Letteratitudine special n 1

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Periodico diretto da Massimo Maugeri www.letteratitudine.it “L’autore straniero racconta il libro” Alcuni tra i più noti scrittori non italiani pubblicati nel nostro paese (invitati per raccontarci qualcosa sul loro libro più recente e sul loro “laboratorio di scrittura”). In questo numero troverete gli articoli di: Glenn Cooper, Ildefonso Falcones, Joe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin.

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ESTATE 2014

Volume 1, Numero 1 LETTERATITUDINE

s

LETTERATITUDINE

SPECIAL:

dal blog di Massimo Maugeri

Gli ospiti:

Glenn Cooper …..….. pag. 2

Ildefonso Falcones… pag. 5

Joe R. Lansdale…….. pag. 8

Amélie Nothomb….. pag. 10

Clara Sánchez……... pag. 13

Gabrielle Zevin….…. pag. 14

Periodico diretto da Massimo Maugeri

www.letteratitudine.it

Care amiche e cari amici,

sono molto felice di poter inaugurare questa nuova iniziativa di

Letteratitudine che trae origine dalle attività del blog. I contenuti di

questo magazine raccolgono contributi già disponibili online. Lo speciale

raccoglie quanto pubblicato sulla rubrica intitolata “L’autore straniero

racconta il libro”.

Si tratta di uno spazio online che accoglie contributi di alcuni tra i più

noti scrittori non italiani pubblicati nel nostro paese (invitati per

raccontarci qualcosa sul loro libro più recente e sul loro “laboratorio di

scrittura”).

In questo numero troverete gli articoli di: Glenn Cooper, Ildefonso

Falcones, Joe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez,

Gabrielle Zevin.

Vi ringrazio in anticipo per l’attenzione che vorrete riservare a questa

iniziativa.

Massimo Maugeri

L’autore straniero racconta il libro

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Glenn Cooper

"Un nuovo romanzo sul filone

della ricerca del Graal"

Il primo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è stato lo

scrittore statunitense Glenn Cooper che è tornato in libreria con un

nuovo thriller intitolato “Il calice della vita” (editrice Nord). Si tratta di

un romanzo che, per certi versi, presenta alcuni elementi di rischio

giacché (come ci ha raccontato l’autore) è incentrato su un tema che è

stato ampiamente sfruttato dalla letteratura di genere: la ricerca del

Graal.

Glenn Cooper ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa su se

stesso, sul suo personale laboratorio di scrittura e su questo nuovo

romanzo che, a pochi giorni dall’uscita, ha già scalato le classifiche di

vendita. E noi, ovviamente, lo ringraziamo.

IL CALICE DELLA VITA – Glenn Cooper

di GLENN COOPER

Non comincio mai un nuovo romanzo senza essere abbastanza certo che

possa raggiungere tre obiettivi: 1) Scrivo thriller, quindi l’idea su cui si

basa la storia deve assicurare emozione, drammaticità e suspense. Inoltre,

non mi piace scrivere libri banali, quindi devo essere personalmente

convinto della originalità della storia, 2) Poiché devo convivere con i miei

eroi e con i miei personaggi negativi per almeno un anno, devono essere

persone interessanti, e 3) devo avere “qualcosa da dire” che vada oltre la

semplice narrazione. Per me è fondamentale usare il popolare genere

thriller per esplorare alcune tematiche universali di natura filosofica e

religiosa che a volte non appaiono nella narrativa popolare.

L’idea di un libro sul Graal è stata stimolata da un mio amico che mi ha

donato una bella edizione illustrata del capolavoro di Thomas Malory del

XV secolo, Le Morte d’Arthur; un libro che avevo letto all’età di tredici

anni. Mi ricordai subito dell’emozione che, tanti anni fa, quella lettura

aveva suscitato in me. La storia era così ricca di avventura e di immagini.

Era come L’isola del tesoro di Stevenson e il Robinson Crusoe di Defoe, i

libri alla Harry Potter della mia infanzia. Quel dono mi spinse a creare

una mia storia sul Graal. Certo, non è possibile impegnarsi nella scrittura

di un romanzo sul Graal con leggerezza.

di questo nuovo romanzo dovevo essere certo che la storia osservasse

tutte e tre le mie regole personali indicate sopra, in particolare quella

relativa all’originalità.

Molti dei miei libri sono ambientati in epoche diverse e sono popolati da

personaggi storici realmente esistiti, quindi è importante svolgere una

ricerca approfondita prima di scrivere. Questo nuovo libro, pur

affondando le sue radici in una storia contemporanea, coinvolge anche la

Cornovaglia del V secolo di Re Artù e dei suoi cavalieri, l’Inghilterra del

XV secolo di Thomas Malory, la Gerusalemme del I secolo di Cristo, e la

Catalogna del XX secolo di Antoni Gaudí. Comincio sempre un nuovo

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"Prima di scrivere la prima parola di questo

nuovo romanzo dovevo essere certo che

la storia osservasse tutte e tre le mie

regole personali indicate sopra, in

particolare quella relativa all’originalità"

Prima di scrivere la prima parola di questo nuovo

romanzo dovevo essere certo che la storia osservasse

tutte e tre le mie regole personali indicate sopra, in

particolare quella relativa all’originalità.

