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Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 1 29/09/2015
Università degli Studi di Siena
Dipartimento di Economia politica e Statistica
Lezioni di economia della crescita e dello sviluppo
Sergio Cesaratto1
Anno accademico 2015-16
(versione provvisoria)
1 Sergio Cesaratto ha conseguito la Laurea in Economia (relatore Pierangelo Garegnani), il
Dottorato di ricerca presso ‘La Sapienza’ di Roma, e un Master presso l’Università di Manchester.
E’ stato ricercatore presso il CNR e ‘La Sapienza’ di Roma. E’ professore ordinario presso
l’Università di Siena, Dipartimento di Economi Politica e Statistica. E’ stato Presidente del Corso di
laurea in Scienze per la Cooperazione e lo Sviluppo. Ha numerosissime pubblicazioni su riviste
internazionali e italiane. E’stato visiting presso numerose università straniere. Nel 2009 è stato
visiting professor presso il Centro Celso Furtado e le Università Federali di Rio de Janeiro e
Fluminense e nel 2010 presso l’Università di Castilla-La Mancha. Nel 2012 ha ricevuto inviti da
università a Santo Domingo, Argentina, Irlanda e Corea del Sud. CV e pubblicazioni nell’home
page del docente: http://www.econ-pol.unisi.it/cesaratto. Scrive su diversi quotidiani nazionali e
blog. Il suo blog è http://politicaeconomiablog.blogspot.com/
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Indice (le parti contrassegnate con N non sono parte del programma d’esame; le parti
contrassegnate con R sono meri ripassi di corsi precedenti ma in genere necessari per
preparare bene l’esame)
Introduzione: Il filo rosso delle lezioni
Capitolo 1
I fatti stilizzati della crescita e della popolazione; la grande crisi e la grande stagnazione
.
1. Uno sguardo a due millenni di crescita di popolazione e reddito
1.1. Gli ultimi due millenni e le fasi dello sviluppo capitalistico
1.2. Gli utlimi due decenni
2. Gli ultimi anni: la crescente diseguaglianza e la grande crisi
3. La transizione demografica (accenno)
4. La stagnazione secolare (accenno)
Capitolo 2
Teorie del sovrappiù e sviluppo economico
1. Il concetto di sovrappiù
2. Sovrappiù e sviluppo umano: il contributo di Diamond
3. Come emerge il sovrappiù nella storia del pensiero economico: il mercantilismo
3.2. Un surplus commerciale è un obiettivo importante?
3.3. La disoccupazione come spreco
3.4. Sovrappiù sociale e coordinamento fra sovrappiù sociale e surplus esterno.
3.5. Il coordinamento fra i due surplus
3.6. Salari e popolazione nei mercantilisti
3.7. Petty N
1.4. Adam Smith
4.1. La divisione del lavoro
4.2. Divisione del lavoro, natura del prezzo e mano invisibile
4.3. La distribuzione del reddito in Smith
4.4. Visioni armoniche e disarmoniche del mercato e delle relazioni economiche internazionali:
conclusioni su mercantilismo e Smith.
5. David Ricardo
5.1 Il Saggio sui profitti
5.2. La teoria del valore lavoro
6. Karl Marx
6.1. Il materialismo storico
6.2. La teoria del valore lavoro
6.3. Pluslavoro e pluvalore
6.4. Componenti del valore e saggio del profitto
6.5. I problemi che incontra Marx
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6.7. L’esercito industriale di riserva
6.8. La caduta tendenziale del saggio del profitto
6.9. La trasformazione dei valori in prezzi
6.10. Crisi da domanda in Marx
1.7. Sraffa e lo sviluppo del sistema classico N
7.1.
7.2. Una economia di sussistenza
7.3. Produzione con sovrappiù
7.4. Sistema dei prezzi
7.5. Relazione salario-saggio del profitto
7.6. Merci base e non base
7.7. Salario sopra la sussistenza
7.8. Relazione salario-profitto e la critica al marginalismo (accenni)
8. La controversia sul crollo del capitalismo: Tugan-Baranowsky, Rosa Luxemburg e la sintesi di
Kalecki
Appendice N
Surplus approach, neoclassical theory and institutions: Diamond vs. Acemoglu & Robinson
Capitolo 3
Teorie moderne della crescita, ortodosse ed eterodosse
Introduzione al capitolo
1. Il nonno di tutti i modelli di crescita: Harrod
1.1. The problems with Harrod
1.2. Degree of capacity utilization
1.3. The troubles with Harrod
1.4. The Harrodian instability
1.5 Discussion
2. Neoclassical Growth Theory: Solow’s’ exogenous growth
2.1. La funzione di produzione pro-capite
2.2. Stati stazionari e l’equazione fondamentale dello modello di sviluppo neoclassico
2.3. Stabilità
2.3. Statica comparata
2.5. Technical change
2.6. Poverty trap Appendix 1. Cos’è che non va nella teoria economica neoclassica: accenni ai problemi di teoria del capitale
Appendix 2 - Un marginalista eterodosso: Joseph Alois Schumpeter
3. Endogenous growth theory
3.1. Introduction
3.2 Arrow’s learning by doing
3.3. AK model
3.4. Una terza via
4. Heterodox growth theories
Introduction
4.1. The Cambridge Equation and its critics
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4.1.1. The CE model
4.1.2. Conclusioni sulla CE
4.2. The first-generation neo-Keleckian models and the Sraffian criticism
4.2.1. Il modello
4.2.2. What is actual is normal: the ‘new normal’
4.2.3. Conclusioni sul modello neokaleckiano
4.3. Il supermoltiplicatore
4.3.1. The surprising neglect of autonomous demand
4.3.2. Il modello
4.3.3. Average and marginal propensities to save
4.3.4. The SM’s warranted rate of growth
4.3.5. Stability
4.3.6. Uilità empirica dell’approccio del supermoltilicatore
4.3.7. Conclusioni sui modelli eterodossi di crescita: un confronto delle equazioni di crescita
APPENDICE 1 - La relazione risparmi investimenti in Keynes R
1. La determinazione del reddito dal lato della domanda aggregata
2. La funzione del consumo
3. La determinazione del reddito nazionale
4. Il moltiplicatore keynesiano
5. Il paradosso della parsimonia
APPENDICE 2 - La teoria marginalista o neoclassica R
1. Origini della teoria marginalista o neoclassica
2. Fattori e funzione di produzione
3. Offerta di fattori
4. La domanda di fattori produttivi da parte della singola impresa: il prodotto marginale
4.1. Il prodotto marginale
4.2. Posizione e inclinazione della curva
5. La determinazione della distribuzione del reddito
5.1. Domanda aggregata dei fattori
5.2. Concorrenza, stabilità e pieno impiego dei fattori
6. Legge di Say e relazione risparmi investimenti nel marginalismo
6.1. La Legge di Say
6.2. La formulazione marginalista della relazione risparmi-investimenti
Capitolo 4
Sviluppo in economia aperta
Introduzione
1. La teoria neoclassica del commercio internazionale e la sua critica
2. Approccio keynesiano all’economia aperta
2.1. Moltiplicatore di mercato aperto
2 .2. Il moltiplicatore del commercio estero
2.3. Un esempio istruttivo
4. Realismo politico e International Political Economy
4.1. Introduzione
4.2. Figure ed elementi del realismo politico
4.3. L’IPE nel racconto di Gilpin
4.4. Analisi e comparazione delle tre prospettive in Gilpin
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Capitolo 5
Origini della crisi europea, cambi fissi, movimenti di capitale e crisi finanziarie
5.1. Lo sviluppo della crisi europea
5.1.1. Sintesi interpretativa
5.1.2. Esame dei dati: l’andamento divergente delle partite correnti
5.1.3. Il lato dell’offerta
5.1.4. Il lato della domanda
5.1.5. Flussi di capitale, crescita e partite correnti: è sbagliata la realtà o la teoria?
5.1.6. Il ruolo della Germania
5.2. La similarità della crisi europea con le precedenti crisi finanziarie
APPENDICE 1 - La Bilancia dei pagamenti R
1.1. Le partite correnti
1.2. Movimenti reali e movimenti di capitale
1.3. Il debito dei paesi in via di sviluppo e il FMI
1.4. Tassi di cambi nominali e reali
1.5. Regimi di cambio
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Programma (aggiornamenti sulla web page del docente)
Il corso illustrerà i principali filoni interpretativi dei fenomeni di sviluppo e crescita dei sistemi
di mercato nella duplice chiave della storia del pensiero economico e dell’esistenza di approcci
teorici alternativi. Tradizionalmente, il termine sviluppo attiene ai paesi emergenti o periferici, e
quello di crescita ai paesi già sviluppati. Con l’affacciarsi di numerose economie emergenti fra
le quali grandi e popolosi paesi, e con il concomitante fenomeno della globalizzazione, la
distinzione è ora più tenue. Nell’impostazione data al corso, il fenomeno della crisi non può
essere disgiunto dalle modalità di sviluppo e crescita. Il corso presterà dunque attenzione alle
vicende legate alla crisi finanziaria cominciata nel 2007-8 che, sebbene conclusa a livello
globale (sebbene potrebbe riaffacciarsi), riguarda al momento sopratutto l’Europa.
L’interpretazione di sviluppo e crisi proposta nel corso verte attorno al concetto di sovrappiù
economico, nozione maturata nell’economia politica classica. Il corso prende le mosse da alcuni
fatti stilizzati di natura secolare dello sviluppo, economici e demografici. Prosegue illustrando la
maturazione del concetto di sovrappiù economico nell’economia politica classica dal
mercantilismo attraverso Smith e Ricardo sino a Marx (e Sraffa-Garegnani), e i suoi risvolti con
riguardo alla natura della società capitalista, sia sotto il profilo della distribuzione conflittuale
del reddito che della problematica della domanda aggregata. Il concetto di sovrappiù è stato
“riscoperto”, fra gli altri, anche nella nota interpretazione dello sviluppo economico di Jared
Diamond. Dal punto di vista della domanda aggregata come conduttrice degli investimenti e
della crescita, l’analisi del contributo di Kalecki ne mette in luce, più che con Keynes, il legame
con la teoria del sovrappiù. Al riguardo il corso svilupperà il confronto fra tre principali filoni
della teoria eterodossa di stampo classico-keynesiano della crescita: la cosiddetta Equazione di
Cambridge, il filone neo-Kaleckiano; il supermoltiplicatore Sraffiano. Il corso illustrerà poi
l’analisi più convenzionale della crescita approfondendo il modello di Solow e quelli della
crescita endogena nei quali sono fattori di offerta, e non di domanda, a guidare la crescita.
(Mostreremo in realtà come sia i modelli eterodossi che quelli convenzionali derivino,
prendnendo ovviamente direzioni opposte, dal modello di Harrod, in un certo senso la madre
della moderna teoria della crescita). Più avanti nel corso mostreremo come lo studio dei fattori
di offerta sia svolto dai modelli eterodossi prendendo a riferimento la tradizione mercantilista-
nazionalista del “developmental state”. Per completezza ci soffermeremo anche sulla figura di
Schumpeter, considerato da alcuni un eterodosso, ma ben nel solco neoclassico nel trascurare i
fattori di domanda nei processi di crescita. Nell’ultima parte del corso ci si soffermerà sul ruolo
del vincolo estero (o di bilancia dei pagamenti) alla crescita che, nell’interpretazione sostenuta,
è il vero vincolo ai processi di sviluppo e crescita. Mostreremo perché esso non costituisce un
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vincolo per gli economisti convenzionali (neoclassici), mentre preoccupa assai il filone di
pensiero che ha mosso dal mercantilismo, attraverso Friedrich List, sino alla moderna teoria che,
in maniera non convenzionale, ha messo in luce il ruolo centrale dello stato (piuttosto che del
libero mercato) nei processi di sviluppo. In questo contesto, illustreremo la visione conflittuale
delle relazioni economiche internazionali propria del realismo politico quale si ritrova
nell’International Political Economy dove si contrappone alle visioni armoniche dei
liberisti/neoclassici. L’insieme degli elementi messi a punto nel corso, si riveleranno preziosi
per un’interpretazione puntuale della crisi economica e finanziaria globale ed europea
(riferimenti alla crisi saranno peraltro continui durante il corso). La considerazione della crisi
europea sarà preceduta da una sintetica illustrazione della crescita e crisi dell’economia italiana
nel seconod dopoguerra sulla base della classica esposizione di Augusto Graziani.
Testi di riferimento
1) Dispense del docente Lezioni di economia della crescita e dello sviluppo (edizione 2014-15,
disponibile sul sito del docente, parti indicate nell’indice) e ulteriori letture lì indicate (le dispense
sono aggiornate nel corso dell’anno; gli aggiornamenti saranno trascritti in rosso; consultare
periodicamente la pagina web del docente).
2) S.Cesaratto e M.Pivetti (eds), Oltre l'austerità, E Book:
http://temi.repubblica.it/micromegaonline/ (introduzione e articoli di Cesaratto, Bagnai e Zezza).
3) A. Graziani, Lo sviluppo dell'economia italiana, Boringhieri, 2000
Prerequisiti
Conoscenze di base di micro e macro economia.
Altre info
Il docente è parte attiva e fra gli esponenti più noti del dibattito pubblico e scientifico sulla crisi
europea attraverso decine di interventi su quotidiani e mezzi di informazione italiani e stranieri, siti
e blog, riviste scientifiche. Si consulti http://politicaeconomiablog.blogspot.com/. Ha numerosi e
qualificati articoli scientifici in riviste internazionali sulla teoria neoclassica e non-convenzionale
della crescita.
Modalità di verifica
Esame scritto con domande aperte su temi trattati nel corso, con verifica dell’elaborato in sede
orale.
Programma esteso 2014-15
1. I fatti stilizzati della crescita e della popolazione in una visione secolare
Il filo rosso delle lezioni. Uno sguardo a due millenni di crescita di popolazione e reddito. La
stagnazione secolare.
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2. Il concetto di sovrappiù
Sovrappiù e sviluppo umano: il contributo di Diamond. Diamond vs. Acemoglu & Robinson su
istituzioni e sviluppo. Come emerge il sovrappiù nella storia del pensiero economico: il
mercantilismo. Adam Smith. David Ricardo. Karl Marx. Sraffa e lo sviluppo del sistema classico.
Sovrappiù e la controversia su sviluppo e crollo del capitalismo: Tugan-Baranowsky, Rosa
Luxemburg e Kalecki.
3. Teorie della crescita
La relazione risparmi investimenti in Keynes e negli economisti neoclassici. Il modello di Harrod.
Due filoni: ortodosso ed eterodosso.
4. La teoria marginalista o neoclassica della crescita (la crescita guidata da fattori
d’offerta)
Il modello di Solow. Modelli di crescita endogena e loro limiti. Un marginalista eterodosso: Joseph
Alois Schumpeter
5. Modelli non-neoclassici (la crescita guidata da fattori di domanda)
Equazione di Cambridge. Modelli neo-Kaleckiani. Il modello del supermoltiplicatore Sraffiano.
6. Sviluppo in economia aperta
Bilancia dei pagamenti e vincolo estero. Teoria ricardiana del commercio internazionale (una
rivisitazione critica). Teoria neoclassica del commercio internazionale e del movimento dei fattori
produttivi (una rivisitazione critica). La tradizione mercantilista e la rilevanza della moderna ripresa
dell’approccio classico per la teoria del commercio internazionale. Il modello di Kaldor-Thirlwall
del moltiplicatore del commercio estero. Figure e tradizioni del realismo politico e International
Political Economy.
7. Gli squilibri globali ed europei e la crisi finanziaria corrente.
Sviluppo e crisi dell’economia italiana. Gli squilibri globali. Le crisi americana e globale. La crisi
europea.
Informazioni
Propedeuticità: il corso prevede di norma che gli studenti abbiano svolto gli esami di
economia di base; le dispense contengono alcuni materiali per completare talune lacune.
Frequenza: Si consigliano gli studenti di frequentare. I non frequentanti consultino il
docente prima dell’esame.
Modalità esame: Le prove sono scritte, seguite da una breve discussione dell’elaborato in
sede orale. E’ prevista una prova intermedia (esonero), sempre scritta.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 9 29/09/2015
Orario di ricevimento: questo potrà subire leggeri spostamenti durante il periodo di lezione
(ottobre-gennaio); si svolge presso lo studio del docente presso il Dipartimento di Economia
Politica, Piazza San Francesco (3° piano). Fuori semestre (gennaio-settembre) è consigliabile
rivolgersi in anticipo al docente [email protected], soprattutto se si viene da fuori Siena, si è
studenti lavoratori ecc. e prendere un appuntamento. Via mail il docente è tutti i giorni a
disposizione in tempo reale per ogni quesito. Consultare periodicamente la pagina web del docente
per aggiornamenti.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 10 29/09/2015
Introduzione
Il filo rosso delle lezioni
Queste lezioni costituiscono una traccia del corso e dovranno essere integrate dalle eventuali
letture indicate e dagli appunti presi a lezione – la frequenza è assai consigliata. La stesura è ancora
preliminare, i riferimenti bibliografici incompleti, alcune parti in inglese (un buon esercizio!) ecc.
E’ dunque possibile che integrazioni e correzioni vengano apportate durante il corso. I frequentanti
ne avranno tempestiva comunicazione. I non frequentanti sono consigliati di verificare sulla pagina
web del corso.
Il filo rosso che si propone è esposto qui di seguito. Com’è normale, tale filo risulterà più
chiaro una volta che ci si comincia a impadronire degli elementi principali del corso.
Prima parte. Dopo uno sguardo grossolano allo sviluppo economico negli ultimi due
millenni (Maddison), negli ultimi decenni (Maddison e Unctad) e negli ultimi anni (Unctad),
daremo una sguardo di massima alla grande crisi cominciata nel 2007-8 e al conseguente dibattito
sulla “stagnazione secolare”, l’idea che il capitalissmo sia entrato in una fase di prolungata
depressione.
Ci rivolgeremo successivamente al passato e, sulla scorta di un famoso libro di Jared
Diamond, cercheremo di capire perché alcune aree del globo abbiano dato luogo prima di altre a
civiltà più complesse. Vedremo che centrale per Diamond è il concetto di sovrappiù: la complessità
dell’organizzazione politico-sociale-economica dipende dalla possibilità di ottenere un eccesso di
produzione rispetto a quanto necessario a sostenere la popolazione lavoratrice. La nozione di
sovrappiù compare come categoria analitica proprio col nascere della scienza economica
sistematica. Esso compare in forma ancora non ben articolata negli autori mercantilisti, e trova
compiuta espressione nella scuola classica e in Marx. In Adam Smith il concetto di sovrappiù si
sovrappone a quello di divisione del lavoro. In Ricardo e in Marx il sovrappiù coincide, come
espressione tipica del capitalismo, con i profitti. Qui si dipaneranno due strade. Da un lato vedremo
come l’analisi della distribuzione del reddito attraverso la nozione di sovrappiù incontri dei seri
problemi in Ricardo e Marx, problemi che hanno cominciato a trovare soluzione solo in seguito
all’analisi dell’economista italiano Piero Sraffa. Dall’altro lato illustreremo come a differenza di
Ricardo, Marx si pone il problema della realizzazione del sovrappiù: questo consiste infatti di merci
prodotte di cui solo una parte è consumata dai capitalisti. Si pone dunque il problema di chi
acquisterà il resto di esso. Esporremo al riguardo una famosa controversia sorta al principio dello
scorso secolo fra l’economista russo Tugan-Baranowsy e Rosa Luxemburg. Vedremo poi come
l’economista polacco Michael Kalecki risolse la controversia attribuendo torti e ragioni ai
contendenti.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 11 29/09/2015
Seconda parte. Kalecki raggiunse, pochi anni prima, le medesime conclusioni di Keynes
circa il ruolo della domanda aggregata nella determinazione del reddito nazionale. Ripercorreremo
dunque l’analisi di Keynes, e i suoi limiti. Mentre Keynes si occupò della determinazione del livello
del reddito nazionale, le analisi successive ne svilupparono, con differenti modalità, le implicazioni
per l’analisi della crescita economica. In particolare, dal modello di “Harrod-Domar” si
svilupperanno due filoni: quello “post-keynesiano” volto – secondo i suoi proponenti – a
valorizzare il contributo originale di Keynes, e quello “neoclassico” proposto da Solow che, a tutti
gli effetti, riconduce la spiegazione della crescita in un ambito tradizionale (pre-keynesiano)
cancellando ogni ruolo alla domanda aggregata. Nellambito dello sviluppo del ruolo della domanda
aggregata nella crescita, dagli autori postkeynesiani si differenziano gli economisti Sraffiani che si
riallacciano al contributo di Kalecki. Il modello neoclassico ha invece trovato sviluppo recente nella
cosiddetta “teoria della crescita endogena”. Nel corso ci occuperemo di criticare sia il modello
originale di Solow che la sua più recente versione. In appendice ci occuperemo di un economista
neoclassico “eterodosso”, Joseph Schumpeter, le cui analisi confronteremo con quelle di Smith.
Incidentalmente, utilizzeremo molto in queste lezioni il metodo del confronto fra scuole e singoli
economisti. Accenneremo infine a come le teorie del sovrappiù e il marginalismo spieghino in
maniera diversa la nascita delle istituzioni e il loro legame con lo sviluppo economico.
Parte terza. L’analisi della crescita economica non può prescindere dalla considerazione
degli scambi internazionali. Ripasseremo dunque la composizione della bilancia dei pagamenti.
Ritorneremo poi all’analisi dei mercantilisti e di altri economisti, come List, che negli scorsi due
secoli hanno ripreso l’idea di un ruolo preminente dello stato nei processi di sviluppo economico.
Al mercantilismo si contrappose Adam Smith, proprio in nome dei vantaggi del laissez faire nel
commercio internazionale. L’idea che il libero commercio conduca a vantaggi per tutti i paesi che
scambiano fu sostenuta da Ricardo e successivamente, con altri argomenti, dagli economisti
neoclassici. Vedremo al riguardo come, tuttavia, lo stesso Ricardo pose dei limiti alla sua famosa
“teoria dei vantaggi comparati”. Si sosterrà inoltre come la teoria neoclassica del commercio
internazionale contiene, al pari di altre applicazioni della teoria marginalista, vizi logici
insormontabili. Dimostreremo dunque che molti aspetti della tradizione mercantilista, assai
pragmatica nel suo giudizio circa i vantaggi del commercio internazionale, sono sicuramente validi.
Parte quarta. A cavallo fra la Scienza (politica) delle relazioni internazionali e l’Economia
internazionale, si è sviluppata nei paesi anglosassoni la cosiddetta International Political Economy.
Parte quinta. Elementi dello sviluppo e crisi dell’Italia nel secondo dopoguerra e analisi
della crisi finanziaria globale ed europea.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 12 29/09/2015
Gli studenti più interessati sono invitati a visitare il sito www.networkideas.org, un ottimo
sito di economia (critica) dello sviluppo. Nakedkeynsianism è un ottimo sito per analisi economiche
eterodosse. Economia e politica e La voce.info sono ottimi siti sull’economia italiana, Vox
sull’economia europea e internazionale. Il blog del docente è
http://politicaeconomiablog.blogspot.it/
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 13 29/09/2015
Capitolo 1
I fatti stilizzati della crescita e della popolazione; la grande crisi e la grande stagnazione
1. Gli ultimi due millenni e le fasi dello sviluppo capitalistico
Commenteremo qui due tavole di Angus Maddison. Recentemente scomparso, Maddison è
stato particolarmente interessato all’analisi storica di lungo periodo dello sviluppo economico. Nei
suoi lavori più recenti ha esaminato lo sviluppo economico addirittura nell’arco di due millenni. Ça
va sans dire che dati statistici di una qualche affidabilità sono un fatto recente, risalente agli anni
cinquanta per le zone più sviluppate. Stime per epoche passate si affidano dunque a indicatori
indiretti dovuti al lavoro degli storici, archeologi, ecc. Si tratta dunque di stime di larghissima
massima che, peraltro, altri studi potrebbero nel futuro smentire.
L’indicatore di sviluppo adottato è il reddito pro-capite. Com’è noto questo è un indicatore
limitato dato che circoscrive il benessere alla disponibilità di beni materiali. Per una stima più
complessa del benessere umano si vedano gli Human Development Reports delle Nazioni Unite e la
lezione di Amartja Sen a cui questi si rifanno (chi scrive è ha parecchi dubbi circa l’originalità di
Sen, le cui tesi appaiono per molti versi scontate, ma non ritiene opportuno disperdere l’attenzione
del lettore su questo).
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 14 29/09/2015
(da A.Maddison, The World Economy: A Millennial Perspective, OECD,
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 15 29/09/2015
Lasciamo al lettore l’analisi dettagliata delle tavole. In sintesi, quello che si evince dalla
tavola qui sopra è che:
- lo sviluppo economico sembrerebbe un fatto recente: le diverse regioni del mondo
sembrerebbero aver goduto del medesimo standard di vita nell’anno zero, mentre solo dal principio
del secolo XIX° alcune regioni comincerebbero a svilupparsi.
- In relazione a ciò, differenziazioni negli standard di vita fra le diverse aree sarebbero
emerse solo in secoli recenti, differenze che solo negli ultimi anni alcune regioni hanno cominciato
a recuperare.
- La popolazione mondiale cresce lentissimamente nel primo millennio, per accelerare nel
secondo, impetuosamente nell’ultimo scorcio del millennio. Gli sviluppi demografici recenti e le
prospettive dovranno essere approfondite nel Rapporto delle Nazioni Unite in fondo a questo
capitolo preceduto da alcuni miei commenti.
Questi sono i commenti di Maddison:
“World economic performance was very much better in the second millennium of our era
than in the first. Between 1000 and 1998 population rose 22–fold and per capita income 13–fold. In
the previous millennium, population rose by a sixth and per capita GDP fell slightly. The second
millennium comprised two distinct epochs. From 1000 to 1820 the upward movement in per capita
income was a slow crawl — for the world as a whole the rise was about 50 per cent. Growth was
largely “extensive” in character. Most of it went to accommodate a fourfold increase in population.
Since 1820, world development has been much more dynamic, and more “intensive”. Per capita
income rose faster than population; by 1998 it was 8.5 times as high as in 1820; population rose
5.6–fold. There was a wide disparity in the performance of different regions in both epochs. The
most dynamic was Group A: Western Europe, Western Offshoots (the United States, Canada,
Australia and New Zealand) and Japan. In 1000–1820, their average per capita income grew nearly
four times as fast as the average for the rest of the world. The differential continued between 1820
and 1998 when per capita income of the first group rose 19–fold and 5.4–fold for the second.
