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CARLO FOCARELLI LEZIONI DI DIRITTO INTERNAZIONALE II Pràssi' 1 11 0 :-11- ..... "" '>! ° z t:: - o o w ;:: CEDAM CASA EDITRICE DOTI. ANTONIO 2008 '. CAPITOLO II CREAZIONE INTER-STATALE E APPLICAZIONE INTRA-STATALE DELLE NORME INTERNAZIONALI Sezione}- NORME' INTERNAZIONALI GENERALI A) Consuetudine internazionale 1. Consuetudine generale 52. Sentenza della Corte internazionale di giustizia del 20 febbraio 1969 nel caso della Delimitazione della piattaforma contine1!tale nel Mare del Nord (Repubblica Federale ili Germania c. Danimarca; Repubblica Federale di Gernumia c. Paesi BassI). TI 31 marzo 1966 i Paesi Bassi e la Danimarca avevano concluso un accordo relativo alla delimitazione delle rispettive piattaforme continentali nel Mare del Nord che acco- glieva sostanzialmente il criterio dell'equidistanza già previsto dall'art. 6 della Conven- zione di Ginevra del 29 aprile 1958 sulla piattaforma continentale della quale entrambi gli Stati erano contraenti. L'art. 6, nella parte che veniva in rilievo nella specie, era così formulato: «In mancanza di accordo [tra gli Stati limitrofi interessati], e a meno Oche del- le circostanze speciali non giustifichino un'altra delimitazione, questa si opera con l'ap- plicazione del principio dell'equidistanza dai punti più prossimi delle linee-base a partire dalle quali è misurata l'ampiezza del mare territoriale di ciascuno di tali Stati ». Senon- ché, il criterio della linea mediana, che per sua natura favorisce gli Stati con costa con- vessa e sfavorisce quelli con costa concava, riduceva la porzione di piattaforma conti- nentale della Germania Federale, che non aveva ratificato la Convenzione di Ginevra, proprio a causa della concavità della costa tedesca. La questione se il criterio dell'equi- distanza, respinto dalla Germania Federale e sostenuto invece dalla Danimarca e dai Paesi Bassi, corrispondesse al diritto internazionale generale, o in altri termini se l'art. 6 della Convenzione di Ginevra «codificasse», cioè riproducesse, il diritto internaziona- le consuetudinario, e vincolasse anche la Germania Federale, fu quindi sottoposta alla Corte internazionale di giustizia l. ° La Corte era chiamata a stabilire, come richiesto dalla Danimarca e dai Paesi Bassi, se si fosse formata una norma internazionale consuetudinaria sulla base dell'art. 6 della Convenzione di Ginevra proprio in seguito all'influenza che tale norma avrebbe esercì- I In http://www.ic}ci}oorgfdocketlfìJesf51f5535.pdf(ICJ Rep., 1969, pp. 4-54). 1-'

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CARLO FOCARELLI

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CASA EDITRICE DOTI. ANTONIO M~NI

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CAPITOLO II

CREAZIONE INTER-STATALE E APPLICAZIONE INTRA-STATALE DELLE NORME INTERNAZIONALI

Sezione}- NORME' INTERNAZIONALI GENERALI

A) Consuetudine internazionale

1. Consuetudine generale

52. Sentenza della Corte internazionale di giustizia del 20 febbraio 1969 nel caso della Delimitazione della piattaforma contine1!tale nel Mare del Nord (Repubblica Federale ili Germania c. Danimarca; Repubblica Federale di Gernumia c. Paesi BassI).

TI 31 marzo 1966 i Paesi Bassi e la Danimarca avevano concluso un accordo relativo alla delimitazione delle rispettive piattaforme continentali nel Mare del Nord che acco­glieva sostanzialmente il criterio dell'equidistanza già previsto dall'art. 6 della Conven­zione di Ginevra del 29 aprile 1958 sulla piattaforma continentale della quale entrambi gli Stati erano contraenti. L'art. 6, nella parte che veniva in rilievo nella specie, era così formulato: «In mancanza di accordo [tra gli Stati limitrofi interessati], e a meno Oche del­le circostanze speciali non giustifichino un'altra delimitazione, questa si opera con l'ap­plicazione del principio dell'equidistanza dai punti più prossimi delle linee-base a partire dalle quali è misurata l'ampiezza del mare territoriale di ciascuno di tali Stati ». Senon­ché, il criterio della linea mediana, che per sua natura favorisce gli Stati con costa con­vessa e sfavorisce quelli con costa concava, riduceva la porzione di piattaforma conti­nentale della Germania Federale, che non aveva ratificato la Convenzione di Ginevra, proprio a causa della concavità della costa tedesca. La questione se il criterio dell'equi­distanza, respinto dalla Germania Federale e sostenuto invece dalla Danimarca e dai Paesi Bassi, corrispondesse al diritto internazionale generale, o in altri termini se l'art. 6 della Convenzione di Ginevra «codificasse», cioè riproducesse, il diritto internaziona­le consuetudinario, e vincolasse anche la Germania Federale, fu quindi sottoposta alla Corte internazionale di giustizia l. °

La Corte era chiamata a stabilire, come richiesto dalla Danimarca e dai Paesi Bassi, se si fosse formata una norma internazionale consuetudinaria sulla base dell'art. 6 della Convenzione di Ginevra proprio in seguito all'influenza che tale norma avrebbe esercì-

I In http://www.ic}ci}oorgfdocketlfìJesf51f5535.pdf(ICJ Rep., 1969, pp. 4-54).

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§ 52 CAPITOLO Il

tato sulla prassi successiva. In altri termini, secondo la tesi danese e olandese, l'art. 6 sarebbe «servito da base o da punto di partenza per una regola che, puramente conven­zionale o contrattuale all'origine, si sarebbe poi integrata nell'insieme del diritto interna­zionale generale e sarebbe ora accettata a questo titolo dall'opinio juris, in modo che essa si imporrebbe ormai anche ai Paesi che non sono e non sono mai stati parti della Con­venzione». La Corte ha riconosciuto che si trattava «certamente di una situazione ap­partenente al novero delle cose possibili, una situazione che si presenta di tanto in tanto: essa costituisce persino uno dei metodi riconosciuti attraverso i quali possono formarsi nuove regole di diritto internazionale consuetudinario» (§ 71). Tuttavia, affinché fosse dimostrata, occorreva anzitutto che «la disposizione in questione (avesse], quanto meno potenzialmente, un carattere fondamentalmente normativo e (potesse] così costituire la base di una regola generale di diritto», ciò che la Corte ha escluso per diverse ragioni, tra l'altro ribadendo, senza tuttavia voler prendere posizione sulla questione dello jus co­gens, il principio secondo cui «è possibile derogare con un accordo alle regole di diritto internazionale in casi particolari o tra certe parti» (§ 72).

La Corte ha quindi stabilito che ai fini della formazione di una norma consuetudi­naria a partire da una norma pattizia occorre il cjecorso di un certo periodo di tempo, pur riconoscendo la possibilità che «anche senza il decorso di un lungo periodo di tem­po, una partecipazione molto ampia e rappresentativa alla convenzione sia sufficiente, a condizione comunque che essa comprenda'gli Stati particolarmente interessati». Nel ca~ so di specie, peraltro, secondo la Corte «anche se si tiene conto del fatto che alcuni Stati non possono partecipare alla Convenzione di Ginevra, o che, ad esempio per mancanza 't' di litorale, non hanno interesse a diveni~e parti, il numero delle ratifiche e adesioni fi­nora ottenute è importante ma non sufficiente» e in generale non si può «far leva sul ,

''dI:1fatto che la mancata ratifica possa essere dovuta talvolta a fattori diversi dall'attiva di­sapprovazione della convenzione in questione per dedurne l'accettazione positiva di tali principi: le ragioni sono congetturali, ma i fatti rimangono» (§ 73). ~r;

Quanto al tt:mpo necessario, secondo la Corte, «benché il fatto del decorso di un :;-:

breve lasso di tempo non costituisca di per sé necessariamente un impedimento alla for­mazione di una nuova regola di diritto interr:azionale consuetudinario a partire da una regola puramente convenzionale all'origine, resta indispensabile ché in questo lasso di tempo, per quanto breve sia stato, la prassi degli Stati, compresi quelli particolarmente

.,interessati, sia stata frequente e praticamente uniforme nel senso della disposizione invò" cata e si sia manifestata in modo da stabilire un generale riconoscimento del fatto che sia in gioco una regola di diritto o un obbligo giuridico» (§ 74). Procedendo nella verifica se tale condizione fosse soddisfatta nel caso di specie ed a parte una quindicina di prece­denti sottoposti alla sua attenzione, di cui soltanto quattro riconosciuti pertinenti, la Corte ha osservato che «più della metà degli Stati interessati, a prescindere se abbiano agito congiuntamenie o unilateralmente, erano, o sono presto divenuti, parti della Con­venzione di Ginevra ed è lecito quindi supporre che la loro azione si inscrivesse di fatto o potenzialmente nel quadro dell'applicazione della Convenzione», con la conseguenza che non era possibile «legittimamente dedurre che esista una regola di diritto internazio­nale consuetudinario che sancisca il principio dell'equidistanza». Del resto, «per gli Sta­ti che non erano parti e che non sono divenuti successivamente parti della Convenzione, le ragioni della loro azione non potevano essere che problematiche e rimangono intera­ ,o',

,t'mente nel campo delle congetture, essendo chiaro che questi Stati non applicavano la

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CONSUETUDINE INTERNAZIONALE § 53

Convenzione, ma sarebbe eccessivo concludere che essi credevano di applicare una rego­la di diritto internazionale consuetudinario di carattere obbligatorio». Di conseguenza, in mancanza di indizi e sussistendo anche altre ragioni per far ricorso al metodo dell'e­quidistanza «il fatto di aver agito.o di essersi impegnati ad agire in un certo modo non prova nulla sul piano giuridico» (§ 76).