Molti dei miei libri sono ambientati in epoche diverse

e sono popolati da personaggi storici realmente

esistiti, quindi è importante svolgere una ricerca

approfondita prima di scrivere. Questo nuovo libro,

pur affondando le sue radici in una storia

contemporanea, coinvolge anche la Cornovaglia del V

secolo di Re Artù e dei suoi cavalieri, l’Inghilterra del

XV secolo di Thomas Malory, la Gerusalemme del I

secolo di Cristo, e la Catalogna del XX secolo di

Antoni Gaudí. Comincio sempre un nuovo progetto

acquistando libri (la parte migliore del lavoro!). Per la

scrittura di questo nuovo romanzo, ne ho acquistati

più di 200. Diciamo che ne ho letto una ventina da

cima a fondo e gli altri solo in parte. In genere

preferisco comprare il libro di carta, ma a volte,

quando non posso aspettare i tempi di consegna, lo

acquisto in formato e-book. Se lo trovo utile, mi

procuro anche la copia cartacea; successivamente, se

mi interessa davvero e ho preso appunti sulle pagine,

acquisto una terza copia “pulita” per la mia libreria.

Ecco perché gli editori mi amano tanto.

Dopo aver svolto la mia ricerca e aver preso i miei

appunti, butto giù una traccia piuttosto dettagliata del

romanzo, ma non così dettagliata da inibire creatività

e possibilità di cambiamenti in corso d’opera. Dopo

che questo lavoro di contorno è compiuto, comincio il

libro. Mi piace scrivere in maniera costante, sette

giorni alla settimana, e di solito pianifico circa un

anno per completare la prima stesura. Poi comincia la

fase di riscrittura, che considero sempre la più difficile

giacché comporta la parziale distruzione di una parte

del lavoro che ho comunque portato avanti con fatica.

La storia di questo libro è incentrata sull’idea di una moderna ricerca del Graal. Arthur Malory è un giovane

inglese che ha una gran passione per la mitologia del Graal, un uomo che - in un certo senso - incarna la

versione moderna di un cavaliere medievale vincolato dal codice cavalleresco. Arthur si trova coinvolto in una

questione di vita o di morte legata alla ricerca del Graal e nel corso della storia scoprirà cose di notevole

importanza sulle sue origini e sul suo personale legame con la sacra reliquia. Il romanzo, narrato come una

serie di storie intrecciate attraverso i secoli, arriva fino al momento in cui il Graal tocca le labbra di Cristo

durante l’Ultima Cena e finisce… beh, non dirò come finisce!

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Al di là della storia, che spero i lettori troveranno

avvincente e sorprendente, ho anche voluto esplorare

l’intersezione tra scienza e fede, fisica e religione. La

domanda centrale del libro è la seguente: può la

ricerca del Santo Graal portare alla più grande di

tutte le rivelazioni - una spiegazione scientifica al

fondamento stesso del Cristianesimo, la risurrezione

di Cristo?

Ho un rapporto interessante con i lettori italiani.

Sebbene sia americano, i miei libri sono

particolarmente popolari in Europa. E l’Italia è in

cima alla lista. Molti dei miei libri sono stati

pubblicati prima in Italia, così ho avuto modo di

relazionarmi con i lettori italiani per ricevere le

impressioni iniziali. Mi piace avere un dialogo molto

attivo con i miei lettori e cerco di rispondere alle e-

mail, ai messaggi che arrivano su Facebook, Twitter

e sui post del blog lo stesso giorno, a volte nel giro di

poche ore. L’immediatezza della comunicazione mi

permette di abbattere le barriere che spesso si creano

tra lettore e autore ed è davvero un grande piacere

per me. Anche se Il Calice della Vita, nel momento

in cui scrivo questo articolo, è disponibile solo da

due settimane, il feedback che ho ricevuto è stato

assolutamente positivo. Era importante per me che

questo libro offrisse una versione fresca e originale

della storia della ricerca del Graal e, finora, mi

incoraggia constatare che molti lettori sembrano

essere d’accordo. E devo dire che rimango sempre

incredulo quando in classifica vedo i miei libri

affiancati a quelli di grandi scrittori come Andrea

Camilleri e Umberto Eco. Fantastico.

[Traduzione di Massimo Maugeri]

(Riproduzione riservata)

" Al di là della storia, che spero i lettori

troveranno avvincente e sorprendente, ho

anche voluto esplorare l’intersezione tra

scienza e fede, fisica e religione "

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LA REGINA SCALZA – Ildefonso Falcones

Il secondo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è stato lo

scrittore spagnolo Ildefonso Falcones, autore del celebre bestseller “La

cattedrale del mare“, edito da Longanesi.

Sempre per Longanesi è uscito di recente il nuovo romanzo intitolato

“La regina scalza” (anche questo ha scalato la classifica dei libri più

venduti).

