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Con gli occhi della fede Lettera Pastorale 2012 - 2013 Mons. Pietro Farina Vescovo di Caserta Edizioni Saletta dell’Uva

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Con gli occhi della fede

Lettera Pastorale2012 - 2013

Mons. Pietro FarinaVescovo di Caserta

Edizioni Saletta dell’Uva

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MONS. PIETRO FARINAVescovo di Caserta

Con gli occhi della fede

Lettera Pastorale2012-2013

EDIZIONI SALETTA DELL’UVA

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In copertina:FRANCESCO FRACANZANO, Pietro in lacrime, olio su tela,prima metà sec. XVII, (particolare).Episcopio.

Foto in copertina di Bruno Cristillo

Alcune note nel testo riportano delle sottolineature in grassetto, frutto diuna scelta metodologica per evidenziare aspetti peculiari dei testi riportati.

©2012 Edizioni Saletta dell’UvaP.zza Matteotti, 3 - 81100 CASERTAhttp://www.salettadelluva.it

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“...mentre dobbiamo coltivare uno sguardoriconoscente per la crescita del grano buono anchein un terreno che si presenta spesso arido, avver-tiamo che la nostra situazione richiede un rinnova-to impulso, che punti a ciò che è essenziale dellafede e della vita cristiana. In un tempo nel qualeDio è diventato per molti il grande Sconosciuto eGesù semplicemente un grande personaggio delpassato, non ci sarà rilancio dell’azione missiona-ria senza il rinnovamento della qualità della nostrafede e della nostra preghiera; non saremo in gradodi offrire risposte adeguate senza una nuova acco-glienza del dono della Grazia; non sapremo con-quistare gli uomini al Vangelo se non tornando noistessi per primi a una profonda esperienza di Dio”.

(BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea della Conferenza

Episcopale Italiana, Aula del Sinodo, 24 maggio 2012).

“Cristo Signore, pontefice assunto di mezzoagli uomini (cfr. Eb. 5,1-5), fece del nuovo popo-lo «un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo»(Ap. 1,6; cfr. 5,9-10). Infatti per la rigenerazione el’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengonoconsacrati per formare un tempio spirituale e unsacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le atti-vità del cristiano, spirituali sacrifici, e far conosce-re i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamòall’ammirabile sua luce (cfr. 1Pt. 2,4-10). Tuttiquindi i discepoli di Cristo, perseverando nellapreghiera e lodando insieme Dio (cfr. At. 2,42-47),offrano se stessi come vittima viva, santa, grade-vole a Dio (cfr. Rm. 12,1), rendano dovunque testi-monianza di Cristo e, a chi la richieda, rendanoragione della speranza che è in essi di una vitaeterna (cfr. 1Pt. 3,15).”

(CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Lumen gentium, 10).

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Carissimi fratelli e sorelle,è stato mio desiderio far coincidere l’inizio del

nuovo Anno Pastorale 2012-2013 con la celebra-zione che dà avvio all’Anno della Fede1, indettoda Papa Benedetto XVI, per ricordare in manierasolenne i due grandi eventi che hanno segnato ilvolto della Chiesa ai nostri giorni: il cinquantesi-mo anniversario dell’apertura del ConcilioVaticano II, voluto da Papa Giovanni XXIII (11ottobre 1962), e il ventesimo anniversario dellapromulgazione del Catechismo della ChiesaCattolica, offerto alla Chiesa da Papa GiovanniPaolo II (11 ottobre 1992).

Per celebrare questo anno di grazia vi invio laLettera Pastorale Con gli occhi della fede, facen-domi ispirare nel titolo da un’espressione tantocara a S. Agostino, quando tratta della fede.

Perché dedicare un anno a riflettere sull’attodel credere e sui contenuti stessi di quanto sicrede? La risposta appare dettata da una scelta distringente attualità: la fede non è più “un presup-posto ovvio del vivere comune”2, anzi viene addi-rittura negata.

1 L’Anno della fede è stato indetto con la Lettera Apostolicain forma di Motu proprio Porta fidei, dell’11 ottobre 2011,da Papa Benedetto XVI per la ricorrenza del cinquantesimoanniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico VaticanoII, 11 ottobre 2012, e terminerà il 24 novembre 2013,Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo.2 BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica in forma di MotuProprio Porta fidei, 11 ottobre 2011, n. 2.

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Il senso di incertezza che sperimentiamo è pla-netario e forse sembra percepirsi ancora di più nelnostro vivere quotidiano, in quelle ricadute adogni livello che creano delusione e disincanto.Viviamo quasi come naufraghi alla deriva, in untempo che sperimenta la notte come dimensioneesistenziale: “La notte significa mancanza dicomunicazione, una situazione in cui non ci sivede l’un l’altro. È un simbolo della non-com-prensione, dell’oscuramento della verità. È lo spa-zio in cui il male, che davanti alla luce devenascondersi, può svilupparsi”3. Il tempo dellanotte è il tempo della povertà, il tempo caratteriz-zato dall’assenza di Dio, dalla sua mancanzaovvero dal non voler riconoscere la sua presenza.Questo atteggiamento comune si incancrenisce inuna forma ancora più subdola di indifferenza:“non poter riconoscere la mancanza di Dio comemancanza”4. Una siffatta cultura, come imposta-zione del mondo senza riferimento dell’umanitàalla Trascendenza, fa realmente recedere in quel-la notte, che, in ultima analisi, “è simbolo dellamorte, della perdita definitiva di comunione e divita”5.

La radice di questo naufragio senza rotta trovaragione in quella malattia mortale che è il proces-

3 BENEDETTO XVI, Omelia Basilica di San Giovanni inLaterano Giovedì santo, 5 aprile 2012.4 MARTIN HEIDEGGER, Sentieri interrotti, La Nuova ItaliaEditrice, Scandicci (Firenze) 1996, p. 247.5 BENEDETTO XVI, Omelia Basilica di San Giovanni inLaterano Giovedì santo, 5 aprile 2012.

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so di secolarizzazione, quella visione che rivendi-ca la diminuzione dello spazio riservato a Dio nel-l’esperienza umana. Da tale processo hanno vistoprendere forma le “ideologie materialiste che cidicono: è assurdo pensare a Dio; è assurdo osser-vare i comandamenti di Dio; è cosa di un tempopassato. Vale soltanto vivere la vita per sé.Prendere in questo breve momento della vita tuttoquanto ci è possibile prendere. Vale solo il consu-mo, l’egoismo, il divertimento. Questa è la vita.Così dobbiamo vivere. E di nuovo, sembra assur-do, impossibile opporsi a questa mentalità domi-nante, con tutta la sua forza mediatica, propagan-distica. Sembra impossibile oggi ancora pensare aun Dio che ha creato l’uomo e che si è fatto bam-bino e che sarebbe il vero dominatore delmondo”6.

A questa tentazione non sono rimasti immunineppure una larga schiera di cristiani, per i qualila relazione con Dio non è più essenziale dellarelazione con gli altri. Ogni tentativo di minimiz-zare la relazione con Dio, l’adorazione, la con-templazione e quanto si riferisce alla conoscenzadell’amore di Dio altera la sostanza della nostrafede. Qui si gioca la grande sfida del Cristianesimo,non per la difesa di Dio, che non ha bisogno di esse-re difeso, ma per la difesa dell’uomo, che privatodell’adorazione, diviene un essere mutilato.

6 BENEDETTO XVI, Omelia Parrocchia di San Tommaso daVillanova, Castel Gandolfo, 15 agosto 2007.

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Se questo è il contesto in cui è presente e operala nostra Chiesa, allora è necessario prima di tuttorinnovare il nostro atto di fede in Dio, cosìcome con il suo stile incisivo ricorda il profetaIsaia: “Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre tichiami nostro redentore…noi siamo argilla e tucolui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tuemani”7. Solo questo profondo sentirsi radicati inDio consente un’azione efficace del nostro impe-gno pastorale, solo confidando in Lui, invocandola sua presenza e la sua azione, siamo certi dellariuscita di ogni nostro sforzo. Avverte PapaBenedetto XVI, commentando il capitolo dodicidella Seconda Lettera ai Corinzi: “non è la poten-za dei nostri mezzi, delle nostre virtù, delle nostrecapacità che realizza il Regno di Dio, ma è Dioche opera meraviglie proprio attraverso la nostradebolezza, la nostra inadeguatezza all’incarico.Dobbiamo, quindi, avere l’umiltà di non confida-re semplicemente in noi stessi, ma di lavorare, conl’aiuto del Signore, nella vigna del Signore, affi-dandoci a Lui come fragili «vasi di creta»”8 e che“solo la fede, il confidare nell’azione di Dio, nellabontà di Dio che non ci abbandona, è la garanziadi non lavorare invano”9.