There are much wider income gaps today than at any other time in the past. Two thousand
years ago the average level for Groups A and B was similar. In the year 1000 the average for Group
A was lower as a result of the economic collapse after the fall of the Roman Empire. By 1820,
Group A had forged ahead to a level about twice that in the rest of the world. In 1998 the gap was
almost 7:1. Between the Western Offshoots and Africa (the richest and poorest regions) it is 19 to
one.
Economic performance since 1820 within Group B has not been as closely clustered as in
Group A. Per capita income has grown faster in Latin America than Eastern Europe and Asia, and
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 16 29/09/2015
nearly twice as fast as in Africa. Nevertheless, from a Western standpoint, performance in all these
regions has been disappointing. There have been big changes in the weight of different regions. In
the year 1000, Asia (except Japan) produced more than two thirds of world GDP, Western Europe
less than 9 per cent. In 1820 the proportions were 56 and 24 per cent respectively. In 1998, the
Asian share was about 30 per cent compared with 46 per cent for Western Europe and Western
Offshoots combined.” (Maddison, 2006: 29).
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 17 29/09/2015
La tabella 2 successiva mostra alcune caratteristiche dello sviluppo economico nel secondo
millennio. I “fatti stilizzati” che sembrano emergere sono i seguenti:
- Si conferma che il fenomeno della crescita è relativamente recente e localizzato, così
come, di conseguenza, le differenziazioni regionali.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 18 29/09/2015
- Si noti nell’ultimo periodo: il crollo della crescita nei paesi ex-socialisti a causa di un
frettoloso passaggio all’economia di mercato; la stagnazione dell’Africa; i risultati deludenti
dell’America Latina
- Il commento di Maddison è:
“The world economy performed better in the last half century than at any time in the past.
World GDP increased six–fold from 1950 to 1998 with an average growth of 3.9 per cent a
year compared with 1.6 from 1820 to 1950, and 0.3 per cent from 1500 to 1820. Part of the
acceleration went to sustain faster population growth, but real per capita income rose by 2.1 per
cent a year compared with 0.9 per cent from 1820 to 1950, and 0.05 per cent from 1500 to 1820.
Thus per capita growth was 42 times as fast as in the protocapitalist epoch and more than twice as
fast as in the first 13 decades of our capitalist epoch.” (ibid: 125)
La terza tabella confronta i risultati economici di alcune epoche specifiche. Si osservi come
il periodo più “felice” per la crescita sia stata la cosiddetta “epoca d’oro“ del capitalismo,
caratterizzata dall’intervento pubblico nella crescita.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 19 29/09/2015
Il commento di Maddison è:
“Table 3.5 compares the experience of different parts of the world economy in the three
most successful phases of capitalist development. Performance in 1973–98 is compared with that of
the golden age, and the “liberal order” (1870–1913). Panel A shows the performance of 49
economies which produce more than three quarters of world GDP, and contain two thirds of world
population. The advanced capitalist countries (Western Europe, Western Offshoots and Japan)
together produce over half of world GDP. In this group, per capita growth in 1973–98 fell well
below that in the golden age, but was appreciably better than in 1870–1913. The second part of
Panel A shows the experience of “Resurgent Asia” — 15 countries which produce a quarter of
world GDP and have half the world’s population. The success of these countries has been
extraordinary. Their per capita growth was faster after 1973 than in the golden age, and more than
ten times as fast as in the old liberal order. They have achieved significant catch–up on the lead
countries, and are replicating (in various degrees of intensity) the big leap forward achieved by
Japan in the golden age.
If the world consisted only of the two groups of countries in Panel A, the pattern of world
development could be interpreted as a clear demonstration of the possibilities for conditional
convergence suggested by neo–classic growth theory. This supposes that countries with low
incomes have “opportunities of backwardness”, and should be able to attain faster growth than more
prosperous economies operating much nearer to the technological frontier. This potential can only
be realised if such countries are successful in mobilising and allocating resources efficiently,
improving their human and physical capital to assimilate and adapt appropriate technology.
Resurgent Asia has seized these opportunities.
The countries of Panel B have not. Their relative position has deteriorated sharply since
1973. Panel B shows the experience of “Faltering Economies”. Collectively they produce about a
fifth of world GDP and have about a third of world population. In all these regions, deterioration in
performance since the golden age has been alarming. In the successor states of the former
USSR, it
has been catastrophic. The aggregate per capita income of Panel B countries actually
declined by 0.21 per cent a year in the last quarter century. In the golden age, their aggregate per
capita performance was identical with that of the countries in Panel A. In 1870–1913 their
aggregate performance was not much below that of Panel A countries. Before going into a detailed
analysis of developments since 1973, one should note four major shocks which interrupted the
momentum of growth and impacted unevenly in different parts of the world at different times. The
first shock was a threefold challenge to the advanced capitalist group in the early 1970s (greatly
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 20 29/09/2015
accelerated inflation, the collapse of the Bretton Woods international monetary order, and OPEC
action to raise oil prices). The second was the debt crisis which hit Latin America in the early
1980s. A third was the collapse of Japanese asset prices around 1990 which had an extraordinarily
deflationary effect on what was formerly the world’s most dynamic economy. The fourth was the
disintegration of the USSR in 1991. It involved collapse of Soviet control over the East European
countries, dismantlement of COMECOM trade arrangements and the Warsaw Pact, and division of
the USSR into 15 successor states.
Although these shocks had a profound influence, the liberal international order proved
remarkably robust. There was no collapse of world trade or capital markets, and although there
were a number of minor wars, the potentially lethal implications for global conflict inherent in the
old cold–war standoff were substantially mitigated.” (ibid: 128-30).
BOX - Nota sui tassi di crescita
Nelle tavole del Maddison appaiono tre tassi di crescita fra loro collegati: quello del
prodotto aggregato (GDP), quello della popolazione e quello del reddito pro-capite. Essi sono fra
loro collegati. In maniera semplificata, la crescita del GDP aggregato corrisponde alla crescita della
torta da spartire, quello della popolazione alla crescita nel numero dei cucchiaini, e infine quello del
GDP pro-capite a quello delle fette distribuite. Si guardi alle cifre in fondo a destra di ciascuna
variabile. Se la torta cresce al x%, i cucchiaini al tassox%, ne deriva che la fetta crescerà del x%.
Definendo come il tasso di crescita del Pil aggregato, P
Pn
quello della popolazione e infine
y
yg y
quello del Pil pro capite – dove
P
Yy - si ha:
ngg y . Risulta evidente che il benessere economico di una popolazione si accrescerà
solo se il tasso di crescita del prodotto totale supera quello della popolazione.
2.2. Gli ultimi due decenni
Dati e commenti del rapporto Trade and Development Report dell’Unctad 2013 ci permettono di
aggiornare il quadro sino al 2013 con le grandi trasformazioni occorse dagli anni 1990
(http://unctad.org/en/PublicationChapters/tdr2013ch1_en.pdf)
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2. Gli ultimi anni: la crescente diseguaglianza e la grande crisi
I quindici anni prima della grande crisi cominciata nel 2007 sono spesso definiti della
“Grande moderazione”. La tesi sottesa è che le banche centrali avevano scoperto il segreto della
crescita non inflazionistica (spesso identificata con la Regola di Taylor che dovreste aver studiato in
macroeconomia). Nonostante alcune crisi finanziarie, questo periodo è stato di spettacolare cescita
di alcune grandi economie emergenti. Fattosta che la Grande moderazione è culminata nella Grande
crisi, segno che qualcosa non andava.
Nel 2007/8 è dunque cominciata la crisi finanziaria, che dal 2010 si è estesa all’Europa, ora
suo vero focolaio. La tavola dell’Unctad permette di osservarne gli effetti sui paesi più ricchi, quelli
emergenti, e su quelli in ritardo.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 25 29/09/2015
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 26 29/09/2015
Dovete a questo punto leggere fino a pagina 4 di
http://unctad.org/en/PublicationChapters/tdr2014ch1_en.pdf e fino a pagina 29 di
http://unctad.org/en/PublicationChapters/tdr2014ch2_en.pdf //
Un utile aggiornamento sui tassi di crescita è in questo post:
http://cib.natixis.com/flushdoc.aspx?id=87082
Ci occupiamo ora di due grandi sfide davanti: quella demografica e della “stagnazione
secolare”.
3. La transizione demografica
Semplificando molto, appare assodato che nel corso della propria storia – in un momento
che possiamo in prima approssimazione associare all’inizio dello sviluppo economico moderno –
tutti i paesi cominciano ad attraversare una fase di calo della mortalità infantile succeduta da un calo
progressivo della natalità. Questo fenomeno è denominato dai demografi “transizione demografica”
(TD), o “prima transizione demografica” per distinguerla dalla più recente e controversa “seconda
transizione demografica”.2 Le diverse aree del globo si distinguono per lo stadio a cui la TD è
giunta:
(A) La TD è cominciata per prima nei paesi più sviluppati sin dal secolo XIX°.3 Ovunque il
tasso di fertilità – il numero medio di figli per donna – si è collocato o è sceso sotto 2,1, il
cosiddetto tasso di sostituzione (replacement rate) al quale la popolazione rimane costante. In
aggiunta, il miglioramento delle condizioni sanitarie, degli stili di vita e, più recentemente, il
progresso in campo medico – per esempio in campo cardiologico – hanno determinato un
progressivo allungamento delle speranze di vita. Vi sono, tuttavia, importanti differenze fra paesi.
(A1) in taluni di questi la TD ha raggiunto uno stadio assai avanzato con un tasso di fertilità
sceso a livelli assai bassi: è questo il caso di Italia, Spagna, Giappone, Germania e paesi dell’est
europeo.
(A2) in altri paesi europei, come Francia, Regno Unito, paesi scandinavi, il tasso di fertilità
si colloca non troppo al di sotto del tasso di sostituzione.
2 La seconda transizione demografica enfatizza la modificazione nella relazione fra i sessi che si
manifesterebbe sempre meno nella forma tradizionale della famiglia standard, con ulteriori effetti
negativi sulla fertilità. Per una discussione sull’utilità della nozione di seconda transizione
demografica si vedano i diversi contributi in Vienna Yearbook of Population Research, 2004, pp.1-
34, in particolare quello critico di David Coleman.
3 Il fenomeno del baby-boom è un episodio di ripresa della fertilità nell’ambito del trend
decrescente della TD. Rimane tuttavia a testimoniare le sorprese che gli andamenti demografici
possono presentare.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 27 29/09/2015
(A3) negli Stati Uniti, Canada, Oceania, il tasso di fertilità si colloca approssimativamente al
tasso di sostituzione.
Queste differenze implicano che il processo di invecchiamento della popolazione, pur
comune, non si presenta con la medesima intensità. Le migrazioni non sono ritenute tali da arrestare
o persino a ridimensionare sostanzialmente i fenomeni di invecchiamento, sebbene naturalmente
contribuiscano marginalmente ad attenuarli.
(B) Numerose economie emergenti sono in uno stadio avanzato della transizione
demografica, in particolare la Cina.
(C) Le economie in ritardo sono quelle dove la transizione demografica è più lenta, sebbene
sia ciò nonostante in genere avviata.
Approfondiamo qualche dato da
http://esa.un.org/unpd/wpp/Other-Information/Press_Release_WPP2010.pdf
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Per approfondire:
http://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/ageing/2012PopAgeing
andDev_WallChart.pdf
Weil D.N. (2009), Economic Growth, Pearson, capp. 4 e 5: pp. 85-94 e 115; 119-139; 141-
151.
Chi si incuriosisse a proiezioni della popolazione a lunghissimo termine veda
http://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/trends/WorldPop2300final.pdf
4. Stagnazione secolare
In seguito alla grande crisi cominiciata nel 2007/8, Larry Summers, un importante
economista americano, lanciò un dibattito sulla cosidetta grande stagnazione. Vedremo nel corso
come la tendeza del capitalismo a stagnare non sia una sorpresa per chi si muove su terreni
eterodossi rifacendosi alle lezioni di Marx, Keynes o Kalecki.
Si veda:
http://www.eshet.net/public/39/Secular%20stagnation,%20draft%201_18.pdf
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 35 29/09/2015
e per un punto di vista più ortodosso:
http://www.voxeu.org/content/secular-stagnation-facts-causes-and-cures
Di seguito un mio breve commento al dibattito.
Il presagio di una tendenziale stagnazione del capitalismo è stata avanzato in un intervento
al FMI dall’eminente economista di Harvard ed ex segretario al Tesoro americano Larry Summers.
Il funesto vaticinio ha scatenato molti commenti nella blogsfera internazionale ed è stato
prontamente sottoscritto da Paul Krugman nel suo popolare blog sul New York Times e da Simon
Wren-Lewis, un altro influente blogger e macroeconomista a Oxford. In sintesi Summers ha
argomentato che il capitalismo può evitare una stagnazione secolare solo se riesce a riprodurre bolle
borsistiche o immobiliari simili a quelle che l’hanno sostenuto nel recente passato, sfociate tuttavia
nella crisi finanziaria. Come in altre occasioni durante la crisi gli economisti mainstream si
accorgono tardi e maldestramente di ciò che gli economisti critici da sempre denunciano. Per
cominciare, la discutibile spiegazione di Summers e colleghi della tendenziale stagnazione secolare
del capitalismo è che ciò sia attribuibile al calo demografico e citano al riguardo un influente
divulgatore di Keynes di prima generazione, Alvin Hansen. Questi economisti, pur vagamente
keynesiani, spiegano così le tendenze secolari del capitalismo rifacendosi alla teoria neoclassica. E
questa teoria ritiene che l’economia cresca in piena occupazione al tasso di crescita delle forze di
lavoro purché i salari siano flessibili. Questo non appare credibile per chi ritenga sbagliati i
fondamenti teorici di quella teoria. Una versione più keynesiana di questa tesi è che una
popolazione crescente implichi più domanda di abitazioni e beni di consumo. Ma anche qui non v’è
una relazione necessaria, sennò l’Africa sarebbe ricchissima. Bizzarramente Summers e colleghi
attribuiscono al calo demografico anche la diminuzione del tasso di interesse “naturale”, quello al
quale la domanda aggregata sarebbe tale da assicurare la massima occupazione compatibile con
inflazione costante. Ma al di là delle confusioni teoriche, comunque sorprendenti in star della teoria
dominante, la loro opinione è che il tasso di interesse “naturale” di equilibrio sarebbe attualmente
negativo, cosicché risparmiatori subirebbero una perdita sui risparmi che li indurrebbe a consumare
di più. Allo scopo di far prevalere nei mercati tassi di interesse negativi, le banche centrali
dovrebbero dunque tenere i tassi di interesse nominali a zero cercando di generare inflazione o
aspettative di inflazione sì da scoraggiare l’accumulo di risparmi che, poco o nulla remunerati,
sarebbero erosi dall’aumento dei prezzi. Il risultato sarebbero tassi di interesse reali negativi
(nominalmente si ottiene zero mentre l’inflazione mangia il capitale). Anche la BCE sta cercando
timidamente di farlo, ma con scarse probabilità di successo. Infatti difficilmente l’inflazione può
risvegliarsi se la spesa non riparte; ma consumi e investimenti rimarranno depressi fin tanto che le
aspettative sono di una caduta e non di un aumento dei prezzi. Un cane che si morde la coda. Per
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 36 29/09/2015
questo Krugman ritiene che un’aggressiva politica fiscale sia l’unica strada percorribile, favorita
peraltro dai bassi tassi a cui gli Stati potrebbero indebitarsi se sostenuti dalle proprie banche
centrali. Che economisti di questa rinomanza indichino nella deficienza della domanda aggregata di
lungo periodo la causa della tendenziale stagnazione del capitalismo è certamente apprezzabile. Lo
fanno coi mezzi che la loro povera dottrina gli fornisce. Che il problema del capitalismo sia la
domanda aggregata è invece pane quotidiano degli economisti critici i più solidi dei quali si rifanno,
per spiegarla, alla teoria della distribuzione del reddito degli economisti Classici e di Marx. La
maggiore diseguaglianza distributiva aggrava, secondo questi economisti, la deficienza di domanda
aggregata. Infatti i capitalisti e i loro attaché non spendono per beni di lusso e investimenti che parte
del sovrappiù di cui si appropriano. Questa dimensione sfugge quasi completamente a Summers e
colleghi. E’in questo contesto che si spiega invece bene il ruolo recente delle bolle finanziarie nello
spingere le classi lavoratrici a spendere di più in quanto i risparmi già accumulati – tipicamente a
fini pensionistici – si rivalutano rendendo superfluo ulteriore risparmio. E si spiega anche il ruolo di
forti stimoli all’indebitamento delle famiglie per sostenere i consumi, incluso l’acquisto agevolato
dell’abitazione con conseguente sviluppo di bolle edilizie in cui l’aumento del valore delle
abitazioni funge da ulteriore stimolo a indebitamento e consumi.. Che il capitalismo finisca per
dover essere guidato da bolle speculative e indebitamento di famiglie o di intere nazioni (in
quest’ultimo caso al servizio degli interessi mercantilisti delle élite di alcuni paesi come la
Germania), bolle e debiti che culminano in crisi finanziari, non è una sorpresa per gli economisti
critici. E’ il capitalismo, bellezza. Sorpresi appaiono invece Summers e compagni che la crescita
pre-crisi guidata dal debito e dalle bolle si sia svolta senza che l’inflazione abbia rialzato la testa (a
parte, ovviamente, l’inflazione nei valori borsistici). Per spiegarlo basterebbe rifarsi a quello che
Bellofiore e Halevi hanno definito la traumatizzazione del lavoro, ovvero l’incapacità dei sindacati
americani di sfruttare la crescita per ottenere miglioramenti salariali in seguito alle bastonate subite
a colpi di disoccupazione e trasferimento in Asia delle produzioni durante gli anni 1980 e 1990.
L’importazione di beni di consumo a basso costo dai paesi emergenti ha fatto il resto. Summers e
colleghi sono anche sorpresi della posizione controcorrente della banca centrale svedese (quella che
finanzia e assegna i cosiddetti premi Nobel per l’economia) che mantiene i tassi di interesse elevati
pur in presenza di aspettative deflazionistiche, preoccupata che politiche più espansive possano dare
innesco a nuove bolle speculative, proprio quello che le altre banche centrali sembrano desiderare.
Al riguardo già Keynes nella Teoria Generale criticò Roberston per aver sostenuto l’idea che per
assicurare la stabilità dei prezzi si dovesse mortificare la ripresa attraverso più elevati tassi di
interesse, una posizione definita “pericolosa e immotivatamente disfattista”.Summers e compagni
hanno dunque toccato un tasto dolente del capitalismo, la sua necessità di far affidamento su
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 37 29/09/2015
meccanismi perversi per sostenere la domanda aggregata. Questo conferma che il capitalismo è un
sistema perverso. Lo è fondamentalmente perché basato sulla diseguaglianza che deprime la
domanda aggregata producendo miseria a fronte del potenziale benessere (naturalmente ci sono altri
motivi etici, ecologici ecc. per cui il capitalismo è perverso, qui ne evidenziamo uno). Anche noi
economisti genuinamente keynesiani dovremmo ricordarci che se, da un lato, ci si deve battere per
un capitalismo più giusto e dunque meglio funzionante, dall’altro è sulla prospettiva di un sistema
più razionale, quello socialista, che si dovrebbe ritornare con serietà a riflettere. (da
http://www.economiaepolitica.it/primo-piano/il-capitalismo-fra-la-pentola-delle-bolle-e-la-
brace-della-stagnazione/#sthash.aLzgP6bu.dpuf)
***
Andiamo ora alle teorie economiche.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 38 29/09/2015
Capitolo 2
Teorie del sovrappiù e sviluppo economico
1. Il concetto di sovrappiù
Per sovrappiù sociale si intende quella quantità di beni di cui la società può liberamente
disporre senza compromettere la riproduzione, di periodo in periodo, del processo produttivo
sociale su scala immutata. E' in altre parole ciò che avanza dal processo produttivo (che si può
supporre cominci al principio dell'anno e termini alla fine) una volta messo da parte ciò che è
necessario per ricominciare il medesimo processo l'anno successivo. La teoria del sovrappiù è
propria agli economisti classici e a Marx, e modernamente ripresa da Piero Sraffa, Pierangelo
Garegnani, Luigi Pasinetti e altri. Facciamo tre ipotesi:
(a) ciclo produttivo annuale;
(b) mezzi di produzione interamente consumati nel corso dell'anno (cioè tutto il capitale è
circolante);
(c) che i mezzi di produzione siano interamente riprodotti.
Supponiamo ora noti
1) il salario reale espresso come aggregato di merci;
2) il prodotto sociale annuo P pure espresso come aggregato di merci
3) le tecniche di produzione (in particolare il prodotto per lavoratore)
Conoscendo 2) e 3) possiamo ricavare il numero di lavoratori impiegato, e sulla base di 1)
possiamo ottenere N o CONSUMO NECESSARIO, ovvero le anticipazioni che vanno assegnate ai
lavoratori all'inizio del ciclo produttivo annuale (è la parte di P che va ai lavoratori).
Sottraendo N da P otteniamo il sovrappiù sociale (= quota del prodotto sociale diverso dai
salari) come differenza fra quantità di merci.
P - N = S (I)
Il sovrappiù è dunque quella parte del prodotto sociale liberamente disponibile per
l’economia, o per le classi sociali che hanno il controllo, ad essere consumata o investita (in questo
caso occupando ulteriori lavoratori e dotandoli dei necessari beni capitali) senza mettere in
discussione la riproduzione del sistema su scala almeno immutata. Laddove parte del sovrappiù
fosse investita, l’economia crescerebbe, si riprodurrebbe cioè su scala allargata.
Come vedremo il concetto di sovrappiù sociale è proprio all’economia politica Classica che
si sviluppa in Europa fra il XVII° e il principio del XIX° secolo. E’ interessante come tale concetto
sia centrale in un recente libro sullo sviluppo economico umano che ha avuto notevole successo fra
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 39 29/09/2015
gli intellettuali e il grande pubblico: Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie (Einaudi, 1998), di cui
ci sintetizziamo ora alcuni elementi.
Successivamente vedremo come gli economisti classici e Marx ritennero di poter spiegare le
circostanze 1), 2) e 3). Vedremo oltre come essi posero il problema della misurazione di P ed N che,
essendo composti da beni eterogenei, sono misurabili (e dunque sottraibili) solo in valore, cioè
conoscendo i prezzi.
Per saperne di più: P. Garegnani, Valore e distribuzione in Marx e negli economisti classici,
in ID, Marx e gli economisti classici, Einaudi 1981, in particolare pp. 8-16.
2. Sovrappiù e sviluppo umano: il contributo di Diamond
Il concetto di sovrappiù è centrale nella affascinante ricostruzione dello svilippo umano
dovuta allo studioso americano Jared Diamond. Suo obiettivo è di spiegare perché le diverse regioni
del globo si siano sviluppate in maniera difforme, tanto che alcune civiltà abbiano poi prevalso su
altre.
Sino a circa 11 mila anni fa la popolazione umana consisteva di cacciatori-raccoglitori, non
si erano dunque ancora sviluppati agricoltura (e allevamento), e con questi strutture sociali
sedentarie più stabili e complesse.4 E’ infatti solo con l’emergere dell’agricoltura che gli umani
riescono a produrre un sovrappiù alimentare che consente loro di sostenere una popolazione più
ampia parte della quale costituita da una classe di lavoratori “improduttivi”dedita all’organizzazione
politico-militare e alla conoscenza: “La sovrapproduzione alimentare [permette] di mantenere
gruppi improduttivi di artigiani, burocrati, e militari…le esigenze dell’agricoltura e della guerra
[sviluppano] le capacità artistiche e tecnologiche” (ibid, p.39).
Può qui tornare utile un piccolo modello (Aspromourgos, 2005, p.4) che mostra la relazione
fra produzione di un sovrappiù alimentare e disponibilità di “surplus labour”, cioè di lavoratori che
possono essere impiegati al di fuori del settore che produce i beni necessari o di sussistenza. In una
economia sono prodotte due merci, a e b, dove la merce a è il bene di sussistenza e b sono le
“conoscenze”; la prima merce è prodotta con se stessa e lavoro, la seconda con solo lavoro.
Possiamo rappresentare la nostra economia come:
4 Per memoria ecco alcune date significative, tratte da Diamond, dello sviluppo umano: circa 7
milioni di anni fa l’uomo si evolve come specie separata assumendo la posizione eretta circa 4
milioni di anni fa; i primi attrezzi risalgono a 2,5 milioni, mentre solo da un milione di anni l’uomo
esce dall’Africa e si diffonde prima in Asia ed Europa, e solo assai più tardi nelle Americhe.
L’Homo Sapiens ha circa mezzo milione di anni e sa usare rozzi attrezzi in pietra. L’Homo Sapiens
di Neanderthal risale fra 130 e 40 mila anni fa e conosce il rispetto dei morti, ma usa ancora attrezzi
assai rozzi. Verso i 50 mila anni fa c’è un grande salto intellettivo, la scoperta del linguaggio,
anche testimoniato dai reperti artistici.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 40 29/09/2015
BLc
ALcA
ba
aaa
aA rappresenta la quantità di a utilizzata nella produzione della merce a; aL e
bL sono le
quantità di lavoro utilizzate nella produzione delle due merci, rispettivamente, laddove ciascuna
unità di lavoro riceve un salario uniforme ac . Il settore b è attivabile solo se il settore a produce più
di quanto è necessario ad esso per riprodursi, cioè solo se: 0 aaa cLAA . Le sussistenze dei
“filosofi” del settore b sono dunque pari al sovrappiù generato dal settore a: abaaa cLcLAA .