Ma anche ad ammettere che gli Stati terzi alla Convenzione fossero ricorsi al crite­rio dell'equidistanza più frequentemente, secondo la Corte, «tali atti, anche considerati nella loro globalità, non basterebbero di per sé a formare l'opinio juris dal momento che, per arrivare a questo risultato, devono essere soddisfatte due condizioni», e cioè «non solamente gli atti considerati devono rappresentare una prassi costante, ma inoltre essi devono testimoniare, per la loro natura o per il modo in cui sono compiuti, la convin­zione che tale prassi sia resa obbligatoria dall'esistenza di una regola di diritto», convin­zione che secondo la Corte «è implicita nella nozione stessa di opinio juris sive necessi­tatis». In altre parole, «gli Stati interessati devono... avere la percezione di conformarsi a qualcosa che equivale a un obbligo giuridico. Né la frequenza né il carattere abituale degli atti sono sufficienti». Come la Corte ha precisato infatti «esiste un gran numero di atti internazionali, ad esempio nel campo del cerimoniale e del protocollo, che vengono compiuti quasi invariabilmente, ma sono motivati da semplici considerazioni di cortesia, opportunità o di tradizione e non dal senso di un obbligo giuridico» (§ 77).

Di fronte alla scarsità di una prassi positiva degli Stati la Corte ha quindi conferma­to quanto già sostenuto dalla Corte permanente di giustizia internazionale nella sentenza del 7 settembre 1927 nel caso Lotus, e cioè che «è solo se l'astensione [è] stata motivata dalla consapevolezza di un dovere di astenersi che si [può] parlare di consuetudine inter­nazionale» 2. Constatando che « in certi.casi poco numerosi alcuni Stati hanno convenu­to di tracciare, o hanno tracciato, i limiti che li riguardano seguendo il principio dell'e­quidistanza», secondo la Corte «nulla prova che essi abbiano cosi agito poiché si senti­vano giuridicamente vincolati da una regola obbligatoria di diritto consuetudinario, so­prattutto se si considera che altri fattori abbiano potuto motivare la loro azione» (§ 78).

La Corte ha così concluso che «se la Convenzione di Ginevra non era né all~ sue origini né nelle sue premesse dichiarativa di una regola di diritto internazionale consue­tudinario che impone l'impiego del principio dell'equidistanza per la delimitazione della piattaforma continentale tra Stati limitrofi, essa non è neanche arrivata, attraverso i suoi effetti successivi, alla formazione di una tale regola; e che anche la prassi degli Stati fmo ad oggi è stata insufficiente al riguardo» (§ SI).

53. Sentenza della Corte internazionale di giustizia del 27 giugno 1986 nel caso delle Attività militari e paramilitari degli Stati Uniti in Nicaragua e contro il NicaraglUl (Nicaragua c. Stati Uniti) (merito).

Nei primi anni '80 gli Stati Uniti iniziarono ad appoggiare mediante finanziamenti e assistenza logistica e militare, gli oppositori al governo di coalizione che si era formato in Nicaragua dopo la caduta di Somoza, nel 1979 (c.d. «contras»), governo nel quale

2 Infra, § 162.

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§ 53 CAPITOLO II

occupava una posizione di spicco il Frente Sandinista de Liberacion Nacional. li Nicara­gua ricorse alla Corte internazionale di giustizia accusando gli Stati Uniti della violazio­ne delle norme internazionali che vietano l'uso della forza militare e l'ingerenza negli af­fari interni di Stati stranieri. Secondo il Nicaragua infatti i contras dovevano qualificarsi come bande di mercenari al servizio, cioè operanti sotto la direzione e il controllo, degli Stati Uniti, con la conseguenza che i loro atti dovessero imputarsi agli Stati Uniti e che il conflitto in corso con il governo in carica fosse in realtà un conflitto internazionale ini­ziato e condotto dagli Stati Uniti all'interno e contro il Nicaragua. Al contrario, gli Stati Uniti ritenevano che gli atti dei contras fossero imputabili al Governo del Nicaragua e, trattandosi di violazioni del diritto internazionale umanitario commesse a danno sia del­lo stesso popolo nicaraguense che di altri Stati dell'America centrale, consentissero l'in­terventodi altri Stati in legittima difesa collettiva e/o a titolo di intervento umanitario. Gli Stati Uniti avevano comunque contestato la competenza della Corte a pronunciarsi nel merito ritenendo che le norme internazionali invocate dal Nicaragua fossero conte­nute in trattati multilaterali (Carta delle Nazioni Unite e Carta dell'Organizzazione degli Stati Americani) e ricadessero così in una riserva apposta alla loro dichiarazione unila­terale di accettazione della competenza della Corte effettuata ex art. 36, par. 2, del suo Statuto, riserva che faceva salve le controversie relative all'interpretazione dei trattati multilaterali di cui gli Stati Uniti fossero parti. La Corte era così chiamata a stabilire se le norme internazionali invocate dal [email protected] fossero contenute esclusivamente in trattati multilaterali, nel qual caso avrebbe dovuto dichiararsi incompetente, o fossero anche oggetto di corrispondenti norme internazionali generali, estranee in quanto tali alla riserva statunitense 3. 1

Nella sua sentenza resa nel merito della controversia la Corte internazionale di giu­stizia ha affermato di dover «esercitare la giurisdizione conferitale mediante la dichiara­zione degli Stati Uniti di accettazione ai sensi dell'art. 36, par. 2, dello Statuto, in ordine all'esame delle pretese del Nicaragua fondate sul diritto internazionale consuetudinario indipendentemente dall'esclusione dalla sua giurisdizione delle controversie sorte ai sensi della Carta delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione degli Stati americani» (§ 182). La Corte ha quindi precisato di dover «accertare quali siano le norme di diritto internazio­nale consuetudinario applicabili alla presente controversia» e, a tal fine, «rivolgere la propria attenzione alla prassi eall'opinio juris degli Stati» osservando, come già statuito nella sentenza del 1985 nel caso della Piattaforma continentale in una controversia tra la Libia e Malta 4 che «è naturalmente assiomatico che il materiale del diritto internazio­nale consuetudinario debba essere cercato anzitutto nella prassi effettiva e nell'opinioju­ris degli Stati, anche se delle convenzioni multilaterali possano avere un importante ruo­lo da svolgere nel registrare e definire regole derivanti dalla consuetudine, o anche nel loro sviluppo ». La Corte ha peraltro aggiunto di non dover «perdere di vista la Carta delle Nazioni Unite e quella dell'Organizzazione degli Stati Americani, indipendente­mente dall'operatività della riserva relativa ai trattati multilaterali» e che «sebbene... non abbia giurisdizione per esaminare se la condotta degli Stati Uniti costituisca una violazione di tali convenzioni, essa può e deve tenerle in considerazione nell'accertamen­

3 In http://www.icj.cij.org/docketfjìles/70/6503.pdf(lCJ Rep., 1986, pp. 392-443). 4 In http://www.icj-cij.org/docketlflles/68/6393.pdf(lCJ Rep., 1985, pp. 13-58).

<li-,

CONSUETUDINE INTERNAZIONALE § 53

to del contenuto del diritto internazionale consuetudinario che pure si asserisce che gli Stati Uniti abbiano violato» (§ 183).

Esaminando dunque se le norme invocate dal Nicaragua fossero di diritto interna­zionale consuetudinario, la Corte ha rimarcato «che di fatto sussistono prove... di un considerevole grado di accordo tra le Parti quanto al contenuto del diritto internazionale consuetudinario relativo al non-uso della forza e al non-intervento >l. Tuttavia, «tale concorso delle loro vedute non Oa] dispensa... dall'accertare quali norme del diritto in­ternazionale consuetudinario siano applicabili» nel caso di specie dal momento che «il mero fatto che gli Stati dichiarino il loro riconoscimento di alcune regole non è sufficien­te... per considerare queste ultime come facenti parte del diritto internazionale consue­tudinario e come applicabili in quanto tali a quegli Stati >l. Inoltre, la Corte, «vincolata come è dall'art. 38 del suo Statuto ad applicare, inter alia, la consuetudine internazionale quale "prova di una prassi generale accettata come diritto" ... non può ignorare il ruolo essenziale svolto dalla prassi generale >l. Se è vero infatti che «quando due Stati conven­gono di incorporare una particolare norma in un trattato, il loro accordo è sufficiente a rendere tale norma una norma giuridica, vincolante nei loro confronti >l, nel diritto in­ternazionale consuetudinario accade che «l'opinione condivisa delle Parti riguardo al contenuto di ciò che esse considerano la regola non basta >l, e pertanto la Corte «deve convincersi che l'esistenza della norma nell'opinio juris degli Stati sia confermata dalla prassi» (§ 184). È anche vero peraltro che nel caso di specie la Corte, «anche se esercita la sua giurisdizione soltanto rispetto all'applicazione delle norme consuetudinarie sul non-uso della forza e sul non-intervento, non può ignorare il fatto che le Parti siano vin­colate da tali norme sul piano sia del diritto pattizio che del diritto internazionale gene­rale », tenuto conto in particolare che « a parte gli impegni pattizi vincolanti le Parti alle regole in questione, sussistono diversi elementi nel senso che le parti abbiano espresso in altri modi il riconoscimento della loro validità come diritto internazionale consuetudina­fio >l. È dunque «alla luce di tale "elemento soggettivo" - espressione usata dalla Corte nella sua sentenza del 1969 nei casi sulla Piatta/orma continentale- del Mare del Nord s ­che la Corte deve valutare la prassi rilevante» (§ 185).

