intense trasformazioni delle aree ad agricoltura specializzata mediterranea, o

dei territori ad agricoltura mista e estensiva.

Poco dopo il suo insediamento mi chiamò al suo fianco (essendogli nota

la mia esperienza decennale nel Centro Studi, con particolare riferimento alle

metodologie di valutazione economica dei grandi progetti) e mi affidò un

compito particolare: il controllo economico dei progetti di investimento sotto

l’aspetto della redditività assoluta e comparata degli stessi e della scelta fra

soluzioni alternative, fino a predisporre le analisi dei grandi progetti ai fini

dei prestiti di Banche internazionali (BIRD-BEI). Il ricorso al prestito estero,

consentito dalla Legge, a carico del Tesoro, consentiva di ampliare la capaci-

tà finanziaria dei programmi e di velocizzarne l’esecuzione.

La gestione di questo flusso di finanziamenti aggiuntivi impose un rigo-

roso sforzo operativo, al centro e in periferia, in cui Giulio Leone dimostrò

tutte le sue capacità manageriali, coinvolgendo sul piano morale e professio-

nale noi tutti per perseguire gli obiettivi pur nel rigoroso rispetto delle prero-

gative decisionali del Consiglio di Amministrazione, del Consiglio Superiore

dei Lavori Pubblici e degli organi di controllo.

L’esame economico dei progetti, dopo l’esperienza dei prestiti esteri, fu

esteso anche agli altri progetti quando essi avevano rilevanza economica e

difficoltà di scelta. In questo Giulio Leone dimostrò lungimiranza, se si pensa

che successivamente tali metodi furono poi adottati dal Ministero del

Bilancio per i progetti FIO in quanto parzialmente finanziati con prestiti este-

ri.

Un secondo aspetto in cui Giulio Leone dimostrò grande apertura e intui-

zione fu quello della sperimentazione agricola, dell’assistenza tecnica e della

formazione professionale a tutti i livelli nelle aree di bonifica del Sud. Ne

sono prova in quegli anni la creazione dei campi sperimentali in aree irrigue

(per l’utilizzo di tecnologie più idonee nella pratica irrigua), dei nuclei di

assistenza tecnica (circa 250) presso i Consorzi di Bonifica, volti ad accele-

rare e razionalizzare l’uso dell’acqua e diffondere il progresso tecnologico

nella campagna, oltre che a riqualificare i quadri di tecnici e agronomi

Carlo AielloAgronomi protagonisti

- 13 -

presenti nel territorio. Progresso tecnologico e fattore umano ebbero così l’at-

tenzione e l’impegno finanziario che meritavano in quanto complemento

essenziale dello sviluppo integrale del potenziale agricolo del Mezzogiorno.

Con gli anni ‘70 iniziò una nuova stagione che qualificò ancor di più

l’intervento straordinario nel Mezzogiorno. E Giulio Leone ne fu un promo-

tore, pianificatore e gestore impareggiabile. Mi riferisco ai “Progetti specia-

li”, riguardanti complessi organici di opere infrastrutturali, azioni aventi cir-

coscritti obiettivi, nonché tempi certi di esecuzione e finanziamenti assicura-

ti: mi riferisco ai grandi schemi idrici, alla riqualificazione di specifici terri-

tori, al superamento di handicap infrastrutturali esistenti nel Mezzogiorno,

alla ricerca tecnologica finalizzata per progetti, alla valorizzazione di risorse

agro-forestali, al progetto per la zootecnia da carne nel Sud, alla razionaliz-

zazione e completamento delle reti irrigue, al rimboschimento a fini produt-

tivi nelle aree interne estensivizzate e abbandonate, alla riconversione del

patrimonio agrumicolo nel Sud ad integrazione di interventi già parzialmen-

te regolamentati da finanziamenti europei.

Essi furono approvati dal CIPE nel 1972 e divennero operativi a tempi

brevi sotto la sua guida per espressa delega del Consiglio di

Amministrazione.

Iniziò in quegli anni ‘70 un proficuo e difficile lavoro di collaborazione

con le Regioni, recentemente costituite. Egli guidò con saggezza, e rispetto

dei reciproci ruoli, il rapporto con gli Assessorati preposti, rapporto non faci-

le essendosi ampliato il potere – programmatico ed esecutivo – delegato dalle

Leggi alle Regioni, pur restando alla Cassa la responsabilità progettuale e la

gestione finanziaria dei singoli interventi. Egli seppe gestire, da par suo, que-

sto difficile passaggio senza traumi e guadagnando rispetto all’Istituto e ai

suoi quadri dirigenziali. Questa sua opera gli guadagnò la nomina a Vice

Direttore della “Cassa”.

Ma il cambiamento ai vertici, che il nuovo corso generò nell’Istituto, gli

consigliarono di lasciare il suo prestigioso incarico e alla fine del 1978 lasciò

la Cassa senza clamori, nel più sereno e dignitoso stile che gli era proprio.

Poco dopo il Ministro per il Mezzogiorno dell’epoca e quelli che segui-

rono lo vollero come fidato consulente presso il Comitato dei Ministri in Via

Boncompagni. La sua esperienza e la sua apertura mentale ne fecero un

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Carlo AielloAgronomi protagonisti

- 14 -

prezioso filtro delle decisioni programmatiche che il susseguirsi di Leggi e

Decreti comportarono per l’azione nel Mezzogiorno in quel tormentato perio-

do degli anni ‘80, quando mutarono nuovamente i criteri programmatici e i

contenuti dell’intervento straordinario. L’organo centrale veniva spogliato

delle primitive caratteristiche che avevano creato con il suo modello – con-

cepito negli anni ‘50 – un felice ed efficace strumento della Pubblica

Amministrazione.

Nel 1979, non pochi, tra cui chi vi parla, seguimmo l’esempio di Giulio

Leone e lasciammo, per destinazioni diverse, il nostro amato Istituto in cui

ormai non ci riconoscevamo più. Chi è rimasto e chi è andato via hanno tutti

conservato il ricordo e la nostalgia di quel felice quindicennio (65/80) di

impegno operoso, specie quelli che hanno avuto la fortuna di conoscere

Giulio e di lavorare al suo fianco traendone insegnamento di stile e di espe-

rienza dirigenziale.

Agronomi protagonisti

- 15 -

Giulio Leone: l’impegno per l’agricoltura

Luigi Cavazza *

Ho accettato l’incarico di commemorare il Dott. Giulio Leone perché ho

avuto occasione di conoscerlo e collaborare con lui.

Nel 1970 la Cassa per il Mezzogiorno nominò, per la gestione dei campi

irrigui, una commissione di consulenti costituita dai Direttori delle Facoltà di

Agraria più impegnati nell’irrigazione in Italia (Ballatore, Barbieri, Cavazza,

Tournon, Crocioni e Milella) e a me fu affidato il compito di analizzare ed

elaborare i risultati ottenuti fino al 1970. Dopo il completamento dell’opera

del “Fortore”, Giulio Leone mi incaricò di studiare le varie possibilità di

distribuzione dell’acqua.

Riporto in sintesi alcune date dell’attività di Giulio Leone.

Il Dott. Giulio Leone nacque in una distinta famiglia di Rocchetta

Sant’Antonio dell’Irpinia. Il nonno, Emanuele De Cillis, fu docente di

Agronomia Meridionale a Portici e il padre, Giuseppe Leone, operò in

Cirenaica per lunghi anni presso la Stazione Sperimentale di Sidi Mesri.

Giulio Leone si iscrisse alla Facoltà di Agraria di Portici nel 1932 e si

laureò nel 1936.

Subito dopo operò in Sicilia presso “l’Ufficio Bonifica della

Confederazione fascista dei lavoratori” con il compito di trasformare il

Demanio civico di S. Pietro di Caltagirone. In Sicilia per Giulio Leone la

direzione dell’azienda “Duca di Bronte”, espropriata al proprietario inglese e

avente l’estensione di 5700 ettari (dava lavoro a oltre 500 famiglie), fu molto

formativa sul piano dell’esperienza di campagna e di gestione dei non facili

rapporti sociali.

Nel 1943 lo sbarco degli alleati in Sicilia pose fine a quella esperienza.

Rientrò nel continente e assunse la direzione dell’azienda agraria Licola del-

l’opera nazionale combattenti; in questo periodo iniziarono i primi contatti

con Manlio Rossi-Doria.

Nel 1951 fu Direttore del Consorzio di Bonifica del Basso Volturno e nel

1962 assunse, su invito di Gabriele Pescatore, la Direzione del Servizio di

Bonifiche della Cassa del Mezzogiorno, dove si interessò soprattutto degli

*Prof. Luigi Cavazza, già Presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura.

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Luigi CavazzaAgronomi protagonisti

- 16 -

aspetti idraulici e di trasformazione fondiaria.

Il quindicennio 1960-1975 corrisponde a un balzo in avanti dell’agricol-

tura irrigua meridionale. Nel 1971, dopo l’attuazione delle Regioni, il comi-

tato dei Ministri affidò alla Cassa del Mezzogiorno l’elaborazione dei

Progetti Speciali di interesse Regionale e Intersettoriale; Giulio Leone dires-

se e coordinò l’attuazione dei progetti e dei gruppi di lavoro. La partecipazio-

ne di Giulio Leone alla Cassa del Mezzogiorno si protrasse fino al 1978; nel-

l’ultimo periodo ricoprì la carica di Vice Direttore Generale. In questi anni gli

furono affidate numerose missioni di indagini e consulenze all’estero

(Belucistan, Egitto e Tunisia). Negli anni 1980 Giulio Leone presiedette per

sei mesi la società ITALTRADE per la commercializzazione dei prodotti

meridionali all’estero. Successivamente fu consigliere di Amministrazione

della FINAM (Società finanziaria dell’agricoltura meridionale) fino alla sua

chiusura. Partecipò intensamente alla vita di istituzioni meridionalistiche

varie (SVIMEZ e ANIMI).

Giulio Leone, inoltre, svolse con competenza e continuità la preziosa

opera di consulente, presso “l’Associazione nazionale Bonifiche, Irrigazioni

e Trasformazioni fondiarie”; a tempo pieno finché le forze glielo consentiro-

no.

A quanto detto posso aggiungere alcune riflessioni.

Nel complesso la vita di Giulio Leone può essere articolata in tre perio-

di: un primo prebellico, un secondo di transizione ed un terzo presso l’ANBI.

Nel primo si fece le ossa come tecnico aziendale in Sicilia; nel secondo matu-

rò la sua personalità di bonificatore e nel terzo passò all’azione nelle

Bonifiche e consolidò le sue idee.

Cosa possiamo dire dell’evoluzione del suo pensiero? Nel primo perio-

do definì compiti, doveri e possibilità; nel secondo fissò obiettivi e rileva-

menti e nel terzo puntò sulla produttività e le rotazioni dei terreni in funzio-

ne delle caratteristiche dei suoli e dell’ambiente, dei cicli idrologici naturali

e delle condizioni sociali.

Nel 1980 presentò all’Accademia Nazionale di Agricoltura il testo di un

corso di lezioni sull’irrigazione nelle zone di Bonifiche italiane in cui sono

trattati con grande competenza i problemi della produttività dell’irrigazione e

quelli della trasformazione dell’acqua da parte delle colture nelle varie

Luigi CavazzaAgronomi protagonisti

- 17 -

situazioni agrarie italiane.

A conclusione di questa commemorazione, desidero esprimere alla

memoria di Giulio Leone un pensiero di gratitudine: il Suo prolungato sfor-

zo di miglioramento della produttività agricola del territorio Italiano è stato

di particolare interesse per evidenziare gli oneri connessi alla distribuzione

delle agricolture regionali.

Riferimenti bibliografici

Cavazza, L. “Bonifica Mezzogiorno ed Europa”. XXII Congresso Nazionale della Bonifica. Bari 26-

30 maggio. Ed. Laterza. Pag. 325. 1965

Buonopane, A. “In ricordo di Giulio Leone”. L’Acqua, Vol, 6, pag. 83, 2010

De Benedictis, M. Giulio Leone: l’ultimo dei bonificatori. ANIMI, 2010

Programma Coordinato di Sperimentazione irrigua per il Mezzogiorno. 1972. Relazioni alle giornate

di studio della Commissione Internazionale di Genio Rurale. (Firenze 12-16 Settembre 1972).

Quaderno no. 52. Tipolitografie “il torchio”. Firenze. Pag. 467.

Ravelli, F. e Rota, P. Research on crop requirements and water production functions in the context ofthe Irrigation Programme of the Southern Italy Development Found, 2011. (Cassa per lo sviluppo del

Mezzogiorno:1950-1980). Trans-national Workshop; May 24-25; Telese Terme. Ed. A.P. Leone e A.

Basile.

Wikipedia, Battaglia del grano, 2011

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Agronomi protagonisti

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Il pensiero di Giulio Leone per la gestione delle acque irrigue

Anna Maria Martuccelli *

Ho accolto con molto piacere l’invito rivoltomi dalla Federazione

Italiana Dottori in Agraria e Forestali, che ringrazio, di partecipare, con una

testimonianza personale, alla odierna cerimonia in ricordo di Giulio Leone.

La Sua scomparsa ha suscitato in me profondo rimpianto nel ricordo di un

comune ventennale lavoro, svolto in un clima di leale collaborazione e con

un reciproco, costante impegno, unitariamente rivolto ad approfondire,

secondo le rispettive competenze, i diversi problemi che la gestione delle

acque ha posto al nostro Paese, nell’evolversi della legislazione e delle real-

tà economico-sociali.

Giulio Leone fu infatti consulente dell’ANBI sin dal 1986 quando, chia-

mata io alla Direzione generale, mi resi conto della necessità di arricchire

l’organizzazione nel settore tecnico, rimasto privo della collaborazione di

Euclide Giuliani. Avevo conosciuto Giulio Leone allorquando unitamente a

Gabriele Pescatore, allora Presidente della Cassa per il Mezzogiorno, vollero

incontrarmi per i problemi che si erano posti alla Cassa nella disciplina dei

rapporti di lavoro degli operai forestali addetti a realizzare opere finanziate

dalla Cassa. Trovai una soluzione che contemperava i diversi interessi e trac-

ciava una via per la disciplina futura, che venne ritenuta valida. In tale occa-

sione maturò la prima conoscenza con Giulio Leone.

Pertanto, nominata Direttore generale dell’ANBI, nel momento in cui ho

dovuto provvedere alla organizzazione degli uffici, tra le varie esigenze pro-

spettate a Giuseppe Medici, all’epoca Presidente dell’ANBI, vi era anche

quella relativa al settore tecnico. All’unisono convenimmo, insieme a

Massimo Cordero di Montezemolo, che bisognava convincere Giulio Leone

ad una collaborazione costante con l’ANBI.

Nacque un sodalizio importante Medici, Leone, Montezemolo,

Martuccelli.

Durante tale collaborazione si sviluppò nel nostro Paese un intenso

dibattito sia sui problemi dell’irrigazione che della bonifica idraulica.

Ricordo gli incontri sul tema delle produzioni eccedentarie con riferimento

*Anna Maria Martuccelli, Direttore generale dell’ANBI.

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Anna Maria MartuccelliAgronomi protagonisti

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all’irrigazione il cui sviluppo in sede europea incontrava forti ostacoli sì da

voler impedire il finanziamento comunitario per la realizzazione di opere irri-

gue.

Medici e Leone furono convinti assertori dell’assoluta erroneità di tale

orientamento e si impegnarono in più sedi per diffondere la conoscenza pun-

tuale della funzione dell’irrigazione nel nostro Paese, che non era quella di

aumentare le produzioni bensì di garantire produzioni di qualità e quindi con-

sentire all’agricoltura italiana di competere sui mercati internazionali.

Giulio Leone, consapevole della grande validità dell’istituto consortile

per la gestione delle acque, sostenne con profonda convinzione, al momento

della Riforma della gestione delle risorse idriche, che era indispensabile per

l’uso irriguo garantirne la gestione in comune attraverso l’istituto consortile

di cui Giulio Leone conosceva profondamente compiti, poteri, funzionamen-

to, avendo ricoperto la carica di Direttore generale del Consorzio del bacino

inferiore del Volturno dal 1952 al 1960 e avendo avuto una lunga esperienza

di rapporti con i Consorzi meridionali come coordinatore dei progetti specia-

li della Cassa per il Mezzogiorno e come Vice Direttore generale della stessa

Cassa.

E’ testimonianza della sua profonda conoscenza dell’irrigazione in Italia

e in molti altri paesi d’Europa il volume edito nel 1992 dall’ANBI “L’uso irri-

guo delle acque” il cui testo si deve soprattutto all’opera di Giulio Leone.

La premessa di tale volume esprime il Suo pensiero. Si trascrive il testo:

“L’associazione Nazionale delle Bonifiche, delle Irrigazioni e deiMiglioramenti Fondiari intende illustrare, con la presente pubblicazione, ilfondamentale ruolo che l’irrigazione svolge per assicurare all’agricolturaitaliana un livello di produttività, che regga la concorrenza dei partnerseuropei, e le consenta l’elasticità richiesta dalle mutevoli esigenze dei mer-cati”.

“Con un efficiente sviluppo ed ammodernamento dei sistemi irrigui sipossono, inoltre, conservare gli equilibri ambientali e paesaggistici di moltecontrade, altrimenti destinate a ritornare allo stato misero delle origini”.

“La sensazione che su tale complesso ruolo la pubblica opinione siapoco informata è andata rafforzandosi negli ultimi anni, caratterizzati dalripetersi di stagioni siccitose e dalla mancanza di idonee iniziative intese a

Anna Maria MartuccelliAgronomi protagonisti

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razionalizzare l’uso delle risorse, nonché a sopperire a strutturali carenze diesse nella parte meridionale ed insulare del Paese”.

“L’ANBI si propone, quindi, di porre in evidenza la centralità di unapolitica per l’irrigazione, di cui si indicano le linee fondamentali”.

In occasione dell’elaborazione di tale volume la mia collaborazione con

Medici e Leone fu particolarmente intensa in quanto entrambi vollero che

fossi io l’autore del capitolo dedicato ai Consorzi.

Leone compì un lavoro organico e puntuale su tutti gli aspetti tecnici del-

l’irrigazione: dall’approvvigionamento al trasporto, alla distribuzione, al

risparmio di acqua, al reperimento di nuove risorse idriche, all’uso irriguo di

acque reflue, ai costi dell’irrigazione.

Il volume raccoglie anche un’appendice sulle irrigazioni in atto nel

Nord, nel Centro e nel Sud del nostro Paese nonché nei Paesi mediterranei.

Ancora oggi a distanza di anni tale pubblicazione costituisce una validis-

sima fonte di esame e di studio per chi vuole approfondire i temi dell’irriga-

zione.

Un impegno straordinario fu quello di Giulio Leone durante la presiden-

za dell’ANBI di Arcangelo Lobianco che affidò a Leone il compito dell’ela-

borazione di un volume dal titolo: “La verità su un territorio bonificato:

l’Italia. Ciò che si è fatto e che si deve conservare”. Arcangelo Lobianco, nel

presentare il volume, concludeva: “Dobbiamo essere grati a Giulio Leone per

essersi impegnato ad offrirci una “fotografia dinamica” di quanto è stato fatto

e di quanto si deve fare per conservare il grande patrimonio della bonifica”.

Il volume descrive la situazione di ben 183 comprensori consortili per

ciascuno dei quali indica le azioni manutentorie e di adattamento necessarie

sia per la difesa idraulica che per l’uso irriguo, della cui integrazione fu con-

vinto assertore.

Nel 2002 Leone si impegnò nuovamente ad aggiornare le monografie

per ambiti territoriali con l’elaborazione del volume “L’azione della bonifica

e dell’irrigazione in Italia”.

Tale nuova edizione, oltre ad un aggiornamento dei dati sulle strutture

idrauliche ed irrigue, espone le caratteristiche della distribuzione fondiaria e

degli ordinamenti colturali per i quali quelle strutture sono finalizzate e ope-

rano.

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Anna Maria MartuccelliAgronomi protagonisti

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Leone sottolinea che “attraverso un risanamento destinato all’agricoltu-

ra, si è conseguita una sicurezza idraulica e si è arricchito di acque il territo-

rio, contribuendo così a favorire gli insediamenti civili ed industriali insisten-

ti su di esso”.

L’opera di Leone prosegue nel 2004 con la pubblicazione da parte

dell’ANBI della “Indagine sull’irrigazione nei comprensori di bonifica e di

irrigazione”, che testimonia un lavoro di enorme interesse perché l’indagine

ha anche lo scopo di approfondire la conoscenza delle gestioni irrigue per

trarne conseguenti deduzioni sulle necessità di ammodernamento degli

impianti, di eventuale conversione dei metodi di distribuzione e somministra-

zione al campo, di applicazione di tecniche colturali finalizzate alla migliore

utilizzazione dell’acqua ed al suo risparmio.

Nel 2005 Leone si dedica ad una delicata indagine sulle dighe di sbarra-

mento alimentanti comprensori irrigui, intesa a rilevare le condizioni di fun-

zionalità e lo stato di manutenzione degli invasi che alimentano direttamente

o indirettamente comprensori irrigui di pianura.

Si tratta di un lavoro unico nel suo genere e di grande interesse con rife-

rimento specifico alle esigenze di messa in sicurezza delle dighe.

Concludo ricordando l’opera che Giulio Leone ha realizzato con grande

gioia e singolare impegno, nel 2002, costituita dalla raccolta degli scritti di

Giuseppe Medici.

Nella premessa alla raccolta Giulio Leone sottolinea che “Scegliere fra

gli scritti di Medici non è facile”. Se si esaminano, però, gli scritti raccolti,

traspare l’elevata professionalità e conoscenza di chi ha effettuato la scelta.

Dalle radici territoriali, alla ricerca e alla didattica, ai temi di approfondimen-

to su acque e bonifica, su ambiente e collina, sulla politica e

l’Amministrazione il volume offre un quadro completo ed esemplare di

Medici Uomo e studioso, ricercatore, accademico, politico.

Giulio Leone ha dimostrato ancora una volta conoscenza, professionali-

tà, passione per i problemi del territorio e delle acque.

Lascia un esemplare insegnamento e testimonianze importanti per tutti

coloro che sono impegnati e che si impegneranno nel settore della bonifica e

dell’irrigazione.

Agronomi protagonisti

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Giulio Leone: scritti e memorie

Tommaso Maggiore *

Le memorie lasciate alle figlie e che le stesse ci hanno trasmesso, riguar-

dano essenzialmente l’ambito professionale. Esse sono riportate in ordine

cronologico, anche se sono state scritte in momenti diversi. Nello stile asciut-

to e rigoroso si riconosce l’uomo sempre “positivo” che abbiamo conosciuto.

Dagli inizi della carriera alla Riforma agraria

Le memorie hanno inizio con l’attività lavorativa, subito dopo aver con-

cluso gli esami di Stato a Bologna. La prima attività lavorativa è stata quella

di assistente straordinario presso L’Istituto Sperimentale di Chimica Agraria

di Roma (Direttore il Prof. Tomasi e Vice Direttore il Prof. Marimpietri), con

l’incarico di occuparsi delle analisi del fosforo. In questa occasione, per pre-

levare i campioni di terreno visita in largo e in lungo l’Agro Pontino, che era

stato appena bonificato.

Si fermò in Istituto pochi mesi anche perché, allora come ora, lo stipen-

dio non era elevato e il Prof. Franco Angelini (che era succeduto al nonno

nella cattedra di Agronomia e Coltivazioni Erbacee presso la Facoltà di

Agraria di Portici, ma che era anche il Presidente della Confederazione

Fascista dei Lavoratori Agricoli) gli offrì un posto meglio remunerato presso

la Confederazione e più in particolare presso l’Ufficio Bonifiche.

Come funzionario di questa Organizzazione visitò quasi tutte le provin-

cie italiane, ma soprattutto fu occupato a dirigere i lavori di trasformazione

del Demanio Civico di San. Pietro di Caltagirone, dove furono costruite 27

case coloniche (senza acqua potabile sicché i WC divennero recipienti per

salare le olive).

Dopo il matrimonio avvenuto nei primi giorni di gennaio del 1940, viene

trasferito dalla Confederazione a Palermo.

Alla fine dell’anno il Prof. Mazzocchi Alemanni (Presidente dell’Ente

per la Colonizzazione del Latifondo Siciliano) lo mandò a dirigere la Duceadi Bronte, sequestrata alla famiglia inglese Nelson, e, come Direttore di una

grande azienda, non andò in guerra.

*Prof. Tommaso Maggiore, Università degli Studi di Milano.

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Tommaso MaggioreAgronomi protagonisti

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Nel secondo capitolo delle memorie descrive la Ducea di Bronte e il

castello di Maniace, ma soprattutto l’Azienda agricola (5.700 ha cui si

aggiunsero dopo altri 1.300 ha) dono di Ferdinando IV di Borbone a Nelson,

per averlo ricondotto a Napoli nel 1799.

Alcune descrizioni sono veramente poetiche. Il castello controlla il

guado del fiume: “Il fiume in quel tratto col nome di Saracena, che più a valle

diventa Simeto, scorre con piene invernali e fluenze estive, veloce e libero nel

proprio alveo, che si è scavato tra le lave discendenti dall’Etna e le colline

argillose dei Nebrodi, lasciandosi attorno ampie zone piane alluvionali”. Ed

ancora: “l’Azienda era costituita in tre corpi. Quello centrale, in piccola parte

al di qua del Saracena, dove era il Castello, e per la massima parte al di la

della riva settentrionale del fiume; un secondo e un terzo corpo, vicini tra

loro, erano sotto l’abitato di Bronte, sulla riva sinistra del Saracena, divenu-

to Simeto, al limite delle lave, su una striscia alluvionale del fiume: una qua-

rantina di ettari, tutti impiantati ad agrumeto ed altri a pistacchieto ottenuto

con innesti dagli arbusti selvatici”.

Ricorda con affetto e stima il Fattore (Mario Carastro, ma soprattutto

Direttore dell’Ente per la Colonizzazione del Latifondo), l’agronomo Dott.

Alfio Nicolosi, Direttore degli agrumeti; il capo dei campieri (Lo Castro) e i

suoi collaboratori; lo stalliere (Leanza); il geom. Ianniccelli che curava i

lavori, manutentivi e anche nuovi, edili, stradali e idraulici. Ricorda anche i

liberi professionisti che lo coadiuvavano: gli agronomi catanesi Sardo e

Barbagallo. Ricorda, infine, il Prof. Emilio Zanini, professore di Agronomia

generale e coltivazioni erbacee presso la Facoltà di Agraria di Palermo.

L’organizzazione dell’azienda era varia, complessivamente erano pre-

senti 500 famiglie di coltivatori divisi in:

- affittuari grandi con alle dipendenze metanieri e gabelloti;

- affittuari piccoli.

I canoni erano tutti pagati in natura, prevalentemente con frumento duro,

fave e frumento tenero (cv. Timilia). In più erano previsti i “carnaggi”

(capretti, agnelli, polli, uova, frutta di stagione) che andavano alla mensa

ducale o a quella degli impiegati.

Gabbelloti, metanieri e coltivatori in genere abitavano case in pietra a

secco con copertura di paglia e pavimento in terra battuta. Nessun arredo

Tommaso MaggioreAgronomi protagonisti

- 25 -

degno di tale parola. Rifugio estivo e invernale di adulti e bambini.

A Bronte vediamo il nostro Direttore attento a migliorare anzitutto le

condizioni di vita dei lavoratori (nuove case, manutenzione delle vecchie

masserie, Laboratorio medico) e ad acquistare trattori e distribuire bestiame

bovino (razza Modicana) per conseguire miglioramenti delle prestazioni

(buoi) e delle produzioni (latte e carne).

Purtroppo venne a mancare il rispetto dei boschi. “Non riuscii, invece, a

salvare le belle e secolari querce in un’area incolta vicino al Boschetto Vigne.

E subii la vendetta. Una mattina mentre ero lì a cavallo con Zanini, al quale

avevo ceduto la mia Nina ed io montavo Polifemo, una mina adoperata per

spaccare un tronco, scoppiò. I cavalli si imbizzarrirono, Zanini fu disarciona-

to, ma rimase impigliato con un piede in una staffa; io scesi da cavallo presi

le briglie di Nina e liberai Zanini. Con l’altra mano tenevo le briglie di

Polifemo, che mi scivolarono dalla mano, tanto da consentirgli di girarsi e di

tirarmi un calcio. Mi prese sulla fronte di striscio, ma non mi evitò una com-

mozione celebrale; stetti qualche giorno all’ospedale di Bronte, ben assistito

e visitato anche dal Primario chirurgo di Catania, il poi famoso Prof.

