L’esperienza liberale di Carlo Rosselli (1919-1924) · mica sul rinnovamento socialista nel 1926,...

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L’esperienza liberale di Carlo Rosselli (1919-1924) Nella prefazione al volume Socialismo liberale, scritto al confino di Lipari tra il 1928 e il 1929, Carlo Rosselli, spiegando il carattere dell’opera, la defini- sce « la confessione esplicita di una crisi intellettuale [...] molto diffusa nella nuova generazione socialista » h Per Rosselli questa crisi matura nell’isolamento di Lipari. Dopo la milizia nel Partito socialista unitario e l’iniziativa di « Quarto Stato », infatti, il giovane intellettuale fiorentino sembra riflettere sulla propria esperienza e mettere ordi- ne in un pensiero espressosi in maniera poco organica nell’ambito necessaria- mente ristretto di un articolo, di una recensione, di una polemica giornalistica. La crisi intellettuale è identificata per Rosselli nell’incapacità di tanta parte del- Vintellighentsia e della cultura politica di uscire dai canoni rigidi della dottrina marxista, considerata limitativa sia per un’esatta interpretazione storica degli eventi che per una puntuale azione politica. Specifica ancora Rosselli: « È la filosofia, la morale, la stessa concezione politica marxista che ci lascia profon- damente insoddisfatti e ci sospinge per una nuova strada verso più ampi oriz- zonti » 1 2. Nel 1928-29 il pensiero di Rosselli si è ormai ben delineato: la formula stessa del libro ci indica che egli ha già individuato gli elementi risolutori della crisi politica generale nell’affermazione di un socialismo ispirato al metodo di libertà e alieno dal determinismo marxista in quanto valorizzatore della singola creati- vità, vale a dire una pratica politica che, per mutare la realtà, non può che far leva sulla volontà3. A Rosselli quest’impostazione derivava da un processo di revisione socialista che risaliva direttamente a Gaetano Salvemini; di un socia- lismo, cioè, che non conosceva preoccupazioni teoriche e ideologiche ma solo problemi concreti, teso all’azione e operante al di fuori di ogni regola partitica. Per quanto Rosselli non si occupi del dibattito filosofico e si limiti, salveminia- namente, ai fatti, in Socialismo liberale si avvertono ben precise tracce di quel- la polemica antipositivista che si era risolta nel neoidealismo, soprattutto in quello gentiliano. Quale studioso di problemi sindacali inoltre in Rosselli si 1 C arlo rosselli , Socialismo Liberale, Prefazione in Opere scelte di Carlo Rosselli, a cura di John Rosselli, voi. I, Torino, 1973, p. 351. 2 Ibid. 3 Su questo punto centrale cfr. A lessandro levi, Ricordo dei fratelli Rosselli, Firenze, 1947, p. 131.

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L’esperienza liberale di Carlo Rosselli (1919-1924)

Nella prefazione al volume Socialismo liberale, scritto al confino di Lipari tra il 1928 e il 1929, Carlo Rosselli, spiegando il carattere dell’opera, la defini­sce « la confessione esplicita di una crisi intellettuale [...] molto diffusa nella nuova generazione socialista » hPer Rosselli questa crisi matura nell’isolamento di Lipari. Dopo la milizia nel Partito socialista unitario e l’iniziativa di « Quarto Stato », infatti, il giovane intellettuale fiorentino sembra riflettere sulla propria esperienza e mettere ordi­ne in un pensiero espressosi in maniera poco organica nell’ambito necessaria­mente ristretto di un articolo, di una recensione, di una polemica giornalistica. La crisi intellettuale è identificata per Rosselli nell’incapacità di tanta parte del- Vintellighentsia e della cultura politica di uscire dai canoni rigidi della dottrina marxista, considerata limitativa sia per un’esatta interpretazione storica degli eventi che per una puntuale azione politica. Specifica ancora Rosselli: « È la filosofia, la morale, la stessa concezione politica marxista che ci lascia profon­damente insoddisfatti e ci sospinge per una nuova strada verso più ampi oriz­zonti » 1 2.Nel 1928-29 il pensiero di Rosselli si è ormai ben delineato: la formula stessa del libro ci indica che egli ha già individuato gli elementi risolutori della crisi politica generale nell’affermazione di un socialismo ispirato al metodo di libertà e alieno dal determinismo marxista in quanto valorizzatore della singola creati­vità, vale a dire una pratica politica che, per mutare la realtà, non può che far leva sulla volontà3. A Rosselli quest’impostazione derivava da un processo di revisione socialista che risaliva direttamente a Gaetano Salvemini; di un socia­lismo, cioè, che non conosceva preoccupazioni teoriche e ideologiche ma solo problemi concreti, teso all’azione e operante al di fuori di ogni regola partitica. Per quanto Rosselli non si occupi del dibattito filosofico e si limiti, salveminia- namente, ai fatti, in Socialismo liberale si avvertono ben precise tracce di quel­la polemica antipositivista che si era risolta nel neoidealismo, soprattutto in quello gentiliano. Quale studioso di problemi sindacali inoltre in Rosselli si

1 Carlo rosselli, Socialismo Liberale, Prefazione in Opere scelte di Carlo Rosselli, a cura di John Rosselli, voi. I, Torino, 1973, p. 351.2 Ibid.3 Su questo punto centrale cfr. Alessandro levi, Ricordo dei fratelli Rosselli, Firenze, 1947, p. 131.

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notano anche stimoli di idealismo volontaristico provenienti dalla lettura di George Sorel, cui dedicò ampio spazio nella tesi di laurea del 19214.Socialismo liberale rappresentava il momento di assestamento di un indirizzo revisionistico iniziato negli anni giovanili, decantato con l’esperienza di rinno­vamento del « Quarto Stato », verificato e consolidato dopo il 1925 alla luce della nuova situazione italiana5. Lo stesso incontro con il Partito socialista, nel 1924, dopo Lassassimo Matteotti era avvenuto su questo piano di rinnovamen­to morale6. Era, in definitiva, lo sbocco di un processo formativo avviato nel 1919, anno in cui aveva avuto praticamente inizio il lavoro teorico di Rosselli.Il « Quarto Stato » 7 rappresenta un momento di chiarificazione della « crisi in­tellettuale » cui Rosselli accenna nella prefazione al volume di Lipari; esso è già un tentativo di uscire dalla crisi con l’adozione di uno strumento di lotta e di elaborazione politica nell’ambito socialista, in un paese ormai soggiogato dal fascismo 8. L ’inizio di tale crisi dev’essere, tuttavia, ricercato negli anni dell’im­mediato dopoguerra, poiché affonda le proprie motivazioni nelle condizioni di un paese che aveva partecipato alla guerra convinto che essa, determinando un assetto internazionale diverso, causasse, anche all’interno, sostanziali rinno­vamenti. Pur con segni opposti la guerra aveva infatti sciolto il compromesso risorgimentale dilatandone, al contempo, le contraddizioni: aveva cioè dato al paese, anche se in mezzo a forti tensioni ideali e politiche, quella coscienza uni­taria che adesso premeva sulla classe dirigente e sui gruppi economici chie­dendo loro misure adeguate alla nuova realtà9. Il vero problema politico da affrontare non risiedeva tanto nella scelta tra sbocco rivoluzionario o continuità dei vecchi sistemi, quanto nell’applicazione di un « metodo liberale » effettivo nella gestione degli affari politici. Non si trattava, quindi, di associare il Par­tito socialista al governo ma di aprire spazi di confronto politico nei quali po­tessero intervenire con profitto le forze tradizionalmente d’opposizione, quali i socialisti, e le nuove energie che la guerra aveva portato alla ribalta come, per esempio, gli interventisti democratici. Il dibattito parlamentare non esauriva quello che animava il paese, in cui prendevano terreno istanze politiche, sociali