Valutando la prassi e l'opinio juris generale, infine, la Corte ha osservato che per quanto «non ci si debba aspettare che nella prassi degli Stati l'applicazione delle regole in questione sia stata perfetta, nel senso che gli Stati si siano astenuti; con totale coeren­za, dall'uso della forza o dall'intervento negli affari interni degli altri », resta fermo che «per stabilire una regola come consuetudinaria la prassi corrispondente deve essere as­solutamente e rigorosamente conforme ». In particolare, «al fine di dedurre l'esistenza di regole consuetudinarie, la Corte ritiene sufficiente che il comportamento degli Stati sia, in generale, coerente con tali norme, e che i casi di comportamento statale incòerente con una data regola siano stati generalmente trattati come violazioni di tale regola piut­tosto che come manifestaziòni del riconoscimento di una nuova regola >l. La Corte ha quindi aggiunto che «se uno Stato agisce in una maniera prima facie incompatibile con una regola riconosciuta, ma difende il suo comportamento invocando eccezioni o giustificazioni contenute entro la regola stessa, allora il significato di tale atteggiamento

S Supra, § 52; mfra, § 169.

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§54 CAPITOLO Il

è di conferma, piuttosto che di indebolimento, della regola a prescindere se il compor­tamento dello Stato sia in effetti giustificabile su quella base» (§ 186).

54. Parere consultivo della Corte internazionale di giustizia dell'8 luglio 1996 sulla Li­ceità della minaccia e dell'impiego delle armi nucleari richiesto dall'Assemblea gene­rale delle Nazioni Unite.

Con risoluzione 49/75 K del 15 dicembre 1994 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva chiesto alla Corte internazionale di giustizia un parere consultivo, ai sensi dell'art. 96 della Carta delle Nazioni Unite, sottoponendole il seguente quesito: «La mi­naccia o l'impiego di armi nucleari è permessa nel diritto internazionale in qualsiasi cir­costanza?» 6.

Nel suo parere consultivo dell'8 luglio 1996, la Corte internazionale di giustizia, richiamando la sua sentenza del 3 giugno 1985 nel caso della Piattaforma continentale ~;I,.~

tra Libia e Malta 7, che a sua volta riprendeva la sentenza del 20 febbraio 1969 sulla :t1i Piattaforma continentale nel Mare del Nord8

, ha ritenuto che per stabilire se esiste un divieto della minaccia o dell'uso delle anni nucleari occorre ricercare sia la prassi effet­tiva che l'opinio juris degli Stati. A tal fine, secondo la Corte, « le risoluzioni dell'Assem­blea generale, anche se non sono vincolanti, possono talvolta avere un valore normati­Vo» in quanto suscettibili talvolta di fornire'« elementi di prova importanti per accer­tare l'esistenza di una regola o l'emergere di una opinio juris». In particolare, « per sta·, bilire se ciò sia vero di una determinata risoluzione dell'Assemblea generale, è necessa­rio esaminarne il contenuto e le condizioni di adozione» ed è inoltre « necessario... ve­rificare se esiste una opinio juris quanto al suo carattere normativo», considerando che « una serie di risoluzioni può mostrare l'evoluzione graduale dell'opinio juris necessaria all'affermazione di una nuova regola» (§ 70). Con riguardo alla minaccia e all'uso delle armi nucleari la Corte ha peraltro rifenuto che « benché dette risoluzioni costituiscano un chiaro segno di una profonda preoccupazione rispetto al problema delle armi nu­cleari, esse non dimostrano ancora l'e~istenzà di una opinio juris sull'illiceità dell'impie­go di tali armi», tenuto anche conto che «molte delle risoluzioni in esame... sono state adottate con un numero significativo di voti contrari e di astensioni» (§ 71). La Corte ha poi sottolineato che « la prima delle risoluzioni dell'Assemblea generale ad avere espressamente proclamato l'illiceità dell'uso delle armi nucleari, la risoluzione 1653 (XVI) del 24 novembre 1961 (richiamata dalle risoluzioni successive), dopo aver fatto riferimento ad alcune dichiarazioni internazionali e ad alcuni accordi vincolanti, che vanno dalla Dichiarazione di San Pietroburgo del 1868 al Protocollo di Ginevra del 1925, ha proceduto a qualificare la natura giuridica delle anni nucleari, a detenninare i loro effetti e ad applicare regole generali di diritto internazionale consuetudinario alle armi nucleari in particolare». Nell'opinione della Corte, proprio « tale applicazione, da parte dell'Assemblea generale, di regole generali del d1ritto consuetudinario al caso spe­cifico delle armi nucleari indica che... non esisteva alcuna specifica regola di diritto con-

CONSUETUDINE INTERNAZIONALE § 55

suetudinario che vietasse l'uso delle armi nucleari». Infatti «se una tale regola fosse esi­stita, l'Assemblea generale avrebbe potuto semplicemente riferirvisi e non avrebbe do­vuto impegnarsi in un tale esercizio di qualificazione giuridica» (§ 72). La Corte ha pre­cisato che « l'adozione ogni anno da parte dell'Assemblea generale, a larga maggioran­za, di risoluzioni che richiamano il contenuto della risoluzione 1653 (XVI) e chè richie­dono agli Stati Membri di concludere una convenzione che vieti l'uso di anni nucleari in qualsiasi circostanza, rivela il desiderio di una grandissima parte della comunità inter­nazionale di fare, con il divieto specifico ed espresso dell'uso delle armi nucleari, Un passo avanti significativo sul cammino del disarmo nucleare completo»; ma, in defini­tiva, secondo la Corte « l'apparizione, come lex lata, di una regola consuetudinaria che proibisca specificamente l'uso delle armi nucleari in quanto tali si SContra con le tensio­ni continue tra una opinio juris in via di formazione, da un lato, e, dall'altro, l'adesione ancora forte alla prassi della deterrenza» (§ 73). La Corte ha così concluso escludendo che nell'attuale diritto internazionale esista una norma consuetudinaria che vieti la mi­naccia e l'uso delle armi nucleari in quanto tali.

6 In hllp:ffwww.icj-cij.orgfdocket/fUesf95f7495,pdf(ICJ Rep., 1996, pp. 226-267). 7 In hllp:ffwww.icj-cij.orgfdocketlfllesf68f6393.pdf(lCJ Rep., 1985, pp. 13-58). 8 Supra, § 52; infra, § 169.

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LA CONSUETUDINE INTERNAZIONALE

nel caso relativo alle

Attività militari e paramilitari degli Stati Uniti

in Nicaragua e contro il Nicaragua

(Nicaragua c. Stati Uniti),

Corte internazionale di giustizia

sentenza del 27 giugno 1986 (merito)

I.C.J. Reports 1986, p. 14

LA CONTROVERSIA

Negli anni ’80, a seguito della rivoluzione sandinista che nel 1979 aveva rovesciato la dittatura filoamericana di Augusto César Somoza, gli Stati Uniti appoggiarono la formazione e le attività di gruppi armati di opposizione (i c.d. contras) fornendo loro addestramento, supporto logistico e armamenti. Ritenendo che l’attività di tali gruppi armati irregolari potesse essere imputata agli Stati Uniti, il Nicaragua si rivolse unilateralmente alla Corte internazionale di giustizia nel 1984 per vedere accertata la violazione delle norme in materia di uso della forza armata internazionale.

LA GIURISDIZIONE DELLA CORTE La Corte, con sentenza sulla giurisdizione e l’ammissibilità del 26 novembre 1984 (I.C.J. Reports 1984, p. 392) si dichiarò competente a pronunciarsi sulla base delle dichiarazioni unilaterali di accettazione della sua giurisdizione obbligatoria rese dai due Stati. Poiché la dichiarazione americana escludeva la giurisdizione della Corte su controversie riguardanti trattati multilaterali, e quindi sulla Carta NU e le relative disposizioni in materia di uso della forza, la Corte poteva decidere solo sulla base del diritto consuetudinario.

LA SENTENZA

Traduzione tratta da: A. TANZI, Introduzione al diritto internazionale contemporaneo, 3° ed., Padova, 2010.

183. […] la Corte deve poi prendere in considerazione le regole di

diritto consuetudinario applicabili alla presente controversia. A questo

fine, essa deve rivolgere la propria attenzione alla prassi ed opino

juris degli Stati.

A questo riguardo la Corte non deve perdere di vista la Carta

delle Nazioni Unite e quella dell’Organizzazione degli Stati Americani,

nonostante la riserva sui trattati multilaterali. Sebbene la Corte non

abbia giurisdizione per giudicare la condotta degli Stati Uniti rispetto a

queste convenzioni, essa può e deve tenerle in considerazione

nell’accertare il contenuto del diritto internazionale consuetudinario

che gli Stati Uniti sono anche accusati di aver violato.

184. Il Corte rileva, infatti, che vi sono elementi di prova, che

verranno esaminati più avanti, nel senso di un considerevole tasso di

consenso tra le parti circa il contenuto del diritto internazionale

consuetudinario relativo al divieto dell’uso della forza e di intervento.

