LIBRO FONDI COPERTINA INTESTAZIONE novecento… · CAMERON, James. Storia della rivoluzione...

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Collana Cataloghin. 1

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La Bancarella Editrice

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Collana Cataloghi n. 1

ottobre 2008

isbn 88-89971-25-8ean 978-88-89971-25-3

Copia in pdf per consultazione in rete, donata alla biblioteca di Follonica dalla casa editrice, ne è vietata la ri-produzione a stampa e la copia in pdf senza I lpermesso dell'editrice La Bancarella.

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IntroduzioneC’è sempre un’idea alla base di un progetto da realizzare, c’è sempre una motivazione che ha contribuito allaformazione dell’idea, c’è sempre una passione a sostenere l’idea e una consapevolezza dell’importanza dellarealizzazione del progetto che segue l’idea.Un percorso questo che rispecchia esattamente ciò che ha dato vita a questa pubblicazione e alla mostra cuiessa è strettamente collegata.

Passione iniziale, condivisa dai bibliotecari e dagli storici curatori del progetto, motivati dalla “voglia” difar conoscere a tutti, nella sua più ampia identità, la Biblioteca comunale della Ghisa di Follonica, che èuna, ma di anime ne ha due: è una Biblioteca pubblica, moderna ed amichevole, frequentatissima e amata,ma è anche una Biblioteca storica particolare, per la preziosità, la varietà, l’unicità delle decine di mi-gliaia di documenti per lo più legati alla storia del ‘900, conservati nelle Sale al primo piano, nelle sale Pe-riodici, nell’Emeroteca, visibili al pubblico solo attraverso i cataloghi.

E dalla passione l’idea: scegliere e mettere in mostra anche solo cento documenti, uno per ogni anno distoria del secolo scorso, quali testimonianze d’epoca di eventi storici emblematici, per tentare di delineareun percorso storico lungo quanto questo ultimo “secolo breve”, come lo ha definito Hobsbawn, che lo rac-chiude tra il 1914 e il 1989.Infine il progetto da realizzare: la scelta di un periodo “allargato” rispetto a quello di Hobsbawn, ovvero dal1900 al 2000, per percorrere cent’anni di storia, anzi cento e uno, visto che la discussione su quale annochiuda od apra un secolo non si è ancora conclusa. Quindi, l’individuazione di una serie di eventi storici perciascun anno, la scelta di un unico evento per ogni anno, quello più significativo, più curioso, più divertentee la ricerca del documento più rappresentativo, quello forse introvabile, raro, che di quel fatto, di quell’annofosse testimonianza qualificata.

La realizzazione del progetto si è svolta tutta nelle sale, negli armadi, sugli scaffali della Biblioteca “spe-ciale”, ricercando nei fondi storici, politici, composti di decine di migliaia di volumi, nelle carte degli archi-vi del ‘900 che occupano le pareti di tre sale, nelle Sale Periodici, nell’Emeroteca (collocata in un grandeedificio esterno alla sede centrale), nelle oltre 5.000 testate tra quotidiani e seriali.La consapevolezza dell’importanza di questa ricerca finalizzata a dare dimostrazione, attraverso un minimocampione di documenti, della complessità di questo patrimonio ancora in buona parte da conoscere e valo-rizzare, ha consentito la realizzazione del progetto.

Una parte dei documenti che compongono questo patrimonio, prevalentemente acquisito dalla lungimi-rante direzione della Biblioteca negli anni 70-90, così come dalla stessa selezionati tra i più significativi erari, si possono ricercare nel catalogo cartaceo composto fino a tutto il 1996.

Con l’avvio delle procedure informatiche, dal 1997, sono stati catalogati e quindi resi visibili agli utentianche attraverso Internet, i principali fondi storico-politici, oltre 2.000 testate di riviste e quotidiani (conpriorità per le collezioni più consistenti o complete), sono stati riordinati e ne è stato pubblicato l’inventario,Archivi sindacali (Camera del lavoro di Grosseto), atti di procedimenti giudiziari legati alla storia locale(Disastro della Miniera di Ribolla) e alla storia politica nazionale (Processi politici degli anni ’50 e ’60 del-l’Archivio di Solidarietà Democratica), si sono stesi elenchi di consistenza di archivi politici, pubblici e pri-vati.

È stato un lavoro impegnativo che ha dato vita ad una mostra unica e a questa pubblicazione che è testi-monianza di quella passione da cui tutto ha avuto inizio.

Un lavoro che non avrebbe potuto completarsi senza l’aiuto di Massimo Babboni, Mauro Chelini, EnricoSerafini, Leonardo Baiocchi, Vanessa Manazzale, Claudia Mori e Roberto Sabatelli, ai quali va un grazie dicuore.Consapevoli che la mostra e la pubblicazione si sarebbero potute comporre in mille modi diversi, perchéinfinite le combinazioni di eventi da scegliere e numerosissimi i documenti ad ogni evento legati, ciauguriamo di aver aggiunto un piccolo contributo che possa far conoscere ed apprezzare l’altra anima piùnascosta e ancora in gran parte da scoprire, della Biblioteca follonichese, spesso considerata “solo” per lasua anima più visibile, di biblioteca comunale vivace e stuzzicante.

Miria Magnolfi

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1900Assassinio di Umberto I

ITALIA - Il re Umberto I viene assassinato a Monzala sera del 29 luglio 1900 dall’anarchico GaetanoBresci.

29 LUGLIO 1900 UN FATTO. Carrara, Gruppi anarchiciriuniti, 1981.Collocazione: OBC.III.2.22–Dai Fondi ANARCHICI

News that Crispi government in Italy had sup-pressed the Fasci in Sicily, and that bloody classhesin Milan had killed hundreds of workers, enraged theanarchists of Paterson (New Jersey). In a spirit ofvengeance, Bresci returned in Italy to fire the shotthat killed King Umberto I. That the assassin hadcome from America caused great consternation inItaly. (…) Many poor textile workers who had re-turned from America were picked up and imprisonedas suspected anarchist killers. Paterson, New Jersey,was depicted in the “Corriere della Sera” as “ilgrande focolare dell’anarchia italiana”.Jerre Mangione and Ben Morreale, La Storia. Fiove Cen-turies of the Italian American Experience, New York,Harper Collins 1992.

Erano le 22,35 quando la vettura si mosse. Pochisecondi più tardi, mentre il re ancora si sporgeva arispondere ai saluti della folla, echeggiavano tre (o,secondo alcuni, quattro) colpi di rivoltella. Bresci,estratta l’arma dalla tasca interna della giacca e im-pugnandola a braccio teso, aveva fatto fuoco da ap-pena tre metri di distanza, centrando tre volte il suo

bersaglio.Umberto cadde in avanti, contro le ginocchia del ge-nerale Avogadro di Quinto.«Siete ferito, Maestà ?» gridò il generale.«Non credo sia niente» ebbe ancora la forza di ri-spondere Umberto. Ma subito dopo perdeva i sensi ,e di lì a qualche minuto spirava Arrigo Petacco, L’anarchico che venne dall’Ameri-ca, Milano, Mondadori 1974.

Suonaron le nove ed io scesi a precipizio la scali-nata, secondo il solito, ma non appena ebbi passato ilponte alle Grazie mi accorsi che ci doveva esserequalche grossa novità. Capannelli fitti stavano, im-moti e muti, dinnanzi ai giornalai; molti passanti ave-vano in mano un giornale che avidamente leggevano;ciuffi di gente parlottavano su tutti i crocicchi e sulleporte delle botteghe. In via de’ Benci apparivanogià, a qualche finestra di palazzo, bandiere abbrunatea mezz’asta. Mi feci largo tra coloro che sostavano,impalati e intontiti, dinanzi a un giornalaio e vidi cheil manifesto non conteneva che poche parole, stam-pate in caratteri grossi e neri, tra due liste a lutto: il reUmberto era stato ucciso il giorno prima, a Monza,da un anarchico.Giovanni Papini, Passato remoto, Firenze, L’Arco 1948.

1901Prima trasmissione radio transoceanica di

Guglielmo Marconi

ITALIA - Il 12 dicembre 1901 Guglielmo Marconi ri-ceve in Canada la prima trasmissione radio interocea-nica.

Guglielmo Marconi - Omaggio degli scienziati d’Italianel I° Anniversario della morte 20 LUGLIO 1937-XV20 LUGLIO 1938-XVI. Roma, SIPS Società Italiana peril Progresso delle Scienze, 1938.

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Anno 99° dalla 1^ riunione degli scienziati ItalianiCollocazione: MOS.I.C.VII.59–Dal Fondo Oreste MOSCA

Il 14 maggio 1897 venne stabilita la comunicazio-ne via radio attraverso il canale di Bristol (13 km. didistanza); il 18 luglio 1897 venne stabilito un contat-to radio tra la nave S.Martino e l’arsenale di S.Barto-lomeo (Spezia) alla distanza di 18 km., il 27 maggio1898 comunicazione tra Inghilterra e Francia attra-verso la Manica (33 km.). Il 10 dicembre 1901 il pri-mo messaggio via radio partì da Poldhu (Inghilterra)e venne ricevuto all’isola di Terranova (America delNord).Domenico E.Ravalico, Radio Elementi, Milano, Hoepli1991, p.XXIV.

Guglielmo had spent many months there (Poldhu)in 1900 and 1901 while he was building the radio-transmitting station of Poldhu right behind the hotelon the cliffs by the seashore. He often speak meabout that exciting time (…). In 1901 he also built avery large radio station on Cape Cod in Massachus-sets (South Wellfleet) (…) There was nothingbetween it and the station at Poldhu but the AtlanticOcean (…).

That day, 12 th December 1901, Guglielmo satlistening it at Newfouland radio-station. He had notinformed the Press because he did not want any pub-licity. An assistant at Poldhu in Cornwall was readyto transmit the agreed signal. In between lay the At-

lantic, a distance of one thousand eight hundredmiles, thought by others to be insurmountable (…).The electro-magnetic waves sent from Poldhu reachedthe others side of the Atlantic, serenely ignoring theterrestrial curvature which according to some incredu-lous people should have been an insurmountableobstacle.Maria Cristina Marconi, Marconi My Beloved, Dante Uni-versity Press 1999, pp. 46- 48.

Marconi in retewww.fgm.it (Fondazione Guglielmo Marconi, Villa Grif-fone, 40037 Pontecchio Marconi, Bologna).www.associazionemarconi.com (Club Marconi, Bolognafondato nel 1972) .www.radiomarconi.com (Comitato Guglielmo MarconiInternational, registrazione voce di Marconi).www.marconifilatelico.it (Circolo Filatelico Marconi, CP33, Pontecchio Marconi, Bologna).www.marconiusa.org (The Guglielmo Marconi Founda-tion, 18 North Amherst Road, Bedford, NH 03110).

1902Fine della Guerra anglo – boera.

SUDAFRICA –Termina la guerra anglo - boera (pacedi Vereeniging) che mette fine alle repubbliche boere.CAMERON, James. Storia della rivoluzione africana.Milano, Edizioni di Comunità, 1964.

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Collocazione: GER.TE.II.11–Dal Fondo Virginia GERVA-SINI

I campi di concentramento si ripetono, con mag-giore efficienza e organizzazione, nel corso dellaguerra anglo–boera. Dopo una prima fase di guerra“tradizionale”, anche qui proprio al volgere del seco-lo, i boeri danno inizio alla guerriglia. Lord Kitche-ner, che nel 1901 comanda le truppe inglesi, controuna tattica ritenuta “incivile” minaccia di”prendereprovvedimenti sgradevoli e ripugnanti nei confrontidelle donne e dei bambini”. È la logica dell’interna-mento, della distruzione dei luoghi della vita civile,compresi gli edifici di culto. (…)Non sono campi di morte, certo non nelle intenzionidi chi li costruisce. Ma le cattive condizioni igieni-che, la scarsità di cibo, il diffondersi delle malattie,favoriscono una mortalità elevata. Su centomila in-ternati ne muoiono ventottomila e la mortalità infan-tile in alcuni campi raggiunge l’80%.Marcello Flores, Tutta la violenza di un secolo, Milano,Feltrinelli 2005, p.133.

When reading the inscriptions on the groves ormonuments of the executed Boers erected in theCape Colony, one, is moved by the veneration shownby the words:“Hero of the Anglo – Boer War” John Baxter- Aber-deen“Highest toll paid for Nation and Fatherland “ PetrusKoppler , Burgersdorf.“Greater love hath no man, that he lays down his lifefor his friends” Willie Lauv- Colesberg .“Who the spring of 1901 paid the highest toll fortheir love of the Fatherland” Kuhn brothers, Jansenand Rautenbach- Vrysberg.“Innocent but sentenced to death” Nienaber brothersand Nieuwoudt- HanoverGraham Jooster, Roger Webster, Innocent Blood,Claremont, Soth Africa, Spearhead 2002, p.20.

(A Bellinzona) c’è il ristorante Boero, aperto nel1902 in casa Minghetti, da Maddalena Ferrari: la Guer-ra anglo–boera, cominciata nel 1899, termina propriol’anno in cui il Boero accoglie i primi clienti ai qualil’insegna ricorda i nomi, diventati popolari anche danoi, di Smuts, Baden Powell e lord Kitchener (era statocostituito, in città, un comitato Pro – Boeri che (…) ten-ne, al Sociale nel marzo del 1901, una serata con confe-renza che diede un “prodotto netto di 250 franchi”, con-segnato al comitato centrale svizzero).Plinio Grossi, Saluti da Bellinzona, Bellinzona, Edizioni Ca-sagrande 2005, p.164.La guerra anglo-boera in rete:www.anglo-boer.co.za (Anglo-Boer War Museum, Monu-ment Road, Bloemfontein, South Africa 9301).

1903Giovanni Giolitti presidente del Consiglio.

ITALIA - Alla caduta del governo Zanardelli, il 3 no-vembre 1903, Giovanni Giolitti ritorna per la secondavolta alla Presidenza del Consiglio. Si apre così la co-siddetta "età giolittiana".

BERRINI, Nino. Giolitti intimo. Roma, Carrà, 1908.Collocazione: MOS.I.C.IX.20–Dal Fondo Oreste MOSCA

Assurdo pretendere che Giovanni Giolitti, uomopolitico uscito dalla vecchia classe dirigente borghe-se e conservatrice, fosse l’araldo del rinnovamentodella società italiana; non si può però negare che tragli uomini politici della sua epoca egli appaia oggiquello che più degli altri aveva compreso qual era ladirezione in cui la società italiana avrebbe dovutomuoversi per uscire dai contrasti del suo tempo (…)Tutto sommato, tra gli uomini politici della borghe-sia egli si è spinto più innanzi , sia nella comprensio-ne dei bisogni delle masse popolari , sia nel tentativodi dar vita a un ordine politico di democrazia, sia nel-la formulazione di un programma nel quale si scorge,anche se in germe, la speranza di un rinnovamento.

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Palmiro Togliatti, Opere, Roma, Editori Riuniti1984, V, pp.536, 564.

Giolitti non fu il primo ministro degli Interni a“manipolare” le elezioni. Ma egli “manipolò” unadopo l’altra tre elezioni generali (1904, 1909, 1913) esorpassò tutti nella chiarezza dei propositi, nellamancanza di scrupoli e nella brutalità. Badiamo però,Giolitti non in tutta Italia “manipolava” le elezioni.In quelle parti della penisola, dove l’opinione pubbli-ca era sveglia e l’opposizione era dura da reprimerelasciava che le cose andassero per il loro verso. Per-ciò l’Italia settentrionale era lasciata libera di ammi-nistrarsi come meglio le garbasse (…) Soltanto nel-l’arretrata Italia meridionale Giolitti impiegava i suoimetodi, e solamente quando e dove erano necessari.Così l’Italia meridionale forniva a Giolitti circa due-cento deputati pronti a obbedirgli a qualsiasi condi-zione.Gaetano Salvemini, Introduzione , in William Salomone,L’età giolittiana, Torino, De Selva 1949, pp.XXI- XXIV.

Giolitti: l’uomo che non fa sfoggio di letteratura,che cita una sola volta un verso di Dante, ma checompenetra un’intera stagione della vita italiana, chedefinisce e riassume un complesso di convinzioni , diabitudini, di modi di convivenza. Quasi identificandola sua stessa parabola con la parabola dell’Italia libe-rale, dell’Italia che si cerca, dell’Italia che cresce e si

sviluppa e si trasforma, che passa dalle forme oli-garchiche e censitarie alla democrazia e al suffragiouniversale, ma senza mai rinunciare alle grandi diret-tive del liberalismo cavouriano, ai punti fermi dellareligione del Risorgimento (che resterà sempre unareligione di “élite”).Giovanni Spadolini, Gli uomini che fecero l’Italia. Il No-vecento, Milano, Longanesi 1972, p.97.Giolitti in rete.www.giovannigiolitti.it (Centro Europeo Giovanni Giolit-ti per lo Studio dello Stato, via XXV Aprile 25, 12025Dronero, CN).

1904Prima rappresentazione della “Figlia di

Jorio” di Gabriele D’Annunzio.

ITALIA - La sera del 2 marzo 1904 viene rappresenta-ta per la prima volta al Teatro Lirico di Milano la tra-gedia in tre atti La figlia di Iorio di Gabriele D'Annun-zio.D'ANNUNZIO, Gabriele. La figlia di Iorio. Milano,Mondadori, 1958.Collocazione: ARM.16.II.17-Donazione Aldo D’ERRICO

Il 5 (gennaio 1904) D’Annunzio era invece a Mi-lano per la messa in opera della Figlia di Iorio, fissa-ta per il 2 marzo al Teatro Lirico. Fra i primi di gen-naio e i primi di marzo del 1904, venne a soluzione ilrapporto fra Gabriele e Eleonora (Duse). L’assillodell’attrice che voleva garantirsi la parte di Mila nel-la Figlia di Iorio e la decisione di D’Annunzio , checon un colpo di mano si accingeva a sostituirla nellaparte con Irma Gramatica , furono le esplosioni finalidi un processo di disgregazione in atto da molto tem-po. Insistendo nella sua ormai impossibile richiesta,la Duse pareva voler spingere l’amico a una presa diposizione estrema. D’Annunzio afferrò la palla albalzo, sentendo arrivato il momento di eliminare per

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sempre Eleonora tanto dall’ “opera dello spirito” chedall’ “opera della carne”. Piero Chiara, Vita di Gabriele D’Annunzio, Milano,Mondadori 1981, p.144.

Dopo recite e recite di Città Morte, Gioconde,Francesche, tenute in vita sul palcoscenico dalla suagrande arte (di Eleonora Duse), ma nate morte, quan-do finalmente Gabriele riesce (sono i tempi di felicitàcreativa delle Laudi) a scrivere il suo capolavoro tea-trale, La figlia di Jorio, l’amante si è trovata unapartner giovane e bella, la marchesa di Rudinì, ildrammaturgo si è scelta , come Mila di Codra, la na-scente attrice Irma GrammaticaAttilio Bertolucci, E Charlie Chaplin batté le mani, in “laRepubblica”, 2 giugno 1985.

(2 marzo 1904) Al Lirico di Milano debutta La figliadi Jorio di Gabriele D’Annunzio, protagonista lagiovane Irma Grammatica nuova fiamma (così simormora) del Maestro. Frenetici applausi e lodi com-patte per l’autore di questa enfatica tragedia pastora-le: l’eco del trionfo attraversa l’Italia e colpisce lafantasia di Eduardo Scarpetta, che ha appena presen-tato al Valle di Roma, una piéce parodistica, La Gei-sha , nata nel segno dell’orientalismo diffuso all’albadel Novecento. Nello spettacolo ha festeggiato tral’altro l’esordio di uno dei suoi figli: Eduardo De Fi-lippo, che a quattro anni recita vestito da giapponesi

no. Subito dopo il successo, il copione dannunzianogli ispira un’esilarante parodia intitolata Il figlio diJorio.Leonetta Bentivoglio, La parodia alla sbarra, in “la Re-pubblica”, 25 maggio 2008.

D’Annunzio in rete.www.vittoriale.it (il sito del Vittoriale degli Italiani,residenza di D’Annunzio a Gardone Riviera, BS).www.gabrieledannunzio.net (con continui aggiornamenti).www.archiviodannunzio.it (Archivio D’Annunzio, c/oCodess Cultura, Corso del Popolo 40, 30172 Mestre, VE).www.muvi.org/museodannunzio (Museo Casa Natale diG.D’Annunzio, Corso Manthonè 111, 65217 Pescara).

1905 Albert Einstein enuncia la teoria della

relatività speciale.

GERMANIA - Nel giugno 1905 Albert Einstein pub-blica il "Saggio sull'elettrodinamica dei corpi in moto"(Zur Elektrodynamik bewegter körper), ossia la teoriadella relatività ristretta o teoria speciale della relativi-tà, sulla rivista tedesca "Annalen der Physik".

EINSTEIN, Albert. Relatività: esposizione divulgativaTorino, Universale scientifica Boringhieri, c1967.Collocazione: F.I.40

In all the history of physics, there has never beena period of transiction as abrupt , as unanticipated ,and over as wide a front as the decade 1895 to 1905(…) . The birth of quantum theory (1900) and re-lativity theory (1905) marked the beginning of an erain which the very foundations of physical theorywere found to be in need of revision. Two men ledthe way toward the new theoretical concepts: MaxKarl Ernst Ludwig Planck, professor at the Uni-versity of Berlin (…) and Albert Einstein, technicalexpert at the Swiss patent office of Berne working inan isolation which deserves to be called splendid.Abraham Pais, ‘Subtle is the Lord…’. The Scienceand the Life of Albert Einstein, Oxford – New York,Oxford University Press 2005, p.26.

Nell’anno 1900 un anziano irlandese, William

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Thomson, ormai noto come Lord Kelvin, dichiara fi-nite la stagione della ricerca in fisica: tutto quello chedi sostanziale c’era da scoprire è stato scoperto. Nel-l’anno 1905 un giovane impiegato presso l’UfficioBrevetti di Berna, di 26 anni, senza esperienza acca-demica e assolutamente sconosciuto negli ambientiscientifici, lancia “tre razzi fiammeggianti che – so-stiene Louis De Broglie – nel buio della notte im-provvisamente gettano una breve ma potente illumi-nazione su una immensa regione sconosciuta della fi-sica”. Quei tre razzi, insieme alla scoperta del “quan-to elementare d’azione” a opera di Max Planck , sonola più clamorosa dimostrazione che Lord Kelvin ave-va torto. È l’annuncio di una stagione eccitante di ri-cerca che avrebbe, in pochi anni, portato alla luceuna “nuova fisica”. I tre razzi fiammeggianti riguar-dano tre argomenti in apparenza molto diversi traloro: i quanti di luce e l’effetto fotoelettrico ; il motobrowniano e la teoria atomica della materia; la relati-vità ristretta.Pietro Greco, Einstein . Lo scienziato e il personaggio.Dalla relatività speciale alla ricerca dell’unificazione del-la fisica, Milano , Alpha Test 2004, p.43.

Albert Einstein veniva sempre assediato dai giornali-sti che gli chiedevano di riassumere in una battuta ilsenso delle sue scoperte e il significato peculiare del-le sue teorie divenute celebri con i nomi , alquantoesoterici, di relatività speciale e generale. Un giornoEinstein diede loro soddisfazione, rispondendo: «Pri-ma si credeva che se ogni cosa sparisse dal mondo,sarebbero comunque restati lo spazio e il tempo;dopo la teoria della relatività, insieme con le cose do-vrebbero scomparire anche lo spazio e il tempo».Un’affermazione grandiosa, che suona al contempofacile e difficile. Facile da leggere – chiunque l’avrànotato; ma difficile da capire, come si accorge a suespese chiunque tenti di precisare che cosa Einsteinintendesse con quelle parole. Che debbano scompari-re “insieme con le cose anche lo spazio e il tempo”significa che le cose sono intimamente connesse allospazio e al tempo , cioè che le cose possono influiresullo spazio e sul tempo.Ernst Peter Fischer, Aristotele, Einstein e gli altri, Milano,Raffaello Cortina 1997, p.313.

Einstein in rete.www.einstein-website.dewww.alberteinstein.info (Einstein Archives and Work onLine in un progetto curato da Jewish National Library,Hebrew University of Jerusalem and California Institute ofTechnology and Princeton University Press).

1906Nasce la CgdL.

ITALIA - Tra il 29 settembre e il 1 ottobre del 1906, aMilano, nasce la Confederazione Generale del Lavoro(CGdL), l'organizzazione sindacale al cui atto di fon-dazione partecipano 700 delegati in rappresentanza dioltre 80 Camere del Lavoro e di circa 200.000 aderen-ti.

EPIFANI, Guglielmo– FOA, Vittorio. Cent'anni dopo. Ilsindacato dopo il sindacato. Torino, Einaudi, c2006.Collocazione:331.880 EPI

Alle origini del sindacato ci sono queste figure dituttofare che aprono una sede sindacale, scrivono ungiornaletto, animano una o più lotte, vittoriose o per-denti, e se ne vanno, dopo qualche mese o qualcheanno, passando ad altra sede: nomadi al servizio delproletariato – nei casi migliori – e comunque ‘sradi-cati’ in un mondo tradizionale che fa delle ‘radici’ edei rispetti ambientali u modello di normalità. Qual-cuno ricorderà il patetico eroe del film di Monicelli,I compagni, con Marcello Mastroianni.Mario Isnenghi, Prefazione, a Giovanni Sbordone, Il filorosso, Venezia, Istituto veneziano di Storia della Resisten-za 2007, p.15

A partire dal 1901, sull’humus accumulato dall’e-sperienza delle Camere del Lavoro , vengono fondatenelle aree industriali le prime Federazioni operaie dicategoria. Insieme alle leghe bracciantili, esse dannovita a Milano nel 1906 alla Confederazione Generaledel Lavoro (CGdL) , la quale l’anno seguente defini-sce con il Psi le rispettive sfere di attività .(…) Al

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momento della sua costituzione la Cgil ha già 250.000iscritti, che saliranno a oltre 300.000 in occasione delcongresso di Modena del 1908. (…) Nel 1906 a Tori-no la Fiom, la Federazione degli operai metalmecca-nici, firma con un’industria di automobili il primocontratto di lavoro collettivo.Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale dal-l’Ottocento a oggi,Roma, Donzelli 1996, p.94.

Intorno al 1906 il proletariato più moderno – me-tallurgici, chimici, metalmeccanici – abbandonava ilsindacalismo rivoluzionario a Torino, a Milano, aNapoli, e solo quello di più recente formazione dellecittà – fabbrica (Sestri, Savona, Piombino, e solo inparte anche Terni), confermava l’adesione . (…) Al-l’atto di fondazione della CGdL (1906), rispetto allalinea riformista, i sindacalisti rivoluzionari appariva-no chiaramente in riflusso organizzativo e politico ,dopo i successi che avevano conseguito nel 1904 eagli inizi del 1905.Maurizio Degli Innocenti, Geografia e istituzioni del so-cialismo italiano, 1892 – 1914, Napoli, Guida 1983,p.220.

L’art. 1 dello Statuto della Confederazione Gene-rale del Lavoro (Cgdl), costituita il 1 ottobre 1906 aMilano, asseriva che il suo scopo era “organizzare edisciplinare la lotta della classe lavoratrice contro ilregime capitalistico della produzione e del lavoro” .(…) Ciò che preoccupava gli industriali e i politicimoderati del 1906 era ovviamente l’idea della lotta diclasse, che stando al fresco statuto della Cgdl appari-va trasfusa dai libri e dai manifesti congressuali delmovimento socialdemocratico nel documento fonda-tivi d’una associazione sindacale nazionale. (…)

La principale funzione d’un sindacato consiste,mediante l’associazione dei più deboli, nel cercare direndere meno diseguale lo scambio, un po’ menoenorme la diversità di potere tra di essi ed i più forti.Per cento anni, tolti quelli di cui la privò il fascismo,la Cgil ha svolto con tenacia, con successi inevitabil-mente alterni, adattandosi molto più di quanto a voltenon sembri ai mutamenti dell’economia e della so-cietà. Da questo punto di vista, i suoi principi di ogginon sono dissimili da quelli soggiacenti al primo sta-tuto del 1906.Luciano Gallino, La capacità di trasformarsi, in “la Re-pubblica”, 18 settembre 2005.

La storia della CGIL in rete.Oltre al sito ufficiale del sindacato, www.cgil.it :www.100annicgil.it (un notevole archivio multimedialeper i cento anni della CGIL, in continuo aggiornamento)www.fondazionedivittorio.it (Fondazione Giuseppe DiVittorio, via Donizetti 7/8, 00198, Roma; via Pompeo Lit-ta 7, 20122 Milano).

1907Muore Giosuè Carducci.

ITALIA - Muore a Bologna il 16 febbraio del 1907 Gio-suè Carducci. Viene sepolto alla Certosa di Bologna

Corriere della sera, 18 febbraio 1907. Collocazione: ZB 18 – Dall’EMEROTECA

È la nostra giovinezza che scende nell’ombra:scrisse Edoardo Scarfoglio non appena apprese, il 16febbraio del 1907, la notizia della morte di GiosuèCarducci. Ed in effetti tutta una stagione della vitaitaliana si chiuse con la scomparsa del poeta delleOdi barbare;tutto un periodo della nostra storia par-ve tramontare per sempre con la fine dell’uomo cheaveva interpretato tutte le grandi passioni nazionali,che aveva trasfigurato gli ideali della democrazia,che aveva vissuto e quasi compendiato le antinomiedell’unità.

Di fronte a quel volto scavato dal dolore, di frontealla salma modestamente composta nella casa di viadel Piombo (a Bologna) tappezzata di legature e di li-bri (di quei libri che la regina Margherita aveva do-vuto acquistare per sollevare le difficoltà finanziariedel professore malato e stanco), tutti gli attacchi tac-quero, tutte le antiche polemiche si placarono. (…)

Non fu quel funerale di Bologna, come sembrò alThovez, un esempio di cortigianeria postuma. Nono-stante la commedia del tronco d’albero inviato daD’Annunzio, nonostante il tardivo dolore del Pascoli,nonostante l’insincero scambio di messaggi fra i duesuperstiti poeti della terza Italia (Pascoli e D’Annun-zio), non si trattò di un “banchetto funebre”, non sitratto di una manifestazione spettacolare organizzatadagli “appaltatori del pubblico dolore”. Noi: ai fiorigettati dalle finestre della gente più umile si univa ilcommosso rimpianto dei numerosi allievi d’Italia, ditutti coloro che seguivano quella salma senza deside-rio di ostentazione e senza lustro di divise di tutti co-loro che avrebbero voluto solo inginocchiarsi umil-mente nella piazza di San Petronio, secondo la testi-monianza di Valgimigli “come in chiesa, quandosuona la elevazione”.

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Giovanni Spadolini, Gli uomini che fecero l’Italia. L’Ot-tocento, Milano, Longanesi 1972, pp.192 – 193.

Giosuè Carducci in rete.www.casacarducci.it (Casa Carducci, Comune di Bologna,inaugurata nel 1921, piazza Carducci 5, 40125 Bologna).www.parchiletterari.com/parchi/carducci (il Parco Lettera-rio Carducci di Castagneto Carducci che fa parte dell’asso-ciazione italiana dei parchi letterari, Associazione Messi-doro, Museo Archivio, via Carducci 1, 57024 CastagnetoCarducci LI).www.giosuecarducci.italia.com (con ampia documentazio-ne, curato dal prof. Donato de Nichilo) .

1908Terremoto di Messina.

ITALIA - Alle ore 5:21 del 28 dicembre 1908 si verifi-ca un terremoto a Messina e Reggio che in 37 "inter-minabili" secondi danneggia gravemente le due città.È considerato uno degli eventi più catastrofici del XXsecolo.

BOLZONI, Attilio. “Cronache del nostro tsunami” in“La domenica di Repubblica”,La Repubblica, 23 gennaio 2003.Collocazione: ZB6–Dall’EMEROTECA

Erano le 5.20 del 28 dicembre 1908, un lunedì,quando un apocalittico terremoto squassò Messina,Reggio Calabria e i paesini distribuiti lungo lo Stret-

to, uccidendo nel sonno non meno di centomila per-sone, anche se ancora oggi si ignora il numero realedelle vittime, perché nei municipi molti documentianagrafici andarono distrutti e sulle navi accorse inaiuto furono imbarcati bambini rimasti orfani troppopiccoli per sapere chi fossero, per pronunciare i pro-pri nomi e cognomi. E non fu soltanto il sisma a mie-tere tante vittime. Dopo circa quindici minuti dal ca-tastrofico sussulto, in quel mitico luogo chiamatoScilla e Cariddi, in un pauroso ribollio il mare si riti-rò come a voler prendere un’assurda rincorsa. Poiondate alte fino a dieci metri si abbatterono sulla co-sta spazzando via i superstiti, i cadaveri, le carcassedegli animali e quanto rimaneva delle case , dei pa-lazzi. Tranciate in più punti, le tubature del gas di-vennero incontrollabili fonti d’incendio. (…)

Quando, dalle parti dello Stretto, il sisma comin-ciò a farsi sentire, un piroscafo inglese, l’Afonwen ,aveva appena lasciato il porto di Messina. Fu cosìche il suo comandante poté descrivere l’orrendo spet-tacolo cui a lui e ai suoi uomini fu dato di assistere:«Dal fondo del mare si propagò un fremito cupo, su-bito dopo esplose un boato terrificante. L’equipaggiosi precipitò in coperta. Le luci di Messina che pun-teggiavano la riva erano scomparse. Dalla parte op-posta , anche le luci di Reggio, di Villa San Giovan-ni, di Palmi non scintillavano più . Appena ho ordi-nato di invertire la rotta e di tornare a Messina, leonde hanno cominciato a sbattere con violenza maivista contro le murate, rovesciandosi a cascata sullacoperta. Il mare era impazzito. Nelle acque del porto,che avevano invasole strade della città per centinaiadi metri , giacevano mezzo affogati velieri, piroscafi,rimorchiatori. Cominciava ad albeggiare e il lungo-mare era una distesa spaventosa di macerie».Matteo Collura, Eventi. Il racconto dell’Italia del Nove-cento, Milano, TEA 2001, pp.30- 31.

Quanti, qui a molti anni , avranno la ventura di ri-vedere risorte Reggio e Messina dal terribile disastrodel 28 dicembre 1908, non potranno mai figurarsil’impressione che si aveva, allorché , passando in tre-no, pochi mesi dopo la catastrofe, cominciava a sco-prirsi, tra il verde lussureggiante dei boschi di arancie di limoni e il dolce azzurro del mare, la vista atrocedei primi borghi in rovina, gli squarci e lo sconquas-so delle case. Io vi passai pochi mesi dopo, e da’miei compagni di viaggio udii i lamenti sull’operalenta dello sgombero delle macerie, e tanti raccontidi orribili casi e di salvataggi quasi prodigiosi e dimirabili eroismi.Luigi Pirandello, Il professor Terremoto, in Novelle perun anno, Firenze, Giunti 1994, p.572.

Un’(onda) di otto metri sommerse il borgo diGiampilieri. Lì abitava con la sua famiglia SantiMazzapica, che allora aveva appena quattro anni. Ne

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ha compiuti cento proprio l’ultimo 31 dicembre. Èuno dei due sopravvissuti ancora vivi del terremoto edel maremoto di Messina. Siamo andati a trovarlonella sua casa di Giampilieri ricostruita davanti aquello stesso mare. Ricordi lontanissimi. Un soffio èla voce del vecchio Santi «le onde hanno superato laferrovia e si sono portate via tutte le case. C’eranosolo morti intorno, mio padre e mia madre preserome e i miei tre fratelli e riuscirono a portarci su quel-la collina». Su quella collina tirarono su la nuovacasa. E lì è cresciuto Santi. Ha aperto una bottega dicalzolaio, ha fatto undici figli. L’ultima stagione del-la sua vita l’ha voluta passare qui, dove è nato. L’al-tro sopravvissuto è una donna, di cognome fa Panfili.Aveva 9 mesi. Si salvò perché suo padre la infilò inuna botte di vino. Sballottata dalle onde per ore, finoa quando il mare si placò. Attilio Bolzoni, Cronache dal nostro tsunami, in “La Do-menica di Repubblica – la Repubblica”, 23 gennaio 2005.

1909Esce il “Manifesto del futurismo “ di

Filippo Tommaso Martinetti.

ITALIA - Il poeta Filippo Tommaso Marinetti pubbli-ca il Manifesto del futurismo sul quotidiano francese LeFigaro, il 20 febbraio1909. Nasce ufficialmente il movi-mento artistico del "futurismo".

MARINETTI, Filippo Tommaso. Gli indomabili. Piacen-za, Edizioni futuriste di “Poesia” della Società Tip. Edito-riale Porta, 1922.Collocazione: MOS.II. G.VII.6 –Dal Fondo Oreste MO-SCA

Il Futurismo, come è ben noto, venne proclamatoda Filippo Tommaso Marinetti con un manifesto ap-parso in prima pagina su “Le Figaro” del 20 febbraio1909. Era seguito da una notizia redazionale su “LaTempérature”, che informava: «Encor une tres bellejournèe, hier, a Paris. Le ciel est de la plus grandepureté, et le soleil – rejouissant prèlude de printemps– brille du plus vif éclat ». Nasceva dunque, il Futuri-smo marinettiano, in un radioso preludio di primave-ra (anche se quei cieli “della più grande purezza” do-vranno sempre più minacciosamente essere insidiatiproprio “dall’alito esplosivo” delle “automobili rug-genti”, che il Manifesto esaltava!). Era un appello ri-volto soprattutto al nostro sonnolento paese.(…)Maurizio Calvesi, Dal Futurismo alle poetiche della mate-ria, in Novecento. Arte e Storia in Italia, Milano, Skira2000, p.88.

«Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici edio – sotto le lampade di moschea dalle cupole di otto-ne traforato, stellate come le nostre anime, perchécome queste irradiate dal chiuso fulgore di un cuoreelettrico…

Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poi-ché ci sentivamo soli, in quell’ ora, ad esser desti eritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, difronte all’esercito delle stelle nemiche, occhieggiantidai loro celesti accampamenti. Solo coi fuochisti ches’agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi,soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance arro-ventate delle locomotive lanciate a pazza corsa…

Sussultammo d’un tratto, all’udire il rumore for-midabile degli enormi tramvai a due piani, che passa-no sobbalzando, risplendenti di luci multicolori ,come i villaggi in festa che il Po straripato squassa esradica d’improvviso, per trascinarli fino al mare,sulle cascate e attraverso i gorghi di un diluvio».

Sono le prime parole del Futurismo, apparse in unlungo articolo di F.T. Marinetti pubblicato il 20 feb-braio 1909 dal giornale parigino “Le Figaro”. Il Fu-turismo nasce nel 1909, appunto, per iniziativa di Fi-lippo Tommaso Martinetti, che si vanterà di aver in-trodotto “una bellezza nuova, la bellezza della velo-cità”. La prima e più importante parola d’ordine delFuturismo è quella della liberazione da ogni formaculturale del passato, e l’accusa di “ passatismo ”verrà immediatamente scagliata contro tutto e tutti ,in un’ondata distruttiva ma anche creativa di nuovirapporti.Il Futurismo, a cura di Adriano Spatola, Milano, ElleEmme s.d.Su tutti sembra stagliarsi (…) la personalità di Filip-

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po Tommaso Marinetti. Poeta, oratore, autore teatra-le , inventore di nuovi meccanismi letterari, Marti-netti è soprattutto un animatore culturale , un novato-re del costume, uno stimolatore di energie. Nell’e-vento teatrale, nella battaglia artistica, nella “primalinea letteraria”, è suscitatore di effervescenze, con-dimento di sostanze estasianti, ordigno di droga. Nona caso viene definito “caffeina d’Europa”.Mario Verdone, Il futurismo, Roma, Newton Compton1994, p.10.

La voce di Marinetti è rotonda, piena, con unaleggera inflessione esotica nella pronuncia. Parla didinamismi, di simultaneismi, di temperamenti com-bustibili. Si alza, cammina avanti e indietro per lastanza arrotolandosi i baffi tra l’indice e il pollice epoi piegandoli verso l’alto. E’ elegantissimo comesempre. Indossa un abito blu e sulla cravatta “lunare”porta una pietra. Un diamante ? (…) Quando Marti-netti si interrompe Boccioni racconta della grande se-rata futurista alla Salle Gaveau di Parigi, della grandeesposizione di pittura futurista alla Galerie Royale diBruxelles, di un manifesto che ancora non è statopubblicato, il Manifesto della Lussuria, ma che è giàgrande come il resto.Sebastiano Vassalli, L’alcova elettrica, Torino, Einaudi1986, pp.18, 19.

Il Futurismo in rete.www.italianfuturism.org (Italian Futurism News).www.futurismo1.comwww.fondazioneprimoconti.org (Fondazione Primo Conti.Centro di documentazione e ricerche sulle avanguardiestoriche, via G.Duprè 18, 50014 Fiesole, FI, dedicato alpittore Primo Conti che partecipò alla “meravigliosa pri-mavera” delle avanguardie).www.mart.trento.it (Museo di arte moderna e contempo-ranea di Trento e Rovereto, di cui è una sede la Casa Mu-seo Depero, via della Terra 53, 38068 Rovereto, TN, abi-tazione del famoso pittore futurista Fortunato Depero).

1910Muore il leader socialista Andrea Costa.

ITALIA - Il 19 gennaio 1910 muore Andrea Costa,considerato tra i fondatori del socialismo in Italia. Diidee dapprima anarchiche, si avvicinò al socialismoanche grazie a Anna Kuliscioff, che fu sua compagnaper alcuni anni. Dal 1909 era stato vicepresidente dellaCamera dei Deputati.

Andrea Costa: episodi e ricordi / scritti da Romeo Galli ...[et al.]; con epigrafe di Tomaso Monicelli. Milano, A. Sas-su, 1910. Collocazione: GER.TC.II.57– Dal Fondo Virginia GER-VASINI

Sull’estrema sinistra le elezioni del 1882 incisero inmaniera determinante. Il suo gruppo parlamentare,grazie alla nuova legge elettorale che favoriva le mi-noranze, era cresciuto a circa 20 deputati. Di esso fa-ceva parte, per la prima volta, un deputato socialista,Andrea Costa. Questi, nato politicamente nei ranghianarchici, tanto da rappresentare l’Italia al congressointernazionale anarchico del 1873 a Ginevra e da par-tecipare ai moti del 1873 – 74 , si era a poco a pococonvinto dell’inutilità dell’azione di questi gruppi‘spontanei’, si da finire col convertirsi al socialismomilitante.Francesco Leoni, Storia dei partiti politici italiani, Napoli,Guida 1975, p.206.

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Il 25 marzo 1909, Andrea Costa fu eletto vicepre-sidente della Camera. Quando il presidente Finoc-chiaro pronunciò il nome dell’ on. Costa , un applau-so fragoroso scoppiò dai banchi dell’estrema, ma nonfurono pochi anche i deputati della destra che si asso-ciarono all’applauso. (…)

Andrea Costa era ormai un uomo fisicamente fini-to. Le crisi del male si ripetevano sempre più fre-quenti. E la vita era tanto più difficile perché, daquando Costa si era sposato, il partito gli aveva toltoanche quella piccola prebenda che gli passava, per-ché, dicevano i compagni, “aveva sposato una chepoteva spendere”. Si trascinava da un luogo all’altroin cerca di un po’ di sollievo. (…)

Il 14 novembre non poté assistere alla riaperturadella Camera e solo il 4 dicembre riuscì a raggiunge-re Roma per prender parte ai lavori parlamentari.Stentava a respirare; spesso, di notte, si sentiva soffo-care. Pure , non volle partire da Roma se non dopo ledichiarazioni del nuovo ministero Sonnino. A chi gliconsigliava di curarsi, rispondeva che il suo dovereera quello di rimanere al suo posto. (…) Tornò aImola e lo riprese una crisi più forte. Lo portarono al-l’ospedale, e lì gli giunse una lettera di Anna (Kuli-scioff), l’ultima. Portava la data del 31 dicembre, ilgiorno che tanti anni prima era stato una delle “loro”date: «Non è soltanto a date fisse che ti penso e ti ri-cordo.(…) Arrivederci, mio carissimo, in febbraio aRoma, ed abbiti un abbraccio affettuoso da me e daFilippo (Turati) . Salutami la sign. Angelina (la mo-glie) e vi auguro a tutti e due la tua completa guari-gione . Buon anno, carissimo!».Ma Anna non poté rivederlo a Roma in febbraio. Il19 gennaio, mentre neve e gelo coprivano le strade diImola, fra la folla ansiosa che giorno e notte stazio-nava davanti alla porta dell’ospedale, corse improv-visamente una voce: Andrea è morto.Lilla Lipparini, Andrea Costa rivoluzionario, Milano,Longanesi 1977, pp.302 – 305.

Andrea Costa in rete.www.risorseonline.fondazionefeltrinelli.it (FondazioneGiangiacomo Feltrinelli, via Romagnoli 3, 20121 Milano;Archivi, fondo Andrea Costa, 1870 – 1950).

1911Guerra di Libia (guerra italo–turca).

ITALIA - Tra il 28 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912si combatte la guerra italo-turca (o guerra di Libia),tra le forze dell'Italia e dell'Impero ottomano per laconquista della Tripolitania e la Cirenaica (assieme alFezzan oggi note come Libia) nonché del Dodecanesonel Mar Egeo.

SALVEMINI, Gaetano. Come siamo andati in Libia ealtri scritti dal 1900 al 1915. Milano, Feltrinelli,1973.Collocazione: OE.II.4.26

Sai dove s’annida più florido il suolsai dove sorrida più magico il solsul mar che ci lega con l’Africa làla stella d’Italia ci addita un tesor, ci addita un

[tesor.A Tripoli! A Tripoli! Tripoli bel suol d’amore ti giunga dolce questa mia canzonsventoli il tricolore sulle tue torri al rombo del cannonnaviga o corazzatabenigno è il vento e dolce la stagion. (…)A Tripoli (1911) canzone.

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Giolitti rompeva ogni indugio e il 26 settembre(1911) inviava un ultimatum alla Turchia che, per ilsuo tono brutale e ingiustificato, equivaleva a una di-chiarazione di guerra. Il documento, ha infatti rileva-to uno studioso francese, «non conteneva che vaghelagnanze, nessuna delle quali poteva costituire un ca-sus belli». Scaduto l’ultimatum, il 3 ottobre il vi-ceammiraglio Luigi Faravelli si avvicinava alla costalibica con più di venti navi, tra corazzate, incrociatorie cacciatorpediniere, e apriva il fuoco sui vecchi fortidi Tripoli difesi da cannoni altrettanto obsoleti. Duegiorni dopo, senza incidenti, avveniva lo sbarco, enel giro di un paio di settimane l’intero corpo di spe-dizione, forte di 34.000 uomini e 72 cannoni, al co-mando del generale Carlo Caneva, prendeva posses-so di Tripoli e Homs in Tripolitania, di Bengasi, Der-na e Tobruq in Cirenaica.

Non era però stato facile ovunque prendere terra einsediarsi. A Derna, a Bendasi e a Homs si era seria-mente combattuto. (…) A Homs a dare manforte ai500 ottomani della guarnigione c’erano addirittura1000 arabi , e fra i più combattivi. Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Vicenza, NeriPozza 2005, p.109.

La repressione (italiana contro i guerriglieri arabia Sciara Sciat) cominciò nel pomeriggio del 23 (otto-bre 1911) e continuò durante le giornate successive.Le perquisizioni che Caneva aveva omeso di ordina-re al momento dello sbarco, furono severe, la giusti-zia fu spesso sommaria. Nell’oasi molti arabi, sco-perti con armi, furono fucilati sul posto. Altri furonoraggruppati, legati come branchi e sospinti fino allacittà «tra file doppie di baionette (…) . Per segnale simetteva loro al collo una cordicella e si scriveva sulbarracano e sulla camicia a lapis copiativo: fucile, pi-stola, pugnale, secondo l’arma che era stata scoperta(…). Non vidi mai nulla di più miserabile e sinistrodi quei greggi laceri che i nostri cacciavano avanticon le baionette». A Tripoli molti vennero deferiti altribunale marziale, giudicati e fucilati nello spazio dipoche ore. La mattina del 24 ottobre sei arabi furonofucilati. Nel pomeriggio di fronte al castello, in unquadrato formato dalla truppa, fu giudicato il cavasdel console tedesco. Si chiamava Hussein e si difesenegando, ma fu condannato sulla testimonianza d’u-na bambina di dieci anni che dichiarò do averlo vistomentre pugnalava il soldato italiano di fronte al con-solato americano. «Il plotone d’esecuzione era costi-tuito di 7 fucili. Della prima scarica nemmeno uncolpo raggiunse il bersaglio (…). Una seconda scari-ca ebbe qualche risultato, ma fu necessario ordinareun tiro a volontà, dopo di che un carabiniere si avvi-cinò al moribondo e gli tirò due colpi di rivoltella intesta». Secondo il cronista dell’esercito quattordiciarabi furono impiccati e un centinaio condannati alla

fucilazione, ma la sentenza «fu commutata per lamaggior parte di essi in alte pene detentive». Alcunesettimane dopo, a Sciara Sciat, tuttavia si continuavaa impiccare. Sergio Romano, La quarta sponda. La guerra di Libia1911–1912, Milano, TEA 2007, pp.101 – 102.

Nel 1911 – e fino allo scoppio della Prima guerramondiale – gli italiani intrapresero la prima fase delledeportazioni, condotta peraltro in maniera confusa edimprovvisata. Vennero catturati persino ragazzi dietà inferiore ai 16 anni ed anziani ultraottantenni. Enon solo quanti venivano scoperti in possesso di armima quanti sventuratamente incontravano soldati ita-liani. In questa prima fase la politica di deportazionemirava ad indebolire il nascente gihàd libico e a de-moralizzare la popolazione civile. Il generale Cane-va, dietro ordine di Giolitti, intraprese la deportazio-ne di migliaia di persone verso Favignana, Ustica,Ventotene ove, da prigionieri, furono sbarcati anchevecchi e bambini.Alessandro Aruffo, Storia del colonialismo italiano. DaCrispi a Mussolini, Roma, Datanews 2007, p.53.

La guerra di Libia fu salutata da Marinetti e daisuoi amici come una “grande ora futurista”. Nell’ot-tobre di quell’anno (1911), inneggiando alla conqui-sta di Tripoli, egli scriveva un nuovo Manifesto dovesi possono leggere alcune delle sue affermazioni piùforsennate: «Siano concesse all’individuo e al popolotutte le libertà tranne quella di essere vigliacco. Siaproclamato che la parola Italia deve dominare sullaparola Libertà… Orgogliosi di sentire uguale al no-stro il fervore bellicoso che anima tutto il Paese, inci-tiamo il Governo italiano, divenuto finalmente futuri-sta, a ingigantire tutte le ambizioni nazionali, di-sprezzando le stupide accuse di pirateria e procala-mando la nascita del Panitalianismo».Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Nove-cento, Milano, Feltrinelli 2003, p.241.

Nel “discorso pubblico” emigrazione e colonie fu-rono in Italia sempre legate. Già durante l’Italia libe-rale era stata enfatizzata un’asserita unicità italiana,quella della pacifica esportazione all’oltremare di la-voro (invece più che di capitale). Ciò aveva spinto, altempi della guerra di Libia, un osservatore come Mi-chels as parlare di imperialismo demografico, unpoeta come Pascoli a rivendicare i diritti della Nazio-ne proletaria e un critico come Lenin a bollare quelloitaliano come un imperialismo straccione. Nicola Labanca, Nelle colonie, in Storia dell’emigrazioneitaliana. Arrivi, a cura di P.Bevilacqua, A. De Clementi,E.Franzina, Bari, Donzelli 2002, p.200.

(Contro la guerra di Libia interviene il rivoluzio-nario Amilcare Cipriani)

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Plaisanterie à part, ce roi (Vittorio Emanuele III), quiappartient assurément à la famille des cocurbitacées,voudrait s’emparer de la Tripolitaine pour porter surces plages stériles sa civilisation. Nous autres italiensqui la connaissons à fond, cette civilisation, et savonshélas! par experience, quelle est faite de massacre,d’assassinats et de spoliations, nous ne souhaitionspas à ces malheureux d’y gouter et de devenir le su-jects de cette monarchie ignoblement rapace. Il y adéjà toute une campagne de presse qui est com- men-cée, campagne, cela ce comprend, payée par lesfonds reptiliens, pour pousser la nation dans cetteaventure, sous le préteste que c’est le seul lambeaude terre disponible, qui resta à prendre dans la Medi-terranée, et qu’elle appartient à l’Italie qui, dans cela,se trouverait enserrée dans un cercle de fer.Amilcare Cipriani in «l’Humanité» , 26 septembre 1911.

1912Affondamento del Titanic.

GRAN BRETAGNA - Nella notte di domenica 14 apri-le 1912, il RMS Titanic, nave passeggeri britannica del-la Olympic Class, entra in collisione con un iceberg alle23:40 (ora della nave). L’impatto squarcia la fiancatadestra del transatlantico, che affonda in due ore spez-zandosi in due tronconi. E’stata la quarta tragedia del-la storia della navigazione civile di tutti i tempi: vi per-sero la vita 1523 dei 2227 passeggeri.

La Domenica del Corriere: supplemento illustrato delCorriere della sera, 28 aprile – 5 maggio 1912.Collocazione: PER 3077 Sale PERIODICI.

Il Titanic, il transatlantico inglese partito da Sou-thampton il 10 aprile 1912, dopo aver urtato controun iceberg nell’Atlantico del Nord, affondò nella not-te del 15 aprile. Aveva mandato disperati S.O.S ma ilcapitano Robson del “Carpathia”, la nave che accorsesul luogo del disastro, concluse la sua missione conquesto laconico messaggio: “Salvate soltanto 750anime”. Le altre 1523 erano perite. I razzi lanciati incielo erano stati scambiati per fuochi d’artificio; imessaggi per scherzi: chi poteva, infatti, mai credereche il più imponente transatlantico mai messo inmare, una stazza di 46.329 tonnellate, sarebbe potutoaffondare il primo, pubblicizzatissimo viaggio ?

Nella mitologia greca latina i Titani, figli di Ura-no, erano stati signori del cosmo fino all’arrivo diGiove che li sconfisse e inaugurò un nuovo ordine:forse la tragica fine del Titanic era una profezia dellacatastrofe, la prima guerra mondiale, verso cui ilmondo si stava inconsapevolmente avvicinando. For-se anche per questa suggestione mitologica legata alsuo nome il Titanic ha dato spunto a tanti film e atanti libri , migliaia di ricostruzioni in cui, al centro,c’è sempre l’immagine dei ricconi che festeggianonelle sale di specchio e cristalli mentre devono cham-pagne al suono dell’orchestra di bordo.Gaia Servadio, Il Titanic in mostra: oh, che bel naufragio,in “Corriere della Sera”, 4 settembre 1994.

La prima classe costa mille lirela seconda cento, la terza dolore e spaventoE puzza di sudore dal boccaportoe odore di mare morto.Sior Capitano mi stia a sentireho belle e pronte le mille lirein prima classe voglio viaggiaresu questo splendido mare. Ci sta mia figlia che ha quindici anni ed a Parigi ha

[comprato un cappellose ci invitasse al suo tavolo a cena come sarebbe

[bello.E con l’orchestra che ci accompagna con questi

[nuovi ritmi americanisaluteremo la Gran Bretagna col bicchiere tra le

[mani. (….)Francesco De Gregori, Titanic (dall’album Titanic, 1982).

Anche tra i 1523 morti del Titanic, affondato lanotte del 14 aprile 1912 al largo di Capo Race peraver sbattuto contro un iceberg c’erano degli italiani.Come Sebastiano Del Carlo, un giovane lucchese chedopo aver fatto un po’ di fortuna in America era tor-nato a casa per andare a nozze con Argene Genovese

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e proprio con la moglie , già in attesa di una bambinache non avrebbe mai conosciuto, stava tornando ne-gli States per vivere a Chicago. Rientrata dopo la tra-gedia al paese natio, la donna avrebbe dato alla luceuna bambina, battezzata con il nome di Salvata. Gian Antonio Stella, Vito Teti, La nave della Sila. Guidaal Museo Narrante dell’Emigrazione, Soveria Mannelli,Rubbettino 2006, p.40.

«Il mero aumento di dimensioni non è progresso.Se lo fosse, l’elefantiasi che fa diventare le gambe diun uomo grosse come tronchi d’albero sarebbe unasorta di progresso, mentre altro non è che una bruttamalattia. A quanto pare, esiste un punto in cui il pro-gresso, per essere un vero avanzamento deve variareleggermente la sua linea di direzione» così nel 1912Joseph Conrad rifletteva sulla “English Review” aproposito del naufragio del Titanic “Stupida catastro-fe” che senza impressionare più di tanto lo scrittore(«non c’è nulla di eroico nell’annegare su un’enormecisterna bucata più di quanto ve ne sia nel morire peruna colica causata dal salmone della scatola difettosacomprata dal droghiere») indignò profondamentel’uomo di mare. Innanzitutto il Titanic non era perConrad una vera nave, ma un aberrante “Ritz dell’o-ceano” ottusamente progettato da una compagnia di“bigliettai” allettati da «un’assurda e volgare doman-da di lusso» (in questo albergo galleggiante mancanoparatie stagne e scialuppe ma in compenso c’è un«cafè parigino con quattrocento poveri cristi di ca-merieri»). (…) E poiché non c’è orchestra che possarendere gradevole un annegamento, Conrad auspicache la testa di quegli armatori venga «tenuta a forzasotto l’acqua del loro bagno» finché «si rendano con-to di cosa si sta parlando». Miche Mari, Conrad , la stupida catastrofe del Titanic, in“Corriere della Sera”, 7 settembre 1999.

Il Titanic in rete.

Molti i siti dedicati al Titanic , si indicano , fra gli altri, www.titanichistoricalsociety.org (la più importante asso-ciazione sul Titanic, fondata nel 1963: Titanic HistoricalSociety, PO Box 51053, 208 Main Street , Indian OrchardMA 01151 – 0052 USA).www.rmstitanic.netwww.encyclopedia-titanica.org (la RMS di New York èla società nata per il recupero del Titanic )Fra i siti italiani nati dalla ‘passione’ di singoliwww.titanic.altervista.org (Remember Titanic) www.xoomer.alice.it/titanicdiclaudiobossi (Titanic di Claudio Bossi).

1913Prime elezioni politiche italiane a

suffragio universale maschile.

ITALIA - Le elezioni politiche del 1913 sono le primeelezioni a suffragio universale maschile (introdotto il25 maggio 1912), con l'ormai tradizionale collegio uni-nominale a doppio turno. Si sono svolte il 26 ottobre (1° turno) e il 2 novembre(ballottaggi).

GIOLITTI, Giovanni. Discorsi extraparlamentari / saggiointroduttivo di Nino Valeri. Torino, Einaudi, 1952.Collocazione: MOS.II. G.VII.6–Dal Fondo Oreste MO-SCA.

Per le elezioni imminenti (del 1913), Giolitti ave-va bisogno di regolare le vele a seconda dei ventiprevalenti. Invece di continuare nel suo tentativo diassorbire i partiti popolari, egli adottò pertanto la po-litica di Sonnino di formare contro di loro un blocconazionale ed a questo scopo il suo gruppo si unìprovvisoriamente a quello sonniniano. Nell’estate del1913 egli tenne a rapporto i prefetti appositamenteconvocati a Roma e quindi sciolse il parlamento. Leelezioni che seguirono furono manipolate in misuraancor maggiore di quelle del 1892, del 1904 e del1909, e questa volta furono utilizzati nuovi strumentidi propaganda quali le proiezioni cinematografiche

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ed i fonografi. Circa la metà dell’elettorato si recò avotare e i liberali costituzionali ottennero qualcosacome 318 seggi al posto dei precedenti 370. Accantoa loro furono eletti i primi tre nazionalisti, mentre icattolici militanti salirono da 20 a 29. Sul Centro –sinistra i repubblicani scesero da 24 a 17, ma i radi-cali passarono da quarantacinque ad oltre settantaseggi; essi mancavano però di una vera e propria co-scienza di partito, e per la maggior parte continuaro-no ad appoggiare Giolitti. Quattro diversi gruppi so-cialisti ottennero insieme un quarto del totale dei votie, sebbene il numero dei loro deputati salisse soltantoda 41 a 78, era notevole il fatto che 52 di questi ave-vano per programma di rovesciare il parlamento qua-le istituto creato dalla borghesia per la difesa dei suoipropri interessi. Con la rappresentanza proporzionalequesti 52 sarebbero stati 89. La causa del costituzio-nalismo liberale era indiscutibilmente in declino. Denis Mack Smith, Storia d’Italia 186 –1969, Bari, Later-za 1973, II, p.437 – 438.

Il 26 ottobre del 1913 si vota per il Parlamento delRegno: per la prima volta a suffragio universale, o quasi. Da 3.200.000 che erano stati ivotanti nelle precedenti elezioni si passa a 8.500.000.Un grande salto. E che sia – paura di sempre – unsalto nel buio ?

Non si capisce, diffusamente sui giornali e tra ibenpensanti, perché mai l’astuto Giolitti il suffragiouniversale abbia voluto. Una sua défaillance, un suoerrore. La giornata elettorale trascorre, tutto sommatoin tranquillità: poche coltellate, poche bastonature,qualche rivoltellata. A Parma, viene arrestato FilippoCorridoni, sindacalista agitato e agitatore: ma quellidella mia età ne hanno l’immagine, dal fascismo dif-fusa nelle aule scolastiche, di uomo d’ordine: serenaespressione, ben pettinato, colletto inamidato, cravat-ta. Prese il suo nome – Corridonia – il paese che gliaveva dato i natali, Pausala in provincia di Macerata.

Ma Giolitti aveva visto giusto: la grande paurache i 5.300.000 nuovi votanti si volgessero al PartitoSocialista, non aveva ragion d’essere. I socialisti pas-sano da 58 a 78 deputati. Tutta la sinistra – nominal-mente sinistra – ne ha 165. La maggioranza – delvecchio Giolitti che diceva di essere stanco e aspira-va al riposo – conta invece su 348. Soltanto a Bolo-gna si può parlare di un successo “insperato” dei so-cialisti. (…) Ma cosa accadeva in Italia ad impedire che si avve-rassero le desolate previsioni di una travolgenteavanzata dei socialisti grazie al suffragio universale ?Accadeva che sulla secreta (da secrezione) e segretasaggezza degli italiani – approssimativamente con-densabile nel proverbio di ancor vivo magistero cheil vecchio già provato è sempre meglio del nuovo daprovare – un gentiluomo di provincia, avvocato pe-

nalista che d’agricoltura e caccia si dilettava, came-riere segreto di Sua Santità (con esercizio), messo acapo di una Unione Elettorale Cattolica, aveva esco-gitato un patto articolato in sette punti che, agli uo-mini politici di moderata politica che lo accettavano,assicurava l’appoggio elettorale dei cattolici. Pare loaccettassero 330 candidati al Parlamento; e pare neuscissero eletti ben 228, che è un bel numero. Il pattoGentiiloni: del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni(…).Leonardo Sciascia, 1912+1, Milano, Adelphi 1986, pp. 17– 19.

Le elezioni politiche del 1913 e quelle ammini-strative del 1914 sancivano definitivamente alcunitratti dell’universo socialista e costituivano elementoulteriore di radicalizzazione sociale e politica. Il 50per cento dei voti superato nel 1913 dall’insieme del-le componenti socialiste nel Ferrarese, nel Mantova-no, nel Bolognese e sfiorato nel Reggiano, si traducenel 1914 nella conquista socialista di quelle quattroamministrazioni provinciali e di una percentuale dicomuni all’interno delle singole province che sfiora osupera (e talora largamente) il 40 per cento in unaparte consistente dell’area qui considerata: nel Man-tovano e nel Pavese risicolo, nel Polesine e natural-mente nelle principali aree bracciantili dell’Emilia-Romagna (con la punta del 66 per cento nel Ferrare-se).Guido Crainz, Padania. Il mondo dei braccianti dall’Otto-cento alla fuga dalle campagne, Roma, Donzelli 1994,p.147.

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1914Attentato di Sarajevo. Inizia la prima

guerra mondiale.IMPERO AUSTRO-UNGARICO - Il 28 giugno 1914,l'Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Au-stria-Ungheria, e sua moglie Sofia, vengono colpiti amorte a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, dacolpi di pistola sparati da Gavrilo Princip. L'attentatodi Sarajevo fu l’evento che causò lo scoppio della pri-ma guerra mondiale.

Il delitto di Serajevo. Processo e sentenza. Bologna, Cap-pelli editore, 1930Collocazione : MOS.I.E.II.14–Dal Fondo Oreste MOSCA

Piove a Sarajevo la sera del 27 giugno 1914 eFranz Ferdinand, erede al trono d’Austria – Unghe-ria, è di ottimo umore. Banchetta con quaranta digni-tari all’hotel Bosna, località termale poco fuori città.La Bosnia piace all’arciduca, è una verde Austria coni minareti. Sotto i baffi piegati all’insù alla moda de-gli ussari,gli occhi azzurro acciaio gli lampeggianodi soddisfazione. Ha accanto Sofia Chotek , la con-sorte amatissima che gli ha dato tre figli. (…)

Il giorno dopo, il 28 giugno, il tempo è splendido.L’arciduca fa colazione, si allaccia al collo una cate-nina d’oro con sette amuleti. (…) Con la duchessa vaa messa in una cappella dell’albergo, poi prende il

treno speciale per Sarajevo. Nel giorno del destinoSofia non si staccherà mai dal marito. Il treno entrain città e da quel momento la moviola rallenta. L’e-vento che farà la storia del secolo si consumerà inpoco più di un’ora.

Ore 9.45 Stazione di Sarajevo. L’erede al trono èricevuto dal governatore generale Oskar Potiorek , laguardia d’onore fa il presentat–arm. Sono pronte seiautomobili. FF con la moglie, il generale e il suo luo-gotenente Franz Harrach salgono sulla terza, la guidaun cèco, Leopold Sojka. (…)

Tra la gente della curva c’è il diciannovenne Ga-vrilo Princip. E’ un tipo malaticcio, olivastro, con icapelli nerissimi. Ha una pistola Browning in tasca.È solo uno dei tanti congiurati sparsi lungo la strada,ma è quello che ha l’occasione più favorevole. Lavittima è lì, molto più vicina del previsto, e Principspara due colpi, uno verso l’arciduca e uno verso ilgovernatore. Non vuole colpire l’arciduchessa(…)(invece colpisce anche Sofia).

Alle 11.30 il medico accerta la morte della coppiareale. I collegamenti telefonici con l’estero sono ta-gliati. Le campane di Sarajevo suonano a morto, lavoce si diffonde, si espongono le bandiere abbrunate.

L’esercito entra nei quartieri serbo–ortodossi,compie centinaia di arresti, cattolici e musulmaniimprovvisano vendette, un demone si impossessadella città, finché nel tardo pomeriggio scatta lo statod’assedio e le strade si svuotano. Alle prime stelleSarajevo è già una città fantasma. Il mondo scivolaverso la catastrofe.Paolo Rumiz, Sarajevo. Il colpo di pistola che cambiòl’Europa, in “Diario – la Repubblica “, 26 giugno 2004.

L’attentato di Sarajevo aveva riempito di numero-se vittime i locali della Questura centrale. Le condu-cevano una dopo l’altra e il vecchio funzionario diservizio diceva con la sua voce benevola: «Il vostro Ferdinando vi costerà caro, amici miei!».Quando Sc’veik fu rinchiuso in una delle numerosecelle del primo piano, vi trovò dentro una compagniadi sei persone. Cinque di loro stavan sedute attorno auna tavola, mentre in un angolo, sul pancaccio, c’eraun uomo di mezza età che sembrava voler restare ap-partato.Sc’veik si mise subito a interrogarli tutti uno dopol’altro sulla causa del loro arresto. La risposta deicinque seduti intorno alla tavola fu perfettamente lastessa:«A causa di Sarajevo!» «A causa di Ferdinando!»«A causa dell’assassinio di S.A. l’Arciduca !»«Per Ferdinando!»«Perché hanno spedito l’Arciduca a Sarajevo!».Jaroslav Hasek, Il buon soldato Sc’veik, Milano, Feltrinelli2003, pp.23 – 24.

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«Non ci aspettavamo nemmeno lontanamente unaguerra», scriveva Joseph Roth a proposito della pri-mavera del 1914 «il mese di maggio , il mese dimaggio della città di Vienna, trascorse in piccole taz-ze da caffè dal bordo argentato, fluttuò sulle posate,sui sottili lingottini di cioccolato, sui millefoglie rosae verdi che facevano pensare a squisiti gioielli, e ilconsiglio Sorgsam affermò recisamente a metà delmese di maggio ‘Non ci sarà nessuna guerra, signorimiei!’». Gli avvenimenti sono noti: la coppia realeaustrongarica che fa una visita di Stato a Sarajevoproprio il giorno di Vidov Dan, giornata in cui ognianno i serbi commemorano la propria sconfitta inKosovo contro i turchi del 1389; la sparatoria morta-le , l’arresto del “terrorista”, il nazionalista serbo–bosniaco Gavrilo Princip (…).

L’uniforme celeste di Francesco Ferdinando è tut-tora esposta in una vetrina del Museo di Storia Mili-tare di Vienna. Nella stessa sala si trova l’auto sco-perta, verde e nera, in cui sedevano l’erede al tronodegli Asburgo e Sofia durante la loro sfilata a Saraje-vo, un grosso trabiccolo che ricorda una vecchia au-tomobile dei fumetti.(…)«Era domenica, ero studente» scrisse Joseph Roth.«Nel pomeriggio arrivò una ragazza. A quei tempiportavano le trecce. Aveva in mano un grande cap-pello di paglia giallo, era piena estate e faceva pensa-re a fieno, grilli e papaveri . Nel cappello c’era un te-legramma, la prima edizione straordinaria che avessimai visto, sgualcito, spaventoso , un fulmine di carta.‘Sai’, disse la ragazza, ‘hanno ammazzato l’erede altrono. Mio padre è tornato a casa dal caffè. Noi nonrimaniamo mica qui?’ Un anno e mezzo più tardi –come durava a lungo l’amore in tempo di pace! – sta-va già , anche lei, in mezzo alla nuvola di fumo dellaStazione Merci II, la musica risuonava senza pausa, ivagoni stridevano, le locomotive fischiavano, piccoledonne tremanti si attaccavano come ghirlande appas-site agli uomini in verde, le uniformi nuove odorava-no di appretto, eravamo una compagnia in marcia,destinazione segreta, probabilmente Serbia… Suopadre non andò mai più al caffè, giaceva già in unafossa comune».(….)

«Ho ancora davanti agli occhi l’illustre conte Ber-chtold in una giornata d’estate del 1914, in piedi nelporticato di un albergo della Ringstrasse» ricorderàin seguito il giornalista viennese Max Graf «Avevaappena firmato la dichiarazione di guerra contro laSerbia. Ora se ne stava lì in piedi, snello, il sorrisoironico, una sigaretta con un bocchino d’oro fra ledita ben curate, a guardare la folla, conversare con ipassanti. Così la colta società del Ring entrò nellaguerra mondiale che l’avrebbe radicalmente stravol-ta. Aveva vissuto ridendo e scherzando, e ridendo escherzando venne annientata».

Gli austriaci dettero alla guerra forme eleganti.Nel Museo di Storia Militare di Vienna sono espostele loro uniformi. La tenuta di gran guardia: stivalialti, spada luccicante, berretto con una piuma, pellic-cia di tigre intorno al collo. Veramente adatta alletrincee.Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il secolo,Roma, Fazi Editore 2006, pp.84 – 85, 90, 95..

«Ve lo assicuro» disse Costantine (l’interlocutorebosniaco dell’Autrice) «tutto ciò che è austriaco aSarajevo per noi è malfatto. Anche, semplicemente,l’argine su cui stiamo camminando. È molto dritto egrazioso, ma non ha nulla a che fare con l’argine chenoi iugoslavi, cristiani o musulmani che sia, costrui-remmo per un fiume. Noi amiamo la natura per comeessa si presenta e non vogliamo certo imporle unaspetto diverso dal suo. Eccoci arrivati, questo è l’an-golo in cui Princip uccise l’arciduca; si vede subitoche questo punto era l’ideale per l’attentato»(…).«(Princip) era soltanto un povero ragazzo sceso dallamontagna per studiare qui a Sarajevo e non conosce-va nessuno all’infuori dei compagni di scuola». Eccoun altro elemento che ha un grande significato dalpunto di vista storico: la giovane età e le scarse noti-zie che ci sono giunte circa la provenienza dei cospi-ratori di Sarajevo. Lo stesso Princip era il nipote diun immigrante le cui origini precise sono sconosciu-te, anche se indubbiamente doveva trattarsi di unoslavo. Al tempo in cui i musulmani di stirpe turcaerano stati espulsi dai movimenti insurrezionali bo-sniaci, quel forestiero giunse in un villaggio al confi-ne tra Bosnia e Dalmazia e occupò una delle casesgomberate dai turchi. Doveva esserci qualcosa di in-solito nell’aspetto di quell’uomo, poiché portava unacuriosa giacca argentata adorna di campanellini, in-dumento che gli esperti non riescono a far risalire adalcun costume locale della regione balcanica e chegli abitanti del villaggio trovarono bizzarro e meravi-glioso a un tempo. Proprio grazie a quella giacca glifu dato il soprannome “Princip” (giacca).Rebecca West, La Bosnia Erzegovina, Torino, EDT 1994,p.101, 103.

«I lampioni si stanno spegnendo su tutta l’Europa»,disse Edward Grey, ministro degli Esteri della GranBretagna, mentre osservava le luci di Whtehall lanotte in cui il suo paese entrò in guerra contro la Ger-mania nel 1914. «Nel corso della nostra vita non levedremo più accese». A Vienna il grande scrittoreaustriaco Karl Kraus si preparava a documentare e adenunciare quella guerra in uno straordinario dram-ma–inchiesta che intitolò Gli ultimi giorni dell’uma-nità. Entrambi videro nella guerra mondiale la fine diun mondo e non furono i soli. Non fu la fine dell’u-manità, sebbene ci siano stati momenti nel corso di

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quei trentun anni di conflitto mondiale, che vannodalla dichiarazione di guerra alla Serbia da parte del-l’Austria il 28 luglio 1914 alla resa senza condizionidel Giappone il 14 agosto 1945 – quattro giorni dopolo scoppio della prima bomba nucleare, – in cui lafine di una gran parte del genere umano non sembròlontana.Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve.1914/1991, Milano,Rizzoli 2000, pp.33–34.

“Edizione della sera! Della sera! Della sera!Italia! Germania! Austria!”E sulla piazza , lugubremente listata di nero , si effuse un rigagnolo di sangue purpureo!(…..)da Vladimir Majakovskij, La guerra è dichiarata (tradu-zione di A.M.Ripellino).

La prima guerra mondiale in rete.

I siti sull’argomento sono numerosissimi, ci limitiamo, perla maggior parte, a quelli in lingua italiana.www.i-a-1915-1918.com (oltre 1900 immagini sulla guer-ra fra Italia ed Impero Austriaco).www.nondimenticare.com (luoghi e musei della GrandeGuerra in Italia, con il patrocinio dell’Associazione Nazio-nale Alpini).www.lagrandeguerra.net (vasta documentazione sullaGrande Guerra 1914 – 1918, si apre con la voce del mare-sciallo A.Diaz che legge il Bollettino della Vittoria).www.firstworldwar.com (inglese, The War to End allWars)www.worldwar.com (statunitense)www.grandeguerrafig.org (sulle tracce della Grande Guer-ra nella Valle del Natisone, Friuli Venezia Giulia) .www.museostorico.tn.it (Museo Storico di Trento, viaTorre d’Augusto 4, 38100 Trento)www.museodellaguerra.it (Museo Storico Italiano della-Guerra, via Castelbarco 7, 38068 Rovereto, TN)www.hgm.or.at (Heeresgeschichtliches Museum, Objekt1, A- 1030 Wien)

1915L’Italia entra in guerra.

ITALIA – Il 24 maggio del 1915, l’Italia entra nel con-flitto mondiale dichiarando guerra all'Austria-Unghe-ria.

“A gli Interventisti”. Manifesto originale contro gli inter-ventisti attribuito ad Antonio Gamberi. Collocazione: Parete delle scale di accesso al piano primo.–Collezione di quotidiani e periodici incorniciati.

Il governo (italiano), ingannato dalla prospettivadi una guerra di corta durata, firma il patto di Londra,senza aver nulla previsto. Si è impegnato all’azione(a fianco dell’Intesa) entro un mese, e non ha nem-meno il tempo di prepararla, né militarmente, né po-liticamente. Prende, tuttavia, delle misure contro ildiritto di riunione e la libertà di stampa, preludio alregime di pieni poteri. In tal modo si approfondiscela scissione fra le masse e lo Stato. (…)

Lo stesso Giolitti, il grande equilibrista, è elimina-to. Il 9 maggio 1915, trecento deputati della Cameraitaliana – la maggioranza – han portato il loro bigliet-to da visita in casa di Giolitti, il quale, ignorando cheil dado è ormai tratto, era venuto a Roma per difen-dere la sua tesi del ‘parecchio’, quella stessa cheSonnino aveva adottato qualche mese prima. Il go-verno (Calandra – Sonnino), ormai impegnato a in-tervenire a fianco degli Alleati (patto del 26 aprile) ,continua a trattare con Vienna e Berlino solo per me-glio mascherare la sua decisione e favorisce le dimo-strazioni degli “interventisti”, soprattutto a Roma,Milano, Bologna. D’Annunzio pronunzia a Quarto

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un grande discorso a favore della guerra. A Roma inazionalisti e i “fascisti” (d’azione rivoluzionaria) ,mobilitati in permanenza, organizzano manifestazio-ni contro il Parlamento. Calandra dà le dimissioni,ma il re gli conferma la fiducia, ed il governo nonconvoca le Camere che per metterle di fronte al fattocompiuto. Giolitti dovrà attendere cinque anni pertornare al potere. Così la Camera, eletta a suffragiouniversale in quelle elezioni del 1913, in cui lo spo-stamento a sinistra era stato notevole, porterà, mal-grado una maggioranza di “neutralisti”, all’interventoe ad una dittatura della destra.Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Bari, Later-za 1976, I, pp.10 – 11.

«Non è la folla romana, di maggio, nella sera delCampidoglio? Enorme, fluttuante, urlante.(…) Gio-vinetti scarmigliati, dal viso folle,grondanti di sudorecome dopo una lotta, si gettano contro le ruote comeper infrangersi .

Operai infoscati dalle scorie della fatica, curvatidall’attenzione, contorti dallo sforzo, operai d’ogniopera, che a me sembrano aver tutti maneggiato ilmartello, battuto sull’incudine il ferro bollente, mitendono le mani forti come per afferrarmi e per stri-tolarmi nel loro amore subitaneo.

Popolane, potentemente scolpite come la madredei due Tribuni, col medesimo gesto mi gettano unfiore e dànno un figlio alla guerra. (…)

La guerra! La guerra! Lo splendore del vespro èvinto da queste miriadi d’occhi fiammeggianti , daquest’agitazione di bandiere e di minacce, da questasublimazione del popolo libero riposseduto dal suodio vero.Gabriele D’Annunzio, Notturno, Milano, Mondadori 1975,pp.98, 100.

Nelle “radiose giornate di maggio” i giovani so-cialisti saranno ovunque in prima fila negli scontri dipiazza con gli interventisti, non di rado assumendoda soli l’iniziativa di disturbare i comizi e le manife-stazioni nazionaliste, con la rabbiosa reazione di chisa di star combattendo l’ultima battaglia. Solo a Tori-no veniva proclamato lo sciopero generale il 17 e 18maggio: nel più completo isolamento .

Con l’intervento del maggio 1915, iniziava anchesul “fronte interno” una logorante guerra di posizioneche avrebbe modificato radicalmente il volto dell’in-tero paese.Giovanni Gozzini, Alle origini del comunismo italiano.Storia della Federazione Giovanile Socialista (1907–1921), Bari, Dedalo 1979, p.53.

All’alba del 24 maggio l’esercito italiano iniziò leostilità contro quello austriaco: la tanto discussa, te-muta e desiderata guerra divenne infine una realtà.

Nelle precedenti settimane, quando la pubblica opi-nione si era spaccata in due, il partito della neutralità,il più numeroso, aveva dovuto cedere al partito del-l’intervento, meno numeroso ma più battagliero. Finoall’ultimo momento il contrasto tra i due partiti si erasvolto tumultuosamente, in un clima da guerra civilequale il regno d’Italia aveva raramente conosciutodurante i suoi cinquant’anni di vita. Ma appena l’in-tervento fu deciso sopravvenne nel paese una calmaimprovvisa.(…) I neutralisti presero atto della pro-pria sconfitta e dimostrarono di essere temperati neifatti e nelle parole. L’ultima grande manifestazionedel neutralismo ebbe luogo a Torino con lo scioperodel 17–18 maggio, dopo di che le proteste control’avvenuta decisione dell’intervento furono sporadi-che , qualche articolo di giornale, qualche sciopero dinessuna importanza, distribuzione di manifestini pa-cifisti avvenute qua e là; isolate imprecazioni allaguerra da parte di reclute in partenza.Piero Melograni, Storia politica della grande guerra 1915/18, Bari, Laterza 1977, I, pp.1 – 2.

Un bambino assiste alle discussioni casalinghe frazii interventisti e un nonno perplesso.( …)I miei zii erano tutti ardenti interventisti . Uno perchérepubblicano ortodosso, e quindi il nemico giuratodegli Imperi Centrali. Un altro perché socialista allaBissolati, che nella guerra vedeva la guerra alla guer-ra. Il terzo perché ammaliato dal Vate D’Annunzio,ci vedeva la fuga dalla mediocrità e la “bella avven-tura”. L’ultimo, il liceale diciassettenne, per amore dibaldoria e voglia di menar le mani. Liberale giolittia-no, il Vecchio era invece neutralista irriducibile(«L’Italia – diceva – è appiccicata con lo sputo: nonha le ossa per affrontare una simile prova: ci si spap-polerà»). (…)(Il Vecchio) si alzò. Mi prese per mano (ero il suopreferito) e insieme scendemmo in giardino come luisempre faceva dopo pranzo .(…)Dopo un po’ mi fermai e gli chiesi: «Ma i tedeschiarriveranno fin qui, come dice zio Giulio». «Più pro-babile» rispose lui rpigliando a camminare. «E noiallora che faremo ?» incalzai fermandomi a mia vol-ta. «Noi chi?» ribatté lui «Io e te? Io e te li aspettere-mo coi nostri schioppi lì dentro la limonaia, e nonsmetteremo di sparargli addosso fin quando non ciavranno ammazzato. Ci stai?». Ecco come vissi ilmio 24 maggio 1915.Indro Montanelli, 24 Maggio 1915, l’Italia va in guerra emette a rischio la pace in famiglia, in “Corriere dellaSera”, 7 agosto 1999.

Il 24 maggio 1915 fu un giorno un po’ triste a Ta-ranto. Il tempo era piovigginoso e c’era nell’aria enell’animo di tutti come un ristagno: per quanto tuttiottimisti nella rapidità e nell’esito della guerra, pure

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avvertii una celata apprensione nei singoli che somi-gliava all’attesa di un ignoto. La cosa a Taranto eraspiegabile: chi più, chi meno, gli abitanti avevanotutti qualche parente nella Marina e, poiché la flottanon era in quei giorni presente, l’incertezza e la lon-tananza rendevano più apprensiva l’attesa. Nel po-meriggio di quel giorno le squadre navali francese einglese, che erano rimaste al largo in attesa della no-stra dichiarazione di guerra, attraversarono il CanaleNavigabile per ancorarsi in Mar Piccolo. La sfilatadelle navi raccoglieva sempre molta folla nel corsoDue Mari e molta era anche quel giorno. Applausi,evviva alle navi alleate, ma senza un entusiasmo ac-ceso. Anch’io ero alla balaustra mentre cadeva qual-che goccia di pioggia. Passarono prima le navi fran-cesi con la banda di bordo che sonava la Marsigliesee gli equipaggi schierati che gridavano urrah sulla ca-denza dell’inno , poi gli inglesi , senza musica, con ilsolito uomo tutto sporto dal barcarizzo che lanciavalo scandaglio nel canale comunicando a gran voce,incomprensibile, la profondità.Luigi Petrillo, Tener famiglia. Gesta, ambizioni e disin-ganni di un ufficiale della Regia Marina, Milano, Lampidi Stampa 2005, p.11.

1916Morte dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe

d’Asburgo.