Ildefonso Falcones ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa

sulla sua scrittura, sul suo rapporto con le storie che scrive e sui passi che

hanno portato alla stesura de “La regina scalza”. Noi, ovviamente, lo

ringraziamo… e insieme a lui ringraziamo Tommaso Gobbi, dell’ufficio

stampa della Longanesi, per l’indispensabile supporto fornitoci

soprattutto per la traduzione del testo.

di ILDEFONSO FALCONES

“Signor Falcones vuole spiegarci cosa intende quando

dice che il coraggio delle donne è il modo migliore che

conosce per raccontare la Storia?”

Guardo il giornalista che mi ha fatto la domanda.

“Lei crede che mi avrebbe chiesto la stessa cosa se

avessi parlato di uomini anziché di donne? Mi avrebbe

fatto la stessa domanda se avessi detto che è il coraggio

degli uomini a cambiare la Storia?”

Nei giorni scorsi in Italia mi hanno posto molte volte

questa domanda ma solo dopo un po’ ho capito che era

proprio il fatto che mettessi le donne al centro che

incuriosiva e faceva scattare l’interrogativo. Credo che

gli stessi giornalisti non ne fossero consapevoli, quindi

ho iniziato a rispondere rigirando la domanda. La Storia

purtroppo è sempre stata fatta dagli uomini, e dagli

uomini ancora oggi sono fatti i governi, è per questa

ragione che sentirsi dire che il coraggio delle donne può

cambiare la Storia è destabilizzante. E in questo

concetto c’è quello – più ampio – dell’ingiustizia,

concetto che torna sempre nei miei romanzi.

Ma mettiamo subito in chiaro una cosa: io scrivo

romanzi d’intrattenimento e non voglio indottrinare

nessuno. L’unico scopo che ho quando scrivo è quello di

procurare al lettore lo stesso piacere che anche io cerco

nei libri: sarebbe a dire l’evasione, il divertimento. Se

non cercassi questo, non prenderei in mano un romanzo

"Il nuovo successo di Ildefonso Falcones"

Ildefonso Falcones

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" Mettiamo subito in chiaro una cosa: io scrivo

romanzi d’intrattenimento e non voglio indottrinare

nessuno."

Ma mettiamo subito in chiaro una cosa: io scrivo romanzi

d’intrattenimento e non voglio indottrinare nessuno. L’unico

scopo che ho quando scrivo è quello di procurare al lettore lo

stesso piacere che anche io cerco nei libri: sarebbe a dire

l’evasione, il divertimento. Se non cercassi questo, non

prenderei in mano un romanzo ma un saggio. Io scrivo

letteratura popolare, punto a raggiungere il maggior numero

di persone possibile per divertirle e non mi interessa in alcun

modo l’entrare a far parte di una cerchia intellettuale ristretta.

Se scrivo di ingiustizie è perché credo che sia il tema più

affascinante e coinvolgente di cui si possa parlare e voler

leggere. L’eterna lotta dell’oppresso contro l’oppressore, del

giusto contro l’ingiusto. Chi non vorrebbe essere un

combattente che si batte contro le ingiustizie? Come ve lo

spiegate il successo di Zorro altrimenti? Il lettore deve

identificarsi ed emozionarsi, ecco come la vedo io.

Questo non significa che prima di iniziare a scrivere non mi

documenti a fondo. Tutt’altro. La Storia è al centro di ogni

mio libro ed è il faro che mi guida. Invento dei personaggi,

certo, ma ognuno di essi è profondamente legato al periodo

storico che sto raccontando. È una sorta di patto che ho fatto

con me stesso ma che ho sempre considerato come naturale.

La Storia è un vincolo per me, un limite invalicabile. Non

invento dei fatti, piuttosto cerco di ricreare delle situazioni

che siano assolutamente verosimili e per farlo è chiaro che

devo documentarmi, leggere e studiare moltissimo. Se non si

è rigorosi, se non si riescono a fornire dettagli fisici,

particolari dell’epoca o persino odori, il lettore avvertirà un

senso di estraneità, un qualcosa che non torna.

Per scrivere “La regina scalza” ho impiegato tre anni e ho letto centinaia di testi. La maggior parte dei volumi

di cui ho bisogno li acquisto da un sito internet spagnolo che si chiama Iberlibro e che dispone di un catalogo

vastissimo, anche di testi antichi o introvabili in qualsiasi libreria. Poi ovviamente mi documento molto anche

su internet e ogni tanto ricorro alla biblioteca e solo dopo aver studiato ed essermi completamente immerso

nell’epoca che voglio raccontare, comincio a scrivere.

Non credo ci sia un unico metodo o regole ben precise per scrivere un buon romanzo, ma se dovessi proprio

individuare una norma per me sempre valida, è il partire dalla fine. Quando inizio un nuovo romanzo devo

avere bene in testa quale sarà la conclusione, dove voglio andare a parare. Tutto il resto della storia viene dopo,

ma il finale è il punto verso il quale mi sto dirigendo e deve essere chiaro fin da subito. Nel corso della storia

cambierò idea, alcune storie si intrecceranno tra loro in modi che magari stupiranno anche me, ma so che tutto

deve portarmi in un punto ben preciso. E a proposito delle storie che si intrecciano mi viene in mente un’altra

piccola confidenza. Mi hanno chiesto tante volte, vista la mole dei miei libri, come faccio a tenere a mente tutto

dall’inizio alla fine e se per caso ho una grande lavagna in cui disegno degli schemi o una parete su cui attacco

post-it, come si vede in qualche film. Ma perché - rispondo io - dovrei fare cose di questo tipo quando abbiamo

uno strumento come excel? Con excel ho sempre tutto sotto controllo, qual è il retroterra dei vari personaggi,

come questi sono legati tra loro, in che momento sono accaduti alcuni fatti e tutto ciò che è necessario. E così è

stato anche per “La regina scalza”.