Questa , convergenza di vedute non dispensa, comunque, la Corte

dal dover accertare quali regole di diritto consuetudinario siano

applicabili. Il mero fatto che gli Stati dichiarino il proprio

riconoscimento di certe regole non è sufficiente affinché la Corte le

consideri parte del diritto consuetudinario, e che, pertanto, le

consideri applicabili a quegli stessi Stati. Essendo vincolata

dall’articolo 38 dello Statuto [della Corte] ad applicare, tra l’altro, la

consuetudine internazionale “come prova di una prassi generale

accettata come diritto”, la Corte non può trascurare il ruolo essenziale

giocato dalla prassi generale. [...] La Corte deve giungere alla

conclusione che l’esistenza della norma secondo la opinio juris degli

Stati sia confermata dalla prassi.

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2

[...]

186. Non ci si deve attendere che nella prassi degli Stati

l’applicazione delle regole in questione sia stata perfetta, nel senso

che gli Stati si siano astenuti, con coerenza assoluta di

comportamenti, dall’usare la forza o dall’intervenire nei reciproci affari

interni. La Corte non ritiene che, affinché una regola possa essere

considerata come consuetudinaria, la prassi corrispondente debba

essersi posta in rigorosa conformità con la regola stessa. Allo scopo

di dedurre l’esistenza di regole consuetudinarie, la Corte considera

sufficiente che la condotta degli Stati sia, in generale, conforme a

queste regole, e che esempi di comportamenti non conformi ad una

data regola siano stati considerati generalmente come violazioni di

quella regola, e non come riconoscimento di una nuova regola. Se

uno Stato si comporta prima facie in violazione di una certa regola,

ma difende la propria condotta appellandosi ad eccezioni o

giustificazioni contenute nella regola stessa, allora,

indipendentemente dal fatto che la condotta dello Stato sia

giustificabile su quelle basi, l’effetto di quelle argomentazioni sarà

quello di confermare, piuttosto che di indebolire, quella stessa regola”

188. [...] Questa opinio juris può essere dedotta, seppur con

dovuta cautela, dal comportamento delle parti e degli Stati nei

confronti di certe risoluzioni dell’Assemblea generale, in particolare

nei confronti della risoluzione 2625 (XXV) intitolata “Dichiarazione sui

principi di diritto internazionale riguardanti le relazioni amichevoli e la

cooperazione tra Stati secondo la Carta delle Nazioni Unite”. L’effetto

del consenso accordato al testo di queste risoluzioni non può essere

inteso semplicemente come quello di una “reiterazione o

delucidazione” degli obblighi convenzionali assunti nella Carta. AI

contrario, può essere inteso come un’accettazione della validità della

norma o insieme di norme dichiarate dalla risoluzione. [...]

189. Per quanto riguarda gli Stati Uniti in particolare,

un’espressione di opinio juris può essere rintracciata nell’appoggio

dato alla risoluzione di condanna dell’aggressione della sesta

Conferenza internazionale degli Stati americani (18 febbraio·1928) e

la ratifica della Convenzione di Montevideo sui diritti e gli obblighi

degli Stati (26 dicembre 1933) […]. Significativa è anche

l’accettazione da parte degli Stati Uniti del principio della proibizione

dell’uso della forza contenuto nella dichiarazione sui principi che

regolano le relazioni reciproche tra Stati partecipanti alla Conferenza

sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Helsinki, 1 agosto

1975), secondo cui gli Stati partecipanti si impegnano ad astenersi

nelle proprie relazioni reciproche e nelle relazioni internazionali in

genere (corsivo aggiunto) dall’usare la forza. L’accettazione di un

testo di questo tipo conferma l’esistenza di un’opinio juris degli Stati

partecipanti nel senso di una proibizione dell’uso della forza nelle

relazioni internazionali.

190. Un’ulteriore conferma della validità nel diritto consuetudinario

internazionale del principio della proibizione dell’uso della forza

espresso nell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite

può essere trovata nel fatto che esso è richiamato frequentemente

nelle dichiarazioni di rappresentanti degli Stati non solo come un

principio di diritto consuetudinario, ma anche come un principio

fondamentale e cardine di tale diritto. La Commissione di diritto

internazionale, nel corso del suo lavoro sulla codificazione del diritto

dei trattati, ha espresso l’opinione che il diritto della Carta riguardante

la proibizione dell’uso della forza in se stesso costituisce un esempio

importante di una norma di diritto internazionale avente il carattere di

jus cogens.

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3

191. Per quanto riguarda certi aspetti particolari del principio in

questione, [...] la Corte può ancora trarre spunto dalle formule

contenute nella Dichiarazione sui principi di diritto internazionale

riguardanti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati secondo

la Carta delle Nazioni Unite (Risoluzione dell’Assemblea generale

2625 (XXV) riferita sopra). Come già osservato, l’adozione da parte

degli Stati di questo testo implica un’indicazione della propria opinio

juris sull’esistenza di norme di diritto internazionale consuetudinario

sulla questione dell’uso della forza. Accanto a certe disposizioni che

possono essere riferite all’aggressione, tale testo include altre

disposizioni che fanno riferimento solamente a forme meno gravi di

uso della forza. In particolare, secondo la risoluzione:

“[...] Ciascuno Stato ha l’obbligo di astenersi dall’organizzare o

incoraggiare l’organizzazione di forze irregolari o bande armate,

compresi i mercenari, per incursioni nel territorio di un altro Stato.

Ciascuno Stato ha l’obbligo di astenersi dall’organizzare, istigare,

assistere o partecipare in atti di lotta civile armata o atti di terrorismo in

un altro Stato, oppure dal tollerare attività organizzate all’interno del

proprio territorio dirette verso la commissione di tali atti, quando gli atti

menzionati nel presente paragrafo implicano la minaccia o l’uso della

forza. [...]”

La norma sul divieto generale dell’uso della forza permette alcune

eccezioni. [...] Primo, per quanto concerne l’esistenza di un diritto alla

legittima difesa, va notato che nel linguaggio della Carta delle Nazioni

Unite, il diritto inerente (o “droit naturel”) che ogni Stato possiede nel

caso di un attacco armato riguarda sia la legittima difesa individuale,

sia quella collettiva. Perciò, la Carta stessa testimonia l’esistenza di

un diritto alla legittima difesa collettiva nel diritto internazionale

consuetudinario. Inoltre, esattamente come il testo di alcune

risoluzioni dell’Assemblea generale dimostra il loro riconoscimento

del principio del divieto generale dell’uso della forza come un

principio di diritto consuetudinario, tale riconoscimento viene esteso

in alcune di tali risoluzioni al diritto alla legittima difesa (sia collettiva

che individuale). Perciò nella dichiarazione riportata sopra sui principi

di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la

cooperazione tra Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite,

la disposizione sul divieto dell’uso della forza è seguita dal seguente

paragrafo:

“nulla nei precedenti paragrafi sarà interpretato come una restrizione od

un’estensione del significato delle disposizioni della Carta relative ai

casi in cui l’uso della forza è conforme al diritto”.

Tale risoluzione dimostra come gli Stati rappresentati nell’Assemblea

generale considerino l’eccezione al divieto della forza costituita dal

diritto alla legittima difesa individuale o collettiva come parte del diritto

internazionale consuetudinario.”

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ATTILA TANZI

INTRODUZIONE AL DIRITTO INTERNAZIONALE

CONTEMPORANEO

Quarta Edizione

CÀSA EDITRICE Don. ANTONIO MILANI

1013

.1\

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3.Fo~ONEDELLECONSUETUD~

3.1. Cenni introduttivi

Si è già indicato in prima approssimazione come tradizionalmente si ritenga che le regole consuetudinarie si formino sulla base di diffusi comportamenti degli Stati ripetuti nel tempo con una certa regolarità (diuturnitas) e del convincimento' da parte degli Stati stessi che tali comportamenti siano giuridicamente dovuti o che, in fase di formazione della regola, sia necessario che lo divengano (opinio juris sive necessitatisl6

• Per trovare conferma oggi di tale affermazione e per ,cercare di

83 Custom, in CASSESE, WEILER (eds.), Change and Stability in International Law-Making, Ber-lin-New York, 1988, pp. I ss.

84 Vedi supra, sez. 2.3.1. 85 Vedi supra, 5ez. 2.3. 86 In tema di consuetudine, si vedano, tra gli altri, GIULIANO, La comunità internazioTUIle e il

dirillo, Padova, 1950, pp. 161 ss. e 223 ss.; BARILE, La rilevazione e l'integrazione del dirillo in­ternazionale non scritto e l'apprezzamento del giudice, in Comunicazioni e studi, 1953, vaL V, pp. ISO ss.; GAlA, Sull'accertamento delle norme internazionali generali da parte della Corte Costitu­zionale, in Rivista di diritto internazionale, 1968, pp. 315 55.; FRANCIONI, La consuetudine locale nel diritto internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 1971, pp. 396 ss.; AKEHuRsT, Custom as a Source ojInternational Law, in British Yearbook ojInternational Law, 1974--1975, pp. I ss.; FERRARI BRAVO, Méthode de recherche de la coutume internationale dans la pratique des Etals, in Recueil des cours, 1985-III, pp. 233 ss.; ARANGIoRurz, Consuetudine internazioTUIle, in Enciclopedia Giuridica, val. VIII, 1988, pp. 1 55.; CONDORELLI, Custom, in BEDJAOill (ed.), International Law, cit.; BERNHARDT, Customary International Law, in Encyclopedia oj Public International Law, voI. I, 1992, pp. 898 ss.; CONDORELLI, Consuetudine internazionale, in Digesto delle discipline pubblici­

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88 PARTE SECONDA

avere una idea concreta degli elementi costitutivi della consuetudine - ciò che gli Stati dicono e fanno - e di come tali elementi operano affinché si possa affermare che una determinata consuetudine si sia formata, ci riferiremo a titolo esemplifi­cativo alla prassi internazionale.

