l'errore in medicina

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194 D. Kriebel, J. Tickner Politica ambientale 198 A. Pedone, S. Bartolucci, Il progetto “Città sane” A. Ghiandai, M. la Mastra, R. Romizi 203 M.G. Barneschi, Il limite alle cure M.F. Palmarini, A. Ciani, M. Marsili, N. Zamperetti, D. Mazzon, L. Orsi, C. Rossi, 209 M. Geddes, G. Campanile L’adeguamento della rete nazionale Spazio Toscana 220 E. Buiatti, E. Marchini, Centri aventi funzioni di riferimento A. Dolara nella Regione Toscana Monografia L’errore in medicina 223 E. Rossi Le responsabilità dell’informazione 225 B. Giordano Il punto di vista giuridico 229 G.F. Gensini, A.A. Conti, Il “critical pathway” R. Rasoini, C. Rostagno 232 S. Rodella La cultura della sicurezza 235 P. Bonini, F. Rubboli La sicurezza del paziente 238 T. Bellandi, R. Tartaglia, Il clima organizzativo ospedaliero P. De Simone, C. Tomassini, V. Casotto 246 R. Cinotti, V. Basini, Approccio integrato alla gestione del rischio P. Di Denia Esperienze dal territorio 250 G. Cangiano, R. Paleani Il triage di Pronto Soccorso 139 Sommario Direttore responsabile Mariella Crocellà Redazione Antonio Alfano Gianni Amunni Alessandro Bussotti Francesco Carnevale Bruno Cravedi Laura D'Addio Gian Paolo Donzelli Claudio Galanti Marco Geddes Loredano Giorni Carlo Hanau Gavino Maciocco Mariella Orsi Marco Monari Paolo Sarti Collaboratori Marco Biocca, Centro Documentazione Regione Emilia-Romagna Eva Buiatti, Osservatorio Epidemiologico, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana Giuseppe Costa, Epidemiologia - Grugliasco, Torino Nerina Dirindin, Dipartimento di Scienze Economiche Finanziarie – Università di Torino Luca Lattuada, Agenzia Regionale della Sanità - Friuli Pierluigi Morosini, Istituto Superiore di Sanità - Roma Luigi Tonelli, Direzione Sanitaria - Siena Comitato Scientifico Giovanni Berlinguer, Professore Emerito Facoltà di Scienze - Roma Claudio Calvaruso, Direttore Generale Studi Documentazione Sanitaria e Comunicazione ai cittadini. Ministero della Sanità - Roma Giorgio Cosmacini, Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospitaliera - Reggio Emilia Silvio Garattini, Istituto Negri - Milano Donato Greco, Direttore Laboratorio Epidemiologia e Biostatistica - Istituto Superiore di Sanità Elio Guzzanti, Docente di Organizzazione Sanitaria - Facoltà di Medicina e Chirurgia "A. Gemelli" - Roma Tommaso Lo Savio, Ospedale Psichiatrico S.Maria della Pietà - Roma Segreteria di redazione Patrizia Sorghi Salvini Simonetta Piazzesi Direzione, Redazione Via Fiume, 8 - 50133 Firenze Tel. 055/282703 - Fax 055/282703 [email protected] Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI) Tel. 050/313011 - Fax 050/3130300 [email protected]. www.pacinionline.it Questo numero è stato chiuso in redazione il 6 dicembre 2003 Rivista bimestrale di politica-socio-sanitaria fondata da L. Gambassini Giunta Regionale Toscana ANNO XXIV - Luglio-Agosto 2003 Abbonamenti 2003 Italia 41,32 Estero 46,48 I versamenti devono essere effettuati sul c/c postale 10370567 intestato a Pacini Editore S.p.A., specificando nella causale «abbonamento a Salute e Territorio». Fotocomposizione e Stampa Industrie Grafiche Pacini - Pisa

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Politica ambientale 198 A. Pedone, S. Bartolucci, Il progetto “Città sane” A. Ghiandai, M. la Mastra, R. Romizi 203 M.G. Barneschi, Il limite alle cure M.F. Palmarini, A. Ciani, M. Marsili, N. Zamperetti, D. Mazzon, L. Orsi, C. Rossi, 209 M. Geddes, G. Campanile L’adeguamento della rete nazionale Spazio Toscana 220 E. Buiatti, E. Marchini, Centri aventi funzioni di riferimento A. Dolara nella Regione Toscana

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194 D. Kriebel, J. Tickner Politica ambientale198 A. Pedone, S. Bartolucci, Il progetto “Città sane”

A. Ghiandai, M. la Mastra,R. Romizi

203 M.G. Barneschi, Il limite alle cureM.F. Palmarini, A. Ciani, M. Marsili, N. Zamperetti, D. Mazzon, L. Orsi, C. Rossi,

209 M. Geddes, G. Campanile L’adeguamento della rete nazionale

Spazio Toscana

220 E. Buiatti, E. Marchini, Centri aventi funzioni di riferimentoA. Dolara nella Regione Toscana

Monografia L’errore in medicina

223 E. Rossi Le responsabilità dell’informazione225 B. Giordano Il punto di vista giuridico229 G.F. Gensini, A.A. Conti, Il “critical pathway”

R. Rasoini, C. Rostagno232 S. Rodella La cultura della sicurezza235 P. Bonini, F. Rubboli La sicurezza del paziente238 T. Bellandi, R. Tartaglia, Il clima organizzativo ospedaliero

P. De Simone, C. Tomassini,V. Casotto

246 R. Cinotti, V. Basini, Approccio integrato alla gestione del rischioP. Di Denia

Esperienze dal territorio

250 G. Cangiano, R. Paleani Il triage di Pronto Soccorso

139

Sommario

Direttore responsabileMariella Crocellà

RedazioneAntonio AlfanoGianni Amunni

Alessandro BussottiFrancesco Carnevale

Bruno Cravedi Laura D'Addio

Gian Paolo DonzelliClaudio Galanti

Marco Geddes Loredano Giorni

Carlo HanauGavino Maciocco

Mariella OrsiMarco Monari

Paolo Sarti

CollaboratoriMarco Biocca, Centro Documentazione Regione

Emilia-RomagnaEva Buiatti, Osservatorio Epidemiologico, Agenzia

Regionale di Sanità della ToscanaGiuseppe Costa, Epidemiologia - Grugliasco, Torino

Nerina Dirindin, Dipartimento di Scienze EconomicheFinanziarie – Università di Torino

Luca Lattuada, Agenzia Regionale della Sanità - FriuliPierluigi Morosini, Istituto Superiore di Sanità - Roma

Luigi Tonelli, Direzione Sanitaria - Siena

Comitato ScientificoGiovanni Berlinguer, Professore Emerito

Facoltà di Scienze - RomaClaudio Calvaruso, Direttore Generale Studi

Documentazione Sanitaria e Comunicazione aicittadini. Ministero della Sanità - Roma

Giorgio Cosmacini, Centro Italiano di Storia Sanitariae Ospitaliera - Reggio Emilia

Silvio Garattini, Istituto Negri - MilanoDonato Greco, Direttore Laboratorio Epidemiologia e

Biostatistica - Istituto Superiore di SanitàElio Guzzanti, Docente di Organizzazione Sanitaria -Facoltà di Medicina e Chirurgia "A. Gemelli" - Roma

Tommaso Lo Savio, Ospedale Psichiatrico S.Maria della Pietà - Roma

Segreteria di redazionePatrizia Sorghi Salvini

Simonetta Piazzesi

Direzione, RedazioneVia Fiume, 8 - 50133 Firenze

Tel. 055/282703 - Fax 055/[email protected]

Pacini Editore S.p.A.Via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI)

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Questo numero è stato chiuso in redazione il 6 dicembre 2003

Rivista bimestrale di politica-socio-sanitaria fondata da L. GambassiniGiunta Regionale Toscana

ANNO XXIV - Luglio-Agosto 2003

Abbonamenti 2003Italia € 41,32Estero € 46,48

I versamenti devono essere effettuati sulc/c postale 10370567 intestato a PaciniEditore S.p.A., specificando nella causale«abbonamento a Salute e Territorio».

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Nel Marzo 1999, il LosAngeles Unified SchoolDistrict, il più grande

comprensorio scolastico dellanazione, annunciò una nuovapolitica per l’uso dei pesticidiall’interno dei propri edifici.Il distretto aderì ad una me-todica di disinfestazione in-tegrata che favoriva l’utilizzodi prodotti non chimici, po-nendosi come obiettivo a lun-go termine la completa elimi-nazione di tutti i sistemi didisinfestazione chimici. Nelsostenere questo approccio, ildistretto scolastico, affermòche: il principio di precauzio-ne è l’obiettivo a lungo ter-mine del distretto.Questo principio riconosce che:1. Nessun pesticida è comple-

tamente privo di rischi perla salute dell’uomo.

2. Le industrie produttricidovrebbero essere obbliga-te a dimostrare che i loroprodotti non costituisconoun rischio, piuttosto cherichiedere al governo o al-la società di evidenziarel’esistenza di un danno perla salute dei cittadini.

Definendo una serie di princi-pi base (tutti i pesticidi sonopotenzialmente pericolosi equindi bisognerebbe optareper sistemi di disinfestazionenon chimici) ed un obiettivoa lungo termine (avvalersidell’approccio più sicuro ed aminor rischio per l’elimina-zione dei parassiti, proteg-

gendo la popolazione, l’am-biente e la proprietà), questapolitica stimola la ricerca diun’alternativa sicura, senzalegare le mani al distrettoquando non vi è alternativaall’uso di un pesticida. Essa èimportante anche per quelloche non dice: non esiste unalista di sostanze da bandire,né vi è la clausola di “accet-tabile livello di rischio”.Che si concordi o meno (noiconcordiamo) con questo ap-proccio alla disinfestazione, èchiaro che l’invocazione delprincipio di precauzione daparte del distretto scolasticofa emergere questioni impor-tanti sia per i ricercatori cheper i sostenitori della sanitàpubblica.In questo articolo verrannobrevemente descritti gli ele-menti chiave del principio diprecauzione, con particolareriferimento agli aspetti piùrilevanti per la sanità pubbli-ca. La prospettiva da noi pro-posta deriva dallo sforzocombinato di università e co-munità per definire nei parti-colari il significato di “princi-pio di precauzione” e svilup-pare strategie per applicarloalle politiche ambientali. Noisosteniamo che il principio diprecauzione è valido anche insanità pubblica, poiché favo-risce la ricerca di tecnologiepiù sicure, incoraggia la par-tecipazione democratica, fa-vorisce una maggiore apertu-

ra di vedute e stimola la revi-sione dei metodi di ricerca inquesta disciplina.

Definizione del principio

di precauzione

Una definizione di principiodi precauzione frequente-mente citata è quella svilup-pata per la “Dichiarazione diRio” del 1992 ed il Wing-spread Statement del 1998utilizza un linguaggio moltosimile. “Quando un’attivitàappare una minaccia per lasalute pubblica o per l’am-biente, è necessario prenderein considerazione misure pre-cauzionali, anche se alcunerelazioni causa-effetto nonsono state completamente di-mostrate“. La dichiarazioneelenca anche le quattro com-ponenti chiave del principio:1. Assumere provvedimenti

preventivi anche in pre-senza di incertezze.

2. Trasferire la responsabilitàdi raccogliere prove sul sog-getto proponente l’attività.

3. Esplorare il più ampio rangedi alternative possibili adun’azione potenzialmentedannosa.

4. Incrementare la partecipa-zione pubblica al processodecisionale.

Il termine “principio di pre-cauzione”(precautionaryprinciple) è stato introdottonel vocabolario inglese cometraduzione della parola tede-sca Vorsorgeprinzip. Una tra-duzione alternativa potrebbeessere “principio di previsio-ne” (foresight principle), cheha una connotazione antici-patoria - un’idea attiva, posi-tiva- mentre a molti il termi-ne precauzione suona negati-va. Nella politica ambientaletedesca, il Vorsorgeprinzipstimola la ricerca sociale vol-ta all’innovazione, alla soste-nibilità ed alla creazione dinuovi impieghi.Negli Stati Uniti, il principiodi precauzione viene propu-gnato dagli ambientalisti edai sostenitori della sanitàpubblica. Essi considerano lapolitica ambientale statuni-tense più reazionaria che pre-cauzionale, in quanto l’ado-zione di azioni preventive ri-chiede un alto livello di cer-tezza del danno ed inoltreprivilegia la gestione del ri-schio rispetto alla sua preven-zione. Il principio di precau-zione viene considerato comeun’opportunità per spostare itermini del dibattito ambien-talista, invocando azioni pre-ventive anche in caso di in-

Politica ambientaleDavid KriebelJoel Tickner

Lowell center for sustainableproduction Department of work

environment University ofMassachusetts. Lowell

Stimolare la sanità pubblica attraverso il prin-

cipio di precauzione

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N. 139 - 2003 195Prevenzione

certezza (ma con credibilievidenze di un potenziale im-patto negativo), trasferendol’onere del monitoraggio edella valutazione del rischiosu coloro che propongonol’attività potenzialmente pe-ricolosa ed enfatizzando lapartecipazione democratica ela ricerca di alternative.L’American Public Health As-sociation ha recentementeapprovato una risoluzioneche riafferma il suo sostegnoal principio e che spinge perla sua applicazione nella pro-tezione della salute infantiledai rischi ambientali. Fortesostegno al principio di pre-cauzione è presente anchenella politica ambientale del-l’Unione Europea.Data l’importanza di antici-pare conseguenze indesidera-te di interventi sanitari con-siderati positivi, il principiodi precauzione viene invoca-to anche per la sanità pubbli-ca.Evitare di creare nuovi pro-blemi durante la soluzione diquelli già esistenti è unaspetto importante, anche senon è l’unico modo in cui ilprincipio di precauzione puòessere utile.

