Lezione 1 Adattamento/Addomesticamento/Agricoltura/Biodiversità

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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Adattamento 1 ADATTAMENTO (adaptation; Anpassung; accomodation, adaptation; adaptación). –SOMMARIO: I. Biologia: 1. Aspetti dell’adattamento biologico. ‐ 2. Questioni storiche ed epistemologiche relative alla nozione di adattamento. ‐ II. Psicologia adattamento ‐ III. Sociologia adattamento I. BIOLOGIA 1. Aspetti dell’adattamento biologico. – Sul piano fenomenologico l’evoluzione della materia vivente si manifesta attraverso due modalità: una è la produzione di biodiversità, l’altra è la produzione di adattamento biologico. Nello spazio concettuale e teorico della biologia, l’adattamento occupa il centro della vasta area semantica popolata dai concetti di carattere, variazione, genotipo, fe‐notipo, ambiente, selezione, fitness, organismo, popolazione, evoluzione. Il termine adattamento è entrato nel lessico specialistico della biologia portandosi dietro significati fondati sul senso comune, così come è accaduto per termini come evoluzione e selezione che possono veicolare anche visioni del mondo del tutto estranee, se non proprio in conflitto, con la rappresentazione scientifica della natura (E. Fox Keller ‐ E. Lloyd, Keywords in Evolutionary Biology, Cambridge (Massachusetts) 1992). I sistemi viventi sono sistemi gerarchici sia in termini strutturali (organismo unicellulare, organismo multicellulare, popolazione e biocenosi sono quattro distinti livelli di organizzazione unitaria della materia vivente, ognuno caratterizzato da proprietà nuove non prevedibili a partire dal livello inferiore), sia funzionali (c’è gerarchia anche nell’azione dei vincoli esterni e interni che modellano l’organizzazione di un sistema vivente); e gli adattamenti, che si manifestano come risultati di vicende evolutive diverse, si presentano sotto forme differenti. Tuttavia, la forza (e anche in parte la debolezza) del concetto di adattamento si basa sulla sua enorme ineguagliata capacità di riunire un’immensa ed eterogenea rac‐colta di dati osservativi e sperimentali servendosi di un unico principio esplicativo: il principio di selezione. Gli adattamenti si manifestano e possono essere indagati nella loro dinamica diacronica (si tratta allora del processo di adattamento), oppure nella loro configurazione (pattern negli autori anglosassoni) sincronica (stato di adattamento, condizione dell’essere adattato); perciò l’adattamento è definibile in almeno due modi diversi: diacronicamente, l’adatta‐mento consiste in una reazione favorevole di un soggetto esposto al cambiamento di un fattore ambientale; sincronicamente è percepito come stato di congruità tra organismo e ambiente. Questa differenza tra processo e configurazione è di grande importanza, dato che le cause che hanno originato un adattamento evolutivo non necessariamente ancora agiscono quando noi ne osserviamo gli effetti. Assolutamente decisiva è poi la differenza tra gli adattamenti rispetto al tipo di soggetto che si adatta. Le possibilità sono due sole: chi si adatta è un organismo individuale (non importa se uni o pluricellulare), oppure è una popolazione (in genetica, popolazione non è una semplice classe di oggetti‐individui a cui è estesa una proprietà individuale, ma un insieme di oggetti‐ individui che godono di una proprietà sopraindividuale: cioè la capacità di una totale mescolanza genetico‐riproduttiva – panmissia – che in quanto proprietà relazionale non può essere goduta singolarmente). Gli adattamenti, inoltre, si manifestano alle scale micro‐ e macroevolutiva; mentre gli adattamenti microevolutivi, però, sono passibili di indagine sperimentale, per quelli macroevolutivi, finora, si possono raccogliere solo prove indirette della passata dinamica processuale. Da quanto detto, allora, si comprende come la biologia non possieda una definizione non ambigua di adattamento, anche se poi l’adattamento compare nelle definizioni di organismo vivente, come quella di Pietro Omodeo: «Un organismo vivente è definibile come un sistema aperto, cellulare, delimitato da un confine selettivo, percorso da flussi autoregolati di materia, energia e informazione grazie ai quali è suscettibile di riprodursi e di evolvere attraverso le generazioni, adattandosi ad ambienti mutevoli» (P. Omodeo, What is a Living Being?, in M. Rizzotti [a cura di], Defining Life, Padova 1996, pp. 187‐198). Globalmente il termine adattamento si applica ad almeno tre tipi di fenomeni molto diversi tra loro: 1) il processo inerente tutti i viventi, che comporta l’aggiustamento di caratteristiche fisiologiche, morfologiche, etologiche in accordo con l’ambiente di vita (adattamento come “risposta adattativa” indotta da un fattore ecologico: p. es. l’abbronzatura della pelle per esposizione ai raggi UV); 2) lo stato con cui un carattere geneticamente determinato si manifesta e che, in un certo contesto, conferisce un vantaggio al suo portatore rispetto ad altri individui che sono portatori di stati alternativi del carattere (come nel caso del gene per l’emoglobina s, emoglobina mutata responsabile dell’anemia falciforme, una patologia anche molto grave; la mutazione negli individui eterozigoti conferisce però una notevole protezione contro l’infezione malarica, per cui nelle aree malariche gli individui falcemici eterozigoti hanno salute migliore sia rispetto agli omozigoti falcemici affetti da gravissima anemia, sia rispetto agli omozigoti sani, non anemici, ma assai facilmente soggetti alla malaria; e ancora come nel caso del mimetismo fanerico di certe farfalle, o della resistenza dei batteri patogeni agli antibiotici); 3) il possesso di strutture complesse, ereditate filogeneticamente, che permettono lo svolgimento di funzioni di livello elevato (branchie e pinne dei pesci come macroscopi‐ ci adattamenti all’ambiente acquatico e al nuoto; dispositivi di ecolocazione dei pipistrelli come adattamenti per la predazione, ecc.). Le differenze tra questi tre tipi di adattamento sono rimarchevoli. Nel primo caso, la risposta adattativa individuale è esclusivamente fenotipica; si tratta di un cambiamento di natura quantitativa nella regolazione genica che provoca l’aumento o la diminuzione di una o più proteine (p. es. viene sintetizzata più o meno melanina), ed è di solito reversibile; si parla in tal caso di adattamento biologico di tipo ecologico, fisiologico, postgenetico; in pratica c’è un processo di adattamento individuale ma non c’è evoluzione, perché la costituzione genetica dell’individuo non viene per nulla modificata durante il processo reattivo. Nel secondo caso si tratta di adattamento

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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Adattamento 1

ADATTAMENTO(adaptation;Anpassung;accomodation,adaptation;adaptación).–SOMMARIO:I.Biologia:1.Aspettidell’adattamentobiologico.‐2.Questionistoricheedepistemologicherelativeallanozionediadattamento.‐II.Psicologiaadattamento‐III.SociologiaadattamentoI.BIOLOGIA1.Aspettidell’adattamentobiologico.–Sulpianofenomenologicol’evoluzionedellamateriaviventesimanifestaattraversoduemodalità:unaèlaproduzionedibiodiversità,l’altraèlaproduzionediadattamentobiologico.Nellospazioconcettualeeteoricodellabiologia,l’adattamentooccupailcentrodellavastaareasemanticapopolatadaiconcettidicarattere,variazione,genotipo,fe‐notipo,ambiente,selezione,fitness,organismo,popolazione,evoluzione.Iltermineadattamentoèentratonellessicospecialisticodellabiologiaportandosidietrosignificatifondatisulsensocomune,cosìcomeèaccadutoperterminicomeevoluzioneeselezionechepossonoveicolareanchevisionidelmondodeltuttoestranee,senonproprioinconflitto,conlarappresentazionescientificadellanatura(E.FoxKeller‐E.Lloyd,KeywordsinEvolutionaryBiology,Cambridge(Massachusetts)1992).Isistemiviventisonosistemigerarchicisiainterministrutturali(organismounicellulare,organismomulticellulare,popolazioneebiocenosisonoquattrodistintilivellidiorganizzazioneunitariadellamateriavivente,ognunocaratterizzatodaproprietànuovenonprevedibiliapartiredallivelloinferiore),siafunzionali(c’ègerarchiaanchenell’azionedeivincoliesternieinternichemodellanol’organizzazionediunsistemavivente);egliadattamenti,chesimanifestanocomerisultatidivicendeevolutivediverse,sipresentanosottoformedifferenti.Tuttavia,laforza(eancheinparteladebolezza)delconcettodiadattamentosibasasullasuaenormeineguagliatacapacitàdiriunireun’immensaedeterogenearac‐coltadidatiosservativiesperimentaliservendosidiununicoprincipioesplicativo:ilprincipiodiselezione.Gliadattamentisimanifestanoepossonoessereindagatinellalorodinamicadiacronica(sitrattaalloradelprocessodiadattamento),oppurenellaloroconfigurazione(patternnegliautorianglosassoni)sincronica(statodiadattamento,condizionedell’essereadattato);perciòl’adattamentoèdefinibileinalmenoduemodidiversi:diacronicamente,l’adatta‐mentoconsisteinunareazionefavorevolediunsoggettoespostoalcambiamentodiunfattoreambientale;sincronicamenteèpercepitocomestatodicongruitàtraorganismoeambiente.Questadifferenzatraprocessoeconfigurazioneèdigrandeimportanza,datochelecausechehannooriginatounadattamentoevolutivononnecessariamenteancoraagisconoquandonoineosserviamoglieffetti.Assolutamentedecisivaèpoiladifferenzatragliadattamentirispettoaltipodisoggettochesiadatta.Lepossibilitàsonoduesole:chisiadattaèunorganismoindividuale(nonimportaseuniopluricellulare),oppureèunapopolazione(ingenetica,popolazionenonèunasempliceclassedioggetti‐individuiacuièestesaunaproprietàindividuale,mauninsiemedioggetti‐individuichegodonodiunaproprietà

sopraindividuale:cioèlacapacitàdiunatotalemescolanzagenetico‐riproduttiva–panmissia–cheinquantoproprietàrelazionalenonpuòesseregodutasingolarmente).Gliadattamenti,inoltre,simanifestanoallescalemicro‐emacroevolutiva;mentregliadattamentimicroevolutivi,però,sonopassibilidiindaginesperimentale,perquellimacroevolutivi,finora,sipossonoraccoglieresoloproveindirettedellapassatadinamicaprocessuale.Daquantodetto,allora,sicomprendecomelabiologianonpossiedaunadefinizionenonambiguadiadattamento,anchesepoil’adattamentocomparenelledefinizionidiorganismovivente,comequelladiPietroOmodeo:«Unorganismoviventeèdefinibilecomeunsistemaaperto,cellulare,delimitatodaunconfineselettivo,percorsodaflussiautoregolatidimateria,energiaeinformazionegrazieaiqualièsuscettibilediriprodursiedievolvereattraversolegenerazioni,adattandosiadambientimutevoli»(P.Omodeo,WhatisaLivingBeing?,inM.Rizzotti[acuradi],DefiningLife,Padova1996,pp.187‐198).Globalmenteiltermineadattamentosiapplicaadalmenotretipidifenomenimoltodiversitraloro:1)ilprocessoinerentetuttiiviventi,checomportal’aggiustamentodicaratteristichefisiologiche,morfologiche,etologicheinaccordoconl’ambientedivita(adattamentocome“rispostaadattativa”indottadaunfattoreecologico:p.es.l’abbronzaturadellapelleperesposizioneairaggiUV);2)lostatoconcuiuncaratteregeneticamentedeterminatosimanifestaeche,inuncertocontesto,conferisceunvantaggioalsuoportatorerispettoadaltriindividuichesonoportatoridistatialternatividelcarattere(comenelcasodelgeneperl’emoglobinas,emoglobinamutataresponsabiledell’anemiafalciforme,unapatologiaanchemoltograve;lamutazionenegliindividuieterozigoticonferisceperòunanotevoleprotezionecontrol’infezionemalarica,percuinelleareemalarichegliindividuifalcemicieterozigotihannosalutemiglioresiarispettoagliomozigotifalcemiciaffettidagravissimaanemia,siarispettoagliomozigotisani,nonanemici,maassaifacilmentesoggettiallamalaria;eancoracomenelcasodelmimetismofanericodicertefarfalle,odellaresistenzadeibatteripatogeniagliantibiotici);3)ilpossessodistrutturecomplesse,ereditatefilogeneticamente,chepermettonolosvolgimentodifunzionidilivelloelevato(branchieepinnedeipescicomemacroscopi‐ciadattamentiall’ambienteacquaticoealnuoto;dispositividiecolocazionedeipipistrellicomeadattamentiperlapredazione,ecc.).Ledifferenzetraquestitretipidiadattamentosonorimarchevoli.Nelprimocaso,larispostaadattativaindividualeèesclusivamentefenotipica;sitrattadiuncambiamentodinaturaquantitativanellaregolazionegenicacheprovocal’aumentooladiminuzionediunaopiùproteine(p.es.vienesintetizzatapiùomenomelanina),edèdisolitoreversibile;siparlaintalcasodiadattamentobiologicoditipoecologico,fisiologico,postgenetico;inpraticac’èunprocessodiadattamentoindividualemanonc’èevoluzione,perchélacostituzionegeneticadell’individuononvienepernullamodificataduranteilprocessoreattivo.Nelsecondocasositrattadiadattamento