IMPERO AUSTRO-UNGARICO - Francesco GiuseppeI d'Austria-Ungheria oltre che re del Lombardo-Vene-to, della casa d'Asburgo-Lorena, muore a Schoenbrunnil 21 novembre 1916, a ottantasei anni, dopo sessantottodi regno. Corriere della sera, 23 novembre 1916.Collocazione: ZB 18 -Dall’EMEROTECA– Fondo Achil-le BELLONI.

Il 21 ottobre (1916), Friedrich Adler, figlio diVictor Adler , fondatore del Partito socialista austria-co, uccideva in un caffè il presidente del ConsiglioKarl von Sturgkh. Il partito di Adler condannò que-sto atto di terrorismo individuale come assolutamenteestraneo all’ideologia marxista cui si riferiva il movi-mento. Ma il colpo di pistola aveva smembrato tuttoil paese.

Il 21 novembre dello stesso anno, si spegnevaFrancesco Giuseppe. La sua morte faceva piombaretutta la monarchia – anche coloro che criticavano lasua politica – in un profondo lutto. Non era France-sco Giuseppe il simbolo della coesione e della peren-nità dello stato multinazionale ?François Fejto, Requiem per un impero defunto. La disso-luzione del mondo austro – ungarico, Milano, Biblioteca

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Storica de Il Giornale s.d., p.189.Il 18 agosto 1916, il vecchio imperatore celebrò il

suo ultimo compleanno, l’ottantaseiesimo. La fanfaraeseguì l’inno imperiale, poi quello degli alleati: quel-lo tedesco, quello turco, quello bulgaro. Il ministrodella Guerra, Korbatin, osservò: “Se in un’occasionesimile i nostri nemici volessero suonare tutti gli innidegli alleati, non ce la farebbero in menò di un’ora”.Il 20 novembre , Francesco Giuseppe si sentì “moltomale”, ma il mattino seguente era al suo tavolo di la-voro già alle tre e mezza.

Alle otto di sera arrivò l’erede al trono, il grandu-ca Carlo, che era stato chiamato dal fronte e avevaviaggiato ventiquattr’ ore. L’imperatore era già inca-pace di parlare quando nel salone apparve la vecchiaamica Katharina Schratt , che era stato il solo affettodegli ultimi anni. L’arciduchessa Valeria le volse lespalle e un funzionario di corte la pregò di ritirarsi.L’anziana signora aveva già le lacrime agli occhiquando un giovane in uniforme le fece un inchino ele porse il braccio: era Carlo, che di lì a poco sarebbestato il nuovo imperatore, e che la condusse al capez-zale dell’amico morente. Katharina Schratt deposedue rose bianche sul petto di Francesco Giuseppe ,che spirò pochi minuti più tardi.

La morte dell’ imperatore sembrò un altro sinto-mo della malattia dell’impero , che stava decompo-nendosi. Alla sua conservazione avevano perso inte-resse tanto i nemici quanto gli amici. L’imperatoreCarlo tentò disperatamente e insistentemente di ripa-rare con trattative di pace, tanto unita quanto separa-ta, e di lanciare l’idea di una federazione di popoli.

Alfredo Pieroni, Austria infelix, Milano, Rizzoli 2000,p.226.

(Vienna, 1938, al tempo dell’Anschluss).L’alba spuntava su quelle croci totalmente estranee.Trascorreva un vento leggero e faceva dondolare ivecchi lampioni che ancora non si erano spenti, nonquesta notte. Camminavo per strade deserte, con uncane sconosciuto . Era deciso a seguirmi. Dove? – Ione sapevo quanto lui.La Cripta dei Cappuccini , dove giacciono i miei im-peratori, sepolti in sarcofaghi di pietra, era chiusa. Ilfrate cappuccino mi venne incontro e chiese: «Che cosa desidera? ».«Voglio visitare il sarcofago del mio imperatore Fran-cesco Giuseppe» risposi.«Dio la benedica!» disse il frate, e fece sopra di me ilsegno della croce.«Dio conservi!» gridai,«Zitto!» disse il frate.Dove devo andare, ora, io, un Trotta?Joseph Roth, La cripta dei cappuccini, Milano, Bompiani1981, p.195.

1917La rivoluzione russa.

RUSSIA - La rivoluzione d'ottobre prende il via la seradel 6 novembre 1917 (24 ottobre del calendario giulianoin uso al tempo). Il governo provvisorio cessa di esiste-re senza alcuna resistenza. La sera seguente si riunisceil Secondo Congresso dei Soviet a cui i bolscevichi con-segnano il potere.

FUMASONI BIONDI, Achille. Cause, caratteri, effettidella rivoluzione. Roma , Monitore italo-russo, 1917,Collocazione: FZZ.QUIN.431–Dal Fondo FERRUZZI eQUIN.

La Rivoluzione d’ottobre ebbe ripercussioni assaipiù profonde e universali di quella francese. Infatti,se le idee della Rivoluzione francese, come ora appa-re chiaro, hanno sopravanzato il bolscevismo, le con-seguenze pratiche del 1917 furono più grandi e dura-ture di quelle del 1789. La Rivoluzione d’ottobreprodusse il più formidabile movimento rivoluziona-rio organizzato nella storia moderna. La sua espan-sione mondiale non ha paragoni e per trovare nelpassato un evento simile sotto questo aspetto bisognarisalire alle conquiste effettuate dall’Islam nel primosecolo della sua storia. Appena trenta o quarant’annidopo l’arrivo di Lenin alla stazione Finlandia a Pie-

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trogrado, un terzo dell’umanità si trovò a vivere sottoregimi partoriti direttamente dai “dieci giorni chesconvolsero il mondo” (Reed, 1919) e costruiti se-condo il modello organizzativo del partito comunistacreato da Lenin. Molti di questi regimi adottarono ilmodello dell’URSS in una seconda ondata di rivolu-zioni che esplosero al termine della seconda fase del-la lunga epoca di guerra mondiale che va dal 1914 al1945.Eric J.Hobsbawm, Il secolo breve 1914/1991, Milano,Rizzoli 2000, p.72.

Tutte le rivoluzioni che hanno segnato una svoltacreatrice nella storia del mondo, e la rivoluzione rus-sa in modo particolare, comprendono in sé due mo-menti inscindibili che soltanto nella loro unione per-mettono lo svolgersi positivo e realizzatore della sto-ria. Il primo è l’elemento eversivo, popolare, la rivol-ta collettiva contro il regime, la civiltà, lo Stato pre-cedenti, è il momento libertario di ogni rivoluzione,che ha una sua fase violenta, ma che permane poicome continuo impulso di modificazione , di parteci-pazione, di libertà. L’altro è il momento costruttivo ,statale, ideologico: è quello che dà forma di Stato al-l’impulso popolare, che costringe in limiti reali l’illi-mitata anarchia, che costruisce le nuove istituzioni sudi essa, senza di cui tuttavia tende a isterilirsi e acontraddire la propria ragion d’essere. La primissimafase della Rivoluzione russa fu un’immensa rivoltacontadina: la rivoluzione dei soviet. Sul caos inizialeil partito portò, senza contraddirlo, l’ordine d’Otto-bre, e il nuovo Stato sovietico.Carlo Levi, Il dovere dei tempi. Prose politiche e civili, acura di L.Montevecchi e G.De Donato, Roma, Donzelli2004, p.157.

Pietroburgo, 5 novembre. (il presidente del Consi-glio) Kerenskij è effettivamente scappato nel corsodelle “trattative” iniziate tra le “sue” truppe e quelledei bolscevichi. (…) Testimoni raccontano che abbiaavuto momenti di eroismo isterico. Un giorno ha fer-mato la sua automobile, è sceso da solo, senza scorta,si è avvicinato a una folla di soldati in rivolta che èindietreggiata davanti a lui. Ha urlato “Canaglie!” edè tornato , sempre da solo, verso la sua automobile.Sì, un uomo predestinato, un eroe… debole. Un tra-ditore… coraggioso. Un rivoluzionario…femmineo.Un comandante in capo isterico. Un tenero, impetuo-so assassinio che ha paura del sangue. E molto, mol-to sventurato.Zinaida Gippius, Diari pietroburghesi, Roma, Bibliotecadel Vascello 1993, pp.190 – 192.

Il mercoledì 7 novembre mi alzai molto tardi. Lafortezza di Pietro e Paolo sparava il colpo del mezzo-giorno quando discendevo la Nevski. La giornata era

fredda ed umida. La porta della Banca di Stato erachiusa e custodita da alcuni soldati, baionette in can-na.«Da quale parte state ?» domandai loro «Col governo?»«Finito il governo» mi rispose uno di loro con unsogghigno «Slava Bogu! (grazie a Dio)».È tutto quello che potei ottenere. I tramvai correvano sulla Nevski, uomini, donne,fanciulli si aggrappavano ad ogni sporgenza. I negozierano aperti e la folla, nella strada, pareva moltomeno inquieta che la vigilia. La notte aveva fattosbocciare sui muri una nuova fioritura di appelli aicontadini, ai soldati del fronte ed agli operai di Pie-trogrado contro l’insurrezione. (…)Ci dirigemmo verso il Palazzo d’Inverno seguendol’Admiralteiski. Tutti gli accessi alla piazza del Pa-lazzo erano custoditi da sentinelle ed un cordone ditruppe sbarrava la parte ovest, assediata da una follaagitata. Sulla piazza eccetto qualche soldato che sem-brava occupato a trasportare della legna dalla cortedel palazzo davanti la porta principale della facciata,tutto era tranquillo. C’era impossibile sapere se lesentinelle erano per il governo o per i Soviet. (…)Nel corridoio , scuro e lugubre, spogliato dalle tap-pezzerie, alcuni vecchi domestici disoccupati. In fac-cia alla porta di Kerenski un giovane ufficiale andavasu e giù , mordicchiandosi i baffi. Gli domandammose potevamo intervistare il presidente del Consiglio.Si inchinò, unì i talloni e rispose in francese:«No, sono dolente, Alessandro Fedorovic è molto oc-cupato in questo momento…»Ci esaminò un istante:«In realtà » aggiunse « non è qui…»«Dov’è?»«È partito per il fronte. Non c’era benzina per la suaautomobile ed abbiamo dovuto farcene imprestaredall’ospedale inglese…»(…) Approfittando della confusione, sgusciammo frale sentinelle, e ci avviammo verso il Palazzo d’Inver-no. (…) Alla luce che cadeva dalle finestre del Palaz-zo d’Inverno, ero riuscito a vedere che i primi due otrecento erano guardie rosse, tra le quali si trovavanosparsi solo alcuni soldati. Scalammo la barricata diceppi che proteggeva il palazzo e gettammo un gridodi trionfo saltando dall’altra parte , su un mucchio difucili, abbandonati là dagli junker. Dalle due partidell’entrata principale, le porte erano spalancate, la-sciando uscire la luce. Dall’immenso edificio non unrumore.

L’ondata impaziente della truppa ci spinse nellaporta destra, che conduceva ad una vasta sala con ilsoffitto ricurvo e con i muri nudi – la cantina dell’alaest– donde cominciava un labirinto di corridoi e discale. Guardie rosse e soldati si gettarono subito suparecchie grandi casse che si trovavano là, facendone

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saltare i coperchi con il calcio dei fucili e tirandonefuori tappeti, tende, biancheria, vasellame di porcel-lana, vetrerie ecc. Uno di essi mostrava fieramenteuna pendola di bronzo, che si era messa sulle spalle.Un altro sera piantata sul cappello una piuma distruzzo. Il saccheggio era cominciato, quando unavoce si alzò: «Compagni, non toccate niente, nonprendete niente. Tutto questo è proprietà delpopolo!» Subito venti voci ripeterono: «Fermi! ri-mettete tutto a posto. Non prendete niente, è proprie-tà del popolo!» Alcune mani afferrarono i colpevoli.Le stoffe di damasco, le tappezzerie furono tolte aisaccheggiatori; due uomini afferrarono la pendola dibronzo.John Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo, Roma,Editori Riuniti 1974, pp. 75, 78 – 79, 97- 99.

Visse la vittoria della rivoluzione. Nelle città lecase inalberavano bandiere rosse e le donne rossi faz-zoletti. Andavano in giro come papaveri viventi. Sul-la miseria dei mendicanti e dei vagabondi, per le stra-de deserte, sopra le case distrutte, nelle macerie inmezzo alle piazze, tra i ruderi che esalavano odore dibruciato, nella camere dove giacevano gli ammalati,nei cimiteri che aprivano e chiudevano continuamen-te le loro tombe, tra i cittadini che sospirando dove-vano spalare la neve e ripulire i marciapiedi, quelrosso sconosciuto dilagava. Nei boschi si spenserocon morbida eco gli ultimi spari. Sopra orizzonti not-turni guizzò l’ultimo bagliore. Pesanti e veloci, lecampane delle chiese non cessavano di suonare. Lemacchine compositrici e le stampatrici misero inmoto le loro ruote, erano i mulini della rivoluzione.In mille piazze gli oratori parlavano al popolo. I sol-dati della Guardia Rossa marciavano con vesti lacere,con stivali laceri e cantavano. Le macerie cantavano.Lieti i neonati scendevano dal grembo materno.Joseph Roth, Fuga senza fine, Milano, Bompiani 1982,p.30.

E noi faremo come la Russiae squilleremo il campanel falce e martel E noi faremo come la Russiae squilleremo il campanel falce e martel e squilleremo il campanello falce e martello trionferàE noi faremo come la Russia chi non lavora non

[mangerà(…)(canto popolare piemontese)Franco Castelli, Emilio Jona, Alberto Lovatto, Senti lerane che cantano. Canzoni e vissuti popolari della risaia,Roma, Donzelli 2005, p.395.

La rivoluzione russa in rete.

www.marxist.org (Soviet History Archive: Revolution.Government. Culture and Society). www.isj.org.uk (International Socialism. A QuarterlyJournal of Socialist Theory).www.spartacus.schoolnet.co.uk (Russian Revolutionaries1914 – 20)www.libcom.org (Russian Revolution. The Russian Re-volution- 50 Years on).

1918Fine della prima Guerra mondiale.

Il 4 novembre 1918, alle ore 15 finisce la prima guerramondiale (in Francia continuerà fino all’11 novembre)con oltre 18 milioni di morti, più di 21 milioni di feritie 8 milioni di dispersi.

DWINGLER, Edwin Brich. Mon journal de Siberie,1915-1918: dans les camps de prisionniers. Paris, Payot,1930.Collocazione: GER.TC.II.34 Dal Fondo Virginia GERVA-SINI.

Chi provenendo da nord, si dirige a Compiègne ,vede un paesaggio piatto come una prateria, con col-line sul lontano orizzonte. Lì dietro si trova il famosobosco dove nel novembre del 1918, sul vagone di un

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treno, fu concluso l’armistizio (fra Francia e Germa-nia). Attualmente il luogo è adatto a una passeggiata,la domenica pomeriggio, niente di più, e il sito stori-co è diventato un parco. Allora era un gruppo di al-beri folto e selvaggio con due piccole linee ferrovia-rie per trasportare l’artiglieria pesante, un posto idea-le per far parlare fra loro in silenzio due treni.La Germania arrivò con bandiere bianche per chiede-re un armistizio. Le materie prime erano esaurite, laspagnola aveva colpito duramente anche l’industria, isoldati disertavano a migliaia. Alcuni giorni prima,dopo la fuga del re di Baviera, Monaco era stata pro-clamata libera città popolare bavarese. Ogni giorno aBerlino c’erano dimostrazioni. A Colonia venne issa-ta la bandiera rossa dopo che un gruppo di marinaiaveva preso il potere. L’imperatore Guglielmo, pri-vato della sua carica, rimase a congelare i piedi sulmarciapiede della stazione di frontiera di Eijsden , inattesa del permesso di entrare in Olanda (in esilio).(…)

Due treni, quindi, in un monotono bosco sparuto,in un’umida giornata di novembre. La delegazionetedesca chiedeva una sospensione di tutte le opera-zioni militari perché era scoppiata una rivoluzione.Per Ferdinand Foch questo era un dato nuovo, che lorafforzò nel suo rifiuto di parlare di qualunque pro-posta di trattative. I tedeschi dovevano semplicemen-te accettare le condizioni degli alleati. Quando i tede-schi udirono tali condizioni , furono profondamentescioccati e pronunciarono un’inutile arringa a favoredi una lotta comune europea contro la rivoluzione e ilbolscevismo, ma Foch non si lasciò convincere : «Ilvostro paese soffre della malattia di un perdente,l’Europa occidentale saprà difendersi dal pericolo davoi menzionato». A metà mattina dell’11 novembre1918 venne annunciata la firma dell’armistizio.Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo,Roma, Fazi 2006, p.130.

La Germania esce dalla guerra l’11 novembre1918 firmando un armistizio con gli alleati in un va-gone ferroviario fermo su un binario morto a Rethon-des, nella foresta di Compiègne. In quattro anni haperduto oltre sei milioni di uomini, tra morti e feriti:e tuttavia non si può considerare sconfitta sul pianomilitare. Anche nel marzo 1918 le divisioni di Hin-denburg e di Ludendorff erano all’attacco in Francia,nella battaglia di Piccardia e in quella delle Fiandre:e sebbene i risultati non fossero stati esaltanti, ecco il27 maggio una nuova offensiva che sta per conclu-dersi con l’ingresso a Parigi. Si può parlare di unesercito in crisi, di soldati sul punto di gettare le armi?

L’incrinatura è all’interno della nazione, ormai allimite della resistenza, dove la richiesta di una pace aqualsiasi costo si leva sempre più forte, dove scar-

seggiano gli approvvigionamenti, crolla la produzio-ne industriale e gli scioperi rivelano la ribellione de-gli operai .Silvio Bertoldi, Nella foresta di Compiegne cominciò ildramma della Germania, in “Corriere della Sera”, 12 no-vembre 1996.

Era un calderone bollente anche la capitale dellanostra Germania. Non si vedeva chi alimentava ilfuoco: si poteva scorgere solo che bolliva e si sentivail calore che aumentava. V’erano oratori ad ogni an-golo di strada e cantori di odio ovunque. Tutti eranoodiati: gli ebrei, i capitalisti, i piccoli borghesi, i co-munisti, i soldati, i proprietari terrieri, gli operai, i di-soccupati, il Reichswher (l’esercito), le commissionidi controllo, i politici, i commercianti e, ancora, gliebrei. Era una vera orgia d’istigazioni e la Repubbli-ca era così debole che la si poteva notare a malapena.George Grosz, Una autobiografia, Milano, Sugarco 1984,p.164.

Il treno si avvicinò lentamente, stavo quasi perdire maestosamente, ed era un treno speciale, noncioè come tutti gli altri una fila di carrozzoni da pas-seggeri vecchi e scoloriti dalla pioggia, ma un treno– salone, dalle carrozze molto ampie. La locomotivasi arrestò ed una visibile commozione passò sui grup-pi di gente in attesa, senza che ancora ne compren-dessi la ragione. Ma poi riconobbi dietro il vetro delfinestrino, ritto in piedi, l’imperatore Carlo, l’ultimosovrano dell’Austria insieme alla consorte Zita tuttavestita di nero. Sussultai: l’ultimo imperatore d’Au-stria, l’erede della dinastia asburgica che per sette se-coli aveva retto il paese, stava ora per lasciarlo!Benché avesse ricusato l’abdicazione formale, la re-pubblica (austriaca) gli aveva permesso la partenzacon tutti gli onori, o per dir meglio , gliel’aveva im-posta. Ora quell’uomo alto e serio guardava dal fine-strino per l’ultima volta le montagne, le case, la gen-te della sua terra. (…) La serie gloriosa degli Absbur-go, che si erano tramandati i simboli del potere di se-colo in secolo, di mano in mano, si interrompeva inquell’istante. Tutti noi avvertivamo in quella vistatragica il passare della storia.Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, Mi-lano, Mondadori 1979, pp.228 – 229.

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1919Nasce il Partito Popolare Italiano.

ITALIA – Il 18 gennaio 1919 Nasce il Partito PopolareItaliano (PPI) ispirato alla dottrina sociale della Chiesacattolica e fondato da Don Luigi Sturzo.STURZO, Luigi. I discorsi politici. Roma, Istituto L.Sturzo, 1951Collocazione: OBC.I.5.10/ARM.110.X.44

Durante la guerra, il più autorevole deputato catto-lico, Filippo Meda, aveva accettato di partecipare algoverno. Che un cattolico, dichiarantesi pubblica-mente tale, ricoprisse la carica di ministro del regnod’Italia, a Roma, nella capitale non ancora ricono-sciuta dal Papa, era già di per sé un fatto significati-vo. Ma soltanto nel 1919, con la costituzione e l’or-ganizzazione del partito popolare, i cattolici si pre-sentano nella vita politica italiana come massa com-patta e organizzata, e forniti di un proprio ben defi-nito programma.

Alle elezioni del 1919 essi riuscirono a mandarealla Camera 100 deputati. I socialisti (partito ufficia-le) ne ebbero 156. Ciò significa che il regime dellevecchie maggioranze ministeriali, proprio dell’etàgiolittiana, è finito per sempre. Da questo momentoin Italia non è più possibile costituire un ministero sechi riceve l’incarico dal re non è appoggiato dai po-polari o dai socialisti.Federico Chabod, L’Italia contemporanea. Lezioni allaSorbona, Roma, Ed industria 1961, pp.40 – 41.

È il 18 gennaio del 1919 quando, da una stanzadell’albergo Santa Chiara a Roma, viene diffuso l’ap-pello “A tutti gli uomini liberi e forti”, atto di fonda-zione del Partito Popolare Italiano. A presiedere la“piccola Costituente” romana , che darà forma all’in-tuizione politica di don Luigi Sturzo, è il conte CarloSantucci, avvocato rotale, amico personale del se-gretario di Stato cardinal Gasparri. (…)

Nella nascita del Ppi l’autorità ecclesiastica ri-scontrava un’ulteriore, e forse decisiva, novità positi-va, ovvero che il Partito Popolare (…) si presentassecome “aconfessionale” , distinguendo il proprio cam-po di azione da quello della gerarchia ecclesiastica edell’Azione Cattolica. In effetti, e qui sta il punto no-bile, per la gerarchia cattolica era fondamentale che,nei confronti dello Stato, le questioni di stretta com-petenza ecclesiastica fossero trattate esclusivamentedal papa o, per lui, dalla diplomazia vaticana. Così inVaticano non poteva non risultare gradito il fatto cheil Ppi si presentasse come partito dei cattolici, maallo stesso tempo rivendicasse la propria “aconfessio-nalità”.Davide Malacaria, Benedetto XV, Sturzo e il Partito Popo-lare italiano, in “30 Giorni” , giugno 2006.

Il partito fu definito da Sturzo come aconfessiona-le e partito “fra cattolici”. Le due definizioni eranosignificative nella loro combinazione: esse indicava-no che il partito non faceva del cattolicesimo unaideologia religiosa e politica. In questo senso il Parti-to Popolare poteva ben dirsi laico. Il riferimento reli-gioso era invece dato alle persone dei suoi aderenti eassumeva un significato spirituale e morale, impe-gnava e qualificava la coerenza pratica dei singoli.Era una sintesi consona alle esigenze vitali del cri-stianesimo.Gianni Baget Bozzo, Il Partito Popolare, in “la Repubbli-ca”, 16 febbraio 1993.

Alla costituzione del Partito Popolare italianoavrebbe fatto seguito la nascita dei partiti cristiano –sociali bavarese, spagnolo, ceco, polacco, lituano.Ma era ancora al modello germanico che Sturzoguardava come a un pilastro portante del nuovo or-dine da realizzare in presenza delle emergenze rivo-luzionarie: “Con la caduta degli Imperi Centrali cad-dero gli ordinamenti autoritari, aristocratici, militariche li sostenevano; il sobillamento delle masse portòalle varie rivolte comuniste, spartachiste, anarchiste(sic) che scoppiarono qua e là tentando di costituiregoverni provvisori, finché gli elementi socialisti e ra-dicali, con l’appoggio dei cattolici – sociali poteronocostituire governi più stabili e fissare in nuove carte iprincipi democratici ai quali essi s’ispiravano”.Gabriele De Rosa, Ai tempi della Rerum Novarum , Sone-ria M., Rubbettino 2002, p.239.

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Il Partito popolare e don Sturzo in rete.www.sturzo.it (Istituto Luigi Sturzo, via delle Coppelle35, Roma).

1920 Occupazione delle fabbriche in Italia.

ITALIA - Nel 1920 un imponente movimento di lottascuote le grandi fabbriche, alcune delle quali vengonooccupate.SPRIANO, Paolo. L'occupazione delle fabbriche: set-tembre 1920. Torino, Einaudi, 1964Collocazione: ANE.ARM.62.III.46/GOT.LC.I.6Dal Fondo ANELLI e dal Fondo GOTTLIEB

Il 31 agosto (1920 ), gli operai invadono 280 sta-bilimenti metallurgici di Milano. Il movimento siestende nei due giorni successivi a tutta l’Italia, oltre-passando a volte gli ordini dei dirigenti. Si cominciadalle officine metallurgiche, ma queste officine han-no bisogno di materie prime e di accessori che sono

forniti da altre industre, e l’occupazione si allarga aqueste perché le prime possano continuare a lavorare.La direzione degli stabilimenti passa alle Commis-sioni interne di fabbrica (operaie) , che si sforzano dicontinuare la produzione. In questo compito, le Com-missioni operaie non possono contare che su se stes-se, perché tutti gli ingegneri , e quasi tutti i tecnici egli impiegati abbandonano le officine per ordine del-l’organizzazione padronale. La produzione in corsoprosegue assai bene, ma le difficoltà dell’approvvi-gionamento delle materie prime si fa presto sentire.Anche il denaro per pagare i servizi fa difetto; non sene è trovato granché nelle casse aperte dopo l’occu-pazione. I primi entusiasmi cadono, una parte deglioperai si stanca di rimanere tutto il giorno nell’offici-na; verso la fine del movimento, vien loro proibito diuscire, per tema che non ritornino più. Così le “guar-die rosse” che stanno alle porte per difendere l’offici-na contro ogni attacco eventuale sono impiegati adimpedire la diserzione di una parte considerevole delpersonale.Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Bari, Later-za 1976, I, pp.125 – 126.

Non fu veramente l’anticamera della rivoluzione,il momento in cui il motto d’epoca “noi faremo comela Russia” sia stato sul punto di tradursi in realtà.L’occupazione delle fabbriche, nel settembre del1920, rimane comunque una straordinaria concentra-zione di attese e di speranze delle masse operaie neigrandi e anche nei piccoli centri, attivizzate dall’e-sperienza della guerra e scaldate dall’ottobre sovieti-co. (…)

Però non si tratta solo del fatto che gli operaisono, sì, armati, ma di non molto di più che rivoltellee addirittura – pare – di alabarde, con l’aggiunta diqualche bomba, per cui la guerra che possono fare èsolo difensiva. Giolitti (presidente del Consiglio)questo lo sa e intende prenderli per logoramento. Main questo ritrarsi all’interno delle fabbriche, alle radi-ci del rapporto di classe, nel luogo dell’alienazione edella fierezza operaia, c’è anche una componente ari-stocratica, operaista e antipiazzaiola, propria in parti-colare del movimento torinese ispirato all’ “OrdineNuovo” (di Gramsci): un’anima diffidente e severaverso le tradizioni più colorite, estrinseche e rissosedel socialismo italiano .(…) Sono ben 400 mila ope-rai metallurgici in ebollizione, la crema dell’Italiasviluppata: da Milano a Modena, da Portoferraio aTerni, da Ancona a Torre Annunziata. Saliranno amezzo milione quando le maestranze di altri settoriprovano a imitare le avanguardie di classe. Quando aLivorno viene occupato il cantiere navale degli Or-lando, si dà luogo tranquillamente al varo di unanave: che si tratti di una nave militare e che rechi ilnome di un santo non provoca alcun incidente, come

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telegrafa il prefetto al ministero dell’Interno. Non sivedono neppure bandiere rosse, precisa compiaciuto.

Non si vedono in questo caso, ma in molti altri sì.Anzi, si innalzano ne punti più alti e visibili, se necoronano le ciminiere, e alla fine proprio le bandieresaranno le ultime ad andarsene. In diversi casi, spet-terà ai guardiani ammainarle a occupazione conclusa.Mario Isnenghi, L’Italia in piazza, Milano, Mondadori1994, pp.247 – 248.

Nel settembre ha luogo infine (a Livorno) la gran-de esperienza della occupazione :«La massa operaia livornese avendo appreso che perle ore 16 la Sezione livornese della Unione industria-li avrebbe proclamato la serrata, alle ore 15.30 ha ini-ziato l’occupazione degli stabilimenti. Nel massimoordine e senza alcun incidente sono stati occupati 14stabilimenti metallurgici fra cui i seguenti: 1. Cantie-re Orlando. In questo Cantiere la bandiera rossa èstata innalzata sopra le officine e sopra le navi or-meggiate in cantiere. Operai con bracciali rossi fannola guardia agli ingressi. È stato disposto un turno perispezionare anche i dintorni del cantiere ed impedirequalunque sorpresa che si volesse tentare per partedella forza pubblica. 2. Metallurgica italiana. Anchequi la bandiera rossa è stata inalberata all’ingressodell’officina e sopra varii capannoni. La massa nonlavora, ma discute dei propri interessi in gruppi ca-ratteristici. Le sentinelle operaie con bracciale rossosono state poste a guardare le casse–forti. Il direttoredella Metallurgica, prevedendo l’occupazione, versole 15 ha abbandonato il posto di direzione per evitareconflitti”. (…) Il lato caratteristico, aggiunge il gior-nale (“La Toscana” del 4 settembre 1920) “dell’agi-tazione, viene costituito da una fila di donne (…) chesi affaccendano a portare ai loro cari il vitto dellasera. Esse sostano in gruppi rumorosi davanti all’en-trata degli opifici; ne scaturisce perciò una vivacità diatteggiamenti e di commenti che riescono qualchevolta a dare una nota di buon umore popolaresco in-torno agli stabilimenti, così silenzioso cambiati quasiin fortilizio di una lotta ormai aspra e senza quartie-re”.Nicola Badaloni, Socialisti e lotte di classe a Livorno nelprimo ventennio del secolo,in Nicola Badaloni, FrancaPieroni Bortolotti, Movimento operaio e lotta politica aLLivorno 1900 – 1926, Roma, Editori Riuniti 1977, pp.98– 99.

1921Nasce il Partito Comunista d’Italia.

ITALIA - Il 21 gennaio 1921, a Livorno, nasce il Par-tito Comunista d’Italia, da una scissione verificatasidurante il 17° Congresso del PSI.

Partito Socialista Italiano. Resoconto stenografico del 17.congresso del Partito socialista italiano : Livorno 15-16-17-18-19-20 gennaio 1921. Roma; Milano, Edizione delPartito socialista italiano, Ed. Avanti, 1921. Collocazione: FUS.ARM.15.II.66 Dal Fondo FUSERO

Il Partito socialista, in possesso del maggior arma-mentario mitologico e retorico, corroborato daglieventi russi del 1917, incontra crescenti difficoltà acomunicare con le masse e a proporsi come guida ca-rismatica in questo periodo di crisi (…). Nel Partitosocialista, infatti, l’irruzione del mito della Rivolu-zione russa, pure costruito con tutti i simboli oppor-tuni – dalle bandiere rosse riadattate ai distintivi conil simbolo del Soviet in metallo e smalto rosso perocchielli di giacca, cravatte e spille, dai quadri di Le-nin alle cartoline , dai calendari ai busti – non riescea trovare un’effettiva sintonia con le capacità di azio-ne del gruppo dirigente, che anzi esprime avversione

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per questi simbolismo e che quindi finisce per ridur-ne la loro portata.Doriano Pela, L’identità politica fra pubblico e privato, inIdentikit del Novecento, a cura di Paolo Sorcinelli, Roma,Donzelli 2004, pp.211- 212.

Il congresso di Livorno, il congresso della scissio-ne (del PCd’I dal PSI), è uno di quei momenti dellastoria del movimento operaio italiano che non cessa ,a quasi mezzo secolo di distanza , di provocare e rin-novare polemiche, tra storiografiche e politiche: un“nodo”, come si dice nel gergo pubblicistico, e unnodo intricato. Via via che il tempo è passato nuovaluce si è fatta sulle sue vicende , sui suoi retroscena,sulle sue cause e conseguenze, ma ciascuna delle in-terpretazioni e delle varianti illumina spesso più ilperiodo e il dibattito nel cui contesto le revisionisono state proposte che gli avvenimenti del gennaio1921. (…)

Il dibattito che dura sette giorni , dal 15 al 21gennaio 1921, nell’affollato teatro Goldoni, in un’at-mosfera turbolenta, se dice qualcosa di nuovo rispet-to alle dispute precongressuali è soltanto in quanto ri-flette i tormentati stati d’animo rammentati da Gram-sci: scetticismo contro fiducia, o se si vuole , pruden-za temporeggiatrice contro impegno alla fedeltà deipostulati rivoluzionari fissati dall’Internazionale co-munista: (…)

Il clima incandescente si misura appieno nellagiornata del 16, durante il lungo discorso , una veravigorosa requisitoria , pronunziato dal delegato dellaInternazionale comunista, Cristo Kabakciev. Agli ap-plausi dei comunisti si mischiano le urla degli altricongressisti che, allorquando l’oratore ribadisce leespulsione dal Komintern per coloro che voterannola mozione massimalista, esplodono con sarcasmo:«Scomunica maggiore! Viva il Papa! viva il papa-chieff!» e anche «Non siamo dei servi, non vogliamolegati pontifici (…)».

(Il 21 gennaio 1921) al teatro Goldoni si succedo-no gli atti di un nuovo cerimoniale , quello della pro-clamazione della scissione. Prima è Luigi Polanoche, a nome della Federazione giovanile, dichiarache essa «scioglie ogni impegno col partito e deliberadi seguire le decisioni che prenderà la frazione comu-nista». Per quest’ultima salgono ancora alla tribuna ildeputato Roberto, per un addio accorato («Mi augu-ro , anche, compagni, che dopo esserci staccati cessi-no le lotte fratricide») e Bordiga che assume un tonofreddissimo, sprezzante, in perfetta coerenza collostile della sua battaglia. Il suo non è un addio, è un ri-pudi. Bordiga arriva a contestare persino la regolaritàdelle votazioni, quindi fa l’appello formale ai propriseguaci: «I delegati che hanno votato la mozione del-la frazione comunista abbandonino la sala; sono con-vocati alle 11 al Teatro San Marcio per deliberare la

costituzione del Partito comunista, sezione italianadella Terza Internazionale».

I comunisti escono dalla sala intonando l’Interna-zionale e si avviano verso la nuova assise di fonda-zione, scortati da guardie regie e carabinieri ma an-che da gruppi di operai scesi dalle gallerie del Goldo-ni, donde avevano seguiti i lavori del congresso dellascissione.(…)

Al teatro San Marco, alcuni incaricati controllanole tessere dei delegati comunisti apponendovi il tim-bro con la falce e il martello. L’organizzazione è sta-ta predisposta a dovere, in un ambiente che sottolineal’atmosfera proletaria del convegno. Terracini ce neha lasciato un tratteggio più romantico: «I delegati,che rapidamente avevano occupato la platea del SanMarco, non vi trovarono sedie o panche sulle qualiassidersi e dovettero restare per ore e ore ritti in pie-di. Sul loro capo, dagli ampi squarci del tetto infraci-dito , venivano giù scrosci di pioggia , a riparo deiquali si aprivano gli ombrelli, con uno strano vederenel luogo e nell’occasione (…)».Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I, DaBordiga a Gramsci, Roma., L’Unità 1990, pp. 108, 109 –110, 115 – 116.

Il modo come la frazione comunista era arrivataalla battaglia aveva il segno di Bordiga. Nel congres-so di Livorno, Gramsci nemmeno parlò.(…) (Il ) 21gennaio 1921 (Gramsci avrebbe compiuto i trent’an-ni il giorno dopo), la minoranza dei comunisti“puri”8 “comunisti unitari” si definivano i seguaci diSerrati) costituiva nel Teatro San Marco di Livorno ilnuovo Partito comunista d’Italia.

Ne era dominatore assoluto Amadeo Bordiga, cheinfine, sorretto dall’Internazionale, aveva realizzatola sua “allucinazione particolaristica” (così Gramscia luglio) d’un partito “veramente” comunista. Gram-sci, convertito a simile realtà troppo di recente, dove-va accontentarsi di un ruolo subalterno, rischiò di ri-manere fuori dal primo comitato centrale del nuovopartito. La sua inclusione fu aspramente combattuta,Neanche i nuovi compagni , o alcuni di essi, rifuggi-vano dai poveri espedienti polemici cui in passatoerano ricorsi gli avversari interni del PSI.Giuseppe Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Nuoro, IlissoEdizioni 2003, p.175.

Il Partito Comunista in rete.www.fondazionegramsci.org (Fondazione Istituto Gram-sci, via Portuense 95 c, 00153 Roma)www.gramscitorino.it (Fondazione Istituto PiemonteseAntonio Gramsci, via Vanchiglia 3, 10124 Torino). www.fondazionebordiga.org (Fondazione Amadeo Bordi-ga, va A.Bordiga 11, 04023 Formia, LT).

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1922La marcia su Roma.

ITALIA – Il 27 ottobre 1922 inizia la marcia suRoma. Quattro colonne di camicie nere (26.000 uomi-ni) convergono sulla Capitale. Due giorni dopo il re in-carica ufficialmente Mussolini di formare il nuovo go-verno.

LUSSU, Emilio. Marcia su Roma e dintorni : fascismovisto da vicino. Paris, Casa ed. Critica, [1933]. Con dedica autografa dell’autore a Bruno Buozzi Collo-cazione RAF.UD.VII.2 Dal Fondo RAFFAELLI

La marcia su Roma è uno degli avvenimenti piùinteressanti della storia politica dei tempi moderni. Illettore straniero ,a questo punto, è vivamente pregatodi voler tenere sott’occhio una carta geografica delregno d’Italia.

La “marcia” è decisa, secondo i nuovi piani, il 26ottobre a Napoli. La mobilitazione fascista avvienefra il 26 e il 27. Il 28 deve avere inizio la “marcia”. Èattorno a Roma che si devono decidere le sorti d’Ita-lia. Mussolini prende il treno a Napoli, traversaRoma e si confina a Milano. Milano sta dalla parteopposta, a 600 chilometri da Roma.(…) Ma, in com-penso, Milano ha il vantaggio di essere a pochi chilo-metri dalla frontiera svizzera.

(…) IL comando generale delle forze fasciste sifissa a Perugia. Lo compongono Bianchi, De Bono,De Vecchi e Balbo. Il duca d’Aosta, che ha promessotutto il suo appoggio all’impresa, si porta clandesti-namente nei dintorni di Perugia. Colonne fascistesono ammassate a Civitavecchia, a Mentana, a Tivo-li. Tutte dovrebbero puntare su Roma. Ma regna ilpiù grande disordine. Contrattempi, ritardi, equivocispezzano le varie colonne e ritardano gli ammassa-menti. La grande parte è senza armi: molti sono ar-mati di fucili da caccia. I fucili militari sono senzacartucce. Solo alcune mitragliatrici delle squadre to-scane sono in buono stato. I viveri incominciano adessere insufficienti dal primo giorno.Emilio Lussu, Marcia su Roma e dintorni, Milano, Mon-dadori 1968 (prima edizione: 1933), pp.52 -53

Quando finalmente riceve il telegramma di convo-cazione (dal re), il Duce rinunzia all’aereo e decidedi partire in treno, alle 20, 30 del 29 ottobre.(…) Alle20, 30 precise il treno, il Direttissimo 17, si muove.Comincia la marcia su Roma in sleeping-car. «Lafolla fa paurosamente ressa ai fianchi del convoglio eMussolini ancora riappare mandando con la manobaci alle camicie nere».Dino Bianchi, La fabbrica del Duce, Firenze, Vallecchi1973, pp. 70 – 71.

With Benito Mussolini coming to Rome today andhis formation of a new ministry the so-called “Fas-cisti Revolution” is at the end. All is over except theshouting. Nothing remains to be done but have a tri-umphal march of the Fascisti militia through Rometo give the population a chance to vent its pent-upenthusiasm, then have them demobilize and return tonormalcy. Nowhere is the fact that Fascisti action isover more clearly shown than in a manifesto issuedby the Fascisti leaders today saying : «From this mo-ment Mussolini is the Government of Italy (…)».Mussolini entered in Rome in the morning . He trav-elled as far as Civitavecchia on a special train put athis disposal by the GovernmentMussolini Form Cabinet for Italy With Fascist Aids, in“The New York Times”, October 31, 1922.

Nel valutare la consistenza delle forze fasciste, bi-sogna distinguere fra la mobilitazione complessivadelle squadre e le colonne effettivamente “inmarcia”. Se si tiene conto del primo aspetto, non sipuò sottovalutare la portata di una mobilitazione in-surrezionale certamente senza precedenti. Non ci tro-viamo di fronte a una semplice scampagnata o a unbluff ma all’atto eversivo dalle dimensioni più ampiemai verificatosi nella storia d’Italia. La mobilitazionefascista consegue risultati importanti nella conquistapacifica o armata di prefetture e municipi, di stazioni

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postali e di telegrafi, di depositi di armi; in qualchecaso ottiene la resa, imposta o contrattata, d caserme.Il tutto si accompagna all’abituale quadro di devasta-zioni e incendi di giornali, di sedi di partiti e case delpopolo, di uccisioni di militanti “sovversivi”.Gianpasquale Santomassimo, La marcia su Roma, Firen-ze, Giunti 2000, pp.73 – 74.

Le settimane precedenti la ricorrenza della Marciasu Roma furono principalmente dedicate a far sì che ibambini dalla prima alla quarta classe imparasseroun inno adatto alla cerimonia. «Garrisci al sol che ab-bella, gagliardo tricolore, bandiera cara e bella , fedesperanza e amore…». La maestra, in classe, avevaletto un brano dal quale risultava che anche i gagliar-detti, così come il gagliardo tricolore della canzone,garrivano al sole. Non si era però capito in che cosapraticamente consistesse l’atto del garrire. Ciò cheappariva necessario, nel brano come nella canzone,affinché il gagliardetto e il tricolore garrissero , erail sole, ma quel giorno nere nuvole caracollavano incielo spinte da un vento gelido e l’aria era livida: gar-rivano lo stesso.Elena Gianini Belotti, Pimpì Oselì, Milano, Feltrinelli1998 , p.42.

1923Adolf Hitler organizza il “putsch” di Monaco.

GERMANIA - Nel 1923 Hitler e i suoi sostenitori, chesi erano riuniti a Monaco, effettuarono un putsch perabbattere la Repubblica di Weimar.Il tentativo fallisce e Hitler viene arrestato.

HITLER, Adolf. La mia battaglia. Milano, Bompiani,1934Con prefazione inedita dell'autore per l'edizione italiana.Collocazione: MOS.II.A.VIII.2Dal Fondo Oreste MOSCA

La sera dell’8 novembre 1923 Adolf Hitler mise inatto un putsch nel Burgerbraukeller di Monaco. Egli ap-profittò di un’adunanza dei sostenitori di (Gustav von)Kahr (politico di destra bavarese) per costringere questiultimi e i suoi alleati Seisser e Lossow – pistola allamano – a partecipare alla “rivoluzione nazionale”. Dopoche i tre si furono piegati alla forza, almeno in apparenza,Hitler si autoproclamò capo del governo provvisorio na-zionale, mentre Kahr in veste di luogotenente della mo-narchia (bavarese) promise di prendere in mano le sortidella Baviera. (…) Il putsch di Hitler finì a mezzogiornodel 9 novembre sotto i proiettili della polizia di Stato ba-varese nel circolo ufficiali di Monaco. Hitler riuscì a fug-gire, ma due giorni dopo fu arrestato; sedici dei suoi se-guaci pagarono l’azione con la vita.

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Heinrich A.Winkler, La Repubblica di Weimar, Roma,Donzelli 1998, pp.263 – 264.

La sera dell’8 novembre 1923, verso le novemeno un quarto, mentre già da mezz’ora (Gustavvon) Kahr (politico di destra bavarese) parlava di-nanzi a circa tremila borghesi di Monaco che, sedutidinanzi ai rustici tavolini, gustavano la loro birra inboccali di ceramica bavarese, reparti di SA circonda-rono la Burgerbraukeller (birreria), e Hitler fece in-gresso nella grande sala. Mentre alcuni dei suoi se-guaci piazzavano una mitragliatrice all’ingresso, Hi-tler salì su un tavolo e per attirare l’attenzione delpubblico sparò un colpo di rivoltella in aria. Kahr in-terruppe il suo discorso. L’uditorio si voltò per cono-scere la causa dell’interruzione. Hitler, con l’aiuto diHess e di Ulrich Graf, l’ex macellaio , già lottatoredilettante, divenuto ora guardia del corpo, si feceavanti verso il palcoscenico. Un maggiore della poli-zia cercò di fermarlo, ma Hitler gli spianò contro lapistola e passò oltre. Kahr, secondo un testimoniooculare, era diventato “pallido e confuso”. Scese dal-la tribuna e Hitler ne prese il posto.«La rivoluzione nazionale è cominciata » urlò Hitler«Questo palazzo è ora occupato dai seicento uominiin perfetto assetto di guerra. Nessuno può uscire dal-la sala. Se non si ristabilisce immediatamente la cal-ma ordinerò che una mitragliatrice venga piazzatasulla galleria. Il governo bavarese e quello del Reichsono stati rovesciati ed è stato costituito un nuovogoverno provvisorio. Le caserme della Reichswehr edella polizia sono state occupate. L’esercito e la poli-zia marciano ora sulla città sotto la bandiera dellasvastica».Tutto ciò era completamente falso, era un puro bluff.Ma nessuno , in quella confusione, poteva sapere sefosse vero o meno. La rivoltella di Hitler, però, eravera. Aveva sparato. Vere erano, inoltre, le trupped’assalto coi loro fucili e le loro mitragliatrici.William L.Shirer, Storia del Terzo Reich, Milano, FabbriEditori 1978, p.73.

Il partito di Hitler la chiamava la “cucina dei vele-ni”. Era l’epiteto preferito dai nazisti per il giornaleche era la loro Nemesi, la loro spina nel fianco, pe-rennemente avvelenata, la “Munchener Post”. (…)Nel momento decisivo del suo fallito putsch di Mo-naco del novembre 1923, quando avrebbe dovutofornire il massimo sostegno militare alla sua marciaverso il centro della città, la più forte e più fanaticacoorte di pretoriani a lui devoti (la “Stosstrupp Hi-tler”, la sua guardia del corpo personale che si sareb-be poi trasformata nelle SS) fu spedita, invece, aln.19 dell’Altheimer Eck, l’edificio che ospitava la”Munchener Post”, dove quei reparti trascorsero al-cune ore decisive a saccheggiare e devastare gli uffi-ci e a fare a pezzi le macchine tipografiche della “cu-

cina dei veleni”. Più tardi Hitler dichiarò di essere ri-masto sconcertato per l’assalto delle sue guardie delcorpo alla “cucina dei veleni”: un primo esempio diquella tattica di denegazione che, inseguito, avrebbeimpiegato per prendere le distanze dagli ordini im-partiti per il pogrom della Kristallnacht (Notte deicristalli) e per la “soluzione finale”.

In quell’occasione, la “cucina dei veleni” si rimi-se in piedi e ricominciò la lotta. Ma, dieci anni dopo,nel marzo del 1933, una schiera di energumeni delleSA fece irruzione nella sede della “Munchener Post”,distruggendola completamente.Ron Rosenbaum, Il mistero Hitler, Milano, Biblioteca Sto-rica il Giornale s.d., pp.91, 93.

Hitler, nell’intento di imitare l’irruzione risolutri-ce delle “camicie nere” mobilitate per la “marcia suRoma”, fallì l’assalto al cuore dello Stato germanico.Ufficialmente i fascisti screditarono gli hitlerianiconsiderandoli politicamente inaffidabili. In realtànon rescissero del tutto i legami già instaurati, se èvero che Goring – esponente di primo piano dell’en-tourage nazista – riuscì a sfuggire all’arresto dellapolizia tedesca rifugiandosi proprio in Italia. Lo stes-so Mussolini, ricordando l’episodio, disse che erastato lui ad ordinare «a una équipe di medici venezia-ni di occuparsi delle ferite subite dal comandante Go-ring, sfuggito alla morte e alla polizia di stato bavare-se».Maurizio Martucci, Hitler turista. Viaggio in Italia, Mila-no – Verona, Greco & Greco 2005, p.15.

Il presidente dell’associazioni combattenti, il mag-giore in congedo Wolkenstein, un antisemita al qualenessuno toglierà mai di mente che la guerra è stataperduta soltanto per colpa degli ebrei. (…) Wolken-stein è in alta uniforme dell’esercito imperiale. Nonsarebbe permesso, ma chi dice niente ? La strana me-tamorfosi iniziatasi subito dopo l’armistizio è progre-dita via via; oggi la guerra, che nel 1918 era odiatadalla quasi totalità dei soldati, si è trasformata nellamente di tutti coloro che ne hanno portato fuori lapelle nella grande avventura della loro vita. Gli è cheil ritorno alla vita quotidiana ha fatto sembrare un pa-radiso il tempo in cui marcivano in trincea e maledi-cevano la guerra. (…)

Wolkenstein tuona dal podio ed è già arrivato ai«traditori di casa nostra», al «colpo di pugnale nellaschiena», alle «invitte armate tedesche», alla «pro-messa di onorare gli eroi caduti, di vendicarli e di ri-costruire l’esercito».Eric Maria Remarque, L’obelisco nero. Storia di una giovi-nezza ritardata, Milano, Mondadori 1971, pp.129 – 131.

Questo oscuro terreno (a Monaco) dove nacque ilnazionalsocialismo, oggi uno spoglio parcheggio ac-canto all’Hilton nella Rosenheimer Strasse, è stato

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fatto saltare in aria, demolito e spianato in modo pro-fessionale. Qui c’era la rinomata Burgerbraukeller, ilgrande salone delle feste dove in genere si bevevo esi mangiava in abbondanza, e dove Adolf Hitlerr svi-luppò ulteriormente il suo talento artistico. Da qui or-ganizzò anche il suo fallito colpo di Stato con il ge-nerale Ludendorff l’8 novembre 1923. Finì tutto nelnulla. La domanda di risarcimento danni della Bur-gerbraukeller per questa rivoluzione da ubriachi: 143boccali rotti, 80 bicchieri a pezzi, 98 sgabelli, 148posate scomparse, per non parlare poi dei fori di pro-iettile sul soffitto. Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo,Roma, Fazi Editore 2006, pp.264 – 265.

Hitler e il nazismo in rete.Molti i siti sul nazismo:www.storiadelnazismo.too.it (a cura del Centro di Studidella Resistenza dell’Anpi di Roma)www.ns-archiv.de (documenti originali in rete del Partitonazionalsocialista, Dokumente zum NationalsozialismusNS-Archiv).www.viaggio-in-germania.de (tutto sulla Germania, com-preso Hitler e il nazismo)

1924Morte di Lenin.

RUSSIA - Lenin (pseudonimo di Vladimir Il'ic Ul'ja-nov) muore il 21 gennaio del 1924, all'età di 54 anni.

KRUPSKAJA, Nadezna Konstantinovna. La mia vita conLenin. Napoli, Humus,1944Collocazione: TER.SF.I.20–Dal Fondo Otello e TulliaTERZANI

Nel 1898 Lenin aveva sposato una sua compagnadi latta, Nadia Krupskaja, alta, pallida, austera, con icapelli annodati dietro la nuca, di un anno più anzia-na di lui. Ma poi si era innamorato di un’altra com-pagna, Inessa Armand, appunto, un po’ più giovanedi lui, piena di fascino, nata a Parigi, che aveva spo-sato un russo molto ricco e che prima di abbracciarela causa rivoluzionaria aveva fatto parte della miglio-re società moscovita. (…) Durante i funerali di que-sta donna (Inessa, nel 1920) Lenin sembrò irricono-scibile, con il berretto calato sul volto, con gli occhiquasi sempre chiusi e il capo barcollante. Nel seguireil feretro di Inessa, Lenin dovete avvertire la sensa-zione di partecipare al funerale della rivoluzione. Ilsuo maggio biografo, Louis Fischer scrisse che «Le-

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nin, senza figli, dopo la morte di Inessa Armand nonamava più nessuno, nemmeno se stesso». Nell’aprile1922 le sue condizioni di salute apparvero così pre-occupanti che due famosi medici tedeschi furonochiamati a consulto. Nel maggio si verificò un primoattacco di paralisi. Nel dicembre un secondo attacco.Nel marzo 1923 un terzo attacco con la perdita dellaparola, Fino alla morte, avvenuta nel gennaio 1924,Lenin sopravvisse come un vegetale. Piero Melograni, Requiem per Lenin, in “Mondo Econo-mico”, 21 settembre 1991.

È stato così alla morte di Marx, di Lenin, dei diri-genti a capo dei Pc negli anni della Terza Internazio-nale. Per tutti (…) si declama sulla tomba che “nonsono morti completamente”, “vivono ancora”, il loroesempio “non morirà mai”, la loro “eredità è imperi-tura”. Ancora oggi nei cortei di protesta si urlano slo-gan ritmati che sottolineano la permanenza del mili-tante morto tra i suoi compagni.(…)

Gorkij su Lenin: «Il nero segno della morte sotto-linea in modo ancor più nitido davanti a tutto il mon-do il valore di Lenin, il suo valore di capo del popololavoratore di tutti i paesi. E, se la nube di odio, dimenzogna e di calunnia, addensatasi intorno al suonome, fosse anche più fitta, conterebbe poco: non c’èforza che possa offuscare la fiaccola issata da Leninnelle tenebre soffocanti del mondo impazzito».Fabio Giovannini, La morte rossa. I marxisti e la morte,Bari, Dedalo 1984, pp.58 -59, 73.

I funerali di Lenin costituiscono uno dei momentiforti della propaganda bolscevica: si impongono di-versi giorni di lutto, si organizzano pellegrinaggioalle sue spoglie, che in seguito si volgeranno al mau-soleo in legno, eretto dove oggi sorge il mausoleo ingranito. La sua immagine è incisa su oggetti di usocorrente. La città di Pietrogrado, la vecchia San Pie-troburgo, diventa Leningrado. Ci saranno anche Le-ninakan, Lenino, Leninsk, Ul’ianovsk e così via, sen-za contare i villaggi, le vie, le imprese, le scuole, gliospedali che sono battezzati con il nome di Il’ic . Lamoglie Nadezda Krupskaja protesterà inutilmente.Alla morte di Lenin nasce, in una certa misura, il le-ninismo.Alessandro Mongili, Stalin e l’impero sovietico, Firenze,Giunti 1995, pp.56 – 57.

Più in là, e prima che il viale Marx sfoci in piazzaDzerzinskij, ci imbattemmo nel Museo Centrale de-dicato a Lenin, nel palazzo dell’antico Parlamentocittadino (la Duma), costruito tra il 1891 e il 1892 daCicagov nello stile russo tradizionale. La rivoluzionecambiò lo stemma in pietra di Mosca posto sulla fac-ciata con un bassorilievo di Alekseev: L’operaio e ilcontadino. Il Museo Centrale fu inaugurato nel 1936

ed è il centro radiale di una serie di musei Leninsparsi non solo in tutta l’Urss, ma addirittura nelmondo. In Urss, dopo quello di Mosca, il più impor-tante si trova a Ul’janovsk (antica Simbirsk), luogodi nascita di Lenin; subito dopo quello di Leningrad-fo, e poi quelli di Baku, Kiev, L’vov, Taskent, Tblisi.(…) Ma la necrofilia leniniana custodisce un numeroimpressionante di musei, di luoghi che videro il per-sonaggio, di lapidi commemorative, per non dire del-la statuaria minore presente a ogni angolo dell’Urss.Solo in Unione Sovietica vengono censite cinquecen-to importanti sedi del culto leninista.Manuel Vazquez Montalban, La Mosca della rivoluzione,Milano, Feltrinelli 1995, p.78.

Lenin in reteFra i vari siti si segnalano:www.marxist.org (Archivio Opere di Lenin dal 1895 al1923)www.stel.ru/museum (Central Moscow Lein Museum inlingua inglese, dal 1993 fondazione culturale autonoma)

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1925Mussolini lancia la “battaglia del grano”.

ITALIA - L'11 giugno 1925 Benito Mussolini, Presi-dente del Consiglio annuncia l'inizio della battaglia delgrano. La campagna aveva lo scopo di far raggiungerel'autosufficienza dell'Italia dalle importazioni estereper la produzione del frumento.

La Domenica del Corriere: supplemento illustrato delCorriere della sera, 17 luglio 1938Collocazione: PER 3077 – Sale PERIODICI

A questo punto (1925) cominciò la battaglia delgrano, che fu la prima grande campagna propagandi-stica del regime fascista. Scopo di essa era il raggiun-gimento dell’autosufficienza granaria che Mussolinipresentò come necessario per assicurare il prestigio el’indipendenza della nazione di fronte ad un ipoteticopericolo di affamamento e quindi di asservimento ,quale avrebbe potuto verificarsi in caso di guerra o diblocco dell’importazione o comunque di un’eventua-le crisi gravissima nei rapporti economici tra l’Italiae il resto del mondo. La battaglia del grano rientròquindi nel quadro generale della propaganda nazio-nalistica e bellicistica. In realtà Mussolini , anche at-traverso la battaglia del grano, mirò a rafforzare il re-

gime e il suo potere personale mediante un consoli-damento del blocco borghese nelle campagne. Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna. Il fascismoe le sue guerre. 1922 – 1939, Milano, Feltrinelli 1993,p.119.

L’ideologia rurale del fascismo rivela che quantosi chiedeva alla terra era innanzitutto un contributoalla stabilizzazione del regime grazie alla diffusionenella società italiana di alcune preclare virtù contadi-ne. Un mondo dominato dalle permanenze, un’im-mensa riserva di stabilità e di solidità, di laboriosità edi tenacia; le campagne si configuravano come unfondamentale ingrediente alla costruzione del regi-me. “Vincoli stabili”, “rapporti continuativi”; una“forza di stabilità, di equilibrio, di sodo patriottismo”.“Gente antica”, gli abitanti delle campagne; un popolo“forte, sobrio, disciplinato, risparmiatore”. Era comese l’attaccamento del “popolo dei campi” alla terradovesse automaticamente tradursi in legame dei rura-li verso lo stato. Era come se la paziente soggezionealle fatiche campestri si sarebbe risolta, mutate lequinte, in fiduciosa subordinazione alle élites nazio-nali.Pier Giorgio Zunino, L’ideologia del fascismo. Miti, cre-denze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna, IlMulino 1985, p.305.

Mussolini figura simbolica dominante del regime,svolse un ruolo importante nella campagna di propa-ganda del grano. (…) All’epoca cominciarono a cir-colare le foto del duce tra i campi di grano che recla-mizzavano la popolarissima immagine di Mussolinicome agricoltore, immagine che raggiunse il suo api-ce durante la campagna di bonifica dell’Agro Ponti-no negli anni Trenta. La prima estate dopo il lanciodella campagna del grano, “Illustrazione Italiana”pubblicò una foto di Mussolini in mezzo a trattori egrano. In ottobre il duce fu ritratto mentre guidavauna macchina per la semina a Predappio, suo paesenatale. L’anno dopo, il 19 giugno 1927, la copertinadi “Illustrazione Italiana” presentava “Il duce comeagricoltore”. La foto ritraeva Mussolini che trebbiavail grano nella fattoria: con indosso un abito formale eun cappello, aveva piuttosto l’aspetto di un aristocra-tico.Simonettta Falasca Zamponi , Lo spettacolo del fascismo,Soneria M. , Rubbettino 2003, p.232.

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1926Walt Disney inizia a creare

Mickey Mouse.

STATI UNITI - Walt Disney inizia a disegnare il per-sonaggio di Mickey Mouse (Topolino)

DISNEY, Walt. Libro animato di Topolino / favola e illu-strazioni di Walt Disney.- [Milano]: Walt Disney Monda-dori, stampa 1936Collocazione: Biblioteca dei ragazzi–Collezione Libri d’oroDal Fondo Vittoria ALFIERI

Disney è stato anche un rivoluzionario, se con questotermine si intende un innovatore, attento alle novità ealle sperimentazioni. Del mezzo da lui usato ha sfrut-tato tutte le potenzialità, creando il nuovo , con di-spendio di energie e di mezzi. Era un conservatore –rivoluzionario, un uomo dinamico che amava le sfidedel futuro, non certo un reazionario immobile, chiusonella memoria di un passato idealizzato. Parlandospecificamente di Topolino (…) la critica ha distintoquello rivoluzionario degli anni Trenta da quello bor-ghese degli anni Cinquanta. Nel primo caso ha par-lato di un Topolino rooseveltiano . Se ha inteso direche il primo Topolino del cinema e del fumetto ri-specchiava l’America di quegli anni ha affermato ilgiusto. Ma se ha parlato di un’effettiva e consapevoleadesione al mondo ideologico di Roosevelt , le con-vinzioni politiche di Disney stanno lì a smentirla.(…). Il più “rooseveltiano” dei film di Disney è I tre

porcellini che molti associano al New Deal , nel qua-le il lupo è visto come metafora della grande crisi.

Ma qualcuno ha osservato che, al contrario, essoè il primo manifesto conservatore di Disney. In effet-ti è il porcellino saggio, cioè conservatore, ad averela meglio sui porcellini rivoluzionari. Alessandro Barbera, Camerata Mussolini. L’ideologia diWalt Disney, Viterbo, Stampa Alternativa 2001, p.8.

«La musica, fragorosa e puntuale, piena di riman-di al folklore e di sottolineature spiritose liquida il si-lenzio del muto come poco realistico e nello stessotempo rivolge un sorriso ironico allo scomposto cica-leccio del teatro filmato. E’ anche per via della musi-ca che il pubblico si è accorto di Mickey Mouse:Steamboat Willie (1928) è il primo disegno animatosonoro della storia del cinema». Così si esprime Ore-ste De Fornari nella sua monografia su Disney a pro-posito della genesi (e del successo) di Topolino. Ilcorto Steamboat Willie – letteralmente ‘Willie il pi-roscafo – viene infatti considerato il primo toon so-noro per la riuscita “fusione” di musiche, effetti acu-stici e immagini visive. Guido Michelone, Giuseppe Valenzise, Bidipi bobidi bu.La musica nei cartoni animati da Betty Boop a Peter Ga-briel, Roma, Castelvecchi 1998, p.253.

He (Disney) was known almost universally tothose who worked for him – but always behind hisback – as “Uncle Walt”. There is a considerable dif-ference between a father and an uncle; one of theprime characteristics of the latter is that he tends tobe a rather distant and emotionally neutral figure. Aslate as the mid – fifties , associates reported that Dis-ney sat on lawn near his office, chatting amiablywith employees; he was not observed in public in soa relaxed a posture afterward , though strenuous ef-fort were made to maintain the old – down – to- earthimage that had served him so well for so long.(…)Richard Schickel ,The Disney Version, (1968) , inR.W.B.Lewis & Nancy Lewis , American Characters,New Haven – London , Yale University Press 1999, p.376.

Poi ho visto lui, Walt. La sua foto. Quella faccia. Loguardo da anni per cercare di capire, ma è una facciache scappa. Da giovane sembrava un concessionariodella Chrysler, magari anche onesto, ma soprattuttofurbo. Troppo per dartela a bere. In un certo senso lavera faccia di Walt Disney gli venne negli ultimianni: ingrassato, capelli e baffi bianchi, sorriso alle-nato a sorridere, la tranquillità dell’uomo che ce l’hafatta. Uno zio bonario che ti fa i giochi di prestigiocon una moneta da cento lire, e sa di acqua di colo-nia, e in tasca ha sempre un cioccolatino che ti allun-ga quando la mamma non guarda. Uno capace di rac-

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contarti che di là dal mare ha costruito una città cheha il suo nome e dentro c’è il castello di Cenerentolae il Far West e Paperopoli e la bottega di Geppetto ela miniera dei sette nani. Come fai a dire a uno cosìche non ci credi?Alessandro Baricco, Barnum. Cronache del grande show,Milano, Feltrinelli 2000, p.50.

He is Topolino in Italia, Mik- kii Ma-u-su in Ja-pan , Ratòn Mickey in Mexico, Mickey Maus in Ger-many, Mikki Hiiri in Finland and just plain Mickeyin scores of other lands. He is known around theworld – always with approbation and love. (…)When King Bhumiphol of Tailand presented WaltDisney , with a medal, he said quietly for Walt’s earone: “This is an honour from my government , butmore than that it comes from me. I grew up on yourcartoons”.

Franklin Roosevelt demanded Mickey in theWhite House. Dawager Queen Mary of Britain likedto find Mickey on the bill whenever she went to themovies.Robert De Roos , The Magic World of Walt Disney, inDisney Discourse. Producing the Magic Kingdom, editedby Eric Smoodin , New York , Routledge 1994, pp.48, 49.

Arrivò a Villa Torlonia (da Mussolini) anche WaltDisney, intorno al 1936, una visita che tutta la famigliaattendeva con ansia, in particolare Romano (il figliominore del duce). Tutti e tre i figli maschi di Mussolini,naturalmente in epoche diverse, erano stati – Romanolo era ancora – appassionati lettori delle avventure diMickey Mouse , Minnie, Pippo , Clarabella, come delresto milioni di ragazzi di quell’epoca. (…) Walt Di-sney arrivò di pomeriggio e fu ricevuto da Mussolininel suo studio alla presenza di un interprete. Al terminedel colloquio privato, i due uomini scesero al pianterre-no , e qui trovarono schierata tutta la famiglia in sorri-dente attesa d’incontrare quell’ospite così insolito e in-teressante. (…) In quell’atmosfera gaia e divertita Ra-chele invitò l’ospite a prendere posto al tavolo dellasala da pranzo, dove era stata preparata in suo onoreuna splendida torta. (…) Questi gradì la torta, ne volleuna seconda fetta, sotto lo sguardo grato di Rachele, di-vertito dei suoi figli, attonito di Mussolini. (…)

La visita volgeva al termine . Giovanni si avvicinò eannunciò che un fattorino aveva consegnato un grandeinvolucro , con l’indirizzo “Famiglia Mussolini”. Usci-rono tutti dalla villa, e Mussolini ordinò che il gigante-sco pacco, dalla strana forma, fosse aperto. Walt Di-sney sorrideva misteriosamente. Il pacco fu finalmenteaperto , e venne alla luce un enorme Topolino di legno,a dimensione d’uomo, che lasciò tutti di stucco.Maria Scicolone, A tavola con il Duce, Roma, Gremese2004, pp.162 – 165.

Disney in rete.I siti ufficiali della Disney Corporation:www.disney.go.comwww.disney.comwww.disney.it (Disney Italia)www.justdisney.com (tutto su Disney, creato da Brad Al-dridge Productions, Berkeley, CA).

1927Sacco e Vanzetti vengono giustiziati

negli Stati Uniti.

STATI UNITI - Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti,due anarchici italiani emigrati in America, accusati in-giustamente dell’omicidio di un contabile e di unaguardia di un calzaturificio, vengono giustiziati sullasedia elettrica il 23 agosto 1927, malgrado testimonian-ze che li scagionavano.

SACCO, Nicola – VANZETTI Bartolomeo. Le ragionid’una congiura. Al lavoratore ed all’ozioso perché giu-dichino. Boston, Mass., Sacco-Vanzetti Defense Commit-tee, [ s.d.] Collocazione: AR.15.II.4–Dal Fondo Giuseppe e LouiseFUSERO

La mia vita non può assurgere a valore d’esempio,comunque considerata. Anonima nella folla anonima,essa trae luce dal pensiero, dall’ideale che sospinge

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l’umanità verso migliori destini.(…) Sprezzai il motto “ognuno per sé e Dio per tutti”,

mi schierai dalla parte dei deboli, dei poveri, deglioppressi, dei semplici e dei perseguitati, compresiche in nome di Dio, della Legge, della Patria, dellaLibertà, delle più pure astrazioni della mente, dei piùalti ideali umani, si perpetrano e si continueranno aperpetrare i più feroci delitti , fino al giorno che , ac-quistata la luce, non sarà più possibile ai pochi farcommettere il male, in nome del bene, ai più. Com-presi che non impunemente l’uomo calpesta le inedi-te leggi né può violare i vincoli che lo legano all’uni-verso. Compresi che i monti, i mari, i fiumi chiamaticonfini naturali, si sono formati antecedentemente al-l’uomo, per un complesso di processi fisici e chimici,e non per dividere i popoli. Ebbi fede nella fratellan-za, nell’amore universale. Ritenni che chi benefica odanneggia un uomo, benefica o danneggia la specie.Cercai la mia libertà nella libertà di tutti, la mia feli-cità nella felicità di tutti.(…) Ora ? A trentatre anni,sono candidato alla galera,e alla morte .Bartolomeo Vanzetti, Non piangete la mia morte, a cura diCesare Pillon e Vincenzina Vanzetti, Roma, Editori Riuni-ti 1962, pp.21, 32.

Nel caso di Sacco e Vanzetti, sembrò subito chia-ro a molti, in Europa e negli Stati Uniti, che il loroarresto, nel 1920 – inizialmente per possesso di armie materiale sovversivo, poi con l’accusa di dupliceomicidio commesso nel corso di una rapina nel Mas-sachussetts – i tre processi che seguirono e le succes-sive condanne a morte era pensati per dare, attraver-so di loro, un esempio. E questo nonostante la com-pleta mancanza di prove a loro carico, e a dispettodella testimonianza a loro favore di un uomo cheaveva preso parte alla rapina e che disse di non avermai visto i due italiani. La percezione era che Sacco,un calzolaio, e Vanzetti, un pescivendolo, fossero levittime di un’ondata repressiva che stava investendol’America di Woodrow Wilson. In Italia, comitati eorganizzazioni contrari alla sentenza spuntarono comefunghi non appena essa fu annunciata. Quando la sen-tenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al poterein Italia da quasi cinque anni e consolidava brutal-mente la propria dittatura , perseguitando e imprigio-nando chiunque fosse ostile al regime, inclusi natu-ralmente gli anarchici. Eppure, quando Sacco e Van-zetti furono giustiziati , il più grande quotidiano ita-liano il “Corriere della Sera”, non esitò a dedicarealla notizia un titolo a sei colonne. In bella evidenzatra occhielli e sottotitoli campeggiava un’affermazio-ne: “Erano innocenti”. (…) Una faccenda sporcadavvero se gli italiani, solitamente indulgenti verso laterra che ha accolto così tanti loro concittadini biso-gnosi che partivano emigranti, ci si soffermano anco-ra, dopo tutti questi anni. Il dibattito , a quanto sem-

bra, è tuttora in corso. Un segnale, forse , che la feri-ta non è ancora cicatrizzata. Andrea Camilleri, Sacco e Vanzetti una sporca faccenda,in “la Repubblica”, 24 agosto 2007.

Attorney General A.Mitchell Palmer began pro-ceedings against thousands of “suspected” radicalsand the movement he defined as “a distinctly crimin-al and dishonest movement in the desire to obtainpossession of other people’s property by violenceand robbery”. The ‘Reds’ were Socialists, Commun-ists, anarchists, and anyone who opposed the war.Some labor unions supported Palmer’s effort againstimmigrant radicals, many of whom they believedprovided cheap labor that deprived Americans ofjobs.(…)

Anarchism for Sacco and his friends was a corebelief that gave life meaning. Countryless, tradeless,if they were asked who they were, they could answer,“Anarchists” – men who believed in human dignity,freedom, and justice. Anarchism made the Italiansfeel superior to the materialists who scorned them asignorant and docile. It was essential to their mentaland spiritual survival. It encouraged Sacco, both be-fore and during his prisons years, to become self –educated . He devoured all the books he could ob-tain, from Dostoevsky ‘s Crime and Punishment toMax Stirner’s The Ego and his Own.Jerre Mangione and Ben Morreale, La Storia. Five Cen-turies of the Italian American Experience, New York,Harper 1992, pp.296 – 297.

(Il capo della polizia di Bridgewater Michael)Stewart è noto per la sua avversione nei confronti de-gli anarchici e degli italiani, e le indagini si dirigonoimmediatamente verso il loro ambiente. Negli StatiUniti è in atto una rozza campagna contro i sovversi-vi venuti dall’Europa a inquinare i valori dell’Ameri-ca anglosassone e conservatrice, qualsiasi occasioneè buona per incolpare la “feccia anarchica”. Stewartha già ottenuto il foglio di via per due anarchici ita-liani, Ferruccio Coacci e Mike Boda : con l’accusa diaver diffuso “stampa sovversiva”. (…) E cercando diarrestare Mike Boda, i suoi poliziotti fermano altridue anarchici , per giunta italiani, e soprattutto armatidi pistola. Li hanno bloccati su un tram mentre si al-lontanavano dalla zona in cui era stato segnalatoBoda: si chiamano Bartolomeo Vanzetti e NicolaSacco. (…) Molti anarchici sono armati per respinge-re le continue aggressioni , e sfoderare una pistolanel momento critico a volte è l’unico modo per sfug-gire a un feroce pestaggio o a un agguato mortale.Inoltre , gli anarchici sono particolarmente odiati peraver osteggiato l’interventismo statunitense nella Pri-ma guerra mondiale, ed essersi sottratti all’arruola-mento rifugiandosi temporaneamente in Messico: ilritorno dei reduci ha acuito ancor più il disprezzo nei

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loro confronto, e il rancore si è trasformato ben pre-sto in caccia alle streghe dove gli immigrati anarchi-ci sono il bersaglio principale. Proprio tre giorni pri-ma che Sacco e Vanzetti venissero arrestati, un altroanarchico italiano, il tipografo Andrea Salsedo , eravolato dal quattordicesimo piano di un commissaria-to di New York, dove si trovava in stato di fermo peraver stampato manifestini. Gli anarchici accusano lapolizia di averlo assassinato dopo giorni di pestaggi etorture.Pino Cacucci, Ribelli!, Milano, Feltrinelli 2003, pp.112-113.

Sette anni dopo (1927), nonostante la raccolta didieci milioni di firme di cui due milioni raggranella-te dal solo “Le Soir”, nonostante decine di grandimanifestazioni in tutto il mondo, Nicola Sacco e Bar-tolomeo Vanzetti vengono legati alla sedia elettrica. «Brava America maledetta: hai ucciso te stessa», si-bila il grande scrittore John Dos Passos, che un po’d‘Italia la conosceva per aver combattuto sul Piavenella prima guerra mondiale. «Una macchia indelebi-le nella storia americana: tributo alla follia xenofobae ideologica», giudicherà lo storico Arthur Schlesin-ger. Al punto che solo mezzo secolo dopo l’esecuzio-ne, con un gesto che incredibilmente solleverà ancorapolemiche, il governatore del Massachussetts Mi-chael Dukakis, non a caso pure lui immigrato, rico-noscerà che il processo era stato viziato da “pregiu-dizi contro gli stranieri e ostilità contro tendenze po-litiche eterodosse”. Gian Antonio Stella, L’orda. Quando gli albanesi erava-mo noi, Milano, Rizzoli 2002, pp. 128 – 129.

Sacco e Vanzetti in rete.www.saccoandvanzetti.org (Sacco and Vanzetti Com-memoration Society – SVCS, 33 Harrison Avenue, 5thFloor, Boston, MA – 02111).www.law.umkc.edu (Famous American Trials/ The Tri-als of Sacco and Vanzetti 1921, con documenti originali,editor Douglas Linder, University of Missouri).www.torremaggiore.com/saccoevanzetti (La Storia di Sac-co e Vanzetti; Torremaggiore era il paese di origine di No-cola Sacco).

1928Il Gran Consiglio del Fascismo diventa

un organo dello Stato italiano.

ITALIA - Nel 1928 una legge elettorale istituisce il si-stema a lista unica e il Gran Consiglio del fascismoviene “costituzionalizzato”. L’Italia è diventata unadittatura a partito unico il cui potere decisionale è nel-le mani di un solo uomo: Benito Mussolini, Duce delFascismo.

Partito nazionale fascista. Le origini e lo sviluppo del fa-scismo attraverso gli scritti e la parola del Duce e le de-liberazioni del P.N.F. dall'intervento alla marcia suRoma. Roma, Libreria del littorio, 1928. Con la prefazio-ne di Augusto Turati Collocazione: MOS.I.N.VII.34–Dal Fondo Oreste MOSCA

Le Camere furono “fascistizzate “, il Gran Consigliodel fascismo venne proclamato “organo costituziona-le dello Stato” con la facoltà di pronunciarsi anchesui poteri del Re e sulla successione al trono (l’af-fronto alla monarchia era bruciante). Il Duce avevacongegnato una struttura politica , sociale, burocrati-ca che rispondeva ai suoi scopi. Tutto faceva capo alui, il Gran Consiglio, il governo, il partito, le corpo-razioni. Lo Stato era fascista, e il fascismo era stata-lizzato. La Rivoluzione, che continuava a qualificarsitale, era diventata amministrazione.

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Indro Montanelli, Mario Cervi, L’Italia del Novecento,Milano, Fabbri Editori 2001, p.88.

Le aspirazioni totalitarie del fascismo si scontravano,però, con la ricordata presenza della Corona, che nonpoteva essere direttamente messa fuori gioco senzacontraddire la pretesa fascista di rappresentare la to-talità dell’esperienza storica e nazionale italiana cheMussolini ribadiva attraverso la voce “fascismo“nell’Enciclopedia Italiana. La legge del 9 novembre1928, sull’ordinamento e sulle attribuzioni del GranConsiglio del Fascismo costituì l’originale tentativodel regime di rispondere a questo problema . In pri-mo luogo infatti la legge sul Gran Consiglio cercò dirispondere a una domanda non eludibile per un parti-to che si era posto decisamente sulla strada che con-duceva al totalitarismo: quella di definire i rapportifra il partito, di fatto già unico, e lo Stato, dentro alquale Mussolini intendeva risolvere il vecchio plura-lismo liberale. A questo proposito la legge istituì nu-merose e profonde connessioni fra il Gran Consiglio,il partito nazionale fascista e il governo, così da ren-dere ardua la risposta al quesito se, in base a tale leg-ge, lo Stato avesse assunto il controllo del partito ofosse vero l’inverso.Raffaele Romanelli, Marcello De Cecco, Storia dello Statoitaliano dall’Unità a oggi,Roma, Donzelli 1995, pp.44 – 45.

1929Lev Trockij viene espulso

dall’Unione Sovietica.

URSS - Lev Trotsky, che dopo la morte di Lenin si eratrovato ideologicamente in minoranza e definito “nemi-co del popolo”, nel 1929, in seguito agli scontri conStalin, viene espulso dal Partito Comunista Sovietico edall’URSS.TROCKIJ, Lev Davidovic (Lejb Bronštejn). La mia vita.Milano, A. Mondadori, 1930In testa al frontespizio: Leone Trotski Collocazione MOS.I.G.VIII.4–Dal Fondo Oreste MO-SCA

(Il giudizio di Lenin). Il compagno Stalin, divenutosegretario generale, ha concentrato nelle sue mani unimmenso potere e io non sono sicuro che egli sappiaservirsene sempre con sufficiente prudenza. D’altrocanto, il compagno Trotzkij, come ha già dimostratonella sua lotta contro il Comitato Centrale nella que-stione del commissariato del popolo per i trasporti ,si distingue non solo per le sue eminenti capacità.Personalmente egli è il più capace tra i membri del-l’attuale Comitato Centrale, ma ha anche un’eccessi-va sicurezza di sé e una tendenza eccessiva a consi-

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derare il lato puramente amministrativo dei problemi.Lenin, Opere complete, Roma, Editori Riuniti 1969, XXXVI,p.428.

La speranza dell’emigrazione bianca e dei contro-rivoluzionari interni che questa storia trockismo e le-ninismo potesse portare a uno scontro sanguinoso o aun rovesciamento interno del partito, si sono natural-mente rivelate infondate, come io avevo supposto.Si sono mangiati Trockij ed è finita là.Barzelletta:«Lev Davidovic, come va la sua salute ?»«Non lo so, non ho ancora letto i giornali di oggi».(Allusione ai bollettini sulla sua salute, redatti in tonidavvero comici). (…)

Dopo alcuni giorni freddissimi, Mosca affoga nelfango del disgelo. Per la strada i ragazzini vendono illibro di Trockij Le lezioni d’Ottobre, che si smerciabenissimo. Brillantissimo gioco di prestigio: mentresui giornali si stampano risoluzioni in cui Trockijviene colpito dall’anatema , il Gosizdat, le edizionistatali, vendono splendidamente tutta la tiratura. (…)La sera è venuta L.L. e ha detto che esistono ancoraal mondo dei trockisti. Barzelletta: mentre Trockijstava partendo, gli hanno detto : «Chi va lontano, ri-mane sano».Michail Bulgakov, Mosca città del maestro. Con i diariinediti,a cura di Daniela Di Sora e Lucetta Negarville,Roma, Robin Edizioni 2001, pp.48, 49 – 50, 65.

On the night of 10 February 1929, Trotsky , hiswife and elder son were rushed to the harbour ofOdessa and put on board to the “Ilyich” which sailedforthwith. His escort and the harbour authorities wereunder strict order which had to be enforced at once,despite the late hour, the gales, and the frozen seas.(…)

The banishment was effected in the greatestsecrecy. The decision was not made public until wellafter it had carried out. Stalin was still afraid of com-motion. (…)

And so suddenly Trotsky found himself on boarda bleak and almost deserted ship heading throughgales towards an empty horizon. Even after the yearat Alma Ata, this void around him, made even moremalignant by the hovering figures of the two G.P.U.officers, was disconcerting. What could it means ?(…)Te sequel to the disimbarcation (in Constantinople)was almost farcical. From the pier Trotsky and hisfamily was taken straight to the Soviet Consulate inConstantinople. Although he had been branded as apolitical offender and counter – revolutionary , hewas received with the honours due to the leader ofOctober and the creator of the Red Army. (…)

They (Trotky family) found a house non in or near

the city, but on the Prinkipo Islands, out on the seaof Marmara – is took an hour and a half to reach theislands by steamer from Constantinople. (…) As heset foot on the shore at Buyuk Ada, the main villageof Prinkipo, he imaged that he was alighting there asa bird of passage; but this was be his home for morethan four long and eventful years.Isaac Deutscher, The Prophet Outacast. Trotsky 1929 –1940, London, Verso 2003, pp.1- 2, 4, 6-7.

Zagabria ottobre 1989.In Unione Sovietica si può finalmente ricordare il

nome di Lev Trockij senza accusarlo, come si è fattofinora e senza esporsi al pericolo di essere accusatinoi stessi . Per sessant’anni questo non è stato possi-bile. La riabilitazione di Trockij e dell’enorme nume-ro di coloro che sono stati condannati come trockistinon è però ancora all’’ordine del giorno. Abbiamoaspettato a lungo che, almeno parzialmente, venisseconfutato l’atto di accusa staliniano che dichiarò con-trorivoluzionario uno dei capi della rivoluzione d’Ot-tobre, trasformò un fondatore dell’Armata Rossa intraditore, condannò uno dei massimi esponenti delpotere sovietico come “servo dell’imperialismo”. Itentativi di valutare la personalità storica di Trockijsecondo la categoria della storia stessa, si sono con-clusi tragicamente in Unione Sovietica e fuori. Furo-no proclamate trockiste anche persone che con LevDavidovic Bronstein (Trockij) e le sue idee non ave-vano nulla a che fare: comunisti e non comunisti,vecchi bolscevichi ed ex menscevichi , anarchici, so-cialdemocratici e socialisti , tutti coloro che si oppo-nevano all’ideologia e alla prassi dello stalinismo. Fi-nalmente, nell’Unione Sovietica, si è cominciato aparlare diversamente dell’autore della Rivoluzionetradita.Predrag Matvejevic, Fra asilo e esilio. Romanzo epistola-re, Roma, Meltemi 1998, p.167.

Trockij in rete.www.marxist.org/archive/trotskywww.marxist.org (Archivio Internet dei Marxisti in Italia-no, Archivio Trotsky, Opere dal 1902 al 1938, compresivari “Scritti sull’Italia”).www.trotsky.net (“An overall view of the ideas andstruggles” of Trotsky)www.trotskyana.net(Liebitz Trotskyana-Trotsky’s Books).

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1930Matrimonio fra Umberto di Savoia e

Maria José del Belgio.ITALIA - L'8 gennaio 1930, nella cappella Paolina delQuirinale, Umberto di Savoia si sposa con Maria José,principessa del Belgio.

La Sera, 8 gennaio 1930Collocazione: Parete delle scale di accesso al piano pri-mo.– Collezione di quotidiani e periodici incorniciati.