4 Nicola tranfaglia ha osservato: «Rosselli [...] scopre tra il ’22 e il ’24 l’idealismo crociano verso cui ancora nel ’21 aveva notevoli riserve, e, attraverso Sorel e i sindacalisti rivoluzionari, risente in maniera determinante dell’ondata attivistica, volontaristica e intui­zionistica che in filosofia si lega al francese Bergson ». (Carlo Rosselli, Bari, 1968, p. 70).5 Cfr. Ferruccio parri, Dopo Matteotti, in « L ’Astrolabio », 18 giugno 1967, p. 24 e gaetano arfè, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Torino, 1965, pp. 366-369.6 Cfr. a. levi, op. cit., pp. 64-66.7 Uscì a Milano dal 27 marzo al 30 ottobre 1926.8 Ha notato opportunamente aldo garosci come « Il Quarto Stato » nascesse dalla « ne­cessità di prendere una parte dirigente per salvare il socialismo spazzato via dalla tormenta fascista ». (La vita di Carlo Rosselli, Roma-Firenze-Milano, 1945, p. 63). Sul ruolo avuto dalla rivista vedi anche Stefano m erli, Il « Quarto Stato » di Rosselli e Nenni e la pole­mica sul rinnovamento socialista nel 1926, in «R ivista Storica del Socialismo», 1960, n. 11, pp. 819-820.9 Sulla crisi della classe dirigente cosiddetta liberale, segnata dal ritorno di Giolitti al potere dal giugno 1920 alla caduta del terzo ministero Nitti, vedi Pietro nenni, Il dicianno- vismo, Milano, 1962, nuova ed., p. 144; Fabio cusin , Antistoria d’Italia, Milano, 1970, pp. 199-200; paolo alatri, La prima guerra mondiale e la crisi della società italiana, in aa.vv., Trentanni di storia italiana (1915-1945), Reprints Einaudi, Torino, 1975, pp. 14-15; Adrian lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari, 1974, p. 55. Cfr. anche Charles seton-watson, L'Italia dal liberalismo al fascismo (1870-1925), voi. II, Bari, 1973, pp. 641-651. A proposito del giudizio di quest’ultimo particolarmente stimolanti le considerazioni di Roberto vivarelli, L’Italia liberale e fascismo, in « Rivista Storica Italiana», 1970, fase. 3, pp. 669-703.

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e morali di natura nuova. Per comprendere il travaglio del paese era perciò necessario un profondo rinnovamento culturale ed etico: così il problema è avvertito da Rosselli a un anno dalla fine del conflitto in un articolo dal signi­ficativo titolo di Compito nuovo, pubblicato dalla rivista « Vita » nel mag­gio 1919 10 11.Rosselli, ex ufficiale e volontario democratico, parte da una premessa concre­ta: il conflitto ha trasformato il paese per l’urgenza dei problemi posti dalla presa di coscienza politica dei giovani che avevano combattuto e a cui l’espe­rienza della trincea aveva permesso una permeabilità sociale fin’allora scono­sciuta u. La smobilitazione delle truppe non può portare alla smobilitazione morale: l ’unità e lo spirito maturato dalle giovani generazioni durante la guer­ra deve essere salvaguardato perché esso costituisce un momento trainante del rinnovamento politico del paese. Il « compito nuovo » rivela, inoltre, l ’aspira­zione all’azione, alla mobilitazione organizzativa, lasciando ampiamente intende­re, pur senza farvi cenno, che proprio quel clima particolare di intesa poteva chiudere positivamente i problemi lasciati aperti dal risorgimento. Rosselli non esce dai valori riconosciuti dell’interventismo democratico ma ne evidenzia l ’in­terna equivocità puntualizzando il ruolo che, a suo avviso, dovrebbero svolgere tali forze: « Bisogna che tutti coloro che parteciparono alla guerra si riuniscano in un fascio formidabile, pur non rinunciando ai loro diversi ideali sociali » 12.A Rosselli, quindi, non interessa un programma politico preciso quanto la sal­vaguardia di un atteggiamento che permetta la comprensione delle varie istanze per far sì che, alle lacerazioni e ai lutti della guerra, non seguano divisioni ar­tificiose ma ognuno s’impegni a svolgere con serietà il proprio compito. La spe­ranza per Rosselli non va perciò letta in chiave di appello partitico: egli re­spinge un possibile « partito dei combattenti » perché si rende conto che non può esistere una specificità ideologica di questo gruppo ma si rivolge a coloro che hanno vissuto i sacrifici e le speranze della guerra perché, una volta a casa, concorrano, « non rinunciando ai loro diversi ideali sociali », con coscienza mo­rale, alla definizione dei gravi problemi collettivi13.

10 Ora in Opere, cit., pp. 5-9.11 « Lassù i combattenti sono veramente fratelli e si sono conosciuti e apprezzati a vi­cenda; perché la guerra, se uccide, ha anche il potere di spogliare l ’uomo da tutte le sue vesti mentali; l ’anima appare allora in tutta la sua fierezza o in tutta la sua vigliaccheria. E i soldati hanno guardato i loro ufficiali e gli ufficiali i loro soldati, e nudi, sferzati dallo schiaffo della morte, si sono visti e sentiti grandi, forti e buoni». (Ibid., p. 7).12 Ibid., p. 8. Sulla guerra quale occasione per un rinnovamento della classe dirigente vedi R. vivarelli, Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo (1918-1922), voi. I, Napoli, 1966, p. 9 sgg.; p. 32 e brunello vigezzi, L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, voi. I, L ’Italia neutrale, Milano-Napoli, 1966, p. 404. Per il giudizio di parte nazionalista cfr. Ferdinando Cordova, Arditi e legionari fiumani, Padova, 1969, p. 211.13 La portata dell’interventismo democratico nelle vicende politiche del primo dopoguerra è ancora in buona parte da studiare con attenzione, così come sono in larga parte da inda­gare le vicende del comportamento tenuto dall’Associazione nazionale combattenti e di quei suoi iscritti eletti al Parlamento nel listone mussoliniano del 1924. Un primo passo verso un approfondimento di questi temi è stato recentemente compiuto da uno dei superstiti di quel gruppo; cfr. Livio pivano, La X X V II legislatura, Roma, 1974 che, pur documentando le varie fasi della « opposizione in aula » dopo la secessione aventiniana fino alla fine della libertà statutaria, conferma il grosso equivoco dell’impegno politico dei combattenti. Dello stesso autore si veda pure la testimonianza riguardante appunto L ’interventismo democra­tico, in aa.vv., Trentanni di storia italiana, cit., pp. 17-18. Anche garosci, nell’ampia pre­fazione alle Opere scelte di Rosselli (cit., XXVII) non scioglie del tutto questo nodo e, fa­cendo riferimento proprio all’articolo del 1919, accenna al « mito dei combattenti » come

