LEZIONE 5 Dalle Norme ai Moods. La dimensione non cognitiva della percezione di input cognitivi

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Covisco 2013 - 5 – La dimensione non cognitiva 1 LEZIONE 5 Dalle Norme ai Moods. La dimensione non cognitiva della percezione di input cognitivi CoViScO 2014/2015 Giuseppe A. Micheli

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CoViScO 2014/2015 Giuseppe A. Micheli. LEZIONE 5 Dalle Norme ai Moods. La dimensione non cognitiva della percezione di input cognitivi. [1] Se la modernità è effetto di slittamento nella mappa dei ‘value models’, come prende forma il loro cambiamento?. QUESTIONE NUMERO 1. - PowerPoint PPT Presentation

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Covisco 2013 - 5 – La dimensione non cognitiva

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LEZIONE 5

Dalle Norme ai Moods.La dimensione non cognitiva

della percezione di input cognitivi

CoViScO 2014/2015Giuseppe A. Micheli

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QUESTIONE NUMERO 1

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[1]

Se la modernità è effetto di slittamento nella mappa dei

‘value models’, come prende forma il loro

cambiamento?

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Come prende forma un cambiamento nei value models?

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“Le scelte di un individuo, incluse quelle economiche, sono in larga parte o quasi tutte basate su considerazioni normativo-affettive (N/A) non solo nella selezio-ne degli obiettivi, ma anche dei mezzi. Le zone limitate in cui dominano consi-derazioni logico-empiriche sono esse stesse definite da fattori normativo-affettivi che legittimano e motivano tali processi decisionali” (Etzioni, 1988).

C’è coerenza tra l’ipotesi di ‘disembedment’ e questa affer-mazione di Etzioni? Sì. Le scelte cambiano o perché escono dall’area tabu ed entrano in un’area di neutralità affet-tiva, o perché al contrario entrano in nuove aree influenzate da fattori N/A.

Etzioni dice la stessa cosa, sostenendo che i fattori N/A influenzano le scelte per tre vie: infusione, esclusione, recinzione. Approfon-diamo questi tre meccanismi.

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Infusione, loading, intrusione

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Una prima via d’influenza dei fattori N/A sulle scelte è definita da Etzioni “infusione”: con essa considerazioni ‘razionali’ sono messe in secondo piano rispetto a fattori N/A. Essa assume due forme.

Loading: I fattori N/A carica-no o ‘colorano’ i fatti, le loro interpretazioni e le inferenze che ne sono tratte con ele-menti non logico-empirici.

Intrusione: I fattori N/A ostacolano la formulazione ordinata di considerazioni ‘razionali’, per es. abbreviandole con salti di ragionamento o pervenendo a conclu-sioni non logicamente conseguenti.

Il matrimonio è una scelta segnata da un Sacramento,

perciò richiede una cerimonia religiosa

Abbiamo sempre pensato che era meglio aspettare a avere un figlio dopo avere trovato un lavoro stabile. Ma quando i nostri amici ne hanno avuto noi ce ne siamo

innamorati e abbiamo cambiato idea istantaneamente..

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Esclusione (e recinzione)

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Opzioni escluse non sono neppure prese in considerazione dagli attori: la loro ado-zione o presa in considerazione è deliberata-mente bloccata, tabu. Gli attori perce-piscono che esiste un solo binario per l’azione, anche se l’osservatore ne vede altri.

Un tipico teenager americano non ci pensa su due volte a scegliere tra una Coca con hamburger e una Perrier con lumache.

Scelte relative al college e alla carriera lavorativa sono prese in conformità alle tradizioni di famiglia.

Area inertiale

Norme&Tradizioni

Si ha esclusione quando, per fu-sione normativa di un certo mezzo con un certo fine, considerazioni

‘razionali’ sono trattate come moralmente o emozionalmente

improponibili o irrilevanti.

Inclusione o recinzione (fencing) è l’altra faccia dell’esclusione.

Fattori N/A definiscono le “zone di legittima indifferenza” in cui è legittimo prendere decisioni su

basi ‘razionali’.

L’enclosure non è che l’altra faccia dell’esclusione. Fattori norma-

tivo-affettivi delimitano ”zone di indifferenza legittimata” come le

sole appropriate per prendere decisioni su basi ‘razionali’.

