Lezione di theo peeters

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il prof. Peeters racconta un aneddoto. C’era un ragazzo che aveva una disabilità mentale, ma senza autismo. Questo ragazzo doveva teoricamente fare ancora tre anni presso la scuola, ma il professore disse al padre che il figlio aveva raggiunto il massimo delle sue possibilità. Il genitore triste e preoccupato si chiedeva allora cosa potesse fare suo figlio, senza prospettive di miglioramento, per i prossimi tre anni”. Giunto all’Opleindimgscentrum di Anversa per una valutazione, il ragazzo, in effetti, non era in grado di svolgere dei compiti semplici pianificando spontaneamente più di 1-2 tappe consecutive. Dopo aver introdotto dei supporti visivi, scomponendo in passi comportamentali le varie tappe di un’attività complessa, il ragazzo, testimonia Peeters riusciva a svolgere l’attività concatenando da 3 fino anche 6 tappe. Quindi, cambiando metodo abbiamo anche aumentato il livello delle autonomie”. Riferendosi al tema dei “metodi” per l’autismo, Theo Peeters riflette sull’abuso di termini e di terapie che ruotano attorno a questo disturbo. “Si utilizza spesso la parola terapia che, tuttavia, è un termine di tipo medico. Ma l’autismo non è un problema medico, non è una malattia ma è un deficit dello sviluppo. La persona con autismo presenta un altro modo di trattare l’informazione e, attualmente, il solo trattamento efficace è un trattamento di tipo educativo”. A questo proposito il prof. Peeters, in riferimento ad alcuni atelier visti, sottolinea alcuni rischi nel non prendere in considerazione le peculiarità tipiche del disturbo con il rischio di “modellare” la persona ad immagine della terapia. “Durante gli atelier ho notato degli strumenti per la musicoterapia, ma come altre terapie il problema è che molte persone adattino la persona autistica con ciò che conoscono della musicoterapia. Bisognerebbe fare il contrario. Prima di tutto bisognerebbe conoscere l’autismo nel miglior modo possibile ed eventualmente, solo in un secondo tempo e se necessario, portare la persona autistica alla conoscenza della musica”. Il rischio, riassumendo quanto detto da Peeters, è quello di credere di aver capito qualcosa di autismo, grazie all’utilizzo di un mezzo,

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il prof. Peeters racconta un aneddoto.“C’era un ragazzo che aveva una disabilitàmentale, ma senza autismo. Questo ragazzodoveva teoricamente fare ancora tre annipresso la scuola, ma il professore disse alpadre che il figlio aveva raggiunto il massimodelle sue possibilità. Il genitore triste epreoccupato si chiedeva allora cosa potessefare suo figlio, senza prospettive di miglioramento,per i prossimi tre anni”. Giuntoall’Opleindimgscentrum di Anversa peruna valutazione, il ragazzo, in effetti, nonera in grado di svolgere dei compiti semplicipianificando spontaneamente più di 1-2tappe consecutive. Dopo aver introdotto deisupporti visivi, scomponendo in passi comportamentalile varie tappe di un’attivitàcomplessa, il ragazzo, testimonia Peeters“riusciva a svolgere l’attività concatenandoda 3 fino anche 6 tappe. Quindi, cambiandometodo abbiamo anche aumentatoil livello delle autonomie”. Riferendosi altema dei “metodi” per l’autismo, Theo Peetersriflette sull’abuso di termini e di terapieche ruotano attorno a questo disturbo. “Siutilizza spesso la parola terapia che, tuttavia,è un termine di tipo medico. Ma l’autismonon è un problema medico, non è unamalattia ma è un deficit dello sviluppo. Lapersona con autismo presenta un altro mododi trattare l’informazione e, attualmente,il solo trattamento efficace è un trattamentodi tipo educativo”.A questo proposito il prof. Peeters, in riferimentoad alcuni atelier visti, sottolinea alcunirischi nel non prendere in considerazionele peculiarità tipiche del disturbo conil rischio di “modellare” la persona ad immaginedella terapia. “Durante gli atelierho notato degli strumenti per la musicoterapia,ma come altre terapie il problema èche molte persone adattino la persona autisticacon ciò che conoscono della musicoterapia.Bisognerebbe fare il contrario. Primadi tutto bisognerebbe conoscere l’autismonel miglior modo possibile edeventualmente, solo in un secondo tempo ese necessario, portare la persona autisticaalla conoscenza della musica”. Il rischio,riassumendo quanto detto da Peeters, èquello di credere di aver capito qualcosa diautismo, grazie all’utilizzo di un mezzo,piuttosto che grazie alla conoscenza dell’individuo.Peeters invita dunque i terapisti aporgersi le seguenti domande riguardo aimezzi che stanno utilizzando: “Perché losto facendo? Cosa voglio ottenere? Comeosservo i miglioramenti? È solamente rispondendoa queste domande che si possonosviluppare delle competenze individualizzate”.Il relatore sottolinea che,