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“Il contesto storico è quello della

persecuzione dei gitani nella

Spagna del XVIII secolo e un altro

tema fondamentale del romanzo è

proprio quello del canto e della

musica.

Dopo aver ambientato il primo libro, “La cattedrale del mare”, nel

XIV secolo, e il secondo, “La mano di Fatima”, nella seconda metà del

‘500, con “La regina scalza” siamo nel XVIII secolo, in pieno

illuminismo. Il racconto è ambientato in Spagna anche se sono partito

da una mia grande curiosità per il periodo della schiavitù a Cuba. Si è

trattato di un periodo durissimo per gli schiavi delle piantagioni: lo

zucchero veniva ancora raffinato a mano e gli uomini e le donne che

lavoravano nei campi erano sottoposti a ritmi e trattamenti disumani,

soprattutto nelle settimane della raccolta. Quando sento dire che oggi

la nostra libertà subisce delle privazioni mi viene quasi da ridere. Non

abbiamo idea di cosa significhi davvero essere privati della libertà e

della dignità…

Se avessi scelto di ambientare il romanzo a Cuba, però, mi sarei

dovuto trasferire là per un lungo periodo per potermi documentare a

fondo e non credo che mia moglie avrebbe preso bene la cosa…!

Allora ho pensato a questa donna, Caridad, che è una schiava cubana

che arriva in Spagna. Durante la traversata il suo padrone muore ma

prima di spirare le “dona” la libertà. In Spagna conoscerà e si legherà

moltissimo a Milagros, una gitana che ha la ribellione e il canto nel

sangue. Il contesto storico è appunto quello della persecuzione dei

gitani nella Spagna del XVIII secolo e un altro tema fondamentale del

romanzo è proprio quello del canto e della musica. Lo sapevate che il

flamenco nasce dall’incontro tra i canti degli schiavi e le musiche dei

gitani? Gli schiavi cantavano per sopportare il dolore e la fatica. Erano

canti dolorosi, con un ritmo triste, nostalgico e cupo, il cui ritmo era

tenuto soprattutto attraverso strumenti a percussione. Il canto per gli

schiavi era un modo per comunicare con gli dèi e per resistere e tenere

occupata la mente. I gitani invece erano completamente atei e

accompagnavano i loro canti con la chitarra. Dalla fusione di queste

melodie nacque il flamenco, una musica che – dice la tradizione –

deve essere cantata finché non si sente il sangue in bocca.

Cosa succederà a Caridad e Milagros e dove e perché si ritroveranno a

cantare e ballare lascio che lo scopriate voi stessi leggendo il libro,

amici di Letteratitudine. Con l’augurio, da parte mia, che possiate

divertirvi il più possibile, pagina dopo pagina dopo pagina.

(Riproduzione riservata)

© Ildefonso Falcones

© Letteratitudine

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LA FORESTA – Joe R. Lansdale

Il terzo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore

americano Joe. R. Landsdale, molto noto anche per i romanzi del ciclo

di Hap & Leonard.

Joe R. Landsdale ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa

di se stesso, della sua infanzia e di ciò che lo ha portato alla scrittura di

“La foresta”: romanzo western appena edito da Einaudi Stile Libero

(tradotto da Luca Brioschi).

Ringraziamo Joe per il contributo che ci ha inviato e per la nota di

chiusura specificamente dedicata alle lettrici e ai lettori italiani. Di

seguito, il pezzo tradotto in italiano e la versione in lingua originale.

Thanks a lot, Joe!

" Un romanzo western di Joe. R. Landsdale "

di JOE R. LANSDALE

Sono cresciuto con i film western. Negli anni Cinquanta e Sessanta ce

n’erano a bizzeffe nelle sale e in televisione. Gunsmoke, Have Gun

Will Travel, Rawhide, Cheyenne, Maverick e tanti altri. Anche i

racconti sul west narrati da mio padre e mia madre, esercitarono su di

me una grande influenza. I miei erano già piuttosto anziani quando

nacqui, e le loro esperienze erano diverse da quelle vissute dai genitori

dei miei amici.

Mia nonna, che morì nel 1980 a quasi cento anni, quand’era bambina

aveva visto Buffalo Bill e lo ricordava benissimo. Aveva viaggiato

lungo il Texas sopra un carro. Se la memoria non mi inganna, era in un

gruppo coinvolto nella corsa per l’accaparramento delle terre in

Oklahoma, ma che poi si diresse in Texas. Mia nonna ha visto

accampamenti indiani, ha assistito a scontri con animali selvatici e,

come mio padre e mia madre, aveva parenti che avevano combattuto

nella guerra civile. Mio nonno era un commerciante di cavalli e aveva

due famiglie, una su ciascun lato dell’Ozarks. Nessuna di esse fu a

conoscenza dell’esistenza dell’altra fino al 1970, quando conoscemmo

la sorellastra di mia madre, che era quasi spiccicata a mia madre. Be’,

questa è già una storia.