La produzione del sovrappiù alimentare non avvenne, tuttavia, in tutte le regioni in cui si era
diffuso l’homo sapiens (in talune regioni come le Americhe invero con molto ritardo). Le ragioni
sono complesse ma si possono sintetizzare nel fatto che solo in talune regioni vi era un numero
sufficiente di specie vegetali e animali “addomesticabili” tali da rendere conveniente il passaggio
dallo stato di cacciatori-raccoglitori a quello di agricoltori-allevatori. Con riferimento all’agricoltura
va tenuto presente che solo una parte piccolissima delle migliaia di specie vegetali è commestibile,
nutriente e “addomesticabile”, cioè tale da consentire un processo di selezione delle varietà migliori
caratterizzate da maggiore resa. Tali specie erano presenti in maniera difforme nelle diverse regioni
del mondo, in maniera tale che solo in poche zone vi era un “pacchetto” di varietà tali da assicurare
per potere nutrizionale (giusta combinazione di carboidrati e proteine ad esempio) e resa il sostegno
di una agricoltura vantaggiosa rispetto allo stato di cacciatori-raccoglitori.5 Non bastò dunque per
gli uomini la scoperta del meccanismo di generazione delle piante attraverso i semi, fu la
disponibilità di varietà opportune che decise quali popolazioni furono in grado di passare
all’agricoltura e quali no. Considerazioni simili vanno fatte per gli animali, dei quali solo poche
specie sono allevabili in cattività, e fra queste ancor meno quelle di “taglia grande” che possono
essere impiegate anche come mezzo di trasporto, lavoro, guerra (ma anche per derivare latte, pelli
ecc). Un “pacchetto” sostanzioso di tali specie era presente solo in talune zone del globo, in
conseguenza di opportune condizioni climatiche, dando a quelle fortunate popolazioni un altro
enorme vantaggio. Il surplus alimentare genera dunque la crescita della popolazione e all’interno di
questa di un “surplus labour” staccato dalla riproduzione materiale, ma dedito ad attività superiori
come la politica, la guerra e la generazione di conoscenze, fra queste l’invenzione della scrittura.6
5 La Mezzaluna fertile sviluppò il pacchetto <grano-orzo-piselli-lenticchie>, l’America Centrale
quello <mais-fagioli>, la Cina <riso-miglio-soia>.
6 La scrittura è stata una invenzione difficilissima per l’umanità, e lì le civiltà che prima sono
passate all’agricoltura hanno goduto di un vantaggio temporale. Le esigenze di registrazione dei
surplus agricoli accumulati nei magazzini è stato un ovvio stimolo alla simbolizzazione. La
difficoltà di tale invenzione sono manifeste nel fatto che l’alfabeto, pare, sia stato inventato una sola
volta, in Libano, e da lì si è diffuso.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 41 29/09/2015
La sedentarietà rende conveniente lo sviluppo di manufatti altrimenti intrasportabili in una società
nomade.
La generazione di un surplus alimentare avvenne nella Mezzaluna fertile, Cina,
Centroamerica, Ande e Stati Uniti Orientali. La differenza la fece soprattutto la numerosità e qualità
delle specie animali presenti: che nelle Americhe si riduce al solo tacchino e lama (nelle Ande).
Mancarono dunque in quelle terre animali da trazione – per cui la ruota non fu inventata o per lo
meno non utilizzata, e la loro assenza nocque alla stessa agricoltura non consentendo lo sviluppo di
tecniche più evolute di aratura.
Mancò, inoltre, la prossimità con molte specie animali domestiche. Tale prossimità
determinò la trasmissione all’uomo di importanti malattie epidemiche come vaiolo, morbillo,
influenza, peste, con conseguente, tuttavia, insorgenza di resistenza a tali virus da parte dei
sopravvissuti. La diffusione di questi virus nei territori conquistati dagli europei costituì una vera e
propria arma biologica che portò al quasi sterminio dei popoli nativi.
La disposizione geografica latitudinale dell’Eurasia consentì inoltre una più veloce
diffusione delle specie e conoscenze fra climi relativamente più simili (in quanto posti lungo una
medesima latitudine); al contrario la diposizione delle Americhe, longitudinale, ostacolava tale
diffusione. Per non parlare dell’isolamento delle popolazioni dell’Oceania.
(da Diamond 1997)
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 42 29/09/2015
Sì è detto come l’agricoltura porti a società nel tempo più complesse che a un certo punto
richiedono la necessità, con le chafferies – una forma intermedia fra tribù e stato composta da
migliaia di individui, di un potere politico stabile che sedi i possibili conflitti interni, una origine
del sovrano di natura propriamente hobbesiana (ibid, p. 219). Questo accade quando da strutture
piccole (come clan) in cui gli individui “si conoscono” si passa a strutture di migliaia di individui
fra loro estranei in cui la violenza reciproca è endemica. Con il sovrano sorge il prelievo fiscale che
sostiene anche la cerchia di privilegiati attorno al sovrano la quale include i sacerdoti responsabili di
giustificare il potere assoluto attribuendogli origine divina. Diamond sembra tuttavia respingere
l’idea del “contratto sociale” – Hobbes e Rosseau sono citati – in quanto questo implica troppa
lungimiranza per essere stipulato. Ritiene piuttosto che sia state le chafferies più popolose ad essersi
trasformate in stati.7
La tesi di Diamond è dunque che l’agricoltura sia stato il passaggio fondamentale attraverso
cui alcune popolazioni hanno visto una crescita della loro numerosità e la possibilità di mantenere
una elite improduttiva (nel senso di essere slegata dalla necessità di produrre la propria sussistenza),
la quale include oltre che politici e militari ciò che Adam Smith avrebbe definito la classe dei
“filosofi”, dei produttori di conoscenze. L’ampiezza della popolazione ha sua volta ampia la scala
su cui le attività possono esser svolte e la probabilità del’insorgere di idee innovative.8 La
7 Secondo una impostazione marxista, l’appropriazione del sovrappiù, più che un contratto sociale,
è evidentemente all’origine dell’emergere di una classe dominante. Economisti neoclassici come
Alchian e Demstez (…) hanno cercato di spiegare razionalmente l’emergere dell’autorità. Secondo
questi ultimi sono le economie di scala generate dalla “team production”, la produzione in
cooperazione, che dà luogo alla generazione di un sovrappiù, l’eccedenza nel prodotto complessivo
ottenuto col lavoro coordinato rispetto a quello ottenibile come somma di produzioni individuali.
Una supervisione dotata di autorità sorgerebbe dunque dalla necessità di monitorare e sanzionare
l’eventuale comportamento di “shirking” (negligente) da parte di membri del “team” (l’esempio di
scuola è quello dello spostamento di un tavolo in cui un membro del team di quattro elementi fa
finta di sostenerlo). Sarebbe dunque razionale attribuire il surplus all’autorità di controllo piuttosto
che subire le perdite di efficienza dovute ai comportamenti opportunistici.
8 Nella moderna teoria neoclassica della “crescita endogena”, trattata più avanti, è l’ampiezza della
popolazione che rende più probabile la generazione di idee. Deve tuttavia risultare chiaro che in
Diamond è perlomeno prevalente l’idea che è l’insorgere del sovrappiù che fa aumentare la
popolazione in primo luogo, non il contrario (ciò che sarebbe anche logicamente impossibile).
Scrive Diamond: “è il progredire dell’agricoltura che fa aumentare la popolazione e quindi nascere
società complesse, o sono queste ultime che permettono la nascita dell’agricoltura? … In realtà
l’una favorisce l’altra per autocatalisi. La crescita della popolazione porta alla complessità, che a
sua volta porta una maggiore produzione di cibo, e quindi a un ulteriore aumento del numero degli
abitanti” (ibid: 225). Poco dopo tuttavia precisa che: “L’agricoltura, dunque, fa aumentare la
popolazione e agisce in molte direzioni per rendere la società più complessa” (ibid: 226). Peraltro
un aumento della popolazione prima del passaggio all’agricoltura viene attribuito da Diamond a un
raffinamento delle tecniche di caccia (ibid: 83). Diamond suggerisce anche che la crescita della
popolazione non possa eccedere quello della produzione agricola, anche se, naturalmente, una
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 43 29/09/2015
limitatezza delle specie utili e “addomesticabili”, vegetali e animali, ha reso questo possibile solo in
alcune aree del mondo.
maggiore densità della popolazione agì come stimolo alla ricerca di maggiori rese agricole (ibid:
84). Nello schema di p.63 (sopra riprodotto) la generazione del surplus alimentare viene
logicamente prima della costituzione di società più densamente popolate.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 44 29/09/2015
Ma anche fra queste aree, di nuovo per ragioni legate alla geografia e al tipo di risorse
disponibili (per esempio di animali da traino), lo sviluppo non è uniforme. Gli europei
soggiogheranno facilmente le civiltà dell’America Latina sulla base della propria superiorità
organizzativa e tecnologica, dovuta da una partenza assai più precoce dell’agricoltura, circa 5 mila
anni prima (ciò che favorì lo sviluppo di tecnologie dei metalli, per esempio), e avvantaggiata
dall’uso della scrittura, strumento essenziale di comunicazione e informazione (anche militare); la
diffusione delle malattie sconosciute agli indigeni fece il resto. La Mezzaluna fertile e non l’Europa
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 45 29/09/2015
era in verità stata la fucina della civilizzazione. La prima compie tuttavia un suicidio ecologico
dovuto ai massici disboscamenti mentre le conoscenze lì acquisite si diffondono facilmente prima
nel Mediteraneo e poi nell’Europa del nord. Nei fatti sino alla civiltà greco-romana (500 ac) e sino
al 900 dc con riguardo al Nord Europa, queste aree non contribuiscono per nulla al processo di
civilizzazione: “In Europa arrivarono culture, animali, tecniche e alfabeti dalla Mezzaluna fertile,
che dopo questi doni si autoeliminò come centro di potere e di innovazione” (ibid, p.317). La Cina
deriva un vantaggio iniziale da una precoce colonizzazione umana dall’esistenza di una ampia
varietà di specie addomesticabili, da una anticipata realizzazione di una omogeneità etnico-
culturale favorita dall’assenza di significative barriere geografiche nel suo territorio, ciò che
sostenne la diffusione delle conoscenze. Sino al 1450 la Cina era la regione tecnologicamente più
avanzata del mondo. In quel momento questo grande paese per motivi probabilmente relativi allo
scontro politico interno abbandona le esplorazioni oceaniche che aveva intrapreso e smantella una
potentissima flotta mentre giunge persino a vietare l’uso della già sviluppata tecnologia meccanica.
Quella che allora appariva come l’oggettiva potenza dell’impero cinese sembrò rendere superflue le
conquiste esterne e lo sviluppo tecnologico. Contemporaneamente la concorrenza politica fra i paesi
europei rese loro invece inderogabile queste scelte pena soccombere alle potenze straniere.
A conclusione, si osservi il linguaggio utilizzato da Diamond: sovrappiù, lavoro produttivo e
improduttivo, il medesimo che si trova negli economisti Classici. Diamond non cita nessun
economista, né Classico né neoclassico. Se questo è una manifestazione di quanto poco sia stata
utile la scienza economica “moderna” per gli obiettivi di Diamond. V’è al contempo da ritenere che
Diamond sia stato poco esposto alle idee degli economisti Classici – nessuno gli ha spiegato che
prima della teoria “moderna”, dunque sino a metà del XIX° secolo gli economisti ragionavano in
termini di sovrappiù!
Un link per pigri a Guns, Germs and Steel http://video.google.com/videoplay?docid=-
4008293090480628280 (prima parte di un documentario in tre parti del National Geographic).
La studentessa seriamente interessata nell’economia andrà ora anche a leggersi l’appendice a
questo capitolo. Ottimi spunti per tesine triennali.
3. Come emerge il sovrappiù nella storia del pensiero economico: il mercantilismo
Il concetto di sovrappiù viene generalmente attribuito a William Petty (1623-1687) che può
essere anche considerato come uno dei fondatori della moderna scienza economica, forse il primo
ricercatore sistematico, teorico e pratico, sui temi dell’economia politica. Marx lo considerò il
fondatore dell’economia politica classica. Tracce del concetto di sovrappiù si ritrovano tuttavia
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 46 29/09/2015
anche nella scuola Mercantilista, cui lo stesso Petty peraltro apparteneva, che fiorì in Europa nei
secoli XVI° e XVII° sino a metà del XVIII°.9
3.1. Il sovrappiù nel Mercantilismo
La letteratura mercantilista si sviluppa in secoli caratterizzati dalla rivalità fra le potenze
economiche europee emergenti nel controllo dei commerci internazionali. Il Mercantilismo non è
una scuola sistematica, ma la maggior parte degli studiosi ritiene che vi sia in questa letteratura una
quantità di nozioni uniformi tali da far pensare a un filo rosso che lega i diversi autori.
Semplificando molto, l’obiettivo dominante della politica economica e commerciale mercantilista è
il perseguimento dell’avanzo o surplus commerciale (o sovrappiù esterno), E-M, cioè
dell’eccedenza delle esportazioni E sulle importazioni M. L’idea di sovrappiù inteso come
eccedenza del prodotto sociale rispetto alle sussistenze e ai capitali impiegati (o sovrappiù interno
S), quale introdotto nella sezione 1, non è invece presente in maniera limpida nei mercantilisti, che
però lo intravedono
3.2. Un surplus commerciale è un obiettivo importante?
In genere si ritiene che l’ossessione (o presunta tale) dei mercantilisti riguardo
all’ottenimento di un surplus commerciale sia oggi un’idea priva di fondamento. In genere questa
ossessione è stata giustificata con l’idea che un surplus commerciale avrebbe consentito un
accumulo di ricchezze sotto forma di oro e metalli preziosi che avrebbero a sua volta garantito
sicurezza al paese, per esempio in caso di conflitto, potendo essere impiegate per acquistare armi e
derrate alimentari necessari a sostenerlo più a lungo dell’avversario.
La critica che viene avanzata è che in tal modo il paese sacrifica il proprio benessere,
consumando e investendo meno di quanto possibile al fine di realizzare un surplus esportabile e
accumulare ricchezze. Se prendiamo l’equazione del reddito nazionale X = C + I + G + E –M,
otteniamo X – (C + I + G) = E – M, in cui si vede che dato il prodotto sociale che ora chiamiamo X
(invece di P), l’ammontare di surplus esportabile varia a seconda dgli impieghi interni (che
includono consumi e investimenti, pubblici (G) o privati (C+I)). Muovendo da una situazione di
avanzo commerciale, un paese potrebbe ad esempio voler aumentare la crescita e lo stock di
capitale investendo di più (quindi aumentando I) o investendo di più in istruzione pubblica (per cui
aumenta G), azzerando in tal modo il surplus commerciale. La critica è corretta nel senso che la
9 La letteratura mercantilista è sterminata, e in genere con un inglese piuttosto ostico per noi
stranieri (come vedrete da alcune citazioni). Ecco alcune fonti secondarie: Heckscher, E. (1955)
Mercantilism, 2nd end, London George Allen & Unwin; Furniss, E. (1920) The Position of the
Laborer in a System of Nationalism: a Study in the Labor Theories of the later English
Mercantilists, Boston: Houghton Mifflin Company; Suviranta B. 1923 The Theory of Balance of
Trade in England – A Study in Mercantilism, Annales Academiae Scientiarum Fennicae, B-XVII,
Helsinki; Johnson, E.A.J. (1937) Predecessors of Adam Smith, London: P.S.King & Son.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 47 29/09/2015
potenza di un paese certamente aumenta di più accumulando capitale o diffondendo l’istruzione
piuttosto che accumulando ricchezze.
Implicitamente i mercantilisti ci possono star segnalando un problema opposto: è bene che
un paese non abbia disavanzi commerciali pena un indebitamento crescente. Un paese che avesse
una bilancia commerciale in disavanzo potrebbe alternativamente: a) diminuire i consumi e
investimenti interni, ma questo nuocerebbe alla crescita, o b) cercare di aumentare le esportazioni e
diminuire le importazioni. Quest’ultima strategia è certamente preferibile, anche se impervia. In
questo senso i mercantilisti pongono quello che definiremo “vincolo esterno” al centro
dell’attenzione: la necessità di mantenere nel lungo periodo la bilancia commerciale almeno in
pareggio vincola l’ammontare di consumi e investimenti interni, e può dunque condizionare la
crescita.
Nel tardo mercantilismo l’idea dell’importanza del sovrappiù commerciale è anche legata
all’idea che quando importiamo beni stiamo pagando lavoro agli stranieri, mentre quando
esportiamo sono loro a sostenere il nostro lavoro. E’ stata dunque attribuita ai mercantiisti una
“balance of labour” che può esser definita come: MX LL surplus-labour, dove XL e ML sono,
rispettivamente, le quantità di lavoro complessivamente impiegate nella produzione (verticalmente
integrata) 10
delle merci esportate e importate.
L’idea attribuita ai mercantilisti delle esportazioni come lavoro che gli stranieri ci pagano e
delle importazioni come lavoro che noi paghiamo agli stranieri – un’idea di qualche popolarità – è
in parte giusta e in parte sbagliata. Di giusto c’è che le esportazioni sono una componente della
domanda aggregata (AD) e sostengono dunque output e occupazione – mentre viceversa le
importazioni sono una sottrazione di AD ed è dunque domanda nazionale che si rivolge a merci e
lavoro straniero. Di errato c’è che AD e occupazione possono essere sostenute anche consumando
di più all’interno, dunque non esclusivamente importando di meno o esportando di più.
Riprendendo quanto già detto sopra, la questione può essere più correttamente così posta: le
esportazioni hanno la doppia virtù di sostenere la AD e di finanziare il pagamento delle
importazioni necessarie per la produzione nazionale. Esportare oltre quanto necessario per
finanziare le importazioni relative alla produzione nazionale obiettivo (per esempio quella di piena
occupazione) sarebbe però uno spreco e una sottrazione ai consumi interni. Se X* è il prodotto di
10
Verticalmente integrata significa che la quantità di lavoro considerata include oltre che quella
usata nella produzione diretta delle merci esportate, anche quella utilizzata indirettamente nella
riproduzione dei beni capitali impiegati. In verità i beni esportati (importati) possono aver richiesto
anche lavoro straniero (nazionale), per cui la quantità di lavoro richiesta direttamente e
indirettamente per produrre i beni esportati (importati) dovrebbe essere al netto del lavoro straniero
(nazionale) impiegato.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 48 29/09/2015
piena occupazione, m la propensione marginale a importare, le importazioni corrispondenti alla
piena occupazione saranno M* = mX*. Il livello necessario di esportazioni è dunque E = M*.
Esportare di più non avrebbe senso, almeno dal punto di vista della piena occupazione.Vale a dire,
perseguire surplus commerciali per accumulare crediti verso l’estero equivarrebbe alla strategia
dell’avaro che vive in maniera grama per accumulare ricchezza.
Un esempio può aiutare. Supponiamo che il reddito di piena occupazione di un paese sia X =
1000. Assumendo una propensione a importare m = 0,2, tale reddito potrebbe essere conseguito con
le seguenti grandezze:
(1) X = C + I + G + (E – M) = 600 + 200 + 200 + (200 – 200) = 1000.
La bilancia commerciale sarebbe in equilibrio. Un paese mercantilista preferirebbe invece
ottenere quel reddito con grandezze del tipo:
(2) X = 500 + 150 + 150 + (400 – 200) = 1000,
dunque con un avanzo commerciale di 200. In tal modo esso sacrifica il benessere interno
diminuendo consumi, investimenti e spesa pubblica.
Come vedremo più avanti, la strategia mercantilista del surplus commerciale ha, tuttavia, un
senso in una economia capitalistica in cui è conveniente per i capitalisti tenere bassi salari e
consumi interni, realizzare un ampio surplus e, non potendolo consumare tutto in investimenti e
beni di lusso, venderlo nei mercati esteri. Supponiamo che i capitalisti riducano i salari e che questo
incida negativamente sui consumi poiché i capitalisti risparmiano gran parte dei maggiori profitti. Il
mantenimento del reddito di piena occupazione X* implica ora che esportazioni superino le
importazioni necessarie (E’ > M*) in modo che le maggiori vendite all’estero compensino la minore
domanda di beni di consumo all’interno (riprendendo l’esempio si è passati dall’equazione 1
all’equazione 2). In questo senso più complesso i mercantilisti avevano ragione a identificare il
surplus commerciale come creatore di lavoro.
Nel nostro esempio, se partendo dall’equilibrio descritto dall’equazione (1) si verificasse,
per esempio attraverso “riforme” del mercato del lavoro un calo dei salari e dei consumi a 400, i
profitti aumenterebbero ovviamente a 200, ma chi acquisterebbe la corrispondente parte di
produzione nell’ipotesi che i capitalisti consumino solo in piccola parte i propri profitti? La
collocazione all’estero attraverso 200 di maggiori esportazioni, se riesce, sarebbe l’unica via
alternativa, sicché un nuovo equilibrio sarebbe:
(3) Y = C + I + G + (E – M) = 400 + 200 + 200 + (400 – 200) = 1000
con un surplus commerciale di 200. Tale surplus corrisponde ai maggiori profitti dei capitalisti che
in tal modo li “realizzano”. Al surplus corrisponde un maggior credito netto verso l’estero ovvero
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 49 29/09/2015
l’importazione netta di oro o valuta pregiata (tecnicamente si verifica un miglioramento della
posizione netta sull’estero del paese).
3.3. La disoccupazione come spreco
L’esistenza di un sovrappiù sociale è implicito nell’idea diffusa fra i mercantilisti dello
spreco relativo all’esistenza di disoccupazione. Infatti, l’idea stessa che una parte della popolazione,
quella disoccupata, viva sostenuta dalla restante suggerisce l’idea che la società disponga di un
sovrappiù. Se ne deduce, argomentano alcuni mercantilisti, che se i disoccupati venissero messi a
lavorare, tipicamente nelle workhouse, vi sarebbe un doppio beneficio per la nazione: essi
potrebbero auto-sostenersi e al contempo arricchire la nazione.
Si supponga che il prodotto sociale sia 'NNP , dove 'N sono le necessities degli U
lavoratori disoccupati. Si ha: UwLwP , dove L sono gli occupati, U i disoccupati e w il salario
pro-capite, assumendo per semplicità che i disoccupati ricevano un sussidio11
di analogo
ammontare. Ovvero: ovvero UwLwPS dove S è il sovrappiù. Sia LP il prodotto per
occupato, sicché UwwL )( : in altre parole il sovrappiù )( wLLwLLwPS
viene tutto destinato al sostentamento dei disoccupati (un sovrappiù per occupato deve esistere
altrimenti i disoccupati sarebbero da tempo scomparsi per fame). Se questi ultimi venissero
occupati, il prodotto sociale sarebbe: ')(' LULP . Il sovrappiù sociale sarebbe
)('''' wLwLPS superiore a )( wLS poiché L’ > L. 12
11
Dalle parrocchie come accadeva ancora nell’epoca mercantile. Il capitalismo si oppose
naturalmente a queste forme di sostegno in quanto desiderava che i disoccupati non avessero
alternativa a offrirsi nel mercato del lavoro, mantenendo così bassi i salari. Si presti tuttavia
attenzione al fatto che per i mercantilisti (e in genere per gli economisti classici) una maggiore
offerta di lavoro non si traduce in una maggiore occupazione, come nell’economia neoclassica che
studiate normalmente. Per i mercantilisti, per esempio, si può forse dire che sono le politiche
pubbliche che dovrebbero stimolare l’impiego della popolazione disoccupata.
12 Il modello è implicito, per esempio, nel seguente passo di Davenant: “If all hands in this
Kingdom that are able were employed in useful labour our manufactures would be so increased that
the commonwealth could be thereby greatly enriched and the poor, instead of being a charge, would
be a benefit to the Kingdom” (citato da Furniss: 91). Un’altro mercantilista, Bellers, “proposed
establishing all idle workman in colonies upon public lands, where, he thought, the labor of half
their number would prove sufficient to provide for maintenance of the entire group. The other half
would then apply themselves to manufacture and thus swell the volume of England’s exports to the
great profit of the nation” (Furniss: 93; cf. anche Johnson: 246-247) [il passo di Bellers è il
seguente: ““Supposing that there were seven millions of people in the nation and that one in
fourtteen either will not work or that wants it, hat is, five tundre thousand men, women and
children. And, reckoning that they might earn, one with another, six pence a day a head, it comes to
twelve thousand pounds a day; which is seventy thousand pounds a year, which is the nation loseth”
(citato fa Furniss: 93). Johnson (246) cita William Wood (1718) “[who] argued that laborers in
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 50 29/09/2015
Poiché esso non è più destinato alle sussistenze, si potrebbe aprire lo spazio per un “surplus
esterno” laddove i capitalisti non lo consumino, almeno in parte. Si vede chiaramente come la
possibilità del “surplus esterno” coincida con l’esistenza di quello “interno”, cioè di una parte del
prodotto sociale non destinato ad assicurare la riproduzione della popolazione lavoratrice occupata
(o eventualmente disoccupata). L’impressione è dunque che i mercantilisti si siano molto avvicinati
al concetto di sovrappiù, cioè abbiano scritto uno più uno senza però trarre la somma. La continuità
fra il pensiero mercantilista e le successive teorie del sovrappiù appare anche maggiore di quanto
talvolta supposto. Vi sono inoltre degli autori mercantilisti che si esprimono con notevole chiarezza
sul coordinamento fra surplus “interno” ed “esterno.
3.4. Sovrappiù sociale e coordinamento fra sovrappiù sociale e surplus esterno.
Furniss identifica la teoria del sovrappiù con la “teoria socialista” e scrive: “It is apparent
that the germ of the socialist theory lies in this Mercantilist doctrine… [although] [t]hese sentiments
are too scattered to permit of their being united into a consistent body of doctrine” (Furniss: 25).13
Furniss cita al riguardo Chamberlen (1649):14
This may be a note to all man, especially to statesmen to look no more upon the poor as a
burden but as the richest treasure of a nation, if orderly and well-employed. Which is the more
manifest if we consider first, that though they multiply more than the rich they do not only
feed and clothe themselves but the rich men are fed and clothed and grow rich by what they
get out of the poor’s labor over and above their maintenance. Secondly, that the poor bear a
greater burden of taxes in the city and elsewhere. For the rich either abate what they get out of
the poor’s labor or (which is worse) permit them to starve for want of employment. (cit. da
Furniss:25, nostro corsivo)
English colonies would create a surplus there: indeed he believed ‘the superlucration from the same
number of men, over and above their nourishment’ would be greater in colonies than at home”.
13 L’identificazione di teoria del sovrappiù e di teoria socialista è evidentemente dovuta al fatto che
la teoria dei “Socialisti Ricardiani” prima, e quella di Marx poi si basarono sulla nozione di
sovrappiù. Ma ben prima di loro, gli economisti classici, borghesi di fede liberale, crearono tale
impostazione, e proprio a loro fecero riferimento i socialisti. Per noi è interessante che Furniss veda
nei mercantilisti elementi delle successive teorie del sovrappiù.
14 Il volume di Peter Chamberlen porta il significativo titolo di Poor’s Man’s Advocate. Nota
Furniss che nei mercantilisti, come peraltro nei classici, il termine Poor si riferisse all’intera classe
lavoratrice (F:n.1, p.25).