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“Matters of indifferency”

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Slittamenti nel ‘dominio della ragione’ non sono esclusivi del nostro tempo. Lo stesso movimento di secolarizzazione è un processo di lungo corso di inclusione di issues teologici entro zone di indifferenza legittimata.

Appartenente alla cerchia oxo-niense dei ‘latitudinaristi’, Locke nel saggio sulla tolleranza del 1667 distingue ciò che è compe-tenza della speculazione e del dogma divino da “tutte le opinio-ni e le azioni pratiche in matters of indifferency..”.

“tutti quei principi e opinioni pratiche per i quali gli individui sono obbligati a aggiustare le proprie azioni l’un l’altro, per esempio per allevare i propri figli, o amministrare i propri beni, o stabilire se poligamia o divorzio sono legittimi o meno. Queste opinioni, e le azioni che ne conseguono, sono indifferenti ad altri principi, e hanno diritto alla tolleranza..”

Le idee di Locke riecheggiano nella teoria alta e bassa dei processi storici nel ‘900:Per Weber (1922) il proces-so di razionalizzazione del-l’azione sostituisce alla ac-cettazione acritica delle tradizioni un adattamento vigile alle situazioni in funzione dell’interesse individuale”.

Nella terza precondizione di Coale (1973) alla Transi-zione Demografica, il birth control rientra nel domi-nio delle scelte consapevoli tramite la disponibilità di tecniche contraccettive. Le scelte procreative slitta-no dall’area della regolazione normativa a quella della neutralità affettiva, dove esse sono valutate in base ai parametri di costi e di benefici. La transizione di Coale è emergenza di un’area “emozionalmente neutrale”.

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QUESTIONE NUMERO 2

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[2]

Che ruolo gioca, nella formazione di scelte

transizionali, l’aumento di scenari di “incertezza

forte” o totale?

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Un approccio al decision-making del tutto dipendente dall’informazione

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La quasi totalità dei modelli di decision-making sono totalmente informa-tion-dependent, basat su meccanismi esclusivamente cognitivi: “Il comportamento è determinato da intenzioni. Le intenzioni sono interpretate come at-teggiamenti nei confronti del comportamento in questione e delle connesse norme sogget-tive. Atteggiamenti e norme sono formulati in termini di convinzioni (beliefs) sulle conse-guenze di quell’azione e sulle attese in proposito dei referenti privilegiati. Tirando le som-me, dunque, un comportamento di un individuo è spiegato in funzione delle sue opinioni. E dato che le convinzioni delle persone si sostanziano nelle informazioni (corrette o no) a loro disposizione su se e sul mondo che li circonda, ne segue che i loro comporta-menti sono alla fine completamente determinati da queste informazioni” (Ajzen, ‘88)

Cardine di questi modelli è la categoria di atteggiamento. La filosofia di sondaggi d’opinione ci ha abituati a disegnare così i processi decisionali: un miscuglio di background sociale, clima culturale e un sistema di valori influenza gli atteggiamenti dll’individuo, questo a loro volta anticipano le corrispondenti scelte.

Background socialeValue systemAtteggiamenti

ComportamentoIn base a questo schema, un atteggiamento è una mera costruzione teorica, ma certo non ‘teoricamente densa’ (theory-laden), operata tramite i modelli sociopsicologici. Insomma, un concetto socialmente utile ma privo di statuto scientifico, che potrebbe anche essere sostituito da altri concetti (Doob, 1947) relativi alla teoria dell’apprendimento.

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Diffusione di una società del rischio

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Giddens, Beck, Castel hanno sottolineato come noi viviamo in una società che è sempre più consapevole del rischio.

Per Giddens la transi-zione in corso è preva-lentemente una que-stione tecnologica, che riguarda scennari (per es. il riscaldamento globale) sempre più complessi.

Per Beck la crescente consapevolezza del rischio è perfettamente coerente col paradigma della scelta razionale.

Robert Castel formula concetti analoghi.