Il credente che entra nel cuore di Cristo diven-ta capace di condurre gli altri verso Colui che è

7 Is. 63,16;64,7.8 BENEDETTO XVI, Udienza Generale, Aula Paolo VI, 13giugno 2012.9 Ibidem.

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morto e risorto per noi. L’uomo di fede fa progre-dire i fratelli nella fede. Il verbo progredire pro-viene dal latino progredior e significa letteral-mente avanzare, fare passi in avanti, andare oltre:il credente compie un cammino in avanti, non pre-suppone solo la fede, ma la propone, si trova su unsentiero, che può anche sviare, se non è illumina-to dalla Luce che indica e dirige nell’attraversa-mento, ma soprattutto se dimentica la mèta versocui ci si dirige: il Regno di Dio.

La fede non ha permanenza di per se stessa,non la si può mai semplicemente presupporrecome una cosa già in se conclusa, deve continua-mente essere rivissuta e poiché è un atto cheabbraccia tutte le dimensioni della nostra esisten-za, deve anche essere sempre ripensata e sempredi nuovo testimoniata, radicandosi integralmentein Colui che è origine e fine di ogni esistere.

Il Signore Gesù è entrato nella stessa nottedegli uomini “per superarla e per inaugurare ilnuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità”10.La sua Parola è Luce che illumina i passi di ogniuomo, è la realizzazione del disegno di Dio di“ricapitolare”11 in Lui tutte le cose: il Cristo aprel’era della pace con Dio e tra gli uomini, riconci-liando in sé l’umanità dispersa12. Egli ‘ricapitola’in sé Adamo, nel quale tutta l’umanità si ricono-

10 BENEDETTO XVI, Omelia Basilica di San Giovanni inLaterano Giovedì santo, 5 aprile 2012.11 Ef. 1,10.12 Cfr. Ef. 2,16.

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sce, lo trasfigura in figlio di Dio, lo riporta allacomunione piena con il Padre. Proprio attraversola sua fraternità con noi nella carne e nel sangue,nella vita e nella morte Cristo diviene ‘il capo’dell’umanità salvata, nella instaurazione di quelregno in cui “Dio sarà tutto in tutti”13.

13 1Cor. 15,28.

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I LA FEDE PROFESSATA14

“A Dio che rivela è dovuta «l’obbedienza dellafede» (Rm. 16,26; cfr. Rm. 1,5; 2Cor. 10,5-6), conla quale l’uomo gli si abbandona tutt’intero e libe-ramente prestandogli «il pieno ossequio dell’intel-letto e della volontà» e assentendo volontariamen-te alla Rivelazione che egli fa. Perché si possaprestare questa fede, sono necessari la grazia diDio che previene e soccorre e gli aiuti interioridello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lorivolga a Dio, apra gli occhi dello spirito e dia «atutti dolcezza nel consentire e nel credere allaverità». Affinché poi l’intelligenza della Rive-lazione diventi sempre più profonda, lo stessoSpirito Santo perfeziona continuamente la fedeper mezzo dei suoi doni”.

(CONCILIO VATICANO II,Cost. past. Dei verbum, 5).

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Gli occhi della fede

“Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troveràancora la fede sulla terra?”15. È forse questo l’in-terrogativo più inquietante che troviamo nelVangelo, a cui Gesù stesso offre una risposta esor-tandoci a perseverare nella preghiera.

Se osserviamo il mondo che ci circonda, seanalizziamo la nostra condotta di vita, sembrarealmente che la notte sia la condizione interiorein cui vive l’uomo. È certo molto facile abbando-narsi a semplicistiche analisi sulle condizioni dibuona o cattiva salute della fede. La nostra fedenon può diventare solo oggetto di indagine stati-stica: quante persone professano la loro fede,quanti sono i praticanti e così via. Peggio ancorase si pongono su un piano di confronto la gene-razione attuale con le generazioni passate: unavena di pessimismo coglierebbe anche le perso-nalità più fiduciose ed entusiaste. Credo che l’u-nico modo per fare un punto della situazione siaquello di guardare controluce la realtà, con gliocchi della fede, i soli occhi capaci “di vedereesattamente, nel piano di Dio, le cose e scoprirein esse come una trama di amore che il Signoreva tessendo, con tanta ampiezza e profondità,proprio nel nostro tempo, nella storia della

15 Lc. 18,8.

14 Per questa parte sono state illuminanti le pagine di JEAN

MOUROUX, Io credo in te, Morcelliana, Brescia 1961 ePIERRE ROUSSELOT, Gli occhi della fede, Jaca Book, Milano1977.

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Chiesa”16. Gesù stesso esorta: “Levate i vostriocchi e guardate i campi che già biondeggianoper la mietitura”17. Occorre osservare il lato rove-sciato della realtà per capire la carica di signifi-cato nuovo che si nasconde in tutte quelle coseispirate da Dio.

Ripiegati su se stessi, coloro che professanouna pigra fede sono incapaci di sollevare losguardo verso “i cieli nuovi e le terre nuove”18

che il Signore fa fiorire anche in mezzo ai disastridella storia, e costoro, quasi profeti di sventura,come ebbe modo di scrivere Giorgio La Pira,all’indomani dell’annuncio dell’apertura delConcilio Vaticano II, “vedono tutto nero: come seil Signore non esistesse, come se non fosse Lui ilsolo autore della storia della Chiesa e del mondo;come se al Signore non interessasse questa storiaumana e questa avventura umana che, per effettodell’Incarnazione e della Croce e della Risur-rezione e della Pentecoste, è diventata anche sto-ria divina ed avventura divina!”19. Dove c’è ilgrano, c’è sempre la zizzania20, dove si promuoveil bene, si insinua subdolamente il male, ma è purvero che per la paziente misericordia di Dio“dove abbonda il peccato, sovrabbonda la gra-zia”21.

16 GIORGIO LA PIRA, Lettere alle claustrali, Vita e Pensiero,Milano 1978, p. 351.17 Gv. 4,35.18 Cfr. Ap. 21,1.19 GIORGIO LA PIRA, Lettere alle claustrali, op. cit., p. 355.20 Cfr. Mt. 13,24-30.21 Rm. 5,20.

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E allora perché dinanzi ad un lamento sterilesui mali della nostra epoca e del nostro mondo,non obiettare con l’invito della fede che Gesùrivolge a Pietro – “Prendi il largo e calate lereti”22– e la confessione di Pietro al Maestro –“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e nonabbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getteròle reti”23? Senza timori ed esitazione, correndoanche il rischio di camminare dove non abbiamostabile sicurezza, la fede nella presenza di Dionella storia è la risposta persuasiva ad ogni formadi pessimismo.

Siamo uomini di fede, uomini che credono chela barca della Chiesa, attraverso l’esperienza fortedel Concilio, è entrata in un tempo nuovo e che,sul fondamento della Parola di Gesù e fortificatadalla presenza costante dello Spirito Santo, sadonare al mondo il senso della via, della verità edella vita.

Alla sorgente della Fede

La fede è principio di vita autentica. Ma perchél’uomo crede? Come si genera l’atto di fede?Come si struttura? Come si alimenta? L’Annodella fede ci invita a compiere un viaggio all’in-terno dei legami della fede stessa. Occorre pertan-to capire di cosa stiamo parlando, sapendo che inordine alle cose di fede serpeggia una forma di

22 Lc. 5,4.23 Lc. 5,5.

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analfabetismo religioso di cui parla PapaBenedetto XVI: “Gli elementi fondamentali dellafede, che in passato ogni bambino conosceva,sono sempre meno noti. Ma per poter vivere edamare la nostra fede, per poter amare Dio e quin-di diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto,dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; lanostra ragione ed il nostro cuore devono esseretoccati dalla sua parola. L’Anno della Fede, ilricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50anni fa, deve essere per noi un’occasione diannunciare il messaggio della fede con nuovo zeloe con nuova gioia”24.

Prima di accingerci ad entrare nel cuore dellafede, partiamo dal soggetto che esprime questafede: l’uomo come persona. Secondo la classicadefinizione di Severino Boezio, “persona estrationalis naturae individua substantia”25 – la per-sona è sostanza individuale di natura razionale –:è una realtà che esiste in se stessa, è una realtàinteriormente indivisa e distinta da ogni altra, è unessere spirituale. L’uomo è corpo e spirito e cioèuna realtà che rivela in se stessa un’intrinsecacomposizione ed un’essenziale gerarchicità: ognitentativo di ridurre l’uomo o a sola materia o apuro spirito è destinato sempre a fallire. Ciò checostituisce l’uomo nel suo essere specifico è lospirito: esso penetra di sé il corpo, lo unifica, l’or-ganizza, lo vivifica, lo anima. Dall’anima e dal

24 BENEDETTO XVI, Omelia Basilica Vaticana Giovedì santo,5 aprile 2012.25 SEVERINO BOEZIO, Liber de persona et duabus naturis.Contra Eutychem et Nestorium, P.L. 64, 1345.