" Mia nonna, che morì nel 1980 a quasi

cento anni, quand’era bambina aveva visto

Buffalo Bill e lo ricordava benissimo. "

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Letteratitudine special n. 1

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Più tardi, negli anni Settanta, cominciai a interessarmi alla

letteratura western (non più solo film e storie orali). Prima di

allora avevo letto ogni tipo di romanzi, ma poca narrativa

western. Oggi non è cambiato granché. Quando trovo qualcosa

che mi piace, ci esco pazzo; altrimenti rimango del tutto

indifferente. Ho letto “The Shootist” di Glendon Swarthout,

“True Grit” di Charles Portis, “Little Big Man” di Thomas

Berger, “Last Reveille” di David Morrell, e un romanzo molto

sottovalutato: “The White Buffalo” di Richard Sayles. Ho letto

anche “Wild Times” di Brian Garfield, “Lonesome Dove” di

Larry McMurtry , e certamente il romanzo di Alan Le May “The

Searchers”. C’è un po’ di Twain, lì dentro. Del resto Twain

perseguita anche me, come un buon fantasma, nelle tante cose

che scrivo.

Con riferimento a questo mio nuovo romanzo, posso dirvi che

desideravo raccontare una storia nello stesso modo in cui la

raccontavano i miei: con ritmo, dettagli e divagazioni

interessanti. C’è un miscuglio di avventura e azione, alla base di

“La foresta”.

Scrivere questo romanzo è stato come dare sfogo a un urlo

primordiale. Spero che vi piacerà leggerlo.

Vorrei soffermarmi un attimo per dedicare un pensiero a tutti i

miei lettori italiani e ringraziarli per il loro interesse. Lo apprezzo

tanto. Avete dimostrato di essere lettori forti e di seguire con

passione il mio lavoro. E di amare i libri in generale. So per certo

che siete lettori di gran lunga più attenti di quelli del mio paese. È

una cosa che ammiro molto. Spero che possiate continuare ad

amare i libri in siffatto modo. Un buon libro è un’esperienza

meravigliosa, e io sono davvero felice che tanti di voi abbiano

apprezzato le esperienze vissute leggendo i miei romanzi. Spero

possa essere così anche nel futuro.

(traduzione di Massimo Maugeri)

(Riproduzione riservata)

© Joe R. Lansdale

© Letteratitudine

"Scrivere questo romanzo è stato come

dare sfogo a un urlo primordiale. Spero che

vi piacerà leggerlo."

Page 11: Letteratitudine special n 1

LA NOSTALGIA FELICE – Amélie Nothomb

Il terzo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è stata la scrittrice

belga Amélie Nothomb.

Amélie ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso

che l’ha portata alla scrittura del suo nuovo libro “La nostalgia felice”

(pubblicato da Voland e tradotto da Monica Capuani).

Ringraziamo Amélie per il contributo che ci ha inviato e ringraziamo la

casa editrice Voland per averci concesso la possibilità di pubblicare un

estratto del libro (che potrete leggere di seguito).

di AMÉLIE NOTHOMB

Quando mi hanno proposto di fare un documentario sul mio ritorno in

Giappone, nella primavera del 2012, sedici anni dopo averlo lasciato,

ho accettato perché ero convinta che non avrebbe interessato nessuno.

E invece Laureline Amanieux e Luca Chiari sono riusciti a trovare i

finanziamenti per realizzarlo: così è nato Amélie Nothomb: une vie

entre deux eaux.

Tornata da questo viaggio ho deciso di scriverne un libro.

Ho tentato di raccontare nel modo più preciso quello che era successo.

Non ho mai raccontato fatti realmente accaduti con così poco

intervallo di tempo tra la realtà e la scrittura, in questo era passato solo

un mese di distanza. Nulla era ancora stato digerito, e per questo i

ricordi sono così esatti.

Nell’urgenza della scrittura non dovevo però farmi prendere dal

pathos. Ho constatato, visto che conosco bene la scrittura

autobiografica, che più l’intervallo di tempo tra i fatti raccontati e il

momento della scrittura è lungo, più si ha la tendenza a rendere tragici

gli eventi, alla fine ci si fa sommergere dall’emozione e si finisce nel

mito.

In questo libro ho descritto l’incontro con la mia tata Nishio-san, la

mia madre giapponese, e quello con Rinri, il mio primo amore.

