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Gianluca Busilacchi Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse in condizioni di scarsità: miseria di Mr. Well Being e necessità di un intervento esterno DSS PAPERS SOC 6-03

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Gianluca Busilacchi

Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse in condizioni di scarsità:

miseria di Mr. Well Being e necessità di un intervento esterno

DSS PAPERS SOC 6-03

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INDICE

1. Comprendere il soggetto per ripensare la povertà:

ruolo della sociologia economica nella teoria della scelta ...... Pag. 05

2. Teorie della scelta tra utilità e diritti: libertà vs. benessere? ........... 14

3. Scarsità di risorse e razionalità limitata: il vincolo della fame ....... 34

4. Povertà di che cosa? .......................................................................... 53

5. Osservazioni conclusive .................................................................... 68

Riferimenti bibliografici ................................................................... 72

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 5

1. Comprendere il soggetto per ripensare la povertà: ruolo della

sociologia economica nella teoria della scelta

Uno dei compiti che un sociologo economico si dovrebbe porre è

cercare di smentire l'affermazione di Samuelson secondo cui alla scienza

economica è affidata l'esclusiva nello studio del comportamento razionale,

mentre la sociologia si limita ad analizzare quello irrazionale.

Se la prospettiva di una disciplina di confine, anche per garantire la sua

stessa esistenza, è presidiare questo confine e rafforzarlo, nuovi ponti

debbono essere gettati sui temi della razionalità.

La maggioranza delle critiche di parte sociologica al modello della

microeconomia utilitarista e alle sue pretese di imperialismo nella

spiegazione delle scelte individuali, ha cercato di contestare la teoria

dell'agente razionale che massimizza i propri interessi, giocando sul

“proprio campo”: l’importanza degli elementi culturali e valoriali che legano

una collettività, la dotazione di capitale sociale, piuttosto che non il peso di

elementi intangibili e inspiegabili come i sentimenti e gli istinti che

condizionano i mutamenti dei gusti personali, influenzano l'agire umano

almeno al pari delle considerazioni sull'utilità personale.

La fondatezza scientifica e la pragmaticità empirica di questi assunti

non può essere messa in discussione: se un appunto si può muovere attiene

alla loro limitata utilità epistemologica.

Questo genere di considerazioni infatti non può sostanziarsi in una

contro-teoria, poiché si limita a destrutturare gli assunti dell’individualismo

utilitarista utilizzato dalla dottrina neoclassica; questa forte contrapposizione

di orientamento metodologico cancella però le possibilità di dialogo tra gli

economisti e i sociologi che si occupano di teoria della scelta.

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6 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Ecco dunque che un obiettivo della nuova sociologia economica

potrebbe identificarsi nella costruzione di una comune prospettiva di lavoro

per gli scienziati sociali di diverse discipline che si occupano di questi temi.

Un intento non soltanto affascinante, ma anche oltremodo utile per

almeno due ragioni: in primo luogo sarebbe rafforzato il ruolo di una

disciplina capace di coniugare la tradizionale analisi delle variabili “sociali”

, assunte in modo aprioristico dal modello microeconomico, con uno studio

della razionalità economica, che è altrettanto opportuno considerare come

"una variabile della vita istituzionale dell'uomo” e “indirizzare la ricerca alla

comprensione e spiegazione del suo variare" (Martinelli, Smelser 1995, 54).

Il secondo motivo che giustificherebbe la costruzione di un modello

teorico che rifiuti i fondamenti dell’utilitarismo classico, rimanendo nel

frame del comportamento razionale e aprendolo ad un’analisi sociologica,

sarebbe quello di evitare che i singoli sforzi di avanzamento teorico finora

intrapresi in questo senso vadano dispersi.

E’ stato notato infatti che una delle difficoltà che maggiormente si

riscontrano nell'avanzare modelli di comportamento individuali contrapposti

a quello tradizionalmente teorizzato dall'economia neoclassica, stia

nell'inserire i risultati parziali derivanti dalla prova dei suoi fallimenti in un

modello organico (Franzini, Messori 1991).

Sembra dunque avvertirsi la necessità di marcare un “perimetro”

comune ad analisi economiche e sociologiche, capace fin da subito di

superare l’esistente, rifiutando anche alcune rigidità dell’individualismo

utilitarista e di proporsi in prospettiva come base per una contro-teoria.

Altrimenti lo sviluppo della scienza del comportamento razionale e il

suo rapporto con i meccanismi allocativi sarà costretta a procedere molto

lentamente, poiché all'impianto tradizionale si contrappongono critiche che,

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anche quando funzionano, non sono tra di loro sufficientemente organiche

da proporsi come contro-teoria, né sufficientemente malleabili da poter

modificare parzialmente l'impianto standard del mainstream.

Questo contributo si propone di analizzare con questa prospettiva

teorica un tema di interesse sociologico ed economico, l’analisi del concetto

di povertà e gli effetti che derivano dalla scelta della sua definizione in

termini di impianto di policy.

Sulla scorta di queste considerazioni avanzeremo due ipotesi di lavoro:

1) la preferenza per un determinato frame teorico, di solito assunto

implicitamente, sui meccanismi di comportamento di scelta individuale

incide sull’impianto regolativo (e allocativo) proprio delle politiche

pubbliche;

2) i limiti di equità ed efficienza del meccanismo allocativo del mercato

nelle politiche sociali e quelli di efficacia della regolazione pubblica nella

politica contro la povertà, derivano dalla sottovalutazione dei limiti che un

individuo in condizioni di scarsità di risorse materiali incontra dal punto di

vista della sua “libertà di azione” (agency) nell’operare scelte;

La prima ipotesi verrà semplicemente assunta e non sarà discussa nelle

prossime pagine; quello che invece faremo è cercare di dimostrare la

correttezza della seconda, principalmente cercando di rispondere a due

domande che da essa traggono origine.

Una prima questione riguarda gli effetti dell’ipotizzata differente

esposizione degli individui ai meccanismi regolativi: esiste una sorta di

“segmentazione” del comportamento dell’agente razionale protagonista

della teoria della scelta individuale lungo il continuum delle sue risorse? E

se esiste è possibile ricomporre questo quadro?

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Nel paragrafo 3 avanzeremo un modello che sostiene questa

segmentazione e dimostra che una sua ricomposizione è possibile tramite un

intervento esterno (par. 4) che riequilibri il deficit orginario, incrementando

l’efficienza e l’equità del sistema allocativo.

Dalla prima risposta scaturisce però una seconda domanda, che ha

caratteristiche maggiormente sostantive: se è vero che l’assunzione di un

quadro teorico di riferimento preciso comporta conseguenze sul piano del

modello di policy, quali possono essere gli effetti sulle politiche contro la

povertà se si assume una definizione di povertà che piuttosto che

concentrarsi esclusivamente sul benessere (well-being) personale analizzi

anche la libertà di scelta (agency) individuale?

Entrambe queste questioni riguardano un punto centrale della teoria

della scelta sociale, che attiene a come gli interessi individuali vengono

aggregati in giudizi sul benessere collettivo.

Affrontare un’analisi del concetto di povertà e degli indicatori più

corretti per indicarla comporta dunque l’espressione di un giudizio di tipo

normativo.

Se, come ci ricorda Scitovsky, perfino la preferenza per lo sviluppo

economico rispetto a periodi recessivi, presuppone un giudizio valoriale di

tipo redistributivo a favore di coloro che non possono predisporre di riserve

di ricchezza su cui far conto in periodi di penuria1, a maggior ragione uno

studio sulla definizione della povertà e delle politiche per combatterla deve

1 Nel suo “The State of Welfare Economics” (in American Economic Review, 41,

1951),questo Autore ricordava come anche la più semplice indicazione di politicaeconomica comporta confronti interpersonali e un giudizio di valore su di essi; questaconsiderazione venne poi ripresa, per quanto riguarda specificamente il tema di cui cistiamo occupando, da Orshansky che sostenne che “la povertà è un giudizio di valore”(Orshansky M. How Poverty is measured, in “Monthly Labor Review”, 1969) eanalogamente Garraty, nel 1979, che “l’ adozione di una definizione piuttosto cheun’altra è già un modo di impostare una politica” (in Spanò, 1999, 13).

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fondarsi su di una scelta che pare epistemologica, prima che metodologica,

poiché attiene all’orientamento disciplinare su come i giudizi sul benessere

sociale e i desideri individuali insistano sulle scelte collettive.

Si tratta dunque della creazione di quello che Sen definisce un

“metaordinamento” per dare “pesi” alle preferenze, prima che non la scelta o

del rifiuto per l’individualismo metodologico.

Nelle prossime pagine cercheremo anzitutto di mostrare i limiti del

modello utilitarista, basato sulla massimizzazione del benessere (wellbeing)

dell’agente razionale, dal punto di vista dell’allocazione delle risorse, sia

nella prospettiva di una loro equa distribuzione centrata sulla giustizia

sociale, ma anche secondo i parametri dell’efficienza del sistema

complessivo. Verranno indicate anche le critiche mosse a questo modello di

scelta, le più rilevanti delle quali sono fondate sulla centralità dei diritti

individuali.

Infine, utilizzando un particolare approccio, introdotto dal contributo di

Sen sulle capacitazioni, illustreremo le possibilità di combinare un’analisi

basata sulle libertà dell’individuo, ad una lettura che consideri anche

l’importanza del suo benessere.

Oggetto della nostra analisi sarà però solo una parte, o meglio una

particolare condizione, per di più “estrema”, del comportamento individuale:

quella di chi si trova in condizioni di scarsità.

Uno studio di questa peculiare situazione può essere però non

marginale e di qualche interesse per almeno tre motivi: da un lato è

integrabile nello schema generale, perché indaga un aspetto del

comportamento a cui di solito non si presta molta attenzione, ma che

potrebbe sottrarsi allo schema delle ipotesi generali della scelta razionale.

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10 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

In secondo luogo, come abbiamo già accennato, un lavoro di tipo

teorico che si occupi del tema della condizione di povertà di risorse può

essere allo stesso tempo utile all’analisi di questo concetto e adatto allo

scopo metodologico che qui ci proponiamo.

Da un lato infatti si assiste alla necessità di una riformulazione del

concetto di povertà nelle società occidentali, per il superamento del suo

significato classico e per la comparsa di nuovi fenomeni di esclusione,

rischio e vulnerabilità sociale; dall’altro è in questo campo, come vedremo

nel paragrafo 3, che l’approccio centrato sul benessere mostra maggiori

cedimenti nell’integrazione tra interessi individuali e libertà di scelta; infine,

come nota Sen, è solo nelle condizioni di povertà estrema che è possibile

rapportare il piano analitico dei giudizi sociali fondato sulle “capacità”, a

quello dei suoi indicatori (Sen 1982).

In terzo luogo un riesame delle libertà di scelta individuali all’interno

dei meccanismi distributivi offre la possibilità di introdurre alcune

considerazioni su quali possano essere, se debbono esservi, interventi

esterni, mani “visibili”, per ridurre le eventuali distorsioni di questo

meccanismo.

Come abbiamo già ricordato non è infatti indifferente il punto di vista

teorico sulle reali capacità di un individuo in condizioni di povertà nel

cogliere le opportunità che egli si trova a fronteggiare e nel realizzare i suoi

desideri (o preferenze), quando si formula un modello di politica sociale.

Il rapporto tra fondamenti teorico-concettuali della povertà e modelli di

politiche sociali si sostanzia in vari aspetti; nelle prossime pagine ci

soffermeremo su due elementi che meritano di essere sottolineati.

In prima istanza come abbiamo già precedentemente ricordato le

diverse “idee” di povertà, che non sono semplicemente il risultato di

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differenziazioni definitorie, ma che indicano invece difformi principi di

filosofia politica, quasi ad indicare una sorta di relativismo etico su questo

versante, rappresentano opposte concezioni di giustizia sociale, dunque

generando modelli di policy distanti.

Sulle basi teoriche dell'utilitarismo e della scelta libertaria2 nascono ad

esempio i presupposti per utilizzare i meccanismi di regolazione di mercato

nel campo delle politiche sociali: se si considerano i diritti fondamentali di

ogni individuo come dati ed inviolabili, quasi fossero un perimetro etico

entro cui agire, e sulla base di questi diritti ogni singolo individuo persegue

una logica di massimizzazione del proprio benessere, la scelta sociale più

giusta è quella in cui ogni individuo può godere della massima libertà

“negativa” (Constant 1818 cit. in Pizzorno 2003), vale a dire di quella

possibilità di azione totale assicurata dall’assenza di interventi esterni.

Da qui origina la giustificazione etica che offre il massimo spazio di

offerta sociale al mercato, o a meccanismi di reciprocità (familiare o di

vicinato).

La presenza di uno Stato riequilibratore delle disuguaglianze originarie

viene visto non solo come non necessario, ma come ostacolo alla piena

fruizione di quei diritti di scelta “originari” (Nozick 1974).

A questa logica si contrappone un’idea diversa, anzi opposta di libertà:

quella che è stata definita libertà di conseguimento (Sen 1999).

Ad essere al centro dell’attenzione in questo caso è la necessità di

uguaglianza delle capacità individuali. Poiché se queste ultime sono per un

2 Intendendosi qui per libertarismo una concezione estrema della tutela delle libertà

come formulata in Nozick (1974), in contrapposizione alla dottrina liberale di Rawls.Ma sulle differenze semantiche tra liberalismo e libertarismo , così come sulle varieidee di libertà vi è un grande dibattito che qui non affronto rimandando tra gli altri aRawls (1971), Nozick (1974), Sen e Williams (1982), Berlin (1969), Sen (1999), Sen,1976, Liberty, Unanimity and Rights, Economica, 43, pp. 217-46 in Sen (1982).

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soggetto inferiori a quelle di un altro, maggiore sarà per il primo lo sforzo

necessario (in termini ad esempio di risorse economiche) per raggiungere i

medesimi “conseguimenti” (o funzionamenti) e dunque più limitata risulterà

la reale libertà di scelta.

In questo caso dunque la giustificazione etica è per un intervento

esterno capace di intaccare queste diverse linee di partenza e permettere una

libertà piena e sostanziale per tutti gli individui.

Vedremo nelle prossime pagine che queste due diverse idee di libertà

nascono da opposte filosofie politiche.

È dunque dalla differente concezione della libertà di scelta che seguono

modelli di allocazione delle risorse e i conseguenti modelli di Welfare: se

volessimo estremizzare questa impostazione da un punto di vista teorico

potremmo limitarci ad analizzare due opposti modelli di politica sociale,

quello diretto da Mr well-being e quello guidato da Mr agency.

Avevamo però parlato anche di un secondo aspetto facente parte della

relazione tra concetto di povertà e aspetti di policy, che in realtà è l’aspetto

macro dello stesso ragionamento sulla scelta, finora intrapreso solo a livello

individuale.