“I rischi della civilizzazione oggi sfuggono alla percezione e si localizzano nella sfera delle formule fisiche e chimiche (..). Possiamo definire il rischio odierno come un modo sistematico di trattare gli hazards e le insicurezze indotte e introdotte dalla modernizzazione stessa” (Beck, 1992). “Una società basata su un sistema di garanzie accentua la propria complessità; nel momento in cui accresce il controllo sui rischi, essa ne crea di nuovi, e il moltiplicarsi di possibili alternative di vita porta come conseguenza una crescente ansietà” (Castel, 2003).

“Quanto più cerchiamo di colonizzare il futuro, tanto più esso ci riserva sorprese (..) Man mano che la natura viene invasa, ed anche azzerata dalla socializzazione uma-na, e la tradizione si dissolve, nuovi tipi di incalcolabilità vengono a galla”. (Giddens, 1994).

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Dall’incertezza debole a quella forte ‘knightiana’

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La teoria economica della decidibilità sottolinea come l’incertezza non sia un concetto univoco. In particolare, rispetto alle più note condizioni di conoscenza completa o di incertezza debole o semi-debole (o informazione forte o semi-debole) è oggetto oggi di attenzione la cosiddetta incertezza forte (o informazione debole) “knightiana” [Knight F.H., Uncertainty and Profit, Boston, Houghton Mifflin, 1921)]:

Le strategie economiche individuali influenzano le scelte di passaggio, interagendo coi sistemi di norme. Ma quali logiche regolano il processo decisionale in presenza di fratture socio-culturali, quando parti di un sistema di valori divergono tra loro o confliggono con una realtà in trasformazione? C’è un altro livello di logica che affiora quando rational choice e logiche normative si annullano reciprocamente?

Incertezza forte knightiana è la situazione in cui conosciamo solo parzialmente il vettore dei dati sperimentali [se non è conosciuto per nulla siamo in situazione di incertezza totale], ma soprattutto nulla conosciamo sul modello generatore dei dati stessi. In questo contesto l’individuo formulerà “probabilità soggettive”.

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Ambivalenza del concetto di percezione del rischio

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Le scienze sociali sono oggi allineate a un approccio riduttiva-mente cognitivista, in cui l’insicurezza si riduce alla incertezza statistica di fronte a rischi crescenti. Ma l’insicurezza e l’ansietà hanno un doppio processo formativo. La percezione del rischio può salire:

I due livelli di formazione sono ben distinti. La percezione del rischio può crescere sia per l’espandersi del rischio, sia per l’insinuarsi di una sorta di insicurezza intrinseca che a sua volta induce gli individui a leggere la propria situazione di incertezza alla luce di un accresciuto pessimismo. Una percezione del rischio che può sottendere bassa autostima, perdita di self-efficacy, o slittamento del locus of control.

Da una parte a causa di eventi esterni e visibili, per una crescita della incertezza oggettiva, anche prodotti dalla società stessa (spiegazione esogena)

Dall’altro sgorga dall’interno, come reazione a una minaccia persistente che accresce uno stato d’ansia senza oggetto preciso (spiegazione endogena)

“La sicurezza ontologica è per laverità una sensazione di sicu-

rezza (..). Ha a che fare conl’ “esserci nel mondo”. Ma si tratta di un fenomeno emo-zionale, più che cognitivo”

(Giddens, 1990).

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QUESTIONE NUMERO 3

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La percezione del rischio e della complessità dipende

solo dalla situazione o anche dal frame? Che ruolo

vi giocano gli ‘stati d’animo’ (e cosa sono)?

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Tre dimensioni della (in-)sicurezza

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Heckausen definisce queste strategie compensative ‘strategie di controllo secondario’. Baltes (1987) le definisce plasticità: “Nel dominio dell’intellectual functioning la plasticità è capacità di riserva di sviluppo, specifica per ogni diversa età. Nel dominio della personalità, la plasticità è resilienza al ‘developmental stress’ e a problemi di coping di fronte a eventi avversi nel corso di vita” (ma plasticità ≠ resilienza).Ma di quali meccanismi è a sua volta composta la plasticità? Almeno tre. Le due categorie più note sono quelle di self-esteem e self-efficacy: L’autostima esprime l’auto-valutazione sul valore di sé (moral restraint & self-con-trol in Malthus, Locke Smith).