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Si trattava, in vero, di una questione largamente sentita e dibattuta. Piero Go­betti, nel secondo numero di « Energie nove », postillando un articolo di Bal­bino Giuliano, annota: « La guerra, assicurandoci la libertà, ci consente di de­dicarci senza ostacoli esterni al grande lavoro della riforma interna del nostro paese. È finita o sta per finire una guerra. Ne comincia un’altra più lunga,, più spietata. Siamo tutti preparati al compimento dei nuovi doveri? » 14.I « nuovi doveri » di Piero Gobetti collimano con il « compito nuovo » di Carlo Rosselli originandosi entrambi da un’identica esigenza morale, per cui il pro­blema centrale dell’azione politica non si pone in termini di schieramento di forze, bensì di disponibilità al confronto delle idee, unico mezzo per produrre quella nuova cultura politica capace di porre le condizioni per superare positi­vamente la crisi in atto. In definitiva altro non era che un preciso richiamo per quegli intellettuali che sentivano la suggestione dell’impegno in termini di pro­blematica storica da risolvere senza essere influenzati da condizionamenti con­tingenti.Era stato certamente merito della « Voce » far acquisire questa consapevolezza alla cultura militante italiana anche se ormai una chiarificazione sul ruolo degli intellettuali appariva necessaria. Così Salvemini sintetizza lucidamente la que­stione: « Questa guerra sarebbe avvenuta invano, anzi si ridurrebbe a un tradi­mento atroce a danno del nostro popolo, se la terribile esperienza [...] non ci avesse insegnato tutte le deficienze della nostra cultura e del nostro carattere nazionale, se non avesse confermato per la vita e per la morte in noi la volontà di rimediarvi nei limiti del possibile, ma ad ogni costo » 15.II richiamo alla responsabilità non era estraneo anche alla cultura militante so­cialista e proprio nel primo numero dell’« Ordine nuovo », Angelo Tasca, in polemica con Salvemini e con i salveminiani, considerava la classe operaia l’ele­mento risolutore della crisi del dopoguerra poiché « [...] l’opera dei cosiddetti < problemisti >, che vanno affannandosi intorno a questo o quel problema del dopoguerra è resa in gran parte vana dal fatto che le soluzioni sono buone o cattive a seconda delle forze che è possibile ordinare per raggiungerle » 16.

« un principio di vita politica » •—- il che è vero — ma non per Rosselli ancora ben lon­tano dall’individuazione di un principio concreto a cui far riferimento per l’azione politica ma bisognoso di un aggancio morale che è pregiudiziale alla scelta politica e, dopo l’assassinio Matteotti, a quella partitica. L ’interpretazione più precisa del significato del « combatten­tismo » per Rosselli la possiamo avere se si tengono presenti i principi fondamentali del- 1’« Italia Libera », l ’associazione fondata a Firenze dopo l ’assassinio Matteotti da un gruppo di ex-combattenti tra cui Rosselli « disgustati dai dirigenti dell’ANC, che volgevano le vele a seconda del vento per navigare tranquilli ». (ernesto ro ssi, L ’Italia Libera in 1925. NON MOLLARE, Firenze, 1968, II ed., p. 3 e 5).Sull’azione dei combattenti cfr. pure guido dorso, La rivoluzione meridionale, Milano, 1969, p. 163; guido de ruggiero, Il partito degli eroi, in Scritti politici 1912-1926, a cura di Renzo De Felice, Bologna, 1963, pp. 307-311; Giovanni sabbatucci, I combattenti nel primo dopoguerra, Bari, 1974, pp. 43-119 e 255-327. Sulle condizioni del paese dopo la vittoria sono interessanti le osservazioni di giustino fortunato, Dopo la guerra sovverti­trice, Bari, 1921, p. 15; p. 36; pp. 65-66.14 pierò gobetti, L ’ora dell’orgoglio (Postilla), in « Energie Nove », 15-30 novembre 1918. Ora in Opere complete di Riero Gobetti, a cura di P. Spriano, voi. I, Torino, 1969, p. 17. ls G. Salvemini, Nuovi doveri, in « L ’Unità », a. V II, 1918, p. 217. Ora in La cultura ita­liana del '900 attraverso le riviste, voi. V, a cura di Francesco Golzio e Augusto Guerra, Torino, 1962, p. 577.16 angelo tasca, Battute di preludio, in « L ’ordine nuovo», a. I, 1919, p. 1. Ora in La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, voi. VI, a cura di P. Spriano, Torino, 1963, p. 116. Nello stesso articolo veniva registrato come « la guerra ha generato, coll’enorme distruzione di ricchezze, col crollo degli ideali e degli organismi sociali, un profondo turba-

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La posizione di Rosselli, al pari di quella di Gobetti, risentiva di un clima cul­turale generale influenzato dalla personalità di Benedetto Croce17 e di Gio­vanni Gentile che, in questo periodo, costituisce, più del filosofo napoletano, un polo di riferimento per alcune nuove energie della cultura politica italiana le quali trovano in lui un richiamo attivo all’assunzione di impegni sul piano operativo. Per Gentile la guerra aveva portato alla ribalta problemi storici del paese dalla cui soluzione sarebbe stato influenzato l ’avvenire italiano. Si com­prende quindi l ’efficacia persuasiva sui giovani intellettuali in quanto per Gen­tile la guerra è un « problema politico che è problema morale: problema di vo­lontà che abbia fiducia in se stessa, e voglia realmente, e sdegni una scusa o pretesto di ostacolo da sormontare. Questo problema vidi nella guerra; questo problema vedo oggi dopo la guerra, nella pace, in cui la tragedia si perpetuerà spronandoci a tutti i sacrifici, chiamando a raccolta tutte le nostre forze a sem­pre nuove battaglie » 18. L ’incidenza dell’attivismo gentiliano sul giovane Ros­selli appare fondamentale anche se, nei suoi scritti, non se ne trova esplicita traccia. Già nel 1919 Carlo Rosselli afferma un’esigenza di fondo che poi por­terà avanti nella sua breve ma intensa esistenza: determinare un ambito di ri­ferimento culturale che serva da supporto all’azione politica. Adesso, in ma­niera informale, tale ambito è individuato in un’aspirazione di tono moralistico e, attraverso la riflessione di Socialismo liberale, troverà organica fissazione nei principi e nel programma di « Giustizia e Libertà » 19.L ’articolo del 1919 è importante poiché esso formula per la prima volta l’ipo­tesi di una piattaforma capace di aggregare forze politiche diverse su una linea di rinnovamento: tale preoccupazione dominante informerà, d’ora in avanti, il lavoro politico di Carlo Rosselli dall’indagine nel movimento socialista fino all’interventismo rivoluzionario tipico di « Giustizia e Libertà » 20. L ’adesione

mento da cui è stolto pensare si possa uscire in breve tempo e facilmente. [...] Il male ha intaccato oggi più profondamente di prima la struttura stessa della società, e perciò non può esservi rimedio semplice né improvvisato ». Sommario, al proposito, il giudizio di Francesco Trocchi, per cui si tratta di una « concezione materialistica che, mentre riconosce il ruolo storico del movimento socialista, come organizzazione politica capace di esprimere scelte dirigenziali valide per l ’intera società, esalta l ’attesa messianica e fatalista di un prossimo crollo della borghesia; non vi è accennato il ruolo positivo della classe operaia, come forza dinamica che, lottando per l ’instaurazione di un nuovo ordine economico-politico, costringe la classe borghese alla sconfitta ». (Angelo Tasca e l'Ordine Nuovo, Milano, 1973, p. 71). In termini più espliciti la frazione comunista di Bordiga, nel luglio del 1919, leggeva la situazione in chiave rigidamente marxista: « Durante la grande guerra che ha precipitato la crisi definitiva della borghesia, rendendole impossibile dominare gli intimi contrasti del mondo della produzione, si è aperto, con lo scoppio della rivoluzione sociale in Russia, il periodo rivoluzionario nel quale il proletariato insorge successivamente nei vari paesi per la conquista violenta del potere, ed i partiti comunisti devono ovunque orientare la propria tattica verso questa realizzazione ». (Il programma della frazione comunista, in « Il Soviet », 13 luglio 1919, ora in Storia della sinistra comunista, voi. I, Milano, 1972, p. 369).17 Alla fine del conflitto, riferendosi alle piaghe da questo lasciate, Benedetto Croce no­tava « che solo lo spirito pronto, l ’animo cresciuto, la mente ampliata rendono possibile so­stenere e volgere, mercé duro lavoro, a incentivi di grandezza ». La Vittoria, in L’Italia dal 191 4 al 1 9 1 9 , Bari, 1950, pp. 287-290.18 Giovanni gentile, Guerra e fede, Napoli, 1919, pp. IX-X. Come sottolinea Roberto vivarelli « L e pagine del Gentile [...] sono tutte da vedere e da meditare come documento di un modo di sentire la guerra quale riscatto morale dell’Italia e ripresa degli ideali risor­gimentali ». (Il dopoguerra in Italia, cit., p. 2).19 Cfr. santi fedele, L o « Schema di Programma » di « Giustizia e Libertà » del 1 9 3 2 , i n

« Belfagor », 1974, p. 438.70 Cfr. guido quazza, Storia del fascismo e storia d’Italia, in aa.vv., Fascismo e società italiana, Torino, 1973, p. 21 e Carlo francovich, L’ordine di uccidere venne da Mussolini, in « L ’Avanti! », 19 maggio 1974, p. 5.