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proponendo unicamente una qualsivoglia“terapia”, senza la necessaria conoscenzadell’individuo, si rischia di introdurre unasemplice ricetta terapeutica, che nulla ha ache fare con i reali bisogni dell’individuo equindi, in conclusione “ancora una volta, viinvito all’umiltà”.Un altro tema trattato da Theo Peeters, direttamentelegato agli aspetti comunicativi,è quello dei comportamenti problematici.“È necessario mettere l’accento sul significatodei comportamenti delle persone conautismo. La nostra filosofia è quella di capiredall’interno, come una persona autisticatratta l’informazione, come percepisce ilmondo, e quindi individuare dove e qualisono gli ostacoli da superare. Così facendosi riesce a mettere l’accento sulla prevenzionedi un certo genere di problemi”.Theo Peeters, a conclusione della riflessionesulla comprensione di comportamentiproblematici, pone il quesito su chi in realtàfa lo sforzo di adattamento “Noi o loro?”.12do che “nell’apprendimento bisogna metterel’accento su più dimensioni della comunicazione:1) la capacità di saper osservarela comunicazione 2) elaborare obiettivirealistici relativi alla comunicazione, 3)chiedersi in che direzione si sta andando”.A questo proposito, tramite il supporto dialcune slides, il Prof. Peeters introduce inmodo più tecnico le varie dimensioni dellacomunicazione spiegando cosa sono:1. le forme comunicative2. le funzioni comunicative3. il contestoIn particolare sottolinea come le funzionicomunicative siano “la dimensione forsepiù importate che spesso ci si dimentica. Infatti,molte persone autistiche”, spiega Peeters,“possiedono le parole ma non capisconoil senso e l’intenzione comunicativa”.Non considerare questi elementi della comunicazionepotrebbe facilmente ingannaresulle reali capacità comunicative dellapersona, in particolare, aggiunge Peeters.“Sta a noi di sviluppare dei programmi attivinella comunicazione. Per un bambino èmeglio avere un vocabolario di 5 o 10 parole,che può utilizzare per più funzioni comunicative,con più persone e in diversi contesti,piuttosto che apprendere 100 parolesenza poter comunicare perché quelle parolenon hanno alcuna funzione comunicativa”.Peeters supporta questa riflessioneaccennando brevemente anche alla dimensionesemantica della comunicazione,quindi la capacità di capire anche le sfumaturedella comunicazione, e conclude suggerendoche “ogni persona disabile dovrebbe

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avere il suo proprio sistema di comunicazioneindividualizzato. Questo dovrebbe essereun diritto universale che non vale solo perle persone autistiche, ma anche per le per-Questa sua riflessione viene supportata conun aneddoto. “Nella mitologia greca classicaProcuste è il soprannome di un brigantegreco che aggrediva i viandanti che venivanostirati a forza, se troppo corti, o amputatiqualora sporgessero dal letto”. In rapportoall’autismo conclude affermando che“Spesso quello che succede è che si cerca diadattare l’individuo al metodo. Il problemadi comportamento è in realtà solo ciò chevediamo, il sintomo. Bisogna quindi evitaredi fare un trattamento sintomatico per rispettodella persona autistica”. Peeters, ricordandoche quello che si vede è solo lapunta dell’iceberg, aggiunge: “la parte piùgrande, che è quella sommersa, determinain grande parte il comportamento nell’autismo.Sono le difficoltà di comprensione e dicomunicazione, oltre alle difficoltà nell’interazionesociale, che bisogna cercare dicapire. Non la cura del sintomo. Questoaspetto, oltre che funzionale, è anche qualcosadi etico”.Peeters sottolinea dunque come “molti problemidi comportamento sono legati a deiproblemi di comunicazione e che se qualcunobatte la testa contro il muro, per questapersona il comportamento (apparentementeproblematico per chi gli sta attorno), potrebbein realtà rivestire una funzione comunicativa”.Il relatore mette dunque l’accento sulle variedimensioni della comunicazione, sia ricettivache espressiva, sottolineando l’importanzache questa sia condivisa da tutti,indipendentemente dalla forma utilizzata.Inoltre si sofferma sull’importanza di sapercogliere le abilità di comunicazione spontaneaper chiedersi in quale direzione va undeterminato comportamento con funzionecomunicativa. A conclusione di questo discorsoPeeters riassume Per ogni individuobisogna dunque introdurre ed insegnarele forme più funzionali per il suo livello dicomprensione/espressione”.Per quanto riguarda le forme della comunicazione,Peeters accenna brevemente, oltrealla parola, a quelle più comuni come adesempio: comunicazione concreta tramiteoggetti, comunicazione pittografica tramiteimmagini, simboli e/o disegni. Per ognunodi questi supporti Theo Peeters illustra vantaggie svantaggi. “Nelle nostre ricerche abbiamoconstatato che certe forme di comunicazioneper le persone autistiche sonodifficilmente capite. Le forme difficili sonoquelle invisibili, temporali, fuggitive, astratte,