Il principio di precauzio-

ne come stimolo allo svi-

luppo di nuove tecnologie

L’identificazione di alternativee di opportunità più sicure è iltema centrale del principio diprecauzione. Troppo frequen-temente i politici chiedono:“Qual è il rischio posto daquesta attività ed è esso si-gnificativo? Oppure “Qual è illivello di rischio accettabile?”Queste domande, radicatenell’approccio normativo dimolte agenzie governative,

focalizzano l’attenzione sullaquantificazione di un poten-ziale pericolo piuttosto chesulla prevenzione dell’inqui-namento. Esse spesso provo-cano un acceso dibattito sul-la precisa caratterizzazionedel rischio. Quando i sosteni-tori della sanità pubblica ogli ambientalisti entrano inquesta discussione, essi pos-sono inavvertitamente cede-re sulla posizione più forte,cioè se la sostanza o l’atti-vità pericolosa sia assoluta-mente necessaria.Un modo di pensare diverso epossibilmente più “precau-zionale” prende origine da unaltro gruppo di domande:“L’attività proposta è neces-saria? E se lo è, quanta con-taminazione possiamo evita-re, pur raggiungendo gli ob-biettivi previsti? Infine, esi-stono alternative che esclu-dano del tutto il pericolo?”Per esempio, i solventi clora-ti hanno una funzione pulen-te che è possibile ottenereanche con sostanze acquose.Questo cambio di prospettivarichiede competenze spessoassenti nelle agenzie gover-native – progettazione dellatecnologia e del prodotto,giustificazione ed esplicita-zione dei costi ed altri siste-mi di gestione. Inoltre essanecessita della più ampia vi-sione possibile sulle conse-guenze non previste dellescelte politiche.Esistono numerosi metodi peridentificare le diverse opzionipolitiche e le conseguenzenon volute di un’attività. Latrade-off analysis è stata pro-posta come un’alternativa al-le tradizionali analisi di co-sto-beneficio e di valutazionedel rischio. Con questo ap-

proccio vengono consideratitutti i rischi ed i benefici del-le tecnologie concorrenti,senza tradurre le potenzialiconseguenze in una singolaespressione quantitativa. Lavalutazione di impatto forni-sce uno strumento per identi-ficare le implicazioni negati-ve sulla salute di politichegovernative non sanitarie. Inambiente di lavoro, la valuta-zione di impatto può essereutilizzata per evidenziare co-me un intervento in questasede possa diventare un ri-schio non previsto per la sa-lute dei lavoratori. Il Pollu-tion Prevention OptionsAnalysis System fornisce unapproccio semiquantitativoper confrontare e valutare ipotenziali effetti negatividelle tecnologie progettateper ridurre l’utilizzo di pro-dotti chimici e la produzionedi rifiuti chimici.La riformulazione delle do-mande che definiscono il pro-blema sposta l’attenzione del-la politica ambientale dallaquantificazione del rischio al-l’analisi di soluzioni, consen-tendo quindi una più ampiadisamina di tutte le evidenzedisponibili sul rischio, sullaesposizione, sulle incertezzee sulle alternative. Il princi-pio di precauzione è un modoper dire sì a tecnologie inno-vative più pulite (anche se gliscettici sostengono che essoporterà solamente ad un arre-sto dello sviluppo tecnologi-co). Un’approfondita valuta-zione delle alternative per-mette di identificare il biso-gno di soluzioni meno inqui-nanti e può influenzare lapianificazione di attività eco-nomiche sostenibili.

Negli Stati Uniti, la valuta-zione quantitativa del rischioha un ruolo fondamentalenella politica sanitaria am-bientale. Il confronto tra lediverse opzioni coinvolgeinevitabilmente la valutazio-ne ed il confronto dei rischi,ma il determinare se un ri-schio è troppo elevato dipen-de in parte dalle alternativedisponibili per ridurlo. La di-sponibilità di opzioni più si-cure evita il ricorso ad unacostosa, controversa e spessofuorviante valutazione del ri-schio.Un esempio è rappresentatodalla decisione di bandire gliftalati dai giocattoli. La Dani-sh Environment Agency ha il-lustrato la sua decisione co-me segue: “Vi sono evidenzeche dimostrano l’esposizionedei bambini e la tossicità ne-gli animali; i bambini sonoparticolarmente suscettibili amolte sostanze tossiche; esi-stono materiali alternativi; ilprodotto in causa non è indi-spensabile”. L’Agenzia ha con-cluso che queste sostanzeplastificanti non dovrebberoessere utilizzate nella fabbri-cazioni dei giocattoli (L. See-dorf, MS; Direttore della Che-mical Division, Danish Envi-ronmental Protection Agency,comunicazione orale, Maggio1999). La US Consumer Pro-duct Safety Commission haraggiunto una decisione simi-le, ma solo dopo un lungo ecostoso studio di quantifica-zione del rischio. La commis-sione ha concluso che, datal’incertezza sull’entità del ri-schio, le industrie produttricidovrebbero volontariamenteeliminare queste sostanze daigiocattoli. Alla fine il risulta-to è stato lo stesso, ma l’ap-

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proccio decisionale ed i costiper la società sono stati assaidiversi.Il principio di precauzionedovrebbe indurre la definizio-ne di obiettivi a lungo termi-ne, una pratica relativamentecomune in sanità pubblica.Esempi sono rappresentatidall’eradicazione del vaiolo,dal progetto US Public HealthService Healthy People 2010 edagli obiettivi nutrizionalinazionali. La pianificazionedi un obiettivo non è focaliz-zata su quali eventi futuriprobabilmente si realizzeran-no, ma, piuttosto, su comepossono essere ottenuti glieventi futuri auspicati. Stabi-lire uno scopo aiuta a con-centrare l’attenzione sullosviluppo di politiche e misureatte a raggiungerlo, minimiz-zando la disgregazione socia-le e le conseguenze inattese.Rispetto alle sostanze perico-lose, l’obiettivo dovrebbecomprendere la riduzionedell’esposizione, della produ-zione del rischio (per esem-pio escludere le sostanze chi-miche più dannose) e dell’in-cidenza di malattie legate al-l’ambiente.Un ulteriore scopo è diminui-re del 5-10% per anno l’im-patto di molte sostanze tossi-che sulla popolazione genera-le. Questo sforzo avrà proba-bilmente conseguenze forte-mente positive, anche se nonsarà mai possibile capire tut-te le modalità attraverso cuimiscele di basse concentra-zioni di composti chimicipossano influire sulla salute.

Democrazia e precauzione

La partecipazione e la traspa-renza sono componenti es-senziali di un approccio di ti-

po precauzionale alle decisio-ni in sanità pubblica. Fiorinoha identificato numerose ra-gioni per cui è necessariorendere più democratico ilprocesso decisionale in politi-ca ambientale. Per prima co-sa, i non esperti pensano intermini più ampi e non sonolimitati da vincoli disciplina-ri: quindi essi vedono proble-mi, questioni e soluzioni chegli esperti non riescono adindividuare. In secondo luo-go, un giudizio laico rifletteuna sensibilità a valori politi-ci e sociali ed un senso co-mune che gli esperti non pos-siedono. In terzo luogo, i lai-ci possono avere maggiori ca-pacità di adattarsi alle incer-tezze e di correggere gli erro-ri. Una mentalità più apertaoffre una prospettiva più am-pia, che ha maggiore probabi-lità di ridurre il rischio diconseguenze negative nonpreviste. Inoltre, il confrontotra politiche alternative deveincludere punti di vista diver-si perché i costi ed i beneficidelle scelte ambientali e disanità pubblica possono rica-dere su gruppi differenti.Quando la scelta tra le diver-se alternative è molto incer-ta, è rischioso per gli espertiprendere decisioni senzaascoltare la comunità in cau-sa. La strategia usuale è ten-tare di presentare l’opzionein modo estremamente chiaroed i dati scientifici in manie-ra convincente. Tuttavia, lafiducia dei cittadini è stataminata da una lunga serie diincidenti sanitari ed ambien-tali apparentemente non pre-visti, che rendono poco effi-caci le rassicurazioni degliscienziati. Tra questi eventiricordiamo i disastri di Three

Miles Island e di Chernobyl, ilLove Canal, il buco dell’ozo-no, ed il riscaldamento terre-stre. La cittadinanza, semprepiù consapevole, ha messo indiscussione le apparenti sicu-rezze della comunità scienti-fica. Dopo la vittoriosa cam-pagna dei malati di AIDS edelle pazienti colpite da tu-more al seno a favore della lo-ro partecipazione nella piani-ficazione della ricerca, sem-bra essere giunto il momentodi modificare radicalmente ilmodo con cui il pubblico ècoinvolto nell’uso degli studidi sanità pubblica.Una maggiore partecipazionedella società può migliorarela qualità, la legittimità e laesplicitazione (accountabi-lity) di decisioni complesse.Poiché le scelte relative allepolitiche ambientali (checomprendono valori molto in-certi e contestabili) riguarda-no il pubblico, un processoche favorisca il coinvolgimen-to della comunità in causapotrebbe aumentare la fidu-cia nel governo. Questi pro-cessi devono essere equi ecorretti, cioè devono permet-tere l’accesso alla fase deci-sionale fin dalle prime fasi atutti coloro che lo desideranoe devono fornire il supportoeconomico e tecnico necessa-rio affinché il cittadino possacompetere alla pari con i tec-nici. Infine, deve esistere unchiaro meccanismo attraversocui l’input dei cittadini vienecompreso nella fase decisio-nale.In vista di una maggiore par-tecipazione della cittadinan-za, è necessario impostareuna strategia di educazione alungo termine, che abbia loscopo di aumentare le cono-

scenze sulla forza ed i limitidelle evidenze scientifiche.Da molti anni il Danish Boardof Technology sta sperimen-tando forme decisionali inno-vative. Queste “Consensusconferences” includono grup-pi di persone laiche formatein ambito scientifico e su al-tri problemi attuali, cosa chepermette il dialogo tra il pub-blico e gli esperti. Fino ad orain Danimarca sono state te-nute 20 di queste conferenzeche hanno contribuito allapolitica governativa sugli or-ganismi geneticamente modi-ficati, sul progetto del geno-ma umano e sull’inquinamen-to atmosferico.

La scienza per il principio

di precauzione

Gli studiosi di scienze am-bientali affrontano sistemicomplessi e scarsamente com-presi, in cui è difficile quanti-ficare il legame tra esposizio-ne e malattia. Data questa in-certezza, quali sono gli stan-dard di evidenza appropriatied utili per i politici? La ri-sposta dipende dalle singolesituazioni. Noi riteniamo chein alcuni casi il metodo di in-vestigazione scientifica impe-disca implicitamente un ap-proccio precauzionale al pro-blema, rendendo la decisionepolitica più difficile in presen-za di dati incerti. Spesso le ri-cerche scientifiche sono foca-lizzate su un aspetto ristrettoe quantificabile del problema,mentre la realtà è più com-plessa e richiede la valutazio-ne dell’intero sistema con unmetodo di ricerca multidisci-plinare.I ricercatori in sanità pubbli-ca possono sostenere il prin-cipio di precauzione sceglien-

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do delle metodologie di stu-dio che, pur all’interno della“buona pratica”, possono aiu-tare i politici che devonoprendere decisioni di estremaimportanza anche in presen-za di dati incerti. Per esem-pio, una più ampia ricerca ecomunicazione sulla incer-tezza dei risultati (cosa sap-piamo, cosa non sappiamo ecosa non possiamo sapere)faciliterebbe un processo de-cisionale più aperto. Inoltrel’utilizzo di metodi qualitati-vi consentirebbe una miglioredescrizione delle complessecaratteristiche della comu-nità e degli ecosistemi di cuiabbiamo dati quantitativi.Infine, il principio di precau-zione dovrebbe spingere glistudiosi verso nuove aree diricerca – interazioni, effetticumulativi ed effetti sui dif-ferenti livelli del sistema (in-dividui, famiglie, comunità,nazioni), nonché favorire lacollaborazione tra disciplinee tra scienziati e cittadini.Gruppi multidisciplinari ap-proderanno con maggiore fa-cilità a ipotesi non concepibi-li con un punto di vista piùristretto e potranno identifi-care dati non comprensibili apersone con un solo tipo dicompetenza. Lo sviluppo del-

l’ipotesi della disgregazioneendocrina ambientale è unesempio.Il principio di precauzionerappresenta un monito a ri-valutare il modo con cui lascienza informa il mondo po-litico ed in particolare il mo-do in cui è necessario utiliz-zare le incertezze scientifi-che. La ricerca ha un ruolofondamentale nella valuta-zione dei costi, dei rischi edei benefici delle politichesanitarie proposte al pubbli-co, anche se i risultati sonospesso limitati da ampie areedi incertezza. In queste zonegrigie, le attività potenzial-mente pericolose per la co-munità vengono comunquepermesse, dato che le regoledella scienza tradizionale ri-chiedono forti evidenze perrespingere l’ipotesi nulla eper individuare l’effetto dan-noso. Questo conservatori-smo scientifico viene spessoconsiderato favorevole aipromotori di attività o tec-nologie potenzialmente peri-colose, in quanto la ricercanon è in grado di produrredati sufficienti a dimostrareil rischio. In ambito scientifi-co, essere “conservatori” nonè la stessa cosa che essere“cauti”.

Quando esiste una forte in-certezza circa i rischi ed i be-nefici di una determinata at-tività, la decisione politicadeve tendere più verso l’e-stremità della cautela perl’ambiente e per la salutepubblica.

Precauzione o reazione?

Il principio di precauzione èstato criticato per esseretroppo vago 24 25. In un certosenso questa osservazione èvera, ma attualmente si stalavorando molto per definirecosa significhi “precauzione”nella pratica e come essa pos-sa migliorare il processo deci-sionale in presenza di rischicomplessi ed incerti. La sa-nità pubblica ha quindi l’op-portunità di influenzare ilmodo in cui verrà definita laprecauzione nella pratica. Al-lo stesso tempo esiste il ri-schio che i proponenti la de-finizione rimangano ancoratiad uno standard irrealistica-mente elevato – l’assunzioneche tutti i problemi di sanitàpubblica possano essere risol-ti applicando il principio diprecauzione.Quando la scienza e la politi-ca si scontrano, ci sarà sem-pre ambiguità e controversiae non è pensabile che una

qualsiasi nuova idea possaeliminarle completamente.Non dobbiamo abusare delprincipio di precauzione, spe-cialmente quando un danno èstato chiaramente prodotto oal contrario, quando non vi èalcuna ragionevole evidenzaper sospettare un rischio perla salute pubblica.Se il principio di precauzioneè un obbiettivo auspicabile,potremmo domandarci: qual èil principio “non sufficiente-mente precauzionale” su cuisono fondate le politiche at-tuali? Troppo spesso le politi-che sanitarie ed ambientalisono basate su un principiodi reazione. Le agenzie gover-native sono poste nella con-dizione di dover attendere lachiara dimostrazione del dan-no, prima di poter intrapren-dere azioni preventive. Tra-sformare l’approccio reattivoin uno precauzionale è piena-mente in linea con l’idea fon-damentale della pratica di sa-nità pubblica. Pensiamo che ifunzionari, i ricercatori ed isostenitori di questa discipli-na dovrebbero abbracciare ilprincipio di precauzione con-siderandolo un’opportunitàper rinvigorire la sua grandetradizione preventiva, anchein presenza di incertezza.

