Lettera dalla Libia...La stella d’Italia ci addita un tesor. A Tripoli, Tripoli bel suol d’amor...

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178 REPORTAGE Caro lettore, ero ancora bambino e c’era la guerra. Nella vecchia casa di Biella, in quello che allora si chia- mava corso Vittorio Emanuele, mia mamma mi faceva ogni tanto ascoltare le canzoni della sua gio- ventù. In un grande grammofono la punta d’acciaio, stridendo su un disco a 78 giri nero come il car- bone, diffondeva le note di una marcia che mi piaceva moltissi- mo: «Sai dove s’annida più florido il suol! Sai dove sorrida più magi- co il sol! Sul mar che ci lega coll’Africa d’or. La stella d’Italia ci addita un tesor. A Tripoli, Tripoli bel suol d’amor ti giunga questa mia canzon». Così diceva la vec- chia marcia al cui ascolto mia mamma faceva seguire il raccon- to di un’indimenticabile crociera che, insieme con il nonno Felice, la portò dall’altra parte del Medi- terraneo sul lungomare che ri- splendeva come una perla e che è oggi invece un vialone pieno di automobili, staccato dal mare per l’interposizione di una tangenziale ad otto corsie che farebbe inorri- dire il paroliere di A Tripoli. Tripoli è oggi una grande città che conta oltre due milioni di per- sone. Per capire come essa sia cambiata negli anni, ti ricordo che, quando nel 1923 il Touring Club Italiano pubblicò la prima guida tu- ristica della Tripolitania, la città contava in tutto 50.000 abitanti, Lettera dalla Libia ROBERTO RUOZI * A LETTER FROM LIBYA Libya, once a “land of love”, is now a complex and indefinable economic and political reality. Tourism is gradually be- coming a more fundamen- tal aspect for this country, whose recent changes re- sult more from its leader's moods than an authentic awareness. Of course, in- ternational relations had to gradually normalize in or- der to move in this direc- tion. A more accommodat- ing approach is needed. Its wealth of sights, mainly ar- chaeological treasures, are yet to be discovered. The Tripolitan is the region of three cities: Sabrata, Oea (Tripoli) and Leptis Magna. The antique history of Libya lies in its treasures that are now emerging af- ter centuries of oblivion. In addition to this is the Sa- hara desert, which is not as the etymology suggests, “the great void”. It is pul- sating with life, even if everything has diminished compared to the richness of its original state 10,000 years ago. REPORTAGE

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Caro lettore,ero ancora bambino e c’era

la guerra. Nella vecchia casa diBiella, in quello che allora si chia-mava corso Vittorio Emanuele, miamamma mi faceva ogni tantoascoltare le canzoni della sua gio-ventù. In un grande grammofonola punta d’acciaio, stridendo suun disco a 78 giri nero come il car-bone, diffondeva le note di unamarcia che mi piaceva moltissi-mo: «Sai dove s’annida più floridoil suol! Sai dove sorrida più magi-co il sol! Sul mar che ci legacoll’Africa d’or. La stella d’Italia ciaddita un tesor. A Tripoli, Tripolibel suol d’amor ti giunga questamia canzon». Così diceva la vec-chia marcia al cui ascolto miamamma faceva seguire il raccon-to di un’indimenticabile crocierache, insieme con il nonno Felice,la portò dall’altra parte del Medi-terraneo sul lungomare che ri-splendeva come una perla e cheè oggi invece un vialone pieno diautomobili, staccato dal mare perl’interposizione di una tangenzialead otto corsie che farebbe inorri-dire il paroliere di A Tripoli.

Tripoli è oggi una grande cittàche conta oltre due milioni di per-sone. Per capire come essa siacambiata negli anni, ti ricordo che,quando nel 1923 il Touring ClubItaliano pubblicò la prima guida tu-ristica della Tripolitania, la cittàcontava in tutto 50.000 abitanti,

Lettera dalla LibiaROBERTO RUOZI *A LETTER

FROM LIBYA

Libya, once a “land oflove”, is now a complexand indefinable economicand political reality.Tourism is gradually be-coming a more fundamen-tal aspect for this country,whose recent changes re-sult more from its leader'smoods than an authenticawareness. Of course, in-ternational relations had togradually normalize in or-der to move in this direc-tion. A more accommodat-ing approach is needed. Itswealth of sights, mainly ar-chaeological treasures, areyet to be discovered. TheTripolitan is the region ofthree cities: Sabrata, Oea(Tripoli) and Leptis Magna.The antique history ofLibya lies in its treasuresthat are now emerging af-ter centuries of oblivion. Inaddition to this is the Sa-hara desert, which is not asthe etymology suggests,“the great void”. It is pul-sating with life, even ifeverything has diminishedcompared to the richnessof its original state 10,000years ago.

