Lex Vìllia Annàlis

4
Lex Vìllia annàlis Plebiscito [vedi plebiscìtum ] del 180 a.C. ispirato dal tribuno L. Villius : stabiliva l’ordine con cui si poteva accedere alle magistrature ( certus ordo magistràtuum ), fissando l’età minima per l’elezione alle cariche essenziali alla preparazione dell’uomo politico. In forza di questa legge: — occorreva aver servito almeno dieci anni nello “ exercitus ” ( decem stipendia : 27 anni) per candidarsi alla “ quæstura ”; — era ineleggibile ad una magistratura ordinaria patrizia (esclusa la censura) chi ne aveva ricoperto un’altra nel biennio precedente cURSUS. honòrum [ Carriera “degli onori” ] Espressione designante la carriera dei magistrati, e cioè l’ordine delle magistrature da dover ricoprire, secondo una successione rigidamente prestabilita, nel rispetto di determinati requisiti anagrafici ed intervalli temporali, per giungere fino alla somma magistratura, il consolato [vedi cònsules , honores ]. Di tali magistrature solo la questura [vedi quæstor ] e la pretura [vedi prætor ] avevano carattere obbligatorio così come sancito dalla lex Villia annalis [vedi] del 180 a.C. che, per prima, regalò l’ordine con cui si poteva accedere alle magistrature ( certo ordo magistràtum ). Ad essa fece seguito, nell’82-81 a.C., la lex Cornelia de magistratibus che fissò l’età minima (trenta, trentadue, trentotto, quaranta, quarantacinque anni) per poter ricoprire la carica rispettivamente di quæstor [vedi quæstores ], di ædilis [vedi ædilitas ], di prætor [vedi], di consul [vedi consules ], di censor [vedi censores quæstòres [ Questori ] Magistrati [vedi magistràtus ] repubblicani con funzioni ausiliarie rispetto a quelle dei consoli [vedi cònsules ], relativamente ai processi capitali e all’amministrazione della cassa pubblica [vedi ærarium ]. La funzione originaria dei (—) consisteva nel provvedere alla repressione criminale, ricercando gli autori di illeciti penali, nonché le prove a loro carico: il termine quæstor derivava, infatti, da quærere cioè, ricercare le prove della colpevolezza. In seguito, i (—) estesero la loro sfera di attività all’amministrazione finanziaria ed alla gestione della cassa pubblica. I (—) erano in origine due e venivano nominati direttamente dai consoli. Tra il III ed il I secolo a.C., il loro numero salì prima a quattro, poi a venti, mentre il potere di eleggerli fu devoluto ai comìtia [vedi]. Con l’andare del tempo le funzioni dei (—) conobbero un notevole incremento sotto il profilo qualitativo-quantitativo: essi erano annualmente determinati dal Senatus e distribuiti in tante provinciæ quæstoriæ . In particolare:

description

diritto romano

Transcript of Lex Vìllia Annàlis

Page 1: Lex Vìllia Annàlis

Lex Vìllia annàlis 

Plebiscito [vedi plebiscìtum] del 180 a.C. ispirato dal tribuno L. Villius: stabiliva l’ordine con cui si poteva accedere alle magistrature (certus ordo magistràtuum), fissando l’età minima per l’elezione alle cariche essenziali alla preparazione dell’uomo politico. In forza di questa legge: — occorreva aver servito almeno dieci anni nello “exercitus” (decem stipendia: 27 anni) per candidarsi alla “quæstura”; — era ineleggibile ad una magistratura ordinaria patrizia (esclusa la censura) chi ne aveva ricoperto un’altra nel biennio precedente

cURSUS. honòrum [Carriera “degli onori”] 

Espressione designante la carriera dei magistrati, e cioè l’ordine delle magistrature da dover ricoprire, secondo una successione rigidamente prestabilita, nel rispetto di determinati requisiti anagrafici ed intervalli temporali, per giungere fino alla somma magistratura, il consolato [vedi cònsules, honores]. Di tali magistrature solo la questura [vedi quæstor] e la pretura [vedi prætor] avevano carattere obbligatorio così come sancito dalla lex Villia annalis [vedi] del 180 a.C. che, per prima, regalò l’ordine con cui si poteva accedere alle magistrature (certo ordo magistràtum). Ad essa fece seguito, nell’82-81 a.C., la lex Cornelia de magistratibus che fissò l’età minima (trenta, trentadue, trentotto, quaranta, quarantacinque anni) per poter ricoprire la carica rispettivamente diquæstor [vedi quæstores], di ædilis [vedi ædilitas], di prætor [vedi], di consul [vedi consules], di censor [vedi censores

quæstòres [Questori] 