Se in alcuni campi delle politiche sociali assistiamo ad una forte

segmentazione della domanda, l’intervento del mercato come meccanismo

allocativo produce conseguenze degenerative non solo per l’iniquità verso

gli individui più svantaggiati, ma anche come meccanismo di scelta

collettiva efficiente.

I principi dell’efficienza paretiana secondo cui le singole scelte

razionali conducono al migliore degli stati sociali possibili, già messi in

discussione dalle tradizionali critiche di parte sociologica e dagli approcci

eterodossi alla razionalità economica come quello di Simon, sono

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ulteriormente indeboliti quando i soggetti si trovano in condizione di grave

scarsità di risorse.

Come vedremo più avanti infatti, in questi casi si assiste ad una

distorsione della percezione individuale dei propri interessi, che inficia il

meccanismo di assunzione della scelta in piena libertà; un processo così

viziato necessita quindi di correttivi istituzionali che, per dirla con

Rousseau, ci “costringano ad essere più liberi”.

La difficoltà di “raggiungere” le proprie preferenze rende dunque

inefficiente e non solo iniquo il meccanismo regolativo di mercato. Non è

tanto per dimostrarne il fallimento dal punto di vista della policy che ci

spingiamo fino a questo punto, del resto nelle politiche contro la povertà il

mercato in senso stretto non esiste perché non vi è “business”, ma per

portare una proposta descrittiva dei passaggi dal micro al macro nel settore

del Welfare.

Tra il filone dell’economia del benessere aperta un secolo fa da Pigou e

sviluppatosi con le funzioni di Welfare inteso come calcolo del massimo

benessere individuale, e gli studi macro, patrimonio della political economy

comparata, di sociologi e scienziati politici, c’è un vuoto da colmare, e la

nuova sociologica economica si iscrive a pieno titolo in questo solco.

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2. Teorie della scelta tra utilita’ e diritti: liberta’ vs. benessere?

Nonostante alcuni importanti sforzi di unificare, o quantomeno

avvicinare, i quadri analitici della teoria della scelta sociale in economia e

sociologia, l’attuale condizione segna ancora la presenza di una profonda

spaccatura di tipo normativo tra le due discipline.

Gli ultimi anni hanno però visto crescere l’interesse per quei lavori

eterodossi che all’interno delle due singole discipline si sono posti

l’ambizioso traguardo di analizzare il modello comportamentale di un

individuo che segua i principi della razionalità economica, ma che sia al

contempo embedded nella società.

Tra gli economisti è stato l’“istituzionalismo moderno” a sollevare

recentemente il problema di spiegare le azioni economiche individuali

tenendo conto anche delle motivazioni non direttamente legate a variabili

economiche, specialmente tramite i contributi di Simon e Sen.

Questo filone di ricerca si è soffermato sugli effetti esercitati dalla

presenza di variabili “sociali”, ma anche di beni pubblici o di esternalità

nell’azione economica, concludendo che essi possono richiedere

meccanismi allocativi differenti dal mercato per garantire al sistema

economico una maggiore efficienza ed equità (Franzini Messori 1991).

Sul fronte sociologico il lavoro di Etzioni si colloca in una prospettiva

per alcuni versi opposta, ma complementare e con analoghi intenti: il suo

scopo è comprendere il mutamento delle preferenze individuali nel tempo, a

causa sia di variabili economiche che sociali.

Nel secondo caso il contributo di questo Autore è in linea con la

tradizione sociologica classica, in particolare laddove analizza gli effetti che

l’istruzione, la socializzazione di gruppo (primaria e secondaria) e le

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emozioni possono produrre sulle preferenze individuali "attraverso processi

non razionali come l'empatia, l'identificazione e l'interiorizzazione" (Etzioni,

1985; nella trad.it 1991, 120): i gusti dei singoli individui possono dunque

dipendere da elementi non direttamente controllabili da loro stessi.

Ma l’originalità del suo contributo sta soprattutto nel tentativo di

superare con la sociologia economica, la dicotomica divisione del lavoro

nell’analisi delle conseguenze sull’azione individuale della variazione dei

prezzi, di competenza degli economisti e di quella delle preferenze di cui si

occupa la sociologia.

Egli sostiene che sia opportuno occuparsi della variazione delle

preferenze, insieme e non in opposizione alle variazioni dei prezzi, per

comprendere le determinanti delle scelte individuali: una lettura basata su

questa codeterminanzione del comportamento individuale aiuterebbe, infatti,

la comprensione dei meccanismi con cui le risorse o l’azione economica di

un individuo possano vincolarne le future preferenze, quel rapporto che

Elster definirebbe tra opportunità e desideri.

Dunque l’analisi del comportamento economico razionale si estende

con Etzioni fino alle preferenze endogene, a quegli aspetti imprescrutabili

che l’identificazione, cara agli economisti, delle preferenze con il

comportamento individuale, la teorie delle cosiddette preferenze esogene,

non considera.

Per utilizzare le sue parole infatti "la socioeconomia si basa sulla

concezione kantiana dell'essere umano come un soggetto dotato della facoltà

di scegliere se perseguire o meno un fine, se coltivare o reprimere un

desiderio oppure anche se agire per modificarlo" (Etzioni, 1985; nella trad.it

1991, 119).

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16 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

L’elemento realmente innovativo da lui introdotto riguarda la

possibilità di considerare un sovraordinamento di “metapreferenze”, una

sorta cioè di disposizione per priorità, che ordini i differenti set di preferenze

secondo una scala di importanza relativa.

Questa distribuzione dei “pesi” alle variabili oggetto della scelta,

oltretutto, aiuta anche a risolvere alcuni temi affrontati più volte dagli

economisti e difficilmente integrabili nello schema utilitarista neoclassico:

quello della possibilità di desideri “conflittuali” tra loro (Schelling 1984), o

di casi in cui la ricerca di massimizzare in ogni occasione l’interesse

individuale porta a disutilità (Sidgwick 1919, Schotter 1981)3.

Lo strumento delle metapreferenze sembra essere l’unico capace di

mantenere nel quadro della scelta razionale l’analisi del comportamento di

un “homo socioeconomicus”4 che agisca e scelga in un quadro in cui il

perseguimento del massimo benessere (well-being) e la possibilità di godere

di una effettiva libertà di azione (agency) non siano in contrapposizione tra

3 Questo tema ci avvicina alla teoria dei giochi, che qui non discutiamo, ma che presenta

diversi elementi di interesse comune con le problematiche qui trattate sul rapporto tracomportamento, interessi individuali ed interventi coercitivi esterni. Per un’analisi diquesta relazione si rimanda alle fonti indicate nel testo

4 Questa formulazione avanzata da Lindenberg (1990), si propone di individuare unmodello comportamentale che superi la contrapposizione tra perseguimento dellaexpediency come frutto della valutazione costi-benefici, tipica dell’homooeconomicus, e l’attenzione alle sanzioni che dovrebbero portare al rispetto dellenorme morali, che orientano le scelta dell’homo sociologicus (Busilacchi 2001).Questa contrapposizione tra moralità e utilitarismo, base di quello che viene definito“sociologist dilemma” (Lindenberg 1983), viene risolta da questo modello di homosocio-oeconomicus, che “massimizza la sua utilità e nutre aspettative, ma ha anchevincoli normativi e un processo valutativo non “automatico”. Un uomo che distingueobiettivi finali e mezzi strumentali, i primi maggiormente legati ad un rispetto dellenorme, i secondi maggiormente influenzati da un processo di scelta "conveniente": nederiva un individuo flessibile e massimizzatore, ma all'interno di un quadro dirazionalità limitata non solo dai limiti della mente, ma anche dal quadro valoriale.”(Busilacchi 2001, 29-30).

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loro e dove all’importanza delle scelte individuali si unisca il peso dei fattori

di contesto e della struttura sociale.

Prima di entrare in questa ottica però, vediamo da dove nasce la

contrapposizione tra differenti teorie della scelta, tra quella fondata sulla

massimizzazione del well-being e quella che considera la centralità dei

diritti.

Nella teoria utilitaristica tradizionale l’individuo "dato l'insieme di

azioni possibili, opera la sua scelta in modo razionale, se non ha a

disposizione alcuna altra azione il cui risultato sia da lui preferito rispetto a

quello associato all'azione effettivamente scelta" (Hahn-Hollis 1979, 4)5.

Al di là di alcune ipotesi teoriche che vedremo meglio più avanti

quando affronteremo l’utilitarismo come teoria normativa, ora sono da

sottolineare le assunzioni che in questi ultimi anni sono state più criticate da

sociologi ed economisti eterodossi. Tra di esse la presunzione che il

comportamento di scelta rispecchi sempre i desideri individuali, la

determinazione dell’utilità collettiva come mera sommatoria di utilità

individuale (principio dell’utilità somma), l’assunzione di esogeneità e

indifferenza normativa per la formazione delle preferenze e per l’iniziale

allocazione delle risorse6.

Sulla base di questi principi le teorie paretiane sul benessere arrivano

alla conclusione che la massimizzazione del well-being sociale, inteso come

una sommatoria delle sue funzioni individuali capace di garantire al tempo

5 Hahn F., Hollis M. (1979) Introduction , in Hahn F., Hollis M. (a cura di) Philosophy

and Economic Theory, Oxford, Oxford University Press.; trad.it in Saggi di filosofiadella scienza economica, a cura di Zamagni S., NIS, Firenze, 1982.

6 Non entriamo in altri punti deboli dell’impianto neoclassico, come quellodell’informazione perfetta e della razionalità limitata, che ci porterebbe troppo fuoristrada rispetto ai nostri scopi.

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18 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

la massima efficienza del sistema e rispetto dell’equità, sia affidato alla

regolazione di mercato.

Due ordini di critiche sono state però avanzate a questo impianto

teorico.

La prima riguarda la sua presunzione di equità: il principio di Pareto

sostiene infatti che uno stato è preferibile ad un altro se almeno un

individuo migliora la sua condizione senza che nessun’altro la peggiori. In

questo modo però la presunzione di equità viene ricavata, nella

formulazione della scelta sociale, semplicemente come prodotto

dell’efficienza, senza che i due aspetti vengano però confrontati tra loro.

Come ricordano Sen e Williams infatti (1982) l’efficienza paretiana

non è tanto un tributo alla mano invisibile, ma ad un meccanismo di mercato

che non si ponga il problema dell'iniziale allocazione delle risorse, senza la

previsione dunque di un possibile intervento statale redistributivo.

Proveremo a dimostrare più avanti che i risultati dell’iniziale “lotteria”

non sono invece indifferenti non solo rispetto all’equità, ma perfino facendo

riferimento al tema dell’efficienza, poiché una distribuzione fortemente

ineguale comporta una “distorsione” nella realizzazione delle preferenze

individuali e l’efficientismo paretiano del secondo teorema del benessere7

perde parte del suo significato.

7 Questo teorema afferma che qualsiasi allocazione Pareto efficiente può essere

realizzata mediante il mercato di concorrenza perfetta. Vedremo invece nel paragrafo3 che nelle condizioni “estreme” dello spettro allocativo (in particolare ciconcentreremo su quella di scarsità) si assiste ad uno sfasamento nel match up tra lecapacità di scelta razionali dell’individuo e l’andamento delle sue preferenze rispettoagli oggetti inizialmente coinvolti nella scelta e rispetto ai suoi reali interessiindividuali (rappresentati dal suo set di metapreferenze). Ciò avviene a causa delcondizionamento dell’entità delle risorse su questi due andamenti di preferenze. Di quil’importanza di un intervento esterno per riequilibrare la situazione.

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Come avremo modo di vedere nel paragrafo 3, in alcune condizioni si

ha un vero e proprio problema di match-up tra preferenze individuali e

possibilità di scelta, dovuto all’assenza di quelle che Sen definisce “libertà

sostanziali”, che impedisce ad alcuni individui di poter esprimere i propri

desideri.

L’Autore indiano fa soprattutto riferimento alle privazioni di libertà

dovute a regimi non democratici (Sen 1982), mentre la nostra analisi si

soffermerà principalmente sulla privazione di libertà di scelta dovuta a

situazioni di povertà estrema.

Così come i diritti “minimi” di libertà civile e politica non possono

essere sottratti alla sfera di azione individuale, non può esserlo nemmeno la

libertà di scelta, indipendentemente dalle condizioni di necessità economica.

L’ovvia considerazione di tipo morale sull’ingiustizia di disuguaglianze

radicali, che comportano la presenza di povertà estreme in società

benestanti, trova dunque una sponda teorica anche sul piano dell’efficienza,

e siamo al secondo ordine di critiche, visto che la scelta collettiva derivante

dal principio di Pareto potrebbe non rispettare le preferenze individuali.

Per ora abbiamo dunque due conclusioni: in primo luogo che è

necessaria una maggiore informazione di tipo preventivo sulle preferenze

degli individui indipendente dalla distribuzione iniziale delle risorse per

poter parlare di efficienza allocativa.

In secondo luogo che il preteso efficientismo paretiano sottende un’idea

di efficienza che non si confronta con la libertà di scelta sostanziale degli

individui.

E’ dunque il tema dell’interpretazione della libertà di scelta che pone un

problema tra differenti dottrine e che diviene il vero fulcro del dibattito sulla

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20 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

possibilità di integrazione dei modelli di scelta o di una loro

contrapposizione.

La scelta sociale che promana dalla razionalità economica “limitata”

dell’utilitarismo, incontra infatti alcune difficoltà, che Sen ha riassunto nella

felice espressione dell’ “impossibilità di un liberale paretiano” (Sen 1970).

In quel saggio egli dimostra che l'efficientismo del principio di Pareto ,

che sta alla base della teoria welfarista delle scelte sociali, non è conciliabile

con un liberalismo fondato sui diritti.

Incorporare questa concezione di libertà nella teoria della scelta sociale

permetterebbe dunque di passare da una razionalità “limitata”a una

razionalità “liberata”.

Per raggiungere questo scopo pare inevitabile l’intervento di una mano

“visibile” capace di superare due problemi: in primo luogo eliminare i

vincoli alle capacitazioni individuali, causati dalle scarsità estreme di risorse

dovute alle allocazioni fortemente ineguali. In questo modo si riuscirebbe a

ristabilire un match up tra le preferenze endogene e l’azione economica

individuale.

In conseguenza si verrebbe a risolvere anche il problema di conciliare

l’ottica centrata sulle preferenze e sul benessere, con quella basata sui diritti

e sulle libertà.

Prima di vedere come questa possibilità di aggregazione possa avvenire

per mezzo della costruzione delle metapreferenze, cerchiamo però di capire

perché si sostiene che l’attuale bagaglio teorico della razionalità economica

non permetta una conciliazione di utilitarismo e diritti nella funzione di

scelta sociale.