Dogliotti”.

A Bronte ricorda anche la visita dello zio Ugo De Cillis e del suo assi-

stente Stanganelli (ingegnere di laurea, ma in realtà fisico del suolo).

L’Opera Nazionale Combattenti

Il terzo capitolo delle memorie tratta del periodo 1944-1950.

L’inizio del capitolo vede la famiglia presso il Tondo Gioeni a Catania,

in prossimità della sede della Stazione Sperimentale di Granicoltura per la

Sicilia, presso la quale abitava lo zio Ugo De Cillis. Descrive la moglie e la

fa vedere a piedi con le provviste alimentari lungo l’interminabile salita della

Via Etnea.

A Catania rappresenta l’Ente per la Colonizzazione del Latifondo

Siciliano ed è trattato male dai grandi proprietari terrieri che erano stati espro-

priati.

Nella memoria si cita anche il Duca di Misterbianco che per andare a

visitare un’azienda lo relegò nello strapuntino di una cinquecento.

Molto emozionante la descrizione di un viaggio Catania - Napoli e

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Tommaso MaggioreAgronomi protagonisti

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ritorno agli inizi del 1944.

A Catania attraverso Stanganelli conosce anche Vitaliano Brancati.

Nell’aprile del 1944 gli viene offerta la direzione dell’Azienda agraria

Licola in Campania, dell’Opera Nazionale Combattenti, di 700 ha e il primo

maggio ne assume la direzione.

La famiglia si sposta a Napoli tra mille peripezie e soprattutto deve fare

la guerra alle pulci.

Nell’Azienda erano presenti 27 mezzadrie per metà gestite da Veneti e

per la restante parte da Napoletani e un Marchigiano, certo Goretti, fratello

della Santa.

L’acqua in eccesso avrebbe dovuto essere eliminata da una idrovora che,

però, minata dai tedeschi, non funzionava e ciò aveva fatto riformare il lago,

dove si faceva per diletto la caccia in botte.

Ricostruisce un bosco di cerri, carpini, pioppi e macchia mediterranea a

copertura della fascia dunale antistante il litorale, distrutta dalla permanenza

dei militari.

Già un anno dopo ebbe dall’Opera, non solo la conferma della direzione

di Licola, ma anche la direzione di Vicina (2.500 ha nel Basso Volturno). Poi,

nel 1945, fu nominato anche Ispettore e quindi supervisore di altre 2 aziende

del basso Volturno di altri complessivi 8.500 ha.

E’ in questo periodo che fa ritorno a Portici Manlio Rossi-Doria, con il

quale avviò lunghe frequentazioni.

Nel 1949 aiutò Rossi-Doria a preparare la Riforma Agraria in Calabriadove istituirono un piccolo ufficio nell’albergo Reale a Crotone.

In Calabria prende il Tifo.

In quell’epoca il padre dirigeva l’Ispettorato compartimentale della

Campania e Segni, Ministro dell’Agricoltura, volle che Giulio assumesse la

direzione dell’Opera di Valorizzazione della Sila. Lasciò l’Opera Nazionale

Combattenti e si trasferì, senza la famiglia, negli alberghi di Crotone,

Catanzaro e Cosenza.

Con grande efficacia si descrive la guerra alle mafie locali e in partico-

lare a quelle di Casal di Principe.

Tommaso MaggioreAgronomi protagonisti

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Dalla Riforma agraria alla direzione del Consorzio di bonifica

Gruppo di lavoro: Manlio Rossi-Doria, Vincenzo Caglioti (Presidente

dell’Opera per la Valorizzazione della Sila) Silvio Florenzano e Giulio

Leone. Furono condotti studi di base per conoscere la distribuzione della pro-

prietà fondiaria, le condizioni di reddito e di vita dei contadini.

Fu Rossi-Doria a scrivere gli schemi di indagine e a interpretare le infor-

mazioni ricevute e i dati.

Si arrivò ad espropriare ben 76.000 ha di terre arabili e già nel secondo

semestre del 1950 a effettuare le assegnazioni, eseguite in base a rigidi crite-

ri. Le liti e i dispiaceri furono molti anche perché la politica cercava forte-

mente di introdursi e si crearono molte tensioni.

La problematica delle Case Coloniche

Fanfani le pensava distanziate fra loro e Leone raggruppate. Fu adottata

la soluzione Fanfani, ma questo fu un errore: le case non vennero mai conti-

nuativamente abitate e soprattutto non vi si trasferirono le famiglie.

Lasciata l’Opera di Valorizzazione della Sila fu chiamato alla Direzione

del Nuovo grande Consorzio di Bonifica (ne unificava 4 precedenti ed in più

l’Opera nazionale Combattenti) del Bacino Inferiore del Volturno.

Qui resta, con alcune parentesi all’estero, fino al 1961.

Alla Cassa per il Mezzogiorno

Nell’autunno di quell’anno al Cairo incontra Gabriele Pescatore,

Presidente della Cassa per il Mezzogiorno, che lo convince (a forzare fu

anche l’insistenza della moglie Adriana), a prendere la Direzione del più

importante Servizio della Cassa, quello delle Bonifiche, dal quale dipendeva-

no ben sette uffici: Difesa idraulica; Irrigazione; Conservazione del Suolo e

Forestazione; Piani e Programmi; Legge speciale Calabria, Miglioramenti

fondiari, Amministrativi.

Il lavoro qui svolto è documentato non tanto dalle relazioni annuali della

Cassa, quanto dalle opere che fino al 1978 si crearono e che hanno sovverti-

to in positivo l’agricoltura e il paesaggio delle Regioni Meridionali.

Nel 1967 fu incaricato del coordinamento dei progetti speciali

(Depurazione del Golfo di Napoli; Sistema idrico Lucano-Pugliese, Area

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Tommaso MaggioreAgronomi protagonisti

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industriale di Siracusa; Porto canale di Cagliari e altri ancora).

Nel 1973 viene nominato anche Vice Direttore generale della Cassa.

Gli ultimi anni trascorsi alla Cassa non furono felici soprattutto per colpa

delle subentrate “inette e autoritarie” Amministrazioni regionali.

Lasciata la Cassa e fino al 1987 fu consulente di 6 o 7 Ministri al

Ministero per il Mezzogiorno. Dopo ha continuato ad occuparsi di bonifica e

di acqua come consulente dell’Associazione Nazionale delle Bonifiche, ma

anche raccogliendo e compilando monografie e libri.

La bonifica idraulico-agraria, si può dire, l’aveva nel sangue. Ecco cosa

scrive nelle memorie intorno alla malaria:

“Mio padre originario delle colline daune del sud che si affacciano sulla

valle dell’Otranto aveva un innato timore della malaria, che indeboliva le per-

sone e nelle frequenti forme di “perniciosa” le portava spesso alla morte.

Ricordo che in uno dei viaggi dalla Tripolitania a Napoli, avendo lasciato il

piroscafo a Siracusa o a Messina e risalendo la linea ionica a causa dell’inter-

ruzione di quella tirrenica, in pieno mese di luglio, chiuse i finestrini dello

scompartimento ferroviario durante la traversata della piana di Metaponto.

Malgrado tutto, non so dove e non so come, io subii la malaria. Dai sette

anni in poi fui infastidito e deperito da febbri irregolari che, perché tali,

nascondevano la natura del male. Fu mia zia Maria, biologa, ma direttrice

della clinica del marito a Tripoli, ad avere un sospetto: il vetrino rivelò il pla-

smodio e, per anni mi sottoposi e resistetti eccellentemente alla cura del chi-

nino. Eppure nelle aride steppe della Tripolitania non c’era certo l’anofele, né

tra la popolazione indigena vi erano malarici”.

Le pubblicazioni

La figlia Laura ci ha fornito l’elenco ordinato delle pubblicazioni, che

vanno dal 1962 al 2009. In totale sono 49, ma di tre non si hanno sufficienti

riferimenti per poterli rintracciare. In realtà il numero dei lavori pubblicati è

superiore, infatti in un libro scritto con Casarini se ne trovano 4:

- L’assistenza tecnica in agricoltura e l’agronomo;

- L’azione dei nuclei di assistenza nel Mezzogiorno;

- Esperienze di assistenza tecnica e di iniziative associate nel settore

zootecnico nel Mezzogiorno;

Tommaso MaggioreAgronomi protagonisti

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- Obiettivi dell’assistenza tecnica agricola nel Mezzogiorno.

Le 46 pubblicazioni che abbiamo trovato e letto si possono suddividere

per argomenti:

n° 8 su Assistenza tecnica in agricoltura;

n° 12 su Agricoltura nel Mezzogiorno; problematiche generali;

n° 12 su Bonifica idraulico-agraria;

n° 11 su Irrigazione;

n° 5, in ricordo di Vincenzo Caglioti, Manlio Rossi-Doria, Giuseppe Medici

(2), Francesco Curato.

Non solo per ricordare il pensiero di Giulio Leone su questi argomenti,

ma anche per recuperare informazioni utili ai fini storici io proporrei di ripub-

blicare, per ognuno dei 4 argomenti sui quali ha scritto, almeno un lavoro par-

ticolarmente significativo.

Relativamente all’Assistenza tecnica, che anche Giulio come me prefe-

rirebbe chiamare Consulenza specialistica all’azienda agricola, alcuni con-

cetti nelle agricolture sviluppate possono considerarsi superati, ma sicura-

mente sono da riprendere tali e quali nei Paesi con agricolture arretrate. Ecco

perché uno dei suoi scritti – “Nutrire il mondo. Energia per la Vita” – lo ripro-

porrei ben tradotto per l’Expò Milanese del 2015, destinandolo ai Paesi in via

di sviluppo.

Giulio era convinto della necessità della assistenza tecnica per accompa-

gnare gli interventi di miglioramento fondiario intrapresi nel Mezzogiorno e

per questo lamentava spesso la mancanza di veri specialisti anche se non

disdegnava il lavoro dei “generalisti” che come Cassa per il Mezzogiorno

aveva assegnato ai Consorzi di Bonifica. Il lavoro proposto per la ripubblica-

zione è del 1962: L’Assistenza tecnica in agricoltura e l’Agronomo, nel quale

fa anche una storia dell’Assistenza tecnica in Italia partendo dalle Cattedre

Ambulanti.

Relativamente all’agricoltura del Mezzogiorno un bel lavoro mi pare

quello pubblicato sulla Rivista di Economia Agraria nel 1978: Riflessioni sul-l’intervento straordinario in agricoltura nel Mezzogiorno, che andrebbe letto

dopo un lavoro pubblicato nel 1965 dal titolo L’agricoltura nel Mezzogiornooggi e domani.

Di grande attualità è anche uno scritto del 1977: Sviluppo

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Agronomi protagonisti

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Giulio Leone: il Suo impegno per la FIDAF

Silvano Marsella *

Con la dipartita di Giulio Leone scompare, dopo Gian Giacomo

Dell’Angelo, Francesco Curato e Vittorio Ciarrocca, l’ultimo di quelli che io,

insieme a tutti i colleghi, abbiamo sempre considerato i Senatori della nostra

Federazione.

Sono tutti stati per tanti anni gli amici cui ci rivolgevamo quando, per

qualsiasi evento, convegno, incontro, tavola rotonda, corso di aggiornamen-

to, avevamo bisogno del contributo di colleghi che per competenza non

disgiunta ad una certa autorevolezza potevano elevare il tono dell’evento

intero.

In particolare Giulio, e qui rivolgo un caro saluto a tutti i parenti oggi

presenti, era un collega che per la sua lunga ed elevata attività professionale

si identificava con la Federazione di cui sosteneva tutti i suoi fini istituziona-

li dando ad essa completa adesione.

Quando da Napoli si trasferì a Roma volle rimanere iscritto

all’Associazione di Napoli ma contemporaneamente si iscrisse a quella di

Roma.

Era orgoglioso di provenire da una famiglia di agronomi tra cui vantava

il nonno meridionalista Prof. De Cillis ed il padre che per tanti anni rappre-

sentò il Ministero dell’Agricoltura in Campania.

Della sua poliedrica vita professionale, in cui ha raggiunto importantis-

sime cariche quale Vice Direttore generale della Cassa per il Mezzogiorno, ci

teneva in modo particolare a porre in evidenza la direzione della famosa

Tenuta di Bronte in Sicilia e la direzione della Bonifica del Basso Volturno in

Campania.

Infatti poneva giustamente sempre in risalto che la nostra Laurea è stata

concepita essenzialmente per formare dei bravi direttori o conduttori di

aziende agricole.

In Federazione è stato sempre vicino ai presidenti che via via si sono

succeduti dopo la iniziale presidenza Medici-De Marzi, Giovanni Visco,

Silvano Marsella che oggi vi parla, Gian Tommaso Scarascia Mugnozza e

*Silvano Marsella, Presidente onorario della FIDAF.

Tommaso MaggioreAgronomi protagonisti

- 30 -

dell’Agricoltura e industrializzazione: le compatibilità territoriali. Per quanto riguarda la Bonifica il lavoro che sicuramente è da ristampa-

re è la relazione tenuta al XXVII Convegno Nazionale dell’Associazione

Nazionale delle Bonifiche tenuto a Rovigo nel 1980 dal titolo La bonificaidraulica.

Un altro lavoro di grande interesse dal punto di vista storico e di indiriz-

zo, pubblicato sulla Rivista L’Acqua nel 2001, ha per titolo Bonifiche e irri-gazione in Italia alla fine del XX secolo.

Relativamente all’irrigazione, interessante dal punto di vista didattico, il

lavoro pubblicato sull’Italia Agricola nel 1981 dal titolo Nascita dei com-prensori irrigui, problemi di origine e di sviluppo. Sempre per l’irrigazione

molto valido appare l’approccio dal punto di vista metodologico sulle stime

delle risorse idriche impiegate e la determinazione dell’irrigazione in Italia,

pubblicato nel 1997 sempre sulla Rivista L’Acqua.

Infine voglio far menzione del ricordo di Giulio su Francesco Curato:

“Lo conobbi nella Facoltà di Agraria di Portici nel 1932/33. Di lui sin d’allo-

ra può dirsi che era “figlio d’arte”. Il padre infatti, ingegnere, oltre a dedicar-

si alla attenta cura della proprietà terriera familiare, aveva promosso e attua-

to la fusione di piccoli consorzi di difesa idraulica della Capitanata nel gran-

de e articolato Consorzio Generale di Bonifica, il più esteso del nostro paese

con oltre 400.000 ha e con sede a Foggia”.

Riprendo il concetto di figlio d’arte o quello del DNA ritrovato in uno

scritto su Leone di De Benedictis e lo applico a Giulio: suo nonno Emanuele

De Cillis, uno dei padri nobili dell’Agronomia Italiana; suo zio Ugo,

Direttore prima della Stazione sperimentale di Granicoltura per la Sicilia di

Catania, poi dell’Istituto sperimentale per la cerealicoltura N. Strampelli, di

Roma, trasformato infine, a seguito della Riforma, in Istituto sperimentale

per la Cerealicoltura di Roma; suo padre Direttore della Stazione sperimen-

tale agraria della Cirenaica e poi capo dell’Ispettorato Compartimentale per

la Campania. Giulio Leone seguì i suoi avi e ne fu veramente degno.

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Silvano MarsellaAgronomi protagonisti

- 32 -

l’attuale Luigi Rossi.

Per ricordare meglio il contributo che Giulio ha sempre dato all’attività

della Federazione sono andato a rivedermi la raccolta della rivista “Il dottore

in Scienze agrarie e forestali”. Ho potuto quindi constatare che quasi in ogni

numero mensile compare un articolo e un commento di Giulio Leone.

Particolare risalto giustamente è dato alla sua relazione di base per il

Convegno del ’68 a Napoli quando si affrontò il tema del futuro dell’agricol-

tura meridionale e per il quale lui pose in grande evidenza il notevole contri-

buto che avrebbe potuto dare la figura del dottore in Scienze agrarie.

Grande risalto dette, con un suo intervento nel Convegno di Perugia

dedicato all’assistenza tecnica in agricoltura, alla figura dell’agronomo unico

erede della grande esperienza fatta in Italia con le “Cattedre ambulanti”.

Infine, a dimostrazione dell’immenso attaccamento che lui ha sempre

avuto per la Federazione, posso testimoniare che negli ultimi tempi, quando

cominciava a far fatica a camminare, continuava a non mancare agli inviti per

incontri tra colleghi che Rossi ha continuato a inviargli.

Caro Giulio con te perdiamo insieme ad un Collega di cui siamo stati

sempre orgogliosi anche un carissimo amico e quindi ti abbracciamo tutti

insieme ai tuoi familiari come se fossi ancora con noi.

Agronomi protagonisti

- 33 -

Giulio Leone: l’ultimo dei bonificatori

Michele De Benedictis *

“Non è […] senza un profondo significato generale se i momenti di cre-

scita, di espansione, di potenza di popoli, Stati, Regioni all’interno della

nostra penisola, abbiano coinciso con le fasi storiche di grandi opere di boni-

ficamento del territorio, con la conquista all’agricoltura e agli insediamenti

dei terreni paludosi, con il controllo tecnico sulla forza e il disordine delle

acque.

Così che ogni civiltà, ogni grande esperienza di vita statale e di organiz-

zazione sociale, ha lasciato la sua impronta sul territorio, le tracce dei suoi

sforzi, spesso giganteschi, di modificazione dei dati avversi entro cui si tro-

vava ad operare”.

Così esordivano Piero Bevilacqua e Manlio Rossi-Doria (1984, p.5) nel

mirabile saggio introduttivo al volume antologico dedicato alla storia delle

bonifiche in Italia dal XVIII al XX secolo. La principale conclusione di que-

sto excursus, che sostanzialmente arriva alla fine del Novecento, è che – sul

terreno dell’azione di bonifica – gli accadimenti succedutisi soprattutto a par-

tire dagli anni ’50, abbiano segnato un determinante momento di svolta sotto

molti riguardi. In primo luogo per aver dimostrato, come mai in precedenza,

la elevata e durevole redditività degli investimenti pubblici e privati richiesti

dall’azione di bonifica. In secondo luogo, per il notevole riequilibrio territo-

riale che in questo stesso periodo è stato realizzato. In terzo luogo, e con par-

ticolare accentuazione nei comprensori del Centro-Sud, la modifica profonda

nel rapporto tra risanamento idraulico e irrigazione, tendenza che ha contri-

buito, in maniera determinante, al sostenuto innalzamento dei tassi di cresci-

ta della produzione agricola meridionale.

Come ha giustamente osservato Lea D’Antone (1990), l’azione bonifi-

catrice, se vista appunto in una prospettiva di lungo periodo e di continuità,

va inquadrata in una ben precisa visione di “governo del territorio” da parte

dello Stato. Più specificamente, “[…] l’importanza delle politiche territoriali

nell’azione statale e, pertanto, di progetti tecnici in tali politiche, ha reso in

Italia peculiare il rapporto tra una sezione rilevante della cultura, quella

*Michele De Benedictis, Presidente Associazione Manlio Rossi-Doria.

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Michele De BenedictisMichele De BenedictisAgronomi protagonisti

- 34 -

tecnico-professionale, e la politica. [In questa chiave] è possibile osservare

non solo l’aderenza dei progetti alle direttive fissate in sede politico-istituzio-

nale, ma anche una notevole caratterizzazione dell’opera di progettazione,

ossia la “personalità” del lavoro tecnico-scientifico, personalità sia individua-

le che del gruppo nel suo complesso. […] Ciò fa, tra l’altro, pensare ad una

notevole capacità dello Stato di coinvolgere gli “esperti” nelle sue “politiche”

(pp.127-128).

La condivisibile affermazione di D’Antone sul connubio tra volontà

politica e competenze professionali, richiama subito alla mente, per citare

solo alcuni “esperti”, le figure di Francesco Curato, Eliseo Jandolo, Nello

Mazzocchi Alemanni, Manlio Rossi-Doria. Ad essi, e alla loro opera, va cer-

tamente associato Giulio Leone, scomparso di recente all’età di 95 anni, che

alla trasformazione dell’agricoltura meridionale e in particolare alla bonifica,

ha dedicato, in una molteplicità di ruoli, la sua intera ed intensa attività pro-

fessionale.

Non è da escludere che, sin dagli esordi, essa sia stata influenzata, per

così dire, da un significativo DNA-tecnico di origine familiare. Leone era

infatti nipote, dal lato materno, di Emanuele De Cillis, figura di primissimo

piano – come docente e come ricercatore – dell’agronomia meridionale nel

periodo tra le due guerre. Dal canto suo, il padre, Giuseppe Leone, aveva ope-

rato lunghi anni in Cirenaica, nella direzione della stazione agraria sperimen-

tale di Sidi Mesri. Per il giovane Giulio l’iscrizione, nel 1932, alla Facoltà di

Agraria di Portici, dove appunto insegnava il nonno De Cillis, dovette pertan-

to apparire come una scelta naturale.

Alla laurea, conseguita nel 1936, seguì l’immediata presa di servizio in

Sicilia presso l’Ufficio Bonifica della Confederazione Fascista dei

Lavoratori, con il compito di sovrintendere ai lavori di trasformazione del

Demanio Civico di San Pietro di Caltagirone, sotto la supervisione di Nello

Mazzocchi Alemanni, allora Direttore dell’Ente di Colonizzazione del

Latifondo Siciliano. Sempre in Sicilia, particolarmente formativa sul piano

dell’esperienza di campagna e di gestione dei non facili rapporti sociali ad

essa associati, fu la direzione dell’azienda Ducea di Bronte, espropriata al

proprietario inglese col sopraggiungere della guerra. L’azienda aveva

un’estensione complessiva di oltre 5700 ettari e vi lavoravano oltre

Agronomi protagonisti

- 35 -

cinquecento famiglie, con contratti di affitto e di metateria. La traccia profon-

da lasciata da questa esperienza nella personalità di Leone è testimoniata da

quanto da lui stesso scritto nelle inedite memorie, destinate alle figlie, che

contengono una quanto mai efficace descrizione di quella esperienza profes-

sionale, nonché della vita quotidiana nel Castello di Maniace, sede direziona-

le dell’azienda:

“(…) Non ho costruito né casa né terra. Ho operato sì per mantenere me

e la mia famiglia, ma sempre in vista di un fine, di un traguardo, di una rea-

lizzazione che accomunasse più uomini. Finché ho vissuto in campagna, ho

trepidato e pregato per gli uomini che stavano al mio fianco: lavoratori e con-

tadini, dei quali conoscevo intenti ed ansie. Quando si è allargato il ventaglio

della mia azione ho pensato, con riferimento costante, a quelle comunità

attraverso le quali ero passato ed ho confrontato, idealmente, le reazioni che

in esse avrei provocato”.

Nel 1943 lo sbarco degli alleati in Sicilia pose fine, non senza difficoltà

di varia natura, anche materiali, a quella esperienza. Rientrato sul continente,

Giulio Leone assume la direzione dell’azienda agraria di Licola dell’Opera

Nazionale Combattenti. Risalgono a questo periodo i primi contatti con

Manlio Rossi-Doria: Leone faceva infatti parte del gruppo di colleghi, amici

e allievi che, intorno alla metà degli anni quaranta, prendeva parte ai semina-

ri di fine settimana a Positano1.

Sul piano strettamente professionale il rapporto con Rossi-Doria si

intensificherà durante le varie fasi dell’intervento di Riforma fondiaria in

Calabria, dalle rilevazioni preliminari fino alle assegnazioni dei terreni espro-

priati2.

Nell’ambito, progettuale ed operativo, dell’intervento di bonifica, la sua

ormai consolidata e generalmente riconosciuta professionalità fu profusa, a

partire dal 1951, nel ruolo di Direttore del Consorzio di bonifica del Basso

Volturno, per poi assumere – su invito di Gabriele Pescatore – la direzione del

Servizio delle Bonifiche della Cassa per il Mezzogiorno nel 1962.

Ed è qui opportuno ricordare che, come è noto, il quindicennio 1960-75

1 Su questo e sulla successiva esperienza calabrese si veda la testimonianza di Giulio Leone al Convegno

tenutosi nella ricorrenza del decennale della scomparsa di Manlio Rossi-Doria.2 A questo lavoro, fortemente innovativo nell’ambito delle politiche fondiarie, partecipò anche un gruppo di

allora giovani tecnici: Paolo Buri, Umberto Facca, Gualtiero Fiori, i cui legami di amicizia con Leone si protrarran-

no negli anni.

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Michele De BenedictisAgronomi protagonisti

- 36 -

si identifica con il sostenuto “balzo in avanti” dell’agricoltura irrigua meri-

dionale, associato alla prima fase dell’intervento straordinario3. La sua parte-

cipazione all’attività della Cassa si protrarrà fino al 1978, dopo aver ricoper-

to, nell’ultimo periodo, la carica di Vice Direttore Generale.

E certamente alla sua riconosciuta competenza professionale si deve il

coinvolgimento di Leone in molteplici missioni di indagine e di consulenza

all’estero, prima in Belucistan4, poi in Egitto e Tunisia, per ricordarne le prin-

cipali.

Il pensionamento non significò certo l’interruzione dell’attività profes-

sionale: la sua preziosa consulenza all’Associazione Nazionale delle

Bonifiche di fatto si materializzò in un impegno a tempo pieno, protrattosi

fino a che le forze glielo consentirono.

Lungo questi ultimi decenni parimenti intensa fu la partecipazione alla

vita di istituzioni meridionalistiche: la Svimez e l’ANIMI, della quale, sotto

la presidenza Rossi-Doria fu consigliere e Vice Presidente. A metà degli anni

novanta, quando in un gruppo di amici si ventilava l’idea di dar vita ad un’as-

sociazione che ricordasse l’opera di Rossi-Doria, la sua adesione fu entusia-

stica e volle figurare tra coloro che ne sancirono la nascita in sede notarile.

Giulio Leone è stato un uomo di grandi qualità, umane e professionali:

con la sua scomparsa si chiude quella generazione di grandi “tecnici” alla cui

competenza e impegno possiamo ascrivere l’ingresso dell’agricoltura meri-

dionale nella modernità.

3 Per una sintetica ma efficace ricostruzione dell’intervento di bonifica da parte della Cassa, si veda il discor-

so pronunciato da Rossi-Doria in Senato il 7 luglio 1971 in occasione della discussione sul disegno di legge per il

rinnovo della Cassa per il Mezzogiorno per il quinquennio 1971–75. Il testo è riportato in M. Rossi-Doria,

Cinquant’anni di bonifica, a cura di Gian Giacomo Dell’Angelo.4 Alla missione, condotta sotto l’egida dell’Italconsult, parteciparono, tra gli altri, Giuseppe De Rita, Rocco

Mazzarone, Gilberto Marselli.

Riferimenti bibliografici

Bevilacqua, P. e M. Rossi-Doria, Le bonifiche in Italia dal ‘700 a oggi, Editori Laterza, 1984.

D’Antone, L. “Tecnici e progetti. Il governo del territorio”, Meridiana, n.10, 1990.

Leone, G. “Testimonianza” in M. De Benedictis e F. De Filippis (a cura di ) Manlio Rossi-Doria e letrasformazioni del Mezzogiorno d’Italia, Piero Lacaita Editore, Mandria, 1999.

Rossi-Doria, M. “La bonifica in vent’anni di Cassa per il Mezzogiorno (1971) in M. Rossi-Doria,Cinquant’anni di bonifica, a cura di Gian Giacomo Dell’Angelo, Laterza, 1989.

Agronomi protagonisti

- 37 -

In memoria di Giulio Leone. Ricordi dal Programma di

Sperimentazione Irrigua della Cassa per il Mezzogiorno

Franco Ravelli *

Gli interventi in commemorazione di Giulio Leone che ho appena ascol-

tato ed altri che avevo già avuto occasione di leggere sulla stampa e in inter-

net, così ricchi di ricordi e di parole di incondizionato apprezzamento per una

persona di grandi qualità umane e professionali, mi avvertono del serio

rischio di ripetere quanto detto da chi mi ha preceduto. Considerati anche i

pochi minuti a disposizione, ritengo possa comunque risultare di un certo

interesse il racconto di due incontri con Lui, dai quali uscii con il convinci-

mento, confermato nel successivo lungo rapporto di lavoro, che si trattasse di

una personalità più attratta dalle certezze del fare, piuttosto che dai rischi del

teorizzare.