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corpo fusi ad unità fluisce la vita vegetativa equella sensitiva. Ma l’anima è pure sorgente diuna sua vita propria che si spiega attraverso il pen-siero e la volontà libera: sue attività caratteristi-che che, mentre ne attestano l’esistenza, ne mani-festano pure la natura. In virtù del suo spirito per-tanto l’uomo è immortale nel suo essere, si distin-gue e si arricchisce immensamente nel suo opera-re e assurge alla dignità di persona.

Come nasce allora la fede? Come, nell’atto difede, sono tra loro mediati grazia e libertà? Qualeè la strada che conduce dal sapere al credere? Disovente si è ritenuto che la fede, poiché si fonda-va su principi non dettati dalla ragione, era unaforma di conoscenza irrazionale. Quello che peròsi dimentica è che la conoscenza della fede non èda identificare semplicemente con il conoscereconcettualistico e razionalistico, ma è la capacitàdi aprirsi all’altro, di capirlo ed abbracciarlo edi trovare così se stessi. Non può la fede, in basea questa concezione più globale e personale dellaconoscenza, essere estranea all’ambito dellaconoscenza. Sono costitutivi dell’atto di fedeconoscenza e interiore aspirazione, ricerca e desi-derio di verità. La fede è un orientamento dellanostra esistenza nel suo insieme, è una decisionedi fondo, che ha effetti in tutti gli ambiti dellanostra esistenza. La fede non è un processo solointellettuale, né solo di volontà, né solo emoziona-le, è tutto questo insieme, è un dono all’internodella struttura naturale dell’uomo. La fede, chenella visione positivista e materialista, è ridimen-sionata, interpretata nella sua ampiezza apre il

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varco verso una nuova dimensione, in cui, attra-verso il dono, diventa atto di tutto l’io, di tutta lapersona nella sua unità raccolta insieme. È un attoaltamente personale, che non può realizzarsisenza che noi tocchiamo il nostro fondamento piùprofondo, il Dio vivente, che è presente nella pro-fondità della nostra esistenza e la sostiene. Ciòsignifica però che in un tale atto viene superatol’ambito dell’agire puramente personale. L’essereumano come essere creato è nel suo più profondonon solo azione, ma sempre anche passione, nonsolo essere donante, ma essere accogliente. IlCatechismo della Chiesa Cattolica esprime tuttoquesto così: “La fede è un atto personale: è la libe-ra risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che sirivela. La fede però non è un atto isolato. Nessunopuò credere da solo, così come nessuno può vive-re da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso,così come nessuno da se stesso si è dato l’esisten-za”26.

La realtà della fede è dunque una realtà inmovimento che ha come fondamento e come fineDio stesso: l’uomo esce da sé per ricongiungersi aColui dal quale proviene. Usando un’espressionecara agli antichi teologi, ispirati dalla riflessionedi S. Agostino27, fede è credere Deum, credere inDeum, credere Deo – credere Dio, credere in Dio,credere a Dio.

26 Catechismo della Chiesa Cattolica, n.166.27 Cfr. AGOSTINO D’IPPONA, Esposizione sui Salmi 130,1;Commento al Vangelo di San Giovanni 29,6.

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Credere Dio

Dio è l’oggetto primario ed essenziale dellafede: non una verità astratta, ma un Essere persona-le. “La fede è innanzi tutto una adesione personaledell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabil-mente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dioha rivelato”28. La fede non è una teoria astratta, nonè una riflessione arida su concetti che la teologiadesume da questa o quella visione filosofica, èprima di tutto ed essenzialmente comprendere che“Dio è amore”29, cioè esiste in quanto Trinità.Amava ripetere Gregorio di Nazianzo, uno deigrandi Padri della cristianità antica: “Quando dicoDio intendo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”30.

La formula di fede che rinnoviamo ogniDomenica nella celebrazione eucaristica, IlSimbolo niceno-costantinopolitano, il quale traela sua autorità dal fatto di essere frutto dei primidue Concili Ecumenici (il Concilio di Nicea del325 d.C. e il Concilio di Costantinopoli del 381d.C.), racchiude in se stessa tutta la fede cristiana:l’affermazione dell’esistenza di Dio e del suoagire salvifico; l’inizio e la fine del mondo, l’ori-gine, il peccato, la redenzione e il compimentodell’uomo; la chiesa, la sua predicazione, i suoisacramenti e i suoi ministeri. Il Credo non è un’e-spressione di fede generica e vaga, ma la testimo-nianza decisa del Dio vivente nella storia, di quel

28 Catechismo della Chiesa Cattolica, n.150.29 1Gv. 4,16.30 GREGORIO DI NAZIANZO, Oratio 45,4, in PG. 36, 628 C.

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Dio che per mezzo di Gesù Cristo nello SpiritoSanto si è a noi concretamente rivelato.

Credere in Dio

L’atto di fede è un’affermazione e un amore,un amore che cerca una Persona e che l’affermaper possederLa. La fede nel Dio Trinità costitui-sce la nostra beatitudine, proprio perché crederein Lui è radicarsi nella vita nuova che offre, cosìcome leggiamo nel Vangelo di S. Giovanni:“Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unicovero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo”31.

La conoscenza di Dio è conoscenza di amore,che vuole redimere ciò che il peccato ha distrutto.L’amore di Dio verso gli uomini e degli uominiverso Dio è dunque l’elemento essenziale e pecu-liare della nostra fede cristiana. La rivelazione nelFiglio incarnato di Dio Padre, che ama il mondosino al punto di consegnargli il suo stessoUnigenito, è uno dei punti essenziali del messag-gio cristiano; ma è parimenti essenziale la convin-zione che l’amore di Dio passa attraverso gliuomini. Sono due dimensioni che si intrecciano eche sgorgano dal mistero centrale dell’Incarna-zione storica del Figlio tra gli uomini. Il farsiuomo del Figlio affinché gli uomini raggiunganodefinitivamente il loro essere di figli di Dio, ha unsignificato fondamentale: il Dio lontano passaattraverso l’uomo vicino per mediare e comu-

31 Gv. 17,3.

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nicare la propria presenza. Il Figlio Gesù ha incor-porato in sé tutti gli uomini ed è questo corpo tota-le di Cristo quello che presenta la mediazioneadeguata affinché Dio si renda evidente agli uomi-ni e perché gli uomini accedano a Dio.

Con l’atto di fede l’uomo crede in Dio, Loriconosce quale fine di tutti i propri desideri edelle proprie azioni, perché solo in Lui trova lasua ragione ultima.

Credere a Dio

Nel testo conciliare Gaudium et spes vienedelineata quella che è la vocazione intima dell’uo-mo: “La ragione più alta della dignità dell’uomoconsiste nella sua vocazione alla comunione conDio”32.

È realmente una sete di Dio che l’uomo prova,nella profondità dello spirito: Dio illumina l’uo-mo con la sua grazia, lo ispira e l’uomo sceglie diaderire a questa grazia. Dio è Luce e Amore edona se stesso ad un essere bisognoso e affamatodi quella luce e di quell’amore. “Ma questo «inti-mo e vitale legame con Dio» può essere dimenti-cato, misconosciuto e perfino esplicitamente rifiu-tato dall’uomo. Tali atteggiamenti possono avereorigini assai diverse: la ribellione contro la pre-senza del male nel mondo, l’ignoranza o l’indiffe-renza religiosa, le preoccupazioni del mondo edelle ricchezze, il cattivo esempio dei credenti, lecorrenti di pensiero ostili alla religione, e infine la

32 CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 19.

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tendenza dell’uomo peccatore a nascondersi, perpaura, davanti a Dio e a fuggire davanti alla suachiamata”33.

Il Catechismo pone come condizioni per que-sta sete di Dio “lo sforzo della sua intelligenza, larettitudine della sua volontà, «un cuore retto» edanche la testimonianza di altri che lo guidino nellaricerca di Dio”34.

S. Agostino aveva già intuito questa dupliceesigenza di coniugare l’iniziativa di Dio con lalibera volontà di ricerca dell’uomo, definendo laricerca della fede come un “apprendere ciò che èvero non solo con la fede ma anche con la ragio-ne”35. In seguito a questo programma egli racco-glie il suo metodo in due notissimi enunciati com-plementari tra loro, che sono: “crede ut intelle-gas”36 e “intellege ut credas”37 – credi per capire ecapisci per credere. Il primo indica l’utilità dellafede, il secondo la necessità della ragione.

Per far comprendere l’utilità della fedeS. Agostino utilizza l’immagine esemplificativadella medicina che sana l’occhio dello spirito per-ché possa fissarsi sulla verità indefettibile38. Lafede poi non è mai senza ragione: non si può cre-dere se non si comprende con la ragione. Su que-sto possiamo rileggere la lezione del Catechismo:“È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti

33 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 29.34 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 30.35 AGOSTINO D’IPPONA, Contro gli Accademici, 3, 20, 43.36 AGOSTINO D’IPPONA, Discorsi, 43, 9.37 Ibidem.38 Cfr. AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, 6, 4, 6.