Il titolo, Nostalgia felice, è emblematico. “Natsukachii”, la nostalgia in

giapponese, designa una nostalgia felice. In Giappone non è un

ossimoro ma un’evidenza. Se la nostalgia non vi rende felice, vuol dire

che non avete capito niente. In Giappone si servono di bei ricordi per

raccogliere nuove energie…

(Riproduzione riservata)

© Amélie Nothomb

Un bizzarro e coinvolgente viaggio

sentimentale: sedici anni dopo le

tragicomiche peripezie raccontate

in “Stupore e tremori” e in “Né di

Eva né di Adamo“, Amélie

Nothomb torna in Giappone. È

l’occasione per rivedere i luoghi e

le persone amati dopo lo

spaventoso terremoto di

Fukushima del 2011.

Page 12: Letteratitudine special n 1

Letteratitudine special n. 1

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Un estratto del volume “La nostalgia felice” (Voland - traduzione di

Monica Capuani)

Lasciamo Shukugawa in taxi: Nishio-san abita in un angolo di

periferia privo di collegamenti. Lungo il tragitto, ci fermiamo per una

pausa-pranzo. Incapace di inghiottire alcunché, parto alla ricerca di un

fioraio dove compro un mazzo di rose.

– È un regalo? – domanda la negoziante.

Faccio segno di sì con la testa. Lei mi allestisce una confezione molto

più notevole del povero mazzo di rose che contiene. Esco di lì con un

cesto degno del funerale di una diva.

Il taxi ci accompagna fino a un condominio di case popolari alla

periferia di Kobe. L’edificio è un po’ squallido. Siamo in anticipo di

dieci minuti, passeggio nel cortile dove un gruppetto di bambini di

quattro anni sta giocando a pallone. All’ora convenuta, salgo al sesto

piano. Agli appartamenti si accede tramite un ballatoio esterno. Le

porte sono misere. Accanto a una di loro, riconosco gli ideogrammi di

Nishio. Con il cuore stretto, suono il campanello.

La porta si apre, e vedo apparire una signora molto anziana alta un metro e cinquanta. All’inizio ci

guardiamo terrorizzate. Ritrovarsi è un fenomeno così complesso che andrebbe affrontato soltanto dopo un

lungo apprendistato, oppure bisognerebbe semplicemente proibirli.

Lei pronuncia il mio nome, io pronuncio il suo. Al telefono, la voce mi era parsa giovane. Non ho più

questa impressione. Mi invita a seguirla dando inizio a una litania di scuse. Mi tolgo le scarpe, i componenti

della troupe fanno lo stesso. Raggiungiamo Nishio-san in un microscopico soggiorno. Mi ingiunge di

sedermi su una sedia e lei resta in piedi accanto a me: le nostre teste sono finalmente alla stessa altezza.

Le mostro la telecamera e le domando se la disturba. Riprende la sua litania di scuse, io la capisco

benissimo, provo una sensazione simile: siamo così imbarazzate che la presenza di una telecamera non

cambia niente.

Le porgo il mazzo di rose che è grande quanto lei. Lo posa e lo scarta con gli stridenti ringraziamenti che le

ho sempre sentito. Poi torna a mettersi in piedi davanti alla mia sedia e mi fissa.

– Somigli a tua madre – dice alla fine.

– Come stanno le sue figlie, Nishio-san?

– Non lo so.

– È diventata nonna?

– Le mie figlie hanno dei bambini ma io non li conosco. Le mie figlie si rifiutano di vedermi.

Questa notizia mi lascia di sasso. Nishio-san, donna povera e senza marito, ha lavorato sodo per tutta la vita

per allevare le sue gemelle, ed ecco che loro la rifiutano. Aspetto una spiegazione che non arriva. So che

non bisogna chiederla.

Quanto è invecchiata Nishio-san! Ha quasi ottant’anni. Ne dimostra ancora di più. Ha i capelli bianchi

tagliati corti, indossa dei pantaloni e un grosso cardigan di lana. L’appartamento è piuttosto piacevole, e la

cosa mi rassicura. Fino a questo momento non ci siamo sfiorate, né dette nulla che testimoni l’immensità

dell’amore che ci lega. So che se non sarò io a fare uno sforzo, non ne usciremo.

Prendo il coraggio a due mani e le dico:

– Anch’io, Nishio-san, sono sua figlia. E sono venuta dall’Europa per vederla.

Il miracolo accade. Nishio-san scoppia in singhiozzi e mi prende tra le braccia. Io sono sempre seduta sulla

sedia. Questa posizione non va bene, allora mi alzo e stringo la piccola donna fragile con tutta la mia forza.

Page 13: Letteratitudine special n 1

Restiamo così per un tempo interminabile. Piango come avrei

voluto piangere all’età di cinque anni, quando mi avevano

strappato dalle sue braccia. È raro provare un sentimento tanto

forte. Inclino la testa su quella di questa donna così importante

ed è allora che avviene l’innominabile: a causa dei singhiozzi,

il contenuto del mio naso cola sul cranio della mia sacrosanta

madre. Spaventata all’idea che se ne sia accorta, le accarezzo i

capelli con il palmo della mano per pulire il misfatto. In

Giappone, un gesto così intimo è di una grossolanità folle, ma

Nishio-san lo accetta perché mi vuole bene.

È una legge immutabile dell’universo: se ci è dato di provare

un’emozione forte e nobile, un grottesco incidente arriva

subito a rovinarla.