R E P O R T A G E

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di cui 15.000 italiani, 15.000israeliti e 20.000 musulmani. Nel1929, quando uscì a cura delgrande Luigi Vittorio Bertarelli laseconda guida del sodalizio, il cuinome – per eliminare gli anglicismiche conteneva – era stato nel frat-tempo cambiato dal regime in Con-sociazione Turistica Italiana, gliabitanti di Tripoli erano peraltro giàsaliti a 60.000.

Lo sviluppo demografico el’urbanizzazione della Libia, cheoggi conta circa 5 milioni di citta-dini, sono quindi stati spettacola-ri. Il Paese ha subìto negli ultimidecenni varie vicende politiche edeconomiche, ma si è recente-mente riaperto al mondo esternoe pare avviato alla normalizzazio-ne.

L’integrazione non è facile erichiederà tempo per essere ef-fettivamente realizzata. Lo svilup-po del turismo potrà certamentefavorire e accelerare il processo.

Attualmente i veri turisti in Libianon sono più di 25.000 all’anno,ma il Governo, anche con la col-laborazione dell’Italia, conta di ef-fettuare cospicui investimenti nelsettore. Si parla di poter prestoraggiungere i 2/300.000 posti let-to e di superare il milione e mez-zo di presenze annue. Credo chesi tratti di calcoli ottimistici. Il tu-rismo qui è agli albori e per la suaaffermazione è necessario un for-te balzo culturale e materiale. Tut-to è sostanzialmente da fare ne-gli alberghi, nei ristoranti, nei tra-sporti, nella formazione professio-nale degli addetti ai servizi, nelcommercio e, più in generale,nell’accoglienza del turista. Non sipuò rimediare a tutto in poco tem-po, pur essendo vero che le at-trattive turistiche del Paese sa-rebbero in grado di soddisfare unnumero elevato di viaggiatori an-che raffinati. Ho peraltro la sen-sazione che i gioielli turistici di cui

è ricca la Libia non siano adatti alturismo di massa. Penso al de-serto e ai siti archeologici, in cuispesso si annidano tesori chepossono essere gustati solo se ilnumero di visitatori è limitato. Ètuttavia un peccato che tali tesoripossano essere inaccessibili aipiù.

Le bellezze della Libia vannoscoperte di persona. Un vecchioproverbio tuareg, citato dal grandeesperto e amante del SaharaThéodore Monod nel suo bel libroIl viaggiatore delle dune, dice: «Me-glio vedere con i propri occhi cheessere informati da altri». È un’af-fermazione saggia, che si addiceperfettamente al contesto.

Siamo a Tripoli, perno dellaTripolitania, “regione delle trecittà” Sabrata, Oea (l’odierna Tri-poli) e Leptis Magna. Erano que-ste città antichi empori fenici, co-lonizzati in epoca romana, in cuiraggiunsero il massimo splendore

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La suggestivabellezza del desertodell’Akakuscostituisce senz’altrouna grossa risorsaturistica perla Libia.

The evocative beautyof the Akakus desertis certainly asignificant touristresource for Libya.

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economico e artistico, per viveresuccessivamente una progressivadecadenza sotto innumerevoli do-minazioni. Si installarono infatti,in questi luoghi, arabi, normanni,cavalieri di San Giovanni, genove-

si, spagnoli, veneziani, turchi edanche italiani. La fortuna delle trecittà fu dovuta alla loro localizza-zione prossima ai pochissimi pun-ti d’approdo in una costa lungacentinaia di chilometri e su di unmare da sempre temuto anche dainocchieri più esperti.

I principali protagonisti delleloro vicende furono i commercian-ti romani che fecero in questo ca-so le veci dei militari, alle cui cu-re era tradizionalmente affidata laconquista e la colonizzazione deiterritori dell’impero. Qui giungeva-no al termine le grandi piste caro-vaniere percorse da migliaia dicammelli che portavano fino ai por-ti del Mediterraneo, per l’imbarcoverso Roma e le altre città dell’im-pero, merci di grande valore pro-venienti dal Sahara, come avorio,animali esotici, fiere per i giochi cir-censi e pietre preziose, nonchéschiavi. Le fortune accumulate contali commerci furono immense e ipiù facoltosi mercanti locali parte-ciparono attivamente all’abbelli-mento e all’impreziosimento delleloro città. A Leptis Magna varieiscrizioni ci informano che alcunicommercianti “di tasca loro” (desuae pecuniae) offrirono alla po-polazione teatri, mercati e templidi straordinaria grandezza.