Sebbene in apertura abbiamo sostenuto che il diritto non vada studiato come se la sua principale applicazione fosse quella effettuata dal giudice, possiamo rivol­gerei in larga misura alla prassi giurisprudenziale internazionale la cui autore­volezza è generalmente tenuta in massima considerazione e utilizzata dagli Stati anche in cont'esti stragiudiziali. Infatti, brani di sentenze internazionali relative a controversie tra Stati terzi vengono frequentemente invocati a sostegno dei propri interessi dai rappresentanti governativi come autorevoli statuizioni del diritto nella corrispondenza diplomatica o nei dibattiti e negoziati bilaterali o multilaterali. Si può citare il caso in cui il rappresentante della delegazione italiana alla Sesta Commissione (sulle questioni giuridiche) dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite - durante la sessione del 2000 - si è riferito allo status dei Protocolli del 1977 aggiuntivi alle Convenzioni 9i GiI!evra del 1949 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati nei seguenti termini:

«My delegation is finnly convinced that the adoption of the instruments just re­ferred to contributes, in differin'g degrees, to the consolidation of the customary status ofthe body ofintemational humanitarian law. On this score, we are building on the authoritative statement made by the Intemational Court of Justice fourteen years ago, to the effect that the obIigation to "respect" and to "ensure respect" of the Geneva Conventions "[...] does not derive only from the Conventions them­selves, l.lUt from the generai principlès of humanitarian law to which the Conven­tions merely give specific expression" (Case Conceming Military and Paramili­tary Activities in and Against 'Nicarctgua (Merits), ICJ Reports, 1986, p. 114))87.

Simile atteggiamento è significativo, pur in assenza nel diritto internazionale del principio del precedente giurisprudenziale, o dello stare decisis88

• Ciò è tanto

stiche, voI. III, 1994, pp. 490 ss.; PENTASSUGLlA, La rilevanza dell'obiezione persistente nel diritto internazionale, Bari, 1996; MENDELSON, The Formation, cit, pp. 155 ss.; PALCHETTI, La rilevanza dell'atteggiamento degli Stati parli nell'accertamento del diritto internazionale generale da parte della Corte internazionale di giustizia, in Rivista di diritto internazionale, 1999, pp. 647 ·ss.; GRA­DONl, L'atlestation du droit international pénal coutumier dans la jurisprudence du Tribunal pour l'ex Yougoslavie: "Régularités" et "Règles ", in DELMAS-MARTY et al. (dir.), Les sources du droit internalional pénal, Société de législation comparée, Paris, 2004, pp. 24 ss.

87 Intervento del 20 ottobre 2000, in Italian Yearbook ojIntemational Law, 2000, p. 349. 88 «[Esso] esprime il principio dell'autorità formale, ossia dell'obbligatorietà del precedente

giudiziale. È questo principio che rende possibile la formazione e - in materia di fonti - dà luogo ad una delle più importanti differenze tra common law [...] e civil iaw [... ]. Sotto questo aspetto,

FORMAZIONE ETRASFORMAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE 89

più vero in considerazione del fatto che, in base allo Statuto della Corte interna­zionale di giustizia, le sentenze della Corte sono vincolanti esclusivamente per le parti della controversia con specifico riferimento all'oggetto della stessa89

• Il rife­rimento a brani della Corte da parte di rappresentanti di governi terzi rispetto alle parti della causa come termini di riferimento per dimostrare lo stato della consue­tudine in una determinata materia è spesso un mezzo per dare fondamento alle proprie pretese e, allo stesso tempo, una manifestazione di opinio juris che corro­bora la formazione o il consolidamento di una consuetudine.

3.2. Un caso di scuola in tema di uso della forza: la sentenza Nicaragua c. Stati Uniti

La sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1986 nella causa tra Nicaragua e Stati Uniti circa le attività militari e paramilitari in e contro il Nica­ragua costituisce un caso di scuola sotto diversi profili, in particolare per l'individuazioIle degli elementi costitutivi della consuetudine.

.La specialità della sentenza relativa a questa controversia deriva principal­mente dal fatto che in quel frangente la Corte era vincolata ad applicare esclusi­vamente il diritto consuetudinario in base alla dichiarazione unilaterale di accetta­zione della sua giurisdizione da parte degli Stati Uniti, effettuata nel 1946 ai sensi dell'art. 36, par. 2, dello Statuto della Corte internazionale di giustizia. In essa il Governo americano aveva dichiarato di accettare su base di reciprocità di essere citato in giudizio escludendo le controversie che richiedessero l'interpretazione o applicazione di trattati multilaterali, salvo il caso in cui tutti gli Stati parti del trattato fossero anche parti della controversia90

. L'intento sottostante questa riserva, apparentemente molto tecnica e complessa, sembra essere stato quello di sottrarre

nell'impiegare una tenninologia inglese [ ] i precedenti italiani e degli ordinamenti di civil law hanno soltanto una persuasive authority [ ]. In un sistema di diritto non scritto, non fondato, cioè su codificazioni generali alla maniera della civillaw, lo stare decisis costituisce il fondamento giuridico della case law [...] ed elemento fondamentale per la certezza del diritto (certainty ojlaw). Il principio è intrinseco alla teoria delle fonti della common law che vede nella funzione del giudice quella di elaborare la regola di diritto, oltre che di applicarla» (DE F.RANCHIS, Dizionario giuridico, Ingle­se-italiano, Milano, 1984, p. 1384).

89 L'art. 59 dello Statuto dispone quanto segue: «The decision ofthe Court has no binding force exce~t between the parties and in respect of that particular case».

oNella versione originale, la dichiarazione americana di accettazione della giurisdizione della Corte escludeva «disputes arising under a multilateral treaty, unless (l) all parties to the Ireaty af­fected by the decision are also parties to the case before tbe Court, or (2) tbe United States ofAmerica specially agrees lo jurisdiction» (Case Concerning Military and Paramilitary Activities in and Against Nicaragua, I.C.J. Reports, 1986, p. 31).

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90 91 PARTE SECONDA

all'accertamento di un organo giudiziale controversie di portata politica, quali. quelle che potessero scaturire dalla interpretazione del divieto dell'uso della forza, di cui all'art. 2, paro 4, della Carta ONU, che è un trattato multi laterale. Ciò, te­nendo conto che, ai sensi del Capitolo VII della Carta stessa, ogni questione in materia sarebbe soggetta alla valutazione politica del Consiglio di sicurezza, nel quale, come è noto, la delegazione USA ha potere di veto. L'oggetto della con­troversia in esame era costituito proprio dal divieto dell'uso della forza e dal di­ritto di legittifua difesa, ambedue disciplinati nella Carta delle Nazioni Unite e in quella dell'Organizzazione degli Stati Americani, che ovviamente sono trattati internazionali cui ambedue gli Stati litiganti erano e sono parti. Si trattava infatti di valutare se il finanziamento, l'addestramento e altre forme di supporto nei riguardi della guerriglia in El Salvador e Honduras contro il Nicaragua da parte degli Stati Uniti costituissero una violazione del divieto dell'uso della forza o del divieto di intervento e se, in caso positivo, tali comportamenti potessero essere giustificati come forma di legittima difesa collettiva nei riguardi dei Paesi limitrofi al Nica­ragua, Honduras ed El Salvador. '

La Corte è giunta alla conclusione di avere giurisdizione sulla controversia sostenendo che le norme interna:z;ionali in tema di uso della forza, sebbene conte­nute nei trattati in parola, mantengono la propria autonoma identità normativa di regole consuetudinarie91

. La Corte ha poi sviluppato una serie di dettagliate ar­gomentazioni circa i requisiti tradizionali per ricostruire l'esistenza di una con­suetudine che verranno qui di seguito riportate e commentate insieme ad altri e­lementi di prassi internazionale. •

3.2.1. In tema di prassi

Dopo avere affermato la propria competenza giurisdizionale nel caso in esame, la Corte ha proseguito come segue:

«183. [...] the Court has next to consider what are the rules of customary intema­tional law applicable to the present dispute. For this purpose, it has to direct its attention to the practice and opinio juris of States [... ] In this respect the Court must not lose sight of the Charter of the United Nations and that of the Organization of American States, notwithstanding the operation of the multilateral treaty reservation. Although the Court has no jurisdiction to de­tennine whether the conduct of the United States constitutes a breach of those conventions, it can and must take them into account in ascertaining the content of

91 Ibidem, pp. 92 SS.

fORMAZIONE E TRASFORMAZIONE DEL OIRlTfO INTERNAZIONALE

the customary intemational law which the United States is also alleged to have infringed. 184. The Court notes that there is in fact evidence, to be examined below, of a considerable degree of agreement between the Parties as to the content of the customary internationallaw relating to the non-use of force and non-intervention. This concurrence of their view does not however dispense the Court from having itself to ascertain what rules oL customary law are applicable. The mere fact that States declare their recognition of certain rules is not sufficient far the Court to consider these as being part of customary intemational law, and as applicable as such to those States. Bound as il is by Article 38 of its Statute to apply, inter alia, intemational custom "as evidence of a generai practice accepted as law", the Court may noI disregard the essential role played by generai practice. [... ]The Court must satisfy itselfthat the existence of the rule in the opinio juris of States is confirmed by practice. [ ...] 186. Il is not to be expected that in the practice of States the applicatiOll of the rules in question should have been perfect, in the sense that States should have refrained, with complete consistency, from the use of farce or from intervention in each other's internai affairs. The Court does not consider that, for a rule to be established as customary, the corresponding practice must be in absolutely rigorous confor­mity with the rule. In order to deduce the existence of customary rules, the Court deerns it sufficient that the conduct of States should, in generai, be consistenl with such rules, and that instances of State conduct inconsistent with a given rule should generally have been trealed as breaches of that rule, not as a recognition of a new rule. If a State acts prima facie incompatible with a recognized rule, but defends its conduct by appealing to exceptions or justifications contained within the rule itself, then whether or not the State's conduct is in facl justifiable on that basis, the si­gnificance ofthal attitude is to confum rather than to weaken the rule».