L’abbraccio si scioglie. Turbata, piombo sulla sedia. Nishio-

san continua a non volersi sedere, sicuramente per mantenere

il volto all’altezza del mio.

– Abita qui da molto tempo?

– Sì. Da quando il terremoto del 1995 ha distrutto la mia casa.

– A Kobe avete avuto ripercussioni dell’11 marzo 2011?

– Di cosa parli?

– Di Fukushima, sa.

– Non capisco.

Mi volto verso l’interprete, un ventiduenne di Tokyo,

pregandolo di aiutarmi. Con dolcezza, spiega alla mia tata che

sto alludendo al grande terremoto del’11 marzo 2011.

– Che intende? – domanda lei.

Il giovane e io ci scambiamo un rapido sguardo. Negli occhi di

Yumeto, leggo: “Glielo dico?” Scuoto la testa per dire no.

Così, malgrado la presenza del televisore, Nishio-san non ha

saputo nulla della catastrofe dell’anno scorso. La vecchiaia

l’ha protetta. Non ritengo necessario metterla al corrente. Se il

suo cervello non ha registrato la tragedia, forse la sua capacità

di sofferenza era giunta a saturazione. A che scopo infliggere

Fukushima a questa donna che ha vissuto i bombardamenti

della Seconda guerra mondiale?

(Riproduzione riservata)

© Voland

© Letteratitudine

Amélie Nothomb

Page 14: Letteratitudine special n 1

Letteratitudine special n. 1

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LE COSE CHE SAI DI ME – Clara Sánchez

Il quarto ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è stata

la scrittrice spagnola Clara Sánchez.

Clara ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul

percorso che l’ha portata alla scrittura del suo nuovo romanzo “Le

cose che sai di me” (pubblicato da Garzanti e tradotto da Enrica

Budetta).

Di seguito, il contributo di Clara Sánchez (tradotto in italiano da

Rossana Ottolini)

di CLARA SÁNCHEZ

La paura dello sguardo dell’altro, la paura di non piacere, quella

di essere respinti in amore o dalla nostra cerchia di amicizie, così

come nel mondo del lavoro ci obbliga a mascherarci dietro a

un’immagine e a essere come agli altri piacerebbe che fossimo.

Da questa sensazione dominante mi sentivo spinta a scrivere un

nuovo romanzo.

Scegliamo i vestiti che ci stanno meglio e mostriamo sempre il

nostro profilo migliore, sorridiamo senza ragione e cerchiamo di

non dire nulla che possa trasformarci in persone antipatiche. I

politici sanno a memoria queste regole, conoscono bene il valore

che può avere un gesto. Ma non volevo un politico per

protagonista, volevo piuttosto qualcuno di più ingenuo, più

vulnerabile, qualcuno incapace di ingannare in modo deliberato.

Una persona con contraddizioni e insicurezze in compagnia della

quale imparare qualcosa della vita.

E un giorno, all’improvviso, quando meno me lo aspettavo,

sfogliando una rivista di moda nella sala d’attesa di uno studio

medico, ho trovato la mia protagonista. Lei era una modella

giovane e bella, di successo, con ogni probabilità anche ricca e

amata e che nonostante tutto questo non sembrava essere proprio

felice. Mi ha colpito il suo sguardo, che sembrava gridare

“Aiutami!!”. Cosa poteva star succedendo di terribile a una

persona così? Forse l’avere tutto non ti mette al sicuro

dall’angoscia e dai demoni? In quell’istante l’ho chiamata Patricia

ed è uscita dalle pagine della rivista per installarsi in quelle del

mio romanzo. Così comincia l’avventura di una ragazza che

all’inizio si sente come Anna Karenina, fin quando dovrà

decidere se morire o non morire per amore. È una ragazza che

non si accorge di essere vittima di una vampirizzazione da parte

delle persone che la circondano, perché a volte le persone che più

amiamo sono proprio quelle che possono farci più male. Una

ragazza sola, che non vede la propria solitudine.

"Così comincia l’avventura di una ragazza

che all’inizio si sente come Anna Karenina,

fin quando dovrà decidere se morire o non

morire per amore."

Clara Sánchez

Page 15: Letteratitudine special n 1

Flaubert direbbe: “Io sono Patricia”, forse siamo tutti

un po’ Patricia, perché: qual è l’essere umano che non

ha mai sentito il bisogno di fuggire e andare alla

ricerca della libertà? Chi non ha mai sentito che il

lavoro lo stava indurendo o trasformando in un’altra

persona, in qualcuno in cui non si riconosceva più?

Patricia inizia a slegarsi dai propri vincoli emotivi

grazie al provvidenziale aiuto di Viviana. Tutti i

personaggi di “Le cose che sai di me” sono scaturiti

direttamente dal mio cuore, tutti sono ispirati a

persone che ho conosciuto, persino Viviana, la cui

vera casa è davvero come un bosco pieno di aromi.

Quando Viviana entra nella vita di Patricia reca con sé

un intero mondo, non è solo un personaggio, ma

qualcuno che si porta dietro il mondo delle fate e delle

streghe della propria infanzia, la magia. È un

personaggio creato dalla natura stessa come un albero

o una montagna ed è così che mi piacerebbe che

restasse nella mente del lettore una volta chiuso il

libro, come un’evocazione della nostra fantasia.