Le tre città nel 365 d.C. fu-rono vittime di un catastrofico ter-remoto, che le fece cadere nel-l’oblio. La sabbia e il vento delmare e del deserto acceleraronoquesto processo. Le città furonoinfatti ricoperte da un manto sab-bioso dal quale cominciarono ariemergere soltanto negli anni del-la presenza italiana, che le ha re-stituite agli occhi del mondo. Og-gi soprattutto Sabrata e LeptisMagna sono indiscusse gemmedell’archeologia. In particolareLeptis sconvolge per le sue di-mensioni (contava circa 100.000abitanti), per la sontuosità deisuoi monumenti civili e religiosi,per lo stato di conservazione checi offre insiemi e dettagli dai qua-li è facile ricostruire la ricchezzadella città. Essa ebbe anche lafortuna di dare i natali a SettimioSevero, che non la dimenticòquando raggiunse l’apice dell’im-

Leptis Magna eSabrata, nei pressidi Tripoli, sono leindiscusse gemme

dell’archeologialibica. In questefoto, particolaridelle rovine diLeptis Magna.

Leptis Magna andSabratha nearTripoli, are the

undeniable treasuresof Libyan

archaeology.In these

photographs, detailsof the ruins at Leptis

Magna.

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pero e la colmò di grazie e displendori. L’opulenza e la raffina-tezza della popolazione locale pro-vocarono, seppure inconsciamen-te, una catastrofe ecologica chepreparò bene la strada alla defi-nitiva crisi della città per opera delterremoto. Il porto era la carta vin-cente di Leptis e gli abitanti deci-sero di abbellirlo, con una serie diopere, fra cui un gigantesco farocostruito sul modello di quello diAlessandria, annoverato fra le set-te meraviglie del mondo. Proprioqueste opere, tuttavia, causaronola deviazione delle correnti marinecircostanti e nell’arco di pochi de-cenni provocarono l’insabbiamen-to del porto stesso. Fu di fatto lafine di Leptis, che solo dopo qua-si due millenni e in seguito a im-ponenti e lunghi scavi è tornataa splendere e a parlare al visi-tatore.

Basiliche, terme, circhi, ip-podromi, palestre, teatri, fori, mer-cati, attrezzature portuali, abita-zioni, ninfei, archi trionfali, templiimpreziositi da un ricco museo, ri-coprono un’area immensa, anco-ra in larga parte non scavata. Imarmi italiani, greci, egiziani e nu-midi utilizzati dai costruttori di Lep-tis danno alla città colori diversi eil calcare che venne usato su va-sta scala prima dell’età imperialesi accende d’oro soprattutto al tra-monto.

Al calar del sole splende intutta la sua bellezza anche il tea-

tro di Sabrata che domina la città,con il suo triplice colonnato di sce-na, dietro il quale il mare si sten-de silenzioso confondendosi con ilcielo.

L’attività teatrale nelle cittàdella Tripolitania doveva un tempoessere intensissima. A Leptis, sulretro della scena del teatro c’è ad-dirittura un monumento a un gran-de attore, la cui statua è andataperduta, ma di cui rimane un ba-samento di estremo interesse. Es-so contiene un’iscrizione da cui siapprende che un ammiratore de-dicò il monumento a Marcus Sep-timius Agrippa, definito grandissi-mo attore (pantomimo sui tempo-ris primo), che aveva recitato an-che nell’Arena di Verona e a Vi-cenza avendo studiato teatro an-che a Milano, “ex Italia” come di-ce l’iscrizione.

Un altro episodio curioso con-nesso al teatro ebbe luogo in Sa-brata. Qui venne infatti celebratonel 158 a.C. il processo a LucioApuleio, grande autore teatrale ro-mano. Apuleio sposò, dopo certesue vicende personali, una vedo-va molto più anziana di lui. I pa-renti della donna, non soddisfattidel matrimonio, accusarono il poe-ta di aver usato arti magiche persedurla. Il processo che ne seguìfu clamoroso e Apuleio difese sestesso con un’orazione durataquattro giorni. Il suo successo futrionfale e portò alla sua assolu-zione. Che strani tipi i teatranti,

razza che non cambia mai! Giro-vaghi, illusi, incantati, incantatori,il loro genio perdura e contribuiscea farci prendere coscienza di noistessi e dell’essenza della vita,che è realmente sogno, come so-stiene Calderon de la Barca.

Luogo dove realtà e sogno sifondono è il deserto. Poco primadi partire per questo viaggio ho as-sistito ad una splendida rappre-sentazione della Traviata verdianaal teatro di Busseto. Mi dirai: «Checosa c’entra la Traviata con il de-serto?». C’entra. Violetta, infatti,nel bellissimo e intenso primo at-to dell’opera, ad un certo mo-mento, canta fra l’altro: «Poveradonna, sola, abbandonata in que-sto popoloso deserto che appel-lano Parigi». Francesco Maria Pia-ve, che ha scritto quel testo, do-veva avere una strana idea del de-serto, che i dizionari definisconocome «solitudine più o meno va-sta, il cui terreno non è capace dicoltivazione e senz’acqua» o an-che come «desolato, infelice, spo-polato, dove non è o non passanessuno».