N. 139 - 2003 197Prevenzione

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198 Promozione della salute N. 139 - 2003

Il progetto “Città sane”Alessandra PedoneSandra Bartolucci*

Alessandro Ghiandai**Marco la Mastra***Roberto Romizi****

Azienda USl 8, Centro FrancescoRedi/PASA

* Azienda USl 8** Centro Francesco Redi/PASA,

Agenda 21 Arezzo*** Provincia di Arezzo,Servizio Politiche Sociali

**** Centro FrancescoRedi/PASA, Associazione medici

per l’ambiente

L’OMS rivolge la propriaattenzione alle città inquanto la salute della

popolazione sarà in gran par-te determinata dal modo incui le città sapranno gover-narsi. Entro la fine del 21°secolo, infatti, si stima checirca i tre quarti della popola-zione mondiale vivrà nellecittà.Il Progetto “Città sane”, pro-mosso nel 1985 dall’Organiz-zazione mondiale della sa-nità, comprende attualmente49 città progetto. Il comunedi Arezzo è entrato nella spe-rimentazione nel 1999. Lecittà sono accomunate tra lo-ro nello sforzo di migliorarecostantemente lo stato di sa-lute, inteso come benesserefisico, psichico e sociale deicittadini ponendolo al centrodella politica locale.Il progetto “Città sane” rap-presenta un importante ten-tativo di sperimentare nellecittà un approccio basato sudue principi chiave della stra-tegia “salute per tutti”, cioèl’azione intersettoriale e lapartecipazione comunitaria.L’obiettivo principale è pro-muovere la salute della città

e dei suoi abitanti attraversoun’azione globale, basata sul-l’agire integrato di tutte lecomponenti della vita cittadi-na e sul coinvolgimento atti-vo dei cittadini, che sonochiamati ad assumersi una re-sponsabilità personale perquanto riguarda gli stili di vi-ta riconosciuti ormai comeuno dei determinanti princi-pali dello stato di salute.Per partecipare alla speri-mentazione, Arezzo, come lealtre 48 città, ha dichiarato ilproprio impegno attraversoun atto del sindaco e del con-siglio comunale; ha costituitoil comitato direttivo, formatooltre che dal comune stesso,dalla provincia, università,scuola, ASL, ARPAT, associa-zioni rappresentative dell’u-tenza ed altre componenti ri-levanti della città; si è dotatodi una struttura minima“l’ufficio Città sane” e dellafigura di un coordinatore, chetiene i rapporti con l’OMS, nerecepisce le indicazioni, ilmateriale e, soprattutto, si facarico di diffondere la meto-dologia.Le “Città sane” non sono lecittà migliori in assoluto, ma

quelle nelle quali l’obiettivodi promuovere la salute ditutti gli abitanti è considera-to e perseguito in modo inte-grato da tutte le componentidella comunità. Sono quindidei “laboratori sul campo”,che mettono insieme i con-cetti e le conoscenze prove-nienti da due scuole di pen-siero diverse (la sanità pub-blica e la pianificazione urba-na) per creare nuovi meccani-smi di azione locale e per sta-bilire i principi e la pratica diun nuovo approccio alla co-struzione della salute. L’im-portanza dell’azione locale èsottolineata dal fatto che ilProgetto Città sane è la primaoccasione nella quale l’OMSha avuto come interlocutoridiretti le amministrazioni lo-cali piuttosto che i governidegli stati.

La metodologia

Il progetto è articolato in fa-si: attualmente si sta conclu-dendo la III fase 1998-2002.Ciascuna fase definisce degliobiettivi. La metodologia uti-lizzata prevede una valuta-zione annuale da parte di cia-scuna città dei risultati rag-giunti attraverso l’utilizzo diappositi strumenti di valuta-zione. L’ufficio centrale del-l’OMS diffonde i risultati ditali valutazioni, rileva le cri-ticità ed elabora proposte diapprofondimenti da presenta-re e condividere in occasionedegli incontri periodici (busi-ness meetings) a cui parteci-pano le città progetto.In tali incontri sono affronta-te tematiche specifiche qualila povertà, l’equità, la soste-nibilità, la partecipazione ela programmazione integrata.

Gli obiettivi stabiliti dall’OMS per valutare e

migliorare lo stato di salute della popolazio-

ne. Un esempio della sperimentazione in atto

nel nostro paese

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N. 139 - 2003 199Promozione della salute

Ciascun argomento è analiz-zato in tutti i suoi aspettiperché le città condividanoanche concetti e linguaggi epossano affrontare le varieproblematiche con la consa-pevolezza piena del loro si-gnificato e delle implicazioni.Oltre le città progetto, facen-ti parte della rete internazio-nale europea di “Città sane”,si sono costituite le reti na-zionali e, più recentemente,le reti regionali. In Italia, ol-tre 100 comuni hanno aderitoal progetto e sono organizza-te occasioni di scambio diesperienze e documentazione.Le città progetto si devonodotare di due strumenti fon-damentali: il profilo di salutee il piano di salute.Il “profilo di salute” è unostrumento tecnico, perché co-struito su una base di indica-tori proposti dall’OMS e altempo stesso divulgativo,poiché deve essere di facilecomprensione anche per inon addetti ai lavori. Ha loscopo di rilevare lo stato disalute della città attraversoindicatori che misurano la sa-lute dei cittadini e i maggiorifattori che la influenzano. Il“profilo di salute” rappresen-ta uno degli strumenti fonda-mentali che ogni comuneaderente alla rete Città sanecostruisce in modo che ammi-nistratori e decisori politicilocali, operatori di enti pub-blici e privati e rappresentan-ti dell’associazionismo possa-no trarvi indicazioni utili perindividuare strategie, obietti-vi prioritari e programmid’intervento concreto nellacittà. È importante definire lefonti e i criteri di rilevazionedegli indicatori perché il pro-filo di salute costituisce an-

che lo strumento attraverso ilquale si verificano, negli an-ni, i risultati ottenuti. AdArezzo sono stati predispostii profili per il 1998 e 2000 edè programmata la redazionedel 2002.L’Organizzazione mondialedella sanità ha proposto un

set base di 32 indicatori (Tab.1) che rispondono ad unprincipio di fattibilità (sonosignificativi anche per comu-ni con un numero limitato diabitanti e privi di particolaristrutture) e, nel contempo,sono sufficienti per rappre-sentare lo stato di salute del-

la comunità. La metodologiarisulta quindi funzionale adun utilizzo interno del terri-torio comunale, ma anche adun confronto fra le diversecittà della rete, dato chel’O.M.S. indica con precisionela definizione, le caratteristi-che dei dati utilizzati e il me-

A1 - Mortalità per tutte le cause

A2 - Mortalità per causa

A3 - Basso peso alla nascita

B1 - Educazione alla salute

B2 - Vaccinazioni obbligatorie

B3 - Abitanti per medico di base

B4 - Abitanti per infermiere

B5 - Abitanti con assicurazione sanitaria

B6 - Servizi in lingua straniera

B7 - Questioni di salute prese in esame dal consi-

glio comunale

C1 - Inquinamento atmosferico

C2 - Qualità della fornitura idrica

C3 - Sostanze inquinanti dell’acqua

C4 - Qualità della raccolta dei rifiuti

C5 - Qualità dello smaltimento dei rifiuti

C6 - Spazi verdi nella città

C7 - Accesso agli spazi verdi

C8 - Siti industriali dismessi

C9 - Impianti sportivi

C10 - Zone pedonali

C11 - Ciclismo in città

C12 - Trasporto pubblico

C13 - Copertura rete di trasporto pubblico

C14 - Spazio abitabile

D1 - Alloggi disagiati

D2 - Senzatetto

D3 - Tasso di disoccupazione

D4 - Povertà

D5 - Asili nido

D6 - Natalità

D7 - Aborti spontanei

E - Informazioni generali sulla popolazione

Tab. 1 - Elenco indicatori

dell’Organizzazione mondiale

della sanità.

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200 Promozione della salute N. 139 - 2003

todo di calcolo per ogni sin-golo indicatore.I macro-ambiti analizzati tra-mite gli indicatori si possonosuddividere in:• Aspetti demografici• Caratteristiche di salute• Servizi sanitari• Ambiente fisico e inquina-

mento• Ambiente socio-economico.Ciascuna città può, comun-que, integrare tale set defini-to con indicatori che tenganoconto delle particolarità loca-li, poiché l’analisi del tessutosociale può evidenziare la ne-cessità di specifici approfon-dimenti per alcuni fenomenioppure l’integrazione suaspetti della comunità nonindagati. Nel “profilo di salu-te” di Arezzo, il set propostodall’OMS è stato integrato dal“Gruppo di lavoro” con degliindicatori relativi all’immi-gratorietà (un fenomeno chesta assumendo sempre più ri-levanza e incide fortementesulle politiche locali), allamortalità giovanile, alle in-terruzioni volontarie di gra-vidanza, ai ricoveri ospeda-lieri, all’inquinamento acusti-co e ai flussi di traffico, al-l’abbandono scolastico, allacriminalità e all’associazioni-smo: tutti elementi che han-no sicuramente un impattocon la salute e il benesseredella comunità aretina. Gliindicatori sono generalmenterilevati a livello comunale; inmolti casi è utile una loro di-saggregazione in sottogruppidella popolazione o in suba-ree urbane espressione di li-velli diversificati di rischio.

Il piano di salute della città

Il profilo fotografa lo stato disalute, il piano è lo strumen-

to attraverso il quale può es-sere migliorato.Molte città europee hannocostruito il loro piano di salu-te con l’individuazione diobiettivi chiari di breve, me-dio e lungo termine, parten-do dalle evidenze epidemiolo-giche emerse con il profilo,da problematiche demografi-che (invecchiamento, immi-grazione) o semplicementedalla necessità di miglioraregli stili di vita.La realizzazione del piano disalute richiede l’apporto dicompetenze intersettoriali (idiversi settori con cui è orga-nizzata l’amministrazione delcomune) e interistituzionali(tutte le componenti indivi-duate dal progetto: univer-sità, scuola, azienda sanitaria,associazioni, volontariato).La pianificazione urbana, ladislocazione delle attivitàproduttive e dei servizi, iltrattamento dei rifiuti e l’or-ganizzazione dei trasportihanno molta più ricaduta intermini di salute che non laprogrammazione in sensostretto dei servizi sanitari,unico strumento fino ad oggiutilizzato per “promuovere lasalute”.La salute dell’anziano adesempio si promuove salva-guardando la sua autosuffi-cienza, la possibilità di fruiredi una città sicura, di mante-nere le relazioni sociali, diavere una vita attiva, di vive-re il più a lungo possibile nel-la propria abitazione anchequando le condizioni di salu-te peggiorano e non solo or-ganizzando i servizi sanitariche intervengono quando lasalute non c’è più.Nella esperienza di Arezzo larealizzazione del piano di sa-

lute rappresenta l’aspetto piùcritico.Tra le difficoltà riscontrate, co-muni a molte città, per arriva-re ad una programmazione in-tegrata si possono rilevare:• mancata comprensione dei

benefici che si potrebberoottenere (il progetto Cittàsane come risorsa, comevalore aggiunto);

• “territorialismo”: le istitu-zioni ed organizzazioni di-fendono la propria area dicompetenza da ciò chepercepiscono come “mi-nacce d’ingerenza”, perdi-ta di prestigio, potere;

• integrazione degli organi-smi promotori condiziona-ta dalle singole figure ap-partenenti agli enti;

• frequente scollamento trai risultati raggiunti daisingoli progetti e il gover-no della città.

Le soluzioni proposte per lacostituzione e il manteni-mento dell’health partnershipsono:• lavoro per progetti legati ai

momenti di programmazionedegli enti e quindi alle ri-sorse economiche investite;

• coinvolgimento dei diri-genti e dei funzionari del-le varie istituzioni pubbli-che implicate;

• formazione continua delpersonale che lavora neidiversi enti;

• individuazione di stru-menti di comunicazionesia interna che esterna, di-stinti per target di riferi-mento e mezzo utilizzato;

• costruzione di un sistemainformativo locale;

• dipendenza del progettodirettamente dal sindaco,per garantire l’intersetto-rialità interna e l’integra-

zione tra i soggetti pubbli-ci e privati interessati.

Il PSR 2002-2004 ha fatto pro-prie l’esperienze di “Città sane”e “Agenda 21”, che, pur aven-do come obiettivo il migliora-mento dello lo stato di salutedell’ambiente ha moltissimeimplicazioni in comune con lasalute dell’uomo e, soprattut-to presuppone la stessa meto-dologia di programmazione in-tegrata. Gli strumenti indicatidal PSR sono i piani integrati disalute. Questi possono riguar-dare singole tematiche comeun vero e proprio progetto chevede coinvolti i diversi sog-getti.Il piano di salute può rappre-sentare uno strumento snellodi programmazione, in cui so-no indicati chiaramente gli o-biettivi e l’apporto che cia-scun partner può dare al loroperseguimento, le azioni prin-cipali e i risultati attesi. Lacomunicazione e la parteci-pazione attiva dei cittadinirivestono un ruolo fonda-mentale.Appare chiaro, quindi, che isingoli piani di settore, oltrea mantenere la loro specifi-cità, concorrono tutti al per-seguimento degli obiettivi disalute individuati dal piano.Nell’esperienza della Regionetoscana, un contributo ulte-riore può essere dato dallosviluppo della rete regionaledelle città, come momento discambio di esperienze in uncontesto culturale e normati-vo comune.

Il “profilo di salute” della

città di Arezzo

Il percorso del profilo, cherappresenta la base per la de-finizione degli obiettivi di sa-lute e quindi per la formula-

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N. 139 - 2003 201Promozione della salute

zione del “piano per la salu-te”, è iniziato con un’analisidei bisogni; a tal fine, sonostate raccolte le informazioninecessarie per costruire unquadro epidemiologico dellacomunità aretina ed elabora-re un’analisi dei determinantidella salute (condizioni so-cio-economiche, stato del-l’ambiente, contesto sanitarioe stili di vita) che hanno per-messo al gruppo di lavorol’individuazione delle prioritàlocali.Il profilo di salute, per suanatura e precisa scelta pro-gettuale, è in continua evolu-zione sia per l’aggiornamentodei dati che per il migliora-mento delle conoscenze edelle tecnologie di analisi.I dati raccolti nel “profilo di sa-lute” della città di Arezzo si ri-feriscono all’arco temporaleche partendo dal 1991 (daticensuari) arriva agli anni piùrecenti, per i quali vi sianobanche dati disponibili. Perrappresentare alcuni fenomeni,

numericamente limitati, sonostati aggregati i dati di più an-ni per rendere significativol’indicatore; ad esempio nel ca-so della mortalità, i trend tem-porali si riferiscono a raggrup-pamenti triennali.Qui di seguito vengono ripor-tati valutazioni su alcuni in-dicatori più significativi dellarealtà aretina.

Aspetti demograficiInformazioni generali sullapopolazione: l’incremento delnumero di anziani rispetto aigiovani viene riassunto nel-l’indice di vecchiaia, che con-fronta il numero di residentinel comune di Arezzo con 65anni e più, con il numero dibambini fra O e 14 anni.Negli ultimi venti anni abbia-mo assistito ad un aumentodell’indice dal 79,98% nel cen-simento del 1981, ad un valo-re più che doppio nel 1999(178,60%). Ciò significa cheogni 79,98 anziani c’erano 100bambini nell’anno 1981, men-

tre nel 1999 per ogni 178,60anziani c’erano 100 bambini. Sipuò capire quindi la rivoluzio-ne che porta questa informa-zione in termini di bisogni sa-nitari e sociali.Percentuale di abitanti extra-comunitari: l’incremento chesi è avuto nella popolazionearetina negli anni ’90, è do-vuto in gran parte all’incre-mento di residenti stranieri e,in particolare, di cittadiniprovenienti da paesi extraco-munitari. Nel periodo 1995-99 il numero di tali cittadiniè aumentato sia in terminiassoluti (passando da 1.543unità a 3.397, con un incre-mento del 120%) che in ter-mini relativi (l’incidenza sul-la popolazione è cresciutadall’1,7% al 3,7%).

Stato di saluteMortalità giovanile: per morta-lità giovanile si intende l’in-sieme delle morti che si verifi-cano entro il trentaquattresimoanno di età. Riportiamo un’a-

nalisi descrittiva del fenomenonel comune di Arezzo neltriennio 1996-1998 (Tab. 2).Le cause violente e acciden-tali sono al primo posto nel-l’analisi percentuale con il28%. Di fatto il 60% di questamortalità è attribuibile ad in-cidenti stradali.