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 51 29/09/2015
Il corsivo è una limpida espressione del’idea di sovrappiù. Furniss cita anche Bellers (1714), che
appare assai limpido nel definire il surplus sociale, e nel coordinarlo con quello esterno. La
definizione di sovrappiù sociale in questo passo:
Regularly laboring people are the kingdom’s greatest treasure and strength, for without
laborers there can be no lords; and if the poor laborers did not raise much food and
manufacture than what did subsist themselves, every gentleman must be a labourer and every
idle man must starve (cit. da Furniss: 25 nostro corsivo)15
Questi autori sembrano indicare una strada per coordinare in maniera molto chiara
l’esistenza del surplus sociale “interno” con quello “esterno” argomentando come l’impiego
produttivo dei disoccupati generi un sovrappiù sociale, e che questo sia di base a maggiori
esportazioni nette (si veda sopra i passi citati nella nota 13).
Furniss cita anche il lavoro di un autore, Dudley North (1691) che certamente ha una idea
chiara di surplus sociale: “[Some labourers] are more provident, other more profuse…[some] raise
more fruits from the earth, than they consume in supplying their own occasions; and a surplus
remains with them and is property of the riches” (cit. da Johnson: 240). Johnson pone in relazione
tale surplus con la possibilità di un attivo commerciale.
In un autore molto più tardo e probabilmente influenzato da Petty (che trattiamo a parte),
William Hay, surplus sociale e surplus esterno sono coordinate in maniera limpida: “The source of
wealth is from the number of its inhabitants; …the more populous a country is, the richer it is or
may be … For the earth is grateful and repays their labour not only with enough but with an
abundance…Now whatever they have more than they consume, the surplus is the riches of the
nation. This surplus is sent to other nations and is there exchanged or sold, and this is the trade of
the nation. If the nation to which it is sent cannot give goods in exchange to the same value they
must pay for the remainder in money; which is the balance of trade; and the nation that hath that
balance in her favour must increase in wealth” (1751, cit. da Furniss 19-20, corsivo in Furniss).
Furniss sostiene come Hey faccia un passo in avanti nel mostrare come il valore creato dal lavoro
applicato sui materiali grezzi (eventualmente importati) deve essere superiore ai salari in modo da
lasciare un surplus esportabile.
15
Tale passo è preceduto dall’affermazione: “labouring people do raise and manufacture above
double the food and clothing [they use themselves]” (cit da Johnson, p.247). Il diverso spelling di
“labo(u)ring” è nei testi originali.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 52 29/09/2015
3.5. Il coordinamento fra i due surplus
Il coordinamento fra i due surplus può essere così sintetizzato. Come sappiamo da sopra:16
SNP (N si ricordi rappresenta le necessities). Poiché inoltre: MEICNP c , dove
cC sono i consumi dei capitalisti e I l’accumulazione di capitale, si ha MEICS c , e se cC
e I sono zero, per semplicità, MES .17
Più in generale, S = Cc + I + (E – M), cioè il sovrappiù dei capitalisti trova impiego (viene
“realizzato”) nei consumi di lusso (Cc), nell’accumulazione di capitale (I) e nel surplus
commerciale.
3.6. Salari e popolazione nei mercantilisti
I mercantilisti ritenevano, con delle eccezioni, che i salari dovessero mantenersi a livello di
sussistenza. In tal modo si sarebbe sollecitata la solerzia nello svolgere le proprie attività lavorative,
mentre salari più elevati avrebbero solo incentivato una maggiore indolenza (potendo guadagnare di
più, i lavoratori avrebbero cercato di ridurre la propria giornata lavorativa). Una eccezione è De Foe
che ritiene che salari più alti possano invece stimolare un maggiore impegno.
Furniss, che è un autore marginalista, vede la teoria mercantilista del salario come
fondamentalmente diversa da quella neoclassica. Egli (ibid. 24) vede la contraddizione fra l’idea del
lavoro come fonte della ricchezza, e dall’altra quella di tener i salari bassi, e la spiega attraverso lo
scarso interesse dei mercantilisti per la distribuzione a confronto dell’importanza attribuita alla
ricchezza della nazione, per cui “the labor doctrine…were projected as means toward increasing the
aggregate of nationally serviceable wealth, irrespective of its distribution within the country”
(Furniss: 28). Bassi salari erano inoltre visti come chiave per la realizzazione di un sovrappiù da
esportare, rendendo disponibile una maggior quota del prodotto sociale per le esportazioni. Per tale
ragione Furniss definisce il mercantilismo come “l’economia dei bassi salari”. In questo Heckscher
vede la tragedia del mercantilismo, la ricchezza della nazione basata sulla povertà della propria
popolazione.
Circa la popolazione, i mercantilisti vedevano in una ampia popolazione una fonte di
ricchezza per la nazione, laddove, naturalmente, essa fosse pienamente occupata. Si noti come nei
16
P e X rappresentano entrambi il prodotto sociale (modernamente il PIL). Indulgo talvolta nell’uso
dell’uno o dell’altro simbolo.
17 Tali relazioni non possono non ricordarci quelle di Luxemburg-Kalecki, che studieremo più
avanti, il quale vede nel surplus esterno, nelle esportazioni nette, una maniera di realizzare il
sovrappiù non consumato dai capitalisti medesimi. Il lettore non confonda il simbolo S, qui
rappresentante il sovrappiù, con i risparmi, altrove indicati col medesimo simbolo.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 53 29/09/2015
mercantilisti la piena occupazione non sia un risultato naturale del mercato, ma piuttosto il risultato
di politiche di pieno impiego.
3.7. Petty N
Marx considerò Petty (1623-1687) come il primo economista classico (Marx, 1867, pp ).
Petty è un autore assai interessante da molti punti di vista,18
sebbene noi ci soffermeremo qui
soprattutto sul concetto di sovrappiù. Petty fu un uomo poliedrico ed esuberante, medico, politico,
imprenditore, studioso.
Petty vede l’origine della ricchezza nella terra e nel lavoro e non nel commercio estero
(Johnson: 97). Il sovrappiù domestico è all’origine di quello estero e non viceversa.
Nel Treatise of Taxes and Contributions (1662) troviamo chiaramente espressa la nozione di
“surplus labour”: la porzione del tempo di lavoro che non è richiesta per la produzione del consumo
necessario, delle necessities. In un famoso passo Petty ipotizza un territorio composto da 1000
individui, nel quale “100 of these can raise necessary food and raiment [vestiario] for the whole
1000”. Gli altri 900, i lavoratori in surplus secondo la definizione data sopra, sono così ripartiti: 200
producono beni esportabili in cambio di importazioni o moneta;19
400 sono “employed in the
ornaments, pleasure and magnificence of the whole”; 200 sono “Governors, Divines, Lawyers,
Physicians, Merchamts, and Retailers”. Ne rimangono 100 disoccupati, anche sostenuti dal
sovrappiù (di modo che non diventino vagabondi, rubino o muoiano di fame). Qui Petty condivide
la posizione mercantilista per cui sarebbe meglio impiegare tali braccia - viste come disoccupazione
involontaria e spreco di risorse - in lavori pubblici, per esempio. L’idea centrale è dunque che
ciascun lavoratore del settore dei beni necessari è in grado di sostenere se stesso e altri nove
individui. La possibilità di sostenere spese pubbliche finanziate dall’imposizione fiscale si sorregge,
per Petty, sull’esistenza del sovrappiù. La possibilità di ottenere beni di lusso dall’estero
(includendovi tutti i beni non-necessari) anche dipende dall’esistenza di tale surplus.
L’esistenza del surplus anche spiega quella della rendita terriera, l’unica forma di reddito
diversa dal salario di sussistenza che Petty contempla con chiarezza. Egli immagina un individuo
18
v. Aspromourgos A. (1996) On the origins of classical economics: Distribution and value from
William Petty to Adam Smith, Routledge, London and New York, che prenderemo come punto di
riferimento per la nostra esposizione.
19 Si tratta di esportazioni effettuate in cambio di beni di lusso, o comunque non necessari, poiché
questi ultimi sono già prodotti in misura sufficiente all’interno dai 100 lavoratori del settore dei beni
di sussistenza. A rigor di logica questo non è strettamente necessario: parte di questi 100 lavoratori
potrebbero produrre beni esportabili in cambio di beni necessari non prodotti all’interno.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 54 29/09/2015
che produce grano (corn20
) da una data quantità di terra avendo a disposizione una certa quantità di
sementi:
“when this man hath subducted his seed out of the proceed of his Harvest, and also, what
himself hath both eaten and give to others in Exchange for Clothes, and other Natural necessaries;
that the remainder of Corn is the natural and true Rent of the Land for that year.” (cit. da
Aspromourgos: 24).
In questo passo21
si vede come il salario del lavoratore non consiste solo di grano, ma anche
di altri beni. Non è chiaro tuttavia se Petty ritenga che un surplus sia ottenibile anche al di fuori
delle attività agricole, né è chiaro in Petty come si determini la ragione di scambio fra grano e
manufatti (“Clothes, and other Natural necessaries”). Per questo si dovrà attendere versioni più
mature dell’economia politica classica.
Una schematizzazione della teoria di Petty è la seguente. Siano: P la popolazione totale
esogenamente data; n la proporzione di P in età da lavoro ( 10 n ), nPL è dunque il
potenziale di lavoro; cL la quantità di lavoro impiegata nel settore dei beni necessari, o lavoro
necessario, per cui cLL è il surplus labour il quale non è necessariamente occupato (abbiamo
visto sopra come Petty contempli la possibilità di disoccupazione involontaria); la produttività
nel settore dei beni necessari; infine c il consumo necessario di ciascun membro della popolazione
che assumiamo consistente di solo grano.
La condizione di sopravvivenza della popolazione è che la produzione di grano sia
sufficiente per la sussistenza: cPLc , ovvero
)( nLcLc
dove .è il prodotto per lavoratore e c il consumo di sussistenza per lavoratore, cL il lavoro
necessario per produrre l’insieme delle sussistenze (lavoro necessario). Se ne deriva che la quantità
complessiva di lavoratori si deve distribuire fra settore dei beni necessari (qui coincidente col
settore del grano) e gli altri settori (il surplus labour) in una proporzione:
n
c
L
Lc 1
.
22
20
In genere gli economisti classici indicavano per “corn” l’insieme dei prodotti agricoli.
21 Brewer A.(2008) The Concept of an Agricultural Surplus, from Petty to Smith, Bristol
Economics Discussion Papers 08/602, Department of Economics, University of Bristol, UK: 17)
sostiene, tuttavia, essere questo un passo isolato.
22 Per esempio, se L = 1000,
cL = 900, = 900/1000.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 55 29/09/2015
Si noti che la proporzione dipende: (i) in maniera diretta dal consumo di sussistenza c e dunque
dalla distribuzione del reddito fra salari e altri redditi; (ii) in maniera inversa dalla produttività del
lavoro nel settore dei beni di sussistenza , più questa è elevata, minore è , si “libera” dunque
“surplus labour” (non necessariamente occupato); e (iii) in maniera diretta dalla quota della
popolazione potenzialmente occupabile n. Consideriamo questi tre fattori.
Con riguardo al punto (i) in Petty, come negli altri mercantilisti, l’analisi della distribuzione
del reddito è ristretta a salari, rendita terriera e tassazione (Aspromourgus: 51). La considerazione
dei profitti, cioè del reddito proprio al capitale, dovrà attendere la trattazione di Adam Smith. La
determinazione del sovrappiù è inoltre limitata al settore agricolo, dove esso è storicamente emerso
ed è più evidente.
Con riguardo alla circostanza (ii), Petty considera il progresso tecnologico un fattore assai
importante, anticipando la descrizione dei vantaggi della divisione del lavoro che troveremo on
Smith.23 24
Con riguardo alla circostanza (iii), potremmo interpretare variazioni di n sia come variazioni
nel tasso di partecipazione alle forze di lavoro, per esempio includendo o escludendo il lavoro
minorile, degli anziani ecc., sia come variazione della giornata lavorativa. Basti pensare a P come il
monte-ore vita dell’intera popolazione (24 ore x il numero di individui), ed L come il monte-ore
lavoro potenziale (ore giornata lavorativa x numero di lavoratori). Come affermerà poi Marx, un
allungamento della giornata lavorativa accresce l’ammontare di sovrappiù estraibile dalla forza
lavoro.
23
Scrive ad esempio Petty: “Cloth must be made cheaper, when one cards, another spins, another
weaves, another draws, another dresses, another presses and packs; than when all the operations
above mentioned, were clumsily performed by the same hand” (cit. da Johnson, p.244; A. p.37).
Petty aggiunge che la specializzazione delle funzioni apporterà anche un miglioramento qualitative
delle single componenti e dunque del prodotto finale. Altrove egli mette in luce i vantaggi
produttivi delle attività di ricerca: “If by simple labour, I could dig and prepare for seed a hundred
acres in a thousand of days; suppose I spend a hundred days in studying a more compendious way,
and in contriving tools for the same purpose; but in all that hundred days dig nothing, but in the
remaining nine hundred days I dig two hundred acres of ground; then I say that the said art which
cost but one hundred days’ invention is worth one man’s labour for ever; because the new art and
one man performed as much as two man could have done without it” (ibid, p.270):
24 Petty è considerato un autore mercantilista (Aspromourgos non dà sfortunatamente molto rilievo
al legame con tale tradizione). Secondo Petty obiettivo di un paese è l’accumulo strategico di
riserve, con cui poter acquistare beni dall’estero. Questo richiede la capacità di produrre i beni
esportabili a costi inferiori ai concorrenti, ciò che a sua volta richiede anche di saper produrre i beni
necessari a costi inferiori. L’obiettivo è dunque “[to] make no more [exports] than we can vend, but
so much with the fewest hands, and cheapest food, which will be when Food also is raised, by fewer
hands than elsewhere” (cit. da A. p. 35).
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 56 29/09/2015
Il concetto di sovrappiù venne successivamente sviluppato da Richard Cantillon (1680-
1734), da James Steuart (1713-80) e dalla scuola Fisiocratica il cui principale esponente fu Francois
Quesnay (1694-1774). Non trattiamo di questi autori in questa stesura preliminare delle lezioni.
Rammentiamo qui solamente il concetto di Steuart di “profit upon alienation”. Steaurt fu un
aristocratico inglese visto talvolta come un precursore della pianificazione economica. Le sue teorie
sono infatti in un certo senso opposte a quelle di Smith, il cui successo oscurò tuttavia il contributo
assai importante di Steuart. Per quest’ultimo i profitti derivano dal riuscire a vendere la propria
merce a un prezzo superiore al costo di produzione, ovvero acquistare quella altrui sotto-costo. Per
Marx v’era un elemento corretto in ciò: i profitti non sono il frutto di un contributo del capitale alla
produzione, ma derivano da uno scambio ineguale. Vedremo come per Marx tale scambio ineguale
si svolge nel mercato del lavoro. E’ invece sbagliato, sostiene Marx, argomentare che due merci si
scambino – nel lungo periodo – a prezzi diversi dai costi di produzione.
Pur introducendo una più chiara nozione di distribuzione del reddito, di prezzo naturale e di
saggio del profitto, il concetto di sovrappiù si presentarà di per sé in forma ambigua in Adam Smith
(1723-90) rispetto a Petty e a Quesnay. Vedremo nella prossima sezione come Adam Smith sia stato
un feroce avversario di questa corrente di pensiero che ritenne difensore degli interessi costituiti dei
mercanti. Apparentemente il pensiero liberista di Smith25
vinse la battaglia ma, come vedremo, non
la guerra.
4. Adam Smith
In Adam Smith l’esistenza di un sovrappiù nella produzione in cui ciascun individuo è
specializzato è la base materiale della tendenza a scambiare a cui peraltro porta, a suo avviso, la
natura umana. A sua volta la possibilità dello scambio consente una maggiore specializzazione e
una maggiore produttività. Smith parrebbe suggerire che un sovrappiù è presente in tutte le attività,
agricole e manifatturiere. Molto chiaramente, inoltre, in Smith il prodotto sociale si suddivide fra
salari, profitti e rendite. Tuttavia in Smith l’origine dei profitti e delle rendite non viene chiaramente
ricondotta all’esistenza del sovrappiù. Nella manifattura, tuttavia, e anche in agricoltura laddove i
capitali impiegati e i salari non consistano di solo grano, la natura del sovrappiù è meno evidente,
come sopra spiegato: quando l’output ha natura materiale diversa dagli inputs (incluso il pagamento
dei salari), la inputs e output devono essere misurati in valore. (Potremmo certamente continuare ad
affermare che un surplus emerge come differenza fra il valore dell’output e quello degli inputs.
Tuttavia si potrebbe anche affermare che il valore dell’output è pari al valore degli inputs a cui si
aggiunge il rendimento del capitale (e quello della terra). Vedremo come entrambe le impostazioni,
siano presenti in Smith (Dobb). Ma andiamo con ordine.
25
Smith è un liberista intelligente, a differenza di molti suoi epigoni anche odierni.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 57 29/09/2015
4.1. La divisione del lavoro
Smith pone la divisione del lavoro (DL), ovvero la specializzazione delle attività, alla base
della ricchezza delle nazioni, in ciò parzialmente riprendendo autori precedenti. La divisione del
lavoro si applica all’interno di uno stabilimento produttivo, come nel famoso esempio della fabbrica
di chiodi della Ricchezza delle Nazioni, e fra le imprese, in cui ciascuna si specializza in una
produzione specifica dando luogo alla formazione di differenti settori o industrie collegati fra loro
in intense scambi.26
Smith rintraccia i vantaggi della divisione del lavoro in tre circostanze: (i) la
specializzazione delle mansioni fa perder meno tempo nel cambiare gli attrezzi utilizzati; (ii)
favorisce il processo di apprendimento di una determinata mansione, (iii) la semplificazione dei
movimenti facilita l’invenzione dei macchinari che, almeno all’epoca di Smith, potevano compiere
solo movimenti semplici (attualmente i robot industriali possono compiere movimenti più
elaborati). Vi sono diverse interessanti osservazioni da fare.
(a) La DL è posta da Smith alla base del progresso tecnico, e in parte coincide con esso. A
ben vedere il procedere della DL è infatti una innovazione organizzativa: a parità di conoscenze
tecniche (attrezzature ecc.), il processo lavorativo viene organizzato in maniera più efficiente. Ciò a
sua volta facilità l’invenzione di nuove attrezzature. Per Smith, inoltre, le stesse attività inventive
diventano oggetto di una specializzazione produttiva, compito dei “filosofi”. Per Smith l’inventività
umana è frutto degli stimoli che provengono dall’ambiente esterno e relative, in particolare, al ruolo
che si ricopre nella divisione del lavoro. Questo ci conduce al punto successivo.
(b) Smith ritiene che sebbene nelle fasi più semplici il progresso tecnico possa risultare
anche dalle invenzioni dei semplici operai, più avanti esso risulti dalle attività specializzate dei
filosofi. Anzi, Smith ritiene che sebbene la DL arrechi notevoli vantaggi materiali, essa sia negativa
per le menti dei lavoratori costretti a compiti ripetitivi e ossessivi. In tal senso Smith precede le
analisi di Marx circa l’espropriazione da parte dei capitalisti di ogni aspetto creativo del lavoro
operaio (Rosenberg…). Un moderno autore marxista, Henry Braverman (1920-76), ex operaio lui
stesso e allievo del grande economista marxista americano Paul Sweezy (1910-2004), mise in luce
come tale espropriazione sia funzionale a impedire il controllo operaio sui tempi di produzione. Un
artigiano, infatti, ha tipicamente il controllo pieno del processo produttivo e sa bene quanto tempo
occorre per effettuare una produzione (come ben sappiamo quando portiamo una autovettura da un
26
I flussi inter-industriali sono studiati con l’ausilio delle tavole input-output introdotte
dall’economista russo, emigrato negli Stati Uniti, Wassily Leontief (1905-99). Tale impostazione ha
una chiara origine nella letteratura marxista, a sua volta di derivazione classica, anche se ciò non fu
espressamente riconosciuto da Leontief dato l’ostracismo a cui ciò avrebbe dato luogo. Nel 1973 fu
attribuito a Leontief il cosidetto premio Nobel per l’Economia (cosidetto perché non è attribuito
dall’Accademia Reale delle Scienze di Svezia, ma dalla Banca di Svezia ed è contestato da alcuni
membri della famiglia Nobel).
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 58 29/09/2015
meccanico). Tanto più la produzione capitalistica conserva elementi artigianali, tanto più i
lavoratori cercheranno di difendere la propria salute fisica e mentale lavorando il meno possibile, o
comunque con i tempi che riterranno più opportuni. Il taylorismo, introdotto all’inizio dello scorso
secolo si prefisse proprio lo scopo di studiare scientificamente i processi lavorativi, separando
minutamente tutti i passaggi e misurandone la durata necessaria, affidandoli ciascuno a ciascun
operaio, di modo che fosse possibile controllare facilmente che ciascun lavoratore rispettasse la
tabella di marcia prefissata. Il taylorismo, vera e propria innovazione organizzativa, fu creato da
Frederick Winslow Taylor manager della Ford nel 1911.
(c) Smith ritiene che il progresso della DL dipenda dalla dimensione del mercato. In altri
termini, poiché la DL e il progresso tecnico ad essa collegato consentono un aumento del prodotto
per occupato (o produttività del lavoro), allora solo un mercato di sbocco più ampio la giustificano.
Un esempio di scuola è quello dell’emporio nei villaggi. Un tempo nei piccoli paesi esisteva un solo
negozio che fungeva da alimentari, merceria, tabacchino e quant’altro. La dimensione limitata del
mercato non rendeva infatti conveniente una scala più ampia dell’attività. Laddove il piccolo
villaggio si è espanso, e con l’accrescimento dei reddito pro-capite, è comparsa una differenziazione
commerciale. La DL appare dunque qui legata con la scala delle attività, e quest’ultima con la
dimensione del mercato. Smith suggerisce dunque che la crescita economica e l’ampliamento dei
mercati sia di stimolo all’aumento della produttività in un circolo virtuoso: l’aumento della
produttività comporta infatti, se distribuito su fasce ampie della popolazione, un aumento del
reddito pro capite e dell’”ampiezza del mercato”. Questi circoli virtuosi sono stati spesso definiti
come “processi cumulativi” della crescita da studiosi come Gunnar Myrdal e Nicholas Kaldor, e
talvolta definiti come “legge di Verdoon”. Non tutte le innovazioni sono, naturalmente, legate alla
scala della produzione: gli imprenditori avranno sempre convenienza a introdurre innovazioni che
riducano i costi di produzione.
Moderni studiosi del progresso tecnico hanno anche stabilito che le innovazioni sono spesso
stimolate da aspettative ottimistiche circa la crescita del mercato in quanto un mercato ampio
consente di recuperare più velocemente le ingenti spese di Ricerca e Sviluppo (ReS) occorse per
generare l’innovazione, recupero veloce tanto più necessario in quanto l’innovazione potrebbe
essere imitata e perfezionata dai concorrenti.
4.2. Divisione del lavoro, natura del prezzo e mano invisibile
Il fatto che ciascun produttore generi un output superiore alle proprie necessità relative a
quello specifico prodotto implica lo scambio. Lo scambio implica il concetto di prezzo, per la
precisione di prezzi relativi: quanto una quantità unitaria del bene A si scambia di norma con una
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 59 29/09/2015
quantità unitaria del bene B. La ragione per cui la teoria economica si occupa di come il mercato
determini i prezzi relativi è dunque legata al funzionamento dell’economia di scambio o di mercato.
Smith compie un enorme passo in avanti nella definizione della natura del prezzo di un
bene. Secondo Smith il prezzo naturale di un bene è dato dai suoi costi di produzione, e questi sono
pari al costo del lavoro, più il costo del capitale, più il costo della terra occorsi per produrre quel
bene (sottinteso: una quantità unitaria di quel bene). Il costo del lavoro è misurato dal saggio
naturale del salario (il salario reale pagato normalmente per una data quantità di lavoro); il costo del
capitale è pari al saggio del profitto normalmente guadagnato sul capitale anticipato; il saggio
naturale di rendita misura infine il costo della terra.
Il concetto di prezzo naturale (o normale o di lungo periodo) di un bene ci rimanda dunque
ai concetti di saggi normali (o naturali o di lungo periodo) di salario, profitto e rendita, che sono le
tre componenti del valore di una merce. Su questo torneremo fra poco. Si osservi che anche il costo
dei beni intermedi, capitali fissi o variabili, impiegati nel produrre una merce è a sua volta
risolvibile in salari, profitti e rendite.
Accanto al concetto di prezzo naturale di un bene, np , Smith introduce quello di prezzo di
mercato (o di breve periodo), mp . Questo è il prezzo che troviamo momento per momento nel
mercato e può essere temporaneamente diverso da quello naturale sebbene, come vedremo, esso
tenda o graviti attorno al prezzo naturale. Va da sé che se, ad es., nm pp , o il saggio del salario, o
quello del profitto o quello di rendita saranno diversi dal loro livello normale. Prezzo normale e
prezzo di mercato coincideranno quando la quantità della merce portata sul mercato coincide con la
domanda effettuale, dE , la domanda che il mercato manifesta quando il prezzo prevalente è quello
normale. Se la quantità offerta è superiore a dE , si verificherà che
nm pp ; viceversa se la quantità
offerta è inferiore a dE , si verificherà che
nm pp . In ambedue i casi la concorrenza farà in modo
che tale squilibrio di breve periodo non perduri e prevalga un equilibrio di lungo periodo, o
posizione di lungo periodo, in cui la quantità offerta è pari a dE , e di conseguenza
nm pp .
Supponiamo infatti di trovarci nel primo caso in cui nm pp . In questo caso possiamo
ritenere che i produttori di questo specifico settore, pagati i salari e le rendite al loro saggio
normale, si ritrovino con un saggio del profitto inferiore a quello normale. Ciò li indurrà il periodo
successivo a ridurre la quantità prodotta e offerta del bene. In tal modo mp aumenterà. Questo corso
di eventi si riprodurrà sino al punto in cui la quantità offerta diventa uguale a dE , e di conseguenza
nm pp . In quel momento anche il saggio del profitto sarà ritornato al suo valore normale. Nel
caso in cui, invece, nm pp i produttori, una volta pagati salari e rendite al loro saggio normale,
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 60 29/09/2015
godranno di un saggio del profitto superiore al valore naturale. Ciò attirerà produttori di altri settori,
produzione e offerta aumenteranno cosicché il prezzo tenderà al suo valore normale. A Il processo
di ingresso di nuovi concorrenti terminerà quando la quantità offerta diventa uguale a dE ,
nm pp
e di conseguenza anche il saggio del profitto sarà ritornato al suo valore naturale.