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al socialismo assume per Carlo il significato di una vera e propria scelta morale, indicativa del saldo ancoraggio democratico cui deve pervenire la borghesia ita­liana per sottrarsi alle suggestioni malsane del dopoguerra21. Rosselli avvertirà profondamente, sul piano morale, il fascino della figura di Matteotti il cui as­sassinio lo spingerà ad iscriversi al Partito socialista unitario in quanto, nel mo­mento in cui avanza la follia liberticida, non si può rimanere fuori della mischia, bisogna schierarsi, prendere posizione, essere disposti a pagare per le proprie idee. Un mese dopo l’assassinio di Matteotti scriverà a Gobetti motivandogli la prossima adesione al PSU: « È un tentativo che si deve fare tanto più che è venuta l’ora per tutti di assumere il proprio posto di battaglia in seno ai partiti. Solo così forse eviteremo il calderone di domani. E solo così sarà possibile, con l ’ingresso di nuove forze d’accordo su un minimo comune denominatore, eser­citare nell’ambito dei rispettivi partiti quel lavoro positivo di chiarificazione che faciliterà grandemente la soluzione di domani » 22. L ’adesione al PSU sem­bra, inoltre, motivata da un’altra riflessione: di fronte all’incapacità dello stato di premunirsi contro il fascismo appare quanto mai necessario un raccordo de­mocratico di tipo nuovo, che può essere rappresentato dalla saldatura tra bor­ghesia illuminata e socialismo riformista23.La configurazione di un nuovo ruolo per la borghesia non parassitaria e l’in­contro del socialismo riformista sembrano dare a Rosselli una duplice garan­zia: da un lato, l ’acquisizione di una consapevolezza sociale tale da superare la crisi che aveva investito soprattutto i ceti piccolo-borghesi dall’altro, ancorare una parte del socialismo italiano e del movimento operaio a un metodo liberale. La ricerca di Carlo Rosselli si può quindi collocare, nel periodo di tempo che precede il « Quarto Stato », in quel fenomeno, di una certa rilevanza in Italia, di fermento intellettuale interno alla crisi del liberalismo, proteso verso una nuova identità politica e culturale24 25.Per quanto l ’elaborazione di Rosselli appaia simile a quella di Piero Gobetti, essa se ne distacca profondamente. La visione liberal-rivoluzionaria dello scrit­tore piemontese nasce, infatti, da una critica profonda alla soluzione moderata risorgimentale colpevole di aver impedito lo sviluppo di un liberalismo solleci­tatore di istanze di libertà e aperto alla comprensione dei fenomeni sociali23, mentre il socialismo riformista appare del tutto incapace di promuovere una azione decisa per il rinnovamento politico e morale del paese 26. Da questa piat­taforma interpretativa Gobetti individua la dimensione rivoluzionaria nell’opera di aflermazione autonoma del movimento operaio, mentre Rosselli non nascon­de la propria diffidenza verso i movimenti autonomi, impegnato com’è nella

21 « Era un anacronismo che un giovane della < generazione della guerra > andasse al so­cialismo e Rosselli lo sentiva tanto che non fu allora militante socialista e solo si decise ad abbracciarne interamente la causa, quando essa parve disperata [...] Ciò dava ora, per Carlo, al socialismo una portata più vasta e un carattere di novità ideale, almeno sul piano individuale ». aldo garosci, Vita di Carlo Rosselli, cit., p. 30.22 La lettera conservata nell’archivio del Centro studi Piero Gobetti di Torino è stata in gran parte pubblicata da n. trafaglia, op. cit., p. 178. Sul carattere morale di questa scelta vedi a. levi, op. cit., p. 66 e emilio l u ssu , Alcuni ricordi su Carlo Rosselli, in « Il Ponte », giugno 1947, p. 506.23 Questa posizione risulta con sufficiente chiarezza nella tesi di laurea di Rosselli discussa nel lugbo 1921 all’Istituto Cesare Alfieri di Firenze, cfr. Il sindacalismo rivoluzionario, in Opere, cit., pp. 13-19.24 Cfr. A. garosci, Vita di Carlo Rosselli, cit., p. 37.25 p. gobetti, Moderatucoli, in « Coscientia », 11 ottobre 1924. Ora in Opere, cit., p. 783.24 Vedi p. gobetti, Letture sui partiti politici, in « La rivoluzione liberale », 1 aprile 1922.Ora in Opere, cit., p. 305.

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puntualizzazione degli elementi storici, politici e ideologici che possono per­mettere quel recupero di parte del movimento socialista, che sarà tentato con il « Quarto Stato » 27. Nella tesi di laurea del 1921 questo indirizzo viene già esposto con chiarezza, e proprio dal rifiuto del sindacalismo rivoluzionario pren­de avvio l ’esigenza di una revisione profonda del socialismo all’insegna del vo­lontarismo apprezzato nelle pagine di Sorel. Al determinismo marxiano e al­l’attesa messianica dello stato socialista Rosselli obietta che « la grande mag­gioranza degli operai vuole la realizzazione immediata dei propri fini; in ge­nerale basa le sue aspirazioni concrete su di un terreno solido, e vano, inutile, dannoso è far inseguire ai lavoratori un ideale futuro di costruzione sociale astraendo dal presente » 28. Così « l’utilità dell’azione riformista » si è imposta e con essa la garanzia che il movimento operaio « avanza lentamente, faticosa­mente: ma avanza ». Nella tesi si avverte la presenza del concretismo salvemi- niano già sottoposto a critica da Gobetti fin dal 1920, anche se il direttore di « Rivoluzione liberale » considererà Salvemini uno dei suoi indiscutibili punti di riferimento 29. E il concretismo rappresenta una costante del pensiero e del­l’atteggiamento rosselliano30, attento più all’aspetto politico dei problemi che non a quello storico, vale a dire meno preoccupato, rispetto a Piero Gobetti, di ricercare nel passato le ragioni ideali e morali della crisi del presente. Per questo Rosselli vivrà sempre intensamente il problema dell’azione politica e cercherà permanentemente di mutare quest’esigenza morale in concreto momen­to organizzativo.Rosselli riassume i temi di critica nei confronti del socialismo, nel novembre del 1923, in un articolo pubblicato sulla « Critica sociale » dedicato, appunto, a La crisi intellettuale del Partito Socialista31. Le ragioni dell’insuccesso socia­lista vengono qui riportate al fatalismo marxista, negazione di una prassi volon­taristica e libertaria32. Il recupero del ruolo originale e trainante del movimento socialista può avvenire, quindi, solo nell’accantonamento del marxismo in ma­niera tale da permettere una rifondazione del Partito socialista stesso su una concreta piattaforma di lotta comune per la libertà, evitando pericolose quanto astratte disquisizioni ideologiche. Secondo un taglio tipicamente salveminiano Rosselli contrappone la violenza fascista all’impotenza socialista, derivata dal di­battersi in quel partito in questioni di principio mentre urgevano scelte pra­