Abbiamo già detto che in alcuni casi (dittature, povertà estreme)

l’individuo non può scegliere ciò che desidera perché l’insieme delle

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 21

opportunità a sua disposizione è troppo limitato per “incontrare” le proprie

preferenze (vd. fig 2 par. 3).

Ma ci sono anche altri casi in cui non vi è coincidenza tra l’operazione

di razionale massimizzazione delle preferenze individuali e scelta intrapresa:

ad esempio nel caso del cosiddetto “impegno”, o in quello dell’

“obbligazione” (Sen 1982), si assumono codici di comportamento morale

che fuoriescono dal perseguimento degli interessi individuali.

Mentre nel primo caso, però, siamo di fronte ad un atteggiamento

integrabile nello schema utilitaristico, l’utilità individuale può infatti

incrementare anche facendo una buona azione (per la soddisfazione dovuta

all’autocompiacimento da generosità), nel secondo caso la scelta di seguire

una norma comportamentale deriva da un obbligo morale e non dalla

volontà. L'obbligazione dunque "traccia un solco tra scelta personale e

benessere personale" (ibidem, p..): in questo caso l’atto di scelta individuale

diventa un atto sociale e dunque difficilmente comprensibile con gli

strumenti analitici utilitaristici.

Ma anche sul fronte dell’ “impegno”, pur integrabile come detto nello

schema utilitaristico tradizionale, emergono aspetti interessanti che

smentirebbero l’ipotesi dell’ “homo economicus” interessato solo al

perseguimento del proprio vantaggio personale in ogni occasione.

E’ stato infatti dimostrato tramite una serie di simulazioni che nelle

situazioni analoghe a quella descritta nel “dilemma del prigioniero” viene

spesso scelto l'atteggiamento non egoistico (Lave 1962); più recentemente

inoltre altri esperimenti hanno consentito di verificare che mediamente gli

individui sono motivati dalla reciprocità e disposti a sacrificare parte delle

preferenze individuali in nome del benessere collettivo, se anche gli altri si

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22 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

comportano in questo modo e viene così evitato il pericolo di free riding

(Charness G., Rabin M. 2002).

Da questi studi dunque sembrerebbe che il risultato del processo di

scelta individuale derivi da una serie di elementi tra cui l'utilità individuale,

la tutela dei diritti e l'etica assumono un’importanza quasi analoga.

Sia che consideriamo questo insieme di desideri come riconducibili

interamente all’obiettivo “ultimo” del benessere personale, sia che riteniamo

le diverse motivazioni all’azione come non integrabili in un unico set di

preferenze, emerge ad ogni modo la necessità di dotarsi di uno strumento

analitico più sofisticato del semplice ordinamento di preferenze individuali

per spiegare i meccanismi decisionali.

Il concetto di metapreferenze, cioè quei desideri “ultimi” che ogni

individuo si pone come obiettivi di fondo delle proprie azioni (non solo di

quelle economiche), permette di condurre all’interno della teoria della scelta

una rappresentazione di queste finalità di alto livello, che possono essere

raggiunte anche per condizioni diverse dall’ottimo paretiano, ad esempio

tramite scelte apparentemente in conflitto con l’obiettivo finale8.

Considerare la possibilità di disporre queste metapreferenze in un

ordinamento permetterebbe, inoltre, di esprimere giudizi morali e quindi di

ricondurre il tema delle obbligazioni, dei diritti e di tutti gli elementi diversi

dall'interesse personale che incidono sul meccanismo di scelta individuale,

all'interno del frame analitico della razionalità centrata sulle preferenze,

svincolandolo però dall’utilitarismo e passando per i diritti. 8 Il dilemma del prigioniero ne è un caso emblematico; ma anche in casi in cui è assente

il coordinamento con un altro individuo si possono avere esempi di questo genere. Unesempio è la storia trasmessaci da Ulrich Beck, del contadino felice, che, permassimizzare il proprio interesse individuale decide, pur di fronte alla possibilità disostanziosi guadagni, di non diventare capitalista per non correre il rischio di ritrovarsi

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 23

Abbiamo risolto così il problema della contrapposizione tra centralità

delle preferenze e centralità dei diritti, tra benessere e libertà sostanziale, tra

Mr. Well-being e Mr. Agency? Non proprio.

Il nostro ragionamento solleva infatti una considerazione che ora mi

limito ad accennare riservandomi di riprenderla nel par. 4.

Il problema del rapporto tra interessi individuali e scelta volta al

raggiungimento del benessere sociale solleva il tema, analizzato dalla teoria

dei giochi, dell’interazione strategica delle azioni individuali specialmente

in un’ottica di lungo periodo.

L’assenza di una completezza informativa sulle preferenze e i limiti

relativi all’azione enunciati in precedenza ci fanno aspettare un fallimento

della razionalità individuale in presenza di norme morali.

E’ dunque necessario coordinare le azioni individuali tramite strumenti

istituzionali capaci di correggere la mano invisibile9, così da permettere ai

“moventi del comportamento individuale" di essere orientati "verso un

orientamento sociale piuttosto che individuale, anche se sempre sulla base

delle preferenze orientate privatamente" (Hirsch 1977, 146).

Le norme morali che costringono la scelta individuale entro

l’obbligazione lontana dall’interesse personale utilitaristico richiedono la

presenza di un’istituzione comunitaria con poteri coercitivi.

Per venire al nostro caso un intervento esterno che redistribuisca le

risorse in casi disuguaglianza estrema non va inteso solo nel senso di

garantire una maggiore equità, ma anche di garantire l’efficienza delle

azioni individuali orientate alla razionalità economica.

un giorno, dopo tanta fatica e la perdita della serenità, nuovamente alla condizioneiniziale, solo con qualche soldo in più (Beck 1982).

9 Per un’analisi del ruolo di istituzioni sociali per facilitare il raggiungimento di risultativantaggiosi per la collettività si veda Schotter A. (1981).

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24 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Lo strumento dell’imposizione fiscale con finalità redistributive, ad

esempio, è il classico esempio di strumento di azione collettiva che

garantisce un maggiore benessere sociale, anche in senso paretiano per vari

motivi: anzitutto tramite l’eliminazione delle povertà estreme si ottengono

vantaggi di tipo sociale ed etico che possono avere riflessi anche sulle utilità

individuali.

In secondo luogo eliminare forti disuguaglianze potrebbe giovare da un

punto di vista produttivo per mezzo di una stimolazione della domanda di

beni. Ma soprattutto, seguendo il ragionamento fatto nelle precedenti pagine,

si assicura ai poveri quella libertà sostanziale nella scelta che garantisce un

incremento dell’efficienza sistemica: abbiamo visto infatti, che se la povertà

è tale da non consentire il superamento di una minima dotazione di risorse, il

principio di Pareto non è applicabile, poiché i soggetti non si trovano in

condizione di poter valutare le proprie preferenze reali.

E’ infine uno strumento di garanzia per chiunque si potesse trovare un

giorno in questa condizione.

Rimane da comprendere su che base normativa avvenga l’aggregazione

delle preferenze individuali: quale tipo di giudizio sociale, di interesse

collettivo viene scelto per risolvere il fallimento delle razionalità individuali

“limitate”? La scelta sociale può avvenire sulla base di differenti giudizi di

valore: il benessere collettivo può essere considerato in base alla variazione

delle unità del benessere dei suoi individui (utilitarismo), piuttosto che dei

loro livelli (Rawls), o delle loro libertà sostanziali (teorie delle capacitazioni

di Sen).

Seguendo l’approccio tenuto finora potremmo chiederci cioè quale è il

metaordinamento10 a cui si fa riferimento per pesare le varie metapreferenze:

10 Con questo termine ci riferiamo ad un ordinamento di metapreferenze.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 25

l’espressione di un giudizio di valore viene così operazionalizzato tramite

l’attribuzione di una scala di priorità e intensità di valore a questi obiettivi

“ultimi” dell’azione.

Non è però sufficiente ordinare le due metapreferenze che stiamo

considerando, benessere individuale e libertà sostanziale, per derivare i vari

modelli di teorie normative.

Questi due concetti infatti possono essere interpretati in modi diversi:

abbiamo visto ad esempio quanti possono essere i moventi dell’azione

individuale, dal soddisfacimento degli interessi individuali, alla

massimizzazione delle proprie risorse economiche, al rispetto dei diritti, a

quello delle obbligazioni morali.

Se dunque utilizziamo i diversi significati di benessere e libertà come

variabili di riferimento riusciamo dal loro intreccio a delineare i differenti

modelli di teoria della giustizia a cui facevano riferimento all’inizio.

Teoria dellascelta

Metapreferenzadi riferimento

Base informativa(declinazione dellametapreferenza)

Principi cheinformano l’azione

Metaordinamento(e compatibilitàtra agency e wellbeing)

Utilitarismo Benessereindividuale

Felicità (Bentham);soddisfacimentodesideri (Hare); reddito;scelte (Robbins)

Utilità sommaWelfarismo

Consequenzialismo

Benessereprioritariosu libertà

Liberalismo Libertà e tuteladei diritti

diritti passivi, libertàprocedurale, negativaassenza vincoli

Libertarismo(Nozick); beni primari(Rawls)

Diritti prioritari

Capacitazionidi Sen

Libertàsostanziale

Libertà sostanziale(possibilitàautorealizzazione); conseguimento deifunzionamenti

Teoria dellecapacitazioni

Compatibilità deidue concetti

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26 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Abbiamo già illustrato le ipotesi teoriche della teoria della scelta di tipo

utilitaristico; quanto ai suoi fondamenti di tipo normativo, la

massimizzazione del benessere individuale può assumere, come detto,

diverse forme, che costituiscono anche le varie “basi informative”

dell’utilità (Sen 1991).

Nel contributo seminale di Bentham essa veniva interpretata in senso

generico come uno stato mentale di felicità; nei contributi successivi della

scuola utilitaristica altre formulazioni le hanno dato il cambio, come quelle

centrate sul soddisfacimento dei desideri (Hare), sul reddito e infine sulla

rappresentazione stessa delle scelte operate (Robbins). Quest’ultima

interpretazione deriva dalla critica che Lionel Robbins rivolse all’approccio

benthamiano accusato di svuotare di significato un confronto interpersonale

tra utilità non collegato alle scelte concrete11.

Secondo l’utilitarismo le scelte vanno giudicate solo in base ai loro

risultati (consequenzialismo) e i giudizi sui diversi stati dipendono

esclusivamente dall’utilità presente in essi (welfarismo), essendo

perfettamente indifferente la modalità con cui essa venga raggiunta: dunque

la libertà di scelta non entra nei giudizi di valore.

La massimizzazione del benessere sociale si ottiene infine, sommando

le utilità personali (principio dell’utilità somma).

11 Il tentativo di superare il confronto tra utilità fondato esclusivamente sulle scelte

utilizzate come proxy delle utilità individuali è stato effettuato da Harsanyi tramite lateorie delle scelte ipotetiche, in cui l’individuo A immagina di essere l’individuo B perpoter confrontare l’utilità dei due stati A e B (Harsanyi J. “Cardinal Welfare,Individualistic Ethics, and Interpersonal Comparison of Utility”, Journal of PoliticalEconomy, 63, 1955). In realtà, come nota Sen, l’utilità non può essere oggetto divalore poiché si tratta di una reazione mentale e il suo conseguimento è relativo adaspetti culturali e sociali: una maggiore concretezza ed oggettività è quella degliapprocci centrati sulla ricchezza (Sen 1991).

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 27

Questa teoria della giustizia, pur tenendo conto dei risultati del

benessere individuale, presenta degli evidenti limiti: alcuni li abbiamo già

affrontati, come l’amoralità dell’indifferenza per l’allocazione iniziale delle

risorse e per valori non utilitaristici come la libertà.

Ma il difetto dell’utilitarismo che maggiormente interessa una

prospettiva che indaghi, anche in termini di effetti delle scelte razionali

sull’efficienza del sistema, la reale libertà di rappresentazione delle

preferenze di individui in condizione di scarsità di risorse, attiene al fatto

che l’indifferenza per la distribuzione iniziale e per la libertà sostanziale si

riflette in una carenza informativa sulle reali preferenze individuali.

La condizione mentale che determina l’utilità può infatti essere

influenzata da un adattamento alla deprivazione: utilizzando la celebre

metafora elsteriana la volpe abituata a non raggiungere l’uva adatta le

proprie preferenze a non gradire questo frutto.

Adattare il proprio stato mentale ad una condizione di risorse scarse

provoca però fenomeni conosciuti in letteratura con il termine di

cronicizzazione della povertà, o anche una sua trasmissione generazionale.

Vedremo più avanti come un’assunzione teorica fondata sulle capacitazioni

potrebbe comportare significativi effetti in termini di policy da questo punto

di vista.

In secondo luogo come ci ricorda bene Sen, l’indifferenza per la libertà

sostanziale individuale crea distorsioni nei confronti interpersonali di utilità:

due individui infatti potrebbero agire in modo simile senza per questo

godere della stessa utilità dalle loro scelte. Un celebre esempio è quello del

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28 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

ricco asceta e del povero che digiunano, il primo per scelta, il secondo per

necessità12.

Al di là del caso specifico delle persone in condizioni di povertà

estrema però, rimane una perplessità sull’identificazione dell’utilità con uno

stato mentale di felicità: si potrebbe essere felici infatti senza trovarsi in uno

stato che corrisponda ai desideri di partenza.

Consideriamo ad esempio il verosimile caso di una persona che desideri

lo stato A e si adoperi per raggiungerlo ma fallisca e finisca nello stato B,

verificando poi nello stato B una felicità pari o maggiore a quella che

riteneva avrebbe potuto avere nello stato A.

Stiamo assistendo ad un collasso del rapporto tra welfarismo e

consequenzialismo? In realtà il problema riguarda un’altra assunzione che

l’utilitarismo non considera e cioè che non si può avere una perfetta

informazione su tutti gli stati, né sulle preferenze e le loro variazioni.

Da una prospettiva completamente diversa parte la teoria della giustizia

che concentra centrali le libertà. Sebbene sia possibile in linea di principio

identificare contributi eterogenei sotto il comune nome di liberalismo, vi

sono notevoli differenze al suo interno.

In generale ad essere al centro dell’analisi è il concetto di libertà in

quella che è stata definita una sua accezione “negativa” (Constant 1818 cit.

in Pizzorno 2003) di libertà da vincoli e coercizioni esterne, piuttosto che

effettiva possibilità di azione; in altre definizioni invece ci si è concentrati

sull’aspetto formale o “procedurale”, in quanto l’attenzione è

12 E’ l’eterogeneità degli individui a giustificare, in questo famoso caso, il differente

benessere ricavato dal digiuno da parte dei due: questa caratteristica è uno deglielementi che dimostra la distanza tra well-being e libertà di agency nella teoria dellascelta di tipo utilitarista.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 29

prioritariamente rivolta ai processi “che permettono azioni e decisioni

libere” (Sen 1999,23), dunque a caratteristiche di una collettività (presenza

di valori democratici, negoziazione dei diritti civili ecc.), mentre non viene

considerato l’aspetto “positivo” , abilitante della libertà, che attiene alla

sfera individuale.