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biologicoditipogenetico,evolutivo;èuncambiamentoqualitativo(allabasesitrovaunamutazionecheproducenovitàgenetica)edinormairreversibile;c’èadattamentoperchéc’èevoluzionedellapopolazioneattraversoselezionenaturale(secondoilprecedenteesempio,inambientemalaricoglieterozigotianemiciarrivanoall’etàadultaconmaggioreprobabilitàrispettoaglialtriduegenotipi;ilnumerodellecopiedeigenotipieterozigotiaumentaneltempo:lacostituzionegeneticadellapopolazione–irapportidifrequenzatraitregenotipi–cambiadeterministicamentenelpassaggiodaunagenerazioneallasuccessiva).L’adattamentoditerzotipoèmacroevolutivoedinormairreversibile;lesuecause,moltepliciecomplesse,coinvolgonoiprocessidisvilupposutempilunghi.2.Questionistoricheedepistemologicherelativeallanozionediadattamento.–Unodeifondamentidellabiologiamodernaècostituitodall’assuntosecondoilqualetuttigliadattamentidiunorganismo(intesoocomeindividuoocomepopolazione)alproprioambientesonospiegabiliricorrendoalprocessodiselezionenaturale.Quest’ultimaèinnanzituttouneffetto,precisamenteèilrisultatodell’interazionetralavariazionegeneticafenotipicamenteespressaelavariazionespazio‐temporaledell’ambiente;difattosipresentacomeriproduzionedifferenzialedigenotipiincarnatiinfenotipi.Laselezionediventaunacausa,laprimacausadievoluzione,quandodalladescrizionedelprocessoevolutivosipassaall’indaginesuifattorieziologici;laselezioneèlacausa,l’unicacausa,dell’adattamento.Comeènoto,furonoCharlesDarwineAlfredRussellWallaceaidentificarenellaselezionenaturalelacausadell’evoluzioneadattativa;leloroideefuronoillustratenel1858allaLinneanSocietydiLondra.Darwinavevariflettutoalungosullaquestioneapartiredal1838,quando,dopoaverelettoilSaggiosulprincipiodipopolazione(London1798)diThomasR.Malthus,avevainiziatounprocessoventennaledirevisionecriticadelleproprieideegiovanili(D.Ospovat,TheDevelopmentofDarwin'sTheory,Cambridge1981;Mayr,1982),innanzituttorifiutandolaposizionefinalisticacheall’epocacaratterizzavalostudiodellanaturaispiratoallaNaturalTheology(London1802)diWilliamPaley(1743‐1805).Paleyavevaimpiegatol’analogiadell’orologiaiocieco,unargomentofinalisticofondatosull’ideachequalcosadiirriducibilmentecomplessocomeunorologiospingeinevitabilmenteacredereall’esistenzadiunorologiaio,dicomplessitàsuperioreaquelladelmanufatto.Paleysostenevachel’adattamentoperfettodellespeciealloroambientedimostraval’esistenzadiunarchitettodivino.Iltemadell’intelligentdesign,crucialenelleargomentazionidelcreazionismocontemporaneo,riprendeesplicitamentel’analogiadiPaley,criticandoalcuniaspettidellaspiegazionescientifica,materialistaelaicadell’adattamento.PrimadiDarwin,lanozionediadattamentoerautilizzatadaLamarckesicaratterizzavaperl’ideadiunadeguamentoall’ambienteraggiuntoinforzadiunatendenzainternadegliorganismiadagiresecondoipropribisogni.Nell’otticalamarckianagliadattamenticonse‐guitidaigenitorivengonotrasmessiallapro‐genie(ereditarietàdeicaratteriacquisiti).Neglianni

posterioriall’elaborazionedellateoriasinteticadell’evoluzione,glistudisull’adattamentosonostaticaratterizzatidaunapprocciofunzionalistaeingegneristicocheculminainquelloche,neglianniSettanta,alcunicriticihannochiamato«adattamentismo»(R.Lewontin,Adattamento,inEnciclopediaEinaudi,vol.I,Torino1977,pp.198‐214;Id.,L'adatta­mento,inP.Omodeo[acuradi],Storianaturaleedevoluzione,Milano1978,pp.39‐49;S.J.Gould‐R.Lewontin,TheSpandrelsofSanMarcoandthePanglossianParadigm,in«ProceedingsoftheRoyalSocietyofLondon,B»205[1979],pp.581‐598.).Per“programmaadattamentista”siintendeilricorsopregiudizialeaspiegazioniselezioniste,scartandodall’analisicausalefattoriche,comelacrescitaallometricaeivincolidellosviluppo,potrebberoinlineadiprincipioesserealtrettantoesplicativi.IduepaleontologiStephenJ.Gould(1942‐2002)eElisabethVrba,chesonotraimaggioricriticideglieccessidelselezionismo,distinguonotraadattamentiveriepropri(caratterichesonoevolutipereffettodirettodelmeccanismodiselezione)edesattamenti(ex­aptations,ininglese),cioècaratterievolutiinizialmenteperuncertouso,iquali,unavoltaallentatiivincoliselettivichelihannomodellati,sonodisponibiliaesserecooptatiperunanuovadifferentefunzione(S.J.Gould‐E.Vrba,Exaptation:aMissingTermintheScienceofForm,in«Paleobiology»8(1982),pp.4‐15;E.Mayr,TheGrowthofBiologicalThought,Cambridge(Massachus‐setts)1982,tr.it.diB.Continenzaetal.,Storiadelpensierobiologico,Torino1990).S.FORESTIEROII.PSICOLOGIA.–Laquestionedell’adatta‐mentoricorrespecieinquegliautoriilcuimodellodimentesiispirainqualchemodoallabiologiaoquantomenosupponeunaconti‐nuitàtracorpoepsiche;laddoveinvecesiinsistesull’alteritàdellapsiche,iltema,quandononnegletto,èdeclinatoneiterminidiunco‐stitutivodisadattamentodell’essereumano,perviadell’eccedenzadellaculturaedeldesideriorispettoallarealtànaturale,epuresociale(inquestosensoLacanriproponeinsostanzal’agostinianocorinquietum).Vad’altrapartenotatalafrequenteindeterminazionedeltermineadquemdell’adattamento,oral’ambienteinsensobiologico,orainsensosociale.Ilfunzionalismoècertolacorrentechenellapsicologiamoderna,acavallotra‘800e‘900,haperprimafocalizzatolaquestionedell’adattamento,nellamisuraincuiessoabbracciaincondizionatamenteilparadigmaevoluzionistico:scopodellapsiche,conlesuevariefunzioni(facoltà),èl’ottimizzazionedell’adattamentodell’organismoall’ambiente,equantopiùlapsicheèevoluta,tantomaggioripossibilitàdisopravvivenza,ceterispari­bus,essaoffre.Senelfunzionalismol’adattamentoconservaunaconnotazionefinalistica,ilsuccedaneocomportamentismo,chepurehaacuoreilproblema,neprevedeunaconcezioneperlopiùmeccanica:sonoappresiemantenutiqueicomportamentiche,puremessicasualmente,vengonopremiati(il«rinforzo»dicuiparlaSkinner),cioèrisultanoconsoniallerichiesteambientali.Glisviluppirecentidelcognitivismo,superandoleforzateastrazionidistudimeramentecondottiinlaboratorio,tornanodalcantoloro,conlacorrente«ecologica»,afocalizzareil

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rapportoconl’ambiente:ilconcretoessereumanononèpropriamenteassimilabileaunelaboratorediinformazioni,dacchéilcomputernonhailproblemadisopravvivereinunambientenaturaleesociale,néquellodiriprodursicomespecie.Nellaricorrentedialetticadi«assimilazione»e«accomodamento»,chesecondoPiagetqualificalosviluppocognitivodalbambinoall’adulto,ilsecondopoloconsistenellari‐strutturazionedeglischemimentali,ondeme‐tabolizzarequeglistimoliequellesituazioniambientaliormaidivenutiinassimilabilientroloschemavigente.Comedirechel’adatta‐mentoèworkinprogress,checaratterizzal’ontogenesipsichicadell’essereumano,procedendodiconcertoconlefasidisviluppobiopsicologichegeneticamenteprogrammate.Lapsicoanalisiponeilproblemadell’adattamentoinprimopianoconHeinzHartmannelasuapsicologiadell’io,individuando,proprionell’adattamento,unquartopuntodivistametapsicologicodaaffiancareaitrefreudiani:occorreindagareiprocessipsichici,anchequelliconflittuali,interrogandonealtresìlafunzioneadattivaomeno.Così,inluogodell’eversivodisadattamentodell’essiarispettoallasocietà(siricordiilfreudiano«disagio»dellaciviltà),siarispettoallanatura(sivedal’antibiologicapulsionedimorte),lacorrenteinauguratadaHartmannsottolineapiuttostolafunzionedinormativitàadattivasvoltadall’Io.M.FORNAROIII.SOCIOLOGIA.–Insociologiailtermineadattamentoèstatooriginariamenteintrodotto,mutuandolodallabiologia,daquegliautoriche,soprattuttonelcorsodelsec.XIX,interpretavanol’evoluzionesocialeinanalogiaconquellanaturale,eripresointempopiùrecentisegnatamentedaquantihannoripropostoun'interpretazionebiologicaunificatadelcomportamentosociale.Essoèconseguentementevenutoaindicareilrapportocheintercorretraunacollettivitàeilsuoambientecir‐costante,siasocialesianaturale,eimplical’ideacheuncertogradodiadattamento,maggioreominore,siaunacondizionediesistenzaperqualsiasicollettività

umana(gruppi,organizzazioni,società).L’evoluzionedellestrutturesocialisarebbe,inquest’ottica,l’espressionedelprincipiobiologicopercuilavitaèilcostanteadattamentodellerelazioniinternediunorganismoallesuerelazioniesterne.TalcottParsonshaapprofonditoesistematizzatoquestopensiero,separandolotuttaviadall’originariaimprontabioanalogica,dalmomentocheilparallelismotraorganismosocialeeorganismoanimalenonèmairiuscitoadandareoltreilimitidiunamerasimilitudine.Eglihainseritol’adattamentotraiquattroimperativifunzionalidiognisistemasociale,alparidelconseguimentodegliscopicollettivi,dell’integrazionedeiruoliedelmantenimentodellastrutturalatente.Lasopravvivenzadiunacollettivitàèlegataallasuacapacitàdistabilireecoltivaredeirapporticonl’ambienteesterno,siaadattandosiallesuecoercizioni,allesueesigenzeeaisuoieventualicambiamenti,siaadattandol’ambienteaipropribisogni,cioècontrollandoloemodificandolo.Cosìsispiegalacontinuainvenzioneemodificadistrutturesocialieistituzioni,sviluppatedallecollettivitàperfarfrontealleesigenzepostedall’interazioneconl’ambiente.P.VOLONTÉBIBL.:PerlaparteII:H.HARTMANN,Ich­PsychologieundAnpassungsproblem,Wien‐Leipzig1939;tr.it.diM.Low‐Beer,Psicologiadell’Ioeproblemadell’adattamento,Torino1966;L.GORLOW‐W.KATVOSKY,ReadingsinthePsychologyofAdjustement,NewYork1959;AA.VV.,Lesprocessusd’adaptation:symposiumdel’Associationdepsychologiescientifiquedelanguefrançaise,acuradiF.Meyeretal.,Paris1967;J.PIA‐GET,L’équilibrationdesstructurescognitives:problèmecentraldudéveloppement,Paris1975;tr.it.diG.DiStefano,L’equilibrazionedellestrutturecognitive:problemacentraledellosviluppo,Torino1981.Per laparte III:AA.VV.,TowardaGeneralTheoryofAction,acura di T. Parsons ‐ E.A. Shils, Cambridge (Massachusetts)1951;AA.VV.,ManinAdaptation.TheBio­socialBackground,acuradiY.A.Cohen,Chicago1974. ➨ COGNITIVISMO; COMPORTAMENTISMO; EVOLUZIONE; FUNZIONALISMO; METAPSICOLOGIA; SOCIOBIOLOGIA. ➨

ENCICLOPEDIA FILOSOFICA

BOMPIANI, MILANO, 2006

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Addomesticamento S. Forestiero

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ADDOMESTICAMENTO (ingl. Domestication, fr. Domestication, ted. Zähmung). Sin dalle sue origini, la storia dell'umanità è stata contraddistinta dai suoi ripetuti tentativi di superare i vincoli imposti dall'ambiente. È probabile che inizialmente la ricerca e lo sviluppo di questa autonomia, ottenuta attraverso un crescente controllo dei prodotti e dei processi della natura, siano stati motivati in termini simbolico-affettivi, anche se poi il processo di affrancamento dalla natura si caratteriz- zò per i suoi risvolti più o meno direttamente economici, energetici, col- legati alla sopravvivenza dei gruppi umani e alle trasformazioni delle società. E' accertato che a partire dal tardo Neolitico l'emergere del fenomeno urbano e delle civiltà antiche furono connessi e promossi dallo sviluppo dell'addomesticamento grazie al quale la nostra specie riuscì innanzitutto a ridurre la propria dipendenza da risorse alimentari prelevate in natura, attraverso la caccia e la raccolta, e caratterizzate da una disponibilità e da un'abbondanza fluttuanti e aleatorie. Andò originandosi per questa via un doppio reciproco condizionamento: piante e animali addomesticati incisero fortemente sull'evoluzione biologica e culturale della nostra specie, che divenne a sua volta il principale fattore ambientale, la forza che orientò l'evoluzione delle specie domestiche. Sebbene trasformato, questo doppio legame persiste ancora oggi.