Umberto già da qualche anno, a causa della sua“glacialità” verso il regime, era controllato dall’Ovra, la terribile organizzazione poliziesca messa a puntodal prefetto Arturo Bocchini .(…) Al ritorno del prin-cipe (Umberto) dal Belgio, un agente segreto dal Pie-monte informa Bocchini: “Umberto piange e si di-spera perché non vorrebbe assolutamente sposareMaria Josè. Proprio per evitare un suo colpo di testail matrimonio è stato anticipato…”. (…) Anche daBruxelles arrivano informazioni segrete per il Duce:Maria Josè è considerata eccessivamente “democrati-ca e le sue idee politiche sono inconciliabili con ladottrina fascista. Pertanto se Sua Eccellenza BenitoMussolini spinge Umberto tra le braccia di MariaJosè con la speranza che il matrimonio appiani i dis-sapori politici col rampollo di casa Savoia si sbagliadi grosso”.

Luciano Regolo, La regina incompresa. Tutto il raccontodella vita di Maria Josè di Savoia, Milano, Simonelli2002, p.87.

8 gennaio. Matrimonio del principe e della princi-pessa di Piemonte. La cerimonia avrebbe dovuto ini-ziare alle dieci, ma la principessa ritarda di un’ora; lacolpa è di Madame Anna, dei Ventura: non ha calco-lato il peso dell’enorme strascico di velluto e di er-mellino, che ha semplicemente strappato il corpettodell’abito della principessa; si è dovuto ricucirlo ad-dosso a lei. Tutta la corte, collari e collaresse, noi tut-ti insomma aspettavamo in un salone con Mussolini,il re, la regina, il principe di Piemonte e il re Alberto(di Belgio), mentre una certa impazienza cominciavaad affiorare sul viso degli augusti personaggi, e il reAlberto a un certo punto fece qualche passo verso laporta dicendo : «Vaso a vedere che cosa succede».(…)

Infine la principessa appare, bacia la mano dellaregina Elena che l’abbraccia teneramente: la sposa èbellissima, in velluto bianco, lo strascico d’ ermelli-no e, sul grande velo di merletto, un enorme diademadi diamanti. Ci si muove, il re Alberto dà il braccioalla figlia, il cui strascico è sostenuto da quattro uffi-ciali belgi; al ritorno lei sarà al braccio del principeconsorte e, divenuta principessa di Piemonte e italia-na, a sostenere il suo strascico saranno quattro genti-luomini: Borghese, Brivio, Mirto e Brandolin. (…)La cerimonia è davvero magnifica, degna degli augu-sti personaggi che oggi uniscono il loro destino. (…) 9 gennaio. Questa mattina , grande rivista militarecon la rappresentazione di tutte le armate, compresele truppe africane e dispiegamento di forze aeree.(…)10 gennaio. Il pomeriggio tutti i podestà d’Italia, rag-gruppati in province e preceduti dai gonfaloni muni-cipali, sfilano davanti alla tribuna reale in piazza delQuirinale.

La Toscana si distingue: i gonfaloni di Firenze,Lucca e Pisa, preceduti, portati e seguiti da araldi,valletti e armati in costume medievale, rosso e bian-co, vengono acclamati dalla folla. Anche Siena hadei costumi magnifici, in cui dominano il bianco e ilnero. Tutto il successo è per la Toscana. La sera grangala al Teatro dell’Opera, tutto abbellito di fiori bian-chi; eccellente spettacolo, sala magnifica, colpo d’oc-chio indimenticabile.Hortense de la Gàndara Serristori, Memorie di Hortense,Milano, Baldini Castaldi Dalai 2007, pp.84 – 88.

Era un chiaro pomeriggio di novembre del 1934.Dalle finestre di palazzo Taverna, nella medievalepiazzetta di Monte Giordano, entravano lame di luce.Sedute sul rigido sofà della bruna Stefanina Taverna,principessa di Niscemi, eravamo in attesa di MariaJosè. (…) Maria Josè arrivò, come sempre un po’ af-fannata, riccioluta, sorridente. Ingiuste voci la dice-

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vano sgraziata , goffa, inelegante. Non era una bel-lezza alla moda, ma era bionda e radiosa (…). Il ruo-lo di Maria Josè , nella chiusa e meschina famigliaSavoia, era molto stretto: affettivamente e umana-mente nonsi trovava con il marito, neppure con ilsuocero e tanto meno con la suocera. (…) Era troppoanticonvenzionale e, nello stesso tempo, troppo intel-ligente per vivere , da un lato , la condizione di su-bordinazione , il maschilismo imperante nella logicada caserma di Vittorio Emanuele III ed era stata trop-po innamorata di Umberto per accettare il suo scarsointeressamento , come un’inevitabile conseguenzadei matrimoni combinati.Giuliana Benzoni, La vita ribelle. Memorie di un’aristo-cratica italiana fra belle époque e repubblica,raccolte daViva Tedesco, Bologna, Il Mulino 1985, pp.149 – 150.

1931Franklin Delano Roosevelt governatore

dello Stato di New York.

STATI UNITI – Nel 1931 Franklin Delano Roosevelt ègovernatore dello Stato di New York. Diverrà il 32º presidente degli Stati Uniti d'America:sarà l'unico a servire per più di due mandati, dal 1932al 1945, vincendo le elezioni presidenziali per benquattro volte.

SHERRIL Charles H. Kemal , Roosevelt, Mussolini. Bo-logna, Zanichelli, 1936Collocazione: MOS.I.B.VII.28–Dal Fondo Oreste MOSCA

During FDR’s (Franklin Delano Roosevelt)second term as Governor of New York , the Depres-sion became ever more severe: national incomedropped from $ 85 to $ 37 billion, some 5,000banks closed their doors , unemployment rose to 14million. Indigent men lived in communities of tem-porary shacks , known derisively as Hooverville (dalnome del presidente repubblicano). There was evenone in New York’s Central Park. Breadlines prolifer-ated. Worst of all was the feeling of hopelessnessthat spread across the country. In a speech on 22May 1932, FDR proclaimed : “The country demandsbold, persistent experimentation. … The millionswho are in want will not stand by silently foreverwhile the things to satisfy their needs are within easyreach”.The day after FDR’s reelection as Governor of NewYork State, Will Rogers commented: “The Demo-crats nominated their President yesterday”.Joseph Alsop, FDR 1882–1945, New York, GramercyBooks 1998, pp.82, 84.

New York City was sprinkled with Hooverville .“Along the Hudson , below Riverside Drive” authorRobert Bendiner recalled “I daily passed the tarpaperhuts of a Hooverville, where scores of families livedthe lives of reluctant gypsies , cooking whatever theyhad to cook over open fires within sight of passen-gers on the double – deck… buses. Dozens of suchcolonies had sprung up in the city – along the tworivers, in the empty lots of the Bronx, and on the flatsof Brooklyn , but not nearly enough to accommodatethe swelling army of the jobless and the dispos-sessed”.Russel Freedman, Children of the Great Depression, NewYork, Clarion Books 2005, p. 1934.

A New York 2.000.000 di persone vivevano in ap-partamenti trappola in caso di incendio , già dichia-rati nel 1901 inadatti per esseri umani. Nelle città co-struite dalle compagnie per i propri dipendenti , glioperai vivevano in capanne di legno grezzo, senzaacqua corrente o servizi igienici (…). Per perpetuarela divisione tra bianchi e neri e così tenere bassi i sa-lari di tutti, gli industriali seguirono coerentementeuna politica che metteva gli uni contro gli altri, lavo-ratori bianchi e neri, e si risolveva spesso in tumultirazziali. (…)

(Il presidente) Herbert Hoover , nella sua vittorio-sa campagna per le elezioni presidenziali, dichiarò il27 luglio 1928: “il mondo ha avanti a sé oggi la più

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grande era di espansione commerciale della nostrastoria”(…) La follia dell’oro costruita sulla paura delcomunismo, sulla corruzione, su una politica antisin-dacale e sulla speculazione sfrenata, finì dove si fini-sce quando ci si rifiuta di guardare in faccia la realtà.Sul finire dell’ottobre 1929 la bolla scoppiò .R.O.Boyer, H.M.Morais, Storia del movimento operaionegli Stati Uniti 1861–1955, Bari, De Donato 1974, pp.355, 360.

«il 1929» disse Roosevelt «fu un anno record nel-la distribuzione dei dividendi azionari. Ma in quel-l’anno lo 0,3 per cento della nostra popolazione rice-vette il 78 per cento dei dividendi denunciati qualereddito personale. È, grosso modo, come se per ogni300 persone della nostra popolazione, una ricevesse78 centesimi di ogni dollaro e le altre 299 si spartis-sero i restanti 22 centesimi». Dunque anche neglianni della prosperità erano ben pochi i barbieri o i ca-merieri - o gli operai o le donne di casa – che si era-no arricchiti col mercato azionario. Diceva ancoraRoosevelt: «Nel 1929, 504 supermilionari al verticedella piramide percepirono un reddito netto comples-sivo di 1.185.000.000 dollari. Ripeto, 504 persone.Esse avrebbero potuto comperare col loro redditonetto l’intero raccolto di grano e di cotone del 1930.In altre parole, c’erano 504 persone che fecero piùdenaro quell’anno di tutti i produttori di grano e dicotone di questa grande terra della democrazia. Daquesti due raccolti 1.300.000 produttori di grano e1.032.000 produttori di cotone – cioè in totale2.301.000 agricoltori – guadagnarono meno di questi504 individui». Bruno Cartosio, Gli Stati Uniti contemporanei. 1865 –2002, Firenze, Giunti 2002, pp.79 -80.

Roosevelt in rete.www.fdrlibrary.marist.edu (Franklin Delano RooseveltPresidential Libray and Museum, 4079 Albany Post Road,Hyde Park, NY- 12538 USA).www.newdeal.feri.org (New Deal Network, considerato ilsito più documentato sul New Deal).

1932Stalin al potere in Urss.

URSS - Nel 1932, Josif Vissarionovic Dzugasvili, dettoStalin (da “stahl”, acciaio) già al potere dal 1927,deve affrontare il problema dell’industrializzazionedell’URSS anche a costo di una grave crisi sociale.

STALIN, Iosif Vissarionovoc. Les questions du léninisme.Moscou, Editions en langues étrangères, 1941.Collocazione:UD.IX.19

Gli anni che vanno dal 19290 al 1933 formanoprobabilmente uno dei più portentosi quinquenni del-la storia russa e forse della storia moderna in genera-le . Di fronte all’intensità e alla portata quasi incredi-bili delle trasformazioni sociali, agli effetti sconvol-genti che in quegli anni ebbero sui contemporanei ,c’è da restare sbalorditi. Su trattò di un processoquanto mai peculiare di trasformazione sociale gui-data dallo stato, in cui quest ‘ultimo non si limitò af-fatto a dirigere il corso degli avvenimenti, bensì sisostituì alla società per rimanere alla fin fine l’unicoattore e l’unico controllore in praticamente tutte leprincipali sfere della vita sociale. (…) Nel giro di po-chissimi anni venne distrutta e dispera ai quattro ven-ti una gran parte del vecchio tessuto sociale, tanto diquello zarista quanto di quello sovietico.Moshe Lewin, Storia sociale dello stalinismo, Torno, Ei-naudi 1988, p.224.

Per spezzare ogni resistenza (Stalin) divide la po-polazione delle campagne in contadini poveri (bedn-jaki), semipoveri (serednjaki) e “ricchi” (kulaki) . Inparticolare quest’ultima categoria , che a prezzo dienormi sacrifici ha accumulato qualche possedimen-to, si ribella al sequestro di tutti i suoi beni e preferi-sce abbattere il bestiame piuttosto che cederlo ai kol-choz. Insoddisfatto del ritmo della collettivizzazione,Stalin il 27 dicembre 1929 progetta la “liquidazionedei kulaki come classe”.

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Andrei Platonov visita una mezza dozzina di kol-choz lungo il corso superiore del Don. Il suo raccon-to A vantaggio resta in sospeso per nove mesi negliuffici della GalvLit, ma alla fine viene pubblicatosenza modifiche su “Nuova terra rossa”. (…)

In che cosa si imbatte il protagonista nella terradei kolchoz ? Un’officina per trattori che funziona ameraviglia nella fattoria collettiva “La fattoria indi-pendente”. Agricoltori che lavorano sodo in “Senzakulaki”. Ma anche i fanatici abitanti di una colonia dipopolamento che vogliono installare un “sole elettri-co” per poter lavorare anche di notte. Platonov è co-stretto a tacere sulle fucilazioni e gli arresti che col-piscono centinaia di migliaia di persone, ma riescecomunque a fare percepire l’arbitrarietà con cui ope-rano certi dirigenti. Frank Westerman Ingegneri di anime, Milano, Feltrinelli2006, pp.100 – 101.

Il progetto di collettivizzazione vuole trasformarele campagne in fabbriche di grano. In questo modo ,si pensa, le esportazioni di cereali finanzieranno leimportazioni di macchinari e di tecnologie necessarieallo sviluppo industriale. Nel 1930 e 1931 l’URSSesporta dieci milioni di tonnellate di cereali, contro lenovantamila tonnellate del 1928. Nel 1931 i macchi-nari industriali rappresentano il 90 per cento delleimportazioni. La disperazione si diffonde in queglianni nelle campagne. Nel 1932, 1,5 milioni di conta-dini abbandonano i paesi per le città, nonostante il di-vieto di cambiare residenza. Lo stato strangola i kol-choz . Malgrado la diminuzione della produzione , lequantità di cereali requisite sono sempre più grandi:undici milioni di tonnellate nel 1929, sedici milioninel 1930, fino a ventidue milioni nel 1932, nonostan-te la svalutazione del rublo.

Con la promulgazione della “legge delle spighe” ,nell’agosto 1932, ogni furto nel kolchoz è punito conuna pena compresa fra i dieci anni e la morte, conconfisca dei beni e senza possibilità di amnistia. Conrarissime eccezioni, i giudici condannano senza bat-ter ciglio ladri di cipolle a dieci anni di carcere.

L’indurimento della repressione è particolarmentesensibile nelle zone cerealicole del Sud della Russiae dell’Ucraina dove provoca una carestia artificialevoluta e programmata da Stalin. L’Ucraina si è dimo-strata refrattaria alla collettivizzazione: bisogna do-marla. Questa carestia, che toccherà da venticinque atrenta milioni di persone e farà milioni di vittime ilcui numero preciso non si conoscerà mai con certez-za , è stata negata dal potere sovietico sino agli annidi Gorbacev. Alessandro Mongili ,Stalin e l’impero sovietico, Firenze,Giunti 1995, pp. 87- 88.

In autunno (1932) cominciava la più grande care-

stia della recente storia europea. In sette mesi i mortifurono circa sei – sette milioni, concentrati nelle re-gioni cerealicole e in particolare nelle zone non russe– l’Ucraina, il Kazakhstan e il Caucaso settentrionale– dove più forte era stata la resistenza dei contadini(e quella dei nomadi ala “denomadizzazione”). Per-ciò alcuni studiosi hanno visto nella carestia unamossa del potere imperiale per distruggere le nazio-nalità.

Viste le dimensioni della tragedia, queste interpre-tazioni non possono sorprendere. Sembra però possi-bile sostenere che Stalin e la sua cerchia, le cui poli-tiche avevano causato la carestia, non si aspettasseroné volessero una tragedia di queste proporzioni.. Ma,determinata a fine 1932 la sua ampiezza e dopo averper un attimo temuto gli effetti di una possibileesplosione di rabbia contadina, si decise di usare lacarestia stessa per impartire – sono parole di Stalin –una lezione ai “rispettabili coltivatori di grano” cherifiutavano di accettare il sistema kolchoziano e aigruppi dirigenti nazionali che, dopo aver appoggiatonel 1929 le politiche di Stalin, le mettevano ora indubbio.Andrea Graziosi, Dai Balcani agli Urali. L’Europa orien-tale nella storia contemporanea, Roma, Donzelli 1999,pp.94 – 95.

Uno dei compagni di prigionia era un vecchio lap-pone della penisola di Kola. Già alla cattura era ri-dotto pelle e ossa, perché i villaggi lapponi eranostati sostituiti dai kolchoz e, non per dire male di Sta-lin, ma non si poteva certo dire che fosse un campio-ne nell’allevamento delle renne. Quel povero schele-tro sentiva che la fine si stava avvicinando e, datoche divideva la cuccetta con Jussi, ne fece il suo con-fidente. In un misto di lappone di Kola, finlandese erusso riuscì a borbottare storie di poteri e avvenimen-ti misteriosi . Di ascessi guariti, di follia curata, dimandrie di renne uscite indenni da notti infestate dalupi.Mikael Niemi, Musica rock da Vittula, , Milano, Feltrinelli2006, p.86.

Ma la carestia ucraina toccherà anche Stalin inmodo indiretto. Sua moglie Nadezda Allilueva fre-quenta in quel periodo l’Accademia industriale diMosca. I suoi colleghi di corso pensano di potere, at-traverso di lei, informare il “buon zar” dei disastricausati dai suoi servitori. Hanno partecipato alle re-quisizioni di grano in Ucraina e visto con i propri oc-chi, i bambino morti per fame, i casi di cannibalismo,le violenze. Nadezda Allilueva trasmette tutto a Sta-lin, che reagisce brutalmente e la tratta da ingenua. Isuoi colleghi di corso saranno arrestati e sparirannonel Gulag. Poco tempo dopo, a un ricevimento a casaVoroscilov, Stalin si mostra nuovamente sgarbato

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con sua moglie, che , turbata, lascia il ricevimento. Inquella notte, fra l’8 e il 9 novembre 1932, Nadezda sispara alla testa. Lascia al marito un documento di na-tura essenzialmente politica.Alessandro Mongili, Stalin e l’impero sovietico, Firenze,Giunti 1995, pp. 89 – 90.

(Lettera di Stalin alla madre) «24 marzo 1934. Iragazzi vi mandano i loro saluti. La mia vita persona-le è dura da quando è morta Nadija . Ma non preoc-cupatevi, un uomo forte deve rimanere sempreforte». Solo pochissimi membri della leadership delpartito erano al corrente del suicidio di Nadezda Alli-lueva. L’annuncio ufficiale della sua morte e i nume-rosi necrologi parlano della sua “fine”, della sua“prematura scomparsa”, del suo “precario stato di sa-lute”, dalla “morte che l’ha portata via”. Nessun cer-tificato medico sulla causa della sua morte è mai sta-to pubblicato. Il corpo fu esaminato dal medico capodell’ospedale del Cremino, A.Kanel, assistito da duealtri sanitari, L.Levin e D.Pletnev. Fu fatto il tentati-vo di convincerli a firmare un certificato da cui risul-tava che era morta di appendicite, ma tutti e tre rifiu-tarono. Nel 1932 questo non avrebbe portato neces-sariamente a conseguenze nefaste. Roj A.Medvedev, Zores J.Medvedev, Stalin sconosciuto.Alla luce degli archivi segreti sovietici, Milano, Feltrinelli2006, p.346.

Stalin in rete.www.marxist.org (Joseph Stalin Internet Archive)www.images.library.pitt.edu (staliska Digital Libray ofStaliniana)www.stel.ru (Stalin Biographical Chronicle, legato al sitowww.forum.misk.ru ).www.loc.gov/exhibits/archives (Libray of Congress ofWashington, Revelation from the Russian Archives).www.sovetika.ru (in lingua russa).

1933Adolf Hitler viene nominato cancelliere

della Germania.

GERMANIA - Il 30 gennaio 1933, Adolf Hitler è no-minato cancelliere del Reich e presta giuramento alReichstag, tra gli applausi di migliaia di sostenitoridel nazismo.

Il secolo illustrato: rivista quindicinale della grande at-tualità, 4 febbraio 1933.Collocazione: PER 3083 – Sale PERIODICI

Siamo giunti a parlare della parte avuta da Hin-denburg (presidente della repubblica) nella conqui-sta del potere da parte di Hitler. (…)Quando a mezzogiorno del 30 gennaio 1933 il telefo-no diffuse per ogni angolo della Grande Berlino , giàun’ora dopo l’avvenimento, la notizia che il Presi-dente del Reich aveva allora allora firmato la nomi-na di Hitler a Cancelliere del Reich , non solo dissi ame stesso con la più profonda costernazione che perla Germania era suonata l’ora della massima sventu-ra, ma anche mi dissi con la più grande sicurezza :“Ciò non era necessario!”.Friedrich Meinecke, La catastrofe della Germania, Firen-ze, La Nuova Italia 1948, p.100.

L’operazione ‘Hitler cancelliere’ riesce anche per-ché i progetti di Hitler sono funzionali al padronato :nessuna riconversione industriale, nessuna trasforma-zione dell’apparato, tantomeno di rapporti di proprie-

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tà, ripresa della produzione pesante grazie alle com-messe statali, compressione dei salari, annientamentodi ogni autonomia politica e organizzativa operaia.

L’operazione ha successo perché nel corso dei go-verni presidenziali le regole del gioco subiscono unavariante decisiva: vengono espulsi alcuni partner (ilpartito socialdemocratico e parzialmente sindacati) ,mentre rimangono forti altri contraenti del vecchiosistema, il grande padronato, i tecnici ministeriali, leélites politico – istituzionali che hanno di mira la re-staurazione del vecchio ordine (addirittura della mo-narchia).Gian Enrico Rusconi, Lezioni di Weimar, in Gian EnricoRusconi, Heinrich August Winkler, L’eredità di Weimar,Roma, Donzelli 1999, pp.46 -47.

Il 30 gennaio 1933, alle cinque pomeridiane, cin-que ore dopo aver giurato, Hitler tenne la prima riu-nione del suo gabinetto.(…). Le nuove elezioni furo-no fissate per il 5 marzo. (…)

Ora, per la prima volta, il partito poteva impiegaretutte le vaste risorse del governo per guadagnare votiin queste elezioni (quelle del 1933) che dovevano es-sere le ultime relativamente libere che la Germaniaebbe. Goebbels giubilava. Il 3 febbraio scrisse nelsuo diario : «Ora sarà facile condurre la nostra batta-glia , perché possiamo aiutarci con tutte le risorsedello Stato. La radio e la stampa sono a nostra dispo-sizione. Insceneremo un capolavoro di propaganda.E, naturalmente, questa volta il denaro non manche-rà».

Ai grandi uomini d’affari, contenti del nuovo go-verno che avrebbe messo a posto le organizzazionioperaie e che avrebbe lasciato i dirigenti gestire leaziende come meglio credevano, si chiese di sputarequattrini. Essi aderitono alla richiesta in una riunionetenutasi il 20 febbraio al palazzo del presidente delReichstag, che ora era Goring. (…)

Hitler cominciò un lungo discorso per attivarsi gliindustriali. Disse: «Nell’era della democrazia, nonpossibile mantenere l’impresa privata; essa è conce-pibile solo se il popolo ha una sana idea dell’autoritàe della personalità… Tutti i beni terreni che posse-diamo li dobbiamo alla lotta di una élite… Non di-mentichiamoci che tutti i benefici della civiltà debbo-no essere introdotti, più o meno, con un pugno di fer-ro». Promise agli uomini d’affari eliminare i marxi-sti e di ricostruire la Wermacht (a ciò erano soprat-tutto interessate quelle industrie, come i Krupp, leVereingte Stahlwerke e l’IG Farben, che più avevanoda guadagnare dal riarmo). «Ci troviamo dinanzi alleultime elezioni», concluse Hitler, e assicurò gliascoltatori che «qualunque sarà il loro esito non ciritireremo». Se non avesse vinto coi voti, sarebbe ri-masto al potere «con altri mezzi… usando altrearmi». (…)

Tutto questo fu detto ben chiaro agli industrialiconvenuti, ed essi reagirono con entusiasmo allapromessa che la si sarebbe finita con le infernali ele-zioni, con la democrazia e col disarmo. Krupp, il redelle munizioni che, secondo Thyssen, il 29 gennaioaveva fatto pressioni su Hindenburg affinché non no-minasse Hitler, balzò in piedi e espresse al cancellie-re la “gratitudine” degli uomini d’affari «per averdato loro un quadro così chiaro della situazione».William Shirer, Storia del Terzo Reich, Milano, FratelliFabbri 1978, pp. 214, 216.

Le unità delle SS organizzarono una fiaccolata disette ore attraversi la Porta di Brandeburgo. In tuttala Germania i nazisti scesero per strada scandendo iloro slogan. Persino i non nazisti furono affascinatidallo spettacolo. Melita Maschmann, che nel 1933aveva quindici anni, ricorda l’impressione suscitatain lei da una di queste marce: «La sera del 30 genna-io i miei genitori portarono noi ragazzi in centro. Lìassistemmo alla fiaccolata con cui i nazionalsocialistifesteggiavano la loro vittoria. C’era qualcosa di in-quietante in quella notte, che si è impresso nella miamemoria Il martello dei passi, la sinistra solennitàdelle bandiere rosse e nere, il tremulo chiarore delletorce riflesso sui volti e i canti dalla melodia sferzan-te e sentimentale al tempo stesso Le colonne conti-nuarono a marciare per ore .(…) ‘Vogliamo morireper la nostra bandiera’, cantavano quegli uomini. Sitrattava di vita o di morte . (…) Volevo abbandonarela mia angusta vita infantile e unirmi a qualcosa chefosse grande ed esenziale». Claudia Koonz, Donne del Terzo Reich, Firenze, Giunti1996, pp.125 – 126.

Hitler asked Hindenburg to calla n election. It wasset for 5 March 1933. Hitler did a number of thingsin the hope that the Nazis would gain a majority. Inthe lead up to the election Hitler asked Hindenburgto declare a state of emergency. This was used tostop other parties (particularly the Social Democratsand the Communists) from having meetings and get-ting people to vote for them.

Hitler’s excuse for asking for the state of emer-gency was the burning of Reichstag building on 27February 1933. Immediately Hitler blamed the Com-munists. Certainly a Dutch Communist was caughtbut no one is sure whether it was a Communist plotor even whiter the Nazis burnt it down themselves. Itprovided the Nazis with a good chance to attackCommunism. (…) The Nazis still only had less thanhalf the total seats. To change the Constitution (andcreate a Nazi dictatorship ) they needed two – thirdsof the seats. (…) How did Hitler win a two – thirds

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majority of Reichstag ? Hitler did two things. He saidthere was an emergency and the Communists mustnot take their seats. (…) Then Hitler gained the sup-port of the Centre Party by promising them that hewould look after the Catholic Church in Germany.

Having kept out the Communists and made a dealwith the Centre Party to vote for him, Hitler had two– thirds majority in the Reichstag. He brought in theEnabling Law. This made possible for Hitler to makehis own laws without the Reichstag .Rosemary Rees, Fiona Reynoldson, Weimar and NaziGermany, Oxford, Heinemann 1996, p.41.

Hitler cancelliere in rete.www.lastoriasiamonoi.rai.it (Il programma RAI presentaun Dossier Hitler con video, in partocolare La nascita delladittatura).www.rosenberg-wpr.de/Hindenburg (Generalfeldmarshallund Reichpresident Paul (…) Hindenburg, realizzato daChrista Muhleisen).

1934Inizia la “lunga marcia” in Cina.

CINA – Nel 1934 inizia la Lunga Marcia dei comunistidi Mao Zedong.

Mao, Tse Tung. Scritti scelti : 1926-1936. Roma, Rinasci-ta, 1956In copertina: Mao Tse-DunCollocazione: D.II.176

Il passaggio del Partito comunista nelle regioni in-terne del paese (la Cina) favorì la sostituzione delpersonale di partito degli intellettuali provenienti dal-le classi medie e superiori con i figli dei contadini.L’esercito rosso divenne il principale sbocco per lamobilità rurale. Non sorprende quindi che nel 1949,quando i comunisti stavano per prendere nelle loromani tutta la Cina, circa l’80 per cento dei membridel partito fossero dei contadini. (…)

(L’Esercito rosso) attraversò diverse fasi di svi-luppo. La prima fu caratterizzata dall’ammutinamen-to di parecchi reggimenti scelti dell’Esercito naziona-le rivoluzionario del Kuomintang , che avevano com-piuto la spedizione del Nord, i cosiddetti “reggimentidi ferro”. Forti di 20.000 uomini, si ribellarono aNanchang il 1 agosto 1927. A essi si unirono 3.000cadetti, minatori e altri lavoratori. A quel tempo MaoTse – tung organizzava un esercito contadino nelloHunan con minatori, miliziani – contadini e soldatidel Kuomintang che si erano ammutinati. Contraria-mente a ciò che si verificò in seguito, gli operai era-no largamente rappresentati in questo primo Esercitorosso. Ma questo primo Esercito rosso fu decimatonella prima fase insurrezionale, quando il Partito co-munista sperava ancora, ma invano, di occupare lecittà e non aveva ancora deciso di ritirarsi nelle re-gioni interne. (…)

Con il reclutamento dei contadini, dopo che fuadottata la politica consistente nel far affidamentosulle regioni interne del paese, l’esercito riacquistòforza fino a comprendere nel 1934 ancora una volta200.000 soldati regolari, appoggiati da un ugual nu-mero di guardie rosse e di partigiani. (…) Questetruppe resistettero nelle regioni sovietiche (dei Sovietcinesi) fino al 1934, quando la schiacciante pressionemilitare le obbligò a evacuare e a intraprendere lalunga marcia di 6.000 miglia verso il nord- est. Solo100.000 dei 310.000 partecipanti sopravvissero ai ri-gori della lunga marcia. (…) Durante l’intero ciclo didecimazione e di resurrezione, la partecipazione con-tadina nell’esercito era aumentata sempre più.Eric R.Wolf, Guerre contadine del XX secolo, Milano,Istituto Librario Internazionale 1971, pp.187 – 188.

La strada per arrivare alla rivoluzione attraversouna luna guerriglia fu scoperta piuttosto tardi dai ri-voluzionari del XX secolo. (…) L’unica eccezione fucostituita dalla Cina, dove questa nuova strategiavenne praticata con largo anticipo da alcuni capi co-munisti (non tutti), dopo che il Kuomintang sotto laguida di Chang Kai- shek attaccò nel 1927 i comuni-sti, suoi ex alleati, e dopo lo spettacolare fallimento

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della insurrezione comunista nelle città. Mao Tse-tung, il principale fautore della nuova strategia – chedoveva alla fine portarlo a essere il leader della Cinacomunista – non solo si rese conto che, dopo più diquindici anni di rivoluzione, ampie regioni cinesierano al di fuori dell’effettivo controllo di qualsivo-glia amministrazione centrale, ma, da ammiratore ap-passionato di Sul bordo dell’acqua, il classico ro-manzo del banditismo sociale cinese, capì che le tat-tiche di guerriglia erano parte tradizionale dei con-flitti sociali cinesi . Nessun cinese con un’educazioneclassica avrebbe mancato di rilevare la somiglianzafra le operazioni di guerriglia condotte da Mao in unazona montagnosa nel 1927 e la fortezza in montagnanella quale si rifugiano eroi di Sul bordo dell’acqua,a imitare quali Mao aveva esortato nel 1917 gli stu-denti suoi compagni.Eric J.Hobsbawm, Il secolo breve 1914/1991, Milano,Rizzoli 2000, p.99.

Partirono (autunno 1934) in centomila dalle basirosse del Jangxi, braccati dalle armate vittoriose delGuomindang , con poche armi e vettovaglie. Distintiin più colonne attraversarono fiumi e montagne, perregioni impervie dalla natura ostile, riuscendo a vin-cere la diffidenza delle popolazioni che da ogni eser-cito di passaggio, per antica esperienza , si aspettava-no soltanto saccheggio e rapine. Vinsero e perserobattaglie, effettuarono diversioni, ripiegamenti, avan-zate, ma riuscirono sempre a sfuggire all’accerchia-mento. Nell’ottobre del 1935 quarantamila superstitisi congiungevano nelle montagne dello Shaanxi a ol-tre mille chilometri dalle basi di partenza. Fu un suc-cesso militare ma anche politico. Pur se decimato, ilmovimento comunista si assicurò la sopravvivenza.

Le lotte e le difficoltà avevano sottoposto i quadripolitici e militari a una dura selezione. Essi giunseronello Shaanxi ridotti di numero ma rafforzati nellaqualità. La “marcia”, inoltre, aveva dato ottimi risul-tati dal punto di vista propagandistico. Un alone ro-mantico circondava i suoi capi, considerati invincibi-li anche di fronte a preponderanti forze avversarie. Piero Corradini, Cina. Popoli e società in cinquemila annidi storia, Firenze, Giunti 1996, p.352.

Durante l’autunno 1935, le forze capeggiate daMao, già gravemente ridotte, sostennero una marciainfernale attraverso le paludi e le montagne di Qin-ghai e del Gansu, dove i nemici principali , a parte diduri contrasti con le tribù del posto, erano la famemicidiale (il cibo era introvabile, tanto da comprareche da saccheggiare), l’umidità costante e le gelidetemperature notturne. Molte delle quindicimila per-sone rimaste nella colonna morirono per malnutrizio-ne, per le piaghe che andavano in cancrena o per aver

mangiato bacche o erbe velenose. Soltanto sette o ot-tomila persone della colonna sopravvissero , raggiun-gendo il villaggio di Wayabao, nello Shaanxi, imme-diatamente a sud della Grande Muraglia nell’ottobre1935, dove si unirono alle forze di altre truppe comu-niste che avevano già costruito una base nella zona .Un anno estenuante e straordinario era trascorso daquando avevano lasciato il Jangxi e ora Mao dovevatracciare nella sua mente la nuova rotta dei comunistie della sua carriera. Jonathan D. Spence, Mao Zedong, Roma, Fazi 2004, p.81.

I contadini (dello Shaanxi) vivevano in piccoli vil-laggi circondati da mura crollanti in cui si apriva unasola porta. Dentro queste mura c’erano due file disquallide tane di fango, dal tetto di paglia lungo unastrada che nella stagione delle piogge diventava unpantano. Nella stagione asciutta le cunette sui duebordi della strada erano piene di rifiuti marcescenti.Le buie topaie avevano una sola porta e nessuna fine-stra. Dentro, i letti consistevano o in pagliericci di fo-glie di riso secche , stesi sul nudo pavimento di terra,oppure di assi tese su dei trespoli e coperte di pagliadi riso che faceva da materasso e da coltre. La gentedormiva on indosso il solo vestito che possedeva:pantaloni larghi e giacchette con molte generazionidi rattoppi. Qualche volta c’era un rozzo tavoloni le-gno con delle panche e là la famiglia faceva i suoipasti. La stufa fatta di fango era alimentata da unaapertura sotto una tinozza di ferro e quello era l’uni-co strumento per cucinare: il combustibile era erba eramoscelli secchi raccolti dai bambini lungo i pendiidelle colline.R.Howard, Mao. Tse tung, Milano, Dall’Oglio 1978, pp.92– 93.

La lunga marcia e Mao Zedong in rete.www.etext.org (Mao Zedong Works, sito del Maoist In-ternational Movement).www.linearossage.it (Citazioni dale opera del presidenteMaoTse- tung – Il Libro delle Guardie Rosse).www.maoist.wikia.com (centinaia di voci su Mao e ilmaoismo).www.marxist.org (Mao Zedong Internet Archive). www.china.org.cn (The Long March- 70 Years On- sitoufficiale della Grande Marcia).

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1935Inizia la guerra d’Etiopia.

ITALIA – Nel 1935 inizia la guerra italo-etiopica (1935-36).

Il Piccolo, 2 marzo1936 Collocazione: Parete delle scale di accesso al piano pri-mo. – Collezione di quotidiani e periodici incorniciati

Per attaccare (l’Etiopia) Mussolini aspettava sol-tanto un pretesto, uno qualsiasi. Il banale incidenteconfinario di Ual Ual, che in altri momenti sarebbestato pacificamente composto, glielo forniva. Il 24dicembre 1934 il duce autorizzava Emilio De Bonoa raggiungere l’Eritrea. Il 27 ordinava la mobilitazio-ne in Somalia e quella parziale in Eritrea. Il 3 otto-bre 1935, a preparazione militare conclusa, “morenipponico” dava inizio all’invasione dell’Etiopia.Anche se il proposito di vendicare Adua era certa-mente uno dei motivi dominanti nella decisione diMussolini di trascinare il paese in guerra e, in segui-to, di affrontare le pesanti sanzioni ordinate dalla So-cietà delle Nazioni, c’erano tuttavia altre ragioni chelo avevano spinto a compiere un passo così grave.Anzitutto la promessa, più volte da lui formulata, didare agli italiani “un posto al sole”. Ossia, finalmenteun paese ricco e fertile, non più una collezione di de-serti. Terra feconda per chi non ne aveva. Spazio illi-

mitato per chi sentiva l’Italia stretta e provinciale.Una nuova frontiera per chi amava l’avventura. .(…)

All’inizio del conflitto, il 3 ottobre 1935, è Mus-solini che indica gli obiettivi da conquistare, che fis-sa le date, in armonia con il suo spregiudicato giocodiplomatico. Quasi ogni giorno invia telegrammioperativi a De Bono (in seguito a Badoglio) sul fron-te Nord e a Graziani sul fronte Sud, con ordini preci-si, che non si discutono. E quando i suoi generali sitrovano in difficoltà , perché il nemico è più forte eaudace del previsto, e sul fronte Nord ha sfondato lelinee ed è penetrato in Etiopia,concede il permesso diusare le armi proibite dalla Convenzione di Ginevra,i micidiali gas tossici. Di questi aggressivi chimici haautorizzato lo sbarco segreto in Eritrea di 270 ton-nellate per l’impiego ravvicinato, di 1000 tonnellatedi bombe per l’aeronautica (caricate a iprite) , di60.000 granate per l’artiglieria (caricate ad arsine) .Di quest’arma assoluta si è riservato l’appalto. L’or-dine di utilizzarla, come la revoca, parte soltanto dalui, supremo ed esclusivo dispensatore di morte. (…)

Per la prima volta, nella campagna d’Etiopia, ve-nivano gettate sulle masse abissine in movimento lemicidiali bombe C.500T, che contenevano 212 chilo-grammi di iprite e che, grazie a un meccanismo atempo, si aprivano a 250 metri dal suolo creando unapioggia mortale. Ne venivano lanciate 74 tra il 22 eil 27 dicembre (1935), 117 fra il 2 e il 7 gennaio1936. Sugli effetti di questa arma proibita disponia-mo della testimonianza dello stesso ras Immiru HaileSellase: «Fu uno spettacolo terrificante. Io stessosfuggii per un caso alla morte. Era la mattina del 23dicembre e avevo da poco attraversato il Tacazzè,quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani . Il fat-to, tuttavia, non ci allarmò troppo, perché ormai cieravamo abituati ai bombardamenti. Quel mattino,però, non lanciarono bombe, ma strani fusti che sirompevano appena toccavano il suolo o l’acqua delfiume, e proiettavano intorno un liquido incolore.Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stavaaccadendo, alcune centinaia fra i miei uomini eranorimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per ildolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i lorovolti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dis-setati al fiume, si contorcevano a terra in un’agoniache durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadiniche avevano portato le mandrie al fiume, e gente deivillaggi vicini. I miei sottocapi, intanto, mi avevanocircondato e mi chiedevano consiglio, ma io ero stor-dito, non sapevo che cosa rispondere, non sapevocome combattere questa pioggia che bruciava e ucci-deva”.Angelo Del Boca, Italiani, brava gente ? Un mito duro amorire, Vicenza, Neri Pozza 2005, pp.187, 193, 195.

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L’uso dei gas tossici, proibiti da una convenzione in-ternazionale formata anche dall’Italia, fa oltre due-centocinquantamila vittime. Come testimoniò allaSocietà delle Nazioni l’imperatore etiopico Hailè Se-lassié «a partire dal gennaio 1936, i soldati, le donne,i bambini, il bestiame, i fiumi, i laghi, i pascoli, furo-no di continuo irrorati con questa pioggia mortale. Ilcomando italiano ha fatto passare e ripassare gli aereiper uccidere sistematicamente gli esseri viventi, peravvelenare con sicurezza le acque e i pascoli. Questoè stato il suo principale metodo di guerra».Marcello Flores, Tutta la violenza di un secolo, Milano,Feltrinelli 2005, p.142.

Ecco, in sintesi schematica, i punti nodali lungo iquali si svolge l’azione pubblicistica del “Corriere”(della Sera) per la determinazione della figura delnemico:1) quello etiopico non è uno stato moderno ma un an-tiquato regime feudale. Capi sanguinari e schiavistispadroneggiano sulle misere popolazioni , grazie allaforza dei loro armati. Come regime e come popolo ,gli etiopici mancano di unità e dignità nazionale,sono al di qua della soglia della civiltà moderna esono privi di storia; 2) i soldati abissini sono, peristinto nativo e per obbligo militare, feroci massacra-tori (ne discende che l’esercito italiano può e deveusare senza risparmio tutto l’apparato tecnico supe-riore di cui è in possesso); Ras Tafari – o, semplice-mente, Tafari, il signor Tafari, il Leone di Giuda, ra-ramente il negus, si può dire mai l’imperatore d’Etio-pia – vien fatto segno a una feroce campagna di deni-grazione e vilipendio ad personam. Quello che sivuole è squalificarlo di fronte all’opinione pubblicaitaliana, distruggendolo come antagonista: lo si ese-cri come un delinquente o lo si umili al rango di unamacchietta; 3) la precaria organizzazione feudale chefa capo a ras Tafari è tenuta insieme esclusivamenteal filo della soggezione militare e della coartazione.Mario Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali fun-zionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi1979, pp.97 – 98.

Non mancarono coriferi delle “imprese” tra il cleromilitante. Tra questi, padre Reginaldo Giuliani , fascistaconvinto e “soldato di Cristo” come lo definì D’Annun-zio. Giuliani esaltò l’epopea dei nuovi crociati in terrad’Africa secondo i dettami della Provvidenza che li vo-leva combattenti e civilizzatori. Ovunque arrivasse, ilpadre domenicano provvedeva a costruire febbrilmentecappelle, chiesette, campanili a testimonianza di unaconquista , ad un tempo religiosa e militare. Fra Gine-pro non fu da meno. Nella consacrazione dell’altare –santuario ad Adua non si trattenne dall’esaltare l’Italia«cristiana, sabauda e fascista (…) illuminatrice dei po-poli , liberatrice degli schiavi».

Alessandro Aruffo, Storia del colonialismo italiano,Roma, Datanews 20007, p.102.

I morti che lasciammo a passo Uarieusono pilastri del Romano ImperoGronda di sangue il gagliardetto neroche contro l’Amba il barbaro inchiodò.Sui monti che lasciammo a passo Uarieula Croce di Giuliani sfolgorò. (…)Anonimo, Il canto dei legionari fascisti.

C’è un aspetto della guerra d’Africa che la censu-ra del Duce farà bene a escludere dai suoi giornali, edè precisamente la parte che hanno in essa gli uccelli.(…)

Quel che succede a un uomo una volta morto nonha molta importanza, ma i rapaci africani sono prontia colpire un ferito, che giaccia all’aperto, con la stes-sa rapidità con cui attaccano un cadavere. Li ho vistilasciare di una zebra soltanto le ossa e un cerchionero e unto tutto coperto di penne, neanche venti mi-nuti dopo l’uccisione dell’animale, con la sola condi-zione che la pelle del ventre fosse stata incisa quan-to bastava per offrirgli una via d’accesso. La nottepoi le iene spaccano e divorano le ossa a un puntotale che il mattino dopo non si vede più dov’era lazebra, ma solo una macchia nera dall’aspetto oleosoin mezzo alla pianura. Un cadavere umano, essendopiù piccolo e non avendo una pelle spessa che lo pro-tegga, viene liquidato assai più in fretta. In africa nonc’è bisogno di seppellire i morti per ragioni igieni-che. Ma ciò che il Duce deve nascondere ai suoi sol-dati non è il fatto che un soldato morto possa finirenello stomaco di un avvoltoio, bensì il modo in cuiavvoltoi e marabù trattano i feriti.Ernest Hemingway, Dal nostro inviato Ernest Heming-way, Milano, Mondadori 1977, pp. 237 – 238 (l’articolorisale al 1936).

Mio padre tornò dalla guerra d’Etiopia asciuttocome un’alice. I dolori alle ossa erano scomparsi pervia del sole africano. Raccontò di serpenti lunghi unadecina di metri che si appostavano sugli alberi percadere sui soldati e divorarli con tutti i panni. Nondormiva mai, con gli sciacalli che si avvicinavano dinotte alle cucine dei militari per rubare la carne, ilpane, tutto quello che trovavano. Le iene erano le piùaffamate. Gli indigeni con cui aveva scambiato qual-che parola gli vendevano le anculalli, le uova che be-vevo dopo averle bucate con un ago. Vivevano in ca-panne costruite su spiazzi incendiati per paura deiserpenti. «Dicevano che se morivano in guerra rina-scevano più lontano e così morivano come mosceri-ni, incuranti delle mitragliatrici che li falciavano sen-za pietà». Mio padre non aveva ammazzato nessuno .La sua truppa era addetta alle retrovie. Quegli indige-

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ni vendevano le figlie di nove anni ai soldati in cam-bio di pochi viveri. Renzo Paris, La rosa tatuata, Roma, Fazi 2005, p.47.

La guerra d’Etiopia in rete.www.rootsinternational.net (“The Day the Angel Cried.The Ethiopian Holocaust 1935 – 1941 – Addis Abeba Uni-versity).www.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier con video “La Guer-ra d’Etiopia”).www.criminidiguerra.it (“Un pezzo nascosto di storia ita-liana del Novecento, a cura dell’Istituto per la Storia del-l’Età Contemporanea – SEC, Sesto San Giovanni, MI).www.bollicolonie.altervista.org (catalogo on line di tutti ifrancobolli italiani emessi nell’Africa Orientale Italiana,1938/41).

1936Inizia la guerra civile spagnola.

SPAGNA -Nel luglio 1936 scoppia la guerra civile spa-gnola, combattuta fra i ribelli franchisti, noti come Na-cionales ed i Republicanos, ovvero le truppe governati-ve ed i sostenitori della Repubblica Spagnola che ter-minerà con la sconfitta di questi ultimi, dando inizioalla dittatura di Francisco Franco.

19 JULIO 1936 ESPAÑA. Barcelona, Editado por la officinade propaganda C.N.T. F.A.I, [s.d.]Collocazione:ARM.3.VII.29–Dal Fondo Bernardino FIENGA

La Spagna ebbe la sfortuna di cominciare unaguerra civile mentre ovunque in Europa le tensionitra destra e sinistra erano giunte al punto di ebolli-zione. Tutte le parti vedevano nella Spagna un’unitàdi misura del bene e del male, un terreno di prova pernuove tattiche e sistemi di armi , una prova generaleper ciò che si andava preparando. (…)

Cionostante la guerra civile spagnola rimase in-nanzitutto una questione spagnola. Fu una guerra in-solitamente crudele e apocalittica, una lotta che tuttele parti vissero come una battaglia contro il male. Glianarchici combattevano con un fervore quasi religio-so per la loro Nuova Gerusalemme, i comunisti, so-cialisti e liberali difendevano con tutte le forze leconquiste dell’Illuminismo, i ribelli di FranciscoFranco si sentivano crociati che difendevano i sacrivalori della vecchia Spagna. Mai “il nemico” era sta-to così demonizzato come nella guerra civile spagno-la.

Il colpo di Stato del generale Franco, che diedeinizio alla lotta il 17 luglio 1936, ha un lungo antefat-to. Durante i caotici anni Venti i militari avevano giàpreso il potere una volta, nel settembre del 1923, no-minando il generale Miguel Primo de Rivera ditatore,accanto al re. “Il mio Mussolini”, così lo presentòuna volta re Alfonso XIII a un ospite straniero, rive-lando la natura dei nuovi rapporti.Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo,Roma, Fazi 2006, pp. 303 – 304.

Il suo quartier generale (di Francisco Franco) dicomandante militare delle Canarie era a Santa Cruzdi Tenerife. Il Dragon Rapide, proveniente da Croy-don, era atterrato a Gran Canaria, forse perchè l’isolaera più vicina all’Africa, forse a causa delle nuvolebasse che gravavano spesso su Tenerife, o forse per-ché si temeva che Franco fosse sotto sorveglianza.(…) L’alzamiento era fissato per il 17 luglio e perquella data Franco doveva assolutamente partire peril Marocco. E per il Marocco partì. (…) I piani insur-rezionali prevedevano azioni concertate in tutta laSpagna nella mattina del 18 . Ma in Marocco i cospi-ratori, arguendo da alcuni segnali di essere sul puntodi venire arrestati, anticiparono la rivolta alle primeore del 17. Le guarnigioni si sollevarono a Melilla,Tétouan e Ceuta. All’alba del 18 luglio Franco e ilgenerale Luis Orgaz occuparono Las Palmas. Laguerra civile era cominciata.

I cospiratori non avevano previsto che l’insurre-zione sarebbe sfociata in una lunga guerra civile.Ipotizzarono un rapido alziamento, seguito da un di-rettorio militare simile a quello del 1923: avevanosottovalutato la tenacia della resistenza operaia. Lavittoria, invece, fu certa soltanto in alcune zone.(…)

Franco si era assicurato l’aiuto di Roma riuscendocon i suoi sforzi personali a convincere i rappresen-

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tanti italiani a Tangeri che la sua impresa era destina-ta al successo. Una procedura analoga adottò con dueuomini d’affari tedeschi, Adolf Langenheim e Johan-nes Bernhardt, che dirigevano in Marocco la AuslandOrganisation, l’organizzazione nazista per l’estero. Il22 luglio Franco poté inviare tramite Bernhardt unarichiesta di aiuto anche a Hitler. (…) La reazione ini-ziale di Hitler fu tiepida, osservando che gli insortinon avevano finanziamenti, commentò: «Non è cosìche si comincia una guerra». Comunque, al terminedi una lunghissima concione sulla minaccia bolscevi-ca, decise di lanciare quella che chiamò Unterneh-men Feuerzauber (operazione Incantesimo del Fuo-co). (…) Mussolini e Hitler trasformarono così uncolpo di stato che stentava a decollare in una guerracivile lunga e sanguinosa. Trenta velivoli da combat-timento Junkers JU-52 andarono a raggiungere ibombardieri italiani, consentendo a Franco di effet-tuare il primo ponte aereo della storia. (…)

Del tutto particolare fu il modo in cui Siviglia ,capoluogo andaluso e la più rivoluzionaria delle cittàmeridionali si arrese all’eccentrico Queipo de Llano.(…) IL generale, che era comandante dei Carabine-ros – le guardie di frontiera – arrivò a Siviglia il 17luglio ufficialmente con il compito di ispezionare ledogane portuali. (…) Diede l’ordine all’artiglieria dicircondare il governatorato civile e, compiendo rapi-de incursioni, con automobili, annientò la resistenzaoperaia nel misero quartiere della Triana. Infine con-cesse ai mercenari marocchini la libertà di darsi alsaccheggio e massacrare uomini, donne e bambini.(…) Intanto l’Armata d’Africa di Franco puntava anord, verso Madrid comandata sul campo dal genera-le Yague, un veterano delle guerre del Marocco el’ufficiale filofalangista più prestigioso. Uscita da Si-viglia l’armata d’Africa conquistò villaggio su villag-gio , lasciandosi alle spalle una spaventosa scia disangue.(…) .Paul Preston, La guerra civile spagnola, Milano, EdizioniIl Giornale s.d., pp. 79- 80, 81, 83- 84, 94-95.

Sotto il tempio di Debod (a Madrid), un tempioegiziano che Nasser regalò alla Spagna per ringra-ziarla per l’aiuto ricevuto nello spostamento dei mo-numenti di Abu Simbel quando venne costruita ladiga di Assuan,c’è un memoriale dedicato ai cadutidi Cuartel de Montana, una caserma occupata dagliinsorti che venne cannoneggiata dalle truppe lealiste(repubblicane) nelle prime ore dell’alzamento. I di-fensori della Montana attesero invano aiuti da altrecaserme della città che erano anch’esse insorte, in-nalzarono bandiera bianca , ma quando i repubblicanisi avvicinarono per prendere possesso del distacca-mento partirono raffiche di mitragliatrice. Un’enor-me folla si era nel frattempo radunata nella vicinaplaza de Espana, al cui centro la lancia del monu-

mento a don Chisciotte sembrava indicare la caser-ma insorta. Intervennero anche gli aerei a bombar-darla. Alla fine, quando cedettero, gli insorti vennerofatti a pezzi. Il monumento che li commemora èqualcosa di orrendo, in sintonia con il ricordo chevorrebbe perpetuare: quello di uno dei tanti massacridei quali fu costellata la guerra civile.Roberto Baravalle, !Olè! Spagna d’ oggi fra modernità etradizione, Milano, Touring Club Italiano 2005, p.141.

Dieci aerei tedeschi Junkers JU–52, adatti per iltrasporto truppe, dei venti promessi dal dittatore teu-tonico Adolf Hitler, agli emissari del generale “golpi-sta” Francisco Franco Bahamonde furono inviati pervia marittima, ai ribelli ispanici. I velivoli militari te-deschi furono imbarcati su una nave da trasporto teu-tonica ad Amburgo e giunsero a Cadice l’undici ago-sto 1936: il fatto politico più significativo ,di questoinvio di aerei da combattimento , era rappresentatodall’atteggiamento di Hitler , che considerava unicointerlocutore valido, per trattare la questione inerenteal problema degli aiuti militari ai ribelli spagnoli,solo il generale Francisco Franco Bahamonde. Pietro Barbieri, Le cause della guerra civile spagnola,Roma, Robin Edizioni 2006, p.165.

(A Maiorca) Da un giorno all’altro , o quasi, inognuno di questi villaggi s’è insediato un comitato diepurazione, un tribunale segreto, alla buona, general-mente così composto: il proprietario borghese – o ilsuo amministratore–, il sacrestano, la perpetua, alcu-ni contadini benpensanti con le loro mogli, e infine igiovani frettolosamente reclutati dalla nuova falange(franchista). (…) L’epurazione a Maiorca si è svoltain tre fasi alquanto diverse, più un periodo preparato-rio. Durante questo, si notarono senza dubbio alcuneesecuzioni sommarie fatte a domicilio, ma che man-tenevano o sembravano mantenere il carattere di ven-dette personali. (…) Fino a dicembre , i fossati intor-no ai cimiteri dell’isola ebbero la loro funebre messedi malpensanti. Operai, contadini, ma anche borghe-si, farmacisti, notai. Un giorno che chiedevo a unamico medico la lastra fattami qualche tempo primada un suo collega radiologo – il solo radiologo diPalma – mi rispose sorridendo: «Chissà se lo si potràtrovare… Il povero X è stato portato a passeggio l’al-tro giorno». Questi fatti sono conosciuti da tutti.Georges Bernanos, I grandi cimiteri sotto la luna, Milano,Mondadori 1953.

(Dalla parte repubblicana) Venivano chiamatealle armi reclute tra i ventuno e i ventisei anni che,con le loro ragazze e le loro famiglie, stavano festeg-giando l’arruolamento e la vittoria sulle truppe rego-lari italiane (fasciste), sul fronte di Guadalajara. Mar-

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ciavano in fila per quattro, tenendosi sotto braccio, ecantavano, urlavano, o suonavano chitarre e fisarmo-niche. I battelli da diporto erano stipati di coppie conle mani nelle mani per l’ultima gita insieme, ma ariva, dove lunghe file si formavano davanti alle affol-late stazioni di reclutamento , regnava una scatenataatmosfera di festa.

Lungo tutta la costa sino a Valencia passammo trafolle festose che ricordavano più i vecchi tempi delleferias e delle fiestas che non la guerra. Soltanto i feri-ti in convalescenza, che zoppicavano qua e là nelleloro pesanti e scadenti uniformi di miliziani, la face-vano sembrare vera.Ernest Hemingway. Dal nostro inviato Ernest Heming-way, Milano, Mondadori 1977, p.266 (l’articolo è del1937).

Caro Harry (Sylvester )la guerra spagnola è unabrutta guerra, Harry, e nessuno ha ragione. A me im-portano solo gli esseri umani e alleviarne le sofferen-ze. Ed è per questo che torno alle ambulanze e agliospedali. I ribelli hanno un sacco di buone ambulan-ze italiane. Ma non è molto cattolico e cristiano ucci-dere i feriti negli ospedali di Toledo con bombe amano o bombardare i quartieri operai di Madrid sen-za alcuno scopo militare se non quello di uccideredei poveracci, la cui politica è soltanto la politica del-la disperazione. So che hanno fucilato preti ivescovi . Ma perché la chiesa si è trovata coinvolta inpolitica dalla parte degli oppressori invece che daquella del popolo – invece che tenersi fuori del tutto-dalla politica ? Non sono affari miei e non li facciomiei ma le mie simpatie sono sempre per i lavoratorisfruttati contro i proprietari che non si fanno mai ve-dere anche se poi è con loro che bevo e sparo ai pic-cioni. Preferirei sparare a loro che ai piccioni.Ernest Hemingway, Lettere 1917 – 1961, introduzione diCarlos Baker, Milano, Mondadori 1993, p.307 (lettera aH.Sylvester , Key West ,5 febbraio 1937).

La guerra di Spagna in rete.In primo luogo i numerosi riferimenti spagnoli fra cui:www.guerracivil.org (La Guerra Civil Espanola)www.infogerracivil.comwww.guerracivilforumup.eswww.guerracivil1936.galeon.com (Historia de Espana. Laguerra civil).www.memoriedispagna.org (Associazione Italiana Com-battenti Volontari Antifascisti di Spagna).www.lacucaracha.info (The Spanish Civil War, ampiacronologia).www.magazinesandwon.com (Museo Nacional Centro deArte Reina Sofia – Rare Books and Manuscripts LibraryUniversity of Illinois: Revistas y Guerra 1936 – 1939. LaGuerra Civil Espanola y la Cultura).

1937Assassinio di Carlo e Nello Rosselli.

ITALIA - Il 9 giugno 1937, in una cittadina della Nor-mandia, i fratelli Carlo e Nello Rosselli vengono assas-sinati su ordine dei servizi segreti fascisti.

Salvemini, Gaetano. Carlo e Nello Rosselli. [Paris], Edi-zionidi Giustizia e Libertà, [1937]Collocazione: FUS.ARM.15.II.19 – Dal Fondo Giuseppe eLouise FUSERO

Carlo Rosselli è un rivoluzionario: è inutile dargliuna vaste di professore universitario, di riformista, dimoderato.(…) Egli appartiene alla tradizine rivolu-zionaria occidentale, quella repubblicana liberalso-cialista e libertaria, nel solco di Proudhon, d’un Her-zen, di un Bakounin (quest’ultimo studiato insieme aMazzini dal fratello Nello che poi approfondì anchela figura di Carlo Pisacane). Nello fu il costante col-laboratore intellettuale del fratello, col quale condivi-se non a caso il martirio il 9 giugno 1937 a Bagnolesde l’Orne in Normandia.Nicola Terracciano, I Rosselli idee eretiche per abitare il futuro,in I Rosselli: eresia creativa , redità originale, a cura di SimoneVisciola e Giuseppe Limone, Napoli, Guida 2005, p.154.

Il SIM (Servizio Informazioni Militare) era riu-scito bene – purtroppo – in una sola impresa: l’assas-

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sinio dei fratelli Rosselli. E su questo punto esisteuna testimonianza al di sopra di ogni sospetto: èquella del colonnello dei reali carabinieri Santo Ema-nuele, che di quell’omicidio fu l’organizzatore (gliesecutori materiali furono alcuni “cagoulards” fran-cesi) insieme con il colonnello dell’esercito PaoloAngioi e il maggiore dei carabinieri Roberto Navale.(…) La “Cagoule” era un’organizzazione terroristicafrancese, nata come reazione alla vittoria elettoraledel Fronte Popolare nel 1936. Si chiamava così (e“cagoulards” si chiamavano i suoi adepti) perché iterroristi usavano mascherarsi , per le loro impresecriminali, con la cagoule, ossia una cappa simile aquella dei Fratelli della Misericordia di Firenze oquella dei membri del Ku- Klux- Klan americano.Era diretta da un comitato segreto , controllato da uncerto ingegner Eugène Deloncle e la sua attività con-sisteva soprattutto nell’organizzare assassinii, comel’attentato all’Etoile del 12 settembre 1937 e l’ucci-sione di Carlo e Nello Rosselli. Nell’ottobre del 1937il ministro dell’Interno del gabinetto Chautemps,Marx Dormoy, riuscì a scoprire i componenti delcommando.(…) Riuscirono a cavarsela per lacaduta del ministero Chautemps e per le pressioniprovenienti da alto loco (un “cagoulard”, il maggioreLoustalot – Lacaud, era addirittura aiutante di campodel maresciallo Petain , e molti alti ufficiali eranofiancheggiatori del movimento). Franco Fucci, Le polizie di Mussolini. La repressione del-l’antifascismo nel ventennio, Milano, Mursia 1985,pp.290, 300 – 301.

Sono terroristi neri, cagoulards (vuol dire incap-pucciati), manovalanza d’un Comité secret d’actionrévolutionnaire (Csar) che, trovando il movimento fi-lofascista Action française troppo dottrinario e ineffi-ciente, se n’era staccato. Li istruisce e coordina An-dré Tenaille, autista d’una delle menti del Csar, l’in-gegner Métenier, della buona società parigina. Fil-liol, detto “le tueur” (il killer), lavora con un’altradelle menti del gruppo terroristico, l’ingegner Delon-cle, ammiraglio in ritiro. Questi due capi, Meténier eDeloncle, sono in contatto con i servizi segreti italia-ni. Due gli ufficiali di collegamento: il maggiore Ro-berto Navale, del controspionaggio di Torino, e il co-lonnello Santo Emanuele , caposezione del Sim (Ser-vizio Informazioni militari). Ci sono stati , fra i capiterroristi e gli ufficiali del Sim, due incontri per trat-tare scambi di prestazioni: a Nizza e alla frontieraitalo – francese. Il colonnello Emanuele dipende daFilippo Anfuso, capo di gabinetto del ministro degliEsteri Galeazzo Ciano. Anche Anfuso – ammetterà –ha incontrato i capi cagoulards due volte: a Torino ea Sanremo, e ne ha informato – sappiamo sempre dalui – Ciano e Mussolini. In cambio dei servizi chiestidal governo fascista, il Csar vuole cento moschetti e,

all’occorrenza, la possibilità di rifugio e copertura inItalia.Giuseppe Fiori, Il cavaliere dei Rossomori. Vita di EmilioLussu, Torino, Einaudi 1985, p.309.

Bagnoles – de – l’Orne è una ville d’eaux boscosad’abeti e platani e cedri del Libano in Bassa Norman-dia, a 234 chilometri da Parigi, alberghi e villini distruttura neo – palladiana e gotica, verande fiorite diortensie e dalie, le colonne doriche, e aiuole e laghet-ti con cigni. Ci si viene per riposare e per i suoi fan-ghi benefici alle affezioni del sistema venoso e spe-cialmente alle flebiti . Una strada che sprofonda nellaforesta dopo aver bordeggiato il Castello di Couter-nes porta al sobborgo di Tessé –la- Madeleine. Qui,in mezzo a un parco, l’hotel “Cordier” e le annesseterme. Vi soggiornano dalla sera di giovedì 17 mag-gio 1937 , in camere separate ma comunicanti, la 60e la 61, Marion e Carlo Rosselli, venuti da Parigi conla Ford nera 20-08.RE 3 vecchia ancheper le migliaiadi chilometri sulle polverose strde di Catalogna ed’Aragona (durante la guerra di Spagna). (…) Nelloarriva col treno delle 12,37, accolto festosamente incapo al binario. Formano un bel gruppo, Marion inmousseline bianca, i due fratelli in giacca e gilet; unBorsalino copre la pronunciata stempiatura di Carlo.(…)

Lo sdentato e livido Tenaille ha deciso la compo-sizione del commando di sicari. Sono sette, tutti sottoi trent’anni. (…) Dovranno trovarsi al paracarro delchilometro 5 sulla Alençon – Domfront la mattina dimercoledi 9 giugno. A mezzogiorno la banda è tuttalì. Filliol “le tueur” distribuisce i pugnali, baionettefrancesi tagliate a metà. Vanno a mangiare a Tessé –la – Madeleine divisi in due gruppi …. (…)

Marion prenderà il treno alle 16, pensa di tratte-nersi a Parigi due giorni.(…) Con la Ford nera, Car-lo e Nello accompagnano Marion alla stazione ferro-viaria, breve sosta nell’ufficio telegrafico, mandano aJohn (Rosselli) due telegrammi: «25 baci, 47 auguri.Zio Nello, Babbo». «Arriverai ce soir pour diner.Mamma». Il treno si muove, lei saluta dal finestrinoabbassato, è l’ultima volta, non si vedranno più. Par-tita Marion , prendono la strada per Alençon, elegan-te città a 58 chilometri... Dietro la Ford viaggiano,distanziate, due auto: sulla Peugeot 402, guidata daPuyreux, Fillol “le tueur”, Jakubiez e Baillet; sullacabriolet rossa di Fauran, Bouvyer e la donna di Fil-lol, Alice…(…)

Sono le 19,30. All’altezza del Castello di Couter-nes, la Peugeot 402 accellera, sorpassa la Ford deiRosselli, le si mette davanti tagliandole la strada,s’arresta, obbliga anche Carlo a frenare. Vengono giùFilliol “le tueur”, Jakubiez e l’erculeo Baillet. Chinisulle ruote, hanno l’aria di cercare dov’è il guasto, si-mulano un coup de panne. Anche Nello scende, valoro incontro premuroso. Di scatto Filliol si drizza e

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spara, Nello gli si avvinghia, lotta disperatamente , èpugnalato.(…) Carlo vorrebbe intervenire, scende ,ma non avanza che d’un passo. Filliol è unabelva,spara, allunga il pugnale, gli recide la carotide.Un’orrenda mattanza, il sangue zampilla impiastric-ciando anche gli assalitori. A terra, spenti e sfigurati,Carlo a trentotto anni e Nello a trentasette, tredicianni esatti dopo l’assassinio di Matteotti e sei settima-ne dopo la morte di Gramsci per “lento assassinio”…Trascinano i due corpi dietro una siepe nel bosco.Filliol li fruga, trova in una tasca di Carlo dei docu-menti, li prende. (…)

Alle 14 di domenica 13 giugno, in località a ses-santa chilometri da Torino, un capo della “Cagoule”,Aristide Corre, consegna al maggiore Navale il pac-chetto di carte tolto dalla giacca di Carlo .Giuseppe Fiori, Casa Rosselli. Vita di Carlo e Nello, Ame-lia, Marion e Maria, Torino, Einaudi 1999, pp.202 – 206.

I Rosselli in rete.www.archiviorosselli.it (Fondazione Rosselli)www.rosselli.org (Circolo Fratelli Rosselli, via degli Al-fani 101/r, Firenze, editore dei !Quaderni del Circolo Ros-selli”).www.sotziu.it (Circolo Giustizia e Libertà di Sassari).

1938 In Italia sono emanate le leggi razziali.

ITALIA – Vengono emanate le leggi razziali: il 14 lu-glio 1938 viene pubblicato il "Manifesto del razzismoitaliano" poi trasformato in decreto il 15 novembredello stesso anno, a firma di Vittorio Emanuele III diSavoia, Re d'Italia e imperatore d'Etiopia "per graziadi Dio e per volontà della nazione".

1938: i bambini e le leggi razziali in Italia, a cura di Bru-no Maida e Comunità ebraica di Torino. Firenze, Giunti-na, 1999. - Atti del Convegno tenuto a Torino nel 1998. -In testa al front.: Consiglio regionale del Piemonte.Collocazione: 945.004 924 BAM

Le leggi antiebraiche vennero promulgate dal Re-gno d’Italia a partire dal settembre 1938. (…) Con decreti legge del novembre 1938 e febbraio1939 fu vietato agli ebrei di cittadinanza italiana (o,dal 1940, apolidi)non discriminati di possedere , an-che in parte, aziende commerciali o industriali di-chiarate “interessanti la difesa della Nazione” o conalmeno 100 dipendenti; il divieto non concerneva lesocietà azionarie. Le aziende non conservabili (e nondonate a eventuali discendenti classificati “ariani”)dovevano essere liquidate o cedute a nuovi proprieta-ri “ariani” e il corrispettivo – stabilito dallo Stato –doveva essere versato agli ex proprietari in titoli no-

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minativi di consolidato. (…) Con decreti legge del novembre 1938 e febbraio

1939 fu vietato agli ebrei di cittadinanza italiana(o,dal 1940, apolidi) non discriminati di possederebeni immobili in misura superiore a 5000 lire di esti-mo per i terreni e a 20.000 lire di imponibile per ifabbricati urbani. I beni eccedenti (e non donati aeventuali discendenti classificati “ariani”) dovevanoessere trasferiti al nuovo Ente di gestione e liquida-zione immobiliare (Egeli). (…)

Con decreti legge del settembre e novembre 1938venne disposta l’esclusione (ossia, l’espulsione deigià presenti e il divieto di nuovi accessi ) degli stu-denti di “razza ebraica” dalle scuole elementari e me-die frequentate sa alunni “ariani” (gli esclusi poteva-no frequentare le scuole di enti cattolici , se battezza-ti, o – laddove fossero state istituite – le speciali “se-zioni” di scuola elementare statale o le scuole delleComunità israelitiche; queste concessioni furono de-terminate dalla volontà governativa di non corrodereil principio della scolarità obbligatoria). Inoltre ven-ne disposta l’esclusione degli studenti dalle universi-tà (…); l’esclusione degli insegnanti dalle scuolepubbliche e private di ogni ordine e grado (a eccezio-ne delle eventuali scuole ebraiche o “speciali”); l’e-sclusione di tutto il personale impiegato presso lescuole, gli uffici ministeriali, ecc., il divieto di ado-zione nelle scuole medie dei libri di testo redatti ,commentati o riveduti da autori di “razza ebraica”anche se in collaborazione con autori “ariani”. (…)

Le opere di autori ebrei vennero escluse dai pro-grammi dei teatri lirici e di prosa, venero eliminatenel 1938 dalle trasmissioni musicali della radio e nel1940 dai cataloghi delle case discografiche, venneroprogressivamente escluse dalle sale cinematografi-che, fino a essere bandite dall’intero settore dellospettacolo, dapprima con una disposizione del giu-gno 1940 e poi con una legge del maggio 1942. Trala fine del 1938 e gli inizi del 1939 le case editricicessarono pressoché del tutto di pubblicare nuoveopere di autori ebrei.(…) Nel maggio 1942 fu ordina-to alle biblioteche di escludere totalmente dalla lettu-ra in sede e dal prestito le opere di autori ebrei , auto-rizzando però nel settembre seguente i direttori aoperare alcune eccezioni a favore di alcuni studiosi.Michele Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli ita-liani di oggi, Torino, Einaudi 2002, pp.34 -39.

Le leggi erano assai severe. (…) Anche se avessi-mo trovato l’anima gemella in una giovane nonebrea, non l’ avremmo potuta sposare. In casa nonpotevamo più tenere la claudicante domestica a oreperché era un’ “ariana” cioè non ebrea. Non poteva-mo possedere un apparecchio radio. Se avessimoavuto il telefono il nostro nome non sarebbe stato in-cluso nell’elenco degli abbonati , se un nostro caro

fosse deceduto non potevamo mettere un necrologiosui giornali per farne partecipi conoscenti o amici.Non potevamo frequentare (ammesso che ne avessi-mo i mezzi e la voglia) luoghi di villeggiatura marinio montani. Le proprietà immobiliari sarebbero stateamministrate non più dai legittimi titolari ma da unaSocietà governativa (la Egeli) . Sulla nostra carta d’i-dentità sarebbe stato apposto un timbro con la scrittaben visibile “di razza ariana” . E poiché le dittaturefiniscono spesso per cadere nel ridicolo non avrem-mo potuto nemmeno possedere un allevamento dipiccioni viaggiatori. Poveri piccioni amici di sventu-ra “giudaizzati” per legge. Fausto Coen, Una vita tante vite, Soneria M., Rubbettino2004, p.65.

È sbagliato credere, come accade spesso, che il re-gime fascista abbia emanato le leggi razziali per unpedissequo e passivo scimmiottamento della Germa-nia, con la quale stava sempre più stringendo un’al-leanza che l’anno successivo avrebbe portato al Pattod’Acciaio. Certo, l’esempio tedesco servì da stimo-lo, ma Mussolini aveva – fin dalla nascita del regime– obiettivi precisi, ben prima che anche Hitler con-quistasse il potere. Il principale di questi obiettivi erala trasformazione del popolo italiano: ovvero farneun popolo guerriero(…). Le leggi razziali più che aperseguitare l’esigua minoranza ebraica, miravanodunque a formare negli italiani uno spirito da razzaguerriera, dominante e inflessibile. Va da sé che que-sta motivazione non allevia, casomai rende più gravel’applicazione delle leggi razziali (…). Né consolache la Chiesa di allora, a differenza di quella di oggi,continuasse a ritenere l’intero popolo ebraico “deici-da”. A partire dal 1938 molte testate razziste ripropo-sero integralmente vecchi e recenti articoli antisemitidella “Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti, e Fari-nacci poté dire, in un discorso: «Se, come cattolici,siamo divenuti antisemiti, lo dobbiamo agli insegna-menti che ci furono dati dalla Chiesa durante ventisecoli (…). Noi non possiamo nel giro di poche setti-mane rinunciare a quella coscienza antisemita che laChiesa ci ha formato lungo i millenni».Giordano Bruno Guerri, Una campagna ideologica performare il “nuovo” italiano, in “Il Giornale”, 14 luglio2008.

Ogni pretesto però era buono per fare dell’antise-mitismo. Basti dire che, quando alla fine di dicembredel 1939 a Roma scoppiò un grave incendio nel pa-lazzo della Cancelleria, “Il Tevere” arrivò a parlaredi possibili responsabilità “dell’elemento ebraico chepullulava nei pressi della Cancelleria” e che “La pro-vincia di Vercelli” pubblicò una “sdegnata” letteradi protesta di un abbonato nella quale si stigmatizza-va che un altro giornale avesse accolto “quattro giu-

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dei” tra i sottoscrittori per il “Natale dei trovatelli”…Alcuni giornali , e consolo trai più famigerati antise-miti, ospitarono poi sistematicamente lettere e corsi-vetti con i quali si indicavano alle autorità casi “scan-dalosi” (gli ebrei consumano il “nostro” fiore di fari-na per fare il pane azzimo, gli ebrei “se la spassano “nei migliori luoghi di villeggiatura, gli ebrei eserci-tano ancora la vendita ambulante, ecc.) e si applaudi-va ad ogni più abietto eccesso e violenza contro diessi. (…) E non parliamo poi delle campagne imba-stite di volta in volta, per esempio quando si sparse lavoce che alcune famiglie ebree avevano assunto per-sonale di servizio in Svizzera e tra i cinesi che vive-vano nella capitale lombarda: la cosa sembrò un at-tentato alla sovranità dello Stato.Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fasci-smo, Milano, Mondadori 1977, II, p.456 – 457.

Le leggi razziali in retewww.anpi.it/leggi_razzialiwww.leggirazziali.org (Associazione Ex Alunni UmbertoI di Roma. “Ora mai più. Le leggi razziali spiegate ai bam-bini” da un’idea di Daniel Della Seta).www.morasha.it/tesi (la tesi di Annamaria Colombo “Laspoliazione dei beni degli ebrei in Italia in seguito alle leg-gi razziali del 1938”)www.romacer.org (Comunità Ebraica di Roma, Lungote-vere Cenci- Tempio, 00186 Roma).

1939Inizia la seconda guerra mondiale. La

Polonia viene invasa.

1° Settembre 1939. Le truppe tedesche invadono la Po-lonia dando inizio di fatto alla seconda Guerra Mon-diale.

Rauschning, Hermann. Hitler m'a dit: confidences duFührer sur son plan de conquête du monde. Paris, Coo-peration, 1939Trad. di Albert LehmanCollocazione MOS.I.C.VII.47/OD.IV.10.22–Dal Fondo Ore-ste MOSCA

Per dominare i popoli che abbiamo sottomessi neiterritori ad est del Reich, dovremo di conseguenza ri-spondere nella misura del possibile ai desideri di li-bertà individuale che essi potranno manifestare, pri-varli dunque di qualsiasi organizzazione di Stato emantenerli così a un livello culturale il più basso pos-sibile . Bisogna partire dal concetto che questi popolinon hanno altro dovere che di servirci sul piano eco-nomico. Il nostro sforzo deve dunque consistere neltrarre dai territori che essi occupano tutto quanto sene può trarre.(Adolf Hitler)Enzo Collotti, La Germania nazista,Torino, Einaudi 1962,p.250.

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Nel 1919 la città (Danzica) fu dichiarata da unacommissione internazionale, “città libera” sotto laprotezione di un Alto Commissario della Società del-le Nazioni, inserita però nel territorio doganale po-lacco. Si trattava di uno dei tanti pateracchi che, in-vece di evitare una nuova guerra, posero le premesseper la successiva, ancora più violenta. Nelle campa-gne intorno alla città si scatenò una delle più ferociguerre civili di questo secolo, diabolico laboratoriodelle organizzazioni politiche più nefande e prefigu-razione degli orrori che furono compiuti venti annidopo. (…) Albero Bevilacqua – che su quel periodoha girato un interessante film – ha definito Danzica«una città dolcissima ma con spine molto pungenti, espesso velenose». Quel veleno non tardò a manife-starsi. Invece di convivere, polacchi e tedeschi ap-profondirono il solco che li divideva ingigantendo iltronco dell’odio. Danzica divenne così il “pretesto”per lo scatenamento della seconda guerra mondiale.Pawel Huelle, Cognome e nome Weiser Dawidek, Milano,Feltrinelli 1990, pp.197–198.

Il 28 aprile 1939, Hitler in un lungo discorso alReichstag fece conoscere la sua proposta al governopolacco per Danzica. Dichiarò che la proposta era «lapiù grande concessione possibile per la pace in Euro-pa» ma che era stata respinta dal governo polacco.(…) E conclude dicendo che le voci secondo cui laGermania si preparava ad attaccare la Polonia eranopure e semplici invenzioni della stampa internazio-nale. (…) Nessuno tra le decine di milioni di personeche ascoltavano Hitler poteva in quel momento sape-re che egli aveva ordinato per iscritto all’esercito,soltanto tre settimane prima, di prepararsi a distrug-gere la Polonia al più tardi il 1 settembre. E l’inva-sione della Polonia ebbe inizio proprio il 1 settembre1939. Notiamo che Hitler, in queste dichiarazioni , èricorso a due tipi di menzogna, non solo infatti eglinega ogni proposito di aggressione, ma accusa lastampa internazionale di dar libero corso a invenzio-ni e fantasticherie.(…) I due procedimenti erano sot-to l’ala della menzogna giacché Hitler aveva decisodi attaccare la Polonia con ogni pretesto, e qualunquefosse stata la reazione dei dirigenti polacchi , non sa-rebbe servita a modificare i disegni del Fuhrer. Guy Durandin, Il grande imbroglio. Le menzogne dellapropaganda e della pubblicità, Bari, Dedalo 1984, pp.99 –100.

La via per l’attacco alla Polonia è fornito da Hitlerla serra precedente (il 31 agosto) , ma un commandodi SS guidato dal giovane Sturmbannfuhrer , AlfredHelmut Naujocks è già pronto alla provocazione de-stinata a presentare la Germania come vittima di unproditorio attacco di frontiera da parte dell’esercitopolacco. La falsa incursione contro la stazione radio

tedesca di Gleiwitz è condotta da sei SS travestite dasoldati polacchi . Naujocks ha fatto indossare le stes-se uniformi anche a una dozzina di prigionieri – que-sti davvero polacchi – da lasciar morti sul luogo del-l’aggressione. La stazione di Gleiwitz viene occupatacome da copione e dalle sue antenne parte un minac-cioso messaggio preconfezionato in polacco. Poi leSS si ritirano dopo aver abbandonato sul posto i ca-daveri dei prigionieri crivellati di colpi. Falsi soldati,falso attacco, falsa trasmissione radio: veri soltanto imorti. Poche ore dopo, giunge l’annuncio di Hitler:«Questa notte soldati regolari polacchi hanno apertoil fuoco sul nostro territorio. Dalle 5.45 spariamo perdifenderci. Aogni bomba risponderemo con una bom-ba».Sergio De Santis, Lo spionaggio nella seconda guerramondiale, Firenze, Giunti 2001, p.11.

I tedeschi avevano imparato dagli errori diploma-tici passati. Il pericolo di una nuova guerra su duefronti era stato abilmente scongiurato, almeno per ilmomento. Nell’agosto del 1939 a Mosca , del tuttoinaspettatamente, Ribbentrop (ministro degli Esteridel Reich) e il suo collega sovietico Vjaceslav Molo-tov avevano stipulato un accordo. Ribbentrop , tra icollaboratori di Stalin si era «Sentito a suo agio cometra i membri di uno stesso partito». In segno di buo-na volontà i sovietici rimandarono in Germania qual-che centinaio di profughi ebrei e antifascisti. A metànovembre Molotov e i membri della sua delegazionefurono salutati all’Anhalter Banhof di Berlino con itoni solenni dell’Internazionale. In circostanze nor-mali, l’esecuzione della melodia sarebbe stata suffi-ciente per un viaggio di sola andata a Dachau, oratutti i nazisti d’alto grado stavano rigidamente sul-l’attenti. Dalle finestre di una fabbrica vicina gli ope-rai sbandieravano fazzoletti rossi.

Appena negli anni Novanta, dopo il crollo dell’U-nione Sovietica, vennero a galla i protocolli segretidel patto Molotov–Ribbentrop (il presidente MichailGorbacev ne avrebbe negato l’esistenza ancora nel1990). Vi si delimitavano accuratamente le sfere diinfluenza delle due grandi potenze nella futura Euro-pa. L’Unione Sovietica avrebbe avuto libertà d’azio-ne in parte della Polonia, in Finlandia, Estonia, Let-tonia, Lituania e Bessarabia. La Germania avevacampo libero nel resto della Polonia e in Danimarca,Norvegia, Paesi Bassi , Belgio, Lussemburgo , Fran-cia, Jugoslavia e Grecia. Di nome era un patto di nonaggressione. Di fatto era un vero e proprio patto of-fensivo, un accurato copione per le future guerre diconquista.

Nel giro di poche settimane, dopo l’invasione te-desca del 1 settembre 1939, la Polonia fu conquista-ta , divisa, saccheggiata e terrorizzata dai tedeschi esovietici. La parte occidentale fu annessa al grande

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impero tedesco, la zona con Varsavia, Cracovia, Ra-dom e Lublino fu trasformata in terra delle SS. Que-sto cosiddetto Governatorato Generale doveva diven-tare l’area dove a lungo andare sarebbero stati depor-tati tutti i polacchi , gli ebrei e gli altri “elementi nontedeschi”, e sarebbe stato governato dalle SS.Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo,Roma, Fazi 2006, pp.346 - 347

Ero giunto a Varsavia in macchina, da Radom, at-traverso l’immensa pianura polacca sepolta sotto laneve. Entrando in Varsavia, gli squallidi sobborghi di-roccati dai bombardamenti, la Marszalkowska, fian-cheggiata da scheletri di palazzi anneriti dagli incen-di, le rovine della stazione ferroviaria, le nere casesventrate, cui la luce livida della sera dava più crudoaspetto, mi furon quasi un grato rifugio, e un riposo ,per l’occhio accecato dal bagliore della neve.

Le strade erano deserte, rari passanti fuggivanolungo i muri, pattuglie di soldati tedeschi sostavanoagli incroci, col fucile mitragliatore imbracciato. LaPiazza di Saxe mi apparve immensa, spettrale.Curzio Malaparte, Kaputt, Firenze, Vallecchi 1960, p.82.

La seconda guerra mondiale in rete.Moltissimi i riferimenti fra cui:www.vlib.iue.it/history (Directory sulla seconda guerramondiale)www.ww2db.com (World War II Database).www.ww6.dw-world.de (curato da Deutsche Welle)www.wwii.ca (At War Canada)www.warmuseum.ca (Canadian War Museum, 1 VimyPlace, Ottawa, Ontario).www.ww2awards.com (Foundation for Information Onthe Second World War).www.archives.gov (il fondamentale National Archivi diWashington).www.ww2incolor.com (imponente collezione di “rare co-lor photographs from World War II).www.bbc.co.uk (WW2 People War, progetto della BBCsulle memorie personali della guerra).

1940 L’Italia entra in guerra.

ITALIA–10 giugno 1940 : Benito Mussolini annunciadal balcone di palazzo Venezia, a Roma, l'entrata inguerra dell'Italia al fianco della Germania di Hitler,che ha già conquistato mezza Europa. La folla è intripudio. "Vincere!" ordina il Duce. Mussolini pensa diottenere un rapido trionfo. Invece sarà una tragicadisfatta.