Il deserto che in un certo qualsenso ha dominato la storia del-l’umanità – basti pensare al ruoloche esso ha avuto nelle vicendedell’Antico e del Nuovo Testamen-to – mi ha sempre appassionato.Dopo aver visitato le zone deser-tiche dell’Alto Sudan, Tamanras-set e l’Assekrem, l’oltre Atlante, leoasi del Sud tunisino, il Mali, le

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Il teatro di Sabratacon il particolaredi un fregiomarmoreoche lo decora.

The Sabratha theatreand a marble friezewhich adorns it indetail.

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steppe desertiche dell’Uzbekistan,i deserti degli Stati Uniti, quelli diIsraele, l’Atacama in Cile, i deser-ti giordani e altri ancora, quello li-bico mi mancava; eppure la vocedelle sue oasi mi era giunta già at-traverso gli stessi dischi che ascol-tavo in tempo di guerra. «Inchio-data sul palmeto veglia immobilela luna; a cavallo della duna stal’antico minareto. Squilli, macchi-ne, bandiere, scoppi, sangue...dimmi tu, che succede cammel-liere? È la sagra di Giarabub». Co-sì diceva la canzone guerresca chemi aveva molto colpito. Era un de-serto diverso da quello delle fortiemozioni che sa trasmetterti Lo-renzo Marimonti, grande conosci-tore del Sahara; che ha guidato ilmio viaggio. Nel suo volume Lucied ombre del deserto egli scrive:«È incredibile come il vuoto del de-serto ecciti anche la fantasia piùmodesta. Il grande silenzio, glispazi illimitati, il monotono don-dolio del cammello, la brezza leg-gera che gonfia i buchi dello chè-che, la luminosità dell’atmosfera,i colori caldi e morbidi, tutto con-corre a far sì che la mente vegliall’infinito e che fantasiose visio-ni si accavallino sulla realtà».

In effetti il deserto è tuttostrano ed irreale. Teoricamente inesso non ci dovrebbe essere nul-la. Sahara del resto significa let-

teralmente “il grande vuoto”. Si-curamente è una bella espressio-ne del nulla, ma è anche un luo-go in cui contemporaneamente tro-vi tutto o almeno tutto quello chevuoi e che sai trovarci.

Per cercare e provare emo-zioni nel deserto bisogna comun-que arrivarci. Elementare, dirai. Ve-rissimo, ma in pratica non è cosìsemplice. Sono infatti partitodall’aeroporto di Tripoli con un vo-lo che ha avuto “solo” tre ore diritardo e che quindi è atterrato aGhat, estremo baluardo sudocci-dentale della Libia, praticamenteal confine con l’Algeria, verso le23. Scaricati passeggeri e bagaglidall’aereo, caricati passeggeri ebagagli sui fuoristrada preparatiper l’avventura, si parte verso ilmassiccio roccioso dell’Akakus,dove un ardito imprenditore italia-no ha costruito un campo tenda-to in grado di accogliere in modoconfortevole una quarantina di per-sone. Il viaggio avrebbe dovuto du-rare più o meno tre ore, ma conun paio di forature, una panneall’accensione di uno dei veicolidella carovana e un non breve rifor-nimento di benzina e di sigarettedurante il quale gli allegri autistituareg hanno incontrato, salutatoe festeggiato amici del luogo, sia-mo arrivati al campo alle cinquedel mattino.

Sistemazione nelle tende, mi-nestre calde, un paio di ore di son-no sotto un cielo pieno di stelle,sveglia alle 8,30, colazione e par-tenza per la scoperta di uno deideserti più belli del mondo.

Siamo a circa 800-900 metrisopra il livello del mare. C’è un belsole, il cielo è azzurro e terso, ti-ra un venticello fresco, si sta be-nissimo. Non si suda e si può sta-re sia in maglietta sia con il ma-glione. Solo la sera fa freschino,

mentre di notte si dorme indos-sando una bella tuta e raggomito-landosi sotto un caldo piumone.

In questo clima si scorrazzaalla scoperta del Sahara, la cuiaridità è dovuta all’enorme spro-porzione fra la quantità di acquache gli fornisce la pioggia e quel-la che gli sottrae l’evaporazione.Le immense distese di dune ingran parte dovute all’erosione flu-viale e non a quella dei venti, co-me comunemente si crede, nonsono peraltro elemento dominan-te in questo deserto, che è anchee soprattutto roccioso. Sabbie erocce si alternano e si combinanoin fantastici giochi di colori e di lu-ci. Dominano il giallo e il nero, chedi tanto in tanto si tingono di az-zurro per assumere, specie all’al-ba e al tramonto, toni irreali e sur-reali che si confondono con il bludel cielo. In quei momenti il giallodiventa oro, il nero può trasfor-marsi in argento e il blu diventa an-cora più blu.

Per gustare tutto ciò non de-vi avere fretta e devi piegarti alleleggi del deserto che, come diceancora Théodore Monod, rimarràsempre fertile, se non altro di im-previsti. Qui non ci saranno mai néorari troppo precisi né programmiminuziosamente regolati e nonsarà mai possibile stabilire in an-ticipo e con troppi particolari l’im-piego del tempo.