I fondatori. Cronologicamente, le precondizioni che permisero la nascita dell'allevamento sono state fatte risalire alle ultime fasi del Paleolitico, quando nei territori boreali le bande di cacciatori umani dovettero contattare i branchi di lupi, anche essi, come gli uomini, organizzati gerarchicamente in funzione della caccia. L'uomo e il lupo evolvettero perciò, in stato di simpatria

come specie sociali, dedite alla caccia e predatrici di grandi mammiferi. Anzi è verosimile che uomini e lupi cacciassero uno stesso tipo di preda e vi sono parecchie probabilità che l'uomo abbia potuto tenere presso di sé esemplari di lupo, come sembrano indicare alcune testimonianze archeologiche sulla cattività di specie selvatiche. Resti assai antichi di Canis (la distinzione osteologica tra lupo e cane non è sempre possibile) trovati in siti abitati dall'uomo presistorico in Anatolia (9000 anni fa), Inghilterra (9500 anni fa), Idaho (10.400 anni fa), Iraq-Monti Zagros (12.000 anni fa) testimoniano dell'antichità del legame tra Homo sapiens sapiens e i progenitori del cane moderno. Di particolarissimo interesse è il reperto, nella parte settentrionale dello Stato di Israele, di una tomba con i resti di un cucciolo di cane o di lupo di 4-5 mesi di età posti accanto a quelli di una persona anziana (Davis e Valla, 1978). Questa giace ranicchiata sul fianco destro; il braccio sinistro portato verso il capo, con il polso sistemato sotto la tempia. L'eccezionalità del ritrovamento è però nell'atteggiamento della mano sinistra del morto, che è tenuta sul dorso del cucciolo in una postura significativa di affettività e di attaccamento (Serpell, 1996). La sepoltura, appartenente alla cultura Natufian del Paleolitico superiore-Mesolitico, risale a 10.000 -12.000 anni fa e viene interpretata come un segno di una condizione di preaddomesticamento (Davis e Valla, cit.). Un altro caso notevole, ma molto più recente del precedente, proviene da un sito delle Alpi francesi abitato circa 6000 anni fa, dove è stata documentata la presenza di un orsacchiotto catturato all'età di circa sei mesi e quasi certamente tenuto in cattività per almeno cinque anni (Chaix et al., 1997). Questi due ritrovamenti, in particolare, hanno sollecitato l'elaborazione di un'ipotesi sulla nascita dell'allevamento

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Addomesticamento S. Forestiero

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visto come conseguenza dell'abitudine di tenere presso di sé, in qualità di animali da compagnia, esemplari di alcune tra le specie selvatiche con cui l'uomo entrava in contatto. In principio, il legame con le prime specie allevate sarebbe stato perciò di natura non immediatamente economica, per diventarlo in un secondo tempo quando, anche grazie ad una migliorata conoscenza delle caratteristiche eco-etologiche di queste specie, l'uomo ne avrebbe tentato la gestione attraverso la riproduzione in cattività. D'altra parte l'abitudine di tenere cuccioli o adulti di selvatici come animali da compagnia è ampiamente dimostrata da dati etnologici (vedi per es. Diamond, 1997). Dopo il cane furono domesticati nell'Asia sudoccidentale, intorno all'VIII millennio a.C. , la pecora, la capra e il maiale (quest’ultimo anche in Cina); intorno al VI millennio a.C. il bue nella stessa area e in India; duemila anni più tardi il cavallo in Ucraina, l'asino in Egitto e il bufalo asiatico forse in Cina; la specie a cui appartengono il lama e l'alpaca fu domesticata sulle Ande verso il 3500 a.C.; i camelidi paleartici mille anni più tardi: il cammello in Asia centrale e il dromedario in Arabia. Nel suo saggio sul ruolo dell'ambiente nella storia delle società umane, Jared Diamond, un biogeografo dell'UCLA, osserva che sulla carta sono candidati alla domesticazione 148 specie di mammiferi terrestri (72 nella Paleartide - Eurasia e Nordafrica - 51 nell'Africa sudsahariana, 24 nelle Americhe, 1 specie - il canguro rosso - in Australia) ma che solo 14 specie sono state pienamente rese domestiche (13 in Eurasia e 1 - l'antenato del lama e della alpaca - nelle Americhe). Dunque poco meno della metà (48%) delle specie candidate sono originarie dell'Eurasia; di quelle domesticate quasi tutte (93%) sono eurasiatiche. In pratica su 72 specie paleartiche candidate, 13 (18%) sono state addomesticate. Chiedendosi le

ragioni del predominio della fauna eurasiatica negli allevamenti di tutto il mondo, Diamond argomenta ricono-scendovi l'azione di fattori biogeografici: soprattutto la maggiore biodiversità ecosistemica dell'Eurasia. Una situazione analoga si ripete con l'agricoltura di specie erbacee, anche se in questo caso il contrasto tra Eurasia e altre regioni è meno drammatico. Considerando le erbacee a seme grosso (10-40 mg) si hanno 56 taxa di cui ben 33 sono di tipo paleartico, più precisamente a gravitazione mediterranea (Diamond, cit). Sicché il proto-agricoltore di quell'area aveva a disposizione quasi il 60% delle piante erbacee utili all'Uomo. Da qui forse si comprende meglio perché l'allevamento e l'agricoltura siano pratiche che per molte specie iniziano nel Vicino Oriente Antico e più o meno contemporaneamente. Il processo che condusse alla domesticazione di animali e piante fu innescato da tre diversi fattori: 1) i cambiamenti climatici avvenuti alla fine dell'Era glaciale, quando la maggior parte delle popolazioni umane viveva ancora di caccia, pesca e della raccolta di prodotti vegetali, 2) la riduzione delle terre abitabili e 3) infine, l'assottiglia- mento delle popolazioni naturali dei grandi ungulati. Grosso modo nell'VIII millennio a.C. l'agricoltura compare nell'area della Mezzaluna fertile (e più o meno contemporaneamente nel Sud-Est asiatico e nelle Americhe). La maggior parte dei dati disponibili riguarda l'Asia sudoccidentale (Zohary e Hopf, 1994) dove l'inizio della produzione di cibo viene realizzata a partire da poche specie locali di cereali : grano (Triticum monococcum, che ha forme selvatiche e forme coltivate; T. dicoccoides, specie-razza selvatica da cui deriva la specie coltivata T. dicoccum ambedue collet- tivamente note come T. turgidum), orzo (Hordeum vulgare spontaneum da cui origina la moderna sottospecie coltiva-

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ta), segale (Secale cereale), avena (con le razze selvatiche sterilis e fatua ritenute progenitrici della forma coltivata sativa, tutte e tre riunite nel complesso di specie esaploidi interfertili Avena sativa). Alla fine del V millennio a.C. a partire dall'Asia Centrale o dal Sud-est asiatico si diffusero verso il Vicino Oriente e l'Europa il miglio (Panicum miliaceum, di cui non è ben identificata la forma selvatica originaria), il pabbio (Setaria italica coltivata nel bacino superiore del Fiume Giallo già nel VI millennio a.C. e certamente derivata dalla specie eura- siatica S. viridis) e il riso (le più antiche coltivazioni di Oryza sativa sono quelle dell'India e del Pakistan di 5000 anni fa, ma mancano dati archeobotanici che permettano di identificare l'area di origine del suo progenitore selvatico). Nel loro splendido resoconto sull'addo- mesticamento delle piante in Eurasia D. Zohary e M. Hopf, ricostruendo le vicende di oltre settanta specie, arrivano a concludere che i tre principali cereali più antichi: il grano grosso (Triticum turgidum), il farro (T. monococcum) e l'orzo, sono quasi sempre accompagnati da legumi come la lenticchia (Lens culinaris, addomesticata sin dal 6800 a.C.), il pisello, il cece, la fava e la vecciola (rispettivamente Pisum sativum, Cicer arietinum, Vicia faba e V. ervilia, tutte specie coltivate a partire dal 6000 a.C. circa). Per il lino (Linum usitatissimum), pianta appartenente alla pattuglia fondatrice dell'agricoltura, i resti di forme coltivate indicano date prossime a 8000 anni fa, mentre per le altre specie produttrici di fibre tessili si ritiene che la canapa (Cannabis sativa) fosse coltivata in Cina almeno 4500 anni fa e si conoscono frammenti di stoffe di cotone (Gossypium arboreum, G. herbaceum), provenienti da Harappa e Mohenjo-Daro, risalenti a 4800 anni fa (ref. in Zohary e Hopf, cit.). Altre fasi nella domesticazione delle piante. Una seconda fase, più tardiva, inizia

attorno al IV millennio a.C. e copre il periodo che segna il passaggio dal Neolitico all'Età del Bronzo. Questa fase si caratterizza per l'invenzione dell'orti- coltura attraverso l'addomesticamento nel Vicino Oriente di importanti alberi da frutta: ulivo, vite, palma da datteri, fico (Zohary e Spiegel-Roy, 1975). Diversamente dai cereali e dalle leguminose coltivate (erbe annue di tipo r-selezionato) che garantiscono raccolti annuali con investimenti a breve termi- ne e che permettono una temporanea mobilità degli agricoltori (c'è infatti uno scarto di parecchi mesi tra la mietitura e la semina), gli alberi da frutta sono, invece, specie perenni (K-selezionate rispetto ai cereali) che fruttificano solo 3-8 anni dopo la messa a stabile dimora e che perciò richiedono agricoltori con abitudini di vita pienamente sedentarie. Con la coltivazione degli alberi da frutta assistiamo anche al passaggio dall'im- piego della riproduzione sessuale tipica delle forme selvatiche alla propagazione per via vegetativa dei fenotipi domestici. Queste varietà sono ottenute e mante-nute non attraverso seme ma gestendo la linea somatica della pianta attraverso le margotte, le talee, i polloni e, più tardi, ricorrendo all'innesto. L'evitamento della riproduzione sessua- le impedisce la produzione della grande variabilità genetica, con l'elevato tasso di eterozigosi tipico delle popolazioni naturali in cui c'è esoincrocio. Le tecniche di propagazione vegetativa, infatti, evitando la segregazione genetica dei caratteri, consentono la fissazione delle caratteristiche ritenute desiderabili dai coltivatori. La frutticoltura dunque è basata sul depotenziamento del ruolo della selezione. Partendo da una popolazione di varianti individuali, l'agricoltore del Calcolitico sceglieva le piante con i frutti migliori ma non ne piantava i semi; egli le riproduceva, invece, per via agamica, ottenendo cloni di individui genetica- mente identici. Il successo degli orti e

