L’esperienza del CESU in Francia e le possibili riforme...
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Servizi alle persone e creazione di nuova occupazione.
L’esperienza del CESU in Francia e le possibili riforme per
l’Italia
Rapporto
Andrea Ciarini1
1 Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche – Sapienza Università di Roma
2
1. I servizi sanitari, sociali e alle persone in Europa. Una crescita costante di occupati e
valore aggiunto
I servizi sanitari, sociali e alle persone - anche detti white jobs - svolgono una funzione
fondamentale nei sistemi di protezione sociale, per il contributo che offrono alla tenuta della
coesione sociale e alla copertura di vecchi e nuovi rischi sociali. Siano essi legati alla non
autosufficienza, alla cura e assistenza di minori, anziani, disabili, alla conciliazione tra vita e
lavoro o ancora ai processi di deospedalizzazione e costruzione di nuovi percorsi integrati e
continuativi di assistenza al domicilio, questi servizi costituiscono uno dei punti nevralgici dei
welfare europei. Pur nella varietà dei sistemi nazionali e delle grandi differenze che corrono tra
paesi e gruppi di paesi è su questo fronte che si misurano molte delle grandi sfide che insistono sul
modello sociale europeo.
Un buon sistema di servizi alle persone come ci ricordano le istituzioni europee (da ultimo con il
Social Investment Package del 2013) è di fondamentale importanza per promuovere l’inclusione
sociale, ridurre il rischio di povertà e le disuguaglianze e indirettamente per promuovere la
partecipazione attiva al mercato del lavoro. Non meno importante è il contributo diretto che essi
danno alla creazione di nuova occupazione e alla stessa crescita economica.
L’invecchiamento della popolazione ma anche l’aumento dei bisogni collegati alla conciliazione tra
vita e lavoro sono i driver che maggiormente impattano sulla crescita dell’occupazione nei white
jobs. D’altra parte la demografia non si può arrestare. E’ un vincolo, un costo che pone problemi
di sostenibilità della spesa sociale, ma anche una opportunità di crescita, di creazione di nuova
occupazione e nuove professionalità legate alla salute e al benessere delle persone, a patto di
dotarsi di adeguate politiche sociali e del lavoro.
A tutti gli effetti i white jobs costituiscono uno dei settori che più hanno contribuito a creare
occupazione in Europa, anche negli anni della crisi. In una fase di recessione e riduzione costante
degli occupati nei tradizionali settori di insediamento industriale e manifatturiero questi servizi
hanno continuato a dare un contributo positivo in tutta Europa alla creazione di nuova
occupazione. A fronte di una perdita di circa 4,5 milioni di posti di lavoro nel manifatturiero (-
3
11,9%) tra il 2008 e il 2014 e di 3,8 nelle costruzioni e edilizia i servizi alle persone hanno
registrato un incremento di più di 2 milioni di unità (+9%), per un valore complessivo di 25
milioni di occupati (vedi tab. 1 e fig. 1). Rispetto al 2000, prima della grande crisi, la crescita è
stata sempre costante con un aumento degli occupati tra il 2002 e il 2009 pari a 4,2 milioni, più di
un quarto rispetto a tutta l’occupazione creata nell’Unione (circa 15 milioni di nuovi posti di
lavoro).
Tab. 1 l’aumento dell’occupazione nei servizi sanitari, sociali e alle persone tra il 2008 e il 2014
nell’Europa a 28, Val. assoluti e var. %
2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 var.%
Manifatturiero 37.800,7 34.936,5 33.671,1 33.630,7 33.166,4 32.748,5 33.282,7 -11,9
Costruzioni 18.449,9 17.189,9 16.333,8 15.730,8 15.170,4 14.650,9 14.594,0 -20,9
Servizi sanitari,
sociali e alle persone
23.442,6 23.962,5 24.470,7 24.829,4 25.054,2 25.112,1 25.556,3 9
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey
Fig. 1 La variazione percentuale dell’occupazione per settori economici nell’Europa a 28 tra il 2008
e il 2014, Val. %
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey
4
A livello di singoli paesi il quadro può cambiare. Resta costante tuttavia l’aumento di incidenza del
lavoro nei white jobs. Persino in Germania (vedi fig. 2) è da sottolineare lo scarto tra la
diminuzione degli occupati nei settori manifatturieri e la forte crescita fatta registrare dai white
jobs, nelle loro diverse articolazioni (+28,5% nell’assistenza residenziale; + 13,2% assistenza
domiciliare; + 9,9% servizi domestici). Pur qualche differenza (si veda in particolare la
contrazione dei servizi domestici: - 27,4%) anche la Francia (vedi fig. 3) mostra uno stesso
andamento. A fronte della ancora più evidente caduta occupazionale del settore manifatturiero
e della pubblica amministrazione, gli incrementi più significativi si registrano nei servizi
residenziali e domiciliari (+16,2%; +21,8%).
Rovesciare gli assunti secondo cui la spesa in favore del welfare è essenzialmente destinata ad
alimentare il debito, significa ribadire l’importanza del welfare non solo ai fini della tenuta della
coesione sociale ma anche rispetto al contributo che i servizi sociali possono dare alla crescita, alla
creazione di nuova occupazione e allo sviluppo di nuove reti di imprese, profit e non profit - anche
tecnologicamente avanzate - in risposta a vecchi ma soprattutto nuovi bisogni sociali. La
concezione secondo cui l’investimento nel welfare si sostanzi in spesa corrente votata alla
protezione dai principali rischi connessi all’attività lavorativa aveva una sua ragione d’essere in
sistemi, come quelli tipici dei welfare fordista, incentrati sui trasferimenti alle persone o alle
categorie professionali. Da tempo non è più così. Sia assumendo la prospettiva del welfare come
fattore indiretto di sostegno alla occupazione, sia come fattore anticiclico in grado di attivare
nuovi circuiti di crescita e sviluppo, la spesa sociale è a tutti gli effetti spesa produttiva. Essa
richiede infatti l’attivazione di nuovi e più complessi servizi dietro i quali possiamo scorgere
esigenze legate non solo all’ammodernamento delle reti di offerta, ma anche alla qualificazione e
alla emersione di nuove professionalità, nuove imprese e tecnologie, segnatamente nella cura
delle persone in tutta le sue varie declinazioni.
La crescita dell’occupazione nei servizi di welfare, siano essi erogati formalmente da una struttura
pubblica o privata o di terza settore, oppure da prestatori individuali assunti presso le famiglie, è
un fenomeno comune a tutti i paesi europei. Un fenomeno destinato a crescere a causa delle
grandi trasformazioni demografiche che riguardano i paesi europei, su tutte l’invecchiamento della
popolazione (vedi fig. 2) che già oggi può essere registrato anche in termini di aumento delle
prestazioni (vedi fig. 3), anche per l’Italia nonostante i bassi (ancora) tassi di copertura.
5
L’Italia spicca tra i paesi qui considerati per la grande crescita dell’occupazione nei servizi
domestici, con un tasso di incremento tra il 2000 e il 2013 addirittura del 72,2% (vedi fig. 5 e tab.
3). Si tratta di un dato certamente positivo, che nasconde tuttavia anche alcune criticità. Questa
caratteristica risente molto delle varie regolarizzazioni e sanatorie promosse tra il 2000 e il 2012
che hanno portato all’emersione di molto lavoro irregolare, soprattutto nei servizi domestici. Di
contro se si guarda agli altri paesi minore è stato il contributo dato dai servizi domiciliari, con un
aumento del 10,5%.
Su questa debolezza pesa la mancanza di una effettiva politica dei servizi alle persone, in tutte le
loro articolazioni, visti come ambito strategico per la creazione di nuova occupazione in risposta
a bisogni sociali in grande crescita, oltre che soggetti a forte differenziazione interna. La risposta
ai nuovi rischi sociali, quelli legati non tanto alla protezione dei rischi connessi al lavoro, ma anche
ai cicli di vita, alla cura e assistenza, richiede risposte multiple ma integrate tra loro in una politica
dei servizi e del lavoro in grado di coniugare lo sviluppo della prestazioni e la creazione di nuovo
lavoro.
Fig. 2 La variazione dell’occupazione per settori produttivi in Germania, Anni 2008-2013, Val. %
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey
6
Fig. 3 La variazione dell’occupazione per settori produttivi in Francia, Anni 2008-2013, Val. %
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey
Fig. 4 La variazione dell’occupazione per settori produttivi in Europa (15), Anni 2008-2013, Val. %
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey
7
Fig. 5 La variazione dell’occupazione per settori produttivi in Italia, Anni 2008-2013, Val. %
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey
Tab. 2 L’occupazione servizi sanitari, sociali e alle persone sul totale dell’occupazione, Val. %, Anni
2000-2008-2014
Paese 2000 2008 2014 Var. % 2000-2014
Belgio 12,33 13,43 14,60 2,27
Danimarca 17,63 17,83 18,87 1,24
Germania 10,31 11,91 13,07 2,76
Spagna 8,01 9,91 11,94 3,93
Francia 12,80 14,66 15,86 3,06
Italia 7,05 8,90 11,62 4,57
Olanda 13,57 15,92 16,07 2,50
Svezia 18,69 15,61 15,46 -3,23
Regno Unito 11,43 12,77 13,62 2,20
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey
8
Tab. 3 La variazione dell’occupazione per settori economici in alcuni paesi europei tra il 2000 e il 2013, Val.