Applicando queste leggi po-trai farti incantare dai mille volti deldeserto e scoprire in esso la stra-na vita che vi si svolge. In moltezone desertiche infatti c’è vita. Ivegetali si annidano qua e là spe-cie lungo i letti dei vecchi fiumifossili che puoi facilmente ricono-scere proprio perché costellati diciuffi di erba e di magri alberelli diacacie o tamerici. Gli animali nonsono certo così numerosi e vari co-

Lorenzo Marimonti,grande conoscitore

del Sahara.

Lorenzo Marimonti, agreat connoisseur of

the Sahara.

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me secoli e secoli fa quando quivivevano leoni, giraffe, elefanti,gazzelle, struzzi, scimmie e coc-codrilli, tutti effigiati nelle nume-rosissime incisioni e pitture rupe-stri di cui ti parlerò fra poco. Alle-gri passeretti e cupi corvacci, ar-gentee formiche, colorati drome-dari, poveri asini, scaltre lepri, gra-ziose gazzelle, barbute capre e al-tri animali come il fennec vivonocomunque ancora bene e anima-

no questo mondo morto solo inapparenza. Poi ci sono gli uomini.Di fronte ad una popolazione lo-cale praticamente scomparsa, sitrovano sempre più numerosi i tu-risti, specie italiani, accuditi datuareg e da altri uomini immigratidai Paesi vicini alla Libia. C’è an-che il popolo del petrolio, che in-contri qua e là, sia attorno ai poz-zi sia nelle zone in cui ancora siva alla ricerca di nuovi giacimenti.

Capirai bene che il desertodelle favole, degli eroi, delle caro-vane, dei morti assetati, degli uo-mini blu e via dicendo non esistepiù. Quello che esiste è però, al-meno per il momento, altrettantoaffascinante. Qui nell’Akakus, male cose non cambiano se consideriinsieme anche l’altro grande mas-siccio, quello del Messak, sepa-rato dall’Akakus da un grande ma-re di sabbia e di dune, entrano cir-ca 4/5.000 persone all’anno chedanno vita ad un turismo per ilmomento relativamente sosteni-bile. In genere si tratta di personeche sanno dove vanno e che ri-spettano i luoghi in cui quasi tuttivorrebbero ritornare.

Il desiderio del ritorno è an-che desiderio di rivedere e ritro-vare le mille immagini che il gran-de Disegnatore dell’Universo haqui disseminato per sbalordirel’uomo. Vi sono veramente imma-gini e forme di tutti i tipi. Ho vistorocce che riproducevano i più di-versi animali, funghi, falli enormi,scarponi, piramidi di svariatissimedimensioni, cattedrali, mura ciclo-piche, imbuti rovesciati, campane,archi trionfali, mani, piroghe, guer-rieri. Mi fermo qui, ma l’elenca-zione potrebbe continuare all’infi-nito, così come potrebbe esten-dersi quella delle immagini conte-nute ed evocate dalle pitture e dal-le incisioni rupestri.

I massicci desertici che ho vi-sitato sono sconfinati musei e gal-lerie en plein air. Sulle pareti di

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Aspetti dellavegetazione neldeserto. A sinistrain primo piano,ciuffi di citrulli.

Images of desertvegetation. Left, aclose-up of melonclumps.

Incredibili la varietàe la quantità deidipinti rupestripresenti nelle grottedell’Akakus.

The incredible varietyand quantity of rockart in the Akakuscaves.

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grotte e di rocce l’uomo del Saha-ra ha lasciato ai posteri tracceprecise della propria vita. Attra-verso esse si ripercorrono così legrandi ere delle vicende di questoimmenso continente, che gli stu-diosi identificano ormai come laculla della nostra specie e che pri-ma del 10.000 a.C. era animatoda una fauna ricchissima essen-do ricoperto di verde e percorsoda giganteschi fiumi alimentatidallo scioglimento delle grandimasse di ghiaccio del periodo gla-ciale, fiumi oggi inariditi. Da que-sta fase primitiva, in cui l’uomo di-pingeva e incideva solo figure dianimali, si passa ad un’epoca incui l’uomo è ancora cacciatore,ma in cui comincia a compiacersi

di effigiare se stesso. È la cosid-detta epoca delle teste rotonde,locuzione che prende nome dal ti-po di figura umana fissata da igno-ti artisti su grandi pareti rocciose.Due millenni più tardi l’organizza-zione sociale ed economica dellecomunità sahariane cambia ed ap-pare la pastorizia. Verso il 3.500a.C. compare il cavallo e un paiodi millenni dopo il cammello, co-me si continua volgarmente achiamare quello che in realtà è ildromedario e che trovi effigiato intutti i modi, anche se con tecnicheormai relativamente moderne. Al-cuni pensano che questo anima-le sia stato diffuso nel Sahara daiRomani, ma in effetti il dromeda-rio era nato ed usato già quasidue millenni prima della conquistaromana.