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interiori dello Spirito Santo. Non è però menovero che credere è un atto autenticamente umano.Non è contrario né alla libertà né all’intelligenzadell’uomo far credito a Dio e aderire alle verità dalui rivelate. Anche nelle relazioni umane non ècontrario alla nostra dignità credere a ciò che altrepersone ci dicono di sé e delle loro intenzioni, efar credito alle loro promesse (come, per esempio,quando un uomo e una donna si sposano), perentrare così in reciproca comunione. Conseguen-temente, ancor meno è contrario alla nostra digni-tà « prestare, con la fede, la piena sottomissionedella nostra intelligenza e della nostra volontà aDio quando si rivela» ed entrare in tal modo inintima comunione con lui”39. La fede è insiemedono di Dio e atto umano: la grazia di Dio scavain un terreno che è disposto ad accogliere il semedella Parola.

C’è poi un’evidenza interna della fede stessa,che attraverso la ragione, dimostra la credibilità diciò che si crede. Con grande acume S. Agostinoha proposto la plastica immagine degli occhi dellafede per enucleare proprio questa duplice esigen-za, che non annulla la fede, la quale resta, comedev’essere, assenso a ciò che non si vede, ma cheinserisce nel contesto della fede la ragione, laquale crede già che è vero ciò che ancora nonvede: “Alla falsa ragione è da preferire senza dub-bio non solo la vera ragione con cui comprendia-mo le verità che crediamo, ma anche la fede nelleverità che ancora non abbiamo compreso. Ad ogni

39 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 154.

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modo è meglio credere ciò ch’è vero, per quantonon ben capito, che pensar di capire come verociò che al contrario è falso. La fede infatti ha isuoi occhi, con cui vede in certo modo ch’è verociò che ancora non vede chiaro e coi quali vedecon assoluta certezza che ancora non vede chiarociò che crede. Orbene, chi mediante la vera ragio-ne capisce ciò che prima riteneva certo solo perfede, è senz’altro da preferirsi a chi desidera anco-ra di capire ciò che crede. Qualora poi costui nonsentisse nemmeno un tale desiderio e consideras-se quale solo oggetto da credere le verità cheancora dovesse intendere, ignorerebbe a che giovala fede. Infatti la fede ispirata dal sentimento reli-gioso non vuol restar separata dalla speranza edalla carità. Il fedele quindi deve credere quel cheancora non vede in modo da sperare e amare divedere in futuro”40. In qualche misura, sottolineaS. Agostino, perché altro sarebbe vedere ciò che sicrede, nel qual caso del resto la fede non sarebbepiù fede ma visione, altro è vedere solo che è cre-dibile l’autorità a cui si aderisce per fede. Perciò,se è ragionevole, sul piano del metodo, che la fedepreceda la ragione, è necessario, anche, sul pianodella credibilità, che la ragione preceda la fede,altrimenti questa non sarebbe più fede ma credu-lità vana.

Nella fede è Dio che invita per mezzo della suaGrazia e della sua Parola, e anche dei segni chepone sul nostro cammino: è un atto personale,rivolto da Dio a un’anima determinata nella sua

40 AGOSTINO D’IPPONA, Lettere, 120, 2, 8.

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propria individualità, e personalizzante, perchèogni singola anima realizzi la propria unicavocazione.

Oggi la Chiesa ci chiede di rinnovare questafede attraverso un impegno ben specifico, che saràargomento di discussione nel prossimo Sinodo deiVescovi: la nuova evangelizzazione. Su tale impe-gno credo che vada riportata la sottolineatura diPapa Benedetto XVI, per il quale non si tratta solopiù di annunciare il Cristo a coloro che non loconoscono, ma di tornare “noi stessi per primi aduna profonda esperienza di Dio”41. La nuova evan-gelizzazione va proposta prima di tutto con l’ardo-re di quella Chiesa apostolica, che prima di profes-sare Gesù di Nazareth quale Figlio di Dio, ha sen-tito e sperimentato che era il suo Signore, il suoDio. Allo stesso modo la Chiesa, che condivideoggi con tutti gli uomini la preoccupazione per legravi sfide presentate da una società sempre piùsecolarizzata, una società che sperimenta un crol-lo preoccupante delle fondamenta intellettuali,culturali e morali della vita sociale – un pensieroche non è più forte, una cultura che non promuovele forze vitali dell’uomo, una morale sotterranea –,immersa in un sempre più crescente senso di spae-samento e di insicurezza, deve sentire principal-mente il coraggio “di ripartire da Dio, celebrato,professato, e testimoniato”42.

41 BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea della Confe-renza Episcopale Italiana, Aula del Sinodo, 24 maggio2012.42 Ibidem.

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II LA FEDE CELEBRATA

“Poiché nella sua Chiesa il vescovo non puòpresiedere personalmente sempre e ovunque l’in-tero suo gregge, deve costituire necessariamentedei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto premi-nente le parrocchie organizzate localmente e postesotto la guida di un pastore che fa le veci delvescovo: esse infatti rappresentano in certo modola Chiesa visibile stabilita su tutta la terra. Per que-sto motivo la vita liturgica della parrocchia e il suolegame con il vescovo devono essere coltivati nel-l’animo e nell’azione dei fedeli e del clero; e biso-gna fare in modo che il senso della comunitàparrocchiale fiorisca soprattutto nella celebra-zione comunitaria della messa domenicale.”

(CONCILIO VATICANO II,Cost. past. Sacrosanctum Concilium, 42).

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Evangelizzazione e liturgia

Una fede confessata è per noi credenti una fedecelebrata. Tutta la liturgia della Chiesa è il luogoprivilegiato per celebrare le grandi opere che Diocompie, è il luogo in cui far risuonare le note delVangelo e attingere quello sprone per renderetestimonianza della speranza a cui siamo chiama-ti. Il Concilio ha fissato questa verità di fede nellaCostituzione pastorale Sacrosanctum Concilum:“la liturgia, mentre ogni giorno edifica quelliche sono nella Chiesa per farne un tempiosanto nel Signore, un’abitazione di Dio nelloSpirito, fino a raggiungere la misura della pie-nezza di Cristo, nello stesso tempo e in modomirabile fortifica le loro energie perché possa-no predicare il Cristo”43. Inerente a questa veritàè la definizione della stessa liturgia quale culmineverso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempostesso, la fonte da cui promana tutta la sua ener-gia44.

Per l’Anno della fede Papa Benedetto XVI haauspicato la necessità di riallacciare un profondolegame tra evangelizzazione e liturgia45, perchè nescaturisca uno slancio missionario che facciarisplendere le forze sopite che i credenti nutrono.Nella liturgia la parola e l’azione si intrecciano:

43 CONCILIO VATICANO II, Cost. past. SacrosanctumConciulum, 2.44 Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. SacrosanctumConciulum, 10.45 Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica in forma di MotuProprio Porta fidei, 11 ottobre 2011, n. 9.

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ciò che viene proclamato, è sentito come elemen-to vitale che trasforma. Ogni parola che la liturgiatrasmette, ogni gesto che fa compiere, ogni sim-bolo che presenta è tutto indirizzato a disvelare ilmistero di vita nuova che Dio ha in serbo percoloro che aderiscono con fede alla sua chiamata.La liturgia compie in questo modo, in manierasolenne, l’opera primaria dell’evangelizzazione,dell’annuncio della Vangelo di Cristo.

Ma quale è il tratto più distintivo della procla-mazione della Parola fatta carne? Ciò che risuonain ogni gesto e parola della liturgia è, come signi-fica la parola stessa vangelo, dal greco euanghe-lion, la buona notizia, l’annuncio di una gioia.

La gioia nella liturgia

La liturgia è il luogo privilegiato della gioia, illuogo in cui essa si esprime, in cui se ne riceve ildono, il luogo in cui si realizza la radice e la ragio-ne più profonda ed essenziale della gioia: l’essereDio con noi. Dio è sempre con noi, perché haposto la sua dimora nel nostro cuore e noi siamostati consacrati personalmente e comunitariamen-te come tempio del Dio vivente, ma l’incontro piùimmediato con Dio attraverso la carne vivificantedel Cristo, attraverso l’effusione da parte sua innoi dello Spirito Santo, è la liturgia.

È nella celebrazione della liturgia che noiandiamo a presentarci davanti a Dio, che in Cristorivela lo splendore del suo volto46. In essa il moti-

46 Cfr. Sal. 4,7.

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vo radicale della nostra gioia si attua, non soltan-to si ricorda.

In ogni celebrazione liturgica noi riceviamo loSpirito e, particolarmente nel suo vertice che è lacelebrazione dell’eucaristia, comunichiamo alcorpo glorificato del Cristo che effonde lo SpiritoSanto, fonte della nostra gioia.