27 « L ’assunto gobettiano, di spiegare il movimento operaio del dopoguerra alle classi colte italiane e agli stessi suoi dirigenti come qualche cosa di diverso da ciò che le une e le altre credevano esso fosse, non ha immediati prolungamenti politici, può portare alle più diverse conclusioni, e di fatto fu accolto con gioia da persone di differentissima origine, che solo avevano in comune l’ostilità per la socialdemocrazia e per il governo di < prudenza paterna­listica > di cui Giolitti era fatto simbolo. L ’assunto del < Quarto Stato > era invece di pre­parare la ricostruzione, su nuove basi, di quello stesso movimento socialista, in cui i par­tecipanti all’impresa riconoscevano il fenomeno più elevato dal punto di vista politico, del­l’Italia moderna ». a. garosci, Vita di Carlo Rosselli, cit., pp. 71-72.28 c. ro sselli, Il sindacalismo rivoluzionario, cit., p. 20.29 Per il rinnovamento dall’esperienza salveminiana vedi p . Gobetti, I miei conti con l’idealismo attuale, in « L a rivoluzione liberale», 18 gennaio 1923. Ora in Opere, cit. p. 443.30 «...problemismo e concretismo vivevano [...] in Salvemini sotto l’ala dei grandi ideali ottocenteschi: libertà dei singoli e dei popoli, giustizia sociale, solidarietà civile; e [...] non dobbiamo dimenticare che in Salvemini trovarono il loro maestro, a tacer di tanti altri, uomini come Carlo e Nello Rosselli » cfr. Giu seppe galasso, Da Mazzini a Salvemini, Fi­renze, 1974, pp. 266-7.31 Ora in Opere, cit., pp. 83-95.32 « Nell’atteggiamento di molti socialisti, tra il 1919 e il 1922, era troppo chiara l ’influen­za di quel fatalismo cosiddetto marxista, che deriva da una erronea, per quanto spiegabilis­sima, interpretazione degli scritti più conosciuti di M arx». (Ibid., p. 90).

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tiche33. La pregiudiziale nei confronti del marxismo è netta34 e preme come assunto informatore di tutta la trattazione a favore di « un atteggiamento cri­tico » tipico di « un largo spirito liberale », capace di legare ancor più salda­mente lo stesso PSU ad un programma di cose concrete. Il richiamo al « largo spirito liberale » costituisce un preciso elemento per comprendere l ’orientamen- to rosselliano già indirizzato verso una sintesi tra socialismo e liberalismo an­che se ancora ben lontana da quella formulata in Socialismo liberale.Quando Rosselli scrive il suo saggio il rapporto socialismo-liberalismo era uno dei temi più dibattuti sulle riviste interessate ai problemi di cultura politica. In questa discussione la tesi di Rosselli appare singolare in quanto, per esempio, egli respinge l ’affinità tra socialismo e liberalismo, sostenuta su « Rivoluzione liberale » nell’agosto 1923 da Novello Papafava, come pure il rivoluzionarismo liberale di Gobetti ormai saldamente indirizzato, dopo la scoperta del movi­mento operaio del ’20, su di una linea di critica originale e più avanzata.Non liberale, non ancora socialista Rosselli esprime le incertezze di alcuni intel­lettuali di estrazione borghese sensibili al rinnovamento politico ma attenti a non scivolare nel radicalismo 35. Le garanzie di libertà che ricerca in questo pe­riodo non sono sufficienti per poterlo definire un liberale, così come lo si è voluto caratterizzare36. È vero, semmai, che questa predisposizione gli proviene dall’influenza salveminiana e dall’esigenza di collocare il proprio empirismo in una prospettiva libertaria. Rosselli ha ben presenti i pericoli insiti nella sua impostazione quale, per esempio, lo snaturamento delle potenzialità di lotta di tutto il movimento socialista, e cerca di assumere un atteggiamento parzial­mente critico nei confronti del socialismo riformista in merito al giudizio da dare sull’esperienza sovietica. A differenza di Piero Gobetti37 non si sofferma a lungo sul significato della rivoluzione d’ottobre ma, pur denunziando « l’as­senza di un regime parlamentare », sottolinea come non bisogna « mai dimen­ticare quelle che possono essere state le dolorose necessità storiche di un moto rivoluzionario in un paese come la Russia » 38. I socialisti riformisti vengono quindi rimproverati di non aver saputo leggere la portata della rivoluzione so­vietica che ha segnato, al di là di canonizzazioni teoriche, l’affermarsi di una spinta volontaristica che ha messo in crisi la dottrina marxista, dal momento che la rivoluzione ha trionfato non in una società industriale avanzata ma in una realtà contadina, precapitalistica. La rivoluzione sovietica può, perciò, essere condannata non perché negazione del metodo marxista ma in quanto cristalliz­zatasi in un dirigismo classista sfociato nella dittatura di un gruppo. Gli eventi sovietici confermano, inoltre, in Rosselli il convincimento del marxismo quale dottrina dogmatica che non sollecita il realizzarsi delle libertà. Tuttavia il giu­dizio sulla rivoluzione leninista appare condizionato dall’esigenza di conferire

33 Ibid., p. 91.33 « [...] direi che l ’errore più grave consistesse nell’assumere la dottrina marxista a pen­siero ufficiale di gruppi e partiti socialisti », (Ibid.., p. 84). A questo proposito vedi le os­servazioni formulate da mirella i.arizza lolli, Alcuni appunti per una lettura del « Socia­lismo Liberale » di Rosselli, in « Il pensiero politico », 1974, n. 2, p. 287.35 Vedi Liberalismo Socialista, in « Critica Sociale », 1-15 luglio 1923, p. 203. Cfr. anche a. levi, Liberalismo come stato d’animo, in « L a rivoluzione liberale», n. 17, 1923.36 Cfr., n . t r a n f a g l i a , op. cit., p. 153 e n. 152 p. 171.37 Per il punto di vista gobettiano sulla rivoluzione russa segnaliamo, tra gli altri, gli arti­coli Esperimenti di socialismo in «Energie N ove», 25 luglio 1919; ora in Opere, cit., pp. 138-152 e La Russia dei Soviet in « Volontà », 15 febbraio 1921 e « Rivista di Milano », 20 febbraio 1921; ora in Opere, cit., pp. 197-206.38 La crisi intellettuale, cit., p. 90,