La percezione di self-efficacy esprime la con-vinzione nelle proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre un dato risultato” (Bandura,1997). La dicotomia di Rotten (1966) “locus of control interno/esterno”

segnala la con-vinzione di Ego sulla relazione causa-effetto che intercorre tra una data azione e un risultato (internal control: Ego ritiene che i risultati siano determinati dalle sue stesse azioni; external control: il risultato è percepito come effetto di for-tuna, caso, destino o della complessità imprevedibile delle circostanze)

NB: Self esteem, self-efficacy e locus of control sono meccanismi del tutto distinti. L’uno non implica l’altro.

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Il modello di Planned Behavior

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La percezione del controllo sull’azione è un fattore assimilabile alla self-effi-cacy, autovalutazione di efficacia di un individuo nel perseguire l’obiettivo da lui prescelto. La percezione del controllo deve molto al concetto di locus of control di Rotten, la convinzione generica di un individuo di riuscire (o non riuscire) a tenere sotto controllo esito delle proprie azioni.

Valutazione soggettiva di utilità

delle conse-guenze

Percezione della valutazione che Altri dà del com-

portamento e peso dato al loro

parere

Scelta del comportamento

Intenzione

Valutazione dell’azione

Attesa soggettiva di conse-

guenze del comporta-

mento

Valutazione quadro norme

Valutazione del controllo

Grado per-cepito di

controllo su compor-tamento

Negli anni Ottanta Ajzen recepisce le categorie di rischio e incertezza, e costruisce un modello di decision-making che dipende dalla valutazione: a) dell’utilità attesa dell’azione; della valutazione degli altri; c) della propria capacità di perseguire l’obiettivo

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Moods. Stati d’animo decapitati dell’oggetto

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L’attenzione si sposta sugli stati d’animo. Non su atteggiamenti o emozioni. Quel che li rende utili, per leggere comportamenti di dilazione o rimozione, è che i moods (oltre ad essere di più lunga durata) sono aspecifici: non hanno un preciso oggetto/causa.

Possiamo cominciare a intuire che stati d’animo ‘di crisi’ possono restringere la capacità di resilienza

dell’individuo, inducendo pro-pensione a posporre (put off) o addirittura a rimuovere (cut off).

Uno sciatore che vede staccarsi una valanga prova un senso di paura, in cui sono presenti tutti e tre gli elementi basilari di un’emozione: un soggetto, uno stato della mente dotato di durata, un oggetto specifico di tale stato. Ma, una volta scampato, continuerà a lungo a provare un senso di disagio, anche se la causa di quella emozione originale non è più presente. Nella nuova struttura affettiva viene a mancare la terza condizione di esistenza (lo specifico oggetto a cui sia orientato lo stato della mente). Non più paura ma angoscia. Non è più un’emozione, ma un umore, stato d’animo, disposizione. Le emozioni, come gli atteggiamenti, hanno sempre un oggetto. I moods no, sono “fenomeni mentali non intenzionati” (Frijda, 1993).

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Distinguere emozioni & moods/1

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Supponiamo che una persona assista a un fenomeno catastrofico, come l’esplo-sione di una bomba o la caduta di una valanga, che minacci la sua stessa vita. Certo proverà un senso di paura o di terrore. In entrambi i casi sono presenti tutti e tre gli elementi basilari di un’emozione: un soggetto, uno stato della mente dotato di durata, un oggetto specifico di tale stato.

Supponiamo ora che l’esperienza di Ego sia stata così forte da restare impressa a lungo nella mente.. Ego continuerà a stare male anche se la causa di quell’emozione originale non è più presente. In questa struttura affettiva viene a mancare la terza condizione di esistenza (uno specifico oggetto a cui è orientato lo stato della mente). Il sentimento che Ego prova non è più di paura o terrore, ma di angoscia. Non è più un’emozione, ma un mood.

Jervis (1991) identifica un atteggiamento per la simu-tanea presenza di tre elementi:

Ma non tutti gli stati della mente possiedono tutti e tre gli elementi!!