Nella liturgia si realizza la realtà stessa dellaChiesa, al vertice del suo atto di esistere, comeassemblea convocata nella celebrazione liturgica.Siamo sempre Chiesa, perché sempre Dio dimora innoi, perché il nostro “corpo è tempio delloSpirito”47, perchè siamo stati fatti una sola cosa inCristo Gesù, “un solo Signore, una sola fede, unsolo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è aldi sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è pre-sente in tutti”48. Ma siamo Chiesa in modo nuovo,ad un livello incomparabilmente più intenso di veri-tà, di attualità, nel momento in cui siamo assembleaconvocata per compiere l’atto per il quale siamoconvocati, nella celebrazione del mistero.

Così, se la gioia si spiega per l’evento che lagenera, è nella liturgia che questo evento si com-pie e se la gioia è dono, è attraverso la liturgia chequesto dono lo si riceve. Se la gioia è nellaChiesa, è nella celebrazione della liturgia che que-sta gioia si sperimenta e si vive. Si sperimenta l’e-vento nuovo della storia: Dio è diventatol’“Emmanuele, che significa Dio con noi”49,

47 1Cor. 6,19.48 Ef. 4,5-6.49 Mt. 1,23.

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secondo una pienezza di rapporto. L’Emmanuele,che è venuto fra di noi, è venuto per rimanere connoi. Noi cantiamo nel Benedictus: “Dio ha visita-to il suo popolo”50 e ha posto la sua dimora inmezzo a noi. Suo Figlio Gesù è la tenda piantatain mezzo agli uomini, perché fosse per sempreristabilita la relazione con Dio.

L’ascensione del Cristo al cielo non ha costitui-to il distacco del Cristo dall’umanità, ma, al con-trario, la sua venuta più piena; ha perpetuato il suoesserci, e ha reso universale la sua presenza. QuelCristo che soltanto pochi potevano toccare, chepochissimi potevano vedere, e che tanto menovedevano nella sua realtà di mistero e toccavanocon la grazia della fede, quel Cristo che passavaper le strade della Palestina in mezzo al suo popo-lo, mediante lo Spirito Consolatore, abita nelnostro cuore. La simbologia del cero che nel gior-no dell’Ascensione si spegne non è il segno dellatristezza, ma, al contrario, è il segno di un perma-nere del Cristo che non ci abbandona più. C’è untempo di attesa per il suo ritorno nella pienezzadei tempi, che è riempito di gioia: “e gioirono idiscepoli al vedere il Signore”51 e nessuno avreb-be più sottratto loro questa gioia52. Questa si fondasu una promessa che il Maestro ha lasciato ai suoidiscepoli: “Ecco, io sono con voi sino alla fine delmondo”53.

50 Lc. 1,68.51 Gv. 20,20.52 Cfr. Gv. 20,20.53 Mt. 28,20.

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La Chiesa sorgente di gioia

Il libro dell’Apocalisse, in quella visione che ilCristo nella sua gloria offre di sè al discepolo cheama, e lo getta a terra nello sgomento estatico,dice che il Verbo cammina in mezzo ai candela-bri: “Ora, come mi voltai per vedere chi fossecolui che mi parlava, vidi sette candelabri d’oro ein mezzo ai candelabri c’era uno simile ad unfiglio d’uomo”54. L’ultimo versetto del primocapitolo chiarisce che i sette candelabri d’oro rap-presentano le sette Chiese, menzionate nel secon-do e terzo capitolo. Il Figlio dell’uomo, il Cristo,il Vivente, il Risorto dai morti, colui che non vacercato nel sepolcro55, vive e cammina in mezzoalle Chiese: questa è la visione del Cristo risortonella pienezza della presenza tra gli uomini.

Il Verbo che si è fatto carne, elemento dellagioia, ciò che fa esultare di gioia Dio, gli angeli,gli uomini e il cosmo, ha posto fra di noi in stabi-le dimora la presenza della sua gloria divina.Abita in mezzo a noi, in modo più intimo di chiabita e mangia sotto lo stesso tetto, perché siamonoi stessi la sua casa. Ciascuno di noi è la dimo-ra dello Spirito Santo e attraverso la sua effusioneabita nel nostro cuore. Ma non è soltanto un fattoindividuale: siamo noi, in quanto insieme, noi inquanto uniti gli uni agli altri, noi in quanto Chiesa,l’abitazione del Cristo. Un Cristo solo, in mezzo atutti noi, dentro a tutti noi, pietre vive56, costruite

54 Ap. 1,12-13.55 Cfr. Lc. 24,5.56 Cfr. 1Pt. 2,4.

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come “tempio del Dio vivente”57. In un altro passodella prima Lettera ai Corinzi, S. Paolo fa un’im-portante sottolineatura: “Non sapete che sietetempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita invoi?”58; egli non si rivolge al singolo, ma allacomunità e si rivolge alla comunità non intesacome la comunità della Chiesa nella sua universa-lità, ma come ‘quella comunità’ di ‘quellaChiesa’, cioè alla Chiesa di Corinto in pericolo: ifedeli di Corinto, insidiati da corruttori, non pos-sono dimenticare di essere tempio di Dio.

Non è soltanto il singolo, nè soltanto la Chiesauniversale il tempio di Dio, lo è la Chiesa locale,la comunità concreta dei credenti che si raccolgo-no a celebrare la lode di Dio e che insieme ascol-tano la Parola. Nella realtà dell’essere comunità,Chiesa locale e visibile, raccolta intorno all’altare,nella realtà dell’essere fatti casa del Signore, pie-tre vive, costruite le une sulle altre entro le qualiabita il Cristo, c’è la vera spiegazione e la veradimensione della nostra unità. Siamo una cosasola, perché abbiamo un solo vivente dentro dinoi: il Cristo. Non in uno più che nell’altro, ma innoi, in quanto uniti, in noi che siamo un cuoresolo e un’anima sola. Il cuore della Chiesa è ilcuore del Cristo presente in lei e l’anima dellaChiesa è la vita del Cristo, il Vivente, dimorantein lei. Questa esperienza di fede, di una realtà chenon si riduce a mera suggestione, fa percepire lapresenza nella comunità del Cristo risorto dai

57 2Cor. 6,16.58 1Cor. 3,16.

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morti, come anima unica, come cuore unico,come vivente unico ed è in questa esperienza chesi può trovare la ragione dell’insistenza, negli Attidegli Apostoli, specialmente nei primi capitoli,dell’unanimità dei discepoli. Erano unanimi,erano sempre insieme, non perché vivevano comegruppo, ma perché erano “un cuor solo ed un‘anima sola’”59. L’unità di cuore e di anima deiprimi discepoli non nasceva dal tentativo di crea-re semplicemente un accordo, ma proveniva dal-l’unità del Cristo dimorante in loro in virtù delloSpirito. Questa è l’unità della Chiesa. È soltantoall’interno della Chiesa che si attinge quellacomunione con Dio, unica e specifica, che è datain virtù della Incarnazione, da Dio posta in attoper realizzare la sua comunione con l’uomo e lacomunione dell’uomo con lui. Rispetto a questoregno presente, non c’è salvezza fuori dallaChiesa. È solo nella Chiesa che è imbandito ilbanchetto, solo là l’eucaristia, solo là il battesimo,solo là l’olio d’esultanza dello Spirito. Solo nellaChiesa v’è la reale oggettività di una fraternità cheva al di là di tutto, per cui si è fratelli in un vinco-lo, che non può essere smentito da nessun com-portamento di indifferenza o da nessuna assenzadi amore. Occorre, quindi, lasciarsi sempre dinuovo condurre e precedere dalla grazia per pote-re ricontemplare, nella forza della fede che ci dàcon estrema chiarezza di vedere questa realtà, labellezza della gloria della Chiesa di dentro, nelsuo essere e nella sua essenza.

59 At. 4,32.

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Vivere nell’unità della Chiesa

Come gli apostoli sono condotti su un altomonte60 per poter vedere il Cristo trasfigurato,così per vedere la Chiesa occorre essere condottisu un monte grande e alto, il monte della pienaattualità, della chiarezza della nostra fede. Nonpossiamo considerare la Chiesa in termini socio-logici, umani, naturali, se vogliamo innamorarcidella Chiesa e se vogliamo conoscerla nella suarealtà, che è la realtà interiore del mistero che essaporta con sè. Da questo amore generato continua-mente dalla visione nella fede, nasce la fedeltàalla Chiesa ad ogni costo. È in questo modo che,nell’economia di questa gioia che abbiamo vistoessere realtà dominante e travolgente dell’espe-rienza cristiana, la Chiesa viene collocata al verti-ce della nostra gioia. Al vertice c’è la Chiesa, per-chè là è la gloria del Signore, là la sua misericor-dia e la nostra salvezza.