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alla crisi socialista sbocchi originali e, quindi, non riferibili a esperienze straniere. La crisi italiana è per Rosselli contrassegnata dall’incapacità delle forze politiche di aggiornarsi e può essere risolta facendo del Partito socialista un momento d ’incontro per tutti quei gruppi di giovani intellettuali che, soprattutto nell’Ita­lia settentrionale, operano in aperta polemica coi partiti39. Per non sciupare questo potenziale di classe dirigente, dato che « costituiscono una grande forza in un paese così povero d ’élites come il nostro », Rosselli propone un’iniziativa delle forze politiche non limitata ad un semplice invito mentre « occorre [...] andar loro incontro, dimostrando che l ’ambiente, l’atmosfera, è radicalmente definitivamente mutata » 40. Il rinnovamento del Partito socialista è possibile per Rosselli con l ’incontro con questi centri intellettuali, sicuramente portatori di istanze liberali e di esigenze concrete in quanto « salveminiani ». In effetti la trattazione rosselliana si chiude con una proposta ingenua poiché sfugge al­l’autore la natura intrinseca di questi gruppi che, proprio in virtù della lezione salveminiana, non solo si pongono esternamente ai partiti in funzione critica, ma di fronte ad una loro riconosciuta incapacità di influenzare in senso rifor­matore la società italiana, ricercano forme di lotta e di organizzazione politica del tutto nuove. L ’adesione di « Rivoluzione liberale » all’esperimento consi­liare è sintomatica di questo atteggiamento41. Rosselli cercava, invece, di ricu­cire i termini di una crisi che, al di là dello specifico sul Partito socialista, coin­volgeva il modo stesso di essere dei partiti su cui si era a lungo soffermato Sal­vemini prima della guerra e a cui Croce aveva dedicato nel 1912, avvicinandosi singolarmente alle tesi salveminiane, il famoso saggio su II partito politico come giudizio e come pregiudizio 42.Rodolfo Mondolfo, in una puntuale risposta, coglie la contraddizione del ragio­namento rosselliano, specificando, pur con una visuale riformista, il valore del­l’aggancio dottrinario del movimento socialista al marxismo quale dottrina che ha permesso l ’affermazione, nella storia, di un’idea rimasta, prima di Marx, a livello utopico. Obietta Mondolfo: « Giacché se ci sono marxisti che non sono socialisti, l ’importante per noi è il collegamento del socialismo col marxismo, la salda fondazione del primo sulle basi del secondo, il passaggio insomma dal­l’affermazione di un ideale (che potrebbe anche essere utopia) all’azione storica che è conquista di realtà » 43. Mondolfo, quindi, intravede nella richiesta libe­rale di Rosselli un pericolo snaturante il Partito socialista evitando, al contem­po, di pronunciarsi sulla valutazione che del marxismo dà il suo interlocutore. Mondolfo, inoltre, limitando la portata scientifica del marxismo al solo aspetto della concretezza denuncia, senza volerlo, la grande deficienza del socialismo riformista il cui marxismo si riduce a una visione gradualista del processo so­ciale, ancorata agli strumenti tradizionali del cooperativismo e dell’organizza­zione sindacale, ormai travolti dalla crisi del dopoguerra e non in grado di fornire una risposta alternativa al fascismo44.

39 « Si parla tanto della necessità di rinvigorire le file coll’immissione di nuovo sangue giovanile, e sono certo che ai discorsi corrisponde un desiderio preciso. Né mancano per fortuna, in vari centri, gruppi desiderosi di far confluire in un movimento le masse, le loro aspirazioni ideali e la loro volontà di azione. Molti di essi fecero capo un giorno ai gruppi cosiddetti < salveminiani >; oggi vivono in uno sdegnoso e fiero isolamento, tenacissimi av­versari dei vincitori » (Ibid., p. 94).40 Ibid., p. 94. Sulla teoria delle élites in Rosselli, vedi N. tranfaglia, op. cit., pp. 203-204.41 Su queste tendenze vedi Ferruccio parri, Prefazione all’antologia de II Caffè. 1924- 1 9 2 9 , Milano, 1961, p. 11.42 In « L ’unità », 6 aprile 1912.41 Le attività del bilancio, in « Critica sociale », 1-15 novembre 1923, p. 329.44 La crisi del riformismo sarà bene riassunta da Piero Gobetti in La rivoluzione liberale Saggio sulla lotta politica in Italia, Torino, 1964, p. 84.

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La replica di Mondolfo offre a Rosselli l’occasione per un intervento chiarifi­catore. Nell’articolo Aggiunte e chiose al « Bilancio marxista » 4S, infatti, il rap­porto « dottrina marxista-ente partito » viene preso di petto e già Rosselli la­scia intravedere conclusioni a cui arriverà solo a metà del 1924. A proposito di questa polemica Tranfaglia vi ha ravvisato una sostanziale incertezza rossel- liana tra « l ’abbandono di una propaganda socialista che non insista sul classi­smo e quella di un abbandono vero e proprio del classismo da parte dei socia­listi » 46. In effetti la preoccupazione di Rosselli non sembra oscillare tra i poli indicati da Tranfaglia, non volendo egli irrigidire il movimento di classe, che è una realtà, nei canoni di una dottrina, ma toglierlo dalla contraddizione in cui il marxismo lo pone per recuperarlo in una dimensione liberale.Il lavoro di revisione intrapreso da Rosselli vuole dimostrare come far discen­dere la lotta di classe da una filosofia porti, inevitabilmente, il movimento ope­raio su posizioni inaccettabili di nessuna costruttività. Ammesso che la strada da seguire non può che essere gradualista, la dottrina teorizzatrice della lotta di classe gli appare non rispondente alla comprensione della realtà, per cui « Sche­matizzando, si può osservare che: o la lotta di classe è nelle cose, nel regime economico, e allora non v’è teoria collaborazionista al mondo che la possa sof­focare, specie quando la coscienza di essa lotta viene potentemente risvegliata da ormai più che una generazione; o la lotta di classe non tanto è nelle cose e nel regime economico, quanto nella dottrina e nella propaganda socialista, e allora vana sarebbe l ’illusione di poter coercire permanentemente una pra­tica ribelle » 47. La lotta di classe ha una sua validità quale spinta per una più grande lotta per la libertà che viene dalle cose, mentre il marxismo ha soffocato il socialismo massimalista nell’aspettativa messianica di un ordine nuovo impre­cisato e non ha permesso a quello riformista, concreto e gradualista, di svolgere il proprio ruolo di forza di rinnovamento, assolvibile solo tramite uno stretto legame con tutte le altre forze che si battono per una maggiore libertà48. La scelta di Rosselli è già delineata nel senso del socialismo liberale, di una for­mula politica e culturale che Gobetti sente affine a quella della rivoluzione li­berale, sulla base del principio di solidarietà tra tutte le libertà. Inoltre nell’ar­ticolo in esame si avverte il premere della questione fascista e, anche su questo piano, la polemica contro il classismo socialista è serrata. Per operare il rinno­vamento necessario non è sufficiente la sola lotta di classe, bensì un rinnovato idealismo e un fermo realismo, ma soprattutto è necessaria la definizione di un atteggiamento politico-culturale capace di fornire una risposta organica alla cri­si in atto.L ’esigenza morale che si trova nell’articolo del T9 viene adesso chiarita politi­camente da Rosselli nella fissazione di tre momenti strategici: « l’esigenza gra­dualista (che significa voler costruire sui fatti e non sulle parole), l’esigenza li­berale (che significa educazione, tolleranza, vittoria su se stessi prima che sugli alleati), l’esigenza morale » 49. Questo programma rappresenta la definizione,

45 In «Critica sociale», 1-15 novembre 1923. Ora in Opere, cit., pp. 96-106.46 Op. cit., p. 148.47 Aggiunte e chiose..., cit., p. 100. Il taglio pragmatistico è evidente tanto che, avanti, nota: « Qualche esempio si può citare. Quello che ci viene dai socialisti inglesi è sommamente istruttivo, quantunque sarebbe sciocca anche solo l ’idea di volerlo pedissequamente co­piare », Ibid., p. 105.43 II giudizio di Rosselli si avvicina a quello formulato da Piero Gobetti un anno prima nell’articolo Polemica fascista, in « La rivoluzione liberale », 16 luglio 1922. Ora in Opere, cit., p. 392.49 Aggiunte e chiose..., cit., p. 103. La continuità con il «compito nuovo» del 1919 viene confermata da Rosselli per il quale «oggi [...] questa rettifica, nel senso di dar più peso