%
Settori Germania Italia Francia Eu 15
Manifatturiero -3,5 -11,6 -15,3 -0,13
Professioni tecnico-specialistiche 17,3 -6,9 8,1 7,6
Trasporti magazzinaggio comunicaz. 5,8 -4 -4,4 -5,2
Costruzioni 6,9 -20,3 -8,3 -21,1
Informazione-comunicazione -4,5 -0,3 1,5 -2,2
Finanza-assicurazioni -1,5 -3,7 0 -4,2
Amministrazione pubblica 2,4 -9,9 -13,7 -7,1
Scuola e Università 10,2 -7,9 1 4,5
Sanità 6,9 4,9 3,8 3,9
Assistenza residenziale 28,5 18,5 16,2 24,1
Assistenza domiciliare 13,2 10,5 21,8 8,7
Commercio ingrosso e dettaglio 10,9 -5,4 -5,1 -3,3
Alberghi e ristorazione 7,6 5,8 7,4 3,1
Servizi domestici 9,9 72,2 -27,4 -2,9
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey
Che i white jobs siano una dei più importanti giacimenti di nuova occupazione e di crescita
economica è confermato anche dal contributo che queste prestazioni danno all’economia,
nell’ordine del 7% di tutte le attività economiche nell’Europa a 28, pari a circa 900 miliardi di
euro2. Naturalmente persistono differenze nella capacità di generare valore aggiunto in Europa e
in questo caso l’Italia ha di fronte a sé molto terreno da recuperare rispetto ad altri paesi (vedi fig.
6).
2 European Commission (2014), Health and social services from an employment and economic perspective, Social
Europe - EU Employment and Social Situation, Quarterly Review, Brussels
9
Fig. 6 La crescita del valore aggiunto dei servizi sociali e sanitari, Anni 2000-2012, Val. % su totale
valore aggiunto
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat
Va inoltre ricordato che la salute e la cura delle persone sono anche un settore produttivo in senso
lato. In Italia l’industria della salute (farmaceutica, apparecchiature biomedicali e medical device,
forniture mediche-sanitarie) ha occupato nel 2011 137.000 persone, per un valore aggiunto di 12
miliardi3. In Europa il settore delle tecnologie sanitarie ha un valore complessivo di 100 miliardi
di euro per una crescita del 4% annua negli ultimi sei anni. La Germania è il paese già oggi leader
del settore, con la più ampia porzioni di occupati e di imprese esportatrici. L’Italia rappresenta il
quarto mercato in Europa per produzione e addetti (vedi fig. 7).
Fig. 7 Gli occupati nei settori delle tecnologie sanitarie, Val. ass. Ultimi anni disponibili
Fonte: nostre elaborazioni su dati Oecd
3 Cicciomessere R. Ponzellini A. M. (2014), Le prospettive di sviluppo dei white jobs in Italia. Servizi sanitari, sociali e
alla persona: i settori economici con il potenziale di occupazione più elevato, Italialavoro, Rapporto, Roma
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Il settore delle tecnologie sanitarie: telemedicina, teleassistenza, domotica, medical device, è
strettamente legato alla cura delle persone. Questi dispositivi possono costituire un utile
supporto tanto per i professionisti della cura al domicilio, quanto per utenti e caregiver implicati
nell’assistenza. In generale poi la tecnologia sanitaria è centrale al fine di rafforzare tutti quei
processi di presa in carico integrata, dai trattamenti a più alta intensità medica, infermieristica e
riabilitativa, al sostegno nello svolgimento delle attività quotidiane e mantenimento delle relazioni
sociali, fino al contributo che possono offrire per il contenimento dei costi dell’offerta di servizi e
l’aumento della produttività dl lavoro.
Persistono tuttavia anche criticità nei white jobs, in particolare nel più ristretto ambito dei
servizi alle persone (personal and household services) che investono trasversalmente i diversi
paesi europei. Come anche la Commissione Europea ha sottolineato4 le previsioni di crescita dei
servizi alle persone, pur promettenti, non mettono al riparo del tutto dal lavoro “povero” (alta
incidenza di contratti non standard, basse retribuzioni etc..) per limiti strutturali, connessi alla
natura relazionale di molta parte di queste prestazioni ad alta intensità di lavoro, e anche per i
problemi posti dai vincoli di bilancio crescenti. Resta inoltre in alcuni paesi europei, soprattutto
mediterranei e nella cura al domicilio, un ampio bacino di lavoro sommerso che riduce il
potenziale di crescita di lavoro qualificato. Secondo alcune stime5 la percentuale di lavoro nero
nelle attività domestiche, cura e assistenza alle persone varia dal 70% in Italia e in Spagna, al 45%
nel Regno Unito, fino al 30% e 15% della Francia e della Svezia. L’alto tasso di irregolarità nel
lavoro domestico è un fattore negativo perché sottrae risorse fiscali e contributive allo Stato e
perché contribuisce a confinare ai margini del mercato del lavoro, anche dal punto di vista della
4 Si veda in particolare European Commission (2012), Long-term care: need, use and expenditure in the Eu-27,
Economic papers, n. 469, Brussels; European Commission (2013), Long-term Care in Ageing Societies – Challenges and
Policy Options¸ Commission Staff Working Document, SWD 41, Brussels; si veda anche Ciarini A. (2013), Il welfare è un
costo? Il contributo delle politiche sociali alla creazione di nuova occupazione in Europa e in Italia, Rapporto Rete
Cresce il welfare, cresce l’Italia, Roma 5 Si veda il rapporto Etude sur les services à la personne dans sept pays européens, Ministère de l’èconomie et des
finances, 2011; vedi anche Favarque N., 2013, Developing personal and household services in the EU. A focus on
housework activities, Report for the DG Employment, Social Affairs and Inclusion.
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rappresentazione sociale, occupazioni destinate in ogni caso a crescere di incidenza, per effetto
delle grandi trasformazioni demografiche e dei nuovi bisogni di cura e conciliazione.
Se si assume l’impegno di favorire una crescita dell’occupazione nella cura e assistenza delle
persone, rafforzando un trend già in atto, va affrontato il nodo relativo alla qualità del lavoro
creato e alla sua remunerazione. Il problema è che lo sviluppo dell’occupazione nei servizi sociali
ha premiato soprattutto la crescita numerica degli impieghi, senza un pari sviluppo sul versante
della qualificazione dell’occupazione creata. Sebbene su questo influisca anche l’alta percentuale
di occupazione femminile (maggiormente soggetta al gender pay gap) resiste nei servizi di welfare
un trade-off tra crescita dell’occupazione e bassi salari e basse protezioni sociali dei lavoratori che
vi sono coinvolti. In questo quadro l’obiettivo di qualificare e contribuire alla creazione di nuova
occupazione attraverso i servizi alle persone va ben oltre il semplice sostegno alla
regolarizzazione o emersione del lavoro sommerso nelle attività di assistenza “leggera” in
famiglia. Implicate in questi processi vi sono professionalità e servizi, anche ad alta
qualificazione, che tendono a spostarsi dalle strutture ospedaliere verso il sistema dei servizi
integrati sul territorio, e che incidono sull’emersione di fabbisogni professionali futuri tutti da
governare e non suscettibili di per sé di bassi salari e basse protezioni sociali.
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2. Varietà nazionali e qualità dell’occupazione creata nei servizi alle persone
Sulla quantità e qualità dell’occupazione creata nei servizi sanitari, sociali e alle persone incidono
diversi fattori, primo tra tutti la composizione dell’occupazione tra servizi afferenti al sistema
sanitario - sia esso regolato in senso universalista (come in Italia, nel Regno Unito, in Svezia) o
attraverso il sistema delle assicurazioni sociali obbligatorie (come in Francia e in Germania) -
servizi socio-assistenziali, domiciliari e residenziali, e servizi domestici. Questa combinazione di
fattori è bene riassunta dalla figura seguente (vedi fig. 8).
Fig. 8 L’occupazione nei servizi sanitari, sociali e domestici in Europa, Val. % sul totale
dell’occupazione, Anno 2014
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat
Come si può notare se l’Italia (insieme con la Spagna) ha una quota di occupati nei servizi
domestici assai più alta rispetto ad altri paesi, è ancora molto indietro sul fronte dei servizi
formali, domiciliari o residenziali. Di contro è in linea con la media europea l’occupazione nel
settore sanitario, evidentemente per la presenza di un servizio sanitario assai più consolidato e
rispetto alla debolezza cronica dei servizi socio-assistenziali, il vero anello debole del welfare
italiano, tanto in termini di occupazione creata, quanto sul piano delle prestazioni sociali.