Questo è ciò che Smith intende con la famosa espressione della “mano invisibile”. Il
mercato farà in modo che le quantità prodotte di ciascuna merce gravitino nel lungo periodo in,
maniera da soddisfare le domande effettuali. E’ la “mano invisibile” dei prezzi a guidare i produttori
verso quest’esito. Marx definirà i prezzi normali come la stella polare dei capitalisti, ciò che guida
le loro decisioni.
La determinazione dei prezzi naturali ci rimanda alla determinazione delle loro componenti,
cioè dei saggi naturali di salario, profitto e rendita.
4.3. La distribuzione del reddito in Smith
Per Smith il salario reale dipende dalla forza contrattuale dei lavoratori e dei capitalisti. Egli
riteneva che, in generale, i capitalisti fossero più forti (avrebbero resistito più agevolmente nel caso
di scioperi e, inoltre, i sindacati erano a quel tempo proibiti). Più debole è invece la teoria del saggio
del profitto. Smith ha la idea piuttosto vaga che il saggio normale del profitto dipenda dalla
concorrenza fra i capitalisti. Tale idea può condurre a quella che se la concorrenza fra i capitalisti
aumentasse, il saggio del profitto potrebbe tendere ad annullarsi, circostanza che non si è
storicamente verificata. La concorrenza determina certamente la gravitazione del saggio di profitto
effettivo verso il suo livello naturale, ma questo non implica l’azzeramento dei profitti. La
determinazione del saggio del profitto naturale in Smith rimane dunque un problema aperto.
Sarebbe apparso naturale che Smith avesse utilizzato la nozione di sovrappiù per sviluppare
una teoria del saggio del profitto, ma per questo si deve attendere David Ricardo.27
4.4. Visioni armoniche e disarmoniche del mercato e delle relazioni economiche
internazionali: conclusioni su mercantilismo e Smith.
Smith appare presentarci una visione armonica del mercato, la mano invisibile, sebbene si
deve osservare che nell’apparato teorico dell’economista scozzese non vi siano forze naturali tali da
condurre al pieno impiego (che il più tardo marginalismo ritenne di poter identificare). I vantaggi
del laissez-faire si estendono per Smith anche al commercio internazionale. Qui, come nel mercato
interno, il commercio fra paesi consente la divisione internazionale del lavoro e la possibilità di
smerciare il sovrappiù relativo alle produzioni in cui ci si è specializzati, quelle per le quali si ha un
vantaggio assoluto di costo di produzione.
27
V. Brewer A.(2008: 13).
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 61 29/09/2015
Smith accused the mercantile doctrine of looking after the interests of merchants and
producers, while sacrificing those of consumers (1776: 661-2) and asserted the advantages of
international trade for all participating nations through exchange of surplus products, market
expansion and thereby extension of the division of labour (1776: 446-7). Ecco alcuni famosi passi
di Smith (Book IV, Chapter VIII: Conclusion of the Mercantile System):
IV.8.49 “Consumption is the sole end and purpose of all production; and the interest of the
producer ought to be attended to only so far as it may be necessary for promoting that of the
consumer. The maxim is so perfectly self-evident that it would be absurd to attempt to prove it. But
in the mercantile system the interest of the consumer is almost constantly sacrificed to that of the
producer; and it seems to consider production, and not consumption, as the ultimate end and object
of all industry and commerce.
IV.8.50 In the restraints upon the importation of all foreign commodities which can come
into competition with those of our own growth or manufacture, the interest of the home-consumer is
evidently sacrificed to that of the producer. It is altogether for the benefit of the latter that the
former is obliged to pay that enhancement of price which this monopoly almost always occasions.
IV.8.51 It is altogether for the benefit of the producer that bounties are granted upon the
exportation of some of his productions. The home-consumer is obliged to pay, first, the tax which is
necessary for paying the bounty, and secondly, the still greater tax which necessarily arises from the
enhancement of the price of the commodity in the home market.
IV.8.54 It cannot be very difficult to determine who have been the contrivers of this whole
mercantile system; not the consumers, we may believe, whose interest has been entirely neglected;
but the producers, whose interest has been so carefully attended to; and among this latter class our
merchants and manufacturers have been by far the principal architects. In the mercantile
regulations, which have been taken notice of in this chapter, the interest of our manufacturers has
been most peculiarly attended to; and the interest, not so much of the consumers, as that of some
other sets of producers, has been sacrificed to it.”
Smith held a theory of absolute advantages from trade which is very different from the
later theory of comparative advantages attributed to David Ricardo. A theory of absolute
advantages is in principle consistent with the pursuit of mercantilist policies, e.g. trade policies
aimed at developing and safeguarding national absolute advantages. In other words, despite his
attack on mercantilism, his theory of international trade is not inconsistent with a disharmonic view
of international political relations. Su questo torneremo.
Smith pare aver tuttavia condiviso l’argomento attribuito ai mercantilisti della “industria
nascente” (infant industry) (Heckscher: 113). L’idea è che la protezione della propria industria nei
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 62 29/09/2015
paesi a più tarda industrializzazione, e per il tempo necessario a ricuperare gli svantaggi
competitivi, non costituirebbe una violazione piena dei principi del laissez-faire.
Secondo Heckscher, mercantilismo e teorie del laissez-faire (LF), qui rappresentate da
Smith, condividono molti aspetti di filosofia morale e della scienza. I mercantilisti, per cominciare,
sostenevano i vantaggi del commercio estero, sebbene a differenza di Smith vedessero tali vantaggi
come conflittuali: se un lato se ne avvantaggiava, l’altro se ne svantaggiava. Ritenevano, inoltre,
che senza un accorto intervento pubblico i vantaggi acquisiti potessero perdersi.
Mercantilism was amoral, breaking in this with the middle age (Heckscher: 285): “The
welfare of society or, in actual fact, the welfare of the state was substituted in place of the
amelioration of the individual. This was a perfectly simple corollary of the raison d’état, or pure
machiavellism. …In addition the raison d’état was conceived emphatically as materialistic or
economic” (Heckscher: 286). Mercantilism was amoral also with regard to the means. In particular,
the pursuing of the individual interest was seen as functional to the state welfare, although it might
have to be regulated to that purpose (Heckscher: 298 and passim).
Tale visione è opposta, secondo Heckscher (298), a quella dei teorici del laissez-faire in cui
prevalsero le idée utilitariste della felicità e del miglioramento sociale, somma del miglioramento
del benessere dei singoli, come fine. I mercantilisti erano più cinici al riguardo: In mercantilism the
individual served the state, in LF both the individual and the state served “the community”
(Heckscher: 328-9). Come si vede I mercantilisti pensavano in termini di nazioni e non di individui,
e all’interno delle nazioni non ritenevano certo che tutti gli individui fossero sullo stesso piano.
Marx avrebbe detto che le teorie del laissez-faire erano un passo avanti e uno indietro rispetto al
mercantilismo. Indietro perché pensare alla società partendo dall’individuo è una “robinsonata”,
come vedremo meglio poi. Tuttavia questa convinzione, per quanto ideologica, coglie il senso del
moderno capitalismo, in cui sono perdute per sempre le reti sociali tipiche del feudalesimo (la
Chiesa, le relazioni feudali ecc), e l’individuo entra come individuo nel mercato. Questa è
naturalmente l’apparenza a cui si fermano gli economisti borghesi. Nel capitalismo vi sono relazioni
sociali ben precise che legano ciascun individuo agli altri, relazioni che sono puramente
economiche a differenza di quanto accadeva nelle forme economiche precedenti in cui istituzioni
quali la Chiesa o il feudalesimo si intrecciavano a quelle economiche.
Il razionalismo pervade, secondo Heckscher, sia il mercantilismo che le teorie del L-F:
“Rationalism characterized mercantilism to so high a degree. There was little mysticism in the
arguments. …this rationalism expressed itself in references to nature. Nature was conceived as a
factor which also influenced the social sphere, social life being placed parallel to physical life of the
individual; and society was regarded as a body with functions similar to those of the physical body”
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 63 29/09/2015
(Heckscher: 308). I mercantilisti ritenevano dunque possible scoprire leggi economiche naturali. A
differenza dei teorici del L-F, tuttavia, essi ritenevano che l’azione pubblica accompagnasse
l’operare di queste leggi, e non costituisse dunque una interferenza. Tale posizione pone i
mercantilisti assolutamente al di sopra del L-F. L’intervento dello Stato è da sempre centrale, ben
più del mercato vien da dire, nelle vicende economico-sociali. E’ ridicolo il lamento dei teorici del
L-F contro l’interferenza degli stati. Le ragioni e modalità di tale intervento, essendo parte della
storia, deve essere parte dell’indagine. L’atteggiamento del L-F è paragonabile a quella di un
biologo che si lamentasse che la presenza dei batteri rovini un bell’ambiente ecologico.
Il punto è che sebbene ambedue le scuole ritenessero che economia e società potessero
essere oggetto di indagine razionale e sistematica, cioè che fosse possibile identificare delle leggi
naturali – intese come comportamenti sistematici -, i mercantilisti sostennero una visione
disarmonica di tali leggi naturali, mentre per i teorici del L-F tali leggi richiamavano una visione di
armonia. Non credevano dunque in una “immanent social rationality” (Heckscher: 321) mentre più
tardi il LF “went so far in its belief in the domination of natural laws in society that it believed in an
immanent reason in the free play of forces” (ibid: 323). Heckscher cita Ricardo e Malthus come
studiosi più tardi e acuti che vedono la disarmonia, ma non ritengono che l’interferenza migliori i
risultati. Legge naturale ha dunque per i mercantilisti (come anche per i marxisti, i realisti politici
ecc.) una accezione pienamente laica: il mondo è conoscibile attraverso l’indagine scientifica
poiché segue delle leggi conoscibili. I liberali sono più “religiosi” – per quanto ciò risulti
paradossale dato il loro preteso laicismo: l’idea che all’esistenza della legge naturale si associ
armonia richiama l’esistenza di un ente superiore “buono”.
Heckscher vede la vittoria delle teorie del LF come momentanea. In Germania, ma con
influenze che vanno oltre, LF was later substituted by the historical doctrine (historicism) with its
organic vision on society. The origin of this view is of course in Germany: “Society was regarded as
a growth in the highest degree naturally determined, to be changed only by slow and gently
progressive treatment, bound to tradition, each individual nation containing inherent and more or
less ineradicable peculiarities” (ibid: 334).
Per Heckscher il LF also failed in its presumed humanitarian aims. Indeed what it did,
Heckscher argues, was to support measures that protected the individual against the state, but it
failed to protect it “against the pressure of social conditions, which did not have their origins in
definite measures of the state but which, on the contrary, demanded such measures if they were to
be abolished. On this point – Heckscher continues – laissez-faire was obstructed by its belief in
natural rights, i.e. its belief in a predetermined harmony, to which was added in practical policy the
influence of employer and capitalist interests” (ibid: 337). Heckscher observes that, paradoxically
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 64 29/09/2015
but not causally, social reforms were supported and adopted by the conservatives, “economic policy
being bound to with the duty of the patriarchal state to care for the welfare of its subjects” while
“the fear of …socialism also goaded politicians into finding remedies” (ibid: 337).
5. David Ricardo
In Ricardo (1772-1823) troviamo una compiuta formulazione della teoria dei profitti e della
rendita basata sul concetto di sovrappiù. Trascuriamo per ora la rendita.
5.1 Il Saggio sui profitti
La formulazione più immediata è quella che si ritrova nel Saggio sui profitti (1815) in cui
egli fa l’ipotesi che i salari consistano di solo grano (nell’eccezione classica dell’insieme dei
prodotti agricoli). Facendo l’ulteriore ipotesi che il capitale anticipato in agricoltura consista di solo
grano, ne deriva che in quest’ultimo settore si determina il saggio del profitto per l’intera economia.
Supponendo infatti che gL sia il numero di lavoratori impiegato in agricoltura, w il loro salario
reale misurato in grano, gP il prodotto agricolo netto dei capitali anticipati, il sovrappiù è
misurabile come: gg wLPS . Tale sovrappiù coincide con i profitti dei capitalisti del settore
agricolo. Il saggio del profitto è calcolabile come rapporto fra S e i capitali anticipati che consistono
del grano impiegato per la semina, gC e dei salari-grano:
gg wLC
Sr
[1]
Una volta calcolato il saggio del profitto del settore agricolo sulla base dell’equazione [1], si
dimostra che questo prevarrà anche come saggio del profitto dell’intera economia (dunque anche
nel settore manifatturiero). Se infatti il saggio del profitto in quest’ultimo settore fosse più elevato
di quello agricolo, si può supporre che dei capitali si sposteranno dall’agricoltura all’industria, che
dunque l’offerta dei prodotti industriali aumenti e, con la diminuzione del loro prezzo, anche il
saggio del profitto del’industria diminuisca convergendo progressivamente verso quello
determinato attraverso l’equazione [1].
E’ importante osservare che r risulta da un rapporto fra grandezze omogenee, tutte
consistenti di grano (com’è ovvio non ha senso una operazione aritmetica fra grandezze
disomogenee). Se ad esempio fra i capitali utilizzati vi fossero dei fertilizzanti prodotti
nell’industria, un calcolo così semplice di r non sarebbe possibile. Così anche se i salari
consistessero di grano e tela, w non sarebbe più misurabile come quantità di grano. In ambedue i
casi, grano e fertilizzanti che compongono gC , e grano e tela che entrano in w, vanno sommati
moltiplicando le loro quantità per i rispettivi prezzi, vanno cioè ridotti a valori omogenei, vanno
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 65 29/09/2015
cioè sommati in valore. Peraltro lo stesso prodotto sociale (lordo e netto) e il sovrappiù
consisterebbero di beni eterogenei28
Non casualmente Ricardo nella sua opera successiva, i Principi
di Economia (1817), considera una economia dove i capitali anticipati e i salari consistono di beni
eterogenei.
Il modello con solo grano mantiene tuttavia un suo interesse in quanto mette in luce in
maniera assai chiara il significato delle teorie del sovrappiù. Il settore del grano coincide infatti col
settore dei beni-salario, e il sovrappiù è la quantità di grano disponibile per sostenere il “surplus
labour”, dunque quella parte della popolazione che può dedicarsi ad attività superflue dal punto di
vista della mera riproduzione materiale della società, dunque alla guerra, alla ricerca filosofica, alle
attività politico-istituzionali, alle pratiche magiche e religiose, alla produzione dei beni di lusso, alla
esportazioni nette.
5.2. La teoria del valore lavoro
Entro limiti assai severi Ricardo ritenne di poter comunque determinare il saggio del profitto
entro uno schema di sovrappiù pur in presenza di beni salario e capitali eterogenei. A questo scopo
egli propose di misurare il valore delle merci attraverso la quantità di lavoro occorsa direttamente e
indirettamente per produrle, la cosiddetta teoria del valore lavoro. La quantità di lavoro diretta si
riferisce al lavoro direttamente impiegato per produrre un bene, ad esempio la tela, mentre quella
indiretta si riferisce al lavoro incorporato nei beni capitali impiegati nella produzione della tela, ad
es. nei filati ecc. Le merci si scambieranno dunque secondo le rispettive quantità di lavoro, dirette e
indirette, che incorporano. Per esempio se:
1 unità di grano 1 ora di lavoro diretto (bracciante) + 1 ora di lavoro indiretto
(incorporato nella zappa)
1 unità di tela ½ ora di lavoro diretto (operaio) + 1/2 ora di lavoro indiretto (incorporato
nei filati)
Ci vorranno due unità di tela per acquistare 1 unità di grano. Se fissassimo il prezzo del
grano pari a 1, il prezzo della tela sarebbe 0,5.
A questo punto tutte le grandezze che ci occorrono per calcolare il saggio del profitto sono
misurabili in maniera omogenea anche se consistenti di merci eterogenee, basti misurarne il valore
attraverso le quantità rispettive di lavoro incorporato.
28
Il prodotto sociale lordo consiste di grano, fertilizzanti e tela, il prodotto sociale netto e il
sovrappiù di grano e tela, cioè dei soli prodotti finali.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 66 29/09/2015
6. Karl Marx
6.1. Il materialismo storico
L’interpretazione della storia di Marx (1818-83) è detta materialismo storico. Per la sua
illustrazione si rinvia ai testi di scienza politica, al cap. 1 di Paul Sweezy (La teoria dello sviluppo
capitalistico, Boringhieri, 1970) e alla celebre Prefazione del 1959 riprodotta in calce a questa
sezione. Si può qui ricordare che per Marx gli individui entrano fra loro in relazione nella
riproduzione delle proprie condizioni di vita. E’ questo aspetto, legato alla sopravvivenza stessa,
che rende gli individui sociali. Marx in questo senso si contrappone esplicitamente al pensiero
liberale e alla teoria economica “borghese” che muove dall’individuo.29
Marx definì queste come
“robinsonate” avendo il mente il famoso romanzo di De Foe (che scrisse anche di economia)
Robinson Crusue. In tale romanzo un individuo può in isolamento ricostruire l’ambiente economico
circostante, sebbene a un certo punto abbia bisogno di “Venerdì”. Per Marx le condizioni materiali
della riproduzione umana evolvono nel tempo e a parte le forme di comunismo primitivo (che gli
studi antropologici sembrano in buona misura confermare) implicano relazioni fra sfruttatori e
sfruttati: i primi sono coloro che si appropriano del sovrappiù. Marx definisce come “sovrastruttura”
tutto l’apparato ideologico-religioso che presiede e giustifica lo sfruttamento. Il capitalismo si
porrebbe al culmine dell’evoluzione umana in quanto dispiegando una poderosa forza scientifica e
tecnologica porrebbe le basi materiali per una società finalmente giusta e libera. In questo senso
Marx vede nel capitalismo una forza liberatrice – la scienza spazzerebbe via ogni retaggio di
superstizione religiosa e di falsa coscienza, mentre il proletariato attraverso un processo
rivoluzionario getterebbe le basi di una società in cui i frutti del progresso vengono messi a
disposizione di tutti. Si possono condividere molti aspetti del pensiero di Marx anche senza
sottoscrivere i suoi aspetti più teleologici.
L’opera principale di Marx, Il Capitale, comincia con l’analisi della merce. Per Smith, come
s’è visto, lo scambio di merci era legato alla divisione del lavoro. Secondo Marx si può in realtà
avere divisione del lavoro senza scambio di merci, per esempio nelle economie primitive. Quindi lo
scambio ha una natura stricamente definita, non è una categoria universale come ritengono gli
economisti borghesi. Questi non vedono, inoltre, che dietro lo scambio v’è un rapporto fra
individui: il lavoro individuale diventa sociale attraverso lo scambio. Questo, attenzione, è ciò che
trae in inganno gli economisti liberali: essi vedono allora solo gli individui. Ma è al complesso della
formazione economica capitalistica che si deve guardare, ed essa è un insieme di individui che
attraverso lo scambio entrano in relazione fra loro, e ciascuno di loro non avrebbe senso (non
29
Nella sua forma più estrema il pensiero liberale nega che esista qualcosa chiamato “società”:
esistono solo gli individui.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 67 29/09/2015
potrebbe neppure sopravvivere) se non si ponesse in relazione, attraverso o scambio, con gli altri:
Robinson Crusue non può esistere. Si osservi anche che in forme economiche precedenti, come nel
feudalesimo, gli individui entravano in relazione fra loro non sulla base dello scambio, ma di
relazioni istituzionali: il servo della gleba era, ad esempio legato, al feudatario da vincoli legali. Nel
capitalismo, invece, il bracciate agricolo è un individuo formalmente libero che “scambia” il
proprio lavoro e più precisamente, come vedremo, la propria forza-lavoro con il capitalista agrario.
Le merci secondo Marx hanno un valore d’uso, presente in ogni società umana, e un valore
di scambio, laddove vi siano produttori privati. Dietro il valore di scambio v’è dunque il lavoro dei
produttori, e Marx fece del lavoro contenuto la misura del valore di scambio delle merci: il valore-
lavoro delle merci rappresenta la maniera in cui il lavoro degli individui diventa sociale.
Marx parla di “feticismo delle merci”: gli economisti borghesi trattano del rapporto di
scambio fra le merci non vedendovi dietro il rapporto fra le persone. Il mercato diventa dunque per
questi economisti una realtà esterna, una sorta di seconda natura che assoggetta gli uomini,
dimenticando che si tratta invece di rapporto fra persone, dunque non una realtà naturale esterna,
ma qualcosa di modificabile. Più semplicemente gli economisti borghesi non analizzano la natura
storica del mercato, lo considerano eterno e immutabile.
Anche Ricardo aveva misurato il valore di scambio attraverso il lavoro contenuto, senza
tuttavia attribuire al valore di scambio il significato di rapporto sociale, come fa Marx, ma solo di
mera misura del costo di produzione. In questo secondo aspetto più prettamente economico Marx
segue comunque Ricardo che egli tiene in grande reputazione. Il fatto di aver sviluppato la teoria di
Ricardo dà a Marx una grande forza: vedremo come Marx perfezioni la teoria del valore e della
distribuzione di Ricardo potendo così a ragione affermare di non essersi inventato nulla allo scopo
di dimostrare le proprie tesi, ma di aver semplicemente sviluppato e applicato la teoria del più
grande degli economisti borghesi. Ricardo utilizzò il proprio schema analitico per analizzare il
conflitto distributivo fra proprietari terrieri e capitalisti; Marx per quello fra questi ultimi e i
lavoratori. La teoria Ricardo-Marx si configura dunque come una teoria conflittuale, in cui non v’è
una distribuzione naturale del reddito il quale dipende invece dai rapporto di forza fra le classi
sociali. Già prima di Marx, questo rese la teoria ricardiana “pericolosa” agli occhi di molti
intellettuali borghesi, e cominciò una affannosa ricerca di una teoria più armonica della
distribuzione, ricerca culminata nella teoria marginalista verso la fine del secolo XIX°. I cosiddetti
“socialisti ricardiani” avevano in verità già prima di Marx cominciato a trarre da Ricardo
conclusioni politicamente pericolose circa lo sfruttamento nel capitalismo.
Da, K.Marx, Preface of A Contribution to the Critique of Political Economy, 1959
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 68 29/09/2015
“The first work which I undertook to dispel the doubts assailing me was a critical re-
examination of the Hegelian philosophy of law; the introduction to this work being published in the
Deutsch-Franzosische Jahrbucher issued in Paris in 1844. My inquiry led me to the conclusion that
neither legal relations nor political forms could be comprehended whether by themselves or on the
basis of a so-called general development of the human mind, but that on the contrary they originate
in the material conditions of life, the totality of which Hegel, following the example of English and
French thinkers of the eighteenth century, embraces within the term "civil society"; that the
anatomy of this civil society, however, has to be sought in political economy. The study of this,
which I began in Paris, I continued in Brussels, where I moved owing to an expulsion order issued
by M. Guizot. The general conclusion at which I arrived and which, once reached, became the
guiding principle of my studies, can be summarised as follows.
In the social production of their life, men enter into definite relations that are indispensable
and independent of their will, relations of production which correspond to a definite stage of
development of their material productive forces. The sum total of these relations of production
constitutes the economic structure of society, the real foundation, on which rises a legal and
political superstructure and to which correspond definite forms of social consciousness.
The mode of production of material life conditions the social, political and intellectual life
process in general. It is not the consciousness of men that determines their being, but, on the
contrary, their social being that determines their consciousness.
At a certain stage of their development, the material productive forces of society come in
conflict with the existing relations of production, or — what is but a legal expression for the same
thing — with the property relations within which they have been at work hitherto. From forms of
development of the productive forces these relations turn into their fetters.
Then begins an epoch of social revolution. With the change of the economic foundation the
entire immense superstructure is more or less rapidly transformed. In considering such
transformations a distinction should always be made between the material transformation of the
economic conditions of production, which can be determined with the precision of natural science,
and the legal, political, religious, aesthetic or philosophic — in short, ideological forms in which
men become conscious of this conflict and fight it out. Just as our opinion of an individual is not
based on what he thinks of himself, so can we not judge of such a period of transformation by its
own consciousness; on the contrary, this consciousness must be explained rather from the
contradictions of material life, from the existing conflict between the social productive forces and
the relations of production.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 69 29/09/2015
No social order ever perishes before all the productive forces for which there is room in it
have developed; and new, higher relations of production never appear before the material conditions
of their existence have matured in the womb of the old society itself. Therefore mankind always
sets itself only such tasks as it can solve; since, looking at the matter more closely, it will always be
found that the tasks itself arises only when the material conditions of its solution already exist or are
at least in the process of formation.
In broad outlines Asiatic, ancient, feudal, and modern bourgeois modes of production can be
designated as progressive epochs in the economic formation of society. The bourgeois relations of
production are the last antagonistic form of the social process of production — antagonistic not in
the sense of individual antagonisms, but of one arising from the social conditions of life of the
individuals; at the same time the productive forces developing in the womb of bourgeois society
create the material conditions for the solution of that antagonism. This social formation brings,
therefore, the prehistory of society to a close. “
(da http://www.marxists.org/archive/marx/)
6.2. La teoria del valore lavoro
Nel misurare il valore di una merce attraverso il lavoro contenuto Marx fa le seguenti
considerazioni (laddove non specificato, si osservi che Marx condivide le analisi del valore e
distribuzione già illustrate di Smith e di Ricardo):
(i) fa astrazione dalla forma concreta del lavoro (fabbro, carpentiere, ricercatore ecc),
considerando il solo lavoro astratto, la “sostanza” che dà valore alle merci. Naturalmente vi sono
lavori differenti, e non tutti i tipi di lavoro ricevono il medesimo salario. Per ridurre i lavori concreti
a lavoro astratto si devono prendere in considerazione i differenziali salariali. Per esempio, se un
ora di lavoro di un tecnico è pagata due volte quella di un operaio comune, allora un’ora di lavoro
concreto del tecnico varrà due ore di lavoro di un operaio, e così via.
(ii) considera il solo lavoro socialmente necessario a produrla, cioè il lavoro occorrente
nelle condizioni relative alla tecnica più moderna (in verità Marx parla di condizioni medie di
produzione e commette un errore). Per esempio se per produrre una vanga l’impresa A che utilizza
una tecnica più moderna impiega 1 ora lavoro, e l’impresa B che impiega una tecnica più obsoleta
1,25 ore, la concorrenza sarà tale per cui nel mercato prevarrà nel lungo periodo il valore-lavoro
relativo alla prima impresa.30
30
Si supponga che l’impresa A, che utilizza la tecnologia più moderna, ottenga il saggio del profitto
normale nr . (Incidentalmente, se essa fosse l’unica a possedere tale tecnica potrebbe produrre in
condizioni di monopolio per cui godrebbe di un saggio del profitto superiore al normale; stiamo
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 70 29/09/2015
(iii) il lavoro contenuto in una merce riguarda non solo il lavoro direttamente occorso per
produrla, ma anche il lavoro contenuto nei mezzi di produzione impiegati per produrla. Per
esempio, se per produrre 1 q di grano si impiegano 10 h lavoro di un bracciante, il quale consuma
una vanga che ha richiesto 2 ore di lavoro per essere prodotta, il valore di 1 q di grano sarà 12.