Servizi sanitariNumero di medici di medicinagenerale che aderiscono all’ac-cordo quadro con l’aziendaUSL n°8: l’accordo quadro èun’intesa tra azienda e MMGche ha come obiettivo la rea-lizzazione di un maggiorecoinvolgimento dei medicinelle attività di assistenzaterritoriale, attraverso unacorresponsabilizzazione sul-l’utilizzo delle strutture, del-le risorse umane e strumenta-li, e la qualificazione del ser-vizio reso al cittadino. Haaderito il 78,6% dei medicidell’area aretina, tale da co-prire il 58% della popolazioneassistita.

SettoreDescrizione Femmine Maschi Totale

complessivo

I Mal. Infettive 0-140 1 1

II Tumori 140-239 5 5 10

III Mal. Ghiandole endoc. 240-279* 1 1 2

V Disturbi psichici 290-319** 5 5

VI Mal. Sistema nervoso 320-389 1 3 4

VII Mal. Sistema circolatorio 390-459 2 4 6

VIII Mal App. Respiratorio 460-519 1 1

XIV Malf. Congenite 740-759 1 3 4

XV Cond. Morb. Perinatali 760-779 3 3 6

XVI Cause Maldefinite 780-799 1 1

XVII Cause violente e acc. 800-999 6 9 15

Totale complessivo 20 35 55

* AIDS; ** Farmacodipendenza - overdose (ICD 304)

Tab. 2 - Mortalità giovanile per

settori, nel Comune di Arezzo:

anni 1996-1998.

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AmbienteInquinamento atmosferico: lafase di sensibile riduzione del-le concentrazioni di alcuni in-quinanti “classici” (CO, SOx)che ha caratterizzato la primametà degli anni ’90 – grazie al-la diffusione di vetture dotatedi marmitte catalitiche, allametanizzazione degli impiantidi riscaldamento domestico, al-l’allontanamento dall’ambitourbano delle attività produtti-ve – sembra essersi per il mo-mento esaurita. Meno positivaappare la situazione per quan-to riguarda gli NOx: pur essen-dosi gli indici ridotti a partiredal 1995, l’andamento delle se-rie storiche è meno pronuncia-to e univoco, permanendo tut-tora livelli superiori ai nuovilimiti imposti dalla UE. Perquanto riguarda i “nuovi” in-quinanti, la media annuale di O3

ha evidenziato una tendenzaall’innalzamento. Nel periodo1994-99 non è mai stato supe-rato lo stato di attenzione, an-che se sono state raggiunteconcentrazioni molto prossime.Allo stato attuale assai menodocumentata risulta la situa-zione per quanto riguarda glialtri inquinanti non conven-zionali (PM10, benzene, IPA).Inquinamento acustico: il cli-ma acustico nella città diArezzo presenta come carat-teristica di fondo un’elevatarumorosità. Sia la mediaenergetica dei livelli istanta-nei sia il livello di rumore di

fondo, sono su valori ecce-denti rispetto a quelli guida,per cui una loro riduzione intempi rapidi è oltremodo au-spicabile. Seppur circa il 65%delle misurazioni presentanolivelli sonori inferiori al limi-te di 65 dBA (ritenuto il li-vello massimo diurno ammis-sibile in ambiente esterno pergarantire condizioni accetta-bili di comfort negli ambientiinterni), la maggior parte deivalori rientra nella fascia 60-64 dBA, prossima alla soglia.Inoltre, il 35% circa delle mi-surazioni che risulta su valo-ri superiori a 65 dBA, l’11%presenta valori da considera-re di allarme, cioè oltre i 70dBA. Il traffico veicolare è ilmaggior responsabile di que-sto stato di fatto, per cui gliinterventi di riduzione dei li-velli di pressione sonora, siaattivi che passivi, dovrannoessere mirati alla revisionedel piano urbano del traffico.Veicoli circolanti: a livello co-munale si evidenzia una nettaprevalenza dell’uso del mezzoprivato, a discapito del mezzopubblico, cui corrisponde unparallelo aumento dell’indicedi motorizzazione privata. Nelperiodo 1992-99, l’indice èsempre stato superiore a quel-lo nazionale, raggiungendo ilvalore di 64,8 autovetture/100abitanti. Il parco auto circo-lante è complessivamente au-mentato (7,3%) nel triennio1997-99 passando da circa

56.000 a circa 60.000 veicoli,in linea con il tasso di crescitamedia nazionale (Tab. 3).Contestualmente i dati di e-sercizio dell’azienda munici-palizzata trasporti (ATAM) con-fermano il netto calo nel nu-mero di viaggi procapite, pas-sati da 90 a 65 viaggi/ab*anno(riduzione superiore al 30%).Flussi di traffico: la forte, esenz’altro preoccupante, ri-duzione della quota di spo-stamenti serviti da mezzipubblici, la riduzione dellapossibilità di sostanziali spo-stamenti ciclopedonali ed ilcontestuale incremento del-l’uso dell’auto privata, sonoindicatori di una mobilità chetende ad aumentare le di-stanze percorse quotidiana-mente e che si diffonde pro-gressivamente all’interno delterritorio provinciale. Il mez-zo pubblico, competitivo ne-gli spostamenti interni allacittà e/o su linee di forza aservizio di una domanda con-centrata, tende inevitabil-mente, in questa situazione,a perdere terreno. I marginiper una ripresa del ruolo delservizio pubblico sono da ri-cercare sul lato sia dell’offer-ta sia della domanda.Riguardo all’offerta è neces-sario l’adeguamento dei servi-zi proposti alle mutate carat-teristiche della domanda, e ilrafforzamento del ruolo che ilservizio pubblico deve co-munque svolgere nel tessuto

urbano più compatto, il chesignifica agire da un lato sul-la dotazione infrastrutturale,garantendo priorità e fluiditàalle linee di trasporto pubbli-co, e dall’altro sui nodi di in-terscambio fra mezzo pubbli-co e privato; riguardo alla do-manda, l’utente deve diveniresempre più consapevole deicosti esterni che l’uso incon-dizionato del mezzo privatodetermina sull’ambiente ur-bano e sulla salute umana(inquinamento atmosferico,rumore, incidentalità).

Aspetti socio-culturaliTasso di disoccupazione: la di-soccupazione giovanile costi-tuisce come è noto uno deiproblemi più acuti del nostropaese, e si presenta in Tosca-na con valori preoccupanti. Itassi di disoccupazione giova-nile della provincia di Arezzonon sono tuttavia particolar-mente elevati nel contestotoscano. Il tasso di disoccu-pazione maschile in età 15-29 della provincia di Arezzo,con il 4,9%, risulta essere ilpiù basso della Toscana. Me-no positivo è l’andamentodella disoccupazione dellegiovani donne (16,1%), chetocca livelli superiori rispettoa quelli di Siena e Prato.Persone che vivono al di sottodel livello nazionale di povertà:una recente rilevazione della

202 Promozione della salute N. 139 - 2003

1997 % 1998 % 1999 %

Benzina 46.676 83,5 48.720 82,9 48.800 81,4

Gasolio 5.012 9,0 5.994 10,2 6.960 11,6

Gas 4.200 7,5 4.028 6,9 4.188 7,0

Totale 55.888 100,0 58.742 100,0 59.948 100,0

Tab. 3 – Veicoli circolanti nel

comune di Arezzo.

(segue a pag. 208)

19807 S&T 139_4B 5-02-2004 11:07 Pagina 202

Page 11: l'errore in medicina

N. 139 - 2003 203Prevenzione

Da alcuni anni gli operatori sa-nitari si confrontano con unpanorama assistenziale carat-terizzato da progressivo invec-chiamento della popolazione eda continui progressi della me-dicina. In particolare, i succes-si ottenuti con la rianimazionecardiopolmonare (RCP) dei pri-mi anni sessanta hanno diffusol’organizzazione di una medici-na d’emergenza e, con il tempo,la tendenza a considerare po-tenziale candidato alla RCP ognipersona in condizioni di salutecritiche, indipendentementedalla sua storia clinica.Allargare l’indicazione a questaterapia, molto ristretta in ori-gine, concentrandosi sulla na-tura strettamente biologicadella persona senza tener con-to dei suoi valori, porta a pren-dere decisioni che modificanoil processo del morire, allun-gandolo e spesso togliendoglidignità.Si può constatare allora chenon tutti i pazienti beneficianodi una RCP e di cure intensive.Per avviare momenti di rifles-sione sulla gestione della rela-zione con il paziente grave,

potenzialmente terminale, econ i suoi familiari è stata mes-sa a punto un’indagine epide-miologica mediante un que-stionario che è stato distribui-to a medici ed infermieri.Lo studio si è proposto di in-dagare l’attitudine degli ope-ratori riguardo alla definizio-ne ed alla gestione di un li-mite terapeutico nel malatocritico e terminale, allo scopodi cercare un fine condiviso,e quindi anche eventuali li-miti all’attività diagnostica eterapeutica.

Metodo e materiali

In collaborazione con laCommissione di bioetica dellaSocietà italiana di anestesia, a-nalgesia, rianimazione, tera-pia intensiva (SIAARTI), conl’Ufficio per la formazione delpersonale dell’AO Careggi, conil Comitato etico locale dell’a-zienda USL n.4 - Prato, abbia-mo sottoposto a 1600 operatori(800 dell’AOC e 800 dell’ASL diPrato), un questionario di bioe-tica (Tab. 1).Dopo la raccolta completa deidati, siamo andati a valutare

come le variabili oggetto distudio si differenziavano perprofessione, anni di servizioed aggregazione per aree usu-fruendo del test chi-quadrato 1.

Risultati

Al questionario hanno rispo-sto 618 operatori sanitari: 401dall’azienda ospedaliera diCareggi e 217 dall’ASL diPrato. Gli infermieri profes-sionali (IP) che hanno ricon-segnato il questionario sonostati 421 (69,13%) ed i medi-ci (M) 188 (30,87%). Il 25,91%ha 3 o meno anni di esperien-za lavorativa, il 30,73% ne hafra 4 e 10 ed il 43,36% ne hapiù di 10.Dalla scomposizione del cam-pione per aree risulta che il42,29% presta attualmenteservizio in reparti di degenze(RD), il 31,68% in struttureintensive (SI), il 6,85% in re-parti a potenziale maggiorfrequenza di malati termina-

li (FT) e il 19,18% lavora neiservizi (S).L’interesse per la discussionebioetica risulta coinvolgere dal95 al 100% del personale conmaggior anzianità di lavoro,senza differenze nella suddi-visone del campione per aree ein M/IP.Tra coloro che hanno compila-to il questionario, il 9,74% nonha mai partecipato ad una RCP,il 44,48% qualche volta, spessoil 33,44% e solo assistito il12,34%. Chi lavora da minortempo ha una minor percen-tuale di partecipazioni all’RCP(“partecipano spesso” il 17,42%di chi ha 3 anni o meno di la-voro, il 36,76% di chi ne ha 4-10, il 41,92% di chi ne ha più di10) (p < .0001).Per quanto riguarda l’esito di u-na RCP efficace, questo do-vrebbe essere: il pieno ripri-stino delle funzioni senza nuo-vi deficit per il 32,13%(36,50%IP/22,46%M), il ripri-

Il limite alle cureM.G. BarneschiM.F. Palmarini*

A. Ciani**M. Marsili***

N. Zamperetti****D. Mazzon*****

L. Orsi******C. Rossi*******

Dirigente medico 1° livello UOAnestesia e Rianimazione I,

A.O. Careggi, Firenze; Professorea c. Università di Firenze

* Dirigente medico 1° livello UOAnestesia e Rianimazione I,

A.O. Careggi, Firenze ** Specializzando in Anestesiae Rianimazione, Università di

Una ricerca sulle opinioni di medici e infer-

mieri sulla rianimazione di malati terminali

Firenze*** Dirigente medico 2° livello

UO Anestesia e Rianimazione,Ospedale di Prato; Professore di

Anestesia e Rianimazione,Università di Firenze

**** Dirigente medico 1°livello UO Anestesia e

Rianimazione, Ospedale SanBortolo, Vicenza

***** Dirigente medico 2°livello UO Anestesia e

Rianimazione, Ospedale diBelluno; Coordinatore della

Commissione di Bioetica dellaSIAARTI

****** Dirigente medico 1°livello UO Anestesia e

Rianimazione, Ospedale diCrema

******* Centro di Ricerchecliniche per Malattie rare Aldo

e Cele Daccò, Ranica(Bergamo)

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stino delle principali funzionicon deficit minori accettabiliche non compromettono l’au-tosufficienza per il 44,48%(38,20%IP/58,29%M), ed il ri-pristino delle funzioni vitali in-dipendentemente da eventualinuovi deficit neurologici per il23,39% (25,30%IP/19,25%M)(p < .0001).La suddivisione per aree nonha mostrato differenze ri-spetto ai dati generali.Il 29,98% dei rispondenti pen-sa che la percentuale di pa-zienti rianimati senza nuovideficit sia del 4-15%, il 34,14%pensa sia del 16-33%, il22,88% del 34-66%, il 6,76%ritiene che sia minore del 3%,il 6,24% maggiore del 67%.La possibilità di mettere limi-ti alla RCP (Tab. 2) è stata va-lutata positivamente dal58,21% (50%IP/75,81%M); ne-gativamente dal 19,57%(24,75%IP/8,60%M); e negati-vamente ma con un distinguo(“qualsiasi malato in arrestocardiorespiratorio deve essererianimato indipendentementedal suo stato clinico e dallaprognosi, a meno che non ab-

bia dato disposizioni”) dal22,22% (25,52%IP/15,59%M)(p < .0001).Il 65,56% dei sanitari con 4-10anni di servizio ritiene che sipossano porre limiti alla RCP;così il 61,09% di quelli conpiù di 10 anni di lavoro e il47,02% di coloro che hannomeno di tre anni di lavoro al-le spalle. Inoltre il 31,79% dichi ha 3 o meno anni di lavo-ro ritiene che non si debba maiporre un limite all’RCP; questaopinione è condivisa solo dal15,56% e dal 15,18% di chi harispettivamente 4-10 e più di10 anni di lavoro (p < .0002).La possibilità di mettere limi-ti alle indicazioni per il rico-vero in terapia intensiva è sta-ta valutata positivamente dal46,13% (37,75%IP/63,24%M)(Tab. 2); negativamente in sen-so assoluto dal 21,21%(26,00%IP/11,35%M); negati-vamente ma con un distinguo(come per la RCP) dal 32,66%(36,25%IP/25,41%M) (p <.0001).Suddividendo per età di lavo-ro: hanno risposto positiva-mente il 31,97% di chi ha

meno di tre anni di esperien-za lavorativa, il 49,72% di chine ha 4-10, il 52,55% di chine ha più di 10 (p < .0008).I criteri utili per decidere seeseguire la RCP e utili comediscriminante per l’ammissio-ne in terapia intensiva sonostati indicati in: qualità di vi-ta residua 36,34%, consensodel paziente (anche espressoin precedenza nel caso di pa-ziente incosciente) 30,63%,consenso dei familiari di unpaziente incapace di intende-re e di volere 14,34%, attesadi vita 8,62%, età anagrafica12,28%, altro 3,53%.Per quanto riguarda chi do-vrebbe decidere se rianimare omeno un paziente ormai inco-sciente per il quale la necessitàdi procedere a RCP era preve-dibile, i dati ottenuti (totali eIP/M) sono stati: rianimatorechiamato d’urgenza 13,29%(10,24/18,68%); medici del re-parto 11,36% (4,46/25,82%);medici ed infermieri del reparto16,43% (20,73/7,69%); familia-ri 1,57% (1,57/1,65%); medicidel reparto con i familiari 5,94%(3,41/11,54%); medici ed infer-

mieri del reparto con i familiari12,41% (13,65/10,44%); anda-va fatto decidere al paziente pri-ma che diventasse incosciente,finché era in grado di decidere,informandolo adeguatamentedella sua diagnosi e prognosi21,50% (24,6/13,74%); nessuno(la RCP deve essere sempre ten-tata) 15,03% (18,6/8,24); altri2,45% (2,62/2,20%).La possibilità che il consensoinformato per la definizionedi un eventuale limite tera-peutico, venga gestito antici-patamente con il paziente, selo desidera e quando è possi-bile, e che tale decisione ven-ga riportata in cartella clini-ca e venga poi presa in debi-ta considerazione al momen-to della decisione è stata ac-colta favorevolmente dal43,37%; negativamente dal33,05%; da discutere con ifamiliari dal 23,58% (Tab. 2).Gli IP hanno risposto favore-volmente in maggior numero(45,90%) rispetto ai M(37,16%). La percentuale dichi non la ritiene una solu-zione è del 31,79% negli IP edel 36,61% nei M.