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dei frutteti, in definitiva, è stato il prodotto più importante della scoperta della clonazione avvenuta probabil- mente circa 5500 anni fa. La terza fase, corrispondente, in parti- colare, alla coltivazione di specie come melo, pero, susino e ciliegio, risale al I millennio a.C. ed è dipesa dalla propa- gazione di cloni ottenuta attraverso l'innesto: una tecnica piuttosto so- fisticata adottata sicuramente molto più tardi rispetto alle altre tecniche di riproduzione agamica e che sembra essere stata applicata per la prima volta in Cina sugli agrumi (Cooper e Chapot, 1977: ref. in Zohary e Hopf, cit.). In sostanza, per quanto riguarda l'inizio e la diffusione dell'orticoltura nel Vec- chio Mondo sembrano esservi alcuni punti fermi: la coltivazione degli alberi da frutta compare nel Vicino Oriente; l'orticoltura si sviluppa solo dopo l'affermazione della cerealicoltura; come già per i cereali, si assiste alla dome- sticazione contemporanea di parecchi alberi da frutta; la loro coltivazione si avvale della scoperta della propagazione vegetativa e rappresenta un investi- mento a lungo termine che richiede l'affermarsi della sedentarietà; dal Vicino Oriente Antico, l'orticoltura si diffonde poi in tutto il bacino del Mediterraneo e verso l'Asia sudocciden- tale; l'invenzione dell'innesto consente l'avviarsi di una terza fase di domesti- cazione dei vegetali del Vecchio Mondo. Il passaggio dal foraggiamento all'agri- coltura e all'allevamento nelle Americhe è assai meno documentato che nel Vecchio Mondo; tuttavia è probabile che esso sia iniziato un poco più tardi e avvenuto più lentamente che altrove. In America, inoltre, la diffusione dell'agri- coltura ebbe una distribuzione geografica molto più discontinua ed eterogenea. L'agricoltura americana nacque nelle regioni temperate del Messico centrale, dell'Ecuador e del Perù (Reed, 1977); in Messico tracce di fagioli coltivati risalgono a 9000 anni fa,

la zucca a bottiglia era coltivata forse già prima di quella data, come pure il mais (Cavalli Sforza et al., 1994). La coltivazione della patata verosimilmente ebbe origine in Colombia intorno ai 10.000 anni fa; in Messico originò la domesticazione del pomodoro ed è probabile che tra il 7000 e il 5000 a.C. gli abitanti delle terre alte messicane abbiano iniziato a coltivare l'avocado e il peperoncino; la manioca fu invece coltivata nelle aree tropicali. Biodiversità tassonomica e domesticazione. La biodiversità tassonomica degli organismi addomesticati include anche batteri e lieviti impiegati nella panificazione e nella vinificazione, nella produzione di birra, di distillati, di formaggi e yogurt. La fermentazione è un processo conosciuto da 7000 anni e oggi batteri e funghi vegono impiegati nel trattamento de rifiuti e nell’industria farmaceutica. Tra I Funghi, le specie domestiche coltivate a scopo alimentare sono una quarantina (5-6 su scala industriale) su un totale di circa 72.000 specie note. I funghi di più antica domesticazione sono tutti non micorrizogeni e perciò tecnicamente più facili da coltivare; è il caso di Auricularia auricula, un fungo del legno, coltivato già dal 600 d.C., o dei comuni champignon, Agaricus bisporus, che crescono sul letame, coltivati dal 1600 d.C., mentre le prime Amanita e i Tricholoma, taxa micorrizogeni, sono stati domesticati solo negli ultimi venti anni (Chang, 1993). Delle 511 famiglie di pianti vascolari conosciute, 173 (34%) possiedono specie addomesticate. Le famiglie più importanti sono una dozzina: Graminacee (con 379 specie addomesticate), Leguminose (con 337 specie), Rosacee (158), Solanacee (115), Composite (86), Cucurbitacee (53), Labiate (52), Rutacee (54), Crucifere (43), Ombrellifere (41), Chenopodiacee (34), Zingberacee (31) e Palme (30). Altre 48 famiglie comprendono ognuna una sola

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specie. A livello tassonomico di specie, su 320.000 piante vascolari ne sono addomesticate circa 2500; di esse un centinaio possono dirsi di grande importanza alimentare, ma solo 15-20 sono fondamentali per l’alimentazione umana (Hawksworth e Kalin-Harroyo, 1995). Tra circa 1.000.000 di specie di Insetti solo l’ape, un imenottero, e il baco da seta, una farfalla, sono specie domestiche e di grande impatto economico. Di 50.000 specie di Vertebrati, il nucleo di taxa domesticati è formato di 30-40 specie tra mammiferi e uccelli. I taxa di interesse per l’acqua- coltura, infine, raggiungono le 200 specie e comprendono pesci marini, pesci d’acqua dolce e specie diadrome insieme a molluschi, crostacei, rane, testuggini e piante acquatiche (Hawk sworth e Kalin-Harroyo, cit.) Suscettibilità all’addomesticamento. - Gli insuccessi anche recenti, nell'addo- mesticamento di specie selvatiche come la vigogna, le zebre, l'orso grizzly, l'ippopotamo, il bufalo africano, il bisonte americano, l'alce, l'antilope taurotrago, il cervo nobile ci danno l'occasione per riflettere sui motivi retrostanti e sulle eventuali caratteristiche che predispongono una specie selvatica all'addomesticamento. Oltre un secolo fa Francis Galton delineò I contorni di quell ache potremmo chiamare sindrome da addomesti- camento (Galton, 1865), e in effetti non è difficile identificare sulla carta un numero minimo di tratti bio-ecologici e comportamentali comuni a molti degli animali domestici e che ne hanno faciliato l’addomesticamento. Tra questi preadattamenti spiccano una nicchia trofica ampia (con dieta erbivora oppure onnivora), una demografia del tipo delle specie r-selezionate (con tasso intrinseco di accrescimento e velocità di sviluppo ontogenetico relativamente elevati), il possesso di costumi sociali gregari (grazie ai quali, ad esempio, è

stato possibile addomesticare i bovidi che restano in gruppo e possono essere guidati in mandria e non invece i cervidi il cui comportamento di fuga prevede la dispersione). Gli aspetti etologici delle specie candidate sono particolarmente importanti: sicuramente favorevoli sono la tendenza a formare grandi gruppi piuttosto che una socialità a base famigliare; fondamentale è la presenza di struttura gerarchica con gruppi misti di maschi e femmine, un compor- tamento sessuale caratterizzato da promiscuità riproduttiva, un corteg- giamento con segnali basati su posture e movimenti, la presenza di imprinting, la prole di tipo precoce, una piccola distanza di fuga ed una bassa reattività all'Uomo (Hale, 1969). La territorialità è invece di ostacolo all'addomestica- mento; i casi del cane e del gatto fanno eccezione visto che la loro abitudine di concentrare escrementi ed urine sempre negli stessi luoghi (un annesso dei costumi territoriali) ne ha facilitato la adozione come animali da compagnia. In complesso, l'insieme dei preadatta- menti in vista della domesticazione configurano un'elevata adattabilità ad un ampio spettro di condizioni ambien- tali, dunque una marcata plasticità fenotipica. Tuttavia va detto che oggi, almeno in alcuni casi, l'importanza di certi preadattamenti, come quelli legati al comportamento sociale e sessuale o alla formazione del legame madre-figlio, viene molto diminuita da pratiche di gestione che prevedono l'inseminazione artificiale, il trasferi- mento di embrioni, l'incubazione artificiale, il migliora- mento della dieta (Siegel in Hefez, 1975). Il passaggio all'allevamento è però determinato anche da condizioni estrin- seche come i fattori geografici: per esempio la presenza di rilievi montani percorsi dalle mandrie durante brevi migrazioni altitudinali favorisce il passaggio all'allevamento delle specie indigene, diversamente dalle pianure ove la stagionalità dei fattori abiotici

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obbliga ad estese e assai più lunghe migrazioni latitudinali. Storicamente la domesticità di specie di pianura si è realizzata solo nei casi rari della pastorizia nomade come per millenni è avvenuto in Asia centrale, ove la stessa organizzazione spaziale dei gruppi umani è dovuta mutare per adattarsi attraverso la migrazione alla stagionalità del pascolo (Turri, 1983). Effetti evolutivi. - Il primo capitolo dell'Origine delle specie e i due volumi sulla Variazione allo stato domestico sono dedicati da Darwin agli effetti evolutivi dell'addomesticamento (Darwin, 1859, 1868). Innanzitutto Darwin giudica l'addomesticamento qualcosa di più complesso che rendere un animale meno selvatico, ammansirlo: pensa che all'addomesticamento corrisponda il controllo della riproduzione, ritiene che esso sia un processo finalizzato, che sia capace di provocare un aumento della fecondità e che possa causare la riduzione di certi organi. Imputa all'addomesticamento l'incremento della variazione intraspecifica delle "varietà domestiche", che osserva essere di gran lunga superiore a quella interspecifica delle affini forme selvatiche; infine, sostiene l'esistenza anche di una selezione inconscia di varianti collegate a quelle esplicitamente sottoposte a selezione artificiale. In generale, la domesticazione è definibile come il processo con cui una popolazione naturale diviene adattata all'uomo e all'ambiente di cattività attraverso una combinazione di ripetuti cambiamenti genetici e di eventi di sviluppo indotti ambientalmente ad ogni generazione (Price, 1984). Esistono anche altre definizioni di addomesticamento: Clutton-Brock (p. 32, cit.), ad esempio, definisce domestico l'animale riprodot- to in cattività a scopo di profitto econo- mico da parte di una comunità umana che esercita il controllo totale sulla sua riproduzione, sull'organizzazione ter-

ritoriale e sulla fornitura di cibo (ma vedi anche Zeuner, 1963; Ucko & Dimbleby, 1969; Mason, 1984), e naturalmente si potrebbe obbiettare come fa Robert Delort (1984) che queste definizioni sono imprecise e che nessuna di esse è completamente pertinente. Ma proprio Delort, riportando il punto di vista di Geoffroy Saint-Hilare secondo cui "domesticare un animale consiste nell'abituarlo a vivere e riprodursi nelle dimore dell'uomo o nei suoi paraggi" (Delort, cit.; trad. it. p. 123), ci consente di identificare il denominatore comune a tutte le definizioni di addomesti- camento, l'elemento racchiuso nel prin- cipio basilare per cui sono domestici gli animali e le piante la cui riproduzione è controllata dall'uomo. Per cui animali pure continuativamente utilizzati dal- l'Uomo come l'elefante, la vigogna, o le lontre impiegate in India per pescare e i cormorani in Cina, non sono da consi- derarsi animali propriamente domestici. In sostanza lo stato di specie addome- sticata viene raggiunto attraverso la separazione fisica delle popolazioni associate all'uomo da quelle viventi in natura. La caduta del flusso genico, la presenza di regimi selettivi differenti, l'inbreeding e la deriva genetica sono i principali fattori che hanno sinora promosso e perfezionato l'isolamento riproduttivo e quindi la divergenza evolutiva e l'origine dei fenotipi dome- stici. Il ruolo del caso è fondamentale nelle primissime fasi del processo di domesticazione, quando la composi- zione genetica della popolazione colonizzatrice viene interessata da colli di bottiglia e da effetto del fondatore. Nonostante agiscano più fattori evolutivi, l'evoluzione delle specie domestiche è dovuta soprattutto all'azione di meccanismi deterministici di tipo selettivo sotto forma di selezione artificiale, di selezione naturale (che migliora l'adattamento all'ambiente di cattività) e di rilassamento della sele- zione su caratteri che in cattività, col

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trascorrere delle generazioni, tendono perciò a diventare selettivamente neutrali (potrebbero esserlo, per esempio, la capacità di evitare il predatore o l'abilità di trovare cibo e riparo). La selezione artificiale, praticata più o meno coscientemente, si distingue dalla selezione naturale per essere un processo orientato e molto più veloce (Falconer, 1981). Praticamente la selezio- ne artificiale è sempre <<forte>> perché lo stock dei riproduttori è molto più ristretto dell'insieme degli adulti; inoltre, siccome la scelta dei riproduttori avviene prima della riproduzione, accade che la selezione artificiale è non successiva ma antecedente l'accop- piamento (fatto interessante anche sotto il profilo teorico visto che permette una stima a priori del vantaggio selettivo per ciascun riproduttore). La selezione artificiale, diversamente da quella naturale che dura fino al momento dell'estinzione della specie, agisce per un limitato numero di generazioni (inizialmente ha forma direzionale, poi diventa di tipo stabilizzante) e, a differenza di quella naturale che è opportunistica, ha carattere finalistico e progressivo: essa è cioè migliorativa. Questo, ovviamente, non vuol dire che attraverso la selezione artificiale la domesticazione apra la strada al miglioramento illimitato del carattere fenotipico che interessa: tutt’altro. È dimostrato che quando certi caratteri sono soggetti a forte selezione, la fertilità e altri tratti coinvolti nel successo riproduttivo diminuiscono per azione di geni pleiotropici (Falconer, cit.). Gli effetti dell'addomesticamento sulla variazione di piante e animali sono spesso vistosi e possono riguardare molti tratti biologici. Per esempio Triticum aestivum, oggi la specie economicamente più importante di grano, è una pianta evoluta completa- mente sotto domesticazione (essa è formata da un complesso di popolazioni esaploidi tra loro interfertili, tutte

derivate da uno stock originario di T. turgidum, tetraploide, incrociato con Aegilops squarrosa, che invece è un diploide selvatico, infestante, con areale a gravitazione centroasiatica). Nel caso del mais abbiamo, invece, un grande cambiamento nella grandezza della cariosside e nella taglia della pannocchia che, passando dalla forma selvatica a quella coltivata, cresce anche più di trenta volte in lunghezza (Diamond, cit.). D'altra parte la selezione per la taglia ha comportato nel mais come pure in altre piante la perdita secondaria della capacità di dispersione autonoma dei semi. Negli alberi da frutta si osserva come l'adozione della propagazione vegetativa abbia provocato un forte rallentamento della loro velocità di evoluzione. Siccome un clone può durare molte centinaia di anni durante i quali, a ciclo sessuale sospeso, i correlati meccanismi genetici sono inattivi, la divergenza genetica tra varietà coltivate e popolazioni naturali di alberi da frutta può essere perciò anche molto piccola. Quest'attesa è confermata dalle osservazioni sull'autoecologia dei cultivar delle specie da frutta, che è estremamente simile a quella delle specie selvatiche. L'esatto opposto è avvenuto invece per i cereali: grano, orzo, segale, avena e riso domestici, tutte specie ottenute per selezione, manifestano esigenze climatiche diffe- renti da quelle delle specie selvatiche da cui derivano. Nelle piante, altre modi- ficazioni dovute alla domesticità riguar- dano aspetti più o meno direttamente collegati all'impollinazione (per esempio nella palma da dattero si passa dall'anemocoria delle forme selvatiche alla antropocoria di quelle domestiche con un conseguente cambiamento del rapporto sessi che muta da circa 1:1 a circa 1:25-1:50), o connessi alla capacità di produrre frutti partenocarpici (come nel banano, negli agrumi coltivati e in alcuni cloni di peri e di fichi), o modifiche dei meccanismi di