Magistrati [vedi magistràtus] repubblicani con funzioni ausiliarie rispetto a quelle dei consoli [vedi cònsules], relativamente ai processi capitali e all’amministrazione della cassa pubblica [vedi ærarium]. La funzione originaria dei (—) consisteva nel provvedere alla repressione criminale, ricercando gli autori di illeciti penali, nonché le prove a loro carico: il termine quæstor derivava, infatti, da quærere cioè, ricercare le prove della colpevolezza. In seguito, i (—) estesero la loro sfera di attività all’amministrazione finanziaria ed alla gestione della cassa pubblica. I (—) erano in origine due e venivano nominati direttamente dai consoli. Tra il III ed il I secolo a.C., il loro numero salì prima a quattro, poi a venti, mentre il potere di eleggerli fu devoluto ai comìtia [vedi]. Con l’andare del tempo le funzioni dei (—) conobbero un notevole incremento sotto il profilo qualitativo-quantitativo: essi erano annualmente determinati dal Senatus e distribuiti in tante provinciæ quæstoriæ. In particolare: — due (—) (detti ærarii urbani) rimanevano in pianta stabile nel territorio cittadino per custodire l’æràrium [vedi] ed attendere alla registrazione delle entrate ed alle erogazioni disposte dal Senatus; — un quæstor (detto ostiènsis) si occupava, nel porto di Ostia, della sorveglianza dello scarico delle derrate alimentari dirette a Roma; — altri (—) (denominati aquarii) sorvegliavano il servizio degli acquedotti; — i (—) militares coadiuvavano i comandanti nel comando delle legioni; — i (—) provinciales svolgevano le funzioni di ausiliari dei governatori delle province, esercitando mansioni giurisdizionali, assimilabili a quelle di pertinenza degli ædìles curùles [vedi ædìlitas]. La questura fu la prima tappa del cursus honorum [vedi], accessibile prima a trenta anni, poi, a venticinque. 

mAGIistràtus 

Il termine (—) designava, nel mondo romano, il titolare di una carica pubblica (e non, come nel linguaggio contemporaneo, il giudice investito della decisione di una controversia penale o civile). 

Page 2: Lex Vìllia Annàlis

In età repubblicana i (—) si distinguevano in maiòres e minòres, a seconda che fossero forniti di potèstas [vedi] eimpèrium [vedi] o di sola potestas. Dalle magistrature ordinarie (cioè essenziali al normale svolgimento della vita della cìvitas [vedi] romana), si distinguevano quelle straordinarie (create per fronteggiare speciali accadimenti). Tra i magistrati ordinari rientravano i consoli [vedi cònsules], il pretore [vedi prætor], gli edili [vedi ædìlitas], i questori [vedi quæstòres], i censori [vedi censòres]; tra i magistrati straordinari rientravano, invece, il dittatore [vedi dictàtor], itribùni mìlitum [vedi], i triùmviri àgris dàndis [vedi]. Mentre in età arcaica la designazione del (—) era effettuata dal predecessore, secondo la regola “magistrato crea magistrato” (cooptàtio [vedi]), in epoca repubblicana, nel rispetto del nuovo spirito democratico, si attribuì l’elezione del (—) alle assemblee popolari [vedi comìtia; concìlia]. Per presentarsi come candidato ad una magistratura, il cittadino romano doveva possedere una serie di requisiti, positivi e negativi. Erano ritenuti indispensabili il iùs suffragii [vedi], l’ingenuità [vedi ingenuus], il patriziato o l’appartenenza a famiglie plebee (a seconda che si trattasse di cariche tipicamente patrizie o plebee), nonché il raggiungimento di un’età minima (determinata dalla legge per le singole cariche); non poteva essere eletto, inoltre, colui che fosse stato colpito da infamia [vedi]. In età repubblicana fu fortemente sentita l’esigenza di imporre precise limitazioni al potere di volta in volta attribuito ai singoli individui chiamati a ricoprire le varie cariche. Allo scopo di evitare probabili degenerazioni tiranniche fu, infatti, predisposto un complesso di regole, atte ad instaurare un sistema di garanzie e di controllo. In particolare: — fu stabilito che il (—) dovesse render conto del proprio operato, così da essere eventualmente perseguito per infrazioni ed omissioni (il (—) cum imperio poteva essere sottoposto a giudizio solo al termine dell’anno in carica); — fu pienamente attuato il principio della collegialità e della par potestas tra colleghi (per le magistrature “gemelle” come il consolato); — fu vietato, inoltre, il cumulo e l’iterazione delle cariche: non era concesso al cittadino di ricoprire più magistrature contemporaneamente, né di esercitare nuovamente una carica da lui già ricoperta. Il potere magistratuale era limitato ulteriormente per la compresenza di altre magistrature e per l’esistenza di un reciproco controllo tra gli organi della costituzione repubblicana (si pensi, ad es., al Senato).