A quei tempi il Sahara era an-cora verde e le fiere, che giunge-vano nei porti del Mediterraneoper la gioia degli spettatori assie-pati nei circhi romani, si cacciava-no proprio qui. Il processo di de-

sertificazione, le cui cause sonoancora in gran parte avvolte nel mi-stero, fu quindi rapidissimo.

Pioniere ed autorità indi-scussa nello studio dell’evoluzio-ne dell’uomo nel Sahara, ancheattraverso il racconto e le testi-monianze delle pitture e delle in-cisioni rupestri dell’Akakus e delMessak, è il fiorentino Fabrizio Mo-ri, dell’Università di Roma, che soessere stato qui in questi stessigiorni e che purtroppo non ho avu-to la fortuna di incontrare. La suaprofonda conoscenza del deserto,ritenuta unica dai suoi discepoli epiù in generale dal mondo deisahariani “veri”, avrebbe potutoessere illuminante anche per me.

Ma ritorniamo ai Romani per-ché, cosa quasi incredibile, essiarrivarono anche da queste parti.Tracce della presenza romana siritrovano infatti fino a Ghat, ma ri-cordi più consistenti si rinvengonoa Germa, l’antica Garama.

È questa una città ricca distoria, che fu capitale di un regnomisterioso di cui si hanno tuttaviareperti precisi. Si tratta del gran-de regno dei Garamanti, mitici cor-ridori del deserto che attraversa-vano con i loro carri, come narra-no alcuni dipinti rupestri. Traccedella loro civiltà abbondano nellacittà e nei dintorni. Decine di mi-gliaia di tombe si affiancano all’an-tica cittadella, interamente co-struita in terra e pietre, sulle cuirovine sono cresciute le palme.

Dei Garamanti parlano Ero-doto, Strabone, Plinio il Vecchio e

Gruppo dicammellieri Tuareg.

A group of Tuaregcamel-drivers.

Anche i graffitirupestri sono moltodiffusi nel deserto.

Qui a fianco,quelli della regione

del Messak.

Rock incisions arealso very widespread

in the desert.Opposite: rock

incisions in theMessak region.

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altri autori, ricordando la Libia co-me il Paese delle belve feroci enarrando delle spedizioni militaridel proconsole Lucio Cornelio Bal-bo, il quale nel 19 a.C. si spinsecon 20.000 soldati fino a Garamaper sottomettere le popolazioni lo-cali che infastidivano Roma concontinue scorribande e non rarisaccheggi anche a Nord del limesche i Romani avevano costruitoprima del deserto. Si trattò di un’im-presa memorabile per l’epoca. Isoldati romani percorsero più di1.200 chilometri in regioni inospi-tali e praticamente prive di acqua.

La posizione strategica di Ga-rama, passaggio obbligato per lecarovane che portavano merci, fie-re e sale dal Sud verso i grandi

empori mediterranei, moltiplicòl’attenzione dei Romani verso Ga-rama e si ha notizia di una nuovaspedizione cinquant’anni dopoquelle di Balbo. Questa volta fu-rono i soldati di Valerio Festo chetracciarono piste destinate a ri-manere immutate per quasi duemillenni, lungo le quali sono pas-sati milioni di dromedari dal pas-so sempre uguale.

Sahara e Mediterraneo furo-no così legati da un destino co-mune e i Romani svolsero assaibene il compito di assicurare i col-legamenti materiali e culturali frale due zone.

L’occasione è propizia per ri-cordarti che, a quei tempi, nella Li-bia mediterranea prosperava la vi-

te e il vino scorreva copioso sulletavole locali. Bacco era il nume tu-telare della Tripolitania. I Romanilo chiamavano anche Liber Pater,appellativo bellissimo ed evocato-rio della libertà che caratterizzavail nume e che mi ricorda moltoquella cui inneggia verso la finedella sua avventura il Don Gio-vanni di Mozart. Le immagini diBacco sono molto frequenti sia neimosaici (uno stupendo orna il mu-seo di Tripoli) sia nella statuaria.

Oggi il vino è vietato in Libia.Ho pensato che i libici devono ave-re commesso dei peccati ben gra-vi per subire una così tremendapunizione!

Mancando il vino il pranzo èincompleto. Anche con il vino, tut-tavia, le tavole libiche non entre-rebbero nelle classifiche delle gui-de del gusto. Qui si mangia per so-pravvivere e non si vive per man-giare. Nulla da segnalare, dunque,su questo punto.