Il corriere della sera, 11 giugno 1940Collocazione: ZB 18–Dall’EMEROTECA

Il 10 giugno 1940, lunedì, festa di Santa Marghe-rita vedova, è un giorno di sole spavaldo, l’omaggiodi un’estate precoce che regala 31 gradi a Milano e26 a Roma. Molti milanesi hanno l’aria soddisfatta: ilcampionato di calcio si è appena concluso con la vit-toria dell’Ambrosiana Inter , dopo un infuocato duel-lo con il Bologna. Sui giornali si fa largo la foto diun ragazzo segaligno: è il ventenne Fausto Coppi ,uno sconosciuto che ha vinto all’Arena il Giro d’Ita-lia dopo aver portato fino a pochi giorni prima la ger-la del fornaio e che fra qualche settimana partirà sol-dato.

Il 10 giugno di Mussolini comincia davanti allospecchio, in camera da letto. Come si veste uno chesta per dichiarare guerra a mezza Europa e far scen-dere in campo “otto milioni di baionette” ? Un cennodi fastidio, la pancia è poco fascista; poi sceglie l’u-

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niforme di caporale della milizia, con una saharianavistosa e pesante. Il discorso è a punto. Lo ha matu-rato per giorni nella sobria intimità dello studio doveda anni vive in compagnia della propria solitudine edi un’impudica erba voglio.Marco Innocenti, 10 giugno 1940: l’Italia in guerra, in “IlSole 24 Ore”, 6 giugno 2008.

La propaganda fascista ottiene brillanti risultati,validamente aiutata dai successi che l’esercito tede-sco riporta sul fronte occidentale, spezzando e travol-gendo con la guerra lampo, il Blitzkrieg, le difese ri-tenute finora insormontabili, e dietro le quali si senti-vano al sicuro le truppe franco – inglesi.

L’opinione pubblica italiana si schiera, in grandemaggioranza, dalla parte dei vincitori. L’occasionesembra opportuna a molti per ottenere il soddisfaci-mento di tutte le rivendicazioni territoriali che rap-presentano l’obiettivo della politica estera fascista. Sicrede che tutti i problemi della società italiana po-tranno essere risolti nel Nuovo Ordine europeo che siva delineando a opera della Germania e in cui l’Italiadeve inserirsi, per non perdere un’occasione storica.La guerra è vista con favore non solo dalla borghesiache sente con maggior partecipazione le sue motiva-zioni ideologiche, ma anche dagli strati più poveridella popolazione, che sperano di risolvere i propriproblemi personali, se l’Italia diventerà più ricca epotente (solo pochi borghesi e nuclei della classeoperaia rimangono ostili). Nessuno sa cosa potrà es-sere una guerra moderna, se non che durerà moltopoco.(…)Aurelio Lepre, L’occhio del duce. Gli italiani e la censuradi guerra 1940 – 1943, Milano, Mondadori 1997, pp.15 –16.

Il 10 giugno del 1940 era una giornata nuvolosa.Erano tempi che non avevamo voglia di niente. An-dammo alla spiaggia lo stesso, al mattino, io e unmio amico che richiamava Jerry Ostero. Risapevache al pomeriggio avrebbe parlato Mussolini , manon era chiaro se si sarebbe entrati in guerra o no. Aibagni quasi tutti gli ombrelloni erano chiusi; passeg-giammo sulla riva scambiandoci supposizioni e opi-nioni, con frasi lasciate a mezzo, e lunghe pause disilenzio. (…)

Quando ci ritrovammo verso le sei,eravamo entra-ti in guerra. Era sempre nuvolo; il mare era grigio.Verso la stazione passava una fila di soldati. Qualcu-no dalla balaustra della passeggiata li applaudì. Nes-suno dei soldati levò il capo. (…)

L’indomani ci fu il primo allarme aereo, in matti-nata. Passò un apparecchio francese e tutti l,lo stava-no a guardare a naso all’aria. La notte, di nuovo al-larme; e una bomba cadde ed esplose vicino al casi-nò. Ci fu del parapiglia attorno ai tavoli da gioco,

donne che svenivano. Tutto era scuro perché la cen-trale elettrica aveva tolto la corrente all’intera città(Sanremo), e solo restavano accese sopra i tavoli ver-di le luci dell’impianto interno, sotto i pesanti paralu-mi che ondeggiavano per lo spostamento d’aria.(…) Ma la bomba aveva d’un tratto svegliato ed eccitatola città e, come capita, l’eccitazione si rivolse su unbersaglio fantastico: le spie. Non si sentiva racconta-re che di finestre viste illuminarsi e spegnersi a inter-valli regolari durante l’allarme, o addirittura di perso-ne misteriose che accendevano fuochi in riva al mare,e perfino d’ombre umane che in aperta campagna fa-cevano segnali agli aeroplani agitando una lampadinatascabile verso il cielo stellato.(…)

La città era traversata di continuo da macchinemilitari che andavano al fronte, e macchine borghesiche sfollavano con le masserizie legate sopra il tetto.A casa trovai i miei genitori turbati dagli ordini dievacuazione immediata per i paesi delle vallate preal-pine.Italo Calvino, L’entrata in guerra, Milano, Mondadori1994, pp.5 – 8.

Era un pomeriggio caldo. Nemmeno una nuvolaspuntava da dietro le colline. Attorno al Nettuno (aBologna)c’erano operai in tuta blu, portavano i car-telli coi nomi delle fabbriche – Ducati, Parenti – egiovani fascisti in divisa, massaie rurali, ragazze incamicetta bianca e gonna nera, militi, popolani. An-che la piazza era gremita. Aspettavano, ma non face-vano molto rumore, come le alte volte. Non mi pareci fossero bande o fanfare; soltanto quando il Ducedisse: «Popolo italiano, corri alle armi!», scoppiolunghissimo un grido. L’atmosfera, annotò Barbetti,che era di servizio, nel suo blocco di stenografia, siera fatta “vibrante”.

Solo una donnina con la sporta, chi sa chi era, sta-va vicino alla lapide del Bollettino Diaz, si mise apiangere e andò via.

Cominciò l’oscuramento. Il babbo incollò sui vetristrisce di carta, mise attorno alle lampadine delle sca-le delle veline azzurre. Enzo Biagi, Disonora il padre, Milano, Rizzoli 1979,pp.100 – 101.

Giulia aveva diciannove anni, tutti passati in cam-pagna, nel grossetano. Figlia di mezzadri, aveva stu-diato soltanto fino alla quarta elementare. (…) Intan-to la sera andava in giro a portare il latte. “Seppi del-l’entrata in guerra dell’Italia alla stazione, da un fer-roviere che ne parlava con alcuni operai”. (…) Giuliafinì la consegna del latte , fece un giro lungo prima ditornare a casa perché le piaceva star fuori il più pos-sibile. Al padre che mangiava silenzioso annunciòche era scoppiata la guerra e che tutti dicevano, allastazione, che sarebbe finita presto. “La guerra durerà

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degli anni”, rispose il vecchio mezzadro, “e sarà latomba di Mussolini”. Miriam Mafai, Pane nero, Donne e vita quotidiana nellaseconda guerra mondiale, Milano, Mondadori 1989,pp.10, 14.La dichiarazione di guerra in rete.www.anpi.it/dichiarazione_guerra

1941Inizia la campagna di Russia.

Il 22 giugno 1941 scatta l’operazione Barbarossa, l’at-tacco tedesco contro l’URSS. I vertici militari sottova-lutano l’Armata Rossa e sono convinti di sconfiggerlain cinque settimane, prima del rigido inverno russo.Mussolini si associa alla campagna di Russia e inviaun corpo di spedizione.

CARERJ, Ezio. L'epopea di Tscherkowo : campagna diRussia. Roma, Stab. graf. nazionale, 1957 Collocazione GER.TA.III.55–Dal Fondo Virginia GER-VASINI

Nel giugno 1941 Hitler lanciava l’operazione Bar-barossa per assicurare al nuovo impero tedesco i ter-ritori abitati dalle “inferiori” razze slave. In pochesettimane milioni di chilometri quadrati vennero con-quistati e intere armate annientate. Le cause della vit-

toria erano molteplici: la potenza delle truppe tede-sche cui nessuno era stato capace di resistere; le pur-ghe (staliniane) che avevano privato l’esercito sovie-tico dei suoi ufficiali più capaci; il malcontento diffu-so nei territori da poco sovietizzati, dove si svolserole prime battaglie; l’ignoranza da parte di Stalin degliavvertimenti circa una prossima offensiva tedesca; loscarso morale delle truppe, causato dalle tragedie deldecennio precedente.

La crisi del regime sovietico sembrò irreversibile.Ma dopo qualche giorno di silenzio Stalin, ora alleprese con un nemico vero, reagiva con energia espregiudicatezza, chiamando la popolazione alla resi-stenza in nome del patriottismo russo i un appello ra-diofonico in cui lasciava intendere che la vittoriaavrebbe migliorato i rapporti tra regime e popolazione.

Nel frattempo, la forte resistenza di una parte del-le forze sovietiche insegnava ai tedeschi e ai loro al-leati che la guerra a oriente sarebbe stata diversa daquella in occidente.Andrea Graziosi, Dai Balcani agli Urali . L’Europa orien-tale nella storia contemporanea, Roma, Donzelli 1999,pp.108 – 109.

I tedeschi avanzarono così in fretta da arrivare, in-soli cinque mesi, alle porte della capitale e lì, sor-prendentemente, iniziarono i problemi. Le linee diapprovvigionamento divennero troppo lunghe e, rite-nendo impossibile la conquista del cremlino primadell’inverno, la loro offensiva si arrestò per la primavolta. Si mise a piovere e, mentre i carri armati e gliautocarri tedeschi rimanevano imprigionati nel fan-go, i sovietici iniziarono a ricompattarsi; presto l’e-sercito tedesco si sarebbe trovato nel gelo polare.(…)

All’inizio del mese di dicembre del 1941 trequartti dei carri armati tedeschi erano bloccati dalfango, dal ghiaccio e dalla neve. I soldati che occupa-vano le prime linee erano sfiniti, vedevano scintillarel’artiglieria intorno al Cremlino, ma non erano mini-mamente in grado di avvicinarsi.(…).Non lontanodall’aeroporto Semeretevo–2 si trova il più importan-te monumento di guerra d’Europa. Il traffico vi sfrec-cia davanti indifferente, si svaluta alla stessa velocitàdelle medaglie in vendita sulle bancarelle dei mercatidi Mosca, ed è di una sobrietà commovente. La lapi-de commemorativa è costituita da un paio di cavallidi Frisia – grossi pezzi di rotaie di ferro incrociate traloro a formare un’efficacissima barriera contro qual-siasi carro armato– che, con la loro semplicità, ricor-dano lo spartiacque della seconda guerra mondiale, ilmomento in cui le sorti del conflitto si ribaltaronocompletamente. Il monumento, infatti, si trova incorrispondenza del punto più lontano mai raggiuntodalle truppe tedesche nel dicembre 1941: gli uominidi Hitler non riuscirono ad avvicinarsi ulteriormentea Mosca.

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Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo,Roma, Fazi 2006, pp.458- 460.

Hitler comunica che l’obiettivo più importante nonè Mosca ma il bacino del Donez con le sue industrie ele immense riserve di materie prime, e l’Ucraina.

I generali restano impietriti dallo stupore e (il ge-nerale) Guderian si reca al quartier generale dellaPrussia orientale denominato Wolfsschanze e chiedea Hitler chiarimenti dell’incredibile decisione. IlFuhrer, contrariamente alle sue abitudini, lo ascoltain tutta calma senza mai interromperlo ma alla finepunta il dito sulla grande carta delle operazioni, indi-ca l’Ucraina e il bacino del Donez e ripete: «Abbia-mo assoluto bisogno del grano dell’Ucraina e dell’in-dustria del Donez, che deve lavorare per noi e nonper i sovietici». La decisione viene dunque confer-mata non Mosca ma l’Ucraina, il bacino del Donez ela Crimea. Giancarlo Domeneghetti, 1941:la vittoria regalata se…,Milano, Greco & Greco 2005, pp.46 – 47.

Nell’inverno del ’41-42 i soldati italiani che eranonella città di Rikovo, nel bacino minerario del Do-nez, avevano trovato ospitalità nelle case e nelle isbeche ancora esistevano in periferia. Il termometro erasceso per molti giorni a meno di trenta gradi(…) Sulfronte davanti a Mosca le divisioni corazzate tede-sche erano giunte in vista del Cremlino , ma il grandefreddo e i soldati di Zukov, nuovo Michail Kutuzov,prima li fermarono e poi li fecero retrocedere. Fu laprima sconfitta subita dall’esercito del Grande Reich.A proposito di quell’inverno e dei nostri soldati a Ri-kovo, la brava scrittrice russa Cecilia Kin, nel suo li-bro Autoritratto in rosso, ha lasciato scritto: “…Lisami raccontava storie interessanti. La città era stataoccupata dall’esercito italiano, e questi soldati italia-ni erano sempre buoni e non avevano mai offeso nes-suno. Solo che …dopo nove mesi erano nati tantibambini. I tedeschi, invece, erano terribili e tutti, ita-liani compresi, li odiavano e avevano paura dellaloro crudeltà”.

(…) Mi venne anche una primavera in cui AnnaAchmatova cantò: «…Più non sento il passo del ne-mici,/rifiorisce la mia terra» e nei teatri d’Ucraina eBielorussia si riprese l’Onegin : «Russa nell’anima,Tatiana/non sapendo il perché lei stessa,/l’invernorusso ama/nella sua gelida bellezza/…».

Venticinque anni dopo un maresciallo dell’Arma-ta Rossa mi disse che Hitler e i feldmarescialli di cer-to non avevano letto Aleksandr Puskin né Lev Tol-stoj e che erano stati sconfitti perchè non avevano ca-pito l’anima del popolo russo.Mario Rigoni Stern, Inverni lontani, Torino, Einaudi 1999,pp.30 – 31.

Il clima si andava facendo freddo. Aveva piovutomolto tra fine estate e primo autunno, le strade eranodiventate pantani, i soldati italiani sembravano sem-pre più spaesati e tristi. Giocavano a carte, si legge-vano l’un l’altro le rare lettere da casa, erano pieni dipidocchi, sempre più trascurati nelle uniformi e nelcomportamento.(…)

Poi a Kupiansk , vi era stato l’attentato alla polve-riera tedesca: nessuna vittima, pochi i danni . Ma laKommandantur tedesca era stata implacabile: avevaarrestato sei tra i pochi uomini non troppo vecchiche erano rimasti in città, e li avevaimpiccati a unaforca eretta in piazza del mercato. Ai loro piedi lascritta: Banditen. E aveva tolto, per punizione, laluce elettrica alla popolazione, esteso il coprifuoco.C’era una questione di competenza, che Uberti vole-va far valere, ma il generale nonera sd’accordo, nonvoleva grane (con i tedeschi).Mario Spinella, Ipotesi per un soggetto, Napoli, Guida1991, pp.48, 49 -50.

La campagna di Russia in rete.Oltre ai riferimenti dell’anno 1939:www.fronterussounirr.it (Unione Nazionale Italiana Redu-ci di Russia fra Combattenti Reduci dellaPrigionia Famiglie dei Caduti e Dispersi, via V.Monti, 59,20145 Milano)www.campagnadirussia.it (presentazione CD “I colori del-la campagna di Russia”)www.english.pobediteli.ru (in inglese, con mappe interat-tive della campagna di Russia).

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1942 Battaglia di El Alamein.

AFRICA SETTENTRIONALE – Nel 1942, l'AfrikaKorps italo-tedesco al comando di Erwin Rommel el'8a Armata britannica al comando di Claude Auchin-leck stanno combattendo nello scacchiere del NordAfrica. In luglio e in ottobre si combattono le due bat-taglie di El Alamein , in Egitto; l’8^Armata le forzedell'Asse.Oggi: settimanale di attualità e di letteratura, 27 dicembre1941 - XX Collocazione: PER 1089 – Sale PERIODICI

El Alamein fu una battaglia di materiali secondo ilvecchio stile, ma sarebbe inesatto definirla “unoscontro di ferraglia”. L’offensiva fu preceduta da uncomplicatissimo gioco di finte e di diversivi. Furonoprese le misure più sottili e più ingegnose per far cre-dere che l’attacco dovesse partire dal sud, mentre ve-nivano dissimulasti i preparativi per l’attacco dalnord e nello stesso tempo per far sembrare che i pre-parativi a sud fossero ancora incompiuti. Centinaia difinti veicoli furono impiegati (da parte britannica)per nascondere i veri carri armati nelle zone di ra-dunata; autocarri finti vennero schierati davanti allepostazioni di artiglieria, in modo che i pezzi potesse-ro affluirvi di notte e rimaner nascosti sotto la carta-pesta; finti carri armati e finti cannoni sostituironoquelli veri nelle basi di partenza mano mano che par-

tivano per raggiungere le linee avanzate; nella zonameridionale si fecero i preparativi per la costruzionedi falsi depositi, costruzione che venne poi condottacosì lentamente da dar l’impressione che non potesseconcludersi prima di novembre; nello stesso settoreentrò in funzione una rete radio fittizia che trasmisemessaggi fittizi; un oleodotto finto, con finti posti dirifornimento e finti serbatoi venne costruito in dire-zione diversa da quella dell’attacco e lasciato ad arteincompiuto; il movimento di ogni veicolo fu control-lato in modo che non restassero sulla sabbia tracce ri-velatrici. Grazie anche alla RAF che non lasciavaalla Lutwaffe la possibilità di condurre un’estesa ri-cognizione aerea, e grazie alle informazioni assoluta-mente erronee di cui era in possesso il servizio infor-mativo tedesco, l’inganno riuscì così perfetto che ilnemico rimase all’oscuro sulla data dell’attacco, sul-la direzione dell’offensiva principale e sulla disloca-zione dei nostri mezzi corazzati.

(…) A un certo punto Rommel fu sul punto dispezzare il nostro saliente. Ma l’operazione Super-charge fu l’inizio della fine. Quella notte Rommeldecise di ritirarsi. Coi trasporti disponibili poteva an-cora sganciare dalla lotta la maggioranza delle forzetedesche. Gli italiani, invece, avrebbero dovuto anda-re a piedi, ma molti di essi preferirono poi arrendersipiuttosto che vedersi sottoposti lungo il tragitto alleattenzioni della RAF.Desmond Young, Rommel, Milano, Longanesi 1960, pp.237 – 239.

Non ci fu manovra ad El Alamein, più di millecannoni inglesi macinarono la resistenza italo – tede-sca. Sulle mappe degli artiglieri inglesi c’erano deitrasparenti a linee parallele che avanzavano di centoin cento metri, il bombardamento procedeva centometri dopo cento distruggendo tutto. Un massacropreordinato e inevitabile in cui non c’era posto perl’eroismo. Una lezione sull’alleanza con i tedeschi: inostri a piedi nella ritirata, i tedeschi sui camion. Neprese atto il generale Barbasetti che incontrò Rom-mel alla ridotta Capuzzo: «È stato molto doloroso»disse Barbasetti« il sacrificio del X Corpo d’Armataabbandonato nel deserto». Rommel:« E’ questo for-se un rimprovero? Dal Fuhrer non è giunta alcunaparola di disapprovazione». Barbacetti:« Ho risalitol’interminabile colonna dei reparti in ritirata, i camio-nisti tedeschi si rifiutavano di far salire gli italiani».Rommel non aggiunse parola.Giorgio Bocca, L’Italia l’è malada, Milano, Feltrinelli2005, p.25.

2 novembre (1942).Ci arriva improvviso l’ordine di ripiegare prima

che ci prendano alle spalle. Terrificante bombarda-mento notturno. All’alba, a qualche chilometro da noi

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bruciano i nostri automezzi , colpiti da camionette in-glesi, che sono già oltre la linea del nostro fronte.

I nostri uomini assumono immediatamente forma-zione di protezione al carreggio mentre si provvede afare il carico dei materiali. Finalmente riusciamo aduscire dalla zona delle infiltrazioni da parte degli in-glesi. Sono neozelandesi e australiane le truppe cheavanzano; dove si infiltrano lasciano il segno. Sonotruppe fresche, la loro preparazione e il loro arma-mento le rende baldanzose. Per la prima volta hoavuto la sensazione che non combattevamo più con-tro un nemico in carne e ossa, inglese, indiano, neo-zelandese che fosse, ma contro un’anonima micidialemacchina da guerra, che veniva avanti inesorabil-mente contro i nostri poveri 47/32 , fatti non per per-forare, ma per carezzare la corazza dei carri armatiSherman.

Scopriamo improvvisamente un angolo di marevicino alla palificata di El Alamein: nasce da unarientranza del deserto, da una frattura dell’orlo co-stiero.

Forse un miraggio, una visione crudele. Ma no, èproprio mare, ne sono certo: terribile contatto con unpanorama noto, sentito, invocato anche.Gabriele De Rosa, La passione di El Alamein. Taccuino diguerra, Roma, Donzelli 2002, pp.38 -39.

La battaglia di El Alamein in rete.www.esercito.difesa.it/root (Ministero della Difesa – Eser-cito Italiano, Presentazione del Sacrario Militare di El Ala-mein, con numerosi documenti sulla battaglia). 1943

Nasce la Resistenza in Italia.

ITALIA– Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, ipartiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Libe-razione Nazionale. Nasce la Resistenza.

L’Italia libera, 10 settembre 1943 Collocazione: Parete delle scale di accesso al piano pri-mo.– Collezione di quotidiani e periodici incorniciati.

Il primo significato della scelta resistenziale eraquello della libertà, ed esso era implicito nel suo porsicome atto di disobbedienza: «Non si trattava tanto didisobbedienza a un governo legale, perché proprio chidetenesse la legalità era in discussione, quanto di disob-bedienza a chi aveva la forza di farsi obbedire» (Clau-dio Pavone) (…).

Alla libertà, si associava l’inebriamento, l’energiavitale di una scelta che poneva l’individuo in una sferainsieme tragica e gioiosa, dopo aver varcato il Rubico-ne della normalità: «E nel momento in cui partì» scriveBeppe Fenoglio descrivendo il partigiano Johnny chelascia l’abitazione di famiglia per salire in colonia «sisentì investito in nome dell’autentico popolo d’Italia, adopporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed ese-guire, a decidere militarmente e civilmente».(…)

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Un terzo elemento era il desiderio di azione, parti-colarmente sentito da coloro che erano maturati nelleesperienze spesso frustranti dell’antifascismo nel Ven-tennio e dopo l’8 settembre trovarono l’occasione perpassare dal terreno delle elaborazioni teoriche a quel-lo della lotta.(…)

Sotto questo profilo, il biennio 1943–45 si presen-ta innanzitutto come una stagione di guerra patriotti-ca contro il nemico occupante.(…) La lotta contro iltedesco assicurava un primo denominatore comune almovimento partigiano sul quale convergevano posi-zioni politicamente distanti: il militante comunistadella cellula di fabbrica, l’antifascista di formazioneliberaldemocratica, l’ufficiale di provata fede monar-chica trovarono qui un terreno di incontro e di impe-gno e la guerra assumeva un carattere patriottico cheper molti costituiva una scoperta («le parole “patria”e “Italia” ha scritto Natalia Ginzburg « ci apparverod’un tratto così trasformate che ci sembrò di averleudite e pensate per la prima volta»).Gianni Oliva, Le tre Italie del 1943. Chi ha veramentecombattuto la guerra civile, Milano, Mondadori 2004,pp.44 – 48.

Le azioni di guerra compiute sul territorio nazio-nale (dopo l’armistizio dell’8 settembre) non riesco-no a tener compatte le formazioni dell’esercito rego-lare; sopraffatti i pochi centri di resistenza, sciolti ireggimenti e le armate intere, il sorgere del movi-mento partigiano avviene su basi del tutto nuove, conimpostazioni del tutto diverse da quelle proprie del-l’esercito regolare. L’unico caso in cui forze regolaridell’esercito vanno compatte “in montagna” è quellodei mille della IV Armata, che si concentrano sopraBoves in provincia di Cuneo, attirandosi addosso unforte attacco tedesco (19 settembre). I tedeschi, furi-bondi per aver incontrato, da parte dei nuclei piùcombattivi , una notevole reazione, si sfogano sugliinermi abitanti di Boves , massacrando trentadue per-sone, tra cui il parroco del paese. Non è che l’iniziodi quella lunga serie di massacri di civili, di cui i piùnoti sono quelli di S. Anna , di Vinca e di Marzabot-to ,che dovevano caratterizzare l’occupazione nazistain Italia. (…) Ma anche a Boves pochi furono quelliche poi rimasero in montagna , intorno a un gruppodi valorosi ufficiali subalterni, fra cui ricorderemoIgnazio Vian , che darà vita alle formazioni partigia-ne autonome del Piemonte. (…)

Ma la vera attività partigiana , fondata non solosulla spontaneità, ma su una precisa coscienza, appa-re là dove gruppi (a volte semplicemente singoli uo-mini) antifascisti conseguenti intraprendono decisa-mente la via della lotta armata, che per molti di essi èla continuazione della lotta già condotta nelle carcerie al confino.(…)

Gli operai e i contadini costituiscono, per così

dire, le fonti di un reclutamento che non avviene percartolina – precetto, ma per una spinta più profonda :la volontà di non combattere con i tedeschi, quindi lanecessità di sfuggire ai bandi e alle chiamate allearmi; questa è, senza dubbio, la base “spontanea” delmovimento partigiano. Vi è poi l’elemento “coscien-te”, costituito dagli antifascisti, GL, socialisti, comu-nisti, i quali avevano una visione precisa delle forzein campo, avevano dato già da tempo il loro giudiziopolitico e ideologico, rappresentavano, insomma, lacoscienza storica di quelle classi. Roberto Battaglia, Giuseppe Garritano, La Resistenza ita-liana. Lineamenti di storia, prefazione di Gian Carlo Pa-jetta, Roma, L’Unità- Editori Riuniti 1974, pp.50- 52.

Da Cuneo partì per la montagna (Duccio) Galim-berti insieme ad alcuni compagni del movimento“Giustizia e Libertà”. In Val Po e presso Borgo SanDalmazio, Barbato e Barale, comunisti, costituirono iprimi nuclei, e in Val Iosina Dunchi, maestro antifa-scista degli ufficiali alpini, condusse la sua squadra.(…) Così sorsero i gruppi partigiani , per generazio-ne propria e non per eredità. La versione, alcune vol-te propalata, secondo cui il movimento nacque da re-parti dell’esercito che non avevano voluto cedere learmi, è permeata di mala fede e di tendenziosità. Sol-dati singoli, cioè cittadini, tennero le armi, ma i re-parti si sciolsero (dopo l’armistizio). Il vecchio eser-cito si sfasciò completamente. Esso non ha nulla ache vedere col movimento partigiano. L’esercito re-gio e fascista non cedette armi ai partigiani, ma le ab-bandonò, così come aveva abbandonato gli uomini eogni altra cosa.(…)

Lo scetticismo dei vecchi militari derivava dalsemplice fatto di non aver essi compreso che laguerra partigiana era qualche cosa di totalmente di-verso da ogni guerra normale, che i reparti partigianierano estremamente differenti da ogni reparto regola-re. Ciò che può compiere un partigiano, indipenden-temente da valutazioni di valore personale, è diffe-rente da ciò che può compiere un soldato di un repar-to regolare. Chi crea è diverso da chi esegue, chi favolontariamente una cosa è differente da chi vi è co-stretto, chi persegue un ideale costruttivo non è egua-le a chi soddisfa un precetto legale. Nel secondo po-trà esistere volontà e determinazione, mas difficil-mente entusiasmo.Giorgio Bocca, Partigiani della montagna, Milano, Mon-dolibri 2004, pp.26 -27, 29 (prima edizione: 1946).

Vestiva sempre di nero, l’avvocato Galimberti,aveva le erre moscia, che ci arrivava sul viale degliAngeli quando giocava a tennis e rispondeva ready.(…) Così fummo sorpresi quel giorno dell’agosto1943 quando vedemmo Duccio parlare dal balcone dipiazza Vittorio circondato dai suoi amici che con stu-

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pore scoprimmo antifascisti, fra cui alcuni che nonavremmo mai pensato come il professor Ruta e il ti-pografo Felici. Quella volta Duccio disse semplice-mente le cose che nessuno a Cuneo voleva credere:che la guerra sarebbe continuata anche sotto il gover-no Badoglio e che la resa dei conti con i tedeschiprima o poi sarebbe arrivata. (…)

Duccio lo rivedo il 17 settembre quando le SS delmaggiore Piper attaccano e incendiano Boves. Noiscendiamo dai Damiani, lui da San Matteo. Non èpiù vestito di nero, ma da alpinista: un maglione coni ricami di cervi e cristalli, pantaloni da roccia, scar-poni vibram. Ed è un altro uomo, un fratello maggio-re che mi saluta come un fratello. Partiamo su duecamion, in piedi nel cassone stretti gli uni agli altricon quei fucili 91 alti due metri che non sappiamocome impugnare. Si viaggia verso l'ignoto , non sap-piamo nulla dei nostri, di Aceto e di Dunchi, e nulladei tedeschi.Giorgio Bocca, Le mie montagne. Gli anni della neve edel fuoco, Milano, Feltrinellli 2006, pp.31, 33.

In quei giorni non solo i militari fuggivano le cit-tà, le vie battute dai tedeschi, ma migliaia di italiani,di ogni ceto e condizione, facevano lo stesso. Tuttisentivano pesare su di loro un’uguale minaccia; fug-givano per sottrarsi alla cattura e alla vergogna. Siavviavano verso le montagne, i boschi, i luoghi appar-tati e selvaggi, che sentivano più ospitali e amici del-le conosciute città, perché là non vi era il tedesco.Chi erano questi fuggiaschi – e non ancora “ribelli” –del settembre 1943 ?

Erano i soldati dell’esercito, sbandati, sfuggiti alleprime razzie. La maggior parte, lontani da casa, diso-rientati, non hanno per il momento che un pensiero:salvarsi dalla cattura; poi si vedrà. Le donne fanno agara nel rifocillare gli sbandati, nel rifornirli di abitiborghesi, nell’aiutarli a trovare un rifugio ben nasco-sto alla vista delle pattuglie di SS.(…)

Erano una gran parte degli antifascisti che fuggi-vano pure verso la montagna.(…) I vecchi militanti,forti dell’esperienza di Spagna, del “maquis” e dei“francs – tireurs” francesi, ricevono il compito di an-dar su a vedere, a cercar di conquistare gli sbandati aun’organica resistenza partigiana.Luigi Longo, Un popolo alla macchia, Roma, Editori Riu-niti 1964, pp.57 -58.

Roma si risvegliò l’11 settembre come “città oc-cupata” malgrado lo statuto di “città aperta”, ricono-sciuto formalmente nell’accordo concluso nel pome-riggio del 10 fra il comando tedesco e le autorità mi-litari italiane rimaste a Roma (dopo la fuga del re edel governo a Brindisi). Dal primo giorno non furonoleciti dubbi sulla durezza della occupazione tedesca.(…)

La cosa più urgente era quella di portare a compi-mento il piano, già avviato nelle settimane preceden-ti, di allestimento delle basi clandestine. Abbandonaila casa di (Antonio) Giolitti in via Po e mi trasferii inquella di Fausto Marzi Marchesi ,che aveva avutol’indicazione di restare nell’ombra durante i 45 gior-ni. La sua casa in corso Rinascimento 19 diventò perqualche mese una delle nostre basi più sicure. Scoc-cimarro, dopo un breve soggiorno in casa di LuchinoVisconti, in via Salaria, fu affidato alle cure della fa-miglia Marchini. (…)

Assicurate le basi, iniziammo il lavoro dividendo-ci i compiti: Scoccimarro era il rappresentante delPCI nel CLN centrale e io l’affiancavo, assumendo larappresentanza del partito in quello che si chiamavail CLN n.2, o Comitato esecutivo, dove c’erano Fe-noaltea per il Partito d’azione, che fungeva anche dasegretario del CLN; Cattani per il partito liberale;Spataro per la Democrazia cristiana; Cevolotto per laDemocrazia del lavoro e Pertini per i socialisti. Lon-go rappresentava il partito comunista nella Giuntamilitare tripartita. Giorgio Amendola, Lettere a Milano. Ricordi e documenti1939 – 1945, Roma, Editori Riuniti 1974, pp.171, 173,174.

La Resistenza in rete.www.anpi.it (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)www.nukecombattentiliberazine.it (Associazione Nazio-nale Combattenti Forze Armate Regolari Guerra di Libe-razione – Sezione di Roma, via Sforza 4, 00184 Roma).www.italia-liberazione.it (Istituto Nazionale per la Storiadel Movimento di Liberazione in Italia, fondato da Ferruc-cio Parri nel 1949 ed oggi presieduto dal presidente emeri-to della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro).www.ancr.to.it (Archivio Nazionale Cinematografico del-la Resistenza di Torino).www.archiviodellaresistenza.it (Archivio della Resistenza-Circolo Edoardo Bassignani–via Aurelia 56 54035, Fosdi-novo, MS, in particolare documentazione sull’area della li-nea Gotica).www.lastoriasiamonoi.rai.it (Rai- Radiotelevisione, Dos-sier Resistenza).www.resistenzaitaliana.it (Il portale della guerra di Libe-razione- ANPI Roma).www.comune.firenze.it/isrt (Istituto Storico della Resi-stenza Toscana).

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1944Liberazione di Parigi.

FRANCIA - Il 25 agosto 1944 le divisioni della Francialibera marciano su Parigi seguite dalla quarta divisio-ne di fanteria statunitense. Nonostante Hitler avesseordinato di ridurre in cenere la città, la resistenza te-desca è stata labile e la resa negoziata in poco tempo.

La libération de Paris : les journées historiques du 19août au 26 août 1944 vues par les photographes* / Ba-rondit ... [et al.]; présentées par Jacques Kim. Paris,O.P.G., 1944 Collocazione GER.TA.IX.5 Dal Fondo Virginia GERVA-SINI*“La liberazione di Parigi: le giornate storiche dal 19 al26 agosto 1944 visti dai fotografi”

The liberation of Paris was initiated by the cit-izens of Paris, not an entirely spontaneous effort, butone that had little formal military preparation. Theuprising in Paris in August 1944 might have ended intragedy as befell Warsaw that same month. The fateof Paris rested heavily on the decision of the Germancommander of Paris, General der Infanterie, Dietrichvon Choltitz, who had been ordered by Hitler to razethe city to the ground. Prompt Allied action andCholtitz’unwillingness to destroy one of the Europe’sgreat cities avoided a major battle for Paris. Ratherthan causing the end of the German occupation inFrance, the liberation of Paris was a symbolic con-clusion to the collapse of the Wermacht in France inthe last two weeks of August.Steve Zaloga, Liberation of Paris 1944. Patton’s Race forthe Seine,Oxford- New York, Osprey 2008, p.7.

Alla fine De Gaulle, dopo una serie di complicatemanovre, il 26 agosto 1944, poté entrare a Parigi datrionfatore. «Parigi, la Parigi maltrattata, la Parigi di-

strutta, la Parigi torturata, ma la Parigi liberata dallasua stessa gente, con l’aiuto degli eserciti di Francia!»scandì con la sua tipica retorica. E tutti esultaronoanche se nessun battaglione francese aveva parteci-pato agli sbarchi eroici del D–Day, anche se DeGaulle non aveva partecipato ai preparativi dell’ope-razione, anche se delle trentanove divisioni che com-batterono in Normandia, una sola era dei Francesi Li-beri.(…)

La Résistance e i partigiani del Maquis rappresen-tavano ora la Francia pura, anche se tra le loro fileavevano combattuto migliaia di profughi spagnoli,tedeschi e polacchi, per non parlare di tutti quei pilotie agenti inglesi, canadesi e americani. Non aveva al-cuna importanza.La Francia immaginaria di De Gaul-le aveva vinto e dopo il 1945 poté addirittura pren-dersi la sua zona di occupazione tedesca.Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo,Roma, Fazi 2006, pp.579 -580.

Il capo partigiano, il capo effettivo dei “nostri ra-gazzi”, disse: «noi vogliamo prendere Parigi. Chediavolo significa questo rinvio?»«Non c’è nessun rinvio, capo» risposi «Tutto questofa parte di una colossale operazione. Abbi pazienza.Prenderemo Parigi domani».«Lo spero» disse il capo partigiano «Mia moglie è lìche mi aspetta da un pezzo. Ho una fretta del diavolodi andare a Parigi a vedere mia moglie e non vedoperché dovrei aspettare l’arrivo di un mucchio di sol-dati».«Abbi pazienza» gli dissi.Quella storica notte dormimmo. Poteva essere unanotte storica ma l’indomani sarebbe stata una giorna-ta ancora più storica. Le mie speranze in una batta-glia un po’ come si deve furono offuscate da un par-tigiano che entrò in albergo a tarda note e mi svegliòper comunicarmi che tutti i tedeschi che ne avevanola possibilità stavano scappando da Parigi. Sapeva-mo che il giorno dopo ci sarebbe stata battaglia dalfatto che i tedeschi si erano lasciati dietro le truppe dicopertura. Ma non prevedevo combattimenti moltoaccaniti, perché conoscevamo lo schieramento dei te-deschi e potevamo di conseguenza scegliere se attac-carli o aggirarli, e garantii ai nostri partigiani che seavessero avuto solo un po’ di pazienza avremmoavuto il privilegio di entrare in Parigi con i soldatidavanti a noi anziché dietro di noi. Ernest Hemingway, Dal nostro inviato Ernest Heming-way, Milano, Mondadori 1977, p.382 (l’articolo è del1944).

A bordo di un carro armato costruito dagli ameri-cani e guidato da repubblicani spagnoli con cui ave-vo combattuto i fascisti molti anni prima, tornavo oraa Parigi, la bella città che per prima mi aveva inse-gnato a mangiare, bere e ad amare. Migliaia di volti

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affollavano il mirino della mia macchina fotografica.Quel mirino era molto, molto umido. Percorriamo ilquartier dove avevo vissuto sei anni, passando da-vanti alla casa vicino al Lion de Belfort. La mia por-tinaia sventolava un fazzoletto in segno di salutomentre, dall’alto del carro, le urlavo: «C’est moi, c’e-st moi!». La nostra prima sosta fu al Café de Dome, aMontparnasse. Il mio tavolo preferito era vuoto. Ra-gazze con leggeri abiti stampati salivano sul nostrocarro e in poco tempo imbrattarono le nostre facce diun qualche surrogato di rossetto a buon mercato. Ilpiù bello dei miei compagni spagnoli ricevette moltipiù baci degli altri: «Come avrei preferito essere ba-ciato dalla più brutta vecchia di Madrid piuttosto chedalla parigina più bella!» mormorò. Vicino alla Ca-mera dei Deputati ci furono scontri armati e moltisegni di rossetto furono lavati via dal sangue. A tardasera, Parigi era libera. Robert Capa, Leggermente fuori fuoco. Slightly out of fo-cus, Roma – Milano, Contrasto DUE 2002, p.224.

(Venticinque agosto)Albert Camus che prepara “Combat”, il giornale

non più clandestino, mentre il cronista Jean Paul Sar-tre raccoglie notizie sulle due sponde della Senna. Il‘generale’ Henri Roll – Tanguy, ex operaio della Re-nault di Billancourt,comunista e combattente dellaguerra di Spagna, che dirige l’insurrezione dalle fo-gne, sotto piazza Denfert- Rochereau. La ragazzaamica di un tedesco rapata a zero e presa a calci inrue Faubourg Saint Antoine.

Il giorno dopo, il 26 agosto, de Gaulle che scendei Campi Elisi, mentre quel che resta dei tedeschi e

collaborazionisti spara le ultime cartucce dai tetti,tra l’indifferenza dei parigini troppo presi dall’entu-siasmo per badare all’agonia dei vinti. Intanto nelsuo appartamento di avenue de Breteuil , PierreDrieu La Rochelle, autore di Feu Follette e Gilles ,divenuto il dandy della collaborazione, si prepara alsuicidio, che tenterà più volte invano, prima col vele-no poi con un rasoio, e che infine riuscirà con il gas,qualche mese dopo, giudicando troppo vergognosopassare dal fascismo al comunismo come gli suggeri-va l’istinto.Bernardo Valli, Parigi ’44. Il grande giorno del riscatto,in “La Repubblica – Diario”, 25 agosto 2004.

La liberazione di Parigi in rete.www.ordredelaliberation.fr (Musée de l’Ordre de la Libera-tion, 51 Boulevard de la Tour – Maubourg, F5700 Paris Cadex07; l’«Ordre» era stato fondato da Charles De Gaulle).www.v1.paris.fr/musees/Memorial (Memorial du Marchal Le-clerc de Hautheclocque et de la Liberation de Paris – Musée JeanMoulin, 23 Allée de la 2e DB/Jardin Atlantique/75015 Paris).www.liberation-de-paris.gilles-primout.fr (editeur Gilles Pri-mout).

1945Liberazione del lager di Auschwitz

da parte delle truppe sovietiche.

POLONIA - Il 27 gennaio 1945 il campo di concentra-mento di Auschwitz viene liberato dalle truppe sovieti-che. Vengono trovati circa 7.000 prigionieri ancora invita, migliaia di indumenti e oggetti abbandonati e 8tonnellate di capelli umani imballati e pronti per il tra-sporto.

ROZANSKI, Zenom. Mützen ab...: eine Reportage ausder Strafkompanis des Kz.Auschwit* . Hannover, Verlag,Das andere Deutschland, 1948.Collocazione:KRE.ARM.18.III.24–Dal Fondo INGE KREUZ* “Via i cappelli...Una cronaca dalla Compagnia di di-sciplina (leggi Kapò) del campo di concentramento diAuschwitz"

Auschwitz II, ossia il campo di sterminio vero eproprio, sorse nella prima metà del 1942 a Birkenau,qualche chilometro a sud della città, e assai lontanodalle fabbriche a cui avrebbe dovuto fornire la manod’opera servile. Ma contemporaneamente con i primirecinti e baraccamenti sorsero anche i due primi cre-matori con le annesse camere a gas. Quando comin-ciò a funzionare regolarmente al principio dell’estate1942 il campo consisteva dunque di due impianti ben

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distinti: da una parte i Lager per alloggiare gli “abilial lavoro”; dall’altra gli stabilimenti per l’uccisionedegli “inabili” e per la distruzione dei cadaveri.Entrambi gli impianti furono ampliati e perfezionatinel corso dei due anni successivi; ai primi recinti se-parati per gli uomini e per le donne ne furono via viaaggiunti dei nuovi, spesso improvvisati e orrenda-mente sovraffollati; e si approntarono altri quattrocrematori più grandi, sempre completi di camere agas.

Il centro strutturale di tutta la macchina era il luo-go di selezione,a poche centinaia di metri dai crema-tori, per il quale furono fatti passare dall’estate 1942all’autunno 1944 poco meno di un milione di ebreifrancesi, belgi, olandesi, tedeschi, italiani, ungheresi,greci, ecc.: la prudente stima minima del Reitlinger è840.000. (…)

Il primo convoglio di cu è attestata la selezioneimmediata è quello di mille ebrei francesi che rag-giunsero Auschwitz il 22 giugno 1942, inaugurandocosì il periodo di funzionamento sistematico delcampo. Solo duecento dei mille deportati furonoquel giorno messi a morte. Fino all’agosto 1942 erararo che si gassassero più del 30% dei nuovi arrivi.Ma già in agosto si raggiunsero punte di 700 personeal giorno, con un salto della percentuale verso l’indi-ce del 70% sul quale finì per fissarsi.Luigi Meneghello, Promemoria. Lo sterminio degli ebreid’Europa, 1939 – 1945, Bologna, Il Mulino 1994, pp.69 –72.

Le kapo erano dure, veramente cattive. Una notteStellina era scesa dalla koja (pagliericcio) per andareal gabinetto. In verità, niente di più e niente di menodi una sudicia latrina che ancora oggi è visibile in ciòche del campo è rimasto. Tra le innumerevoli coseche non si potevano fare, anche questa era verboten,proibita. La kapo se ne accorse e arrivò come una fu-ria. Urlando le diede una tremenda sberla, rompendo-le un dente. Perché infierire su una bambina ? E ache scopo ? Erano proprio cattive. Ma questo, anchequesto, era Auschwitz. Anche nella baracca dellaquarantena io continuavo, con sempre maggiore insi-stenza, a chiedere di piamadre, a voler sapere dovepotessi trovarla. Furono le altre prigioniere, certa-mente spazientite, irritate dalla mia continua insisten-za a rivelarci l’atroce verità. Mamma era già “passataper il camino”. La smettessi di chiedere, la smettessidi aspettarla. No, non l’avrei rivista mai più. Siamoa Birkenau, bambine!Aldo Pavia, Antonella Tiburzi, Ida Marcherai. Non per-donerò mai, Portogruaro, Nuova Dimensione 2006, pp.51-52.

Gli unici due blocchi per bambini si trovano a Bir-kenau, all’interno dei campi per famiglie realizzati

per gli zingari e per i superstiti di Terezin. La sortedei più piccoli non è diversa da quella degli adulti.Fame, sete e malattie uccidono i bambini zingari traatroci sofferenze, per nulla lenite dall’assurdo campo– giochi fatto costruire dalla direzione del Lager, conun’altalena e attrezzi per gli esercizi di ginnastica.Non è più necessario mostrarlo ai visitatori dopo il 2agosto 1944: nella notte i 400 zingari rimasti sonomandati alle camere a gas.Lidia Beccaria Rolfi, Bruno Maida, Il futuro spezzato. Inazisti contro i bambini, Firenze, Giuntina 1997, p.81.

Alla macchina della morte servono cavie, caviegiovani, cavie bambini! E’ il 14 maggio 1944 (a Bir-kenau) quando alcuni bambini vengono visitati, ven-gono sottoposti a prelievo di sangue… (…) Servonodei bambini, ma come fare perché non si diffonda ilpanico, perché l’intervento sia il più asettico, il piùchirurgico possibile ? L’uomo nero si vestirà di infa-me cattiveria. Il dottor Mengele , l’angelo della mor-te, si presenterà una fredda mattina di novembre del1944 nella baracca 11 e dirà:“Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti”.(…) e i bambini si fanno avanti, sognando l’amorenegato, sperano di ritrovare il calore dell’abbracciodella mamma, confidano nella dolce promessa diquelle parole, si affidano al sogno, assaporano i baci,si struggono dal desiderio, pregustano la gioia di quelvolto, del tuffo fra quelle braccia tanto sognate… ri-trovano per un attimo le gioie rubate… si fidano, e…piombano nell’inferno più nero. Li aspettano non lebraccia della mamma a far loro a culla, non i baci checonsolano, non la ninnananna che scalda eaccarezza… ma mesi di strazi, di febbre, di abbando-ni, di interventi chirurgici alle ghiandole linfatiche.Dalla baracca 11 vennero presi 10 maschi e 10 fem-mine con la promessa delle “braccia della mamma”. I 20 bambini di Bullenhuser Damm,a cura di Maria PiaBernicchia, Milano, Proedi Editore 2005, pp.49 -50.

26 gennaio (1945). Noi giacevamo in un mondo dimorti e di larve. L’ultima traccia di civiltà era sparitaintorno a noi e dentro di noi. L’opera di bestializza-zione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata por-tata a compimento dai tedeschi disfatti. E’ uomo chiuccide, è uomo chi fa o subisce ingiustizia; non èuomo chi, perso ogni ritegno, divide il letto con uncadavere. Chi ha atteso che il suo vicino finisse dimorire per togliergli un quarto di pane, è, pur senzasua colpa, più lontano dal modello dell’uomo pen-sante, che il più rozzo pigmeo e il sadico più atroce.(…)

La sarabanda cessò a notte, e la camera fu di nuo-vo piena del monologo di Sòmogyi.In piena oscurità mi trovai sveglio di soprassalto.«L’pauv’vieux» taceva: aveva finito. Con l’ultimo

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sussulto di vita si era buttato a terra dalla cuccetta: houdito l’urto delle ginocchia, delle anche, delle spallee del capo.«La mort l’a chassé de son lit» definì Arthur.Non potevamo certo portarlo fuori nella notte. Non cirestava che riaddormentarci.27 gennaio. L’alba. Sul pavimento, l’infame tumultodi membra stecchite, la cosa Sòmogyi.

Ci sono lavori più urgenti: non ci si può lavare,non possiamo toccarlo che dopo aver cucinato emangiato. E inoltre, «… rien de si dégoutant que lesdébordements», dice giustamente Charles; bisognavuotare la latrina. I vivi sono più esigenti; i mortipossono attendere. Ci mettemmo al lavoro come ognigiorno.

I russi arrivarono mentre Charles ed io portavamoSòmogyi poco lontano. Era molto leggero. Rove-sciammo la barella sulla neve fresca.Charles si tolse il berretto. A me dispiacque di nonavere berretto.

Degli undici della Infekionsabteilung, fu Sòmogyiil solo che morì nei dieci giorni. Sertelet, Cagnolati,Towarowski, Lakmaker e Dorget (di quest’ultimonon ho finora parlato; era un industriale francese che,dopo operato di peritonite, si è ammalato di difteritenasale), sono morti qualche settimana più tardi, nel-l’infermeria russa provvisoria di Auschwitz. Ho in-contrato a Katowixce , in aprile, Schenck e Alacalaiin buona salute. Arthur ha raggiunto felicemente lasua famiglia, e CHarles ha ripreso la sua professionedi maestro; ci siamo scambiati lunghe lettere e sperodi poterlo ritrovare un giorno.Primo Levi, Se questo è un uomo, Roma, La BibliotecADI Repubblica s.d., pp.188 – 190.

La liberazione, raccontava Hedy, era avvenuta im-provvisamente, sconvolgendo i rituali che segnavanole nostre giornate. I guardiani delle SS, gli ufficiali ei soldati, se n’erano andati via con i camion, portan-dosi appresso le armi e tutta la riserva di viveri am-massata nei magazzini del campo.

Nessuno aveva avuto sentore, fino a qualche oraprima, che la loro fuga sarebbe stata imminente. Poi,di notte, si udirono molti rumori di automezzi in mar-cia e, dalle garitte che sovrastavano il campo, scom-parvero improvvisamente le guardie che impugnava-no le mitragliatrici, pronte a far fuoco, nel caso qual-che ombra si fosse mossa attorno ai perimetri che de-limitavano le baracche.Alcuni prigionieri, ancora ingrado di muoversi o di camminare, avevano messofuori la testa con grande circospezione, tentando dicapire se i rumori fossero attribuibili alla fuga dei no-stri aguzzini. Qualcuno, rincuorato dall’assenza deiguardiani, si spinse oltre le baracche, in direzionedell’ingresso del campo – sprangato come sempre.Altri, con l’esitazione di chi sa di commettere una

gravissima infrazione, non ebbero il coraggio di an-dare più in là, verso le casermette del personale, os-servando le finestre sprangate che non lasciavano tra-sparire alcun segno di luce. Allora, diceva Hedy, tor-narono alle baracche e, con tutto il fiato che avevanoin corpo, incominciarono a urlare: “Liberi! Siamo li-beri, se ne sono andati!”. Elisa Springer, L’eco del silenzio. La Shoah raccontata aigiovani, Venezia, Marsilio 2003, pp.85 – 86.

Un giorno(ad Auschwitz) vidi passare una colonnadi carri armati. Eravamo lontanissime dall’idea chestessero arrivando dalla direzione opposta rispetto aquella verso cui stavano ripiegando i nazisti, che po-tessero non essere soldati tedeschi. Così, stupidamen-te, dissi rivolgendomi a Renette: «Guarda che strano:hanno messo la bandiera rossa sui carri armati. Chis-sà perché?». Poi, dalla torretta di uno dei mezzi co-razzati, si affacciò un carrista. Lo vidi e finalmentecapii: quelli erano soldati sovietici. Era arrivata l’Ar-mata Rossa.Roberto Pettinelli, Campo di betulle. Shoah. L’ultima te-stimonianza di Liana Millu, Firenze, Giuntina 2006, p.51.

Siebocki si incammina lungo i binari, fra la paludee la nebbia e avverte: «per capire, bisogna salirequi». È la torre di legno costruita sopra i binari diBirkenau (Auschwitz 2). In alto, come sul ponte am-pio e ancora ben curato di una nave, ti rendi contodella grandiosità dell’impresa.

«Il nome» Birkenau «evoca la terra delle betulle. Itedeschi hanno fatto saltare le case qui intorno, han-no mandato via i contadini, hanno impiantato i forni,le camere a gas, le infermerie per gli esperimenti, lebaracche di pietra e quelle di legno, centinaia e centi-naia di contenitori di morte per esseri umani stipatinel fango e nel freddo, a perdita d’occhio. Hanno de-viato la ferrovia affinché giungesse al punto finale.Hanno selezionato gli schiavi per la fabbrica chimi-ca. Hanno fotografato e ucciso ciascun bambino, finoal giorno della chiusura forzata. Ma sono stati gentilicon le betulle. La foresta è intatta» Da Oswiecim icontadini vedevano i fuochi e sentivano l’odore deiforni, ti dicono. Hanno visto scomparire il sessantaper cento di loro, gli abitanti ebrei di una comunità ditrentamila persone in cui il rabbino e il prete presie-devano insieme alle feste. Furio Colombo, La vita imperfetta. Cronache di un cam-biamento, Milano, Rai Eri Rizzoli 1999, pp.84- 85.

Auschwitz e la Shoah in rete.www.auschwitz.org.plwww.auschwitz-muzeum.oswiecim.pl (sito ufficiale delCampo e Museo di Auschwitz-Oswiecim, anche in lingua in-glese).www.holocaust-history.org (The Holocaust History Project)

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www.remember.org (Virtual Tour of Auschwitz-Birkenaucon mappe interattive, by Alan and Krysia Jacobs, Librayof Holocaust).www.isurvived.org (Holocaust Survivors and RemebranceProjiect).www.ushmm.org/museum (United States Holocaust Me-morial Museum/Liberation of Auschwitz, January 27,1945).www.bbc.co.uk (Dossier della BBC “Genocide under Na-zis”).www.museoshoah.it (Centro di Documentazione EbraicaContemporanea).www.trangoloviola.it (Deportazioni dei Testimoni di Geo-va)www.fcit.coedu.usf.edu (A Teacher’s Guide to the Holo-caust).

1945Bombe atomiche su Hiroshima e

Nagasaki.

GIAPPONE - Il mattino del 6 agosto 1945 l'Aeronauti-ca militare statunitense ha lanciato la bomba atomica"Little Boy" sulla città di Hiroshima, e tre giorni dopol’ordigno atomico "Fat Man" su Nagasaki. Il numerodi vittime dirette è stimato da 100.000 a 200.000, quasitutti civili.NAGAI, Paolo. Le campane di Nagasaki. Milano, Gar-

zanti, 1952. Collocazione: GER.TE.I.30–Dal FondoVirginia GERVA-SINI

«Avevo otto anni e facevo la seconda elementarea Hiroshima» ricorda Takashi Tanemori «Il 6 agostodel 1945 era cominciato come una bellissima matti-na d’estate. C’era stato un solo allarme aereo alla set-te ma era finito subito, alle otto ero già fuori dal rifu-gio e a scuola con gli amici. Giocavamo a nascondi-no nel cortile. Toccava a me contare e perciò ero ap-poggiato contro il muro con gli occhi chiusi e lamano davanti a coprire il viso. Il lampo, un bagliorebianco puro, fu così forte che ricordo di aver visto leossa nude della mia mano, trasparente come ai raggiX. Poi il silenzio assoluto. Solo in seguito arrivò untremore assordante, come se centinaia di carriarmatistessero correndo contro di noi. Da quel momentodeve essere passato del tempo di cui non ho memo-ria». La voce di Tanemori si spezza per la commo-zione. «Il ricordo successivo è un senso di soffoca-mento, l’aria mancava, attorno era buio, tutto brucia-va. Sentivo la puzza di bruciato e i miei compagniche gridavano: scotta!(…) C’erano dei soldati in unaccampamento lì vicino, uno di loro è venuto a tirar-mi fuori dai detriti. Ero coperto di sangue, l’urto del-l’esplosione mi aveva polverizzato il muro addosso.Il soldato mi ha preso in braccio e si è messo a corre-re verso il fiume, dove molti cercavano la salvezzadalle fiamme e dall’ondata mortale di calore».Federico Rampini, Un lampo, poi il grande fuoco, in “LaRepubblica- La Domenica della Repubblica”, 24 luglio2005.

La vita di Minoru Sakuma si è svolta all’insegnadell’atomo. Oggi è ingegnere nucleare, ma, a quindi-ci anni, si trovava a Hiroshima, il 6 agosto 1945,quando esplose la bomba. Al polso reca l’ombra in-delebile del suo orologio: il dono della prima esplo-sione nucleare. Gli ho parlato nel 1986. «L’atomo ha giocato un ruolo decisivo nella sua vita.Lei era marinaio a Hiroshima quando scoppiò labomba?»«Si, c’ero, ma in realtà ero un ragazzo di quindicianni . Il Giappone si trovava ormai agli sgoccioli . Ioero (non saprei come spiegare) una specie di riservadella scuola della Marina, cioè un allievo. E mi tro-vavo in un’isola vicino a Hiroshima, su una piccolanave: e proprio mentre ero impegnato in alcune eser-citazioni venne sganciata la bomba».«Che cosa pensò?»«In quel momento fui soltanto molto sorpreso. Natu-ralmente non sapevo che si trattava di una atomica.Era mattina, verso le 8.15, e in quel momento noieravamo su una imbarcazione della Marina per leesercitazioni previste. Ci fu un lampo improvviso eci gettammo tutti in mare, fuggendo. Più tardi seppi

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che ero stato colpito dalle radiazioni e che si trattavadi una atomica. Fu un notevole shok e penso che ab-bia avuto molta influenza nella mia vita».(…)« E nella storia dei giapponesi Hiroshima che cosasignifica?»«Non dimentichi che a Hiroshima, in un attimo, imorti furono quasi centomila. Ancora adesso vi sono,sia pure raramente, persone che muoiono di leucemiao per altre cause dovute alle radiazioni dell’atomica.Forse fra costoro vi è ancora chi prova rancore dalpunto di vista psicologico».Enzo Biagi, Dizionario del Novecento, Milano, Rizzoli2002, pp.153 – 154.

Ancora a conferenza (di Postdam) in corso, giunsea Truman la notizia che l’esplosione sperimentaledella bomba atomica ad Alamagordo, nel New Mexi-co, era stata coronata da successo. Dal momento incui ricevette la notizia, Truman apparve “trasforma-to”, più aggressivo con Stalin, ricordava Churchill.(…)

Esistono pochi dubbi tra gli storici che anche ladecisione di impiegare la bomba atomica su Hiroshi-ma e Nagasaki, formalmente per costringere alla resail Giappone, sia stata presa da Truman nella convin-zione che, come disse il suo Segretario di Stato Byr-nes, «dare una dimostrazione della bomba avrebbereso più docile la Russia». In ogni caso, il 6 e il 9giugno 1945 le due bombe atomiche mettevano finealle guerra del Giappone, ormai stremato, e aprivanouna nuova fase nella politica mondiale.Bruno Cartosio, Gli Stati Uniti contemporanei 1865 –2002, Firenze, Giunti 2002, pp.98 – 99.

6 agosto 1945. Qualcuno ricorda ? Bomba atomi-ca, due parole che adesso suonano antiche, levigatedal tempo. (…) Resta, di quei giorni, un solo docu-mento,come una sonda calata in un altro mondo. E’ ilracconto di John Hersey, pubblicato nel 1946 in duepuntate dal “New Yorker Magazine”. E’ un docu-mento insopportabile che la cultura del mondo ha re-gistrato , applaudito, premiato e lasciato cadere per-ché non avrebbe potuto inserirlo in alcun compartodella comprensione o della morale.(…) Il racconto diHersey è la cronaca del silenzio e del vuoto. L’autoresi aggira in quartieri che non esistono più , intorno ascheletri di metallo, fra chilometri di terreno dove lemacerie sono soltanto polvere . In quel luogo hannovissuto decine de migliaia di persone che non si ve-dono, non i corpi, non il calco, neppure una traccia,come se fossero stati misteriosamente rapiti. C’è ,nelracconto, una strana serenità, come se Hersey fosseandato oltre l’invisibile parte di una vita che non la-scia tracce. Sa di essere americano, dunque coautoredi quel mistero. Ma non prova neppure a cercare l’al-tra dimensione, quella de percorso strategico che haportato alla decisione. Infatti nulla è immaginabile di

questa morte, neppure gli atti preliminari lo sono.(…)

Comincia così il silenzio del mondo. L’incubo sistacca dalla realtà, da ciò che è materialmente avve-nuto. Diventa tormento interiore e appartiene al mon-do dei fantasmi.Furio Colombo, La vita imperfetta. Cronache di un cam-biamento, Milano, Rai Eri Rizzoli 1999, pp.171, 173 –175.

A (USA) report from Nagasaki in September 1946saying that the survivors of the atomic bomb in thatcity appeared to be in good health with no apparenteffects on their white corpuscles was passed. Oneyear later, a similar story from Hiroshima, citing adoctor there, was also passed. The doctor said thatthere was no further fear of atomic disease, and thatthe scars of those who had had plastic surgery had allbut disappeared. (…)

Reports by American constituted a special prob-lem for the censors. A story by a United Press cor-respondent describing life in Hiroshima in 1947 waspassed with no objection by either the Civil Intelli-gence Section or the Civil Censorship Detachment.There were details of the terrible to people, but alsostatements to the effect that if the Hiroshima doctorshad only known how to treat radiation burns, the lossof life would have been smaller. The reporter claimedthat victims had no regarded the bombing as an atro-city until foreign publications containing such sug-gestions reached Hiroshima more than a year afterthe event.Monica Braw, The Atomic Bomb Suppressed. AmericanCensorship in Occupied Japan, Armonk, N.Y., Sharpe1991, p.104.

Hiroshima e Nagasaki in rete.www.pcf.city.hiroshima.jp (Hiroshima Peace Site. The Of-dficial Homepage of Hiroshima Peace Memorial Museum)www.city.nagasaki.jp (Nagasaki Atomic Bomb Museum).www.hiro-tsuitokinenkan.go.jp (Hiroshima National PeaceMemorial Hall for the Atomic Bomb Victims).www.nuclearfiles.org (Nuclear Files. Project of the Nucle-ar Age Peace Foundation).www.atomicarchive.com (National Science Digital Li-brary, USA).www.nuclearweaponarchive.org

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1946Nasce la Repubblica italiana.

ITALIA - Il 2 giugno 1946 nasce la Repubblica Italia-na in seguito ai risultati del referendum istituzionaleindetto per determinare la forma dello stato dopo lafine della seconda guerra mondiale. La proclamazioneufficiale avvenne il 18 giugno.

Il nuovo corriere della sera, 6 giugno 1946. Collocazione: ZB 18– Dall’Emeroteca

SeVittorio Emanuele III avesse abdicato nel 1943,come nel 1849 – in un altro momento di sconfitta –aveva fatto Carlo Alberto, la monarchia avrebbe po-tuto sopravvivere. Invece egli respinse l’accusa diaver tradito lo Statuto sotto il fascismo, con l’ipocritoargomento che un sovrano costituzionale non è re-sponsabile delle azioni dei suoi ministri. (…) Soltan-to quando l’opinione pubblica impose il referendumistituzionale il re tentò, malvolentieri, di fermare glieventi con l’abdicazione , nella speranza che la mag-giore popolarità del figlio avrebbe raddrizzato le sortidella battaglia elettorale e salvato la dinastia. Cosìnel maggio 1946 Umberto divenne re (lo sarebbe ri-masto soltanto trentaquattro giorni), ed ebbe appenail tempo di fare il suo giro elettorale nel paese; ilmese successivo usciva sconfitto dal referendum: lamonarchia raccoglieva quasi 11 milioni di voti con-tro quasi 13 per la repubblica. Enrico De Nicola di-

venne capo provvisorio dello Stato repubblicano, cherealizzava dopo tanto tempo la profezia mazziniana.Umberto espresse riserve sulla validità del risultatoelettorale, ma seguì il padre nell’esilio, e continuòdall’estero una campagna moderata quanto inefficaceper la restaurazione monarchica.Denis Mack Smith, Storia d’Itaklia 1861–1969, Bari,Laterza 1973, III, p.753.

Il 2 giugno 1946 gli italiani andarono finalmenteliberi alle urne dopo oltre vent’anni. Gli elettori do-vevano scegliere con un referendum tra la monarchiae la repubblica e dovevano eleggere i loro rappresen-tanti all’Assemblea Costituente. Era un’occasionestorica, non solo per l’importanza delle questioni ingioco, ma per il fatto che le donne poterono votareper la prima volta nella storia italiana. (…)

Il referendum rivelò quanto drammatica fosse laspaccatura tra Nord e Sud. Mentre il Centro e il Nordvotarono compatti per la repubblica, e in alcune zonein modo schiacciante, il Sud fu altrettanto solido nelsuo appoggio alla monarchia. Circa l’80 per centodei napoletani erano monarchici e solo nella poveris-sima Basilicata, teatro nel 1944–45 di estese occupa-zioni di terre, i voti per la repubblica superarono il 40per cento. La grandissima differenza tra l’esperienzadella Resistenza e quella del Regno del Sud ha granparte nello spiegare questo comportamento elettorale.Così scrisse all’epoca Giorgio Amendola: «vi sonolarghe zone dell’Italia meridionale in cui ogni cosasembra essere rimasta come era prima, sotto il fasci-smo; l’apparato politico e statale non è cambiato, edil potere rimane nelle mani delle stesse famiglie».(…)

La sconfitta della monarchia al referendum fu sen-za dubbio il risultato più importante ottenuto dalleforze progressiste in questi anni. I protagonisti dellasinistra di quel periodo, guardando indietro alle scon-fitte del 1945–48, potevano sempre consolarsi peraver istituito la repubblica. De Gasperi disse a Go-nella che occorreva rassicurare la gente che la repub-blica non significava ripulire lo Stato di tutto il pas-sato. Aveva certo ragione, ma l’eliminazione del po-tere monarchico non fu tuttavia una vittoria simboli-ca. Il re aveva esercitato in passato un forte controllosulla politica estera e su quella militare, e casa Savo-ia aveva sempre mostrato scarso rispetto per la de-mocrazia.

Quando la domenica del 2 giugno e il lunedì mat-tina del 3 gli italiani si riversano nei seggi di tuttaItalia, sembra che ormai, le vecchie cicatrici,anche leferite più recenti siano rimarginate. La gente votacon ordine e senza mostrare odio per gli avversari.La regina Maria José si reca al seggio di via Lovanio,a Roma, la domenica. Non ha con sé un documento

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di identità.«Mi dispiace, l’ho dimenticato al Quirina-le», dice. A uno scrutatore comunista non basta. «Di-spiace anche a me» replica «ma le regole sono rego-le. Lei non può votare». Interviene il presidente delseggio, il quale, affermando di aver riconosciuto l’e-lettrice, le consegna le schede. «Politicamente votaiper i socialisti, dando la preferenza a Saragat. Avevoconvinzioni precise. Per il referendum votai schedabianca. Non mi pareva di buon gusto votare per noistessi» dirà Maria José. (…)

Alle 14 di quel 3 giugno cominciano gli spogli,lentissimi e dai risultati contraddittori. (…) Il 5 giu-gno, Giuseppe Romita (ministro dell’Interno) convo-ca la stampa. Alle 18, circondato dai cronisti politiciche lo dominano in altezza e quasi lo soffiano, co-mincia a leggere i risultati ufficiali del referendum.Quando mancano i voti di poche centinaia di sezioni,la percentuale a favore della Repubblica è del 54,05per cento; quella a favore della Monarchia del 49,95per cento. «Spettò a me» scriverà Romita 1«il grandeonore di dare al Paese la prima comunicazione chel’Italia si avviava ad essere una Repubblica (…)».Matteo Collura, Eventi. Il racconto dell’Italia del Nove-cento, Milano, TEA 2002, pp.165–167.

Definita, con il referendum la scelta repubblicana,abbiamo nominato Saragat presidente della Costi-tuente e De Nicola capo provvisorio dello Stato. To-gliatti avrebbe voluto De Gasperi a capo dello Stato.Ma De Gasperi si rese conto che in una Repubblicaparlamentare il centro del potere sta nel consiglio deiministri e nel suo presidente. Ben limitato sarebbestato il suo raggio d’azione del presidente della Re-pubblica. Me lo disse più volte: «Togliatti volevapensionarmi alla presidenza della Repubblica».

De Nicola era un sincero democratico: un grandegiurista, ma, secondo i colleghi anziani ( De Gasperi,Piccioni, Paolo Cappa, Rodinò, ecc.) mancava di fer-mezza e temperamento. Fu preferito ad altre soluzio-ni perché, avendo egli votato nel referendum per laMonarchia, compattava alla nuova Repubblica lemasse meridionali monarchiche.Paolo Emilio Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bolo-gna, Il Mulino 2002, pp.110- 111.

REPUBBLICANO. «I preti ? Ma fammi il piacere sesono stati loro che ci hanno fregato!»MONARCHICO. «I preti? Ma fammi il piacere sesono stati loro che ci hanno fregato!»R. «La verità è questa… Che De Gasperi è stato sem-pre una gatta morta monarchica».M. «La verità è questa: che De Gasperi è stato sem-pre un marpione di repubblicano!»R. «Poi capirai che per una vittoria simile non c’è dafare salti di gioia…»

M. «Poi capirai che per una sconfitta simile non c’èda farne una malattia…»R. «Certo che quel 46 per cento mi sta qui… Bastavache la DC …»M. «Certo che quel 54 per cento mi sta qui… Basta-va che la DC…»R. «Però il Settentrione , che razza eh? Un bel taglioa Civitavecchia e, ‘Auguri!’. Rimettete su i Borboni,Sciaboletta (Vittorio Emanuele III) chi vi pare! Vuo-le proprio che glielo dica? Beh, quest’Umberto, ades-so che lo abbiamo cacciato, mi comincia a diventaresimpatico…»M. «Però il Meridione! Che tempra , eh? Un bel ta-glio a Grosseto e, ‘Auguri!’, tenetevi Baffone ! Vuo-le proprio che glielo dica? Beh, quell’Umberto, ades-so che a noi ci pianta qua nei guai e se ne va all’este-ro a fare la bella vita , mi c comincia a restare antipa-tico!» (Satira del 1946)Angelo Olivieri, Sette anni di guai. I Presidenti della Re-pubblica nella satira 1946 – 1992, Bari, Dedalo 1992,p.11.

La Repubblica in rete.www.quirinale.it (Presidenza della Repubblica Italiana)www.camera.it/eventicostituzione2007 (Camera dei Depu-tati- Repubbiica Italiana).

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1947Risoluzione dell’ONU che sancisce

la nascita dello Stato di Israele.

ISRAELE - L'Assemblea delle Nazioni Unite, dopo seimesi di lavoro da parte dell' United Nations SpecialCommittee on Palestine, il 29 novembre 1947 haapprovato approvò la Risoluzione n. 181 che prevedela creazione di uno stato ebraico e di uno stato arabo inPalestina, con la città e la zona di Gerusalemme sottol'amministrazione diretta dell'ONU.

Parca Gabriella. Un paese nasce dalle sabbie: studiosulla cooperazione in Israele. Roma, Editrice Coop, [s.d.]Collocazione ARM.6.I.64

L’evento che maggiormente ha caratterizzato lastoria degli ebrei nel secondo dopoguerra senza dub-bio la nascita dello Stato d’Israele il 15 maggio 1948.Due sono i fenomeni che portarono alla realizzazionedi questa nuova entità politica: la nascita e lo svilup-po del sionismo e la Shoà. (…) Il sionismo è l’ideapolitica nazionale del popolo ebraico . La sua nascitaè da collocarsi in Europa nel XIX secolo.(…)

1945–1948. Dopo tre anni di guerriglia ebraicaantinglese e di scontri con le organizzazioni arabe , ela parallela immigrazione di gran parte dei profughiebrei europei scampati al genocidio, ostacolata dagliinglesi e dagli arabi, le Nazioni Unite decretano la

creazione di due Stati – uno arabo e uno ebraico – nelterritorio che va dal fiume Giordano al mare. Nascelo Stato d’Israele. Gadi Luzzatto Voghera, L’antisemitismo. Domande e ri-sposte, Milano, Feltrineli 1994, pp.71, 72.

L’indipendenza della Palestina si intrecciò stretta-mente con la necessità di risolvere “la questioneisraeliana”, che gravava sulla coscienza degli statieuropei. Nel novembre 1947 l’Assemblea Generaledell’Onu approvò un progetto che prevedeva la crea-zione di due stati autonomi (con una spartizione piut-tosto favorevole agli ebrei) e l’internazionalizzazionedi Gerusalemme e che passò con il voto favorevoledegli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica e l’astensio-ne della Gran Bretagna. Tutti e sette gli stati arabi giàmembri dell’Onu votarono contro. L’immigrazioneebraica recente e passata aveva alterato senza rime-dio l’economia della popolazione locale, che consi-derava i nuovi venuti alla stregua di usurpatori; que-sti ultimi, senza tener conto della situazione di fatto,rivendicavano diritti originari che il tempo aveva or-mai cancellato, mentre gruppi estremisti compivanoatti di terrorismo contro gli inglesi e atrocità contro ipalestinesi e assumevano atteggiamenti tanto prevari-canti da accrescere il risentimento arabo e innescareun conflitto insanabile. Alla fine dell’anno, dopo unmandato con gravi responsabilità per quanto andavamaturando, la Gran Bretagna annunciò che il 14maggio 1948 avrebbe abbandonato la Palestina . Lostesso giorno gli ebrei si dettero un governo provvi-sorio guidato da David Ben Gurion e proclamaronolo stato di Israele. Scipione Guarracino, Storia degli ultimi cinquant’anni. Si-stema internazionale e sviluppo economico dal 1945 aoggi, Milano, Bruno Mondadori 1999, pp.63–64.

Menachem Begin, comandante della leggendariaResistenza, era il mio idolo principale in quegli annid’infanzia. Ben prima di allora, nell’ultimo anno delgoverno mandatario inglese, a tempestare la mia fan-tasia era l’ancora anonimo condottiero del movimen-to clandestino: me lo immaginavo ammantato di unagloria biblica, primordiale. Me lo immaginavo ac-quattato in un crepaccio impervio della Giudea. Scal-zo, con indosso una cinta di pelle, tutto fuoco e fiam-me come il profeta Elia sul Monte Carmelo, e di las-sù, da una grotta sperduta, mandasse i suoi dispaccitramite giovanetti dall’aria innocente. Ogni notte, illungo braccio della Resistenza arrivava sino al cuoredel tirannico governo mandatario, facendo saltare peraria con cariche di dinamite sedi di stati maggiori eimpianti militari, muri e magazzini di armi, e river-sando l’ira funesta sui fortilizi dell’avversario chia-mato, nei volantini che redigeva mio padre, il nemicoanglo – nazista. O anche: Amalec. La perfida Albio-

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ne (mentre mia madre disse una volta degli inglesi:“Amalec o non Amalec, chissà mai che un giornonon cominceremo ad averne un poco di nostalgia”).Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra, Milano, Fel-trinelli 2003, p.502.

Con un giorno di anticipo sulla fine del mandatobritannico in Palestina il 14 maggio 1948, venerdi,gli ebrei di quella terra proclamarono la nascita di unnuovo Stato. La nascita di Israele non passò inosser-vata e, il giorno successivo, l’arrivo di cinque esercitiarabi colmò il vuoto lasciato dalla partenza degli in-glesi. La guerra, anche se a bassa tensione, era giàiniziata a novembre in seguito al voto delle NazioniUnite: truppe irregolari comandate dall’ex ufficialedell’esercito ottomano, e poi mercenario al soldo deinazisti, Fauzi al Kaoukyi, erano penetrate nelle zoneebraiche compiendo attentati contro insediamenti ecivili isolati. Ora però la cosa era diversa perché, se-condo Radio Cairo, l’esito dello scontro era già deci-so: con un’azione inesorabile e massiccia lo Stato de-gli ebrei non sarebbe mai nato.Victor Magiar, E venne la notte. Ebrei in un paese arabo,Firenze, Giuntina 2003, p.123.

Così se gli arabi hanno conquistato maggior spa-zio nel mondo della cultura e dell’informazione, visono riusciti come personificazione di valori preva-lentemente negativi. Essi sono infatti considerati unaminaccia nei confronti di Israele e del mondo occi-dentale o, secondo una prospettiva non molto diver-sa, come il principale ostacolo che si frappone allanascita di Israele nel 1948. Nella misura in cui gliarabi hanno una storia , essa è stata loro data (o tolta,la differenza è minore di quanto sembri) dalla tradi-zione orientalista e, in seguito, da quella sionista.Edward W. Said, Orientalismo. L’immasgine europea del-l’Oriente, Milano, Feltrinelli 2002, p.283

(Lettera del presidente americano Truman al presiden-te israeliano Chaim Weizmann, 29 novembre 1948)

Dopo aver ricevuto la vostra lettera abbiamo an-nunciato all’Assemblea Generale (dell’Onu) il nostrofermo proposito di opporci a qualsiasi cambiamentoterritoriale, rispetto alla Deliberazione del 29 novem-bre, il quale non sia gradito allo Stato d’Israele. Con-fido che l’Assemblea generale ci appoggerà in questoprincipio fondamentale.

Abbiamo già espresso il nostro desiderio di coo-perare allo sviluppo del nuovo Stato per mezzo diprovvedimenti finanziari ed economici. Come voi sa-pete, l’Export – Import Bank sta considerando lapossibilità di un forte prestito a lunga scadenza per loStato d’Israele su una base da stabilire. So che il vo-stro Governo ora sta preparando i vari punti di taliprogetti per sottoporli alla Banca. Io personalmente

farei anche di più , estendendo una simile assistenzafinanziaria ed economica su vasta scala all’interoMedio Oriente, e basandola su una vera cooperazioneeconomica.Harry S.Truman, Memorie, Milano, Mondadori 1956, II,pp.209 – 210.

Sin dalla suaascita Israele ha messo mano allaspada. È orgoglioso di essere un paese di combatten-ti. Il conflitto ha prodotto anche i simboli della guer-riglia palestinese e il ragazzino palestinese che tira isassi. Il negozio di souvenir all’aeroporto Ben Gu-rion vende videocassette dei successi militari delloStato ebraico. La kefyyah, il tradizionale copricapo ascacchi del contadino palestinese, si è trasformato inun accessorio “marxista chic”, indossato dagli stu-denti di sinistra delle università di tutta Europa. Ac-quistati nel suk di Gerusalemme, centinaia di questifoulard sono impacchettati dai turisti come souvenir. Anton La Guardia, Terra Santa. Guerra profana, Roma,Fazi 2002, pp.9 -10

La storia dello Stato d’Israele in rete.www.dinur.org (The Hebrew University of Jerusalem. TheDinur Center for Research in Jewish History).www.mideastweb.org (Israel and Palestine. A Brief His-tory)www.zionism-israel.com (A History of Zionism and Mod-ern Israel).www.bbc.co.uk (Dossier della BBC: “History of Israel:Keys Events”).www.israele.net (sito in lingua italiana su Israele. Notiziee stampa).

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1948 Gandhi viene assassinato.

INDIA - Il 30 gennaio 1948, a New Delhi, mentre si re-cava nel giardino per la consueta preghiera ecumenicaGandhi viene assassinato con tre colpi di pistola da unfanatico indù radicale.

GANDHI, Mohandas Karamchand. Antiche come le mon-tagne: i pensieri del Mahatma sulla verità, la nonviolen-za, la pace. Milano, Edizioni di Comunità, 1969. Collocazione: D.II.527

C’è un uomo che Winston Churchill chiamavacon tono sprezzante “il fachiro seminudo”, ma che,in realtà, forse più di lui, ha pesato sulla storia delmondo, dando una coscienza nazionale a un grandepopolo. Quello che diventerà il Mahatma (“Grandeanima”) Gandhi, nasce da una casta bramina il 1 ot-tobre 1869 a Porbanday, in India. Studia a Londra,poi si trasferisce in Sudafrica; qui, in mezzo agli im-migrati indiani di sconvolgente miseria, fonde la pro-pria vita con la loro. Nel 1915 torna in India, doveavvia la lotta per l’indipendenza: una lotta particolare,fatta di disobbedienza civile, digiuni, marce pacifiste,resistenza passiva, scioperi fiscali. Asceta, vegetariano,appassionato studioso delle religioni, Gandhi è il profe-ta della non violenza. Fa politica in modo diverso,cambia le regole del gioco. Il suo principio, “la forza

della verità” (cioè l’idea che in conflitti si risolvonofacendo leva sui valori comuni con l’avversario) affa-scinerà il mondo intero, ispirando le battaglie di Mar-tin Luther King, la lotta all’apartheid di Nelson Man-dela e il pacifismo del Dalai Lama. Gandhi pone lasensibilità religiosa indiana al servizio dell’obiettivodell’indipendenza. La sua capacità di parlare la linguadel popolo trasforma la lotta di liberazione, che diven-ta un movimento di massa. L’obiettivo è raggiunto nel1947 con l’ottenimento dell’indipendenza, ma la divi-sione fra India e Pakistan rappresenta per lui, predica-tore dell’Unione, una pesante sconfitta. L’India è dasei mesi indipendente, ma l’unità ha scatenato conflittifra indu e musulmani e la ferocia che oppone le dueparti trova in Gandhi il più facile bersaglio. Il 30 gen-naio 1948 viene assassinato a Dehli da un fanatico na-zionalista indu, che lo accusa di collusione con i mu-sulmani. Tre colpi di pistola raggiungono il minuscolovegliardo avvolto nel dothi bianco. Prima di cadere aterra, rivolge lo sguardo all’omicida congiungendo lepalme in segno di pace. Quel giorno il premier Nehrudice: “La luce se ne è andata dalle nostre vite, il buioha prevalso ovunque”.Marco Innocenti, Le ceneri di Gandhi disperse in mare a60 anni dall’assassinio, in “Il Sole 24 Ore”, 25 gennaio2008.

Gandhi era ben consapevole del fatto che l’Indiaera una realtà fortemente composita con una dozzinadi lingue (contando solo quelle principali), molteplicigruppi etnici e diverse religioni (oltre ai due maggiorigruppi induisti e musulmani c’erano consistentiminoranze di sikh, cristiani, buddisti, jainisti, parsi): ol’indipendenza avrebbe coinvolto l’India nel suocomplesso o il paese si sarebbe avviato verso guerrereligiose senza fine o verso la dissoluzione.

In effetti ancora al principio degli anni trenta lamaggioranza dei musulmani si sentiva rappresentatameglio dal partito del Congresso che dalla Lega Mu-sulmana (costituita nel 1906). Uno degli stessi leaderdella Lega, Ali Mohammad Jinnah, decise nel 1931 dilasciare la politica attiva e di trasferirsi a Londra. Fu aLondra che in questi anni cominciò a circolare fra glistudenti indo – musulmani il nome fino ad allora sco-nosciuto di Pakistan (“terra dei puri”), creato per indi-care un paese dai confini vaghissimi perché non eramai esistito storicamente e, per il momento, trovavasede soltanto nell’ immagi nazione di pochi intellettuali.Solo dal 1940 Jinnah, tornato in India, e gli altri capidella Lega cominciarono a parlare non solo dei dirittidei musulmani ma della separazione di una “patria pa-kistana”.

Nel 1947, mentre si moltiplicavano gli scontri ar-mati fra induisti e musulmani, il maggior sostegnoofferto durante la guerra dalla Lega alla politica in-

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glese venne premiato. Il 15 luglio il parlamento bri-tannico votò l’indipendenza dell’India, che sarebbedecorsa esattamente un mese dopo, facendo nasceredue stati diversi, l’Unione indiana e il Pakistan (cheincludeva anche, separato da mille e cinquecento chi-lometri, il Bengala orientale). Nelle ultime settimaneche precedettero il 15 agosto fu il terrore di ritrovarsiin uno stato retto da una religione estranea a ridistri-buire la popolazione fra i due stati: una massa umanavalutata fra i dieci e i diciassette milioni oltrepassòcon tutti i mezzi in un senso e nell’altro le nuovefrontiere prima che queste si chiudessero per sempree in questo gigantesco esodo duecentomila di loro(ma secondo altre valutazioni cinquecentomila o an-che più di un milione) trovarono la morte, vittime de-gli odi religiosi. Nonostante questi trasferimenti, lepopolazioni dell’India e del Pakistan risultarono en-trambe composte per circa il 10 per cento rispettiva-mente di musulmani e induisti.Scipione Guarracino, Storia degli ultimi cinquant’anni. Si-stema internazionale e sviluppo economico dal 1945 aoggi, Milano, Bruno Mondadori 1999, pp.51 – 52.