204 Bioetica N. 139 - 2003

• Professione, anzianità di servizio, reparto di lavoro, interesse per la bioetica, precedenti esperienze inTerapia intensiva, precedenti coinvolgimenti in CPR.

• I risultati di una RCP efficace.• La percentuale stimata di pazienti rianimati senza nuovi deficit neurologici.• La possibilità di limitare la RCP.• La possibilità di limitare l’accesso in Terapia intensiva.• I criteri per intraprendere la RCP e di ammissione in Terapia intensiva.• Chi dovrebbe decidere sulla RCP di un paziente ricoverato in ospedale.• Le possibilità di un coinvolgimento precoce del paziente nelle scelte del proprio iter terapeutico.• L’introduzione delle direttive anticipate.• La possibilità di delega.• La possibilità che i curanti possano interpretare correttamente i desideri della persona malata.• La frequenza di discussione per l’applicazione/sospensione di RCP.• Le ipotesi per poter pianificare con il paziente un limite terapeutico.• La gestione del fine vita in ospedale.• La personale decisione su una ipotetica gestione del proprio “fine vita”.

Tab. 1 - Argomenti trattati nel

questionario sul limite alle cure

al paziente critico e terminale.

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La proposta di promuovere ladiffusione di un apposito mo-dulo con il quale ognuno pos-sa scegliere in anticipo alcu-ne opzioni particolari, (se ve-nire informato e fino a chepunto, se venire rianimato incaso di arresto cardiaco seammalato terminale), compi-lato per tempo (una dichiara-zione autografa da tenere nelportafogli, ad esempio la Car-ta di autodeterminazione)oppure offerto ad ogni pa-ziente al momento dell’am-

missione in ospedale, è stataaccolta negativamente dal6,98%; giudicata inadeguatadal 31,48%; accolta con cau-tela dal 13,77%; accolta conriserva di riconoscimento giu-ridico dal 36,85%; accoltapienamente dal 10,91%.L’ipotesi che il malato indichichiaramente in cartella clini-ca chi, in sua vece, possaprendere tali decisioni nel ca-so egli non sia più in grado difarlo è accolta con riserva diriconoscimento giuridico dal

49,56%, scartata dal 24,51%,accolta dal 25,93% (Tab. II).L’ipotesi che M e IP siano ge-neralmente in grado di inter-pretare al meglio la volontàdel paziente su questi temi,in assenza di una qualche di-sposizione da parte sua, èstata giudicata: impossibiledal 20,52%, non facile mapossibile dal 39,14%, possibi-le solo con la cooperazionedei familiari dal 32,07%, rela-tivamente facile dall’8,28%.Più gli IP dei M ritengono im-

possibile interpretare al me-glio la volontà del paziente(24,16% vs l’11,83%).In riferimento alla personaleesperienza in campo di RCP il46,22% del campione non si èmai trovato a dover parteci-pare o assistere alla decisionese instaurare o meno unaRCP, il 43,99% ha risposto“talvolta”, il 9,79% ha rispo-sto “spesso”.L’ipotesi di pianificare colmalato (o con i familiari diun malato non più in grado di

N. 139 - 2003 205Bioetica

Totale risposte Professione Anni di lavoro

Medici Infermieri 3 o < 3 fra 4 e 10 > 10

% - N. % - N. % - N. % - N. % - N. % - N.

Pensi che si possano mettere limiti alla RCP (1)?Sì 58% (351) 76% (141)* 50% (204)* 47% (71)* 66% (118)* 61% (157)*No, salvo disposizioni 22% (134) 15% (29) 25% (103) 21% (32) 19% (34) 24% (61)No, mai 20% (118) 9% (16) 25% (101) 32% (48) 15% (28) 15% (39)

Pensi che si possano mettere deilimiti al ricovero in rianimazione?Sì 46% (274) 63% (117)* 38% (151)* 32% (47)* 50% (88)* 53% (134)*No, salvo disposizioni 33% (194) 26% (47) 36% (145) 37% (55) 31% (55) 30% (76)No, mai 21% (126) 11% (21) 26% (104) 31% (45) 19% (34) 17% (45)

Come giudichi l’ipotesi che il pz (2) possagestire anticipatamente il limite terapeutico?È l’unica soluzione possibile 43% (252) 37% (68) 46% (179) – – –Non è una soluzione 33% (192) 37% (67) 32% (124) – – –Dà indicazioni utili da verificare con i familiari 24% (137) 26% (48) 22% (87) – – –

Come giudichi l’ipotesi che il pz possa indicarein cartella chi potrà prendere decisioni per luinel momento in cui non possa più farlo?Utile se con valore legale 50% (279) 47% (85) 50% (189) – – –Creerebbe problemi familiari 24% (138) 25% (45) 25% (92) – – –Sarebbe una soluzione adeguata 26% (146) 28% (51) 25% (95) – – –

Pensi che sia possibile pianificarecol pz la sospensione di farmaci eterapie nelle ultime fasi della vita?Sì, se inefficace 46% (267) 41% (75) 49% (187) – – –Solo per terapie sproporzionate 42% (243) 49% (90) 39% (150) – – –No, mai sospendere la terapie 8% (46) 5% (10) 9% (36) – – –No, devono decidere i medici 4% (21) 5% (8) 3% (12) – – –

*: Differenze statisticamente significative (p < .005); (1) RCP: rianimazione cardiopolmonare; (2) pz: paziente

Tab. 2 - Alcune delle domande presenti nel questionario e relative percentuali di risposta.

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decidere) la sospensione difarmaci e terapie in fase ter-minale, è stata accolta favore-volmente dal 46,27%; conqualche limite dal 42,11%;decisamente rifiutata dagli al-tri, con diverse motivazioni,dal 3,64% al 7,97% (Tab. 2).Solo il 4,50% del personalesanitario ritiene che il tempodi morire in ospedale, dovreb-be essere gestito come tuttigli altri tempi dell’assistenza,il 26,40% ritiene che biso-gnerebbe trasferire il pazien-te in un reparto a minor trat-tamento intensivo e possibil-mente a casa, mentre il69,10% ritiene che dovrebbeessere attrezzato in ogni re-parto uno spazio particolarein cui i familiari possano sta-re con il loro caro ed assister-lo dignitosamente.Per finire, nel caso ipoteticodi un proprio ricovero peruna patologia critica, la solu-zione considerata miglioreper garantirsi una condottadiagnostico-terapeutica cherispetti fino alla fine le pro-prie volontà, sarebbe ricevereuna spiegazione completa, inmodo da poter concordare l’i-ter più adeguato per il54,99%; poter sottoscrivereuna dichiarazione autografain cui fosse spiegato ciò checi si attende e ciò che si desi-dera non sia fatto per il21,74%; poter indicare unapersona di fiducia che possaprendere le decisioni miglioriquando non si sia più in gra-do di farlo per il 9,98%; nonfare niente poiché i medici egli infermieri saprebbero agi-re comunque nel nostro inte-resse per il 13,56%.Infine, il 90,78% del campio-ne non ha rilasciato note sul-l’iniziativa, l’1,29% ha lascia-

to note globalmente negativesull’iniziativa, lo 0,97% ha la-sciato note globalmente posi-tive sull’iniziativa, il 6,96%ha fatto delle proposte opera-tive

Discussione

Il nostro studio si proponevadi indagare le opinioni sulleproblematiche bioetiche inpazienti terminali e comevengono gestite attualmentequeste situazioni dal perso-nale sanitario del nostro ter-ritorio, per far emergere dif-ferenze nei valori individualie nelle attitudini.La frequenza di risposta delnostro questionario è statadel 50% nell’AOC e del 27%nella ASL di Prato. Questadifferenza è forse dovuta allamodalità di distribuzione. Icontatti personali presi nel-l’AOC possono aver maggior-mente impegnato alla rispo-sta persone già motivate esensibili, mentre una distri-buzione non mediata da uncolloquio con i colleghi puòaver influito nella bassa ri-sposta di Prato.Dalle risposte risulta che l’e-sigenza di confrontarsi congli aspetti bioetici della pro-fessione è molto sentita ecresce con l’aumentare dell’e-sperienza di lavoro.Le differenze di opinione chesi evidenziano tra M e IP su-gli aspetti etici della gestionedell’assistenza dei pazientiterminali, suggeriscono lanecessità di aumentare le op-portunità di formazione e didibattito su questi argomen-ti, così da creare le basi perun’intesa assistenziale chemigliori la comunicazione e ilrapporto con la persona ma-lata e i suoi familiari e facili-

ti la comunicazione tra i cu-ranti.L’assistenza al malato grave,potenzialmente terminale,non è di competenza di qual-che specialità medica, ma sipresenta in tutti i reparti didegenza, anche se con fre-quenze diverse, e suggerisceche la problematica del limitealle cure non è di pertinenzaspecialistica, ma riguardatutto il personale dedito al-l’assistenza, come dimostral’alta percentuale di rispon-denti che ha partecipato aduna RCP. La frequenza di par-tecipazione a manovre riani-matorie aumenta poi con glianni di lavoro, e questo si-gnifica che anche chi non hamai fatto questa esperienzapotrebbe in futuro esserecoinvolto, ed è importanteche sia informato sulle tera-pie che potrebbe essere chia-mato a fornire.Le convinzioni attuali sull’ef-ficacia dell’RCP ad esempio,sono più ottimistiche diquanto riportato in letteratu-ra. La percentuale di dimis-sioni dopo RCP intra-ospeda-liero è fra lo 0% ed il 25% 2-5,con una sopravvivenza a lun-go termine stimata intorno al15% 6 7, mentre il 63,26% delnostro campione si attendeun esito positivo (rianimazio-ne senza nuovi deficit) per il16% o più dei pazienti sotto-posti a tali manovre.Fino a venticinque anni fa lamaggioranza dei pazienti chemorivano in terapia intensivaerano stati sottoposti a RCP 8.Da qualche tempo la situazio-ne sta sicuramente evolvendoverso una maggior predispo-sizione circa l’astensione damanovre rianimatorie 9, chepuò essere, o meno, associato

alla scrittura in cartella dellasigla DNAR. L’ordine “do notattempt resuscitation” (DNAR)è l’evoluzione del più notoDNR, “do not rianimate” e vuo-le suggerire proprio la non cer-tezza del risultato nell’intra-prendere la RCP 10.Da uno studio europeo emer-ge che in Italia solo l’8% deimedici che lavorano in tera-pia intensiva dichiara che di-scute e applica il DNAR, e ri-porta le indicazioni in cartel-la, mentre il 55% ritiene soloche dovrebbe essere fatto 11.Queste percentuali non sonoimmediatamente confronta-bili con le nostre. Oltre lametà degli operatori sanitariche si sono espressi attraver-so il nostro questionario ri-tiene che si possa, come perogni altra terapia, limitare laRCP: i limiti alle manovre ria-nimatorie sono ritenuti op-portuni dalla maggioranzadegli IP e dei M, lo stesso perquanto riguarda i limiti al ri-covero in terapia intensiva. IM più degli IP, e chi ha unamaggiore esperienza di lavo-ro, sono più propensi a met-tere dei limiti.È diffusamente avvertita tragli IP e i M la necessità di faresprimere al paziente le suevolontà. Infatti per quantoconcerne i criteri da valutarenella decisione se instaurareuna RCP o se ricoverare il pa-ziente in terapia intensiva,quasi la metà del nostro cam-pione ha dato delle risposteche privilegiano il consensodel paziente o dei familiari,in quanto rappresentanti del-la volontà della persona ma-lata. Pur con delle riserve, ol-tre i due terzi dei risponden-ti sembrerebbe accettare laCarta delle volontà anticipate

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e la delega a una persona perfarle rispettare.Dalle risposte date al nostroquestionario risulta evidentecome la maggior parte deglioperatori sanitari non ritengacorretto mantenere o iniziareun trattamento terapeuticosproporzionato ed inefficace,anche se in Italia, come in al-tri paesi, ad esempio la Greciaed il Portogallo, dove il prin-cipio della sacralità della vitae la religione cattolica hannodelle radici più profonde, imedici hanno una minor pro-pensione a prendere simili de-cisioni, rispetto ai medici deipaesi del nord Europa 11. Inol-tre molti hanno paura di ri-percussioni medico legali poi-ché la sospensione delle curenelle fasi terminali della vitanon è regolamentata da leggi.La richiesta di leggi e norma-tive, già esistenti in altri pae-si, emerge fortemente dallerisposte che i sanitari hannodato nel questionario, sia ri-guardo alla Carta delle vo-lontà anticipate che per la di-rettiva di delega a una perso-na fidata.Questo non deve sorprenderese si pensa che solo nella piùrecente formulazione delCodice di deontologia medicadel 1998 12 è chiaramente e-

spresso il diritto della personamalata all’informazione sulladiagnosi e prognosi della pro-pria malattia, e la mancanza diuno strumento operativo uffi-cialmente proposto e accetta-to, come le direttive anticipa-te, limita la possibilità di far e-mergere il diritto di autode-terminazione del paziente.I M e ancora di più gli IP, ten-gono in considerazione il prin-cipio di autonomia del pazien-te e propendono verso l’accet-tazione delle direttive antici-pate per la gestione delle pro-blematiche di fine vita.Oltre i due terzi dei sanitaripercepiscono il “tempo dimorire” come un momentodifficile da gestire e avverto-no la necessità di attrezzareuno spazio in ogni reparto incui i familiari possano starecon il loro caro; solo per unaquota trascurabile infatti, gliultimi giorni di vita rappre-sentano un momento da ge-stire come gli altri tempi del-l’assistenza.Alla richiesta di immaginareun ipotetico personale ricove-ro per una patologia critica edi quale possa essere il mi-gliore iter diagnostico-tera-peutico per rispettare al me-glio i propri desideri, la mag-gioranza ha risposto che ri-

chiederebbe un’adeguata spie-gazione al fine di concordarel’iter più adeguato, anche conuna dichiarazione scritta del-le proprie volontà ed eventua-le delega, e cioè viene richie-sto dagli stessi operatori unacompleta comunicazione sullamalattia e il rispetto dei proprivalori di vita.Diversi studi 13-15 dimostrano co-me una comunicazione ade-guata con i medici rimanga peril paziente e per i suoi familia-ri un bisogno non soddisfatto.Sicuramente i problemi di fi-ne vita rappresentano unadifficile questione da risolve-re, per il fatto che spesso siha a che fare con gravi pato-logie a rapida insorgenza, al-tamente coinvolgenti i curan-ti anche dal lato emotivo 16 17.Sempre più di frequente, sitrattano casi clinici in cui leopzioni disponibili sono: percontinuare / intraprendereuna terapia per mantenereuna vita qualitativamentemolto povera oppure sospen-dere / non intraprendere unaterapia e consentire la mortedel paziente.In queste circostanze il prin-cipio bioetico di beneficenza,che ha sorretto da sempre ledecisioni morali del mediconon è facilmente applicabile.