Da qui in poi preferisco che i lettori stessi continuino

a raccontare le vicissitudini di Patricia, Viviana, Elías,

Carolina… perché sono i lettori a dar loro vita.

Infinite grazie a tutti.

(Riproduzione riservata)

© Clara Sánchez

© Garzanti libri

"Tutti i personaggi di “Le cose che sai di me” sono

scaturiti direttamente dal mio cuore, tutti sono ispirati

a persone che ho conosciuto, persino Viviana, la cui

vera casa è davvero come un bosco pieno di aromi”

LA MISURA DELLA FELICITÀ – Gabrielle Zevin

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è

la scrittrice americana Gabrielle Zevin.

Gabrielle ha scritto a Letteratitudine per raccontarci

qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo

romanzo “La misura della felicità” (pubblicato da Editrice

Nord e tradotto da M. Dompè).

Ringraziamo Gabrielle per averci inviato questo suo

contributo.

Page 16: Letteratitudine special n 1

Letteratitudine special n. 1

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di GABRIELLE ZEVIN

Gli spunti per scrivere un libro possono arrivare

da ogni parte: da notizie di attualità, dalle

preoccupazioni del momento, dai libri che sto

leggendo, dai film e dalla televisione, dalle

persone che incontro per strada e dalle storie

che mi raccontano. Ci sono davvero moltissimi

fattori che possono stimolare le idee e

l’immaginazione, basta essere sempre ricettivi,

pronti a vedere, ascoltare e imparare. Nel caso

de La misura della felicità è stata una vita fatta

di letture e libri a ispirarmi, le tante storie lette, i

cambiamenti nel mondo dei libri in quest’epoca

di trasformazione, tra carta e e-book.

La scrittura di questo romanzo è scaturita da due

domande fondamentali e potenti: le librerie

sono importanti nella nostra vita? Le storie che

leggiamo possono influenzarci e definirci come

individui?

Ed ecco che il protagonista non poteva essere

che il libraio A.J. Fikry, un uomo circondato dai

libri, quegli stessi libri che lo avevano ormai

allontanato dal mondo. Ambientare la storia su

un’isola è stata una scelta naturale, un simbolo

di questo dilemma in cui il protagonista,

all’inizio del romanzo, risulta intellettualmente

e fisicamente isolato. La storia racconta il

percorso intrapreso da A.J.

Fikry per riconnettersi al mondo, alle persone, a

se stesso, alla vita. Leggere è spesso un’attività

solitaria, ma una delle cose più belle della

lettura è la capacità di un libro di avvicinarci

alle altre persone.

Così nel cuore e nella vita di A.J. Fikry piano

piano trova spazio la piccola Maya, una

bambina da lui adottata dopo essere stata

abbandonata nella sua libreria. Grazie a lei e al

suo innato amore per i libri, A.J. non solo

scoprirà la gioia di essere padre, ma riassaporerà

anche il piacere di essere un libraio, aprendosi

pian piano alla vita e all’amore.

Gabrielle Zevin

Ho scritto e pubblicato sette libri prima di questo, ma coltivavo dentro di me l’idea per La misura della

felicità da oltre 8 anni: mi interessava scrivere un romanzo in cui i personaggi fossero definiti e caratterizzati

non tanto da descrizioni fisiche, ma dai loro gusti letterari. La stesura del romanzo vero e proprio mi ha preso

quindi non più di sei mesi, ma si tratta di un progetto ideato e rielaborato per anni.

Page 17: Letteratitudine special n 1

È stato facile per me parlare di libri: sono cresciuta in una famiglia di

lettori, partendo dai miei nonni, passando dai miei genitori fino ad

arrivare a me. Quando mi domandano come mai sono diventata una

scrittrice, rispondo sempre dicendo che, da piccola, andare in libreria

con la mia famiglia era un po’ come entrare in chiesa. Tutti i weekend

andavamo sempre in libreria e subito dopo al fast food (chissà se il fast

food ha condizionato il mio amore per i libri…una specie di riflesso di

Pavlov!). Il primo posto in cui mi fu permesso di andare da sola è stato

proprio la libreria vicina al supermercato, avevo circa sette anni, e i

miei genitori pensarono che alla loro preziosa bambina non sarebbe

potuto accadere nulla in un posto così. Con questo spirito ho passato la

mia vita tra scaffali e volumi.

Pur frequentando le librerie e amando i libri, prima di essere scrittrice

non ho mai dato un peso particolare al ruolo del libraio. Dopo la

pubblicazione di La misura della felicità sono stati proprio i librai i

primi a sostenermi, a credere nella storia e nel romanzo, a dargli

visibilità. Credo che buona parte del successo di questo romanzo sia da

attribuire a loro.

(Riproduzione riservata)

© Gabrielle Zevin

© Editrice Nord

La scrittura di questo romanzo è scaturita da due domande fondamentali e potenti: le librerie sono importanti nella nostra vita? Le storie che leggiamo possono influenzarci e definirci come individui?

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Letteratitudine special n. 1

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