La gioia suprema del cristiano è la Chiesa, percui il concreto nostro saper trovare la gioia nellaChiesa è un vivere nella Chiesa la realtà dellaChiesa, vivere senza risparmio la nostra esperien-za di Chiesa, come attesta l’Autore della Letteraagli Ebrei: “Manteniamo senza vacillare la pro-fessione della nostra speranza, perché è fedelecolui che ha promesso. Cerchiamo anche di sti-molarci a vicenda nella carità e nelle opere buone,senza disertare le nostre riunioni, come alcunihanno l’abitudine di fare, ma invece esortando-

60 Cfr. Mt. 17,1.

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ci a vicenda; tanto più che potete vedere come ilgiorno si avvicina”61.

Un calzante commento al passo neotestamen-tario può essere ricavato dalla testimonianza diuno dei Padri Apostolici, Ignazio di Antiochia,quando, scrivendo agli Efesini, dice: “Convieneprocedere d’accordo con la mente del vescovo,come già fate. Il vostro presbiterato ben reputatodegno di Dio è molto unito al vescovo come lecorde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dalvostro amore concorde si canti a Gesù Cristo. Eciascuno diventi un coro, affinché nell’armoniadel vostro accordo prendendo nell’unità il tono diDio, cantiate ad una sola voce per Gesù Cristo alPadre, perché vi ascolti e vi riconosca, per lebuone opere, che siete le membra di Gesù Cristo.È necessario per voi trovarvi nella inseparabileunità per essere sempre partecipi di Dio”62.

Sperimentare l’unità nella Chiesa è vivere laChiesa anche nella sua dimensione più persona-le. La realtà del Regno ha una dimensione essen-zialmente personale, non individuale, unadimensione cioè che passa attraverso la trasmis-sione della gloria di Dio da uomo a uomo, daanima ad anima, da cuore a cuore, da volto avolto. Si vive la comunione non in astratto, maessendo in comunione con ciascuno. La graziapassa attraverso questo: la fede si comunica inun incontro, l’amore lo si offre ad un essere per-

61 Eb. 10,23-25.62 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettera agli Efesini in ANTONIO

QUACQUARELLI (a cura di), I Padri Apostolici, Citta NuovaEditrice, Roma 1994, p. 101.

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sonale. La Chiesa vive di questi rapporti e inquesta realtà essenzialmente personale, nonastratta, non di principi, non massificata, diventasorgente di gioia nell’incontro personale, nell’e-sercizio della insostituibile e disinteressata cari-tà più gratuita: meno retribuita dalla gratificazio-ne che ci viene dal contraccambio. La promessadel Signore di una gioia unica più grande è dataproprio dall’assenza della gratificazione umana edella verifica immediata di questo riscontro alivello umano, perché “vi è più gioia nel dare chenel ricevere”63.

La liturgia della fede

Celebrare la gioia nella liturgia offre la possi-bilità di rendere visibile la nostra fede, di comuni-care che questa esperienza è qualcosa di travol-gente, che sa produrre un vero cambiamento delnostro cuore. Tre condizioni ci permettono diinquadrare questa dimensione vitale per la fede: laprima è nutrire la fede nell’evento che si compie.Ogni volta che si celebrano i misteri della fede, sicompie l’atto della nostra redenzione. Finché noinon comprendiamo la liturgia come un eventoche accade, un fatto che succede, la nostragioia non potrà essere altro che forzata, super-ficiale, breve, ben presto dimenticata. Comepossiamo invitare il cristiano ad impegnarsi per ilmondo, per i fratelli, a sacrificarsi, a porre la pro-pria vita e a costruire con la sua fame e sete di giu-

63 At. 20,35.

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stizia un mondo di maggiore verità, di maggiorebontà? Nella celebrazione della liturgia avviene lapresenza del dono di Dio: non vado soltanto aricordare un fatto passato, si rende presente perme il dono dell’Incarnazione, il dono dellaRedenzione, il dono della Morte vivificante delCristo, il dono della sua Risurrezione, il dono del-l’effusione dello Spirito Santo che si attua.Altrimenti non potremmo essere contenti se nonper suggestione collettiva.

Una seconda condizione fondamentale è che siabbia nei confronti della Parola di Dio la consape-volezza del suo essere Parola che proviene da Dioe quindi un atteggiamento sincero di profondaadorazione. Soltanto in questo modo se ne potràcogliere la novità e la si potrà vedere nella sua dif-ferenza incomparabile rispetto ad ogni altra paro-la, e si potrà riceverne anche l’efficacia creatrice etrasformante. Nell’annuncio della Parola dobbia-mo credere che Dio pronuncia questa Parola, cheDio è presente e ci parla, e che Dio non parla inva-no.

Terzo elemento condizionante, è che si abbiacon il Cristo, presente realmente nell’Eucaristia,un rapporto personale e che ci si riferisca quindiall’Eucaristia non come ad un simbolo, ma comeallo Sposo amato, al fratello, al Dio, al Signorepresente, come Tommaso che si prostrò davanti alCristo chiamandolo “Mio Signore e mio Dio”64,quando lo vide nella rivelazione nuova della fede,glorioso nella risurrezione.

64 Gv. 20,28.

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III LA FEDE TESTIMONIATA

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le ango-sce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e ditutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e lesperanze, le tristezze e le angosce dei discepoli diCristo, e nulla Vi è di genuinamente umano chenon trovi eco nel loro cuore. La loro comunità,infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insie-me nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nelloro pellegrinaggio verso il regno del Padre, edhanno ricevuto un messaggio di salvezza daproporre a tutti. Perciò la comunità dei cristianisi sente realmente e intimamente solidale con ilgenere umano e con la sua storia.”

(CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gudium et spes, 1).

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Vie preferenzialiper una nuova evangelizzazione

Nel volgere lo sguardo al Cristo, principio efine di tutte le cose, la nostra Chiesa trova lanorma suprema da incarnare storicamente senzacompromessi e tentennamenti, ponendo in evi-denza una precisa scala di valori che emerge dal-l’insegnamento di Cristo e dal magistero dellaChiesa stessa. In essi ascoltiamo la voce delloSpirito che loda “le opere, la carità, la fede, il ser-vizio e la costanza”65 e che insieme invita alla con-versione e a intraprendere strade nuove per rinno-vare se stessi: “svegliati e rinvigorisci ciò cherimane e sta per morire, perché non ho trovato letue opere perfette davanti al mio Dio”66.

Sulla base di quelle che sono concrete esigen-ze per cui il nostro territorio richiede attenzione,vorrei nuovamente indicare, dopo la celebrazionedel nostro Convegno diocesano Vedo vivere laChiesa per un cristianesimo ecclesiale e solidale(26-29 settembre 2011), alcune vie preferenzialisecondo cui attuare il compito della nuova evan-gelizzazione: cultura e comunicazione, impegnosociale e politico, famiglia e giovani. Esse riguar-dano sia il rinnovamento del tessuto cristianodelle nostre comunità che il loro impegno nellagestazione di una nuova società in Terra diLavoro, in cordiale collaborazione con tutte le sueforze e istanze positive. Voglio perciò offrire allenostre comunità, su ciascuna di queste vie, alcuni

65 Ap. 2,19.66 Ap. 3,2.

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spunti, al fine di sollecitare un sereno e sinceroesame di coscienza, per mettere in rilievo le molteesperienze positive, per riconoscere con umiltà efiducia in Dio anche le proprie inadempienze eper proporre istanze e idee di rinnovamento per ilcomune cammino futuro.

Cultura e comunicazione

Parlare di un’organica pastorale della culturae del problema della comunicazione e dei suoimezzi significa per la nostra Diocesi impegnare leforze più vive per aprire un vasto campo di azio-ne pastorale, proprio perché la sfida è serrata.Infatti uno degli interrogativi da porci è perché laproposta cristiana, per sua natura destinata a darepieno senso all’esistenza, è stata inadeguata a for-mare coscienze capaci di dare testimonianzacoerente in ogni ambito sociale.

Il Vangelo è per se stesso generatore e plasma-tore di civiltà e cultura, eppure noi oggi sperimen-tiamo una frattura profonda tra fede e vita, traVangelo e cultura, e insieme l’ansia di riscoprirele radici evangeliche della nostra storia perchécostituiscano un solido punto di riferimento per losviluppo e la coesione della società. Ci sonodomande che rappresentano una sfida impellenteper noi credenti: le ragioni evangeliche di vitasono ancora ritenute significative? Possono costi-tuire una base di dialogo e di confronto efficace inun quadro culturale frammentato e pluralistico?Come raccordare, nella ricerca e nella proposta

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culturale, i temi oggi decisivi della libertà e dellaverità del Vangelo, le ragioni dell’identità e deldialogo, della verità e della carità? Su questo ver-sante della testimonianza, la nostra comunità devefarsi portatrice di una proposta culturale sul terri-torio, orientata in senso cristiano, per testimonia-re i valori della vita, della verità, del dialogo, dellareciprocità e dell’amore in maniera credibile.