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nelle grandi linee, di un pensiero politico ormai maturo e, al contempo, costitui­sce la premessa all’elaborazione del « Quarto Stato » per poi comporsi in quella di Socialismo liberale e nell’attività di Giustizia e Libertà.Ne emerge una sintesi politico-culturale che fonde l’aspirazione morale e il con­cretismo politico e che pone Rosselli fuori dal filone tradizionale del socialismo italiano. La sua critica infatti si proietta in direzione di un superamento origi­nale dell’esperienza socialista, tesa com’è verso la politicizzazione dei ceti medi, vedendo in questa operazione una premessa che configura in termini di socia­lismo il problema del liberalismo, del quale nega l’autonomia politica pur ri­tenendone il metodo indispensabile. Il pensiero di Rosselli appare ormai inequi­vocabilmente indirizzato verso posizioni di « eresia » socialista, vale a dire di una moderna ed efficiente socialdemocrazia.Questo dato sfugge a Mondolfo che, in una successiva risposta 50 considera « l ’e­resia » rosselliana sempre dentro il socialismo italiano. Mentre Carlo Rosselli non procede a una revisione del marxismo ma al suo superamento, Mondolfo vede, invece, nell’accettazione del marxismo il momento pregiudiziale per il proletariato nell’acquisire piena consapevolezza della propria funzione su un concreto terreno di lotta. Per Mondolfo, infatti, « ciò che caratterizza e differen­zia il marxismo è il congiungimento e l’unità loro in una dottrina, che per que­sta feconda confluenza appunto è riuscita a conquistare la prevalenza su tutte le altre concorrenti. Vi è riuscita, perché dava al movimento proletario una coscienza storica di se stesso e dei suoi fini, e l’orientamento efficace della sua azione » 51.In definitiva, dietro la polemica Rosselli-Mondolfo sta qualcosa di più: il biso­gno rosselliano di non vincolare l ’azione individuale e collettiva a una dottrina che, rispetto all’evolversi dei fatti e delle novità della storia, può apparire in­sufficiente S2. Riemergono in Rosselli l ’influenza del crocianesimo e del sorelismo, ossia l ’attenzione verso il farsi della storia in tutte le sue autonome manifesta­zioni e la necessità di cogliere, pragmáticamente, il ruolo che deve adempiere la classe dirigente. Rosselli avvertiva che la politicizzazione dei ceti medi pre­supponeva un saldo ancoraggio a forze portatrici di nuove istanze, possibile solo tramite la formazione di un’élite culturalmente valida, modernamente liberale, disponibile all’azione a fronte di una situazione caratterizzata da una dittatura che si andava affermando senza essere efficacemente contrastata. Il legame con la problematica gobettiana è evidente, come pure l’influenza di Mosca e di Pareto 53. Rosselli coordinava quindi tre momenti culturali che saranno alla base

alle tendenze morali e alle tendenze volontaristiche s ’impone. Esigenze e tendenze che ab­biamo tutti, chi più, chi meno, trascurato. E il dopoguerra ne costituisce una prova ben triste e cruda », Ivi.50 Rodolfo mondolfo, Contributo a un chiarimento d’idee, in « Critica Sociale », 1-15 gen­naio 1924.5 ' l b i d -52 Ha osservato con precisione N. tranfaglia: « ... c’è in Rosselli una subordinazione molto maggiore che in Mondolfo e in altri giovani della sua generazione, della dottrina alla lotta. Una formula che egli definisce <filosoficamente irreprensibile» come quella mondolfia- na del rovesciamento della prassi non è uno stimolo immediatamente utile all’azione ed è dunque da respingersi. Quello che per Mondolfo è un’esigenza fondamentale, la formazione cioè di un criterio di orientamento, di una < bussola > per il movimento operaio appare a Rosselli come cosa di scarsa importanza, e addirittura come una palla al piede in quanto fre­no alla libera intuizione del processo storico che deve guidare l ’uomo d’azione», op. cit., pp 152-153.55 Per il rapporto con G. Mosca, cfr. N. tranfaglia, op. cit., p. 116.

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dello sviluppo del suo pensiero: vale a dire, l ’interpretazione di provenienza crociana della storia come storia della libertà54; la critica soreliana al determi­nismo e all’idealismo5S; la necessità di dar vita ad un’élite decisa e preparata56. Siffatta aspirazione generale, sul piano dell’attenzione politica, si concretizzava nelle considerazioni sulle condizioni del movimento operaio inglese non vinco­lato, a differenza di quello italiano, da dottrinarismi rigidi e da richiami ideo­logici 57 58. Ma l ’interesse primario è per la situazione italiana e significativamente, dopo essersi occupato della condizione del socialismo, Rosselli inizia a dibattere il tema del liberalismo pubblicando, nel maggio del ’24, su la « Critica sociale », un’ampia recensione al volume Lotte del lavoro di Luigi Einaudi, edito da Pie­ro Gobetti5S. In questo scritto Rosselli denuncia l ’arretratezza dell’impostazio­ne einaudiana nei confronti dei problemi sociali e dell’organizzazione operaia che testimonia « la tragedia del liberalismo italiano ». Rosselli si differenzia da Einaudi prendendo le distanze da un liberalismo animato da un « grande scet­ticismo nelle virtù costruttive del moto operaio, in quanto tende appunto a modificare e a rovesciare le basi economiche e morali della società attuale » 59. Il tono e l ’impostazione sono esemplari di un atteggiamento generale che esula dalla contingenza in cui è nato l ’articolo. Si evince che, anche per Rosselli, la limitatezza politica del liberalismo einaudiano risiede nell’incomprensione della necessità che aveva il movimento operaio per poter progredire, di un liberali­smo aggiornato, non più diffidente verso una forza che andava semmai orien­tata e educata, non certo contrastata. Rosselli riecheggia qui il giudizio dato da Gobetti nel 1922 60, pur differenziandosi da « Rivoluzione liberale » la quale propone un tipo di società fondata su articolazioni produttive e sociali in scon­tro costruttivo, laddove Rosselli rimprovera alla società capitalistica di non essere coerentemente «borghese» vale a dire aperta e innovativa61. Einaudi, « leale e illuminato avversario », è per Rosselli l’emblema del « dramma del liberalismo italiano » così chiaramente e lapidariamente riassunto: « generare le creature e mozzarle le ali; dar vita a tutte le correnti progressive e rinnova­trici per poi negare ad esse, preventivamente, la facoltà, il diritto, financo la pos­sibilità di superare la realtà in cui e da cui sorgono: in concreto la realtà capi­talistica, borghese; vedere nella storia un perpetuo divenire, una serie di equi­libri successivi, una perpetua negazione dell’ieri e del domani, per poi isterilirsi in una dogmatica affermazione della perpetuità della realtà attuale » 62.

54 Cfr. b . croce, Teoria e storia della storiografia, Bari, 1954, pp. 55-72. In questo volume Croce raccolse nel 1916 saggi usciti su riviste tra il 1912 e il 1913.55 Cfr. Georges sorel, La necessità e il fatalismo del marxismo, in « Riforma Sociale », 1898. Ora in Georges sorel, Democrazia e Rivoluzione, a cura di A. Andreasi, Roma, 1973,p. 120.“ Cfr. norberto bobbio, Democrazìa ed élites, in Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari, 1971, pp. 222-223.57 Cfr., Il movimento operaio, in « La rivoluzione liberale », 25 marzo 1924. Ora in Opere, cit., pp. 66-76. Su questo aspetto cfr. n. tranfaglia, op. cit., pp. 159-160.58 Luigi Einaudi e il movimento operaio, « Critica Sociale », 15-31 maggio 1924. Ora in Opere, cit., pp. 44-51.59 Ibid., p. 45.60 II liberalismo di Luigi Einaudi, in « La rivoluzione liberale », 23 aprile 1922. Ora in Opere, cit., p. 329.61 «O ra proprio qui sta il tarlo del liberalismo einaudiano ed albertiniano: nel muovere da una premessa statica, conservatrice, nel racchiudere tutte le infinite possibilità di un do­mani anche lontano in una sorta di muraglia della Cina teoretica, entro la quale dovrebbe essere necessariamente contenuto, almeno in materia economica, il moto emancipatore delle folle » in Luigi Einaudi e il movimento operaio, cit., pp. 46-47.62 Ibid., p. 47. Contro il conservatorismo moraleggiante di Einaudi vedi anche Antonio