Il primo incontro, del tutto casuale, risale a qualche tempo prima dell’ar-

rivo di Leone alla Cassa del Mezzogiorno dove, da alcuni anni, mi occupavo,

presso il Servizio Bonifiche, della istruttoria agronomica dei progetti di

impianti pubblici di distribuzione irrigua. Era il 1961, mezzo secolo fa, ma il

ricordo è tuttora vivo: percorrevo uno dei lunghi, monumentali corridoi della

sede della Cassa all’EUR in Roma quando, attraverso la porta spalancata del-

l’ufficio di Innocenzo Fiore, intravidi la figura di Tommaso Del Pelo Pardi,

figlio di Giulio, inventore dell’omonimo metodo di sistemazione idraulica del

terreno. Avevo conosciuto Tommaso ad un corso sulla tecnica della bonifica

da lui tenuto presso la allora Stazione Sperimentale di Chimica Agraria di

Roma dove, appena laureato, stavo facendo praticantato di laboratorio con

Luigi Marimpietri ed Enrico Romano. Entrai così nella stanza per uno scam-

bio di saluti.

Il fatto era che il rapporto tra me e Tommaso Del Pelo Pardi si era raf-

freddato dopo che, una volta entrato a far parte del nucleo di agronomi costi-

tuenti il gruppo di studio di Archeologia Agraria fondato dal padre Giulio,

avevo espresso seri dubbi sulla interpretazione, da questi e dalla archeologia

ufficiale sostenuta, dei cunicoli laziali come grande opera di bonifica idrauli-

co-agraria realizzata dagli etruschi e non, come da me ritenuto, di una più

*Franco Ravelli, collaboratore di Giulio Leone alla Cassa per il Mezzogiorno.

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Franco RavelliAgronomi protagonisti

- 38 -

semplice opera di captazione sorgentizia ai fini potabili, come era ed è anco-

ra oggi il caso di analoghe opere scavate nei territori di medio-bassa latitudi-

ne di tutto il mondo caratterizzati da condizioni geo-idrologiche in qualche

modo paragonabili a quelle dell’Etruria. Non ci volle molto perché tra me e

Tommaso Del Pelo Pardi, sotto il malizioso incitamento di Fiore, si riaccen-

desse la polemica sulla funzione dei cunicoli.

La discussione aveva assunto toni piuttosto vivaci quando entrò nell’uf-

ficio Giulio Leone, che non conoscevo personalmente, il quale aveva eviden-

temente appuntamento con Fiore e Del Pelo Pardi. Leone mi guardò come per

chiedere una presentazione cui provvide Fiore: “Ravelli; si occupa da noi

della istruttoria agronomica dei progetti di irrigazione consortile; … non

crede che i cunicoli etruschi siano una antica opera di bonifica”. Del Pelo

Pardi, abile affabulatore, aveva ripreso la sua arringa, con Leone defilato sul

bordo della stanza, taciturno ma attento, così almeno mi sembrò, pronto ad

intervenire. Il che, di fatto avvenne nel giro di pochi istanti: “Quando vi sare-

te messi d’accordo sui vostri cunicoli venite da me. Vi aspetto da …”. Ed

uscì, serio, senza aggiungere altro.

Forse mi sarei presto dimenticato dell’accaduto se, dopo pochi mesi, non

si fosse verificato quanto borbottato da Fiore all’uscita di Leone dall’ufficio:

“Ragazzi, facciamo attenzione che circola la voce di un suo prossimo arrivo

qui alla Cassa …”. Di fatto il suo arrivo avvenne nel 1962 come Capo del

Servizio Bonifiche, ma l’impressione avuta in questo casuale primo incontro

fu quella di un uomo piuttosto schivo e di poche parole; impressione poi con-

solidatasi nei frequenti incontri di lavoro succedutisi negli anni successivi,

anche dopo la sua nomina a Vice Direttore Generale.

Un altro incontro che ricordo con particolare dovizia di particolari

avvenne nel 1965. Al compito già assegnatomi della istruttoria agronomica

dei progetti di irrigazione consortile, si erano nel tempo aggiunte alcune sal-

tuarie collaborazioni con Benigno Fagotti responsabile del Programma di

Sperimentazione Irrigua avviato, sin dai primi anni di attività della Cassa, in

una rete di Campi Sperimentali appositamente attrezzati, nonché le lezioni ai

corsi di aggiornamento sulla tecnica della irrigazione tenute ai giovani della

Assistenza Tecnica il cui Ufficio era diretto da Giuliano Cesarini. Fagotti pro-

veniva dall’Opera Nazionale Combattenti e la sua esperienza era quella

Franco RavelliAgronomi protagonisti

- 39 -

aziendale dei colonizzatori dell’Agro Pontino, cosicché i Campi Cassa erano

di fatto partiti con una impostazione ed una finalità miste tra lo sperimentale

ed il dimostrativo.

Ebbene; mi telefona una mattina Leone in persona, convocandomi per il

pomeriggio per parlarmi dei soliti problemi vari d’ufficio, ma in particolare

per avere alcuni chiarimenti sulle voci contrastanti giunte da più parti al suo

orecchio riguardo la coerenza tra: 1) il contenuto delle lezioni che tenevo ai

giovani della Assistenza Tecnica di Cesarini e al corso di Agrometeorologia

attivato dalla Facoltà di Agraria della Università di Portici, ambiente que-

st’ultimo ben conosciuto da Leone; 2) la impostazione delle prove condotte

nei Campi Sperimentali di Fagotti e 3) i criteri seguiti nella istruttoria agro-

nomica dei progetti di irrigazione (va ricordato che l’operato della Cassa in

materia irrigua, si allargava ben oltre le reti di distribuzione irrigua di com-

petenza pubblica, finanziando “a monte” un programma di dighe e traverse di

derivazione fluviale, nonché, “a valle”, l’impiantistica aziendale come opera

di miglioramento fondiario).

Avevo poche ore a disposizione per prepararmi ad illustrare in pochi

minuti l’approccio concettuale seguito nelle mie lezioni, nella istruttoria dei

progetti ed in quale modo e misura il tutto concordasse o meno con i risulta-

ti della sperimentazione condotta nei Campi Sperimentali di Fagotti. Bella

impresa, se si pensa che l’interlocutore al quale mi rivolgevo, pur navigato

esperto di bonifica e trasformazioni irrigue, non era certo addentro agli aspet-

ti più sottilmente scientifici dei rapporti che legano la disponibilità di acqua

all’accrescimento dei vegetali ed alla loro produzione, oggetto principale

della ricerca irrigua e base essenziale per fondate scelte di ordine economico.

Cominciai così a chiarire, diciamo propedeuticamente, gli aspetti positi-

vi e i limiti dei tre classici approcci pedologico, fisiologico e meteorologico

adottati in campo internazionale nella ricerca del rapporto esistente tra dota-

zione irrigua e produzione vegetale e del perché in Italia (in particolare, dalla

Cassa, ma anche dagli Istituti universitari, del Ministero dell’Agricoltura e

del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nonché da alcuni più solerti Enti e

Consorzi irrigui) si fosse preferito un approccio agronomico che, con la sua

empirica semplificazione, potesse fornire in tempi più ristretti possibile i dati

essenziali alla definizione dei costituendi comprensori irrigui e delle più

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Franco RavelliAgronomi protagonisti

- 40 -

convenienti modalità di gestione delle acque che si andavano rapidamente

rendendo disponibili non solo nel Mezzogiorno. L’approccio agronomico

adottato (che oggi forse, con il senno del poi, sarebbe più prudente definire

più semplicemente agricolo) consisteva sostanzialmente nell’accertare la resa

produttiva delle colture al variare del volume stagionale di irrigazione, man-

tenendo fisse (ma con eccezioni ove necessario, come turni, adacquamenti,

concimazioni, ecc.) tutte le altre variabili indipendenti in un insieme caratte-

ristico delle buone norme colturali delle aziende di consolidata tradizione

irrigua e di elevata produttività colturale come le agrumicole siciliane, le viti-

cole pugliesi, le orticole campane, le foraggicole padane, ecc. Un approccio

dunque, quello agronomico, che, se da un lato poteva considerarsi tempora-

neamente sufficiente a definire sollecitamente il regime irriguo da adottare in

sede progettuale, non poteva però valere come base scientifica per una ricer-

ca di più ampio respiro e per la impostazione delle lezioni che tenevo ai corsi

di aggiornamento dei giovani laureati della Assistenza Tecnica e al corso uni-

versitario di Agrometeorologia.

Leone, personalità istintivamente portata, come già detto, verso il rapido

concretizzare, aveva cominciato a dare larvatamente segno di impazienza

alzando la mano destra aperta come in segno di difesa: “Va bene, va bene …

ma allora?”. Colsi così al volo l’occasione per proporre l’idea, da tempo col-

tivata, della costituzione di una rete di Centri di Rilevamento

Agrometeorologico5 come supporto didattico dei corsi di aggiornamento, da

attivarsi nell’ambito dei più vasti comprensori irrigui, eventualmente anche

nel perimetro degli stessi Campi Sperimentali presenti in territori oramai resi

irrigui dall’avanzato intervento della Cassa. In tali Centri si sarebbe dovuto

adottare lo stesso approccio agronomico dei Campi, ma con una maggiore

attenzione agli aspetti agrometeorologici che si andavano sempre più affer-

mando in campo internazionale come applicazione irrigua delle nuove cono-

scenze in fatto di meccanica evapotraspirativa. In pratica, si sarebbe dovuto

procedere alla redazione continua dei bilanci idrico ed energetico di un

ristretto numero di colture in parcelle di dimensioni tali da controllare il più

possibile gli effetti sperimentalmente negativi degli instabili trasporti termici

5 Nome che poi – non ricordo bene perché – cambiai in Centri di Rilevamento Pedoirriguo, ma forse per un

freudiano ricordo del mio giovanile periodo di apprendistato presso la Stazione Sperimentale di Chimica Agraria di

Roma; istituto allora particolarmente impegnato in studi riguardanti i rapporti tra il terreno e le colture.

Franco RavelliAgronomi protagonisti

- 41 -

di origine macro e micro-avvettiva. Aspetto questo che influiva negativamen-

te sulla significatività delle prove, specie quando queste erano condotte in

territori anche solo stagionalmente aridi non ancora estesamente irrigati e

negli affollati piccoli parcellamenti randomizzati richiesti dal dilagare, in

quei giorni, della metodologia statistica nella sperimentazione irrigua.

A Leone, alquanto preoccupato della complessità del quadro, prospettai

anche la opportunità di coinvolgere nella attività dei Campi e dei Centri un

Gruppo di Consulenza da costituirsi con i Direttori degli Istituti Universitari

di Agronomia e di Ingegneria6 impegnati in materia di irrigazione, tra i quali,

alcuni più amici che colleghi d’Università che non sono più tra noi: Ballatore,

Barbieri, Celestre, Romano, il cui caro ricordo mi accompagna nel tempo che

passa.

Il risultato fu il via immediato alla costituzione del Gruppo di Consulenti

e della rete dei Centri alla direzione dei quali mi venne aggiunta, sul finire

degli anni ’70, la direzione dei Campi di Fagotti con un programma di com-

pletamento a chiusura delle prove sino allora condotte dall’anziano collega

oramai pensionato; prove nel frattempo tematicamente estese a numerose

altre variabili anche di interesse non direttamente idrologico (specie e varie-

tà, densità di investimento, concimazione, ecc.), ma di particolare valore col-

turale per le centinaia di migliaia di ettari oramai resi irrigui dall’intervento

della Cassa.

Sui risultati delle ricerche venne riferito con numerose pubblicazioni

apparse sulle riviste specializzate e negli atti dei molti congressi sulla irri-

gazione e sulla relativa sperimentazione ed alla stesura di alcune delle quali

lo stesso Leone aveva contribuito come coautore7 .

Questo è quanto mi son sentito di rammentare nel grato ricordo di una

persona, Giulio Leone, che ha così proficuamente segnato tante vicende della

mia oramai lontana avventura professionale.

6 Componenti del Gruppo di Consulenza: Giulio P. Ballatore di Palermo, R. Barbieri di Napoli, P. Celestre di

Pisa, L. Cavazza di Bari, E. Romano di Roma, Giulio Tournon di Torino e, per un periodo iniziale, A. Crocioni di

Torino e A. Milella di Sassari.7 Due esempi del personale coinvolgimento di Giulio Leone nella stesura e nella presentazione di risultati

delle indagini condotte nell'attività di ricerca della Cassa per il Mezzogiorno:

– Leone, G., F. Ravelli, A. Sbraccia: “Protection of the environment in the development of irrigation, drai-

nage and flood. Defences schemes”, in Water and its conservation in agricultural areas. International Commissionon Irrigation and Drainage (ICID), Special Session, Moscow, 1975.

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Agronomi protagonisti

- 43 -

Giulio Leone: esempio di etica e onestà

Nicola Santoro *

Da “esterno”, esprimo convinto apprezzamento per le iniziative della

Federazione finalizzate a onorare la memoria dei Colleghi che costituiscono

motivo di vanto e di orgoglio per la Categoria.

La commemorazione di Giulio Leone mi offre l’occasione per ricordare

gli esempi, gli insegnamenti, i contributi di tecnica e di cultura della bonifi-

ca da Lui offerti.

Io ho avuto il piacere di conoscerLo nei lontani anni ’60, a Foggia, quan-

do lavoravo presso la locale Unione Agricoltori, presieduta da un imprendi-

tore assai stimato – il Dott. Francesco Petrilli – il quale era anche

Amministratore del Consorzio di Bonifica della Capitanata.

I miei rapporti con il Dott. Leone si intensificarono quando il Dott.

Petrilli fu eletto Presidente del Consorzio e io – divenuto frattanto Direttore

dell’Unione – venni chiamato a presiedere il Collegio Sindacale.

Ritengo opportuno precisare che il Consorzio di Bonifica della

Capitanata – frutto della fusione dei preesistenti 12 Consorzi – era ed è il più

esteso d’Italia, coprendo un’area di oltre 440.000 ettari.

E ritengo di aggiungere che se in Capitanata venne realizzata, nel dopo-

guerra, una seconda epocale trasformazione, il merito va attribuito soprattut-

to agli Amministratori del Consorzio, i quali seppero procurarsi il solidale

sostegno di tutte le Organizzazioni Professionali e giovarsi degli eccezionali

contributi progettuali e di idee che offrivano tecnici del valore di Giulio

Leone.

Il Tavoliere pugliese era stato trasformato in un unico campo di grano

duro dalla “rivoluzione colturale” favorita da Giuseppe Bonaparte, che aveva

smantellato, di fatto, il secolare abbinamento dei pascoli estivi abruzzesi

(oggi molisani) con quelli invernali, che connotavano i due terzi della estesa

pianura foggiana.

Chi non ricorda i tratturi celebrati da D’Annunzio, autentiche autostrade

verdi, che favorivano la lenta, dura transumanza di centinaia di migliaia di

ovini?

*Nicola Santoro, già Dirigente Confagricoltura.

Franco RavelliAgronomi protagonisti

- 42 -

– Ravelli, F., T. Napoli, F. Floris: Relazione della Commissione incaricata della revisione dei parametri irri-gui previsti per il Comprensorio in Sinistra Ofanto (Foggia) (28 giugno 1966). Prefazione di Giulio Leone;

Quaderno n. 45, Cassa per il Mezzogiorno, 1968. La relazione conteneva la prima utilizzazione delle ricerche con-

dotte dai Centri di Rilevamento Pedoirriguo da poco attivati.

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Nicola SantoroAgronomi protagonisti

- 44 -

Nell’ultimo dopoguerra, in Capitanata, si ebbe una seconda, più incisiva

rivoluzione nel settore primario – e, ovviamente, in quelli a esso connessi –

per la diffusa, rapida meccanizzazione; la incisiva Riforma agraria; la bonifi-

ca di vaste aree paludose; la costruzione della diga sul Fortore, che è la più

grande, in Italia, in terra battuta; il trasferimento dell’acqua così invasata in

area collinare fino alla lontana pianura; la costruzione di centinaia di chilo-

metri di canali, nonché della relativa ramificata rete di distribuzione control-

lata; una diffusa, indispensabile realizzazione di strade rurali.

Queste opere di eccezionale rilevanza hanno fatto sì che il Tavoliere –

pur rimanendo un’area assai vocata per la coltivazione del grano duro – offra

ora opportunità non ordinarie per tutte le colture irrigue e per la frutticoltura;

opportunità che potrebbero essere meglio sfruttate dagli imprenditori locali,

se essi non scontassero la carenza di efficaci filiere di raccordo con i trasfor-

matori e i distributori dei loro prodotti.

Il miracolo della rivoluzione agricola della Capitanata si deve anche a

personalità quale Giulio Leone, le quali vollero e seppero assistere gli avve-

duti Amministratori del Consorzio di Bonifica che si cimentavano nella dif-

ficile sfida della realizzazione di opere straordinarie, indispensabili per

cogliere i frutti dei radicali, indifferibili processi di trasformazione delle atti-

vità agricole tutte.

Giulio Leone va ricordato per ciò che ha fatto e per i Suoi sempre

apprezzati suggerimenti e consigli.

Egli ha contribuito come pochi a far lievitare in me il convincimento che

non si può stare fermi e vivere di rendita, gestendo il presente; ma che biso-

gna immaginare, programmare, costruire il futuro.

Mi ha insegnato, soprattutto, che ogni iniziativa, anche nel campo pro-

fessionale, deve essere sorretta da etica e onestà.

Agronomi protagonisti

- 45 -

Giulio Leone: un maestro di vita

Francesco Menafra *

Giulio Leone l’ho incontrato, la prima volta, a Roma nel gennaio del

1974, nel Palazzo dell’INPS dell’EUR, sede storica della “Cassa per il

Mezzogiorno” fin dagli anni ’50, nella veste di Presidente della Commissione

esaminatrice istituita dalla “Cassa” per l’assegnazione di 10 borse di studio a

giovani agronomi.

La “Cassa per il Mezzogiorno” aveva messo a punto nuovi strumenti

operativi, i cosiddetti “Progetti Speciali”, con i quali si doveva dare nuovo

impulso all’economia delle aree del Mezzogiorno, anche con l’introduzione

di tecniche innovative che dovevano stimolare la produttività e la crescita

complessiva di vasti territori del Sud oramai dotati delle infrastrutture prima-

rie realizzate con l’intervento straordinario. Con la creazione delle Regioni ed

il trasferimento delle competenze a questi nuovi Organismi si ponevano le

condizioni per raggiungere obiettivi di forte espansione in tempi limitati.

Questa nuova mission era stata programmata anche con la selezione di

nuove risorse umane di giovani laureati o diplomati (agronomi, ingegneri,

avvocati, geometri, ragionieri, periti tecnici, etc.), che avevano conseguito il

titolo di studio richiesto con il massimo dei voti e maturato un’esperienza

professionale ovvero universitaria almeno biennale. Tali requisiti, uniti ad un

tirocinio di sei - dodici mesi presso le strutture operative dell’Ente ed una

successiva verifica concorsuale, consentivano una rapida integrazione dei

giovani professionisti nelle strutture tecnico-amministrative esistenti ed un

avvio immediato dei nuovi obiettivi istituzionali.

In quel periodo i contatti con il Dott. Leone furono solo indiretti attra-

verso le numerose riunioni ed incontri che il Dirigente della Divisione Prof.

Carlo Aiello, a cui era stato affidato il ruolo di coordinatore del “Progetto

Speciale Zootecnia”, ci illustrava negli incontri periodici di rodaggio dei

nuovi strumenti di programmazione.

L’attività operativa del “Progetto Speciale” era articolata su base regio-

nale ed ogni sezione era affidata a valenti colleghi agronomi, ma l’impronta

del Dirigente della Divisione e di Giulio Leone era palpabile in ogni atto di

*Francesco Menafra, Presidente dell’ARDAF, Associazione Romana Dottori in Agraria e Forestali.

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Francesco MenafraAgronomi protagonisti

- 47 -

impegno promanato, anche a fronte delle piccole difficoltà economiche

dell’Associazione, a voler la pubblicazione degli atti, raccolti nel volumetto

dal titolo “Agronomi protagonisti”, della “Giornata di commemorazione” del

6 maggio 2009, a ricordo di Francesco Curato e di tanti altri Agronomi che

hanno dato nel tempo la loro efficace e fattiva collaborazione alla FIDAF ed

all’ARDAF. Anche questo piccolo contributo ha rappresentato un momento

di riflessione sull’agricoltura italiana negli ultimi cinquanta anni attraverso

l’impegno ed il contributo professionale di tante “straordinarie figure” che si

sono particolarmente distinte nei vari settori di attività.

Le nostre radici, come mi piace ripetere, sono i tanti “Agronomi prota-

gonisti” , le tante e diverse figure professionali, le loro vite, le loro esperien-

ze che arricchiscono ogni giorno, anche la vita associativa con il loro vissuto

quotidiano.

Giulio certamente era tra questi, il suo rigore morale che si sposava con

la sua grande intelligenza ci aiutava con la sua presenza e con il suo contri-

buto a crescere ed a poter scegliere la soluzione migliore tra tanti possibili

percorsi formativi e rappresentava uno stimolo continuo a fare sempre

meglio.

Concludo questo breve saluto con un “GRAZIE Giulio” perché è il rin-

graziamento che dobbiamo a tutti i colleghi che hanno dato così tanto, oltre

che all’attività professionale e alla famiglia, anche all’attività

dell’Associazione Romana Dottori in Scienze Agrarie e Forestali.

Francesco MenafraAgronomi protagonisti

- 46 -

particolare rilevanza.

Dopo solo quattro anni, però, il Dott. Leone lasciò la “Cassa per il

Mezzogiorno” per altri importanti incarichi, che il Prof. Aiello, in particola-

re, e tutti gli altri relatori, hanno già illustrato compiutamente, nei preceden-

ti interventi.

Negli anni successivi ho avuto modo di incontrare Giulio Leone in

numerose manifestazioni e di ascoltarlo in tanti convegni, ma qui voglio

ricordare in particolare la costante presenza di Giulio nella vita associativa,

negli anni più recenti, in cui ho svolto anche un ruolo più diretto nel promuo-

vere le attività dell’Associazione. I suoi contributi di idee e di proposte, sem-

pre coerenti con la profonda conoscenza delle problematiche del

Mezzogiorno, la sua perseverante attenzione allo sviluppo del territorio,

hanno rappresentato una guida irrinunciabile a capire quanto avveniva intor-

no a noi.

Tutti sappiamo della sua grande esperienza, professionalità e direi “pas-

sione” per la valorizzazione dell’acqua, come risorsa principe di uno Stato,

sia in agricoltura che negli altri usi di rilevanza economica.

L’Avvocato Martuccelli ci ha illustrato, in maniera mirabile, il ruolo di

Giulio Leone nella gestione delle acque irrigue e della proficua collaborazio-

ne con l’ANBI.

Debbo ricordare che tale “passione” lo ha accompagnato sempre, tant’è

che anche fuori dei suoi impegni professionali, nell’ambito delle attività pro-

mosse dalla FIDAF in collaborazione con l’Associazione Romana, si fece

promotore ed animatore di un gruppo di lavoro (costituito da: Carlo Aiello,

Enrico Calamita, Claudio Cesaretti, Giovanni Guerrieri, Roberto Jodice,

Giulio Leone, Antonio Picchi, Luigi Rossi) sulla “risorsa acqua” che conclu-

se le proprie attività di studio con un pregevole volumetto, pubblicato nel

2007, su L’uso dell’acqua in agricoltura in cui è stato analizzato lo stato delle

irrigazioni in Italia, le possibili razionalizzazioni e le prospettive di natura

economica e di sviluppo territoriale. Corre l’obbligo anche di evidenziare la

pregevole prefazione al volumetto curata da Luigi Rossi e Massimo Iannetta

sulle interazioni tra clima ed ambiente che continua ad essere un’interessan-

te sintesi su un argomento così attuale e complesso.

L’ultimo ricordo che mi affiora alla memoria è la tenacia ed il forte

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Agronomi protagonisti

- 49 -

Giulio Leone: un amico dell’agricoltura campana

Giuseppe Murolo *

Lo conobbi allorquando, studente a Portici, sostenni con il padre l’esa-

me di agricoltura tropicale; lo rividi poco dopo mentre appena laureato,

seguivo una lezione del famoso geologo De Lorenzo in un corso organizzato

dalla Cassa per il Mezzogiorno. In tale occasione ci fu uno scambio di pare-

ri su talune situazioni dell’agricoltura salernitana.

Diventammo amici a seguito della frequenza sia della nostra

Federazione, ai tempi di Giovanni Visco, sia alle riunioni della Società

Economica della Provincia di Salerno, di cui eravamo entrambi soci.

Amalgamante dei nostri successivi rapporti fu il Prof. Luigi Postiglione

che, in occasione del buon esito del concorso alla cattedra di Agronomia di

Portici, invitò gli amici più vicini ad una cena in un rinomato ristorante napo-

letano.

Parlavamo dei problemi delle bonifiche salernitane negli incontri della

“Vecchia Portici”, ai quali Giulio teneva moltissimo e che insisteva ad orga-

nizzare con le sue signorili capacità, facendo rivivere, a soggetti di diverse

età, gli aspetti connessi di una indimenticabile giovinezza.

Seguiva con attenzione i problemi salernitani attraverso “Il Picentino”,

periodico della citata Società Economica.

Allorché pubblicai una nota su Eliseo Iandolo mi telefonò con grande

entusiasmo, per la commemorazione di colui che era stato un suo indimenti-

cabile Maestro.

Nei Convegni sia della Federazione che dell’Ordine nazionale, ed in par-

ticolare in quelli svoltisi a Firenze, Bologna ed a Viterbo, si univa al gruppo

degli agronomi salernitani – Giuseppe Leone, L. Postiglione, N. Lettieri, A.

Guariglia, A. Clarizia, M. Mellone e lo scrivente – parlando dei suoi interven-

ti di bonificatore, soprattutto nelle zone a sud di Salerno.

In tantissime occasioni la sua grande esperienza gli consentiva di indivi-

duare le più logiche soluzioni pratiche, senza ricorrere a sfoggi di cultura, di

cui era provvedutissimo, legando sempre i fatti agli uomini che li avevano

determinati.

* Giuseppe Murolo, Presidente di Europea Italia.

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Giuseppe MuroloAgronomi protagonisti

- 50 -

Ed è stato tale ultimo aspetto a rendere feconda ed intensa la nostra ami-

cizia, cementata dalle frequenti discussioni sull’opera di grandi maestri che

avevano onorato la Facoltà di Portici ed, in parte, la Scuola enologica di

Avellino: i Bordiga, i Silvestri, i Trotter, i Peglion, i Briganti, i De Dominicis,

Emanuele de Cillis, di cui era nipote.

Era convinto, dopo tantissime esperienze di agronomo e di bonificatore,

che tutti gli insegnamenti, e soprattutto quelli accademici dovessero, per il

nostro particolare settore, riferirsi costantemente a problemi concreti. Anche

le discipline scientifiche di base dovevano far riferimento alle dirette appli-

cazioni, altrimenti quel rilevante numero di esami, 30-32 in quattro anni,

veniva ad assomigliare ad una selva intricata di conoscenze difficilmente

districabili da parte dei giovani agronomi.

La formazione di questi ultimi rappresentava il suo leit-motiv. E ciò lo

rese simpatico a tutte le generazioni che lo conobbero.

Agronomi protagonisti

- 51 -

Giulio Leone, ineguagliabile per professionalità ed umanità

Massimo Iannetta *

Il ricordo più vivo e caro che mi lega a Giulio Leone si riferisce al pre-

zioso contributo fornito nell’ambito del progetto RIADE, in qualità di refe-

rente del Comitato Tecnico-Scientifico. Nei quattro anni di progetto mi ha

supportato, come era sua abitudine, con grande discrezione e contestuale

autorevolezza, indirizzando sapientemente le linee di ricerca, al fine di rag-

giungere in modo coerente gli obiettivi previsti. Ha sempre preso parte alle

riunioni con grande spirito collaborativo, dando ascolto a tutti per poi elabo-

rare sintesi di unica chiarezza. I risultati conseguiti nel corso del progetto

devono buona parte della loro originalità alla sua ineguagliabile professiona-

lità ed umanità.

Desidero riportare uno dei verbali del Comitato Scientifico del Progetto

RIADE, in cui appare un intervento significativo di Giulio Leone.

Verbale del Comitato Scientifico Progetto RIADE

“Lunedì 19 dicembre 2005 alle ore 10,00 presso la sede ENEA di Via

Lungotevere Grande Ammiraglio Thaon di Revel n. 76 - 00196 Roma, si è

tenuta la 3^ riunione del Comitato Scientifico del progetto RIADE. Gli argo-

menti all’ordine del giorno sono stati i seguenti:

- illustrazione delle attività svolte nel corso del 3° anno di progetto;

- descrizione delle attività previste per il 4° anno di progetto;

- sviluppi della formazione.