Tornato sull’arena politica (nel 1944, dopo esserestato arrestato dalle autorità inglesi) Gandhi cercòdi ottenere un appuntamento con il nuovo vicerè, cheera un gentiluomo, un generale, un poeta; lord Wa-vell però si rifiutò di riceverlo. Il Mahatma allorascrisse a Mohammed Ali Jinnah, presidente dellaLega musulmana, proponendogli alcuni colloqui. Erapersuaso che se tra la Lega e il Congresso si fosseraggiunto un accordo gli inglesi sarebbero stati co-stretti ad abbandonare l’India. La lettera cominciava:“Al fratello Jinnah”. I colloqui non approdarono anulla: Congresso e Lega non riuscirono a mettersid’accordo; Jinnah, personaggio notevole, uomo ele-gantissimo, eraq un musulmano poco osservante, be-veva alcolici, mangiava carne di maiale e andava dirado in moschea, eppure pretendeva di spaccare l’In-dia in due parti: uno Stato indù e uno Stato musulma-no. Gandhi non era assolutamente d’accordo: «La vi-visezione dell’India è una bestemmia». Ines Belski Ragazzi, Gandhi. Il profeta della non violen-za, Milano, Edizioni Paoline 1998, p.113.

Tra la fine del 1946 e l’inizio del 1947 (Gandhi)passò quattro mesi a percorrere a piedi in lungo e inlargo il Bengala e il Bihar come un disperato pelle-grino di pace, cercando di fermare i massacri (fraindù e musulmani). Recitava versetti del Corano neitempli indu, attirandosi l’ira degli induisti ortodossi edei nazionalisti estremisti. In settembre, a Calcutta,intraprese un digiuno “fino alla morte”, riuscendo aottenere un’interruzione degli scontri fra indu e mu-sulmani in quella che era la più popolosa e la più vio-

lenta tra le città dell’India. (…) Fu fatto segno di as-salti da parte di estremisti indu e di gruppi di rifugia-ti, insofferenti alle sue parole di pace. Il 20 gennaiouna bomba scoppiò, lasciandolo illeso, nella casa diDehli in cui era ospitato (sei mesi prima era già sfug-gito a un attentato al treno su cui stava viaggiando).Qualche giorno dopo, fu ucciso dai colpi di pistola diun giovane fanatico indu mescolato tra la folla che loattendeva in giardino, per l’incontro serale di pre-ghiera.Gianni Sofri, Gandhi e l’India, Firenze, Giunti 1996, p.127.

Dopo l’assassinio del Mahatma, le sue ceneri sonostate suddivise in varie urne e portate in tutta l’Indiaprima di essere immerse nel Gange e in altri fiumiche le condussero al mare. Una di queste urne era ri-masta in casa di un amico di Gandhi e, alla sua mor-te, i suoi figli l’hanno consegnata al museo del Ma-hatma a Mumbai. I discendenti di Gandhi non hannoperò voluto che fossero esposte al pubblico e hannochiesto di disperderle in mare come vuole la tradizio-ne hindu. Per condurre la cerimonia è stata scelta unanipote del figlio maggiore di Gandhi, Harilal, cheaveva rotto con il padre e rifiutò di accendere la piraper bruciarne la salma secondo il rituale hindu. Cosìhanno voluto i discendenti degli altri tre figli per sa-nare la ferita.Una nipote versa le ceneri nel Mare Arabico secondo latradizione hindu, in “La Tampa”, 30 gennaio 2008.

Gandhi in rete.

www.gandhi-manibhavan.org (Mani Bhavan Gandhi Sa-grahalaya, 19 Labrnum Roasd, Gamdevi, Mumbai, 400007 India ; il Museo Gandhi nel luogo dove alloggiò aMumbai fra il 1917 e il 1934).

www.mkgandhi.org (Bombay Sarvodaya Mandal- GandhiBook Center- Servodaya Ashram , Nagpur, 299 TardeoRoad , Nana Chowk, Bombay , 400 007 India).

www.mahatma.org.in (Sito ufficiale del Mahatma GandhiArchivi and Reference LIbrary).

www.gandhifoundation.org (The Gandhi Fiundation, 21Fleetwood Court, Madeira Road, West Byfleet, Surrey KT14 6BE).

www.gandhiserve.org (Gandhi Serve Foundation, Ma-hatma Gandhi Research and Media Service, Rathausstrasse51 a, 12105 Berlino).

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1949L’aereo che trasporta la squadra

del Torino Calcio si schianta contro la basilica di Superga.

ITALIA – Il 4 maggio 1949 l'aereo sul quale la squa-dra del Torino di Valentino Mazzola stava facendo ri-torno da una trasferta a Lisbona, si è schiantato con-tro la Basilica di Superga. I calciatori sono tutti mortisul colpo.

Il calcio illustrato: settimanale sportivo, 12 maggio 1949.Collocazione: PER 3140–Sale PERIODICI

Pomeriggio del 4 maggio 1949. La primavera tar-da al Nord e nebbie basse sporcano ancora i tramonti.Il cielo è cupo, fa freddo. Le nubi incombono basse ecupe, color inchiostro; la pioggia cade a ondate, sfer-zata dal vento. La sera ruba spazio al pomeriggio, lavisibilità è di trenta metri, Torino sembra avvolta daun’ombra di malinconia, quasi un presagio. L’aereodel Torino, un trimotore Fiat proveniente da Lisbona,sta atterrando. Alle 17,07, improvvisi, un boato e unoscoppio, come una folgore. L’apparecchio si schiantacontro il colle della Basilica di Superga e si incendia.Non ci sono superstiti. «Che le nubi e i venti ci sianopropizi e non ci facciano troppo ballare», così chiu-deva il servizio del giornalista Luigi Cavallero, unadelle 31 vittime, trasmesso dall’aeroporto di Lisbonaa un quotidiano della sera.

Il Paese è stordito. L’emozione è immensa, e poiconfusione, lacrime, cordoglio, disperazione. Doloree amore sono complementari e nessun lutto è nazio-nale come la scomparsa del Grande Torino. (…)

Nei poveri brandelli di carne il vecchio VittorioPozzo, chino sotto il peso del dolore, cerca a uno auno i visi dei suoi ragazzi, chiamandoli sommessa-mente come per l’appello ad un’ultima partita. Toccaa lui, l’ex commissario della nazionale, riconoscere icadaveri. (…)

Indro Montanelli, sul “Corriere della Sera”, li sa-luta con un articolo intitolato «Nel grande stadio del-l’aldilà Mazzola passa a Gambetto». (…)

Sul colle di Superga viene murata una lapide cheli ricorda e tramanda la leggenda della squadra chenon perdeva mai. Per molti anni sarà meta di pelle-grinaggi. Ma il tempo passa, i ricordi sbiduiscono ele visite si fanno più rare. Forse perché il 1949 è lon-tano e forse perché il calcio, oggi, è un’altra cosa.Marco Innocenti, 4 maggio 1949: cade il Grande Torino,in “Il Sole 24 Ore”, 2 maggio 2008.

Per anni sono cresciuto in compagnia di due pove-re stampe, incorniciate alla bell’e meglio. La primaera una specie di fotomontaggio dai colori forti: sullosfondo la collina di Superga, ripresa in una radiosagiornata di sole, coronata dalle montagne imbiancate;in primo piano, diciotto cechi bianchi con l’effige deigiocatori del Grande Torino. Superga pareva l’Olim-po e quei volti il ritratto di eroi che appaiono accantoa quelli di Zeus, Poseidone, Ade, Dioniso, Apollo.Come se gli dei fossero stati un tempo più numerosi,persino fotografabili. La seconda era la copertina del-la “Domenica del Corriere” datata 15 maggio 1949.L’illustrazione di Walter Molino, dai colori tenui erispettosi, raffigurava un aereo che si schianta controun terrapieno; s’intravede appena la cupola dello Ju-varra. Il disegno è attraversato da un nembo, un ba-gliore sinistro scende dal cielo giusto per illuminareuna didascalia: “Il tragico urto contro un muro dellaBasilica, a Superga, dell’aeroplano che riportava inPatria i calciatori del Torino e i loro accompagnatori”. Aldo Grasso, Superga, una trasferta nell’eternità, in “Cor-riere della Sera”, 30 aprile 1999.

Russ cume ‘l sang fort cume ‘Barberaveui ricurdete adess, me grand TurinEn cui ani ‘d sagninunica e sula la tua blessa era.Giovanni Arpino (Grande Torino per sempre: www.wiki-quote.org )

Il Grande Torino in rete.www.ilgarandetorino.net (a cura di Nicoletta Perini e Da-vide Bovolenta, Museo del Grande Torino e eella Leggen-

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da Granata – Villa Claretta, Grugliasco, TO)www.torinofc.it (Sito ufficiale del Torino Football Club)www.archiviotoro.it (Tutto sulla storia del Torino dal 3dicembre 1906).

1950Inizia la guerra di Corea.

COREA - Dopo ripetute violazioni del confine e scara-mucce, il 25 giugno 1950 scoppia la guerra in Corea, acausa dell'invasione della Corea del Sud da parte del-l'esercito nord-coreano.

BORZENKO, Serghei. Corea in fiamme. Roma, Edizionidi Cultura Sociale, 1951.Collocazione: M.I.440

Il paese (la Corea) venne diviso, lungo una lineache corrispondeva al 38° parallelo, in due aree di in-fluenza e poi in due stati. Mas, a differenza di quantoaccadde in Germania, l’evoluzione verso una Coreadel Sud (proclamata nel maggio 1948 e retta da unadittatura appena coperta dalle forme esteriori dellademocrazia) e una Corea del Nord (sorta nel settem-bre 1948 come repubblica popolare comunista) av-venne senza grandi contrasti e fu tacitamente accetta-ta da Usa e Urss; poco dopo le truppe delle due po-tenze si ritirarono dai due paesi, lasciandovi solo un

limitato numero di addestratori militari. (…) Il 25giugno 1950, dopo mesi di reciproche dichiarazioniostili e minacce, fra le due Coree cominciò una guer-ra aperta e non vi è alcun dubbio che l’attacco pro-venne da quella del Nord, nonostante le proclamazio-ni in contrario della propaganda comunista interna-zionale. Nel giro di tre mesi le truppe nordcoreaneavevano occupato quasi per intero la Corea del Sud.(…) Con assoluta tempestività il consiglio di sicurez-za dell’Onu , non ostacolato dal veto dell’Unione So-vietica (…) approvò il 27 giugno la formazione di uncontingente militare internazionale incaricato di re-spingere l’aggressione. Posto sotto il comando delgenerale Mac Arthur e sotto la bandiera dell’Onu maformato sostanzialmente solo da truppe americane ,questo fu in grado di intervenire da metà settembre ,respingendo i nordocoreani al di là del 38° parallelo.Scipione Guarracino, Storia degli ultimi cinquant’anni. Si-stema internazionale e sviluppo economico dal 1945 aoggi, Milano, Bruno Mondadori 1999, pp.78 – 80.

The Cold War grew bloodier as it took on a globaldimension . In June 1950, the instability and nation-alism of postwar Korea exploded as CommunistNorth Korea invaded South Korea. Despite evidencethat the Russians were caught off – guard by theNorth Korean move, Truman saw the invasion as aSoviet attack on Pax Americana. South Korea hadpreviously not been considered vital to US security ,but Truman sent troops right away. Hiss administra-tion used the war to triple US military spending anddispatch arms and advisers to help France hold on toVietnam. After Chinese troops confronted the Amer-icans in November 1950, the Korean War settled fora truce that left the Communist in control of NorthKorea. But a precedent of global confrontation hadbeen set. Henceforth the United States was determin-ated to project its power on every continent. By 1955, the United States had hundreds of military bases inthirty – six countries.American Social History Project, Who Built America ?Working People & the Nation’s Economy, Politics, Cul-ture & Society, II, From the Gilded Age to the Present,New York, Pantheon Books 1992, pp.489 – 490.

Alle ore 4 antimeridiane (ora dell’Estremo Orien-te) di domenica 25 giugno 1950, corrispondenti alle2 pomeridiane di sabato 24 giugno a Washington, leforze armate della Repubblica popolare della Coreadel nord invadevano il territorio della Repubblica sud– coreana. (…)

Il Presidente Truman si trovava in quel momentoa Independence, nel Missouri, sua città natale; avver-tito telefonicamente dal Segretario di Stato Achesontornava immediatamente a Washington, ove convo-cava d’urgenza i massimi dirigenti politici e militari

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degli Stati Uniti. Fedeli al loro principio di agire nel-l’ambito dell’ONU, gli Stati Uniti, posti di fronte aquesto aperto caso di aggressione e di grave violazio-ne della pace, investivano subito della questione ilConsiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che veni-va convocato d’urgenza dal Segretario Generale del-l’ONU, Trygve Lie, e si riuniva nel pomeriggio dellastessa domenica. Ai lavori del Consiglio non parteci-pava il rappresentante sovietico, che si era preceden-temente ritirato in segno di protesta per la mancataammissione della Cina comunista all’ONU. Connove voti favorevoli e nessun contrario (la Jugoslaviasi era astenuta) il Consiglio dichiarava di ravvisarenell’aggressione della Repubblica nord – coreana unaviolazione della pace, chiedeva l’immediato ritirodell’esercito invasore entro io confine del 38° paral-lelo ed invitava gli Stati membri dell’ONU a fornireogni possibile assistenza per l’attuazione di questa ri-soluzione.Breve storia degli Stati Uniti,a cura dell’Ufficio Informa-zioni Stati Uniti e della Divisione Informazioni Ammini-strazione Sicurezza Mutua (MSA), Roma, SET Apollon1952, pp.204 – 205.

Dopo cinque anni nel luna park, siamo parzial-mente emersi nel gennaio 1950, per scoprire che era-vamo in un nuovo tipo di paese e che, sbalorditiva-mente, eravamo di nuovo in guerra: questa volta inCorea. Ma visto che Truman e Acheson erano nervo-si sulla possibilità richiedere una dichiarazione alCongresso, il conflitto venne definito un’azione dipolizia delle Nazioni Unite e venne perso in modoingarbugliato. Acheson preparò un memorandum cheassicurava Truman che, fino a quel momento, ottan-tasette avventure belliche presidenziali erano state in-traprese senza una dichiarazione da parte del Con-gresso, come veniva richiesto dalla Costituzione.Gore Vidal, Le menzogne dell’impero e altre tristi verità,Roma, Fazi 2002, p.65.

All’inizio della Guerra di Corea, quando le batta-glie sembravano non favorirci, l’esercito nordcorea-no era riuscito a spingere le forze delle Nazioni Uniteverso sud, fino a Pusan. I comunisti utilizzarono l’oc-cupazione per dar vita ad un programma di recluta-mento finalizzato a formare gruppi giovanili e costi-tuire unità di guerriglia. Quando le truppe delle Na-zioni Unite avevano sfondato il fronte e ricacciato ilnemico verso nord grazie ad una brillante operazio-ne di accerchiamento, rimase scoperta una vasta zonamontuosa e impossibile da conquistare. Tutte le nuo-ve reclute c comuniste si concentrarono in massa ver-so questa selvaggia terra di nessuno. Alcuni ufficialinordcoreani appoggiavano e dirigevano le bande diguerriglieri che spesso rappresentavano un’ala segre-ta dell’esercito nemico: distruggevano le nostre linee

di comunicazione, derubavano e saccheggiavano ivillaggi, terrorizzavano i contadini.(…)

Le bande nomadi avevano raggiunto un incredibi-le livello d’organizzazione e, sebbene sempre in mo-vimento, avevano un’ala politica e un’ala militarecon compiti ben definiti. Possedevano addirittura unsettimanale, realizzato clandestinamente in una grot-ta, e se per stampare finivano la carta usavano quellada parati. Ricordo di aver visto copie stampate inviola, con copertina verde e argento.Margaret Bourke White, Il mio ritratto, Milano–Roma,Contrasto 2003, pp.297–298.

Durante le prime settimane che trascorsi in Corea,mi sembrò che gli uomini dell’Ottava Armata richie-dessero soprattutto due cose:«Perché siamo qui?» e«Per cosa combattiamo?».

Come comandante dell’Ottava armata credevo chetutti i soldati avessero diritto di conoscere la rispostaa queste domande; risposta che comunicai che faces-se parte o fosse distaccato presso l’Ottava armata il21 gennaio 1951. Ecco la risposta:

La risposta alla prima domanda, «Perché siamo inCorea?» è semplice e chiara. Siamo qui inseguito alladecisione dei nostri legittimi governi. (…)

La seconda domanda ha un significato molto mag-giore e ogni soldato di queste unità ha diritto a rice-vere una risposta soddisfacente e ragionata. Ecco lamia risposta. Per me il problema è chiaro. Non sitratta di una città o di un villaggio coreano. Le que-stioni di territorio, in questo caso, hanno scarsa im-portanza. (…) Si tratta di sapere se la civiltà occi-dentale, che Dio ha permesso nascesse nei nostriamati paesi, sarà in grado di sfidare e di sconfiggereil comunismo; se il regno di coloro che uccidono iprigionieri, rendono schiavi i loro concittadini e cal-pestano la dignità umana avrà il sopravvento sul re-gno di coloro in cui sono sacri l’individuo e i suoi di-ritti; se dobbiamo sopravvivere con la mano di Dioche ci guida e ci dirige o se dobbiamo morire nelladesolazione di un mondo senza Dio.Matthews Ridgway, Guerra sul 38° parallelo, Milano,Rizzoli 1969, pp.258 – 259.

La guerra di Corea, il cui inizio si verificò ad ap-pena cinque anni dalla fine del secondo conflittomondiale, fu particolarmente attraversata da fenome-ni nevrotici e da veri e propri crolli mentali, tanto dadar luogo a una serie di articoli sulla rivista “Time”,che avevano alla base la preoccupazione per la scarsaresistenza psicologica delle giovani generazioni; no-nostante gli sforzi della psicoanalisi, che negli StatiUniti si era diffusa in un’accezione particolarmenteorganicistica, il tracollo dei giovani di fronte allaguerra fu massiccio e preoccupante.Paola Magnarelli, I giovani e la guerra, in Il secolo deigiovani. Le nuove generazioni e la storia del Novecento, a

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cura di Paolo Sorcinelli e Angelo Varni, Roma, Donzelli2004, pp.42–43.

La guerra di Corea in rete.www.korea50.army.mil (U.S.DEpartment of Defense, nel50° anniversario della Guerra di Corea)Per le associazioni di veterani (siti con molte noizie sullaguerra):www.kdvamerica.org (Korea Defense Veterans of Amer-ica. Support America’s Military )www.kwva.org (Korean War Veterans Association, rico-nosciuta dal Congresso nel 2008).www.koreanroll.gov.au (Australian Government, Depart-ment of Veterans’ Affair, Nominal Roll of Australian Vet-erans of the Korean War).www.koreanwar-educator.org (Korean War Educator, sitolegato ai veterani interessati a mantenere viva la memoriadella Guerra di Corea, c/o Lynnula Jean Brown, 111Houghton Street, Tuscola, IL, 61953 USA).www.koreanchildren.org (Korean War-Children Memo-rial, City of Bellimgham, Wa, ricorda l’assistenza USA aibambini coreani).www.corea.it (sulla partecipazone italiana alla guerra diCorea con strutture sanitarie).

1951Nasce il festival di Sanremo.

ITALIA – Si è tenuto a Sanremo, dal 29 al 31 gennaio1951, il primo festival della canzone italiana che è statotrasmesso per radio. I cantanti si sono esibiti sul palcomentre il pubblico era sistemato intorno a tavoli tra iquali giravano i camerieri occupati a portare le consu-mazioni.

BORGNA, Gianni, L'Italia di Sanremo: cinquant'annidi canzoni, cinquant'anni della nostra storia. - Milano:Mondadori, 1999. moderna SBN | Codice:Collocazione782.421 640 945 BOR

Pier Bassetti, che all’inizio degli anni ’50, era il ge-store del Casino sanremese, voleva fronteggiare atutti i costi la concorrenza della sala da gioco dellavicina Montecarlo, ma non sapeva su quali strategiefare leva. Nel tardo pomeriggio di un giorno dell’e-state del 1950 si imbatte casualmente in Angelo Niz-za, l’autore, con Riccardo Morbelli, del grande suc-cesso radiofonico “I quattro moschettieri”: visto checostui era notoriamente in buoni rapporti col maestroCinico Angelini e, per il suo tramite, pure con tutti imigliori interpreti di quegli anni, gli chiese di inter-cedere per portare in Liguria il carrozzone radiofoni-co che all’epoca riscuoteva tanto successo. A Nizza

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l’idea piacque e vi aderì con entusiasmo, tanto che ilpatron del casino si fece carico di tutta la parte orga-nizzativa.Maurizio Ternavasio, La leggenda di Mister Volare,Firenze, Giunti 2004, p.41.

“Signori e signore, benvenuti al Casinò di Sanremoper un’eccezionale serata organizzata dalla Rai, unaserata della canzone con l’orchestra di Cinico Ange-lini . Premieremo , tra le 240 composizioni inviate daaltrettanti autori italiani , la più bella canzone del-l’anno. Le venti canzoni prescelte vi saranno presen-tate in due serate e saranno cantate da Nilla Pizi e daAchille Togliani con il duo vocale Fasano”. Esattamente con queste parole , alle 22.00 in punto dilunedì 29 gennaio 1951, Nunzio Filogamo dichiaraaperto il festival della canzone . In sala il pubblico –raccolto intorno a tavolini tipo vecchio cabaret o café– chantant – è intento a cenare tra l’andirivieni deicamerieri. E’ una platea numericamente scarsa , spe-cie nella seconda serata, tanto che è stato necessariotrovare persone da sistemare ai tavolini vuoti sparsiqua e là. (…) Ma la vera platea della nuova manife-stazione canora era rappresentata dagli ascoltatoridella radio: un pubblico, almeno potenzialmente, diomilioni di persone. (…) Pochi i critici, pochi anche icantanti. In tre cantano tutte e venti le canzoni sele-zionate. Sono Nilla Pizzi, il Duo Fasano e AchilleTogliani .(…) La canzone più bella è però, senza al-cun dubbio , Grazie dei fiori, di Seracini, Testoni,Panzeri , che sarà anche la vincitrice del festival. (…)Grazie dei fiori è una canzone interessante anche dalpunto di vista musicale. Ha almeno tre cambi di rit-mo, un arrangiamento sufficientemente “moderno”, eriecheggia – naturalmente alla lontana – un certoswing del jazz bianco degli anni Trenta.Gianni Borgna, L’Italia di Sanremo. Cinquant’annidi canzoni , cinquant’anni della nostra storia, Mila-no, Mondadori 1998, pp.3, 4, 9.

Il Festival di Sanremo in rete.www.sanremo.rai.it (Sito ufficiale del festivalcontinuamente aggiornato).www.sanremostory.it (Sanremo Story, tutto sulfestival di Sanremo, a cura di Graziano Del Ponte).

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1952Elisabetta II sale al trono del Regno

Unito.GRAN BRETAGNA - Elisabetta II, il cui nome com-pleto è Elizabeth Alexandra Mary sale al trono del Re-gno Unito il 6 febbraio 1952 dopo la morte del padreGiorgio VI. Ha solo 26 anni.

Epoca: settimanale politico di grande informazione, 31maggio 1953Numero Speciale per l’incoronazione di Elisabetta .Collocazione: PER 3081– Sale PERIODICI

L’Inghilterra del 1953 aveva bisogno di credereagli editorialisti dei grandi giornali che profetizzava-no l’alba di una “nuova era elisabettiana”. Era diffu-sa la sensazione che la sovrana, giovane, graziosa, dinobile e delicato aspetto, rappresentasse un simboli-co spartiacque e che si aprisse un nuovo capitolo nelgrande libro della storia nazionale. Vi era un diffusobisogno di celebrare qualcosa di importante: i rigoridella guerra, vinta ad un costo terribile, e del dopo-guerra cominciavano ad allentarsi però la vita conti-nuava ad essere dura. (…)

Alle 10.26 del 2 giugno la carrozza d’oro della re-gina, pesante quattro tonnellate e costruita due secoliprima per re Giorgio III, uscì dal castello di Buckin-gham per immettersi sul Mall, il grande viale chesfocia in piazza Trafalgar. Venne salutata da un boa-to della folla che aveva pernottato all’addiaccio perassicurarsi un posto lungo l’itinerario verso l’abbaziadi Westminster. Migliaia di Union Jack sventolarono

all’unisono. La regina aveva accanto il consorte prin-cipe Filippo in uniforme da ammiraglio della RoyalNavy. (…)

Dopo aver pronunciato il giuramento, venne inco-ronata dall’arcivescovo di Canterbury Geoffrey Fi-sher. Fu il segnale per le salve di cannone dalla Torredi Londra. Un lungo regno era cominciato.Mario Vignolo, Elisabetta II, quarant’anni sul trono d’In-ghilterra sola in mezzo agli scandali, in “Corriere dellaSera”, 2 giugno 1993.

Ten years ago, on Tuesday, Queen Elizabeth IIsucceeded to her father’s throne. No act of law, noproclamation , no anointing was necessary for this. Itwas and is the one occasion in public life in whichthe fact of death is faced without dissimulation orkindly muddle. He died and by that act, she wasQueen.She has in her decade been a strict and devotedQueen. She has precisely obeyed the forbidding rulesof her trade. She has been the subject, or the victim,of an unexampled out – pouring of personal publi-city, yet she has never courted it and never , if shehas never courted it and never, if she could avoid it,helped it in any way at all.

Almost all intimate stories and features that ap-pear about her are works of imagination, based uponthe revelations of servants or upon what can be de-duced from her public appearances. Her private lifeis as private as that of Mr. Khrushchev or the Pope,though a cursory reading of the Press would suggestdifferently.Patrick O’Donovan , Elizabeth’s first ten years as Queen(1962) in Brian Harrison, Britain Observed 1945 to thepresent day,Bologna, Zanichelli 1984, p.20.

Elisabetta II in rete.www.royal.gov.uk---(The Official Web Site of the BritishMonarchy)www.youtube.com/theroyalchannel (The Official Channelof the British Monarchy, attualità e filmati d’epoca)

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1953Sommossa degli italiani a Trieste (allora

Territorio Libero di Trieste).

ITALIA - Nel novembre del 1953 Trieste, città di con-fine della guerra fredda ancora sottoposta all’occupa-zione angloamericana, è stata luogo di una serie discontri tra i cittadini che chiedevano l’unione all’Italiae la Polizia civile che agiva sotto il comando alleato. Ilbilancio è stato di sei morti e decine di feriti.

La tribuna illustrata, 15 novembre 1953 Collocazione: PER 3076 –Sale PERIODICI

En septembre 1953, le gouvernement italien Pel-la, de centre droit, craignant que la Yougoslavie n’an-nexe definitivament la zone B, envoie des troupes à lafrontière et demande une consultations populaire dansles deux zone. En faisant monter la pression il espèresans doute provoquer un sursaut des Italiens da lazone B. Or cette tension grandissante provoque aucontraire une nouvelle vague d’exilés (dall’Istria) .

Pella fait comprendre aux Américains que la ratifi-cation de la Communauté europeenne de défense parl’Italie serait facilitée par une solution de la questiontriestine. Le 8 octobre, malgré les protestations deTito, les Alliés s’engagent à confier l’administrationde la zone A à l’Italie. Cette décision, qui implique enfait que la zone B reste yougoslave, ne suffit pas àcalmer le mécontentement de la majorité des Tries-tins.

Gilbert Bosetti, DE Trieste à Dubrovnik. Une ligne de frac-ture de l’Europe, Grenoble, ELLUG, Université Stendhal2006, pp.365–366.

Il capoluogo giuliano (allora Territorio Libero diTrieste sotto controllo alleato) stava vivendo infattiuna fase di estrema tensione, in cui l’incertezzaobiettiva della situazione, la politica ondeggiante deigoverni alleati , la speranza, subito sfumata, di un ra-pido ritorno all’amministrazione italiana costituiva-no una miscela esplosiva di cui il GMA (GovernoMilitare Alleato) era ben consapevole e a cui inten-deva far fronte con qualsiasi mezzo. L’innesco – pe-raltro largamente previsto – fu costituito dalle mani-festazioni patriottiche organizzate dalle forze filota-liane in occasione delle celebrazioni del 3 novembre(anniversario dell’entrata delle truppe italiane a Trie-ste nel 1918) e del 4 novembre (festa della vittorianella Grande Guerra).

Per comprendere la rigidità dell’atteggiamento te-nuto nell’occasione dal GMA e la durezza della re-pressione, va tenuto presente che il comandante delgoverno militare alleato, che abbiamo già visto diffi-dare profondamente degli italiani, si convinse di tro-varsi in presenza di un preordinato tentativo italianodi minare la sua autorità, al fine di giustificare l’in-gresso delle truppe italiane come unica garanzia peril mantenimento dell’ordine pubblico. Così probabil-mente non era , ma la presunzione di una minacciasuperiore alla realtà portò a stroncare con le armi itumulti che, iniziati il giorno 4, proseguirono il gior-no 5 con una serie di manifestazioni studentesche chela “polizia civile”, agli ordini degli ufficiali britanni-ci, disperse aprendo il fuoco sulla folla. Si ebberocosì i primi due morti, e ciò non fece che aggravarela situazione. Il giorno successivo, 6 novembre, le di-mostrazioni presero la forma di una vera e propriaguerriglia urbana culminata nel lancio di bombe con-tro le forze di polizia, che a loro volta aprirono ripe-tutamente il fuoco uccidendo altre quattro persone.Raoul Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foi-be, l’esilio, Milano, Rizzoli 2005, pp.182 – 183.

Sono quattro giorni da incubo quelli che la cittàgiuliana (Trieste ) vive dal 5 all’8 novembre. (…) Laguerra era finita da otto anni, Giuseppe Pella era ap-pena succeduto ad Alcide De Gasperi al governo diun Paese in piena ricostruzione, anzi avviato al boomeconomico, da lì a pochi mesi sarebbero cominciatele trasmissioni della tv nazionale. Eppure Trieste dal1945 era retta da un governo militare alleato. Dueschieramenti si contrapponevano: il blocco occiden-tale che vedeva nella città l’ultimo baluardo da difen-dere, e quello comunista con le pretese della Iugosla-via di Tito di annessione fino all’Isonzo. Anche ilterritorio giuliano risultava spaccato in due: le zone

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A e B ,sotto la giurisdizione italiana e iugoslava. In-somma un bel pasticcio. (…)

Il 5 novembre (in occasione della festa per la vit-toria) viene indetta una manifestazione colorata dibianco, rosso e verde. Winterton ( comandante mili-tare inglese) ha paura che la situazione possa sfug-girgli di mano. Scoppiano i primi incidenti. Moltepersone si rifugiano nella chiesa di Sant’AntonioNuovo, ma gli ordini sono precisi: «Reprimere dura-mente». Così gli uomini del nucleo mobile non esita-no ad entrar nel tempio, utilizzando persino gli idran-ti per disperdere la folla. (…) E’ fuori dal sagrato cheaccade l’irreparabile: spari ad altezza d’uomo, le pri-me due vittime in terra, tra le quali il quattordicennePierino Addobbati.

Il giorno successivo è l’inferno. Nuovo corteo,non mancano i provocatori di estrema destra, si so-spetta armati di bombe. Prima viene assalita la sededel Fronte dell’Indipendenza del libero Stato giulia-no, da tempo infiltrato da sostenitori dell’annessionedi Trieste alla Iugoslavia. Poi ci si dirige in piazzaUnità. La polizia spara dal Palazzo del Governo: altriquattro morti. Fra questi, pure estranei, come il ma-rittimo Erminio Bassa, che stava recandosi al Lloydper la pensione. A riportare la calma, il 7 novembre,pensano gli americani , che affluiscono in massa ver-so il centro, mentre in giro non si vede più né un in-glese né un agente del nucleo mobile.Sandro Mangiaterra, E il generale inglese ordinò: “Spara-te agli italiani”, in “Panorama”, 31 ottobre 2003.

Trieste italiana in rete.www.triesteitaliana.it (sito della Lega Nazionale di Triesteper la difesa dell’ “italianità”, con ampia documentazionestorica).

1954A Ribolla (Grosseto) muoiono 42 minatori

in una miniera di lignite.

ITALIA - Alle 8.40 del 4 maggio 1954, nella miniera diRibolla, piccolo centro della Maremma toscana, un'e-splosione di grisou ha provocato la morte di 43 minato-ri. E’ la più grave sciagura mineraria in Italia dal do-poguerra.

L'Unità, 6 maggio 1954Collocazione: ZB 163 Dall’EMEROTECA

A Ribolla infatti le case sono sparse in disordine,senza un vero e proprio tracciato urbano, case grigiee poco accoglienti, anche quelle degl’ impiegati e deldirettore, e l’impressione prima è che non siano maistate nuove, anche se risalgono a pochi anni or sono.Sparso qua e là materiale di miniera, travi , legnamida armatura, detriti, in una campagna brulla, senzapiù una fresca nota di verde. I castelli dei pozzi sor-gono a poca distanza dall’abitato. Al centro della vitaurbana la grossa costruzione littoria dello spaccioaziendale, del bar e del circolo. Ma più dello squallo-re del luogo ci colpì l’atmosfera di tensione che vi re-gnava. Le strade polverose e disuguali erano pattu-gliate da coppie di carabinieri coi sottogola abbassatie il mitra a bracc’arm. Davanti al magazzino dellelampade di sicurezza, un altoparlante avvertiva viavia gli operai dei pericoli della miniera, leggeva lemulte e le punizioni. (…)

Si seppe della sciagura (di Ribolla) la mattina del4 maggio: era stato verso le 8 e mezza, un’esplosioneal Camorra, un’esplosione spaventosa; avevano vistouna gran nube di fumo uscire dalla bocca del pozzo,un boato sordo.(…) La direzione della miniera nonfu in grado di portare subito i primi soccorsi e neppu-re di indicare che cosa si dovesse fare; fino alle diecinon dette nemmeno l’ordine di abbandonare il lavoronegli altri cantieri. Fu organizzata qualche squadra disoccorso, più che altro per lo slancio appassionatoma sprovveduto degli operai. Un gruppo che scese

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immediatamente nel pozzo Raffo dovette uscirnefuori sotto la minaccia di un nuovo immediato peri-colo: i soccorritori risalivano pallidi, semisvenuti,con sul volto i primi segni di intossicazione da ossidodi carbonio. (…)

I primi morti uscirono dal Camorra verso le cin-que del pomeriggio; l’opera di soccorso, o meglio, diraccolta delle vittime, continuò per tutta la notte. (…)

La mattina del 7, mentre là sotto continuavano acercare, si fecero i funerali: 37 bare; due altri cadave-ri attendevano ancora di essere identificati e compo-sti. Si precisava il numero delle vittime: 42. Tre era-no ancora sepolti da una frana.(…)

Le bare erano poi allineate nella sala del cinemadi Ribolla, trasformata in camera ardente: sopra ognibara c’era l’elmetto di materia plastica che i minatoriusano nei lavori del sottosuolo; in fondo alla sala,proprio sotto lo schermo, molte bandiere rosse fian-cheggiavano una specie di altare: all’ingresso del ci-nemaprestavano servizio d’ordine squadre di operai,che avevano sostituito gli agenti di pubblica sicurez-za.

Ai funerali parteciparono non meno di cinquanta-mila persone: pronunciò il discorso funebre il Sinda-co di Roccastrada, poi parlarono Giuseppe Di Vitto-rio, l’on. Pastore e il dott. Viglianesi. Prese breve-mente la parola anche il ministro del Lavoro, on. Vi-gorelli.Luciano Bianciardi, Carlo Cassola, I minatori della Ma-remma, Milano, Hestia 1995, pp.133, 155 – 158.

La prima volta che Bianciardi visita la vecchia mi-niera di Ribolla, sta scrivendo per le pagine regionalidell’ “Avanti!” una inchiesta in più puntate sulla con-dizione di vita dei minatori. Ribolla è una miniera dilignite che la Montecatini sta smobilitando: solo duepozzi su cinque sono rimasti in funzione e durantel’ultimo sciopero contro i licenziamenti, aprile 1953,i minatori asserragliati sono stati tirati fuori incatena-ti dai carabinieri, “per dare l’esempio”. Le condizionidi lavoro sono durissime: nelle gallerie la temperatu-ra oscilla tra i 34 e i 42 gradi, l’acqua che circola neisistemi di ventilazione, evaporando, si trasforma inumidità soffocante.(…)

L’inchiesta (sulla tragedia di Ribolla), due annipiù tardi, accertò che l’esplosione di grisù era avve-nuta in una galleria periferica, a 265 metri di profon-dità. Il sistema di ventilazione era stato bloccato perdue giorni, l’1 e il 2 maggio. Il giorno 4, nonostantele proteste dei minatori che temevano un accumulo digrisù nelle gallerie più distanti, i responsabili dellaminiera avevano assicurato che si poteva scenderesenza pericolo. Ma la ventilazione non aveva affattoripulito l’aria dal gas esplosivo. Questo stabilì il lun-go processo che condannò la Montecatini a pagare unindennizzo per ogni morto ammazzato. Ma la verità,

prima che nell’aula giudiziaria, era stata raccontatanegli articoli di Bianciardi e Cassola sull’ “Avanti!”e sul “Contemporaneo”Pino Corrias, Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardia Milano, Milano, Baldini & Castaldi 1993, pp.51 -52.

Ribolla in rete.www.ribollastory.net (ampia documentazine sulla tragediadi Ribolla)www.ribolla2004.it (Sito del 50° annivderasario della tra-gedia, Comune di Roccastrada, GR, incui si trova la frazi-ne di Ribolla).www.lucianbianciardi.it (sito dedicato allo scrittore gros-setano).

1954Muore Alcide De Gasperi.

ITALIA - Il 19 agosto 1954 Alcide De Gasperi muorenella sua casa di Sella di Valsugana, dove amava tra-scorrere lunghi periodi assieme alla famiglia. Primaesponente del Partito Popolare Italiano e poi fondatoredella Democrazia Cristiana, verrà considerato come ilpadre fondatore dell'Unione Europea insieme al fran-cese Schuman e al tedesco Adenauer.

DE GASPERI, Alcide. La speranza tenace dei vivi.Roma, Firigere, 1952. Con una nota di Oreste Mosca e di Ernesto Ugo GramazioCollocazione: MOS.I.O.I.18/MOS.I.O.I.19–Dal Fondo Ore-ste MOSCA

Dopo il 1953 molte cose cambiano. Non solo en-

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tra in crisi il centrismo, entrano anche in crisi unacerta concezione e una certa struttura della Democra-zia cristiana. Inizia un processo che approderà al cen-tro – sinistra e nel corso del quale la DC si trasformada partito di notabili in partito di massa, da partitoconfessionale in partito laico, da strumento di organiesterni (la Chiesa, la Confindustria) in centro di pote-re dotato di una sua autonomia: ma non mutano ilruolo e la linea politica generale della Democraziacristiana.

Il primo grande cambiamento di scena è costituitodalla sconfitta di De Gasperi al Congresso di Napolidel 1954 e dall’ascesa di una nuova classe dirigenteguidata da Fanfani. Giuseppe Tamburrano, L’iceberg democristiano. Il poterein Italia oggi domani, Milano, Sugarco 1974, p.68.

Nell’ultima lettera inviata a Fanfani, pochi giorniprima della morte, nell’agosto del 1954, De Gasperirivolgeva alla democrazia cristiana un supremo mo-nito: quello di non lasciarsi più «avvinghiare in futu-ro dalle spire dell’alternativa tradizionale fra guelfi-smo e ghibellinismo». Commentando le “occasionimancate” dei cattolici negli ultimi cinquant’anni del-la vita italiana, il vecchio presidente osservava che lascarsa influenza di uomini come Toniolo sulla gene-razione precedente andava addebitata al fatto che essierano riusciti solo a riprendere le vie dell’azione so-ciale, ma non a superare le barriere del contrasto sto-rico fra cattolicesimo e liberalismo, i limiti dello“steccato politico” fra laicismo e clericalismo. «Il no-stro sforzo più tardi» aggiungeva De Gasperi «fuquello di sfuggire alla stretta. Non ci siamo riusciti,ma ad un certo punto la DC divenne un movimento,un partito italiano, al di sopra dello storico conflitto.Teniamolo a mente…». In quel consiglio, in quel-l’ammonimento, De Gasperi riassumeva le linee fon-damentali della sua politica. Per sfuggire alla ripresadell’anticlericalismo, per consolidare la pace religio-sa, lo statista, ormai alla vigilia della morte, non ve-deva che una strada: l’incontro fra i cattolici e lo Sta-to nazionale sul terreno politico, sul piano degli ordi-namenti democratico- parlamentari, al di fuori diogni tentazione esclusivistica, di ogni velleità cleri-cale e intollerante.Giovanni Spadolini, Gli uomini che fecero l’Italia. II. IlNovecento, Milano, Longanesi 1972, p.250.

Il 19 agosto, De Gasperi morì a Sella di Valsuga-na. Aveva settantre anni. Il paese salutò con commo-zione e rispetto la morte dello statista che in anni dif-ficili aveva guidato con mano ferma la politica italia-na. Il viaggio della salma da Trento a Roma fu salu-tato dal commosso omaggio di migliaia e migliaia dicittadini lungo il percorso.

La sua morte segnava la fine di un periodo impor-

tante della nostra storia nazionale. Segnava la fine diun’Italia che, uscita dalle rovine materiali e morali diuna guerra tragica e disastrosa, aveva ricominciato alavorare, a ricostruire le sue strade, i suoi ponti, lesue industrie, a produrre e a commerciare, a rimetterein piedi le strutture di uno Stato, a darsi una costitu-zione ispirata ad una democrazia aperta e sensibilealle esigenze sociali del paese, interpretando le diver-se anime politiche che attraversavano la sua storia.Francesco Malgeri, La stagione del centrismo. Politica esocietà nell’Italia del secondo dopoguerra (1945 – 1960),Soneria M., Rubbettino 2002, p.177.

Nella notte fra il 18 e il 19 agosto 1954 muore aSella di Valsugana Alcide De Gasperi, grande prota-gonista della storia italiana del dopoguerra. Si eraraccomandato che gli girassero il letto in modo dapoter vedere fino all’ultimo le sue montagne: se neva povero come è sempre vissuto. Nato a Pieve Tesi-no nel Trentino allora austro – ungarico il 3 aprile1881, è stato il cireneo volontario della vita politicaitaliana, un uomo giusto e pio, il presidente della ri-costruzione che, come scrisse Giovanni Spadolini,«Seppe conciliare la fede con la patria». Marco Innocenti, 19 agosto 1954: la scomparsa di AlcideDe Gasperi, in “Il Sole 24 Ore”, 14 agosto 2008.

De Gasperi in rete.www.fondazionedegasperi.it (fondazione Alcide De Ga-speri, via Pavia 1, 00161 Roma).www.degasperi.it (Alcide De Gasperi nella storia d’Euro-pa, progetto di ricerca dell’Istituto Luigi Sturzo; guida allefonti e scheda sul Museo Casa De Gasperi, via De Gaspe-ri, 38050 Pieve Tesino TN).www.iue.it/ECArchives (Istituto Universitario Europeo,Firenze, Archivi Storici dell’Unione Europea, Archivio DeGasperi).

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1955Esce il primo numero del settimanale

“L’espresso”.ITALIA. Esce il primo numero de “L’Espresso”

L'espresso: settimanale di attualità e di politica. - A. 1, n.1 (2 ott. 1955) - Roma : Nuove edizioni romane, 1955Collocazione: PER 51 –Sale PERIODICI

“L’espresso” esce alla fine di settembre (la dataesatta è 2 ottobre 1955) in un formato lievemente in-feriore a quello tradizionale dei quotidiani, ha 16 pa-gine e costa 50 lire. Nella nota di presentazione silegge: «I promotori di questo giornale ritengono chel’assoluta indipendenza dela stampa sia il fondamen-to più solido del regime democratico (…) ». Gli edi-tori del nuovo giornale sono Arrigo Olivetti, CarloCaracciolo e Roberto Tumminelli, che ne è anche lostampatore e che ha convogliato nell’operazione ilsuo rotocalco “Cronache”, diretto da Antonio Gam-bino. Arrigo Benedetti, che ha Gambino come caporedattore, riunisce vecchi colleghi e collaboratori, trai quali Manlio Cancogni, Eugenio Scalfari, GiancarloFusco, Alberto Moravia, Sandro De Feo, VittorioGorresio, Nicola Adelfi, Sandro Volta, e ne trova dinuovi. Presto sarà raggiunto anche da Camilla Ceder-na.

(…) Rievocando quei giorni e quei propositi diecianni dopo, Benedetti scrive: «dovemmo, poco a

poco, imparare un nuovo mestiere, cioè in che modosi fa un settimanale in una capitale, come si mescolaalla politica, come ci si difende dalle sue terribili im-plicazioni” (…).

Poco dopo la pubblicazione dell’”Espresso” , lasinistra liberale esce dal partito, ormai saldamentenelle mani di Malagodi, e dà vita al partito radicale,di cui il settimanale di Benedetti, insieme col “Mon-do” diventa l’espressione.

A dicembre, dopo i primi numeri che tradiscono laricerca di una formula e di contenuti nuovi, “L’e-spresso” balza all’occhio dell’opinione pubblica conla denuncia delle speculazioni edilizie a Roma. Capi-tale corrotta = Nazione infetta, è il titolo slogan delprimo articolo di Manlio Cancogni sul numerodell’11 dicembre. In questo articolo e nel successivo(22 gennaio 1956) , scritti nello stile di una vera epropria accusa pubblica, si denunciano numerosi casidi malcostume e di corruzione legati alla compraven-dita di aree fabbricabili. Paolo Murialdi, La stampa italiana del secondo dopoguer-ra 1943 – 1972, Bari, Laterza 1973, pp.298 – 300.

L’incontro tra noi e Adriano Olivetti fu uno diquei fatti del tutto occasionali, assolutamente nonprevedibili nell’economia d’un destino di gruppo, ep-pure determinante come pochi altri incontri sono statinei trentacinque anni di questa vicenda. (…) Quel-l’incontro avvenne a Ivrea, nella primavera del 1955.Eravamo andati a trovarlo, Arrigo Benedetti ed io,per proporgli di dar vita ad un quotidiano nazionaleche volevamo, appunto, chiamare “L’Espresso”.

Perché Adriano Olivetti ? Perché era un industria-le facoltoso? Amante della cultura ? Mecenate dispo-nibile? Animatore e organizzatore di energie intellet-tuali ? (…) Adriano aveva un bisogno inesauribile ditentare nuove avventure, scoprire nuove frontiere,aprire strade su terreni incolti, per il semplice gustodi futuro, indipendentemente dal fatto che fosse unfuturo a lui estraneo o a quello da lui vagheggiato.(…)

Alcuni mesi dopo , “L’Espresso” (non quotidiano,ma settimanale) già fondato con discreto successo ,tra Adriano e noi sopravvenne una crisi, poiché nonriuscì a persuaderci delle sue ragioni e ad ottenerel’appoggi del giornale al movimento di “Comunità”da lui creato e guidato; decise allora di ritirarsi , la-sciando “L’Espresso” nelle mani nostre e in quelle diCarlo Caracciolo, senza null’altro pretendere che lanostra amicizia e la nostra stima.Eugenio Scalfari, La sera andavamo in Via Veneto. Storiadi un gruppo dal “Mondo” alla “Repubblica”, Milano,Mondadori 1990, pp.46 – 48.

Il giornale si fa conoscere attraverso grandi cam-pagne contro la corruzione: in particolare denuncia

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l’alleanza tra la Democrazia cristiana e la grande spe-culazione, anzi – mi correggo – tra il Vaticano e lagrande speculazione edilizia: i quartieri dormitorio,quartieri nei quali sono costruite case per 600 milapersone , in tutta la zona dietro Monte Mario, versol’Aurelio, dietro San Pietro. Feci un’indagine nel ’70da cui risultava che nel 1870 per andare dal Tevereverso Monte Mario c’erano quattro strade, perché laspeculazione immobiliare aveva “inghiottito” laquarta; ma mentre un secolo prima a Monte Marioc’erano duemila anime (così le definiva la statisticadel tempo), gli abitanti erano diventati 300 mila, 600mila con le altre zone circostanti.Carlo Vallari, La sinistra liberale nell’epoca dc,in Societàe industria culturale in Italia, a cura di Mario Morcellini ePaolo De Nardis, Roma, Meltemi 1998, pp.89 – 90.

L’Espresso in rete.www.espresso.repubblica.it (sito ufficiale del settimanaleappartenente al gruppo editoriale La Repubblica–L’E-spresso).

1956Nikita Kruscev pronuncia , al XX

Congresso del PCUS, il suo “rapportosegreto” contro i crimini di Stalin.

URSS – Nikita Khrušc?v stupisce i delegati del XXCongresso del PCUS il 25 febbraio 1956 col suo famoso"discorso segreto" in cui denuncia il culto della perso-nalità di Stalin e i crimini commessi durante la GrandePurga.

I documenti segreti del 20. congresso del PCUS. Roma,CID, [s.d.]. Testo integrale del rapporto di Krusciov. Testamento ine-dito di Lenin e dossier di tutta la relativa corrispondenzasegreta. - In appendice: Prontuario dei personaggi men-zionati nei testi. Documentazione della corresponsabilitàdei capi del PCI e del PSI con Stalin e loro attuale autocri-ticaCollocazione: GER.TA.III.79 –Dal Fondo Virginia GER-VASINI:

In Urss, scelta la strada della direzione collegialeper sostituire Stalin (Malenkov, Molotov, Beria, Mi-koyan, Bulganin, Kruscev) finì per emergere comesegretari del partito – il ruolo più importante – NikitaKruscev. L’affermazione del nuovo leader della no-menklatura sovietica, fu promettente. Si verificaronopresto il ritiro russo dall’Austria in cambio dell’im-pegno occidentale alla neutralità di quello Stato e losvolgimento di una conferenza a Ginevra sul proble-ma tedesco, per quanto senza accordi tangibili, salvogenerici impegni alla discussione delle questioni eu-ropee. Si aggiungevano la riconciliazione con la Ju-goslavia e lo scioglimento del Cominform.Fabio Bertini, Risorse, conflitti , continenti e nazioni, Fi-renze, Firenze University Press 2006, p.117.

“L’indimenticabile 1956”: così l’avrei chiamato,anni dopo, in un discorso alla Camera. (…)Da lontano (…) avevamo seguito dal giornale (l’Uni-tà) le mutazioni e le nuove lotte intestine che segna-vano quell’impero sovietico, privato del suo leggen-dario capo (Stalin), e le mosse nuove messe in campodai successori. (…) . Presto vedemmo quella nuovacoppia – Chruscev e Bulganin (ma di quest’ultimosapevamo davvero assai poco) – sviluppare ardita-mente l’iniziativa verso l’Oriente; e prima di tuttosaldare una cruciale alleanza con Mao e dare aiuto aHo Chi Minh, che in Vietnam già aveva cominciato aricacciare i francesi, ornai in ritirata dopo secoli didominio imperialista.

E proprio mentre l’Oriente del globo viveva que-sta nuova stagione, all’inizio del ’56 venne il XXCongresso del Pcus. (…) Il XX Congresso sovietico,nei suoi modi, registrò queste grandi novità , ma-con sorpresa di tutti – mise al centro in modo bru-ciante il soggetto –protagonista che sembrava addi-rittura sacro: l’Urss e soprattutto Stalin, quel suocapo leggendario , che aveva sconfitto Hitler e s’eraappena spento. (…)

Si seppe che in quelle sale del Cremlino , a con-gresso ormai chiuso, s’era tenuta una seduta speciale

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in cui Chruscev in persona aveva letto una relazionesuppletiva, che subito mise in subbuglio il mondo.Formalmente era un rapporto scarno e violento chemetteva sotto accusa il “culto della personalità” pra-ticato da Stalin e sfruttato spregiudicatamente daisuoi collaboratori più stretti, Beria prima di ogni al-tro. Di fatto era una denuncia cruda e feroce dei de-litti che avevano accompagnato tutto il cammino delgrande dittatore. (…) E poi l’evento aveva avuto unosviluppo fulminante: aveva scatenato una tempestanelle famiglie delle vittime del terrorismo stalinista,ed era subito scattata una febbre. Si denunciavano leviolenze e le frodi compiute dal vertice stalinista. Siinvocavano riabilitazioni. Venivano nettate dalla pol-vere anche le carte di processi lontani. Insomma eratutto un mondo che rialzava la testa e chiedeva risar-cimento: nel Paese attonito e sconvolto.Pietro Ingrao,Volevo la luna, Torino, Einaudi 2007, pp.230–232.

Lo sgretolamento del blocco comunista cominciòcon la morte di Stalin nel 1953, ma specialmente congli attacchi ufficiali all’epoca stalinista in generale e,più cautamente, alla stessa persona di Stalin, duranteil XX Congresso del PCUS nel 1956. Anche se il di-scorso di Chruscev era rivolto soltanto a un ristrettogruppo di dirigenti sovietici – i comunisti degli altripaesi non furono ammessi ad ascoltare la sua relazio-ne – ben presto trapelò la notizia che il monolito so-vietico si era infranto. Gli effetti nella regione del-l’Europa dominata dai sovietici furono immediati.Nel giro di pochi mesi si costituì in Polonia una nuo-va direzione comunista di stampo riformistico, paci-ficamente accettata da Mosca (probabilmente grazieal consiglio dei cinesi) e in Ungheria scoppiò una ri-voluzione. Qui il nuovo governo, capeggiato da ImreNagy, un altro comunista riformista, annunciò la finedel sistema monopartitico: un provvedimento che isovietici avrebbero potuto anche tollerare (le loroopinioni in merito erano divise). Ma il governo Nagyproclamò anche il ritiro dell’Ungheria dal Patto diVarsavia e la neutralità futura del paese: un gesto chei sovietici non accettarono. La rivoluzione fu repres-sa dall’esercito russo nel novembre 1956. Eric J.Hobsbawm, Il secolo breve 1914/1991, Milano,Rizzoli 2000, pp.464–465.

Lo stesso giorno (4 giugno) , a migliaia di chilo-metri di distanza il “New York Times” pubblicava iltesto integrale del rapporto segreto di Kruscev suicrimini commessi da Stalin. Il fattoquesta volta nonpoté essere messo a tacere in Ungheria. Radio Euro-pa Libera lo trasmise e ritrasmise in continuazione , igiornali comunisti dell’Occidente non poterono farea meno di darne notizia ; attraverso gli altri giornalioccidentali , che arrivavano nelle varie sedi delle ac-

cademie e degli istituti culturali stranieri presenti aBudapest, il testo krusceviano passò di mano inmano degli intellettuali , degli studenti, dei membridel partito, poi di tutti gli ungheresi. La notizia delrapporto segreto, finalmente noto per intero, si diffu-se a macchia d’olio, confermando ciò che, nonostan-te la reticenza del partito, era già di dominio pubblicoda mesi. In tutti i Paesi satelliti dell’Urss le conse-guenze non si fecero attendere molto. Dovunque,come e quando era possibile, si susseguirono dibattititra gli intellettuali , gli operai e gli studenti.Roberto Ruspanti, Quel treno per Budapest, Soneria M.,Rubbettino 2002, pp.85 – 86.

È probabile che la mossa del segretario generale(Kruscev) rispondesse a un preciso obiettivo politico.Il leader sapeva che la formula della direzione colle-giale, decisa dopo la morte di Stalin, lo avrebbeesposto, prima o dopo, a qualche congiura di palaz-zo. Per conquistare un potere indiscusso e incontesta-to doveva dare scacco alla vecchia guardia. Tutti imembri del Presidio erano stati, in un modo o nell’al-tro, complici del dittatore defunto, ma l’immaginedel purificatore avrebbe permesso a Kruscev di ca-valcare il processo di “destalinizzazione” e di eserci-tare sugli altri una sorta di ricatto permanente. Fuun’audace scommessa. Ma si rivelò vincente quandoun anno e mezzo dopo, nel giugno del 1957, potésbarazzarsi del “gruppo antipartito”, costituito daMalenkov, Molotov, Kaganovic e Shepilov. Sergio Romano, Il rapporto sui crimini di Stalin: la ver-sione di Kruscev, in “Corriere della Serra”, 1 settembre2007.

Il rapporto Kruscev in rete.www.lastoriasiamonoi.rai.it (Programma Dossier Il rap-porto Kruscev al XX Congresso).

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1957Nasce la Fiat 500.

ITALIA - Nasce nel 1957, la Fiat 500 con la denomina-zione di Nuova 500, per distinguerla dalla 500 Topolinodel 1936. Questa piccola vettura cambierà la storia deitrasporti e sarà una delle vetture che scriverà la storiadell'automobile.

Enciclopedia dell’Automobile, Milano, Fabbri, 1967 Collocazione: Biblioteca dei ragazzi – Collezione Librid’oro Donazione Lo Bello

Dopo la 600, il 2 luglio 1957 la Fiat presenta aTorino anche la 500, nuovo modello che costa ini-zialmente 480 mila lire ed è largo poco più di un me-tro. Fino all’esordio della 600, l’unico mezzo abbor-dabile per muoversi era lo scooter, Vespa o Lambret-

ta, o altre motociclette prodotte da una delle 157 casecostruttrici. Nel 1955 solo un italiano su 77 possiedeun’autovettura, nel 1963 uno su 17, anno in cui si veri-fica il sorpasso numerico ai danni dei motoveicoli.(…)

Per un ventennio i chilometri di autostrada in Ita-lia sono in tutto 479, concentrati nel triangolo indu-striale formato da Torino, Milano, Genova. Il salto diqualità di compie con la costruzione della Milano -Roma–Napoli, l’autostrada del Sole, un’arteria lunga755 chilometri i cui lavori iniziano nel 1956 e sonoultimati nel 1964. Davide Fantino, In marcia verso le vacanze, in Il boomeconomico. La trasformazione dell’Italia 1956–1963,Roma, l’Unità 2003, p.39.

La gamma dei piccoli regali di compleanno fuestesa alle cianfrusaglie che riempivano le vetrine deinegozi di accessori (per automobili): il coprivolante,il pomolo fantasia del cambio, il barattolino di verni-ce per dipingere di bianco il fianco elle ruote, il por-tachiavi con il teschio d’avorio, la bambolina di pan-nolenci da appendere allo specchietto retrovisore, ilportacenere cromato o in finta pelle da calamitare alato del cruscotto, la targhetta di San Cristoforo conlo spazio per una piccola fotografia, i guanti di cordacon le mezze dita per la guida sportiva, la carta delTouring club con le nuove autostrade.Gian Franco Vené, Vola colomba. Vita quotidiana degliitaliani negli anni del dopoguerra 1945 – 1960, Milano,Mondadori 1992, pp.249 – 250.

Pochi mesi dopo acquistai a rate la 500. Andai aNapoli, da un concessionario di Secondigliano, ami-co di un mio parente esperto di auto. Il parente, aiuta-to dal concessionario, mi spiegò che, dovendo sce-gliere tra la 500 normale e quella speciale di catego-ria L, cosa che significava lusso, era meglio optareper lo special che ti dava una dignità – a te guidatoreseduto al posto di guida – che la normal non ti potevadare. All’epoca – va detto – non mi concedevo nes-sun lusso. Pensavo, anzi, che il possesso del super-fluo potesse essere conseguito, volendo, solo quandotutti, ma proprio tutti sul pianeta, avrebbero avuto ilnecessario. Già possedere un' auto mi sembrava uncedimento: possedere la L mi parve decisamente unacolpa. E tuttavia – si sa come vanno queste cose – acedimento segue cedimento, a vanità s’aggiunge va-nità – dissi: va bene, se avevo fatto tenta potevo faretrentuno. Insomma acquistai la 500 L. Domenico Starnone, La retta via. Otto storie di obiettivimancati, Milano, Feltrinelli 1996, p.72.

Tutto questo per dire che io giravo con una FIATCinquecento grezzissima, marrone, truccata, con pa-raurti dorati, che faceva un rumore infernale e avevail cofano motore semi aperto per farci stare il carbu-

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ratore: fregava in ripresa, ai semafori, le auto ben piùgrosse. (…)

Ma la Cinquecento non serviva solo a portarmi ingiro ma anche per trascorrere qualche momento diintimità con la ragazza, non potendomi permettere,come altri, alcove diverse e costose, i classici scanna-toi, che erano ancora fuori della nostra portata, robada grandi.Guido Zanobbi, In questo bar non consuma nessuno, Ri-mini, Fara , p.106.

Le tappe “classiche” sono la comparsa della Sei-cento nel 1955 e della Cinquecento nel 1957, ma nonva sottovalutata un’altra svolta , di tre anni dopo: èdeterminata anch’essa da una scelta delle aziendeproduttrici, che ribassano il costo delle medie cilin-drate per superare una fase dominata dalle autovettu-re più piccole: Il prezzo della 1100 Fiat è portato ameno di 900.000 lire, e l’Alfa risponde con abbassa-menti di prezzi che riguardano anche le più costose “Giuliette ”.Guido Crainz, Storia del miracolo italiano, Roma, Don-zelli 2005, p.141.

La Fiat Cinquecento in rete.Numerosissimi i siti dei vari club della Cinquecento in Ita-lia, fra questi uno dei miglioriwww.500clubitalia.it (Fiat 500 Club , fondato nel 1984,comprensivo di un museo virtuale, visitabile, della 500,via Roma 90, Garlenda, SV).

1958Inizia il pontificato di Giovanni XXIII.

CITTA’ DEL VATICANO - È stato eletto il 28 ottobre1958 Papa Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncal-li), quale 260º successore di Pietro. Sarà ricordato conl'affettuoso appellativo di «Papa buono».

Corriere della sera, 30 ottobre 1958Collocazione: ZB 18 Dall’EMEROTECA

Il treno da Venezia giunge a Roma Termini chesono le 18 del 12 ottobre. E’ la stazione di arrivo diun viaggio lungo 77 anni .(…) Da Sotto il Monte ilpercorso porta al conclave, dalle campagne della ber-gamasca al consesso dei principi della Chiesa chia-mati a decidere il successore di Pietro. L’imbrunireavvolge la capitale. Cala l’ora che invita al ritiro e al-l’ascolto. Il segretario Loris Capovilla accompagna ilcardinale Roncalli, là dove, per adesso alloggeranno,sull’Aurelia, alla Domus Mariae. In silenzio aiuta ilsuo vescovo a portare il peso di quanto sta per acca-dere.(…)

Roma e il Vaticano è un pullulare di voci, chestanno facendo il giro del mondo. Il 20 Roncalli scri-ve ancora alla nipote Enrica per ragguagliare i fami-liari, “che non credano alle chiacchere dei giornali”.(…) Gli interrogativo su chi sarà il nuovo papa ac-cendono le fantasie delle redazioni ed entrano in unavvenimento certo di richiamo; ma si tratta dell’ele-zione di un pontefice, tutto sommato un fatto un po’

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marginale rispetto ai tanti e variopinti argomenti del-la cronaca.(…) Matura l’ipotesi di un papa di “transi-zione”, di una personalità cioè che assicuri il passag-gio da una situazione bloccata, quale quella venutasia creare con gli ultimi anni di papa Pacelli , a un fu-turo ancora tutto da definire e da sperimentare. Ilnome di Roncalli, insieme a quello dell’armeno Aga-gianian, Proprefetto di Propaganda Fide, sembranocandidati ideali per molti, per l’età, per il curriculumecclesiastico che non li ha visti troppo schierati , perla personalità che l’immagine collettiva ha ricono-sciuto in loro: di alta considerazione , ma senza puntedi spicco. (…)

La Cappella Sistina accoglie i cardinali. È lì chequesti decidono. La maggioranza richiesta è di alme-no 35 voti, i due terzi più uno. Sotto l’affresco di Mi-chelangelo, che raffigura Dio che si china sull’uomoe gli sfiora la mano per chiamarlo alla vita, verràeletto il nuovo capo della Chiesa cattolica. (…)

Prevalse l’immagine di un candidato mite e dialo-gante. Tornava in auge la figura mitica di Pio X:buono, sant’uomo, non teologo di professione néconsumato giurista. I cardinali volevano contare dipiù, intrattenersi più frequentemente col Papa. Lascelta doveva compiersi in una ristretta rosa di nomi.(…) Roncalli è eletto dunque.(…) Annota sul diarioil resoconto delle ore precedenti il voto decisivo:“(…) Si direbbe un sogno, ed è, prima di morire, larealtà più solenne di tutta la mia povera vita”.Marco Garzonio, E venne un uomo chiamato Giovanni,Milano, Rizzoli – Corriere della Sera 2000, pp.166 – 175.

A Roma il cardinal Roncalli alloggiò alla DomusMariae. Prese parte alle Congregazioni generali inpreparazione del conclave. Il suo segretario lo videpresto turbato perché si faceva con insistenza il suonome come il più probabile fra i candidati alla suc-cessione di Pio XII.

«Lei potrebbe essere il nuovo papa» gli disse ilcard. Elia Della Costa, arcivescovo di Firenze.E Roncalli «Vostra Eminenza dimentica che ho set-tantasette anni».«Dieci anni meno di me» ribatté l’arcivescovo di Fi-renze « dieci anni bastano a un papa».Alla Domus Mariae si sentì augurare da un vescovo:«Eminenza, ad majora».Roncalli gli rispose in tono di rimprovero: «Monsi-gnore, lei mi conosce e sa che al di là del nome, delregno e della volontà di Dio non interessa nient’altro.Preghi per me e basta».Mario Sgarbossa, Giovanni XXIII. La saggezza del cuore,Milano, Edizioni Paoline 2000, p.70.

Ricordo che durante i giorni del Conclave, sostavospesso in piazza San Pietro con alcuni confratelli po-lacchi in attesa della fumata bianca. Una volta i mieiamici erano stanchi e volevano andarsene, ma io dis-

si loro che ero certo che la fumata successiva avrebbeannunciato il nuovo papa. Quando venne diffuso ilnome di Roncalli, alcuni giovani italiani che eranoattorno a me manifestarono la loro insoddisfazione:“No! Questo è troppo vecchio! Non c’è nulla daaspettarsi da lui!”. Io allora mi misi a discutere conloro, per far capire che la vecchiaia può portare consé una grande sapienza e che ci sono vecchi che con-servano un cuore giovane. Le mie aspettative neiconfronti di papa Giovanni XXIII furono abbondan-temente superate. Egli fu un grande dono di Dio.Haring. Un’autobiografia a mo’ di intervista, a cura diValentino Salvoldi, Milano, Edizioni Paoline 1997, p.52.

“Candidatura di transizione” appare e non soloalla stampa, quella del settantasettenne Roncalli: die-tro la sua elezione, ha scritto Andrea Riccardi, vi è«la volontà di dar luogo ad un non lungo pontificatocon una personalità neutrale(…) non segnata da par-ticolari opposizioni alla linea pacelliana». Il vaticani-sta Benny Lai annotava: «Angelo Roncalli, un uomosenza fama. Quando dalla loggia delle benedizioni ilcardinale Canali ha scandito il nome, la folla sullapiazza è rimasta per un istante attonita. Non accop-piava l’annunzio al volto». Si legga allora, a contra-sto, l’annuncio che “Il Giorno” dà della sua elezione.Il titolo dell’editoriale e del supplemento speciale diquel giorno è Il papa della pace, mentre il titolo del-l’articolo di Alfonso Madeo è: Abbiamo il papa gri-dano i suoi compaesani. L’immagine del papa, dun-que, è tracciata dai media prima ancora che egli muo-va il primo passo, ed è poi immediatamente amplifi-cato da ogni atto che vada in questa direzione.Guido Crainz, Storia del miracolo italiano, Roma, Don-zelli 2005, pp.64 – 65.

Giovanni XXIII in rete.www.vatican.va/holy_father/john_xxii (sito ufficiale delVaticano)www.vaticanstate.va (stato della Città del Vaticano/AltreIstituzioni/Filmoteca Vaticana).www.papagiovanni.it (Associazine Amici di Papa Giovan-ni XXIII, via Brusicco 9, Sotto il Monte, BG)www.papagiovanni.com (Casa Natale di papa GiovanniXXIII a Sotto il Monte, BG).

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1959Grande successo de “Il Gattopardo” di

Giuseppe Tomasi di Lampedusapubblicato dall’editore Feltrinelli.

ITALIA - Il premio Strega 1959 è stato assegnato Alromanzo “ Il Gattopardo”, scritto da Giuseppe Tomasidi Lampedusa tra il 1945 e il 1957, pubblicato postu-mo nel 1958 da Feltrinelli, con la prefazione di GiorgioBassani, dopo che gli editori Mondadori ed Einaudiavevano rifiutato di pubblicarlo. Nel 1963 Luchino Vi-sconti lo tradurrà in un film.

TOMASI di LAMPEDUSA, Giuseppe. Il gattopardo.Milano, Feltrinelli, c1963. Ed. conforme al ms. del 1957.Collocazione: 853.91 TOM–Donazione Don F. BARGEL-LINI

«Hai letto il Gattopardo? Ti è piaciuto il Gatto-pardo ?». Così inizia un articolo di costume pubbli-cato nell’inverno 1958 – 59. (…)

Il Gattopardo appare in libreria nel dicembre del’58. Per un errore. Il libro, infatti, è previsto per l’ini-zio del nuovo anno. Il programma natalizio è giàmolto fitto e Osenga, il responsabile commerciale,insiste perché abbiano la precedenza volumi più “si-

curi”. Ma, per un contrattempo, alcune copie civettaraggiungono i critici e Carlo Bo esce a sorpresa conuna recensione per “La Stampa”. Non resta che anti-cipare il lancio in fretta e furia. (…) «Nelle librerie,delicate signore di una certa età, giovani ‘arrabbiate’,piccoli borghesi lettori dei rotocalchi chiedono IlGattopardo, quasi con la stessa furia un po’ inco-sciente con cui tempo fa chiedevano Il dottor Ziva-go». Così riescono a scrivere su “Rinascita”, la rivi-sta teorica del Pci, incappando nelle ironie del criticoGeno Pampaloni: «In un paese diviso in una massa diindifferenti e in una discorde consorteria di raffinati,il fatto che il libro non solo si venda a decine di mi-gliaia di copie ma pretenda oltretutto di essere ‘vali-do’ è di per sé, più che stupefacente, scandaloso. E ladifferenza lo accomuna, in costoro, al DottorZivago». (…)

Tutto si spiega, come le anomalie del romanzo nelcontesto ideologico che hanno provocato il no di Ei-naudi “per scelta coerente”. Vittorini argomenta lesue ragioni in una lunga lettera all’autore, ripetendolepubblicamente: anche se “serio e onesto”, si tratta diun libro statico, oleografico, che nega la storia. Me-glio Il soldato di Cassola o Il ponte della Ghisolfa diTestori , più vitali e “dentro la nostra storia”, an-ch’essi appena usciti con il marchio Feltrinelli.

Le vicende che hanno portato alla pubblicazionedel Gattopardo formano un nuovo, sia pure minore,“romanzo nel romanzo”. Protagonisti “una personaamica”, Elena Croce , ricordatasi del manoscritto te-nuto a lungo in un cassetto e finalmente inviato aGiorgio Bassani, e Bassani stesso, lo “sparviero”, dapoco reclutato durante le frequentazioni romane diFeltrinelli per dirigere una collana di autori contem-poranei. (…) Poi, dopo la pubblicazione, la grandefiera della critica: se il romanzo sia o no “di destra”,eche cosa invece debba considerarsi “di sinistra”. Carlo Feltrinelli, Senior Service, Milano, Feltrinelli 2001,pp.166 – 168.

(Dopo l’uscita del Gattopardo)Le polemiche divampano. La sinistra è scontenta.

Mario Alicata – racconterà assai più tardi MaurizioValenzi nel suo volume autobiografico Sindaco aNapoli – si abbandona a escandescenze al solo sentirnominare il romanzo di Tomasi di Lampedusa. All’u-scita del libro, è evidente il tentativo di liquidarlocome un’opera dozzinale o di mero consumo.(…) Adun lettore anch’egli comunista, ma meno prevenuto ,Lucio Lombardo Radice, questa sentenza appare in-giusta, e troppo semplicistica l’ansia di archiviare ilsuccesso del libro lasciandolo in pasto a “tardone, fa-natiche e piccolo borghesi”. «Al contrario» sostieneil matematico del Pci in una lettera alla stessa “Rina-scita” «medici, ingegneri,scienziati, maestri e profes-sori che io conosco hanno tutti, indistintamente tutti,

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letto Il Gattopardo per intero, rapidamente e diver-tendosi moltissimo».(…) Più tardi uno scrittore in-glese di radice vittoriana ma di umori progressisti,E.M.Forster, confesserà: «Indubbiamente Il Gatto-pardo ha allargato la mia esistenza».

Interviene nella contesa Louis Aragon, anche sullascia di discussioni che il romanzo va suscitando inFrancia. Sulle “Lettres françaises”, lo scrittore si lan-cia in un’appassionata difesa del Gattopardo e delsuo autore, di cui ha avuto occasione di leggere an-che alcune Lezioni su Stendhal.(…) Aragon non rie-sce tra l’altro a capire che senso abbia l’argomentocon il quale Moravia, da lui incontrato per caso, gli èparso liquidare il romanzo: è un libro di destra, unsuccesso della destra.(…) Sarà un caso, ma lo stessospirito si ritrova nella risposta che un critico italiano,Geno Pampaloni, darà a Elio Vittorini che, confinan-do anche lui Il Gattopardo nella letteratura “di de-stra”, dice di preferirgli di gran lunga le opere diGiovanni Testori. “Se Lampedusa è di destra e Te-stori è di sinistra”, chiosa Pampaloni, “la sinistra èperduta”Nello Ajello, Il lungo addio. Intellettuali e Pci dal 1958 al1991,Roma- Bari, Laterza 1997, pp.8 – 9.

«Dopo Tomasi di Lampedusa» dice (Giorgio)Bassani «scrivere un romanzo è diventato più diffici-le, qui in Italia. In un paese come il nostro, nelle cuiscuole non si insegna nulla di ciò che rende cittadinoun uomo nato in Inghilterra o in Francia, Il Gatto-pardo ha assunto la funzione d’un grande poema na-zional – popolare. È un libro come l’avrebbero so

gnato Croce o Gramsci: scritto non già da un profes-sionista della letteratura, ma da un uomo che avevada dire qualcosa di essenziale, di “utile”. Soltanto deicritici superficiali o evasivi potevano credere che ilmotivo ispiratore del Gattopardo fosse il senso dellamorte, che fossimo davanti a una specie di variantesiciliana della Morte a Venezia. In realtà, il vero con-tenuto del Gattopardo è l’Italia e la sua storia; e Diosa quanto siano rari, nella nostra letteratura di tutti itempi, i libri su quest’argomento». Nello Ajello, La dolce avanguardia, in “L’espresso”, 12aprile 1964.

Il Gattopardo e l’editore Feltrinelli in rete.www.feltrinellieditore.it/storia---(Sito ufficiale Giangiaco-mo Feltrinelli Editore).www.feltrinelliunastoriacontro.i (monologo teatrale,Mauro Monni: “Feltrinelli. Vita e morte di un anarchicomiliardario”).www.parcotomasi.it (Sito dedicato a Giuseppe Tomasi diLampedusa- Guida ai luoghi del Gattopardo in Sicilia).www.gattopardobelice.it (Associazione turistica Pro LocoGattopardo Belice, Santa Margherita di Belice: sito dedi-cato a Giuseppe Tomasi di Lampedusa).

1960 Si svolgono le Olimpiadi a Roma.

ITALIA – Il 1960 è l'anno dell'Olimpiade di Roma. Li-vio Berruti “lo studente con gli occhiali e dal dispetto fa-cile” vince l'Oro nei 200 mt. Pagina storica: c'è anchel'oro nella pallanuoto!

Il Tirreno - Olimpiadi, 4 settembre 1960 Supplemento sportivo del “Il Tirreno” Collocazione: ZB 1–Dall’EMEROTECA

Il 25 agosto, in una Roma festosa assolata ed ecci-tata si inaugurano le Olimpiadi. Adolfo Consolinilegge nello stadio olimpico il giuramento di rito difronte a 5337 atleti di ottantaquattro nazioni. LivioBerruti, uno studente torinese di chimica, vincerà lagara dei duecento metri. Entra nella leggenda l’etiopeAbebe Bikila, vincitore della maratona, che in un tra-monto di fuoco arriva per primo sotto l’Arco di Co-stantino. I suoi piedi nudi hanno lasciato un’improntadi sangue sul selciato della via dei Trionfi. Miriam Mafai, Roma dal 18 aprile alla dolce vita, inRoma 1948 – 1959, Ginevra – Milano, Skira 2002, p.21.

L’Olimpiade di Roma del 1960 rappresentò unmomento di straordinaria rilevanza nella storia recen-te dell'Italia. Essa, infatti, sancì simbolicamente la

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definitiva uscita dalle difficoltà economico, quantosul piano sociale dal Paese. (…) La città in pochianni si trasformò: furono costruite la via Olimpica, ilvillaggio olimpico, il palazzotto dello Sport e il pa-lazzo delle Federazioni a viale Tiziano, il palazzodello Sport e il velodromo all’Eur, la piscina del ForoItalico e altri impianti per assicurare il miglior svol-gimento delle gare. Vinte le terribili candidature diLosanna, Budapest, Città del Messico, Tokio, Bru-xelles e Detroit, dopo le precedenti esperienze nega-tive nel 1904 e nel 1940, finalmente la città di Romapoté organizzare la XVII Olimpiade, che si svolsedal 25 agosto all’11 settembre. L’organizzazione deigiochi fu perfetta e raccolse il plauso indiscriminatodella stampa estera. La televisione, che in quegli annistava raggiungendo la gran parte degli italiani, so-stenne l’evento in modo straordinario.(…)

La squadra azzurra collezionò 13 ori, 10 argenti e13 bronzi. Due atleti , in particolare, conquistarono ilcuore egli italiani: il pugile Benvenuti , vincitore del-la corona dei welter nella boxe, e il velocista LivioBerruti trionfatore dei 200 metri. Il primo rinnovò latradizione della boxer italiana, diventandone da quelmomento in poi uno dei protagonisti assoluti. IL se-condo, studente in chimica torinese, violò lo strapo-tere degli sprinter americani e aprì una storia tuttaitaliana della disciplina che doveva rinnovarsi nell’80 con Mennea nei giochi moscoviti. (…) .

E un uomo straordinario fu anche l’eroe, iconadelle olimpiadi, il maratoneta etiope Abebe Bikila,l’atleta che vinse a piedi nudi, stabilendo uno straor-dinario record mondiale: 2 ore 16 minuti e 2 secondi.Igor Benati, Le Olimpiadi di Roma, in Il boom economico.La trasformazione dell’Italia 1956 – 1963,Roma, l’Unità2003, pp.87 -90.

Ha vinto uno sconosciuto. Un etiope magro dallosguardo spaurito e che correva con i piedi nudi.Di Abebe Bikila ignoriamo quasi tutto. Sappiamosolo che si allenava correndo per giorni interi sul na-tio altopiano, senza curarsi troppo di norme dieteti-che o di tabelle orarie. Abebe aveva solo letto daqualche parte che la prima maratona, quella corsa adAtene nell’Olimpiade del 1896, era stata vinta da unpastore greco, un tale Spiridione Luis, il quale avevamangiato solo qualche frutto nei giorni precedenti lacorsa e aveva trascorso la notte prima dicendo pre-ghiere. In quel modo il pastore Spiridione si era pre-sentato leggero come un fuscello alla partenza e cari-cato spiritualmente. Dicono che lo stesso sistema ab-bia usato Abebe, che stasera ha vinto l’ultima meda-glia d’oro dell’atletica in questa Olimpiade e che perla prima volta ha dato un alloro olimpico alla sua pa-tria.(…). Sui selci irregolari della via Appia Antica,Abebe sembrava trovarsi particolarmente a suo agio;saltava allegramente da un selce all’altro e il suo

stesso compagno di fuga stentava tenergli dietro.(…)La più bella strada del mondo era tutta fiancheggiatada due siepi di folla e rischiarata da due file di ragaz-zi che reggevano fiaccole.(…) Ed infine tra la pas-seggiata archeologica e l’obelisco di Axum l’etiopeAbebe trovava nuove energie per lasciarsi dietro an-che il suo compagno di fuga. Correva con i grandiocchi bianchi nella notte piena di luce e di baglioriincontro all’Arco di Costantino. Tagliava il traguardoin ore 2,15’16 “ 2 , alla media di 18,47 km. orari.Solo 25 secondi dopo arrivava il marocchino Rhadi.Nicola Adelfi, L’etiope Abebe correndo a piedi nudi vincela gara olimpica della maratona,in “La Stampa”, 11 set-tembre 1960.

Che la XVII Olimpiade dovesse diventare, oltread una grande manifestazione sportiva e turistica, an-che un grosso affare commerciale e finanziario, nes-suno ne aveva mai dubitato. (…) Pochi però s’eranoresi conto che il vero affare, con le Olimpiadi, nonl’avrebbero atto né gli albergatori , né i commerciantiromani, né l’erario ; pochi avevano capito che in unacittà come Roma, ormai rotta da tempo a questo tipodi esperienze, anche i Giochi olimpici si sarebberomagicamente trasformati in una colossale speculazio-ne edilizia, manovrata da pochi potentissimi gruppi erivolta a inchiodare l’espansione della capitale agliinteressi dei grandi proprietari urbani di aree.(…) . ARoma esiste una sola zona attrezzata da questo puntodi vista: quella che ha al suo centro nel Foro Italico eche s’estende tra il quartiere Flaminio e l’AcquaAcetosa. Si trattava semplicemente d’ ampliare e mo-dernizzare quelle attrezzature per renderle capacid’ospitare i Giochi olimpici. Ma se la cosa si fosse li-mitata a questo , il grosso affare immobiliare sarebbemancato. Ecco allora nascere la stravagante idea dicostruire un secondo centro sportivo, esattamente alpunto opposto e più lontano: nella zona dell’Eur ,sul-la strada di Ostia, a quindici chilometri di distanzadal Foro Italico , con tutta Roma in mezzo i due puntiestremi. (…) DI qui la necessità di un nuovo, granderaccordo viario di veloce scorrimento , che circon-dasse la città, scavalcasse gli ostacoli naturali disse-minati sul percorso e, soprattutto, desse un nuovovertiginoso prezzo ad un’immensa estensione fondia-ria che, stando agli studi preparatori del nuovo pianoregolatore, sembrava tagliata fuori dal prevedibilesviluppo della città.(…) La via Olimpica, prima an-cora di essere un’arteria destinata ad alleggerire iltraffico del centro storico e a consentire l’ordinatotrasferimento degli spettatori da l’una all’altra mani-festazione sportiva, infatti un formidabile strumentodi valorizzazione immobiliare ,con conseguenze suiprezzi dei terreni attraversati che le prime valutazionifanno già ascendere ad un ordine di grandezza supe-riore ai 70 miliardi.Affari e Olimpiadi, in “L’espresso”, 21 agosto 1960.

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Le Olimpiadi di Roma in rete.www.olimpiadi.it (sito ufficiale italiano delle Olimpiadi).www.coni.it (comitato Olimpico Nazionale Italiano).www.olympic.org (International Olympic Committee).

1961John F. Kennedy si insedia

alla presidenza degli Stati Uniti.

STATI UNITI - John Fitzgerald Kennedy, candidatosiper il Partito Democratico, il 20 gennaio 1961 assumela carica di 35º Presidente degli Stati Uniti (il primodireligione cattolica). Sarà assassinato a Dallas, il 22 Novembre 1963: il piùgiovane presidente a morire ricoprendo la carica.

AVANTI! , 20 gennaio 1961 Collocazione: ZB 7–Dall’EMEROTECA

Incontrai John Kennedy nel 1957 in un ascensoredel Senato: curvo in un angolo, troppo magro e trop-po trasandato per far parte del più grande organismodeliberativo del mondo:Un uomo geniale ma mode-sto. Erano trascorsi pochi mesi dalla sconfitta politicadel Tennessee inflittagli da Estes Kefauver , che mi-rava alla nomina di vicepresidente con Adlai Steven-som. «La più grande fortuna che gli sia mai capitata»mi disse una volta il padre Joe Kennedy, senza peròconvincermi. Come si è detto, i Kennedy corronosolo per vincere. (…) Feci tutto il possibile per com-

prendere questo giovane pretendente che aveva spin-to da parte gli anziani del Partito democratico, che inseguito avrebbe fronteggiato e sconfitto Richard Ni-xon, il successore scelto dallo statista a quel tempopiù amato nel mondo, Dwight Eisenhower e che, no-nostante la vittoria elettorale conquistata per pochivoti e da molti giudicata disonesta, aveva fatto il suoingresso alla Casa Bianca. Parlavo con Kennedy ognivolta che mi era possibile: la sera tardi nel suo ufficioal Senato, fuori dalla Camera quando sosteneva undibattito, giocando a calcio a Hickory Hill, nella casadi suo fratello Bobby, in automobile nel tragitto dacasa al Campidoglio e, in seguito, quando ebbe iniziola campagna elettorale, a bordo dell’aereo a turboeli-ca della famiglia, il Caroline. Hugh Sidey, Introduzione in John Fitzgerald Kennedy,L’alba della nuova Europa. Diario europeo 1945, Milano,Mondadori 1997 , pp. 14 – 16.