6.3. Pluslavoro e pluvalore
Peculiare a Marx è la trattazione del mercato del lavoro. Egli definisce come società
mercantile semplice quella in cui lo scambio avviene allo scopo di scambiare una merce per
acquisirne un’altra al cui valore d’uso si è interessati. La sequenza è dunque merce-denaro-merce, o
M-D-M. Nel capitalismo invece lo scopo precipuo dello scambio – sottinteso per i capitalisti - è la
realizzazione di un profitto, la sequenza è dunque denaro-merce- più denaro, ovvero D-M-D’ dove
D’>D. Ma come fa il denaro, o meglio un capitale, a valorizzarsi nello scambio? Dobbiamo
rivolgerci alla visione marxiana del funzionamento del mercato del lavoro.
Caratteristica peculiare del capitalismo è la riduzione del lavoro a merce. Quello che i
capitalisti comprano nel mercato del lavoro è dunque la merce forza-lavoro (FL), cioè il diritto di
disporre di un lavoratore per un certo numero di ore a giornata, dando in cambio un salario. Quanto
sarà questo salario? Tutte le merci sono secondo la teoria economica vendute al loro costo di
produzione di lungo periodo (questo è vero per tutte le teorie economiche, non solo per quella di
Marx). Il costo di produzione di lungo periodo di una qualsiasi merce è dato per Marx dal lavoro
occorso direttamente e indirettamente per produrla, e così è per la forza-lavoro. Ma da cosa è data la
quantità di occorsa direttamente e indirettamente per produrre la forza-lavoro? Tale quantità è data
dalla somma del valore-lavoro delle sussistenze da dare al lavoratore per sopravvivere, più quelle
per la propria famiglia in quanto i lavoratori non devono solo sopravvivere, ma anche riprodursi (i
lavoratori sono come una macchina di cui si paga la manutenzione e che si deve ammortizzare,
poterla cioè riacquistare una volta fuori uso).
Supponiamo dunque che un capitalista acquisti la disponibilità di un lavoratore per 10 ore al
giorno e che paghi un salario che incorpora merci per 5 ore lavoro. Egli avrà realizzato un
pluslavoro pari a 5 h lavoro. In altri termini, è come se il lavoratore erogasse le prime 5 h per
produrre il proprio salario, e le restanti per il capitalista. Il quale, tuttavia, non “ruba” nulla: la forza
dunque supponendo che oltre all’impresa A altre imprese posseggano quella tecnologia, viga
dunque un sistema di concorrenza). L’impresa B, che impiega la tecnologia obsoleta, realizzarà un
saggio del profitto inferiore a quello normale. Essa rimarrà sul mercato sin quando il prezzo di
vendita (fissato dalle imprese tipo A) sarà superiore ai suoi costi di produzione. Quel saggio del
profitto inferiore a quello normale è chiamato tradizionalmente “quasi-rendita”. Un capitale
tecnologicamente obsoleto è infatti assimilato alla terra – su cui si percepisce una “rendita”. Se voi
possedete un appezzamento di terra lo metterete a coltura sin tanto che esso vi dà un ricavo (rendita)
superiore a ciò che spendete per coltivarlo.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 71 29/09/2015
lavoro è merce, ed egli paga da questo punto di vista suo prezzo. L’origine del profitto e dunque nel
pluslavoro o plusvalore. Quando il capitalista impiega un capitale D per acquistare merce lavoro M,
egli realizzerà un plusvalore pari a D’-D corrispondente al pluslavoro. Si comprende che il
plusvalore dipende da quant’è il salario reale e dalla lunghezza della giornata lavorativa.
6.4. Componenti del valore e saggio del profitto
Il valore-lavoro di una merce – o del prodotto sociale inteso come somma del valore delle
singole merci prodotte - può a questo punto essere scomposto in tre componenti corrispondenti al
capitale costante (c), ovvero al lavoro indiretto incorporato nei mezzi di produzione;31
al capitale
variabile (v), ovvero alla parte del lavoro diretto incorporato nei beni salario; e nel plusvalore (s),
cioè quella parte del lavoro diretto che rimane al capitalista come pluslavoro:
c + v + s = valore totale32
Definiamo a questo punto il saggio del plusvalore: v
ss ' . Questo è anche detto saggio di
sfruttamento. Ragioniamo un momento. Il pluvalore deriva dalla parte della giornata lavorativa
corrispondente al pluslavoro. Esso è dunque una parte del lavoro diretto o vivo. Il lavoro indiretto, il
capitale costante, non contribuisce al plusvalore, per questo è definito costante o lavoro morto. Se la
giornata lavorativa è di 10 h, e i beni salario incorporano 5 ore, s’ = 100%. Se i beni salario
incorporassero solo 4 h, s’ = 150%. Come abbiamo detto s’ dipende dalla lunghezza della giornata
lavorativa e dal salario reale. Si può osservare che se la produttività nel settore dei beni salario
aumenta, se cioè servissero meno orelavoro per produrre un determinato ammontare di necessities,
v diminuirebbe ed s’ aumenterebbe (come ben sappiamo già dall’esposizione di Diamond).
Il saggio del plusvalore è necessariamente uniforme fra i settori nell’ipotesi che la giornata
lavorativa e il salario siano uniformi nei diversi settori. Se v è uniforme e contiene, per es. 5 ore
lavoro, e la giornata lavorativa è 10 ore, s sarà ovviamente 5. Per esercizio si calcoli il saggio di
plusvalore.
Definiamo ora la composizione organica del capitale: vc
cq
. Essa riflette la tecnologia
che si manifesta in una diversa proporzione fra capitale costante e capitale totale, diversa sia nel
tempo che fra le diverse industrie.
31
Si suppone che c consista di solo capitale circolante anticipato per un anno che è il periodo
produttivo ipotizzato. Nell’introdurre c nel calcolo del valore di una merce Marx fa un prmo passo
avanti rispetto a Ricardo.
32 In Ricardo il capitale si risolveva nei soli salari anticipati v. Marx fa in questo un passo in avanti
distinguendo fra le anticipazioni il capitale costante c.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 72 29/09/2015
Il saggio del profitto sarà infine dato dal plusvalore sull’insieme del capitale anticipato:
vc
s
. Effettuiamo alcuni passaggi:
)1(''''
)()(
)(
)(
)(
)()(
qsqssvc
c
v
ss
vcv
sc
vc
vc
v
s
vcv
scvcs
vvc
scsvsc
vvc
sv
vc
s
Ora, il saggio di sfruttamento s’ è il medesimo in tutti i settori mentre la composizione
organica q è diversa. Il saggio di sfruttamento s’ è il medesimo perché data la giornata lavorativa
uniforme (per esempio 10 ore), la maniera in cui essa si ripartisce fra lavoro per il capitalista (s) e
lavoro per riprodurre i beni salario (v) è anche la medesima. Una analoga uniformità non v’è invece
per la composizione organica q è diversa poiché diverse sono le tecniche e dunque le proporzioni
fra capitale costante e capitale variabile nelle diverse industrie. Ne consegue che il saggio di profitto
= s’(1 – q) sarà diverse fra le industrie. Il punto è fondamentale, vediamo meglio.
6.5. I problemi che incontra Marx
Tutte le analisi economiche condividono l’idea che la concorrenza farà in modo che nel
lungo periodo nei diversi settori vi sarà un saggio del profitto uniforme. Se così non fosse i capitali
si sposterebbero dove è più elevato, in quell’industria i prezzi diminuirebbero e con essi .
Come nel principio dei vasi comunicanti, la mobilità dei capitali farà tendere all’uniformità. Si
dimostra tuttavia facilmente che a meno che si assuma una composizione organica del capitale
uniforme, il che equivale a dire che vi è una sola industria, la misurazione dei valori di scambio
attraverso la teoria del valore lavoro viola il principio del’uniformità dei saggi di profitto. Vediamo
perché.
Si supponga che la quantità unitaria di due merci, A e B, dia luogo ai seguenti valori-lavoro:
10c + 20v + 20s = 50
30c + 10v + 10s = 50
Calcoliamo s’, q e :
2020' As e
2020' Bs ,
3/130
10 Aq e 4/340
30 Bq
%254/1)4/31(*1
%663/2)3/11(*1
B
A
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 73 29/09/2015
Come si vede il settore B con la più elevata composizione organica del capitale ha un saggio
del profitto inferiore, e ciò non sorprende in quanto è proporzionalmente minore nel capitale la
fonte del profitto, che è nel lavoro vivo.
Concludiamo dunque che se giungiamo a calcolare il saggio del profitto misurando gli
aggregati (capitale costante e variabile, plusvalore) in lavoro contenuto, il che si ottiene non è
compatibile con l’uniformità del saggio del profitto. La teoria del valore lavoro è dunque errata.
Vedremo più avanti come Marx cercherà di risolvere il problema.
6.6. La riproduzione semplice e allargata
Marx suddivide l’economia in due settori, quello dei mezzi di produzione I, e quello dei
beni di consumo, II. Nella riproduzione semplice i capitalisti consumano tutto il plusvalore (nella
riproduzione allargata, vedremo, ne impiegheranno parte per accumulare nuovi mezzi di
produzione). Il valore della produzione nei due settori sia rispettivamente:
I . 1111 svc
II. 2222 svc
A fine anno la produzione di beni di consumo dovrà soddisfare la domanda di beni di
consumo che proviene dai lavoratori e dai capitalisti dei due settori, dunque:
2211222 svsvsvc , ovvero: 112 svc .33
Se tale condizione è soddisfatta, il processo produttivo potrà svolgersi su scala immutata di
anno in anno. Essa non sorprende: il beni capitali prodotti dal settore I in eccesso a quanti richiesti
all’interno del medesimo settore per ricominciare la produzione l’anno successivo [e
1111 svc è precisamente tale eccesso] si scambiano con i beni di consumo prodotti nel
settore II in eccesso a quanti consumati all’interno del medesimo settore [e )( 2222 svc è
precisamente tale eccesso).
Nella riproduzione allargata i capitalisti investono in capitale costante e variabile parte del
sovrappiù per cui le equazioni diventano:
I . 11111111 vcvcsvc
II. 22222222 vcvcsvc
In questo caso il settore I domanda al settore II 11 vv di beni di consumo, mentre il
settore II richiede al settore I 22 cc di beni capitali. La condizione di equilibrio è dunque
1122 vvcc . Rispetto alla condizione di equilibrio della riproduzione semplice, che era
33
Alla stessa relazione si giunge se si considera che la produzione di beni capitali deve soddisfare la
domanda totale per questi beni che proviene dai due settori. Lo si dimostri per esercizio.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 74 29/09/2015
112 svc , ora il settore I domanda meno beni di consumo, mentre i settore II domanda ora più
beni capitali. La diminuzione dei consumi dei capitalisti ha creato dei problemi. Lasciamo pla
questione in sospeso.
E’ infine possibile anche introdurre il settore dei beni di lusso. E’ possibile dimostrare come
nell’approccio classico tale settore sia irrilevante nella determinazione del tasso di profitto, per il
quale rilevano solo le condizioni tecniche di produzione nel settore dei beni salario, come già
rilevato nel Saggio sui profitti di Ricardo in cui il saggio del profitto era determinato nel settore del
grano che conteneva il settore dei beni-salario consistenti di solo grano.
6.7. L’esercito industriale di riserva
E’ uno dei concetti più importanti introdotti da Marx. Obiettivo dei capitalisti è di
valorizzare il capitale D-M-D’. Se tuttavia il tasso di accumulazione del capitale diventa più rapido,
la domanda di lavoro aumenta e i salari diminuiscono, facendo cadere il saggio del profitto.
Secondo Marx, dunque, un capitalismo ben funzionante richiede la costante presenza di un pool di
lavoratori disoccupati che calmierino il mercato del lavoro, l’esercito industriale di riserva (EIR).
Questo sarà tipicamente composto da bambini, donne, immigrati, vagabondi, lavoratori anziani,
diversamente abili, figure tenute normalmente fuori del mercato del lavoro, ma richiamate in
servizio qualora il nerbo della forza lavoro composta da maschi in età matura non possa far fronte
alle necessità dell’accumulazione, la forza contrattuale dei lavoratori si accresca, i salari tendano ad
aumentare. Nel lungo periodo anche la fertilità tenderà ad adeguarsi alle necessità
dell’accumulazione, ma questo richiede tempi assai lunghi. L’importazione di lavoro immigrato
sarà ad esempio un metodo più rapido per calmierare i salari. L’introduzione di macchinario sarà un
altro metodo adottato dai capitalisti per creare disoccupazione e preservare l’EIR. La crisi è infine
un ulteriore metodo con cui, se l’EIR si inaridisce, i capitalisti lo ricreano. Gli economisti non
ortodossi ritengono ad esempio che l’elevata disoccupazione nei paesi occidentali dagli anni 1970
sia una scelta del capitalismo dopo la sbornia della piena occupazione dei due decenni precedenti e
la conseguente indisciplina sindacale alla fine degli anni 1960.
E’ obbligatorio a questo punto, e costituisce domanda d’esame, lo studio del seguente saggio
di Michal Kalecki, un grande economista polacco, che spiega perché il capitalismo pur potendo
ottenere la piena occupazione è incompatibile con essa. Il saggio è fondamentale per comprendere
la realtà perversa (come si esprimerebbe Kalecki) in cui viviamo.
http://www.modernmoneynetwork.org/uploads/1/2/5/3/12534585/political-aspects-of-full-
employment.pdf
6.8. La caduta tendenziale del saggio del profitto
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 75 29/09/2015
Si è detto poco fa come per Marx la crisi possa risultare dalla volontà soggettiva del
capitalismo di porre ordine nel mercato del lavoro. Vedremo più avanti altri tipi di crisi in Marx.
Menzioniamo ora di passaggio la famosa legge della caduta tendenziale del saggio del profitto.
Ricordiamo la relazione )1(' qs . Si può ritenere che nel corso dell’accumulazione q aumenti,
per esempio a causa della sostituzione di macchine a lavoro. Ma allora a parità di s’ , tenderà a
cadere. Il capitalismo è dunque destinato a morire (se tende a zero muore la classe dei
capitalisti), a cadere come una pera matura. Questo ha implicazioni politiche rilevantissime per il
movimento socialista. Se il capitalismo è destinato comunque a morire, basta attendere che cada
come una pera matura. Inutile sarebbe il tentativo di ottenere avanzamenti sociali in esso, o
addirittura riformarlo: si cercherebbe di migliorare, ammesso che ciò sia possibile, qualcosa che è
strutturalmente malato. Marx addusse una serie di ragioni che potrebbero rallentare la caduta del
saggio del profitto, di cui però non ci occupiamo (v. Sweezy cap. VI). Si può qui però sottolineare
come tale legge dipenda dalla validità della teoria del valore lavoro, e se quest’ultima non funziona,
nemmeno quella legge è valida.
6.9. La trasformazione dei valori in prezzi
Abbiano sopra illustrato come le merci con una maggiore composizione organica del
capitale offrirebbero un saggio del profitto inferiore rispetto a quelle con un q più elevato.
Esaminiamo di nuovo la questione con un esempio proposto da Pierangelo Garegnani (1984, p.29).
Si esamini la tabella 1.
Valore del
Valore del
Valore del
Valore del
capitale costante capitale variabile sovrappiù prodotto
Prodotto ( c) (v) (s) (c+v+s)
Acciaio 0,6 0,2 0,2 1
Grano 0,4 0,3 0,3 1
Totale 1 0,5 0,5 2
Tabella 1
In essa si considera una semplice economia che produce grano e acciaio, entrambi impiegate
nella produzione di se stesse e dell’altra merce (queste merci sono note come “merci base”). Si
assume che i capitali costanti si compongano di solo acciaio, e quelli variabili di solo grano.
(L’esempio di Garegnani è particolare nel senso che se si producono le due merci ciascuna nella
proporzione che incorpora 1 ora lavoro, il sistema è anche perfettamente riproducibile) Come
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 76 29/09/2015
unità di ciascuna merce è considerata quella che incorpora 1 ora di lavoro, diretto e indiretto.
Sappiamo calcolare le seguenti grandezze:
.43,07,0
3,0;25,0
8,0
2,0
;57,07,0
4,0;75,0
8,0
6,0
BA
AA
rvc
sr
qvc
cq
Per riequilibrare la situazione Br dovrebbe diminuire e Ar dovrebbe aumentare. L’idea di
Marx – contenuta nel capitolo terzo del Capitale edito postumo da Engels - è quella di calcolare un
r medio da applicarsi ad ambedue le industrie. Tale r medio viene ottenuto come
.33,05,01
5,0
vc
sr M Marx suggerisce dunque di calcolare i prezzi delle due merci, definiti
“prezzi di produzione” applicando Mr ai capitali anticipati nei due settori, rispettivamente. Dunque:
93,0)33,01)(3,04,0()1)((
07,1)33,01)(2,06,0()1)((
MBBB
MAAA
rvcP
rvcP
Si noti che nell’esempio la somma dei prezzi (1,07+0,93) è precisamente pari alla somma dei
valori, cioè 2. Questo non è detto in generale (cfr. Sweezy 1970).
L’idea di Marx è quindi che attraverso il saggio del profitto medio il sovrappiù si
redistribuisca fra i settori in modo da assicurare un saggio uniforme del profitto. In generale,
dunque, il sistema di calcolo di prezzi e profitti proposto da Marx è:
)()(
)1)((
)1)((
BBAA
BAM
MBBB
MAAA
vcvc
ssr
rvcP
rvcP
Si tratta di un sistema con tre equazioni e tre incognite, Mr e i due prezzi di produzione. A ben
vedere, tuttavia, potremmo prendere uno dei due prezzi come numerario e porlo uguale a 1, per
esempio .1Ap A questo punto avremmo una equazione di troppo. Al di là della matematica, in
effetti Marx stesso si avvede che sta compiendo un errore economico. I prezzi di produzione
vengono calcolati applicando il saggio uniforme del profitto sul valore dei capitali anticipati, questi
ultimi misurati in valore-lavoro e non anch’essi ai prezzi di produzione (a cui il capitalista nei fatti
li paga). Inoltre lo stesso calcolo di Mr è inficiato dal medesimo problema: una volta che si ritenga
che nella realtà le grandezze siano misurate coi prezzi di produzione, e non in valore, anche il
saggio del profitto va calcolato come rapporto fra il sovrappiù e i capitali anticipati con tutte le
grandezze misurate ai prezzi di produzione, non in valore come fa Marx. suggerisce dunque di
applicare i prezzi di produzione anche al valore dei capitali anticipati. Egli esprime questo
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 77 29/09/2015
suggerimento, ma si ferma lì, e nei suoi scritti non ritornerà più su questo punto, forse avrebbe
voluto farlo, ma egli giunse a queste conclusioni in età assai avanzata. Seguendo comunque il suo
suggerimento giungiamo alle seguenti equazioni:
)1)((
)1)((1
rpvcP
rpvc
BBBB
BAA
(Si ricordi che l’industria B è quella del grano, e che il capitale variabile v consiste di
anticipazioni di grano ai lavoratori, per cui v va moltiplicato per Bp , mentre c consiste di acciaio il
cui prezzo è 1).
Non scriviamo la terza equazione, quella del saggio del profitto. In effetti essa sarebbe
ridondante: le due equazioni ora scritte sono sufficienti a determinare le due incognite Bp ed r.
Gli avanzamenti che Marx fa rispetto a Ricardo, pur perseguendo coerentemente la linea di
pensiero economico del grande predecessore, sono notevoli. Ma cosa rimane della teoria del valore-
lavoro, dunque della misurazione dei valori di scambio attraverso il lavoro contenuto? E soprattutto,
cosa rimane della teoria del sovrappiù?
Generalizziamo il sistema ora scritto assumendo che c e v siano composti da più beni.
Abbiamo sempre due merci (1 e 2, acciaio e grano). Supponiamo che ambedue entrino sia nel
capitale costante, come mezzi di produzione, che nel capitale variabile, come beni salario. Non è
necessario supporre questo: in generale nella realtà alcune merci saranno esclusivamente mezzi di
produzione, altre esclusivamente beni salario, altre ancora avranno entrambe gli usi. Riscriviamo le
equazioni come:
1
)1]()[(
)1]()[(
1
2211
22222112
11221111
p
papaw
prwlpapa
prwlpapa
ww
(I)
Nelle equazioni 12111 ,, laa misurano in quantità di lavoro gli input materiali e di lavoro diretto
occorrenti per produrre una unità del bene 1, laddove questa quantità (come nell’esempio della
tabella 1) è definita come quella che incorpora una unità di lavoro, diretto e indiretto (per esempio
un’ora di lavoro). 1p è dunque il prezzo di produzione di quell’unità fisica. Se per esempio con
un’ora lavoro si producono 10 metri di tela, 1p è il prezzo di una unità di tela che è posta pari a 10
metri.34
Così per il bene 2. Con riguardo al salario, wa1
e wa2
sono le quantità di lavoro necessarie
34
Così se 21a consistesse di tela e misurata in tempo-lavoro valesse 6 minuti, ciò vorrebbe dire che
21a corrisponde a un inmput di 1 metro di tela (6 minuti sono 1/10 di una unità di tela che per
definizione corrisponde a 1 ora lavoro = 60 minuti).
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 78 29/09/2015
per produrre i beni che entrano nel salario per unità di lavoro. Ecco le3 corrispondenze nella
terminologia di Marx:
22
11
22212
12111
;
;
vl
vl
caa
caa
Per risolvere il sistema (I) procediamo così. Un prezzo è pari a uno, per esempio ,11 p che
funge da numerario. Consideriamo il salario noto, in linea con quanto sostenuto dagli economisti
classici (noti wa1
e wa2
è noto il salario in termini reali). Sostituiamo w nelle prime due equazioni
che possiamo risolvere per le due incognite 2p ed r. Una volta calcolato 2p la terza equazione ci dà
il valore del salario. Quindi, in linea con l’impostazione classica, abbiamo calcolato prezzi e saggio
del profitto sulla base delle condizioni tecniche di produzione e del salario reale.
I coefficienti tecnici di produzione 12111 ,, laa ecc. sono ancora misurati come quantità di
lavoro. Potremmo tuttavia misurarli come quantità fisiche e non come lavoro contenuto. In tal modo
ci si sgancerebbe completamente dalla teoria del valore-lavoro. Consideriamo 11a . Questa è la
quantità di lavoro necessaria per produrre una unità fisica del bene 1 che incorpora 1 unità di lavoro
diretto e indiretto. Allora se 11a =0,6, si può interpretare tale grandezza come la quantità di acciaio
che entra in una unità di acciaio (sempre definita come sopra).35
Analogamente per 22a .
Consideriamo 12a . Questa è la quantità di lavoro incorporata nell’acciaio utilizzato per produrre una
unità di grano che incorpora una unità di lavoro.36
Supponiamo 12a =0,3. Allora 0,3 per come è
definita l’unità di acciaio è sia 1/3 di una unità di lavoro che 1/3 di una unità fisica di acciaio (unità
fisica che incorpora peer definizione una unità di lavoro). Allora 12a =0,3 può essere anche
interpretato come la quantità di acciaio occorrente pwer produrre una unità fisica di grano (definita
al solito modo). Similarmente wa1
è la quantità di lavoro occorrente per produrre una unità di merce
35
In altri termini: se il bene 1 è acciaio, 11a rappresenta la quantità di acciao necessaria per produrre
una unità di acciaio che contiene 1 ora di lavoro. 11a è dunque sia 11a = 0,6 ore lavoro che anche
0,6 unità fisiche di acciaio (dove l’unità fisica è sempre definita come quella che incorpora 1 ora
lavoro).
36 Ovviamente sia le unità fisiche di grano che di acciaio sono definite come quele che incorporano
un’ota lavoro. SE per esempio 12a = 0,1. In ore lavoro 0,1 è la quantità di ore-lavoro-acciaio che
entra in una unità di grano che incorpora 1 ora lavoro. In termini fisici 0,1 è la quantità di acciaio,
dove una unità di acciaio è misurata come quella che incorpora 1 ora lavoro, necessaria a produrre
una unità di grano (misurata come quela che incorpora 1 ora lavoro).
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 79 29/09/2015
salario che acquista 1 ora lavoro (w è il salario per unità di lavoro). Ma è altresì definibile come la
quota parte di una unità fisica di acciaio che incorpora una unità di lavoro, e così via. In
conclusione, gli ija sono indifferentemente le quote parti di unità di lavoro e di unità fisiche che
incorporano unità di lavoro. ija è sia la quantità di lavoro incorporata nell’input i-esimo della merce
j-esima, che l’input fisico della merce i-esima che entra nl prodotto j-esimo. Se ija =0,2, 0,2 è sia il
20% di una quantità unitaria dell’input i-esimo, che il 20% della quantità fisica dell’input i-esimo
(definita come quella che incorpora una unità di lavoro).
Potremmo allora definitivamente abbandonare la teoria del valore lavoro e considerare gli ija
come coefficienti tecnici che riguardano quantità fisiche. La misurazione degli ija non avrebbe
infatti nulla di sostanziale da svolgere nella determinazione di prezzi e distribuzione.
Il problema che rimane aperto è che in tale determinazione della distribuzione si perde quella
chiarezza espressa dalla determinazione del saggio del profitto in Ricardo e Marx attraverso le
equazioni del sovrappiù (in Marx vc
sr
).
6.10. Crisi da domanda in Marx
Si è visto sopra come per Marx la crisi possa risultare dalla volontà soggettiva del capitalismo
di ricreare un EIR. Marx è anche critico della Legge di Say. Egli sottolinea infatti il fatto che la
classe dei capitalisti accumula capitale non con lo scopo ultimo di produrre e acquistare più merci,
la con il mero scopo di accrescere la propria ricchezza astratta, di possedere più capitale, D-M-D’.