Analogamente dicasi per lecose economiche. L’economia li-bica è complessa e soggetta a re-gole difficilmente comprensibilidall’esterno. Per giunta, tali rego-le possono variare da un momen-to all’altro. Il sistema economicoè quindi un misto di capitalismo diStato e di mercato nonché di sov-venzioni e di concorrenza ed è de-stinato a cambiare fisionomia nelcorso del tempo. A questa so-stanziale complessità hanno col-laborato sia le regole fissate dalfamoso Libro Verde che il leaderdella rivoluzione libica scrisse or-

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Scorrazzandocon i fuoristradatra le dune.A fianco: un surrealelago nel bel mezzodel deserto.

Riding aroundthe dunes in anoff-roader.Opposite: a surreallake in the verymiddle of the desert.

I resti di Garama,città dell‘anticoregno deiGaramanti,conserva traccedella presenza degliantichi Romani.

Garama, a city in theancient kingdom ofGaramanti, bearstraces of the ancientRomans.

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mai parecchio tempo fa e che ri-mane un punto fermo dell’orga-nizzazione dello Stato e della so-cietà di questo Paese, sia i mute-voli e complessi rapporti interna-zionali, che hanno portato anchead un duro embargo rimosso soloda qualche anno.

Riprendendo il viaggio di cuiti ho descritto la tappa a Germa,ti dirò due cose. La prima è cheGerma è oggi una fiorente città dicirca 3.000 abitanti, i quali trag-gono sostentamento dal turismo,dall’agricoltura, dal traffico com-merciale e anche dall’indotto del-le attività petrolifere. Pensa chenel 1937, Bertarelli, nella primavera guida della Libia compren-dente finalmente anche il Fezzane il deserto meridionale, la de-scriveva come una città piena dirovine romane, di fortificazioni, ditombe e di mausolei, che contava118 abitanti, 1.100 palme, 16

giardini e 16 pozzi! La seconda co-sa che voglio dirti è che da qui par-te una straordinaria valle verde ric-ca d’acqua, che si estende perquasi trecento chilometri, ecce-zione unica in tutto il Sahara. Fat-to altrettanto straordinario è che iprati verdi e gli orti fiancheggianoun grande deserto di dune, sulquale gli autisti tuareg scatenanoi loro fuoristrada in percorsi che tilasciano senza fiato valicandoenormi montagne russe con pen-denze che superano i 35-40 gra-di. Ancora più straordinario è che,di tanto in tanto, la distesa delledune si apra ed offra alla vista oa-si da favola, ricche di palme checircondano laghi di acqua verde esalata. Mai penseresti che potes-sero essere là dove sono.

Purtroppo alcune di questeoasi, che si presentano proprio co-me le rappresenterebbe un bam-bino cui fosse chiesto di tradurresu un foglio di carta la sua imma-ginazione, stanno rapidamente de-gradandosi. Lo stesso si deve di-re dei dipinti rupestri. L’integritàdell’ambiente dei tuareg e dei dro-medari sta passando il testimoneal deserto inquinato dei turisti edei petrolieri. Andrea Semplici, chemi ha accompagnato nel viaggio,ha posto nella sua bella guida del-la Libia il seguente interrogativo:Akakus addio? A prima vista po-trebbe sembrare una provocazio-ne. In realtà è un avvertimentoall’umanità che deve preoccupar-si seriamente della conservazionedi questo paradiso e che deve fa-re qualcosa per salvarlo prima chesia troppo tardi.

Dopo qualche ora di percorsofra le dune, con spettacolari e con-tinue visioni di monti che sembra-no veramente di polenta quasi atradurre in realtà l’aspirazione del-la vecchia canzone (ricordi «... seil mare fosse de tocio e i monti depolenta...»), sono finalmente arri-vato a Seba, capitale amministra-tiva della Libia meridionale, sovra-stata dal vecchio forte costruito daimilitari italiani e con tutte le carat-teristiche della città di confine, an-che se di fatto da qui al confine c’èancora un sacco di chilometri. DaSeba volo diretto per Tripoli. Il ri-

tardo è stato “solo” di due ore.L’autobus non ha avuto inconve-nienti e così ci si è potuti coricareverso le due, mentre tirava un ven-to fresco e dai giardini circostantil’albergo saliva quel tipico profu-mo dolce di fiori che accomunal’aria delle città situate sulla spon-da meridionale del Mediterraneo.

L’ultimo giorno del viaggio miha così tenuto a Tripoli, di cui nonho ancora parlato, ma che vale lapena di visitare e di conoscere.Tripoli è una grande città, che ti of-fre per la visita il vecchio quartie-re italiano, il castello, che ospitauno straordinario museo archeo-logico e la medina, cioè il vecchioquartiere arabo attualmente in fa-se di risanamento e di rilancio, do-po anni di penoso abbandono.