As the 1960s opened, America seemed too manyobserver to be on the verge of a golden age. Thepresidency of the youthful John F.Kennedy, electedin 1960, seemed to give Americans a feeling of suc-cess, matching imperial splendour abroad withprosperity, harmony and progress at home. By theend of 1960s, however, these assumptions were nolonger self- evident. Using mass protests to mobilizepublic opinion, the civil rights movement shook thecountry and sparked a broad wave of popular activ-ism that called for the full realization of America’sdemocratic promise. And just as the African – Amer-ican freedom reached its peak, the Vietnam Warbrought to the surface of national life the politicalcontradictions of the Cold War. (…)

If the civil rights movement and its related move-ments revealed the domestic problems of postwar so-ciety, the Vietnam War brought to the surface thetensions inherent in U.S. effort to manage the globalpolitical economy. The road to Vietrnam was pavedwith the arrogance of Americans Cold War liberal-ism. President Kennedy, Secretary of Defense RobertMac Namara, and other American leaders of theearly 1960s wanted the United States to appearstrong.America Social History Project, Who built America?Working People & the Nation’s Economy, Politics,. Cul-ture and Society,II, Fropm the Gilded Age to the Present,New York , Pantheon Books 1992 , pp.543, 567.

Kennedy aveva idée chiare sul tipo di presidenteche intendeva essere. All’inizio del 1960 in un di-scorso al National Press Club aveva esplicitamenterifiutato “un concetto ristretto della presidenza”. Ilcapo dell’esecutivo, a suo parere, doveva essere “ilcentro vitale dell’azione nell’intero sistema di gover-no”. (…) Era deciso ad essere un presidente energi-

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co: e ciò,a mio parere, significava per lui essere unpresidente alla maniera di Franklin Roosevelt, anchese la sua ammirazione per quest’ultimo non era senzariserve.(…)

Kennedy presiedeva dunque benevolmente a que-ste multiformi iniziative (di preparazione all’inse-diamento) e, a mano a mano che il periodo di transi-zione volgeva alla fine, assicurandosi di tenerne sal-damente in mano le innumerevoli fila. Il suo secondofiglio, John, era nato alla fine di novembre (1960) . Ilparto era stato difficile e Jacqueline , che andava ri-prendendosi lentamente, era costretta a restare aPalm Beach, dove il marito faceva in modo di tra-scorrere più tempo possibile nei giorni fra l’elezionee l’assunzione dei poteri. (…)

Ogni mattina, con un cigarillo in bocca, un bloccodi carta gialla posato sulle ginocchia, procedeva nellastesura del lavoro, scarabocchiando qualche riga,cancellandone un’altra con un tratto di penna e po-nendo poi i fogli sulla scrivania già straripante.(…)A mano a mano che il tempo passava , il discorso an-dava prendendo forma. Finchè un giorno Kennedystipò i fogli nella logora cartella nera e andò a Wa-shington tra il freddo e la neve. Il 19 gennaio Kenne-dy e Eisenhower s’incontrarono ufficialmente perl’ultima volta.(…) La presidenza Kennedy presel’avvio con un impareggiabile slancio. Il giovanepresidente, il vecchio poeta, lo stupendo discorso, laparata trionfale, il cielo terso e la neve abbagliante:fu una delle più belle cerimonie inaugurali. Assistettealla parata dall’inizio alla fine, salutando i soldati eapplaudendo il corteo.(…)

(Alla Casa Bianca) dormì placidamente nel lettoche era stato di Lincoln e la mattina dopo si svegliòdi buon’ora; il sole invadeva la stanza mentre egli sivestiva pensando alla giornata che lo aspettava.Arthur M.Schlesinger jr., I mille giorni di John F. Kenne-dy, Milano, Rizzoli 1973, pp. 141, 185 – 189, 190.

Next morning I showed up at 3307 N Street, theGeorgetown residence of the President – elect, to es-cort him to the White House and stay with himthroughout the day. The snow had stopped , but itwas bitterly cold. twenty – two degrees, with a meanwind blowing. Shortly after eleven o’clock Sam Ray-burn, the Speaker of the House, and inaugurationchairman Senator John Sparkman arrived to takeSenator and Mrs. Kennedy to the White House,where they would pick up the incumbent presidentand drive together to the swearing – in at Capitol.Kennedy walked out of the house in striped pants,carrying his top hat. For the first time he entered acar carrying the presidential seal.«I’ve many promises to keep and many miles to gobefore I sleep» had been the candidate’s leitmotifthroughout the campaign. He had recited these words

hundreds, perhaps thousands of times . They camefrom a favorite poem by Robert Frost .(…) Momentlater Chief Justice Earl Warren administered the oathof office. John Fitzgerald Kennedy was now thepresident of the United States.Jacques Lowe, Jfk Remembered, New York, GramercyBook 1993, pp.104, 107.

L’elezione del democratico Kennedy nel 1960non cambiò sostanzialmente la contrapposizionefrontale nel mondo bipolare. Anzi, il giovane leader,che in politica interna fu considerato un presidente dirottura con il clima conformista degli anni Cinquan-ta, perseguì una politica estera vigorosa e muscolarenei confronti dei sovietici. Nei mille giorni di presi-denza, John Kennedy progettò una politica di riarmoche gli consentisse, in caso di scontro atomico, di at-tuare la cosiddetta “risposta flessibile”. Sviluppò for-temente il programma missilistico: aumentò le forzeconvenzionali dislocandone un largo contingente inEuropa e migliorò le capacità di trasporto delle armiatomiche per via aerea e sottomarina. (…) Negli ulti-mi mesi di vita di fronte alle minacce sovietichecontro Berlino Ovest, Kennedy richiamò sotto learmi 250.000 riservisti a presidio della capitale tede-sca, dichiarando solennemente che non l’avrebbe maiabbandonata nelle mani dei rossi. Durante un viaggioin Europa, Kennedy si recò nella capitale tedesca e,davanti al Muro che simboleggiava la divisione tramondo libero e paesi comunisti, il 26 giugno 1963,pronunciò il discorso Ich bin ein berliner (“Sono ber-linese”):

«Duemila anni fa il maggior motivo d’orgoglioera quello di poter dire: Civis Romanus sum. Oggi,nel mondo degli uomini liberi, il maggior motivod’orgoglio è quello di poter dire: Ich bin ein Berli-ner».Massimo Teodori, Raccontare l’America. Due secoli diorgogli e pregiudizi, Milano, Mondadori 2005, pp.195 –196.

JFK in rete.www.jfklibrary.org (John F.Kennedy Presiudential Lib-rary and Museum, Columbia Point, Boston , MA 02125)www.outside.in/places/jf-kennedy-memorial-dallas(J.F.Kennedy Memorial, Main Street & S Market Street ,Dallas)www.bbc.co.uk (Dossier “New Footage of JFK’s lastmoments”).

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1962Si apre il Concilio Vaticano II voluto da

papa Giovanni XXIII.

CITTA’ DEL VATICANO - L'11 ottobre 1962 PapaGiovanni XXIII apre ufficialmente, all'interno dellabasilica di San Pietro in Vaticano, Il Concilio ecume-nico Vaticano II il ventunesimo dei concilii della Chie-sa cattolica.

La civiltà cattolica : pubblicazione periodica per tutta l'I-talia, 3 novembre 1962Contiene: “Allocuzione di S. S. Giovanni XXIII in occa-sione della solenne apertura del Concilio Ecumenico Va-ticano II.”Collocazione: PER 3131–Sale PERIODICI

L’11 ottobre 1962 il Vaticano II venne ufficial-mente aperto. Nonostante le insistenze di Giovanni(XXIII), solo sette dei settanta schemata proposti era-no pronti per essere inviati dalle recalcitranti com-missioni preparativi ai vescovi di tutto il mondo, cheavrebbero dovuto passare l’estate a revisionarli. Esa-sperato da quei ritardi alla domanda di un visitatoresu quante persone lavorassero in Vaticano, il pontefi-ce rispose : “Circa la metà”.

A distrarre Giovanni dalle preoccupazioni delConcilio sopraggiunse un dolore lancinante che nonaccennava a diminuire. Dopo una serie di analisi me-

diche, il 23 settembre ricevette la diagnosi: come lesorelle Ancilla e Maria, aveva un cancro inoperabileallo stomaco, che gli lasciva meno di un anno di vita.In estate aveva confidato al cardinale Sulnens di sa-pere quale sarebbe stato il suo ruolo al concilio, “ilruolo di un sofferente”, un dolore che il vero cristia-no deve sempre accettare come un dono inatteso, inquanto condivisione delle sofferenze di Cristo.(…) Ilconcilio, adesso era evidente, avrebbe richiesto alme-no due sessioni (in realtà ce ne sarebbero volutequattro), poiché i vescovi non possono rimanere perlungo tempo a Roma, ma debbono tornare a dirigerele proprie diocesi. Giovanni capì che non sarebberiuscito a vivere a sufficienza per vedere la conclu-sione del Vaticano II, il grande progetto della suavita.Thomas Cahill, Giovanni XXIII, Rioma, Fazi 2005, p.210.

L’annuncio del concilio nel 1959 e poi la sua cele-brazione aveva suscitato, anche al di là dei confinicattolici, vivissime attese di un’attitudine di simpatiaverso i “lontani” e i non credenti e dell’abbandonodell’atteggiamento arcigno , che spesso la chiesa cat-tolica aveva verso la “moderna civiltà”.

Giovanni XXIII aveva preso la distanza dall’osti-lità pregiudiziale fra fede e storia moderna, che eraculminata nell’LXXX proposizione del Sillabus (dipapa Pio IX). In tale posizione erano coinvolti nellostesso tempo il recupero sostanziale della storia uma-na come categoria attinente alla fede cristiana e nonestranea né contraddittoria con essa e il rifiuto di ungiudizio negativo sul presente, dedotto da una diffi-denza di principi e ripreso passivamente dal passato.Il discorso di apertura del Concilio era stato percorsodalla percezione della novità della condizione umanae delle possibilità maggiori che ciò offre alla fede.Era stato storicizzato anche lo spinoso problema del-le modalità di esercizio dell’autorità dottrinale. “Orala sposa di Cristo preferisce far uso della medicinadella misericordia piuttosto che della severità”; inve-ce di fulminare nuove condanne la chiesa deve mo-strare la validità della sua dottrina, aveva detto ilpapa.Giuseppe Alberigo, La Chiesa cattolica dopo il ConcilioVaticano II, in Il Papato e l’Europa, a cura di Gabriele DeRosa e Giorgio Cracco, Soneria M., Rubbettino 2001,p.432.

La Conferenza delle Organizzazioni InternazionaliCattoliche, da parte sua, creò nel 1960 un gruppo perla redazione dei documenti che avrebbe trasmessoalla commissione preparatoria del Concilio, su temiquali: il cristiano nel mondo tecnologico; il postodella donna nella società e nella Chiesa; le difficoltàdei laici impegnati nell’azione sociale; i problemi pa-storali degli ambienti intellettuali; l’azione dei catto-

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lici a livello internazionale; il ruolo degli assistentinelle associazioni di apostolato dei laici. Tutte questetematiche riflettevano ciò che noi speravamo nelConcilio.(…)

L’11 ottobre 1962 papa Giovanni XXIII apriva ilConcilio con un discorso magistrale, Gaudet materecclesia, che rispondeva a tutte le nostre aspettative .Annunciava un Concilio di pace e d’unità senza con-danne a persone o idee, senza lanciare anatemi, bensìrivolto ad aggiornare la vita della Chiesa in mezzo almondo attuale. Con questo proposito il Papa avevainvitato, fin dal primo giorno, un gruppo numerosodio “osservatori” delle chiese cristiane non cattoli-che. L’unico laico, però, era Jean Guitton, amico per-sonale di Giovanni XXIII, che si trovava un po’ diso-rientato.Ramon Sugranyes de Franch, Dalla guerra di Spagna alConcilio. Memorie di un protagonista del XX secolo, inter-vista a cura di P.Hilari Raguer, Soneria M., Rubbettino2003, pp.136, 139.

Se uno dei suoi atti più rilevanti fu l’apertura delConcilio Vaticano II – una grande svolta nei tempilunghi della Chiesa – è rimasto celebre lo stile sem-plice, diretto ed efficace della sua attività pastorale,segno, tra l’altro, di un nuovo stile di governo.Forse le parole che più distintamente colpirono i sen-timenti degli italiani e delle italiane furono quelleche pronunciò nell’ottobre 1962 – il mese della crisidei missili a Cuba – in piazza San Pietro e di cuisono qui riproposti alcuni stralci con la presentazioneal Testo curata dalla Tipografia Vaticana:«Come adEfeso dopo quindici secoli (…) Nel corso della im-ponente manifestazione della sera di giovedi 11 otto-bre 1962, durante la quale un’immensa delegazionedi popolo della Città di Roma saluta il Sommo Pon-tefice, in alto levando migliaia e migliaia di fiaccole,il Santo Padre ha una speciale affettuosissima parolaper gli intervenuti, dopo che essi hanno cantato ilCredo.(…)

‘Cari figliuoli, cari figliuoli, sento le vostre voci. Lamia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo in-tero: qui di fatto tutto il mondo è rappresentato . Si di-rebbe che persino la luna si è affrettata stasera. Osserva-tela in alto, a guardare questo spettacolo. Gli è che noichiudiamo una grande giornata di pace, sì, di pace: Glo-ria a Dio e pace agli uomini di buona volontà!(…)La mia persona conta niente: è un fratello che parla avoi, un fratello diventato Padre per volontà di NostroSignore. (…) In questo momento lo spettacolo offertomi è tale da re-stare a lungo nel mio animo , come rimarrà nelvostro(…) Tornando a casa , troverete i bambini, dateloro una carezza e dite : Questa è la carezza del Papa.(…)».Paul Ginsborg, Religiosità, in Novecento. Arte e Storia inItalia, Ginevra – Milano, Skira 2000, p.470.

L’ottobre 1962 vede papa Giovanni protagonistadi appelli pressanti a Kennedy e Kruscev, per scon-giurare l’esito atomico della crisi di Cuba. Già l’annoprecedente, alla metà di agosto del 1961, ha scrittosul suo diario spirituale: “L’atmosfera politica emondiale di questi giorni solleva qualche incertezzaper i problemi della pace”. Adesso, durante le ore diangoscia per le notizie allarmanti provenienti dalMar dei Carabi, dove Usa e Urss stanno per fronteg-giarsi dopo una sfida a distanza, non gli basta piùl’intimità della pagina scritta e parla alla radio: «LaChiesa non ha niente così a cuore quanto la pace e lafraternità fra gli uomini ed essa lavora senza stancar-si a stabilirla. Noi ricordiamo a questo proposito igravi doveri di coloro che portano la responsabilitàdel potere. E noi aggiungiamo: la mano sulla co-scienza, che essi ascoltino il grido di angoscia che,da tutti i punti della terra, dai fanciulli innocenti aivecchi , dalle persone alle comunità, sale verso il cie-lo: pace! Pace! (…)!».

Il papa, la sola “terza forza” morale nel mondospaccato in due blocchi, l’unico uomo a rappresenta-re un potere sopranazionale, interviene immediata-mente.Marco Garzonio, E venne un uomo chiamato Giovanni,Milano, Rizzoli – Corriere della Sera 2000, pp.219 – 220.

Il 20 ottobre (1962) Kennedy, in un drammaticomessaggio televisivo al mondo, denunciò pubblica-mente la presenza di missili sovietici (a Cuba) a po-chi chilometri dal territorio americano. (…) Il presi-dente americano decretò il blocco navale controCuba per ostacolare le navi militari sovietiche cheKruscev aveva inviato sull’isola. Era iniziata la crisimissilistica di Cuba. Per la prima volta nella storia, latelevisione portò il dramma internazionale che si sta-va vivendo direttamente nelle case di molte famigliedel mondo. L’umanità ebbe la sensazione di esseresull’orlo di una guerra nucleare. Il paradosso era chené Kennedy né Kruscev volevano arrivare allo scon-tro diretto. Kruscev aveva agito ancora con la solitatattica: “mostre i muscoli “ (…) questa volta , però, siera spinto troppo oltre: Kennedy non poteva accetta-re la minaccia di missili sovietici puntati contro ilterritorio statunitense. Ma nemmeno il presidenteamericano intendeva arrivare allo scontro. (…) Biso-gnava trovare una via diversa, una persona autorevo-le, al di sopra delle parti che invitasse i due capi diStato a cedere contemporaneamente , fornendo quellacopertura politica che consentisse ad entrambi dichiudere la crisi senza perdere la faccia. Questa per-sona era Papa Giovanni XXIII. Andrea Gianelli, Andrea Tornielli,Papi e guerra. Il ruolodei pontefici dal primo conflitto mondiale all’attacco inIraq,Milano, Edizioni Il Giornale 2003, pp.148 – 149.

Giunto alla sua conclusione nel 1965, il Conciliopermetteva alla Chiesa di liberarsi dall’atteggiamento

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di condanna nei confronti di tutto ciò che non accet-tava il suo primato. Il dialogo con le altre confessionicristiane non cattoliche, accettate come interlocutricisu un piano di parità, e anche con le fedi non cristia-ne e con gli stessi non credenti divenne uno dei capi-saldi dell’azione postconciliare. Lo stesso piano se-mantico, con la sparizione di termini come scomuni-ca ed eretico, rivelò la novità in atto. La riforma litur-gica, con l’abbandono del latino e l’introduzione del-le lingue realmente parlate dai fedeli, fu il necessariocorollario del diverso modo di intendere la presenzaecclesiale, già manifestato nello stemperarsi di talunerigidità gerarchiche e nella valorizzazione del laicato.Uno dei frutti più rilevanti del concilio fu perciò l’al-lentamento del rigido accentramento e il rapidissimodischiudersi di nuovi spazi originali per le chiese e lecomunità locali, dentro ma più ancora fuori i confinieuropei del mondo cattolico. Scipione Guarracino, Storia degli ultimi cinquant’anni. Si-stema internazionale e sviluppo economico dal 1945 aoggi, Milano, Bruno Mondadori 1999, p.225.

Il Concilio Vaticano II in rete.www.vatican.va/archive (Santa Sede, Archivio, Documen-ti del Concilio Vaticano II).www.documentacatholicaomnia.eu (Documenta CattolicaOmnia, De Ecclesiae Magistero, Concilia Oecumenica1962 – 1965 Concilium Vaticanum II- documenti nelle va-rie lingue europee).

1963.Crolla la diga del Vajont.

ITALIA - Il 9 ottobre 1963, una frana del monte Tocprecipita nel bacino della diga del Vajont, facendolotraboccare e inondando il paese di Longarone. Nel di-sastro muoiono 2000 persone.La domenica del corriere: settimanale del “Corriere del-la Sera”, 20 ottobre 1963 Collocazione: PER 3077–Sale PERIODICI

Due estati (1963 e 1964). ma fra esse vi è però ilterribile autunno del Vajont, con i suoi duemila mortie con le pesantissime colpe della Sade (responsabiledella costruzione della diga) e delle autorità pubbli-che. Le immagini che la televisione porta allora nellecase, la disperata denuncia dei superstiti (“da due anise sapeva che veniva giù la montagna”), il “bianco enero” delle gerle e delle povere suppellettili caricatesui camion ricordano al paese un’altra Italia. Un’Ita-lia da rimuovere, sembra pensare il prefetto di Bellu-no che nel primo rapporto trimestrale del 1964 riferi-sce: «i blocchi stradali effettuati i giorni 31 dicembree 13,14 e 15 febbraio dai superstiti del Vajont hannoprovocato vasto malumore, specie nel Cadore». Al-l’opposto Ranuccio Bianchi Bandinelli annota il 2

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gennaio nel suo Diario di un borghese: «Bello ilblocco stradale dei superstiti del Vajont (…) avrà di-sturbato tanta gente bene che se ne andava a Cortinaa festeggiare».Il Vajont, in fondo, sembra ricordare il passato (e an-nuncia invece altri disastri ambientali causati da col-pevoli responsabilità pubbliche e private): viene quin-di a frenare sgradevolmente rosee previsioni e proie-zioni nel futuro. Che sia un’Italia da rimuovere sem-bra pensarlo anche Giovanni Leone: come capo delgoverno accorre sui luoghi del disastro a prometteregiustizia, come avvocato lavorerà al processo dallaparte degli imputati, non dei superstiti.Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economicoagli anni ottanta, Roma, Donzelli 2005, p.7.

Erto viveva del bosco e del bosco coglieva il me-glio. Salvo quei pochi che avevano le mucche, tuttigli altri facevano i boscaioli. (…) alcuni di loro han-no smesso da tempo l’antica arte per andare a fare igelatai in Germania. Ma in autunno, quando tornano,nei loro occhi c’è sempre il bosco.(…) I taglialegnaconoscevano la sofferenza degli alberi e il dolore cheprocurava il filo dell’ascia nella loro carne e menocolpi davano minore era il tempo della morte. Quan-do il lavoro scarseggiava , molti di loro partivano perl’Austria o la Francia. In Carinzia , dove spesso era-no costretti a dimostrare ai boscaioli del posto il lorovalore, s’erano guadagnati stima e rispetto. Mauro Corona, Le voci del bosco, Pordenone, Bibliotecadell’Immagine 1998, pp.30 -31.

La Società Adriatica di Elettricità arriva in forze aErto nel 1956. Tecnici, operai, macchine, strumenti.(…) Nel 1956 la SADE ha quasi tutte le carte in re-gola, o almeno così fa capire: la concessione gover-nativa per la derivazione delle acque del Vajont, iprogetti di costruzione del bacino artificiale e delladiga, terreni pubblici del Comune di Erto già espro-priati e che sono destinati ad andare sott’acqua.(…) (Il 4 novembre 1960) una grande frana si stacca daiterreni del monte Toc, poco più su della diga, epiomba nel lago. È un intero appezzamento di boscoe prato, interessante un fronte di 300 metri. Sollevauna grande ondata che travolge come un fuscello imuri delle case vuote che affiorano dal lago.(…) aSADE fa evacuare la gente , che fugge trascinandosidietro i pochi capi del bestiame.(…)

La consegna della SADE è: portare a compimentol’opera, costi ormai quel che costi, Il 3 maggio 1962,mentre sul Vajont la popolazione è allarmata da con-tinue scosse e boati, la SADE domanda al ministerodi poter aumentare il livello del lago fino a quota700.(…)

La temerarietà della SADE diventa sfida. Si com-batte contro la montagna dal ventre marcio e contro

il tempo, soprattutto contro quest’ultimo. La naziona-lizzazione (dell’industria elettrica) è alle porte. Biso-gna forzare la mano , arrivare se possibile al collaudodell’impianto. Quando sarà passato allo Stato lamontagna può anche cadere. Si potrà sempre dire:“Fintanto che c’era la SADE…”.(…)

Inizia l’ultimo giorno. Il 9 ottobre è una stupendagiornata di sole. Di questa stagione la montagna èsplendida, rifulge di colori caldi autunnali.(…) Sonole 22.39. Un lampo accecante, un pauroso boato. IlToc frana nel lago sollevando una paurosa ondatad’acqua. Questa si alza terribile centinaia di metri so-pra la diga, tracima, piomba di schianto sull’abitatodi Longarone, spazzandolo via dalla faccia della ter-ra. A monte della diga un’altra ondata impazzisceviolenta da un lato all’altro della valle, risucchiandodentro il lago i villaggi di San Martino e Spesse. Lastoria del “grande Vajont”, durata vent’anni , si con-clude in tre minuti di apocalisse, con l’olocausto diduemila vittime.Tina Merlin, Sulla pelle viva. Come si costruisce una ca-tastrofe. Il caso del Vajont, Sommacampagna, Cierre Edi-tori 1997, pp.35, 84, 108,120.

Nella Valle del Vajont, di fianco al fronte dell’ice-berg di roccia staccatosi dal monte Toc, tra i paesi diErto e Casso, c’è un piazzale spianato dalle ruspe. E’un terreno di riporto accumulato lì quando è stata ri-fatta la strada attraverso l’immensa frana caduta il 9ottobre 1963. Basta fare pochi metri a destra e sivede la pozza di fondovalle rimasta per sempre sepa-rata dalla diga della montagna caduta, il lago dellavergogna, lo chiamano, basta fare pochi metri a sini-stra e si vede la diga.«Diga funesta per negligenza e sete d’oro altrui persila vita che insepolta resta».

Felice Corona, recita la lapide nella galleria, e l’e-pitaffio è questo. C’è un Vajont che si può raccontaree ce n’è un altro che sfugge al racconto, si polverizzain tanti rivoli di storie, quello degli abusi negli inden-nizzi per la ricostruzione dopo il 1963 a persone e so-cietà che non avevano titoli, ma hanno truffato, rag-girato le vere vittime e speculate sui finanziamenti.L’elenco di opere finanziate con la legge Vajontcomprende superstrade di pianura e funivie delle Do-lomiti. La Valle di Erto e Casso è rimasta esclusa fi-nora da ogni tipo di investimento.Marco Paolini, I cani del gas,Torino, Einaudi 2000, p.11.

Vajont in rete.www.vajont.net (comune di Longarone , BL. Disastro delVajont- Diga del Vajont).www.vajont.it (sito dedicato alla memoria del Vajont)www.sopravvissutivajont.org (Comitato Sopravvissuti del Va-jont, via Roma 41, 32013 Longarone , BL).www.lasoriasiamonoi.rai.it (Dossier “Vajont”)

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www.erto.it (Comune di Erto, Pordenone, I luoghi del Vajont).www.marcopaolini.it (sito di Marco Paglioni, Spettacolo“Il racconto del Vajont”).

1964 Muore il segretario del Partito comunista

Palmiro Togliatti.

ITALIA - Palmiro Togliatti muore il 21 agosto 1964a Yalta (URSS) per ictus cerebrale, lasciando incom-piuto un celebre memoriale nel quale ribadiva la "viaitaliana al socialismo". Ai suoi funerali a Roma parte-cipa un milione di persone.

L’Unità, 22 agosto 1964 Collocazione ZB 163–Dall’EMEROTECA

Racconta la Jotti (Nilde Iotti): “partimmo il 9 ago-sto. Avevamo deciso di fare una sosta a Francoforte euna a Copenhagen, ma incontrammo un tempo pessi-mo con grande vento e pioggia. Fu un viaggio disagia-to. Arrivammo a Mosca dopo uno scalo a Stoccolmal’11 agosto. All’aeroporto c’era ad attenderci Breznevche ci accompagnò alla dacia , dove la serra ci fu unariunione cui parteciparono Ponomariev e l’ambascia-tore a Roma, Kozirev. Krusciov, ci dissero era dovutopartire per una visita alle terre vergini, gli altri del Pre-sidium erano in ferie. Si discusse sulla località nellaquale avremmo dovuto attendere il ritorno di Kru-sciov, e la moglie di Kozirev, una donna simpatica ecolta, ci consigliò Yalta. Togliatti era profondamenteamareggiato per l’assenza di Krusciov.” (…) In altra

occasione la Jotti ha detto: «Quel primo incontro conBreznev e Ponomariev fu quasi una lite. Togliatti gri-dava: ‘Voi non capite niente, fatemi parlare con Kru-sciov, con voi non si può ragionare ’ ».(…)«La mattina del 13» ricorda la Jotti «Togliatti si sen-tiva affaticato, ma il pomeriggio volle andare lo stes-so al campo dei pionieri di Artek (Yalta) Ci andam-mo a piedi camminando per la pineta. Notai che erapallido, ma non mi parve in condizioni preoccupanti.Si sentì male durante lo spettacolo dei pionieri».

Togliatti ha un’emorragia cerebrale. Resterà fra lavita e la morte fino al 21 agosto. IL corrispondentedell’“Unità” telefona il 18: i medici della squadra ria-nimazione usano macchine per massaggi cardiaci, ildefibrinator, iniezioni al cuore. Il dottor Markov escedalla stanza e allarga le braccia. E il 20 Togliatti saràoperato: un passo disperato in una situazione dispera-ta. Sono giunti dall’Italia Longo, Lama, Colombi,Natta, Marcellino. La Jotti ha consegnato a Longo ilMemoriale. La mattina del 21 Natta , mentre è conLongo in giardino, chiede: «Che ne faremo del Me-moriale?». «Se Togliatti muore bisogna pubblicarlo».«Certo se verrà il momento» dice Natta. «Il momentoè subito» fa Longo.

Togliatti muore alle 13.30 del 21. Ora giungono icapi sovietici che si erano fatti negare: Krusciov,Podgorni, Kossighin. Krusciov è commosso.(…) Poisi siede nel giardino sotto un grande albero e decide,come un patriarca. su tutto ciò che occorre per leonoranze funebri.(…) Ricorda Longo: (…) Non siparlò del promemoria. Me ne parlò Breznev a Roma:«Che cosa avete deciso per il documento diTogliatti ?» «Di pubblicarlo» feci io. (…) Il Memo-riale è un testamento all’altezza di tutta la vita di Pal-miro Togliatti, italiano lucido chiamato a dirigere unmovimento di masse fondato su quei sentimenti ,quasi mai lucidi, che sono la speranza, la sete di giu-stizia, la solidarietà fra gli uomini.Giorgio Bocca, Palmiro Togliatti, Roma, l’Unità 1992, II,pp.608 – 609; 613 – 614.

La segreteria Longo si apre con un atto di corag-gio. La sera del 26 agosto, quando Leonid Breznev,presente a Roma per i funerali di Togliatti, «gli hachiesto per l’ennesima volta di non far conoscere ilmemoriale» scritto da Togliatti a Jalta negli ultimigiorni di vita, Longo gli ha risposto impassibile: «Mispiace, ma l’edizione dell’Unità sulla quale sarà pub-blicato è già in stampa». Il ‘furiere di giornata’ (defi-nizione che ne dette Pietro Nenni) è insomma decisoa rendere pubblico ciò che Togliatti da tempo «pen-sava e diceva in sede di partito a proposito del socia-lismo d’impronta sovietica» ma che «non osò mai ri-conoscere apertamente in tutta la sua vita». Sono pa-role di Renato Mieli. (…) Ecco come li apostrofò (idelegato sovietici nel 1956).«Voi ci avete sempre

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detto (…) che non c’erano problemi da voi, che tuttoprocedeva perfettamente, e noi vi abbiamo creduto.Sulla base di quanto affermavate abbiamo esaltatoper anni i vostri ‘progressi’ e i vostri ‘successi’. Orastiamo scoprendo che ciò che ci avete fatto dire nonera vero, erano tutte invenzioni. Ora non possiamopiù fidarci ciecamente della vostra propaganda. Dob-biamo assumere direttamente la responsabilità deigiudizi sul vostro sistema(…)».Nello Ajello, Il lungo addio. Intellettuali e Pci dal 1958 al1991, Roma- Bari, Laterza 1997, pp.50 – 51.

Ai funerali (di Togliatti) venne una folla immen-sa, camminando per ore e ore sui petali fradici dellecorone sfogliate via via che il corteo procedeva finoa San Giovanni. Non c’era soltanto il partito, c’era ditutto, molti che dicevano addio a una stagione cheera stata anche in loro un orizzonte dell’esistenza –lo spettro di Marx, avrebbe detto Derrida. Li accom-pagnava non l’Internazionale ma la marcia funebre diChopin. (…) Proprio dietro di noi stava con faccia dipietra uno mai visto prima, Breznev,che poco dopoavrebbe parlato sul palco, e mi sorprese che attaccas-se condolendosi non con il proletariato ma con NildeJotti. Lei era marmorea, senza storie, un velo nerosui capelli. Parlò anche la Pasionaria , ancora tumul-tuosa, il profilo aquilino e la crocchia dei capelli rac-colta dalla rete di velluto – la vedevo per la primavolta. Non ricordo una parola di quei congedi. (…)

Togliatti non si aspettava di morire a Yalta, erastanco ma non malato, mentre aveva temuto un tu-more l’anno precedente.(…) Negli ultimi anni erapersuaso che sul movimento comunista incombesseuna nuova crisi. Non aveva alcuna fiducia nel gruppodirigente sovietico che riteneva incapace di governa-re il presente, massima colpa ai suoi occhi. E volevaaprire a suo modo il dossier dell’Urss e dell’Interna-zionale (…) perché si capisse la dimensione del pro-getto e egli errori, per salvare il salvabile di una im-presa giusta, deviata ma giusta, una grande impresa. Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso, Milano,Mondolibri 2002, pp.282 – 284.

Se uno oggi dovesse chiedermi che cosa fu al centrodella battaglia in Italia di quel combattente spentosi aYalta, direi che – intrecciate fortemente con l’antica,costitutiva connotazione di classe – era centrale in lui larivendicazione di nazione.) Cercava una via sul recupe-ro di un’idea e di una realtà di nazione, sperando chequella invenzione storica fosse sorretta dal nuovo polomondiale costituito dall’Urss, Anche l’idea del policen-trismo, che egli pose al centro del dibattito con Chru-scev, a mio avviso guardava alle possibilità di un nuovorapporto che intrecciava il vincolo con l’Urss (pur sem-pre centro del proletariato mondiale) con la forza radi-cata dell’idea di nazione, la grande invenzione ed eredi-

tà della rivoluzione borghese. Qui egli si riscontravacon Tito e anche con tutto un volto del terzomondismo.Pietro Ingrao, Volevo la luna, Torino, Einaudi 2007,pp.308 – 309.

Togliatti in rete.www.fondazionegramsci.orgwww.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier “Palmiro Togliatti”).

1965 L’editore Mondadori inaugura la collana

economica degli “Oscar”.

ITALIA – Nasce, edita dalla Mondadori, la collana de“Gli Oscar” che rappresenta il primo caso di volumitascabili: romanzi di grandi autori contemporanei, aduscita settimanale, venduti a basso prezzo attraverso li-brerie ed edicole. Diventeranno un prodotto di massada cui si svilupperanno più di trenta diverse collane diOscar Mondadori.HEMINGWAY, Ernest. Addio alle armi. Milano, A.Mondadori, 1965. (Gli oscar; 1) Collocazione: I.I.406 –Donazione Maristella VAROCCHI

Fu Mondadori a trovare la formula giusta, a dimo-

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strare che in quest’occasione la grande industria erapiù preparata – o forse più disposta – a rispondere aquanto il mercato richiedeva. Il 27 aprile 1965 uscì,infatti, Addio alle armi di Hemingway, che aprivauna nuova collana a basso prezzo, con particolari ca-ratteristiche che la distinguevano da tutte le altre. In-nanzi tutto i volumi erano venduti nelle edicole, illoro prezzo era fisso (e molto basso: 350 lire), la pe-riodicità di uscita settimanale. In più venivano pre-sentate solo opere di narrativa: una scelta significati-va anche questa. Di nuovo la narrativa , e con più fi-ducia, dopo il successo di molti romanzi negli anni1959 – 1963 (e non solo quelli da oltre centomila co-pie), veniva proposta come il genere più consono achi poco praticava la lettura. Si riunivano negliOscar, la nuova collana tascabile della Mondadori ,quegli elementi che avevano portato al successo ladispensa (l’edicola, il basso costo, la periodicità setti-manale), con la tradizionale tendenza dell’editoriaitaliana e del suo mercato di privilegiare la narrativa.

Fu questa la grande intuizine che portò il libro inedicola, la direzione più importante dell’editoria li-braria intravide nell’esplodere di interesse per enci-clopedie e grandi opere.(…) Queste le premesse: ilrisultato fu un nuovo boom editoriale. Addio allearmi, stampato in 60.000 esemplari , venne esauritoil giorno stesso della sua uscita, lasciando stupefattianche coloroche avevano ideato gli Oscar .(…) L’im-portante comunque era vendere, e sarebbe interessan-te compiere un’indagine su tutti gli strumenti adottatiper raggiungere tirature più alte: ad esempio, sarebbeutile analizzare le copertine dei primi tascabili, che,collocate nella vetrina della libreria, ma soprattuttonei “girelli” delle edicole, avevano un accattivantefunzione di richiamo. Ferretti ricorda quella dei Ma-lavoglia, pubblicato negli Oscar nel 1965, “con unpadron ‘Ntoni(…) molto più somigliate a un vecchioplayboy davanti alla sua ‘barca’ “”. Alberto Cadioli, L’industria del romanzo, Roma, EditoriRiuniti 1981, pp.113 – 114, 116.

Lo stesso Alberto Mondadori fu (…) l’ispiratoredegli “Oscar”. Tecnicamente, le novità della collanaerano la grande tiratura (fino a 300.000 a numero, enel primo anno, tra il ’65 e il ’66, una diffusione dipiù di 8 milioni di copie ), la distribuzione in edicola(per due terzi) che assimilava il pocket al circuito“povero” dei settimanali, il prezzo accessibile a tutti.L’editore puntava lucidamente, e con notevole ri-schio, ad allargare anche in modo traumatico il pub-blico, attraverso il ponte del consumo meno colto, inparticolare quello femminile del rotocalco. E in effet-ti la prima grande ondata del tascabile si tradusse inuna riproduzione della civiltà del romanzo anni ’50 :dopo Addio alle armi di Hemingway, i primi 150“Oscar” furono esclusivamente romanzi stranieri.

(…) Per l’“Oscar” si decise l’articolazione in variecollane (includendo anche saggistica, fumetto, attua-lità) verso una struttura da universale economica ,destinata a permanere nel tempo.Giovanni Ragone, Le lettere industriali. Editoria, lettera-tura e comunicazione, in Letteratura italiana,diretta daAlberto Asor Rosa, 12, L’età contemporanea. Letteraturadi massa,Roma, Einaudi – La Repubblica 2007, pp.224-226.

Oscar Mondadori in rete.www.librimondadori.it (Mondadori editore/Oscar Monda-dori).

1966Escalation militare statunitense nella

guerra del Vietnam.

VIETNAM - La guerra del Vietnam, combattuta dal1964, sul territorio del Vietnam del Sud e delle areeconfinanti di Cambogia e Laos e in missioni di bom-bardamento sul Vietnam del Nord, vede un escalationnel coinvolgimento degli USA. Nel 1966 il presidenteLyndon Johnson autorizza un incremento delle truppeche deve portare a 429.000 unità entro il mese di ago-sto, assicurando il pubblico statunitense che tale inter-vento porterà alla vittoria.

Vie nuove: settimanale di orientamento e di lotta politica,ALMANACCO 1966Contiene: “Due modi di morire” di Franco PratticoCollocazione: PER 3041–Sale PERIODICI

At the Christmas Bombing Pause ended in late

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January 1966, President Johnson requested myviews on the military outlook in Vietnam. In amemorandum of January 24, 1966, I expressed tohim my belief that the Communist had decided tocontinue vigorously prosecuting the war in the South.They appeared to believe that the war would be along one, that time was on their side, and that theirstaying power was superior to ours. They recognizedthat the large U.S. intervention in 1965 signaled ourdetermination to avoid defeat, and that more U.S. de-ployments could be expected. I reasoned that theCommunist would therefore enlarge their forces byheavier recruitment in the South and expanded infilt-ration from the North. The Joint Chiefs and I estim-ated they could increase their combat battalions by50 percent in 1966 and sustain this larger force oninfiltrated supplies of only 140 tons per day, utilizingno more than 70 percent of the Ho Chi Minh Trail’scapacity.

To blunt this expected buildup, I recommendedincreasing U.S. troop levels by 200,000 (as Westyhad previously requested), raising the total from179,000 to 368,000 by year’s end, and expanding airoperation as planned. But I warned this increased ef-fort probably would not put a “tight ceiling” on en-emy operations in South Vietnam because bombingcould reduce, but not stop, the supply flow fromNorth Vietnam.(…)

Meanwhile, the air war intensified. Sorties againstNorth Vietnam grew from 25,000 in 1965 to 79,000in 1966 to 108,000 in 1967, and tonnage of bombsdropped rose from 63,000 to 136,000 to 226,000.Bombing inflicted damage on the North; it divertedmanpower and resources that otherwise might havegone to military uses; it hampered the movement ofmen sand supplies to the South.

But there was a heavy price: American pilots werelost; captured U.S. airmen provided Hanoi with host-ages; the number of civilian casualties multiplied.Robert S.McNamara, In Retrospect. The Tragedy and Les-sons of Vietnam, with Brian Van DeMark, New York, Random House 1995, pp.236, 244.

From the end of 1965 until the end of 1967 thewar in Vietnam became more and more of an Amer-ican affair. At the beginning of 1965 the UnitedStates stationed 23,000 troops in Vietnam. A yearlater the number was 184,000 , rising 385,000 at theend of the year and 535,000 by the beginning of1968. Although the United States preferred conven-tional “big unit” confrontations with the NLF and theNorth Vietnamese , the enemy decided when to en-gage the Americans and ARVN forces, thereby limit-ing their own casualties until the time they expectedthe Americans would weary of the war. General Wil-liam C.Westmoreland, the U.S. commander, tried un-

succesfully to counter these tactics with an attritionstrategy of his own. He sent giant B-52 bombers andsmaller fighter bombers over South Vietnam to ter-rorize the Vietcong . After the bombers had preparedthe battlefield, helicopter – borne American unitsdescended on the countryside on search – and – des-troy missions to root out and kill enemy soldiers. Robert D.Schulzinger, A Time for War. The United Statesand Vietnam 1941–1975, Oxford, Oxford University Press1997, p.182.

Dong Ha, 31 marzo (1967) Stamattina ho lasciato il campo vicino al mare e

sono tornado in elicottero alla base di Dong Ha, dacui ero partito ieri.(…) Sono sbalordito dalla formidabile organizzazione, diconfort, che giunger nei punti più avanzati. Nonmanca nulla, una trincea è un piccolo angolo d’Ame-rica, alla serra i marines possono tranquillamenteubriacarsi con birra gelata di varie marche, possonostare di fronte al televisore che trasmette per mezzodi satellite i programmi per le forze armate. Ho guar-dato i programmi televisivi. Sono quasi tutti sketchesinterpretati da vecchie grandi stars come Dean Mar-tin, Mikey Rooney, Frank Sinatra e altri.(…) Ognimattina e pomeriggio nella tenda del PIO arriva unmaggiore o un colonnello che ci informa sui movi-menti sui movimenti di truppa e sulle azioni avvenu-te nella zona. Un’operazione è in corso verso CamLo a circa venticinque chilometri dalla base. Questaoperazione consiste in un vasto rastrellamento di co-line e viene effettuata da pattuglie che setacciano ilterreno procedendo a cerchi concentrici . Stanotte an-drò con loro..(…)

Ho tentato di parlare più a fondo (con i soldatiamericani) sui perché di questa guerra. Non sannonulla di nulla, non fanno che pensare all’America,per loro il Vietnam è una specie di luna popolata diVC (vietcong), cioè di qualcosa di piccolo, semprenascosto, il diavolo che prolifera in folletti e coboldimedievali.(…).«Ci sono morti vietcong ?»«Sì, ma non so quanti. Ora cominciamo il rastrella-mento». Lo seguo.(…)

Poi mi avvicino ai morti che nessuno guarda.Sono ragazzi .Possono avere quindici o sedici anni. Icorpi sono lacerati da ferite profonde, uno che sem-bra il più giovane ha il cranio spaccato.(…) Sparsisotto i cespugli trovo teli di nylon, alcune granate,alcuni sacchetti di minuscolo riso cotto che appiccicacome la melassa. Nessuno dei cadaveri ha su di sécarte di riconoscimento. Solo una scatoletta di carto-ne grigio con due fialette di ammoniaca, due bendearrotolate, un pezzettino di sapone non più grande diun dado, avvolto nella carta e fissato con un elastico. Goffredo Parise, Guerre politiche.Vietnam, Biafra, Laos,Cile, Torino, Einaudi 1976, pp.10 -11, 13, 17-18.

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By the end of 1965, there were 10,000 to 12,000Vietnamese directly involved in mantaining or ex-tended the (Ho Chi Minh) Trial, and an equal numberengaged in moving supplies. Group 559 became astrategic rear services unit under the People’s ArmyGeneral Department of Rear Services. The depart-ment also created Group 665 to coordinate troopmovement South and the transport of badly woundedsoldiers to hospitals in the North. There were also a half – dozen trick battalions, twobicycle transport battalions, and one boat transportbattalion. The initial network , now the 70 the Trans-port Group, had been supplemented by the 71st and72ndgroups: one to extend the Trial down into Cambodia ,the other to build connections into South Vietnam.By June 1966, The Truong Son network had both ar-rived at the Cambodian border and penetrated intoSouth Vietnam ‘s A Shau Valley. The constructionsteams had been building roads at the rate of 60 milesa month.Andrew A.Wiest, Rolling Thunder in a Gentle Land. TheVietnam War Revisited, Oxford, Oxford University Press2006, p.83.

Le manifestazioni per il Vietnam si diffondononegli Stati Uniti e in Europa con forza crescente efanno circolare ovunque umori e sensibilità comuni,pur innestandosi in culture differenziate. Vi conflui-va anche il pacifismo degli hippies, i “figli dei fiori”,il cui movimento si diffonde a partire dal 1964- 65:con l’utopia di una liberazione immediata, con formedi protesta – spettacolo, con una proposta di “contro-cultura” che si pone radicalmente alla società deiconsumi e ai valori del sistema americano. Crescevainoltre il numero di chi rifiutava la chiamata allearmi: già nel 1966 gli incriminati sono diverse centi-naia. Joan Baez dedica«con amore, ammirazione egratitudine» la sua autobiografia a coloro che «hannosopportato il carcere per aver resistito alla coscrizio-ne militare obbligatoria». (…) .

In Europa le proteste dilagano da Londra all’Uni-versità di Berlino Ovest. «La criminale guerra degliStati Uniti nel Vietnam – scriveva Rudi Dutschke –ha aperto gli occhi a molti studenti per la prima vol-ta: la loro concezione del rapporto fra scienza e uma-nesimo fu incrinata proprio dalla guerra del Vietnam».(…)

Mobilitazioni e “testimonianze” intellettuali inte-ragiscono a vicenda: nel 1966 a Londra fa discutereuno spettacolo di Peter Brook, e nel 1967 alcuni im-portanti registi (da Alain Resnais a Joris Ivens, daClaude Lelouch ad Agnés Varda, da William Klein aJean – Luc Godard e a Chris Marker) realizzano Loindu Vietnam, che apre la strada alle esperienze. In Ita-lia la mobilitazione si intensifica nelle piazze, ove è

promossa in primo luogo al Partito comunista, e sisposta presto in sit – in all’interno delle università oin vere e proprie occupazioni, come avviene nel 1967a Trento.Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economicoagli anni ottanta, Roma, Donzelli 2005, pp.129 – 131.

Dal solco tracciato dallo storico cantautore dell’al-tra America Woodie Guthrie, e dal complesso deiWeavers, vittima del maccartismo, emergevano PeteSeeger, indimenticabile autore dell’inno pacifistaWhere have all the flowers gone, padre spirituale diBob Dylan e Joan Baez. Peter Paul & Mary, e persi-no i più tradizionali The Kingston Trio cantavano lapace, la protesta, canzoni come We shall overcome,fino all’inno degli inni Blowin’in the wind e all’anti-cipatrice The times they are changin. Sono i giorni, imesi, gli anni dei grandi raduni pacifisti britanniciguidati dal “laico” Bertrand Russel e dal cattolicomonsignor Bruce Kent, della nascita all’Università diBerkeley del New Speech Movement dell’italo- ame-ricano Mario Savio, della protesta beat che eredita lesuggestioni del movimento poetico dei Beatnik, delflusso pacifista “Onda Verde” con il famoso slogan“Facciamo l’amore non la guerra”. In questo contestoarriva l’enciclica di Giovanni XXIII. Una sfida cultu-rale e morale per tutti, non solo per i cattolici. E lagrande pretesa della Pacem in terris è affermare larazionalità della pace. La pace inevitabile contro l’u-topia della morte.Paolo Giuntella, Strada verso la libertà. Il cristianesimoraccontato ai giovani,Milano, Edizioni Paoline 2004,pp.126 – 127.

La guerra del Vietnam in rete.Molti i siti, si vedano :www.vietnam.ttu.edu (Texas Tech University, PO Box41041, Lubbock, Texas. The Vietnam Center and Archive:oltre 2.700.000 documenti di vario tipo sulla Guerra delVietnam).www.vietnampix.comwww.vietnamwar.com (in entrambi documentazione foto-grafica sulla guerra).www.thewall-usa.com (Veterans of the 4th Battalion 9thInfantry Regiment. The Vietnam Memorial , Washington).www.lib.berkeley.edu (Media Resources Center, UCBerkeley, The Pacific Radio UC, Berkeley. Social Activ-ism Sound Recording Project: Anti- Vietnam War Protestsin the San Francisco Bay area).www.nosirno.com (Video on “suppressed story of GImovement to end the war in Vietnam).

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1967 Ernesto “Che” Guevara viene ucciso in Bolivia.

BOLIVIA - L'8 ottobre 1967 Che Guevara è stato feri-to e catturato da un reparto anti-guerriglia dell'eserci-to boliviano - assistito da forze speciali statunitensi os-sia agenti speciali della CIA - a La Higuera, Il giornosuccessivo è stato ucciso nella scuola del villaggio. Ilsuo cadavere - dopo essere stato esposto al pubblico aVallegrande - è stato sepolto in un luogo segreto.Verrà ritrovato da una missione di antropologi argen-tini e cubani nel 1997. Da allora i suoi resti si trovanoa Cuba

Guevara, Ernesto. Episodes de la guerre révolutionnaire*.La Havane, Guairas, 1967Tit. orig.: Pasajes de la guerra revolucionariaCollocazione: GER.TC.III.35–Dal Fondo Virginia GER-VASINI* ”Episodi della guerra rivoluzionaria”

Guevara a fatica si alza in piedi (di fronte ai sol-dati boliviani che lo hanno catturato) e li guarda sen-za tradire alcuna emozione, è finita.(…)«Sono Che Guevara». Uno dei ranger ricorda che ilChe parlava «con orgoglio, senza abbassare la testa,e non distoglieva gli occhi da quelli del capitano».(…) Il Che non ha più le scarpe e i piedi sono avvolti

in quel che resta delle abarcas che gli ha fabbricatoNato Mendez : brandelli di cuoio e stracci assemblatiin modo approssimativo.(…) Alle cinque del pome-riggio quando sta calando il sole e gli spari sono ces-sati, il capitano Prado decide di portare Guevara eWilly (compagno del Che) – che nel frattempo sonostati legati ai polsi con una corda – al villaggio di LaHiguera, che dista pochi chilometri.(…)

Quando alle 19.30 arrivano a La Higuera è giàbuio. Misero villaggio, secondo una credenza conta-dina a La Higuera solo le pietre sono eterne. Posto a1500 metri di altitudine, le sue modeste case sonoilluminate dalla debole luce di antiche lampade a pe-trolio. In silenzio gli abitanti vedono arrivare il lentocorteo. Al centro del villaggio c’è una piccola scuolain mattoni crudi, con il tetto di paglia e il pavimentodi terra battuta, con due sole aule: in una rinchiudonoWilly con i cadaveri di Pantoya e Tamayo (loro com-pagni), mentre nell’altra gettano il Che.

In questa modesta scuola di uno sconosciuto pae-sino boliviano, Ernesto Guevara de la Serna, che du-rante la sua vita ha insegnato a leggere e scrivere atanti contadini , trascorrerà la sua ultima notte.(…)A La Paz intanto quella sera stessa si svolge una riu-nione alla quale prendono parte il presidente RenéBarrientos, il generale Alfredo Ovando, ministro del-la guerra, il generale Juan José Torres, capo distatomaggiore delle Forze Armate, e il tenente colonnelloFederico Arana Serrudo , capo della G2, i servizi se-greti militari . Alla fine della riunione un Barrientospreoccupato si reca nella residenza di Douglas Hen-derson, ambasciatore degli Stati Uniti in Bolivia, af-finché chieda istruzioni a Washington. La preoccu-pazione di Barrientos è palese quanto giustificata: unprocesso al comandante Guevara è a dir poco proble-matico.(…) Era preferibile la sua morte soprattuttoper Washington, perché il Che vivo costituiva ungrave pericolo per gli interessi degli Stati Uniti nel-l’intera area, e inoltre la sua morte avrebbe assestatoun duro colpo a Cuba e al movimento rivoluzionariodell’America Latina.(…)

Il militare esita non riesce a sparare, gli tremanotremendamente le mani. Il Che gli grida: «Dispara,cojudo, dispara! Sierra los ojos y dispara!» (“Spara,coglione, spara! Chiudi gli occhi e spara”). Teranchiude gli occhi e spara una prima raffica. La miranon è stata molto buona, e il Che cade a terra con legambe maciullate che perdono molto sangue, contor-cendosi per il dolore. Teran spara una seconda rafficae questa volta lo colpisce a un braccio, a una spalla eal cuore. Sono le 13.10 di domenica 9 ottobre 1967.Roberto Occhi, Che Guevara, Baiso, Reggio Emilia, Ver-dechiaro Edizioni 2007, pp.279, 281, 282, 285.

A Parigi il turbamento (per la morte di Guevara)è grande. Per Prensa Latina Sartre rende omaggio all’

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“uomo più completo della nostra epoca”.(…) Alcunidocenti universitari e dei cineasti “non appartenentiad alcun partito politico” decidono, in omaggio aGuevara, di andare a deporre fiori sulla statua di Bo-livar (“Le Monde” 27 ottobre 1967). «Quale eventol’ha maggiormente colpita in questi ultimi tempi?»chiede “Le Nouvel Observateur” (18 ottobre 1967) aFrançois Mitterand. Risposta: «La notizia della mortedi Che Guevara (…).Un uomo di sinistra francesedeve dirlo (…) la lotta di Che Guevara è la lotta degliuomini liberi».(…)

Ma il fenomeno della transustanziazione del mes-saggio guevariano è assolutamente straordinario aCuba. «Il sangue di Che Guevara è sgorgato per tuttigli sfruttati» proclama Fidel Castro nell’omelia del18 ottobre 1967.

Dall’oggi al domani il guastafeste dei negoziaticon Mosca, l’economista troppo centralizzatore, l’ir-realista, l’insolente che denunciava l’imperialismocamuffato dei paesi socialisti diventa la grande figurasacrificale della modernità rivoluzionaria. Pierre Kalfon, Il Che. Una leggenda del secolo, Milano,Feltrinelli 2003, p.627.

Uno dei primi giorni di scuola, presi il treno e miaddormentai. Sognai un soldato che caricava il fucilee il capitano Guzman Rodriguez che diceva, non spa-rare alla testa, deve sembrare morto in combattimen-to. Arrivai alla stazione e vidi il titolo sul giornale:era morto Che Guevara.

Avevo in tasca un libro che parlava di lui. Non soperché, lo buttai irosamente in un cestino della spaz-zatura. Volevo un uomo vivo da ammirare, non uneroe di carta da compiangere. Non potevo saperequanto sarebbe stato celebrato, anche da quelli che loavevano tradito. Il giorno dopo tornai, infilai la manonel cestino, il libro era ancora lì. Lo ripresi, e andai ascuola.Stefano Benni, Saltatempo, Milano, Feltrinelli 2003,p.145.

Che è diventato un marchio che è la quintessenzadel capitalismo stesso. La sua immagine compare sutazze, berretti, accendini, portachiavi, portafogli, ban-dane, top, blue jeans, confezioni di tè alle erbe e, na-turalmente, sulle immancabili t-shirt con la fotografiadi Alberto Korda che ritrae l’idolo socialista con ilberretto nei primi anni della rivoluzione, l’immagineche a 38 anni dalla morte del Che è ancora il simbolodello chic rivoluzionario (o capitalista?). Sean O’Ha-gan ha scritto sull’ “Observer” che esiste persino undetersivo in polvere con lo slogan: «Il Che lava piùbianco».

(…) La trasformazione di Che Guevara in un mar-chio capitalista non è nuova ma il marchio ha cono-sciuto un revival piuttosto significativo, poiché giun-

ge anni dopo il collasso politico e ideologico di tuttociò che Che Guevara ha rappresentato. Una ripresainsperata ,dovuta principalmente a I diari della mo-tocicletta , il film prodotto da Robert Redford e di-retto da Walter Salles.(…) Per l’esattezza questo ri-torno di fiamma è iniziato nel 1997, quando, nel tren-tesimo anniversario della morte del Che, sono com-parse nelle librerie cinque biografie e sono stati rin-venuti i resti di Guevara nei pressi di una pista del-l’aeroporto boliviano di Villagrande, in seguito allerivelazioni fatte, con particolare tempismo, da un ge-nerale boliviano in pensione. L’anniversario ha ri-chiamato l’attenzione sulla celebre fotografia diFreddy Alborta sul cadavere del Che steso su un ta-volo, romantico come il Cristo dipinto da Mantegna.Alvaro Vargas Llosa, Così il Che è diventato il logo delcapitalismo,in “Corriere della Sera”, 16 luglio 2005.

Che Guevara in rete.www.e-guevara.com (sito documentato su Che Gevara invarie lingue, compreso l’italiano; comprende documentioriginali del Che ).www.marxist.org (Che Guevara Internet Archive- Lib-rary/Biography/Images/Speeches).

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1968 Martin Luther King viene assassinato.

STATI UNITI – Martin Luther King viene assassinatoa colpi d'arma da fuoco su un balcone del LorraineMotel di Memphis nello stato del Tennessee. Era statoil più giovane ad ottenere il Premio Nobel per la pace,assegnatogli per il suo impegno nella difesa dei diritticivili.

KING, Martin Luther. La forza di amare. Torino, SEI,1968.Collocazione: Collocazione: GER.TA.II.71–Dal Fondo Vir-ginia GERVASINI

Within two months, the two most visible opposi-tion figures in American politics, Robert Kennedyand Martin Luther King jr., lay dead, struck down byassassins’ bullets. Soon after, the movement for fun-damental changes began to fragment.

King was the first to fall. Convinced that the blackmovement had to take up the demand for economicas well as political justice, King had gone to Ten-nessee to help organize support for striking Memphisgarbage collectors. Led by the American Federationof State, County and Municipal Employees, thestrike lasted for two months. Marches, demonstra-

tions, and arrests gave the strike much of the flavourof the early civil right movement, the slogan boldlyprinted on their picket signs, “I AM A MAN”, spokeas clearly to the real meaning of the conflict as didthe union’s demand for higher wages and a contract.On April 4, hours before King was to lead an othermass march on City Hall, a white ex- convict shothim from ambush. After King’s death, ghettos acrossthe United States exploded in riots, signaling the bit-ter end of the once – hopeful civil rights era.American Social History Project, Who Built America?Working People & the Nation’s Economy, Politics, Cul-ture & Society, II, From the Gilded Age to Present,MewYork, Pantheon Book 1992, p.584.

Memphis revived the civil rights unionism of the1940’s. William Lucy, an organizer for the AmericanFederation of State, County and Municipal Employ-ees (AFSCME) and president of the Coalition ofBlack Trade Unionists, recalled King’s excitement atthe strength of a community – union alliance for eco-nomic justice. King knew the struggle was about“people who worked forty hours a week and stilllived in poverty”. King had championed the plight oflow – paid workers since black and Puerto Ricanhospital workers in Local 1199 struck in 1959. Heseldom picketed factory gates, but here was a wholecity on the march. Thomas F.Jackson, From Civil Rights to Human Rights.Martin Luther King and the Struggle for EconomicJustice,Philadelphia, University of Pennsylvania Press2007, p.350.

La vera tragedia negra è tutta racchiusa nelle cir-costanze che hanno condotto Martin Luther King almartirio. Perché infatti giovedì scorso era andato aMemphis? Per dare una mano ai lavoratori della net-tezza urbana che erano in sciopero da più di sei setti-mane: Martin Luther King è morto per i diritti civilidei negri, ma anche per la emancipazione economicadei poveri e il diritto dei lavoratori di appartenere aun sindacato. Oltre al razzista che ha premuto il gril-letto, a Memphis c’erano decine e decine di migliaiadi persone che odiavano King, accusandolo di essersiimmischiato nelle faccende della loro comunità ed’aver tentato di forzare la mano all’amministrazionemunicipale che preferiva far raccogliere i rifiuti dacrumiri protetti da guardie armate piuttosto che rico-noscere il diritto dei lavoratori municipali di apparte-nere ad un sindacato.(…)

Visto che nessuno si muoveva , Martin LutherKing aveva deciso che era suo dovere farsi avanti .Dichiarò che la causa degli scioperanti era la sua cau-sa.(…)

Così tutta la carica d’odio razzista che può ribolli-re in questa capitale del Sud esplose contro di lui .

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Mercoledì l’atmosfera era tesissima: gli estremistibianchi circolavano urlando minacce e gridando ana-temi. La gente dei quartieri bianchi sosteneva cheKing “sta preparando un’insurrezione”, e la psicosigiunse al punto che le dattilografe e le segretarie d’a-zienda restarono a casa senza recarsi al lavoro. E’ inquesto clima che qualcuno decise di uccidere LutherKing.

Per King, la marcia di Memphis non era soltantoun gesto generoso, essa faceva parte della sua nuovastrategia. Col passare del tempo, infatti, King s’eraconvinto che ormai per i negri era giunto il momentodi passare dalla lotta per i diritti civili a quella perl’emancipazione economica in linea con questa nuo-va strategia, King stava preparando per il 27 aprileuna “marcia dei poveri” sulla capitale. Un esercitodella miseria, formato da poveri di tutte le razze, do-veva entrare a Washington e accamparsi davanti allaCasa Bianca.Mauro Calamandrei, La tempesta nera,in “L’espresso” ,14 aprile 1968.

Martin Luther King in rete.www.thekingcenter.com (The King Center, fondato nel1968 da Coretta Scott King come “official, living memori-al” dedicato a MLK, Atlanta, Georgia)www.mlkonline.net (“On Stop Source for MLK on theNet” con molti video).www.stanford.edu (The Martin Luther King jr. Researchand Education Institute).www.civilrightsmuseum.org (National Civil Rights Mu-seum, 450 Mulberry Street, Memphis, TN 38103).

1969Strage alla Banca dell’Agricoltura

in piazza Fontana a Milano. Nella questura milanese muore, in

circostanze non completamente chiarite, l’anarchico Giuseppe Pinelli.

ITALIA - Il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano,alle 16:37, una bomba è esplosa nella sede della BancaNazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana, provo-cando la morte di diciassette persone ed il ferimento dialtre ottantotto. Tre giorni dopo muore, precipitandoda una finestra della questura di Milano, l’anarchicoGiuseppe Pinelli ,che era trattenuto per accertamentiin seguito all’attentato. Le circostanze della sua morte,ufficialmente attribuita ad un malore, non sono chiare.

L’Unità, 16 dicembre 1969Collocazione: ZB 163–Dall’EMEROTECA

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Milano 12 dicembre 1969. Banca Nazionale del-l’Agricoltura. La bomba esplode alle 16.37 nel salo-ne centrale tra decine di clienti, di impiegati, di fun-zionari. Fa sedici morti e ottantaquattro feriti. Un te-stimone giunto subito sul posto, don Corrado Fiora-vanti, parroco di Cinisello, racconterà:«Mi è venuta incontro una ragazza senza un braccio.Con l’altro mi ha tirato la tonaca: ‘Padre, ci aiuti’.Altri mi hanno tirato la veste. Uno grida: ‘Non sentopiù la gamba, non la sento più’. Infatti non aveva piùla gamba. Non c’era più. Ma c’era anche chi oltre adessere rimasto senza una gamba aveva perso ancheun braccio. Così, atrocemente mutilata, giaceva a ter-ra una ragazza. E poi altre voci ancora: mi tolga que-sto tavolo di dosso. Mi tolga questa sedia di dosso.Mi tolga questo peso. Toglievo. Toglievo. E sottotrovavo mutilati. Ustionati. C’era gente che bruciava.Gente che si rotolava a terra in fiamme. Uno scem-pio. Uno scempio. Ho pregato. Per quelle mascheredi sangue. Per quei ventri squarciati. Per quei poveribrandelli di sangue. Ho dato a tutti l’assoluzione, labenedizione di Dio».Maurizio Danese, Gianfranco Bettin, La strage.PiazzaFontana.Verità e memoria, Milano, Feltrinelli 1999, p.15.

Ricordiamo che cos’era l’Italia tra il gennaio e ildicembre 1969 ? Manifestazioni studentesche e ope-raie che degeneravano sistematicamente in scontricon le forze dell’ordine, con morti e feriti. Le aggres-sioni fasciste e le risposte dell’estrema sinistra. E poiil crescendo di attentati a uffici pubblici, sedi di par-tito, treni e banche…

Il disagio giovanile e operaio aveva motivazionireali. (…) Affondava una delle sue radici nel bisognodi libertà, contro ogni forma di autoritarismo: nellefabbriche, nelle scuole e nelle università, nelle caser-me, in famiglia , nei rapporti individuali. La protestagiovanile era parte di un movimento che scuoteva ilmondo intero, la cui scintilla era scoccata nelle uni-versità e nei ghetti neri dell’America, contro la guer-ra in Vietnam e le discriminazioni razziali, per la di-fesa dei diritti civili. Una rivolta libertaria che però,in Italia, assunse immediatamente forti connotatiideologici per trasformarsi in lotta antifascista e inlotta rivoluzionaria per il comunismo./(…) Piazza Fontana è il culmine di quell’incredibile cre-scendo di tensione.(…)

Di piazza Fontana oggi non si sa ancora soltantochi ha materialmente deposto la bomba nella bancadell’Agricoltura, perché ci sono stati troppi depistaglie molti testimoni sono morti in circostanze misterio-se o sono stati ammazzati. Ma che l’attentato sia sta-to organizzato da cellule ordinoviste (dell’organiz-zazione neofascista Ordine Nuovo) con la coperturadi settori degli apparati dello Stato è fuori discussio-ne.

Giovanni Fasanella, Giovanni Pellegrino, La guerra civi-le, Milano, Rizzoli 2005, pp. 62- 64.

Attentati a sedi comuniste, delle cooperative; at-tentati a militanti della sinistra e alzando l’obiettivostragi nelle piazze e sui treni in cui gli engagées sitrasformano in enragés (…) Alle origini delle stragiche al cittadino comune risultano incomprensibiliprima che orribili, ci sono due sentimenti: la coesio-ne con il gruppo terroristico e la totale estraneità alresto del mondo. La strage è pensata come un atto li-beratorio verso una realtà ostile, come se lo stragi-smo fosse il solo modo che i terroristi conoscono difare politica.(…) Per i mandanti delle stragi che mi-rano al terrore, l’intercambiabilità delle vittime fun-ziona comunque, ora si può colpire la piazza demo-cratica di Brescia e ora i carabinieri di Peteano, ne-mici politici e innocenti purché il terrore si diffonda.(…)

L’estrema destra italiana è estrema anche nellaprofessione di razzismo, su direbbe che cerchi l’iper-bole del razzismo.(…) Ecco il razzismo nella versio-ne di un loro leader, Maurizio Boccacci : «Sono razzista se per razzismo si intende che ognipopolo dovrebbe stare nel suo territorio, i negri con inegri, gli ebrei con gli ebrei e così tutti gli immigrati.Non farei mai giocare i miei figli con dei bambini ne-gri ed ebrei. Io difendo la integrità della razza, dellaciviltà e dei popoli».Giorgio Bocca, Il filo nero, Milano, Mondadori 1996,pp.164 – 167.

I dati ufficiali dicono che, soltanto nel periodo trail primo gennaio 1969 e il 31 dicembre 1987, si sonoverificati in Italia 14.591 atti di violenza con una mo-tivazione politica. Fuori da ogni logica burocratica,vale forse la pena di ricordare che quegli “atti” hannolasciato sul terreno 491 morti e 1181 feriti. Cifre daguerra. Che non hanno eguali in nessun altro Paeseeuropeo.(…)

L’obiettivo della manovalanza neofascista, cioèchi metteva materialmente le bombe, era quello diprovocare allarme, paura, disagio sociale; e quindi difare in modo che, al dilagare della protesta studente-sca e operaia, si reagisse con una risposta d’ordine.Quindi le loro azioni erano funzionali al progetto diun vero e proprio colpo di Stato.

Al secondo livello , diciamo degli “istigatori”,probabilmente si pensava , invece, di affidare allatensione lo stesso ruolo che aveva avuto il “tintinnaredi sciabole” del 1964 (la tentata svolta autoritariadel generale De Lorenzo) : favorire,cioè, uno sposta-mento in senso conservatore dell’asse politico delPaese. Ancora una volta, l’intentona, insomma.

Al terzo livello, quello internazionale, c’erano in-teressi geopolitica volti a tenere comunque l’Italia in

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una situazione di tensione , di disordine e di instabili-tà interna. Il tentativo in direzione del colpo di Statoo dell’intentona, durò abbastanza poco, sostanzial-mente dagli attentati del 1969 al fallito golpe Bor-ghese. A livello politico, sia interno, sia, soprattutto,internazionale, si capì che l’Italia non era la Grecia,che da noi non era importabile il regime dei colon-nelli, perché sarebbe scoppiata la guerra civile: unprezzo troppo alto da pagare. Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri con Giovanni Pelle-grino, Segreto di Stato. La verità da Gladio al casoMoro,Torino, Einaudi 2000, pp.V, 67.

15 dicembre 1969: l’anarchico Pietro Valpredaviene arrestato a Milano. La polizia è certa che sia lui“il mostro “ autore della strage.15 – 16 dicembre 1969: nella notte l’anarchico Giu-seppe Pinelli precipita dalla finestra dell’ufficio delcommissario Calabresi e si schianta sul marciapiededel cortile interno della questura di Milano.12 aprile 1971: il giudice istruttore di Treviso Gian-carlo Stiz emette un mandato di cattura per il pado-vano Franco Freda e il trevigiano Giovanni Ventura.Freda è accusato di far parte di una “associazioneavente lo scopo di sovvertire violentemente l’ordinepolitico, sociale ed economico dello stato” Ventura,invece, “dell’erogazione di mezzi di finanziamento edel procacciamento di armi da guerra e di materialeesplosivo”Maurizio Danese, Gianfranco Bettin, La strage.PiazzaFontana.Verità e memoria, Mkilano, Feltrinelli 1999,pp.200- 201.

Mezzanotte è passata da poco, ma è difficile dor-mire bene dopo una giornata come quella del 15 di-cembre 1969, dopo il funerale delle vittime dellaBanca dell’Agricoltura. Come se tutta quell’angosciafosse entrata nelle ossa insieme a una nebbia mai vi-sta che rendeva bassissimo il cielo e nero il mezzo-giorno.(…)

Arriva invece una telefonata. «Sei già a letto? Nonimporta . Fra cinque minuti davanti al tuo cancello».«Perché?». «Un uomo si è buttato da una finestradella questura, non farci aspettare , andiamo a dareun’occhiata». Sono due amici coi quali ho semprecorso in questi giorni, Corrado Stajano e GiampaoloPansa, hanno la faccia e i modi di questi giorni, gestifrettolosi , rabbia e dolore negli occhi. Via di corsa alFatebenefratelli dove è stato trasportato il morente..(…) “Si chiama Giuseppe Pinelli”, l’ho saputo unminuti prima, senza rendermi conto naturalmente chesarebbe diventato per me un nome dei più familiari ,che di lì a pochi mesi mi sembrerà d’averlo cono-sciuto da sempre, lui ,i suoi sogni, la sua generositàleggendaria, la sua sete di sapere, la sua voglia di vi-vere, le sue bambine, la moglie Licia che un po’

l’ammira e un po’ la prende in giro.(…) Gli hannofatto il funerale il giorno 20 dicembre, c’erano vecchianarchici col nero cravattine svolazzante, i soliti ra-gazzi della manifestazioni con i colbacchi e frange dibarba di varia lunghezza, tutti i giovani professori estudenti che davano da battere a macchina le loro tesialla signora Licia e un bel po’ di quanti non conosce-vano il Pinelli ma non hanno creduto al questore.Bandiere nere nella nebbia, la polizia che fa scioglie-re il corteo, i compagni del morto che davanti allafossa n. 434 nel campo 764 di Musocco cantano l’In-ternazionale e Addio Lugano bella, i poliziotti tutti ingruppo, e vestiti di scuro, al di là di una fila di croci. Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage, Mila-no, Il Saggiatore 2004, pp7-8, 16.

La foto di Luigi Calabresi compare per la primavolta su “Lotta continua” il 20 dicembre 1969, cin-que giorni dopo la morte di Pinelli, insieme con lefoto dei dirigenti della questura. (…) IL 17 febbraio1970 c’è anche il suo nome, sbagliato (“il dott. Cala-brese”), con un breve curriculum in cui si parla disoggiorni negli Usa, legami con la Cia e in particola-re con il «generale Edwin Walker, mente militare diBarry Goldwater, leader della destra filofascista ame-ricana» (in realtà il vicecommissario in America nonè mai stato né mai andrà). Ancora per qualche setti-mana la grafia non viene corretta , ma “Calabrese” èsubito indicato come il principale responsabile dellamorte di Pinelli: è stato lui a convocarlo in questura,a trattenerlo per tre giorni, a guidare gli interrogatori.Sarà un magistrato di sinistra , Gerardo D’Ambrosio,a stabilirne l’innocenza. Un giovane funzionario dipolizia diventa ingiustamente simbolo e bersaglionella vicenda più oscura del dopoguerra italiano: letrame nere, i depistaggi dei servizi, l’accusa anch’es-sa ingiusta contro Valpreda, la fine di Pinelli.Aldo Cazzullo, Il caso Sofri. Dalla condanna alla “treguacivile”, Milano, Mondadori 2004, pp.36 – 37.

Erano gli anni delle bombe e degli scontri di piaz-za. Dal dicembre 1969, da piazza Fontana, una conti-nua escalation; il 31 maggio 1972 una bomba inseritanel cofano di una Cinquecento fa saltare in aria alcu-ni carabinieri a Peteano, vicino a Trieste, provocandola morte di tre persone; il 17 maggio 1973 sulla portadella Questura di Milano un altro eccidio , un’altrabomba e i morti sono quattro; il 28 maggio 1974 unordigno, collocato in un cestino della carta straccia inpiazza della Loggia, fa un’altra strage nel corso diuna manifestazione sindacale, otto morti; il 4 agostodello stesso anno un’ennesima bomba, piazzata su untreno, stronca la vita di dodici persone in una dellegallerie che uniscono Firenze a Bologna. Oltre agliattentati che falliscono, alle bombe che fortunata-mente non esplodono o non provocano danni, su altre

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tratte ferroviarie, sempre intorno a Firenze. Gherardo Colombo, Il vizio della memoria, Milano, Feltri-nelli 1998, pp.24 – 25.

La strage di piazza Fontana in rete.www.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier “La strage di piazzaFontana” e “Luigi Calabresi”).www.archivio900.it (Piazza Fontana. La strage infinita).www.isole.ecn.org (Circolo Anarchico Ponte della Ghi-solfa, Milano: Piazza Fontana ,documenti per capire e pernon dimenticare).

1970 Viene approvata in Italia la legge sul

divorzio.

ITALIA - Nel dicembre del 1970, nonostante l'opposi-zione della Democrazia Cristiana, il divorzio viene in-trodotto con la legge n. 898, (risultato della combina-zione del progetto di legge di Loris Fortuna con quellodel liberale Antonio Baslini). Nello stesso anno il Par-lamento approva le norme per il referendum, pro-prio mentre si scatenano le polemiche degli antidi-vorzisti

CARETTONI, Tullia-FORTUNA Loris. Divorzio: incon-tro o scontro? Roma, Napoleone, 1971Collocazione: GER.TB.XV.16–Dal Fondo Virginia GER-VASINI

(Mauro) Mellini e (Marco) Pannella crearono nel1966 la Lega per l’Istituzione del Divorzio (Lid) , cuiaderirono parlamentari di diversi schieramenti , tracui lo stesso (Loris) Fortuna, magistrati e giuristi.Anche il periodico “L’Espresso” diede sostegno allabattaglia che, attraverso l’intensa attività della LID,vide un’enorme crescita del movimento divorzista ela mobilitazione diretta dei cittadini che pressavano isingoli parlamentari con cartoline, lettere, appelli,manifestazioni e telefonate; Fortuna presentò in Par-lamento 32.000 cartoline e 4.000 lettere ricevute inmeno di un anno in sostegno alla sua proposta. (…) I liberali proposero un testo di legge restrittivorispetto a quello di Fortuna, firmato dall’onorevoleBaslini , presidente della LID. In seguito alle dimis-sioni di Pannella dalla segreteria della LID, si arrivòal compromesso , integrando la legge Fortuna con al-cuni emendamenti di Baslini.

Il 10 novembre 1969, in risposta ai ripetuti tentati-vi del Parlamento di rinviare la discussione della leg-ge Fortuna, Marco Pannella e Roberto Cicciomesse-re, rispettivamente segretario e segretario organizza-tivo della LID, iniziarono uno sciopero della fame,chiedendo la fissazione dei termini della votazionedella legge. Il timore era che i rappresentanti dellaDC avrebbero continuato a rinviarne la votazionefino al momento in cui il movimento divorzista aves-se perso il proprio peso politico sull’opinione pubbli-ca e la maggioranza dei parlamentari fosse schieratacontro il divorzio.Allessandro De Tizio, La fantasia come necessità. I radi-cali: provocatori qualunquisti o visionari consapevoli, To-rino, Edizioni Lindau 2005, pp.23-24.

Il 1970 segnò anche la conclusione della lungalotta per introdurre il divorzio in Italia. Il primo dise-gno di legge sull’annullamento del matrimonio vennepresentato nell’ottobre 1965 dal socialista Loris For-tuna, il quale propose un testo abbastanza moderatoche limitava l’esercizio di tale diritto a una ristrettaserie di casi accuratamente definiti. Tutto ciò perònon impedì alla Democrazia cristiana di bloccare l’i-ter parlamentare del progetto, già fatto oggetto di fe-roci attacchi da parte delle gerarchie ecclesiastiche.L’opinione pubblica laica, influenzata dall’attivitàdella Lid (Lega italiana per il divorzio), si schieròprogressivamente a sostegno dell’iniziativa di Fortu-na. Nel 1969 vennero introdotti nella proposta di leg-ge ulteriori suggerimenti del liberale Antonio Basli-ni; frattanto i comunisti assicuravano il loro appog-gio. Alla Camera l’opposizione alla legge potevacontare solamente sui voti della Dc e dei neofascisti.

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Nel novembre 1969, mentre la Lid manifestavadavanti a Montecitorio e il cardinale vicario di Romainvitava i fedeli a pregare per allontanare la calamitàrappresentata dal divorzio, la Camera dei deputati ap-provò la legge Fortuna – Baslini con 325 voti favo-revoli e 283 contrari. L’approvazione finale dellalegge slittò comunque di un anno, dal momento cheil Senato ne ratificò una versione emendata rendendocosì necessario il suo rinvio alla Camera per una se-conda votazione. Essa divenne legge dello Stato il 1dicembre 1970: l’Italia laica aveva ottenuto un’im-portante vittoria.Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. So-cietà e politica 1943–1988, II, Dal miracolo economicoagli anni ’80, Torino, Einaudi 1989, pp.444- 445.

I nemici del divorzio non sono soltanto numerosie potenti; sono anche tempisti. Venerdi scorso, a soli9 giorni dal voto della Camera, è uscito un documen-to approvato dall’episcopato italiano dal titolo “Ma-trimonio e famiglia”. Ventidue paginette caratterizza-te dall’impostazione cauta e dallo stile mellifluo.(..)Niente più spirito di crociata. Niente anatemi verso icattolici recalcitranti. Nessun accenno a “storici stec-cati”. Al contrario, un brusco mutamento di tatticaalla vigilia dell’irreparabile. Soltanto sei mesi fa, in-fatti, il divorzio sembrava lontanissimo; ma oggi,grazie al dinamismo della Lid, l’antica sicurezza deiclericali è diventata paura.(…) Nella battaglia per ildivorzio il contraltare della Lid è rappresentato dallaCedaf, Comitato per la difesa della famiglia. Di que-sto organismo, creato poco più di sei mesi fa sottol’egida dell’Azione Cattolica e dei comitati civici,fanno parte tutta una serie dio organizzazioni clerica-li, piccole e grandi, comprese le varie associazionidei maestri cattolici o dei carabinieri in congedo.(…)La battaglia sarà lunga e aspra. Domenica scorsa, inpiazza della Signoria a Firenze, si è svolto il primogrande comizio antidivorzista. Hanno parlato padreMariano e il professor Medi, l’esperto lunare dellaTV, mentre gli ex sindaci La Pira e Bargellini, di cuiera stata annunciata la presenza, non si sono fattivivi( subito dopo si è svolto il controcomizio dellaLid, nel corso del quale hanno parlato i senatori Ve-ronesi, liberale, Codignola, socialista, e Marco Pan-nella).Mino Monicelli, Prima di divorziare, in “l’Espresso”, 30novembre 1969.

La legge sul divorzio in rete.www.radioradicale.it/argomenti-storico (documentazionesulla legge e sul referendum per il divorzio).

1971 Scoppia una grave epidemia di colera in

Bangladesh.

PAKISTAN ORIENTALE – Dopo una vera e propriaguerra civile, causata dal conflitto con il Governo cen-trale del Pakistan, nel 1971 il Pakistan Orientale pro-clama la propria indipendenza, rinominandosi Ban-gladesh. Tra i profughi del Bangladesh fuggiti in In-dia, si sono verificate gravi epidemie di colera. Mori-ranno più di 6500 persone.

L’Espresso colore, 20 giugno 1971 Collocazione: PER 2859–Sale PERIODICI

Il 25 marzo 1971, due giorni dopo la proclamazio-ne del Bengala libero (Bangladesh) (dal Pakistan)scoppiò la guerra civile vera e propria, nel corso del-la quale le unità dell’esercito governativo riuscironoa riconquistare a poco a poco il potere nelle città.Dopo la terribile inondazione del 12 novembre 1970,in cui persero la vita quasi 300.000 persone, la guerrae l’epidemia di colera mieterono un numero incalco-labile di altre vittime tra la popolazione.Reinhard Schulze, Il mondo islamico nel XX secolo, Mila-no, Feltrinelli 2004, p.237.

Il cuore del ciclone raggiunse nella notte tra il 12e il 13 novembre (1970) la zona del delta del Gange,dove i detriti trasportati dal fiume stesso avevano datempo formato una miriade di isolotti, i più grandidei quali erano anche abitati. I venti intensi che ac-

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compagnavano la tempesta, incanalandosi nel Golfodel Bengala avevano sollevato un’onda marina altapiù di 6 metri. Quando si abbatté sulla costa, som-merse totalmente per ore tutto l’arcipelago di isolotti.Sull’isola più grande, Bhola, circa un quinto dellapopolazione, più di 200.000 persone, morì e molteisole persero tutti i suoi abitanti.(…)

Per giorni nella zona divenne più facile incontrareun cadavere piuttosto che un essere umano vivo. Icorpi senza vita vennero seppelliti in decine di fossecomuni e molti altri furono caricati su grandi zatteredi legno e lasciati andare alla deriva nell’oceano. Idanni economici furono incalcolabili: il 78% del rac-colto di riso andò perduto, tutti i porti sulla costa su-birono danni ingenti, la gran parte delle imbarcazionivenne distrutta e l’acquedotto rimase per settimaneinutilizzabile, lasciando così senza acqua potabile piùdi un milione di persone per molti giorni. Le pessimecondizioni igienico- sanitarie fecero temere l’esplo-sione di epidemie di tifo e di colera.Paolo Corazzon, I più grandi eventi metereologici dellastoria, Milano, Alpha Test 2002, pp.83 -84.

La carestia del 1974 (…) è annunciata da inonda-zioni insolitamente gravi: i due terzi del Bangladeshsono sott’acqua. Tale gravità può essere imputata aprecipitazioni anormalmente forti, paesiste un fattoreaggravante, geograficamente lontano e senza rappor-to con il clima: gli immensi bacini imbriferi del Gan-ge e del Brahmaputra sono alimentati da numerosifiumi himalayani. Ora, ad alta quota, il legname d’o-pera e la legna da ardere mancano inesorabilmente.Le popolazioni del Nepal, del Buthan e del Tibet di-sboscano le foreste di pendio, a quote sempre piùbasse, secondo la densità del manto forestale. Il risul-tato è che, ad alta quota, e con i temporali o lo scio-glimento dei ghiacciai, il ruscellamento può diventa-re un cataclisma.(…)

Nel 1974 arriva l’indipendenza, dopo quattro annidi guerra civile che hanno considerevolmente impo-verito il paese. Le grandi maree – che a volte sonoaccusate fino a 400 chilometri all’interno delle terre– si uniscono allora ai tifoni e alle inondazioni. Mal’estate è anche il periodo del monsone: dal mese diluglio la situazione è allarmante.(…) L’epidemia dicolera scoppia e fa devastazioni. Alla fine, la carestiaavrebbe provocato 260.000 morti in questo paese,che fu fino al XVIII secolo il granaio dell’India, an-che a causa della fertilizzazione periodica del delta aopera delle “normali” piene annuali della rete fluvia-le – piene che inondano solo il 20 per cento circa delterritorio.Pascal Acot, Storia del clima, Roma, Donzelli 2004,pp.156–157.