I valori di vita della personamalata sono sconosciuti, osolo a volte riferiti dai fami-liari, il principio di autono-mia non trova più le condi-zioni per essere rispettato,mentre per il principio di nonmaleficenza e di giustizia sa-rebbe opportuno non provo-care ulteriori sofferenze enon sprecare risorse.Il diffuso disagio provocatodal non saper gestire adegua-tamente questi conflitti spin-ge a ricercare nuovi schemi dicura e di assistenza al malatoterminale, per il rispetto del-la dignità della persona mala-ta, e per il dovere che hannoM e IP di prendersi cura dellapersona malata e non dellamalattia. Sono necessari pro-grammi di formazione suiproblemi etici di fine vita e“linee guida” che possano es-sere un riferimento per tuttigli operatori sanitari che sen-tono l’esigenza di un cambia-mento nel modo di rapportar-si con il paziente critico e ifamiliari, cambiamento cheprivilegi la relazione e la co-municazione, e consenta dipoter prestare sia una curaintensiva che un’assistenza ditipo palliativo, quando la pri-ma diventa futile e/o non ac-cettata.

N. 139 - 2003 207Bioetica

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208 Bioetica N. 139 - 2003

Caritas Diocesana (“Primo rap-porto dell’Osservatorio delle po-vertà nella diocesi di ArezzoCortona Sansepolcro”), relativaai bisogni con i quali i parroci

sono venuti in contatto, ci for-nisce alcune interessanti infor-mazioni relative al fenomeno.Nella città di Arezzo, in base aidati relativi ai bisogni del ter-

ritorio, così come percepiti daiparroci sono state censite 119famiglie con difficoltà econo-miche e 736 soggetti che pre-sentano varie forme di biso-

gno: di questi 237 sono immi-grati extracomunitari, 160 an-ziani soli o con bisogno di as-sistenza, 102 handicappati fi-sici, 89 minori a rischio.

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(segue da pag. 202): Il progetto “Città sane”

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Il settore ospedaliero as-sorbe in Italia oltre il 48%della spesa con percen-

tuali che arrivano al 53,8% inVal d’Aosta e al 43,8% in Emi-lia Romagna (anno 2001).Sotto il profilo degli investi-menti tali strutture assorbo-no la gran parte delle risorse,in considerazione della tipo-logia e della rilevanza dellestrutture edilizie, della con-centrazione di tecnologie edelle strutture di supporto.In Italia è in atto da oltre 20anni un diffuso adeguamentodella rete ospedaliera anchein relazione alla normativa diaccreditamento che impone,anche nel settore pubblico,specifici standard di carattereedilizio, tecnologico e orga-nizzativo. La principale fontedi investimento è rappresen-tata dai fondi nazionali pre-visti dall’art. 20 della legge97/88, il cui esito tuttavia èstato assai diversificato daregione a regione, con note-voli ritardi nell’utilizzo dei fi-nanziamenti e nella realizza-zione delle opere, in partico-lare nel Sud Italia. Ulteriorifinanziamenti, in misura as-sai più limitata, si sono residisponibili attraverso il pro-getto di riqualificazione del-l’assistenza sanitaria neigrandi centri urbani (art. 71,

legge 448/98) ed attraversofinanziamenti più specificiper patologie (AIDS), per at-tività professionali (liberaprofessione intramoenia), pertipologie assistenziali (hospi-ce). Con il ridursi della dispo-nibilità finanziaria si è avvia-ta anche in Italia, seppure inmisura limitata, la ricerca difinanziamenti privati, attra-verso il sistema del project fi-nancing (Geddes, 2002).I diversi sistemi di finanzia-mento da un lato e la diversamodalità di affidamento de-gli incarichi di progettazionedall’altro vengono a influen-zare i rapporti che intercor-rono fra il committente (l’A-zienda sanitaria che defini-sce le caratteristiche sanita-rie dell’intervento e la tipolo-gia del presidio) e il proget-tista.Inoltre gli approcci si diffe-renziano qualora si scelga direalizzare un nuovo ospedale,di ristrutturare edifici preesi-stenti ovvero di demolizioni ericostruzioni, parziali o pres-soché totali, di ospedali a pa-diglioni. Non si tratta pertan-to di differenti tipologie ar-chitettoniche e strutturali; sitratta piuttosto di approccidiversificati, dettati dallespecifiche situazioni dei di-versi contesti sanitari e terri-

toriali, quali la presenza dialtre strutture ospedalierepubbliche o private, i vincoliurbanistici, la possibilità diun utilizzo alternativo dellearee e degli edifici dismessi,la disponibilità di risorse fi-nanziarie adeguate, etc. In questo articolo esaminere-mo i diversi approcci, ovverometodologie generali di inter-vento nell’edilizia ospedalie-ra, utilizzate in Italia nel cor-so degli ultimi decenni, at-traverso alcuni esempi di rea-lizzazioni o di progetti.

LA REALIZZAZIONE DI

NUOVI OSPEDALI

I nuovi ospedali realizzati nelcorso degli ultimi decenninon si sono sviluppati se-guendo una tipologia archi-tettonica unica o prevalente;vi sono tuttavia alcuni orien-tamenti comuni, come evi-denziano gli esempi qui ri-portati.La realizzazione di un com-plesso totalmente nuovo ri-sponde abitualmente ad alcu-ne esigenze, quali:• L’abbandono del preceden-

te insediamento ospedalie-

ro, considerato inidoneosotto molteplici aspetti, adesempio la collocazioneurbanistica, la tipologiaedilizia, i vincoli a cui l’e-dificio è sottoposto.

• La necessità di accorparepiù complessi ospedalieri,di piccole dimensioni rea-lizzando un nuovo ospeda-le dimensionato al nuovobacino di utenza e in essobaricentrico.

• Le considerazioni di carat-tere economico, con la pos-sibilità di valorizzare l’areae gli edifici ospedalieri di-smessi, tramite il cambio didestinazione urbanistica edun conseguente realizzo fi-nanziario adeguato per larealizzazione della nuovastruttura.

Il nuovo ospedale di Ber-

gamo

La storiaL’ospedale è una delle più an-tiche istituzioni cittadine, es-sendo stato riconosciuto conbolla pontificia del 21 giugno1459, con la denominazionedi “Ospitale Grande di San

N. 139 - 2003 209Edilizia ospedaliera

L’adeguamento dellarete nazionale

Marco Geddes da Filicaia,Grazia Campanile*

Direttore sanitario P.O. Firenzecentro - Azienda sanitaria di

Firenze*Direzione sanitaria P.O. Firenze

centro - Azienda sanitaria diFirenze

Nuove tipologie architettoniche, recuperi, ridi-

mensionamenti. Strategie di finanziamento

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Marco”. L’attuale ospedale èlocalizzato ad ovest dellacittà, dapprima denominatoOspedale maggiore “Princi-pessa di Piemonte”, ed è sta-to costruito dal 1927 al 1930su un’area di 150.000 mq,con un edificato di circa30.000 mc (Castelli, 1942).Negli anni settanta è avvenu-ta la unificazione con l’Istitu-to ortopedico “Matteo Rota”,edificio realizzato negli anniventi nella stessa area dellacittà; da qui la attuale deno-minazione di “Ospedali riuni-ti di Bergamo”. Si tratta di una Aziendaospedaliera, riconosciutaquale ospedale di rilievo na-zionale e di alta specializza-zione con decreto del Presi-dente del Consiglio dei mini-stri del 14/6/1993. La sede èstata oggetto di moltepliciinterventi di ristrutturazione,anche recenti, ma viene indefinitiva considerata inido-nea alle attuali esigenze epotenzialmente destinabilead altre funzioni, fra cuiquelle didattiche e di ricercaconnesse al potenziamentodelle attività universitarie aBergamo (Ospedali riuniti diBergamo, 2002).L’Azienda ospedaliera ha per-tanto ottenuto l’inserimentodella costruzione del nuovo

ospedale tra gli interventi delprogramma pluriennale dellasanità della Regione Lombar-dia.

La localizzazione Alla fine degli anni novanta,nel corso di adozione delnuovo piano regolatore diBergamo, vengono avanzatealcune ipotesi di identifica-zione di area ospedaliera. Lascelta cade su di un’area po-sta a sud ovest della città(area “Trucca”), direzioneanaloga, ma più lontana dalcentro cittadino, a quella del-l’attuale insediamento. I mo-tivi che orientano tale sceltasono rappresentati da unabaricentricità analoga a quel-la attuale ed in particolaredalla viabilità; l’area è infattiservita dall’asse interurbano,che la collega con l’autostra-da e il sistema stradale pro-vinciale e, in futuro, sarà rag-giungibile con un ramo dellatramvia, che avrà qui la sta-zione di interscambio con laferrovia Bergamo–Lecco.La disponibilità del terrenorisulta inoltre estremamenteampia, tale da permettere – adifferenza di interventi in zo-ne urbanizzate – la proposi-zione di un progetto senzaparticolari vincoli sotto taleprofilo (Zublena, 2003).

Il progettoL’accordo di programma per larealizzazione del nuovo ospe-dale è stato sottoscritto nel-l’aprile 2000 dal Ministerodella sanità, dalla RegioneLombardia, dal Comune diBergamo e dalla Aziendaospedaliera. Il finanziamentocomplessivo è previsto in 284.051.295,50. Il finanzia-mento è assicurato dalla Re-gione, che acquisisce i finan-ziamenti nazionali ex articolo20 e integra tramite propri fi-nanziamenti, realizzati ancheallocando sul mercato o ce-dendo ad altri enti aree ededifici ospedalieri. L’ipotizza-to utilizzo dell’attuale sede èa fini universitari.La procedura che viene scel-ta per la progettazione èquella di un concorso inter-nazionale di progettazione indue gradi: il primo finalizza-to ad acquisire proposte diidee e selezionare 5 concor-renti; il secondo per esami-nare i progetti preliminari edindividuare il vincitore a cuiaffidare la progettazione de-finitiva ed esecutiva. L’indi-zione di un concorso interna-zionale rappresenta una pro-cedura prevista dalla norma-tiva nazionale e di altri pae-si, ma in realtà assai pocoutilizzata in Italia, dove ri-

sulta non incentivata e mi-noritaria (Ratti, 2003), inparticolare per la realizzazio-ne di ospedali.Le caratteristiche principalidella struttura che vienemessa a concorso sono rias-sunte nella Tabella 1.Nel 2000 è stato concluso ilprimo grado di concorso pub-blico, in base al quale sonostate selezionate le cinqueproposte di idee meritevoli diessere ammesse al secondogrado del concorso. Per il IIgrado è stato ampiamenteaggiornato l’elaborato “Crite-ri informatori per la redazio-ne del progetto del nuovoospedale di Bergamo”, già al-legato all’accordo di pro-gramma. Ne emerge quindiuna relazione tecnico-sanita-ria (Ospedali riuniti di Berga-mo, 2001) che è finalizzataad indicare in maniera pun-tuale le funzioni a cui dovràcorrispondere la nuova pro-gettazione. Si tratta per piùaspetti di un documento chesi allontana dalla tradiziona-le relazione tecnico-sanitariache, predisposta dalla dire-zione sanitaria o da un igie-nista ospedaliero, viene alle-gata al progetto definitivo,al fine di commentarne e“giustificarne” gli aspettiigienistici, in termini preva-

210 Edilizia ospedaliera N. 139 - 2003

Dimensioni Indicatori

area di intervento 329.000 mq degenze ord. e lib. prof. 964 p.l.

area ospedaliera 250.000 mq terapie intensive 110 p.l.

volumetria 600.000 mc day hospital e day surgery 126 p.l.

s.l.p. 150.000 mq ambulatori n. 240

altezza massima 24 m sale operatorie maggiori n. 18

parcheggi 60.000 mq sale operatorie per DS n. 12

Tab. 1 - Caratteristiche

principali della struttura messa

a concorso.

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lentemente di percorsi, diconformità alla normativa edalle buone regole di igiene. Sitratta di un documento piùsimile a quello in uso in altripaesi, ed in particolare inFrancia, in cui il lavoro diprogrammazione precede ilconcorso di architettura (Pie-ri, 2003) ed è quindi finaliz-zata ad una programmazionecomplessiva della strutturaospedaliera, nell’ambito dellarete dei servizi ospedalieridell’area e delle connessionifra l’ospedale e le struttureterritoriali.

Al secondo grado del concor-so hanno partecipato tutti e5 i raggruppamenti ammessi;tale concorso si è concluso il31/10/2001 individuando co-me vincitore il raggruppa-mento avente capogruppo laSCAU Société de Conceptiond’Architecture et d’UrbanismeS.A. di Parigi, coordinata daAmerich Zublena.

I principi ispiratori dichiaratidai progettisti sono quelli diun ospedale aperto, disponibi-le, leggero, che sia percepitocome una struttura che si mo-difica e si adegua al territorio.Dalla città si potrà quindi per-cepire la vita che si svolge al-l’interno e gli spazi interni si a-priranno verso l’esterno.Lo schema è di una coronaesterna di sette corpi di de-genza: torri di circa 43 x 43metri, alte 5 piani e dotate diuna corte interna, che si di-spongono ai tre lati di un nu-cleo interno di diagnosi e cu-ra (la piastra dei servizi svi-luppata su tre piani) al qualesono direttamente collegate.Le camere sono a due letti e siaffacciano su tre lati delle tor-ri; in tal modo il piano di de-genza tipo contiene 52 letti epuò essere diviso in due mo-duli da 26 letti, consentendocosì di individuare unità ope-rative di minori dimensionicollocate in aree omogenee.

Il collegamento, a livello delpiano terra (Figura 1), fra letorri di degenza e la piastradei servizi avviene attraversola hospital street che circondala piastra dai tre lati, assicu-rando ai visitatori e ai pa-zienti esterni la possibilità diraggiungere i diversi servizi.“Gli spazi della hospital street– afferma la relazione – sonocosì destinati a diventareluogo pubblico per eccellenzadell’ospedale e sono perciòtrattati con particolare curaanche nei dettagli e nei ma-teriali” (Ospedali riuniti diBergamo, 2002).