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determinazione del sesso (nella vite, per esempio, si passa dalla dioecia tipica delle popolazioni selvatiche all'erma- froditismo delle forme coltivate). Ovvia- mente cospicue le modificazioni evolu- tive a carico di caratteri morfologici e fisiologici dei frutti e dei semi quali la taglia, la durezza, il contenuto in zuccheri, in olio, l'eliminazione di eventuali composti tossici e i miglio- ramenti di vari aspetti del sapore, lunghezza e tenacia delle fibre, ecc. (Zohary e Hopf, cit.). Come per le piante, gli effetti dell'addomesticamento sugli animali sono molteplici ed eterogenei. Nei mammiferi i primi stadi della domesticazione sono di norma accompagnati da una diminuzione della taglia corporea che poi negli stadi avanzati potrà essere mantenuta maggiore o minore di quella dei progenitori selvatici. Aumenta la variabilità del colore del pelame e del disegno del manto, come pure sono più vistose e variate orecchie e coda; aumenta lo spessore dello strato adiposo sottocutaneo. Il cranio va incontro a molti cambiamenti: per esempio diminuisce in molte specie la dimensione del cervello, si riducono lo splancnocranio e la dimensione dei denti, la regione facciale; aumenta invece la variazione a carico delle corna. E' noto che la selezione può aumentare o diminuire la velocità di sviluppo ed è probabile che durante la domesticazione in molti casi sia accaduto qualcosa di simile. Ci sono evidenze che la domesticazione acceleri il raggiungi- mento dell'età adulta; questo avviene per esempio in molti animali da fattoria (Hale, 1969) e nel cane (ref. in Price, 1984); ma accade anche l'opposto: l'adulto può conservare tratti anatomici tipici dei giovani (deposizione di grasso sottocutaneo, mascelle più corte, ecc.). Se ne sono interessati I caratteri etologici, allora, cme nel caso del cane, si parla di neotenia comportamentale. Il comportamento del cane adulto

condivide molti aspetti con quello di un giovane di lupo; per esempio in entrambi c’è una forte predisposizione al gioco e una più bassa aggressività. L'idea è che il mantenimento nel cane adulto di moduli comportamentali tipici dei canidi giovani sia stato permesso in cattività dal rilassamento della selezione naturale su caratteristiche come l'aggressività non più indispen- sabili per assicurarsi il raggiungimento di quello stato sociale elevato che è necessario al successo riproduttivo. Di norma in cattività, infatti, la disponibilità delle risorse alimentari e genetiche è regolata dall'allevatore e il successo riproduttivo piuttosto che giovarsi di una spiccata aggressività, viene assicurato da doti di flessibilità e addomesticabilità che sono tipiche degli stadi giovanili (ref. in Price, cit.). Sebbenenlla storia evolutiva di Homo sapiens, iniziata circa 200.000 anni fa, l’addomesticamento debba essere considerato un processo assolutamente recente, tuttavia esso ha avuto un’influenza enorme per avere prodotto un forte aumento della biomassa alimentare e un decremento dell’in- costanza nella disponibilità delle risorse alimentari. Il cambiamento di un fattore biotico fondamentale, che ha influenza diretta sull’ N di popolazione (in particolare sul suo valore critico detto capacità portante dell'ambiente), è stato giudicato responsabile dello sposta- mento di individui di Homo sapiens sapiens da aree relativamente sature e con elevata pressione demografica verso aree in precedenza disabitate o demograficamente sottosature (rapporto di densità stimato stimato di 100:1). E' stato prima ipotizzato e poi ampiamente dimostrato che il fenomeno noto come "espansione demica" fu responsabile della diffusione dei geni umani (e di correlati culturali come le lingue) negli spazi geografici colonizzati dalle popolazioni in movimento (per un ampio resoconto si vedano Ammerman

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e Cavalli-Sforza, 1984 e il più recente Cavalli-Sforza et al., 1994). Sempre in un'ottica evolutiva merita considera- zione un ulteriore, benché indesiderato effetto dell'addomesticamento, anche esso collegato all'espansione demica, e cioè lo sviluppo di molte malattie infettive dovute al passaggio di virus, batteri ed eucarioti parassiti dagli animali domestici all'uomo. Zoonosi sono state descritte per molti mammiferi e uccelli domestici, semidomestici o semplicemente antropofili. Malattie come il morbillo, la tubercolosi e il vaiolo, per esempio, sono causate nella nostra specie da patogeni strettamente imparentati con quelli di molti bovini domestici; anche il maiale è attaccato da patogeni affini a quelli responsabili nell'Uomo dell'influenza e della pertosse, e sembra dimostrato che Plasmodium falciparum, lo sporozoo responsabile della forma più grave di malaria, sia evoluto per trasferimento dall'ospite aviario a quello umano (Waters et. al, 1991; citato in Diamond, 1997). E' certo che la scarsa igiene (anche in Europa, per esempio, ancora fino a pochi decenni or sono, c’era molta mescolanza e stretto contatto fisico tra uomini e animali), l'incremento della densità demografica e, più tardi, un'aumentata mobilità individuale hanno favorito nelle popolazioni umane l'esplosione di epidemie caratterizzate da tassi di mortalità anche elevatissimi. Domesticazione tra natura e cultura. - Un'antica tradizione eleusina narra che la postura eretta venne agli uomini dal giorno in cui Demetra donò loro i cereali e l'agricoltura e che prima di allora gli esseri umani camminassero a quattro zampe, come i neonati e gli animali quadrupedi. Traspare forte da questa credenza la consapevolezza del valore radicalmente innovativo dell'agricoltura per l'uomo. L'antichità del mito ci informa anche che il ruolo cruciale della domesticazione in

generale, come elemento fondante della natura culturale della nostra specie, fu pienamente avvertito già in un lontano passato, quando venne accolta l'idea che fosse attributo pienamente umano la capacità di modificare la natura, realizzando attraverso lo sforzo e gli artifici del lavoro un ordine nuovo, prima inesistente. Una capacità e un ordine che sono premessa e risultato di quello che la modernità chiama "gestione razionale della natura e delle sue risorse". In un certo senso, oggi le scienze naturali, la paletnologia e l'archeologia danno ragione di quel mito dimostrando che l'addomesticamento ha rappresentato un punto cruciale nel cammino dell'umanità, una svolta economica formidabile, un modificatore potente dell'evoluzione culturale e biologica della nostra specie. La domesticazione ha mutato anche il destino evolutivo di animali e piante. Molte delle loro caratteristiche biolo- giche, e in qualche caso la loro stessa esistenza, dipendono direttamente dall'intervento dell'uomo, dalle sue necessità, dai suoi progetti; possono rispondere alle sue esigenze alimentari, di protezione, di lavoro, di locomozione; possono riflettere idiosincrasie e rispecchiare valori estetici e gusti di un'epoca o di una società come dimo- strano le centinaia di razze di cani e di gatti, i pesci ornamentali cinesi e giap- ponesi, o l'industria internazionale della floricultura con le molte migliaia di cultivar di piante da fiori. Con lo sviluppo delle biotecnologie la nozione di addomesticamento andrà forse modificata. Qui l'addomesticamento compie un salto quantico, un progresso qualitativo: invece di agire sui fenotipi l'uomo sta imparando a modificare direttamente i genotipi. Le biotecnologie permettono il superamento della bar- riera allo scambio genico tra specie non imparentate: un ostacolo naturale contro cui le tecniche di selezione sono inefficaci. Le biotecnologie contempo-

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ranee consentono, inoltre, di costruire specie con genotipi del tutto nuovi; genomi inesistenti in natura che, grazie a procedure ottimizzate e mirate a risultati altamente specifici, possono esprimersi in un miglioramento qualitativo o quantitativo di prodotti e di processi di varia natura. Se è vero che nessuna altra pratica mette in crisi la nozione di <<naturale>> e di <<naturalità>> quanto l'addomestica- mento tradizionale, tanto più allora questo può essere detto delle biotecno- logie la cui capacità di rendere estrema- mente <<innaturali>> gli organismi sembra sfidare ancora una volta non solo la nostra intelligenza ma soprat- tutto la capacità della nostra specie di creare un nuovo sistema di valori in cui collocare e comprendere questa ulteriore forma di domesticazione. BIBLIOGRAFIA AMMERMAN A.J. , L. L. CAVALLI-SFORZA (1984) The Neolithic transition and the genetics of populations in Europe. Princeton U.P., Princeton (trad. it. Boringhieri, Torino 1986). CAVALLI-SFORZA L. L., MENOZZI P. e A. PIAZZA (1994) The history and geography of human genes. Princeton U.P., Princeton (trad. it., Adelphi, Milano 1997). CHAIX L., BRIDAULT A. e R. PICAVET (1997) A tamed brown bear (Ursus arctos L.) of the Late Mesolithic from La Grande-Rivoire (Isère, France)? Journal of archaeological Science 24: 1067-1074. CLUTTON-BROCK J. (1999) Domesticated mammals (2nd ed.). Cambridge U.P., Cambridge. DARWIN C. (1859) The origin of species. John Murray, London (trad. it. Newton Compton, Milano 1974).

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DIZIONARIO DI BIOLOGIA (diretto da Aldo Fasolo)

UTET, Torino, 2003: 8-14

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Agricoltura, un poliedro dalle mille facceCome tutti gli altri animali, anche la nostra specie per vivere ha bi-sogno di energia che il corpo ricava a livello cellulare mediante rea-zioni di ossidoriduzione di una grande varietà di composti chimicipresenti negli alimenti. A differenza delle altre specie animali,però, l’uomo non si limita a prelevare il cibo dalla natura, ma ora-mai da 10 mila anni produce i suoi alimenti attraverso l’agricolturae l’allevamento. Gli sviluppi dell’agricoltura, le sue trasformazionistoriche, i suoi successi e i suoi fallimenti sono macroscopicamen-te collegati a una terna di variabili bioecologiche: habitat disponi-bili per la coltivazione (superfici coltivabili, qualità pedologica deiterreni, acqua per irrigazione), tipi di organismi disponibili per laproduzione alimentare (specie e varietà di vegetali e animali), de-mografia umana (numero di individui da nutrire adeguatamente);a questo si aggiungono un insieme di saperi e di tecniche relative almiglioramento e all’innovazione di prodotto e di processo, e infinei fattori del mercato, visto che i prodotti agricoli come altri benipossono venire scambiati, di solito secondo le leggi della domandae dell’offerta. Tra le molte tecniche di cui l’agricoltura si serve ci so-no le applicazioni della genetica agraria, le agrobiotecnologie pro-duttrici di organismi geneticamente modificati, la chimica dei con-cimi, le tecnologie collegate alle difese dai patogeni, quelle propriedella meccanizzazione agricola, dello stoccaggio razionale dei rac-colti, le tecnologie di conservazione. Tra i tanti e differenti aspettieconomici, un ruolo strategico nell’ultimo ventennio del Novecen-to ha assunto la questione del protezionismo per cui molti Paesiricchi sostengono l’agricoltura interna ed erigono barriere all’im-portazione di prodotti dai Paesi più poveri del Terzo Mondo. Ol-tre ai rapporti con questioni ecologiche, genetiche ed economiche,l’agricoltura ha a che fare, spesso direttamente, anche con una se-

rie di problematiche sociopolitiche collegate alle esigenze e alle tra-sformazioni delle comunità e delle società nelle quali gli operatoridel settore a vario titolo si trovano ad agire. È il caso dell’impattosociale e demografico delle migrazioni interne ed esterne, da na-zione a nazione, dei lavoratori addetti all’agricoltura, al tempora-neo incremento della forza lavoro collegata al lavoro stagionale e, apartire dal secondo dopoguerra, alla sua diminuzione tendenziale

Cesto di grano al mercato di Harer,Etiopia

L’agricoltura di Saverio Forestiero

Nello sviluppo dell’agricoltura del Novecento il ruolo della scienza e dellatecnologia è stato sempre in crescita. Inizialmente attraverso il miglioramentogenetico delle varietà coltivate, più tardi con la produzione di nuove varietà perincrocio o per mutagenesi, e ancora con la razionalizzazione dei metodi dicoltura, di concimazione, di irrigazione, di raccolta e conservazione. La tendenzaall’aumento medio della produttività agricola ha percorso tutto il secolo; con le“rivoluzioni verdi” degli anni Venti e Cinquanta l’incremento riguarda il grano eil riso ed è la svolta per centinaia di milioni di persone. L’interesse agli aspettinutrizionali degli alimenti e la nascita delle agrobiotecnologie rappresentano dueulteriori progressi delle scienze agronomiche. L’attenzione per i problemiambientali connessi all’agricoltura è recente ma si va radicando l’idea chel’agricoltura del futuro debba essere sicura, sostenibile e a basso input esterno.L’impatto della moderna agricoltura sulle condizioni economiche e sociali dellepopolazioni rurali è molto pesante specialmente nelle aree più povere del sud delmondo. Ed è sempre più chiaro che lo sviluppo di molti di quei Paesi passa per laproduzione agricola commerciale a patto però che il mercato mondiale siaregolato equamente e non manipolato dalle politiche protezionistiche dei Paesieconomicamente più forti.