Quando ormai si erano alzati in volo Zakir indicò

la parte del delta appartenente all’India e l’originedella palude di Sunderbans, famosa per le sue man-grovie, una delle più estese della terra, estesa soprat-tutto nel Bangladesh.«Saliremo fino a Dacca per vedere dove si formadavvero il Padma, il nome dato al fiume risultantedall’incontro del Gange con il Brahmaputra. Quandoavviene l’incontro delle acque e inizia la loro discesaverso il delta, il nuovo fiume genera un milione ditonnellate di alluvioni al giorno, ma forma un’im-mensa rete di altre correnti, bracci d’acqua morta,pantani, il lento fluire della palude delle mangrovie,labirintica, che alterna acque ferme a quelle vive,dove si coltivano il riso e la malaria e anche il colera.Se non sei del posto, mettere piede in questa zona èpericolosissimo».Manuel Vaszquez Montalban, Millennio, Milano, Feltri-nelli 2006, p.290.

Bangladesh e colera in rete.www.thedailystar.net (The Daily Star, il maggior quotidia-no del Bangladesh, con il suo archivio in rete).www.banglapedia.search.com.bd (a cura dell’Asiatic Soci-ety of Bangladesh).www.textbookofbacteriology.net/cholera (Vibrio Choler-ae and Asiatic Cholera by Kenneth Todar, University ofWisconsin, 2005).

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1972Scoppia a Washington lo scandalo

Watergate che coinvolge il presidenteNixon.

STATI UNITI – Scoperto da due giornalisti del Wa-shington Post, si apre nel 1972 l'affare Watergate. Loscandalo che ne scaturirà, travolgerà il presidente Ri-chard Nixon che sarà accusato di aver ordito un "com-plotto" per spiare i suoi avversari politici.

Time: the weekly newsmagazine, July 30,1973Collocazione: PER 3146 –Sale PERIODICI

President Nixon drew on the energy of all streamsof conservatism in his 1972 reelection campaign,which targeted radicals, hippies, black activists, andwelfare mothers as the causes of America’s prob-lems. The Democrats, still reeling from the debacleof 1968 and subsequent attempts to provide repres-entation for blacks, women, and antiwar activists,nominated South Dakota Senator GeorgeMcGovern . An antiwar liberal, McGovern provedinept at running a presidential campaign. Nixonswept the election, winning southern and blue- collarvoters away from the Democrats.

Nixon’s reelection seemed to mark the consolida-tion of conservative power. But his second term un-raveled around the Watergate constitutional crisis ,which revealed the widespread use of illegal surveil-lance and “dirty tricks” by the White House. During

his first term, the Nixon administration had not onlyescalated covert police activity against black and an-tiwar activist, it had also begun using governmentspies against an “enemies list” of elite journalists,Democrats, ad even “dovish” Republicans. The June1972 break – ion at the Watergate offices of theDemocratic National Committee was one of manysuch actions; this time , however, a security guardcaught the intruders, two of whom had been WhiteHouse security consultants. Nixon’s press secretarydismissed the break – in as a “caper”, but the sub-sequent effort by the White House to cover up theburglary and other illegal activities was Nixon’s un-doing.

As the Watergate crisis grew, first the press andthen a congressional investigation revealed the WhiteHouse role in the world of political deceit and uncon-stitutional governance. Faced with certain congres-sional impeachment for “high crimes and misde-meanors” and a possible constitutional crisis, Nixonresigned the presidency on August 7, 1974.American Scial History Project, Who Built America?Working People & the Nation’s Economy, Politics, Cul-ture and Society, II,From the Gilded Age to thePresent,New York, Pantheon Book 1992, pp.606 – 607.

Richard M. Nixon iniziò a duplicare le strutturedel governo presidenziale con organismi legasti allasua persona, adombrando il pericolo di una “presi-denza autoritaria”.

Quando però un presidente acquista troppo potere,accade spesso che si metta in moto un meccanismodi riequilibrio del sistema costituzionale secondol’antico principio che chi ha troppo potere tende adabusarne e quindi deve essere limitato con adeguaticontrappesi. Il caso più clamoroso della reazione alpotere presidenziale si è avuto con l’impeachment diNixon (1973 – 1974). Un’interpretazione accreditatavuole che non sia stato tanto lo spionaggio nei quar-tieri centrali Democratici del Watergate a causare ilsuo abbattimento quanto piuttosto il progetto di unapresidenza troppo forte, al limite dell’autoritarismo.Massimo Teodori, Raccontare l’America.Due secoli di or-goglio e pregiudizi, Milano, Mondadori 2005, p.146.

Lo scandalo Watergate in rete.www.washingtonpost.com (The Washington Post: TheWatergate Stori,The Full Story).www.watergate.info (sito curato da Malcolm Farnsworth,“an Australian School Teacher” di Melbourne).www.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier”Watergate. I segretidella Casa Bianca).

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1973Golpe militare in Cile contro il governo di

Unidad Popular di Salvador Allende.

CILE - Il generale Pinochet prende il potere con uncolpo di Stato, l'11 settembre 1973, durante il quale igolpisti hanno bombardato il Palazzo Presidenzialecon alcuni caccia Hawker Hunter. Il presidente Allen-de muore nel corso dell'assedio al palazzo della Mone-da. Le cause della sua morte sono incerte e controver-se. La tesi ufficiale parla di suicidio.

Allende, Salvador. La forza della ragione. Roma, Edito-ri riuniti, 1973Collocazione: GER.TC.VIII.30-31–Dal Fondo VirginiaGERVASINI

Si è bruciata, nell’arco di 1.052 giorni la parabolaallendista. Il 30 giugno scorso, all’indomani del pri-mo golpe fallito, il presidente (Allende) aveva detto«Cosa vuole dunque la Dc? Un golpe di destra, un

Cile fascista?”. No, Eduardo Frei (democratico-cri-stiano) voleva un golpe bianco, indolore, eseguitodalle forze armate sotto il controllo del partito, a cui imilitari, subito dopo la conclusione dell’operazione,avrebbero dovuto riconsegnare il potere su un vasso-io d’argento. (…) Eduardo Frei, presidente del Sena-to e leader dela destra dc, è troppo spaventato, dopole elezioni del marzo ’73. In quelle elezioni, controutili i pronostici, Unità popolare sale dal 36,2 al 43,3per cento (Frei, nel corso della sua presidenza , erasceso dal 55,7 al 29,8). È la prima battaglia strategicaperduta dalla borghesia cilena.

Da quel momento i momios, le mummie , e fossili(così i baraccati della Callampas, nella immensa peri-feria di Santiago, chiamano i privilegiati del BarrioAlto, dell’avenida Providencia, di Vitacura, del Coun-try Club) sono disposti a tutto, anche al bagno di san-gue, pur di arrestare , prima che sia superato il puntodi non ritorno, il processo di trasformazione socialein corso. «Se occorre bruciare questo paese per sal-varlo», dicono, «se occorre uccidere 20 mila cileni,lo faremo». Mino Monicelli, Il Cile brucia ancora, in”L’Espresso”, 23settembre 1973.

A Santiago il radicalismo di destra ha preso il po-tere secondo la strategia già sperimentata a Rio deJaneiro e a Giakarta. Ma dopo molte incertezze, dopouna dura lotta interna alle forze armate, sulla qualehanno fondato troppe speranze Salvador Allende e ipartiti di Unidad Popular (“soldato, amigo, el puebloes contigo”), ma che comunque era un dato di fatto.

Le forze armate cilene hanno conquistato la Mo-neda in presenza di specifiche circostanze interne(ostilità contro il governo di estesi settori cittadini,crisi economica), ma anche nel quadro di una svoltainternazionale partita da Watergate. Questa svolta èstata attribuita alla Cia attraverso Kissinger e Natha-niel Davies. (…) L’esperimento di Allende è statoconsentito sino a che era ipotizzabile un suo convo-gliamento nell’alveo riformista. La violenza di destraè stata autorizzata alla vigilia di un tentativo di Al-lende di chiedere una investitura popolare diretta cheavrebbe potuto conferire alla sua gestione (…) un di-namismo rivoluzionario suscettibile di influenzarel’intera America del Sud. Giorgio Galli, La risi italiana e la destra internazionale,Milano, Mondadori 1974, pp.168 – 169.

Come ha sottolineato lo stesso Kissinger diversianni dopo! «nel 1973 non c’erano alternative (…) gliStati Uniti non potevano permettersi di perdere ilCile». Infatti pochi giorni dopo il 4 settembre, Kis-singer aveva manifestati le sue preoccupazioni per lefuture ripercussioni della vittoria di UP nel cuore delpolo strategico dell’Europa occidentale: «Penso che

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non ci si debba illudere che l’ascesa al potere in Ciledi Allende non crei problemi, a noi, alle nostre forzein America Latina e nell’emisfero occidentale tutto(…): Inoltre lo sviluppo politico del Cile è gravido dipericoli per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, acausa delle influenze che può esercitare sulla Franciae sull’Italia (dove esistevano partiti comunisti)».Andrea Mulas, Allende e Berlinguer.Il Cile di Unidad Po-pular e il compromesso storico, San Cesareo, Lecce, Man-ni Editori 2005, pp.32-33.

Dato che siamo cresciuti con l’idea che l’esercitocileno fosse composto da soldati obbedienti agli ordi-ni di ufficiali irreprensibili, fu una sorpresa enorme,quel martedì 11 settembre del 1973, vederli in azio-ne. Agirono tanto selvaggiamente che si disse fosserodrogati.(…) Circondarono con i carri armati il Pala-cio della Moneda, sede del governo e simbolo dellademocrazia, e poi lo bombardarono dal cielo. Allen-de morì all’interno del palazzo; secondo la versioneufficiale si sarebbe suicidato. Ci furono centinaia dimorti e migliaia di prigionieri, tanto che negli stadi epersino qualche scuola furono trasformati in carceri,centri di tortura e campi di concentramento. Con ilpretesto di liberare il paese da un’ipotetica dittaturacomunista che si sarebbe potuta instaurare nel futuro,la democrazia fu rimpiazzata da un regime del terroreche sarebbe durato diciassette anni e avrebbe proiet-tato la sua ombra per ancora un quarto di secolo.(…)

L’avventura socialista (di Allende) si concluse tra-gicamente. La giunta militare presieduta dal generaleAugusto Pinochet applicò la dottrina del capitalismoselvaggio, come fu definito l’esperimento neolibera-le, ignorando che per far funzionare in modo equili-brato è necessaria la presenza di una forza lavoro nelpieno possesso dei suoi diritti. Per sradicare l’ideolo-gia della sinistra e instaurare un capitalismo spietato,si esercitò una feroce repressione. Il Cile non fu uncaso isolato, la lunga notte delle dittature oscurò peroltre un decennio buona parte del continente.

Nel 1975 la metà dei sudamericani viveva all’om-bra di qualche tipo di governo repressivo, molti deiquali appoggiati dagli Usa, primi al mondo nel rove-sciare governi eletti dai popoli e nell’appoggiare dit-tature che a casa loro non sarebbero mai tollerate,come quella di Papa Doc a Haiti, di Trujillo nella Re-pubblica Dominicana, di Somoza in Nicaragua e altreancora.(…)

La prima parte della mia vita si concluse quell’11settembre del 1973.(…) Cominciarono a sparire ami-ci e conoscenti, talvolta alcuni di loro tornavanodopo settimane di assenza con gli occhi spiritati e isegni delle torture. Molti cercarono rifugio all’estero.In un primo momento Messico, Germania,Francia,Canada, Spagna e diversi altri paesi li accolsero, madopo qualche tempo chiusero le porte, perché all’on-

data di cileni si sommavano migliaia di altri esiliatisudamericani. (…) Conosco gente che considerava ilgoverno di Allende come la disgrazia più abomine-vole che potesse capitare. Per queste persone, che sivantavano di condurre la propria vita secondo i rigidiprecetti della religione cristiana, la necessità di an-nientarlo era tale da non mettere in discussione i me-todi. Non lo fecero neanche quando un padre dispera-to, Sebastiàn Acevedo, si cosparse di benzina e sidiede fuoco per protesta, immolandosi come un bon-zo in plaza Concepcion, perchè stavano torturando isuoi figli. Per anni riuscirono a ignorare – o a far fin-ta di ignorare – la violazione dei diritti umani e, constupore, trovo ancora qualcuno che nega i fatti nono-stante l’evidenza.Isabel Allende, Il mio paese inventato, Milano, Feltrinelli2003, pp.151, 153 – 155.

Quella fu l’ultima volta che vidi il mio amico Fre-dy Taverna. Il 16 settembre 1973, tre giorni dopo ilgolpe militare fascista, un plotone di soldati lo con-dusse in un terreno abbandonato nei dintorni di Iqui-que. Fredy riusciva a stento a muoversi, gli avevanorotto varie costole e un braccio, e quasi non potevaaprire gli occhi perché il suo volto era tutto un ema-toma.

«Per l’ultima volta , si dichiara colpevole?» chieseun aiutante del generale Arellano Stark , che contem-plava da vicino la scena.«Mi dichiaro colpevole di essere un dirigente del mo-vimento studentesco, di essere un militante socialistae di aver lottato in difesa del governo costituzionale»rispose Fredy.I militari lo assassinarono e seppellirono il suo corpoin qualche posto segreto in mezzo al deserto. Annidopo, in un caffè di Quito, un altro sopravvissuto al-l’orrore, Ciro Valle, mi raccontò che Fredy aveva ac-colto le pallottole cantando a squarciagola l’inno so-cialista.Luis Sepulveda, Le rose di Atacama, Milano, TEA 2002,p.98.

Il golpe cileno in rete.www.salvador-allende.cl(a cura di Alejandro Witker, cura-tore del’Archivio Salvador Allende).www.gure.edu (The National Security Archivi/Chile Do-cumentation Project, direttore Peter Kornbluh: 16.000 do-cumenti statunitensi desecretati).

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1974 Attentato contro il treno Italicus che

provoca la morte di dodici persone e ilferimento di quarantotto.

ITALIA - La notte del 4 agosto 1974 una bomba èesplosa nella vettura numero 5 dell'espresso Roma-Brennero (Italicus). I morti sono 12 e i feriti circa 50,ma una strage spaventosa è stata evitata per questionedi secondi: se la bomba fosse esplosa nella galleria cheporta a San Benedetto Val di Sambro i morti sarebbe-ro stati centinaia. L'attentato è stato rivendicato dal-l'organizzazione Ordine Nero attraverso un volantino.

Paese sera, 5 agosto 1974 Collocazione: ZB 20 -22–Dall’EMEROTECA

Domenica 27 gennaio 1974, Moena.Ho dormito nella Scuola della Pubblica Sicurezza

a Moena. Poco prima delle quattro mi chiama al tele-fono il capo di Gabinetto: avverte che circolano stra-ne voci a Roma di un possibile colpo di Stato. Cin-que minuti dopo mi ritelefona che forse si tratta di unfalso allarme, Chiamo il vicecapo della Polizia. Midice che sono balle: una voce proveniente dallo StatoMaggiore dell’Esercito. Poco dopo il capo Gabinettoconferma: falso allarme.

All’alba chiamo Rumor. Lo rassicuro. Mi dice chegli ha telefonato Nenni: che parecchi socialisti sonoandati a dormire fuori casa. Quando, alle 8, esco dal-la camera, vedo che è presidiata da un tenente e da

un sergente. Anche il mio segretario particolare, Pac-cagnini, ha un milite sulla porta! Hanno dato, nellanotte, l’allarme da Roma.Paolo Emilio Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bolo-gna, Il Mulino 2002, p.387.

Quello che apparve allora (1973- 1974) il culminedel processo eversivo costituiva in realtà il visibileannuncio del suo epilogo: in questa chiave possiamoforse leggere il succedersi quasi disperato delle stragineofasciste, da quella di Brescia del maggio 1974 al-l’attentato al treno “Italicus” di quello stesso agosto.(…) Si inizia a gennaio, quando circolano insistentivoci sui preallarme e sui dispositivi di emergenza an-nunciati in molte caserme. Lo stesso ministro dell’In-terno Taviani, svegliato in piena notte dal suo capo digabinetto, annota: «Certo il clima è pesante. Assomi-glia a quello del Cile prima dell’avvento di Pinochet».(…) Ad agosto, commentando la strage dell’Italicusun editoriale del “Corriere della Sera” afferma: «Lostato esita a punire i servitori infedeli, i capi intrigan-ti, gli organismi malati(…) Sono note le colpe , le de-bolezze e gli atti concreti che hanno favorito le orga-nizzazioni del terrorismo nero». Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economicoagli anni ottanta, Roma, Donzelli 2005, pp.482- 483.

Il 21 aprile 1974, avviene l’attentato a Vaiano; il 4agosto quello al treno Italicus, a San Benedetto val diSambro (12 morti e 44 feriti). Nel corso delle indagi-ni verrà alla luce la complicità tra la Loggia P2 e ineofascisti toscani, tra i quali Augusto Cauchi. Asvelare i rapporti tra quest’ultimo e Gelli (MaestroVenerabile della Loggia P2) è Andrea Brogi, mili-tante di Ordine Nuovo. Secondo Brogi – dichiarazio-ni contenute nella sentenza ordinanza del giudiceGuido Salvini – il capo della P2 avrebbe consegnatoa Cauchi, prima degli attentati, circa 20 milioni dilire. Denaro utilizzato per l’acquisto di una partita siarmi ed esplosivi.

Parte della merce sarebbe stata ceduta successiva-mente agli estremisti di destra Mario Tuti e Giancar-lo Degli Esposti (in seguito ucciso in uno scontro afuoco a Pian di Rascino). Nel libro La verità, Gelliaffronta solo alcune delle accuse che negli anni glisono state rivolte. Lo fa con lo stile sfuggente che gliè proprio, minimizza e inoltre ricorre a omissioni(…) «Ho appreso che la cosiddetta “banda armata”era composta da quattro o cinque giovinastri cheavrebbero avuto l’intenzione e il proponimento distravolgere le istituzioni dello Stato.(…) Faccio nota-re a chi mi legge l’assurdità di tale accusa».Marino Guarino , Fedora Raugei, Gli anni del disonore.Dal 1965 al potere occulto di Licio Gelli e della LoggiaP2 tra affari, scandali e stragi, Bari, Dedalo 2006, p.86.

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(…) Mi porterebbe a pensare che la strage dell’Itali-cus sia riferibile a un ambito almeno parzialmente di-verso da quello in cui maturarono gli altri gravi even-ti del periodo.

Taviani ci ha fatto capire di avere in propositoun’idea precisa, senza aggiungere altro. La sua reti-cenza su questo punto mi fa ritenere che sia preoccu-pato delle ripercussioni che, anche attualmente , po-trebbero aversi sul piano dei rapporti internazionalicon paesi alleati, se esplicitasse il suo sospetto e lesue valutazioni riguardo all’ambito in cui maturaronogli attentati ai treni. Non ci resta che attendere sue ul-teriori rivelazioni, che probabilmente riusciranno aspiegarci il quadro in cui venne a inserirsi una strage,che si distinse dalle altre per essere stata annunciata.

È noto infatti che il segretario del Msi dell’epoca,Giorgio Almirante, in compagnia di Alfredo Covelli,si recò dal dottor Santillo, allora direttore dell’Ispet-torato generale anti-terrorismo, preannunciandoglil’imminenza dell’attacco a un treno.Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri con Giovanni Pelle-grino, Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro,Torino, Einaudi 2000, p.81.

La strage dell’Italics in rete.www.reti-invisibili.net (Network di associazioni italianeimpegnate nella memoria storica sulle stragi che hannoinsanguinato il paese/La strage dell’Italicus, scheda a curadi Alfredo Simone).www.dossierterrorismo.it (Osservatorio sul terrorismo: Lastrage del treno Italicus).

1975Viene assassinato lo scrittore Pier Paolo

Pasolini.

ITALIA - Nella notte tra l'1 e il 2 novembre 1975 Pa-solini viene ucciso in maniera brutale: battuto a colpidi bastone e travolto con la sua auto sulla spiaggia del-l'idroscalo di Ostia.Il cadavere massacrato è stato ri-trovato da una donna alle 6 e 30 circa. Sarà l'amico Ninetto Davoli a riconoscerlo.

L’espresso: settimanale di politica-cultura-economia, 9novembre 1975Collocazione: PER 51–Sale PERIODICI

A metà degli anni ’50 , Pasolini visitava la realtà24 ore su 24; nel ’60, come scrisse vi dedicava l’inte-ro pomeriggio e la notte; nei giorni che hanno prece-duto la sua morte ,non gli rimaneva, per andare incerca della sua realtà differente da quella di tutti glialtri , se non qualche ora notturna. A Parigi , il giornoprima di morire, racconta Philippe Bouvard, guarda-va sempre l’orologio: veniva da Stoccolma, avevafretta di tornare a Roma. A Roma, quel giorno fataleebbe troppi impegni. Quel paio d’ore , tra le 22,quando lasciò Ninetto Davoli e la famiglia, e l’unacirca in cui morì, erano un tempo troppo breve per lafelicità.Valerio Riva, Povero cristo, in “L’Espresso”, 9 novembre1975.

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La Roma degli anni Settanta è quella del forteinurbamento. È la città sventrata e violentata dai pa-lazzinari che ne hanno fatto il sacco, aiutati da unaclasse politica corrotta e assetata di denaro. Era que-sta la città che Pier Paolo Pasolini aveva ritratto neisuoi film. Col tempo si era però reso conto che lecose andavano peggiorando, che la patologia delleborgate, chiuse nella loro povertà ma proprio perquesto “protette”, si andava incancrenendo.

Di queste cose aveva parlato la sera prima dellamorte, Pasolini, Ninetto Davoli e sua moglie cenava-no in un ristorante di San Lorenzo, uno dei quartieripiù popolari più noti a ridosso dell’università “La Sa-pienza”, da sempre sede dei movimenti dell’ultrasini-stra. La violenza era stata l’argomento della serata:«Mi diceva (è Davoli che parla) che la vita nelle bor-gate non era più quella di una volta, quei giovani chesi erano trasformati, erano stati afferrati dal turbinedel capitalismo».Aldo Musci, Marco Minicangeli, Malaroma. Guida al latooscuro della città eterna, Roma, Castelvecchi 2000, p.112.

Sulla spiaggia di Ostia un giornalista intervistauna signora.(…) Il giornalista, con tono concitato.Dice: «In questo punto, esattamente in questo punto,dove ci sono delle macchie di sangue nascoste da unpo’ di terra (…) è stato scoperto il corpo di Pier Pao-lo Pasolini, questa mattina alla periferia di Ostia. Lasignora Maria Lollobrigida è stata la prima a scoprireil corpo».(…) «Eh, alle sei e mezzo. Mentre scendevo con la mac-china ho detto: ma tu guarda, gettano sempre i rifiutiin mezzo alla strada. Io gentilmente venivo a racco-glierla per buttarla. So’ arrivata a quel punto lì delbarattolo. Ho detto: non è un’immondizia, è un cada-vere!»La telecamera spazia nei dintorni e scopre un mondobrullo, fatto di steccati e casupole malandate, un pae-saggio di desolazione e di degrado.

L’ultima immagine riprende una persona fermanell’atto di scoprire il corpo sotto il lenzuolo. Pasoli-ni ha il volto irriconoscibile, i capelli duri per il san-gue rappreso. La maglietta è sollevata e scopre l’om-belico. Il lenzuolo è completamente imbrattato. Tuttoil corpo di Pasolini è una macchia scura impastata disangue.(…) I carabinieri lo sanno chi è quell’uomo.Tutta l’Italia lo conosce. Ma c’è bisogno di un rico-noscimento ufficiale da parte di un parente o di unamico, e uno di questi è Giovanni Davoli , detto Ni-netto, di professione attore.(…)

La morte improvvisa di Pier Paolo Pasolini è unanotizia che colpisce tutta l’Italia. Ai suoi funeralipartecipa una folla immensa di intellettuali, attori, re-gisti, scrittori, gente comune. Si vedono alcune per-sone entrare da una porta, una di loro alza il pugnonel saluto comunista.(…) Moravia ,a un microfono.

Urla: «Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e dipoeti non ce ne sono tanti nel mondo!». Dall’audiosi intuisce che batte più volte un pugno in manieraconcitata mentre alza il tono della voce. Urla: «Nenascono tre o quattro soltanto, in un secolo! Quandosarà finito questo secolo Pasolini sarà tra i pochissimiche conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esseresacro!»(…) C’è un articolo che esce sul “Corriere dellaSera” del novembre del ’74 intitolato Che cos’è que-sto golpe?, che in una raccolta successiva verrà chia-mato Il romanzo delle stragi.

Io so, scrive Pasolini,. so chi ha compiuto le stra-gi, chi ha tramato, chi ha scoperto e depistato«io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, checerca di seguire tutto ciò che succede (…) che coor-dina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi di-sordinati e frammentari di un intero coerente quadropolitico, che ristabilisce la logica là dove sembranoregnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero….».Un uomo così, se è onesto e libero, è un uomo che dàfastidio.Carlo Lucarelli, Nuovi misteri d’Italia, Torino, Einaudi2004, pp.154-158

Pasolini in rete.www.pasolini.net (centro Studi e Archivi Pier Paolo Paso-lini, via A.Gardino 65/b, 40122 Bologna).www.pasolinicasarsa.org (Centro Studi Pier Paolo Pasoli-ni, Casarsa della Delizia).

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1976Grande avanzata del PCI alle elezioni

politiche italiane (34,4%).

ITALIA - Le elezioni politiche del 20-21 giugno 1976vedono una grande avanzata del Pci che ottiene da soloil 34,4% dei voti e 227 seggi alla Camera dei Deputati eil 33,8% dei suffragi con 116 seggi al Senato della Re-pubblica: la differenza rispetto ai voti ottenuti dallaDC è di pochi punti percentuali, avvicinando il PCI aduna quota di elettorato che potrebbe ambire anche allamaggioranza relativa.

L’Unità, 23 giugno 1976Collocazione: ZB 163–Dall’EMEROTECA

Si va comunque al voto (del 20 giugno 1976) inun quadro di forte polarizzazione, segnato da quell’i-potesi di “sorpasso” della Dc da parte del Pci che“inchieste” e “sondaggi” variamente avanzavano.Dalle colonne del “Giornale nuovo” Indro Montanel-li invita a “turarsi il naso e a votare Dc”, mentre i ful-mini vaticani colpiscono gli intellettuali cattolici chedecidono di candidarsi come indipendenti nelle filadel Pci:«talvolta – dice in udienza generale Paolo VI– i colleghi più fidati, i confratelli della medesimamensa si sono ritorti contro di noi, La contestazione èdiventata abitudine, l’infedeltà quasi affermazione dilibertà».

Oggi si decide per il sorpasso a sinistra è il titolode “la Repubblica” il 20 giugno, mentre l’editoriale

di Eugenio Scalfari afferma: «È tempo di cambiarela guida dello Stato».Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economicoagli anni ottanta, Roma, Donzelli 2005, pp.540 – 541.

Negli anni Settanta entrano nel Pci decine di mi-gliaia di giovani e di ragazze provenienti dalle filedel movimento studentesco e del femminismo. Ap-passionati e irrequieti non sono insensibili al fascinodel sacrificio individuale, ma rifiutano ogni richiamoalla ferrea disciplina e alla severità dei costumi cheerano stati, fino ad allora, connotati essenziali del co-munista.

Intanto è gente che non rinuncia alla sua autono-mia culturale. Dunque non legge solo “l’Unità”. Leg-ge altri quotidiani (nei primi mesi del 1976 uscirà,destinata a un grande successo, “la Repubblica”) equelli che una volta venivano definiti, alle BottegheOscure, “i rotocalchi borghesi”.(…)

Per il 20 giugno 1976 erano fissate le elezioni po-litiche. Eugenio Scalfari puntava sul sorpasso, sullapossibilità che il Pci prendesse anche un solo voto inpiù della Dc.

Forse fu il timore del sorpasso, forse fu conse-guenza di un più pesante intervento della Chiesa, for-se fu merito della faccia onesta del buon Zaccagnini,nuovo segretario dela Dc. Fatto sta che il 20 giugno1976 la Dc risalì a oltre il 38%, recuperando tre puntirispetto alle elezioni dell’anno precedente. Il Pci au-mentava ancora, sfiorando il 35% dei voti. (…) I datiregistravano, contemporaneamente, l’avanzata delPci e della Dc. Un bel paradosso.(…)

A notte fonda tornai alle Botteghe Oscure, non piùcome giornalista ma come uno dei tanti che sostava-no lì, per il piacere di stare insieme e festeggiare lavittoria. C’erano i vecchi militanti del Mandrione edella Garbatella, (…) i ragazzi di Lotta Continua che«questa volta abbiamo votato per Berlinguer» e le ra-gazze con gli occhi bistrati e le gonne a fiori, i pro-fessionisti con la cravatta e il colletto appena slaccia-to per l’emozione(…) C’era di tutto tra quelle decinedi migliaia di romani che sfilavano sotto le BottegheOscure gridando : «È ora, è ora, è ora di cambiare /ilPci deve governare». Miriam Mafai, Botteghe Oscure addio. Com’eravamo co-munisti, Milano, Mondadori 1996, pp.124, 130 – 132.

Il sorpasso tanto sperato a sinistra, tanto temuto adestra non c’è stato. La Dc dopo le due sconfitte del’74 e del ’75, aveva costretto Fanfani (allora segre-tario Dc) alle dimissioni, eleggendo al suo posto Be-nigno Zaccagnini, “l’onesto Zac” come venne chia-mato, la faccia per bene della Dc. Era stata dunqueuna vittoria della sinistra democristiana, che rafforzòin Berlinguer la speranza di un suo possibile coinvol-gimento in una azione di rinnovamento del paese. E

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dunque, persino questo recupero elettorale della Dc,dopo la dura sconfitta del 1975 poteva essere valuta-to come un elemento positivo, la presenza di Moro eZaccagnini rappresentando una garanzia per la lineadi unità portata avanti da Berlinguer. Due vincitori,dunque.Miriam Mafai, Dimenticare Berlinguer. La sinistra italia-na e la dimensione comunista, Roma, Donzelli 1976, p.31.

Il 20 giugno 1976 gli italiani avevano votato anco-ra massicciamente per la Dc, sia pure “turandosi ilnaso” e avevano votato massicciamente anche per ilPci. Il compito di ricostituire, dopo il responso popo-lare, il governo fu affidato ad Andreotti, che in unodei suoi tanti trasformismi era diventato – lui la be-stia nera delle sinistre per molti anni – l’interprete diuna sterzata di prima grandezza. La sterzata che, perla prima volta dopo il 1947, avrebbe riportato il Pcinell’area di maggioranza. (…) I comunisti non avreb-bero votato a favore (del nuovo governo monocoloreAndreotti) , si sarebbero astenuti,con ciò consentendola vita del monocolore che fu messo insieme alla me-glio. A compenso della loro non sfiducia ,dove ladoppia negazione valeva un’approvazione, i comuni-sti ebbero la Presidenza della Camera, dove si inse-diò Pietro Ingrao, mentre Fanfani aveva la presidenzadel Senato. (…) L’intera operazione, premessa alla“solidarietà nazionale” che avrebbe anche formal-mente inserito il Pci nella maggioranza, ebbe un si-curo perdente, il Psi: privato della sua indispensabili-tà, ridotto a un ruolo accessorio.Indro Montanelli, Mario Cervi, L’Italia del Novecento,Milano, Fabbri Editori 2001, p.478.

Sempre all’opposizione, nelle elezioni del 1976(il PCI) raggiunse il 34,5% dei voti. C’è da ragiona-re, poi, della stagione politica che quelle elezioniinaugurarono: la stagione della solidarietà, nazionale,che si concluse con il rapimento e l’uccisione diAldo Moro ad opera delle Brigate Rosse; nella crisidi prospettiva politica del PCI che a questo punto siaprì, acuita dalla durissima conflittualità con il PSIdi Craxi; su una crisi coperta (ma per poco) dal gran-de successo delle elezioni europee del 1984 (34,6%),conseguite dopo la drammatica scomparsa di Berlin-guer.Emanuele Macaluso, Paolo Franchi, 50 anni nel Pci, So-neria M., Rubbettino 2003, p.28.

IL Pci in rete.www.fondazionegramsci.org (Biblioteca e Archivio dellaFondazione Gramsci via Portuense 95 c, 00153 Roma)

1977Dario Fo ritorna in televisione con la sua

opera “Mistero buffo”.

ITALIA - Dopo 15 anni di ostracismo, su invito delDott. Massimo Fichera, direttore 2° rete Rai, vienetrasmesso in televisione "MISTERO BUFFO" di Da-rio Fo ed a seguire cinque altre sue opere teatrali.

Monologhi da MISTERO BUFFO e STORIA DELLATIGRE di DarioFoCollocazione: VHS 422

Il teatro di Dario Fo rappresenta uno spazio di au-tentica originalità: carico di passione politica e di an-ticonformismo, ricco di satira, dalla struttura vicina aun canovaccio o alla “comica” popolare, esalta lostraordinario talento dell’autore e dell’attore e ne de-creta il crescente successo di pubblico. La sua capa-cità mimica, la recitazione paradossale e grottesca siaccompagnano sempre a un’acuta critica sociale. Nel

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1968 Fo ha abbandonato i tradizionali circuiti teatralie ha costituito un gruppo (“La nuova scena”) che siesibiva nelle sedi di organizzazioni alternative inspettacoli dedicati in particolare alla rivalutazionedelle fonti autonome della cultura popolare. Sul pic-colo schermo Fo ripropone gli spettacoli allestiti nel-la Palazzina Liberty dell’antico Verziere di Milano.Televisione.Le garzatine, a cura di Aldo Grasso, Milano,Garzanti 2003, p.726.

A questo Fo protagonista di un’esperienza unica econ una fama teatrale di livello europeo, la televisio-ne chiede un lungo ciclo dei suoi lavori, escludendocon cura quelli più scottanti e politici come Morteaccidentale di un anarchico o la stessa Grande pan-tomima , ma lasciando uno spazio molto ampio, addi-rittura quattro puntate, a quello che la critica ha sem-pre considerato il risultato massimo raggiunto da Fo,Mistero buffo. Dario Fo, da parte sua, non ha un atti-mo di esitazione ad accettare.(…)

Per il ritorno in televisione, quindici ore di tra-smissione divise in due cicli, uno nella primaveral’altro nell’autunno 1977, Fo sceglie sette testi giàrappresentati: due versioni di Mistero buffo, due diCi ragiono e canto e le tre commedie Settimo: rubaun po’ meno, Isabella,tre caravelle e un cacciaballe,La signora è da buttare, e ne scrive uno nuovo Par-liamo di donne, sulla condizione femminile. I patticon la Tv e in particolare con chi la chiamato, il di-rettore della seconda rete Massimo Fichera, sonochiari fin dall’inizio: niente censure e interventi suitesti (e infatti negli spettacoli Fo farà fino all’ultimomomento varie modifiche e improvvisazioni ), soloun accordo preventivo.(…)

Esattamente come ai tempi di Canzonissima, leproteste e le opposizioni per quel che Fo sta facendosul video scoppiano quando ancora non è finita laprima puntata (…). Più che dai politici questa voltala gran bordata arriva dal mondo cattolico, in partico-lare dal Vaticano, indignato da uno spettacolo che,come farà sapere attraverso la sua segreteria, giudica«il più dissacrante masi trasmesso al mondo da quan-do esiste la televisione». (…) Ma questa volta le ma-novre democristiane non bastano a scalzarlo. Allariunione del consiglio di amministrazione della Raie alla seduta straordinaria della Commissione di vigi-lanza i democristiano tengono un atteggiamento pru-dente. E il commissario fanfaniano Mario Bubbico,che in un primo momento aveva accusato Fo di esse-re «un imbroglione ideologico, un bugiardo, il fratel-lo mongoloide di Tati, la vera espressione dell’arro-ganza del potere televisivo», abbassa il tiro.Chiara Valentini, La storia di Dario Fo, Milano, Feltrinel-li 1977, pp. 171 – 175

Dario Fo in rete.www.dariofo.it (Blog di Dario Fo: Teatro, Commedia,Satira, Politica).www.archiviofrancarame.it(Archivio di Dario Fo e FrancaRame).www.iononsonounmoderato.it (“Io non sono un modera-to” viaggio con Dario Fo nella politica italiana in occasio-ne della sua candidatura ala carica di sindaco di Milano).

1978Il leader della Dc Aldo Moro viene rapito

ed ucciso dalle Brigate Rosse.

ITALIA - Dopo 55 giorni dal sequestro, Aldo Moro èstato assassinato dalla BR e il suo cadavere è stato ri-trovato il 9 maggio 1978 in una Renault rossa in ViaCaetani, in pieno centro di Roma. Moro sarebbe statotenuto per tutta la durata del sequestro in un apparta-mento a Roma.

Moro, Aldo. Lettere dalla prigionia. Torino, Einaudi,c2008.Collocazione 945.042 MOR

Aldo Moro ebbe a dire a un suo compagno dipartito di non aver desiderato nient’altro che una

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vita da insegnante – e qualche collaborazionecome giornalista politico quale attività collatera-le. La sua vita fu l’esatto contrario: la politica loassorbì quasi completamente e l’insegnamentoche era stato la sua vocazione originaria, divenneun’attività sussidiaria.(…)

Una delle grandi realizzazioni di Moro – mol-ti in Italia la giudicano la più importante in asso-luto – fu quella che si preparava ad assaporare ilmattino del 16 marzo 1978. Aveva allora sessan-t’un anni ed era presidente della Democrazia cri-stiana, una carica onorifica. Dietro le quinte, tut-tavia, era stato il principale artefice di un nuovogoverno che aveva una caratteristica radicalmen-te nuova: i comunisti avrebbero appoggiato iloro tradizionali nemici, i democristiani. Quelgiorno, alle dieci, il governo si sarebbe presenta-to ufficialmente in Parlamento. La gente nonaveva pienamente compreso che cosa il nuovoassetto – il compromesso storico- avrebbe signi-ficato in pratica, né che cosa avrebbe prodotto.(…) La Guerra Fredda continuava a determinarela politica italiana. I suoi avversari a Roma e isuoi critici a Washington ritenevano il compro-messo storico una grave abiura de dogma fonda-mentale del credo occidentale nell’epoca dellaGuerra Fredda: tenere ad ogni costo fuori del go-verno il fortissimo Partito comunista italiano.(…)

Quel mattino intorno alle nove, Moro si ac-cinse a compiere con i suoi cinque uomini discorta il breve tragitto verso il Parlamento; ilconvoglio era formato da due automobili.(…)

Quel giorno la solita routine s’interruppe im-provvisamente quando il suo autista non potéevitare la collisione con un’automobile che ave-va avanti a sé. L’incidente non provocò cheun’ammaccatura del paraurti. Probabilmente Morosollevò lo sguardo dalle sue carte per vedere checosa fosse successo, ma in quel momento unadelle sue guardie del corpo si girò dal sedile an-teriore e lo spinse giù bruscamente. Non poté ve-dere molto del successivo mitragliamento che in-vestì entrambe le vetture. Quando la sparatoriacessò, le sue cinque guardie del corpo eranomorte o agonizzanti. Fortemente confuso, Morofu strappato dal sedile posteriore e portato suun’altra automobile. Poi scomparve con i suoirapitori e non sarebbe più riapparso vivo.

Sarebbero passati molti anni prima che le au-torità giudiziarie di Roma potessero anche solocominciare a convenire sulle circostanze del ra-

pimento e dell’assassinio di Aldo Moro, ma fusubito chiaro che quell’atto terroristico avevaposto fine a un’epoca della politica italiana.Richard Drake, Il caso Aldo Moro, Milano, Marco TroppaEditore 1996, pp.11- 12.

Domenica 31 dicembre 1978, Roma. Comemembro della direzione nazionale della Dc hoseguito l’alternanza di speranze e delusioni dal16 marzo al 9 maggio 1978. Sembrerebbe che ibrigatisti avessero preso in considerazione quat-tro personalità: Leone, Fanfani, Moro e Andreot-ti.(…) Avrebbero scartati i primi due, perché laprotezione delle scorte era poderosa e i loro per-corsi mutavano di continuo. Andreotti sarebbestato una facile preda fra la sua abitazione eMontecitorio o Palazzo Chigi, ma si tratta di per-corsi brevi, nel centro di Roma, che non si prestaa rapide fughe.

La scelta cadde su Moro i cui percorsi eranosempre gli stessi, ripetuti pedissequamente e im-prudentemente. Proprio quindici giorni prima deltragico rapimento lo dissi a lui e al suo caposcorta.

La mia personale opinione è che il sequestrosia stato progettato e compiuto da uomini delleBrigate Rosse senza interferenza di servizi se-greti italiani e stranieri.(…)

Fin qui le mie impressioni e valutazioni ri-guardanti il sequestro. Dopo? Dopo non oso pro-nunciarmi. È ovvio che le ricerche siano state in-sufficienti.Paolo Emilio Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bolo-gna, Il Mulino 2002, p.396.

Il fatto che Moro “collabori” con le Br apreun problema politico- istituzionale e uno di sicu-rezza. Da quel momento in poi, quindi, l’assillonon può essere soltanto quello di trovare la pri-gione e salvare Moro, ma anche quello di neutra-lizzare ciò che Moro potrebbe aver detto alle Bro potrebbe ancora dire. Credo che questo puntosia difficilmente contestabile.

Del resto, leggendo il suo memoriale (redattodurante la prigionia appare evidente che Moroha raccontato delle cose, che ha parlato, sia purein modo sfumato, della strategia della tensione,dello stragismo e persino di Gladio.(…) Quindi,ripeto, il problema non era solo salvare Moro,ma neutralizzare ciò che Moro aveva detto alleBr. Questo significava localizzare la prigione, li-berare l’ostaggio, trovare il suo memoriale, tutte

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le copie del memoriale, catturare tutti i brigatistiche sapevano delle rivelazioni di Moro… Am-metterete che non era un’operazione facilissima.Perciò non c’era che una possibilità : trattare perfarsi consegnare le carte del processo e garantirsiil silenzio dei brigatistiGiovanni Fasanella e Claudio Sestieri con Giovanni Pelle-grino, Segreto di Stato, Las verità da Gladio al caso Moro,Torino, Euinaudi 2000, p.184.

Domenica 16 aprile, un mese dall’agguato divia Fani. Chiuso con la sentenza di morte il“processo” all’ostaggio (il “processo” a Moromesso in piedi dalle Br) vive ormai soltanto lasperanza. Da otto giorni più nessuna missiva dalrapito, fermi il governo e la Dc sul rifiuto del ri-catto. Quali le vie ancora aperte? Famiglia eamici del prigioniero sollecitano una mediazionedi Amnesty International. La Dc è perplessa:Amnesty si caratterizza per iniziative a favoredei prigionieri politici, un suo intervento signifi-cherebbe attribuire alle Brigate rosse uno “sta-tus” politico, con conseguenze difficilmente cal-colabili. Meno rischiosa un’iniziativa della Cari-tas Internationalis. Anche il Vaticano mostra dipreferire questa seconda via. Sandro Magister, Dove volano le colombe, in “L’Espres-so” , 30 aprile 1978.

Fu la famiglia Moro a muoversi dopo avercontrattato con la Dc. Si rivolse ad Amnesty In-ternational, organizzazione internazionale che siprende cura delle condizioni e dei diritti dei de-tenuti politici in tutto il mondo, sollecitandone ladisponibilità a mediare. Risposero di sì, dichia-rando di essere «pronti a discutere con coloroche detengono Moro». Il Pci ne fu terrorizzato ei suoi esponenti fecero mille distinguo fra tratta-tiva e iniziativa umanitaria. Potevano stare tran-quilli: non era il tipo di offerta a cui fossimo in-teressati (l’autrice è un ex brigatista rossa). Vo-levamo che si piegassero il governo e la Dc. Infi-ne il Psi, dopo aver tentennato, decise di assume-re una posizione autonoma e interlocutoria.Anna Laura Braghetti, Paola Tavella, Il prigioniero, Mila-no, Feltrinelli 2004, p.137.

L’appello per la liberazione di Moro pubbli-cato da “Lotta continua”, firmato da uno schiera-mento composito di uomini politici, vescovi, in-tellettuali, sindacalisti. «io credo all’umanità de-

gli individui, specie se sono vescovi» commentaNatta (del Pci) «ma l’uomo politico, suo malgra-do, non può muoversi in una sfera individuale: lesue azioni, i suoi atti, debbono essere caratteriz-zati dall’interesse comune». Il clima di tensionetraspare anche negli editoriali dei quotidiani dipartito. A un fondo, durissimo, de “l’Unità”, l’“Avanti!” replica: «Non accettiamo che lo Statoche difendiamo si irrigidisca con furore giacobi-no o staliniano».

Fino a pochi giorni prima, quando l’ultima-tum delle Br non era ancora arrivato e si cercavail cadavere di Moro nel lago della Duchessa, si-tuazione molto diversa. «In questo mese» ci ave-va detto Fernando Di Giulio, vicepresidente deideputati comunisti, «il quadro politico che le Brvogliono abbattere si è consolidato; la maggio-ranza ha avuto un altro voto di fiducia dopo viaFani e si è scritto un nuovo capitolo che non fi-gurava nell’accordo di governo».«I fatti sono testardi e ci danno ragione» avevaaggiunto Emanuele Macaluso, della direzionecomunista «molta gente riflette e si rende contoche la linea dell’unità democratica è giusta esenza alternative».

Francesco De Vito, Franco Giustolisi, Comeparlano i falchi, in “L’Espresso”, 30 aprile 1978.Io ero presidente della Camera e ogni tanto ave-vo rapporti con alcuni dirigenti della Dc a cuipiù volte ho detto che erano al limite e che nonavrebbero retto; la risposta che mi sentivo dareda Zaccagnini, da Galloni era: “Dateci tempo”.Il tempo non ci fu. Moro fu ammazzato proprioperché sospettato in qualche modo di essereaperto a questo progetto (di collaborazione fraDc e Pci). Chi lo ha ammazzato ancora non loso. Non sono sicuro che sia stato Moretti (delleBr). Caduto Moro, crollò il progetto di Berlin-guer.Pietro Ingrao, Alex Zanotelli, Non ci sto! Appunti per unmondo migliore, Milano, Manni 2003, p.55.

Aldo Moro in rete.www.accademiaaldomoro.org (Accademia di Studi Stori-ci Aldo Moro, via Carlo Ederle 1, 00195 Roma).www.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier “Il caso Moro. Dalsequestro all’omicidio, i 55 giorni che cambiarono l’Italia/Dossier “Storia della Democrazia Cristiana”).

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1979 Inizia l’invasione sovietica

dell’Afghanistan.

AFGHANISTAN - Il 25 dicembre 1979 l'Unione Sovie-tica invade l'Afghanistan, per sostenere il governo co-munista del Partito Democratico del Popolo Afganocontro i ribelli Mujaheddin, sostenuti dai partiti islami-ci.

La situazione in Afghanistan : fatti, documenti, opinioni.Roma, ITER, 1980Suppl.al n.2 del gennaio 1980 di URSS oggi–Collocazione:OBC.IV.4.34

L’Afghanistan fu dichiarato repubblica (1973) eDaud assunse la carica di presidente (…): Daud si ri-volse all’Unione Sovietica chiedendo aiuti per mo-dernizzare la struttura statale. Dal 1956 al 1978 i so-vietici fornirono all’Afghanistan un totale di 1,26 mi-liardi di dollari in aiuti economici e 1,25 miliardi didollari in aiuti militari. Nello stesso periodo gli StatiUniti versarono all’Afghanistan un totale di 533 mi-lioni di dollari, in massima parte negli anni cinquan-ta; dopodichè Washington perse interesse per il pae-se. Ma Daud, come i suoi predecessori, non riuscì aconsolidare le istituzioni.(…) Appena cinque annidopo, nell’aprile 1978, elementi dell’esercito simpa-tizzanti marxisti, che erano stati addestrati in UnioneSovietica e alcuni di loro avevano aiutato Daud a sa-

lire al potere nel 1973, inscenarono un colpo di Stato:Daud, la sua famiglia e le guardie presidenziali ven-nero tutti massacrati. (…)

Il primo presidente comunista khalq, Nur Moham-med Taraki fu assassinato, mentre il suo successoreHafizullah Amin venne ucciso quando, nel dicembre1979, le truppe sovietiche invasero l’Afghanistan einsediarono alla presidenza un leader parcham Ba-brak Karmal.Ahmed Rashid, Talebani. Islam, petrolio e il grande scon-tro in Asia centrale, Milano, Feltrinelli 2001, p.30

Quando i sovietici, dopo molte esitazioni, attra-versarono il confine dell’Afganistan nella notte diNatale del 1979, i gruppi islamici – già organizzati ipartiti – erano al lavoro da quattro anni, per destabi-lizzare la fragile Repubblica afgana. A loro , futurimujaheddin che operavano perlopiù da Peshawar,sembrò giusto organizzare la guerriglia contro un go-verno , quello del presidente Daud, che considerava-no “non islamico” ed esposto al contagio sovietico.All’Unione Sovietica, che da quindici anni fornivaaiuti all’Afganistan per assicurarsi un confine amico,sembrò giusta l’invasione per “aiutare il popolo afga-no” – nel frattempo c’era stato il colpo di stato mar-xista di Taraki e Amin – e non perdere l’influenzanella regione.

Agli Stati uniti sembrò giusto intervenire con fiu-mi di armi e denaro per i combattenti islamici.E all’Arabia Saudita sembrò giusto lanciare la tecni-ca del “matching fund”: un dollaro per aiutare laguerra santa per ogni dollaro stanziato dagli Usa perfinanziare la guerra al comunismo.

E al servizio segreto pakistano, l’onnipotente Isi,sembrò giusto che le armi, anziché essere distribuitea pioggia, finissero in mani “sicure” , di fratelli mu-sulmani fedeli alla causa.(…)

Mentre tutti agivano nel giusto, per la causa, i cit-tadini dell’Afganistan venivano uccisi. Quasi due mi-lioni. Mutilati e invalidi, almeno altrettanti. Costrettia fuggire, oltre quattro milioni. In percentuale? Il die-ci per cento della popolazione è morto, il dodici percento è invalido, il venticinque per cento vive comerifugiato. E quasi tutti gli altri sono poveri, allo stre-mo, disperati.Gino Strada, Buskashì. Viaggio dentro la guerra,Milano,Feltrinelli 2002, p.67.

Migliaia di giovani sauditi, egiziani, algerini, gior-dani, yemeniti, ecc. parteciparono alla guerra santacontro i sovietici negli anni che vanno dal 1979 al1992, momento in cui Najibullah cadde e Kabul diconseguenza fu presa da mujaheddin islamici, dallacoalizione dei sette partiti di Peshawar. Furono tempid’oro, in tutti i sensi. Miliardi di dollari furono pagatiper addestrare, stipendiare, organizzare un vero e

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proprio esercito che, alla fine, riuscì a sconfiggere isovietici costringendoli al ritiro.

Il maggior finanziatore dell’impresa – che si av-valse dell’intelligence pakistana, coadiuvata da quel-la statunitense – fu il governo dell’Arabia Saudita.Ben lieto, del resto, di poter distogliere l’attenzionedei giovani sauditi dai problemi del paese, per lan-ciarsi in un’avventura nobilitata dalla solidarietà isla-mico contro un paese fratello aggredito dagli infede-li.Giulietto Chiesa, La guerra infinita, Milano, Feltrinelli2002, p.73.

La guerra in Afghanistan in rete.www.ruswar.com (Afghanistan – The Soviet Experienceby Igor Belov, ex ufficiale sovietico).www.wilsoncenter.org (Woodrow Wilson InternationalCenter for Scholars, Washington- Documents on the So-viet Invasion of Afghanistan).

1980 Disastro dell’aereoDC9 dell’Itavia sopra i

cieli di Ustica (81 morti).

ITALIA - Il 27 giugno 1980 l'aereo di linea I-TIGIDouglas DC-9 appartenente alla compagnia aerea Ita-via si squarcia in volo senza preavviso e scompare inmare tra le isole di Ustica e Ponza. Nel disastro 81 per-sone hanno perso la vita.Molti aspetti delle cause della Strage di Ustica, (comela si definirà) resteranno oscuri.

La Repubblica, 29 giugno1980Collocazione: ZB 6–Dall’EMEROTECA

La nostra storia ha un inizio preciso al minuto, ore20,08 del 27 giugno 1980, preciso al minuto perché èl’orario di partenza di un aereo, un Dc9 di una com-pagnia privata che si chiama Itavia, un aereo che hasulla fusoliera la scritta I-TIGI, India Tango IndiaGolf, secondo lo strano alfabeto dell’aeronautica, unaereo che parte dall’aeroporto Marconi di Bolognadiretto all’aeroporto di Punta Raisi , a Palermo.(…)

Nel suo volo il Dc9 I-TIGI dell’Itavia viene segui-to dal radar che controlla quella parte di cielo, il ra-dar di Ciampino, vicino a Roma. (…) Alle 20,26 ,però, il radar di Ciampino e anche un altro che sta a

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Ferrara e che appartiene alla Difesa aerea , chiedonoall’I-TIGI di identificarsi. Perché? Non c’è il trans-ponder , con il numero di targa,a farlo automatica-mente ? No, il segnale risulta confuso, le tracce non-skono chiare. (…) Alle 20,57 l’I- TIGI contatta Pun-ta Raisi. Mancherebbero venticinque minuti all’atter-raggio. (…) Ore 20,59 e 45 secondi. Dal radar diCiampino il Dc 9 I- TIGI dell’Itavia , il volo IH870 èsparito.(…)

Alle 21,22 il centro di controllo di Martina Francainizia le procedure di soccorso allertando il Quindi-cesimo stormo di Ciampino. Gli elicotteri si alzanoalle 22, trentotto minuti dopo la richiesta di soccorso.Dopo un’ora e dieci arrivano sul luogo dove è scom-parso il Dc9. E’ un tratto di mare al largo di una pic-cola isola siciliana che si chiama Ustica.(…) Soltantoverso le 5,05 della mattina dopo un elicottero partitoda Catania segnala alcuni detriti in affioramento .Alle prime luci dell’alba, un aereo specializzato perla ricerca dei sommergibili avvista sull’acqua unachiazza di cherosene. Prima è soltanto una chiazzaoleosa, poi, verso le 7,30, cominciano ad affiorarecose, cuscini, sedili, salvagente sgonfi.(…)

Una delle prime voci che circolano,quasi subitodopo che il Dc9 è caduto, è che a far cadere l’I-TIGIsia stato un missile. Lo dicono alcuni militari impe-gnati nei comandi radar.(…) Un missile francese,dice addirittura qualcuno. Oppure americano. C’eraun’esercitazione in corso, si dice. Carlo Lucarelli, Nuovi misteri d’Italia, Torino, Einaudi2004, pp.46 – 49, 54.

Sorgono le prime domande sulle cause del disa-stro. L’Aeronautica Militare parla di cedimento strut-turale ma molti avanzano l’ipotesi di un missile cheavrebbe colpito l’aereo . La storia è poco chiara e ilfatto che l’aeroporto di Roma Ciampino impieghiquasi un mese per consegnare i tracciati del DC9 agliinquirenti , fa riflettere. IL 14 luglio viene chiesto an-che al radar di Marsala di consegnare i nastri maquesti arrivano solo il 3 ottobre. Il registro del radardi Licola risulterà scomparso. Anche i militari dellaportaerei americana Saratoga dicono che i loro radarerano spenti. Viene formata una Commissione d’in-chiesta presieduta dall’ingegner Carlo Luzzatti .Esperti americani analizzano i tracciati e riferisconoche un altro aereo avrebbe seguito il DC9 eseguendodei movimenti tipici di una manovra d’attacco di uncaccia militare ma, secondo la nostra aeronautica mi-litare, quella sera non c’erano state esercitazioni inzona.Massimo Veneziani, Contrinformazine. Stampa alternati-va e giornalismo d’inchiesta dagli anni Sessanta a oggi,Roma, Castelvecchi 2006, p.125.

La strage di Ustica in rete.www.stragediustica.info (Associazione Parenti delle Vit-time della Strage di Ustica, Bologna )www.stragi80.it (Le stragi dell’80 a cura dei giornalistiFabrizio Colarieti e Daniele Biacchessi)www.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier: Ustica).

1981La magistratura ritrova le liste deimembri della Loggia massonica P2

nell’abitazione del “maestro venerabile”Licio Gelli.

ITALIA - 17 marzo 1981, nell'ambito dell’ inchiesta sulpresunto rapimento di Michele Sindona, vengono per-quisite la villa e la fabbrica di Licio Gelli ad Arezzo:viene scoperta una lista di quasi mille iscritti alla log-gia massonica Propaganda Due, o P2. I nomi degliiscritti (personalità di primo piano della politica e del-l'Amministrazione dello Stato e lo stesso Sindona.) edil fatto che la Loggia, con evidenti fini di sovversione,sia una loggia "coperta", ossia segreta, susciterà unodei più gravi scandali della storia recente della Repub-blica Italiana.

Candido nuovo: per una nuova repubblica, 20 aprile1982Collocazione: PER 3138 – Sale PERIODICI

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Le calamità appaiate del terrorismo e della strate-gia della tensione sono scemate gradualmente nelcorso degli anni ’80, non senza che si sia versato al-tro sangue e si siano scoperti altri complotti. La tra-gedia più terribile, che ha segnato il culmine del cicloterroristico di destra, è stata la bomba esplosa allastazione di Bologna il 2 agosto 1980 che provocò lamorte di 85 persone. Un anno dopo fu scoperta l’esi-stenza di una loggia massonica eversiva, la P2: ne fa-cevano parte figure di spicco dell’esercito, del mon-do degli affari e del mondo politico. Gli obiettivi pre-cisi della loggia sono rimasti oscuri, ma non vi è al-cun dubbio che il suo capo, Licio Gelli, stava cercan-do di costruire una rete anticomunista di controllo edi aiuto reciproco dentro i più elevati settori delloStato.Paul Ginsborg , Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. So-cietà e politica 1943 – 1988, II, Dal miracolo economicoagli anni ’80, Torino, Einaudi 1989, p.574.

Indagando su Michele Sindona, Giuliano Turone eio abbiamo scoperto la loggia P2 capeggiata da LicioGelli. Anche di questa, dei suoi iscritti e delle gestadi questi si è persa la memoria.(…)Si scoprono i rapporti fra Michele Sindona e LicioGelli, si scopre la loggia P2, già toccata più volte dal-l’interesse dei media e indicata come sede di trameocculte e influenze inconfessabili.(…)

Si decide di perquisire i locali di cui Gelli dispo-ne, la casa, la fabbrica di confezioni che dirige (ilnome del proprietario lo scopriremo negli elenchidella P2), l’albergo romano,l’Excelsior, dove davaudienza , ricevendo processioni di maggiorenti delregime dell’epoca, di questuanti , di futuri adepti(alla P2).

La mattina del 17 marzo 1981, un mercoledi, sipresentano contemporaneamente nell’abitazione diGelli ad Arezzo, Villa Wanda; a Castiglion Fibocchi,vicino Arezzo, dove Gelli dirige la Giole (la linea diabbigliamento giovane della Lebole) , a Roma, al-l’Excelsior, e a pochi altri indirizzi dove si ritieneche Gelli possa custodire materiale interessante. Gherardo Colombo, Il vizio della memoria,Milano, Feltri-nelli 1998, pp.9, 46–48.

Lo strumento di Gelli era una loggia massonicachiamata Propaganda 2, o P2 in breve, una varietàperversa e maligna di una pianta già di per se stessamisteriosa. (…). L’Italia, lo si deve dire per onestàanche se con un po’ di tristezza, ha prodotto pochiindividui più straordinari di Licio Gelli. Non avevaancora vent’anni quando partecipò alla spedizione di“volontari” inviato da Mussolini in Spagna per aiu-tare Franco(…) . Durante l’ultimo conflitto combatténella campagna di Albania prima di lottare, dal ’43in poi, contro gli Alleati man mano che avanzavanonella Penisola.(…) In seguito passò gran parte della

vita all’estero, soprattutto in america Latina, dove di-venne amico personale di Juan Peron. Ma nel frat-tempo curava i propri interessi in Italia, accumulandoun’ingente fortuna. Per un po’ di tempio fu un altodirigente della Permaflex, un’industria di materassi,prima di lasciarla per costituire un’azienda tessile,Gio-Le, che prosperò grazie soprattutto ad un con-tratto lucrativo di importazioni dalla Romania.(…)

La colorazione della P2 era genericamente antico-munista e di destra .(…) Lo scopo era presumibil-mente di preparare l’opinione pubblica ad una presadi potere da parte di un regime più autoritario.Rupert Cornwell, Il banchiere di Dio Roberto Calvi,Rima- Bari, Laterza 1984, pp.22 – 24.

Li aveva divisi per settori e puntigliosamente si-stemati in ordine alfabetico. Da “alberghi” (4 diretto-ri) a “università” (36 professori) . E in mezzo c’eratutta l’Italia. (…) Di parlamentari ,assicurava (Gelli)ne aveva un centinaio. «E più la stampa mi attacca,più ne arrivano» si vantava. Licio Gelli esagerava; disolito raddoppiava a parole le forze che poteva met-tere in campo nella realtà. Però era ben piazzato do-vunque ci fossero da arraffare soldi e potere. (…)

Con questi sistemi era riuscito a mettere le manidappertutto. Specialmente nella casa democristiana ein quella socialista. Gaetano Stammati, Franco Fo-schi, Giancarlo De Carolis, Vito Napoli, tutti DC etutti nella loggia, con Adolfo Sartio in mezzo al gua-do: «Entro o non entro?». Nel PSI Gelli aveva saputofare meglio, arruolando Silvano Labriola, capogrup-po alla Camera, Enrico Manca, ministro del Com-mercio con l’estero quando le liste vennero scoperte,e perfino un esponente della sinistra, Fabrizio Cic-chitto,che in cambio ebbe tante promesse per il futu-ro e subito la possibilità di essere l’unico politico atenere comizi davanti alla Voxon, l’azienda della fa-miglia Ortolani, collegamento diretto con il MaestroVenerabile. Ai socialisti Gelli aveva messo sottocontrollo la cassa: non usciva e non entrava una lirasenza che lui lo sapesse. Della P2 erano infatti unfunzionario dell’amministrazione del PSI, EnnioCampironi,e un revisore dei conti, Alvaro Lucani.

Ma il controllo migliore avveniva attraverso Ro-berto Calvi, il presidente (P2) del Banco Ambrosia-no. Era Gelli a suggerirgli quando allentare e quandostringere i cordoni della borsa. Ecco perché il mae-stro Venerabile riuscì con tanta facilità ad arrivare afrequenti contatti con i vertici del partito, ClaudioMartelli prima e poi Bettino Craxi. Soltanto con i so-cialdemocratici Gelli riuscì a ottenere ancora di più:l’iscrizione e il giuramento di eterna fedeltà di PietroLongo, il segretario. Andrea Barberi, Nazareno Pagani, Nelle stanze del potere,in L’Italia della P2, Milano, Mondadori 1983, pp.87–88.

Nel dicembre 1976, da un rapporto del comandan-

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te della Guardia di Finanza di Venezia, emerge loscandalo dei petroli, comprensivo di tangenti percentinaia di milioni. di lire. (…) Vi è coinvolto ,inprimo luogo, il generale Raffaele Giudice, dall’ago-sto 1974 comandante della Guardia di Finanza. L’al-to ufficiale delle Fiamme Gialle è iscritto alla Loggiagelliana (tessera n. 1634) ed è presente nel “Tabulatodei 500” ovvero la lista degli esportatori di capitaliall’estero.(…) Si scopre che, su tutta la vicenda , sierge il maxi ombrello della Loggia P2. Tra i perso-naggi coinvolti nel maxi affare dell’ “oro nero”, oltreal generale piduista Giudice (tessera n. 1634), ancheil direttore generale della piduista Banca nazionaledel Lavoro Alberto Ferrari (tessera n. 1625), l’avvo-cato – finanziere Umberto Ortolani e il petroliere –editore (Gruppo La Nazione – Il Resto del Carlino)Attilio Monti , anch’egli in odore di massoneria ,nonché in rapporti d’ amicizia con Gelli. Mario Guarino, Fedora Raugei, Gli anni del disonore. Dal1965 il potere occulto di Licio Gelli e della Loggia P2traaffari, scandali e stragi, Bari, Dedalo 2006, pp.99, 101.

La loggia P2 in rete.www.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier: la loggia P2)www.amnistia.net/news/gelli (la lista dei 959 iscritti allaLoggia P2).

1982L’Italia campione del mondo.

ITALIA - L’Italia, sconfiggendo per 3-1 la GermaniaOvest in finale l’11 luglio 1982, è campione del mondoai Mondiali di calcio svoltisi in Spagna..

Il Tirreno, 12 luglio 1982Collocazione: ZB 1 Dall’EMEROTECA

Il trionfo italiano nel mondiale di calcio del 1982– il terzo della storia, dopo quelli prodotti dalla ma-gia del leggendario quadriennio 1934 – 1938 – staacquistando per me, che ne fui testimone diretto, unprofilo sempre più essenziale a mano a mano che l’e-vento prende distanza nella memoria. Oggi parlereidi un miracolo assai più che di un’impresa.(…) PaoloRossi risultava l’emblema d’una formazione smarri-ta, preda di oceaniche confusioni agonistiche, ridottoad accendere ceri di ringraziamento a una qualcheMadonna del circondario.(…) Paolo Rossi (…)esplose di colpo contro gli esteti del calcio brasiliano– tanto convinti di vincere che finirono col perdere,firmando i tre gol di una redenzione massima. (…)

L’Italia , dal 14 giugno alla sera dell’11 luglio eracresciuta al punto di prendersi tutto quel che c’era daprendere: il titolo mondiale e la coroncina che con-quistò Paolo Rossi, il Pablito misteriosamente e for-tunatamente ritrovato, quale capocannoniere assoluto

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del torneo: 6 gol. . L’Italia di Bearzot aveva messo inbanca, oltre che nel cuore rigenerato di un popolo in-tero e incoerente (il popolo che all’inizio aveva chie-sto la testa di Bearzot, adesso beatificava il commis-sario tecnico, di per sé irrazionale, d’un miraggio.

Il presidente della Repubblica, Pertini (…) regalòa Bearzot una pipa preziosa, dividendo con lui , inaurea esclusività, gl’impeti d’un inchino al Tricolore.Carlo Grandini, Fu un miracolo Mundial, in I grandi av-venimenti del Novecento visti dal Corriere della Sera, fa-scicolo 6, s.d.

Il numero 9 è paolorossi.Ecce bomber. Il goleador. Il protagonista. Il re

dell’area. Il sacerdote del gol, quello che poteva por-tarci alle stelle o alle stalle. Opportunista, cinico, cru-dele, con quella gambetta che, oplà, deviava il pallo-ne impossibile. Su di testa, op, in rovesciata, giù nel-lo scatto breve e nel tiro immediato. Quello che, afine partita, se gli era andata bene, doveva: «Ho fattogol, ringrazio tutti, soprattutto il mister». Paolo Rossinell’82 in Spagna, con quel faccino smunto e le gi-nocchia senza più menischi, trascinò l’Italia di Bear-zot al trionfo mundial e si laureò, con sei reti, re deibomber. Per anni, noi italiani in giro per il mondo,diventammo dei “paolorossi”.Darwin Pastorin, Tempi supplementari. Partite vinte, par-tite perse, Milano, Feltrinelli 2002, p.20.

La Nazionale di calcio in retewww.nazionaleitalianacalcio.it (Sito ufficiale della Nazio-nale Italiana Calcio).www.figc.it (Federazione Italiana Gioco Calcio).

1983 Il segretario del PSI Bettino Craxi

viene nominato presidente del Consiglio.

ITALIA - Il 4 agosto 1983 Craxi viene nominatopresidente del Consiglio. Il Governo Craxi I resterà incarica per 2 anni, 11 mesi e 28 giorni. Sarà il secondogoverno più longevo della storia della Repubblica e ilprimo a guida socialista.

Epoca: settimanale politico di grande informazione, 12agosto 1983 Contiene: “Craxi mai visto così”. Servizio fotografico conla moglie Anna.Collocazione: PER 3081 Sale PERIODICI

È il 16 luglio 1976, il sacrificio di De Martino (ilsegretario del Psi) s’è appena compiuto, il Psi hascelto come nuovo padre il giovane capo della destraautonomista. Craxi si affaccia alla terrazza dell’hotelRaphael per la prima intervista da segretario. (…) Lasua immagine sui giornali è pessima. Craxi ha tuttal’arroganza dei sederi di pietra dell’apparato. È il “te-desco del Psi”. È “Bettino l’americano”. È benvistoda Kissinger. È prediletto da Montanelli.(…)

Nei confronti della Dc, la carica alternativa diCraxi è sincera: prudente, però molto alta. In questoè davvero un socialdemocratico alla tedesca, oltreche sospinto dalla voglia di essere il numero uno. Einfine ha un avversario personale che alimenta il suodesiderio di battaglia. È Andreotti, “ineffabile e geli-do”, simbolo del sempiterno potere Dc, l’uomo del-l’innaturale connubio con il Pci, “volpe che finirà inpellicceria”.

Il secondo avversario sta alle Botteghe Oscure. IlPci predilige i socialisti subalterni e quindi non hamai amato Craxi troppo autonomo, troppo carico diidentità. E poi il suo è un disegno di guerra: portarvia voti ai comunisti. Soltanto dopo si potrà ragiona-re. Anzi, il sogno di Bettino è ancora più radicale:spera che il Grande Fratello (il Pci) si spacchi e siapossibile un’alleanza fra uguali con il Pci eurocomu-nista.

Figlio di Saragat più che di Nenni, Bettino spara

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verso Botteghe Oscure colpi su colpi.(…) Dal Pci ri-battono: il Psi di Craxi non è più un partito della sini-stra.Giampaolo Pansa, Bettino il Temerario, in “L’Espresso”,18 ottobre 1981.

Vi fu il 21 luglio 1983 la scelta definitiva di Perti-ni: Craxi. Un socialista – ed era una prima assoluta –alla guida del governo italiano. Dunque toccava aCraxi, l’uomo nuovo, che pochi anni prima era sco-nosciuto alla quasi totalità degli italiani, e che era di-ventato – come ha scritto un suo biografo, AntonioGhirelli –«il personaggio più stimolante, più popola-re e più detestato della nostra costellazione politica».Per lui erano stati coniati dei neologismi (“Decisioni-smo”, “decisionista”) che Norberto Bobbio avevacriticato come «storicamente datati e legati a una teo-ria politica precisa», ma che il politichese adottò dislancio. Craxi pretendeva d’impersonare e in qualchemodo, bisogna pur dirlo, impersonò una classe politi-ca più giovane e più efficiente. Col senno di poi pos-siamo individuare il tanto – il troppo – di rampante,di aggressivo, di spregiudicato e di scostumato che diquella classe e del suo modo di interpretare la politi-ca, era una componente essenziale.(…) Berlinguernon lo poteva soffrire, per allergia caratteriale oltreche per le diverse politiche. E a nulla servì, per farglicambiare idea, un tete a tete alle Frattocchie.

Il pentapartito che Craxi formò poteva essere con-siderato, per le gerarchie politiche italiane, un parter-re de rois. Vi figuravano tre ex Presidenti del Consi-glio (Forlani alla vicepresidenza, Andreotti agli Este-ri, Spadolini alla Difesa); un futuro presidente dellaRepubblica, Scalfaro, all’Interno; un futuro presiden-te del Consiglio, Giuliano Amato, nel posto chiave disottosegretario alla Presidenza.Indro Montanelli, Mario Cervi, L’Italia del Novecento,Milano, Fabbri Editori 2001, pp.519 – 520.

Craxi rimase presidente del consiglio più a lungodi qualsiasi previsione, dal 1983 al 1987. La sua per-sonalità aggressiva, la capacità tattica e l’innata abili-tà politica gli guadagnarono parecchi ammiratori enon pochi nemici. Nel 1987 nuove elezioni dettero alsuo partito il 14,3 per cento dei voti, con un aumentodel 2,9 per cento sul 1983. Nello stesso tempo la Dc,ancora sotto la guida di un ben più cauto De Mita,migliorò lievemente i risultati del 1983, raggiungen-do il 34,3 per cento dei voti. L’equilibrio tra i duemaggiori partiti di governo si era così spostato duran-te gli anni ’80: il consenso elettorale dei socialisti eraaumentato di 4,5 punti percentuali negli ultimi ottoanni, i democristiani avevano perso esattamente il 4per cento. Ugualmente importante era il fatto cheCraxi cominciava ad essere considerato la personalitàdi maggior spicco della politica italiana.

I problemi legati all’alleanza Dc – Psi, comunque,ricorrenti fin dal tempo del centro – sinistra, non han-no mostrato segni di risoluzione. Non si tratta infattidi un’alleanza basata sulla fiducia reciproca,sulla pa-rità o su un accordo programmatico, ma su un’intesalacerata dal sospetto, dalla rivalità personale, da in-terminabili giochi di potere. In questo modo vienesprecata una quantità immane di energia: diventapressoché impossibile ogni programmazione strategi-ca, e il governo risulta inesorabilmente più debole.(…) Craxi si è mostrato più abile come stratega per ilsuo partito che per il paese, e non ha saputo elaborareuna vera strategia riformista; mancando la pressionedi movimenti sociali analoghi a quelli esistiti tra il1968 e il 1978, la spinta verso le riforme dei suoi duegoverni è stata assai modesta.Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. So-cietà e politica 1943–1988, II, Dal miracolo economicoagli anni ’80, Torino, Einaudi 1989, pp.567–568.

Bettino Craxi in rete.www.fondazionecraxi.org (Fondazione Craxi, fondata daStefania Craxi,via Pasubio 4/6, 00195 Roma).www.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier: Craxi a Palazzo Chigi).

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1984Muore il segretario del PCI Enrico

Berlinguer.

ITALIA - L’11 giugno 1984, dopo 4 giorni di coma,muore Enrico Berlinguer segretario generale del Par-tito Comunista Italiano dal 1972. Berlinguer era statocolpito da un ictus a Padova il 7 giugno, sul palco diPiazza della Frutta, dove stava terminando un appas-sionato comizio

L’Unità, 12 giugno 1984Collocazione: ZB 163–Dall’EMEROTECA

Berlinguer arriva a Padova giovedì 7 giugno(1984). Non parlava in pubblico nella città veneta dadieci anni, dai tempi della battaglia del divorzio. E’stanco, ma non più del solito, anche se i figli questavolta l’hanno rimproverato per il calendario massa-crante degli impegni. “Papà, non puoi fare questavita. Hai più di sessant’anni”.

(…) Alle nove e mezzo è sul palco di piazza dellaFrutta. Come è sua abitudine non ha cenato prima delcomizio. Salendo i pochi gradini inciampa, ma si ri-prende subito. È una strana sera fredda e nuvolosa,con il cielo attraversato da lampi.(…) Per mezz’oratutto va bene. Berlinguer ironizza sul governo, spes-so provoca l’applauso. «Siamo di fronte a un mo-mento pieno di insidie per le istituzioni della Repub-blica. Ma è certo che…». Berlinguer è impallidito, iltono della voce è calato, la frase resta a metà.(…)

«Enrico, Enrico» cominciano a scandire i militanti.Qualcuno urla: «Sta male, fatelo smettere». Ma Ber-linguer vuole continuare a ogni costo. Il giorno dopola televisione trasmetterà le immagini del segretariodel Pci che tira avanti eroicamente fino alla conclu-sione pronunciando frasi ormai smozzicate sulla P2,sugli scandali, sulla democrazia malata. Che si copreil volto con un fazzoletto, che scende quasi inerte lescale del palco sorretto dai suoi compagni. Cominciala grande emozione collettiva che durerà per quattrogiorni, fino alla mattina di lunedì 11 giugno, quandoEnrico Berlinguer cessa di vivere.(…)

Nei quattro giorni in cui si consuma la lunga ago-nia del segretario del Pci la vita politica italiana ècome sospesa. (…) Nella camera di rianimazione ,davanti al corpo privo di conoscenza che giace im-mobile, con la testa fasciata, gli aghi delle flebo infi-lati nelle braccia e due cannule alle narici, passanostravolti compagni e avversari, da Pajetta a Spadoli-ni, da Pietro Ingrao che piange nei corridoi senzanessuna vergogna, a Claudio Martelli, a LucianoLama. Il papa Giovanni Paolo II manda il vescovo diPadova monsignor Franceschi a chiedere notizie, inmolte chiese italiane si prega per la vita del segreta-rio comunista.(…)

Che qualcosa di inedito stia succedendo in queigiorni in Italia ,qualcosa che ancor oggi resta difficileda definire compiutamente lo si capisce ancor primadei funerali,che saranno i più imponenti della storiarepubblicana e che la televisione seguirà con una cro-naca in diretta molto più ampia e partecipata di quel-la, per esempio, dei funerali di Aldo Moro. (…) Diquell’evento irripetibile che per una giornata , il 13giugno 1984, trasfigura Roma, restano solo immaginifotografiche e brandelli di ricordi. Chiara Valentini, Berlinguer, Milano, Mondadori 1989,pp.470 – 471, 472- 473, 475..

( Berlinguer) non guardava la televisione. Alla te-levisione guardava soltanto il telegiornale e lo sport.Amava la musica di Wagner.

Ho chiesto quali erano gli ultimi libri che erano ri-masti sul suo comodino, gli ultimi che aveva sfoglia-to o letto, per curiosità o per amore, negli ultimi gior-ni prima di lasciare la sua casa per sempre. Erano al-l’incirca i seguenti: Rimbaud; un libro di GrahamGreen che gli aveva regalato Tatò; La tempesta nellatraduzione di De Filippo; Lo stadio di Wimbledon diDaniele Del Giudice; il primo volume di Oblomov; iDiscorsi parlamentari di Croce; le Confessioni diSant’Agostino; I dieci giorni che sconvolsero il mon-do.

Oblomov è la storia di un pigro. Ho chiesto allamoglie se egli avesse amato questo romanzo bellissi-mo. La moglie mi ha detto che lo aveva molto amato.Era forse anche lui un pigro, per sua natura, mi ha

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detto la moglie,eppure per la pigrizia, per l’ozio, per ipigri vagabondaggi, nella sua vita ben poco spazioc’è stato. È morto logorato dalla fatica. E tuttavia unfondo di pigrizia, di nostalgia dell’ozio, della vitarandagia e contemplativa, era rimasto impresso neisuoi tratti. Anche questo lo rendeva diverso dai con-sueti personaggi pubblici e caro a coloro che amano,nelle fisionomie umane, il desiderio dimenticato o ri-mosso d’un altro e contrastante destino.Natalia Ginzburg, Anniversario, in Enrico Berlinguer,Roma, Edizioni L’Unità 1985, p.10.

La sua testardaggine (di Berlinguer) gli avevaprocurato parecchi nemici, oltrecortina. Ma era servi-ta anche ad aprire delle brecce. Fra le tante personali-tà giunte dall’estero, quel giorno (i funerali) c’era an-che un dirigente di seconda linea del PCUS. Scola lointervistò sul balcone delle Botteghe Oscure, mentrein strada scorreva un interminabile fiume umano.Parlando di Berlinguer, pronunciò due parole primamai udite insieme, collegate l’una all’altra, da un co-munista sovietico: “socialismo” e “democrazia”. Poi,alla domanda del regista se le idee di Berlingueravessero influenzato anche il PCUS, rispose senzaesitazioni: «Si, il dialogo ha influenzato entrambi ipartiti». Quel dirigente rispondeva al nome di Mi-khail Gorbaciov. Meno di un anno dopo, nel marzo1985, sarebbe diventato il nuovo capo del PCUS. Illeader della perestrojka.Giovanni Fasanella, Corrado Incerti, Sofia 1973: Be rlin-guer deve morire, Roma, Fazi 2005, p.107.

Come tutti i miti anche quello di Berlinguer è sta-to, forse troppo frettolosamente, infranto dai suoiepigoni e dai suoi compagni.(…) E lo stesso PieroFassino nel suo libro Per passione, suscitando moltecritiche, ha voluto prendere le distanze – con una po-lemica postuma, apparsa a molti suoi compagni, enon solo a Giovanni Berlinguer, fratello di Enrico,ingenerosa – da tante posizioni assunte da quelle cheGiampaolo Pansa ha, invece, definito “l’ultimo se-gretario” e non solo del suo partitone rosso. In realtà,con tutti i suoi difetti e i suoi errori, Berlinguer, sinoalla morte, è stato fedele, con coerenza e con serietà,alla dimensione collettiva del suo impegno politico esociale.(…) Insomma un abisso tra re Enrico e i suoiverbosi successori, i quali hanno gli autisti, gli spee-ch – writer, i consulenti d’immagine, ma non riesco-no a scaldare il cuore delle masse, e forse neppure sipongono il problema.Pietro Mancini, La questione immorale, Consenta, Pelle-grini 2006, pp.41 -42.

Berlinguer in rete.www.fondazionegramsci.org (Biblioteca e Archivio dellaFondazione Gramsci, via Portuense 95 c, 00153 Roma).www.lastoriasiamonoi.rai.it (Dossier: Enrico Berlinguer.Un ricordo).

1985.Michail Gorbacev assume la carica

di segretario generale del PCUS.

URSS - L'11 marzo1985 Michail Sergeevic Gorbacëvviene eletto segretario generale del Partito Comunistadell'Unione Sovietica, carica più alta nella gerarchiadi partito e del Paese.Sarà l’ultimo Segretario del PCUS, propugnatore deiprocessi di riforma legati alla Perestrojka e protagoni-sta nella catena di eventi che porteranno alla dissolu-zione della Federazione dell'URSS e dello stessoPCUS.

Time: the Weekly Newsmagazine, July 27, 1987 Colloca-zione: PER 3146 –Sale PERIODICI

La nomina del nuovo segretario del Pcus, l’11 marzo1985, seguì di un solo giorno la morte di Cernendo,andandosi a indirizzare su Michail Gorbacev, espo-nente dell’ala riformista del Pcus; essendo nato nel1931 questi faceva emergere una generazione del tut-to nuova di politici, amministratori e dirigenti indu-striali e interrompeva definitivamente la continuitàcon l’epoca staliniana e i suoi uomini, formati nell’e-ra dell’industrializzazione forzata e della guerramondiale. La scelta in favore di Gorbacev non erastata fatta senza ponderatezza, derivando sicuramenteda indicazioni di Andropov e di A.Gromyko (mini-stro degli Esteri dal 1957); essa mostrava che nelPcus si poteva formare una nuova maggioranza favo-

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revole a una soluzione della difficile situazione inter-nazionale in cui l’Urss si era venuta a trovare e a unnuovo tentativo di riforma del comunismo.Scipione Guarracino, Storia degli ultimi cinquant’anni .Sistema internazionale e sviluppo economico dal 1945 aoggi, Milano, Bruno Mondadori 1999, p.359.