Caratteristiche dell’intervento• Si tratta del trasferimento

in toto di un ospedale esi-stente. Tale fatto rende piùfacile – in termini nontanto tecnici, ma di possi-bili contenziosi con glioperatori, le comunità lo-cali, etc – il dimensiona-mento del progetto.

• La localizzazione dellanuova sede risulta menocomplessa che in altre si-tuazioni.

• La procedura progettualescelta è stata quella di unconcorso internazionale,sistema utilizzato per al-cune grandi opere, ma ra-ramente in uso per la pro-gettazione di ospedali. Sitratta indubbiamente diuna procedura che permet-te di valutare con adegua-tezza le caratteristichedella progettazione preli-minare, anche sotto il pro-filo della qualità architet-tonica ed urbanistica.

• La procedura concorsualeimpone al committente ladefinizione adeguata deiparametri sia tecnici chesanitari dell’opera. Ancheda tale fatto deriva unamessa a punto dei criteriinformatori che vanno ol-tre l’abituale relazione tec-nico-sanitaria di accompa-gnamento al progetto, co-stringendo, in qualche mi-sura, la direzione sanitariaad un forte ruolo di propo-sizione e di orientamento.

Il nuovo ospedale di Me-

stre

La storiaLa “storia” dell’ospedale diMestre – Umberto I - presen-ta caratteristiche molto diffe-renti da quelle precedente-mente illustrate, sia per illungo iter che l’ha caratteriz-zata, sia per la procedura difinanziamento intrapresa.L’ospedale civile fu inaugura-to nel 1906 (Castelli, 1942),quale nuovo insediamentopoiché Mestre era privo diospedale e si serviva di quelli

N. 139 - 2003 211Edilizia ospedaliera

Fig. 1

Nuovo ospedale di Bergamo.

Pianta primo livello. Le sette

torri circondano la piastra dei

servizi su tre lati e sono

accessibili dalla strada coperta

che si sviluppa intorno alla

piastra. (Fonte: Ospedali riuniti

di Bergamo. Nuovo ospedale di

Bergamo. Concorso

internazionale. Bolis Edizioni,

Bergamo, settembre 2002).

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veneziani, a cui era ormaiconnessa dal ponte ferrovia-rio realizzato nel 1846. Del nuovo ospedale si è ini-ziato a parlare nel 1962 conun primo progetto, abbando-nato definitivamente nel1968. Solo nel 1979 la Regio-ne dichiarò la costruzione diun nuovo ospedale qualepriorità regionale; fu pertan-to predisposto un progetto daparte dell’arch. Carlo Aymo-nio e altri portato ad esecuti-vo nel 1984, con una previ-sione di 1.200 posti letto.Tuttavia l’area prevista vennevincolata in base alla leggeGalasso su indicazione dellacommissione per la salva-guardia di Venezia e pertantoil progetto, prima riadattato,fu abbandonato.Nel contempo vennero fattimolteplici investimenti sull’o-spedale esistente, sia di ma-nutenzione ordinaria e straor-dinaria, sia con l’edificazionedi un monoblocco capace di108 posti letto recentemente i-naugurato (aprile 2003).

La localizzazioneIl problema della localizza-zione dell’ospedale ha avutoun ruolo di rilievo nei tempidi realizzazione. Si sono in-fatti succedute tre aree, con irispettivi progetti. La primaarea (terreno Bellinato, sulTerraglio) è stata oggetto delprogetto del 1962; nel 1968fu acquisita una specificaarea a Carpenedo caratteriz-zata da un boschetto su cui èstato predisposto il secondoprogetto (arch. Aymonio).Tuttavia i problemi di impat-to ambientale parvero tropporilevanti, sia per il boscopreesistente che per il rischiodi intaccare le falde freatiche,

e l’area venne vincolata inbase alla legge Galasso, conconseguenti modifiche delprogetto per rispettare i vin-coli.Nel 2000 fu definitivamenteindividuata una nuova area,con lo scambio di proprietàcon l’area precedente, tramiteprotocollo d’intesa fra Comu-ne, Azienda e Regione.

Il progettoLa struttura prevede una spe-sa di almeno 360 miliardi divecchie lire, per le quali vi èla disponibilità di 140 miliar-di sull’articolo 20 e di 20 mi-liardi da fondi propri dell’A-zienda Usl; da qui l’ipotesi direperire gli ulteriori finanzia-menti, pari a 160 miliardi dilire, con un project financingin base alla legge 109/1994 esuccessive modifiche (Strano,2002).Il valore complessivo dell’o-pera è attualmente stimato in225,3 milioni di €, di cui 82,6a carico dei contributi pub-blici (Il Sole, 2003).I servizi idonei ad essere rea-lizzati in regime di concessio-ne possono pertanto riguarda-re:• Servizi sanitari non di de-

genza, quali radiologia elaboratorio di analisi, limi-tatamente alla parte tecni-ca e amministrativa.

• Trasmissione immagini ra-diologiche con relativo

PACS (integrated imagingsolution).

• Sistema multimediale ditelecomunicazione.

• Portale internet dei servizisocio sanitari.

• Cucina.• Servizio alberghiero.• Pulizie.• Centro unico prenotazioni.• Gestione calore e cogene-

razione.• Disinfezione e sterilizza-

zione.• Farmacia.• Sistema HIS integrato (Ho-

spital Information Sistem)con gestione cartella auto-matizzata, gestione tra-sporti automatizzati, ma-nutenzione ordinaria estraordinaria.

• Parcheggi.• Aree commerciali.• Servizi alberghieri.Le linee guida dettate dall’A-zienda, che hanno ispirato laprogettazione, possono esse-re così riassunte (Colli,2003): integrazione con ilterritorio e il tessuto urbano;accessibilità; alto livello tec-nologico; massimo comfortper l’utenza e i lavoratori;flessibilità strutturale e fun-zionale.I parametri generali della co-struzione sono descritti inTabella 2.

Il progetto si sviluppa su unoschema tipologico classico,

non molto dissimile, nelle li-nee generali, da quello diBergamo: piastra tecnica earea di degenza (Figura 2).La piastra si sviluppa su trepiani, di cui uno interrato; l’a-rea di degenza si sviluppa in-vece su sei piani, ed è per metàdedicata a degenze che si af-facciano sulla piazza copertainterna o serra e l’altra metà al-l’esterno, su terrazze scalari.Nel documento programmaticoi posti letto sono così indicati,con una simulazione di tasso dioccupazione dell’85%, come ri-portato in Tab. 3.

Il cronoprogramma proget-tuale prevede quanto indica-to in Tab. 4

Caratteristiche dell’intervento• Si tratta di un programma

caratterizzato da un lungoiter decisionale, per il rile-vante mutamento di rap-porti fra l’area di terrafer-ma ed il centro storico ve-neziano, con una inversio-ne di trend nella popola-zione residente che forsenon era prevedibile neglianni sessanta.

• La localizzazione del presi-dio è stata un elemento dinotevole contrasto ed haindubbiamente contribuitoai ritardi nella decisionedell’opera.

• L’intervento si caratterizzaper una forte accelerazio-

212 Edilizia ospedaliera N. 139 - 2003

Corpo emergente 9.000

Coperture edifici

A verde 33.480

Superficie a verde 211.520

Parcheggi 1.092 posti

(535 personale, 557 visitatori)

Tabella 2

Parametri generali delle

costruzioni.

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Page 21: l'errore in medicina

N. 139 - 2003 213Edilizia ospedaliera

ne nel 2000, a seguito de-gli accordi Regione Comu-ne e della decisione di ri-correre ad un project fi-nancing.

• Le modalità di investimen-to, la cui procedura è inuno stato avanzato, carat-terizzano questo interven-to, uno dei primi e più ri-levanti nel settore ospeda-liero e anticipatore di altreprocedure, quali quelledella Regione Toscana per iquattro nuovi ospedali.

Fig. 2

Ospedale civile di Mestre: pianta

tipo. Appare evidente la

tipologia che riprende il

concetto di Hall e strada,

realizzata nell’ospedale di Parigi

(HEGP) su progetto di Zublena.

(Fonte: Strano G., Tesacoli N, Il

project financing nella sanità. Il

nuovo ospedale di Venezia -

Mestre. 2002 Marsilio).

30 giugno 2001: i promotori presentano proposte

31 ottobre 2001: valutazione fattibilità delle proposte (presentazione proposte inconferenza dei servizi)

31 dicembre 2001: indizione gara

ottobre 2002: aggiudicazione concessione

dicembre 2002: progetto definitivo da parte del concessionario per approvazione daparte degli organi competenti, tramite conferenza dei servizi

2003: progetto esecutivo approvato per lotti

agosto 2006: completamento dell’opera

2007: inizio delle attività

Tabella 4

Cronoprogramma progettuale.

P.L. totali Dh Ds %

Dipartimento medico 271 34 13

Dipartimento testa – collo 108 2 6 7

Dipartimento cardiochirurgico 85 5 8 15

Dipartimento chirurgico 140 3 12 11

Dipartimento materno infantile 60 4 7

Anestesia e rianimazione 16

Totale 680 48 26 11

Posti letto dialisi 25

Culle 20

Paganti (solventi o dozzinanti) pari a 54 posti letto, cir-

ca il 10%.

Tabella 3

Posti letto nel documento

programmatico.

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Page 22: l'errore in medicina

RISTRUTTURAZIONI EDIFICI

PREESISTENTI

Ospedale civile SS. Giovanni

e Paolo di Venezia

La storiaL’Ospedale civile di Venezia ècollocato in un insieme diedifici, il cui complesso fon-damentale è rappresentatodalla “Scuola di S. Marco”,realizzata fra la fine del ‘400e la prima metà del ‘500.Soppressa la scuola al princi-pio dell’800, nel 1815 vi furo-no riuniti gli ospedali cittadi-ni, occupando interamentel’area da campo SS. Giovannie Paolo alle fondamenta nuo-ve (Lorenzetti, 1980).Nell’area del campo SS. Gio-vanni e Paolo vengono realiz-zati, nel corso del novecento,alcuni edifici occupanti glispazi liberi prospicienti almare, a fini di ricovero. An-che le ipotesi di nuovo ospe-dale, avanzate alla fine deglianni trenta e non realizzateper l’inizio della guerra, pre-vedevano quale localizzazio-ne l’area aderente al vecchioospedale di SS Giovanni ePaolo, in uno spazio di circa70.000 mq (Castelli, 1942).Senza riuscire a realizzare unnuovo ospedale, per successi-vi interventi l’ospedale si ar-ticola in spazi di degenza,aree tecniche e sedi ammini-strative, utilizzando spazimonumentali, edifici conven-tuali e nuovi edificati, seppu-re di modesta fattura.Un momento di svolta sembraessere l’approvazione delnuovo piano regolatore nel1959, che destina a zonaospedaliera un’area in partelibera ed in parte occupatadal macello comunale, in fase

di dismissione (zona SanGiobbe). Viene pertanto ipo-tizzato un nuovo ospedale, di1.200 posti letto, sostitutivodi SS. Giovanni e Paolo, la cuiarea sarebbe stata destinataad attività ricreative e cultu-rali. La definitiva approvazio-ne del piano regolatore nel1962 metteva fine all’opposi-zione dell’amministrazioneospedaliera – che non inten-deva abbandonare il prece-dente insediamento – e davaluogo ad un evento proget-tuale fondamentale nella sto-ria dell’architettura ospeda-liera: il progetto di ospedaledi Le Corbusier (Sarkis,2001).Infatti, dopo un concorso in-detto dall’amministrazioneospedaliera, che si conclude-va senza vincitori, il Comunee l’ospedale affidavano a LeCorbusier la progettazione diun nuovo ospedale, progettoche rappresenta il testamentodel grande architetto (Istitu-to universitario di architettu-ra di Venezia, 1999).Come noto il progetto non fumai realizzato, anche in se-guito alla morte di Le Corbu-sier. Nel corso degli anni set-tanta si delineò definitiva-mente l’intendimento dimantenere un ospedale nelcentro storico, utilizzando lastorica sede, di realizzare unnuovo ospedale a Mestre, icui residenti, circa la metà diquelli del centro storico nel1951 (centro storico 174.808;terraferma 96.966) erano di-ventati assai più numerosi(nel 2000 rispettivamente66.386 e 176.531) e di ridur-re le funzioni dell’ospedale amare (a Lido), che viene a fa-re parte del presidio centrale.

La localizzazioneAttualmente il presidio ospe-daliero di Venezia si articolasu due sedi: l’ospedale civilee l’ospedale a mare, collocatoal Lido. I due complessi han-no rispettivamente (anno2000) 480 e 139 posti letto,risultato di una progressivadiminuzione; due anni primai posti letto all’ospedale civi-le di Venezia erano 623.Con gli attuali interventi, ini-ziati negli anni ottanta, sichiude un lungo periodo didibattito in cui si ipotizzavadi ricorrere ad un ospedale diterraferma o di realizzare unnuovo ospedale in altra loca-lizzazione, secondo il proget-to Le Corbusier.Come in altre città storiche,si conferma una sede ospeda-liera nel centro storico, sullabase delle necessità della po-polazione residente e nel-l’ambito di una politica urba-nistica volta a contrastarel’abbandono dei centri storicida parte della popolazione.L’altra motivazione di persi-stenza del presidio è quella diuna realtà cittadina in cui ipresenti, i city user, i turisti,etc. sono numerosi.

Il progettoUna serie di interventi rile-vanti sono programmati, perl’ospedale civile, nel 1984; il1° stralcio è stato realizzatonel 1992-96. Consiste in unnuovo fabbricato, in area nonprecedentemente occupata,con degenze di chirurgia,urologia, chirurgia pediatri-ca. Importo complessivo di 18miliardi di lire.Successivamente sono iniziatiinterventi più consistenti,così articolati:

• 1° lotto (chirurgia diemergenza) consistente inun complesso di 7 saleoperatorie connesse con ilnuovo accesso del prontosoccorso, secondo il pro-getto degli architetti Se-merani e Tamaro di Trieste(importo 25.500.000,00Euro); tale complesso è giàstato realizzato.

• 2° lotto come ampliamen-to del padiglione di chirur-gia di emergenza con atti-vità intramoenia e di ocu-listica, secondo il progettodegli architetti Semerani eTamaro di Trieste (importo2.300.000,00 Euro).

• 3° lotto: abbattimento diprecedente padiglione pro-spiciente le vie d’acqua erealizzazione di nuovo edi-ficato per un complesso diunità operative specialisti-che in area medica e ma-terno-infantile (importoprevisto 26.000.000 Euro;progettazione interna conconsulenza).

I finanziamenti sono derivatidalla legge speciale per Vene-zia (1° lotto), dall’art. 20 leg-ge 88/98 e dall’art. 71 legge448/98 per il 2° lotto, men-tre un apporto di capitale pri-vato è previsto per il 3° lot-to. Il numero totale dei postiletto previsti è di 420.

Caratteristiche dell’intervento• L’intervento ha un finan-

ziamento in parte atipicorispetto alle altre città: lalegge speciale per Venezia.Con tale finanziamentoviene coperta una quotadelle spese necessarie allarealizzazione dell’opera. Sitenga conto che gli intere-venti necessari presentanocaratteristiche particolari

214 Edilizia ospedaliera N. 139 - 2003

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e di notevole onerosità peril contesto urbano. Le ope-re antincendio e le fogna-ture hanno, nella realtàveneta, costi elevati e l’ac-cesso al pronto soccorsocomporta la realizzazionedi una darsena.