Esistono però sostanziali differenze tra vari Autori all’interno di questa

prospettiva.

Il contributo di Nozick ad esempio attribuisce ai diritti libertari una

priorità totale, senza preoccuparsi che l’enfasi intransigente posta sugli

aspetti procedurali della libertà possa provocare effetti “collaterali” sui

bisogni (Sen 1999), violando il lato sostanziale delle libertà.

I diritti vengono interpretati come una frontiera invalicabile, un vincolo

per la scelta sociale; non importa come questi “titoli” vengano assegnati alla

nascita, se in modo iniquo e dipendente dal Paese o dalla famiglia di origine:

essi costituiscono le risorse di cui ogni individuo dispone e che non possono

essere messe in discussione.

Abbiamo ricordato nel primo paragrafo come questa impostazione

libertaria estrema escluda ad esempio ogni forma di tassazione come

requisito di protezione del diritto alla proprietà, di fatto escludendo ogni

possibilità di redistribuzione rispetto ad allocazioni originarie.

Due appunti possono essere mossi a questa teoria della giustizia:

concentrarsi esclusivamente sugli aspetti procedurali e non su quelli

sostantivi e abilitanti della libertà comporta l’impossibilità di risolvere

alcuni casi di asimmetria dei diritti. Come fare quando i diritti di alcuni

impediscono o ledono i diritti di altri?

Ma soprattutto nei casi in cui un individuo è impossibilitato fisicamente

o mentalmente ad esercitare un diritto, la posizione iperlibertaria gli nega il

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30 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

diritto stesso. Si pensi al diritto supremo, quello alla vita, negato dalla

estremizzazione della libertà procedurale a chi non ha abbastanza risorse per

sopravvivere.

Fu Herbert Hart a notare per primo (1973) come il bisogno economico

da cui può appunto dipendere la vita non deve essere postposto ad altri

diritti.

Da queste critiche proviene una seconda interpretazione più sfumata, di

liberalismo: quella di John Rawls.

Egli sostiene che una serie di bisogni principali devono poter essere

garantiti a tutti, tramite l’accesso ad alcuni “beni primari”, come livelli

minimali di “diritti e libertà, poteri e opportunità, ricchezza e reddito..e le

basi del rispetto del sé” (Rawls 1971).

Rawsl dunque combina l’approccio delle libertà con alcuni contributi

dell’utilitarismo stesso: i beni primari, tra cui il reddito, rappresentano la

garanzia dell’accesso a un benessere minimo.

Ma la compenetrazione tra benessere e libertà non è ancora totale,

poiché Rawls non si spinge fino alla formulazione di un concetto di libertà

“positiva” piena e sostanziale, tale da permettere il raggiungimento degli

obiettivi che portano all’ autorealizzazione personale.

L’attenzione è però spostata da una pratica passiva dei diritti, ad un loro

esercizio più attivo: i beni primari garantiscono la partecipazione alla vita di

una collettività e quelle funzionalità che non fanno sentire “esclusi” .

In pratica Rawls inserisce tra i diritti fondamentali quello a non vivere

in condizioni di deprivazione, o in “povertà assoluta”, come diremmo oggi,

dando a questo termine un significato esteso riguardante non solo il reddito

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 31

per sfamarsi, ma anche il godimento di alcuni bisogni fondamentali per la

vita in una comunità13 (Whelan, Nolan et at 2001,2002; UNDP 199714).

Estendendo la teoria della giustizia di Rawls, Amartya Sen, con la

teoria delle capabilities, concentra l’attenzione su quegli elementi che

regolano le conversioni dei beni primari in capacità di raggiungere i propri

desideri: questo Autore dunque tiene in considerazione sia il conseguimento

di benessere come autorealizzazione, sia il concetto di libertà come capacità

di azione sostanziale.

A livello macro si assume che l’incremento delle libertà individuali

sostanziali indichi un aumento del benessere sociale.

La contrapposizione tra well-being e agency pare dunque essere

superata dall’approccio delle capacitazioni: esse rappresentano le possibilità

di realizzare i “funzionamenti” (functionings), un concetto analogo ai

bisogni primari che ogni persona può desiderare.

Questa teoria è dunque legata ad un concetto di libertà che ha a che fare

con la sfera di capacità di realizzazione individuale.

13 Interessante a questo proposito che un concetto che sembra così moderno, come il

bilanciamento di benessere materiale e libertà partecipativa, sia stato in realtà ripresoda Rawls da scritti di qualche secolo fa. Il godimento di una ricchezza minima comebase per poter realizzare i veri fini dell’uomo deriva addirittura dalla EticaNicomachea di Aristotele. Lo stesso Adam Smith nella Ricchezza delle nazioni,ritenuto forse a torto esclusivamente il padrino ideologico della mano invisibile comeesaltazione del libertarismo individualista, considerava necessari per il rispetto del sél’accesso ad alcuni “beni necessari”, “non soltanto le merci indispensabili alla vita, matutto ciò di cui il costume del paese ritiene che la gente rispettabile non possa fare ameno anche nelle classi inferiori…suppongo che i greci e i romani vivesseroconfortevolmente senza biancheria. Ma attualmente nelle maggior parte d'Europa, ungiornaliero rispettabile si vergognerebbe di apparire in pubblico senza una camicia ditela" (Smith A., Ricchezza delle nazioni, 1773: 1050)

14 Il rapporto n.8 del 1997 è stato il primo tra i “Rapporti sullo sviluppo umano” in cuil’UNDP ha introdotto l’indice di “povertà umana”, basato su questa definizione dipovertà.

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32 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Se un appunto le si può muovere è il fatto di trascurare che, tra gli

elementi di conversione dei beni principali in desideri, insistono anche

aspetti legati alla struttura sociale, primo fra tutti il capitale sociale, sia in

termini di fiducia che lega una comunità, sia come forza delle reti

relazionali.

Il contesto in cui si svolge l’azione individuale infatti alimenta o

deprime le libertà sostanziali: specialmente se individuiamo i soggetti poveri

ed esclusi come destinatari della nostra analisi, centrale potrebbe risultare ad

esempio il ruolo di alcune politiche sociali nello stimolare in questi individui

la capacità di cavarsela da soli.

L’utilizzo di una determinata politica dovrebbe esprimere la scelta

sociale che la collettività intraprende e la sua analisi può consentire una

maggiore comprensione del livello di libertà nell’esercizio dei diritti

individuali che viene garantito da una comunità ai suoi membri.

In conclusione l’approccio di Sen permette di superare gli aspetti

trascurati dalle altre teorie della giustizia: l’utilitarismo, considerando solo

l’esito dei conseguimenti non considera le possibilità di coercizione per

raggiungerli, mentre le forme di liberalismo che si concentrano solo sulle

libertà negative e gli aspetti procedurali, non si preoccupano delle possibili

iniquità sociali, né dello stato di benessere personale.

La teoria delle capacitazioni invece utilizza come variabile analitica la

libertà positiva, capace di combinare l’aspetto consequenzialista del

raggiungimento degli achievements ed elementi procedurali della titolarità

dei diritti.

Il concetto di libertà sostanziale ha la caratteristica di assumere una

doppia valenza rispetto alle risorse materiali: quella di garantire il loro libero

uso, conferendo una piena titolarità dei diritti (libertà di), ma allo stesso

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 33

tempo indica anche una libertà dalle risorse, nel senso di evitare, tramite una

loro presenza minima, l’instaurazione di processi di dipendenza materiali.

Se viene interpretata in questo senso il diritto alla libertà assicura anche

l’eliminazione dello spettro della miseria.

Abbiamo visto infine che le capacitazioni possono essere anche

sollecitate dalle policies; aggiungiamo però che vale anche il rapporto

inverso di relazione, cioè che anche la capacità “partecipativa” di una

comunità incide sui risultati delle politiche e delle loro implementazioni, in

particolare quando ci troviamo di fronte a politiche che prevedono una

risposta attiva da parte della cittadinanza per produrre risultati efficaci (Sen

1999).

Ma come si possono misurare queste capabilities?

Seguendo la definizione di Sen esse rappresentano le alternative di

funzionamenti su cui si possono esercitare le funzioni di scelta (Sen 1999),

ma questo ci aiuta poco a livello empirico.

Paradossalmente le difficoltà sono minori nel valutare le capacitazioni

di chi si trova in condizioni di povertà estrema “poiché valutare un miglior

nutrimento, minore moribilità o un allungamento della vita media tende a

essere un esercizio oggettivo e universale rispetto a obiettivi minimali"

(Piatti 1993, 21).

Chi digiuna perché è molto povero insomma non dovrebbe farlo per

scelta personale.

Partendo da questo punto ci concentreremo ora proprio sugli effetti che

la teoria delle capacitazioni potrebbe avere sull’atteggiamento di scelta

razionale di un individuo in condizioni di scarsità.

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34 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

3. Scarsità di risorse e razionalità limitata: il vincolo della fame

Nelle prime pagine di un qualsiasi manuale di microeconomia ci si

imbatte nella classica teoria dell'attore razionale che si trova a dover

scegliere tra due beni, sulla base di una dotazione di determinate risorse,

espressa tramite il vincolo di bilancio, e di una funzione individuale di

utilità, rappresentata dalla sua curva di indifferenza.

Utilizziamo un esempio che chiarirà anche nelle prossime pagine il

punto di vista della scelta in condizioni di scarsità: la scelta riguarda Hugo

che ha a disposizione 3 euro da spendere per l’acquisto di frutta, in mele o in

pesche. Le prime hanno un prezzo unitario di 0,2 euro, mentre le seconde di

0,3 euro. E’ evidente che se Hugo preferisse le mele comprerebbe 15 unità

di queste ultime, che hanno un costo unitario minore. Ma la sua scelta lo

porta a formare un paniere composto da 6 mele e 6 pesche: la preferenza per

le pesche è infatti tale da portarlo alla rinuncia di un frutto in più per ogni

due prodotti acquistati.

Molte critiche di vario genere sono state avanzate a questa

modellizzazione del comportamento di scelta individuale.

In questa sede ne ricorderemo alcune che potrebbero risultare utili per

mostrare come in una situazione di scarsità l’individuo operi le scelte in

assenza di libertà sostanziale e le capacità di conseguire determinati

“funzionamenti” siano notevolmente limitate.

Per comodità analitica suddividiamo le critiche avanzate in due

categorie: quella riguardanti l’oggetto della scelta ed un’altra concernente le

sue condizioni.

Nel primo gruppo rientrano le considerazioni che attengono al tipo di

beni coinvolti nella scelta, le cui caratteristiche non sono ininfluenti

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 35

nell’orientare il comportamento individuale, come invece il modello

illustrato potrebbe lasciare supporre.

L’utilità derivante da alcuni beni (o servizi) ad esempio non è

“divisibile” rispetto alle unità di valore espresse dal prezzo: se Hugo

spendesse i 3 euro comprando un biglietto per il cinema, ottenendo dalla

visione del film un’utilità pari a quella dell’acquisto di 10 pesche, non

potremmo semplicemente dedurre che dato questo saggio marginale di

sostituzione tra i due beni, l’utilità totale non varierebbe se comprasse 5

pesche e solo mezza visione della pellicola15!

Per altri tipi di beni come quelli pubblici o i merit goods, è appurato

che i tradizionali meccanismi della razionalità individuale nell’operazione di

scelta non funzionino (Franzini, Messori 1991): in particolare per i secondi

le lacune del processo di scelta centrato sulla massimizzazione degli

interessi individuali risultano più evidenti in termini di espressione delle

libertà sostanziali.

Questi beni infatti si caratterizzano per non trasmettere in modo diretto

tutte le informazioni sull’utilità legata al loro consumo: l’istruzione

scolastica, ad esempio, o l’assistenza medica, o alcuni beni come le cinture

di sicurezza per automobili, sono infatti beni la cui utilità non risulta

immediatamente percepibile, se non “in negativo”. E’ la loro assenza cioè

che può comportare disutilità: la letteratura, basandosi sull’ipotesi che il

consumatore non individui in questi beni un’utilità che è invece di primaria

importanza, ritiene che sia un intervento esterno (la fornitura pubblica,

oppure la coercizione, ad esempio nel caso delle cinture di sicurezza) a

dover orientare il processo di scelta individuale (Schotter 1981).

15 Oltre a presupporre una perfetta flessibilità della propria utilità rispetto alla quantità

offerta, Hugo dovrebbe trovare anche un cinema che pratichi politiche di prezzopiuttosto flessibili rispetto alla domanda.

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36 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Vedremo tra poco che, per le finalità del nostro studio, questa povertà

informativa incide direttamente sulla libertà di scelta individuale,

specialmente per coloro che si trovano in condizioni di scarsità di risorse.

Anche in altri casi il modello di scelta legato alle utilità direttamente

fruibili dai due beni in questione, pesche e mele nel caso precedente, viene

complicato: ad esempio se consideriamo che le preferenze individuali siano

particolarmente influenzate da aspetti che relazionano i due beni iniziali, ad

altri beni e, più in generale, ad una serie più vasta di preferenze e bisogni.

Una persona particolarmente sensibile alla tematica dello sfruttamento

di manodopera può ad esempio inserire questo elemento nel suo set di

preferenze, se è a conoscenza che nella raccolta delle mele questo fenomeno

sia più diffuso che in quella delle pesche.

Ma inevitabilmente l’apertura del set di preferenze a caratteristiche

ulteriori rispetto a quelle più immediate, come il gusto, rapportano i due beni

inizialmente presi in considerazione con altri beni, caratteristiche e scelte

collegate ad essi, che rendono il quadro della scelta relazionato e

dipendente da altri contesti. L’iniziale preferenza per le pesche maturata

“acontestualmente”, potrebbe dunque passare in secondo piano se entrano

nella valutazione elementi come i valori nutrizionali di una dieta articolata,

piuttosto che aspetti di tipo etico che ne influenzano il consumo.

Abbiamo fatto riferimento nel precedente paragrafo alla necessità di

anteporre agli ordinamenti di preferenze rispetto ad una variabile (ad

esempio “gusto per la frutta”) un meta-ordinamento che permetta di stabilire

le priorità che ogni individuo stabilisce nell’effettuare una scelta.