Oltre alla reiterazione del principio generale per cui la consuetudine va ricer­cata nei due elementi costitutivi della prassi e della opinio juris, la prima consi­derazione di carattere generale cui si presta il paragrafo 183 della sentenza ri­guarda il rapporto tra consuetudine e trattati. In particolare, la Corte ha evi­denziato come la prassi convenzionale - indipendentemente dal fatto che si tratti di convenzioni di codificazione - può costituire un importante strumento per la rile­vazione di consuetudini internazionali e per la definizione del loro contenuto92

. Si

92 BAXTER, Mulli/ateral Trealies as Evidence ofCuslomary Internalional Law, ìn British Year­book of Jrzlernational Law, 1965-66, pp. 275 SS.; lo., Treaties and Custom, in Recueil des cours, 1970-1, pp. 27 SS.; D'AMATO, Manifesl Intent and the Generation by Treaty ofCustomary Rules of Inlernalional Law, in American Journal of International Law, 1970, pp. 892 SS.; DHOKALIA, The Codification of Public Inlernational Law, Manchester, 1970; THfRLWAY, Inlernational Cuslomary

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92 93 PARTE SECONDA

tratta di una indicazione solo apparentemente paradossale, poiché, di fatto, la consuetudine - seppure diritto non scritto - si evince principalmente attraverso elementi di prassi, come quella convenzionale, di natura scritta. Ciò trova con­ferma con riferimento ad altri tipi di elementi di prassi aventi natura scritta, come la prassi diplomatica, parlamentare o giurisprudenziale nazionale e internazionale. Il carattere non scritto di una determinata consuetudine si conferma in relazione alla sua autonomia rispetto a ciascun singolo elemento scritto di prassi e/o opinio juris. Il carattere scritto e argomentativo di una nota verbale, di un comunicato stampa o di una statuizione governativa in un organo internazionale (prassi di­plomatica), di una legge nazionale o della trascrizione di un dibattito parlamentare (prassi parlamentare), così come di una sentenza di un giudice interno (prassi giurisprudenziale), nell'indicare ciò che l'organo nazionale ritiene circa il conte­nuto di una determinata consuetudine internazionale, fa coincidere l'elemento di prassi con una manifestazione di opinio juris. Analoga considerazione vale per le risoluzioni di organi internazionali, con particolare riguardo a quelle dell'Assemblea generale del! 'oNù. In questo caso, come vedremo nella sezione che segue, la posizione di voto dei singoli Stati può essere indicativa della propria individuale opinio juris, mentre l',adozione di una risoluzione a larga maggioranza può essere indicativa di un orientamento di opinio juris generalizzato da parte di una comunità di Stati o della stessa Comunità Internazionale.

Sempre con riferimento alla natura di fonte non scritta della consuetudine, tale caratteristica va intesa nel senso che nessun singolo elemento scritto di prassi e opinio juri:j - si tratti di prassi legislativa, diplomatica, convenzionale o giuri­sprudenziale interna o internazionale - costituisce in sé un fattore esaustivamente rappresentativo e riproduttivo di una determinata regola consuetudinaria. Questa sarà piuttosto desunta dall'insieme degli elementi, anche scritti, di prassi e opinio juris rilevanti alla sua ricostruzione. .

Una seconda considerazione di carattere generale emerge dal paragrafo 184 della sentenza in esame. La Corte non si accontenta di constatare l'accordo tra le parti in lite circa il contenuto di determinate regole ritenute di carattere consuetu­dinario, ciò che rifletterebbe un approccio volontaristico alla consuetudine del tipo giuspositivistico sopra indicat093

. Essa, infatti, ritiene necessario potere accertare

Law and Codification, Leiden, 1972; JENNINGS, Treaties as Legis!ation, in WlLNER et al. (eds.), Jus et Societas, Essays in Tribute to W Friedmann, 1979, pp. 159 ss.; ID., What is Internationa! Law, cit., pp. 59 ss.; TORRIONE, L'influence des conventions de codifica/ion sur !a coutume en droit interna­tional public, Fribourg, 1989; PISILLO MAzZESCHl, Trattati e consuetudine, ciI.; VlLLIGER, Customary Internationa! Law and Treaties, The Hague, 1997 (2' ed.). Si veda anche, da ultimo, JlA, The Re!a­tions Between Treaties and Custom, in Chinese Journal 01Internationa! Law, 20 IO, pp. 81 ss.

93 Vedi supra, sez. 2.3.2.

FORMAZIONE ETRASFORMAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

l'esistenza di una prassi che sia conforme a una determinata opinio juris, sottoli­neando il requisito che si tratti della prassi della generalità degli Stati, e non solo di quelli in lite.

Inoltre, dalla stessa affermazione secondo cui «[t]he Court must satisfy itself that the existence of the rule in the opinio juris of States is confirmed by practice» si ricava un chiaro rigetto della teoria c.d. della consuetudine istantanea cui abbiamo già fatto riferimento, con particolare riguardo alle risoluzioni dell'Assemblea ge­nerale ONU94

La terza considerazione riguarda i requisiti affinché il comportamento degli Stati possa costituire elemento adeguato alla formazione di una consuetudine in­ternazionale, con riguardo al grado di conformità della prassi rispetto ai contenuti di una pretesa consuetudine o, comunque, alla opinio juris circa la sua esistenza od opportunità della sua esistenza (opinio necessitatis). Nel 1950, nella sentenza re­lativa all'asilo diplomatico tra Colombia e Perù, la Corte aveva attribuito impor­tanza essenziale al requisito dell'uniformità della prassi per poter rilevare l'esistenza di una consuetudine. Infatti, essa rigettò la pretesa colombiana - basata su una presunta consuetudine - di ottenere un salvacondotto dal Governo peruviano per fare espatriare un oppositore politico rifugiatosi nella Ambasciata di Colombia a Lima, adducendo la mancanza di uniformità nella pratica degli Stati in materia. Più precisamente, la Corte ha indicato l'esigenza che la prassi necessaria ai fini della rilevazione di una consuetudine sia costituita da «constant and uniform usa­ge»95.

In numerose sentenze successive la Corte ha attenuato la rigidità di questo o­rientamento circa un preteso requisito di uniformità della prassi. Particolarmente significativa è stata la pronuncia della stessa Corte ne11951 nella causa relativa alle peschiere norvegesi96

• Contro la pretesa del Governo britannico che contestava la liceità della legislazione norvegese che determinava l'area di mare entro cui attri­buire diritti esclusivi di pesca di pertinenza norvegese, la Corte sostenne la con­

94 Vedi supra, testo a nota 7. 9\ La Corte osservò che «[t]he facts brought to tbe knowledge of the Court disclose so much

uncertainty and contradiction, so much fluctuation and discrepancy in the exercise of diplomatic asylum and in official views expressed OH various occasions, there has been so much inconsistency in the rapid succession of conventions on asylum, ratified by some States and rejected by others, and the practice has been so much influenced by considerations of political expediency in the various cases, that it is not possible to discem in all this any constant and un iforrn usage, accepted as law, witb regard to the alleged rule of unilateral and definitive qualification of the offence» (I. C.J Reports, 1950, p. 277).

96 I. C.l. Reports, 1951, p. 116. Vedi l'interessante commento alla sentenza di GùLDING, Fish­eries Case (U.K. v. Norway), in Encyc!opedia 01Public Internationa! Law, val. II, 1995, pp. 381 ss.

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94 95 PARTE SECONDA

formità di tale legislazione al diritto consuetudinario97 . Nella rilevazione della

consuetudine circa la delimitazione dell'area di mare entro la quale affermare diritti esclusivi di pesca per lo Stato costiero, la Corte ha osservato che l'esistenza di elementi incerti o anche contraddittori di prassi, dovuti alla varietà delle circo­stanze di fatto esistenti nelle diverse fasi del periodo di riferimento, non impedisce la formazione di una regola conforme agli elementi prevalenti della prassi9

Nella sentenza Nicaragua c. Stati Uniti, al paragrafo 186 sopra citato, la Corte ha ribadito l'orientamento di flessibilità circa il requisito dell'uniformità della prassi. Ciò che più conta ai nostri fini è come essa si sia soffermata sul requisito della prassi in termini integrati rispetto al requisito della opiniojuris. In sostanza, la Corte ha sostenuto che l'impatto negativo del comportamento di uno Stato difforme rispetto a una consuetudine - esistente, o in corso di formazione - viene «neutra­lizzato» dalla manifestazione del convincimento giuridico, da parte di chi adotta il comportamento in questione, nel senso di ritenere di non violare la regola in parola, ma invocando una eccezione alla regola stessa.