L’impegno della cultura richiama il problemadella comunicazione sociale e dei suoi mezzi. Èquesto l’ambito in cui intendiamo affinare lanostra capacità di presenza, soprattutto attraversol’esperienza dell’Eco di Caserta, il nostro setti-manale diocesano, che con grande fatica va dif-fondendosi, dove si forma l’opinione pubblica,l’educazione al rispetto della verità, la denunciaquando occorre, le buone attitudini di mediazionee di espressione.

Impegno sociale e politico

Un secondo ambito privilegiato della nuovaevangelizzazione è rappresentato dall’impegnosociale e politico. Credo che il Vangelo possaoffrire una visione antropologica, autentica edequilibrata, capace di individuare e proporre inecessari riferimenti etici per affrontare e risolve-re i grandi problemi della nostra realtà.

La nostra comunità locale ha forze ed energieper intensificare il proprio impegno per la promo-zione dell’uomo e del bene comune. È urgenteoggi più che mai identificare il significato di bene

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comune, sotto il profilo economico, politico, isti-tuzionale, nella prospettiva di una visione dell’uo-mo e della società ispirata al Vangelo, valorizzan-do adeguatamente il prezioso patrimonio delladottrina sociale della Chiesa.

I contenuti e i valori fondamentali dell’antro-pologia e dell’etica cristiana sono da coltivare nonper un qualsiasi vantaggio della Chiesa, che bensa di non essere chiamata ad esercitare alcun pote-re terreno, ma perché essi esprimono, attraversol’adesione alla verità che rende liberi, l’autenticobene della persona e della società comunitaria-mente strutturata: il bene comune.

Il bene comune consiste nel “rendere accessibi-le all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno, per condur-re una vita veramente umana, come il vitto, ilvestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi uno statodi vita e a fondare una famiglia, il diritto all’edu-cazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, allanecessaria informazione, alla possibilità di agiresecondo il retto dettame della coscienza, alla sal-vaguardia della vita privata e alla giusta libertàanche in campo religioso”67 (GS 26).

Il compito di promuovere il “bene comune”spetta prima di tutto alla comunità civile. Ma aquesto scopo la comunità civile deve valorizzare“l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e asso-ciati, sulla base del principio di sussidiarietà”68. IlConcilio Vaticano II ha affermato che la comuni-tà civile e la Chiesa, pur nella loro autonomia,

67 CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 26.68 Costituzione Italiana, art. 118.

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69 CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 76.

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“sono a servizio della vocazione personale esociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno que-sto loro servizio a vantaggio di tutti in manieratanto più efficace, quanto più coltiveranno unasana collaborazione tra di loro, secondo modalitàadatte alle circostanze di luogo e di tempo”69.

Testimoniare l’amore di Dio con la promozio-ne del bene comune, il bene di tutti e di ciascuno,permetterà di umanizzare gli spazi della conviven-za civile, riconoscendo la vocazione naturale dellepotenzialità del territorio.

La possibilità di un impegno comune riguarda-no l’educazione a vari livelli, dove si richiede unpatto convergente, un’alleanza delle agenzie edu-cative: istituzioni, famiglia, scuola, parrocchia,associazioni sportive, ricreative e culturali. Taliaspetti riguardano l’assunzione di responsabilità alivello sociale e politico, in particolare nella situa-zione odierna del nostro territorio così rovinosa-mente precipitato nel degrado. Si tratta di rifonda-re la società civile, di ritrovare e rinnovare lemotivazioni del bene che essa rappresenta.

L’impegno della Chiesa è anche quello disuscitare una nuova generazione di uomini edonne capaci di assumersi responsabilità direttenei vari ambiti del sociale, in modo particolare inquello politico. Esso ha più che mai bisogno divedere persone, soprattutto giovani, capaci di edi-ficare una vita buona a favore e al servizio ditutti.

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Famiglia e giovani

La famiglia rappresenta la cellula della Chiesae della società; da essa dipende la vitalità dellenostre realtà sociali ed ecclesiali. Le famiglia, inqualsiasi situazione si trovi, costituisce la strutturaeducativa fondamentale delle nuove generazioni.

Il contesto attuale è segnato fortemente daun’erosione di questa struttura fondamentale dellasocietà: fragilità della vita di coppia (non possia-mo sottacere il numero sempre più crescente dellecoppie di sposi che si dividono), difficoltà di met-tere al mondo dei figli e di educarli nella fede ealla fede e debole consapevolezza del loro ruolosociale ed ecclesiale. Attorno alla realtà dellafamiglia si raccolgono oggi gli aspetti salientidella sfida educativa. Sarebbe utile rileggere lalezione del Concilio: “Nell’edificazione di unacomunità ecclesiale unita nella carità e nella veri-tà di Cristo, è fondamentale la testimonianza e lamissione della famiglia cristiana. Costituita dalsacramento del matrimonio ‘Chiesa domestica’,la famiglia, ‘riceve la missione di custodire, rive-lare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo ereale partecipazione dell’amore di Dio per l’uma-nità e dell’amore di Cristo Signore per la suaChiesa’ (Familiaris consortio, 17). Essa è il primoluogo in cui l’annuncio del Vangelo della caritàpuò essere da tutti vissuto e verificato in manierasemplice e spontanea”70.

70 CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità.Orientamenti pastorali per gli anni ’90, n. 30.

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Il Vangelo, come rivelazione dell’amore diDio, ha un destinatario privilegiato negli sposi enella famiglia, che sono pertanto al centro dellanuova evangelizzazione. Occorre necessariamenteriproporre oggi la perenne validità del disegno diDio sul matrimonio e sulla famiglia e rimuoveretutti quegli ostacoli, che sono oggi più frequentiper accogliere e vivere questa proposta di vita.

Una prima esigenza prioritaria è dare più slan-cio decisivo alla formazione degli sposi già nelperiodo di fidanzamento per diventare consapevo-li e responsabili della scelta di vita che si compie.E intendo formazione umana e spirituale insieme:questa è la prima tappa per diventare poi educato-ri de propri figli e soggetti attivi della nuova evan-gelizzazione. Qui richiamo l’insegnamento affi-datoci da Giovanni Paolo II nell’Anno dellaFamiglia: “L’educazione religiosa e la catechesidei figli collocano la famiglia nell’ambito dellaChiesa come un vero soggetto di evangelizzazionee di apostolato. Si tratta di un diritto intimamenteconnesso col principio della libertà religiosa. Lefamiglie, e più concretamente i genitori, hannolibera facoltà di scegliere per i loro figli un deter-minato modo di educazione religiosa e moralecorrispondente alle proprie convinzioni. Maanche quando essi affidano tali compiti ad istitu-zioni ecclesiastiche o a scuole gestite da persona-le religioso, è necessario che la loro presenza edu-cativa continui ad essere costante ed attiva”71.

71 GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle Famiglie Gratissimamsane, 2 febbraio 1994, n.16.

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Nella famiglia inoltre si può intravedere quellapiù versatile ministerialità laicale, attenta al terri-torio e capace di valorizzare e promuovere i valo-ri evangelici, in direzione di quella corresponsa-bilità ecclesiale, di cui ho parlato nella primaLettera Pastorale Vedo vivere la Chiesa72. La fami-glia è la via della Chiesa73, attraverso la quale sipuò consegnare alle generazioni future l’ereditàpreziosa della fede cristiana.

Intimamente legato al tema della famiglia èquello dei giovani. A conclusione del VIIIncontro Mondiale delle Famiglie, tenutosi aMilano nei giorni 1-3 giugno 2012, Papa BendettoXVI ha precisato: “non c’è futuro dell’umanitàsenza la famiglia; in particolare i giovani, perapprendere i valori che danno senso all’esistenza,hanno bisogno di nascere e di crescere in quellacomunità di vita e di amore che Dio stesso havoluto per l’uomo e per la donna”74.

Il mondo dei giovani è oggi contrassegnato daun forte desiderio di autenticità, da una sensibili-tà particolare verso i valori dell’amicizia, dellasolidarietà, dell’ecologia, del volontariato. C’è inloro anche un’inedita domanda di spiritualità.

Allo stesso tempo, però, la realtà che vivono ècaratterizzata dall’incertezza e da una faticosaprogettualità. I giovani sperimentano, con intensi-

72 PIETRO FARINA, Vedo vivere la Chiesa Lettera pastorale2010-2011, Edizioni Saletta dell’Uva, Caserta 2011, p. 16.73 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle Famiglie Gratissi-mam sane, 2 febbraio 1994, n.2.74 BENEDETTO XVI, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 6giugno 2012.

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tà tutta particolare, le contraddizioni e le potenzia-lità del nostro tempo, caratterizzato dal crescere difenomeni come l’indifferenza e la difficoltà diaccedere all’esperienza di Dio oppure l’accentua-zione soggettiva dell’appartenenza ecclesiale con-dizionata.