La medina colpisce – oltreche per le classiche caratteristi-che di tutte le medine, cioè com-plessità, animazione, configura-zione labirintica – per l’ordine e ladiscrezione della gente che la po-pola. Gli intricatissimi souk sonopieni di botteghe artigiane e di ne-gozi commerciali che produconoed espongono le merci e gli oggettipiù disparati. Qui trovi pinnacoliper le moschee, aurei pettorali perle spose, vecchi argenti berberi,paccottiglia di ogni genere, ma an-che tutti i beni di consumo di cuiabbisogna la popolazione locale.Passeggiare curiosando qua e làè piacevole anche perché, contra-riamente a quanto accade in nu-merose altre medine, nessuno tiinfastidisce e nessuno ti esibiscela sua merce con toni che vannoal di là della norma e del buon gu-sto. Anche i prezzi non si stabili-scono con estenuanti negoziazio-ni più o meno fasulle. Sono gene-ralmente fissi e questo facilita ledecisioni. Può essere che qualcheturista ritenga questo modo di fa-re poco divertente e poco folclori-stico. Credo sia meglio così. Inquesto ambiente mi trovo più amio agio.

Agli angoli delle case che sifronteggiano agli incroci fra le stra-de della medina non è raro trova-re colonne romane utilizzate daicostruttori come solido materialedi sostegno. Sia in città sia nelle

Sepolcro preislamiconel deserto del

Messak e curioseformazioni rocciose

nell’Akakus.

A pre-Islamicsepulchre in the

Messak desert andunusual rock

formations in theAkakus desert.

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vicinanze, il materiale di scavo,che in verità non era neanche ne-cessario scavare perché apparivaspontaneamente alla superficiedel suolo con il diradarsi della sab-bia che lo copriva, deve esserestato immenso. In gran parte è an-dato perduto. Molti marmi anchepregiati sono finiti triturati in cal-ce. Solo i pezzi più interessanti edeclatanti si sono salvati e sono inbella mostra nel museo archeolo-gico. Qui troneggia, fra l’altro, an-che una splendida statua marmo-rea che, dopo una vita molto tor-mentata, è stata restituita qual-che anno fa alla Libia dallo Statoitaliano, con un gesto che i libicihanno molto apprezzato e che ciha fatto ottenere qualche buonacontropartita (probabilmente di na-tura economica e commerciale,come da un vecchio copione cheè sempre attuale per rappresen-tare casi del genere).

Del quartiere italiano non di-co molto. È un tipico esempio di

architettura urbana degli anni Ven-ti e Trenta, ispirato al razionali-smo. Alcuni dei vecchi edifici sto-rici sono stati ben restaurati. Altrisono preda del degrado. Tutti han-no colore bianco e finestre e de-corazioni verdi. Sai, il verde è il co-lore dell’Islam ed è anche il colo-re della Libia e perciò pratica-mente in tutto il Paese porte e fi-nestre, almeno al piano terreno,sono di questo colore. C’è chi di-ce che ciò è stato imposto dall’al-to, chi dice che si tratta invece discelta spontanea della gente, chidice infine che è frutto della ne-cessità, essendo il verde l’unicocolore delle vernici che si trovanonei negozi. Dove sia la verità è dif-ficile sapere, ma la cosa è del tut-to ininfluente.

Verde è anche il nome delgrande fiume artificiale che, conuno sforzo tecnico ed economicoeccezionale (per il momento, e sia-mo ai 3/4 dell’opera, sono già sta-ti spesi fondi equivalenti al con-

volo che (udite udite) è partito inorario. I contrasti rendono pococomprensibili molte cose, ma lerendono anche più interessanti.Che si tratti di un Paese interes-sante è indubitabile. Oltre tutto èanche bello, molto bello. E vario.Qui ti ho solo descritto qualcosadi ciò che ho visto, ma la Libia haaltre ricchezze e bellezze da mo-strare al viaggiatore. Cirene, Apol-lonia, il mondo greco della Cire-naica, Tobruk e i suoi tristi ricordi,Gadames e la sua splendida oa-si. E altro ancora. Spero di potervedere un giorno anche questi fe-lici luoghi. Deve valerne la pena.

Arrivederci quindi vecchioPaese di cui sentivo il fascino finda bambino! A te, invece, caro let-tore, un saluto cordialissimo. �

Roberto Ruozi

Tripoli, 16 marzo 2002

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trovalore di due anni di vendita delpetrolio nazionale), è stato co-struito per prelevare acqua pota-bile da gigantesche riserve fossilinascoste sotto il deserto e tra-sportarla nelle grandi città e nellezone rurali. In questo modo si pen-sa di rimediare, almeno tempora-neamente, al più grave problemalibico, che è proprio quello dellacarenza d’acqua, il quale fa sì cheun litro di questa costi dieci voltepiù di un litro di benzina!

Questo è solo uno degli in-numerevoli contrasti (reali o appa-renti) del Paese dal quale ti scri-vo e da cui sto rientrando con un

Un cortile delcastello di Tripolie il vicolo del ramenella medinadella città.

A courtyard in theTripoli castle; thecopper alley in thecity’s medina.

*Università Commerciale “L. Bocconi”di Milano; Presidente del TouringClub Italiano