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Detto questo, sono diversi i modelli che in Europa si confrontano sul terreno dei rapporti tra servizi
e trasferimenti, così come tra pubblico, privato, terzo settore. Ciascun paese ha sue proprie
caratteristiche che devono molto all’evoluzione storica delle politiche sociali. In estrema sintesi vi
sono paesi che hanno una prevalenza di servizi formali, residenziali e domiciliari (tradizionalmente
tutto il raggruppamento scandinavo) e paesi che evidenziano una diversa combinazione di servizi
in kind e agevolazioni per l’acquisto di prestazioni in famiglia, attraverso voucher e dispositivi di
solvibilità della domanda. Tipico esempio di questo modello misto è la Francia e più limitatamente
la Germania. Spagna e Italia hanno una quota di offerta in servizi residenziali e domiciliari più
bassa e di contro una più ampia quota di prestazioni acquisite dalla famiglia, senza tuttavia quella
vasta disponibilità di dispositivi di solvibilità (l’Italia soprattutto) che caratterizzano il cluster
continentale. Allo stesso modo per quello che riguarda i mix di offerta tra prestazioni pubbliche,
private e di terzo settore si possono distinguere:
- contesti a tradizionale vocazione pubblica ma in presenza di una forte crescita del privato
di mercato (di grandi dimensioni: multinazionali dei servizi che operano in regime di
convenzione con il pubblico o direttamente a carico degli utenti): Svezia, Danimarca;
– contesti a tradizionale vocazione sussidiaria, in cui è predominante le componente del
settore non profit ma in presenza di una crescita dell’offerta privata da parte di imprese di
più piccole dimensioni e di lavoratori individuali: Francia, Germania, Belgio (e dopo le
riforme della metà degli anni Duemila in parte anche la Spagna). Si tratta di paesi che negli
anni più recenti hanno introdotto riforme tese a dotare gli utenti di strumenti di solvibilità
(voucher, titoli di acquisto) con i quali acquistare assistenza su un mercato regolamentato (
e regolare) in cui operano sia singoli professionisti, sia organizzazioni private e non profit;
– contesti a vocazione di mercato, in cui è debole tanto l’offerta pubblica, quanto quella non
profit: Regno Unito e paesi anglosassoni. Si tratta di paesi che negli hanno fortemente
privatizzato i servizi di welfare, trasferendo dal pubblico al privato di mercato la maggior
parte dei servizi alle persone. In questi paesi c’è un ruolo residuale del terzo settore e il
mercato (predominante) è soprattutto costituito di grandi imprese organizzate. La
maggior parte dei grandi gruppi privati operanti nel settore sono costituiti da venture
capital (società finanziarie);
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– contesti a vocazione sussidiaria ma in presenza di una grande componente di lavoro
sommerso che le politiche in essere continuano ad alimentare, influendo negativamente
sull’emersione di un mercato dei servizi alle persone regolare: Italia, Grecia. In questi paesi
a una componente pubblica in contrazione fa da controaltare un settore non profit
tradizionalmente insediato in alcuni servizi e una ampia componente di mercato sommerso
(nero) per la mancanza di un quadro coerente di politiche. Il problema del sommerso non
riguarda solo questo gruppo di paesi. E’ qui però che questo fenomeno si presenta con
maggiore intensità.
A livello europeo, la Commissione Europea ha incoraggiato l’adozione di politiche di solvibilità
sul modello dei voucher, allo scopo di ridurre l’incidenza del lavoro nero, tagliando il costo
contributivo che insiste sui servizi, specialmente quelli erogati in famiglia, e semplificare le
procedure di acquisto e gestione delle prestazioni nel mercato sociale. Misure di questo tipo si
richiamano espressamente all’esperienza francese del CESU (vedi prossima sezione).
Molti paesi europei si sono dotati di strumenti come i voucher, aprendo di fatto a una regolazione
del mercato sociale dei servizi, in cui l’arretramento delle funzioni di erogazione diretta delle
istituzioni è compensata dalla crescita della fornitura privata - profit e non profit - ma all’interno
di un sistema monitorato e di fornitori accreditati.
Alcuni studi mostrano che l’introduzione degli incentivi fiscali e contributivi per l’acquisto di cura
in famiglia hanno ridotto l’area del lavoro sommerso. Questo è certamente vero se si tiene
presente quanto avvenuto in Francia e anche in Danimarca. In quest’ultimo Paese, alla metà degli
anni Novanta il sistema dei servizi pubblici alle persone è stato affiancato da incentivi fiscali
(Hjemmeserviceordningen) volti a facilitare, rendere meno costoso, l’acquisto di cura al domicilio
da parte delle famiglie (abbattendo del 50% il costo delle prestazioni). Queste detrazioni, - previste
principalmente per servizi di cura “leggera” (aiuto nel disbrigo delle faccende quotidiane, pulizie,
preparazione dei pasti etc.) - sono state prima ridotte (nel 2000 dal 50% al 35%), quindi nel 2006
limitate ai soli anziani over 65. Ebbene stime recenti6 sottolineano come la limitazione di questi
dispositivi abbia di fatto influito sull’aumento del lavoro sommerso.
6 Vedi ancora Farvaque, 2013, Developing personal and household services in the EU. A focus on housework activities,
Report for the DG Employment, Social Affairs and Inclusion, Brussels.
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3. Un confronto con la Francia
La Francia è uno dei Paesi europei che prima e di più ha puntato su una strategia di integrazione
tra politiche di welfare e politiche per la creazione di occupazione regolare nella cura e
assistenza alle persone attraverso strumenti volti a rendere solvibile la domanda. Questi
dispositivi, costituiti di sgravi contributivi e voucher hanno aperto al strada a un mercato sociale
dei servizi in cui operano sia organizzazioni formali, profit e non profit, sia prestatori individuali
assunti direttamente dalle famiglie.
Fino alla prima metà del 2000 il settore francese del servizi alla persona era caratterizzato da
una forte frammentazione dell’offerta. A fronte di un numero di imprese molto ridotto operanti
nel settore, l’80% dei rapporti di lavoro coinvolgevano direttamente cliente e singolo lavoratore,
spesso in nero, creando un contesto non troppo dissimile da quello che prevale ancora oggi in
Italia.
Con una strategia integrata di riforme in grado di agire congiuntamente su agevolazioni fiscali e
contributive per la regolarizzazione dei rapporti di lavoro e sulla revisione dei dispositivi
assistenziali - prima con l’istituzione dell’APA (Allocation Personalisée d’Autonomie) nel 2002, poi
con il CESU nel 2005 che ha esteso l’utilizzo del voucher universale a tutti i servizi alle persone, in
pochi anni si sono poste le premesse per una forte crescita dell’occupazione regolare (con benefici
anche per lo Stato in termini di introiti fiscali e contributi) e anche del numero delle imprese profit
e non profit operanti.
Queste politiche hanno concorso a fare emergere dal mercato informale molte delle prestazioni
sociali al domicilio, contribuendo a sviluppare l’occupazione regolare nei servizi alle persone.
3.1 Organizzazione e gestione dei servizi attraverso il CESU
Il CESU è suddiviso oggi in due principali modalità di gestione e erogazione delle prestazioni, il
CESU déclaratif, il CESU préfinancé.
Il CESU déclaratif è un voucher direttamente utilizzato da singoli datori di lavoro per acquistare al
domicilio una serie di prestazioni che vanno da servizi domestici, a lavori di riparazione,
babysitting, sostegno scolastico, assistenza amministrativa, assistenza leggera alle persone anziane
e non autosufficienti, lavori di vigilanza a domicilio, preparazione dei pasti. Il rapporto tra i
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contraenti prevede la stipula di un contratto di lavoro (per un remunerazione che non può
essere inferiore al salario minimo SMIC). La convenienza viene dai forti sgravi contributivi
garantiti dallo Stato che di fatto abbattono per il datore di lavoro il costo lordo, fino a rendere
sconveniente l’assunzione al “nero”.
Il CESU préfinancé è invece un voucher il cui ammontare è finanziato ex-ante da un datore di
lavoro (pubblico o privato), nell’ambito dei benefits integrativi previsti per i dipendenti (CESU
Ressource humaines), oppure da un organismo pubblico, sociale o previdenziale, allo scopo di
garantire una serie di prestazioni di cura e assistenza, sociale o socio-sanitaria, al domicilio (CESU
Social). E’ in questo secondo ambito che ricade la gestione del dispositivo previsto per la non
autosufficienza, l’APA, introdotta nel 2002, dal 2005 integrata nel sistema dei servizi alle persone
regolati tramite CESU.
Dal punto di vista del suo funzionamento, l’erogazione dei voucher è legata alla valutazione del
caso da parte di una equipe medico sociale a livello dipartimentale (in Italia corrispondenti alle
provincie), con il compito di valutare lo stato di bisogno dell’utente, attraverso una griglia di
valutazione suddivisa in quattro livelli. Su questa base l’erogazione del voucher prevede una
ampia gamma di opzioni cui l’utente può accedere, siano queste residenziali o domiciliari,
erogate da un prestatore individuale assunto direttamente dal beneficiario, da un familiare (che
non sia il coniuge), da un’associazione di terzo settore accreditata, da un’impresa privata o dal
pubblico. Queste diverse soluzioni (in particolare nelle cure domiciliari) non sono l’una in
opposizione all’altra, ma il beneficiario può ricorrere nello stesso momento a modalità di
erogazioni differenti, combinando diverse prestazioni tra loro nel mercato sociale della cura.
Il CESU préfinancé Ressource Humaines (RH) è direttamente collegato ai benefit aziendali. Il suo
utilizzo è in crescita costante, arrivando nel 2014 a 700.000 utilizzatori7, circa il 3% dei dipendenti.