La Legge di Say avrebbe qualche plausibilità solo nella produzione mercantile dove si scambia per
consumare M-D-M. Nella produzione capitalistica si può verificare una crisi di realizzo, in cui cioè
non tutto il prodotto viene venduto
Si parla in Marx di due tipi di crisi di realizzo. La prima è la crisi da sproporzione. L’idea è
che la produzione capitalistica sia anarchica e che dunque i capitalisti possano compiere errori
producendo troppo in un settore e troppo poco in un altro rispetto alle domande effettuali nelle due
industrie, rispettivamente. Questo tipo di crisi non è molto importante poiché nel lungo periodo la
mano invisibile del mercato, che Marx non contesta da questo punto di vista, ristabilirà le giuste
proporzioni fra offerta e domande effettuali. La crisi di realizzo (v. Sweezy 1970: 207 e 209)
dipende dalla fondamentale contraddizione che Marx vede nel capitalismo fra la sfera della
produzione in cui i capitalisti vorrebbero tener bassi i salari, e quella del consumo (o della
circolazione delle merci), rispetto al quale i capitalisti vorrebbero che i salari fossero alti. Nei fatti
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 80 29/09/2015
ciascun capitalista vorrebbe pagare un basso salario ai propri dipendenti, ma desidererebbe che gli
altri capitalisti pagassero salari alti ai loro in modo da sostenere la domanda di beni di consumo.
Lettura obbligatoria: http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2014/03/la-critica-
delleconomia-politica-ieri.html
7. Sraffa e lo sviluppo del sistema classico N
La problematica della teoria del valore e della distribuzione viene ripresa sul finire degli anni
20’ da Piero Sraffa (1898-1983).
1.7.1. Eravamo giunti al seguente sistema sempre con due merci (1 e 2, acciaio e grano),
entrambe entrano sia nel capitale costante, come mezzi di produzione, che nel capitale variabile,
come beni salario:
2211
22222112
11221111
)1]()[(
)1]()[(
papaw
prwlpapa
prwlpapa
ww
I coefficienti tecnici di produzione ,, 2111 aa ecc. sono misurati come quantità fisiche. Per
risolvere il sistema (I) abbiamo proceduto così. Abbiamo posto 11 p ; noti wa1
e wa2
è inoltre noto
il salario in termini reali. Sostituiamo w nelle prime due equazioni che possiamo risolvere per le due
incognite 2p ed r:
2222122212
122122111
)1]()()[(
1)1]()()[(
prlpaapaa
rlpaapaa
ww
ww
Quindi, in linea con l’impostazione classica, abbiamo calcolato prezzi e saggio del profitto
sulla base delle condizioni tecniche di produzione e del salario reale.
***
Vediamo ora un po’ meglio alcuni aspetti matematici di tale sistema di equazioni.
Abbiamo sinora adottato il metodo di “contare le equazioni e le incognite, ma tale metodo non
è un test certo per assicurarci che una soluzione ci sia. Si considerino per esempio i seguenti sistemi
di equazioni nei quali, apparentemente, v’è un numero identico di equazioni e incognite:
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 81 29/09/2015
9
7
yx
yx
Questo sistema è chiaramente incoerente, la somma di x ed y non può al medesimo tempo
dare 7 e 9.
2024
102
yx
yx (II)
Questo sistema è formato da due equazioni che raccontano la medesima storia: in effetti la
seconda è uguale alla prima moltiplicata per due. In effetti abbiamo una equazione in due incognite.
In questo caso esistono infinite coppie (x, y) che soddisfano quella che è in effetti un’unica
equazione. Per esempio (0, 10), (1, 8), (2, 6) ecc. Ciò che desideriamo è dunque che le equazioni ci
raccontino storie differenti (sebbene non incoerenti fra di loro), siano “funzionalmente
indipendenti”.
- Si dimostra che se il sistema è non omogeneo, cioè del tipo
2222112
1221111
dxaxa
dxaxa
(III)
le due (o più) equazioni lineari sono linearmente indipendenti qualora il determinante dei
coefficienti è diverso da zero, ovvero 012212211 aaaa . Per esempio nel sistema (II) si ha 2x2-
1x4=0, e infatti le due equazioni sono linearmente dipendenti, e avremo allora una soluzione unica e
non triviale, cioè possiamo determinare valori di 1x e di 2x non (entrambi) nulli. Se il determinante
non è nullo possiamo infatti applicare la regola di Cramer (studiata a scuola) per risolvere un
sistema.
Prendiamo ad esempio il sistema
826
3035
21
21
xx
xx (IV)
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 82 29/09/2015
Definiamo con A la “matrice dei coefficienti”:
26
35A e con
28)6()2)(5(26
35
A il suo determinante. Per trovare la soluzione, rammentandosi
come si faceva a scuola, si devono calcolare i due determinanti: 8428
3301
A e
14086
3052 A , poi si ricavano i due valori delle x:
328
841
1
A
Ax e 5
28
1402
2
A
Ax .
Un modo “compatto” per effettuare questi passaggi è attraverso l’algebra matriciale. Il
sistema (III) può essere scritto come dAx , dove A è la matrice quadrata dei coefficienti
2212
2111
aa
aaA , x è il “vettore colonna” delle incognite
2
1
x
xx e d è il vettore colonna dei
termini noti:
2
1
d
dd . Le moltiplicazioni fra matrici si fanno “prima riga per prima colonna;
seconda riga per prima colonna”. Prendiamo per esempio il sistema (IV):
26
35A ,
5
3x ,
come abbiamo calcolato, e
8
30d , dunque
8
30
5
3
26
35. In effetti:
8
30
(-2)(5)(6)(3)
(3)(5)(5)(3).
In analogia con l’algebra, il sistema di equazioni dAx può esser risolto dividendo entrambi
i membri per A: A
d
A
Ax ovvero dAx 1 . Questo calcolo apparentemente semplice è assai più
complesso quando lo si effettua con l’algebra matriciale rispetto all’algebra normale. Ragionando
sempre per analogie possiamo però ritenere che quando dividiamo entrambi i membri per A ci
siamo assicurati che 0A (anche nell’algebra matriciale non ha infatti senso la divisione per zero),
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 83 29/09/2015
ovvero che 1A esiste. Si può dimostrare che questo è vero se A è “quadrata” (medesimo numero di
righe e di colonne), e se le righe (colonne) della matrice A sono linearmente indipendenti. Queste
condizioni ci rammentano il fatto che un sistema è risolvibile se (condizione necessaria) ha lo stesso
numero di equazioni (righe) e incognite (colonne), e se le equazioni raccontano storie diverse
(condizione sufficiente), cioè che i coefficienti delle equazioni siano linearmente indipendenti.
Consideriamo la matrice
2212
2111
aa
aaA , il cui determinante è 12212211 aaaaA . Come
sappiamo tale determinante è zero se le righe (equazioni) sono linearmente dipendenti. Per esempio
se, v’è dipendenza lineare in quanto (2)(24)-(6)(8) = 0. Infatti fra i due vettori '
1d e '
2d v’è
dipendenza lineare: '
1d = 4 '
2d . Se dunque 0A vuol dire che la matrice A è non singolare (le
equazioni non sono funzionalmente dipendenti), 1A esiste, e la soluzione dAx 1 esiste ed è
unica. Si presti attenzione al fatto che non siamo ancora sicuri che le soluzioni siano positive (in
economia siamo in genere interessati a soluzioni positive).
- se il sistema è omogeneo, cioè del tipo
0
0
222112
221111
xaxa
xaxa
Ovvero in algebra matriciale Ax = 0. In tal caso la soluzione 001 Ax , cioè 021 xx è
banale. Supponiamo tuttavia che stavolta A sia singolare, sicché 0A . Ma allora ciò implica che il
vettore riga 2111 aa è un multiplo di 2221 aa . Una equazione è ridondante. Dalla prima
equazione si può per esempio ottenere 2
11
121 x
a
ax , che se 011 a , rappresenta un numero infinito
si soluzioni (tanti 1x per ogni 2x ). Non c’è una soluzione unica, però c’è una soluzione,
paradossalmente in questo caso quando 0A .
***
(Da Woods)
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 84 29/09/2015
1.7.2. Una economia di sussistenza è descritta dal sistema
2222121
1212111
XXaXa
XXaXa
Ovvero l’output di ciascuna merce è precisamente pari ai suoi impieghi come input (impieghi
che includono l’utilizzo come bene salario).
Assumiamo che tutti gli 0ija , cioè che ciascuno delle due merci è necessaria per riprodurre
se stessa e anche l’altra merce.
In un sistema in perfetto stato riproduttivo l’eccesso di produzione in ciascuna industria,
ovvero l’eccesso della produzione della merce iX (dove i = 1, 2) rispetto alla quantità di se stessa
impiegata è precisamente pari a quanto l’altra industria necessita da questo settore (questo scambio
ci ricorda un po’ le condizioni di riproduzione semplice in Marx). In altri termini:
121222
212111
)1(
)1(
XaXa
XaXa
(V)
Per esempio l’industria 1 a un ”eccesso di produzione” di 1X pari a 111)1( Xa , uguale alle
necessità di 1X nell’altro settore, cioè 221Xa . La stessa cosa vale per l’industria 2.
Un sistema in stato riproduttivo, se esiste, vuol dire che ha 1X >0 e 2X >0. Se questo fosse
vero, e poiché 0ija , allora nelle equazioni (k) si ha )1( 11a >0 e )1( 22a >0. Dalle equazioni (V)
possiamo ottenere:
)1()1(
22
21
12
11
1
2
aa
aa
XX
sapendo che i denominatori di queste espressioni sono positivi. Da quest’ultima espressione
possiamo poi ottenere:
0)1)(1( 21122211 aaaa .
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 85 29/09/2015
Riassumendo, nell’ipotesi che 1X >0 e 2X >0 e che 0ija , si ottengono la condizioni
)1( 11a >0 e )1( 22a >0 e 0)1)(1( 21122211 aaaa . Se dunque queste sono verificate si ha
1X >0 e 2X >0.
Matematicamente, 21122211 )1)(1( aaaa è il determinante della matrice dei coefficienti
relativi al sistema (VI) banalmente ricavato dal sistema (V):
0)1(
0)1(
222121
212111
XaXa
XaXa (VI)
Questo è un sistema omogeneo di equazioni lineari che ha soluzioni 1
2
XX
se il menzionato
determinante è nullo.
Il significato di economia di sussistenza va chiarito. Prendiamo l’esempio di
Sraffa/Ravagnani:
porciqporciferrotgranoq
ferrotporciferrotgranoq
granoqporciferrotgranoq
.6030.3.120
.2112.6.90
.45018.12.240
Questo è l’esempio di Sraffa in cui il sistema è in stato reintegrativo (la quantità di grano
prodotta è pari a quella impiegata come mezzo di produzione ecc.). Ravagnani suppone queste
condizioni tecniche di produzione (egli presuppone anche di conoscere la composizione del salario
reale, ma questo è invece sbagliato):
porcilavoroferrotporci
ferrotlavoroferrot
granoqlavoroferrotgranoq
608.314
.216.6.......................
.4509.12.105
Come si vede le eccedenze sono di 345 q. di grano, zero di ferro, e 46 porci. I lavoratori sono
23, per cui le sussistenze sono, cadauno, 15 q. di grano, zero ferro e 2 porci. E’ plausibile che in una
economia in stato riproduttivo le sussistenze siano determinate post-factum, non ante-factum come
fa Ravagnani. Questo potrebbe essere un villaggio primitivo che ha trovato un suo stato stazionario
economico e demografico.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 86 29/09/2015
Che natura hanno i prezzi?
1.7.3. Produzione con sovrappiù*
In questo caso:
2222121
1212111
XXaXa
XXaXa
dunque:
22222121
11212111
XFXaXa
XFXaXa
(VII)
Si può affermare che il sistema sia in grado di produrre in sovrappiù se vi sono soluzioni
positive 1X >0 e 2X >0 per cui almeno un 0iF (i = 1, 2). Assumiamo dunque che 1X >0 e 2X >0
e 1F >0 e 2F >0. Dalla prima delle (VII) si ha:
1212111)1( FXaXa .
Il lato destro è positivo per definizione, così come 1X >0, dunque )1( 11a >0 e, similarmente,
)1( 22a >0. Possiamo così scrivere: )1( 11
12121
a
FXaX
che sostituita nella seconda delle (VII) dà:
2
11
121221222
)1()1( F
a
FXaaXa
, ovvero
2111212122121122 )1()1)(1( FaFaXaaXaa .
Sappiamo che il lato destro è positivo, e anche 2X >0 , per cui dalle ipotesi fatte risulta:
0)1)(1( 12211122 aaaa .
Questo è il determinante della matrice dei coefficienti del sistema (VII). Si può quindi
concludere che il sistema produce un sovrappiù se tale determinante è positivo, oltre che )1( 11a >0
e )1( 22a >0.
1.7.4. Sistema dei prezzi*
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 87 29/09/2015
In una economia con sovrappiù il prodotto netto va distribuito. Per ipotesi continuiamo a
considerare i salari a livello di sussistenza (e inclusi fra i mezzi di produzione). In una economia
capitalistica il sovrappiù va ai profitti.
Le equazioni di prezzo sono simili a quelle dei prezzi di produzione scritte di Marx:
2222112
1221111
)1)((
)1)((
prpapa
prpapa
(VIII)
Tale sistema può essere scritto come:
0))]1(1[)1(....
0))1.....(])1(1([
222112
221111
parpar
parpar
Se trattiamo r come uno “scalare”(un numero noto), il sistema è lineare omogeneo. Come
sappiamo la soluzione consistente del rapporto 1
2
pp
c’è se il determinante della matrice dei
coefficienti
2212
2111
)]1(1)1(
)1()1(1
arar
arar è nullo, cioè se
0)1(])]1(1][)1(1[
)1()1(])]1(1][)1(1[
2112
2
2211
21122211
aararar
arararar
Questa è una equazione di secondo grado in r che può avere radici reali o complesse, le prime
ambedue positive o negative. Si dimostra che se il sistema produce un sovrappiù, se cioè
0)1)(1( 12211122 aaaa , l’equazione produce due valori positivi per r, il più piccolo dei quali è
associato a un rapporto 1
2
pp
positivo.37
Con più di due merci otterremmo una equazione in r assai complicata. Con alcuni teoremi
dell’algebra matriciale si può dimostrare sotto quali condizioni esistono soluzioni positive (saranno
evidentemente equivalenti).
1.7.5. Relazione salario-saggio del profitto*
37
Un dimostrazione algebrica con due merci è in Wood, sezione 3.3.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 88 29/09/2015
Abbiamo sinora incluso nei coefficienti ija anche i beni-salario. E’ dunque intuitivo ritenere
che se l’ammontare di beni salario cresce, gli ija anche aumentano. Supponiamo per esempio che
l’unico bene salario consista della merce 1. Un aumento del salario reale consiste dunque di un
aumento di 11a e 12a . Guardando alla condizione relativa alla produzione di sovrappiù
0)1)(1( 12211122 aaaa , un aumento progressivo degli ja1 significa che )1( 11a diventa
sempre più piccolo e 12a sempre più grande, sino a che si giunge alla condizione
0)1)(1( 12211122 aaaa , che definisce una economia senza sovrappiù. Si intuisce anche che vi
sia una relazione inversa fra salario reale e profitti, in quanto il sovrappiù è, nelle ipotesi fatte,
assorbito da questi ultimi.
1.7.6. Merci base e non base
Le merci base sono quelle che entrano direttamente o indirettamente nella produzione di tutte
le merci. Consideriamo per esempio il seguente sistema:
2222112
1111
)1)((
)1)(...(..........
prpapa
prpa
(IX)
In esso la merce 1 è base perché entra nella produzione di sé stessa e dell’altra merce, mentre
la merce 2 è non-base poiché entra nella produzione solo di sé stessa.
Per contro nel sistema
2112
1221
)1)((
)1)((
prpa
prpa
Entrambi le merci sono base in quanto sebbene ciascuna entri direttamente solo nella
produzione dell’altra merce, entra indirettamente tramite quest’ultima anche nella propria
produzione. Consideriamo il sistema (IX).
Il sistema è decomponibile in due parti. La prima equazione è sufficiente alla determinazione
del tasso di profitto. Dividiamo infatti entrambi i membri per 1p per ottenere:
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 89 29/09/2015
11
11
11
1
11
1
a
a
arr
. Si noti l’affinità col “corn model” di Ricardo. Il settore 1 è quello del
grano che utilizza solo sé stesso come capitale (anticipato ai lavoratori come bene-salario e
impiegato come capitale circolante per la semina). 111 a è il sovrappiù per unità di prodotto di
questo settore che diviso per il capitale anticipato per unità di prodotto, 11a , dà il saggio di
sovrappiù che coincide qui col saggio del profitto. Sostituendo 1r nella seconda equazione possiamo
ricavare i prezzi relativi 1
2
pp
.
Notiamo infine che se, come plausibile, il lavoro entra nella produzione di tutte le merci, le
merci che entrano nel salario di sussistenza sono certamente merci base.
1.7.7. Salario sopra la sussistenza*
Supponiamo ora che il salario possa partecipare alla distribuzione del sovrappiù. Questo si
può fare sia suddividendo il salario in due componenti, una di sussistenza che possiamo inglobare
nei coefficienti tecnici di produzione, come fatto sopra, e una sopra la sussistenza. Ovvero
considerare tutto il salario come sopra la sussistenza. In tal caso il rischio è che i beni-salario non
compaiano più come merci base (mentre da un punto di vista economico sono merci base par
excellence). Sceglieremo comunque questa seconda strada, assumendo tuttavia che tutte e due le
merci siano base, e che il sistema produca un sovrappiù: 01 X e/o 02 X . Questo sappiamo
accade se : 0)1( 11 a , 0)1( 22 a , e
0)1)(1( 12211122 aaaa .
Definiamo w il salario monetario ed jjj XLl (j = 1, 2) la quantità di lavoro occorrente per
produrre una unità della merce J. I salari possono essere anticipati o posticipati. Facciamo la
seconda ipotesi. Le equazioni di prezzo ora saranno:
22222112
11221111
)1)((
)1)((
pwlrpapa
pwlrpapa
. (X)
Supponiamo che w sia dato. Il sistema può allora essere scritto come:
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 90 29/09/2015
2222121
1212111
)]1(1[()1(........
)1(........)]1(1[
wlraprap
wlraprap
cioè un sistema lineare non omogeneo. Esso ha soluzioni se:
0)1()]1(1)][(1(1[)1()1()]1(1)][(1(1[ 2
1221221112212211 raarararararara
.
Definiamo: 2
12212211 )1()]1(1)][(1(1[)( raarararf .
Se 0r , la funzione diventa 12211122 )1)(1( aaaa che è positiva in quanto il sistema ha
un sovrappiù per ipotesi. Significa dunque che se 0r …
Sappiamo anche dallo studio del sistema (VIII) che c’è un valore positivo Rr per cui
.0)( Rf Si noti che se 0)( Rf ciò implica che il sistema (X) ha soluzioni solo se omogeneo,
dunque se 0w . Si dimostra che:
- se Rr 0 , w ed entrambe i prezzi sono positivi.
- se Rr , 0w ed entrambe i prezzi sono positivi.
R è definito come il saggio del profitto massimo (naturalmente, a meno che il salario abbia
una componente di sussistenza inclusa nei coefficienti, la soluzione 0w è economicamente
insostenibile).
La discussione sinora serve solo a dimostrare che c’è una gamma di valori di r per cui si
hanno prezzi e salari positivi.
Nel sistema (X) poniamo ora 11 p . 1)1( / pww è ora il salario reale misurato in termini
della merce 1. Potrebbe essere utile pensare che la merce 1 è l’unico bene salario consumato dai
lavoratori, sicché )1(w non è ora un numero astratto ma ha un chiaro significato economico.
Continuiamo per risparmiare segni a indicare )1(w con w. Analogamente 12)1( / ppp è il prezzo
relativo della merce 2 in termini della merce 1. Anche in questo caso, per risparmiare simboli,
indichiamo )1(p con p. Le equazioni diventano:
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 91 29/09/2015
pwlrpaa
wlrpaa
22212
12111
)1)((
1)1)(( (XI)
dove p indica i prezzi relativi.
Eliminando p dalle (XI) otteniamo:
)1()]1(1[
)1()]1(1)][(1(1[
212221
2
12212211
ralral
raararaw
.
Questa funzione che lega w a r è detta curva salario-profitto.
Eliminando w dalle (XI) otteniamo invece:
)1()]1(1[
)1()]1(1[
212221
121112
ralral
ralralp
Funzione che lega l’andamento dei prezzi relativi alle variazioni di r. Studiamo dunque
l’andamento di queste due funzioni.
Cominciando da quest’ultima, si dimostra che p è invariante rispetto ad r solo se:
12121112222121 /)(/)( lalallalal .
In questa espressione 1l ed 2l rappresentano i lavori diretti utilizzati per produrre,
rispettivamente, una unità delle merci 1 e 2. 121al è invece il lavoro incorporato nella quantità della
merce 1 necessaria per produrre la merce 2 (infatti se 1l è la quantità di lavoro occorrente per una
unità della merce 1, per esempio è 10 ore lavoro, e 12a è la quantità della merce 1 necessaria per
produrre la merce 2, per esempio ½ unità, allora 10x0,5=5 ore lavoro è la quantità di lavoro
incorporato nella quantità della merce 1 necessaria per produrre la merce 2). Così via per gli altri
termini .jij al Ma allora quei rapporti rappresentano la composizione organica del capitale. Dunque
p è invariante rispetto ad r solo se v’è una composizione organica del capitale uniforme. In questo
caso, come sappiamo, vale la teoria del valore-lavoro. In effetti essa smette di valere quando la
composizione organica è differente: in questo caso, infatti, un aumento di r comporterà un aumento
del prezzo del bene con la composizione organica più elevata; se invece tale composizione fosse
uniforme, un aumento di r inciderebbe in maniera equiproporzionale su entrambe i prezzi.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 92 29/09/2015
1.7.8. Relazione salario-profitto e la critica al marginalismo (accenni)*
Nei riguardi dell’altra relazione si dimostra quanto segue:
1. quando r = 0, w = w max > 0; quando w = 0, r = r max = R > 0
2. dw/dr < 0 per Rr 0 , cioè la funzione è decrescente;
3. la composizione organica influisce sulla forma della funzione: se la seconda (prima)
industria ha un rapporto fra capitale e lavoro più elevato della prima (seconda), la funzione w-r è
concava (convessa).
Nella figura sono rappresentate due relazioni salario-profitto. Ciascuna rappresenta una
tecnica per il sistema economico (esse si differenziano per la differente composizione organica del
capitale). Chiamiamo tali tecniche e . Si dimostra che il mercato – più specificatamente la
scelta da parte dei capitalisti delle tecniche che conducono ai più bassi costi di produzione – fa in
modo che l’economia prescelga quella tecnica che a parità di saggio del profitto assicura il più
elevato saggio del salario.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 93 29/09/2015
w
( )
( )
( )
0 1r 2r R R r
In base a queste considerazioni si evince dalla figura che l’economia sceglierà la tecnica
quando prevalga un saggio del profitto compreso fra 0- 1r , la tecnica quando il saggio del profitto
è compreso fra 1r e 2r , e infine di nuovo la tecnica quando il saggio del profitto è fra 2r e R (il
saggio del profitto massimo relativo alla tecnica ). Si vede dunque che tecniche con la medesima
composizione organica del capitale possono essere utilizzate sia per valori bassi del saggio del
profitto che per valori elevati. Si dice che le tecniche possono “ritornare”.
Quando, ad esempio, la distribuzione del reddito cambia, supponiamo in seguito a un afflusso
di immigrati che fa diminuire il salario reale (e aumentare il saggio del profitto) l’economia tenderà
a cambiare tecnica in uso, per esempio adottando una tecnica che uso maggiore di lavoro rispetto al
capitale. Se un nuovo afflusso di immigrati fa cadere il salario ancor di più, è in via di principio
possibile che l’economia “ritorni” alla tecnica originaria. Tale risultato può apparire un curiosum,
eppure esso mina alla radice la teoria neoclassica dominante.
Questa postula infatti che (si veda più avanti il capitolo 3) diminuzioni del tasso di interesse
(profitto) condurranno l’economia ad adottare tecniche a maggiore intensità di capitale. Su questa
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 94 29/09/2015
base tale teoria pretende di dimostrare che v’è dunque una relazione inversa fra tasso di interesse e
domanda di capitale – e questo le è fra l’altro essenziale, vedremo, per dimostrare che una economia
di mercato non soffre di problemi di domanda effettiva. Tale conclusione è però inficiata dal
fenomeno del “ritorno delle tecniche”. Infatti per assumendo che una iniziale diminuzione del tasso
di interesse (dovuta per esempio a un aumento dell’offerta di risparmio) possa condurre
all’adozione di tecniche a maggiore intensità di capitale, successive diminuzioni di quel tasso
potranno condurre a tecniche che utilizzano meno capitale. Allora la curva di domanda di capitale
potrà presentare tratti crescenti, non essere dunque della forma desiderata dagli economisti
marginalisti.
Questi risultati dovuti essenzialmente a Piero Sraffa e ai suoi allievi, in particolare Piero
Garegnani e Luigi Pasinetti, hanno dato luogo negli anni sessanta a una famosa controversia sulla
teoria del capitale nota come la “Cambridge controversy”. Essa vide infatti contrapposti gli
economisti italiani che facevano capo a Sraffa - che era riparato a Cambridge (UK) nel 1926, su
invito di Keynes, per sfuggire al fascismo – e gli americani dell’MIT (Cambridge, Mass.).
8. La controversia sul crollo del capitalismo: Tugan-Baranowsky, Rosa Luxemburg e l
sintesi di Kalecki
La domanda che i marxisti si posero all’inizio del XX° secolo fu se le crisi del capitalismo
l’avrebbero portato o meno al crollo. Per Marx i rapporti capitalistici di produzione – cioè
l’esistenza di una classe sociale proprietaria dei mezzi di produzione e di una classe che ne è priva e
che viene sfruttata – da fattore di sviluppo si trasformerebbero in limite all’espansione delle forze
produttive (allo sviluppo ulteriore del’insieme questa volta dell’umanità), e ciò scatenerà la
rivoluzione. Egli non fu tuttavia chiaro su come il capitalismo sarebbe crollato, per debolezze
oggettive o per una spinta soggettiva del movimento operaio. Dalla risposta al quesito derivavano
ovviamente implicazioni serissime per la strategia politica del movimento socialista. Il dibattito sul
crollo del capitalismo coinvolse due fronti: quello moderato (riformista o socialdemocratico) per il
quale il capitalismo non sarebbe crollato e poteva dunque essere migliorato; quello rivoluzionario
per il quale ogni miglioramento sarebbe stato inutile data l’intrinseca instabilità del sistema. Chi
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 95 29/09/2015
fosse interessata cf. Sweezy (1970: cap.XI), noi ci soffermeremo solo su Rosa Luxemburg e Tugan-
Baranowsky.