E’ cioè possibile che al momento dell’acquisto di frutta l’ordinamento

di metapreferenze di un soggetto, sia differente da quello di un altro: per

tornare al nostro esempio Hugo potrebbe ritenere di scegliere il paniere di

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 37

frutta in base ad un metaordinamento che attribuisca priorità al gusto e al

prezzo, mentre il suo amico Karl considera più importanti gli aspetti

nutrizionali ed “etici” del consumo.

La semplificazione operata dal modello neoclassico si basa sull’ipotesi

che la costruzione delle preferenze relative avvenga sul rapporto tra

caratteristiche dei beni e loro prezzo. Ciò che proviamo ad introdurre è

invece l’idea che in alcuni casi l’importanza di questo rapporto assuma un

significato minore rispetto ad altri rapporti, ad esempio quella tra due

caratteristiche del bene stesso, oppure, in casi particolari come quello

estremo della “fame”16, tra il prezzo del bene meno costoso e le sue capacità

nutritive.

Nella semplificazione che la teoria microeconomia opera nel descrivere

il modello comportamentale della scelta utilitaristica, non si distingue infatti

all’interno delle caratteristiche insite nei beni. Ci si limita cioè a considerare

l’insieme di queste caratteristiche in rapporto all’utilità che l’individuo

ricava dal loro consumo.

Anche per questo motivo gli sono state rivolte critiche di scarsa

aderenza con la realtà; sebbene sia evidente che un modello debba

necessariamente operare semplificazioni per mantenere una capacità

descrittiva di ordine generale, è anche vero che un fenomeno economico

“estremo”, come quello della scarsità di risorse, necessita di strumenti

analitici differenti.

Specialmente se il nostro fine è quello di considerare una nuova

prospettiva da cui osservare un concetto come quello di povertà, che

16 Più avanti considereremo graficamente il caso delle scelte di Hugo al variare delle sue

risorse oltre una soglia di scarsità minima che lo porta a scartare la variabile “gusto”dal suo metaordinamento. E’ così possibile vedere lo spostamento dellametapreferenza considerata (da gusto-prezzo a fame-prezzo) su tre assi cartesiani.

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38 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

coinvolge proprio la scarsità di queste risorse, potrebbe dunque essere

interessante operare una distinzione di questo genere.

Il nostro ragionamento parte infatti dal presupposto che se l’obiettivo si

sposta dalla massimizzazione dell’utilità generale alla specifica necessità di

risolvere il problema della fame, le caratteristiche di un bene possono

assumere pesi assai differenti.

Nello specifico, il modello neoclassico considera come variabili la

quantità e il prezzo dei due beni in questione, che vengono indicati sugli assi

cartesiani. Le curve di indifferenza esprimono il rapporto di preferenza

relativa per un bene, che riflette il rapporto tra le sue generiche proprietà e il

prezzo.

Il nostro assunto si basa sul fatto che queste curve di indifferenza

riflettono una metapreferenza (ad es. centralità del gusto dei beni rispetto ai

prezzi) sulla base del quale vengono condotte le scelte.

In questo schema però non viene chiarito su quali basa nasca questa

metapreferenza, cosa indichi e a quale obiettivo si faccia riferimento:

massimizzazione dell’utilità, del nutrimento, del gusto, o di tutto quanto

insieme?

Questo perché tutte le proprietà del bene vengono considerate

unitariamente nella costruzione dell’ordinamento di preferenze.

Ma , come vedremo più avanti (fig.2) , questo modello descrittivo

diventa assai più debole nel momento in cui la scarsità di risorse è tale da

non giustificare la stabilità di questo ordinamento di preferenze nel fondare

il processo di scelta.

Una trasformazione che proveremo ad operare è costituita dalla

scomposizione delle proprietà insite nel bene: esse possono costituire la base

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 39

di nuove metapreferenze (ad es. rapporto tra capacità nutritiva e prezzo del

bene). Il rapporto di indifferenza tra i beni potrebbe a questo punto mutare.

Mantenendo uno schema con due variabili, quantità e prezzo, le curve

di indifferenza possono essere differenti a seconda delle proprietà del bene

che vengono considerate in funzione del prezzo, o in rapporto tra di loro,

cioè della metapreferenza scelta (fig. 1)

A fronte di questa complicazione c’è però il vantaggio di comprendere

meglio il meccanismo di scelta nei casi estremi: come vedremo più avanti,

infatti, inserendo a fianco della quantità e del prezzo una terza variabile che

esprime la condizione di “fame” dell’individuo sarà possibile mantenere uno

schema di lettura unico con curve (o meglio fasci) di indifferenza che

riflettono le tre variabili (fid.2).

Riprenderemo questo tema più avanti, ma già appaiono chiari i limiti di

un modello di scelta razionale che riconduca tutto il meccanismo di

selezione ad uno schema bimodale.

pesche pesche pesche

gusto/prezzo nutrimento/prezzo

gusto/nutrimento

mele

mele mele

FIG. 1: Effetti della variazione di metapreferenza considerata sulle curve di

indifferenza tra due beni17

17 La forma e l’inclinazione delle curve è solo indicativa.

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40 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Naturalmente questo fenomeno è più evidente per alcuni tipi di beni più

che per altri: in certi casi il consumo può diventare simbolo di uno stile di

vita e a quel punto la scelta coinvolge solo in piccola parte le caratteristiche

evidenti di un certo bene.

Per questi beni simbolici e in generale per tutti i beni “relazionali”18,

una condizione di povertà informativa e di limitatezza della struttura delle

preferenze risulta particolarmente penalizzante per orientare il processo di

scelta verso una valutazione pienamente consapevole e dunque libera.

Sulla scorta di quest’ultima considerazione risulta agevole passare al

secondo gruppo di aspetti che testimoniano la limitatezza del modello di

scelta utilitaristico tradizionale: quelli riguardanti il contesto e le condizioni

del processo valutativo.

Nel modello classico Hugo termina di esistere come soggetto

decisionale al momento t0. Non si considera quindi che le sue preferenze

possano essere legate anche a scelte future: in questo caso infatti il suo

processo decisionale verrebbe notevolmente complicato dal punto di vista

cognitivo, da una serie di fattori difficilmente calcolabili e che limiterebbero

le sue capacità razionali.

Ad esempio l’ipotesi di verificare il costo opportunità del denaro che

può essere risparmiato una volta sfamatosi, oppure, per tornare ai merit

goods, che l’ “acquisto” di formazione scolastica o lavorativa non determina

solo un’utilità al momento del suo consumo, ma può portare a vantaggi

competitivi sul mercato del lavoro nel momento t1.

E’ naturale che i modelli di scelta razionale utilizzino ipotesi e

semplificazioni proprio perché non nascono con lo scopo di descriverci la

18 Con questo termine abbiamo indicato la proprietà di mettere in relazione tra loro

caratteristiche e beni differenti.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 41

giornata o la vita di Hugo, ma di esemplificare un modello

comportamentale.

Ma inserire questo modello in un contesto sociale ed in particolare

utilizzarlo per valutarne i limiti descrittivi nelle situazioni di scarsità di

risorse, così come i suoi possibili effetti normativi, vuol dire complicarlo e

modificarlo per potergli attribuire finalità aggiuntive. Torneremo più avanti

su questo aspetto.

Per intanto va ricordato che esiste un altro elemento, forse il più

studiato recentemente, che complica il modello di scelta razionale

individuale: la presenza di altri soggetti, detentori di possibilità di scelta,

può condizionare l’esito finale e dunque influenzare la decisione personale.

Come abbiamo avuto già modo di ricordare, la teoria dei giochi ha a

lungo analizzato questi aspetti; il dilemma del prigioniero ci mostra un

tipico esempio di fallimento della razionalità individuale, insegnandoci che

in alcuni casi il perseguimento degli interessi individuali porta ad un esito

peggiore di quello ottenibile tramite la cooperazione con gli altri soggetti.

Ma questo aspetto interessa limitatamente la nostra ottica di analisi

concentrata sulla scarsità di risorse.

La critica che invece è ben più pertinente con questa lettura è invece

quella che sottolinea che le preferenze di Hugo potrebbero dipendere dalle

sue risorse.

Questo tema, che è stato a lungo analizzato, anche con prospettive

analitiche molto diverse tra loro, dall’ “Uva acerba” di Elster (1983), alla

teoria delle preferenze endogene19 , è l’aspetto che più ci torna utile per

un’analisi del comportamento di scelta in condizioni di scarsità di risorse

19 Per una rassegna su questo aspetto mi permetto di rinviare a Busilacchi 2001.

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42 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

che si fondi su una prospettiva basata sulla libera formazione delle

preferenze.

Se infatti riprendiamo tutte le critiche finora analizzate e proviamo ad

immaginare quali effetti esse possano determinare nel caso specifico della

formazione delle preferenze di un individuo povero e delle modalità della

sua libera scelta, alcuni elementi più di altri concorrono a mostrare la

debolezza della teoria tradizionale della rational choice.

La non perfetta “divisibilità” di alcuni beni, ad esempio, costituisce un

importante vincolo alla realizzazione delle preferenze individuali in caso di

scarsità di risorse: se esse sono talmente limitate da non consentire

l’acquisto di neppure un’unità di questo bene indivisibile, il processo di

formazione delle scelte di consumo non potrà dirsi realmente libero.

Ugualmente la presenza di merit goods che potrebbero influenzare

l’utilità personale solo nel lungo periodo e in modo indiretto o “negativo”,

come abbiamo avuto modo di illustrare nel caso dell’assistenza medica o

dell’istruzione scolastica, mostra la limitatezza della lettura monoperiodale e

acontestualizzata dell’approccio neoclassico.

Di nuovo, solo inserendo in questo modello una nuova metapreferenza

che orienti l’azione individuale, in questo caso l’interesse alla tutela della

salute o alla (futura) posizione lavorativa20 rispetto alla variabile temporale,

lo schema centrato sui confronti di utilità derivanti dalla lettura risorse-

preferenze potrebbe continuare a funzionare.

Altrimenti, se questi beni non vengono forniti dallo Stato, l’individuo

che opera in condizione di scarsità di risorse effettua la scelta unicamente

20 Partendo dal presupposto che le posizioni lavorative sono positivamente correlate al

grado di istruzione scolastica.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 43

sull’utilità immediatamente percepita, intrinseca nei beni oggetto di

valutazione e non nelle sue caratteristiche latenti o portatrici di un’utilità

relazionata e indiretta: difficilmente dunque il povero sceglie di “comprare”

istruzione superiore vs. lavoro dopo la scuola dell’obbligo, o assistenza

medica privata vs. altri beni di necessità.

L’effetto dell’attuazione concreta di questo modello teorico di scelta è

di incrementare il rischio di riproduzione di povertà e di esclusione sociale,

proprio per quelle categorie tradizionalmente più esposte ad essa perché

appartenenti agli strati più bassi della distribuzione del reddito.

Una prova di questi processi di scelta e dei loro effetti viziosi si ha in

quei Paesi in cui queste politiche sociali sono affidate unicamente al mercato

e non esiste una protezione sociale di tipo sanitario, previdenziale o

assistenziale erogata dal soggetto pubblico.

L’analisi della scelta di un soggetto povero incentrata sulla teoria della

capacitazioni, dunque, non può fare a meno di indagare più in profondità di

quanto non faccia la teoria utilitaristica, il rapporto di dipendenza tra

preferenze e opportunità.

L’ipotesi di indipendenza avanzata dagli economisti, secondo cui, quale

che siano le dotazioni di risorse di un individuo, egli sceglierà tra i due beni

unicamente in base al loro saggio marginale di sostituzione, crea una serie di

problemi nelle condizioni di “margine”, quelle cioè in cui il vincolo di

bilancio individuale è molto piccolo, oppure elevatissimo.

Il comportamento deviante rispetto al modello tradizionale, in questi

casi estremi, che altrove ho definito “dell’appagamento della fame”

(Busilacchi 2001), può essere agilmente intuito.

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44 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Ai fini di questo lavoro è però opportuno concentrarsi solo sulla

seconda condizione, quella appunto della “fame”21, non solo per

comprendere i limiti dell’approccio tradizionale alla scelta in condizioni di

povertà, ma anche per estendere la portata di questo concetto.

Se intendiamo infatti la povertà non solamente come deprivazione di

tipo materiale, dunque scarsità di risorse, ma anche come privazione della

libertà di scelta, risultano più evidenti le connessioni tra iniziale allocazione

delle risorse, capacità di agency (come libertà di azione) e conseguimento di

well-being.

Possiamo identificare quattro diverse situazioni in cui questa

connessione è percepibile.

Nella prima l’individuo gode di un buon livello di informazioni sulle

caratteristiche dei beni oggetto di scelta22, per averli già scelti nel passato o

perché ha comunque avuto esperienze indirette di altri stati. In questa fase

però si trova in uno stato di temporanea deprivazione e dunque non può

“raggiungere” l’oggetto delle sue preferenze, che sono state formulate in

modo pienamente libero sulla scorta delle informazioni acquisite nel

passato.

Il nostro Hugo cioè, sa di preferire le pesche alle mele, per aver

conosciuto il sapore di entrambe, ma dispone di soli 0,2 euro e può 21 Si potrebbe ipotizzare però che, così come una condizione di scarsità delle risorse

incide sulle condizioni di scelta e di formazione delle preferenze individuali, ancheuna condizioni di abbondanza sortisca il medesimo effetto. Ci potremmo dunqueaspettare che se Hugo disponesse di 30 euro al giorno, invece di 3, per l’acquisto difrutta, la sua condizione di abbondanza lo porterebbe a trascurare il rapporto diindifferenza tra mele e pesche e a comprare esclusivamente queste ultime. Potremmoin questo caso sostenere che la sua scelta non sia stata razionale, o piuttosto che lametapreferenza gusto-prezzo sia stata sostituita da un’altra metapreferenza (ad es.gusto-apporto vitaminico), cadendo in secondo piano l’aspetto della convenienzaeconomica relativo al rapporto tra i prezzi della frutta?

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 45

comprare solo una mela; analogamente, per utilizzare un altro esempio, un

individuo sa di poter desiderare di diventare medico, perché ha avuto modo

di conoscere questa professione tramite l’esperienza di altri amici, ma non

può permettersi gli studi universitari.

Oltre un determinato limite di risorse scarse dunque, il vincolo di

bilancio non esiste più23 come insieme di combinazioni tra beni e la curva di

indifferenza, che indica l’utilità determinata da una combinazione dei due

beni, si trasforma in semplici punti che testimoniano scelte obbligate.

Nel lungo periodo il persistere di questa condizione può portare ad un

secondo stadio di deprivazione, in cui la consapevolezza dell’impossibilità

di raggiungere le “pesche” porta Hugo a modificare le proprie preferenze

verso le mele. Immaginiamo ad esempio che in un modello multiperiodale in

cui non esista la possibilità di risparmio egli guadagni 0,2 euro al giorno e

sia dunque ogni giorno costretto a mangiare le mele24.