Nel 2005 con l’istituzione del CESU è stata costituita anche Agenzia Nazionale dei Servizi alle
Persone (Agence nationale des services à la personne), un organo interministeriale che
sopraintende all’intero settore dei servizi alla persona oggi incorporato all’interno del Ministero
dell’Economia. Grazie a questi incentivi il settore dei servizi alle persone francese si è andato
7 Lebrun J. F. (2015), Les services à la persone (SAP o PHS in english) en France, Presentazione Percorsi di Secondo
welfare – ItaliaCamp, Roma 20 Luglio 2015
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rapidamente sviluppando. Nel 2011 sono state 3,4 milioni (il 13% del totale) le famiglie che
hanno usufruito di servizi di cura e assistenza personale, con un incremento rispetto al 2005 del
8%8. Dal 2005 sono state 8 milioni le famiglie che hanno beneficiate di questo dispositivo, per un
volume di emissioni pari a 806 milioni di euro nel 2014 (1 punto di Pil aggiuntivo all’anno)9.
Dal punto di vista dei canali di fornitura, la maggior parte delle ore erogate fa riferimento
all’impiego diretto in famiglia (51%), ovvero le prestazioni acquistate per il tramite dell’ampio
spettro di voucher che il legislatore ha previsto. Segue l’offerta formale (prestataire) di mercato
(24%) e di terzo settore (12%). Rimane residuale l’offerta diretta pubblica (il 5%) e quella
mandataire, mediata cioè da una agenzia di intermediazione accreditata per la fornitura di
manodopera al domicilio (vedi fig. 9). Per quanto riguarda invece il tipo di servizi erogati (vedi fig.
10) la grande parte delle prestazioni riguarda il long-term care e servizi di assistenza agli anziani
(autosufficienti), rispettivamente al 29 e 23%. Seguono le attività legate al disbrigo delle faccende
domestiche e assistenza leggera al domicilio - vita quotidiana - per un volume di ore pari al 26%
del totale.
Fig. 9 Ripartizione delle ore per tipo di provider
Fig. 10 Riparizione delle ore per area di intervento
Fonte: nostra elaborazione su dati Lebrun 2015
8Favarque N. (2013), Developing personal and household services in the EU. A focus on housework activities, Report
for the DG Employment, Social Affairs and Inclusion, Brussels
9 Maino F. (2014), Il voucher universale per i servizi di assistenza alla persona, Le prospettive sostenibili delle politiche
di welfare in Italia e in Europa, Percorsi di II welfare, Rapporto
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In una ottica di politica per la creazione di nuova occupazione uno dei vantaggi di questo modello
è il forte impulso al coordinamento tra i diversi servizi che compongono la cura delle persone10,
dagli interventi leggeri di aiuto nel disbrigo delle faccende domestiche a servizi più complessi a più
alta integrazione socio-sanitaria. In questo modo il mercato sociale che si sviluppa va a potenziare
una filiera integrata di interventi dal domicilio alle strutture residenziali e viceversa.
Un secondo vantaggio è la generalizzazione del sistema di accreditamento (ivi) che permette d
monitorare la qualità, organizzare la formazione e controllare, almeno in parte, le condizioni di
impiego dei lavoratori a domicilio.
Un terzo vantaggio è l’impulso che può venire all’emersione del lavoro nero dalla combinazione
virtuosa di forti incentivi fiscali e di un sistema di accreditamento in grado di garantire scelta e
qualità.
Un fattore di criticità nell’esperienza francese riguarda l’orientamento di queste politiche verso
la creazione di occupazione per particolari categorie di soggetti svantaggiati, soprattutto
lavoratori a bassa qualifica e soggetti presi in carico dai dispositivi di reddito minimo (Revenue
Solidarité Active). Questo focus se da un lato ha contribuito a definire specifici percorsi di
inserimento e reinserimento lavorativo, dall’altro ha influito negativamente sulla qualificazione
generale del settore dei servizi alle persone dal punto di vista delle skills. Va detto in proposito che
la costituzione di un segmento di offerta di lavoro a bassi salari può contare in Francia su
dispositivi di reddito minimo (il Revenue Solidarité Active) che funzionano da complemento al
reddito, contribuendo a bilanciare più fonti di reddito. Occorre tenere in considerazione questo
elemento in una logica di esportabilità del modello francese, per l’assenza in Italia di una effettiva
misura nazionale di contrasto della povertà.
3.2 Gli impatti sul mercato del lavoro e la spesa
Dal 2005 al 2011 il settore dei servizi alle persone è stato uno dei più dinamici dell’economia
francese, con un tasso di crescita del 8% annuo (1,1% del PIL pari a 17,4 miliardi di euro).
10 Simonazzi A. M., Picchi S. (2013), Affordability of care and quality of work: new trends in elderly care in F. Bettio, J.
Plantenga and M. Smith (eds.), Gender and the European labour market, London, Routledge, pp. 108-132
19
Dal punto di vista delle ricadute occupazionali l’impatto di queste politiche ha determinato un
aumento dell’occupazione regolare nell’ordine del 47% tra il 2003 e il 2010 (+ 330 mila unità tra il
2005 e il 2010). Nel 2010 il numero delle persone occupate nei servizi alle persone (di cui il 74%
assunto direttamente al domicilio e il restante 26% assunto da una organizzazione esterna alla
famiglia) è stato pari a 1,5 milioni. Nell’ultimo periodo si è assistito a una diminuzione degli
impieghi diretti (-5,8% tra il 2012 e il 2013), in parte per gli effetti negativi della crisi economica sui
bilanci familiari, in parte per la crescita degli impieghi alle dipendenze presso provider privati
prestataire (+1,7%). Resta un totale di salariati (tra impieghi diretti e modalità prestataire, ovvero
privati) di circa 1,4 milioni di unità11.
Naturalmente vi sono dei costi da sostenere per politiche di questo tipo. Già il solo obiettivo di
disincentivare il mercato sommerso richiede un intervento per l’abbattimento del lordo almeno
pari alla differenza con il costo netto. A questo fine vantaggi fiscali previsti per il datore di lavoro
(famiglia) sono pari a un credito di imposta del 50% per ogni singolo prestatore assunto, più
l’esonero dal versamento dei contributi sociali, con l’abbattimento di 0,75 euro per ora lavorata
sull’assicurazione sociale malattia, invalidità, decesso. Nel caso di assistenza all’infanzia
domiciliare (6-13 anni) l’esonero contributivo è raddoppiato a 1,50 euro per ora lavorata. In
generale per l’assistenza ai bambini, anziani e disabili il tetto di spesa su cui si applica il credito
di imposta è di 6.000 euro (il 50% su 12.000). Nel caso in cui il credito di imposta superi le
imposte dovute la somma eccedente viene restituita all’utente sotto forma di credito fiscale.
A questi costi vanno sommati gli sgravi sull’IVA garantiti a imprese e organizzazioni di terzo settore
erogatrici di servizi, dal 5 al 20% a seconda del tipo di servizio erogato (tra il 5,5 e il 10% per i
servizi a più alta integrazione socio-sanitaria, 20% per i servizi “leggeri” di assistenza nel disbrigo
delle faccende domestiche etc.. 12). Per quanto riguarda l’esonero contributivo garantito a imprese
e datori di lavoro, esso si applica fino a erogazioni in servizi pari a un massimo di 1830 euro per
anno per singolo lavoratore. Vi è infine un credito di imposta riconosciuto alle aziende per piani
11
I dati qui presentati fanno riferimento a Dares (2015), Les services à la personne en 2013. Un fort recul de l’emploi
direct accentue la baisse de l’activité du secteur, n. 10, Fevrier 2015
12 Vedi meglio Cour de Compte (2014), Le développement des services à la personne et le maintien à domicile des
personnesâgées en perted’autonomie, Enquêtedemandée par le Comitéd’évaluation et de contrôle des
politiquespubliques de l’Assembléenationale, Paris
20
di welfare aziendale del 25%, fino a un massimo di 2 milioni di euro.
I costi a carico dello Stato per questi interventi non sono di poco conto. L’esonero dei contributi e
le agevolazioni fiscali sull’IVA hanno un costo di 3,8 miliardi all’anno. 3,5 sono invece i miliardi di
euro dedicati ai crediti di imposta. Se a questi si sommano i circa 4,4 miliardi per gli aiuti diretti,
ovvero le spese sociali per l’assistenza ai non autosufficienti e long-term care si arriva a un valore
totale di 11,7 miliardi circa13 (vedi fig. 11). Si tratta di un costo ingente che tuttavia ha la capacità
di alimentare un mercato regolare dei servizi alle persone che garantisce risorse e entrate fiscali
per lo Stato. E’ stato stimato che su 11 miliardi di uscite per lo Stato, vi sono entrate pari a 9
miliardi per un costo finale di 2 miliardi.