Ha introdotto i lavori il responsabile del progetto Dott. Massimo Iannetta

di ENEA BIOTEC, che ha sottolineato gli importanti progressi realizzati nel

corso del 2005, con la chiusura di tutte le attività di rilevamento e monitorag-

gio effettuate nelle diverse aree di studio delle Regioni Basilicata, Puglia,

Sardegna e Sicilia. Si sono succeduti gli interventi dei responsabili dei diver-

si pacchetti di lavoro, molto apprezzati dai membri del Comitato Scientifico,

che hanno sottolineato l’eccellenza dei risultati conseguiti e la necessità di

una immediata diffusione presso la comunità scientifica.

Tra gli interventi da sottolineare si riporta in particolare quello del Dott.

Giulio Leone, sintetizzato nella seguente nota.

*Massimo Iannetta, Direttore UTAGRI Centro Ricerche Casaccia, ENEA.

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“Il crescente squilibrio tra fabbisogni e disponibilità di acqua dolce

richiede una pianificazione integrata delle risorse idriche a livello di bacino

idrografico. Il governo e la gestione delle risorse idriche devono perseguire

l’unitario obiettivo della garanzia di idoneo contemperamento degli interessi

economici e sociali all’utilizzazione delle acque con l’interesse pubblico

generale della salvaguardia delle stesse. Secondo il principio fondamentale,

legislativamente sancito dalla legge 36/94, gli usi delle acque non possono

prescindere dal tener conto dell’esigenza del risparmio e del rinnovo delle

risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente,

l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli

equilibri idrogeologici. Conseguentemente, il fine di non pregiudicare l’agri-

coltura viene considerato alla pari delle altre finalità pubbliche di interesse

generale da tutelare. Gli Organi di governo delle acque, ed in particolare le

Autorità di bacino, secondo le norme sancite dalla legge 36/94, nel definire e

aggiornare periodicamente il bilancio idrico, diretto ad assicurare l’equilibrio

tra le disponibilità di risorse e i fabbisogni per i diversi usi, devono tener

conto anche dell’esigenza di non pregiudicare l’agricoltura. Per quanto

riguarda gli usi delle acque, la legge 36/94 garantisce, dopo il consumo

umano, priorità all’uso agricolo. La stessa legge 36/94 sancisce il principio

che l’uso dell’acqua sia attuato “secondo criteri di solidarietà ed indirizzato

al risparmio” e che la gestione sia “efficiente, efficace ed economica”. L’uso

e la gestione delle acque per l’irrigazione devono essere realizzati nel rispet-

to di tali principi che rendono prioritario il sistema di irrigazione collettiva in

ambiti comprensoriali unitariamente gestiti e, quindi, attraverso i Consorzi di

bonifica e di irrigazione cui per legge è affidata la gestione dei sistemi irrigui

collettivi. Emerge di conseguenza l’esigenza che anche le risorse idriche

aziendali siano gestite ove possibile in coordinamento con la gestione del

sistema irriguo collettivo. Si ritiene pertanto che, attraverso il progetto

RIADE, si possa svolgere un’azione di sensibilizzazione per:

- facilitare ed incentivare i sistemi irrigui collettivi attraverso il riordino

dei comprensori ed il riordino delle utenze irrigue;

- migliorare l’efficienza dei sistemi irrigui collettivi attraverso azioni di

ammodernamento e adeguamento degli impianti e delle reti irrigue,

volti a contenere le inevitabili perdite del sistema e a rendere meno

Massimo IannettaAgronomi protagonisti

- 53 -

onerosa la manutenzione;

- completare gli schemi idrici collettivi assicurando in alcune realtà

meridionali il trasferimento delle acque dalle regioni più ricche a

quelle più povere di risorse idriche;

- facilitare gli usi plurimi delle acque irrigue così come legislativamente

previsto nonché il riuso delle acque reflue depurate;

- assicurare la piena efficienza degli invasi con il conseguente recupero

del volume dei serbatoi esistenti;

- nelle regioni meridionali ed insulari, previe puntuali analisi socio-

economiche ed ambientali condotte con grande impegno tecnico e

scientifico, valutare la possibilità di realizzare alcuni nuovi e previsti

invasi e ciò allo scopo di raccogliere tutte le acque dolci disponibili ed

utilizzabili”.

Ha concluso i lavori il Dott. Francesco Mauro, referente scientifico per

il MIUR del progetto RIADE che, nel manifestare tutto il suo vivo apprezza-

mento per il modo in cui sta andando avanti l’attività, si è soffermato sulla

necessità di dare continuità al lavoro svolto, attraverso una adeguata promo-

zione presso i Ministeri competenti”.

Massimo IannettaAgronomi protagonisti

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Agronomi protagonisti

- 55 -

Giulio Leone: vanto dell’Ordine di Roma

Edoardo Corbucci *

Ringrazio, innanzitutto, per il gratificante invito ad intervenire alla com-

memorazione del compianto Collega Dott. Giulio Leone, e nel porgere i miei

saluti ai presenti, mi sento di sottolineare il privilegio che ho nel presiedere

l’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali di Roma, che ha visto

nel tempo fra gli iscritti una serie di Colleghi che hanno fatto, nel vero senso

della parola, la storia recente dell’agricoltura italiana. Certamente il Dott.

Leone, che non ho avuto l’onore di conoscere ma di cui oggi ho potuto

apprendere i numerosi successi professionali e gli importanti incarichi assol-

ti, è da annoverare fra questi; uomini e tecnici che hanno contribuito con la

loro opera professionale a far progredire il nostro territorio rurale grazie al

bagaglio di conoscenze, competenze ed esperienze, unito ad una forte dose di

entusiasmo ed impegno.

Il valore e l’impegno del Collega Dott. Leone poi, ritengo che sia indi-

viduabile anche attraverso i documenti che lo riguardano e che il nostro

Ordine conserva; non ultimo il suo Certificato di Laurea e quello di

Abilitazione che mostrano come a soli 21 anni, nel 1936, abbia ottenuto a

pieni voti e con lode, il titolo di Dottore in Sc. Agrarie ed immediatamente

dopo, l’abilitazione all’esercizio della professione. A questi colleghi, e quin-

di anche al Dott. Leone, dobbiamo guardare con stima e gratitudine, perché

con la loro azione volta a stimolare il progresso tecnico nel settore agricolo,

hanno contribuito a stimolarne anche quello produttivo e, ancora più, quello

sociale.

*Edoardo Corbucci, Presidente Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Roma.

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Agronomi protagonisti

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Giulio Leone e la modernizzazione non governata

Alfonso Pascale *

Giulio Leone, scomparso recentemente all’età di 95 anni, ha dedicato la

sua intensa attività di agronomo alla trasformazione agraria del Mezzogiorno

e in particolare alla bonifica. Dopo aver contribuito alla realizzazione della

Riforma agraria in Calabria nei primi anni Cinquanta, tra il 1962 e il 1978

Giulio Leone fu impegnato presso la Cassa per il Mezzogiorno, prima alla

direzione del servizio delle bonifiche e successivamente come Vice Direttore

generale. Una figura d’alto profilo tecnico-scientifico, ma schivo, per natura,

ad esporre il proprio punto di vista e sempre pronto, nelle discussioni e nei

casi della vita, a comporre conflitti e divaricazioni che apparivano insanabi-

li.

Egli appartenne, dunque, a quel nucleo di grandi tecnici che, in aderen-

za alle direttive fissate in sede politico-istituzionale e con una forte impronta

tecnico-scientifica sia personale che di gruppo, attuarono gli interventi che

dettero uno scossone all’economia e alla società italiana, determinandone la

modernizzazione.

Il colpo d’ariete

I titoli del programma agricolo per la ricostruzione del Paese dalle mace-

rie della guerra erano stati fissati nell’art. 44 della Costituzione: a) imporre

obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata; b) promuovere la bonifica

delle terre, c) trasformare il latifondo; d) aiutare la piccola e media proprietà;

e) favorire la montagna.

Il tutto si sarebbe dovuto finalizzare, in base al dettato dei padri costi-

tuenti, alla razionale utilizzazione del territorio e al conseguimento della giu-

stizia sociale, i due fari di cui servirsi per illuminare la strada da percorrere.

E così nel 1948 si istituì la Cassa per la formazione della proprietà con-

tadina e nel 1950 si vararono la Riforma agraria e la Cassa per gli interventi

straordinari nel Mezzogiorno.

Il programma di Riforma agraria per mettere fine al latifondo riguardò il

Molise, la Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e alcune

*Alfonso Pascale, già Vice Presidente dell’ANBI.

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Alfonso PascaleAgronomi protagonisti

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province di altre regioni: il Delta padano, la Maremma e il Fucino. Le pro-

prietà superiori ai 300 ettari vennero espropriate. Furono indennizzati 2.800

proprietari e i 700 mila ettari espropriati costituirono la massa delle terre

assegnate poi in poderi ai contadini. Tra il 1950 e il 1960, quando già il gros-

so delle operazioni di assegnazione era esaurito, oltre 417 mila ettari di terra

passarono in mano a contadini e braccianti poveri. Un trasferimento di beni

fondiari di notevole ampiezza decisa e governata direttamente dall’autorità

pubblica.

Ad esso va aggiunto un fenomeno di accesso spontaneo alla terra favo-

rito dalla Cassa per la proprietà contadina e dalle agevolazioni fiscali poste in

essere dallo Stato. In virtù di tali misure – tra il 1948 e il 1968 – passarono

nelle mani dei contadini altri 1.600.000 ettari. In un lasso di tempo non lungo

la proprietà coltivatrice si diffuse su quasi due milioni di ettari.

Contemporaneamente, a seguito delle opere pubbliche realizzate dalla

Cassa per il Mezzogiorno, si debellò completamente la malaria, si ruppe

l’isolamento di tanti sperduti centri rurali, si elevò il tono della vita civile

nelle campagne, fu completata la bonifica, si estese l’irrigazione su oltre

500.000 ettari. Il tutto avveniva mentre 3 milioni di persone spostavano la

residenza dal Mezzogiorno in un comune settentrionale.

Il complesso di tali interventi costituì il colpo d’ariete che avrebbe avvia-

to l’industrializzazione del Paese e l’innesto sulla proprietà diffusa della terra

di un’agricoltura moderna, come due facce della stessa medaglia. Una tra-

sformazione sociale ed economica enorme, avvenuta da noi in tempi molto

più rapidi rispetto agli altri Paesi dell’Europa occidentale. Solo nel 1958 gli

occupati in agricoltura avevano, infatti, ceduto il primato nelle statistiche ai

lavoratori dell’industria e già nel 1963 si ebbe il “boom economico”. Furono

cinque anni di ferro e fuoco in cui l’agricoltura si modernizzò completamen-

te, l’industria crebbe, la scuola assunse dimensioni di massa, i consumi si

espansero e i tradizionali modelli familiari e religiosi vennero messi definiti-

vamente in discussione.

Le false letture della modernizzazione

Ma già nella seconda metà degli anni Sessanta qualcosa incominciava a

scricchiolare. Non a caso il profondo disagio che si espresse nei moti del ’68

Alfonso PascaleAgronomi protagonisti

- 59 -

serpeggiò profondamente anche nelle campagne. Nelle pieghe più intime

della società italiana montò la ribellione verso una classe dirigente che era

riuscita a creare per bene le premesse per la grande trasformazione dell’Italia

da Paese prevalentemente agricolo a Paese prevalentemente industriale, ma

poi, una volta che il processo si era rapidamente concluso, non sapeva più

leggere quanto era avvenuto, non ne capiva le dinamiche più profonde e s’in-

testardiva ad attuare forme di intervento pubblico in continuità con quelle

precedenti, senza per nulla adeguare la cultura politica alle novità che si

erano nel frattempo affacciate.

Era soprattutto carente un’analisi delle modificazioni culturali, economi-

che, sociali avvenute nelle campagne; e ciò impediva di cogliere le interrela-

zioni tra i diversi settori produttivi, le esigenze delle imprese agricole che

producevano per il mercato, le potenzialità dell’agroalimentare nel promuo-

vere lo sviluppo dei sistemi territoriali, i nuovi rapporti tra città e campagna

che i fenomeni migratori avevano prodotto.

Non si seppero leggere alcuni dati fondamentali della nuova agricoltura

che da noi si manifestavano in modo difforme rispetto alla media europea:

una percentuale più consistente di agricoltori rispetto all’insieme degli occu-

pati e una quota più elevata di aziende di dimensioni più ridotte. Si ritenne

che i due fenomeni fossero l’esito di una modernizzazione incompiuta, men-

tre costituivano in realtà un elemento fondante della nuova organizzazione

sociale ed economica delle campagne italiane. La sua caratteristica principa-

le era stata in passato ed era rimasta anche dopo la modernizzazione, la mol-

teplicità dei sistemi agricoli territoriali. Le diversità di tali sistemi si erano

venuti ad articolare tra due tipologie estreme: un’agricoltura che remunerava

le risorse ad un livello comparabile a quello degli altri settori e che era inse-

rita nei circuiti di mercato; e un’agricoltura che impiegava le risorse ad un

basso livello di produttività e di remunerazione e che era sostanzialmente

esclusa dai circuiti commerciali. La prima svolgeva una funzione produttiva

tale da metterla sullo stesso piano degli altri settori e venne considerata la

vera agricoltura. La seconda fu ritenuta marginale perché secondo il modello

industrialista era priva di quelle economie di scala, di quella specializzazio-

ne e standardizzazione necessarie per stare sul mercato. In realtà, anche que-

sta agricoltura, attraverso le economie di scopo, la valorizzazione del capita

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Alfonso PascaleAgronomi protagonisti

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le umano e sociale e l’interazione con le risorse ambientali e paesaggistiche,

si è poi mantenuta vivida negli anni nell’ambito di economie locali a rete.

Il contributo potenziale della cultura agricola alla modernità

Nessuno s’accorse che la cultura agricola, nel trasfondersi nella moder-

nità, aveva inciso in modo significativo nel processo di individualizzazione

della società: l’aspirazione profonda all’autonomia e alla libertà dell’indivi-

duo, che è propria del ceto contadino, era confluita nel moderno individuali-

smo di massa e lo permeava di sé. Ma nella società tradizionale, il profondo

senso della coscienza individuale si coniugava con una marcata dimensione

comunitaria fatta di pratiche solidali, mutuo aiuto, reciprocità nelle relazioni

umane.

La storia delle campagne è tappezzata di queste pratiche: i riti di ospita-

lità nei confronti soprattutto dei più indigenti; il vegliare nelle serate inverna-

li per educarsi alla socialità e permettere agli anziani di trasmettere ai giova-

ni la memoria e i valori essenziali per dare un senso alla vita; lo scambio di

mano d’opera tra le famiglie nei momenti di punta dei lavori aziendali; i siste-

mi di regolazione del possesso aventi un’implicita tendenza verso la distribu-

zione egualitaria delle risorse, a partire dagli usi civici delle popolazioni loca-

li sui terreni di proprietà collettiva.

La reputazione delle diverse comunità rurali si alimentava della capaci-

tà di dare valore e dignità alle persone portatrici di singolari particolarità; e

costituiva senso comune l’idea che ogni individuo dovesse avere accesso ad

una quantità di risorse sufficiente a metterlo in grado di assolvere i suoi obbli-

ghi verso la comunità, nella lotta per la sopravvivenza. Le forme consortili

per la difesa idraulica affondavano le radici nel medioevo come espressione

spontanea del civismo rurale; e le prime cooperative sono sorte, alla fine

dell’Ottocento, proprio nei territori rurali come strumenti di difesa dei ceti

più deboli. La grande capacità di integrazione posseduta dalle campagne ita-

liane si poteva, inoltre, scorgere nelle ramificate radici della cultura rurale

che spesso non ci appartenevano perché erano nate altrove; e la stessa nostra

identità alimentare era stata sempre frutto di una forte propensione degli

esperti locali a fare interagire i propri saperi contestuali coi nuovi traguardi

della conoscenza scientifica.

Alfonso PascaleAgronomi protagonisti

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La dispersione del patrimonio ideale e storico-culturale del mondo rurale

Nel processo di modernizzazione della società questo enorme patrimo-

nio relazionale si è in gran parte disperso. E tale erosione ha condizionato

enormemente la società e l’economia, accentuandone i caratteri utilitaristici e

individualistici. La conseguenza è stata l’affermarsi di una visione dei diritti

individuali come accumulo continuo di garanzie da preservare in un contesto

deprivato del senso di responsabilità da parte dei singoli cittadini o dei grup-

pi d’interesse nei confronti della collettività e dei beni comuni. E tale visio-

ne ha permeato la politica e i rapporti tra lo Stato e le forze sociali organiz-

zate, che hanno smesso di guardare a valori e obiettivi di interesse generale e

hanno ridotto le proprie funzioni, a volte, ad un mero esercizio di mediazio-

ne al ribasso tra interessi particolaristici e, spesso, ad una continua domanda

e offerta di sostegni, favori e privilegi in cambio di consenso elettorale.

Ancora una volta, come sovente è accaduto nella storia del nostro Paese,

una grande conquista, in questo caso l’agricoltura moderna, è stata resa pre-

caria dall’esilità dei gruppi dirigenti dal punto di vista sociologico non meno

che di quello della loro cultura politica, mettendo a rischio l’acquisizione

stessa del risultato. E’ come se ad un certo punto la classe dirigente abbia

innanzitutto smesso di svolgere quella funzione educativa della coscienza

collettiva e del senso democratico dello Stato e delle sue regole, su cui si era

esercitata lodevolmente nella precedente fase della ricostruzione. Una disa-

mina, da questo versante, andrebbe compiuta a partire dall’opera dei ministri

che si sono avvicendati a Via XX Settembre dal secondo dopoguerra in poi,

da Fausto Gullo fino a Giovanni Marcora, che chiude il ciclo delle grandi per-

sonalità politiche che hanno diretto la fase più acuta della modernizzazione

dell’agricoltura italiana. E andrebbe completata con un esame dell’azione

svolta dalle organizzazioni agricole e dai loro leader carismatici, da Paolo

Bonomi a Giuseppe Avolio, Alfredo Diana e Arcangelo Lobianco per valutar-

ne gli innegabili meriti ma anche gli immancabili limiti.

Le eventuali responsabilità dell’élite tecnico-scientifica

Non pare fuori luogo porci, a questo punto, una domanda: ci potrebbe

essere stata anche una responsabilità dei tecnici, degli studiosi e dei ricerca-

tori operanti nella sfera pubblica che non hanno saputo o voluto leggere la

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Alfonso PascaleAgronomi protagonisti

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realtà, anche parzialmente, per non mettere in discussione le proprie convin-

zioni più profonde, e non hanno suggerito ai politici soluzioni diverse ai pro-

blemi che si presentavano o non si sono opposti all’attuazione di indizi con-

trastanti con le reali esigenze che la situazione poneva?

Con Giulio Leone scompare l’ultimo dei grandi tecnici di cui lo Stato si

è servito per portare l’agricoltura nella modernità. Egli era tra coloro che

hanno creato i presupposti per l’innovazione ma hanno poi condiviso l’inte-

ro processo di modernizzazione.

E’ dunque giunto il momento per riflettere su una siffatta questione,

indagando sulle vicende di una fase storica importante delle nostre campa-

gne, le cui propaggini arrivano fino ai giorni nostri. E’ indubbio che si tratta-

va di un’élite tecnico-scientifica fortemente pervasa dall’idea di uno svilup-

po senza fine e da una profonda fiducia nel progresso tecnico. Ma non sta qui

il limite, poiché senza questa grande apertura mentale non ci sarebbero state

innovazioni. L’errore sembra essere stato piuttosto quello di non aver com-

preso che la potenza della tecnica fosse pari alla sua pericolosità, e le sue pre-

stazioni non minori dei suoi rischi. E si è sopravvalutata la capacità auto

regolativa dei processi che si erano innescati, una volta abbandonati alla loro

spontaneità incontrollata. Pare fuor di dubbio l’insufficiente attenzione alla

perdita di beni relazionali e di capitale sociale delle campagne che il progres-

so tecnico portava con sé ma non in modo inevitabile; un’attenzione che si

poteva ottenere mediante un approccio interdisciplinare e un dialogo intenso

e permanente tra economisti, agronomi, sociologi, antropologi, storici e urba-

nisti. Separatezze autoreferenziali, conflitti e incomprensioni che proveniva-

no da lontano e che andrebbero indagati non permisero quel confronto. Una

carenza delle èlites culturali che non attenua le responsabilità della politica,

ma ci può aiutare a capire quanto è avvenuto effettivamente alle nostre spal-

le e a guardare con maggiore fiducia al futuro, col necessario spirito critico e

senza chiusure mentali.

Agronomi protagonisti

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Giulio Leone, uomo antico e moderno

Fabrizio De Filippis *

Nel concludere questa bella giornata in memoria di Giulio Leone e nel

ringraziare di cuore Luigi Rossi, l’Associazione degli Agronomi,

l’Associazione Rossi-Doria e tutti quelli che hanno affettuosamente contri-

buito alla sua riuscita, mi permetto di aggiungere una mia testimonianza.

E’ una testimonianza di tipo privato, sia perché della carriera e del lavo-

ro di Giulio Leone tanti hanno qui parlato, sia perché ciò che mi lega a lui è

il fatto di avere sposato Laura, una delle sue tre figlie.

Parlo, dunque, da familiare, ricordando come l’ho conosciuto tra le mura

domestiche, anche se nella mia esperienza professionale mi è capitato di fre-

quentare luoghi dove Giulio aveva operato e dove era viva e presente la scia

di stima, affetto e ammirazione che sempre lasciava: il Centro di Portici, la

SIDEA (Società italiana di Economia Agraria), l’INEA (Istituto Nazionale di

Economia Agraria), l’Associazione Manlio Rossi-Doria e, molto più recente-

mente, l’ANBI (Associazione Nazionale delle Bonifiche).

Giulio Leone era un uomo antico e moderno nello stesso tempo. Forse

non a caso, visto che ha iniziato a lavorare alla fine degli anni trenta del seco-

lo scorso, girando a cavallo per la Ducea di Bronte, e ha smesso una sessan-

tina di anni dopo, quando l’era di internet era già iniziata.

Antichi erano la sua signorilità, la sua educazione, la sua delicatezza, il

suo decoro, il suo linguaggio, i suoi biglietti di ringraziamento, il suo incrol-

labile rispetto per le tradizioni e per le istituzioni.

Moderna era la sua inesauribile curiosità per le cose nuove, il suo meti-

coloso impegno nell’essere informato, il suo interesse per i giovani e le loro

scelte e, soprattutto, la sua fiducia nel progresso della tecnologia.

Giulio, a differenza di tante persone della sua generazione, non ha mai

diffidato del progresso tecnico; anche quando era molto avanti con gli anni,

non lo ha mai considerato un fenomeno produttore di inutili o pericolose dia-

volerie. Nella sua formazione di tecnico illuminato c’era ben saldo tutto l’ot-

timismo positivista di chi è convinto che la tecnologia sia utile e dominabile

dall’uomo.

*Fabrizio De Filippis, Direttore del Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.

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Fabrizio De FilippisAgronomi protagonisti

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Nel sottolineare questa caratteristica di Giulio, provo molta tenerezza nel

ricordare come il suo approccio aperto verso il progresso tecnico conviveva

con la sua profonda, irrimediabile negazione manuale e, dunque, con la sua

totale incapacità materiale di gestire i prodotti della tecnologia, anche quelli

non particolarmente avanzati, quali radio, televisione, automobili, impianti di

allarme. Giulio era in grado di fare danni seri anche solo maneggiando un

telecomando, poteva ferirsi gravemente avvitando una lampadina o rischiava

di far saltare la corrente di un intero quartiere infilando una spina. Eppure,

tenacemente, come in tutte le sue cose, non demordeva e non si sentiva per

nulla subalterno o “impedito”: impunemente, usava telecomandi, avvitava

lampadine e infilava spine, seminando il terrore tra i familiari.

Nemmeno il computer lo metteva in soggezione; magari lo chiamava

“calcolatore elettronico”, ma non ne aveva alcuna paura; molto prima di tante

persone più giovani di lui, certamente molto prima delle sue figlie, che pure

oggi navigano disinvoltamente su internet, Giulio aveva capito che non si

trattava di un oggetto pericoloso ma di qualcosa di molto simile a un potente

elettrodomestico di cui servirsi.

Purtroppo, Giulio il computer non lo ha mai usato direttamente: scrive-

va molto – dalle sue memorie private a numerose lettere per avvocati o ammi-

nistratori di condominio – ma lo faceva con una gloriosa Olivetti Lettera 32,

della quale era diventato difficile trovare i nastri. E mi preme ricordarlo anche

per liberarmi di un senso di colpa e di un rimpianto, perché sono stato io a

tenere lontano Giulio dai computer. Quando, infatti, intorno ai novant’anni,

Giulio mi comunicò la sua volontà di informatizzarsi e di acquistare un com-

puter, io lo disincentivai, perché pensai che la sua poca vista e la sua scarsa

manualità per la manovra del mouse avrebbero potuto avvilirlo: forse soprav-

valutai le difficoltà che avrebbe incontrato e certamente sottovalutai la tena-

cia con cui avrebbe affrontato l’impresa; dunque, pur avendo agito per pro-

teggerlo, probabilmente ho contribuito a farlo sentire più vecchio.

Chiudo dicendo che mi consola il fatto che negli ultimi anni della sua

vita Giulio abbia potuto utilizzare indirettamente il computer e almeno parte

delle sue potenzialità per mano di sua figlia Laura: che gli scaricava foto,

immagini o informazioni per rispondere ai tanti quesiti o curiosità stimolati

da un film, un libro, una discussione, un ricordo.

Fabrizio De FilippisAgronomi protagonisti

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Così, mentre nella sua libreria custodiva gelosamente un’antica e ama-

tissima edizione della enciclopedia Treccani, per tenersi aggiornato Giulio

non disdegnava la consultazione di Wikipedia.

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Agronomi protagonisti

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Memorie di Giulio Leone

Gli inizi del Lavoro, gennaio 1937 - novembre 1940

La Ducea di Bronte – Maniace, 1940 - 1943

L’O.N.C. – Licola e il Basso Volturno, 1944 - 1950

I primi tempi della Riforma Agraria, 1949 - 1952

La Malaria e la Cassa per il Mezzogiorno

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Agronomi protagonisti

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Per le mie figlie

GLI INIZI DEL LAVORO

(gennaio 1937 - novembre 1940)

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Gli inizi del lavoroAgronomi protagonisti

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Tornato dagli esami di stato di Bologna poco prima di Natale 1936, ebbi

dal nonno de Cillis comunicazione di poter lavorare come assistente straordi-

nario presso l’istituto di Chimica Agraria di Roma. L’Istituto, oggi divenuto

“Istituto della Nutrizione Vegetale”, era ospitato allora nell’ultimo piano

della Società Geografica Italiana, al centro di villa Celimontana, con l’ingres-

so, ancora attuale, dalla bellissima piazza della Navicella al Celio. Non era

stato ancora costruito nella stessa villa il grande edificio che, oggi proprio

dell’Istituto, riunisce laboratori, uffici ed abitazione del Direttore. Questa

carica era coperta dal Prof. Tomassi, calabrese, ideatore di una teoria sulla

funzione del fosforo nel terreno, che aveva allora una qualche eco. Il genio

dell’Istituto era Luigi Marimpietri, chimico, profondo conoscitore dei mecca-

nismi nutrizionali delle piante e del terreno, dotato di una grande facoltà di

comunicazione e di istruzione, carico, oltre tutto, di una umanità e di uno spi-

rito di amicizia ammirevoli. Marimpietri è scomparso immaturamente negli

anni cinquanta, se non ricordo male, ma la sua memoria è incancellabile in

chi l’ha conosciuto. Con Lui mi legai fortemente e mi arricchii della Sua

scienza. Fui addetto alla determinazione, in laboratorio, delle quantità di

fosforo nel terreno, lavoro ripetitivo, non certo costruttivo, che mi dette solo

la gradita occasione di visitare l’Agro Pontino, allora appena bonificato e

colonizzato dall’O.N.C. per il prelevamento di campioni di terreno. Andavo

in treno fino a Littoria (oggi Latina) e dalla stazione con una bicicletta prele-

vavo i campioni e, qualche volta, sostavo nel Centro o nei Borghi Rurali.

Il lavoro all’Istituto durò pochi mesi, perché Angelini che aveva sostitui-

to il nonno nella cattedra di Agronomia e Coltivazioni Erbacee della Facoltà

di Portici e che era nel contempo Presidente della Confederazione Fascista

dei Lavoratori dell’Agricoltura, mi volle nella sua grande Organizzazione. Mi

assegnò all’Ufficio Bonifica, diretto dal Dott. Potenza, ed alla sua Segreteria,

diretta da Marco Castellacci e frequentata da Nino Falchi, con i quali strinsi

una salda amicizia.