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Ormai però la ricerca liberale di Rosselli sta per approdare a lidi sicuri: nel lu­glio del ’24 « Rivoluzione liberale » ospiterà, in risposta ad un lungo inter­vento di Bauer63, l’articolo Liberalismo Socialista M, che rappresenta un passag­gio importante nel cammino intellettuale rosselliano. In esso si avverte, infatti, chiaramente che, dopo l’uccisione di Matteotti, il dibattito politico e culturale non può non liberarsi dal premere della realtà per confrontarsi con alcuni mo­menti del passato che servano a leggere correttamente la situazione presente. In effetti Liberalismo Socialista è l ’articolo che più risente dell’influenza di Go­betti che definisce, in una postilla, Rosselli « un socialista che non è rimasto estraneo di fronte alle critiche e alle esigenze poste da Rivoluzione Liberale ». L ’impostazione gobettiana si limita, tuttavia, all’aspetto formale poiché le dif­ferenze dal pensiero dello scrittore piemontese rimangono notevoli.La divaricazione delle posizioni di Rosselli e di Bauer è una testimonianza di­retta dell’asprezza e della serietà con cui il dibattito sul ruolo del liberalismo viene portato avanti. Per Bauer l’antitesi liberalismo-socialismo è netta e incon­ciliabile, non per la diversità dei programmi politici, ma per i principi che deter­minano una interpretazione antitetica della situazione sociale e politica. Li­beralismo e socialismo non si negano per un sostanziale carattere illiberale di quest’ultimo ma in quanto la sua logica di movimento rivoluzionario lo porta ad essere liberale solo per opportunismo; pronto a negare quel metodo una volta raggiunti gli obiettivi prefissati65. L ’errore, secondo Bauer, sta nel ritenere che il liberalismo possa avere una funzione esclusivamente in una dimensione comprensiva del movimento socialista, mentre, proprio in confronto con que­sto, ha ancora da sviluppare tutte le proprie potenzialità.Piero Gobetti, postillando lo scritto di Bauer, nota che « le basi ideali del so­cialismo non sono rispetto al liberalismo nel confronto indicato da Bauer. Tutti e due sono figli dell’industrialismo, sono fenomeni di lotta politica ». E sempre Gobetti offre a Rosselli un valido terreno d’intervento prospettando una solu­zione alla crisi delle forze politiche e degli ideali, riconosciuta peraltro anche da Bauer, per cui: « I dissensi sussistono piuttosto tra il nostro marxismo e l ’in­terpretazione positivista, statalista che ne diedero i socialisti del ’90-’900. E appunto per ciò il dovere di Rivoluzione Liberale potrebbe essere di creare o di aiutare delle tendenze di giovani che si assumessero il compito di ringiova­nire il Partito Socialista, di metterlo a contatto con gli ultimi venti anni di cultura contemporanea europea ».La novità dell’articolo di Rosselli risiede però nell’analisi della crisi liberale vista attraverso l’azione di alcune personalità — così come aveva fatto Gobet­ti — accomunate dalla medesima incomprensione, vale a dire dall’illusione che il liberalismo fosse di per sé un contenuto politico e non un metodo di inter­pretazione storico-politica66. L ’unica personalità che sembra salvarsi dal naufra­gio del liberalismo è Luigi Einaudi, di cui l’autore non fa parola. Le figure di Salandra, Albertini, Missiroli vengono prese a simboli dell’insufficienza storica del liberalismo italiano, peraltro non approfondita, mentre sarebbe stato oltre-

gramsci, Einaudi o dell’utopia liberale, in « Avanti! », ed. piemontese, 25 maggio 1919. Ora in L ’ordine nuovo, Torino, 1954, p. 232.63 Domande ai socialisti, in « La rivoluzione liberale », voi. I l i , 1924, in Le riviste di Piero Gobetti, a cura di Lelio Basso e Luigi Anderlini, Milano, 1961, pp. 217-226.64 Ora in Opere, cit., pp. 107-128. a R. BAUER, cit., p. 218-219.66 Cfr. c. rosselli, Liberalismo socialista, cit., p. 109.

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modo interessante conoscere l’origine della critica di Rosselli alla cultura poli­tica italiana di orientamento conservatore. Salandra, successore di Giolitti nel 1914, gestore fallimentare di un’attesa di rinnovamento, appare a Rosselli la prova vivente dell’incapacità liberale di comprendere i presupposti stessi del liberalismo, da cui deriverà Pautoritarismo fascista67. Il liberalismo di Albertini non è animato da rinnovamento alcuno tanto da rimanere relegato in un ben preciso ceto sociale; per questo esso si pone « in un cerchio chiuso e si finisce in pratica per rispettare il metodo liberale solo nei confronti di chi, innovan­dosi all’interno del regime capitalistico con mentalità borghese, non mira a sovvertire il sistema » 68. Il liberalismo di Salandra e quello di Albertini sono le risultanze della mancata riforma dell’idea politica liberale che, incapace di affrontare i grandi problemi della società italiana, cade nelle spire inconcludenti dei paradossi missiroliani o nella rinuncia amorale di Prezzolini69. Questa cri­tica ha lo scopo di mettere allo scoperto i mali storici della presenza liberale in Italia e per individuare le elites che devono guidare l ’opera di educazione e di organizzazione politica, secondo la primaria indicazione gobettiana. Dice Ros­selli al proposito: « Sono dunque le minoranze, le opposizioni, i gruppi ancor deboli, bisognosi per ragioni fisiologiche di un’atmosfera di libertà e di auto­nomia che assicuri loro la possibilità di sviluppo, le vere forze liberali. La storia, se qualche cosa dimostra, è per questa tesi » 70.Mentre nel ’24 Gobetti ha individuato nel movimento operaio l ’élite portatrice di istanze genuinamente liberali, per Rosselli le classi lavoratrici devono ancora dimostrare di essere rispettose dei doveri altrui, di non « offendere il metodo liberale ». La distanza dalle posizioni gobettiane è grande: per Gobetti, infatti, un nuovo liberalismo si attuerà solo con una rivoluzione operaia capace di le­gare, in un unico movimento, forze popolari e intellettuali, mentre Rosselli ne­ga il metodo rivoluzionario per rimanere nei limiti di una vigorosa azione di rinnovamento culturale e politico da attuarsi gradualmente. Il volontarismo rosselliano vuole salvaguardare le prerogative di iniziativa individuale tipiche della borghesia anche rinnovata, rispetto alla quale, si contrappone la visione di un socialismo livellatore. A differenza del socialismo massimalista che, in­vece di agire, si era perso nell’attesa messianica della rivoluzione, tagliandosi fuori da ogni possibilità d’intervento Rosselli vede nel riformismo lo strumento adatto di azione politica. Nel ’24 la ricerca liberale di Rosselli, socialista « per fede e per sentimento », si è conclusa con una scelta motivata: recuperare il so­cialismo italiano all’iniziativa politica secondo un metodo liberale e legalitario. Con questo spirito affronterà l ’impresa di « Quarto Stato », ultima generosa il­lusione di un rinnovamento ormai impossibile.

Paolo Bagnoli

67 « Ammettiamo il fascismo, ha detto Salandra nel discorso della Scala anche se a sacri­ficio della libertà. E precisamente ha dichiarato che < dello Stato elemento essenziale è l’autorità, non la libertà [ . . .]> » (Ibid ., p. 111). Il giudizio di Rosselli è simile a quello di Gobetti nel Saggio sulla lotta politica in Italia, cit., p. 57.61 Ibid., p. 113. Vedi anche p. gobetti, Il liberalismo e le masse, « L a rivoluzione libera­le », 10 aprile 1923. Ora in Opere, cit., pp. 478-9.69 Liberalismo socialista, cit., p. 116.70 Ibid., p. 119.