Fig. 11 I costi della politia di solvibilità in Francia, Anno 2014, Val. Miliardi di euro
Fonte : Cour de Compte e Lebrun 2015
13
Lebrun J. F. (2015), Les services à la persone (SAP o PHS in english) en France, Presentazione Percorsi di Secondo
welfare – ItaliaCamp, Roma 20 Luglio 2015. Per una stima dei costi si veda anche il Rapporto 2014 della Cour de
Compte francese: Le développement des services à la personne et le maintien à domicile des personnesâgées en
perted’autonomie, Enquêtedemandée par le Comitéd’évaluation et de contrôle des politiquespubliques de
l’Assembléenationale, Paris
21
4. I servizi alle persone in Italia. Debolezze croniche e mancate riform
Quanto a evoluzione storica degli assetti di welfare Francia e Italia hanno diverse caratteristiche in
comune, dalla centralità degli schemi assicurativi a tutela del lavoro alle dipendenze, fino alla
debolezza e frammentarietà dell’assistenza e di contro un rilevante carico di responsabilità sulle
famiglie. Ma se questo vale per il passato, non è così se guardiamo agli anni più recenti, in
particolare ai servizi di cura. Il sistema italiano, nonostante le riforme - su tutte la 328/2000 – è
rimasto sostanzialmente incagliato in equilibri tradizionali, da un lato con una bassa spesa per
l’assistenza, dall’altro con un persistente sovraccarico di funzioni di cura sulla famiglia, senza
peraltro nemmeno una esplicita politica per la famiglia. In questo quadro alla centralità dei
trasferimenti passivi, non ha fatto seguito né una loro revisione in senso moderno, sul modello
degli schemi cash for care che si sono andati diffondendo, né uno sviluppo dei servizi, rimasti su
tassi di copertura molto al di sotto dei bisogni. Questa debolezza dei servizi trova un bilanciamento
nel forte coinvolgimento della famiglia, con gravi penalizzazione tuttavia sul piano della
partecipazione al mercato del lavoro, specialmente per le donne. Nel 2014, al netto degli effetti
negativi indotti dalla crisi un po’ in tutti i paesi europei, il divario con la media europea a 28 è
ancora nell’ordine di 11 punti percentuali (vedi fig. 12 e 13). Il tasso italiano di partecipazione
femminile al mercato del lavoro (fascia 15-64 anni) è ancora al 46,8%, ben lontano da paesi
come la Svezia (73,1%), Germania (69,5%), Regno Unito (67,1%), Francia (60,4%). Stupisce inoltre
che il dato italiano sia inferiore alla Spagna (51,2%).
22
Fig. 12 Ore settimanali dedicate alla cura
informale dai caregiver familiari, Val. %, Ultimi
anni disponibili
Fig. 13 Il tasso di occupazione femminile in
alcuni paesi europei, Val. %, anno 2014
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat – Labour Force Survey e Eu Silc
Fig. 14 il tasso di occupazione femminile nelle regioni italiane, Val, %, Anno 2014
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
23
Certamente su questo ritardo influiscono molto i divari territoriali, in Italia assai più marcati che in
altri contesti nazionali. Il problema rimane tuttavia generale, anche in considerazione della crisi
economica che certo ha contribuito a deteriorare il mercato del lavoro. Eppure secondo i dati
Istat14, sono ancora il 22,3% le donne che in Italia escono dal mercato del lavoro per mancanza
di alternative di conciliazione, in particolare servizi di cura. Stupisce questo dato tanto più se si
considera che nel 2005, prima della grande crisi, questa percentuale era del 18,4%. Ancora altri
dati contribuiscono a dare conto delle criticità che insistono sull’occupazione femminile. Sempre
secondo l’Istat sarebbero addirittura oltre un milione le persone inattive che lavorerebbero se
potessero ridurre e bilanciare meglio il tempo dedicato alla cura dei familiari. Questa situazione
riguarda in particolare le coorti di età tra i 35 e i 44 anni, le più penalizzate (ivi) dalle difficoltà di
conciliazione tra cura e lavoro.
Il problema è che l’Italia si trova ancora indietro nella definizione di una strategia nazionale per
lo sviluppo dei servizi alle persone. I ritardi possono essere colti su più fronti, sul piano dello
sviluppo dei servizi, ma soprattutto rispetto alla promozione di politiche che abbiano in animo la
creazione e regolarizzazione di nuova occupazione in seno alle famiglie. Molte delle criticità del
sistema di welfare nazionale hanno a che fare naturalmente con la scarsità di fondi dedicata
all’assistenza alle persone. Carente è stata tuttavia anche l’introduzione delle misure di
incentivazione fiscale e contributiva per l’acquisto di cura e assistenza al domicilio. Rispetto a
quanto avvenuto in altri paesi, l’utilizzo di voucher e buoni lavoro non è stato ritagliato su un
settore specifico di implementazione (la cura, l’assistenza alle persone) come in Francia con
l’introduzione nel 2005 del CESU (Chéque Emploi Service Universel) ma ha riguardato un ampio
spettro di prestazioni occasionali e accessorie, dai servizi personali, al lavoro in agricoltura. A
riprova di questa mancata finalizzazione l’occupazione creata attraverso il lavoro accessorio nei
servizi domestici è stata piuttosto scarsa, in raffronto ad altri settori (commercio, agricoltura,
turismo), e al numero assai più elevato di lavoratori domestici registrati presso l’Inps (nel 2014
circa 890.000).
14
Istat (2014), Rapporto BES. Il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma
24
Fig. 15 L’occupazione creata nel lavoro accessorio, Val. assoluti, Anno 2013
Fonte: nostra elaborazione su dati Inps – banca dati lavoro accessorio
Il fatto è che nel corso degli anni lo sviluppo dell’occupazione nei servizi alle persone o non è
stata regolamentata, lasciando inalterate le molte sacche di sommerso che gravitano intorno
alla cura e assistenza, oppure appaltata alla periodiche regolarizzazioni (ben tre tra il 2002 e il
2012), con la conseguenza di avere contributo all’emersione di parte del lavoro sommerso,
soprattutto nei servizi domestici, ma senza una vera politica sociale e del lavoro appositamente
dedicata. Di recente è stata prevista l’istituzione di un voucher conciliazione per il baby sitting e il
pagamento dei servizi accreditati (pubblici e privati). Si tratta di una sostanziale innovazione che
colma una lacuna nel sistema di welfare italiano. Resta da vedere se e quanto questo buono lavoro
(del valore di 600 euro mensili per un massimo di 6 mesi, 3 per le mamme iscritte alla gestione
separata) verrà esteso e reso strutturale. Il panorama nazionale dei voucher rimane sottoposto a
una forte diversificazione territoriale. Inoltre seppure le regioni hanno iniziato ad adottare
provvedimenti innovativi (alcuni dei quali in linea con le riforme più avanzate europee come
voucher e buoni conciliazione ) rimane il problema del mercato sommerso, soprattutto nel campo
della non autosufficienza, dove un istituto come l’Indennità di accompagnamento continua ad
alimentare il mercato nero e il badantato - con gravi danni per lo Stato in termini di mancate
entrate fiscali e contributive.
25
4.1 Servizi e politiche per la non autosufficienza
L’ampio bacino di lavoro sommerso in Italia è da mettere in relazione, tra le altre cose, alle
modalità di regolazione e gestione della indennità di accompagnamento, nei fatti l’unico benefit
universale (non sottoposto prova dei mezzi) per gli anziani non autosufficienti (i 2/3 dei beneficiari
sono over 65). La spesa per l’Indennità di accompagnamento è arrivata a circa 13,6 miliardi di
euro nel 201415, corrispondente a circa il 44 % della spesa totale per Long-term care. Le restanti
parti del 46% e del 10% corrispondono rispettivamente alla componente sanitaria e ad altre
prestazioni assistenziali per un valore complessivo sul Pil di circa l’1,9%16 (vedi tab. 4).
Tab. 4 Spesa pubblica per Long-term care in rapporto al Pil, Ultimi anni disponibili, Val.%
Servizi domiciliari Servizi residenziali Cash Tot.
Francia 0.44 1.38 0.34 2.16
Italia 0.49 0.55 0.86 1.91
EU 27 0.53 0.8 0.52 1.84
Germania 0.4 0.58 0.45 1.43
Fonte: European Commission 2012 e Ministero della Finanze e dell’Economia
L’indennità di accompagnamento è un dispositivo cruciale ai fini della componente non sanitaria
dei trattamenti di Long-term care. Allo stato attuale il suo funzionamento è tuttavia pesantemente
condizionato da criticità su più fronti. Manca anzitutto nella sua erogazione qualsiasi finalizzazione
alla regolarizzazione dei rapporti di cura informali (siano questi garantiti da un familiare o da una
badante) o all’acquisto di servizi su un mercato regolare e qualificato dell’assistenza. Secondo
alcune stime17 sarebbero circa 830 mila gli impieghi irregolari nel settore della cura, alimentati
dalla indennità di accompagnamento oltre che da risorse private delle famiglie.
15
Inps 2015, Rapporto annuale 2015, Roma
16 Ministero delle Finanze e dell’Economia– Ragioneria Generale dello Stato (2014), Le tendenze di medio-lungo
periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario – aggiornamento 2014
17 Pasquinelli and Rusmini (2013), Quante sono le badanti in Italia. Qualificare n.37,
http://www.qualificare.info/home.php?list=archivio&id=678
26
Dal punto di vista del funzionamento generale l’indennità riproduce un modello di intervento
fondato su trasferimenti alle famiglie (come è tradizione dei welfare mediterranei) senza alcuna
forma di controllo sull’utilizzo delle risorse, né meccanismi di incentivazione fiscale per il
riconoscimento del lavoro di cura informale o l’emersione dei lavoratori al domicilio. Ma le aree
di criticità non si limitano a questi aspetti. Mancando di griglie di valutazione “nazionali” del
bisogno (valide cioè su tutto il territorio nazionale) ed essendo basso il grado di integrazione con i
servizi sociali e socio-sanitari locali, l’utilizzo dell’Indennità risulta oggi molto al di sotto delle
potenzialità che potrebbe dispiegare.