���Seicento, Storia: Dallarifeudalizzazione allarivoluzione agricola

���Seicento, Scienza etecnologia: Storia naturale e agronomia

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L’agricoltura

���Settecento, Storia: La rivoluzione agricola

nei Paesi occidentali in conseguenza dell’accresciuta meccanicizza-zione, automazione e industrializzazione delle pratiche agricole ezootecniche. Nel Novecento i progressi dell’agricoltura e il suo impatto sulla so-cietà sono stati influenzati anche dal rapporto locale/globale (gio-cato sul piano ecologico e su quello economico), dalla nostra relati-va ignoranza della natura dei vincoli ecologici da rispettare (si igno-ra, per esempio, il reale impatto ecologico dell’incremento delle ter-re coltivabili sottratte alle foreste tropicali pluviali sulla biodiversitàtassonomica, sulla funzionalità degli ecosistemi, sulla circolazioneatmosferica e oceanica, dunque sul clima) e dai problemi sanitari,umani e veterinari, connessi con le pratiche agricole e zootecniche(la stretta vicinanza fisica tra uomini e animali degli allevamenti in-tensivi in Cina e in altri Paesi asiatici ad alta densità demografica,sembra facilitare i cambiamenti di ospite e la trasmissibilità di pato-geni di polli, maiali e altre specie domestiche). È chiaro perciò che,anche se il cuore dell’agricoltura resta l’insieme delle conoscenze edelle pratiche collegate alla produzione di cibo per l’alimentazioneumana e degli animali di cui l’uomo si nutre, tuttavia i problemi af-frontati dalle scienze e dalle tecnologie agronomiche non sono limi-tabili a singoli campi specialistici ma riguardano sempre più spessoe intensamente il modello globale di sviluppo socio-economico diintere grandi comunità. Al giorno d’oggi, infatti, non si tratta tantodi aumentare la produzione alimentare, il problema è piuttostoquello di garantirne un’equa distribuzione. L’economista indianoAmartya Sen, premio Nobel 1998 per l’economia, sostiene nei suoiscritti che la causa maggiore delle carestie non va cercata nella scar-sità di cibo ma piuttosto in fattori sociali ed economici, certamentepiù difficili e complessi da governare di quelli legati alla produzio-ne di alimenti. Un approccio sistemico ai problemi dell’agricolturapiù che portare alla semplice lotta contro la fame attraverso l’au-mento della produzione può comportare la lotta contro le condi-zioni di povertà in cui vivono molte centinaia di milioni di essereumani.

MigliorieSu 320 mila specie di piante vascolari, cioè dotate di tessuti cavi uti-lizzati per il trasporto delle sostanze nutritive, l’uomo ne ha addo-mesticate sinora circa 2.500. Un centinaio di queste specie sono digrande importanza alimentare, ma solo una ventina sono fonda-mentali per l’alimentazione umana. Le otto più importanti piantecoltivate (grano, riso, mais, orzo, avena, segale, miglio, sorgo) sonotutte graminacee coltivate già millenni o secoli addietro. I progressidell’agricoltura nel Novecento non riguardano perciò la domestica-zione di nuove specie selvatiche ma piuttosto l’incremento della re-sa per unità di superficie coltivata. Questo ha permesso tra gli anniSessanta e Settanta di produrre calorie sufficienti al fabbisognomondiale annuo. Questi progressi vengono dalla creazione di cultivar – ossia di va-rietà coltivata di una specie, da cui l’abbreviazione – attraverso pro-cedimenti di selezione dei fenotipi dotati di caratteristiche idoneealle varie esigenze dei coltivatori. La genetica è nata nell’Ottocentoindagando le caratteristiche ereditarie di una pianta ortiva, il pisel-lo, e, con la scoperta delle leggi di Mendel, si è sviluppata grazie al-le indagini di tre genetisti vegetali. L’ibridazione del mais iniziatanegli Stati Uniti nel 1910 ha portato a un fortissimo incremento del-la produzione a partire dagli anni Trenta. Gli studi di Thomas H.Morgan (1866-1945) su Drosophila, il moscerino della frutta e del-l’aceto, chiarirono il ruolo dei cromosomi come sedi del materialeereditario. Particolarmente decisivi sono stati gli studi sull’endoga-mia attraverso cui si individuarono i limiti degli incroci tra parenti,capaci di fare emergere caratteri recessivi nocivi. Altrettanto importanti sono stati quelli sull’esogamia praticataquando, incrociando individui di razze differenti, si vogliono intro-durre caratteri nuovi e vantaggiosi in una popolazione. In questomodo negli anni Trenta furono gettate le basi scientifiche dellascienza della riproduzione animale. Insieme a queste tecniche van-no ricordate quelle di inseminazione artificiale sviluppate in Russiae da lì diffuse in tutto il mondo. Anche l’acquacoltura ha compiuto

La coltivazione a terrazzamenti

���Ottocento, Storia:Campagne e capitalismoagrario, Le trasformazionidell’ambiente fisico

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Scienza e tecnologia � “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

progressi passando dalla modalità estensiva a quella intensiva tecni-camente molto più avanzata e sostenuta da input energetico; il nu-mero delle specie di pesci, crostacei e molluschi allevati è cresciutoe l’uso di gabbie ha permesso l’allevamento commerciale anche dispecie marine. Nel Ventesimo secolo l’incremento di produttivitàha riguardato quasi tutte le colture agricole, ma in modo molto for-te quelle cerealicole. Lo stesso si osserva nella produttività animale;per esempio nei confronti del latte vaccino, del peso medio dellemucche, del numero di agnelli per pecora, oppure rispetto al con-tenuto di grasso del latte, al peso della lana per pecora, al numerodi uova per gallina, ecc. L’incremento di produzione è da ricollegarsi per la prima parte delsecolo a metodi di coltivazione più efficaci e per la seconda parte almiglioramento genetico delle sementi. Naturalmente la faccenda èmolto complicata e non è possibile una valutazione precisa del pe-so netto del miglioramento genetico sulle rese visto che nel frattem-po veniva anche ridotta l’influenza di fitoparassiti e infestanti o au-mentata la fertilità dei suoli attraverso concimazioni mirate. Inoltrenon va dimenticato che si sono avuti miglioramenti delle qualità nu-trizionali dei prodotti. Con l’ingresso delle biotecnologie si è aper-to un nuovo orizzonte per l’agricoltura. Gli obiettivi possibili sonomolteplici, alcuni, come la produzione di cereali ingegnerizzati ar-ricchiti di vitamine, OGM (Organismi Geneticamente Modificati)capaci di sintetizzare nuovi principi nutritivi o molecole di interes-se farmacologico, sono assolutamente inediti. L’opinione pubblica,tuttavia, è in molti casi perplessa e interroga i ricercatori sull’esi-stenza di eventuali problemi di biosicurezza. Il rifiuto delle biotec-nologie avrebbe conseguenze negative per tutta l’umanità; la que-stione è delicata e i protagonisti del dibattito (scienziati, società ci-vile, mondo dell’informazione) hanno il dovere di confrontarsi por-tando nel dibattito competenza, chiarezza, onestà intellettuale.

Rivoluzioni verdiNel 1944 l’americano Norman E. Borlaug (1914-) inizia a lavorarein Messico come genetista agrario e patologo vegetale a un pro-gramma di ricerca sul grano. In accordo con il governo messicano eper conto delle Fondazioni Rockefeller e Ford, Borlaug fonda uncentro internazionale per il miglioramento genetico del mais e delgrano. Lo scopo principale è quello di creare un tipo di frumentoresistente alle ruggini nere che regolarmente ne distruggono i rac-colti. Borlaug ha successo e alla fine degli anni Cinquanta incrociail grano messicano con una varietà giapponese resistente all’alletta-mento, ossia alla piegatura verso terra dei fusti. Così la resa dellanuova varietà è raddoppiata e il grano messicano di Borlaug attec-chisce anche in Pakistan. Nel 1962 Borlaug crea nelle Filippine uncentro di ricerca sulla risicoltura da dove in pochi anni escono ec-cezionali varietà di riso. In questo modo l’agricoltura tropicale com-pie un enorme progresso e in parte recupera il ritardo su quella deiPaesi temperati; milioni di persone sono sottratte alla fame. Nel1970 a Borlaug viene conferito il premio Nobel per la pace. In realtà anche in Italia, e con più di trent’anni in anticipo rispettoa Borlaug, era avvenuta un’analoga rivoluzione verde quando ilmarchigiano Nazzareno Strampelli (1866-1942), agronomo pressola Stazione sperimentale di granicoltura di Rieti, dopo 14 anni di ri-cerca e centinaia di incroci produce nel 1917 la varietà “Carlotta”(dal nome della moglie) di grano tenero. I geni chiave erano per lariduzione della taglia e l’insensibilità al fotoperiodo, cioè il periododi esposizione della pianta alla luce. Con Strampelli si compie la ri-voluzione verde italiana; nel ventennio fascista l’Italia si affrancadall’importazione di frumento per la panificazione. In un secondomomento fu la volta del grano duro; si selezionano varietà in baseall’altezza del culmo, l’allettamento, la tardività, il periodo di fiori-tura e il numero di spighette. La resa passa da circa una tonnellataper ettaro nel 1920 a tre tonnellate per ettaro nel 1996 (nello stessoperiodo quella di grano tenero passa da una tonnellata a cinque ton-nellate). I grani di Strampelli furono diffusi in tutto il mondo: Mes-sico, Argentina, Brasile, Russia, Spagna. Alla fine degli anni Qua-ranta le varietà di Strampelli vengono piantate in Cina su di un ter-ritorio grande 10 volte l’Italia. La produzione cinese ne esce quin-tuplicata. La rivoluzione verde inaugurata da Strampelli e da Bor-laug ha interessato molti Paesi asiatici e dell’America Latina ma nonha avuto alcun riscontro in Africa dove tuttora un terzo della popo-lazione adulta subsahariana è malnutrita. In Africa le rese per etta-ro sono minori che altrove e nel 60 percento dei Paesi negli ultimianni del Novecento la produzione è addirittura diminuita. La diffu-sione dell’AIDS e le guerre locali aggravano la situazione africanasottraendo forza lavoro all’agricoltura, d’altra parte la scarsezzad’acqua non permette l’avvio delle colture come il riso e il frumen-

� �Amartya Sen – Sviluppo e libertà

� �

Secondo Amartya Sen lo sviluppo non è altro cheun processo di “enlarging people choices”, tendentecioè ad aumentare le possibilità di scelta degli individuie, in particolare, a eliminare quelle illibertà che impe-discono alle persone di lottare contro le privazioni. Lalibertà, secondo la celebre formulazione dell’economi-sta indiano, è un fattore costitutivo dello sviluppo; li-bertà economiche e politiche si rafforzano a vicenda.Una scoperta di Sen, rimasta giustamente famosa, è chenon si sono mai verificate carestie in una democrazia,per quanto povera; le carestie hanno invece colpito ter-ritori coloniali, dittature e Stati a partito unico. La Cina

ad esempio, rispetto all’India, si è integrata con maggiorsuccesso nell’economia di mercato, grazie soprattutto auna diffusa alfabetizzazione di base, mentre l’India pa-ga le conseguenze della sua noncuranza nei confrontidell’istruzione e dell’assistenza sanitaria con uno statodi grave arretratezza sociale. Tuttavia, dalla conquistadell’indipendenza, in India non si sono più verificatecarestie, mentre quella sofferta dalla Cina dal ‘58 al ‘61(che fece 30 milioni di vittime) è attribuita da Sen allamancanza di libertà democratiche: solo se i governantidevono rispondere al popolo, sostiene Sen, saranno in-centivati ad assecondarne i bisogni.

Analisi a infrarossi di una pianta di sorgoAnalisi fatta nell’ambito di un progetto finalizzato aselezionare una varietà di piantadi sorgo più resistente allecondizioni ambientali, daimpiegarsi per la produzione di combustibili biologici.

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Mais geneticamente modificato in gradodi resistere all’azione dei fertilizzanti

to su cui si è fondata la rivoluzione verde asiatica favorita anche dal-l’esistenza di funzionali infrastrutture viarie, dall’impiego di conci-mi, dall’esistenza di tradizioni locali di monocolture, tutte condi-zioni che non si ritrovano nei paesi africani. Tuttavia le nuove bio-tecnologie possono rappresentare una formidabile occasione diprogresso per l’agricoltura africana e più in generale per l’agricol-tura dei Paesi poveri e di quelli emergenti, visto che il 90 percentodei coltivatori di piante transgeniche è rappresentato da contadinipoveri di questi Paesi. Naturalmente la questione è complessa el’applicazione con successo delle agrobiotecnologie in Africa è osta-colata dalle varie regolamentazioni nazionali sull’impiego di pianteingegnerizzate, dai pregiudizi e dai timori che le popolazioni deiPaesi occidentali hanno verso gli OGM, dalle questioni commer-ciali legate al pagamento di royalties, dalla diffidenza di molti agri-coltori e governi africani verso l’agricoltura biotech.