Rosa Luxemburg (RL) (1871-1919) fu studiosa marxista e combattente politica tedesca,
fucilata dopo un tentativo rivoluzionario nel 1919.
Al centro della sua analisi v’è il problema della realizzazione del plusvalore che, secondo RL,
sarebbe stato impossibile in una economica chiusa. Ella ragionò così: il valore della produzione è,
come sappiamo, c + v + s. c lo acquistano i capitalisti per reintegrare i mezzi di produzione, v i
lavoratori, chi acquisterà la parte della produzione corrispondente ad s? Si può supporre che parte
sia acquistato dai capitalisti come beni di lusso, ma il resto? Capitalisti potrebbero voler acquistare
ulteriori mezzi di produzione per accumulare più capitale, come nella produzione allargata sopra
illustrata. Ma ciò sposta il problema in avanti: la produzione si accrescerà determinando il
medesimo problema in forma più ampia il periodo successivo. I capitalisti lo sanno, così ragiona
RL, e allora non utilizzeranno i profitti per ritrovarsi ancor peggio il periodo successivo.
Un ottimo sommario della tesi di RL è in questi passi tratti da Brewer A.,Marxist theories of
imperialism : a critical survey, 2nd ed. 1990 Routledge & Kegan Paul (repr. Taylor & Francis e-
Library, 2001).
“In Marxist theory, surplus value originates in production, where the value produced by a
worker exceeds the value of his labour-power. The value created is embodied in a product,
which must be sold to ‘realize’ the value in money terms, before the capitalist can buy fresh
means of production and labour-power to start the process again. Marx analysed the
realization of the product, and the reproduction of the system as a whole, in a purely capitalist
economy, containing only workers and capitalists, plus hangers on (priests, prostitutes, etc.)
who derive their incomes from the capitalists. Luxemburg argued that expanded reproduction
is impossible in this context. I have already outlined Marx’s analysis of reproduction, but I
shall restate it here in order to see Luxemburg’s objections. For reproduction to continue
smoothly, the entire product at the end of a period of production must be realized, i.e. sold to
someone. This requires two conditions: the total value of demand, of spending, must equal the
value of the product, and the particular goods which make up the total product must match up
with the wants of the purchasers. Luxemburg’s main concern is with the first of these. How
did Marx deal with it? The product is in the hands of the capitalists. Where does demand come
from? Some comes from capitalists themselves; they must replace used up means of
production, and also buy extra means of production (in the case of expanded reproduction).
They also buy goods for their personal use. Another part of total demand comes from workers
who spend their wages on consumption goods. Since wages are paid by capitalists, we can
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 96 29/09/2015
think of workers’ demand for goods as being an indirect form of spending by capitalists.
Finally we have the hangers on. Their spending again derives from a redivision of capitalists’
incomes, so this again we can think of as indirect spending by capitalists. It seems, then, that
goods belong to capitalists and they are bought, directly or indirectly, out of the spending of
capitalists. It seems strange, at first sight, that capitalists should buy their own products, and it
is probably this apparent difficulty that lies behind Rosa Luxemburg’s unwillingness to accept
the argument. It is not, however, a problem at all when we realize that capitalism, by
definition, consists of many independent units which exchange their products on the market.
Money is purely an intermediary in the redistribution of products from their sector of origin to
the sector where they are to be used. The condition for surplus value to be realized is that it
must be spent. Capitalists get surplus value by paying less to workers than the value created,
but they must (collectively) spend the surplus (on consumption, on buying extra means of
production, or on advancing wages to extra workers) in order to realize it. This will not
necessarily happen: if the prospects of profit are poor, capitalists may hold back from
investment and make the situation worse. Luxemburg’s approach is not easy to pick out in the
Accumulation (though it emerges fairly clearly in chapter 25) but in the Anti-Critique the
problem is set out very clearly, and we can best understand her difficulty by extracting a series
of quotations from that work. ‘Let us imagine that all the goods produced in capitalist society
were stored up in a big pile at some place, to be used by society as a whole. We will then see
how this mass of goods is naturally divided into several big portions of different kinds and
destinations’. (Anti-Critique: 51)
Consumption by workers and capitalists, together with replacement of means of production,
account for parts of this ‘pile’, and pose no serious problems of analysis; they are exchanged
in the fashion described in Marx’s analysis of simple reproduction. But in addition there must
be ‘a portion of commodities which contains that invaluable part of surplus value that forms
capital’s real purpose of existence: the profit designed for capitalisation and accumulation.
What sort of commodities are they, and who needs them?’ (Anti-Critique: 55) As Luxemburg
herself said, ‘here we have come to the nucleus of the problem of accumulation, and we must
investigate all attempts at a solution’. The buyers cannot be workers (their spending is
accounted for) nor intermediate strata (‘like civil servants, military, clerics, academics and
artists’), since their income is derived from diverted profit or from taxes on wages and their
spending should be included among the forms of consumption already considered, nor can the
buyers be capitalists as consumers (since this spending is at the expense of accumulation, and
cannot bring accumulation about). This is the crux: ‘Perhaps the capitalists are mutual
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 97 29/09/2015
customers for the remainder of the commodities – not to use them carelessly, but to use them
for the extension of production, for accumulation’ (Anti-Critique: 56-7). This is in line with
Marx, the orthodox Marxist tradition, and with modern economics, but she rejected the
possibility: ‘All right, but such a solution only pushes the problem from this moment to the
next . . . the increased production throws an even bigger amount of commodities onto the
market the following year . . . [will] this growing amount of goods again be exchanged among
the capitalists to extend production again, and so forth, year after year? Then we have the
roundabout that revolves around itself in empty space. That is not capitalist accumulation i.e.
the amassing of money capital, but its contrary: producing commodities for the sake of it;
from the standpoint of capital an utter absurdity.’ (Anti-Critique: 57) From this she drew the
conclusion that there must be buyers outside capitalist relations of production”.
(v. anche Sweezy, 1970: 238-47).
RL ritiene dunque che la parte del plusvalore non realizzata all’interno non possa che trovare
un sbocco all’esterno del mercato capitalistico. L’imperialismo, inteso come conquista di nuovi
mercati da parte delle potenze capitalistiche, è dunque interpretato come tentativo di catturare paesi
poveri che costituiscano mercati di sbocco per il surplus dei paesi più ricchi. Naturalmente si potrà
domandare alla RL, come fa Sweezy, come i paesi poveri potranno acquistare il sovrappiù dei paesi
più ricchi se non esportando loro. Ma se i capitalisti non volevano acquistare loro il sovrappiù, non
si vede perché ora possano desiderare di importare beni dai paesi della periferia.
L’economista russo Tugan –Baranowski (1865-1919) ritiene dal suo canto che RL abbia torto
a ritenere assurdo che i capitalisti utilizzino i profitti non consumati per acquistare ulteriori beni
capitali. Il fine ultimo del capitalismo non è infatti il consumo, ma l’accumulazione di capitale,
anche se ciò comporta la produzione di nuove macchine per produrre nuove macchine. Il problema
è che ciò comporterebbe una vera e propria pianificazione estranea al capitalismo: “Se la
produzione sociale fosse organizzata in conformità di un piano, se i dirigenti della produzione
avessero una completa conoscenza della domanda e il potere di spostare lavoro e capitale da un
settore della produzione all’altro, allora per quanto basso possa essere il consumo, l’offerta di merci
non potrebbe mai sorpassare la domanda” (cit. Da Sweezy, p.196). Abbiamo già visto come la
Luxemburg ritenesse però questa una assurdità:
“Abbiamo davanti a noi un carosello che rotea intorno a se stesso a mezz’aria. Questa non è
accumulazione capitalistica, cioè accumulazione di capitale monetario, ma è il contrario:
amore per amore della produzione, cioè una produzione che, dal punto di vista del capitale, è
una cimpleta assurdità.”
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 98 29/09/2015
Il grande economista polacco Michael Kalecki (1899-1970) ritenne che sia RL che T-B
avessero una parte di ragione. Da un lato T-B sottolinea l’assurdità del capitalismo che non ha
come scopo il soddisfacimento dei bisogni umani e potrebbe espandersi, sebbene solo in via
teorica come vedremo, ab libitum. Dall’altra la RL ha ragione nel ritenere che i “mercati
esterni” costituiscano uno sbocco per la produzione capitalistica. Kalecki non pensava
esclusivamente ai paesi periferici, ma anche alla domanda da parte dello Stato. Kalecki viene
incontro al’obiezione di Sweezy sostenendo che nel primo caso i paesi centrali avrebbero
concesso crediti ai paesi periferici, crediti utilizzati per acquistare il surplus dei primi. Nel
secondo caso il governo può finanziare la propria spesa stampando moneta, o eventualmente
tassando i capitalisti (in tal modo obbligandoli a cedere allo Stato parte del sovrappiù). Su
questo torneremo più avanti nel corso.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 99 29/09/2015
Appendice (N ma lettura consigliata)
Surplus approach, neoclassical theory and institutions: Diamond vs. Acemoglu
& Robinson*
In questa appendice riprendiamo la teoria del sovrappiù incontrata in Diamond e negli economisti
classici vedendo come essa spieghi la nascita delle istituzioni a confronto con l’approccio
marginalista presentato in un libro assai noto.
If anybody wants to be persuaded of the correctness and fruitfulness of the 'surplus approach' by
Sraffa (1951) and Garegnani (1984), a reading of Jared Diamond Guns, Germs, and Steel would be
enough to convince herself.[1] What is surprising – but not really at a closer scrutiny – is that
Diamond does not quote any classical economist in his book – he does not mention any economist
at all indeed. The likely explanation is that he has only been exposed to neoclassical economics and,
of course, he could not find anything interesting there.[2] Also Acemoglu and Robinson (A&R) are
neoclassical economists. Their neoclassicism is shown by the role that they attribute to the 'right'
institutions in setting the correct incentives to individual entrepreneurship. Although in a very
diplomatic way, Diamond is very critical of their attempt to explain why some regions developed
earlier while other developed later or not at all. In his review of Why Nations Fail in the New York
Review of Books Diamond (2012a) aptly summarises A&R’s thesis:
“Different economists have different views about the relative importance of the conditions
and factors that make countries richer or poorer. The factors [A&R] most discuss are so-called
“good institutions,” which may be defined as laws and practices that motivate people to work hard,
become economically productive, and thereby enrich both themselves and their countries… Among
the good economic institutions that motivate people to become productive are the protection of their
private property rights, predictable enforcement of their contracts, opportunities to invest and retain
control of their money, control of inflation, and open exchange of currency. For instance, people are
motivated to work hard if they have opportunities to invest their earnings profitably, but not if they
have few such opportunities or if their earnings or profits are likely to be confiscated.”
The indictment Diamond moves to A&R is that, although the institutions they refer to are
relevant:
“as readers may quickly confirm for themselves, it is indeed a fair characterization of
Acemoglu and Robinson’s book to say that their theory is as if institutions appeared at random.
* I link ipertestuali si trovano qui: http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2012/08/a-surplus-
approach-to-institutions.html
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 100 29/09/2015
Although their letter describes institutional variation today as a systematic outcome of historical
processes, much of their book is actually devoted to relating story after story purportedly explaining
how institutional variation developed unsystematically and at random, as a result of particular
events happening in particular places at critical junctures.” (Diamond 2012b)
“Acemoglu and Robinson’s view of history is that small effects at critical junctures have
long-lasting effects, so it’s hard to make predictions. While they don’t say so explicitly, this view
suggests that good institutions should have cropped up randomly around the world, depending on
who happened to decide what at some particular place and time.” (Diamond 2012a)
As well known, according to Diamond, complex political institutions emerged around 3400
BC in specific parts of the globe where material circumstances related, to the climate and to the
availability of domesticable vegetable and animals (there are not so many) made profitable for the
humans to transit from populations of hunter/gatherers to sedentary civilisations. With agriculture a
surplus of food emerged that unlashed the possibility of creating a class of people not engaged in a
daily fight to collect food and survive, but that could dedicate themselves (exploiting the rest, of
course) to the political organisation of society, to write legal codes, to philosophy (that includes
science and technology) and to war.
Any student of the classical economists will recognize the echo of Petty, Turgot and Adam Smith in
this approach. It worth quoting at length:
“it’s obvious that good institutions, and the wealth and power that they spawned, did not
crop up randomly. For instance, all Western European countries ended up richer and with better
institutions than any tropical African country. Big underlying differences led to this divergence of
outcomes. Europe has had a long history (of up to nine thousand years) of agriculture based on the
world’s most productive crops and domestic animals, both of which were domesticated in and
introduced to Europe from the Fertile Crescent, the crescent-shaped region running from the Persian
Gulf through southeastern Turkey to Upper Egypt. Agriculture in tropical Africa is only between
1,800 and 5,000 years old and based on less productive domesticated crops and imported animals.
As a result, Europe has had up to four thousand years’ experience of government, complex
institutions, and growing national identities, compared to a few centuries or less for all of sub-
Saharan Africa. Europe has glaciated fertile soils, reliable summer rainfall, and few tropical
diseases; tropical Africa has unglaciated and extensively infertile soils, less reliable rainfall, and
many tropical diseases. Within Europe, Britain had the further advantages of being an island rarely
at risk from foreign armies, and of fronting on the Atlantic Ocean, which became open after 1492 to
overseas trade.
It should be no surprise that countries with those advantages ended up rich and with good
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 101 29/09/2015
institutions, while countries with those disadvantages didn’t. The chain of causation leading slowly
from productive agriculture to government, state formation, complex institutions, and wealth
involved agriculturally driven population explosions and accumulations of food surpluses, leading
in turn to the need for centralized decision-making in societies much too populous for decision-
making by face-to-face discussions involving all citizens, and the possibility of using the food
surpluses to support kings and their bureaucrats. This process unfolded independently, beginning
around 3400 BC, in many different parts of the ancient world with productive agriculture, including
the Fertile Crescent, Egypt, China, the Indus Valley, Crete, the Valley of Mexico, the Andes, and
Polynesian Hawaii.” (Diamond 2012a)
The graph (see the original in Diamond 1997) summarises the chain of material
circumstances (including the easier communications and similarity of climate in Eurasia) that
Diamond advances as an explanation of the variety of growth experiences.
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 102 29/09/2015
As said, had Diamond been exposed to Classical Political Economy, he would have
recognised the ancestors of his theory in Petty, Turgot and Smith. As known, Turgot and Smith
shared a “stage theory” of growth very similar to that by Diamond (see Meek 1971; 1976).[3]
Few quotations from “On Universal History” (1750 [2011]) will confirm the similarity between
Turgot and Diamond (and Adam Smith, of course) (my italics):
"Without provisions, and in the depths of forests, men could devote themselves to nothing
but obtaining their subsistence. (p. 351)
There are animals which allow themselves to be brought into subjection by men, such as oxen,
sheep, and horses, and men find it more advantageous to gather them together into herds than to
chase after wandering animals.
It did not take long for the pastoral way of life to be introduced in all places where these animals
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 103 29/09/2015
were met with: oxen and sheep in Europe, camels and goats in the east, horses in Tartary, and
reindeer in the north.
The way of life of hunting peoples is maintained in the parts of America where these species are
lacking. …
Pastoral peoples, whose subsistence is more abundant and more assured, were the most numerous.
They began to grow richer, and to understand better the idea of property. (p. 352)
Pastoral peoples in fertile countries were no doubt the first to move on to the state of agriculture.
Hunting peoples, who are deprived of the assistance of animals to manure the soil and to facilitate
labor, were unable to arrive so soon at agriculture. If they cultivate any land at all, it is only a small
quantity; when it is exhausted they move their habitation elsewhere; and if they are able to abandon
their nomadic life it is only by infinitely slow steps.
Husbandmen are not by nature conquerors; the cultivation of the land keeps them too busy. But,
being more wealthy than the other peoples, they were obliged to defend themselves against
violence. Besides, with them the land can sustain many more men than are necessary in order to
cultivate it. Hence people who are unoccupied; hence towns, trade, and all the useful arts and
accomplishments; hence more rapid progress in every sphere, for everything follows the general
advancement of the mind; hence greater skill in war than in the case of barbarians; hence the
division of occupations and the inequality of men; hence slavery in domestic form, and the
subjection of the weaker sex (always bound up with barbarism), the hardship of which increases in
proportion to the increase in wealth. But at the same time a more searching enquiry into government
begins." (p. 355)
From these quotations the sequence food surplus à complex institutions is clear.[4]
In their reply to Diamond, A&R (2012) argue that:
"Diamond’s theory predicts that the Neolithic Revolution would happen first in Eurasia, but
cannot account for differences in prosperity today, which are huge within Eurasia and not explained
by the timing of the Neolithic Revolution."
This is the challenge to future research. How the surplus approach may help to explain
recent growth episode and differentials? Of course the theory of long-period effective demand is
central in this regard. Possibly, the efficiency of the wage-goods sector has had a role in facilitating
growth in episodes of strongly export-led growth, by allowing a constant increase of the standard of
living of workers in a non inflationary environment. Or, on the other hand, a too big size of the
social surplus becomes a problem in advanced capitalists economies as Marx, Rosa Luxemburg and
Kalecki taught us. Workers must share a part of it, letting wages to go beyond the subsistence level,
to let the system to work. Well, it time to stop and leave the stage to other voices (see the post by
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Matias Vernengo for a start).
Addendum - Endogenous Growthy Theory (EGT), Diamond and the surplus approach on
population growth and human development (questo addendum può essere utilmente letto dopo
aver studiato la teoria neoclassica della crescita endogena (EGT) nel cap. 2).
In Cesaratto (2010) I wrote (inspired, at least partially, by Franklin Serrano):
“According [to the EGT exponent Charles Jones, e.g. 2002, 2004) productivity growth
depends on population growth. Jones fervently defends this sort of causality (e.g. 2002, pp.103-
104). After all, he argues, humans are the ultimate fuel of the process of research, and it should not
be surprising that faster population growth has a positive effect on the generation of new ideas.
Jones’ favourite quotation is from Phelps (1968, pp.511-512), according to whom: ‘One can hardly
imagine …how poor we would be today were it not for the rapid population growth of the past to
which we owe the enormous number of technological advances enjoyed today. …If I could re-do
the history of the world, halving population size each year from the beginning of time on some
random basis, I would not do it for fear of losing Mozart in the process’. One might certainly argue
that halving the German speaking population of the eighteenth and nineteenth centuries would
entail the risk of losing many of the greatest musicians ever, but this could be done to other
populations of comparable size, in that or other periods, without much fear of losing outstanding
talents. Ruling out genetic factors, something therefore seems to be missing from this population-
driven mechanics of growth.
Jones (2004, pp. 48-56) discusses these possible objections at some length. Looking at different
regions of the world in the very long term (12,000 years or so), some relationship seems to emerge
between population size at the beginning of the period and their technological rank measured at the
year 1000/1500 or so (before European explorations ended the isolation of various areas). The
rationale of this correlation (ibid, p. 56) would lie in the following virtuous circle: at the beginning a
small population could only generate ideas over long periods of time. Low productivity levels and
subsistence kept the population constant. However, once one idea was produced subsistence levels
and fertility rose, leading to a larger population. This in turn facilitated the production of new ideas
over shorter lapses of time, and so on and so forth (see also Jones and Romer, 2009, pp. 10, 14, 24-
25).
A scholar quoted in this regard is Jared Diamond (1997) who is, however, totally misinterpreted by
these authors. In his famous book, Diamond argues that some environmental advantages, in
particular the availability of suitable vegetable and animal species, made possible to some luckier
populations some 10 thousand years ago to realise a food surplus and to become “large, dense,
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 105 29/09/2015
sedentary, stratified populations” (1997, p.87 and passim). More precisely, the realisation of food
surpluses permitted these populations to grow more rapidly and to support a political class that, at
the price of the exclusive control of the surplus, provided organisational, institutional, and military
leadership. Moreover, the surplus allowed for the sustenance of those who Adam Smith would have
called ‘philosophers or men of speculation, whose trade it is, not to do anything, but to observe
everything’ (1776 [1979], p.21). It is clear from Diamond that population growth is not and cannot
be the original source of “ideas” since both division of labour and population growth both logically
and historically originate from the emergence of food surpluses. This is enough to show the
closeness of Diamond to the Classical economists’ surplus approach, as well as his distance from
the poor growth mechanics of EGT.”
This was what I wrote few years ago. I may add this. Turgot puts the question in a way similar to
Smith: given two populations of the same size, it is education (that is the degree of division of
labour) that makes the difference:
“The original aptitudes are distributed equally among barbarous peoples and among
civilized peoples; they are probably the same in all places and at all times. Genius is spread through
the human race very much as gold is in a mine. The more ore you take, the more metal you will get.
The more men there are, the more great men you will have, or the more men capable of becoming
great. The chances of education and of events either develop them, or leave them buried in
obscurity, or sacrifice them before their time, like fruits blown down by the wind.)” (p. 378).
Diamond, as the Classical economists, regards the size of the population, or its concentration
in smaller territories towns etc. as an advantage from many points of view. But the material
conditions that set off the emergence of a food surplus are the trigger:
“correlations suggest strongly that regional population size or population density or
population pressure has something to do with the formation of complex societies. But the
correlations do not tell us precisely how population variables function in a chain of cause and effect
whose outcome is a complex society. To trace out that chain, let us now remind ourselves how large
dense populations themselves arise. Then we can examine why a large but simple society could not
maintain itself. With that as background, we shall finally return to the question of how a simpler
society actually becomes more complex as the regional population increases. We have seen that
large or dense populations arise only under conditions of food production, or at least under
exceptionally productive conditions for hunting-gathering. Some productive hunter-gatherer
societies reached the organizational level of chiefdoms, but none reached the level of states: all
states nourish their citizens by food production. These considerations, along with the just mentioned
correlation between regional population size and societal complexity, have led to a protracted
Lezioni sviluppo e crescita 2015-16 106 29/09/2015
chicken-or-egg debate about the causal relations between food production, population variables, and
societal complexity. Is it intensive food production that is the cause, triggering population growth
and somehow leading to a complex society? Or are large populations and complex societies instead
the cause, somehow leading to intensification of food production?
Posing the question in that either-or form misses the point. Intensified food production and societal
complexity stimulate each other, by autocatalvsis. That is, population growth leads to societal
complexity, by mechanisms that we shall discuss, while societal complexity in turn leads to
intensified food production and thereby to population growth. Complex centralized societies are
uniquely capable of organizing public works (including irrigation systems), long-distance trade
(including the importation of materials to make better agricultural tools), and activities of different
groups of economic specialists (such as feeding herders with farmers' cereal, and transferring the
herders' livestock to farmers for use as plow animals}. All of these capabilities of centralized
societies have fostered intensified food production and hence population growth throughout history.
In addition, food production contributes in at least three ways to specific features of complex
societies. First, it involves seasonally pulsed inputs of labor. When the harvest has been stored, the
farmers' labor becomes available for a centralized political authority to harness—in order to build
public works advertising state power (such as the Egyptian pyramids), or to build public works that
could feed more mouths (such as Polynesian Hawaii's irrigation systems or fishponds), or to
undertake wars of conquest to form larger political entities.
Second, food production may be organized so as to generate stored food surpluses, which permit
economic specialization and social stratification. The surpluses can be used to feed all tiers of a
complex society: the chiefs, bureaucrats, and other members of the elite; the scribes, craftspeople,
and other non-food-producing specialists; and the farmers themselves, during times that they are
drafted to construct public works.
Finally, food production permits or requires people to adopt sedentary living, which is a prerequisite
for accumulating substantial possessions, developing elaborate technology and crafts, and
constructing public works.” (pp.185-6)
References:
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Political Economy, vol.4, n.1, working paper version Quaderni del Dipartimento di Economia
politica, Università di Siena, n.559
ID (con F.L.Serrano) (2002), As Leis de rendimento nas teorias neoclasica de crescimiento: Una
critica Sraffiana, Revista Ensaios FEE, vol.23. (English version www.networkideas.org –
International Development Economics Association).
ID (1999), Savings and economic growth in neoclassical theory: A critical survey, Cambridge
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F.Petri (a cura di), Value, Distribution and Capital: Essays in Honour of Pierangelo Garegnani,
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Acemoğlu, D. & Robinson, J. A. (2011) Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity and
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Acemoglu D. and Robinson J.A., reply by Jared Diamond, The New York Review of Books, 16
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Diamond J. 2005 [1997], Guns, Germs and Steel: A short history of everybody for the last 13,000
years (London: Vintage).
Diamond (2012a), ‘What Makes Countries Rich or Poor?’, The New York Review of Books, June
7:
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Garegnani, P. (1984) Value and Distribution in the Classical Economists and Marx, Oxford
Economic Papers, 3: 291–325.
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Meek, R.L. (1976) Social Science and the Ignoble Savage. Cambridge: Cambridge University
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Jones, C. (2002) Introduction to Economic Growth, New York: Norton.
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Sraffa, P. (1951) Introduction to Ricardo's Principles, in Ricardo, D. (1951-73) Works and
Correspondence of David Ricardo,(Cambridge: Cambridge University Press) Vol. I.
Turgot (2011), The Turgot Collection, Writings, Speeches, and Letters of Anne Robert Jacques
Turgot, Baron de Laune, Edited by David Gordon, Mises Institute.
Notes:
[1] Franklin Serrano suggested to me to read Diamond many years ago.
[2] On Endogenous Growth Theory (EGT), the most ambitious attempt by the mainstream to
explain economic growth, see Cesaratto 1999a, 1999b, 2010, and Cesaratto & Serrano 2002. See
also the appendix.
[3] Meek (1976) points out that both Turgot and Smith regarded the protection of property rights as
a result of development rather than a cause of it.
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[4] True, Turgot as much as A&R dismiss the role of the climate as a determining factor: “A reason
for these differences which are found between nations has been sought in differences of climate.
This view, modified a little and rightly restricted only to those climatic influences which are
always the same, has recently been adopted by one of the greatest geniuses of our century. But the
conclusions which are drawn from it are hasty, to say the least, and are extremely exaggerated.
They are belied by experience, since under the same climates peoples are different; since under
climates which resemble one another very little we very often find peoples with the same character
and the same turn of mind” (379-80) But I do not believe that this would change much my
argument.
PS: Also read the following post on the same topic here or here where the argument extends to
William McNeill and other historians.
(originally published here)
Il dibattito su Diamond e l’origine della civilizzazione si è recentemente arricchito di questo
ulteriore contributo
http://www.voxeu.org/article/neolithic-roots-economic-institutions