Inoltre il consenso intorno ai principi eticiviene eroso da una relativismo, reso ancora piùesasperato dall’imporsi di una cultura dell’imma-gine. Eppure quello che tocco con mano, nel dia-logo umano e fraterno che intesso nella quotidia-nità, è vedere i giovani capaci di saper esprimereanche oggi le attese dell’umanità e portare in ségli ideali che si fanno strada nella storia. Una notapositiva, a detta di molti osservatori, è vedere ogginella Chiesa il ritorno dei giovani all’adorazioneeucaristica, perché in essa sperimentano unagioia non in nome di un precetto soddisfatto, madi una relazione d’amore riscoperta. È un’aspira-zione iscritta nei loro cuori.

Quello su cui dobbiamo riflettere è invece unnostro problema: di fronte alla complessità e airapidi cambiamenti del mondo giovanile la nostraChiesa corre il rischio di mostrarsi talvolta incer-ta e in ritardo. Occorre una pastorale giovanilecoraggiosa e innovativa.

È indispensabile che nel suo servizio di educa-zione alla fede dei giovani tutta la comunità cri-stiana proceda per progetti e itinerari educativirispettosi della realtà dei singoli e della ricchezzadella proposta evangelica, riconoscendo i giovanicome soggetti attivi della propria crescita e capa-ci di servizio generoso alla comunità. Non è più

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tempo di semplici interventi frammentari, ma diun progetto organico di formazione cristianaglobale, che faccia fare esperienza della bellezzadella vita cristiana, dove la proposta da parte dellaChiesa locale fa sentire la forza viva e l’indicazio-ne di vita che proviene dal Vangelo.

I nuovi stili di vita

La Chiesa è annuncio della verità dell’amore diCristo nella società. Lo sviluppo, il benesseresociale, un’adeguata soluzione dei gravi problemisocio-economici che ci affliggono, hanno bisognodi questa verità, ma ancora più hanno bisogno chetale verità sia amata e testimoniata. Amare ilCristo è amare Colui che ha liberato l’uomo daogni condizionamento e da ogni schiavitù.

I credenti sono chiamati alla sequela di GesùCristo, diventando suoi discepoli: diventare disce-poli di Gesù Cristo significa imparare a vivereseguendo lo stile di vita di Gesù.

Come termine di riferimento possiamorichiamare l’esperienza degli Apostoli, i quali,dinanzi alla chiamata di Gesù, hanno lasciato iltipo di vita che conducevano, per poter far partedella comunità di Gesù. Degna di nota è, rileg-gendo il passo della chiamata di Simone eAndrea, l’azione finale dei due pescatori: “Esubito lasciarono le reti e lo seguirono”75. Gliapostoli ascoltano la voce del Maestro, lascianotutto e lo seguono.

75 Mc. 1,18.

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C’è un appello che risuona all’inizio di ognichiamata ed è l’appello che Gesù rivolge a tutti:“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;convertitevi e credete al Vangelo”76. Per compiereun radicale cambiamento occorre accogliere l’in-vito che Gesù pone come condizione di sequelaall’inizio della sua missione: la conversione e lafede in Lui, Parola di Dio.

La parola greca metànoia deriva dal verbometanoein, che significa cambiare modo di pensa-re: composto di metà che indica mutamento osuperamento, e di noein che significa pensare.Gesù Cristo ne fa una esigenza fondamentale peraccogliere il Regno di Dio77. Si tratta di una rivolu-zione religiosa e culturale che pone le condizioniper nuovi stili di vita. È questo un cambiamento dirotta, che ha come mèta Dio e il suo Regno di giu-stizia; non si tratta solo di cambiare idea, ma siallude ad una svolta che vuole mutare completa-mente l’impostazione della vita, incentrata sullalogica dell’amore, accogliendo il grande dono del-l’amore che Dio offre continuamente all’umanità echiedendo alla persona umana di rispondere conaltrettanto amore. Il cambiamento parte allora dauna nuova mentalità da assumere e si concretizzanelle scelte quotidiane. Scrive a proposito il saggioebreo Martin Buber: “Il punto di Archimede a par-tire dal quale posso da parte mia sollevare ilmondo è la trasformazione di me stesso”78.

76 Mc. 1,15.77 Mt. 4,17.78 MARTIN BUBER, Il cammino dell’uomo secondo l’insegna-

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La proposta di nuovi stili di vita si fonda sul-l’accoglienza della Parola, sempre nuova, delVangelo. Cambiare stili di vita non è solamenteun’esigenza sociale, ma è prima di tutto un’esi-genza di fede. Il credente è chiamato a testimonia-re la vita del Vangelo e a diventare credibilemediante stili di vita che esprimono l’amore versotutto il Creato e tutte le sue creature, come grandedono di Dio.

Papa Giovanni Paolo II percepì l’importanza diquesto movimento di cambiamento e nell’Enci-clica Centesimus annus fece risuonare in manierachiara e forte l’appello a “costruire stili di vita, neiquali la ricerca del vero, del bello e del buono e lacomunione con gli altri uomini”79 rappresentasse-ro le condizioni per promuovere la crescita e ilbene comune.

Promuovere nuovi stili di vita, con un atteggia-mento carico di fede, consentirà alla nostra Chiesadiocesana di offrire nuovo impulso alla vita socia-le, ispirando intenzioni e costumi alla luce delVangelo e comunicando quel nuovo umanesimoche affonda le sue radici nel Cristianesimo, per-metterà di costruire insieme a tutti gli uomini dibuona volontà una città più umana, più giusta esolidale.

mento chassidico, Edizione Qiqajon, Comunità di Bose,Magnano 1990, p. 45.79 GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Centesimus annus, 31 mag-gio 1998, n. 35.

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CONCLUSIONE

L’Anno della fede è un’occasione per guardarein profondità e comprendere il mistero di grazia acui Dio ci chiama e dinanzi al suo appello occor-re sempre la risposta pronta di chi sa accogliere erendere franca e coraggiosa la propria adesione difede, che, come ho cercato di trasmettere in que-sta mia Lettera pastorale, non è solo una cono-scenza di contenuti, ma soprattutto un fare espe-rienza di Dio.

A tal riguardo vorrei concludere proprio con leparole di un grande testimone della fede, di unDottore della Chiesa, S. Alfonso Maria de’Liguori, il santo del secolo dei Lumi e gloria dellenostre terre, che nella II delle Visite al SS.Sacramento e a Maria SS.ma, sente che la propriafede non ha forza sufficiente per esprimere il pro-prio amore verso Dio, se non apre il proprio cuoreall’onda della Grazia per consentire alla Parola diCristo di passare con tutta la sua potenza trasfor-matrice: “Dunque, Gesù mio, giacchè te ne staichiuso in questo Tabernacolo per accogliere lesuppliche dei bisognosi che si rivolgono a te perchiedere udienza, ascolta oggi la preghiera che tirivolge questo peccatore ingrato. Io mi prostro aituoi piedi, cosciente e pentito del male che hofatto. Prima di tutto, perdonami tutte le mie colpe.Ah! mio Dio, non ti avessi mai offeso! E poi saicosa voglio? Ecco, ora so che ho sperimentato la

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tua grande amabilità, mi sono innamorato di te emi struggo dal desiderio di amarti e di fare tuttociò che piace a te. Però, non ne ho forza, se tu nonmi aiuti. Ebbene, sii generoso con me; fà, cono-scere a tutto il paradiso la tua onnipotenza, la tuabontà immensa. Trasformami da ribelle in grandeinnamorato di te. Tu lo puoi; tu lo vuoi fare.Supplisci a quanto mi manca per amarti assai, oalmeno per amarti nella misura in cui ti ho offeso.Ti amo, Gesù mio, sopra ogni cosa. Ti amo piùdella vita mia, mio Dio, mio amore, mio tutto”80.

Affido alla Vergine Santissima, Madre dellaChiesa, a San Michele Arcangelo, patrono dellanostra Diocesi, a tutti i Santi patroni delle nostreparrocchie e al Venerabile Giacomino Gaglione, ilcammino che dovrebbe condurci, in quest’Annodella fede, a riscoprire e rinvigorire la nostra ade-sione a Cristo Gesù.

Caserta, 11 ottobre 2012

Per tutti invoco ogni benedizione dal Signore.† Pietro Farina

80 S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, Visite al SS. Sacramentoe a Maria SS.ma, Visita II.

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INDICE

Introduzione p. 5

I La fede professata » 11Gli occhi della fede » 12Alla sorgente della fede » 14Credere Dio » 18Credere in Dio » 19Credere a Dio » 20

II La fede celebrata » 25Evangelizzazione e liturgia » 26La gioia nella liturgia » 27La Chiesa sorgente di gioia » 30Vivere nell’unità della Chiesa » 33La liturgia della fede » 35

III La fede testimoniata » 37Vie preferenziali per una nuova evangelizzazione » 38Cultura e comunicazione » 39Impegno sociale e politico » 40Famiglia e giovani » 43I nuovi stili di vita » 47

Conclusione » 51

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Finito di stampareper le Edizioni Saletta dell’Uvanella Tipografia Depigraf snc

nel mese di ottobre 2012