La biografia di Gorbaciov non è particolarmentericca di avvenimenti. La maggior parte della sua atti-vità si è svolta nella provincia di Stavropol, una re-gione importante e relativamente fiorente del Cauca-so del Nord. (…) Nel corso degli ultimi sei anni, pri-ma come membro della segreteria del Pcus, poi comemembro del Politbjuro, Gorbaciov ha diretto nel par-tito la politica agraria del nostro paese e su di lui ri-cadeva la responsabilità della produzione e dell’at-tuazione del “programma alimentare”. (…) Da que-sto punto di vista Gorbaciov non ha potuto giustifica-re le speranze che anche Breznev aveva riposto inlui. Con grande soddisfazione degli agricoltori ame-ricani e australiani, l’Urss è stata costretta a importa-re ogni anno decine di migliaia di tonnellate di grano.(…)

La relazione di Gorbaciov al Plenum di aprile delComitato Centrale del Pcus ,può essere interpretatacome un breve riassunto del programma della nuovadirezione. Gorbaciov ha detto chiaramente che l’eco-nomia del paese ha bisogno di serie trasformazioni.Nei tre mesi scorsi (della segreteria Gorbaciov) sonostate approvate decisioni sulla media e piccola indu-stria, sul miglioramento della costruzione di impianti,sullo sviluppo dell’economia energetica, sul miglio-ramento della qualità dei prodotti,sulla redistribuzio-ne dei mezzi di produzione in favore dell’industrialeggera, sullo sviluppo dell’elettrotecnica e dell’elet-tronica, ecc. (…) La campagna di rafforzamento della disciplina diolavoro, avviata da Andropov , si era allentata nel1984. Mi riferisco alla campagna contro l’ubriachez-za, l’alcolismo e la distillazione clandestina, iniziatanel maggio 1985. (…) Calcoli approssimativi hannovalutato che le perdite dell’Urss , causate dall’alcoli-smo, ammontano alla cifra enorme di 180 miliardi dirubli, laddove le entrate dirette del budget della ven-dita di bevande alcoliche si aggirano sui 35 - 40 mi-liardi di rubli.(…)

Nei cento giorni trascorsi al Cremino Gorbaciovha ricevuto molti capi di stato, capi dio partito e mi-nistri.(…) E’ sorta la questione di un possibile incon-tro tra Gorbaciov e Reagan nell’autunno 1985. Sonoevidenti i cambiamenti nello stile di comportamentodel capo del partito. Non ha la baldanza e lo spiritogrossolano di Krusciov e neanche l’insicurezza im-pacciata di Breznev. Ha suscitato l’interesse generaleil discorso pronunciato da Gorbaciov il 17 maggio al-l’assemblea dell’attivo dell’organizzazione del parti-

to di Leningrado, trasmessa per televisione. “Parlavaa braccio”, “Ha detto ciò che pensava”, sono stati icommenti della gente. Durante le visite alle fabbrichee agli uffici di Mosca , Gorbaciov parla agli operai eimpiegati e non tutto ciò che dice può essere previstoin anticipo.Roy Medvedev, La Russia della perestrojka, Firenze, San-soni 1988, pp.50 -53.

C’è chi parla di un uragano, o addirittura di un ter-remoto. Comunque, da cinquant’anni a questa partein Urss non accadeva niente di simile. Stiamo parlan-do delle massicce purghe volute dal segretario gene-rale del Pcus Mikhail Serghievic Gorbaciov. Per illu-strare l’ampiezza del fenomeno ecco alcune cifre :quattro dei quattordici segretari dei partiti delle quin-dici repubbliche che compongono L’Unione Sovieti-ca sono stati cambiati; un terzo dei responsabili dipartito a livello regionale ha dovuto trovare un’altraoccupazione; nel comitato centrale sono stati sostitui-ti ben quattordici dei ventitrè capi dipartimento, infi-ne il 40 per cento dei titolari dei ministeri. Tutto que-sto in poco più di un anno e mezzo.

Il capo del Cremlino sta dunque liquidando , e infretta, l’eredità lasciatagli dal suo predecessore Kon-stantin Cernienko. Queste purghe di burocrati corrot-ti, o troppo vecchi e troppo pingui per adattarsi alnuovo stile del giovane zar dai vivaci occhi grigio –blu che sorridono dolcemente nei momenti di bonac-cia, ma che diventano di ghiaccio negli attimi di rab-bia, consono che la punta dell’iceberg del cambia-mento radicale che il segretario generale del Pcus staimponendo alla societàWlodek Goldkorn, La riforma d’ottobre,in “L’Espresso”,19 ottobre 1986.

Le manifestazioni popolari che accolsero il segre-tario generale del PCUS (Gorbaciov) durante i suoiviaggi a Praga o a Berlino est (ottobre 1989) mostra-rono che le società civili dei paesi dell’Est europeonon si sbagliavano circa l’impatto che quell’uomoaveva sul loro destino. Mentre durante gli anni della“stagnazione” le opere dei dirigenti sovietici occupa-vano le librerie e nessuno leggeva i giornali russi,l’avvento di Gorbaciov e le sue prime prese di posi-zione cambiarono radicalmente la situazione: nelleedicole la “Pravda” andava esaurita e il suo libro Pe-restrojka fu un vero e proprio best seller: a Praga laprima edizione (22.000 copie) andò esaurita in ungiorno, e la seconda (73.000 copie) nella settimanasuccessiva.Georges Mink, L’impero sovietico. Dalla seconda guerramondiale al dopo Gorbaciov, Firenze, Giunti 1999, pp.128– 129.Gorbaciov in retewww.gorby.ru

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www.gorbyfond.com (The Gorbacev Foundation, 39 Le-ningradsky Prospekt bdg 14 Moscow 125107; Sede italia-na dela Fondazione Gorbaciov, Galleria Piazza Cavalli7/8, 29100 Piacenza).

1986Grave incidente nucleare alla centrale di

Chernobyl .

URSS- Il 26 aprile 1986 alle ore 1:23:44 presso la cen-trale nucleare di Cernobyl', Ucraina vicino al confinecon la Bielorussia si è verificato un gravissimo inci-dente nucleare. Vi è stata, infatti, l'esplosione e lo sco-perchiamento del reattore. Una nube di materiali ra-dioattivi è fuoriuscita e ricaduta su vaste aree intornoalla centrale che risultano pesantemente contaminate,rendendo necessaria l'evacuazione di circa 336.000persone.

Il manifesto, 29 aprile 1986 Collocazione: ZB 11– Dall’EMEROTECA

Il disastro della centrale nucleare di Cernobyl, in-sieme all’Afghanistan e alla questione dei missilicruise, viene generalmente considerato il principiodel declino dell’Unione Sovietica. (…)Nelle primissime ore del 26 aprile 1986, si verifica-rono due esplosioni in uno dei quattro reattori dell’e-norme complesso della centrale nucleare: era unasciagura che gli scienziati e gli ambientalisti avevanopreannunciato già da diversi anni, specialmente per

le conseguenze che avrebbe avuto: una gigantescafuoriuscita di iodio 131 e di cesio 137. Enormi nubiradioattive si propagarono su mezza Europa: primain direzione della Svezia e della Finlandia, successi-vamente verso la Polonia, la Cecoslovacchia, la Ger-mania e, attraverso la Svizzera, verso il Nord Italia ela Francia, fino alla Gran Bretagna e alla Norvegia.Gli strascichi raggiunsero l’Olanda, la Grecia, laSpagna, il Portogallo, la Turchia e la Romania, perun totale di venti paesi contaminati. Ancora annidopo le pecore britanniche furono dichiarate non ido-nee al consumo perché rappresentavano un pericoloper la salute pubblica.

Durante e immediatamente dopo l’esplosione, pe-rirono circa duecento persone, ma furono migliaiacoloro che morirono e si ammalarono negli anni suc-cessivi a causa della contaminazione da radiazioni.Secondo le stime più ottimistiche, il disastro è costa-to la vita complessivamente a tredicimila persone, al-tri calcoli parlano di trentamila e forse anche più,mentre altri ancora arrivano persino a centomila vitti-me, considerando i decenni successivi.(…)

Finora dalle zone contaminate hanno traslocatocirca centomila persone, ma ne restano ancora due-centomila circa, semplicemente perché l’Ucraina nonha denaro per il loro trasferimento.Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo,Roma, Fazi 2006, pp.818 – 819.

Reagan saw Chernobyl as a sign from God. Heobsessed over the passage in Revelation (8:10 -11)that described how “a great star fell from heaven,blazing like a torch , and it fell on a third of the riversand on the fountain of water. The name of the star isWormwood. A third of the waters became worm-wood, and many men died of the water, because itwas made bitter”. Lou Cannon comments: «WhenReagan learned that Chernobyl is the Ukrainian wordfor ‘wormwood’ he was certain that the disaster ofReactor Number 4 was indeed a portent of Armaged-don».James Carrol, House of War, Boston, Mariner Books2007, p.586.

L’incidente di Cernobyl ha rappresentato un’impor-tante lezione: per realizzare e gestire impianti nucleari ènecessario un alto livello di maturità, non solo dell’ap-parato tecno – industriale, ma anche della pubblica am-ministrazione e dei sistemi di normative e controllo. Inquesto senso, si deve auspicare che sia prontamente at-tuato un esame critico, a livello internazionale, dellostato di sicurezza delle centrali nucleari, a partire daquelle dei paesi dell’Europa centro-orientale e di quelliin via di sviluppo, se si vogliono evitare per il futuro leripercussioni negative che avrebbe in tutto il mondo unaltro incidente tipo quello di Cernobyl.

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Umberto Colombo, Energia. Storia e scenari, Roma, Don-zelli 2000, p.54.Chernobyl in rete.www.chernobyl.info (Swiss Agency for Development andCooperation).www.chernobyl.undp.org (The United Nations andChernobyl)www.chernobyl.ru (Sito russo su Chernobyl)www.unscear.org (United Nation Scientificas Committeeon the Effects of Atomic Radiation – Chernobyl)

1987La pornodiva Ilona Staller viene eletta

deputata al Parlamento italiano nelle listedel Partito Radicale.

ITALIA - Ilona Staller (attrice pornografica di origineungherese naturalizzata italiana), nota come Ciccioli-na, è stata eletta deputato nella X legislatura del Parla-mento italiano nel 1987, nelle liste del Partito Radicale.E’ la prima pornostar ad essere eletta in un parlamen-to nel mondo.

Panorama, 5 luglio 1987 Collocazione: PER 422 - SalePERIODICI

Mi dicono che ieri sera è ricomparsa in TV (Rete4) Ilona Staller detta “Cicciolina”. Ha ormai 53 annima veste ancora di bianco con una coroncina di fiorie di velo sui capelli. È stata per cinque anni deputataal parlamento, mia collega di legislatura. Veniva ra-ramente in aula, sui banchi dei radicali. Che io ricor-

di, una sola volta si alzò per un intervento. Cominciò,naturalmente: “Onorevoli cucciolini”. Aveva un ma-nager di totale cinismo, che la portava in giro per ilmondo in spettacoli in cui la Onorevole Italiana com-pariva sul palco fasciata da un tricolore che ben pre-sto cadeva a terra.«Ah, lei è un deputato italiano?Come sta l’onorevole Cucciolina?» era la domandache inevitabilmente ci sentivamo rivolgere quandoandavamo all’estero.(…)

Non credo che Ilona Staller fosse cattiva – e certa-mente c’era a Montecitorio gente più indegna di lei,per mestiere e per moralità.(…)

Mi sono sentito più volte domandare se fosse bel-la, e ‘bella’ era certamente un eufemismo al posto di‘eccitante’. Al contrario, così pallida, la larga boccache, tinta di un rosso squillante, sembrava una ferita,sempre sul capo la sua coroncina, a me faceva pensa-re a un’Ofelia salvata dalle acque.Ettore Masina, L’airone di Orbetello. Storia e storie di uncattocomunista, Soneria M., Rubbettino 2005, p.257.

Ilona Staller deputato in rete.www.radioradicale.it

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1988 “L’ultimo imperatore” di Bernardo

Bertolucci vince il premio Oscar.

ITALIA - Nel 1988,vengono assegnati 9 premi Oscara “L'ultimo imperatore” film diretto da BernardoBertolucci.

L'ultimo imperatore [risorsa elettronica] / un film diBernardo Bertolucci ; fotografia Vittorio Storaro ; musi-che Ryuichi Sakamoto, David Byrne e Cong Su ; sceneg-giatura di Mark Peploe con Bernardo Bertolucci ; prodot-to da Jeremy Thomas ; diretto da Bernardo Bertolucci. -Special ed.. - [Roma] : DNC entertainment [distributore],[2003]. - 2 DVD (156+40 min.): sonoro, color.Collocazione : DVD 148 – Dalla BIBLIOTECA MULTI-MEDIALE

La Grande Storia richiama di nuovo la sua atten-zione (di Bernardo Bertolucci) attraverso la figura diPu Yi, l’ultimo imperatore della Cina. Anche qui sitratta di un lungo viaggio nella storia attraverso laconoscenza e la maturazione di un singolo individuoe i momenti che segnano in modo decisivo le fasidella sua esistenza. In alcune sequenze di questo film– per tutte quella della prima apparizione dell’impe-ratore a tre anni – il regista cerca, riuscendovi, di re-stituire al cinema la sua specificità e unicità di spetta-colo magico, produttore di emozioni irripetibili. Punto d’arrivo nella ricerca narrativa – visiva e cro-

matica – e nell’identità creativa di Bertolucci e Stora-ro, L’ultimo imperatore è un film tutto in soggettivain cui i cambiamenti nella percezione della realtàcorrispondono ai cambiamenti e alle varie fasi dellavita del protagonista. «Ho cercato» ha detto Storarogià rivendicando il suo ruolo autoriale «di visualizza-re questa vita attraverso l’analisi della luce, mostran-do i simboli cromatici corrispondenti alle varie fasidell’esistenza dell’uomo. Ho messo il rosso in rela-zione con la nascita del protagonista, l’arancio con irapporti familiari e con la Città proibita in cui eglivive, il giallo con la sua presa di coscienza, il verdecon il passaggio da una fase primordiale di vita, aduno molto più elevato di consapevolezza». Gian Piero Brunetta, Cent’anni di cinema italiano, II, Dal1945 ai giorni nostri, Roma – Bari, Laterza 1995, pp.230– 231.

1989.Caduta del muro di Berlino.

GERMANIA OVEST E GERMANIA EST - Il 9 No-vembre 1989 viene abbattuto il muro di Berlino, cheha diviso in due la città per 28 anni. Si apre la stradaper la riunificazione tedesca.

Avvenimenti:settimanale dell'Altritalia, 22 novembre 1989 Collocazione PER 3148– Sale PERIODICI

Il 1989 fu uno di quei momenti in cui sembrava

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che tutto succedesse nello stesso momento, un annusmirabilis: nell’arco di due anni crollarono nove ditta-ture a regime comunista, inclusa la stessa Unione So-vietica, nel gennaio del 1898 il sindacato indipenden-te Solidarnosc ottenne uno statuto ufficiale: per laprima volta all’interno del blocco orientale era am-messa l’opposizione legale.(…) In marzo si tennerole elezioni in Ungheria dove, per la prima volta dopoquarant’anni, furono ammessi candidati non comuni-sti e il regime venne completamente abbattuto. Amaggio anche i dissidenti cecoslovacchi pretesero ele-zioni libere. Lo scrittore Vaclav Havel venne liberatoprima del tempo. Il 27 giugno , in gesto simbolico, ilnuovo ministro ungherese degli Affari Esteri e il suocollega austriaco tagliarono insieme i fili della corti-na di ferro a Sopron, Poi, in un batter d’occhio, letorrette di guardia e gli sbarramenti di frontiera furo-no tolti di mezzo.(…)

Il giovedi 9 novembre, il governo della DDR deci-se di concedere più ampie possibilità di viaggiare,an-che se c’era comunque bisogno di documenti e di ri-spettare determinati requisiti.. Successivamente il se-gretario del Comitato Centrale del SED, GunterSchabowski, tenne una farraginosa conferenza stam-pa, ce venne trasmessa in diretta.(…) “Quando entre-rà in vigore?” chiese un giornalista. Schabowski ri-spose: “Be’, immagino immediatamente”. Ci volleun po’ di tempo, ma poi tutti compresero cosa signi-ficava quel comunicato:che il Muro era caduto.(…)In quel momento Gorbacev guardava ancora con otti-mismo alla vitalità interna al sistema: credeva ferma-mente che l’adozione di una maggiore libertà e tra-sparenza avrebbe rafforzato il comunismo, e non chel'avrebbe indebolito. I regimi comunisti crollaronocome tessere del dominio. (…) Intanto a Dresda, unoscuro agente del KGB, Vladimir Putin, cercò di bru-ciare una tale quantità di documenti tutti insieme dafare esplodere una stufa.Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX seco-lo,Roma, Fazi 2006, pp.776- 779.

L’indomani mattina arrivai nella Berlino riunita.Seguendo il consiglio di Ulrike raggiunsi subito laporta di Oberbaum. L’attraversava uno sciame dipersone dall’espressione indecifrabile, uomini, donnee qualche bambino, coperti da giacche grigiastre,scialli e cappelli a visiera. Il muro era stato aperto dauna sola settimana e loro venivano a visitare il grigioquartiere popolare di Kreuzberg, abitato prevalente-mente da turchi. Accanto alla porta li attendevano ivenditori di giornali e di souvenir. Un tipo intrapren-dente fissava sulla testa dei bambini delle corone dicarta con il simbolo di una azienda americana dihamburger.Ruvik Rosenthal, Blumenstrasse 22, Firenze, Giuntina2006, pp.150 – 151.

Il punto di non ritorno fu raggiunto nella seconda

metàdel 1989, bicentenario dello scoppio della Rivo-luzione francese. (…) Il crollo economico (dell’Urss)divenne irreversibile nel corso di pochi mesi crucialifra l’ottobre 1989 e il mggio 1990.(…) Tra l’agosto1989 e la fine dell’anno i partiti comunisti cedetteroil potere o cessarono di esistere inPOlonia, Cecoslo-vacchia, Ungheria, Romania e nnella Repubblica de-mocratica tedesca,senza che fosse sparato un solocolpo, tranne che in Romania. (…) I dirigenti comu-nisti furono sostituiti da uomini e donne (ancora unavolta troppo poche) che avevano rappresentato la dis-sidenza o l’opposizione e che avevano organizzato ,omeglio ancora, proclamato con successo le dimostra-zioni di massa che avevano dato il segnale ai vecchiregimi che era giunta l’ora di abdicare.Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve 1914/1991, Milano,Rizzoli 2000, pp.564- 565, 569.

La caduta del muro di Berlino è stata una grandeillusione.(…) Quando quel muro fu finalmente sbri-ciolato sotto la luce gioiosa di tutte le televisioni delmondo, quelle illusioni parvero pienamente confer-mate. Stava per aprirsi una nuova età dell’oro, segna-ta dalla pace universale, dalla rinuncia delle utopie,dal trionfo dei valori della libertà e della democraziaoccidentali. Quando, all’inizio degli anni Novanta,scoppiò la prima guerra del Golfo, un filosofo che siera distinto nella celebrazione del postmoderno comenuova epoca felice scrisse un editoriale sulla “Stam-pa” di Torino non per confessare i propri errori maper denunciare le incongruenze della realtà storica.Romano Luperini, La fine del postmoderno, Napoli, Guida2005, p.15.

La caduta del muro di Berlino in rete. www.berliner-mauer-dokumentationszentrum.de (BerlinerMauer- Centro di documentazione , Bernauer Strasse 111,13355 Berlin; anche in lingua italiana).www.berlin.de/mauer (Sito dedicato a Berlino; in linguaitaliana: Il Muro di Berlino).

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1990Fine della Jugoslavia.

Iniziano i primi scontri etnici.

JUGOSLAVIA – Inizia il dissolvimento della Jugosla-via, con l’indipendenza della Slovenia. Si verificano iprimi scontri etnici.BOBBIO, Alberto. Truccarsi a Sarajevo. Storia e storiedi un assedio dimenticato. Padova, EMP, 2005Collocazione: 949.742 BOB

La Slovenia fu la prima delle repubbliche della fe-derazione jugoslava a indire libere elezioni nell’apri-le del 1990. Il gruppo Demos, una coalizione di settepartiti di opposizione,si aggiudicò il 55% dei voti, eKucan, capo del nuovo Partito del RinnovamentoDemocratico, formatosi dalla coalizione, fu elettopresidente, mentre il leader dei Cristiano Democrati-ci Lojze Peterle , divenne primo ministro.

In estate, dopo che la Serrbia aveva rifiutato leproposte avanzate da sloveni e croati di creare unanuova confederazione e aveva minacciato di dichia-rare lo stato d’emergenza, il parlamento sloveno pro-clamò la Slovenia ‘stato sovrano e indipendente’.(…)Il 23 dicembre 1990 l’88,5% dell’elettorato slovenoapprovò l’istituzione di una repubblica indipendente.Steve Fallon, Slovenia, Milano, EDT 2007, p.23.

When by 1987 the Serbian Academy of Scienceand Art and the Serbian political leadership expe-cially Slobodan Milosevic, began engaging in anti –Croatian rethoric, the Croats had real cause to worry.They had been uncharacteriseally quiet since the

early 1970’s crackdown against their reform move-ment. Now they were again being accused ofUstashianism and stereotyped as anti – Serb, fascistsympathizer. In this charged atmosphere, FranjoTudjiman came to the political forefront. He becamehead of the Croatian Democratic Union (CDU) , or-ganized in early 1990. In April of that year, the firstmultiparty elections in Croatia since World War IIgave the CDU control of Parliament.

That body then appointed Tudjman as Croatia’spresident. Tudjman’s party was the most nationalisticof the major parties contending for office in 1990:the Croat electorate seemed to be matching theSerbs’ nationalism with a similar version of its own.Croatia’s new president , with a strong CDU major-ity in Parliament, was able to establish near authorit-arian control in the republic. Carole Rogel, The Breakup of Yugoslavia and the war inBosnia, Westport, Conn., Greenwood Press 1998, p.112.

Teniamoci ai fatti. E questi sono stati che alla finevinse la tesi favorevole al riconoscimento quasi im-mediato delle nuove repubbliche indipendenti – Slo-venia, Croazia, Bosnia – nate dal corpo della ex fede-razione, riconoscimento che decretava la fine dellaJugoslavia.(…)

Invano autorevoli conoscitori delle vicende balca-niche avevano cercato di porre il piede sul freno diun affrettato riconoscimento. Certamente fra questi cifu l’ex ministro degli Esteri britannico , nonché exsegretario generale della NATO, lord Peter Carring-ton. Come presidente della conferenza dell’Aia sullaJugoslavia aveva raccomandato ai dodici governi(europei) la prudenza. Ci è stato riferito un episodio.Un testimone diretto ci ha infatti raccontato quel cheaccadde nel corso della riunione in cui Carringtonmanifestò la sua opinione nel rapporto conclusivo:“Ci fu chi si oppose apertamente. In particolare il mi-nistro degli Esteri tedesco, Hans DietrichGenscher(…)”.

La Germania, con decisione autonoma, dovevaimporre il riconoscimento della Slovenia, e dellaCroazia, in tal modo precipitando gli sviluppi esancendo la frammentazione della Jugoslavia.Dobbiamo dunque vedere nella Germania appenariunificata la maggiore responsabile per il modo incui si sono svolti i successivi eventi jugoslavi ? Laconclusine non è infondata, anche se la Germanianon è stata la sola responsabile. Infatti sullo stessopiano di responsabilità va posto il comportamentodel Vaticano che, fin dal primo momento dellaguerra, si è identificato con la causa della partecattolica, slovena e croata, contro i serbi ortodossi,anche a costo di ripercorrere itinerari segnati dallaseconda guerra mondiale.

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Dino Frescobaldi, L’Italia nella tenaglia. L’assedio deinazionalismi e dei fanatismi religiosi, Firenze, PonteAlle Grazie 1995, pp.87 – 88.

Casermette dei vigili del fuoco luccicavano inogni villaggio, dipinte di fresco, con la teca del santosulla porta. Sono il simbolo del nuovo corso sloveno.Significano affinità asburgica, controllo del territo-rio, autogoverno. Insomma: Iugoslavia addio. Ieric’erano i carri armati, oggi la protezione civile. Ri-cordo il sindaco di Lubiana la notte dell’indipenden-za: “Siamo piccoli, ma di qualità!” disse, e gli feceeco un’ovazione. Tutto, in Slovenia, esprime questasindrome svizzera.Paolo Rumiz, È Oriente, Milano, Feltrinelli 2005, p.9.

La ex Jugoslavia in rete.www.osservatoriobalcani.org (Forum Trentino per laPace, istituito nel 2000).www.un.org (International Criminal Tribunal for theFormer Yugoslavia, United Nations).

1991 Scoppia la prima Guerra del Golfo.

IRAQ - Il 28 febbraio si conclude la prima guerra delGolfo, il conflitto che oppone l'Iraq ad una coalizionecomposta da 35 stati formatasi sotto l'egida dell'ONU eguidata dagli Stati Uniti.SALIO, Giovanni. Le guerre del Golfo e le ragioni dellanonviolenza. Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1991.Collocazione: 956.704 3 SAL

Il 2 agosto 1990 l’esercito iracheno attraversò lafrontiera del Kuwait e conquistò il paese. La famigliaSabah fu deposta e i giacimenti petroliferi del Kuwaitfurono occupati. Il cambio del regime effettuato daSaddam Hussein rappresentava senza dubbio unaviolazione dell’articolo 51 della Carta delle NazioniUnite e gli Stati Uniti orgabnizzarono una coalizionesotto la bandiera dell’ONU per riprendere il Kuwait.(…) I cambi di regime erano inammissibili quandoc’era di mezzo il petrolio. (…) Essenzialmente, c’erail consenso tra i leader occidentali sul fatto che non sipotesse permettere a Saddam di consolidare la pro-pria posizione, perchè ciò avrebbe trasformato l’Iraqnel più grande produttore di petrolio e nel paese piùimportante della regione, destabilizzando il Golfo eminacciando l’occupazione israeliana della Palestina.

E quindi Saddam Hussein divenne “Hitler”, il cor-rotto sceiccato della famiglia Sabah divento il “pic-colo coraggioso Kuwait” e i media cominciarono acombattere una nuova seconda guerra mondiale. Tut-to questo ebbe luogo nel contesto della crescente di-sintegrazione dell’Unione Sovietica.Tariq Ali, Bush in Babilonia. La ricolonizzazione dell’I-raq, Roma, Fazi 2004, p.116.

Il 17 gennaio 1991 inizia l’operazione “Tempestanel Deserto” (Desert Storm). Viene lanciata control’Iraq quella che viene definita “la più intensa cam-pagna di bombardamento della storia”: in quarantatregiorni l’aviazione statunitense e alleata effettua, con2800 aerei, oltre 110.000 sortite, sganciando 250.000bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciano com-plessivamente oltre 10 milioni di submunizioni. Il 23febbraio le truppe della coalizione, comprendenti cir-ca 520.000 soldati, lanciano l’offensiva terrestre che,dopo cento ore di carneficina, termina il 28 febbraiocon un “cessate – il – fuoco temporaneo” proclamatodal presidente Bush.

La guerra del Golfo del 1991 si distingue dalle al-tre combattute dagli Stati Uniti nel periodo successi-vo al secondo conflitto mondiale. È la prima guerrasu vasta scala che Washington non motiva con la ne-cessità di arginare la minacciosa avanzata del comu-nismo, giustificazione che era stata alla base di tutti iprecedenti interventi militari statunitensi nel “terzomondo”, dalla guerra di Corea a quella del Vietnam,dalla invasione di Grenada all’operazione contro ilNicaragua. È la prima guerra del dopo guerra freddaattraverso cui gli Stati Uniti non solo rafforzano laloro presenza militare e influenza politica nell’areastrategica del Golfo, in cui sono i due terzi delle ri-serve petrolifere mondiali, ma – come spiega ColinPowell – mettono in pratica e convalidano la nuovastrategia.Manlio Dinucci, Il potere nucleare. Storia di una follia daHiroshima al 2015, Roma, Fazi 2003, p.99.

Page 151: LIBRO FONDI COPERTINA INTESTAZIONE novecento… · CAMERON, James. Storia della rivoluzione africana. Milano, Edizioni di Comunità, 1964. 28. Collocazione: GER.TE.II.11–Dal Fondo

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La guerra del Golfo (15 gennaio-28 febbraio1991) in cui, al di là delle roboanti dichiarazioni de-gli statunitensi contro il nuovo Hitler, si intravedeabbastanza evidentemente l’irrinunciabile bisogno dicontrollo di una striscia di territorio strategico dalpunto di vista della produzione petrolifera e quindidelle forniture energetiche per l’industria e i consumidelle nazioni occidentali. (…) Pochi dati aiutano achiarire il concetto: la guerra del Golfo è costata intotale – per ammissione del Dipartimento di Statoamericano – circa 40 miliardi di dollari, dei qualiperò solo 10 sono stati coperti dagli Usa, mentre larestante parte è stata accollata al Kuwait e all’ArabiaSaudita. Due paesi che, peraltro, hanno subito trovatoil modo di ammortizzare il costo , facendo lievitare adismisura il prezzo del petrolio (da 15 a oltre 40 dol-lari il barile) e realizzando così un guadagno “extra”che è stato calcolato in circa 60 miliardi di dollari.

Questo guadagno “extra”, se per metà è servito acoprire effettivamente i costi sostenuti dal Kuwait edall’Arabia Saudita , per la restante metà è finito, se-condo gli accordi vigenti, nelle casse delle multina-zionali americane che controllano i pozzi petroliferi .

E se si tiene conto che delle “sette sorelle” (le set-te multinazionali petrolifere) ben cinque sono a pre-valente proprietà statale, è facile accorgersi che indefinitiva il governo statunitense ha visto “rientrare”,grazie ala guerra, oltre 20 miliardi di dollari (ossiapiù del doppio di quanto ha speso).(…)

La guerra del Golfo propone un’altra immaginedella morte o forse, per meglio dire, non ne proponealcuna, poiché provvede, di fatto, ad eliminarla dal-l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.(…) Lamorte pertanto resta quasi del tutto esclusa dall’espe-rienza dei contemporanei e non a caso pochi sono co-loro che, a distanza anche di poco tempo, sono ingrado di associare una precisa immagine di mortealla guerra del Golfo.Paolo Sorcinelli, Un secolo di guerre, in Identikit del No-vecento, Roma, Donzelli 2004, pp.44- 45, 61- 62.

Era negli Stati Uniti il giorno della vittoria. Due-centomila morti da una parte, dall’altra centotredici,quasi tutte vittime di un incidente nelle retrovie. Isoldati di Saddam ora venivano mostrati alla televi-sione con i sandali ai piedi, sdentati, le guance inca-vate dalla fame, le mani alzate, i vecchi fucili appenagettati. Oppure erano mucchi di cadaveri accatastatinel deserto fra le lamiere accartocciate degli autocar-ri. L’America era imbandierata per la vittoria. Il ge-nerale Schwarzkof, l’eroe della guerra del Golfo, sfi-lava a Washington, in una pioggia di petali di rosa.(…)

Ma poi la guerra del Golfo c’era stata davvero?Tutto sparito: il cormorano melmoso, il rischio delnuovo Hitler, i cumuli di cadaveri nel deserto, le in-

terviste agli esperti militari, le dichiarazioni dei poli-tici, gli articoli e i saggi degli economisti dei sociolo-gi dei politologi degli antropologi. Tutto scomparsocome se non fosse mai accaduto, come se fosse statasolo una rappresentazione senza sostanza, senza mor-ti e corpi reali.Romano Luperini, I salici sono piante acquatiche, Lecce,Manni Editori 2002.

La guerra del Golfo in rete.www.warchat.org (War News and History).www.arabic-radio-tv.com (Arabic History – Iraq History)www.archives.cbc.ca (Topic spans: 1990–2001. The 1991Gulf War – archivio video)

1992Attentati mortali in Sicilia contro i giudici

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

ITALIA – Il 23 maggio e il 19 luglio, in due attentatimafiosi, vengono uccisi i giudici antimafia GiovanniFalcone e Paolo Borsellino. Con loro trovano la mortela moglie di Falcone, anch’ella magistrato, e otto uomi-ni della scorta.

La Repubblica, 24 maggio 1992. Collocazione: ZB 6 - Dall’EMEROTECA

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La cosiddetta “grande guerra di mafia” comincianell’aprile del 1981 con l’uccisione di Stefano Bon-tade.(…) Secondo Giovanni Falcone dal 1981 al1983 la guerra nella provincia di Palermo provocòmille morti (calcolando tra questi un’altissima per-centuale di “scomparsi” che le attuali inchieste sem-pre più rivelano essere stati uccisi e fatti scomparire).(…) Nel 1992, le stragi di Capaci e di via D’Ameliodimostrano uno spaventoso salto di qualità nell’eser-cizio della violenza da parte della mafia.Enrico Deaglio, Raccolto rosso. La mafia, l’Italia e poivenne giù tutto, Milano, Feltrinelli 1993, p.204.

(La) mafia liquidò i conti in sospeso con GiovanniFalcone , facendo esplodere una carica di tritolo cheuccise anche la moglie Francesca Morvillo e gliagenti di scorta Antonio Montanari, Rocco Di Cillo eVito Schifani . Il 19 luglio in via D’Amelio, a Paler-mo, un’automobile uccise Paolo Borsellino e gli agen-ti di scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli,Walter Cosine, Claudio Traina ed Emanuela Loi. Il 28luglio 1992 fu ucciso Giovanni Lizzio, dirigente del-la questura di Catania, il 17 settembre dello stessoanno l’ex esattore Ignazio Salvo, già potentissimouomo d’affari referente della mafia; il 15 settembre1993 don Pino Pugliesi, parroco di Brancaccio (quar-tiere di Palermo), sacerdote impegnato in un’azionepastorale di contrasto alla violenza e illegalità in unambiente urbano e degradato.Paolo Pezzino, Le mafie, Firenze, Giunti 2003, p.79.

(Giancarlo) Caselli. Lo ricordo anch’io , eccome,quel tremendo 23 maggio del 1992 con l’altalena disperanze che mozza il fiato: Giovanni Falcone chesulle prime pare solo ferito, per quanto gravemente.Il telefono che comincia a squillare , gli scambi dinotizie, di rabbia, di incertezze. Poi, quasi a sera, ilmacigno: Falcone è morto, con la moglie e la scorta.Poi a luglio l’altro assassinio, la sfida di Cosa Nostrache arriva a colpire là dove doveva essere impossibi-le. Quel giorno – era una domenica – nel primo po-meriggio sto partecipando a un dibattito sulla mafiain un paesino in provincia di Torino. Il pubblico ,sotto un tendone improvvisato, non è molto folto. Midanno la notizia per telefono e io la comunico subitoai presenti. Tutti sconvolti. Gian Carlo Caselli, Antonio Ingoia con Maurizio De Luca,L’eredità scomoda. Da Falcone ad Andreotti. Sette anni aPalermo, Milano, Feltrinelli 2001, pp.27-28.

La “strage di Capaci”, fatto che per un momentorichiamò l’attenzione del mondo intero sulla crisi ita-liana, era parte di una strategia complessiva dellamafia che intendeva così vendicarsi del “maxiproces-so” di Palermo, degli ergastoli ai boss mafiosi con i

quali esso si era concluso, della conferma di quellesentenze pronunciata dalla Corte di Cassazione il 31gennaio 1991. Non era una dichiarazione di guerra,poiché questa era in corso già da molti anni, ma unaspettacolare dimostrazione delle capacità organizzati-ve e della potenza di fuoco della mafia in quella stes-sa guerra.

I capimafia infatti erano riusciti a pedinare unodegli uomini più protetti d’Italia, simbolo viventedella lotta antimafia, a sorprenderlo in un momentoin cui era relativamente indifeso e a farlo saltare inaria. Così facendo, speravano di aver dimostrato lapropria invincibilità e il destino ineluttabile che at-tendeva tutti quelli che intralciavano il loro cammi-no.Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente. Famiglia, so-cietà civile, Stato 1980 – 1996, Torinmo, Einaudi 1998,p.488.

Falcone e Borsellino in rete.www.fondazionefalcone.it (Fondazione Giovanni e Fran-cesca Falcone , via Serradifalco 250, 90145 Palermo).www.falconeborsellino.net (MacMafia.org: 1992 – 2002:Chi ha ucciso Falcone e Borsellino?)www.19luglio1992.com (Sito dedicato a Paolo Borsellinoe alla lotta alla mafia).

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1993Attentato terroristico in via dei Georgofili

a Firenze.

ITALIA - Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Fi-renze, nei pressi dell'Accademia dei Georgofili ,vienefatta esplodere una autobomba. Si tratta di un attenta-to di stampo mafioso in cui perdono la vita 5 persone

La Nazione, 28 maggio 1993. Collocazione: ZB 1300 – Dall’EMEROTECA

Nell’estate del 1993, quando è ormai del tutto evi-dente che l’inchiesta ‘Mani pulite’ sta travolgendo,con una rapidità e una facilità che nessuno avrebbepotuto prevedere, un’intera classe politica, l’Italia èscossa da gravi attentati – come è già accaduto inpassato, puntualmente, a ogni rottura o tentativo dirottura degli equilibri politici del paese. Il 14 maggioun’auto imbottita di esplosivo viene fatta saltare aRoma, in via Ruggero Fauro, presso il teatro Parioli.L’esplosione provoca 22 feriti e gravissimi danni agliedifici circostanti e alle auto in sosta. Il 27 magio aFirenze, un’altra autobomba, un furgoncino carico ditritolo, esplode in via dei Georgofili.

I morti sono cinque. tra i quali due bambini, e 30 iferiti. L’esplosione distrugge la torre del Pulci e pro-voca gravi danni alla Galleria degli Uffizi. Il 2 giu-gno, festa della Repubblica, una pattuglia dei carabi-nieri scopre una carica di esplosivo dentro una vettu-ra Fiat 500 parcheggiata nei pressi di Palazzo Chigi,

dove è incorso una riunione del Consiglio dei mini-stri. Il 27 luglio in via Palestro, a Milano, un’auto-bomba esplode davanti alla Villa Comunale ucciden-do sei persone, ferendone altre sette, e danneggiandogravemente il Padiglione di arte contemporanea.Meno di un’ora dopo, all’incirca a mezzanotte, duebombe esplodono a Roma: una sventra la facciatadella chiesa di San Giorgio al Velabro, una chiesa ro-manica ricostruita da Gregorio IV, la seconda provo-ca gravi danni al portone della basilica di San Gio-vanni e lesiona l’obelisco della piazza, il più anticodi Roma, dove è stato trasportato nel 357 da Tebe.Alessandro Silj, Malpaese. Criminalità, corruzione e poli-tica nell’Italia della prima Repubblica 1943 – 1994,Roma, Donzelli 1994, p.449.

La prima autobomba esplose la sera di venerdi 14maggio a Roma, in via Fauro, ai Parioli.(…)La seconda autobomba esplose a Firenze , tra l’una ele due di notte, in via dei Georgofili , a un passo dallaGalleria degli Uffizi e da piazza della Signoria.(…)Dopo la seconda bomba, quella di Firenze, mi sentiiinvadere dall’angoscia e dal dolore.(…) Dopo la ter-za bomba, quella di Roma, la bomba non esplosa, misentii afferrato dalla paura. (…) Non era soltanto lapaura di essere coinvolto in una strage. No, era qual-cosa di più stressante: era l’angoscia di dover viverele conseguenze di un succedersi di stragi.(…)

Andai a Firenze, il sabato 5 giugno. Mezzogiornod’estate. Nuvole candide nell’azzurro sopra PalazzoVecchio. (…) Poi, oltrepassati i posti di blocco, il si-lenzio. Un silenzio improvviso. Totale. Innaturaledentro questo pezzo di città. (…) L’accademia deiGeorgofili. Sventrata. Le stanze diventate caverne.Caverne buie affacciate sulla strada con le loro gran-di occhiaie vuote. (…) La trattoria dell’Antico Fatto-re ridotta a un portico di macerie. E la pensione Qui-sisana , quella di Camera con vista ? Dove sarà? Giampaolo Pansa, L’anno dei barbari, Milano, Sperling &Kupfer 1993, pp.290 – 293.

L’attentato di via dei Georgofili in rete.www.strageviadeigeorgofili.org (Associazione tra i fami-liari delle vittime di via dei Georgofili).www.reti-invisibili.net (Intervista con Giovanna BaggianiCheli dell’Associazione familiari).

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1994Infuria la guerra civile in Randa.

RUANDA – La Guerra civile in Ruanda fu uno deipiù sanguinosi episodi della storia del Novecento: percirca 100 giorni, fu massacrata una quantità dipersone stimata fra 800.000 e 1.071.000 individui.

Avvenimenti : settimanale dell'Altritalia, 1 giugno 1994Collocazione: PER 3148 –Sale PERIODICI

La scintilla venne accesa la sera del 6 aprile ’94,con l’abbattimento dell’aereo del presidente del “pae-se delle mille colline” Juvenal Habyarimana. (…) Ilgiorno dopo furono uccisi i ministri hutu moderati tracui il premier Agathe Uwiliyingim (e con lei 10 ca-schi blu che la difendevano). Pochi giorni dopo,mentre s’accelerava il ritmo degli scannamenti orga-nizzati, la missione Onu in Ruanda veniva decimatadal Palazzo di Vetro: dei 2.500 militari (soprattuttobelgi) si decideva di farne restare solo 250, con l’or-dine di non intervenire militarmente. Le milizie Inte-rhamwe furono formate dalla leadership hutu già nel’90, nel ’93 i notabili di Kigali (la capitale) manda-rono i familiari fuori del paese, e in quei giorni «leradio dell’odio», con la Radio des Milles Collines in-citava l’etnia maggioritaria (hutu) a «schiacciare gliscarafaggi tutsi».Stefano Citati, Genocidio in Ruanda. L’Onu ha fallito, in“la Repubblica”, 17 dicembre 1999.

For 100 days in the spring and summers 1994,millions of Rwandans witnessed, participated in orotherwise lived through a motion wide campaign ofextermination – a collective effort whose rhythm wasin many ways regulated by the broadcasts of Radio –Télévision des Milles Collines (RTLM). «The gravesare only half empty; who will help us fill them» anRTLM announcer is reputed to have wondered outloud in one of the station’s less subtle moments. Thesemi – private radio station, reportedly linked to acircle of high – ranking Hutu extremists, has achievedan infamous, if not legendary, reputation for al-legedly inciting Rwandan Hutu to participate in mas-sacring the country’s Tutsi minority.Darryl Li, Echoes of Violence: Considerations on Radioand Genocide in Rwanda, in The Media and the Rwanda ,edited by Allan Thompson, Ottawa, Internatuinal Devel-opment Research CEnter 2007, p.90.

Ruanda 1995. Per giorni non si hanno più notiziedi centinaia di migliaia di profughi stretti nella morsadella guerra. Poi, un’offensiva e quel fiume umanoattraversa le frontiere. Dopo aver lasciato il Ruandaper lo Zaire percorreva quella strada a ritroso. Arri-varono da tutte le parti trascinando quel poco che glirimaneva con i figli in braccio, i vecchi aggrappati albastone, gli invalidi aiutati dagli altri, caricatori subarelle di fortuna… Bambini che portavano i nonnisulle carriole, una lunga scia di storie disperate, discampati al massacro che era stato la guerra tra Tutsie Hutu.(…) Piano pianola folla si dirada e si comin-cia a vedere ai lati della strada un enorme infinitoaccampamento abbandonato.

Ancora uno, due chilometri e siamo inghiottitidalla desolazione: tende strappate, pezzi di plasticache volavano dappertutto , cartoni e un orribile odoredi morte. Indietro erano rimasti i morti e i più deboli:quelli per cui non valeva la pena di fare fatica. C’eraun bambino afflitto dal colera: i genitori si erano pre-occupati di portar via i suoi fratellini più sani, per luinon c’era speranza. (…) I giornalisti che erano lìdecisero di caricare quanti più “dimenticati” poteva-no nelle loro auto. Quel bambino arrivò alla fine diun ospedale di un missionario e gli fu dato il nome diuno di noi: Giovannino.Gabriella Simoni, Ciao sono xxxx85” in La guerra negliocchi dei bambini, a cura di Mario Porcellini e TizianaGrassi, Torino, Pekllegribni 2005, pp.47 – 48.

Kabila si era installato in una villa di Mobutu (inZaire) sulle rive del lago Kivu, al confine con ilRuanda, lo spettacolare angolo di meraviglia nell’a-pocalittica devastazione di Goma e del circondario:le grandi foreste cancellate per centinaia di ettari dal-l’insediamento dei profughi dopo la guerra civile inRuanda. Sosteneva che questa era una guerra di libe-

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razione e non di conquista, ma dietro gli scontri tri-bali, gli esodi, i genocidi e le vendette che hanno in-sanguinato il Ruanda e il Burundi ai confini con loZaire, continuava e continua oggi ad esserci un dise-gno di ricomposizione etnica e politica.Massimo Nava, Vittime,Roma, Fazi 2005, p.193.

Nell’autunno del 1990, forze ribelli Tutsi, che era-no state addestrate nel vicino Uganda, riattraversaro-no i confini del Ruanda e cercarono di rovesciare ilgoverno Hutu. Sui versanti dei molti vulcani, dovegli ultimi gorilla di montagna cercavano di sopravvi-vere, scoppiarono furiose battaglie. Bombe e granatefecero tremare il mondo dei gorilla sotto i loro grossipiedi. Non era soltanto una guerra fra tribù, ma unaguerra fra specie. Era una guerra civile nella quale ifratelli combattevano contro i fratelli e i figli più gio-vani mettevano in pericolo i genitori dell’antico Plei-stocene. I guerriglieri invasero le ultime dimore deigorilla, minacciando un’ennesima orribile strage cheavrebbe potuto far rima con genocidio: ‘specicidio’. Aaron Latham, Il leopardo di ghiaccio. Un viaggio in Ke-nya e in Ruanda, Milano, Feltrinelli 1993, p.120.

Guerra in Randa in rete.www.amnesty.org (Amnesty International)www.hrw.org (Human Rights Watch-Leave None to Tellthe Story: Genocidi in Randa).www.lanuitrwandais.fr (La Nuit Rwandaise. Une Revueannuelle et une site Internet sur l’implication de la Francedans l’extermination des Tutsi du Rwanda).www.bbc.co.uk (Rwanda Genocide: Ten Years on).www.guardian.co.uk (Te Guardian: Rwanda Remember-ing the Genocide).www.ictr.org (United Natyions International CriminalTribunal for Rwanda).

1995Il premier israeliano Rabin

viene assassinato da un fanatico religioso.

ISRAELE - Il 4 novembre 1995, Yitzhak Rabin,insignito del Premio Nobel per la pace nel 1992, vieneassassinato per mano di uno studente ebreo estremistadurante un comizio a Tel Aviv.

Panorama, 16 novembre 1995.Collocazione: PER 422 –Sale PERIODICI

La promessa fatta nel 1991 dal presidente ameri-cano Bush di intervenire concretamente per dare unagiusta pace al Medio Oriente, una volta finita la guer-ra in Iraq, è stata raccolta dal suo successore Clinton.Nel settembre 1993 Arafat e il capo del nuovo gover-no laburista israeliano Ytzhak Rabin hanno procla-mato il reciproco riconoscimento fra l’Olp e lo statod’ Israele; l’incontro fra i due leader avvenuto a Wa-shington sotto la garanzia del presidente Clinton haavviato la costituzione di un’autonoma “autorità pa-lestinese” sul territorio di Gaza e a Gerico, estendibi-le ad altre parti della Cisgiordania, dove dovrannocessare gli insediamenti di coloni ebrei. (…)

Nel novembre 1995 il primo ministro Rabin è sta-to assassinato da un ebreo fanatico e questo fatto nonè rimasto un fenomeno abnorme. Alle elezioni del1996 si è verificato non solo un relativo successo delpartito nazionalista Likud, ma una netta avanzata dei

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partiti religiosi integralisti. Da quel momento il pro-cesso di pace in Medio Oriente si è arenato.Scipione Guarracino, Storia degli ultimi cinquant’anni. Si-stema internazionale e sviluppo economico dal 1945 aoggi, Milano, Bruno Mondatori 1999, pp.443, 444- 445.

Il gran peso di Rabin era, fra l’altro, il fatto di es-sere stato il generale che nel 1967 aveva vinto in seigiorni la Coalizione Araba. Si sapeva che lui s’inten-deva di affari militari , che lui non avrebbe messo inpericolo la sicurezza dello Stato.(…)

Nei mesi passati si erano susseguite manifestazio-ni violente contro Rabin e contro la pace da parte deipartiti di destra e dei gruppi di estrema destra. Grida-vano «Morte a Rabin», «Rabin assassino» , portava-no ritratti di Rabin in divisa delle SS o con la kefiahdi Arafat, o la pace che grondava sangue. Era un cer-to terrorismo da parte dei naziortodossi. Tagliavanole gomme delle macchine dei politici di sinistra. Lamacchina di un ministro venne rovesciata, la macchi-na di Rabin attaccata dalla plebaglia. E non si reagi-va. La politica e il governo non faceva nulla.(…)

Finalmente il generale Lahav capì che si dovevaagire: che si doveva far vedere la forza e la moltitudi-ne della “silent majority”, di quelli che volevano lapasce e sostenevano Rabin. E riuscì, Non c’era postosulla grandissima piazza di Tel Aviv per tutti quelliche volevano partecipare. Alla fine, tutti, insieme conil Rabin, cantavano un nuovo inno che avevano crea-to per la manifestazione. Rabin andò verso la mac-china e fu ammazzato. Io stavo nel letto e sentivo icanti, era verso le 22. D’improvviso venne la notiziache Rabin era stato ferito, e poco dopo era morto.Enrico Deaglio, Bella ciao.Diario di un anno che potevaanche andare peggio,Milano, Feltrinelli 1996,p.150.

Ygal Amir, il giovane che uccise il premier israe-liano Rabin per bloccare il processo di pace in atto inPalestina, era anch’egli uno studente modello. Nelsuo caso si trattava di un’università religiosa ebraica,a Bar – Illam, fondata nel 1953 alla periferia di TelAviv e roccaforte di posizioni fondamentaliste. Ygalera descritto dai suoi insegnanti come un giovane“serio, sensibile, un intellettuale” che passava buonaparte del tempo a studiare la halakah sotto la guidadi stimati maestri. Imparò così che la Torah prescriveagli ebrei di spazzare via coloro che li vogliono di-struggere come popolo, in una specie di anti – jihadante litteram. Egli mise in pratica quello che avevaimparato e dichiarò in tribunale di aver semplice-mente fatto il suo dovere:«Perchè Rabin» egli disse«consegna al nemico il suo popolo e la sua terra,deve essere ucciso. Ho consacrato tutta la mia vitaallo studio della halakah e posso privarlo». Giuseppe Mantovani, L’elefante invisibile. Tra negozia-zione e affermazione della diversità, Firenze, Giunti 1998,p.110.

Le strozzate parole di cordoglio del presidenteBill Clinton – “Shalom Haver. Addio amico” – di-vennero il motto del traumatizzato schieramento diIsraele a favore della pace. Alla firma degli accordidi Oslo, a Washington, Rabin aveva voluto citare unverso del kiddish che fa parte delle preghiere ebrai-che quotidiane: «Possa Colui che stabilisce la pacenei suoi luoghi eccelsi stabilire la pace su di noi e sututto Israele, e dite tutti Amen!». Poco più di dueanni dopo era suo figlio a recitare il kiddish, adessocome un lamento funebre, durante la sepoltura delprimo ministro a Gerusalemme. Con la morte Rabinottenne un ultimo trionfo diplomatico, portando aGerusalemme re Hussein di Giordania, che tornavanella città per la prima volta dopo aver perso la metàoccidentale del suo regno nel 1967; il presidente egi-ziano Hosni Mubarak, che non aveva mai messo pie-de nello Stato ebraico nei suoi quindici anni comeleader, così i ministri di Qatar, Oman e Mauritaniache non avevano rapporti diplomatici con Israele. Anton La Guardia, Terra Santa guerra profana, Roma,Fazi 2002, p.265

Rabin in rete.www.otn.com (Condolente Page and Biography of IsraeliPrime Minister Yitzahak Rabin ).www.pno.gov.il (Israel-Prime Minister’s Office-PrimeMinister Y.Rabin)

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1996Romano Prodi diviene presidente del Consiglio

a capo di una coalizione di centro–sinistra(L’Ulivo).

ITALIA – Il 21 aprile 1996 l'Ulivo vince le elezioni po-litiche, grazie al patto di desistenza con Rifondazionecomunista e Romano Prodi va a ricoprire per la primavolta, la carica di presidente del Consiglio dei Mini-stri.

L'Espresso, 14 gennaio 1996.Collocazione: PER 51

Quando l’economista cattolico ed ex presidentedell’Iri Romano Prodi annunciò, all’inizio del feb-braio 1995, la propria intenzione di sfidare Berlusco-ni, D’Alema (segretario del Pds) gli offrì quasi im-mediatamente il proprio sostegno. Si formò così lacoalizione dell’Ulivo. Le sue principali componentierano il Pds, i Popolari, i Verdi e una “Lista Dini” se-parata, e un patto elettorale con Rifondazione comu-nista nei collegi uninominali.

Nel campo opposto, il centrodestra di Berlusconi eFini non riuscì ad operare con altrettanta efficacia.(.)Dopo aver perso Bossi e la Lega Nord, il leader diForza Italia si lasciò scappare quello che probabil-mente era il più capace dei ministri del suo esecutivo,Lamberto Dini; soprattutto, non riuscì a portare dallasua parte il nome di maggior richiamo, quello di An-tonio Di Pietro. L’eroe di “Tangentopoli” si era di-

messo dalla magistratura in circostanze tutt’altro chechiare, ma con l’evidente intenzione di darsi alla po-litica.(…)

Le elezioni del 21 aprile 1996 furono testimonian-za di quell’equilibrio fra forze diverse, a livello siasociale sia politico, che costituiva una delle caratteri-stiche salienti della situazione italiana negli anni ’90.La coalizione dell’Ulivo riportò una vittoria di strettamisura. Se al Senato giunse a disporre della maggio-ranza assoluta, alla Camera si trovò tuttavia a dipen-dere dall’imprevedibile sostegno di Rifondazione co-munista. La situazione delle due Camere era dunquel’esatto opposto di quella in cui si era trovato il go-verno Berlusconi nel 1994, e rispecchiava il fatto chela maggioranza dei giovani italiani continuava a vo-tare per il centrodestra.(…)

I grandi vincitori della competizione elettorale fu-rono indubbiamente Romano Prodi , in quanto leaderdella coalizione dell’Ulivo, e Massimo D’Alema, ilsuo principale architetto. A loro spettava il compitodi rispondere alle questioni che erano state poste contanta drammaticità nel 1992 – 93.Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente. Famiglia , so-cietà civile , Stato 1980 – 1996, Torino, Einaudi 1998, pp.557- 559.

(…) Etica del potere, ecco il problema: non è pubblicità della Barillaquella che intorno alla tua casa brillama forse la virtù poco italianadi essere forti senza essere stronzidi essere ricchi senza la pacchianaostentazione di scorte e paraponzi.Professor Prodi, ti conobbi un giornoal desco di una festa comunistamentre mangiavi la pasta ed il contornocon l’appetito di un sommergibilistariemerso dopo mesi. La tuia facciami piacque: faccia da emiliano tostoche i sentimenti e la ragione allacciaalla sanguigna ciccia dell’arrosto.(…) Michele Serra, Ode a Romano Prodi, in Poetastro. Poesieper incartare l’insalata, Milano, Feltrinelli 1993, p.31.

Romano Prodi in rete.www.romanoprodi.it (Sito personale di Romano Prodi).

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1997Sulla rivista “Nature” viene annunciata la nascita

della pecora Dolly.

REGNO UNITO – Sulla rivista “Nature” viene an-nunciato che il 5 luglio 1996 è nata Dolly, la prima pe-cora clonata, da una cellula adulta, nel laboratorio delRoslin Institute di Edimburgo

Corriere della Sera, 15 febbraio 2003.Collocazione: ZB 18 - Dall’EMEROTECA

Hello Dolly! La sua nascita era stata salutata cosìda un celebre settimanale britannico e fin da subitoDolly era diventata celebre ovunque. Aveva solleva-to clamore, acceso fantasie e anche suscitato dei ti-mori, ma la sua nascita ha segnato innanzitutto unavera e propria rivoluzione scientifica.

Era ormai consolidata l’idea che lo sviluppo dellacellula fosse irreversibile, vale a dire che tutti i biolo-gi erano convinti che la vita di una cellula procedesseda uno stadio completamente indifferenziato versouna specializzazione sempre più definita, fino a di-ventare una cellula adulta di un particolare tessuto,come il sangue, il cervello, l’osso. Tutti erano con-vinti che il cammino della cellula finisse lì. La nasci-ta di Dolly ha dimostrato che il destino della cellulaadulta non è segnato per sempre, ma che è possibiletornare indietro. Una cellula completamente specia-lizzata può, cioè, andare indietro nel tempo e ripro-grammare così il suo patrimonio genetico fino a tor-nare ad essere una cellula – bambina completamenteindifferenziata, ossia una cellula staminale capace disvilupparsi di nuovo, magari cambiando destino. È morta Dolly, la pecora che stupì la scienza , in “New-ton”, 24 febbraio 2003.

Regnava un clima di sgomento per la morte diDolly. Un clima molto diverso da quello che ha cir-condato la sua venuta al mondo. Quel 5 luglio 1996,la nascita della fin – dorset entrata nella storia erapassata sotto silenzio. Dolly doveva nascere in gran

segreto. Al Roslin (Institute), Wilmut e i suoi colle-ghi festeggiano in privato il lieto evento. Sanno didover tenere la bocca chiusa se non vogliono vedersirifiutare un lavoro di anni dalla rivista “Nature”, chemai accetterebbe di pubblicare qualcosa di già spiffe-rato in giro.

L’apprensione per la sorte dell’agnellino appenanato lascia il posto a un incontenibile entusiasmo: lapecora sta bene, il rischio che muoia appena nata,come è accaduto agli altri cloni, è scongiurato. Nes-suno, ancora, deve sapere. Un giornale inglese riceveperò una soffiata e la notizia irrimediabilmente trape-la. Wilmut guarderà inseguito a quello scoop come aun segno infausto, l’origine di infinite polemiche.Alice Andreoli, Renna aggredisce Babbo Natale e altrestorie di uomini e animali,Milano, Alpha Test 2007, p.217

La pecora Dolly in rete.www.sciencemuseum.org.uk (National Science Musuem,Exibition Road, South Kensington, London SW 7 200:Dolly the sheep 1996 – 2003).www.roslin.ac.uk (The Roslin Institute, Royal School ofVeterinary Studies, University of Edinburgh).

1998Papa Giovanni Paolo II si reca in visita a

Cuba.

CUBA – Il 21 gennaio del 1998 Papa Giovanni Paolo IIsi reca a Cuba in visita apostolica e incontra il presi-dente Fidel Castro. L’evento viene seguito con attenzio-ne particolare da tutto il mondo per il suo significatospirituale e politico.

Panorama, 29 gennaio 1998Collocazione: PER 422–Sale PERIODICI

L’isola dove il tempo si è fermato accoglie l’Uo-mo che il tempo non riesce a fermare. Lungo la stes-sa rotta di Cristoforo Colombo, dall’Europa della cri-stianità a quel Caribe che Castro voleva riportare pa-gano, Giovanni Paolo II arriva a L'Avana, per il viag-gio più coraggioso, più forte e più rischioso dai tempidella Polonia di Solidarnosc. Porta, sulle sue spalle

Page 159: LIBRO FONDI COPERTINA INTESTAZIONE novecento… · CAMERON, James. Storia della rivoluzione africana. Milano, Edizioni di Comunità, 1964. 28. Collocazione: GER.TE.II.11–Dal Fondo

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visibilmente sempre più stanche, il peso di una spe-ranza, enorme come il Cristo murale di 20 metri,inaudito per loro e per noi banale, da santino del Sa-cro Cuore, che sfida ora il profilo del Che al neonsulla piazza della Revolucion. Porta piccoli, umilidoni, come i Magi a una capanna spoglia: mezzo chi-lo di olio di semi, un pollo, quattro etti di carne trita euna saponetta, la razione straordinaria che il regimeha fatto distribuire ieri al popolo, oltre le misere quo-te delle tessere giornaliere. E se a noi può sembrareblasfemo mescolare l’olio di semi con l’olio santo,entriamo, per un momento soltanto, nelle case che ilPapa non vedrà. Anche un altro Viaggiatore, due mil-lenni orsono, si preoccupò di sfamare gli incredulicon pani e pesci, prima di parlare. (…)

Accettare la speranza, insieme con la benedizionepontificia, è il sacrificio che il Papa chiede ai cubanipiccoli. Non soltanto a quei 500 mila al massimoche, su 12 milioni di abitanti, ancora praticano lafede di Roma, ormai affogata nel trionfo della Sante-ria afro – cristiana.(…)

I segni del cambiamento, agli occhi di chi ha co-nosciuto le tre Cuba dell’ultimo decennio, quella tra-gicamente sovietizzata, quella scaricata e quasi di-strutta da Mosca e quella puntellata dagli investimen-ti turistici, sono visibilissimi. Non soltanto i segnidella visita papale. Ma i segni della fine non più im-pensabile sono nelle orde di turisti che ormai arriva-no non stop dall’Europa, nei giovani che, a migliaia,lavorano e vivono in alberghi, strutture, società dovesono mesi a confronto con il mondo esterno.(…)

Quando un Pontefice Romano riesce a riportare ilsantino gigante del Sacro Cuore sulla piazza di unarivoluzione che fino al 1992 mandava in carcere chilo avesse tenuto nel portafogli; quando il volto delChe Guevara finisce stampato sugli accendini usa – e– getta venduti nei negozi di souvenir, vuol dire chela storia non è finita, che il tempo riprende a battere.E che qualcuno avrà il coraggio di ricominciare asperare in qualcosa di più che in un’ala di pollo frit-to.Vittorio Zucconi, La speranza nell’isola del Che, in Storiadi Karol. Il Papa polacco, Roma, La Repubblica 2005,pp.84-86.

Giovanni Paolo II in rete.www.giovannipaolosecondo.rai.it (Rai-Radiotelevisioneitaliana: Giovanni Paolo II.La Chiesa in movimento).www.vatican.va (Sito della Santa Sede. Giovanni Paolo II-Viaggi- Viaggio apostolico a Cuba 21 – 26 gennaio 1998).

1999 L’euro inizia a circolare nei mercati

finanziari europei. EUROPA - Entra in vigore la moneta unica europeache rappresenta il primo vero passo verso un’Europaunita.La Repubblica, 2 gennaio 1999 Collocazione: ZB 6– Dall’EMEROTECA

La conquista dell’Euro è stata la grande promessae la grande scommessa di Prodi e dei suoi ministri fi-nanziari. Conquista dell’Euro voleva dire essere inregola con i parametri di Maastricht alle scadenzefissate. Il 1 gennaio 2002 circoleranno in tutti i Paesiammessi nel club della moneta unica le banconote ele monete in Euro, valide per un semestre insiemealle monete e alle banconote nazionali. Dal 1 luglio2002 rimarrà solo l’Euro, le banconote nazionaliavranno perduto valore legale, ma i distratti che nonse ne fossero sbarazzati disporranno di tempi lunghiper cambiarle agli sportelli delle banche autorizzati.Tra gli eletti dell’Euro l’Italia ci sarebbe stata, Prodie Ciampi lo giuravano nonostante gli scetticismi e icommenti acri interni e internazionali. Ma il bigliettoper il viaggio verso l’Euro era caro, e gli italiani sene accorsero presto: anche se il governo, preoccupatiper l’amaro della medicina che si apprestava a propi-nare loro, ricorreva ad eufemismi.Indro Montanelli, Mario Cervi, L’Italia del Novecento,Milano, Fabbri Editori 2001, p.649.

Page 160: LIBRO FONDI COPERTINA INTESTAZIONE novecento… · CAMERON, James. Storia della rivoluzione africana. Milano, Edizioni di Comunità, 1964. 28. Collocazione: GER.TE.II.11–Dal Fondo

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L’euro è la grande realizzazione di Ciampi, laconquista che ha sempre difeso e per la quale ha otte-nuto i più prestigiosi riconoscimenti internazionali,fra cui il massimo attestato di europeismo, il PremioCarlo Magno 2005. (…)

«Nel 1986, quando ingaggiai la battaglia per l’eu-ro – ha ricordato (Ciampi) – fui preso da lucida fol-lia: mi avventurai in una impresa che la maggior par-te dei benpensanti riteneva impossibile, ma poi ebbegrande successo». Fra le valute internazionali, l’euroè ormai una realtà consolidata e si è dimostrata unamoneta anche troppo apprezzata rispetto al dollaro.Ma non fu così all’inizio. Nel 1999 la nuova monetapartì perdendo terreno e questo suscitò allarmate rea-zioni. Ciampi invitò a non trarre affrettate conclusio-ni: «L’unificazione monetaria» disse «è un esempiodi successo della coesione europea. L’euro ha signifi-cato il superamento delle laceranti crisi monetarie evalutarie inter – europee. Ha portato stabilità. Haconquistato fiducia».(…) «A noi non interessa avereun euro forte o debole, cioè con quotazioni alte obasse, ma un euro stabile».Alberto Spampanato, La lezione di Ciampi, Soneria M.,Rubbettino 2006, pp.125 – 126.

Con riluttanza rompiamo i salvadanai.(…) Oggisono un esercito in rotta, centinaia, migliaia di mone-te fra i cocci del recipiente infranto, che mani pietosericompongono in piccole torri, incartano in fogli digiornali che “strillano” l’arrivo dell’euro e accompa-gnano in banca da cassieri insofferenti al ruolo dioboia che i tempi impongono loro. Per non parlare deigettoni telefonici, vestigia dimenticate dell’era pre –cellulare che riaffiorano nella mattanza della lira: in-servibili, sono pura archeologia, puro rimpianto.

Ti salutiamo, lira, cantiamo il tuo tramonto, cele-briamo la tua fine, ti tributiamo l’ultimo applauso.Non è giusto far finta di niente, se ne va un pezzo dinoi. Solo così possiamo accogliere il futuro: addiolira, viva l’euro!Oscar Iarussi, Lettera aperta. Sud, nord e altre storie, Lec-ce, Manni 2003, p.111.

L’euro in rete.www.ecb.eu (European Central Bank)www.ec.europa.eu (European Commission. Economic andFinancial Affairs).www.bancaditalia.it (Banca d’Italia Eurosistema).

1999 La NATO interviene militarmente in

Kosovo.BALCANI – La NATO interviene in Kosovo control’attacco delle forze militari serbe, dopo la rottura delletrattative da parte del governo della Repubblica fede-rale iugoslava guidato da Slobodan Miloševic.

La Repubblica, 24 marzo1999. Collocazione: ZB 6 - Dall’EMEROTECA

Nel corso degli anni Novanta, sul territorio dellaex Jugoslavia vennero combattute ben quattro guerre.La prima, nel 1991, fu un breve conflitto armato perl’indipendenza della Slovenia e durò dieci giorni. Laseconda, fra il 1992 e il 1993, fu una vera e propriaguerra dovuta alle mire separatiste della Croazia. Laterza, senz’altro la più complessa, ebbe luogo tra il1992 e il 1996 in Bosnia Erzegovina. L’ultima, quel-la del Kosovo, scoppiò nel 1998 dopo anni di tensio-ni e si concluse con i bombardamenti NATO del1999. Le guerre in Jugoslavia costituirono un amarobis concesso dal XX secolo.(…) I regimi di SlobodanMilosevic, di Franjo Tudman e degli altri leader na-zionalisti non fecero altro che rivelare mire che inqueste zone erano di casata decenni, Erano antidemo-cratici e antiliberali (eredità di mezzo secolo di co-munismo), orientati alla pulizia etnica (lascito del na-zionalsocialismo), nonché profondamente nazionali-

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sti e antioccidentali ( a ricordi dei movimenti pansla-vi antecedenti la prima guerra mondiale).(…)

La Nato attese a lungo prima di intervenire e gliscrezi tra gli Stati Uniti e i suoi alleati europei si fe-cero sempre più evidenti. Anche quella fu una novità.Quando nel 1999 gli occidentali decisero finalmentedi intervenire con fermezza, si trattò di un interventoaltamente tecnico: le operazioni si svolsero da grandidistanze, riducendo al minimo il rischio per i militari.

Almeno per gli europei la guerra del Kosovo –l’ultima del secolo – fu una sorta di contraltare ri-spetto alla prima guerra mondiale: se nel 1914 le na-zioni coinvolte accettarono di sacrificare centinaia dimigliaia di uomini, nel 1999 la NATO ritenne unacosa del genere assolutamente impensabile. La batta-glia si limitò, quindi, al semplice impiego di razzi ebombardieri; sul territorio del Kosovo non si combat-té mai. Geert Mak, In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo,Roma, Fazi 2006, pp.840 – 841.

Il Kosovo è considerato la culla della Serbia. Fusui campi di Kosovo Polje (che significa Prato deimerli) che, nel 1389, i serbi cercarono di fermare l’a-vanzata turca senza riuscirvi e dove si immolò il lorore Lazar. Fu su quei prati che si combatté l’ultimabattaglia nel tentativo di difendere l’Europa cristianadall’Islam.(...) Non sorprende allora che i giornali(serbi) esortino a difendere “il Kosovo fino all’ultimagoccia di sangue”. E la continua ripetizione degli slo-gan trasforma gli stessi in inoppugnabili verità. Delresto sono dieci anni che la televisione di Stato cercadi imbalsamare cuori e cervelli di un’opinione pub-blica che, al dunque, vuole credere a quel che gli sidice. Gli albanesi sono – tutti – “terroristi e mascal-zoni” e i sebi – sempre – vittime innocenti.Ferderico Bugno, Psicopatologia del boia, in “L’Espres-so”, 1 aprile 1999.

Pulizia etnica è l’imperativo delle forze specialiserbe: per espellere quanti più albanesi si può da unaterra che è considerata la culla storica e religiosa delpopolo dei serbi, per poter domani, a un ipotetico ta-volo delle trattative, dire che il Kosovo è territorioserbo. Incalzati dalle truppe di Slobodan Milosevic,infatti, gli albanesi che ci vivevano sono fuggiti via,privi anche di un qualunque documento di riconosci-mento. (Pristina capitale del Kosovo) è ora una cittàdistrutta e deserta. L’apocalisse qui è giunta con lefiamme degli incendi che hanno devastato tutta laparte Nord della città, e appiccati dalle truppe para-militari dei serbi in risposta agli attacchi della Nato.Federico Bugno, Scene da un genocidio, in “L’Espresso”,8 aprile 1999.

Il peso esercitato dalla storia nella vicenda del Ko-sovo è senza dubbio molto forte, a causa delle sensa-zioni che accompagnano nell’immaginario, sia serboche albanese, i ricordi legati a quest’ampia vallata,povera ma strategicamente molto importante, situataa sud della Serbia, stretta tra i confini della Macedo-nia, dell’Albania (che ne rivendica da sempre l’ap-partenenza) e del Montenegro.

La prima e, diremmo, fondamentale considerazio-ne nasce da una constatazione oggettiva di caratterestorico: Kosovo Polje – il campo dei merli -, da cuitutta la regione prende il nome, è un luogo caro allamemoria di entrambi i popoli, un luogo sacro cheevoca dolore e fierezza al tempo stesso; un luogodove, paradossalmente, per entrambi i popoli, a di-stanza di qualche decennio l’uno dall’altro, la storiasi è fermata. Da una parte, infatti, nel 1389 i serbi vifurono drammaticamente sconfitti dai turchi, perden-do non solo il proprio principe Lazar ma anche l’in-dipendenza nazionale, finendo così risucchiati dallamarea montante della dominazione ottomana, che liavrebbe sommersi, insieme a tutti gli altri popoli del-la regione balcanica, per cinque, interminabili secoli.Dall’altra, nel 1448, anche il condottiero albaneseGiorgio Castriota (Scanderberg) - riconosciuto pro-prio per questo dalla sua gente come eroe nazionale –vide infrangersi il sogno di poter restituire la regionealla cristianità.Pasquale Fornaro, A proposito di Kosovo, in La guera delKosovo e la questione balcanica, a cura di Piero Orteca eMarcello Saija, Soneria M., Rubbettino 2001, p.29.

La guerra del Kosovo in rete.I siti mostrano come sia ancora impossibile a distanza dipochi anni avere una memoria appena condivisa.www.kosovo.mod.uk (Foreign Affairs, United Kingdom– Kosovo News,Bachground and Resources).www.mfa.gov.yu (Serbian Government–Kosovo and Met-oija- International Issue).www.kosovo.net (Serbian Ortghodox Diocese of Raskaand Prizren- Life of the Orthodox Church: Kosovo Cruci-fied, a difesa della cristianità del Kosovo) .www.alb-net.com (Sito dip arte Albanese: Exposing theSerbian Terror in the World. Kosova Crisis Center).

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2000George W. Bush diviene presidente degli

Stati Uniti.

USA – Il repubblicano George W. Bush vince le ele-zioni presidenziali svoltesi il 7 novembre 2000 e diven-ta il 43° presidente degli Stati Uniti d'America.

Panorama, 4 gennaio 2001.Collocazione: PER 422 –Sale PERIODICI

Giunto alla fine del secondo mandato, Bill Clintonpassava all’erede naturale, il vicepresidente Al Gore,la candidatura democratica per le presidenziali del2000. Nel campo repubblicano si affermava invececome candidato George W.Bush, il figlio dell’ex pre-sidente e governatore in carica dello Stato del Texas.Il 7 novembre avevano luogo le votazioni, il cui esitosi presentava incerto, come sottolineavano tutti i son-daggi. Non c’erano “terzi candidati” particolarmenteforti – come era stato Ross Perot nelle due elezioniprecedenti - ma molti commentatori sottolineavanola possibilità che il candidato ambientalista RalphNader potesse sottrarre voti ad Al Gore. (…)

Le elezioni, a cui partecipò il 51,2 per cento degliaventi diritto, non furono soltanto le più costose dellastoria, ma anche le più controverse.(…) Gore ebbe la maggioranza dei voti popolari – pocopiù di 51.000.000 voti contro quasi i 50.500.000 diBush – ma fu sconfitto dal giovane Bush, che ottenne271 voti “elettorali” (contro i 266 di Gore). La presi-

denza Clinton era riuscita nell’intento di spostare lamaggioranza dei voti dal campo conservatore – rea-zionario a quello moderato – progressista, ma con unincredibile paradosso il candidato democratico cheotteneva ora la maggioranza dei voti popolari, veni-va sconfitto.Bruno Cartosio, Gli Stati Uniti contemporanei 1865 –2002, Firenze, Giunti 2002, pp.19 –192.

George W.Bush, il quarantatreesimo presidentedegli Stati Uniti, fu dichiarato vincitore in Florida equindi presidente, per cinquecentotrentasette voti susei milioni espressi.Almeno ventimila elettori sicuramente democratici sividero ingiustamente sbarrata la via del seggio eletto-rale dalla “pulizia etnica” compiuta dall’apparatodello stato governato dal fratello minore di Bush,Jeb, e affidato alla signora Harris, vicepresidente delcomitato per eleggere lui e poi premiata con un seg-gio in Parlamento. Qualunque modello statistici e de-mografico si voglia applicare, il risultato è inequivo-cabile: senza la strana “purga” dei falsi criminalielettori probabili di Al Gore, la microscopica mag-gioranza dei voti assegnati a Bush in Florida sarebbestata spazzata via e Al Gore, il suo pur mediocre einetto avversario, sarebbe stato proclamato quaranta-treesimo presidente degli Stati Uniti. Vittorio Zucconi, George. Vita e miracoli di un uomo for-tunato,Milano, Feltrinelli 2004, pp.37–38.

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ALCUNI FONDI DELLA BIBLIOTECADELLA GHISA DI FOLLONICA

Fondo Bernardino CARBONCINI – Nel 1974, dalpubblicista massetano, collaboratore per oltre unventennio dell’Etruria nuova”, e dai suoi nipoti Pie-ro, Enzo, Mario e Sergio, sono stati donati libri, (ol-tre 2.000), riviste di politica e storia, letteratura, fi-losofia, pubblicazioni di interesse locale, nazionaleed europeo. (Collocazione: Sala Carboncini – Ger-vasini)

Fondo Berardino FIENGA - Medico napoletano, excombattente della Guerra civile spagnola ed esuledurante il ventennio mussoliniano in Francia e inMessico: nel Fondo, donato negli anni ’70, sono pre-senti opere di politica, storia, religione di particola-re valore e rarità, riviste, giornali, libri, editi inFrancia, in Spagna, in America latina con una sezio-ne documentale ricchissima sulla Guerra di Spagna(Collocazione: ARM 3 e Emeroteca)

Fondo Virginia GERVASINI - Da Varese arrivanoin dono libri, riviste e giornali di Emilio Gervasini edi sua figlia Virginia, anarchico lui, trotskista lei, en-trambi ex combattenti della guerra civile spagnola:pubblicazioni in francese, inglese, catalano, spagno-lo, greco, russo, di contenuto politico, storico, lettera-rio e glottologico. Un fondo di particolare valore perla presenza di documenti rari, talvolta unici, risalentiagli anni della cui storia sono testimonianza, intro-vabili o mai tradotti in italiano. (Collocazione. SalaCarboncini – Gervasini e Sala Archivi)

Fondo Ezio FERRERO - I libri e le riviste di EzioFerrero, studioso e militante trotskista, prematura-mente scomparso, sono stati donati dalla madre nel1978: si tratta di pubblicazioni di gran pregio, di filo-sofia, economia, storia, politica, in francese, spagno-lo e russo, tra cui gli atti congressuali del P.C.U.S frale due guerre mondiali. La conoscenza della linguarussa, lo aveva portato a svolgere incarichi fonda-mentali nei rapporti commerciali tra Italia e URSS;aveva anche tenuto contatti con dissidenti sovietici efu uno dei primi in Italia a parlare di Solgenitsjn.(Collocazione: ARM SA in Sala Associazione Italia -Bulgaria)

Fondo Otello e Tullia TERZANI – Entrambi militan-ti comunisti dal 1921, duramente perseguitati nelventennio fascista, durante il quale subirono il carce-re e confino, nel 1977 hanno donato pubblicazionid’epoca, opuscoli rarissimi raccolte durante la loromilitanza, materiali archivistici come verbali dattilo-scritti e manoscritti, documenti interni, volantini, cir-

colari, disposizioni politiche e militari, unici, cosìcome le loro memorie inedite. (Collocazione: ARMSF in Sala Associazione Italia - Bulgaria)

Fondo AVANZI – Le prof.sse Franca, Lucia e Silva-na Avanzi, agli inizi degli anni ‘80 hanno donatoparte del patrimonio librario del loro defunto padre,rettore dell’Università di Milano e professore diAgronomia . Il fondo comprende anche saggi e scrittidello stesso Professore, collezioni in lingua italiana efrancese edite alla fine dell’800 e periodici speciali-stici di agraria e agricoltura pratica. (Collocazione:ARM 60)

Fondo Oreste MOSCA – Nel 1985 gli eredi di Ore-ste Mosca, giornalista e studioso, nel 1944 tra i fon-datori del “Tempo”, decidono di donare l’intera bi-blioteca del loro congiunto: 17.000 opere di grandeinteresse, tra cui libri antichi, alcune cinque centine,un certo numero di pubblicazioni del ‘600 e del ‘700,testi di economia, politica, storia, (una sezione di sto-ria romana, una di storia napoletana, un’altra di storiadel Risorgimento italiano, e poi di storia francese delXIX secolo) e soprattutto centinaia di opere sulla pri-ma e seconda guerra mondiale, oltre una sezione sulfascismo, con gli scritti di Mussolini, autobiografie,studi critici e apologetici ( Monelli, De Felice, Salve-mini, Nitti, Deakin..ecc.). Una biblioteca che contie-ne documenti di storia del ‘900 di grandissimo inte-resse e valore. (Sale Oreste Mosca I e II)

Fondo Antonio GIRARDI – Agli eredi di Girardi,giornalista e studioso, già redattore del “Messagge-ro”, si deve la donazione fatta nel 1985 di una bi-blioteca composta da oltre 7.000 volumi di storia, ar-cheologia, arte, religione, psicologia, scienze appli-cate e naturali, 800 volumi sulla storia di Roma, unasezione sull’ebraismo e sulla Shoah, oltre a riviste eperiodici specialistici. (Sala Girardi)

Fondo ASSOCIAZIONE ITALIA – BULGARIA –Dalla sede di Roma l’Associazione versa alla Biblio-teca un importante fondo di libri, in italiano, in bul-garo, in francese, in inglese, scritti e biografie diesponenti del regime comunista, varie raccolte di ri-viste e periodici bulgari, opere di poeti e di narratoribulgari, guide, testi di archeologia, saggi di slavisti,come Lo Gatto, Wolf , Giusti e Luigi Salvini (di cuiè presente la cartella originale di documenti e mano-scritti a cui stava lavorando per la pubblicazionedell’ultimo volume di una a ntologia di scrittori bul-gari, mai completata per la sua sopravvenuta morte). A questo Fondo si affiancano anche documenti pro-venienti dalle Associazioni Italia – Cile, Italia –Cuba, Italia Nicaragua. Italia - Vetnam (Collocazio-ne: Sala Associazione Italia – Bulgaria)

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Fondo PADRI GESUITI di BOLOGNA – Donanoalcune migliaia di libri di religione, filosofia, lettera-tura, storia e anche di medicina e scienze naturali, ri-viste importanti e continuano negli anni a versarepubblicazioni incrementando il fondo. (Collocazione:Sala Gesuiti Bologna)

Fondo Alfonso LEONETTI – Figura politica di spic-co, , giornalista dell'Avanti! e di Ordine Nuovo, lega-tosi al gruppo torinese dei transfughi del Partito So-cialista Italiano entrò a far parte della nuova forma-zione politica del Partito Comunista d'Italia, divenen-do nel 1924 il primo direttore dell'Unità offrì alla Bi-blioteca in dono una significativa raccolta di carte elibri di ambito storico- politico. Dalla fine deglianni’70 e negli anni ‘80, ha fatto parte del Comitatodei garanti della Biblioteca, tra i cui componenti fi-guravano anche il Sen. Umberto Terracini, lo scritto-re Carlo Cassola, il poeta Carlo Betocchi, il criticoletterario Geno Pampaloni e lo scrittore-editore Arri-go Bugiani. (Collocazioni: ARM.5, Fondo locale,Sale Periodici)

Fondo CASELLI – È Simonetta Caselli a donare ivolumi e le riviste della madre Guglielmina, studiosadi storia antica e del padre musicologo e professoreuniversitario. Il fondo è composto da pubblicazionidi pregio sulle antiche civiltà, scritti di mitologia, et-nografia, musica, editi in Francia, Gran Bretagna,Africa e America. (Sala Caselli – Biblioteca dei Ge-suiti)

Biblioteca dei PADRI GESUITI di FOLLONICA –Conservata fino al momento della donazione nelQuartiere Cassarello: un fondo di notevolissimo inte-resse, di 5000 pubblicazioni di religione, filosofia,scienze sociali e naturali, tecnologia e arte, letteratu-ra e storia. (Collocazione: Sala Caselli – Bibliotecadei Gesuiti)

I Fondi ANARCHICI Risalgono ai decenni ‘60-’70 le numerosissime do-nazioni provenienti da militanti anarchici, che com-pongono nel loro insieme un vero e proprio settoresull’anarchismo e sui movimenti libertari: i lasciti diAlfredo Monsignori, Umberto Panciotti, Hugo Rol-land, Andrea Anelli e Renato Palmizzi (oltre quellodei Gervasini già descritto). Tra i fondi più cospicui epregevoli:

Fondo Raffaele LANGUASCO – Il fondo compostodi interessantissime pubblicazioni per lo più dei pri-mi decenni del ‘900, rispecchia la militanza del suodonatore, militante anarchico di Imperia, costretto arifugiarsi a Nizza del 1923 perché colpito dai bandifascisti, attivo nella propaganda antifascista in Fran-cia. (Collocazione: Sale diverse)

Fondo Maurizio FANTAPPIÉ – Ha donato alla bi-blioteca Comunale di Follonica oltre 300 volumi,opuscoli e riviste e negli anni ’90 ha integrato perso-nalmente il suo fondo con ulteriori pubblicazioniconfermando l’interesse e l’omogeneità delle pubbli-cazioni donate. ( Collocazione ARM 78)

Fondo Margherita PETRI COLLAVOLI – Dal nipo-te della Prof.ssa Collavoli perviene nel 1997 la dona-zione della Biblioteca della zia, composta da ol-tre1200 volumi tra cui numerosissime pubblicazioniscientifiche della seconda metà dell’800, intere col-lane di letteratura in lingua francese, preziose edi-zioni dei primi del ‘900 di letteratura infantile, pub-blicazioni e progetti originali specialistici nel settoredell’ingegneria Ferroviaria, provenienti dal padredella stessa Collavoli, ingegnere civile, che ebbe aoperare al grande progetto del traforo ferroviariodel Sempione.

L’elenco dei Fondi della Biblioteca della Ghisa diFollonica non è naturalmente completo. Dovremmoancora aggiungere, solo per citare quelli più cospi-cui, i Fondi Rolland, Fusero, Gottlieb, Kreuz, Scia-loja, Martini, Ferruzzi, Giusti, il fondo dell’Associa-zione Mazziniana, i versamenti dei materiali archivi-stici della CGIL di Grosseto e della Confcoltivatorimaremmana, quelli dei carteggi dell’AssociazioneSolidarietà democratica di Roma e del Movimentoitaliano per la pace. Tante le donazioni che si sono susseguite nel tempo,tanti i materiali in corso di catalogazione e da cata-logare. Tanti coloro che ringraziamo per aver con-tribuito con le loro donazioni a formare il patrimo-nio della Biblioteca che oggi conta oltre 120.000volumi catalogati e circa 30.000 stimati, ancora dacatalogare.

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