La Confederazione aveva allora sede al largo di S. Susanna, abbellito

dalla fontana del Mosé, in pieno centro di Roma. Di lì, nel giugno del ’37, se

non sbaglio, assistetti alla visita di Hitler a Roma ed alla sfilata del corteo.

Presto, alla fine del ’37 o nel ’38, fu costruita la bella sede di Corso

d’Italia, dove ora è la C.G.I.L., e dove ebbi una stanza al terzo piano per la

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Gli inizi del lavoroAgronomi protagonisti

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bonifica ed un tavolo nella Segreteria di Angelini. Mi interessavo, attraverso

le novanta e più Unioni Provinciali allora esistenti, delle opere di bonifica e

di colonizzazione che interessavano i lavoratori agricoli e, dotato di un per-

manente in I classe valido per tutta la rete ferroviaria, visitai molti compren-

sori di bonifica del Nord e più ancora del Sud, interpretandone gli sviluppi e

le necessità sociali.

Il lavoro mi portò in Sicilia a dirigere i lavori di trasformazione del

Demanio Civico di S. Pietro di Caltagirone, dove andavo qindicinalmente per

qualche giorno. A Catania era segretario dell’Unione Provinciale Diano

Brocchi, figura di umanista e di uomo di cultura, prestato al fascismo, del

quale non era certo interprete fedele.

Qualche volta nei viaggi andavo col mio Capo Ufficio, Potenza, e fu in

una certa occasione in cui l’addetto agrario dell’Unione, Montemagno, che

gli aveva inviato una cassetta di arance senza riceverne ringraziamento, gli

chiese come erano le arance e si sentì rispondere, incomprensibilmente ed

inaspettatamente un “pessime”, che ci gelò tutti.

A Santo Pietro di Caltagirone furono costruite 27 case coloniche, furono

innestati migliaia di olivastri, furono piantati piccoli appezzamenti di vigne-

ti, ma non si potette fornire di acqua corrente le case: i vasi dei w.c. divenne-

ro, così, in alcuni casi, i recipienti per salare le olive. Non sono più tornato,

pur negli anni in cui sono vissuto in Sicilia, a Santo Pietro, ma ho saputo che

quel magnifico terrazzo dal quale si vede il mare di Gela è fiorente di attivi-

tà e di lavoro.

Trascorsero così gli anni ’38 e ’39. Il 29 dicembre, di ritorno da Santo

Pietro a Catania, per riprendere le vacanze di fine d’anno e prepararmi per il

matrimonio con Adriana l’8 gennaio, mi sentii influenzato; sul treno chiesi ed

ottenni una cabina letto. La mattina del 30 dicembre il treno entrò velocemen-

te nella stazione di Torre Annunziata; il macchinista non aveva visto il segna-

le di arresto. La locomotiva e le vetture che seguivano, tra le quali la carroz-

za letto dove ero io, si schiantarono e penetrarono in molti vagoni di una tra-

dotta militare e civile che sostava sul binario di corsa. Fu una strage; la vet-

tura letto oscillò, uscì dai binari, si inclinò ma non si fracassò, anzi, purtrop-

po, fece da tampone alle altre. Sotto il mio finestrino, tra i rottami della vet-

tura postale della tradotta, bloccato con le gambe dalla struttura ferrea del

Gli inizi del lavoroAgronomi protagonisti

- 73 -

vagone, giaceva agonizzante l’ufficiale postale e sussurrava: “salvate le assi-

curate”. I morti furono più di cento, centinaia i feriti. Mi detti anche da fare

per aiutare le vittime. Riuscii a telefonare a Portici a zia Maria che mi venne

a prendere con la sua “ cinquecento” e mi portò innanzi tutto a ringraziare la

Madonna a Pompei.

Nove giorni dopo si celebrò il matrimonio con Adriana. Finì la mia vita

di scapolo ma anche la mia residenza a Roma. Vi avevo vissuto all’inizio in

camera ammobiliata, poi in via dei Banchi Vecchi, di fronte Ponte S. Angelo,

in una vastissima camera con due letti, bagno proprio ed uso del soggiorno,

locatami da un amico di Castellacci, Romanini, poco più grande di me, anche

egli solo, assistito da una buona governante, che provvide anche a me. I pasti

li presi sempre fuori, quando ero a Villa Celimontana ed al Largo di S.

Susanna in un ristorante all’angolo di via Piemonte sottostante di pochi gra-

dini la strada; quando ero poi a Corso d’Italia da “Andrea” in via Sardegna,

quasi all’angolo di via Veneto. I due ristoranti esistono ancora. Prezzi di allo-

ra per un pasto: rispettivamente L. sei e L. otto!

In una splendida giornata invernale, calma e soleggiata, l’8 gennaio vi fu

l’attesissimo matrimonio; era il primo che si celebrava fuori casa Pensa e

costò molta opera di convinzione ad Adriana. Prima in Chiesa

all’Ascensione, poi al Grand Hotel che era allora dove è adesso il Consolato

degli Stati Uniti: fronte mare col sole che ci inondava. Vennero il nonno,

Angelini, i più stretti parenti Pensa; Renato arrivò all’Ascensione vestito da

soldato con le fasce. Unica omissione le fotografie. Tutto fu familiare, affet-

tuoso, allegro. Pochi passi e fummo al vaporetto per Capri: isola deserta , per-

ciò ancora più piacevole. Ci ospitò l’hotel Tiberio; a cena eravamo l’unica

coppia, contornati da uno stuolo di camerieri. Il soggiorno fu bellissimo, sem-

pre con buon tempo e sole. Matermania, il salto di Tiberio, Anacapri, la casa

di Axel Munthe furono, con altre più note, le nostre mete.

Poi venne il viaggio in vettura letto per Cortina: anche lì buon tempo e

molta bella neve. C’era una certa emulazione sciistica tra me ed Adriana, ma

lei poverina prese una storta al terzo giorno e non poté gareggiare con me.

Questo non ci evitò, però, di fare un po’di mondanità notturna e la prima sera

Adriana si impigliò nell’abito da sera ed entrò in sala scivolando sugli ultimi

gradini. L’albergo era “Il Cristallo”, uno dei migliori.

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Gli inizi del lavoroAgronomi protagonisti

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Al ritorno a Roma, dove avevamo già affittato una casa in via di

Priscilla, di proprietà di un amico di famiglia che volle una cauzione di

L.4000 (di allora) mai restituite, trovai la lettera del mio trasferimento a

Palermo. Angelini era stato sostituito da un certo Lai, il quale aveva creduto

opportuno spostarmi.

Presi servizio presso l’ufficio di Coordinamento delle Unioni Provinciali

Lavoratori, diretto da Borghesi, settentrionale, sindacalista vecchio stampo e

bravissima persona, il quale mi affidò un compito di rilevazioni e di studi.

A Palermo fummo ospiti per più di un mese di Irma ed Ettore, affettuo-

sissimi, come sempre. Poi prendemmo casa in un palazzo nuovo di via

Libertà, di fronte a villa Pottino, famiglia con la quale Adriana strinse rappor-

ti di amicizia. Lì il 4 novembre del ’40 nacque Franca ed, in quella occasio-

ne, venne da Napoli, ad assistere Adriana, zia Maria.

Della mia … inabilità di cuciniere, quando Adriana non si sentiva bene,

si raccontano molti episodi comici, come quello delle seppioline che volava-

no dalla graticola sulle pareti della cucina. Favole?!

Rividi a Palermo molti compagni di Università: Memmo Inglese, aristo-

cratico locale, Luigi Scialabba, attivo agricoltore con proprietà verso Termini

Imerese, Accardo ed altri amici.

Non facemmo in tempo ad arredare completamente la casa – avevamo

comprato una stanza da pranzo stile ‘400 da Memmo ed avevamo fatto

costruire alcuni mobili male impellicciati da un falegname che si chiamava

Cocilovo, quando Mazzocchi Alemanni mi chiamò per mandarmi a Bronte.

Per un mese circa Adriana e la piccola Franca rimasero a Palermo: poi

chiudemmo casa e mettemmo in magazzino i nostri mobili.

Il 10 giugno era intanto cominciata la guerra: il giorno dopo due piccoli

aerei francesi spezzonarono Palermo. Maniace era anche un rifugio.

Io fui richiamato dal distretto di Adrano, ma rilasciato perché Direttore

di una grande azienda.

Agronomi protagonisti

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Per le mie figlie

LA DUCEA DI BRONTE – MANIACE

(1940 - 1943)

“Breve, felice, strana parentesi”Nunzio Galati: “Maniace, l’ex Ducea di Nelson”

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La Ducea di Bronte – ManiaceAgronomi protagonisti

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Dal novembre 1940 al luglio 1943 ebbi l’incarico dall’Ente di coloniz-zazione del Latifondo Siciliano di dirigere l’Azienda Ducea di Bronte, occu-pata per legge di guerra dal Banco di Sicilia ed espropriata, come aziendadimostrativa, ai sensi della propria legge, dall’Ente.

Il Castello di Maniace

Il nome della località deriva da quello del generale che, inviato dall’im-

peratore bizantino di Costantinopoli, sbarcò a Messina e sconfisse, nelle

piane circostanti l’attuale Castello, l’esercito arabo, nell’estate del 1040, riti-

randosi quindi, per sopravvenute difficoltà della Corte, a Bisanzio.

Il Castello, che prende il nome, non domina da alcuna altura, ma control-

la il guado del fiume, dove in epoca recente è stato costruito un ponte in

legno; questo è il passaggio obbligato per chi vuole dalla strada statale sopra-

stante 120 accedere al territorio della Ducea.

Il fiume in quel tratto, col nome di Saracena, che più a valle diventa

Simeto, scorre con piene invernali e consistenti fluenze estive, veloce e libe-

ro nel proprio alveo, che si è scavato tra le lave discendenti dall’Etna e le col-

line argillose dei Nebrodi, lasciandosi attorno ampie zone piane alluvionali.

Arrivai al Castello in una sera autunnale, brumosa e fredda, provenendo,

con un lungo viaggio, da Palermo, attraverso le strade interne di quella parte

dell’Isola.

Il grande portone del Castello era chiuso e si aprì ai colpi ripetuti di clac-

son. Intravidi, illuminato da lampade a petrolio, il portico di ingresso, soste-

nuto da un colonnato, ed oltre di esso il cortile.

Nel portico, a destra, erano allineati una ventina di “campieri”, in divisa

verde e cappello alpino con piuma, che sollevarono in segno di saluto. Sulla

sinistra sostava un piccolo gruppo di impiegati della Azienda e, con pantalo-

ni alla zuava e calzettoni, il fattore.

Una guida rossa conduceva al portone in noce di accesso alla scala che

saliva all’appartamento ducale, anch’essa coperta da una guida rossa. Lungo

i gradini della scala era schierato il personale di servizio alla casa ducale:

l’anziano maggiordomo in tenuta blu, capelli bianchi e lunghe basette; il

cameriere, la cameriera, il primo in giacca e la seconda con grembiule inami-

dato; il cuoco, il Vice cuoco e l’inserviente addetto, in particolare, ai camini

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Agronomi protagonisti

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dell’appartamento.

Tutti erano siciliani, anzi brontesi, qualcuno dei vicini comuni di Maletto

o Randazzo. Nessuno, compreso il fattore, l’autista, il maggiordomo, i cam-

pieri ed il personale tutto, molti provenienti dalle famiglie contadine, masti-

cava una sola parola di inglese.

Per me l’ambientamento fu facile: avevo venticinque anni ed avevo già

lavorato in Sicilia nel Demanio Civico di S. Pietro di Caltagirone. Conoscevo

e tentavo di parlare il dialetto.

La sera si cenò, con i miei accompagnatori del Banco di Sicilia, Dott.

Ribaudo, Direttore della filiale di Catania e Dott. Tocco, nell’appartamento di

servizio; quello ducale era sotto inventario e desideravamo tenerlo riservato.

Al lato destro, entrando nel portico, di fronte alla porta di accesso alla

scala dell’appartamento ducale, dietro la stanza di portineria, si scendevano

pochi scalini e ci si trovava dinanzi al portale della Chiesa, sorretto dall’arco

in pietra cesellata, risalente al X secolo.

La Chiesa, grande, alta, disadorna, era coperta da un soffitto sostenuto

da robuste travate di quercia.

Sulla facciata del Castello si sviluppava l’appartamento di servizio, che

fu quello abitato da noi, che preferimmo non utilizzare l’appartamento duca-

le, lasciato nelle condizioni in cui si trovava. Di esso furono usate la stanza

di soggiorno, col grande camino e la sala da pranzo in stile gotico, rivestita

in legno, in occasione di visite di personalità di riguardo. Solo in un secondo

tempo, l’ultima parte dell’appartamento, che era in comunicazione con gli

uffici, fu adibita ad abitazione del Direttore dell’Azienda e, quindi, separata

dal resto del corridoio e delle stanze da letto alle quali esso dava accesso.

Il primo cortile del Castello era, dal lato occidentale, dominato, appun-

to, dall’appartamento ducale; in fronte al cortile vi era la palazzina ad un

piano, adibita agli uffici, che fu da noi ammodernata. Dietro di essa correva

un corridoio scoperto, a picco sul fiume, che si guardava da feritoie assieme

col ponte.

Nel centro del cortile si ergeva la croce, in pietra lavica, con le braccia

raccordate da un cerchio, ai piedi della quale, su di un ceppo, anch’esso lavi-

co, era scolpita la scritta “Heroi Immortali Nili”.

L’altro lato del cortile accoglieva magazzini minori ed il frantoio

Agronomi protagonisti

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oleario. A metà si apriva l’accesso carrabile al secondo cortile, il lato orien-

tale del quale era tutto occupato dal grande magazzino delle granaglie, capa-

ce di molte migliaia di q.li di grano e di legumi, provenienti dalle gabelle e

dalle metaterie che corrispondevano i loro fitti in natura o li dividevano sul-

l’aia, trasportandoli poi al magazzino …

Nel secondo cortile si aprivano anche le scuderie dei cavalli e dei muli,

alcuni locali per il maniscalco ed il fabbro (fuori il Castello e nelle adiacen-

ze di esso vi era la falegnameria); da un andito a cielo aperto si accedeva al

magazzino di cognac, distillato dai vini della Ducea.

L’Azienda Agricola

L’Azienda aveva una estensione complessiva di cinquemila e settecento

ettari ed era, all’epoca, tra le più grandi se non la più grande di quelle esisten-

ti in Italia. Se ne era tentata, poiché di proprietà inglese e così appartata, di

farne dichiarare la extra territorialità, ma non la si era mai ottenuta.

Era costituita in tre corpi. Quello centrale, in piccola parte al di qua del

Saracena, dove era il Castello e la massima parte al di là della riva settentrio-

nale del fiume; un secondo ed un terzo corpo, vicini tra di loro, erano sotto

l’abitato di Bronte, sulla riva sinistra del Saracena, divenuto Simeto, al limi-

te delle lave, su una striscia alluvionale del fiume: una quarantina di ettari,

tutti impiantati ad agrumeto a Ricchiscia e a Marotta, e a Marotta anche a

pistacchieto con innesti dagli arbusti selvatici. Ricchiscia e Marotta, una

volta l’anno, all’epoca della vendita delle arance, in genere sull’albero, costi-

tuivano una delle consistenti ricchezze della Ducea.

Il corpo centrale dell’Azienda faceva capo a masserie isolate ed a rag-

gruppamenti di povere capanne, ricovero dei contadini coltivatori.

Ne ricordo solo alcuni: Fondaco, Porticelle Sottano, Balzi, Balzitti, le

più vicine al Castello; Porticelle Soprano, S. Andrea, Semantule, Biviere,

Petrassino Grappida, le più lontane. Nella pianura in destra del fiume, a valle

del Castello, sorgeva l’agglomerato di Boschetto Vigne, dove era installata,

ai margini di circa quaranta ettari di vigneto, la grande cantina, comprenden-

te i tini di vinificazione ed un complesso di una ventina di grandi botte di

rovere, capaci di conservare alcune centinaia di ettolitri del buon vino, parte

invecchiato, parte venduto o consumato nell’anno. Su di una collina

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Agronomi protagonisti

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dominante Boschetto sorgeva una palazzina, abitazione dell’addetto enologi-

co. Nelle vicinanze del Castello, sulla riva sinistra del fiume sorgeva l’olive-

to, costituito da molte centinaia di giovani piante, già in piena produzione.

A circa mille metri di quota, tre - quattrocento sopra la parte pianeggian-

te, sorgeva Otaiti, una graziosa palazzina ad un piano, residenza estiva della

famiglia del Direttore, perché non infestata dalle zanzare malariche. Dietro di

essa, a qualche centinaia di metri, c’era un’altra palazzina a solo pianterreno,

che, nel periodo della guerra, ospitava la anziana mamma di Lorenzino

Huges, Vice amministratore dell’Azienda, in quel periodo confinato nel

campo di concentramento. La Signora Hughes, non confinata, ma affidata

alla mia sorveglianza e protezione, ostentava nel suo ingresso una bella foto-

grafia di Re Giorgio V.

Vi era, sul versante opposto, a monte della strada statale 120, un altro

corpo della Ducea, al quale non si dava alcuna importanza, perché costituito

dalle lave improduttive dell’Etna, e che a monte confinava con la Strada

Statale circum-etnea e con la omonima ferrovia, nel tratto tra Maletto e

Randazzo. Nella sua parte orientale estrema, verso Randazzo, sboccava e si

disperdeva tra le lave un torrente proveniente dai Nebrodi, che d’inverno for-

mava un lago di una decina di ettari, asciutto d’estate e formato da profonde

fertilissime alluvioni, nelle quali per la prima volta feci coltivare, seminando

girasole, che produssero calatidi enormi, che non ho mai più viste tali. La

località si chiamava “La Gurrida” e non vi era neppure un casolare.

D’inverno tutta quella zona lavica era brumosa ed, una volta – ero solo – persi

l’orientamento nella nebbia fitta e per ritornare mi affidai all’orientamento

del cavallo, lasciandogli le briglie sciolte.

Questo, a grandi linee, approssimate ormai da un sessantennale ricordo,

era il territorio della Ducea, dono di Ferdinando IV di Borbone a Nelson, che

lo ricondusse a Napoli, dopo la repressione della Repubblica Partenopea, nel

1799. Il feudo era appartenuto all’Ospedale Maggiore di Palermo, che se lo

vide espropriato. Nelson non vi andò mai; vi andò invece una nipote, figlia

del fratello di Nelson, che aveva ereditato dallo Ammiraglio. Questa nipote,

Charlotte, aveva sposato un Hooh, visconte di Bridport, il cui nome si unì a

quello di Nelson per indicare il titolo nobiliare proveniente dalla Ducea.

Negli anni di gestione dell’Ente fu acquistato, a monte della Ducea, in

Agronomi protagonisti

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montagna, un altro tenimento di circa 1.300 ettari, con un vecchio decadente

casolare ed adibito solo a pascolo: si chiamava Mangalavite e Botti. Esso fu

unito nella gestione a quella della Ducea, che superò, quindi i settemila etta-

ri e rimase, fin dopo la guerra, in proprietà dell’Ente.

Per raggiungerlo ci volevano circa tre ore di cavallo dalla Ducea e quat-

tro da Bronte. Andandoci, una volta, dopo aver lasciato la Ducea, in una bru-

mosa alba di autunno, persi un mulo, precipitato dalla trazzera a picco lungo

la pendice.

Il personale

Delle persone, o per meglio dire, del personale dell’Azienda, sarà bene

distinguere quello proprio già in servizio alla Ducea, che lasciammo inaltera-

to e quello proveniente o distaccato dall’Ente del Latifondo.

Tra i primi non si può iniziare se non da una persona, anzi per la propria

forte marcazione di carattere, volontà ed attività, da un personaggio: il fatto-

re. Mario Carastro era l’anima della Azienda. Viveva a Maletto ed arrivava al

Castello poco dopo l’aurora. Conosceva a menadito masserie, terreni, gabel-

loti, contadini. Sapeva la storia di tutti: duchi, amministratori, impiegati,

campieri, questi ultimi, tutti, passati per le sue mani. Rispondeva in prima

persona di ogni cosa. Le sue mansioni si estendevano ai magazzini, alla can-

tina, all’impianto oleario. Lo accusavano, come magazziniere, di far pesare la

bascula un attimo prima della fine dell’operazione e di guadagnare qualche

chilo di più per l’amministrazione. La sua abilità non era solo questa, del

resto modesta: sapeva trattare la gente, negoziare, prevedere le necessità,

farvi fronte anche durante quel difficile periodo della guerra. Ci fu amico e

devoto, pur mantenendo – credo – qualche contatto con gli ex avvocati cata-

nesi della Ducea. Anche la sua figura era tipica: vestito quasi sempre con la

zuava, agile e saltellante, buon cavallerizzo e sobrio di abitudini. La sua fun-

zione ed il suo lavoro ci furono utilissimi. Per anni, dopo il mio allontana-

mento, tenne rapporti con me, fino alla sua morte.

Mario non estendeva, almeno in apparenza, i suoi poteri agli agrumeti –

Ricchiscia e Marotta – che erano diretti da un agronomo, il Dott. Alfio

Nicolosi, nativo di un paese del versante orientale dell’Etna e che risiedeva a

Bronte. Era un esperto e con lui le piantagioni non soffrirono, pur private, a

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Agronomi protagonisti

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causa della guerra, dei necessari fitofarmaci.

Vi era poi la schiera dei campieri, ciascuno sorvegliante di una o più

masserie. Ne era a capo Lo Castro, ed in collaborazione, con lui agivano

Bianca, Serravalle Germanà ed altri dei quali non ricordo più i nomi. Tutti

vestivano la divisa verde scuro, tutti si coprivano col cappello all’alpina.

Tutti, compreso qualche impiegato di ufficio ed il personale di casa, doveva-

no radersi ogni giorno e presentarsi sempre in ordine e con decoro.

Del personale di casa si è già detto; spiccava tra di esso la figura del

maggiordomo anglo - brontese, il quale ci serviva anche a tavola. Prestava

servizio come autista, ma era anche un bravo meccanico, Luigi, il fratello del

fattore Mario, persona di grande bontà e capacità, sempre pronto a rendersi

utile.

Tra il personale addetto alle scuderie, non si può non ricordare lo stallie-

re-capo, Nicola Leanza, straordinario cavallerizzo, e di lui bisogna ancora

ricostruire la coraggiosa sottrazione ai soldati tedeschi, che l’avevano seque-

strata e portata lontano in montagna, della cavalla Nina, la migliore e quella

che io usavo ordinariamente: ne identificò il ricovero, vi penetrò di notte, elu-

dendo la sorveglianza dei tedeschi, la sciolse, vi montò a pelo, la ricondusse

galoppando fino al Castello e, poi la nascose. Nicola Leanza si trasferì, dopo

il pensionamento a Torino presso parenti immigrati e lì è morto una decina di

anni fa. Fino all’ultimo mi ha scritto ed io gli ho risposto.

Io ero stato assunto dall’Ente ed avevo lasciato l’incarico di funzionario

tecnico della Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Agricoltura e subi-

to inviato a dirigere la Ducea. Tra i dipendenti dell’Ente, come me, spiccava

per l’altezza e la corporatura, oltre che per la capacità professionale, il ragio-

niere La Monica, vicino o poco oltre l’età della pensione; era il capo della

contabilità dell’Azienda e veniva coadiuvato, in questa funzione da un ragio-

niere, palermitano come lui, che aveva preso alloggio con la giovane, bella

moglie, nella palazzina di Boschetto Vigne. Un altro impiegato della Ducea

lavorava in ufficio come diretto collaboratore, il signor Visalli, che mi seguì,

poi nel ’44, a Licola, dopo essersi sposato non più giovanissimo. Avevo, inol-

tre, un giovanissimo segretario personale, l’attivissimo Irrera, di una famiglia

di Taormina. Curava i lavori edili, stradali ed idraulici della Azienda il geom.

Jannicelli, che abitava con la famiglia in un fabbricato vicino al Castello;

Agronomi protagonisti

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questa famiglia ospitò la piccola nostra Franca, due anni, quando nacque

Marinella. Negli ultimi tempi mi era stato assegnato anche un Vice Direttore,

Turi Caliri, un dottore in agraria di Catania.

Prestavano, inoltre, la loro consulenza all’Ente e, quindi anche a me, per

la sistemazione dei terreni i Dott. Agronomi Sardo e Barbagallo, entrambi

liberi professionisti di Catania. Le loro visite erano saltuarie e non facili

erano i corsi che essi tenevano ai contadini.

Infine, il Prof. Emilio Zanini, veneto, e ordinario di agronomia nella

Università di Palermo, dava la propria personale consulenza e veniva qualche

volta in Azienda, trattenendosi alcuni giorni.

Nell’ambulatorio, che istituimmo, operava il giovane ed attivissimo

medico, il Dott. Pappalardo, anch’egli di un paese etneo ed una brava, non

bella levatrice siciliana, che rividi, anni dopo, quando lavoravo all’O.N.C. nel

Basso Volturno. Nei pressi del castello era installata una caserma dei

Carabinieri, con pochi militi al comando di un brigadiere.

Avevamo aumentato il numero delle scuole elementari, distaccando

alcune prime classi presso le masserie più lontane ed avevamo, quindi, un

nucleo di maestre che andavano e venivano da Bronte.

I Contadini

Lavoravano la terra oltre cinquecento famiglie. Eccettuati pochi bronte-

si, coloni di piccoli appezzamenti a Ricchiscia e Marotta o, in pianura, negli

immediati dintorni del Castello, ed alcuni di Maletto sulle “sciare”, tutti gli

altri provenivano dalla montagna dei Nebrodi, prevalentemente da Tortorici,

meno da Ucria: due paesi arroccati su pendici, ed allora inaccessibili per

mancanza di strade rotabili, sforniti di acquedotto e di qualsiasi altro servizio

civile. Il loro mezzo di trasporto era la “cavalcatura”, asino o mulo, per i più

agiati il cavallo. Si distinguevano affittuari che avevano alle dipendenze pic-

coli affittuari o “metatéri” – ed erano i “gabellotti”, e piccoli affittuari o meta-

téri che avevano in concessione i terreni direttamente dall’Amministrazione

della Ducea. I contratti di affitto prevedevano tutti la corresponsione del

canone in natura, grano per lo più, ma anche segale, fave e talora, ma in pic-

cola parte, la “trimilia”, frumento tenero con farina bianchissima, adatta per

i dolci. I gabellotti, ma anche qualche “terraggere” con superficie più

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Agronomi protagonistiAgronomi protagonisti

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rilevante, erano tenuti a corrispondere, in più del fitto in natura, i “carnaggi”:

qualche agnello o capretto, polli, ceci o lenticchie di buona cottura, talora

frutta di stagione. I carnaggi andavano alla cucina ducale o a quella degli

impiegati.

Riducemmo, più volte, nei casi estremi ed in una annata particolarmen-

te sfavorevole, i canoni di affitto, ma era un principio rischioso per gli equi-

libri fra i coltivatori e per quegli stessi della amministrazione.

A fianco al contratto di affitto, era istituito, per i terreni più buoni, il con-

tratto di metateria: la divisione a metà del prodotto ottenuto, sull’aia, con

carico di trasporto al magazzino aziendale; non era prevista per i metatéri

alcuna anticipazione di sementi o concimi; tuttavia noi la demmo e, con paga-

mento anche differito al raccolto; la estendemmo anche ai gabellotti ed ai ter-

rageri.

Nei paesi di provenienza, dagli inverni freddi, i contadini avevano case

in pietra, molto povere; i più poveri, tra di loro, baracche o capanne di argil-

la, coperte da paglia. Queste ultime erano l’abituale ricovero nella Ducea. Di

dimensioni ridotte a pochi metri quadrati, circolari, con pavimento in terra

battuta; spesso la struttura era in pietra, anziché in argilla, con fessure dalle

quali proveniva il vento. Erano tutte senza alcun arredo, se non qualche tre-

spolo in legno e qualche pentola, senza letti. Costituivano il rifugio estivo ed

invernale di adulti e bambini: segno di una povertà e di un livello di vita non

uguali, anche in quell’epoca in Italia.

Quando riunivano nelle masserie e negli agglomerati di capanne questa

povera gente la vedevamo rassegnata, uomini e donne coperti da vestiti lace-

ri, scalzi o con le ciocie fatte di pezza di copertoni d’auto.