Agricoltura e ambienteI vistosi cambiamenti nella vegetazione terrestre e nella destinazio-ne dei suoli durante il Ventesimo secolo sono legati all’espansionedell’agricoltura. Attualmente oltre il 30 percento della superficiemondiale coperta da vegetazione è costituita da piante coltivate (ildoppio rispetto a inizio secolo). I suoli non ghiacciati e sabbiosi delpianeta ammontano a circa 133 milioni di ettari, pari a poco menodel 30 percento della superficie planetaria; di questa superficie po-co più del 25 percento circa è coltivabile; e se all’inizio del Nove-cento è coltivata una superficie di suoli pari all’Australia (circa ottomilioni di ettari), alla fine degli anni Novanta la superficie coltivataeguaglia quella del Sudamerica (circa 17 milioni di ettari). Da quan-do esiste l’agricoltura, l’ampiezza delle superfici coltivate e quelladelle aree destinate ai pascoli sono andate crescendo a scapito dellearee boschive e ancora di più a scapito delle praterie e delle areesteppiche adatte a soddisfare la crescente richiesta di granaglie. Ladomanda di cereali ha avuto un’impennata specialmente in conco-mitanza con l’espansione demografica del Novecento. Nel 1930 l’e-stensione delle aree coltivate era quattro volte superiore a quella del1700, nel 1990 era sei volte superiore. In alcuni casi è stata la politi-ca, attraverso l’imposizione di piani programmatici pluriennali, aindurre cambiamenti dell’ambiente.Nell’ex Unione Sovietica, durante la seconda metà degli anni Cin-quanta, Mosca decide di aumentare la produzione cerealicola del-l’Unione innalzando il rendimento delle vecchie colture e aumen-tando le superfici arabili e seminabili a cereali. In meno di un de-cennio si procede così al dissodamento di amplissime fasce delleterre nere delle steppe kazache destinate alle colture di miglio e gra-no; le terre vergini transuraliche vennero rapidamente colonizzateda molte centinaia di migliaia di persone, vennero fondati nuovicentri abitati, furono costruiti impianti agricoli, autorimesse e offi-cine per i trattori. L’impiego di fertilizzanti fu massiccio; così purequello di pesticidi. L’impatto ecologico di questa estensivizzazionedell’agricoltura fu enorme ma forse meno drammatico di quello in-dotto negli stessi anni dalla coltivazione del cotone in Uzbekistan.La coltura del cotone richiede molta acqua, una risorsa che non po-teva essere garantita dalle scarse precipitazioni dell’Uzbekistan,un’area continentale tipicamente semidesertica. I pianificatori so-vietici decisero allora di ricorrere all’irrigazione artificiale prelevan-do l’acqua dai fiumi della rete idrografica. I due più grandi fiumidella regione, immissari del lago d’Aral, l’Amu-Darya a sud e il Syr-Darya a nord-est, in territorio kazaco, furono deviati e l’acqua fu in-canalata artificialmente verso gli immensi campi di cotone. Nel girodi pochi anni fu evidente che il lago d’Aral, diviso tra Kazakistan a

nord e Uzbekistan a sud, che all’epoca per estensione era il terzogrande lago della Terra (68.700 km2), si stava ritirando. A partire dal1960, in circa quarant’anni, la superficie si è più che dimezzata, ilvolume d’acqua si è ridotto di oltre l’80 percento, la superficie libe-ra si è abbassata passando da 53 m slm a 35 m slm; naturalmente lasalinità è cresciuta, di oltre quattro volte. Di conseguenza la faunaittica è stata decimata, passando da 24 a quattro sole specie. Moltedelle specie di uccelli, mammiferi e rettili, per limitarsi ai soli verte-brati, che popolavano le aree umide attorno al grande lago sonoscomparse. Venendo meno la massa d’acqua e la sua azione mitiga-trice, il clima ha assunto un più spiccato carattere continentale coninverni più freddi ed estati più calde; l’aridità è aumentata in tuttala regione. Di conseguenza l’evaporazione è superiore alle precipi-tazioni e allora il livello del lago continua a diminuire per effetto delmutamento climatico indotto. Questo scompenso idrologico haprodotto l’innalzamento della falda freatica che a sua volta ha pro-vocato la salinizzazione dei suoli diventati praticamente inservibiliper l’agricoltura a meno di costosissime bonifiche. Inoltre la deser-tificazione dei suoli in cui si trovano concentrate grandi quantità disale ne favorisce la degradazione e la polverizzazione; si calcola cheogni anno i venti che spirano sull’Aral trasferiscano nell’atmosferae trasportano in molte aree del pianeta molte decine di milioni ditonnellate di polveri salate. Anche la geografia è mutata; a seguitodell’abbassamento del livello del lago, una piccola isola posta al cen-tro del bacino meridionale si è unita alla terraferma per emersionedel fondale. Attualmente una specie di penisola separa quasi com-pletamente il lago in due bacini residui, uno settentrionale e unomeridionale. Naturalmente il collasso ecologico del lago d’Aral haindotto una serie di contraccolpi economici (crollando la pesca in-fatti è venuta meno la maggiore risorsa economica delle popolazio-ni del lago ed è imploso l’indotto manifatturiero collegato all’indu-stria della pesca) e di crisi sociali (rapido aumento della disoccupa-zione, peggioramento delle condizioni igieniche. cronicizzazione dimalattie, disgregazione delle famiglie e delle comunità) che si sonosaldati ai problemi politici generati negli anni Novanta dal disfaci-mento dell’ex Unione Sovietica. La tragedia ambientale, perché diquesto si tratta, e umana del lago d’Aral rappresenta un esempioperfetto degli effetti destabilizzanti scatenati da politiche agricolemiopi, incapaci di tenere nel debito conto i delicati equilibri degliecosistemi in cui l’agricoltura viene praticata.

���Novecento*, Storia:Ambiente e ambientalismo,Il fenomeno delladeruralizzazione

���Novecento*, Scienza e tecnologia: Dall’eticamedica alla bioetica,Dall’ingegneria genetica al progetto genoma umano, La biodiversità, La genetica

L’agricoltura

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Il progetto delle Nazioni Unite sulla valutazione dellabiodiversità globaleNonostante il successo limitato (gli Stati Uniti non ne hanno firma-to la Convenzione relativa), la Conferenza delle Nazioni Unite sul-l’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) tenuta a Rio de Janeiro nelmaggio 1992 ha dato al tema della biodiversità una risonanza enor-me, come mai prima era accaduto. La biodiversità (dall’inglese bio-diversity, contrazione di biological diversity) è un oggetto di studioche genetisti, sistematici ed ecologi indagano da decenni anche se laparola risale solo agli anni Ottanta del Novecento. Fino ad allora ildiscorso sulle differenze tra i viventi era rimasto circoscritto agli ad-detti ai lavori. Poi, a metà degli anni Ottanta, quando diventa chia-ro che le estinzioni di piante, animali e la perdita di interi ecosiste-mi stanno procedendo così velocemente da mettere in pericolo an-che il benessere della nostra specie, la biodiversità diviene tema didiscussione anche fuori dei circoli scientifici. La nozione si è subitocaricata di elementi extrabiologici: economici, politici, giuridici edetici. A quel punto, il discorso sulla biodiversità, ampliato fino acomprendere riflessioni sui costi economici e sociali delle violentemodificazioni antropiche dell’ambiente, si è trasformato in un di-scorso sul “problema della biodiversità”, sulla perdita di biodiver-sità. Accanto alla nozione scientifica si è rapidamente sviluppato ungrande dibattito socialmente costruito che, focalizzandosi sul pro-gressivo impoverimento delle ricchezze biologiche, rilancia la rifles-sione sul rapporto uomo-natura e sull’indispensabile compromessotra necessità ambientali e necessità dello sviluppo economico; esi-genze tradizionalmente conflittuali nella società moderna. La Con-venzione sulla diversità biologica, firmata da 159 dei 183 Stati par-tecipanti alla conferenza di Rio del 1992, aveva come obiettivo ge-nerale la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle ri-sorse biologiche, nonché la distribuzione giusta ed equa dei benefi-ci derivati dall’uso delle risorse genetiche. Se da una parte l’esisten-za di un problema della biodiversità e la conseguente necessità diavviarlo a soluzione sono stati riconosciuti da tutti i partecipanti al-la conferenza di Rio, d’altro canto tutti si sono anche trovati d’ac-cordo nel giudicare il patrimonio di conoscenze di base sulla biodi-versità ancora troppo esiguo e lacunoso per fondarvi sopra scelte dimedio e lungo termine di natura politica ed economica. Partendodal presupposto che la biodiversità è una risorsa vitale per la popo-lazione mondiale odierna e per le future generazioni e che pertantola sua conservazione è irrinunciabile, la comunità internazionale, at-

traverso il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), hainiziato ad attuare la Convenzione sulla Diversità Biologica com-missionando uno studio sull’insieme delle conoscenze oggi esisten-ti sulla biodiversità. L’enorme lavoro di ricognizione degli aspettibiologici e sociali della biodiversità, promosso dall’UNEP e soste-nuto dallo strumento finanziario rappresentato dal Global Environ-mental Facility (GEF), ha prodotto un’analisi critica del problema,la Valutazione della Biodiversità Globale (Global Biodiversity As-sessment – GBA). Sotto forma di volume, la GBA sintetizza in 1140pagine l’immensa ed eterogenea quantità di dati e di principi teori-ci a fondamento degli studi sulla biodiversità. Bisogna riflettere suun aspetto peculiare della GBA: esso rappresenta il primo insiemedi conoscenze altamente integrate e aggiornate sulla biodiversitàdell’intera biosfera, tanto più sorprendente se si pensa che è stato

Esemplare di Sula nebouxiifotografata sulle isole Galapagos

La biodiversità di Saverio Forestiero

Ricchezza di specie, di geni e di ecosistemi; la nozione di biodiversità si fonda suuna concezione gerarchica dei viventi e ne mette in luce le differenze rispetto alladimensione genetica, tassonomica, ecologica. Biodiversità è un concettomoderno, ha carattere sintetico, presenta risvolti teoricamente interessanti per lagenetica, la biosistematica, l’ecologia e la biogeografia, viene impiegato inambito applicativo (conservazione della natura, agricoltura, didattica ecomunicazione delle scienze naturali). Recenti studi comparativi dimostranol’esistenza di una forte correlazione spaziale tra diversità tassonomica-ecosistemica e diversità linguistica di alcuni gruppi umani, nonché tra i fenomenidi estinzione delle specie e delle lingue.

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ottenuto in poco meno di tre anni di lavoro. La comunità interna-zionale dei ricercatori è riuscita a superare molte difficoltà sia di or-dine concettuale sia di ordine pratico: dalla pianificazione all’orga-nizzazione del lavoro; dall’eterogeneità dei problemi sul reperimen-to e l’organizzazione delle conoscenze all’attuazione rapidissima delprogetto; dalle innumerevoli diverse opzioni tematiche tra cui sce-gliere alla complessa articolazione delle gerarchie di coordinamen-to in cui compaiono istituzioni politiche, economiche, musei, uni-versità, parchi nazionali e altre istituzioni scientifiche, insieme amolte centinaia di biologi, ecologi, economisti, specialisti di singolisettori della ricerca direttamente coinvolti nel GBA.