impèrium [Potere supremo, comando] 

Termine indicante il complesso dei poteri spettanti al console, al pretore o al dittatore. Nel novero di detti poteri rientravano: il comando militare; il potere giurisdizionale, civile e criminale; il diritto di convocare il Senato e di ottenere da esso l’emanazione dei senatusconsùlta [vedi senatusconsùltum]; il diritto di convocare l’assemblea del popolo [vedi comìtia]; di presiedere le elezioni e di proporre leggi. I proconsoli, nell’ambito delle singole province, godevano di un (—) ridotto in quanto i loro poteri erano limitati al comando militare ed al potere giurisdizionale. 

PRætor [Pretore] 

Era un magistrato, eletto dai comizi centuriati [vedi comìtia centuriàta]; era soggetto all’autorità dei consoli [vedicònsules] rispetto ai quali rivestiva un grado immediatamente inferiore. Al pari dei consoli il (—) era fornito di impèrium [vedi] e di potèstas [vedi Mancìpium], anche se quest’ultima gli competeva in misura minore. Il (—) era essenzialmente preposto all’amministrazione della giustizia (salva la competenza correlativa degli edili curuli per le liti insorte nei pubblici mercati); sostituiva, inoltre, i consoli, qualora questi risultassero temporaneamente impediti a svolgere le loro attività. I pretori rimanevano in carica un anno; al momento della nomina, essi (come facevano, d’altro canto, tutti i magistrati) pubblicavano un editto [vedi edìctum prætòrium], nel quale preannunciavano le linee direttive

Page 3: Lex Vìllia Annàlis

cui avrebbero ispirato l’esercizio della loro giurisdizione nell’anno di carica. In tal modo l’editto pretorile, disciplinando i nuovi istituti giuridici (allo scopo di fronteggiare adeguatamente le nuove esigenze giuridiche) divenne fonte insostituibile di produzione del diritto [vedi iùs honoràrium]. A partire dal 242 a.C., il numero dei pretori fu portato a due: il pretore urbano e il pretore peregrino. Al prætor urbànus (istituito intorno al 367 a.C.), spettava l’esercizio della giurisdizione nelle controversie tra cittadini romani. Questi svolse una fondamentale opera di innovazione dell’arcaico ius civile. Infatti, pur senza arrivare al punto di negare la formale autorità del ius civile, di fatto il (—) applicava criteri risolutivi delle controversie del tutto difformi rispetto a quelli adottabili in base ad un ius, che nel II sec. a.C. era ormai ritenuto vecchio e inadeguato rispetto alle mutate esigenze socio-economiche. Al prætor peregrìnus spettava l’esercizio della giurisdizione nelle controversie tra cittadini romani e stranieri o tra stranieri. La nuova magistratura fu istituita allo scopo di soddisfare le esigenze di tutela giuridica nascenti dall’incremento dei rapporti economici e commerciali con gli stranieri, a seguito della sempre maggiore espansione della presenza romana nel Mediterraneo. Fu proprio la giurisprudenza creativa del prætor peregrinus a consentire l’affermazione e la diffusione di contratti quali compravendita [vedi èmptio-vendìtio], locazione [vedi locàtio-condùctio], società [vedi socìetas] e mandato [vedi mandàtum], accessibili sia ai romani che agli stranieri. Il magistrato risolveva le questioni di volta in volta sottopostegli attraverso una procedura molto rapida (per concepta verba), creando la regola di giudizio più adatta al caso concreto. Il procedimento giurisdizionale peregrino risultava molto diverso da quello che si svolgeva innanzi al pretore urbano tra i cittadini che era invece spiccatamente formalistico. Il prætor peregrinus applicava i principi comuni a tutti i popoli, fondati sulla naturalis ratio. Agli stranieri, infatti, non era applicabile il diritto romano di pertinenza esclusiva dei cives [vedi civitas]. Il sistema si presentava quanto mai agile e duttile, privo di forme solenni e dunque rispondente alla necessaria speditezza degli affari. Pertanto fu ben presto adottato per regolare i rapporti tra i cittadini. Tale figura scomparve formalmente con la constitutio Antoniniana de civitate [vedi] che nel 212 d.C. estese la cittadinanza romana a tutti i cittadini. I poteri di cui godevano i pretori in età repubblicana restarono virtualmente immutati anche dopo l’avvento del Principato: i loro provvedimenti furono, però, ritenuti appellabili presso il prìnceps od il Senato.