Il contatto col mondo civile era, per gli uomini, il servizio militare e vi

erano molti sotto le armi a causa della guerra; per le donne era l’ospedale o

il servizio in città; per i bambini non certo la scuola.

L’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano

L’Ente fu istituito con D. L. del 2 gennaio 1940, n°1, alla vigilia, quindi

della guerra. Suo compito era procedere all’appoderamento ed alla valorizza-

zione dei latifondi dell’Isola, sulla scia di quanto contemporaneamente face-

va l’Opera Nazionale per i Combattenti (O.N.C.) nel Tavoliere di Puglia e nel

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Basso Volturno. Poteva imporre obblighi alla proprietà e, in caso di inadem-

pienza, poteva espropriarla per compiervi le opere, così come poteva espro-

priare e compiere le opere in aziende particolarmente dimostrative: era que-

st’ultimo il caso della Ducea, con il quale in verità si mascherava una espro-

priazione di un bene appartenente a suddito nemico.

Ne fu messo a capo un tecnico di gran valore, che aveva già diretto la

bonifica e la valorizzazione dell’Agro Pontino: Nello Mazzocchi Alemanni,

uomo di grande cultura umanistica. Era nato a Todi e, nei suoi primi anni di

lavoro, aveva seguito mio nonno, Emanuele de Cillis, in Tripolitania ed in

Cirenaica ed era stato, in quella colonia, collega anche di mio padre. Era un

Uomo che credeva fermamente nella propria missione; troppo idealista,

forse, per agire in un ambiente, come era quello dei grandi proprietari del-

l’epoca.

Come ho detto, io lavoravo già in Sicilia, dove, tra l’altro, ero stato

Direttore dei lavori di trasformazione del Demanio Civico di S. Pietro di

Caltagirone. Fui arruolato, congedato dal servizio militare ed inviato a diri-

gere la Ducea che, in quel momento, aveva un ruolo di rifornitrice alimenta-

re dell’esercito e della popolazione civile.

Con Mazzocchi vi era Innocenzo Fiori, anch’egli reduce dall’Agro

Pontino ed erano inquadrati nell’Ente dirigenti di valore, tra i quali come

Capo del Servizio Tecnico l’ingegnere Pasquini e, come Capo del Servizio

Amministrativo, il Dott. Cardinale. Con essi i rapporti non furono sempre

idilliaci; io ero esposto dinanzi a una comunità e con responsabilità operati-

ve, che non potevano attendere i tempi burocratici. In una occasione, a causa

delle indecisioni e dei ritardi nella fornitura delle molte migliaia di q.li di per-

fosfato, necessario alle semine autunnali, arrivai alle dimissioni, rientrate poi

per l’intercessione di amici.

Nelle azioni amministrative, contrattuali e legali ero assistito da un

avvocato di Catania, Nicola Spadaccini, buon conoscitore dell’ambiente

imprenditoriale e commerciale della Sicilia Orientale.

L’azione dell’Ente. I cambiamenti nella gestione

L’indirizzo, anche per la Ducea, era la stabilizzazione dei contadini-col-

tivatori e l’instaurazione di contratti più sostenibili da parte di essi, che

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Agronomi protagonisti

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avrebbero potuto favorire la trasformazione dei terreni ed il miglioramento

della produzione. Ciò doveva ottenersi, in primo luogo, con l’appoderamen-

to e la costruzione di case coloniche sui poderi.

Il mio primo compito fu quello di conoscere l’Azienda e mi ci volle

qualche settimana, uscendo di buon mattino, a cavallo, assieme col fattore, e

ritornando nelle ore meridiane – era pieno inverno – per dedicarmi al lavoro

di ufficio. Io montavo la cavalla Nina, robusta, veloce e dal piede sicuro; il

fattore montava il più nevrilico Polifemo, o un baio più tranquillo.

Dopo le ricognizioni e dopo le riunioni coi contadini, ai quali si comu-

nicarono le nostre intenzioni, accolte con l’indifferenza atavica e lo scettici-

smo dovuti alla lunga sofferenza, ci impegnammo nella ubicazione di un

primo lotto di case coloniche, subito appaltate dall’Ente e realizzate in que-

gli anni.

Una seconda preoccupazione furono – assoluta novità – le anticipazioni:

sementi, fertilizzanti, anticrittogamici e, in un secondo tempo, bestiame: le

rustiche e produttive vacche modicane, acquistate nella zona sud-orientale

dell’isola. Ne distribuimmo alcune centinaia. Comprammo inoltre alcuni trat-

tori di media potenza con i quali dissodammo alcuni terreni incolti ed aiutam-

mo i contadini per le arature.

Venne poi la modifica, in senso meno gravoso, dei contratti di terragge-

ria (fitto) e di metateria e, in ultimo, per valorizzare la zona lavica, a monte

della statale, ricca di conche di terra fertile, l’istituzione di un contratto di

enfiteusi con facoltà di riscatto, che anche oggi mi sembra un esempio di un

rapporto utile e felice.

Curammo, inoltre, il miglioramento della vita civile: scuole o prime

classi elementari, aperte anche agli adulti – l’analfabetismo era la condizione

comune – ambulatorio medico, ostetrica residente, servizio veterinario.

Larga attività fu dedicata alle manutenzioni delle masserie, dei fabbrica-

ti di servizio e delle poche strade rotabili.

Eravamo spronati nel nostro lavoro dalle frequenti visite di Mazzocchi

Alemanni, che la sera cenava con noi o con la mia famiglia, al lume delle

lampade a petrolio o all’acetilene.

Agimmo con la prospettiva di una continuità futura, senza preoccuparci

delle sorti della guerra, che pure incombeva col passaggio degli aerei; una

Agronomi protagonisti

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volta uno scontro tra caccia finì col precipitare di un apparecchio alleato e

con la morte del pilota, al quale demmo pietosa sepoltura. La disfatta in guer-

ra ci colpì e fu l’epilogo.

L’epilogo

Il 10 luglio del ’43 gli Alleati sbarcarono, pressoché incontrastati, sulla

costa meridionale dell’Isola, tra Gela e Licata. Lo stesso giorno Randazzo,

che era considerato un importante nodo stradale sulla via del Continente, fu

bombardata più volte; nei giorni seguenti venne ridotta ad un ammasso di

macerie non più alte di qualche metro e disseminato di cadaveri abbandona-

ti di bestiame e di uomini. Nelle prime ore di quel giorno dovetti andare lì in

banca e mi salvai per miracolo.

Eravamo in piena trebbiatura ed i militari premevano per aver grano ed

altri alimenti.

L’avanzata alleata fu rapida e fu fermata solo dalla Divisione Tedesca

Sicilien alle falde ed attorno l’Etna: dalla Piana alle porte di Catania, lungo il

Simeto, fino a Cesarò, sulla strada Cesarò S. Agata di Militello. Contribuì al

temporaneo arresto dell’avanzata, nella Piana, un’epidemia malarica, forse

imprevista. L’anno prima, previdentemente, i tedeschi avevano inviato in

Sicilia un gruppo militarizzato di biologi e di medici, che si erano fermati

alcuni giorni proprio alla Ducea, consumando, tra l’altro, le nostre non

abbondanti provviste di cibi freschi.

In quei giorni, oltre l’artiglieria che sparava da Cesarò, la Ducea fu

oggetto dei bombardamenti e dei mitragliamenti degli aerei alleati; fu rispar-

miato il Castello, forse per cognizione della sua proprietà; non furono rispar-

miate, invece alcune masserie, come S. Andrea, nella quale perdette l’intera

famiglia Bianca, il campiere. Avemmo in totale quattordici - quindici morti,

l’ultimo un ragazzo saltato su di una mina tedesca, al mio fianco, mentre ten-

tavamo rientrare al Castello, lasciato dalle truppe germaniche che lo avevano

occupato, impedendoci del tutto l’ingresso.

Di giorno e di notte si lavorava con le trebbie; di notte venivano i camion

dell’esercito a ritirare il grano. I micidiali lightining, a doppia coda, spazza-

vano e mitragliavano le strade. Arrestavano il mitragliamento a cento metri

dalla trebbia e lo riprendevano cento metri dopo. Omaggio, forse, alla fame

La Ducea di Bronte – Maniace La Ducea di Bronte – Maniace

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Agronomi protagonisti

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del popolo.

I bombardamenti, anche quelli aerei, si intensificarono. Ritenemmo,

allora, prudente ricoverarci tra i boschi in un vecchio caseggiato, nel quale si

sistemarono, su stuoie o su materassi, i circa quattordici ospiti di Catania e di

Taormina. Per noi i carbonai costruirono una capanna di rami d’albero e

fascine, ricoperta, per impermeabilizzarla dalla pioggia, di sterco di vacca.

Marinella soffriva molto di crosta lattea ed Adriana ne era afflitta. Io uscivo

all’alba per scendere a cavallo in Azienda e ne ritornavo a sera avanzata. Una

notte fui svegliato da rumori nel vicino fabbricato. Spadaccini, l’avvocato,

che soffriva di una disarticolazione del braccio, aveva subito una fuoriuscita

dell’arto e non riusciva a rimetterlo a posto con grande dolore fisico. Sellai la

cavalla e scesi al Castello, occupato dai tedeschi. Trovai un giovane ufficiale

medico austriaco che salì a cavallo con me e mise a posto il braccio a

Spadaccini.

Qualche sera ci allietavamo cantando, spesso con nenie siciliane.

Una notte di plenilunio, verso la fine di luglio, una libellula, monoala da

ricognizione alleata, mi dette la caccia. Correvo con la mia 500 e mi nascon-

devo in una zona di ombra, sotto gli alberi. Quella girava attorno, aspettava,

poi riprendeva il mitragliamento. Sulla strada per Otaiti scoperta, abbandonai

la macchina e procedetti in salita a piedi. Allora se ne andò. Adriana, mia

moglie, dal parapetto di Otaiti seguiva, atterrita, la scena.

Ai primi di agosto arrivarono, finalmente, gli alleati: erano americani,

allegri ed amichevoli; si infilarono nel Castello e scoprirono il magazzino del

cognac. Finì in un battibaleno. Ad essi cercai di spiegare che l’Azienda era

inglese e che avrebbero fatto bene a riprendersela. Non gliene importava

niente. Convissero, felicemente per loro, con noi più di una settimana. Salvo

l’asportazione prima del cognac, poi del vino, non ci dettero alcun fastidio.

Il brutto venne dopo. Un pomeriggio entrò nel cortile una jeep, con due

alti ufficiali inglesi; non ho mai capito se uno di essi era proprio il generale

Alexander, Town-major anche di Catania. Ci presentammo, io, il Vice

Direttore Turi Caliri e l’Avv. Spadaccini. Fummo investiti da una foga di con-

testazioni e di ordini. Ci fecero salire sulla jeep e ci portarono al carcere di

Bronte. L’accusa era di essere fascisti e la prospettiva era di essere spediti nei

campi di concentramento in Algeria.

Agronomi protagonisti

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Il carceriere ci conosceva e gli sembrò impossibile metterci in cella.

Aveva comprato allora una camera matrimoniale; il letto era ancora

avvolto nel cellofan. Ci sistemò lì e non chiuse nemmeno la porta.

Dormimmo in tre nel letto matrimoniale.

La mattina fummo chiamati alla sede dell’AMGOT. Un gruppo di con-

tadini, guidati da Maria, una cameriera che parlava l’inglese perché era stata

in America, era venuta a testimoniare in nostro favore: non fascisti ma perso-

ne per bene, anzi benefattori. L’ordine fu: liberi, ma abbandonare subito

l’Azienda e non rimetterci piede. Tornammo a Maniace: Mario aveva già

provveduto a mettere in viaggio le nostre famiglie e gli ospiti che avevamo.

I carretti erano già sulla strada di Taormina. A noi furono forniti i cavalli. A

metà giornata raggiungemmo la teoria dei carretti, che procedevano assieme

coi mezzi alleati verso la costa orientale.

Non fu facile entrare a Taormina: la città è contornata da mura e – mi

pare – vi siano soltanto due porte; quella orientale, che guarda la costa era

come l’altra – chiusa e presidiata di militari inglesi, che ne impedivano l’in-

gresso. Vi era, tuttavia, una porticina privata, attraverso la quale raggiungem-

mo, coi numerosi ospiti, la casa del Dott. Ribaudo. Ci fermammo lì qualche

giorno e poi ci trasferimmo in una villetta fuori l’abitato, affittata dalla fami-

glia dell’Avv. Spadaccini. Parcheggiammo in questa poco più di un mese, in

una difficile ospitalità per entrambi i nuclei familiari, a causa delle difficoltà

alimentari e del poco spazio. Poi ci trasferimmo a Catania in una casetta

monofamiliare, piccola, in prossimità del tondo Gioeni.

Il prefetto di Catania aveva, intanto non so con quali poteri e con quali

motivazioni, provveduto ad annullare il decreto di espropriazione a favore

dell’Ente ed a restituire la Ducea ai legittimi proprietari.

Quel che non avremmo dovuto fare

A metà del ’42 – se non ricordo male – ebbi l’ordine, provocato da qual-

che zelante pseudo patriota, di togliere dal cortile la croce dedicata a Nelson

e di spezzarla. La rimossi soltanto e la adagiai lungo una parete del cortile,

dove è rimasta intatta, fino alla sua ricollocazione.

Mi pesarono molto i disboscamenti ordinati dalla Forestale. Non vi

erano carburanti e legna e carbone erano molto richiesti. Il buon Mineo,

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Agronomi protagonisti

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attivo e intelligente boscaiolo, risparmiò, per mia raccomandazione, molti

esemplari di roveri e di faggi più belli e molte matricine.

Non riuscii, invece, a salvare le belle secolari querce in un’area incolta

vicino a Boschetto Vigne. E subii la vendetta. Una mattina, mentre ero lì a

cavallo con Zanini, al quale avevo ceduto la mia Nina ed io montavo

Polifemo, una mina, adoperata per spaccare un tronco, scoppiò. I cavalli si

imbizzarrirono; Zanini fu disarcionato ma rimase impigliato con un piede

nella staffa; io scesi da cavallo, presi le briglie di Nina e liberai Zanini. Con

l’altra mano tenevo le briglie di Polifemo, che mi scivolarono dalla mano,

tanto da consentirgli di girarsi e di tirarmi un calcio. Mi prese sulla fronte di

striscio, ma non mi evitò una commozione cerebrale; stetti qualche giorno

nell’Ospedale di Bronte, ben assistito e visitato anche dal primario chirurgo

di Catania il poi famoso Prof. Dogliotti. Non ho altri rimorsi, ma solo ragio-

ni di amicizia e nostalgia.

Nel 1942, fu deciso, in alto, di erigere un borgo rurale, dotato di tutti i

servizi civili, nelle immediate prossimità del Castello e di intitolarlo a

Francesco Caracciolo. Quando, nell’agosto ’43 lasciai l’azienda, la costruzio-

ne era a buon punto nelle strutture murarie in pietra lavica, grazie alla solle-

citudine di una grande impresa: la “Castelli”.

Gli inglesi non hanno tollerato questa offesa alla memoria di Nelson. Le

murature sono state demolite, ma, solide come erano, ne sono rimaste le trac-

ce.

La famiglia – Gli ospiti

Adriana, mia moglie, venne a Maniace poco prima del Natale del ’40:

avevamo Franca, la primogenita, di non ancora due mesi. Due anni e quattro

mesi dopo nacque Marinella; nell’imminenza del parto Adriana si trasferì a

Catania, presso gli amici Stanganelli; ma, pochi giorni dopo, vi fu, sulla città,

il primo terrificante bombardamento delle fortezze volanti.

Appena ne ebbi notizia, a Maniace, cercai di andarla a prendere con l’au-

to guidata da me e da Luigi. Non fu facile; le strade erano invase da una folla

atterrita che scappava dalla città. Come Dio volle, anche noi riprendemmo la

via del ritorno ed Adriana fu ricoverata all’Ospedale di Bronte, nella stessa

stanza dove ero stato io qualche tempo prima. Lì nacque Marinella, la sera

Agronomi protagonisti

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del 23 aprile, mentre io, tra la sofferenza di Adriana, leggevo “Tsushima”: ero

arrivato alla battaglia finale tra russi e giapponesi, vinta da questi ultimi.

Quindici giorni dopo Adriana fu nuovamente ricoverata nella stessa stanza e

salvata da una emorragia grave, grazie al Dott. Grisley, figlio di un ex ammi-

nistratore della Ducea.

L’importanza della Azienda e la curiosità per la sopravvivenza di un

enclave feudale richiamavano molti ospiti, che, malgrado le difficoltà delle

strade, ci raggiungevano, fermandosi per lo più a colazione. Li ricevevamo,

per l’occasione, nelle stanze di soggiorno e nella sala da pranzo dell’apparta-

mento ducale. Vi furono molti tecnici, un geologo accademico d’Italia, per-

sonalità del mondo economico, giornalisti. Un settimanale dell’epoca, forse

“Oggi”, pubblicò un servizio illustrato da fotografie.

Tra gli ospiti famigliari ci furono Anna Maria, sorella, che era ancora

bambina, ed Irma, la sorella di Adriana con i suoi bambini, Luciano e

Fiammetta.

Tra gli ospiti, ma questo rifugiatosi da noi con la famiglia, vi fu Nicola

Stevens, parente del Colonnello che da Londra, la sera alle otto, ci dava per

radio le proibitissime notizie sulla guerra, delizia di mio zio Ugo de Cillis e

del suo collaboratore, Mario Stanganelli. Quando essi salivano a cavallo fino

al ceppo, che segnava in montagna il limite nord dell’Azienda, eseguivano il

“saluto al Duca”, sbeffeggiando il duce.

A Nicola, a sua moglie ed alla sua bambina assegnammo una vecchia

casa colonica, che Mimmi rese graziosa ed accogliente e che Nicola, utilizzò,

col forno, per offrirci, qualche volta, le pizze.

Il proprietario

Ho avuto il piacere di conoscere, verso la fine degli anni ’40, in occasio-

ne di un sopralluogo della Commissione per i danni di guerra, il duca di

Bridport. Era, forse è, un signore alto, che aveva fatta la guerra in marina nel

Pacifico e che, per l’affondamento della propria nave e l’incendio delle acque

coperte di carburante aveva riportato la bruciatura totale del cuoio capelluto.

Era, quindi calvo; con me fu cortese ed affabile. Ebbe, da una seconda

moglie, un figlio, che – credo – lavora in banca.

Negli anni sessanta, tutti i terreni della Ducea vennero venduti ai

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Agronomi protagonisti

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contadini e buona parte subirono l’espropriazione per le leggi di Riforma

agraria. Il Castello fu ceduto alla Regione Siciliana, che lo ha affidato al

Comune di Bronte

Agronomi protagonisti

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Per le mie figlie

L’O.N.C. – LICOLA E IL BASSO VOLTURNO

(1944 - 1950)

“La Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché toglien-dogli di mano gli anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna e li schiera di nuovo in battaglia.”

Dal vecchio manoscritto di Manzoni

La Ducea di Bronte – Maniace

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L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

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Questa “Historia” è scritta dopo circa sessant’anni, nel giugno del 2001,

senza l’aiuto, che sarebbe stato provvidenziale, di Mamma, che non c’è più.

La casa del Tondo Gioeni, a Catania, ci ospitò dal settembre del ’43 a

metà aprile del ’44; il mite autunno-inverno della Sicilia ci consentiva di

aggiungere alle due stanze interne, un piacevole soggiorno sulla terrazzina

antistante l’ingresso, sopra i pochi scalini di accesso. Furono però mesi diffi-

cili per la scarsezza di viveri e per le difficoltà finanziarie. Salvo il pesce e gli

agrumi, che abbondavano al mercato, non vi erano pane, pasta, grassi e tutto

ciò che poteva costituire un’alimentazione regolare. Da Maniace mi manda-

rono un po’di farina con la quale confezionavamo una specie di pane, che poi

cuocevamo con mezzi di fortuna, ed una ridotta pasta di casa.

Mamma, come sempre, fu bravissima anche in questi frangenti e non ci

fece pesare le difficoltà. Andava al mercato nel centro di Catania e si portava

da sé la roba trovata, a piedi lungo l’interminabile salita, poiché la linea tran-

viaria, bombardata, non funzionava.

Marinella migliorò con la crosta lattea che l’affliggeva nei primi mesi e

Franca, la bambina “teorica”, cresceva tranquilla.

Io rappresentavo l’Ente del Latifondo a Catania, ma il mio ufficio era più

che mai deserto. I rapporti coi grandi proprietari terrieri, che erano stati obbli-

gati dalla legge del Latifondo a costruire le case coloniche, rimaste poi inabi-

tate, erano pessimi. Ricordo una mortificazione alla quale fui sottoposto da

uno di essi, un cero Misterbianco – mi pare – che mi invitò ad un sopralluo-

go per non so quale constatazione in quel di Lentini: vi andammo con una

scassatissima “500” nella quale negli unici due posti anteriori si collocarono

lui e il figlio, racchiudendo me rannicchiato nel cassoncino posteriore.

L’immutato stipendio, che a Maniace mi sovrabbondava quasi tutto, si

era ridotto come potere d’acquisto a causa della galoppante continua inflazio-

ne. I pochi risparmi che avevo investito in buoni del tesoro, a parte l’impos-

sibilità di averli disponibili, perché trasferiti in Alta Italia, si erano ridotti ad

un valore reale pressoché uguale a zero: di fatto li ho del tutto perduti.

Anche per queste esigenze, ma soprattutto per vedere i miei, intrapren-

demmo con Luigi Pironti, assistente di mio zio Ugo de Cillis, un viaggio a

Napoli. Era gennaio o febbraio, ed ancora le linee ferroviarie erano per lun-

ghi tratti interrotte. Da Catania si arrivava a Messina con mezzi di fortuna:

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L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

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traballanti camioncini, qualche scassatissima automobile. Si attraversava lo

stretto con piccoli ferry-boat o “carrette” di mare, si proseguiva in treno,

spesso ammucchiati sulle predelle esterne, fino a Gioia Tauro; si attraversava

a piedi il fiume Petrace e si riprendeva il treno, nelle stesse condizioni o

anche peggiori, a causa della invasione di contrabbandieri di alimentari, fino

alle porte di Salerno. Lunga nottata, poi alle prime luci dell’alba, si cercava

un posto sui soliti mezzi di fortuna e si arrivava, dopo qualche interruzione

dovuta ai guasti dei mezzi, a metà giornata a Napoli.

Trovai in buone condizioni i miei ed i genitori di Adriana, che furono

tutti, lietissimi di rivedermi e di avere dirette notizie. In quei giorni vi fu un

bombardamento tedesco su Napoli; l’unico; crollò un palazzo in cima a via

Bausan.

Tornammo a Catania con una valigia di medicine, che ci fruttò per

entrambi – se non ricordo male – circa quarantamila lire.

A Catania ci furono affettuosamente vicini Giovanna e Mario

Stanganelli, anche egli assistente di mio zio, che avevano le loro tre bambine

affidate alla nonna Lo Faro a Villa S. Giovanni. Essi ci introdussero nel cer-

chio dei loro simpatici amici, due o tre coppie tra cui i Guzzardi, e Vitaliano

Brancati, allora credo ancora trentenne, collaboratore di un giornale satirico

locale, non ancora lanciato, come dopo qualche anno avvenne, nel campo let-

terario. In quei mesi, avendo trascorso qualche giorno a Borgo Lupo, con

Tonino Bazzucchi che, reduce dalla Libia, avevo fatto assumere all’Ente del

Latifondo, come Direttore d’azienda, mi ammalai di tifo “murino”, una non

frequente malattia trasmessa dalle pulci dei topi e fui ben curato dai clinici di

Catania, che descrissero poi il caso. Mamma fu anche in quell’occasione

accuratissima, isolandomi – se non ricordo male – in casa di zio Ugo, nella

camera appartata degli ospiti, per non mettere in pericolo le bambine.

Arrivammo così ad aprile, quando mio padre, che aveva ricevuto stima

dagli ufficiali inglesi ed americani dell’AMGOT, mi comunicò che avrei

potuto assumere la direzione dell’Azienda Agraria di Licola, settecento etta-

ri di proprietà dell’Opera Nazionale per i Combattenti, commissariata ed affi-

data all’ex Provveditore alle O.O.P.P. della Campania, ingegnere Cuomo.

Comunicai la decisione di lasciare l’Ente al Prof. Prestianni, un economista

di grande competenza e conoscitore quant’altri mai dell’agricoltura isolana

L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

- 97 -

che era stato investito della responsabilità di Commissario dell’Ente.

Prestianni se ne dispiacque molto e fece di tutto per trattenermi, fino a pro-

mettermi la direzione dell’Ente. Ma l’avvenire non era chiaro, il lavoro non

soddisfacente e la decisione di tornare “in patria” era ormai presa.

Organizzammo così il viaggio per Napoli: da Catania a Messina in auto, se

non ricordo male, procuratami da Irrera di Taormina.

L’attraversamento dello stretto fu drammatico: il mare passava sopra la

coperta del ferry-boat e dovemmo mettere in salvo almeno le bambine e le

valigie. Sbarcammo a Reggio Calabria, dove avevamo appuntamento con una

macchina inviataci da papà. Pernottammo in una camera ammobiliata, poiché

non vi erano alberghi; appena messe a letto le bambine ci accorgemmo di una

invasione di cimici. Legammo i quattro lembi del lenzuolo a quattro sedie e

vi mettemmo le piccole; noi passammo la notte seduti.

Intraprendemmo il viaggio in auto per Napoli; ma le strade erano tali che

in una giornata si arrivava a mala pena a Castrovillari. Qui si ripeté, a causa

delle cimici, la stessa Vicenda di Reggio.

Come Dio volle arrivammo a Napoli alla fine della seconda giornata di

viaggio e fummo ospitati a casa dei miei, nella quale, a quell’epoca, vi erano

ancora i ragazzi, Annamaria, Alfonso ed Emanuele.

Il primo maggio del ’44 assunsi la direzione dell’Azienda Agraria di

Licola. L’abitazione del Direttore era ancora occupata – e lo fu fino all’autun-

no – dal Direttore uscente, Dott. Crostarosa che andava in pensione.

Trovammo, quindi – era estate – un’abitazione sul corso principale di Bacoli,

all’inizio di una stradina che scendeva rapidamente alla spiaggia. Avevamo

fatto amicizia con Anna ed Ettore Marzano, proprietari nel basso giulianese.

Vivevano in una bella casa a Giuliano e villeggiavano anche loro a Bacoli.

Avevano dei bambini dell’età delle nostre figlie; con uno di loro, Presidente

di una grande organizzazione di produttori ortofrutticoli, ho anche oggi rap-

porti. Anna ed Adriana passavano coi bambini lunghe ore alla spiaggia ed

erano lì corteggiate da un nucleo di ufficiali francesi, delle truppe di colore

stanziate nella zona, invero molto corretti ed educati.

Io venivo prelevato, nelle primissime ore del mattino, da un carrozzino

proveniente da Licola e guidato da Biagio Insignito, che fu il mio conduttore

in quegli anni.

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L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

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La direzione dell’azienda mi impegnò molto ed ebbi piena ed utile col-

laborazione dal fattore Ernegeno Mattei, dal contabile Mazzitelli, dal “capoc-

cia” (sorveglianza del bestiame in consegna ai mezzadri). La struttura era per

dimensione ben diversa da quella di Maniace, ma la conduzione delle venti-

sette mezzadrie, per di più con le rivendicazioni di quell’epoca, nella quale si

inserì, subito dopo la liberazione di Roma, il “lodo De Gasperi” che modifi-

cò i riparti ed introdusse nuovi obblighi per la proprietà, era molto onerosa. I

mezzadri erano per metà veneti (Marchetti, la famiglia di Lina, Barison,

Bondesan, Creuso) e per metà napoletani (Coppola, Di Francia).

Vi era anche un marchigiano, Goretti, il fratello della ragazza della quale

si procedeva in quegli anni alla beatificazione ed alla quale è stata intitolata

la Chiesa sorta anni dopo nel Borgo di Licola.

Sopravvenne, dalla prigionia di guerra, mesi dopo, il ragioniere Tartaglia

che aveva a Licola la mamma e la sorella Wanda ed a Napoli l’altra sorella

Bianca, sposata con Armando Canape, genitori di due bambine, Loredana e

Giovannella, che vissero la loro infanzia con le mie e che ancora sono oggi

amiche di Marinella.

Quando nell’autunno ci trasferimmo finalmente nella casa di Licola,

avemmo l’aiuto di un nucleo di bravissime e belle ragazze venete: Lina,

Armida, che poi andò da Laura Giordano, Gemma, Oneglia, la più graziosa

di tutte.