Un soggetto

Un suo stato inten-zionale perdurante

Uno specifico obietti-vo del’intenzione

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Distinguere emozioni & moods/2

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Intensità

Mood

EmozioniTempo

Parkinson et al. (1996) stila una lista di differenze fondamentali tra moods, atteggiamenti e emozioni. La raggruppiamo in 5 classi:

Moods Emozioni Atteggiamenti

Livello di azione

Livello affettivo a debole intensità

Livello affettivo ad alta intensità

Livello cognitivo

Durata/model-lo

temporale

Relativamente a lungo termine,

continuo, insorgenza graduale

Relativamente a breve termine,

episodico, insorgenza rapida

Relativamente a lungo termine,

continuo, insorgenza graduale

Causazione Non causato da eventi specifici

Causato da eventi specifici

Cusato da eventi specifici

Individuazione di scopo

Non messo a fuoco Individua un oggetto specifico

Individua un oggetto specifico

Funzione di segnalazione

Dà informazioni sullo stato attuale del Self

Dà informazioni sullo stato della situazione

Dà informazioni sul Self e sulla situazione

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Un modello circomplesso di affetti

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PLEASANTNESSA

RO

USA

L

Aroused

Acquiescente

Infelice Felice

EccitatoAngosciato

AppagatoDepresso

Impaurito Stupito

Annoiato Contento

Seccato Rilassato

Scoraggiato Calmo

I moods sono costrutti sociali, ma la loro attrattività sta nel fatto che sono misurabili e verificabili. Una tradizione secolare di studi psicometrici ha posto le fondamenta della misurazione dei moods.

Russell e Mehrabian (1974) hanno formu-lato il modello PAD per mappare i moods, collocati in uno spazio a 3 dimensioni: ‘Pleasure-unpleasure’, ‘degree-of-Arousal’, ‘Dominance-submissiveness’ (cioè ‘controllo vs assenza di controllo).

Nel 1980 Russell abbandona il terzo asse e si concentra sui primi due, collocando i termini di stati affettivi in una rappre-sentazione a circomplesso.

Un circomplesso è una struttura bidimensionale circolare in cui gli items vicini sulla circonfe-renza sono correlati direttamente tra loro, quelli opposti sono correlati negativamente, mentre quelli a 90° sono incorrelati tra loro.

Da notare che i livelli intermedi di arousal sono vissuti come ‘affettivamente neutrali’ (à la Parsons). In questo senso il grado di arousal consente di distinguere emozioni da moods.

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QUESTIONE NUMERO 4

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Se non è effetto di elaborazioni cognitive e consapevoli, da cosa può

dipendere allora il formarsi di azioni disancorate dalle

intenzioni?

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Stati disposizionali di crisi

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La piuparte dei modelli basati su moods per spiegare i compor-tamenti hanno a che fare con stati mentali di crisi.

Eventi di crisi inducono stati d’animo di crisi, questi a loro volta incidono nel cam-biamento dei comportamenti pur senza una precisa relazione causa-effetto (mancando la terza proprietà di una struttura cognitiva, l’intenzionalità).

Lo studio dell’influenza degli stressori quotidiani è un sotto-prodotto degli inventari di ‘coefficienti di stress’ attribuiti ai diversi eventi significativi di vita (divorzi, lutti, multe, etc.).

Eventi stressori

MOODS

Azione in contingenze

critiche

La comunità scientifica ha anche elabora-to liste alla rovescia, liste cioè di strut-ture affettive che possono influire su azioni/nonazioni con connotazioni di crisi.

La comunità scientifica ha prodotto una gran massa di teorie e materiali narrativi concernenti stati mentali di crisi. Ecco perché moods e stati d’animo aiutano a risolvere alcuni complessi indovinelli sul comportamento umano.

Per Brown e Harris (1978) la depressione può essere una risposta comprensibile a eventi cri-tici della vita (come la perdita di una figura di attaccamento) ma nel suo sviluppo può produrre uno stato d’animo generalizzato e sfocato di hopelessness, privo di oggetto e scopo.

Molti moods come euforia o cattivo umore, melanconia o aggressività, apatia e insicurezza sono stati d’animo privi di qualunque struttura di cause e di fini.

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Effetti di una disposizione di crisi sull’azione

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Che effetti produce una stato disposizionale di crisi sull’azione (o non-azione) di un individuo?