Altri paesi come Germania e Francia che prima dell’Italia hanno riorganizzato l’assistenza per i
non autosufficienti (in Germania con l’introduzione nel 1995 di una nuova assicurazione sociale
obbligatoria per la non autosufficienza, in Francia nel 2002 con l’istituzione di uno schema
finanziato dalla fiscalità generale, l’Allocation Personnaliée d’Autonomie) si sono dotati di griglie di
valutazione diversificate quanto a intensità del bisogno a cui legare l’erogazione di trasferimenti,
sotto forma di voucher o titoli di acquisto più o meno condizionati alla regolarizzazione e
emersione del lavoro informale, compreso quello familiare18.
In Germania la griglia di valutazione del bisogno è organizzata intorno a tre livelli, a ciascuno dei
quali corrisponde un diverso ammontare di risorse che possono andare da un minimo di 235 a 700
euro mensili nel caso in cui l’utente scelga di optare per i trasferimenti tout court, e da 450 a 1550
euro nel caso di servizi domiciliari o residenziali.
In Francia la griglia nazionale AGGIR (Autonomie Gérontologique groupes ISO ressources) è
costruita su sei livelli (da un minimo di 652 a un massimo di 1312 euro mensili) e diversamente
dalla Germania è uno strumento di valutazione del bisogno gestito dalle autorità dipartimentali (in
Germania sono i case manager del fondo sociale a cui è iscritto l’assistito a gestire la fase di
valutazione e scelta delle prestazioni). In questo caso la valutazione è propedeutica all’erogazione
18 Ciarini A. (2015), Il Long-term care e la cura degli anziani in Europa. Tra espansione delle prestazioni, vincoli di
bilancio e mercato del lavoro, in Riva E. (a cura di), Ripensare le politiche per la non autosufficienza. Liberare e
qualificare il potenziale del neo-mutualismo, Bologna, il Mulino (in corso di pubblicazione). Su questo punto e seguenti
si veda anche Pavolini E. Ranci C. (2015), Le politiche di welfare, Bologna, il Mulino.
27
del voucher che è costituito di diverse alternative monetarie e in servizi ma con maggiori vincoli
rispetto alla destinazione d’uso prevista in Germania, soprattutto per quanto riguarda la possibilità
di remunerare formalmente il familiare19.
Rispetto alla grande parte delle esperienze europee di riforma l’Italia è rimasto uno dei pochi
paesi che prevede un importo unico per tutti, per in presenza di persone con bisogni diversificati
e di intensità diversa. L’Indennità di accompagnamento è rimessa alle valutazioni delle Asl locali,
rendendo la misura o fruibile secondo una somma fissa pari a 508 euro oppure non esigibile.
Manca una politica nazionale di integrazione con il settore socio-assistenziale e con i processi di
riorganizzazione che interessano le reti della sanità territoriale, in termini di servizi e altresì in
termini di nuove professionalità emergenti lungo l’intera filiera dei servizi sanitari, socio-sanitari,
residenziali e domiciliari. Questo è uno dei punti maggiormente critici dell’attuale assetto
organizzativo del welfare locale: i rapporti tra Asl e enti locali, tra ospedale e territorio nella presa
in carico individuale. Parimenti questo è uno dei nodi che gravano sulla mancata attuazione della
legge 328/2000 (le legge quadro sull’assistenza introdotta nel 2000).
La spesa assorbita dalla indennità è ingente se comparata con le risorse destinate all’assistenza in
generale. Non si tratta tuttavia di intervenire per diminuire tout court i finanziamenti, quanto
riqualificare per integrare meglio tra loro i vari canali di finanziamento (assistenziali, sanitari,
nazionali, territoriali) i livelli amministrativi (Inps, regioni, enti locali), le risorse della cura
informale familiare e quelle attivate nel mercato sociale dei servizi.
Già da tempo del resto a livello regionale sono attivi diversi dispositivi, voucher, titoli di acquisto,
che funzionano in una logica di quasi-mercato e integrazione tra cura formale e cura informale. Un
dato interessante a tale proposito è quello relativo all’utilizzo dei voucher (vedi fig. 16). Nella quasi
totalità dei casi si tratta di erogazioni subordinate alla sottoscrizione di un programma di
assistenza individualizzato. Oltre all’obiettivo di favorire l’emersione del lavoro nero, in alcuni casi
il contributo ha anche lo scopo di qualificare l’offerta. In questo caso non è vincolato solo alla
regolare assunzione dell’assistente, ma anche alla sua iscrizione presso un elenco o albo di
lavoratrici accreditate (es. Puglia, Provincia Autonoma di Trento, Valle d’Aosta).
19
Ivi
28
Con qualche eccezione, per esempio la Sicilia, le regioni meridionali sono al di sotto della media
nazionale nella dotazione di questo tipo di dispositivi che di contro nelle regioni settentrionali
hanno conosciuto un certo sviluppo. In questo quadro il Mezzogiorno si caratterizza per un
modello di intervento imperniato sulla centralità dei tradizionali schemi monetari, sia per la
relativa più ampia diffusione della indennità di accompagnamento20, sia soprattutto per la
debolezza cronica dei servizi. Nord e centro-Nord, pur nelle differenze che emergono, appaiono
invece protesi verso modelli più in grado di combinare e integrare tra loro interventi cash, anche
innovativi e interventi domiciliari in-kind.
Fig. 16 L’utilizzo di voucher e assegni di cura nelle regioni italiane, Anziani, Anno 2009
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Per quanto riguarda i profili di gestione e organizzazione dei servizi nelle regioni, il recente
Rapporto sulla non autosufficienza del Network sulla Non Autosufficienza (NNA 2013) individua
alcuni modelli che possono essere così riassunti:
Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta hanno spostato l’orientamento dei servizi verso l’assistenza
domestica domiciliare di tipo sociale e per le soluzioni residenziali. Qui l’ADI raggiunge in media
l’1,3% degli over 65, un valore di molto inferiore a quanto rilevato nelle altre regioni italiane: i
comuni, di contro, offrono una elevata copertura in termini di Assistenza Domiciliare SAD.
Secondo il Rapporto NNA questo suggerirebbe un focus delle politiche teso a sostenere il
20
NNA (2013), L’ assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, Rapporto promosso dall’IRCCS-INRCA per il
Network nazionale per l’invecchiamento, sant’arcangelo di Romagna, Maggioli
29
permanere delle persone anziane a casa il più a lungo possibile tramite interventi di tipo socio-
assistenziale, pur prevedendo un adeguato sistema di offerta residenziale. In questo, il cluster
somiglierebbe più ai Paesi nord-europei che al resto del contesto italiano.
Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia (ma non il Veneto) si collocano nel secondo
raggruppamento. Qui in media il 9,5% anziani riceve il servizio di ADI, l’1,4% quello del SAD, il 2,1%
è ospite nelle residenze ed il 13,9% con indennità di accompagnamento). Questo cluster include
regioni con un sistema di welfare per l’anziano molto sviluppato, con alcuni dei valori d’offerta più
elevati a livello nazionale. È in particolare il settore dell’ADI che raggiunge un’ampia platea di
utenti, indicatore che rivela l’attenzione nei confronti della permanenza a domicilio degli anziani
non autosufficienti.
La maggior parte delle regioni del Sud appartiene invece a modello di cash-for-care, ovvero di
soluzioni monetarie, a fronte di una forte diffusione dell’indennità di accompagnamento (16,1% in
media, la più elevata tra i cluster) e una bassa dotazione di servizi. Si tratta di un modello che
molto poco sembra deviare dal tradizionale sistema dei trasferimenti monetari che alimentano il
sommerso. In questo quadro di basse riforme la stretta che si registra nell’erogazione della
Indennità di accompagnamento potrebbe avere un impatto negativo sulle risorse destinatarie
degli interventi, rappresentando quest’ultima l’unico reale sostegno per le persone non
autosufficienti e le loro famiglie
Accanto a questi tre raggruppamenti vi sono regioni che possono essere collocate a metà tra
servizi e trasferimenti. Cambia tuttavia il bilanciamento tra questi due poli. Mentre infatti le
regioni del Nord (Piemonte, Lombardia e Veneto) e del versante tirrenico settentrionale (Liguria e
Toscana) sono orientate verso la residenzialità, mentre quelle dell’Italia Centro-Meridionale
(Marche, Lazio, Abruzzo, Basilicata e Molise) sono più orientate ai trasferimenti, pur non
misconoscendo il sistema dei servizi.
Tra tutti questi modelli una sola regione sembra identificare un modello in qualche modo a sé. Si
tratta dell’Umbria. Questo è soprattutto dovuto all’elevata diffusione delle indennità di
accompagnamento che in questa regione sono concesse a quasi un over 65 su cinque (ben il
19,5%). A questo si aggiunge l’incremento repentino del numero di utenti in ADI, passati nel corso
30
di due anni da 5,1% al 7,7% degli over-65, che si contrappone ad una scarsa offerta di servizi
residenziali e di SAD.
Il grande nodo irrisolto, che contribuisce ad acuire anche le differenze interne, resta l’indennità di
accompagnamento, su cui proposte di riforma certo non sono mancate, dalla ipotesi di
suddividere la spesa tra disabili, da lasciare tutta a carico dello Stato, e anziani, sui quali costruire
interventi in compartecipazione graduati in base all’intensità del bisogno, fino alla possibilità di
introdurre vera una prova dei mezzi in base al reddito. Su questo punto il confronto europeo può
essere utile. In generale i paesi europei che hanno affrontato prima la problematica della non
autosufficienza non prevedono schemi condizionati al reddito. Si prevedono semmai schemi
universali graduati nell’ammontare delle risorse destinate agli utenti in base all’intensità del
bisogno. La stessa APA francese (integrata a tutti gli effetti nel sistema del CESU) non è sottoposta
a prova dei mezzi in base al reddito. Vi è piuttosto una quota di compartecipazione a carico del
beneficiario legata al reddito.