22 Naturalmente si ipotizza che la scelta avvenga ancora esclusivamente sulla base delle

metapreferenze utilizzate all’inizio, cioè sul rapporto tra gusto per la frutta e prezzo.23 Questo limite dipende sia dall’entità delle risorse, ma anche come ricordato in

precedenza dalla “divisibilità” dei beni. Nel caso in cui non si disponga di risorsesufficienti a comprare un’unità del bene più costoso, il vincolo di bilancio e la curva diindifferenza cessano di esistere in quello spazio cartesiano (mentre come vedremoesisteranno su uno spazio costituito da altre variabili).

24 Anche se esistesse la possibilità del risparmio non sarebbe immediato, dato il suorapporto di indifferenza tra mele e pesche, che egli scelga di digiunare un giorno ognitre per poter mangiare pesche anziché mele.

Analogamente se scegliessimo di limitare l’analisi ad un modello monoperiodale in cui sipotesse pur comprare il 40% di una mela e l’analoga quantità di una pesca,bisognerebbe verificare se il consumo di almeno un frutto al giorno non sia necessarioal fabbisogno alimentare di Hugo e se egli preferisca scegliere liberamente in base aisuoi gusti, oppure arrivare a consumare quel 20% di cibo in più necessario a sfamarlo.L’oggetto della scelta verrebbe a questo punto complicato poiché l’alternativa nonsarebbe più semplicemente la semplice preferenza tra mele e pesche, ma tra duemetapreferenze: gusto/prezzo e apporto nutritivo/prezzo. E’ per questo motivo che inalcuni casi non convenzionali, come quello di scarsità di risorse, sembra opportunointrodurre un’analisi che tenga conto di più di due variabili. Questa considerazioneviene ripresa in modo più evidente nel terzo caso.

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46 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Adattando alla piattaforma teorica della scelta razionale quanto

sostenuto da Elster nel ricordato esempio della volpe e dell’uva, in questo

caso la protratta consapevolezza delle risorse limitate provoca una

distorsione delle curve di indifferenza individuali.

Un percorso di ricerca sulla trasformazione delle preferenze in base al

consumo passato è stato intrapreso dagli studiosi delle preferenze endogene

tramite i modelli dell’habit forming (Gilboa-Schmeilder 1995; su rapporti

tra scelta ripetuta e razionalità si veda anche Lindenberg 1983).

E’ nel terzo caso di deprivazione, però, che la condizione di scarsità si

cronicizza e provoca una mancanza di libertà sostanziale nella scelta:

l’individuo in condizione di povertà grave agisce in una condizione di

necessità tale che il meccanismo della scelta razionale tra i due differenti

beni sulla base delle loro caratteristiche e dei prezzi perde di significato.

Ad essere coinvolto è anche il livello informativo che subisce

limitazioni, poiché si assiste ad uno slittamento delle informazioni che

risultano importanti: sia quelle relative all’ottica temporale, perché l’

“appannamento” da fame impedisce di valutare il lungo periodo e ci si

concentra sulla condizione immediata, sia perché le informazioni relative

alla metapreferenza di partenza (gusto/prezzo) vengono sostituite da altre.

Immaginiamo che Hugo si trovi da diversi giorni (t0, t1, t2) in una

condizione di digiuno e disponga al momento t3 di un reddito pari 0,6 euro:

difficilmente la sua preferenza di gusto lo porterà a comprare 2 pesche

invece che 3 mele, poiché in questo caso la metapreferenza gusto/prezzo

soccombe alla priorità della metapreferenza che coinvolge la “fame”, o

addirittura la “sopravvivenza”.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 47

Stato di deprivazione Esperienzapregressa

Livelloinformativo

Formazionepreferenze-scelta

Problema

1. deprivazionetemporanea (statica)

Stati dibenessere

Buono Libera Non possonoessere raggiunte

2. deprivazioneprolungata(multiperiodale)

Stato 1 Buono Viziato Distorsionepreferenze

3. deprivazione dilibertà (grave)

Stato 2 Limitato Non libera Scelta istantaneain condizioni digrave necessità

4. deprivazionecronica (assoluta)permanente, totale

Stato 2 o 3 Nullo Non esiste Scelta obbligata(unica)

L’utilizzo dello strumento teorico del metaordinamento risulta dunque

centrale rispetto ad un’analisi della scelta basata sulla libertà sostanziale di

un individuo in condizioni di scarsità.

Nel quarto stadio di questa scala della deprivazione la sua libertà

sostanziale viene addirittura annullata: l’individuo ha sempre vissuto in uno

stato in cui non ha mai potuto scegliere e dunque un velo d’ignoranza sulle

caratteristiche degli altri stati gli impedisce la formazione di alcuna

preferenza25.

E’ come se il nostro Hugo non conoscesse il gusto delle pesche per non

averle mai assaggiate, o per non conoscerne addirittura neppure l’esistenza,

così come di ogni altro frutto all’infuori delle mele.

Questa condizione è parzialmente fuori dal campo semantico della

povertà nell’accezione occidentale, per spostarsi in quello della miseria o

della povertà estrema: è invece una situazione quasi normale per molti

abitanti dei paesi sottosviluppati, il cui destino dipende unicamente dalle

loro condizioni sociali di nascita.

25 La condizione di scelta relativa a questo stadio può essere paragonata da un punto di

vista teorico a quella in assenza di libertà che Sen identifica nei regimi dittatoriali(Sen, 1982).

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48 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

I quattro livelli analizzati ci forniscono dunque alcuni importanti spunti

di analisi in due diversi campi: da un lato ci permettono di ridefinire il

concetto di povertà, evidenziandone i differenti gradi di intensità, dall’altro

di coglierne le implicazioni dal punto di vista della teoria della scelta

individuale, verificando una sorta di segmentazione del comportamento

razionale lungo l’asse cartesiano. Ci occuperemo del primo punto nel

prossimo paragrafo.

Quanto al secondo aspetto l’analisi del comportamento di scelta in

condizioni di scarsità ci ha permesso di verificare che aprendo la prospettiva

analitica dall’utilitarismo centrato sul benessere raggiunto, alla libertà

sostanziale, anche in termini di capacità di agency, sono emerse implicazioni

riguardanti il rapporto tra formazione delle preferenze ed ammontare delle

risorse.

In particolare lo studio di particolari condizioni di deprivazione, come

quella vista nel secondo caso ma soprattutto nel terzo, ha reso necessaria

l’introduzione nel frame analitico del concetto di metapreferenze per

comprendere i vincoli alla scelta individuale.

Se vogliamo conservare l’ottica dell’attore razionale, infatti, non

sarebbero altrimenti comprensibili gli atteggiamenti di chi si trova ai

margini dello spazio cartesiano.

La segmentazione del comportamento dell’individuo può dunque essere

interpretata con una modifica anzitutto delle metapreferenze prese in

considerazione: esse orientano le preferenze individuali sulla base di una

comparazione di gusto e prezzo, nella parte centrale dello spazio cartesiano,

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 49

mentre negli spazi estremi questo rapporto perde la sua importanza e la

scelta è orientata da altre metapreferenze26.

In una condizione di estrema abbondanza il prezzo diviene quasi

ininfluente e dunque la metapreferenza gusto/prezzo perde parte della sua

importanza, in quanto il rapporto porta ad una prevalenza assoluta del primo

(tende ad infinito); ma è soprattutto alle condizioni di scarsità che ci siamo

dedicati.

In questo caso possiamo continuare a spiegare, secondo un approccio

fondato sulla razionalità economica, la perdita di significato del rapporto di

indifferenza tra prezzi e gusto, sostenendo che quando la deprivazione

raggiunge livelli significativi è la metapreferenza della “fame”27 ad orientare

il comportamento.

Mentre nella figura 1 abbiamo illustrato gli effetti che il cambiamento

da una metapreferenza all’altra può avere sulle curve di indifferenza e

quindi sui processi di scelta quando le variabili rimangono le stesse, ora

proviamo ad immaginare l’introduzione di una terza variabile a fianco delle

quantità e dei prezzi.

26 O meglio da un metaordinamento in cui le metapreferenze (gusto/prezzo,

nutrimento/prezzo, gusto/nutrimento ecc.) sono distribuite secondo una scala dipriorità differente.

27 Finora ci siamo riferiti al concetto di metapreferenza come un rapporto tra due variabilie non come ad una variabile. Dunque in questo caso dovremmo parlare piùcorrettamente di metapreferenza “nutrimento-prezzo del bene più economico”:l’utilizzo del termine “fame” è ovviamente utilizzato per comodità analitica. In questocaso però essa indica anche l’introduzione di una terza variabile nello spaziocartesiano: sul terzo asse viene infatti indicata la capacità di utilizzare denaro pernutrirsi. In questo caso la fame viene annullata quando viene comprata una mela;altrimenti è possibile risparmiare 0,2 euro, soffrendo il massimo della fame. La lineain rosso indica dunque il confine delle soluzioni possibile, una sorta di “vincolo dellafame”.

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50 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 51

FIG 2: Conseguenze della modifica di metapreferenza in uno spazio in cui è

inserita una terza variabile28

Il vantaggio di considerare direttamente la condizione di grave scarsità

non tanto come una situazione statica e data sulla quale insistono le

preferenze per i beni (anch’esse considerate come date), ma come una

variabile, è quello di evidenziare maggiormente la restrizione nella libertà di

scelta che si verifica sotto un certo limite di risorse.

Introducendo la variabile della “fame”, infatti, le curve di indifferenza

in questo spazio cartesiano (x,z) rappresentano non più la metapreferenza

gusto/prezzo, ma quella “nutrimento-prezzo del bene più economico”:

mantenendo però uno schema di lettura unico risulta visibile lo shift da una

metapreferenza all’altra sotto un certo limite di risorse minime.

Come si vede in fig.2 infatti il segmento che delimita l’area della

scarsità (in grigio) segna il confine in cui il processo di scelta termina di

essere libero: la condizione di scarsità è tale che la scelta obbligata è per

l’acquisto di una mela .

Se considerassimo uno spazio bidimensionale (x,y) potremmo

affermare di trovarci in una condizione simile a quella che nella precedente

tabella era indicata come lo stato 1 di deprivazione: la condizione di scarsità

è tale per cui le curve di indifferenza tra mele e pesche diventano talmente

inclinate da portare ad una soluzione ad angolo29. Le vere preferenze

28 Ci limitiamo in questa sede ad introdurre l’idea di una complicazione del modello di

scelta in condizioni di scarsità, senza affrontare nel dettaglio analitico ogniconseguenza per la teoria microeconomica.

29 Allo stesso modo in condizioni di estrema abbondanza verranno scelte sempre pesche.

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52 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

dell’individuo tra pesche e mele che si verificano in condizioni normali, in

questo caso non possono essere raggiunte e si assiste ad una scelta obbligata.

Con questo schema non si riesce però a comprendere perché le curve

subiscano questa forte trasformazione, né perché scompaiono nella zona

grigia.

In questo caso di estrema povertà infatti, che nella tabella era indicato

come stato di deprivazione 3, l’individuo non utilizza più a metapreferenza

relativa al gusto, ma il suo comportamento di scelta viene orientato dalla

metapreferenza della fame30.

Il suo comportamento risulta così segmentato in diversi momenti, in cui

la contrazione dello stato di benessere risulta affiancata da una diminuzione

della capacità di agency: quelli in cui opera un meccanismo di

metapreferenze in condizioni “normali”, quelli in cui una condizione di

parziale scarsità (o abbondanza) distorce le preferenze portando a soluzioni

d’angolo e un terzo caso in cui vengono perseguite altre metapreferenze.

Questa complicazione del modello presenta senza dubbio molti limiti,

ma permette se non altro di evitare una contrapposizione tra benessere e

libertà, considerando entrambi questi aspetti come centrali nel processo di

scelta.

Un modello alternativo che parta dall’assunto che ai “margini” la teoria

neoclassica del consumo non funziona.

Abbiamo visto che nelle varie situazioni di povertà il rapporto tra

risorse e formazione delle preferenze subisce delle variazioni: ciò avviene

per differenti motivi, legati all’indivisibilità dei beni o a loro caratteristiche

30 Gli stati 2 e 4 non vengono invece illustrati in questo schema, in quanto prevedono un

modello multiperiodale.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 53

specifiche (merit goods) nei casi di deprivazione più lieve, fino alla

diminuzione o alla negazione della libertà sostanziale di scelta o di

formazione delle preferenze nei casi più gravi.

Più in generale dunque la maggiore evidenza che abbiamo tratto è che

si può costruire una teoria sulla povertà a partire dall’analisi della scelta

razionale in condizioni di scarsità: è l’unione di questi due tipi di analisi, a

prima vista distanti, che permette di avvicinare Mr. Agency e Mr.

Wellbeing.

4. Povertà di che cosa?

Fin qui il concetto di povertà è stato affrontato in modo indiretto e

marginale in due differenti contesti.

Nel secondo paragrafo sono stati trattati alcuni aspetti delle teoria della

scelta sociale che ci hanno mostrato la contrapposizione tra l’idea di

benessere inteso come massimizzazione delle utilità personali e il concetto

di libertà come tutela di alcuni diritti essenziali.

Le considerazioni avanzate a livello teorico ci hanno portato a

considerare inefficienti quelle scelte maturate in condizioni di assenza di

libertà dovute alla povertà estrema; da un punto di vista normativo,

analizzando le varie teorie della giustizia sociale e le differenti

interpretazioni del concetto di libertà, questa considerazione è stata ripresa

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54 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

anche sul piano dell’equità, sia nella teoria dei beni primari di Rawls, sia in

quella delle capabilities di Sen.

Queste considerazioni sono state poi confermate nel paragrafo

successivo, quando abbiamo provato ad applicare le conclusioni

dell’approccio seniano ad un modello di scelta razionale di un soggetto in

condizione di scarsità di risorse. Concentrandoci su questa situazione

specifica sono risultate più chiari i rapporti tra condizioni di benessere e

possibilità di godere di libertà di azione: le condizioni di bisogno della

povertà estrema, infatti, vincolano fortemente il comportamento individuale,

distorcendo il rapporto tra informazione, formazione delle preferenze e loro

appagamento.

A questo proposito nel par.3 il ragionamento sulle limitazioni che un

modello di scelta razionale può incontrare in condizioni di grave scarsità di

risorse, ci ha portato a formulare una classificazione di quattro diverse

situazioni di povertà.

Mettendo però ora per un attimo alle spalle gli aspetti più generali della

teoria della scelta e le osservazioni sulla giustizia sociale, ci concentriamo

direttamente sul concetto di povertà.