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mentre quelle facili sono visibili, spaziali,e concrete”.Senza troppo entrare nel dettaglio possiamoriassumere il concetto espresso da TheoPeeters, anche attraverso la testimonianzadi una persona con autismo ad alto funzionamento(autismo HF) ricordando che alcuneforme sono più concrete (ad esempio ipittogrammi) e quindi, essendo percettivo/visive, la comunicazione passa attraverso“il guardare”. I vantaggi immediati, percoloro che hanno difficoltà di comprensione,è che l’immagine resta e c’è più tempoper capire. Inoltre, essendo meno astrattadel linguaggio verbale, la comunicazionepittografica risulta spesso più funzionaleper quelle persone che hanno difficoltà dimemoria, difficoltà simboliche o difficoltànel cogliere messaggi troppo astratti. Inoltre,se il livello di comunicazione risultatroppo alto, la persona potrebbe svilupparecomportamenti problematici come funzionecomunicativa per esprimere qualcosa,non avendo accesso a forme più adatte alsuo livello. “Se le forme concrete sono lepiù funzionali all’altro estremo abbiamo illinguaggio parlato che è astratto, fuggitivoe invisibile”. Peeters sottolinea che se l’utilizzodel linguaggio verbale quale unicaforma è sbagliato e poco funzionale sottolineatuttavia che “vi sono diverse forme dicomunicazione tra i due opposti. Quandovedo che in un foyer per persone con autismovi sono per tutti gli stessi oggetti di comunicazionemi dico che anche questo nonva bene. Ognuno deve avere il proprio sistemadi comunicazione individualizzato”. Ilrelatore, a questo punto, fa anche un parallelismotra comunicazione e motivazione illustrandol’importanza di favorire il successocomunicativo e di permettere che lacomunicazione vada a buon fine, indipendentementedalla forma utilizzata. Adesempio, illustra Peeters, per molte personeè necessario sviluppare la funzione comunicativa“chiedere qualcosa” in modo funzionale.Questa funzione, spesso difficoltosaper le persone con autismo, in passato è stataspesso esclusa dalle priorità educativeche principalmente erano indirizzate all’acquisizionedi un certo numero di vocabolisenza tuttavia insegnare alla persona conautismo la funzione che dovrebbe accompagnarel’utilizzo di vocaboli per una comunicazionefunzionale e pragmatica (perchi potrà accedervi ma, ricordiamo che nontutte le persone con autismo sono in gradodi acquisire la forma verbale). Come testimoniail relatore “Per concludere, direi chenel passato, quando si sviluppavano deiprogrammi sulla comunicazione, si metteva

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troppo l’accento sulla comunicazione verbalee sull’acquisizione della forma verbale”.Peeters, a questo proposito ricorda che“tuttavia non si teneva conto della specificitànella comunicazione dell’autismo (…)Anche le persone con disabilità mentale sonopiù facilmente aiutate con degli oggetti/pittogrammi che non con forme piùastratte. Ad un certo punto” si interroga ilrelatore “bisogna domandarsi cosa vogliamoper queste persone. Che possano condurreuna vita il più felice possibile, adattataai loro bisogni e potenzialità, oppure chesi adattino ai nostri bisogni?”Theo Peeters conclude soffermandosi sulledifficoltà nel comunicare e comprendere leemozioni e suggerendo quanto oggi è ritenutopiù funzionale nell’apprendimento diabilità comunicative per persone con autismo.“Quello che si sa oggi, è che bisognamettere l’accento sulla comunicazione facile,e non comunicare unicamente tramite laforma verbale. Fare questo in modo individualizzatonon è facile, ma il mio scopo èquello di suggerirvi delle idee, anche se nonè detto che possano funzionare immediatamente”.In definitiva, a conclusione dellarelazione di Theo Peeters, emerge comel’integrare differenti forme comunicative,partendo dalle peculiarità del singolo individuo,sia il modo più funzionale di far acquisireabilità comunicative, sia espressiveche ricettive. Inoltre, altro aspetto cheemerge dalla relazione di Theo Peeters èche l’utilizzo di forme comunicative aumentativenon frena lo sviluppo della formaverbale, per chi potenzialmente potrebbeaccedervi, ma la favorisce a determinatecondizioni. Una delle quali è incentrarel’apprendimento non solo sull’acquisizionedi forme ma anche di funzioni comunicative,tenendo conto del contesto.A cura di Gionata Bernasconi eValerio Vescov