La struttura portante di queste forme cognitivo-affettive è data da tre proprietà (l’ultima particolarmente importante per noi).

- I -

Perdita di ca-pacità di rea-gire, indiffe-renza agli sti-moli (akedìa) per reazione alla natura insostenibile degli stimoli stessi.

- II -

Incapacità di scegliere l’ordine di priorità e quindi prendere decisioni irreversibili. Un’orga-nizzazione “paratattica” del pro-cesso decisionale consiste nel mettere le alternative possibili tutte allo stesso livello, senza individuare interdipendenze e priorità (vedi filosofia del ‘tutto e subito’)

- III -

Perdita del nesso tra azione e obietti-vo. Le scelte ai passaggi cruciali di vita sono spesso decisioni “di non decidere”. Leiben-stein sottolineava che “scelte di fecondità sono in parte notevole determi-nate da ‘non-decision decisions’, scelte passive o inerziali. Ma la sua categoria fa riferimento principalmente a non-azioni. A noi serve qualcos’altro che includa sia non -azioni che azioni non-goal-oriented.

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Il doppio lucchetto per innescare il processo di scelta

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“Soltanto a se stessa l’intraprendenza economica può dare ad intendere di essere attuata principalmente sulla base di un’enunciazione delle sue prospettive, per quanto oneste e sincere queste siano. Essa non è basata su un calcolo preciso di vantaggi futuri, molto più di quanto lo sia una spedizione al Polo Sud” (Keynes, 1936)

Il processo di formazione delle scelte in condizioni di incertezza knightiana passa attraverso lo sblocco di due ordini di lucchetti. Quello della valutazione del massimo beneficio/minimo sforzo) in base ai parametri razionali è solo il secondo lucchetto.

Il primo lucchetto è l’attivazione di uno stato d’animo di disponibilità a mettersi in gioco, a lasciarsi andare a un rischio non calcolabile (come gli animal spirits keynesiani).

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Non serve accelerare se non si innesta la frizione

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“Come la volontà non sceglie da sola nessun contenuto deter-minato, così dalla pura conoscenza dei contenuti del mondo non deriva alcuna posizione del fine (..) Anche se afferriamo il calcolo dei mezzi con assoluta chiarezza, finché ci fermiamo ad esso restiamo esseri puramente teoretici, per nulla pratici. La volontà si limita ad accompagnare la nostre riflessioni come un pedale d’organo, o come la premessa generale di un campo, sulle cui particolarità contenutistiche non incide minimamente, nel quale però essa soltanto può introdurre vita e realtà” (Simmel, 1907).

Così azioni e intenzioni (o atteggiamenti), apparentemente parti di una unica sequenza decisionale, sono in realtà esito di trafile differenti:

Se il semaforo non s’accende, le azioni restano disancorate dalle in-tenzioni: una frizione staccata rende inutile pigiare l’acceleratore.

Le intenzioni plasmate da vincoli strettamente cognitivi e normativi.

Le azioni legate al semaforo verde rego-lato dagli stati d’animo sottostanti, che possono rendere le intenzioni ineffettuali.

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Caveat: rischi di circolarità ermeneutica

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Ma così facendo si corre il rischio di circolarità ermeneutica in cui incorre chi:

a) sommando tanti indizi individuali emette diagnosi per la società nel suo complesso, come quella (Oswald Spengler) del ‘tramonto dell’occidente’,

b) Avendo una diagnosi globale legge i comportamenti dei singoli come mecca-nico e massificato adeguamento allo spirito del tempo.

Il caso del singolo (o di tanti singoli) è fatto regola destoricizzata per tutti perdendo di vista il contesto storico o generazionale del cambiamento ‘epocale’.

Benasayag e Schmit (2004) sostengono che l’onda di richieste di aiuto che viene dai giovani “riflette l’angoscia di un’intera popolazione”. Non disagio individuale negli snodi esistenziali di passaggio ma crisi di civiltà, prevalere delle passioni ‘tristi’ (degenerazione del desiderio) sulla ragione.

Ma attenzione: spiegare condotte di crisi come effetto pervasivo dello spirito del tempo può essere generico e destoricizzante