Le famiglie coloniche, che non potevano, come noi, rifornirsi di viveri e

di altri generi di prima necessità a Pozzuoli o a Napoli, facevano la loro spesa

in una modesta baracca, parte in muratura e parte in legno, che Salvatore

Trinchillo, di Qualiano, aveva dall’inizio della bonifica impiantata nel centro

di Licola. Salvatore era un gran lavoratore ed aveva, oltre la moglie attivissi-

ma che lo aiutava, quattro figli maschi, allora ragazzi, ed una figlia femmina,

Carmelina. I coloni non apprezzavano affatto il suo ruolo di monopolista

delle loro forniture, ma bisognava riconoscere che egli soddisfaceva tutte le

loro esigenze. Per migliorare le sue condizioni di lavoro, ottenni dall’Opera

che gli si vendesse l’area della baracca ed un pezzo di terra circostante. Col

tempo sono sorti una decorosa bottega, un ristorante ed un piccolo albergo ed

i figli, o solo alcuni di essi, hanno continuato l’attività del padre.

Quell’inverno del ’44-’45 l’idrovora, minata dai tedeschi, era ancora in

L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

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ricostruzione ed ai lavori presiedeva l’ingegnere Aiudi, che aveva il proprio

ufficio a S.Maria C.V. ed aveva sul posto un proprio geometra, che – richia-

mato per il proprio scarso lavoro – dichiarava che egli prestava la sua opera

in proporzione al suo scarso stipendio.

In tutta la zona settentrionale dell’Azienda si era riformato il lago e a

mala pena si accedeva alle case coloniche, poste lungo la strada di bonifica,

che è poi diventata la Domiziana. La parte, dal centro di Licola verso Cuma,

sabbiosa e molto meno fertile dell’altra era l’unica coltivata, pur con difficol-

tà di sgrondo delle acque, il cui collettore versava a mare sottopassando in

galleria il cordone dunale.

Nel lago impiantammo alcune botti per la caccia alle anatre. Ci si anda-

va prima dell’alba, infilandoci dentro le botti col cane e sfidando il gelo –

l’acqua aveva straterelli di ghiaccio in superficie – con una bottiglietta di

cognac. Ponevamo gli “stampi” o addirittura le anatre catturate vive come

richiami. Quando si sparava il cane saltava fuori della botte e riportava a

nuoto la preda.

Chiesero di unirsi a noi, la domenica, alcuni ufficiali di marina della base

di Napoli, che poi venivano a rifocillarsi a casa, bagnandoci con le loro tute

inzuppate, tutti i pavimenti. Ma Adriana era contenta di vedere un po’di gente

ed era sempre ospitale.

Rimontano a quell’inverno, e poi all’estate seguente, le visite dei nostri

parenti ed amici di Napoli: Laura, Bianca entrambe nel fiore degli anni, con

il rispettivo marito o fidanzato ancora prigionieri in Germania, Renato, anco-

ra scapolo, Elena e Marcello. Li mandavo a prendere alla stazione della

Cumana al Fusaro con una piccola diligenza che era stata un’ambulanza mili-

tare, trainata da un cavallo o da un mulo e guidata da Giuseppe, l’uomo che

si incaricava giornalmente della spesa a Pozzuoli. Più tardi disponemmo di

un mezzo inglese per il trasporto di soldati, comprato dall’ARAR, col piana-

le e la guida molto alti, ai quali si accedeva con alcuni scalini. Gli ospiti erano

sempre piacevoli ed allegri: primeggiava, naturalmente, Renato, pieno di spi-

rito ed ancora più umorista ed allegro quando beveva. I pranzi, grazie ad

Adriana, erano luculliani, dopo si dormiva in casa o sulla spiaggia fino all’ora

del ritorno in città.

Adriana non era soltanto l’attrazione degli ospiti. La sua comunicativa,

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L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

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la sua grazia, la sua facilità di stringere con chiunque ed in ogni strato socia-

le rapporti, le procuravano simpatia ed amicizia in tutte le famiglie dei colo-

ni e degli impiegati. Organizzava riunioni, giochi come le corse nei sacchi, o

l’albero della cuccagna, balli all’aperto. La domenica suonava il piccolo

organo della cappelletta nella quale si svolgeva la messa. Tutti la cercavano

e l’amavano: era veramente la regina di Licola. Le bambine, intanto, cresce-

vano in piena libertà: non andavano ancora a scuola; Franca, se non ricordo

male, ci andrà l’anno dopo ’45-’46, anticipando di un anno l’età prescritta;

Marinella ci andrà qualche anno successivo. La maestra era la brava Teresa

Schisa il cui ricordo ci ha seguito per decenni. A metà giugno 2001 la Schisa

ha compiuto 100 anni.

Marinella, è noto, si era specializzata nell’acchiappare con in cappio di

loglio le lucertole, che poi conservava in vasetti di argilla capovolti nel gran-

de atrio della scala che portava alla nostra casa del primo piano. Franca impa-

rava da mamma tante graziose poesie.

Con Egidio Garbuccio, figlio di un colono veneto, assunto come mecca-

nico-autista, avevamo trasformato una vecchia “1100” a carbonella in un’au-

to prima a gas poi a benzina. Alla vigilia del Natale del”44, dal mio primo e

provvisorio ufficio, avevo sentito, dietro una porta che mi separava dalla loro

abitazione, i gemiti di Antonietta che dava alla luce la primogenita Natalia,

ed i suoi primi vagiti.

Nella ricostruzione post guerra una particolare attività fu svolta per la

ricostruzione del bosco di cerri, carpini, pioppi e macchia mediterranea che

copriva la fascia dunale antistante il litorale, completamente distrutta dalla

lunga permanenza in essa delle truppe e dei mezzi alleati. I lavori (riceppatu-

ra, pulizia del materiale degradato, piantagione di giovani essenze) furono

affidati a Biagio Lubrano, da Monte di Procida, instancabile ed accurato

imprenditore, che operò anche parzialmente nel bosco di Astroni, anch’esso

diretto da me e che era stato a lungo accampamento alleato. Lubrano negli

anni successivi al ’50 sposò Wanda, sorella di Tartaglia, e divenne membro

della comunità di Licola.

Dopo lo sfondamento di Cassino ci eravamo congiunti con Roma e

l’O.N.C., della quale era commissario il patriota Mira, amico e compagno di

azione di Parri, riprese possesso, non senza alcune difficoltà create dal

L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

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Governo Alleato, delle sue grandi proprietà, tra le quali Licola. Si distingue-

vano allora le Aziende patrimoniali, quelle donate alla fine della prima

Guerra Mondiale dalla Corona ed appartenute, a suo tempo, alle case regnan-

ti – i Lorena, i Borbone, i Parma, la Curia Romana e gli stessi Savoia, per

acquisizioni dagli Asburgo, e quelle in concessione dallo Stato per la costitu-

zione di proprietà contadine: alla prime appartenevano appunto Licola, col

vicino cratere boschivo di Astroni, l’Alberese nel grossetano, che fu diretta

da Tonino Bazzucchi, da me accreditato presso l’O.N.C. e che per i suoi cin-

quemila ettari era la più grande di tutte, Coltano, in provincia di Pisa,

Stornara e Tara i via di dismissione e varie altre più piccole. Alle seconde

appartenevano, allora, i complessi del Tavoliere (20.000 ettari circa) e del

Basso Volturno (11.000 ettari).

Entrare in una Organizzazione di così grandi tradizioni non era certo

facile e, agli inizi, infatti, notai una certa diffidenza. Ma il buon andamento

di Licola convinse subito Mira, il Direttore generale Di Pietro, il capo del per-

sonale Bertoncini e tutta la vecchia guardia che si poteva contare su di me.

Non solo ebbi la conferma della direzione di Licola, ma qualche mese dopo,

mi affidarono anche la direzione del Vicana (circa 2.500 ettari) del comples-

so in concessione del Basso Volturno. Ci andavo ogni mattina in calesse gui-

dato da Biagio Insignito.

D’inverno, mal coperti con un plaid, eravamo tormentati dal freddo.

Nella strada provinciale vi erano buche tali che in un pomeriggio vi si infilò

il cavallo che ci trainava. L’altro accesso era dalla foce del lago Patria, lungo

il litorale, su quella che poi è diventata la Domitiana. Tutto il litorale era però

chiuso ed occupato da truppe alleate. Ci accorgemmo che, ciò malgrado, si

poteva passare regalando un fiasco di vino alla sentinella, in genere un solda-

to negro americano. Alla Vicana vi erano molti assegnatari di poderi roma-

gnoli: brava gente, laboriosa ed in stato di difesa dai locali, che avevano in

parte ripreso possesso dei loro appezzamenti di terra espropriati e non paga-

ti. Da una famiglia romagnola antistante l’ufficio prendevo il pasto di

Mezzogiorno; una delle loro figlie, Isolina, venne poi ad aiutarci a casa a

Licola.

Qualche mese dopo fui promosso Ispettore ed incaricato della supervi-

sione delle altre due aziende del Basso Volturno: la Sinistra, dove era

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L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

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Direttore Petz, e la Destra, diretta da Renato Salvadori, per un complesso di

circa 8.500 ettari. A Licola, dove mi ero portato come segretario Visalli, che

era stato con me a Maniace e che intanto si era sposato ed aveva un bambi-

no, Totuccio, mi inviarono in aiuto Oliviero Petz, dalmata di Zara, con moglie

e sei magnifici ragazzi che divennero amici delle mie bambine: Larry, Maia,

Minna, Cicci, Federico e Bobo.

Fu quella l’epoca delle poesie che meglio di ogni altro racconto ricorda-

no la nostra vita di Licola: “Zia Lori”, la sorella di Petz, “La casa della mari-

na” ed altre.

Mi assegnarono anche tre “tirocinanti”: due dottori in agraria, Baldelli

ed Ingravalle, ed un perito agrario molisano.

Nella primavera del ’44 fu ripristinata l’idrovora; il lago fu nuovamente

prosciugato ed i mezzadri ripresero la loro attività nella zona migliore

dell’Azienda. I vomeri degli aratri trainati dal trattore tagliavano le anguille

che si erano introdotte nel lago. Cominciarono anche in quegli anni di fine

decennio ’40 i lavori della nuova strada Domitiana, che ci rese più facile le

comunicazioni con Napoli. Utilizzando una linea telefonica che terminava

alla Casa della Marina sul litorale, riuscimmo ad avere perfino un collega-

mento telefonico in ufficio; ed ottenemmo anche l’uso della Casa della

Marina, nella quale a pian terreno collocammo il guardiano Tosolini, ed al

primo piano Mazzitelli con la sua famiglia.

Avevamo anche fuori dell’azienda alcune buone amicizie, tra le quali

quella del Comandante Micillo e quella delle sorelle Strigari, appartenenti

alla migliore borghesia napoletana e conduttrici, come Micillo, di bellissimi

frutteti a Monterusciello (dove oggi, purtroppo, esiste quell’orribile borgo

eretto per gli sfollati di Pozzuoli). Andavamo spesso a colazione dalle Strigari

ed esse venivano da noi. Alcuni proprietari vicini, ma non residenti, passava-

no da Licola e si fermavano con me: tra essi, i compianti Mario Chiaiese e

Calvanese, il papà di Loretta.

Votammo due volte: nel ’46 per la Costituente e nel ’48 per la

Repubblica. La prima volta sapemmo che se avessero vinto i comunisti, gli

operai delle officine ferroviarie di Pozzuoli avrebbero invaso Licola, ritenu-

ta reazionaria, e ci avrebbero fatto fuori. La seconda volta votammo, a larga

maggioranza nel nostro seggio della scuola elementare, per la Monarchia.

L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

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Le bambine cominciarono a frequentare la scuola: Franca, credo, per

quattro anni, Marinella, mi pare, per uno solo.

Con il ritorno a Portici di Manlio Rossi-Doria, cominciai a frequentare

le sue riunioni, molto prima che si stabilizzassero i seminari periodici e si

costituisse il Centro di Ricerche economiche, che sorse ufficialmente, se non

sbaglio, nel ’57, quando io ero al Consorzio di bonifica del Basso Volturno.

Nell’estate del ’49 Manlio Rossi-Doria mi invitò ad aiutarlo a preparare la

Riforma Agraria. Passai alcuni mesi con lui nel modestissimo Albergo Reale

di Crotone a preparare gli elenchi delle grandi proprietà fondiarie, in Calabria

e fuori, su dati che ci forniva l’ufficio tecnico-erariale di Roma.

Contrassi, a causa delle mosche che impazzavano tra le toilettes ed il

ristorante di fronte nell’albergo Bologna dove prendevamo i pasti, questa

volta un vero tifo. Tornai a Napoli e fui curato amorevolmente in casa dei

miei, da mia madre e da Angelo, mio fratello, che mi praticò la chemioceti-

na, appena allora disponibile. Guarii e tornai in Calabria. Il mio compito era

ormai segnato: l’Opera Valorizzazione Sila si preparava ad attuare la Riforma

Agraria in Calabria. Fui invitato da Segni, Ministro dell’Agricoltura, ad assu-

merne la direzione. Esitai, ma due telegrammi di Segni a mio padre, che diri-

geva l’Ispettorato agrario compartimentale della Campania, mi convinsero

che non era possibile non aderire all’invito. Lasciai l’O.N.C. senza liquida-

zione, poiché allora non era concessa ai dimissionari, e mi trasferii, senza la

famiglia, negli alberghi di Crotone, di Catanzaro e di Cosenza.

Adriana e le figliolette si distribuirono tra la sua casa paterna, Franca con

Adriana a via Bausan, Marinella con i miei al Vomero.

La sicurezza nel basso Volturno

Si dice che, sin dai tempi di Roma antica, il territorio, periferico come

era, era infestato dal brigantaggio e Roma vi avesse destinato, per reprimer-

lo, una Centuria.

Quando, nella primavera del’45, acquistata dall’ARAR e messa in fun-

zione una jeep americana, andavo con questo mezzo e da solo da Licola alla

Vicana, i Carabinieri de “La Riccia”, nel comune di Cancello-Arnone, mi det-

tero di loro iniziativa, una mitraglietta che avrebbe dovuto difendermi da

aggressioni, se mai avessi avuto il tempo di estrarla dal sedile della jeep.

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L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

- 104 -

Quell’autunno-inverno quasi tutte le case coloniche, dove veneti e roma-

gnoli, inviati improvvidamente nella zona dal Commissariato per le

Migrazioni interne del Regime Fascista, conservavano ancora fedelmente il

bestiame, dato loro in consegna dall’Opera, erano state assaltate e depredate

degli animali. Oltre trecento capi erano stati, così, asportati e tre o quattro

coloni avevano perso, negli assalti, la vita.

Con una tecnica efficiente e ripetuta, tre lati della casa colonica erano

assediati dal fuoco delle armi; il lato della stalla era risparmiato, per aprire la

porta, far uscire gli animali e caricarli mediante uno scivolo sul truck dei ban-

diti.

Questi erano locali ed avevano assunto la denominazione delle Armate

Alleate: la V Armata a Casal di Principe, l’VIII Armata a Grazzanise. I mezzi

e la logistica erano offerti dai militari americani, disertori temporanei dei

reparti.

La situazione era tale che sfuggiva completamente alle possibilità

repressive delle forze dell’ordine: i C.C. de “La Riccia”, tre più il sottufficia-

le, avevano l’ordine di non uscire dalla casermetta prima dell’alba e di rien-

trarvi al tramonto.

In una riunione col Prefetto di Napoli, espressione ancora del C.N.L., il

buon Selvaggi, si concluse che ci si doveva difendere da noi.

Ne riferii all’O.N.C. di Roma ed ebbi l’autorizzazione ad agire come

meglio avessi ritrenuto.

Venni allora in contatto col capo della V Armata, D.B., che mi parve ani-

mato delle migliori intenzioni.

Venimmo ad un accordo secondo il quale l’O.N.C. avrebbe pagato men-

silmente una somma per la prestazione di una decina di guardiani avventizi

straordinari, che, naturalmente, io non ebbi mai la possibilità di conoscere,

contro un pagamento di L. 300.000 mensili. A me, personalmente, fu attribui-

ta la guardiania di Paolo D.B., fratello del capo: un uomo di ottima indole,

grande e grosso, attivo e servizievole, che sorvegliava le adiacenze dell’uffi-

cio e dei magazzini.

L’accordo dovette essere sancito da un pranzo, al quale parteciparono

una ventina di esponenti del clan, durante il quale si celebrò il rito della “ias-

satella”: un capo comandava di bere e si doveva farlo, pena l’epiteto di

L’O.N.C. - Licola e il Basso VolturnoAgronomi protagonisti

- 105 -

traditore; qualcuno, in aura di non obbedienza, era saltato nell’ordine di bere

ed era guardato con diffidenza dai convitati.

La pace durò poco più di un anno; l’VIII Armata reagiva ma, soprattut-

to a Villa Literno, comune nel quale eravamo, non sopportavano di essere

stati estromessi da quelli di Casal di Principe.

Una bella mattina il mio successore nella direzione della Vicana, il Dott.

Giulio Martire – che guarda il caso era nipote del grande espropriato Visocchi

– quando io ero divenuto Ispettore di tutte le Aziende, mi telefonò per dirmi

che Paolo D.B. era stato freddato da un colpo di revolver mentre era davanti

l’ufficio. L’autore, lo si seppe dopo, era stato un liternese, pseudo partigiano,

ampiamente pregiudicato.

La guerra riprese ma, per fortuna, ne furono risparmiati i coloni.

Io cominciai le mie periodiche peregrinazioni alla Corte di Assise di S.

Maria C.V. Intanto i Carabinieri si erano rafforzati e, soprattutto, la Stazione

dell’O.N.C. a “La Riccia” era comandata da un maresciallo che atterriva i

delinquenti con le botte che sapeva dare senza lasciarne evidenti i segni.

Unica efficace cura!

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I piccoli di Licola a zia Lori8

Ardeva il caminonel buio illuminava

la nonna e il bambino;ed ella cantavale storie di nani

di maghi e di fate.Il fuso girava…

Bambini ascoltate:Coro di bambini:

No, no! Non vogliamo il mondo con streghe

Vogliamo stivali da far sette legheDi corsa, semmai! E al pieno del sole

Tuffarci nel mare con sei capriole.Per questo zia Lori, moderna nonnina,

dei bimbi di Licola paziente regina,le folte chiocciate riunisce e trattienee tutti le vogliono un monte di bene.

E quando spossate dal moto e dall’ondeSul ciglio del mare con ella di fronte

Sedete, o bambine, perché la guardateCosì come anch’Ella dal mondo di fate

Venisse? O che forse ritornala storia invecchiata ma eterna di nonna?

Ma tutte le cose sì belle finiscono.Le rose più fresche in breve avvizzisconoE un lupo di mare, malgrado i rimandi,Lorette riportava nel mondo dei grandi.

8 Zia Lori, sorella di Oliviero Petz, sposata con un capitano di lungo corso (il “lupo di mare”). Risiedevano a Venezia

- 106 -

Agronomi protagonisti Agronomi protagonisti

- 107 -

Per le mie figlie

I primi tempi della Riforma agraria

(1949 - 1952)

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Agronomi protagonisti

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Fu nell’estate del ’49 che Manlio Rossi-Doria, in uno dei ricorrenti semi-

nari di Portici, mi propose di dargli una mano per studiare le basi di una

Riforma agraria in Calabria.

Il primo incontro col piccolissimo nucleo che, accanto al Prof. Vincenzo

Caglioti, Presidente dell’Opera per la Valorizzazione della Sila, era impegna-

to in questa rassegna di propositi, avvenne a Catanzaro: anima di questo

gruppo era Silvio Florenzano, un giovane avvocato di grande ingegno e di

grande preparazione, calabrese e parente di Caglioti, che in breve si legò a

Manlio e al nostro gruppo.

La Calabria era squassata dalle occupazioni delle terre. Se non vi fosse-

ro stati altri indizi sullo stato della popolazione agricola e sulla patologia

della proprietà fondiaria, bastava assistere al divampare di quel fenomeno per

rendersi conto di come la situazione non fosse contenibile. Poiché la legge,

dovuta al Ministro cosentino, Gullo, aveva cercato di ricondurre in un alveo

controllabile le occupazioni, creando commissioni provinciali per la conces-

sione delle terre e per la loro assegnazione alle cooperative, qualcuno di noi

aveva cercato di rendersi conto della manovrabilità dello strumento, ma

aveva tratto la convinzione della precarietà e della insufficienza di esso.

Di Riforma agraria non si parlava se non in termini di genericità, più

spesso e nella sinistra di minaccia alla proprietà agricola, senza nessuna

enunciazione di mezzi operativi e di programmi. Eppure il dibattito degli anni

precedenti, promosso quasi sempre da Manlio ed il manifesto e deciso atteg-

giamento del Ministro Segni, avevano già dato una traccia.

Con Manlio, animato sempre dall’innata necessità del conoscere e del

misurare, convenimmo che bisognava procedere su binari razionali di rileva-

zione della entità e della distribuzione della proprietà fondiaria, da un lato, di

determinazione delle condizioni di reddito e di vita dei contadini e del nume-

ro di quelli senza terra, dall’altro.

Il grande territorio di intervento era il versante jonico, da Trebisacce a

Punta Staletti; in esso era manifesta la dominanza di una dimensione e di una

economia latifondistica arretrata di un secolo. Si esaltava questa condizione,

neppure più economicamente sorretta, nel Marchesato di Crotone, tra pianu-

re fertili e altopiani aridi, tra colline sconfinate e lunghi alvei contorti di

fiumare.

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Ma l’O.V.S. (era questa la sigla dell’ente) non aveva in quel versante ed

in quei centri alcuna sede ed alcun recapito. Lo apprestammo alla meglio in

due stanze dell’albergo Reale di Crotone, allora poco più che una locanda. Le

altre stanze erano il nostro alloggio. Un altro piccolo ufficio istituimmo a

Catanzaro.

Bisognava quindi dare un metodo di lavoro; i dati disponibili localmen-

te, ammesso che fossero per noi accessibili, non ci avrebbero dato – quanto

alla prima indagine – l’entità della proprietà fondiaria complessiva, compren-

dente quella fuori dal Comune e dalla Regione. Occorreva acquisire un dato

globale per ogni ditta catastale e questo non poteva essere ottenuto se non

attraverso la Direzione generale del Catasto. Ne fu interessato il ministro

Antonio Segni, che era l’animatore ed il sostenitore di un ideale programma.

Non c’erano allora i tabulati elettronici, ma il materiale che pervenne dal

Catasto fu ordinato, omogeneo e completo e la disponibilità a fornire chiari-

menti ed integrazioni fu eccezionale. Prima dell’inverno avevamo il quadro

della proprietà fondiaria in quella fascia della Calabria dalla dimensione mas-

sima dei 17.000 ha, ai 3.000 ha, limite al di sotto del quale si addensava la

più gran parte della proprietà.

L’altra indagine, quella sul livello di vita dei lavoratori, non poteva esse-

re condotta altro che direttamente; e ad essa si dedicò un gruppo di giovani

tecnici – agronomi ed economisti – che operò direttamente tra le comunità

contadine. Ricordo di essi alcuni, legati successivamente all’opera di trasfor-

mazione fondiaria: Berto Facca, Paolo Buri, Gualtiero Fiori, Francesco

Feraco.

Ben presto ci si rese conto che qualsiasi meccanismo di una legge avreb-

be portato a valutare non solo l’estensione, ma lo stato dei terreni che sareb-

bero stati oggetto della Riforma; all’analisi sociologica ed economica si

aggiunse, quindi, quella della situazione fondiaria e agraria, che integrò bene

la prima sul piano della conoscenza diretta dell’ambiente fisico ed umano per

il quale si doveva intervenire.

Di questa fase Manlio fu il protagonista: la consapevolezza, maturata

dalla pluriennale osservazione delle Vicende agricole nelle zone più povere

del Mezzogiorno, che occorresse un cambiamento radicale, lo portò a

tradurre in sistematico lavoro quello che egli aveva pensato e studiato per

- 110 -

Agronomi protagonisti Agronomi protagonisti

- 111 -

anni. Da lui, che sosteneva in ogni decisione Caglioti, derivarono gli schemi

di indagine, l’interpretazione, fatta sempre insieme ai collaboratori, delle

informazioni e dei dati, lo stimolo ad organizzarsi.

Seguirono alcuni mesi tra l’autunno e l’inverno, nei quali egli dovette

allontanarsi. I dolorosi fatti di Melissa (ottobre 1949) accelerarono le decisio-

ni governative e l’O.V.S. fu individuata come lo strumento operativo della

Riforma.

Si cominciò a preparare il disegno di legge e Segni volle Manlio, assie-

me con Caglioti e Florenzano, accanto a sé. Ricordo che si riunivano nello

studio dell’edificio del Ministero dell’Agricoltura che era retrostante l’ufficio

del Ministro, i cui mobili – si diceva – erano appartenuti al Gabinetto di

Cavour. Il Ministro lasciava ogni tanto la propria stanza e, specialmente di

sera, affrontava il testo legislativo, verificava coi suoi interlocutori le formu-

lazioni definitive, poneva i propri quesiti e le proprie preoccupazioni. Entro

la fine dell’anno il testo fu completato, approvato dal Consiglio dei Ministri

e presentato al Senato.

Tornavo a Crotone dopo un mese e mezzo di assenza per un tifo che mi

aveva colpito. Trovai due grosse novità: l’ufficializzazione del nostro compi-

to, che non era più possibile dissimulare e che portava, come primo atto, alle

espropriazioni; un assetto stabile di uffici a Crotone e a Catanzaro. Ebbi la

sensazione, ma la ebbe anche Manlio, che il periodo dell’impegno inventivo

fosse finito e che cominciava una fase di organizzato lavoro, nella quale noi

che non eravamo “funzionari” non ci saremmo sentiti, come prima, a nostro

agio. In attesa della legge, che impiegò per l’approvazione circa cinque mesi,

si cominciarono a preparare, appunto, i piani di espropriazione.

Il nostro isolamento, nell’ambiente agricolo ed in quello burocratico,

divenne più palese e gravoso. Si aggiunse l’avversione politica delle sinistre

che osteggiavano quella legge, in una incandescenza sociale che si esaspera-

va sempre più, e la tiepidezza del centro, che si rendeva conto della decisio-

ne senza ritorno presa nei confronti di una parte tradizionale dell’elettorato.

Tra l’altro Manlio, che era stato comunista, e che aveva pagata cara que-

sta sua fede, non lo era più, e i suoi vecchi compagni, tra i quali eccellevano

persone di grande cultura e capacità, esponenti locali del Partito e

parlamentari, non lo amavano certo e non perdevano occasione per

I primi tempi della riforma agraria I primi tempi della riforma agraria

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I primi tempi della riforma agrariaAgronomi protagonisti

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dimostrarlo.

Mantenevamo rapporti con amici di studi e di lavoro: più che rapporti

erano occasioni di battute sulla nostra posizione difficile. Spesso, per fortu-

na, fummo al centro di episodi comici, nei quali mal si celava la perplessità

degli animi. Ricordo la colazione a casa di un caro indimenticato amico, che

aveva un ruolo di attività interferente con la nostra, ma che aveva la chiara

percezione di dover essere espropriato. Ci eravamo tutti: Caglioti, Manlio,

Florenzano, io. In una pausa della conversazione, la vocina di una bimba, la

più grande o la più piccola, sedute a tavola con noi, si levò e chiese al padre

se gli ospiti erano quelli stessi di cui in casa si parlava spesso con timore. Fu

una risata generale che sanò, quel giorno e dopo, quella riserva mentale di cui

tutti eravamo, a torto o a ragione, prigionieri.

Il 12 maggio, la legge che portò il n° 230 fu approvata e pubblicata il 20

sulla Gazzetta Ufficiale. Il 30 maggio, essendo stato già predisposto nell’at-

tesa dell’entrata in vigore della legge il primo dei piani di espropriazione,

esso fu pubblicato sul Foglio Annunzi Legali della provincia di Catanzaro:

comprendeva 16.400 ettari divisi in sei grosse proprietà. Seguirono sollecita-

mente gli altri piani, fino ad un totale di 76.000 ettari di terre arabili.

Cominciarono subito le operazioni della presa di possesso dei fondi

espropriati. Il compito era facilitato dalla circostanza che, per la legge empi-

rica, ma saggia, non si potevano espropriare terreni già trasformati e boschi.