Tra i primi progetti di revisione della indennità di accompagnamento possiamo ricordare la
proposta di qualche anno fa di De Vincenti21 che puntava alla distinzione tra indennità monetaria e
indennità in servizi. In questa proposta l’indennità monetaria veniva affiancata dalla possibilità
di optare per una dotazione mensile in buoni servizi, di valore superiore alla prima con spesa a
carico dello Stato e in quota minore dagli enti locali. Questi buoni, differenziati per gravità e
condizioni economiche dell’utente, nominativi e non trasferibili, sarebbero funzionali all’acquisto
di servizi domiciliari integrati, offerti o dai comuni o da provider accreditati dai medesimi comuni.
Il finanziamento degli oneri aggiuntivi per i buoni servizi (calcolato in 1,2 miliardi di euro
all’anno) sarebbe garantito su base contributiva, attraverso un contributo obbligatorio per
dipendenti, autonomi e pensionati di importo prossimo allo 0,2%.
A simili conclusioni giunge una proposta più recente di un gruppo di studiosi su iniziativa dell’IRS
(Istituto per la Ricerca Sociale). A parità di risorse, ovvero senza prevedere ulteriori esborsi di
spesa, la proposta in questione prevede la trasformazione dell’Indennità in “Dote di cura” a cui
21
De Vincenti C. (2008), Come fare decollare i servizi per la non autosufficienza, nelMerito,
http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=431&Itemid=1
31
l’utente potrebbe accedere o come semplice trasferimento monetario oppure come budget
individuale (raddoppiato rispetto al primo) da utilizzare per fruire di pacchetti di servizi più
complessi, pubblici o privati accreditati tramite “voucher”. Nella proposta della “Dote di cura”
l’erogazione economica spetterebbe all’Inps, mentre alle regioni e agli enti locali sarebbero
trasferite funzioni di governo del sistema, gestione degli accessi, presa in carico, monitoraggio e
valutazione.
Di recente (Giugno 2014) è stata depositata in Parlamento una proposta di legge per l’istituzione
del voucher universale, ispirata al modello francese dello Chèque Emploi Service Universel (CESU)
per una previsione di spesa di 300 milioni di euro annui a decorrere dal 2014. Obiettivo della
proposta è promuovere la crescita di occupazione regolare e di maggiore qualità nei servizi alle
persone, attraverso un sistema di voucher (da inserire anche nella contrattazione e piani di
welfare aziendale) che disincentivi il ricorso al mercato sommerso.
La proposta prevede altresì la costituzione di un albo nazionale dei provider di servizi. Si tratta di
un elemento non di minore importanza ai fini della costruzione del mercato, ma soprattutto dei
processi di monitoraggio e accreditamento che vedranno coinvolte le singole amministrazioni e
altresì i soggetti, come i patronati, che possono svolgere una utile funzione non solo di
orientamento dell’utente ma anche di promozione e messa in rete dei provider stessi.
Il suo utilizzo viene esteso inoltre non solo alle famiglie ma anche alle amministrazioni pubbliche
e alle imprese nell’ambito delle pratiche di welfare aziendale che anche in Italia hanno iniziato a
diffondersi.
Secondo stime del Censis il costo a regime per lo Stato del voucher universale ammonterebbe a
3,6 miliardi di euro (1,3 per il primo anno). Come per la Francia tuttavia l’introduzione di
strumenti di questo tipo ha ritorni diretti e indiretti in termini di risorse fiscali sottratte al lavoro
sommerso e nuova occupazione regolare. Da questo punto di vista la previsione netta di spesa
ammonta a 1,9 miliardi di euro, ridotti a 700 milioni, tenuto conto dei ritorni indiretti da gettito
fiscale e Iva sui consumi di famiglie e lavoratori.
Le stime del Censis indicano inoltre in 326 mila le unità di lavoro regolare sottratte al mercato
nero con il lancio del voucher, cui si andrebbero ad aggiungere 315 mila nuovi occupati tra diretti
e indiretti. Alla stessa stregua le famiglie prese in carico da una qualche forma di assistenza o
32
servizio attraverso il voucher potrebbero raggiungere la quota di 2 milioni e 754 mila in cinque
anni (+ 482 mila), cui vanno aggiunti i lavoratori intercettati attraverso il welfare aziendale, dagli
attuali 127 mila ai previsti 858 mila.
Merita infine una considerazione lo spettro dei servizi previsti. La proposta di legge guarda
essenzialmente all’insieme dei servizi cosiddetti “leggeri”: disbrigo nel sostegno delle faccende
domestiche, baby sitting, servizi al domicilio etc. L’elenco delle prestazioni ammesse a
finanziamento tramite il voucher universale ricalca nella sostanza quelle previste dal CESU
déclaratif:
Attività effettuate dal lavoratore nel domicilio del datore di lavoro:
- Cura della casa e lavori domestici
- Piccoli lavori di giardinaggio
- Piccoli lavori di riparazione e di bricolage
- Custodia dei bambini
- Sostegno scolastico e corsi a domicilio
- Assistenza informatica e Internet
- Assistenza amministrativa
- Assistenza, anche specialistica, alle persone anziane e non autosufficienti, con l’esclusione delle
attività mediche
- Assistenza, anche specialistica, alle persone disabili, comprese le attività d’interpretazione del
linguaggio dei segni
- Sorveglianza dei malati con l’esclusione dei trattamenti medici
- Cure fisioterapiche ed estetiche per le persone non autosufficienti
- Manutenzione e vigilanza temporanea dell’abitazione, anche secondaria
33
Attività effettuate dal lavoratore anche fuori dal domicilio del datore di lavoro:
- Preparazione dei pasti, comprensiva della spesa
- Consegna dei pasti o della spesa
- Raccolta e consegna dei vestiti stirati
- Aiuto alla mobilità e al trasporto di persone non autosufficienti
- Guida del veicolo delle persone non autosufficienti per il trasferimento dal domicilio al lavoro, al
luogo di vacanze e per gli obblighi amministrativi
- Accompagnamento dei bambini, degli anziani e dei disabili fuori dal domicilio (passeggiate,
accompagnamento ad asili nido, scuola materna o attività sportive, mezzi di trasporto, ecc.)
- Cura e passeggio degli animali domestici con esclusione delle attività veterinarie
Rimane esclusa dal voucher universale l’Indennità di accompagnamento, nei fatti interessata solo
indirettamente dal provvedimento legislativo. Il disegno di legge (art. 3) riconosce una detrazione
fiscale pari al 33% degli oneri sostenuti dal contribuente che usufruisce del voucher, per un
importo massimo fino a 5.000 euro. L’importo può salire a 6.000 euro nel caso di minore o anziano
over 65 a carico e a 8.000 nel caso di persona non autosufficiente. Viceversa nel caso di percettori
di indennità di accompagnamento è prevista una riduzione della detrazione nella misura stessa
dell’indennità. Di fatto questa distinzione riduce drasticamente la possibilità per i percettori di
indennità di usufruire del voucher, istituendo in qualche modo due binari, da un lato il voucher
universale per determinate prestazioni “leggere”, dall’altra l’indennità, lasciata intatta nel suo
funzionamento.
34
4.2 Welfare contrattuale e aziendale
Nelle condizioni date un ulteriore fattore di spinta per lo sviluppo dei servizi e anche per
l’apertura al mercato sociale è rappresentato dalla contrattazione integrativa, in particolare dalle
prestazioni di welfare contrattuale e aziendale22 costruite attraverso la contrattazione tra le parti
sociali e in alcuni casi anche in interazione con le amministrazioni e una ampia pluralità di attori
sociali territoriali23. Questo in particolare su tre fronti collegati tra loro:
a) la previdenza complementare;
b) i fondi sanitari;
c) il bilateralismo;
d) welfare aziendale
Tra previdenza complementare, sanità integrativa e bilateralità, ovvero quelle prestazioni di
welfare contrattate a livello di categoria, e welfare aziendale, si possono già oggi contare risorse
che possono contribuire ad articolare l’offerta di prestazioni sociali. In particolare questo vale per
la sanità integrativa, la bilateralità e il welfare aziendale che più della previdenza complementare
intervengono sul terreno dei servizi alle persone, dal long-term care, alla cura, conciliazione e
assistenza in favore dei minori.
Per quanto riguarda i fondi sanitari, nella normativa vigente essi si configurano come forme di
mutualità volontaria a copertura o di prestazioni integrative che non rientrano nel Servizio
Sanitario Nazionale, o di spese richieste per l’accesso ai medesimi interventi pubblici, come il
22 Per una panoramica si veda in particolare Ferrera M., Maino F. (2013). Primo Rapporto Sul Secondo Welfare In Italia;
Mallone G. (2013). Il secondo welfare in Italia: esperienze di welfare aziendale a confronto, Working paper, Percorsi di
secondo welfare - Centro Einaudi, Torino; Pavolini E., Mirabile M. L., Ascoli U., a cura di (2013). Tempi moderni. Il
welfare nelle aziende in Italia, Bologna, il Mulino; Treu T., 2013, Welfare aziendale, Ipsoa, Roma
23 Ferrera M., Maino F. (2014), Social Innovation beyond the State. Italy’s Secondo welfare in a European Perspective,
Percorsi di secondo welfare, Centro Einaudi, Torino
35
pagamento di ticket, o prestazioni cosiddette intramoenia. Queste prestazioni sono legate in
genere ad accordi tra le parti sociali a livello di categoria. Si tratta da questo punto di vista di un
tipo di welfare complementare che in questi anni ha conquistato sempre maggiore spazio, stanti
da un lato i tagli alla spesa sociale pubblica, dall’altro la possibilità di garantire una copertura non
solo ai singoli lavoratori ma anche ai familiari.