Questa statuizione della Corte assume particolare importanza poiché, in ra­gione della larga varietà delle materie oggetto di consuetudini, oggi la formazione di una nuova consuetudine spesso coincide con il mutamento di una consuetudine precedente nella stessa materia. À questo proposito, nel brano citato la Corte ri­conosce che dalla violazione di una regola possa scaturire un indebolimento della stessa tale da potere condurre alla sua abrogazione o alla formazione di una nuova regola consuetudinaria nella stessa materia. Per questo la Corte ha ritenuto di do­vere indicare che un comportamento 'di fatto in violazione di una regola, ma ac­compagnatb dalla invocazione di una eccezione, costituisce una conferma della regola stessa piuttosto che un suo indebolimento. Sulla base della stessa logica, vi sono regole consuetudinarie importanti, oltre al divieto dell'uso della forza, che vengono largamente violate nel mondo contemporaneo - come il divieto della tortura o della schiavitù - senza che tali violazioni comportino l'abrogazione o la trasformazione delle regole stesse99

Si può concludere in termini riepilogativi su questo punto citando un brano particolarmente significativo del corso generale tenuto ali'Accademia di diritto internazionale dell'Aja dall'ex-Presidente della Corte internazionale di giustizia Rosalyn HIGGINS:

97 I.C.l. Reports, 1951, p. 138. 98 Ibidem. 99 Si vedano le consi~erazioni sviluppate con riguardo al rapporto tra prassi e opinio juris in

materia di divieto della tortura dalla United States Court 01Appealslor the Second Circuir nella causa Filarliga c. Pena-Irala (inlra, sez. 3.2.3).

FORMAZIONE E TRASfORMAZIONE DEL DlRlTIO INTERNAZIONALE

«The reason that the prohibition on torture continues to be a requirement of cus­tomary internationallaw, even though widely abused, is not because it has a higher normative status that allows us to ignore the abuse, but because opinio juris as to its normative status continues to exist. No state, not even a state that tortures, believes that the international law prohibition is undesirable and that it is not bound by the prohibition. A new nornl cannot emerge without both practice and opinio juris; and an existing norm does not die without the great majority ofstates engaging in both a contrary practice and withdrawing their opinio juris» 100.

3.2.2. In tema di «opinio juris»

Per tornare alla sentenza in esame, la Corte, dopo avere rilevato che ambedue le parti in lite riconoscevano il divieto dell 'uso della forza contenuto nell 'art. 2, par. 4, della Carta delle Nazioni Unite, si è indirizzata all'accertamento della natura consuetudinaria di tale divieto rivolgendosi alla rilevazione in termini generali della opinio juris\OI in materia:

«188. [...] This opinio juris may, though with due caution, be deduced from, in/er alia, the attitude of the Parties and the attitude of States towards certain Generai Assembly resolutions, and particularly resolution 2625 (XXV) entitied "Declara­tion on Principles on Intemational Law concerning Friendly Relations and Co-operation among States in accordance with the Charter ofthe United Nations". The effect ofconsent to the text of such resolutions cannot be understood as merely that of a "reiteration or elucidation" of the treaty commitment undertaken in the Charter. On the contrary, it may be understood as an acceptance ofthe validity of the rule or set of rules declared by the resolution by thernselves. [...] 189. As regards the United States in particular, the weight of an expression of opinio juris can similarly be attached to its support of the resolution of the Sixth International Conference ofAmerican States condenming aggression (18 February 1928) and ratification of the Montevideo Convention on the Rights and Duties of States (26 December 1933) [... ]. Aiso significant is the United States acceptance of the principle of the prohibition of the use of force which is contained in the de­claration on principies goveming the mutuai relations ofStates participating in the Conference on Security and Co-operation in Europe (Helsinki, I August 1975), whereby the participating States undertake to refrain in their mutuai relations, as well as in their intemational relations in general (emphasis added) from the threat or use of force. Acceptance of a text in these terms confurns the existence of an

100 Problems, cit., p. 22. 101 Si veda la recente e problernatica analisi sul tema da parte di MAY, Custom, Opinioluris and

Consenl, in MAY, BROWN (eds.), Philosophy olLaw: Classic and Contemporary Readings, pp. 54 5S., Chirchester,2010.

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opinio juris of the participating States prohibiting the use of force in intemational relations. 190. A further confinnation of the validity as customary intemational law of the principle of the prohibition of the use offorce expressed in Artiele 2, paragraph 4 of the Charter of the United Nations may be found in the fact that it is frequently referred to in statements by State representatives as being not only a principle of customary intemational law but also a fundamental or cardinal principle of such law. The Intemational Law Commission, in the course of its work on the codifi­cation of the law of treaties, expressed the view that the law of the Charter con­ceming thé prohibition of the use of force in itself constitutes a conspicuous example of a rule in internationallaw having the character ofjus cogens».

La Corte continua il proprio ragionamento nei seguenti termini:

«191. As regards certain particular aspects of the principle in question, [... ] the Court can again draw on the fonnulations contained in the Deelaration on Prin­ciples on Intemational Law conceming Friendly Relations and Co-operation among States in accordance with the Charter of the United Nations (Generai As­sembly resolution 2625 (XXV) referred to above). As already observed, the adop­tion by States of this text affords an indication of their opinio juris as to customary intemationallaw on the questiono Alongside certain descriptions which may refer to aggression, this text includes others which refer only to less grave forms of the use of force. In particular, according to this resolution: 'l··] Every State has the duty to refrain from organizing or encouraging the organization of inegular forces or anned bands, including mercenaries, for incursion into the tenitory of another State. • Every state has the duty to refrain from organizing, instigating, assisting or parti­cipating in acts of civil strife' or tellorist acts in another State or acquiescing in organized activities within its territory directed towards the commission of such acts, when the acts referred to in the present paragraph involve a threat or use of force" , [...] 193. The generai rule prohibiting force allows for certain exceptions. [... ] First, with regard to the existence of [the right of self-defense], it notes that in the lan­guage of the United Nations Charter, the inherent right (or "droit naturel") which any State possesses in the event of an. anned attack, covers both collective and in­dividuai self-defense. Thus, the Charter itself testifies to the existence of the right of collective self-defense in customary international law. Moreover, just as the wording of certain Generai Assembly declarations adopted by States demonstrates ' their recognition ofthe principle ofthe prohibition offorce as definitely a matter of customary intemational law, some of the wording in those deelarations operates similarly in respect of the right of self-defense (both collective and individuai). Thus, in the declaration quoted above on the Principles on International Law

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conceming Friendly Relations and Co-operation among States in accordance with the Charter of the United Nations, the reference to the prohibition of force is fol­lowed by a paragraph stating that: "nothing in the foregoing paragraphs shall be construed as enlarging or diminis­hing in any way the scope of the provisions of the Charter concerning cases in which the use offorce is lawful". This resolution demonstrates that the States represented in the Generai Assembly regard the exception to the prohibition of force constituted by the right of indivi­duai or collective self-defence as already a matter of customary internationallaw».

La prima considerazione generale che suscitano i paragrafi 188 e 189 riguarda la rilevanza che la Corte attribuisce a strumenti internazionali in sé giuridicamente non vincolanti, con ~articolare riguardo alle risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. E stato fatto sopra riferimento a tali atti per illustrare come essi non possano essere considerati come veri e propri atti di «legislazione internazio­nale». È stato altresì indicato come tali atti, particolarmente in una prospettiva cumulativa, possano costituire elementi evidenziatori di una consuetudine esistente o strumentali alla formazione di una nuova consuetudine, come espressione della opinio juris degli Stati che hanno concorso alla loro adozione. I brani sopra citati costituiscono autorevole conferma di tali indicazioni aggiungendo alle risoluzioni dell'Assemblea generale GNU altri tipi di atti non vincolanti, come la risoluzione di condanna dell 'aggressione adottata dalla Sesta Conferenza degli Stati Americani del 1928, o l'Atto Finale della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Eu­ropa di Helsinki del 1975 102

.

Tale logica giuridica è stata successivamente ribadita dalla Corte a più riprese. In particolare, dieci anni più tardi, nel parere consultivo del 1996 sulla legalità della minaccia o dell 'uso di armi nucleari, essa si è soffermata sulla rilevanza di una serie di risoluzioni adottate a partire dal 1961 in senso contrario alla legalità delle armi nucleari, enunciando quanto segue:

«Generai Assembly resolutions, even if they are not binding, may sometimes have nonnative value. They can, in certain circumstances, provide evidence important for establishing the existence of a rule or the emergence of an opinio juris. To es­tablish whether this is true of a given Generai Assembly resolution, it is necessary to look at its content and the conditions of its adoption; it is also necessary to see whether an opinio juris exists as to its normative character. Or a series of resolu­

102 COCCIA, Helsinki Conference and Final Act on Security and Cooperation in Europe, in En­cyclopedia ofPublic International Law, voI. II, 1995, pp. 693 sS.

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tions may show the graduai evolution of the opinio juris required for the esta­blishment ofa new rule»103.

Così come l'opinio juris costituisce un elemento necessario, ma non suffi­ciente, della consuetudine, una o più risoluzioni dell'Assemblea generale, anche se espressione del convincimento giuridico della generalità dei membri dell'GNU e quindi della Comunità Internazionale, possono essere evidenziatrici di una con­suetudine internazionale - o strumentali alla sua fonnazione - solo quando ac­compagnate da una prassi internazionale a esse confonne. Nel parere consultivo da ultimo citato, infatti, la Corte dell'Aja si è pronunciata nel senso dell'inesistenza di un autonomo divieto consuetudinario della minaccia o uso delle armi nucleari, so­stenendo, tra l'altro, che i voti negativi con i quali erano state adottate le risoluzioni in questione pregiudicavano il loro valore dimostrativo di una opinio juris genera­lizzata a favore del divieto lO4

• È significativo che la Corte sia giunta alla conclu­sione dell'inesistenza della consuetudine in questione sulla base della contraddi­zione tra la pretesa opinio juris circa il divieto della minaccia o uso delle armi nu­cleari, da un lato, e la pratica degli'Stati basata sulla deterrenza nucleare esercitata durante la Guerra Fredda, consistente nella sistematica minaccia nucleare, dall' altro105.