I due ambiti non sono ovviamente così scindibili da essere analizzati

separatamente, se è vero come ricordavamo in apertura, che la scelta di un

frame teorico di riferimento è una scelta anche di tipo normativo, e la

nozione di povertà non sfugge a questa ipotesi.

Avremo dunque una chiave di lettura in più per verificare le differenze

tra diverse definizioni di povertà: la scelta di una prospettiva analitica dalla

quale osservare la povertà, infatti, non può essere considerata indipendente

dagli altri elementi teorici e prescrittivi che orientano un determinato

approccio.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 55

Anzi, il discorso sulla povertà, per i motivi già ricordati, offre ampie

possibilità per una lettura di confine: le pagine precedenti ci hanno mostrato

come, in questo tema più che in altri, siano visibili i fallimenti degli

approcci “integralisti” da un punto di vista disciplinare.

Perché esso consente l’adozione di una prospettiva analitica che

permette di contemperare il peso dell’attore e quello della struttura sociale e

rompere la correlazione tra razionalità individuale e utilitarismo da un lato,

tra rifiuto della razionalità e tutela dei diritti dall’altro.

Questa conciliazione è possibile se il discorso sulla povertà viene

affrontato dedicando ad essa uno spazio analitico che non si concentri

esclusivamente sugli aspetti reddituali.

La scelta dello “spazio” analitico è dunque un elemento centrale: esso

indica anzitutto una scelta di tipo normativo, l’insieme di variabili che

condizionano lo stato di deprivazione (reddito, capitale, stato di salute ecc.),

ma influisce anche sulle formulazioni di policy per combattere questa

situazione di svantaggio.

La prima scelta che va intrapresa dunque è comprendere di quale tipo di

svantaggio si sta discutendo, se solo della povertà monetaria, o se invece si

prendono in considerazione anche le modalità con cui il reddito può essere

convertito in “funzionamenti”.

Come si vede il nesso con gli aspetti normativi fin qui trattati è molto

forte; a ben vedere vi è anche una relazione con gli aspetti teorici della teoria

della scelta, se pensiamo alla variabile analitica scelta per definire lo spazio

semantico della povertà (reddito, libertà di azione ecc.) come ad una

metapreferenza. Ma torniamo agli aspetti descrittivi.

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56 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Il titolo di questo paragrafo evoca un famoso saggio in cui Amartya

Sen31 ricordava come l’eguaglianza in alcuni “spazi”, ad esempio quello del

reddito, può comportare per differenti individui, la disuguaglianza sotto altri

punti di vista, ad esempio la capacità di convertire il medesimo ammontare

di denaro in benessere.

Gli economisti di solito preferiscono nel valutare disuguaglianza e

povertà la scelta dello “spazio” del reddito (o del consumo) per comodità di

calcolo; scelta che però comporta, come abbiamo visto, anche il giudizio di

valore di identificare l’utilità procurata dal reddito con il benessere.

Sen, ponendosi il compito teorico di rifiutare questo modello,

contrappone ad una definizione di disuguaglianza “descrittiva”, basata

esclusivamente sulla distribuzione del reddito, una nozione di

disuguaglianza “etica”, che considera anche altri aspetti che possono essere

legati al raggiungimento del well-being, come quelli relativi alla

distribuzione di libertà, salute, sfruttamento ecc. (Sen 1982; Sen 1992).

Dai limiti della disuguaglianza descrittiva a quelli della povertà

descrittiva il passo è breve.

Innanzitutto perché gli indici ufficiali e maggiormente diffusi per

misurare la povertà, tra cui l’ International standard of poverty line, in realtà

misurano esattamente la disuguaglianza economica, calcolando la

percentuale di popolazione che si trova al di sotto di certi requisiti relativi

alla vita media di un determinato Paese32.

31 “Equality of What?”, in Tanner Lectures on Human Values, I, a cura di McMurrin S.,

Cambridge, Cambridge University Press, 1980; trad.it in 1986 "Scelta, benessere,equità”, Il Mulino, Bologna.

32 Da questo indice viene infatti definita povera una famiglia di due persone che si troviuna condizione reddituale inferiore al reddito procapite di quel Paese; trascurando lelievi correzioni che comporterebbe l’applicazione delle scale di equivalenza, è comedire che una persona è povera se ha un reddito inferiore alla metà del reddito medio di

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 57

In secondo luogo perché le misurazioni di questa povertà relativa

utilizzano proprio il reddito procapite (o il consumo) per indicare questi

requisiti-soglia.

Una definizione di povertà esclusivamente basata sugli aspetti

reddituali presenta dunque gli stessi inconvenienti che Sen ha indicato per la

definizione della disuguaglianza: si trascura l’importanza dell’intensità del

bisogno, non si capisce quanti sono gli individui in condizione di vera

penalizzazione33 e non si presta attenzione alle condizioni originarie della

deprivazione.

Vi è poi un quarto elemento di critica, legato al fatto che,

concentrandosi esclusivamente sul reddito, non si prendono in

considerazione le modalità di conversione di quest’ultimo in

“funzionamenti”.

Sen utilizza questo argomento parlando di disuguaglianza; a nostro

avviso però questo genere di considerazione vale anche di più per il tema

della povertà, che a differenza della disuguaglianza, non è un concetto di

natura differenziale.

Per quanto infatti possiamo relativizzare la definizione di povertà ad

una epoca storica, o ad un contesto territoriale di riferimento, per

distinguerlo dalla disuguaglianza devono comunque emergere gli aspetti

legati a stati di deprivazione.

Immaginiamo ad esempio, che in un Paese caratterizzato da un ottimo

livello di benessere per tutta la popolazione, vivano anche i 100 uomini più

una popolazione. Siamo dunque ad una formulazione più vicina alla disuguaglianzache alla povertà assoluta.

33 L’utilizzo a fianco della misura di incidenza della povertà relativa, di altre due misuredella povertà, l’intensità della povertà e l’incidenza della povertà assoluta,recentemente introdotta dagli Istituti statistici nazionali di quasi tutti i Paesi ha portatoad un parziale superamento di questi due primi problemi.

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58 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

ricchi del pianeta. Se misurassimo la disuguaglianza economica di questo

ricchissimo Paese, essa probabilmente risulterebbe maggiore di quella di un

Paese sub-sahariano caratterizzato da una condizione di povertà

“egualmente” distribuita: per quanto ritenessimo opportuno relativizzare il

concetto di povertà al contesto di riferimento sarebbe però assurdo ritenere

povero un abitante del primo Paese che si trovasse al di sotto del 50% del

reddito procapite e non un abitante del secondo Paese che ne stesse al di

sopra.

Mentre il concetto di povertà non sarebbe dunque chiamato in causa

nello studio del primo Paese, quello di disuguaglianza potrebbe al contrario

rivelarsi utile per misurarne i fenomeni di distribuzione del reddito o le

condizioni di vita, anche se esse poco hanno a che fare con condizioni di

deprivazione e in cui probabilmente tutti i cittadini raggiungono i

funzionamenti necessari alla propria vita dignitosa in quella comunità34.

La relazione tra povertà relativa ed esclusione sociale non investe

dunque il concetto di disuguaglianza economica se non in limitati casi.

L’utilizzo del criterio reddituale per misurare la “distanza”, espressa da

quest’ultima, pare dunque più giustificabile, che non per la misurazione di

un concetto più articolato come quello di povertà.

Al contrario la relazione tra risorse monetarie ed acquisto di quei beni

che soddisfano i bisogni primari, non è ancora sufficiente a descriverci i vari

passaggi tra reddito e povertà: mentre, se consideriamo in maniera esclusiva

lo spazio reddituale, due individui con uno stesso reddito oltre la soglia di

povertà sono considerati entrambi non poveri, le diversità umane (sesso, età, 34 Per quanto possa essere “esigente” lo stile di vita di una comunità per far sentire

inclusi i suoi membri, una sorta di “relativismo” integralista su questo aspetto rischiadi creare un po’ di confusione concettuale. Il concetto di esclusione sociale deve

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 59

disabilità fisiche ecc.) non assicurano che quell’uguaglianza reddituale si

converta per entrambi in realizzazione di funzionalità dei beni acquisibili

(cioè di funzionamenti).

Un individuo malato, ad esempio, potrebbe disporre di un reddito assai

superiore ad un individuo sano, ma poi doverne spendere in misura talmente

elevata per l’acquisto di farmaci da ritrovarsi in condizioni di povertà.

Dunque le considerazioni sull’importanza della conversione del reddito

in benessere ben si prestano ad un ragionamento sul concetto di povertà, che

indica una condizione in cui, per un motivo o per un altro, questo processo

di conversione non è assicurato. E, come visto, la scarsità di reddito è sola

una della cause possibili.

Considerare solo l’aspetto reddituale per indicare il concetto di povertà

può comportare alcune pericolose conseguenze anche sul piano della policy,

offrendo l’illusione che basta portare il reddito degli individui indigenti al di

sopra (o più vicini) al valore soglia-limite per eliminare il problema della

povertà: si trascura così il compito di erodere le vere cause della povertà e,

in caso di esiguità di risorse pubbliche, potrebbe valere il pericoloso

ragionamento utilitarista (diffuso nella realtà di public policy tramite la

distinzione tra deserving e undeserving poors) di garantire risorse solo a

coloro che riescono ad uscire da questa condizione più facilmente, (perché

sono ad esempio sani e giovani, pronti per ogni lavoro ecc.) e permettere

così una più efficiente gestione del denaro pubblico.

Accertato quindi che qualsiasi definizione di povertà presuppone un

giudizio di valore, l’obiettivo dovrebbe però essere quello di scegliere uno

spazio semantico che sia il più ampio possibile, così da comprendere in tutte

ovviamente tener conto della povertà relativa, ma di questo passo si rischia diconsiderare “escluso” un cittadino degli Emirati Arabi che non possieda uno yatch.

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60 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

le sue accezioni la suggestiva evocazione di una condizione di “obvious

want and squalor” di cui Rowntree parlava nel suo seminale contributo sugli

studi della povertà (1902).

Per cogliere nella sua totalità questa “miseria delle vite” (Sen 1999,26)

possono essere scelte differenti variabili analitiche con cui misurare la

povertà: il reddito, il benessere, l’utilità, le capacità di agire e conseguire.

Di solito negli stati di deprivazione esiste una concatenazione causale

tra le privazioni relative a singole variabili analitiche (chi ha un basso

reddito è più esposto a malattie, chi non sa leggere più difficilmente

diventerà ricco ecc.) ma come ricorda sempre Sen questa forte correlazione

non ci deve distogliere dalla possibilità di analizzare l'incapacitazione da

sola.

La scelta di questo Autore è di utilizzare lo spazio dei functionings

come elementi “basic” che ci permettono di essere capaci di vivere una

“valuable life” (Ruggeri Laderchi 2001): ciò permette dunque di ampliare il

discorso sulla povertà non legandolo solo al reddito, ma nemmeno

ponendolo in contrapposizione a questa lettura.

Per Sen infatti il rapporto tra capabilities e reddito è solo strumentale:

esistono molte variabili che influenzano la deprivazione (o l’attivazione) di

capabilities e tra di esse il reddito non occupa una posizione primaria,

essendo la relazione tra basso reddito e basse capabilities “parametricamente

variabile” (Ruggeri Laderchi 2001).

Ciò vuol dire che l’incidenza di questo rapporto dipende da altre

condizioni ed aspetti legati alle diverse comunità e famiglie di origine: Sen

sembra dedicare dunque agli aspetti legati a quello che altrove è stato

definito capitale sociale, un attenzione almeno pari a quella del reddito nella

definizione di povertà.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 61

Se si possono fare tre note a questo interessantissimo ed innovativo

approccio, in primo luogo va considerato che, a ben vedere, quella di Sen è

un tipo di definizione di povertà che si confonde e deborda in quella di

esclusione sociale35.

E’ pur vero che queste definizioni dai confini meno rigidi permettono

di non considerare isolati i due concetti e di metterne in discussione gli spazi

di azione, ma va al contempo evitata una confusione concettuale.

L’esclusione sociale è un termine che è comunque riferito ad una

nozione di cittadinanza e di partecipazione ad un contesto comunitario, alle

sue regole e stili di vita; la povertà riguarda solo un aspetto di questo

fenomeno, che è quello di scarsità36.

Un altro appunto deriva dall’impressione che Sen ritenga che solo

utilizzando lo spazio delle capacitazioni e non ad esempio quello del

benessere, si possa allargare lo spazio semantico della povertà fino a

comprendere altri approcci, come quello basato sul reddito. Non

discuteremo però questo punto che ci porterebbe troppo lontano e

preferiamo concentrarci sul terzo aspetto, forse il più importante, che può

indebolire la teoria della povertà come incapacitazione.

Questo genere di approccio infatti, presenta il forte inconveniente di

rendere difficile una sua operazionalizzazione in indicatori sintetici.

Fermo restando che è difficile pensare che un concetto oggi reso così

articolato come quello della povertà, possa essere catturato pienamente da

35 Va ricordato però che i primi contributi di Sen sullo studio della povertà tramite

l’approccio delle capabilities sono precedenti all’avvento del dibattito sul concetto diesclusione sociale.

36 Ciò dovrebbe valere indipendentemente dall’oggetto della scarsità, sia essa di reddito,di capacitazioni o di benessere. Con questo non si vuole ritenere la condizione dipovertà inclusa in quella di esclusione, ma semplicemente più limitata comeestensione semantica: possono ad ogni modo esservi esclusi non poveri e perfinopoveri non esclusi.

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62 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

un indicatore unico37, va effettuata una scelta tra una maggiore descrittività,

rappresentata da una pluralità di indici, e la maggiore praticità di un’unica e

corretta misura di povertà.

Lo stesso Sen considera l’utilizzo della dimensione monetaria

deficiente dal punto di vista della “rilevanza”, ma necessaria da quello della

applicabilità (Sen 1993): la carenza di reddito rimane infatti l’indicatore

maggiormente indicativo per indicare almeno l’estensione del fenomeno di

povertà.

Il recente dibattito sulla comparsa di “nuove povertà” o di povertà

“specifiche”, come quella abitativa, di lavoro, di salute ecc. (Spanò 1999)

indicherebbero quantomeno utile che ai dati relativi al reddito, vadano

accostati altri strumenti, per comprendere fino in fondo i fenomeni di

deprivazione specifica.

Se invece riteniamo ancora la povertà un fenomeno globale, in cui le

singole deprivazioni di bisogni specifici si sommano tra di loro, dovremmo

essere capaci di utilizzare un indicatore unitario; come era accaduto in

precedenza per gli aspetti definitori dunque, è evidente come, anche per gli

aspetti misuratori, la scelta di una scelta valoriale e normativa influisca

direttamente sulla scelta degli indicatori più adatti.