Questo stesso ragionamento vale per la bilateralità. Storicamente la diffusione della bilateralità ha
riguardato comparti ad elevata frammentazione occupazionale, come l’agricoltura, l’edilizia,
l’artigianato, il commercio. Con il tempo questi istituti contrattuali si sono estesi a un po’ tutti i
settori. Sotto l’impulso della contrattazione tra le parti ma soprattutto della legislazione le funzioni
di questi organismi si sono sensibilmente ampliate, tanto da fuoriuscire dall’originario spazio solo
privatistico e contrattuale, per via del carattere pubblico o semi-pubblico dei servizi che via via
sono stati erogati: il welfare integrativo in materia di previdenza, assistenza, formazione, sicurezza
sul lavoro.
Questa trasformazione va di pari passo al decentramento della contrattazione, a livello aziendale e
territoriale e per ambiti che esulano da quello classico sui livelli salariali e sui diritti sociali connessi
al lavoro industriale. Naturalmente tutto questo si svolge in presenza di forme di rappresentanza e
protezione sociale da un lato più decentrate, dall’altro anche più segmentate, tra aziende di
grandi o piccole dimensioni, tra singole aree territoriali, tra lavoratori occupati stabilmente e
lavoratori più ai margini del mercato del lavoro, precari o impiegati con contratti sganciati dalla
contrattazione integrativa. La maggior parte dei contratti nazionali di categoria prevede oggi
organismi bilaterali, compreso il settore della cura. Le prestazioni coprono un ventaglio ampio di
interventi, dal sostegno del reddito alla conciliazione vita-lavoro, fino alla formazione continua
8Fondi interprofessionali).
Accanto a questi due tipi, vi sono infine misure di welfare integrativo che tendono a svolgersi più a
livello di impresa. Si tratta di dispositivi generalmente presenti nelle imprese di medio-grandi
dimensioni e per lo più rivolti a lavoratori dipendenti, spesso collocati nei livelli più elevati della
organizzazione aziendale, già coperti dal welfare assicurativo. Rientrano questo ambito le
prestazioni di welfare aziendale a ampio spettro di interventi: salute, assistenza, conciliazione vita-
lavoro e aiuto nel disbrigo delle faccende domestiche, formazione, sostegno del reddito, credito. Si
36
tratta di prestazioni già presenti in Italia e tuttavia negli ultimi anni in espansione (anche per
l’impulso dato da una legislazione di vantaggio) o per scelte unilaterali delle aziende o nel quadro
di accordi tra imprese e parti sociali, con l’intermezzo di organizzazioni terze (broker o società di
consulenza) nella funzione di facilitatori o produttori di questi stessi programmi.
Sulla base dell’analisi condotta da Neri e Pavolini (2013)24 gli interventi del welfare aziendale e
contrattuale possono essere così sintetizzate (vedi tab. 5):
Tab. 5 Le forme del welfare contrattuale in Italia, Anni 2003-2007
Percentuale di lavoratori
dipendenti che indicano come la
propria azienda fornisca o
rimborsi:
Anno 2003 Anno 2007
- istruzione e formazione 30.1* 41.8*
- permette flessibilità dell’orario
per ragioni personali con una
certa regolarità
22.2* 41.0*
- cure mediche, assicurazione
sanitaria
29.7 26.9
- prestiti agevolati 16.9* 20.6*
- alloggi gratis o a prezzi agevolati 6.2 8.2
- asilo nido o scuola materna 2.3* 6.2*
Percentuale di lavoratori
dipendenti che usufruiscono dei
servizi forniti o parzialmente
rimborsati dalla propria azienda:
Anno 2003 Anno 2007
- istruzione e formazione n.d. 72.9
- cure mediche, assicurazione n.d. 45.5
24
Neri S., Pavolini E., 2013, Lo sviluppo del welfare contrattuale in Italia fra relazioni industriali e riforma del sistema di
welfare, Conferenza Espanet Italia http://www.espanet-
italia.net/images/conferenza2013/Sessioni/Sessione_19/Pavolini.pdf
37
sanitaria
- permette flessibilità dell’orario
per ragioni personali con una
certa regolarità
n.d. n.d.
- prestiti agevolati n.d. 36.9
- alloggi gratis o a prezzi agevolati n.d. 28.5
- asilo nido o scuola materna n.d. 12.5
Fonte: Pavolini e Neri 2013
Al pari dunque dei servizi promossi dalla contrattazione collettiva, anche il welfare aziendale è in
crescita, in particolare sul fronte della conciliazione vita-lavoro e della cura dei minori. Dalla
possibilità di combinare con più flessibilità gli orari di lavoro, ai nidi aziendali e in convenzione, fino
a facilitazioni nel disbrigo di faccende domestiche e amministrative/legali, siamo certamente di
fronte a un tentativo di allargare il ventaglio delle prestazioni offerte dalle aziende.
Resta una estensione di queste prestazioni particolarmente suscettibile di dualismi territoriali, in
particolare tra Nord e Centro da una parte e il Mezzogiorno dall’altra. Pur tuttavia è anche da
questi strumenti che passa il rafforzamento del welfare integrativo. Pur con tutti i ritardi e le
differenziazioni che ne conseguono, tra categorie, tra territori, tra lavoratori standard e lavoratori
non standard è anche su questo fronte che si misura la possibilità di estendere, seppure
limitatamente, il sistema dei servizi alle persone.
Gli incastri del welfare occupazionale (entro cui possiamo collocare tanto il welfare contrattuale,
quanto quello aziendale) dipendono oggi da una serie di fattori in via di definizione ma non
ancora consolidatisi. Se per quanto riguarda il welfare contrattuale siamo di fronte a una
espansione costante di organismi bilaterali su un ampia fascia di aree di intervento (in particolare
previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa, sostegno del reddito) ancorché molto
diversificate tra loro a seconda del settore, del tipo di contratto di lavoro, del territorio di
riferimento, sul welfare aziendale insistono maggiori limiti. In primo luogo la questione della
volontarietà. Sebbene il testo unico delle imposte sui redditi agli articoli 51 e 100, già oggi
disponga sgravi fiscali e agevolazioni che rendono conveniente l’erogazione dei benefits in-kind
(più del semplice aumento salariale), questi non sono vincolati alla contrattazione. Si tratta di
pratiche volontarie, sulle quali di contro sarebbe importante promuovere più stretti vincoli per il
38
rafforzamento della contrattazione decentrata. Secondo punto: il ventaglio dei servizi erogati
attraverso il welfare aziendale è ancora limitato risolvendosi soprattutto in buoni pasto,
flessibilità negli orari, facilitazioni del disbrigo delle faccende domestiche, borse di studio,
convenzioni, nidi aziendali e più limitamento long-term care. L’offerta è ancora abbondantemente
sotto la domanda. Basti pensare che i dipendenti che vorrebbero usufruire di asili nido e servizi
di cura, compresa la non autosufficienza sono quasi un dipendente su due, mentre a offrirli sono
meno di un datore di lavoro su dieci25.
Ultimo ma non meno importante, il plafond per i vantaggi fiscali. Il potenziamento delle dotazioni
finanziarie a vantaggio del welfare aziendale costituisce un prerequisito per lo sviluppo dei servizi,
dando un impulso al rafforzamento delle prestazioni sul modello del CESU préfinancé Ressource
Humaines (RH). Se le grandi aziende possono già contare su piani strutturati più complessi, è
sull’allargamento verso le reti di imprese di più piccole dimensioni che persistono ancora carenze.
Soprattutto nei contesti di piccola impresa la possibilità di contare su piani integrativi che vedano il
coinvolgimento finanziario anche delle amministrazioni locali costituisce un fattore determinante,
al fine di garantirsi quelle economie di scala che le piccole dimensioni in partenza non consentono
di raggiungere. In questo quadro la logica della partnership si basa sulla possibilità di contare
sull’integrazione con i servizi del welfare territoriale, anche rispetto alla diffusione di voucher
appositamente dedicati. Vincolare risorse al potenziamento di partenariati pubblico-privato di
questo tipo è utile sia per allargare le prestazioni, sia per ridurre quei dualismi che continuano a
persistere tra aziende di grandi e piccole dimensioni, tra area dotate di reti in grado di auto-
attivarsi e aree più svantaggiate sul piano degli insediamenti produttivi e di riflessi dei servizi
integrativi connessi. Resta un panorama di prestazioni a cui non può essere affidato il compito di
colmare un vuoto di interventi che solo una politica nazionale dei servizi alle persone può
garantire.
25
Si veda Ciarini A., Lucciarini S. (2015), Il welfare aziendale in Italia, Sociologia del Lavoro, n. 3 (in corso di
pubblicazione); si veda anche Riva E. Ponzellini A. Scippa E. (2015), Il welfare aziendale: evidenze dalla contrattazione,
Quaderni d Rassegna Sindacale, n. 2, pp. 145-166
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