Era espropriabile solo e tutto il terreno nudo, eccedente i 300 ettari di terre

nude. Non avevamo quindi le dolorose incertezze di dover espropriare, quan-

do vi erano altre terre nude, gli oliveti, i vigneti o, addirittura, gli agrumeti,

come ebbero talvolta i colleghi degli altri enti di Riforma nelle regioni meri-

dionali e nella Maremma in forza della legge cosiddetta “stralcio”. In picco-

lo qualche difficoltà di questo tipo avemmo nelle espropriazioni nel territorio

di Caulonia che furono compiute poco dopo applicando la legge stralcio, ma

la circostanza fu del tutto marginale.

Rapide quindi le prese di possesso, ma i pochi tecnici che avevamo (io

ero stato intanto, e mio malgrado, dirottato dall’Opera Combattenti a dirige-

re l’Opera Sila e, quindi, la Riforma) erano allo stremo delle loro forze. Uno

di essi, il compianto Balestrieri, impegnato dalle prime luci dell’alba fino a

tarda sera a stendere le braccia, dichiarando dinanzi a testimoni o a notai la

I primi tempi della riforma agrariaAgronomi protagonisti

- 113 -

formula studiata e dovuta: “prendo possesso dei terreni di in nome dell’Opera

Valorizzazione Sila, ecc.”; si addormentava nel nostro alberghetto con questo

ritmo nella testa e lo ripeteva nel sonno di notte.

Alle acquisizioni dei terreni seguirono nel secondo semestre del ’50 –

eravamo in autunno ancora caldo – le prime assegnazioni ai contadini. Vi fu

in ottobre S.Severina, e in novembre Melissa. La determinazione delle quote

era fatta attraverso una classifica della fertilità dei terreni, che equiparava le

singole unità fondiarie. Seguivano le operazioni topografiche, le delimitazio-

ni, il tracciamento delle stradelle di accesso. Il compito più delicato fu quel-

lo della preparazione degli elenchi degli aventi diritto alle assegnazioni, ese-

guita in base a rigidi criteri verificati poi nell’applicazione, dal contributo di

commissioni locali, costituite nell’ambito del Comune, con la larga parteci-

pazione degli stessi aspiranti alle terre.

Fu anche questa una fase nella quale si concentrò la nostra attenzione

sulla massima razionalizzazione delle tecniche di valutazione e sul più rigo-

roso rispetto dell’equità della distribuzione della terra.

Non si poteva del resto non essere impressionati dall’atteggiamento

riservato e forse scettico dei contadini dinanzi a questo incredibile ed improv-

viso mutamento che si voleva dare alle loro condizioni.

A Melissa, mentre si procedeva nella piazza principale del paese alle

assegnazioni, dinanzi ad una folla di berretti e di scialli silenziosi, sulla cre-

sta della collina di fronte passarono, come ombre contro il cielo, in fila india-

na, uomini e donne che nello stesso momento andavano a portare fiori sulla

alla stele apposta sul luogo dell’eccidio dell’anno prima. Il palco delle auto-

rità, sul quale, come al solito, tutti si affollavano per mettersi in mostra, istan-

taneamente si ruppe e molti, senza danno, caddero fra le tavole. Sembrava

quasi un segnale di ricordo e di avviso. Nelle stesse circostanze e nella stes-

sa atmosfera incerta e solenne, si era rotto il palco a S.Severina. Colpa della

folla o dei carpentieri?

Ma oltre alle assegnazioni definitive, che attestavano la coerenza e l’im-

mediatezza dell’azione politica, occorreva provvedere alla gestione della

gran massa di terreni che erano venuti in possesso dell’O.V.S. e che alla fine

di quell’anno assommavano a circa 30.000 ettari. Si era sotto il periodo delle

semine e non c’era tempo di perdere.

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I primi tempi della riforma agrariaAgronomi protagonisti

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Dove era possibile venne confermato il possesso per un altro anno ai col-

tivatori diretti e, per la parte che sfruttava la fertilità dei rinnovi (fave, prati

annuali, maggese lavorato), anche ai conduttori a qualsiasi titolo. Su vaste

estensioni, prevalentemente di pianura (circa 3.000 ha), inutilmente tenute a

pascolo, e visto che anche il bestiame esistente era stato allontanato, si dette

luogo ad assegnazioni provvisorie per sopperire alle richieste dei contadini;

in questo caso le terre furono lavorate da un parco trattori e furono fornite

anticipazioni di sementi e concimi.

L’inizio dell’annata agraria ’50-’51 concluse la fase più difficile del

primo impatto della Riforma. Cominciarono altri tempi dedicati all’organiz-

zazione, alla trasformazione dei terreni, alle progressive e rapide assegnazio-

ni definitive; e, purtroppo, alle lotte dall’esterno nelle quali fu coinvolta la

giovane struttura dell’ente.

Certamente il malcontento serpeggiava e l’agitazione montava tra ampie

fasce di cittadini che erano state danneggiate dalla Riforma, perché private

dei privilegi e dei benefici che derivavano loro dalla gestione dei latifondi;

non certo tra i proprietari, poche centinaia e di scarso seguito, alcuni dimo-

ranti fuori dal territorio; ma tra gli innumerevoli conduttori dei terreni a vario

titolo, affittuari, mezzadri, e coloro che contribuivano alla gestione dei fondi:

fattori, impiegati, commercianti, fornitori, avvocati. In tutti costoro non vi

poteva essere che insofferenza e, talora, ingiustificato rancore. Si aggiunge-

va a questi stati d’animo la sensazione che l’Ente subisse una involuzione

politica ed entrasse nell’orbita dei poteri del partito dominante: la D.C. In

verità, proprio agli inizi del mio incarico vi era stato un tentativo di supervi-

sione dell’Ente da parte di quel Partito. Un giovane deputato, il più giovane

fra gli eletti, si era presentato, non si capiva bene se per mandato o per pro-

pria iniziativa, come inaspettato consigliere politico; aveva chiesto una stan-

za nell’ufficio della direzione, che non gli era stata data e, ciò malgrado, fre-

quentava assiduamente gli uffici, si informava così di ogni questione e pre-

tendeva di avanzare suggerimenti. Più che Caglioti, che stava a Roma, ero io

il destinatario delle sue interferenze. Queste andarono avanti per circa un

mese, fin quando si arrivò alla predisposizione del bilancio preventivo; egli

era stato uno dei relatori del bilancio dello Stato alla Camera e, perciò, si rite-

neva un esperto. Sulle sue tesi vi era una forte divergenza e, purtroppo, essa

I primi tempi della riforma agrariaAgronomi protagonisti

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scoppiò in una accesa discussione durante una colazione all’Albergo Bologna

di Crotone. Alla mia ferma posizione, l’Onorevole disse che sarebbe andato

a Roma e non sarebbe tornato in Calabria se io non fossi stato rimosso. Infatti

non tornò perché Segni, Ministro, glielo impedì.

Le difficoltà, tuttavia, non diminuirono: tutto il Consiglio di

Amministrazione era composto, salvo un insigne avvocato cosentino repub-

blicano, da democristiani, compreso fra essi il segretario regionale di quel

partito.

La presa di possesso dei terreni era la più ostacolata: prima di noi arri-

vavano ad occuparli le Cooperative rosse, fomentate dal P.C.I.

Per comporre in qualche modo la questione il Prefetto di Cosenza, un

gentiluomo napoletano, Marfisa, prese l’iniziativa di convocare gli esponen-

ti politici e l’O.V.S., per la quale partecipai io: si venne ad un compromesso

per il quale se gli occupanti abusivi avessero proceduto a lavori del terreno,

ed a maggior ragione a semine, avrebbero ottenuto il raccolto e noi avremmo

atteso quei mesi per introdurci legittimamente e procedere alle assegnazioni.

Appena si seppe dell’intesa, tutta la D.C. vi si scagliò contro, accusan-

doci di tradimento col nemico. I consiglieri democristiani, quindi tutti, salvo

il Presidente Caglioti, che condivideva con me la linea di condotta che gli

avevo preventivamente sottoposta, ed il repubblicano, si dimisero e cominciò

una lunga crisi di poteri.

Per azione svolta dall’alto le dimissioni furono ritirate dopo qualche

mese, ma era chiaro che si era entrati in un clima di esasperata tensione.

Il nostro lavoro, intanto, procedeva intenso; avevamo una nuova e bella

sede a Cosenza, ma non eravamo più di 30-35 persone: tra essi cari amici,

come Lao Musenga, Gualtiero Fiori, ma anche, tra i bravissimi funzionari,

qualche militante comunista, proveniente dalla vecchia O.V.S. Ma ciascuno

stava al suo posto e non dava alcun fastidio.

Furono intraprese molte iniziative, sia nei riguardi degli assegnatari che

ebbero scorte ed anticipazioni in natura, sia nei riguardi dei braccianti, nei

centri investiti dalla Riforma, per i quali si istituirono lavori di assetto dei ter-

reni, di rimboschimento e di piantagioni.

Anche i compiti di valorizzazione dell’Altopiano Silano, per i quali

l’Opera era stata istituita, proseguirono e, nell’inverno ’51-52, grazie a due

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I primi tempi della riforma agrariaAgronomi protagonisti

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spazzaneve di fabbricazione tedesca, subito adoperati ottimamente da con-

duttori calabresi, si tenne aperto per la prima volta l’accesso all’Altipiano da

tutti e due i versanti. Si incentivarono l’apertura di un albergo a Camigliatello

e di altri locali di utilità pubblica e si aprirono piste per gli sci.

La mia famiglia aveva lasciato Licola e si era trasferita a Napoli, in un

attico interno al palazzo di Piazza Amedeo, con l’ingresso dall’ultimo porto-

ne di via V. Colonna. Nell’estate del ’51 Adriana con le bambine, Elena e

Laura Persico vennero per un mese a Camigliatello. Adriana e le bambine ci

restarono fino all’apertura delle scuole e tornarono poi a Napoli.

Io continuai per due anni ancora la mia vita di albergo: Cosenza,

Catanzaro, Crotone. Spostamenti notturni, d’inverno con una nebbia fitta

sulla vecchia strada tutta curve tra Catanzaro e Cosenza.

Dopo il relativo rasserenamento della situazione interna al Consiglio,

decisi che avrei potuto lasciare. Lo dissi a Caglioti che ne fu molto addolora-

to. A Segni era subentrato come Ministro dell’agricoltura Fanfani, che era

venuto qualche volta da noi e che aveva, non so quanto opportunamente, insi-

stito per la costituzione di poderi con case coloniche distanziate, e non rag-

gruppate come noi pensavamo. Soluzione erronea che, tuttavia, fu adottata.

Le case non vennero mai continuamente abitate e, soprattutto, non vi si tra-

sferirono le famiglie. Presto vennero asportate porte, finestre, tegole. Ma i

terreni vennero, ciò malgrado, ben coltivati e valorizzati, soprattutto dove,

come sul pianoro di Capo Rizzuto, lungo il Neto, a Sibari, arrivò anni dopo

l’irrigazione.

Io tornai a Napoli senza una destinazione di lavoro.

Mi raggiunse là l’offerta del Ministero – Direttore Bottalico – che mi

propose la direzione del nuovo grande Consorzio di Bonifica unificato, dai

quattro precedenti, più l’O.N.C., del Bacino Inferiore del Volturno.

Agronomi protagonisti

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Per le mie figlie

La Malaria e la Cassa per il Mezzogiorno

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Agronomi protagonisti

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La Malaria

Mio padre, originario delle colline daune del sud che si affacciano sulla

valle dell’Ofanto, aveva un innato timore della malaria, che indeboliva le per-

sone e, nelle frequenti forme di “perniciosa”, le portava spesso alla morte.

Ricordo che in uno dei viaggi dalla Tripolitania a Napoli, avendo lasciato il

piroscafo a Siracusa o a Messina e risalendo la linea ionica a causa dell’inter-

ruzione di quella tirrenica, in pieno mese di Luglio, chiuse i finestrini dello

scompartimento ferroviario durante la traversata della Piana di Metaponto.

Malgrado tutto, non so dove e non so come, io subii la malaria. Dai sette

anni in poi fui infastidito e deperito da febbri irregolari che, perché tali,

nascondevano la natura del male. Fu mia zia Maria, allora biologa ma diret-

trice della clinica del marito a Tripoli, ad avere un sospetto: il vetrino rivelò

il plasmodio e, per anni mi sottoposi e resistetti eccellentemente alla cura del

chinino. Eppure nelle aride steppe della Tripolitania non c’era certo l’anofe-

le, né tra la popolazione indigena vi erano malarici.

La Cassa per il Mezzogiorno

Fu nell’autunno del ’61, l’anno in cui rimasi più lungamente al Cairo,

che una mattina, all’ingresso dello Scheaferds, incontrai Gabriele Pescatore,

che, da Presidente della Cassa per il Mezzogiorno, era venuto per qualche

giorno in Egitto, a riposare dopo un’operazione all’occhio. Pescatore mi

conosceva come ex-Direttore dell’opera Sila per la Riforma Agraria e come

Direttore, lo ero ancora, del Consorzio di Bonifica del Basso Volturno.

L’ingegnere Nai, a ragione dell’età, doveva lasciare la direzione del Servizio

Bonifica, il più importante della Cassa, e se ne cercava il successore. Le sue

parole furono: “ma che ci fai qui? Vienitene con noi”. Io esitai ad accettare,

ma, in occasione di un mio ritorno in Italia, Adriana seppe dell’offerta e, stan-

ca dei miei continui viaggi, volle assolutamente che aderissi. Nei primi del

’62 emigrai alla Cassa ed attesi per circa due mesi che si procedesse all’as-

sunzione dell’incarico. Questo avvenne e percepii qualche malumore tra aspi-

ranti interni, che tacquero persino gli auguri.

Cominciò un periodo di straordinario impegno e di piena immersione nel

lavoro. Vivevo solo a Roma, in uno dei primi “residence”, se così si poteva

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La Malaria e la Cassa per il MezzogiornoAgronomi protagonisti

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chiamare quello di via Ticino 2, abbastanza confortevole, ma usato solo per

dormirvi. Il solerte ed affettuoso segretario, Mariani, dovette cambiare molte

delle sue abitudini, a cominciare dalle firme delle cosiddette “pizze”, delle

quali si vedeva solo il margine inferiore per la firma, ma non il testo. Ma non

fu certo solo questa l’innovazione: furono invece molti e frequenti nel gior-

no i contatti con i collaboratori dei sette uffici dipendenti (Difesa Idraulica,

Irrigazione, Conservazione del Suolo e Forestazione, Piani e Programmi,

Legge Speciale Calabria, Miglioramenti Fondiari Amministrativi tutti retti da

professionisti di gran valore e di provata fiducia. La mancanza di questa fu

all’origine di una sola dimissione. Tra i collaboratori ricordo, attivi ed idea-

tori gli ingegneri Terenzio, poi sostituito alle opere idrauliche da Piccolo ed

a quelle irrigue da Iamalio, l’ingegnere Stevanella, l’ingegnere Sodini, sosti-

tuito poi da Sferrazzo, l’ingegnere Conforti, sostituito poi dall’ingegnere

Sbreccia, il Dott. Carlo Russo, l’amministrativo Dott. Caso.

Entravo in ufficio alle 8,30-9 del mattino ed, interrompendo per una

sommaria e breve colazione meridiana, ne uscivo non prima delle 21 della

sera, portandomi a casa un borsone di carte da leggere o da firmare. Il lavo-

ro è documentato dalle relazioni ai bilanci annuali, ma visibile, indelebile e

ricordato da tutti i protagonisti periferici per le opere che fino al ’78 si crea-

rono e che hanno sovvertito l’aspetto delle regioni meridionali.

Non era affatto un lavoro di solo tavolo, perché settimanalmente o, al

massimo, quindicinalmente, si andava sui luoghi dove la realtà balzava molto

evidente, più che dalle carte e dai progetti e, dove, aiutato dall’appoggio di

Pescatore e del Consiglio di Amministrazione, si decideva all’istante od in un

arco brevissimo di tempo9.

Così passarono diciassette anni, ma dopo sei o sette fui incaricato dal

coordinamento dei Progetti Speciali che derivarono da una legge della fine

degli anni 60 e che concentrarono le attività sulla depurazione del Golfo di

Napoli, sulle acque del Biferno, sul sistema idrico Lucano-Pugliese, sullo svi-

luppo della Calabria, sull’area industriale di Siracusa e sulle acque della

Sicilia, sul porto canale di Cagliari e sullo sviluppo di quest’ultima Isola.

9 Il Consiglio era costituito, nei primi anni 60, dai Vicepresidenti Avv. Gullo (palermitano) ed On. Tavassi La

Greca (avvocatura dello stato); da Altara (sardo e veterinario), da Cardone (avvocato e campano) da Ciarrocca

(abruzzese ed economista agrario), da Cifarelli (barese e giurista), da Della Morte (campano ed imprenditore), da

Damiani (barese e docente di diritto), da Froggio (calabrese ed avvocato), da Polcaro (lucano ed ingegnere), da

Rubino (trapanese e docente di diritto), da Silva (laziale ed ingegnere).

La Malaria e la Cassa per il MezzogiornoAgronomi protagonisti

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Per quattro o cinque anni finali, fui nominato Vice Direttore Generale (il

Direttore Generale era il Dott. Coscia) e svolsi tutta la parte operativa. Gli

ultimi anni non furono certo felici per l’efficienza dell’istituzione e per la

contrapposizione, frequente, delle subentrate, inette ma autoritarie,

Amministrazioni Regionali.

La famiglia mi raggiunse a Roma dopo sette anni, in seguito al matrimo-

nio di Franca ed alla laurea di Marinella (1967).

Lasciata la Cassa, molto prima della pensione, sei o sette Ministri demo-

cristiani o socialisti, mi vollero come consulente del Ministero per il

Mezzogiorno, fino all’anno 1987.

Il resto è storia troppo recente ed attuale perché ne scriva. Ho continua-

to a dedicarmi alla Bonifica ed alle Acque, raccogliendo e compilando mono-

grafie e libri. Fino a quando? Forse la mia curiosità ed i miei interessi cultu-

rali si allontanano nell’avanzata maturità da quel che è stato il nocciolo del

mio lavoro. Ma è bene che sia così o è l’inesausta ricerca di altre vie della

mente? Che Dio me ne dia la continuità e la forza!

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Agronomi protagonisti

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Giulio Leone – principali pubblicazioni

Leone, G. “L’assistenza tecnica in agricoltura e l’agronomo”, PugliaAgricola, II, n. 9-10, 1962.

Leone, G. “L’azione dei nuclei di assistenza nel Mezzogiorno”, LaBonifica Integrale, XVIII, n. 5, 1964.

Leone, G. “L’agricoltura nel Mezzogiorno oggi e domani”, La trasfor-mazione del mondo contadino, edizioni Del Veltro, Roma, 1965.

Leone, G. “Prospettive di sviluppo agricolo ed interventi da realizzare”,

Atti del Convegno su Le prospettive di sviluppo agricolo in alta Val d’Agri,Villa d’Agri, 26 giugno, 1966.

Leone, G. “La protezione del suolo e la regolazione delle acque”, Atti delXXIII Congresso Nazionale delle Bonifiche, Società Editrice Il Mulino,

Bologna, 1967.

Leone, G. “L’impegno tecnico nello sviluppo del Mezzogiorno per

un’agricoltura europea e mediterranea” in XXXIV Convegno Nazionale deidottori in Scienze Agrarie, Napoli, 3 Marzo, 1968.

Leone, G. “I consorzi di bonifica nel Mezzogiorno”, La Bonifica, n. 3-4,

1968.

Leone, G. “Intervento al Dibattito sui Piani Zonali promosso dall’Istituto

Nazionale di Sociologia Rurale”, Rivista di Economia Agraria, XXV, n. 4,

1970.

Leone, G. “Intervento al XXIV Congresso Nazionale delle Bonifiche”,

Per una politica del Territorio. Atti del XXIV Congresso Nazionale delle

Bonifiche, Il Mulino, Bologna, 1971.

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Giulio Leone - principali pubblicazioniAgronomi protagonisti

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Leone. G, “Agricoltura e Progetti Speciali”, Realtà del Mezzogiorno, XI,

n. 4, 1971.

Leone, G. e Cesarini, C. Assistenza Tecnica Agricola, Cassa per il

Mezzogiorno, serie divulgazione: 15, 1974.

Leone, G. “Più che di riconversione si dovrebbe parlare di progressiva

evoluzione”, La riconversione dell’agricoltura meridionale, Quaderni di

Nuovo Mezzogiorno, n. 22, 1976.

Leone, G. Intervento alla tavola rotonda su “Problemi e prospettive della

Bonifica nel Lazio”, Il dottore in Scienze Agrarie e Forestali, XXVII, n. 5,

1977.

Leone, G. “Sviluppo dell’agricoltura e industrializzazione: le compatibi-

lità territoriali”, Realtà del Mezzogiorno, XVII, n. 11, 1977.

Leone, G. “Tendenze evolutive delle aree attive del Mezzogiorno”, Atti

del Convegno di Taormina, CNR/Progetto finalizzato “Containers”,

Trasportare & Distribuire in agricoltura per l’alimentazione, n. 4, 1977.

Leone, G. “Riflessioni sull’intervento straordinario in agricoltura nel

Mezzogiorno”, Rivista di Economia Agraria, XXXIII, n. 3, 1978.

Leone, G. “Prospettive dell’azione straordinaria nell’agricoltura del

Mezzogiorno”, Rassegna dell’Agricoltura Italiana, XXXV, n. 1, 1980.

Leone, G. “La Bonifica Idraulica”, Relazione al XXVII CongressoNazionale dell’Associazione Nazionale delle Bonifiche, Rovigo, 8 marzo,

1980.

Leone, G. Intervista su “I ritardi, le incognite e i problemi dello svilup-

po irriguo”, Città e Campagna, XIII, n°12, 1981.

Giulio Leone - principali pubblicazioniAgronomi protagonisti

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Leone, G. “Nascita dei Comprensori irrigui. Problemi di origine e di svi-

luppo”, L’Italia agricola, 118, n. 1, 1981.

Leone, G. “Significato di un convegno: l’irrigazione nel Mezzogiorno”,

Il dottore in Scienze Agrarie e Forestali, XXXII, n. 1, 1982.

Leone, G. “Agricoltura: le risorse inespresse superano quelle manifeste.

Rapporto Calabria ’80”, Nuovo Mezzogiorno, XXVI, n. 3-4, 1983.

Leone, G. “Ricerca applicata e nuove tecnologie ausiliari per lo svilup-

po meridionale e il riequilibrio territoriale delle regioni europee”, Delta, n. 8,

1984.

Leone, G. “La diga Antonio Iamalio”, Rassegna dei lavori pubblici,XXXI, n.11, 1984.

Leone, G. “Unitarietà: passaggio obbligato dei problemi Nord-Sud”, IlMezzogiorno verso il duemila, Quaderni di Nuovo Mezzogiorno, n. 26, 1985.

Leone, G. “Le irrigazioni in Italia. Sviluppi, realizzazioni, metodi”,

Irrigazione e Bonifica in Italia, Ital-Icid e A.I.I., Casablanca (Marocco), set-

tembre, 1987.

Leone, G. “Promozione di iniziative nelle aree interne e collinari del

Mezzogiorno”, Agricoltura, XXXVI, n. 183-184, 1988.

Leone, G. “Il Sud fra lentezze e inadempienze”, Nuovo Mezzogiorno,XXXII, n. 1, 1989.

Leone, G. “L’approvvigionamento idrico e le ipotesi di investimenti pri-

vati nel settore”, Sviluppo, n. 62, 1990.

Leone, G. “I conflitti per le acque: il caso dell’Italia Meridionale”, Delta,n. 46-47, 1991.

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Giulio Leone - principali pubblicazioniAgronomi protagonisti

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Leone, G. “Trasferimenti di volumi idrici e compensi territoriali”,

Idrotecnica, n. 4, 1993.

Leone, G. “Il problema del rifornimento idrico nel Sud”, NuovoMezzogiorno, XXXVIII, n. 1-2, 1995.

Leone, G. “La partecipazione del capitale privato per l’approvvigiona-

mento idrico”, Rivista economica del Mezzogiorno, IX, n. 4, 1995.

Leone, G. “Stato delle irrigazioni in Italia”, L’acqua, n. 5, 1997.

Leone, G. “Vincenzo Caglioti, L’impegno civile”, Rivista economica delMezzogiorno, XII, n. 4, 1998.

Leone, G. “Manlio Rossi-Doria e la Riforma Agraria in Calabria”,

Manlio Rossi-Doria e le trasformazioni del Mezzogiorno d’Italia, a cura di

M. De Benedictis e F. De Filippis, Piero Lacaita Editore, Manduria, Bari-

Roma, 1999.

Leone, G. “Uomo della bonifica”, Ricordo di Giuseppe Medici,Federazione Italiana Dottori in Agraria e Forestali, Roma, 2001.

Leone, G. “Bonifiche e irrigazioni in Italia alla fine del XX secolo”,

L’acqua, n. 5, 2001.

Leone, G. “Il governo delle acque con strutture consortili: stato attuale e

prospettive”, L’acqua: una risorsa preziosa, Problematiche dell’Agricolturaitaliana. Scenari Possibili, n. 2. Accademia nazionale di Agricoltura.

Consiglio Nazionale delle Ricerche, Bologna, 2001.

Leone, G. Scritti di Giuseppe Medici, Associazione Nazionale Bonifiche

e Irrigazioni, Roma, 2002.

Leone, G. “Le abissali differenze di disponibilità idriche nel nostro

paese. Esiste una possibilità di compensazione?”, L’Acqua, n. 4, 2003.

Giulio Leone - principali pubblicazioniAgronomi protagonisti

- 127 -

Leone, G. “Interventi per lo sviluppo irriguo”, Celebrazioni del 250°anniversario, supplemento a I Georgofili, Atti dell’Accademia dei

Georgofili, VII serie, Vol. L., 2003.

Leone, G. “A proposito di black out culturali”, AGRIculture, LX, n. 1,

2004.

Leone, G. “Esigenze dei dati idrologici in agricoltura. Conferenza

Nazionale”, Il Monitoraggio Idrologico in Italia, supplemento alla Rivista

L’Acqua, n. 4, riportato in Bonifica, anno XXII, n. 1, 2007.

Leone, G. et al. “L’uso dell’acqua in agricoltura, relazione della FIDAF

sull’irrigazione: condizioni attuali, possibili razionalizzazioni, prospettive di

natura economica e di sviluppo territoriale”. Volume a cura di FIDAF e

ARDAF, 2007.

Leone, G. “L’attività svolta in materia di acque e di bonifiche nel

Mezzogiorno, negli anni dell’intervento straordinario e nel passaggio all’or-

dinario”, Rivista giuridica del Mezzogiorno, XXIII, n. 2, 2009.

Leone, G. “Ricordo di Francesco Curato”, Agronomi protagonisti,Giornata di commemorazione organizzata dalla FIDAF e dall’ARDAF,

Roma, 6 maggio. 2009.

Senza riferimenti o data:

Leone, G. Il ruolo dei consorzi di bonifica per la valorizzazione dei ter-ritori di pianura e delle zone interne del Mezzogiorno, 12 giugno. 1984.

Leone, G. “Tendenze evolutive delle aree agricole attive del

Mezzogiorno”, Quadrante Sud.

Leone, G. “Esperienze di assistenza tecnica e di iniziative associate nel

settore zootecnico nel Mezzogiorno”, La Zootecnia, Istituto Nazionale per

l’Incremento della Produttività.

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Stampato dalla Tipografia Massimo ALBANESEFinito di stampare nel mese di luglio 2012

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FIDAF

La Federazione Italiana Dottori in Agraria e Forestali,

fondata a Roma il 17 novembre del 1944, è l’organizzazione

di rappresentanza di tutti i laureati delle Facoltà di Agraria.

La FIDAF è un libero organismo apartitico e non persegue

fini di lucro; è socio fondatore del Comitato Europeo degli

Agronomi (CEDIA).

È costituita dalle Associazioni Provinciali e Regionali pre-

senti sul territorio ed ha come scopi la tutela morale, profes-

sionale e sindacale della categoria e come compiti principali

l’aggiornamento professionale e culturale, nonché la realizza-

zione di servizi per i soci.

La Federazione svolge attività di promozione culturale,

scientifica e tecnica a favore dell’agricoltura, anche median-

te il sito internet www.fidaf.it.

Alla FIDAF possono aderire i laureati delle Facoltà di

Agraria - Lauree tradizionali in Scienze agrarie e Scienze

forestali, e quelle attuali triennali e specialistiche - che abbia-

no o non abbiano sostenuto l’esame di stato, iscritti o non

iscritti all’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali.

Possono partecipare alle attività della Federazione anche i

laureandi delle Facoltà di Agraria.

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