Utilizzando però questa idea di povertà più generale, emergono sia le

inadeguatezze della semplice variabile reddituale a descrivere il fenomeno

nella sua complessità, sia le difficoltà di accorpamenti di altre dimensioni

specifiche, nonostante i recenti autorevoli sforzi (Atkinson et at. 2002).

37 Lo stesso Sen conscio di questo limite ha affermato che “data la natura complessa del

concetto di povertà sembra ragionevole sostenere che nessuna misura, singolarmentepresa, è in grado di catturare l'intero concetto”.E che è dunque opportuno sostenere un“pluralismo, puntando ad una classe di misure anziché ad un'unica e "corretta" misuradi povertà” (Sen 1982).

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 63

La soluzione proposta da Sen in un altro contributo (1994) che sembra

anche a noi contestualmente semplice ed adatta a rappresentare un approccio

basato sulle libertà di scelta, è quella di indicare un reddito “inadeguato” a

raggiungere i functionings di base, piuttosto che una soglia relativa rispetto

al resto della popolazione. inadeguatezza

In questo modo il reddito viene semplicemente scelto come variabile

che indirettamente può riflettere meglio di altre una condizione di scarsità e

incapacità; al contempo in questo modo risulta chiaro come la componente

reddituale abbia un ruolo importante nel concorrere alla formazione di

quelle capabilities che dipendono anche dalla cultura di una società: è

dunque possibile rimanendo in un’ottica di povertà globale, indagare i

fenomeni di deprivazione come fallimenti dei meccanismi di integrazione

sociale.

Abbiamo già ricordato infatti che la conversione delle capabilities oltre

che dal reddito dipende da altri fattori, non solo riferiti alla singola persona

(salute, istruzione, relazioni sociali e lavorative ecc.) ma anche ad un

gruppo, alla cultura, all’ideologia e alla coesione sociale di una data società.

In conclusione, a determinare i risultati esprimibili intermini di

benessere concorrono le possibilità che un soggetto si trova a disporre in

termini di agency, anche sotto forma di libera espressione, istruzione,

dotazione di un certo capitale sociale.

Questi fattori, ad esempio Sen ricorda come il maschilismo di alcune

società possa influenzare la capacità delle donne di conversione del reddito

in funzionamenti (Sen 1994), permettono una forte interrelazione tra il

concetto di povertà globale intesa nel senso delle libertà e quelle della

vulnerabilità e dell’esclusione sociale.

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64 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

E permettono di comprendere come alcuni fattori macro possano

direttamente influire sulle scelte “razionali” degli individui in condizioni di

scarsità.

E’ dunque evidente la grande distanza tra una definizione solo

descrittiva di povertà, concentrata su calcoli reddituali, ed una sua

dimensione “etica”, che può anche essere espressa da indicatori che

utilizzano quella stessa variabile, ma solo per comodità esplicativa e non per

aporia concettuale.

Se adottiamo questo secondo approccio, che è stato presente in tutte

queste pagine, divengono infatti importanti anche gli elementi relativi alla

comunità in cui il soggetto si trova a vivere.

In questo modo si presenta il vantaggio, pur dovendo affrontare un

rischio di ambiguità con altri concetti analoghi come quello di esclusione, di

assistere ad una stretta correlazione tra gli aspetti teorico concettuali della

povertà e le sue implicazioni di policy, relazione non così diretta e visibile

nell’altro approccio.

Se infatti la povertà viene vista come un meccanismo che, anche

secondo quanto visto nel precedente paragrafo, opera da ostacolo ad una

piena libertà di scelta individuale, impedendo l’accesso ad un reddito

“adeguato” a raggiungere determinati functionings, anche la giustificazione

per un intervento di policy diventa diversa e più cogente.

Non si tratta infatti in questo caso di interrogare solo l’elemento etico

della equità sociale per giustificare la necessità di un reddito minimo ai più

bisognosi; far uscire queste persone dalla povertà può essere visto anche

come un sistema per assicurare scelte più libere e garantire dunque una

maggiore efficienza al sistema.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 65

Se adottiamo il bagaglio teorico presentato nel paragrafo 3, quindi,

potremmo sostenere la opportunità di una politica contro la povertà tale da

liberare ogni individuo dal meccanismo della “fame”.

Anche utilizzando gli argomenti dei liberali dunque è possibile

sostenere che un maggiore sforzo va fatto nelle politiche contro la povertà:

anche se l’obiettivo fosse solo quello di ottimizzare l’efficienza del sistema

tramite una perfetta operatività dei meccanismi di scelta individuale, vanno

rimossi tutti quegli ostacoli che limitano questo meccanismo. E abbiamo

visto che le condizioni di grave scarsità di risorse possono impedire

pesantemente il processo di libera scelta, quindi di fatto ostacolare i liberi

processi di mercato.

Poiché uno dei principi del libero mercato afferma che la scelta di

ciascun attore deve poter essere perfettamente flessibile rispetto al prezzo;

ma così non sarà se ad essere a rischio è la loro stessa sopravvivenza

(Esping Andersen 1999).

Il fallimento del mercato nell’escludere gli individui ad alto rischio

necessita dunque di risposte dello Stato nel settore delle politiche sociali

(Barr 1993).

In queste pagine abbiamo sostenuto questo argomento, fornendo una

lettura centrata sulla libertà di scelta individuale come diritto di ognuno per

poter sviluppare le proprie “capacitazioni”: la povertà è stata qui definita

soprattutto come l’assenza di questa condizione.

Non è questa la sede per trattare a fondo l’affascinante relazione tra

liberalismo, diritti ed intervento dello Stato.

Già Marshall ricordava come le libertà politiche necessitano come loro

fondamento di diritti sociali fondamentali; la necessità di un intervento dello

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66 Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse

Stato per tutelare la parte più vulnerabile della popolazione è stato poi

ripreso dai più illuminati liberali.

All’argomento della maggiore efficienza si accompagna chiaramente

anche l’aspetto dell’equità sociale: la politica sociale va vista dunque anche

come quell’esigenza di una rete di sicurezza sociale, capace di rendere

sopportabile una condizione di rischio per i molti che non possono

renderselo tollerabile da soli.

Il Welfare State può dunque servire a trasformare la condizione di

rischio dalla connotazione negativa legata alla vulnerabilità sociale, ad una

positiva legata a nuove opportunità sociali ed a possibilità di intraprendere

libere scelte.

Questa modalità di giustificare l’intervento dello Stato nell’economia è

alquanto nuova: esistono nella microeconomia tradizionale altri casi in cui i

fallimenti del mercato prevedono l’intervento di un’autorità statale come

scelta sociale efficiente e razionale per l’erogazione di alcuni beni o in altri

particolari casi (beni pubblici, esternalità negative ecc.).

Ma l'intervento di un vero e proprio Stato "etico" che decida per il

"bene" degli individui, sulla base della valutazione secondo cui in alcuni

casi essi non riescano a tutelare i propri interessi reali , è stato limitato a

rarissimi casi, come ad esempio quello dei merit goods, di cui abbiamo già

parlato in precedenza.

La giustificazione esposta dalla teoria tradizionale per giustificare

l’intervento coercitivo dello Stato in questo caso si basa sull’incapacità degli

individui di convertire le proprietà di alcuni particolari beni (come

l’istruzione scolastica) in utilità38.

38 Si veda Franzini Messori, p 21 in particolare la nota 17.

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Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse 67

Così come viene avanzata però questa spiegazione non pare sufficiente:

essa presuppone implicitamente che esista una sorta di coercizione di ciò

che è giusto e bene e ciò che non lo è e che lo Stato si debba far garante del

raggiungimento di questo bene generale per la collettività.

Di fatto si assisterebbe ad una imposizione che vada a scapito delle

libertà individuali. Come notano Franzini e Messori (1991), perché poi deve

essere lo Stato a decidere quali sono le preferenze che saranno seguite?

Sarebbe invece opportuno introdurre nella spiegazione l'idea che

esistono situazioni in cui gli individui non riescono a valutare la scelta più

confacente i propri interessi, indipendentemente dal loro contenuto, oppure

la conoscono ma non riescano a conseguirla, essendo dunque costretti a

modificare le proprie preferenze.

In questi casi non può essere il mercato il miglior sistema di

coordinamento dell'economia.

Anche nel caso da noi analizzato, la condizione di scarsità, abbiamo

visto come si assista ad una distorsione delle preferenze che non coincidono

più con gli interessi individuali: questa situazione va semplicemente

riequilibrata anche per permettere all'efficienza paretiana di tornare ad

operare. E solo un intervento esterno può risolvere questo problema.

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Osservazioni conclusive

In queste pagine abbiamo trattato brevemente due temi teorici di grande

interesse per le scienze sociali: quello della teoria della scelta sociale e

quello della povertà.

Il nostro obiettivo era quello di mostrare la necessità di affiancare le

due questioni per consentire, tramite una riflessione sulla prima, una nuova

lettura della seconda.

Come ricordava anni fa Simon “niente è più importante nel decidere la

nostra agenda di ricerca e nell’instaurazione di un metodo scientifico che la

nostra visione della natura e dell’uomo il cui comportamento stiamo

studiando”39.

Siamo dunque partiti dalla convinzione che per ridefinire il concetto di

povertà al di fuori di una nozione esclusivamente basata sulla mancanza di

reddito, la prima operazione da fare era comprendere il comportamento di

un soggetto in condizione di scarsità di risorse.

Abbiamo visto nel secondo paragrafo come da questo punto di vista

permanga un forte iato tra un’impostazione utilitarista, centrata sulle scelte

razionali del soggetto e sui suoi risultati in termini di benessere personale e

la visione improntata sull’importanza dei diritti e delle libertà.

La sociologia economica è dunque chiamata ad un compito importante

nel suo ruolo di disciplina di confine: per favorire un avanzamento della

conoscenza delle condizioni di scelta del soggetto deprivato è necessario

39 Simon H. (1985) Human Nature in Politics: the Dialogue of Psychology with Political

Science, "American Political Science Review", 79, 293-304

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integrare i due approcci e superare le attuali incompatibilità tra i due

modelli.

La scelta operata in queste pagine è stata appunto quella di rimanere

nella cornice teorica della scelta razionale, rifiutando però una visione

basata esclusivamente sul well-being: utilizzando la teoria delle capabilities

di Sen, abbiamo utilizzato una definizione sostanziale di libertà per integrare

l’enfasi sui diritti e sull’agency, come capacità di azione, con l’aspetto della

libertà come possibilità di autorealizzazione personale.

L’ipotesi principale che ha guidato il nostro percorso infatti è stata dare

un giudizio normativo di povertà come mancanza di capacità di agency e

non solo come scarsità di risorse, sostenendo che la carenza di un livello

minimo di queste ultime porta il soggetto ad operare scelte senza godere di

una reale capacità di azione.

Per argomentare maggiormente questo punto abbiamo provato a

descrivere il comportamento di un attore razionale in condizioni di scarsità

estrema, seguendo il classico approccio dell’economia neoclassica.

Rispetto a quel modello però abbiamo utilizzato uno strumento teorico

che Etzioni ha definito “metapreferenza”, che permette di considerare,

all’interno di un modello di scelta razionale tra due beni, anche gli obiettivi

ultimi che guidano l’azione individuale.

Questo punto è stato di fondamentale importanza perché ci ha permesso

di sostenere che, oltre un determinato livello di risorse minime, sono proprio

queste metapreferenze, le finalità di fondo dell’azione individuale, a mutare,

e a modificare il modello di scelta del soggetto.

Ne abbiamo tratto un’indicazione utile per una lettura sulla povertà

intesa come “incapacitazione”: nel terzo paragrafo abbiamo indicato quattro

diversi stadi di questa inabilità alla scelta dovuta alla scarsità di risorse.

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Poiché le metapreferenze come ricorda lo stesso Etzioni permettono all’

“homo socioeconomicus” di contemperare atteggiamenti orientati

all’interesse economico da un lato e struttura sociale dall’altro, questo

approccio allo studio della povertà consente di impostare un ragionamento

di deprivazione economica che sia però anche embedded nella società.

Abbiamo ricordato più volte, infatti, come le incapacitazioni non siano

solo il risultato delle condizioni di povertà individuale: esse possono essere

stimolate o al contrario ulteriormente depresse dal contesto sociale e politico

in cui il soggetto si trova inserito.

La presenza di aiuti comunitari, di rapporti fiduciari e solidaristici, la

presenza di un capitale sociale e culturale, così come di un sistema politico

caratterizzato da un regime democratico e di meccanismi regolativi

dell’economia capaci di riallocare le risorse iniquamente distribuite, possono

intervenire nei percorsi di “capacitazione” individuale.

Pur brevemente ci siamo soffermati solo sull’ultimo di questi aspetti: la

presenza di politiche contro la povertà che stimolino le capacità di

attivazione individuale possono sradicare i percorsi di impoverimento,

garantendo una maggiore equità sociale, ma anche una maggiore efficienza.

La definizione di povertà che abbiamo utilizzato, infatti, permette di

legare il suo superamento ad un miglioramento nelle condizioni dei processi

di scelta individuali, liberati dagli ostacoli che ne vincolavano la piena

realizzazione: in questa condizioni anche i processi di mercato possono

operare con maggiore efficacia.

In conclusione è possibile trarre da questa interpretazione della povertà

anche indicazioni di policy: vi è la necessità di un intervento esterno, di una

“mano visibile” capace di riequilibrare le distorsioni più evidenti, che

negano una condizione di libertà sostanziale ad alcuni individui, per

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garantire sia una maggiore efficienza al sistema economico, sia una

maggiore equità sociale.

E’ importante però, che a muovere il policy maker sia la

consapevolezza che povertà non è solo una condizione di scarsità reddituale,

che può essere superata dotando di un qualche sussidio gli individui più

indigenti: essi devono poter essere messi in condizione di superare le cause

originarie del loro impoverimento, tramite un sostegno alle proprie

“capabilities” e non solo al proprio reddito.

La frontiera di questo genere di politiche rimane l’idea di un reddito di

base, di un diritto all’esistenza assicurato a tutti i cittadini, che

permetterebbe una reale capacità di scelta lavorativa, di gestione del proprio

tempo libero e di liberazione dal vincolo economico che qui abbiamo

definito della “fame”. Permangono alcune perplessità, essenzialmente legate

al rapporto tra esigenze di finanza pubblica e recepimento culturale di uno

strumento così innovativo: in questi anni si stanno sempre più diffondendo

in Europa strumenti di protezione del reddito di tipo attivo, che prevedono

cioè a fianco di un trasferimento monetario, una attivazione sociale e

lavorativa dei beneficiari e non una loro partecipazione passiva di tipo

assistenziale.

Questo genere di politica sembrerebbe essere, almeno teoricamente, la

“via media” alla crescita di capabilities per tutti: dubbi, errori e correzioni

sono essenzialmente legate alle sue implementazioni.

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