La seconda considerazione generale che si può fonnulare sulla base dei brani citati della sentenza Nicaragua c. Stati Uniti è che gli strumenti non vincolanti, oltre a poter indicare l'opinio juris degli Stati circa l'essere o non essere di una detenninata consuetudine, possono costituire tennine di riferimento per l'accertamçnto del contenuto specifido di tale consuetudine. Particolare rilevanza assume il ricorso al testo della Dichiarazione sui principi del diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli :'e la cooperazione tra gli Stati, annessa alla risoluzione 2625 (XXV) dell'Assemblea generale, per detenninare - nell'ambito del divieto dell'uso della forza - il divieto di fonne meno gravi dell'atto di ag­gressione o dell'attacco armato. È questo il caso del divieto consuetudinario di organizzare o di incoraggiare l'organizzazione di forze irregolari o di bande armate al fine di svolgere incursioni in territorio estero insieme al divieto di partecipare direttamente o indirettamente ad atti di guerra civile o di terrorismo in uno Stato estero (par. 191). Riferendosi alla medesima risoluzione dell'Assemblea generale in combinato disposto con l'art. 51 della Carta, la Corte è giunta a detenninare la natura consuetudinaria della legittima difesa individuale e collettiva (par. 193),

103 Advisory Opinion on the Legality ofthe Threat or Use ofNuclear Weapons, in Le.J. Reports, 1996, p. 826.

104 Ibidem. 105 Ibidem, p. 830.

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salvo negare alla luce dei fatti controversi il diritto di legittima difesa collettiva da parte degli USA a favore di El Salvador e Honduras.

La terza considerazione riguarda la rilevanza di altre «statuizioni autorevoli» (authorìtative statements) - oltre alle risoluzioni delle organizzazioni o conferenze intergovernative - per la ricostruzione di una nonna consuetudinaria. In partico­lare, la Corte si è riferita a un brano della CDI nel quale veniva indicato che il di­vieto dell'uso della forza ha valore di diritto imperativo (jus cogens), nel senso che tale regola consuetudinaria è inderogabile, per cui ogni trattato con essa incompa­tibile sarebbe nullo (par. 190). Come vedremo più avanti, si riconosce tale status c.d. cogente o imperativo a regole di importanza fondamentale per la Comunità Internazionale nel suo insieme, quali, appunto, il divieto dell'uso della forza, del genocidio, della schiavitù, della tortura, o il diritto all'autodeterminazione dei popoli.

La Corte si era già rivolta in precedenza ai lavori preparatori della CDI. Ciò era stato detenninante nella sentenza del 1969 sulla delimitazione della piattaforma continentale del Mare del Nord, sopra citata lO6

. In tale circostanza la Corte negò carattere consuetudinario alla regola secondo cui la delimitazione della piattaforma tra Stati contigui debba essere effettuata seguendo le linee di equidistanza, nei tennini di cui all'art. 6 della Convenzione di Ginevra sulla piattaforma continen­tale del 1958. Essa giunse a tale conclusione proprio rilevando come la disposi­zione convenzionale in parola fosse stata elaborata dalla CDI «with considerable hesitation, somewhat on an experimental basis, at most de lege ferenda, and not at all de lege lata or as an emerging mie of customary internationallaw» 107.

Altrettanto determinanti e molteplici sono stati i riferimenti ai lavori della CDI nella sentenza del 1997 relativa alla causa tra Ungheria e Siovacchia circa il Pro­getto Gabcikovo-Nagymaros relativo alla costruzione di un sistema di chiuse sul Danubio

108 al fine di accertare una serie di consuetudini applicabili alla contro­

versia. Quest'ultima era stata iniziata dall'Ungheria che aveva unilateralmente sospeso l'esecuzione di un Trattato del 1977 con la Cecoslovacchia per la costru­zione e gestione congiunta di un sistema di chiuse in questione, per poi denunciarlo, adducendo che la realizzazione del progetto avrebbe causato un grave danno all 'ambiente fluviale.

In primo luogo, la Corte ha affrontato, rigettandolo, l'argomento avanzato dall'Ungheria secondo cui essa sarebbe stata legittimata a sospendere nel 1989 l'esecuzione dei lavori in base al principio consuetudinario dello stato di necessità.

106 Parr. 57 55., supra, 5ez. 2.3.1. 107 Le] Reports, 1969, par. 62. 108 Ibidem, 1997.

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Al fine di determinare il contenuto di tale principio la Corte si è rivolta all'art. 33 e al relativo commento della CDI dell'allora progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati adottato dalla Commissione in prima lettura dopo lunghi

. d' l' ·109anlll 1 avon preparaton . In secondo luogo, la Corte ha determinato che l'illiceità della deviazione u­

nilaterale del corso del Danubio - effettuata dalla Cecoslovacchia in risposta all'abbandono dei lavori da parte ungherese - non potesse essere giustificata come atto di contromisura poiché non erano stati rispettati i requisiti di liceità delle contromisure"previsti nel medesimo progetto della CDI 11o

In terzo luogo, la Corte ha ulteriormente fatto ricorso alle enunciazioni della CDI per giungere alla conclusione che il Trattato del 1977 fosse ancora in vigore nel 1997. Contro la tesi ungherese secondo cui il Trattato controverso avrebbe cessato di esistere nel 1992 poiché quell'anno la Cecoslovacchia era venuta meno per smembramento, la Corte ha sostenuto che la Repubblica di Slovacchia era da considerare come Stato successore della Cecoslovacchia rispetto al Trattato. Per giungere a tale conclusione la Corte ha applicato l'art. 12 della Convenzione ONU del 1978 sulla successione degli Stati rispetto ai trattati, secondo cui «[a] succes­sion of States does not as such affect: a) obligations relating to the use of any ter­ritory, or to restrictions upon .its use, established by a treaty [...]». Poiché l'Ungheria non aveva ratificato la Convenzione del 1978, la Corte, per potere ap­plicare la disposizione convenzionale in parola alla controversia, ha dovuto de­terminarne il carattere consuetudinario. A tal fine, essa si è rivolta al commento della CDI all'art. 12 quando questo tra ancora in fase preparatoria. La Corte ha evidenziato come la CDI avesse indicato che i trattati concernenti diritti sull'acqua e la navigazione fluviale rientr<jJ1o nella categoria dei trattati di carattere territoriale aggiungendo che - sulla base della ddtlrina tradizionale e della «modero opinion» ­

109 Ibidem, parr. 49 ss. Tale disposizione recitava quanto segue: «\. A state ofnecessity may not be invoked by a State as a ground for precluding the wrongfulness of an act of that State not in con­fonnity with an intemational obligation of the State unless: (a) the act was the only means of safe­guarding an essential interest ofthe State against a grave and imminent perii; and (b) the act did not seriously impair an essential interest ofthe State towards which the obligation existed. 2. In any case, a state ofnecessity may not be invoked by a State as a ground for precluding wrongfulness: (a) ifthe intemational obligation with which the act ofthe State is not in confonnity arises out of a peremptory nonn of generai intemationallaw; or (b) ifthe intemational obligation with which the act ofthe State is not in conformity is laid down by a treaty which, explicitly or implicitly, excludes the possibility of invoking the state of necessity with respect to that obligation; or (c) if the State in question has con­tributed to the occurrence ofthe state ofnecessity» (Yearbook ofthe International Law Commission, I980-II, p. 34). Cfr. Parte III, sez. 4.3.

110 Ibidem, parr. 82 ss. Cfr. Parte IV, sez. 2.3.

FORMAZIONE E TRASFORMAZIONE DEL DIRlTTO INTERNAZIONALE

i trattati appartenenti a tale categoria debbano essere considerati non alterabili in caso di successione tra Stati parti.

Con riferimento alle disposizioni e ai commenti della CDI, il rapporto tra opi­nio juris degli Stati e «statuizione autorevole» è più rarefatto rispetto agli atti a­dottati da organi a composizione intergovemativa, quali le risoluzioni dell' Assemblea generale ONU o di una conferenza diplomatica. Infatti, la CDI è composta di giuristi che vi siedono a titolo individuale, anche se eletti dagli Stati in Assemblea generale lll

. Si potrebbe sostenere che la CDI sia portatrice della opinio juris delle diverse civiltà giuridiche in essa rappresentate, assimilando i suoi lavori al ruolo attribuito dall'art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia alla dottrina come elemento sussidiario nella determinazione delle regole giuri­dichell2

. Con questo si può riconoscere agli studi e ai progetti di articoli della CDI un ruolo più «autorevole» rispetto al lavoro di qualsiasi singolo giurista. C'è poi da aggiungere che gli studi e i progetti di disposizioni della CDI cui la Corte fa rife­rimento appartengono di regola a una fase avanzata dei suoi lavori, dopo essere passati annualmente al vaglio dei delegati governativi nella Sesta Commissione dell' Assemblea generale ONU113. Recependone per quanto possibile le indicazioni, i testi della CDI possono essere considerati in una certa misura il risultato di una sintesi delle diverse opinio juris governative espresse dalle diverse delegazioni in Sesta Commissione dell'Assemblea g:enerale.