Le componenti della biodiversitàDisponiamo di una decina di differenti definizioni di “diversità bio-logica-biodiversità”, e tutte in qualche modo enfatizzano la molte-plicità di dimensioni e di livelli a cui la varietà dei viventi si manife-sta e può essere osservata. La più antica è stata elaborata nel 1987dall’Ufficio per la Valutazione della Tecnologia (OTA), presso ilCongresso degli Stati Uniti d’America: “La diversità biologica si riferisce alla varietà e alla variabilità degliorganismi viventi e ai sistemi ecologici in cui essi si trovano. La di-versità è definibile come il numero e la frequenza relativa di diffe-renti oggetti. Nel caso della diversità biologica questi oggetti si tro-vano a diversi livelli di organizzazione: dagli ecosistemi nel lorocomplesso alle strutture chimiche che costituiscono le basi moleco-

lari dell’eredità. Pertanto il termine comprende i differenti ecosiste-mi, le specie, i geni nonché le loro abbondanze relative ”.La biodiversità rappresenta, dunque, l’insieme delle differenze os-servabili tra gli esseri viventi. Tali differenze possono essere descrit-te in rapporto ai geni, alle specie e agli ecosistemi ed espresse attra-verso delle misure quantitative. Qualsiasi caratterizzazione dellabiodiversità deve rifarsi ai saperi di tre discipline: la genetica che for-nisce la descrizione dello stato della variazione intra e interspecifi-ca; la sistematica che dà una rappresentazione organizzata delle dif-ferenze tra tutte le specie di organismi; l’ecologia che ricerca le re-gole che presiedono al funzionamento dei grandi sistemi ambienta-li in cui la diversità genetica e quella tassonomica si trovano neces-sariamente integrate.Consideriamo dunque la diversità genetica. La biologia insegna chel’essere differenti è una caratteristica propria dei viventi. La diffe-renza è un attributo che fonda l’individualità degli organismi e co-stituisce una condizione necessaria alla loro evoluzione. La diversitàgenetica, in particolare, consiste nell’insieme di tutte le differenzeereditabili esistenti tra gli individui in una popolazione, e tra le di-verse popolazioni, differenze che sono riconoscibili a livello genico.Essa è riconducibile alle differenze di sequenza nelle coppie di basidegli acidi nucleici. Le novità genetiche compaiono per mutazione.La struttura e il numero dei cromosomi, come pure la quantità diDNA contenuto in una cellula (dimensione del genoma) costitui-scono alcuni tipi di diversità genetica. Nei batteri, per esempio, ledimensioni dei genomi variano ampiamente da 6x105bp a più di 107

bp (coppie di basi componenti il DNA). Il genoma del micoplasma,uno dei più piccoli organismi procarioti, contiene circa 400 geni,mentre negli altri batteri il numero di geni varia tra 500 e 8 mila. Lamaggioranza degli eucarioti possiede, invece, qualcosa come 50 mi-la geni e un contenuto di DNA estremamente differente, variabiletra 8,8 x 106 bp e 6,9 x 1011bp (nell’uomo sono state stimate 3 x 109

bp). Tuttavia è a livello delle popolazioni e delle specie che la diver-sità genetica è stata studiata in grande dettaglio. La grandissimamaggioranza delle specie vegetali e animali, infatti, mostra caratterivariabili sia nella stessa popolazione, sia tra popolazioni diverse del-la stessa specie. La variabilità dei caratteri ereditabili è importanteper la sopravvivenza delle specie, e quindi per la conservazione del-la biodiversità, perché, grazie alla selezione naturale, permette allepopolazioni di cambiare la propria costituzione genetica nel corsodel tempo, adattandosi ad ambienti mutevoli. Quanto più è piccolala variabilità genetica di una specie tanto più lento sarà il suo cam-biamento evolutivo e minore, perciò, la sua capacità di sopravvive-re e adattarsi geneticamente ai cambiamenti ambientali.Per diversità tassonomica si intende, restrittivamente, il numero dispecie presenti in un habitat o in un luogo circoscritto. Taxon si di-ce di un qualsiasi gruppo di organismi sufficientemente distinto daaltri organismi, in possesso di un nome e collocato a uno dei livelli

� �La sistematica biologica

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La sistematica è quella parte della zoologia e del-la botanica che cerca di ordinare gli organismi ingruppi, appartenenti ai diversi livelli di un sistema,(specie, generi, famiglie ecc.), a seconda dei rapportie delle affinità tra i gruppi stessi.

I criteri usati per costruire la sistematica sono statidiversi nel tempo: esigenze di caccia, pesca e in ge-nerale di sopravvivenza hanno dato origine a classifi-cazioni legate alla stagionalità, ai metodi di cattura,alla pericolosità o meno degli animali. All’inizio la si-

stematica fu una catalogazione degli animali e dellepiante in base a somiglianze morfologiche; oggi, tut-tavia, le conoscenze di anatomia comparata, di em-briologia, di biochimica forniscono altri elementi divalutazione. L’attenzione si è spostata sulle popola-zioni e su fenomeni biologici complessi, la cui spie-gazione necessita del contributo di diverse discipline.Inoltre la sistematica attuale è basata su criteri evolu-tivi, nel tentativo di stabilire i vincoli di parentela fragli organismi.

Bambini appartenenti a etnie diverse

���Ottocento, Storia: Le trasformazionidell’ambiente fisico

Scienza e tecnologia � “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

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della gerarchia. Ad esempio Homo sapiens e Canidi sono due taxacollocati a due distinti livelli gerarchici; uno è una specie, l’altro èuna famiglia. Il punto di vista tassonomico della biodiversità è di-ventato in poco tempo così popolare che il numero di specie si è af-fermato ovunque sui media come sinonimo di biodiversità toutcourt anche se è solo una delle tre componenti della biodiversità. Ladiversità di specie dell’intera biosfera corrisponde al totale dellespecie animali, vegetali, fungine e batteriche esistenti sul pianeta. Lestime sulle specie esistenti variano da un minimo di 3-10 milioni (se-condo l’ecologo britannico Robert May, 1990) fino a 30 milioni (è lastima di Thomas Erwin, 1982) fino a massimi compresi nell’inter-vallo 50-100 milioni (secondo uno dei massimi esperti di biodiver-sità tassonomica, Edward O. Wilson di Harvard, 1992). Stime pru-denziali circa la diversità totale riportano 12-13 milioni di specie,fornendo un quadro in cui spiccano gli Insetti con i 2/3 del totale, ifunghi e i microrganismi. Anche il numero delle specie conosciutenon è accertato. Una delle stime più attendibili delle specie note al-la scienza le valuta intorno ai 2 milioni (in Italia sono registrate ol-tre 5.600 specie di piante e 55.600 specie di animali). Lo studio del-la diversità tassonomica sta alla base della sistematica biologica: di-sciplina che identifica, classifica e dà un nome ai diversi tipi di or-ganismi esistenti. Quanto più una specie è filogeneticamente di-stante dalle altre, cioè quanto più rappresenta un ramo isolato nelgrande albero della vita, tanto più essa contribuisce all’estensionedella biodiversità.Le differenze ecologiche sono le più difficili da definire. Il peso del-l’habitat (cioè dei fattori non biologici come la temperatura, l’umi-dità, la salinità, il pH ecc.) sulle differenze tra ecosistemi può esse-re grandissimo. Si pensi anche solo alle differenze tra ecosistemi ac-quatici ed ecosistemi subaerei-terrestri, e quindi alla differenza trabiodiversità terrestre e biodiversità marina. Anche la diversità eco-logica è articolata in più livelli gerarchici, da quello popolazionisti-co, a quello di nicchia, di habitat, di ecosistema, di paesaggio, dibioma, cioè del complesso di ecosistemi di una data area contrad-distinta da un certo tipo si vegetazione. Una migliore caratterizza-zione si ottiene individuando tre componenti principali (dette ri-spettivamente a ß ? della diversità ecologica distinguibili tra di loroa seconda della scala spaziale di osservazione e misura. La diversitàecosistemica viene di solito indagata localmente e limitatamente al-le biocenosi, le componenti viventi di un ecosistema, rapportandomatematicamente la ricchezza di specie (il numero di specie pre-senti in quell’ecosistema) alla loro abbondanza relativa (numero diindividui presenti in ciascuna specie).

Storia e geografia della biodiversitàLa biodiversità oggi osservabile è il risultato di un processo storicolunghissimo iniziato tra 3.900 e 3.400 milioni di anni fa (Ma) con lacomparsa della vita sul pianeta. Considerando il fatto che l’evolu-zione biologica è un fenomeno irreversibile (potendo cominciaredaccapo, la storia della vita sulla Terra sarebbe sicuramente diversada quella che conosciamo) ne deriva che l’attuale biodiversità è unfenomeno contingente, storicamente determinato. Dallo sfocato pa-norama della ricostruzione paleontologica spiccano chiari due ele-menti: il fatto che la diversità macrotassonomica (intesa come ric-chezza di tipi organizzativi) ha raggiunto il suo apice circa 530 Mafa nel Cambriano; il fatto che la diversità di famiglia e di specie è an-data aumentando dal Cambriano al Pleistocene con poche battuted’arresto, in corrispondenza delle fasi, di solito brevi e isolate, diestinzione di massa. Un durissimo colpo alla biodiversità venne dal-la terribile catastrofe del tardo Permiano, la terza delle cinque gran-

di estinzioni (Ordoviciano 440 Ma, Devoniano 365 Ma, Permiano225 Ma, Triassico 210 Ma, Cretaceo 65 Ma) che fu innescata da unrapidissimo raffreddamento della Terra che provocò la scomparsadi circa il 95 percento delle specie animali marine.La distribuzione geografica della diversità tassonomica (numero dispecie presenti in un’area) sulle terre emerse non è uniforme. La di-versità generalmente è elevata nelle aree calde e umide del globo, di-minuisce dall’equatore verso i poli e con l’aumento dell’altitudine.Negli oceani, poi, esiste correlazione tra diversità tassonomica eprofondità. Per gli organismi pelagici la massima ricchezza tassono-mica si situa tra –1.000 m e –1.500 m di batimetria. Le aree del pianeta a più alta diversità di specie sono le regioni cir-cumequatoriali dove gli ecosistemi di foresta pluviale (circa il 7 per-cento delle terre emerse) forse contengono oltre il 90 percento ditutte le specie conosciute. Nelle regioni temperate manifestano

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La biodiversità

Una sala dedicata alla biodiversitàall’interno del Museo di Storia Naturaledi New York

Esemplare di koala con cucciolo al colloQuesti marsupiali, che oravivono quasi esclusivamente inAustralia, sono, dopo imonotremi, i mammiferi piùprimitivi; la loro esistenza nelLaurenziano è testimoniata dareperti fossili dall’inizio delCretaceo.

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grande ricchezza di piante le zone a clima mediterraneo del SudAfrica con 8.600 specie e dell’Australia Occidentale con oltre 5.500specie. L’esistenza di tali gradienti geografici della biodiversità hacause molteplici non ancora ben comprese, ma collegabili, comun-que, alle condizioni facilitanti la formazione e il mantenimento dinuove specie. Speciazione e conservazione della ricchezza di specie

sono fenomeni che sembrano favoriti nelle aree equatoriali-tropica-li da condizioni climatiche pressoché ottimali, relativamente inalte-rate per decine o centinaia di migliaia di anni. Mentre alcuni habitat, come quello della foresta tropicale pluviale oquello della barriera corallina, sono ricchissimi di specie, altri, comeper esempio l’habitat della tundra o quello del semideserto, sonopoveri di specie, pur ospitando animali e piante biologicamentemolto interessanti. Differenti valori di biodiversità tra siti differentidipendono innanzitutto dalla superficie considerata e poi, ovvia-mente, dalla scala a cui la diversità è misurata. Il numero di speciepresenti in un’area aumenta con la superficie dell’area campionata.Anche a parità di superficie, tuttavia, alcune aree sono particolar-mente ricche di specie rispetto ad altre e costituiscono dei centri didiversità locale. Un’importantissima componente geografica delladiversità è data dalle specie endemiche, specie, cioè che sono esclu-sive di un’area considerata: per esempio il varano di Komodo è unrettile esclusivo dell’isola di Komodo.

Diversità bioculturaleDa oltre un decennio, naturalisti, etnologi e linguisti si sono fattisempre più attenti ai rapporti tra la diversità biologica e quella cul-turale. Il confronto tra queste due forme di diversità ha fatto scatu-rire la nozione di diversità bioculturale: l’insieme delle varietà esibi-te, in una area geografica, dai sistemi naturali e da quelli culturali.Questi studi mostrano come i molteplici aspetti della diversità deiviventi siano tra loro intimamente collegati, profondamente capacidi modellarsi reciprocamente attraverso la storia delle attività uma-ne sul pianeta. C’è una crescente consapevolezza che la nostra spe-cie fa parte integrante della natura e che la sua azione ha aiutato amodellare molti degli ambienti cosiddetti naturali della biosfera.Esisterebbe cioè una vera e propria co-evoluzione tra gli esseri uma-ni e gli ambienti naturali in cui la nostra specie è evoluta. Ecco allo-ra che comprendere il posto dell’uomo nella natura e il ruolo dellelingue e delle culture che definiscono quel posto diventa sempre piùimportante e decisivo in una visione globale, olistica, della diversità.Gli studi interdisciplinari sulla diversità bioculturale mostrano chei modelli globali di distribuzione geografica della biodiversità coin-cidono in maniera significativa con i modelli di distribuzione delladiversità linguistica, presa come descrittore della diversità culturalenel suo complesso. Il tema è affascinante e già sono in corso tenta-tivi di stimare, attraverso indici quantitativi (sensibili alla ricchezzadi specie animali e vegetali, all’ampiezza dell’area geografica consi-derate e all’entità demografica delle popolazioni umane), la diver-sità bioculturale di vaste regioni del globo. I primi risultati diconoche il bacino amazzonico, l’Africa centrale e l’area peninsulare-in-sulare indomalese e melanesiana sono i tre complessi geografici do-ve si osserva il massimo grado di diversità naturale e culturale. Maanche le aree del globo segnate dai più elevati tassi di estinzione dispecie e di lingue-culture.

Felci nella foresta pluviale nello Stato diVictoria in Australia

���Novecento*, Storia:Ambiente e ambientalismo,La demografia

���Novecento*, Scienza etecnologia: La genetica, La sociobiologia, L’ecologia:aspetti scientifici e problemidi conservazione, L’etologia,L’evoluzionedell’evoluzionismo

Una veduta panoramica del Sahara

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