• Si configura pertanto unospedale i cui spazi di de-genza vengono fortementeridotti rispetto alla realtàstorica, e in cui la priorità,anche in termini di inter-venti di messa a norma epotenziamento, viene dataal complesso del diparti-mento di emergenza, alblocco chirurgico, etc.

• Una caratteristica peculia-re dell’intervento è il con-testo storico artistico nelquale si realizza, che lo as-simila alla ristrutturazione

di Santa Maria Nuova(Geddes, 2003). Ciò com-porta la cessione di varispazi a fini direzionali,convegnistici e museali econtinui rapporti con lasovrintendenza; comportainoltre una serie di studi evalutazioni di caratterestorico ed artistico, cheaccompagnano i lavori.

INTERVENTI DI DEMOLIZIO-

NE E RICOSTRUZIONE DI

OSPEDALI A PADIGLIONE

Policlinico Umberto I – Roma

La storiaIl Policlinico Umberto I fu“ideato” da Guido Baccelli,clinico medico di Roma e mi-nistro della pubblica istruzio-

ne nel 1881. L’idea fu quelladi riunire tutti gli istituti cli-nici che, nella capitale, si tro-vavano ancora nella localiz-zazione del periodo pontificio(Stroppiana, 1980).La costruzione, nel sistema apadiglioni attualmente pre-sente – sebbene con numero-se successive integrazioni –fu pressoché completata nel1902, e nel 1903 gli edificifurono assegnati alle ammi-nistrazioni interessate, cioèal Ministero della pubblicaistruzione che ricevette gliedifici delle cliniche e le loropertinenze, mentre la com-missione degli ospedali riuni-ti di Roma acquisì il repartomalattie infettive, i dieci pa-diglioni, il palazzo di ammi-nistrazione e gli edifici deiservizi generali, iniziando co-

sì una non sempre facile con-vivenza (Figura 3).All’inizio del suo funziona-mento la capacità complessivadel Policlinico era di 1150 let-ti, di cui 350 per le cliniche e800 per l’ospedale, compreso lemalattie infettive.Alla fine del 1999 il Policlini-co veniva a coprire circa 16ettari (Figura 4), con 300.000mq coperti, 2020 posti lettoordinari e 250 di day hospi-tal, 7.000 dipendenti ed ef-fettuava 62.000 ricoveri ognianno, circa 1.200.000 presta-zioni ambulatoriali, circa200.000 accessi di prontosoccorso (Fatarella, 1999).Si tratta tuttavia di un perio-do in cui l’ospedale è oggettodi una serie di interventi del-la magistratura, che arrivanoal sequestro di numerose sale

N. 139 - 2003 215Edilizia ospedaliera

Fig. 3

Policlinico Umberto I: pianta

generale nel 1888. Sono

evidenti i padiglioni della

amministrazione e gli edifici

universitari, di maggior pregio,

prospicenti via delle Mura di

Belisario. (Fonte: Stroppiana L.

(a cura di), Il Policlinico

Umberto I di Roma. Università

degli Studi di Roma, 1980

Stampato da Arti grafiche E.

Possidente & F.lli, Roma).

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operatorie, a causa delle con-dizioni igieniche. Nel luglio1999 vi sono 14 casi di ente-rite necrotizzante che richia-mano nuovamente l’attenzio-ne della Regione e del Gover-no sulle condizioni del Poli-clinico.

La localizzazioneSebbene vi siano state, nelcorso degli ultimi anni, alcu-ne dichiarazioni favorevoli adun complessivo abbandonodell’area del Policlinico, in re-lazione alle difficoltà igieni-che e strutturali degli edifici,tale ipotesi non è stata mairealmente perseguita.E’ peraltro comprensibile cheun’area strategica, a destina-zione sanitaria, prossima al-l’Università degli studi e inprossimità del centro di Ro-

ma, seppure in posizione col-laterale, risulti ottimale peruna localizzazione di struttu-re sanitarie e non facilmentericonvertibile per le sue di-mensioni. Inoltre numerosiedifici risultano vincolati. Ilproblema che si è posto, intermini di localizzazione, èquindi quello di alleggerirel’area da una serie di incom-benze di carattere universita-rio e di scegliere fra diversiapprocci di intervento possi-

bili su di un ospedale a padi-glioni.La scelta definitiva è avvenu-ta tramite un accordo fra mi-nistero e università, che pre-vede l’alleggerimento dellastruttura da funzioni di ca-rattere universitario, con losdoppiamento della univer-sità su una seconda struttu-ra, allora (1999) in fase direalizzazione e attualmenteattiva: l’Ospedale S. Andrea.Prende pertanto corpo unaprogettazione di complessivo

adeguamento del Policlinico,con la messa a norma, anchein riferimento alle norme diaccreditamento.

Il progettoIl documento preliminare diprogettazione (Azienda Poli-clinico Umberto I, 2002) a-vanza alcuni scenari di dimen-sionamento, considerato che,con la realizzazione del S. An-drea e accordi con la AziendaUSL di Latina, la ridistribuzio-ne dei posti letto nel corso del

216 Edilizia ospedaliera N. 139 - 2003

Fig. 4

Policlinico Umberto I: stato

attuale, che evidenzia, rispetto

all’inizio del novecento (vedi

fig. 3), notevoli variazioni, a

monte delle cliniche

universitarie, con eliminazione

di percorsi, nuovi edifici etc.

(Fonte: Azienda Policlinico

Umberto I, 2002. Piano di

riorganizzazione e

ristrutturazione del Policlinico

Umberto I, elaborato dal

Dipartimento di Architettura ed

urbanistica per l’Ingegneria

dell’Università degli Studi di

Roma. La Sapienza. Documento

preliminare alla progettazione.

Luglio 2002).

Posti letto Posti letto

ordinari o D.H.

Azienda Policlinico 1.000 150

Azienda S. Andrea 400 50

Azienda USL Latina 220 30

Tabella 5

Ridistribuzione posti letto.

19807 S&T 139_4B 5-02-2004 11:07 Pagina 216

Page 25: l'errore in medicina

prossimo triennio è previstacome riassunto in tab. 5.

Il documento programmaticoprospetta alcuni scenari, sin-tetizzati in tab. 6.

A fronte della situazione at-tuale (2001) gli scenari A – Esono caratterizzati da ipotesidecrescenti di posti letto, dadiverse percentuali di ricove-ri in day hospital e da una ri-duzione di durate di degenza,in relazione ai noti trends dialtri Paesi.Come appare evidente dai da-ti sopra riportati, con compor-tamenti gestionali “virtuosi”orientati ad una maggiore ef-ficienza della potenzialità e-rogativa del Policlinico, anchecon 700 letti di degenza ordi-naria le capacità di assistenzadel Policlinico, in termini didimessi totali, resterebbe pres-soché immutata.Gli obiettivi che persegue lariorganizzazione sono i se-guenti:• Non procedere a recuperi di

strutture non pienamenteidonee allo svolgimento diattività assistenziali.

• Realizzare un Dea di II li-vello di alta qualità.

• Concentrazione delle sale o-peratorie e della diagnosti-

ca per immagine, attual-mente diffuse in più edifici.

Viene pertanto ipotizzata laliberazione, con demolizioni, diun’area di 4,8 ettari, alle spal-le delle cliniche ed edifici uni-versitari, edificando nell’arealiberata un nuovo ospedalePoliclinico, con una superficiecoperta di 49.000 mq, una al-tezza massima di 29 metri, u-na capacità di ospitare sia l’o-spedale per acuti che i servizigenerali (Figura 5).L’intervento ipotizzato si svi-lupperebbe in tre fasi:1. Demolizione di padiglioni

ed altri edifici di basso va-lore architettonico – mo-numentale.

2. Costruzione – sulla sededei padiglioni preesistentidemoliti - di edifici verti-cali (corpi piedritto).

3. La costruzione di struttureorizzontali (edifici archi-trave), a ponte fra gli edi-fici verticali, in modo taleda non alterare il terreno egli strati archeologici.

Caratteristiche dell’interventoL’intervento è ad una fasepreliminare, finalizzata a tro-vare un ampio consenso suicriteri e a confermare il fi-nanziamento in base all’art.71 (interventi sulle aree me-

tropolitane). Si sviluppa per-tanto in termini di ipotesi ur-banistica e di valutazione deivalori storici e ambientali. Lo scenario sanitario, seppu-re sviluppato sinteticamente(i dati sopra esposti rappre-sentano tuttavia una sintesidegli scenari descritti), sonointeressanti, poiché tendonoa configurare i diversi fabbi-sogni in relazione ai possibili“comportamenti”.L’ipotesi perseguita è quelladi una conservazione dei pa-diglioni di più elevata valen-za storica e architettonica (laparte universitaria), con unaconseguente ampia demoli-zione degli altri corpi di fab-brica e la realizzazione del“polo ospedaliero” di nuovaedificazione.La tipologia dei nuovi edificiè descritta sommariamente,in termini di torri collegateda sezioni orizzontali a pon-te, con la finalità di identifi-care modalità di edificazionecompatibili con i notevolivincoli ambientali connessi airitrovamenti archeologici.Sebbene in termini di prelimi-nare, il programma rappresen-ta non solo la scelta di mante-nere l’attuale localizzazione,ma anche quella di procederead una rideterminazione del

fabbisogno di posti letto e aduna totale nuova edificazionedegli edifici destinati ad ospi-tare i servizi diagnostici e te-rapeutici del Policlinico.

Considerazioni conclusive

La chiusura dei piccoli ospe-dali.La problematica della chiusu-ra dei piccoli ospedali portaspesso alla realizzazione dinuove strutture in posizionebaricentrica; le difficoltàconnesse a mettere in attotali decisioni sono un feno-meno non solo italiano, mapresente in molti altri Paesi(Hayocock, 1999). Si trattatuttavia di una problematicache, in aggiunta ai problemidi identificazione del nuovosito, allunga notevolmente itempi decisionali.

La scelta del sitoGli esempi riportati illustranole problematiche affrontatenella scelta del sito. Un esem-pio particolare è rappresenta-to dall’ospedale della Versilia,per il quale il Dipartimento diUrbanistica della facoltà diArchitettura di Venezia avevamesso a punto una griglia dicriteri di identificazione (bari-centricità, accessibilità, di-

N. 139 - 2003 217Edilizia ospedaliera

Scenari P. L. P.L. DH Durata Totale Totale giornate

ordinari degenza dimessi degenza

Attuale 2001 1.502 279 (15,7%) 10,6 73.109 551.923

A 873 62 (15,7%) 10,6 42.489 320.741

B 873 162 (15,7%) 9,0 66.527 387.302

C 873 162 (15,7%) 8,0 70.510 387.302

D 700 200 (22,2%) 9,0 68.343 354.050

E 700 200 (22,2%) 8,0 71.537 354.050

Tabella 6

Possibili scenari al variare del

numero di posti letto.

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Page 26: l'errore in medicina

mensione/forma, presenza e-dificatoria preesistente, cultu-re agricole, allacciamento allereti infrastrutturali, piacevo-lezza del sito, nocività am-bientale, proprietà dell’area,prescrizioni urbanistiche). Taleesempio è rilevante sotto ilprofilo metodologico, anche sealcuni parametri di caratterepolitico e urbanistico sembrasiano quelli che alla fine pre-valgono, portando a delle de-cisioni particolari, come nelcaso dell’ospedale del Valdarno,costruito a cavallo dei due co-muni che dismettono il pro-prio ospedale (Ottani, 2003).

Le modalità di finanziamento.Dalla casistica si evinconomolteplici modalità di finan-ziamento. Se il finanziamen-

to in base all’art. 20/88 rap-presenta la modalità più dif-fusa, esso si integra, specienei periodi più recenti, conaltre fonti già indicate nel-l’introduzione. Alcune moda-lità di finanziamento, in par-ticolare il project financing,pongono alla Azienda sanita-ria e alla direzione sanitariadel presidio il compito di unacorretta definizione delle ri-chieste e, in fase di espleta-mento dell’iter, di interscam-bio e controllo delle propostedei promotori.

Le modalità di progettazione Alcune procedure, quale ilproject financing e il concorsointernazionale, collocano al-l’esterno delle strutture tec-niche aziendali la progetta-

zione e – generalmente – ladirezione dei lavori. Tali pro-cedure tendono a collocare laprogettazione dell’opera inun contesto di confronto in-ternazionale, ponendo al re-sponsabile del procedimentoe alla direzione sanitaria l’o-nere di una chiara, e ci sem-bra utile, definizione dei bi-sogni del committente, cosanon sempre attuata in occa-sione di progettazioni inter-ne o affidate con modalità dipartecipazione più ristrette edi minore impatto sull’opi-nione pubblica.

La tipologia dei progettiNon possiamo parlare, ovvia-mente, di tipologie univoche,ma indubbiamente alcuni cri-teri generali appaiono perse-

guiti in modo diffuso. In par-ticolare la tematica dei diver-si livelli di intensità di cura,presente nel meta-progettoplanimetrico e tridimensio-nale “Nuovo modello di ospe-dale” Veronesi/Piano (Capo-longo, 2001) è generalmentericercata; ulteriore elementoè una forte attenzione al rap-porto fra l’ospedale e la città,proprio di esperienze già rea-lizzate, quale l’ospedale euro-peo George Pompidou di Pari-gi o l’attenzione agli accessidel pubblico, al loro dimen-sionamento, sia nella ricercadi una caratterizzazione ar-chitettonica dell’ospedale, sianella volontà di dotare l’ospe-dale di un punto di forte qua-lificazione, da cui si diparto-no i percorsi fondamentali,

218 Edilizia ospedaliera N. 139 - 2003

Fig. 5

Policlinico Umberto I. Scenario:

a destra l’area di realizzazione

del nuovo policlinico. (Fonte:

Azienda Policlinico Umberto I.

Piano di riorganizzazione e

ristrutturazione del Policlinico

Umberto I, elaborato dal

Dipartimento di Architettura ed

Urbanistica per l’Ingegneria

dell’Università degli Studi di

Roma. La Sapienza. Documento

preliminare alla progettazione.

Luglio 2002).Area del nuovopoliclinico

Edifici di pregioarchitettonico darecuperare anchecon interventi diristrutturazionecon mantenimentodell’involucroesterno

Sistema storico delfronte principaleda riportare allaconfigurazioneoriginaria coninterventi direstaurofisiologico

Principaliattraversamentiinternipercorsi pubblici

PIAZZE

AREE LIBERE APREVALENTEMORFOLOGIAVEGETALE

MARGINIATTREZZATIper le nuove piazzee spazi di ingressoda riqualificare

DISLIVELLI

Accesso carrabilealla nuova strutturaospedaliera

Accessopedonalealla nuovastrutturaospedaliera

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Page 27: l'errore in medicina

anche esso presente in espe-rienze di altri paesi (Zublena,2001; Capolongo, 2003).

Il dimensionamento degli ospe-daliNon possiamo negare che ladimensione degli interventiattuati, partiti negli anni no-vanta, ma frutto di ideazionidel decennio precedente, èfortemente sovrastimata ri-spetto alle attuali esigenzedi ricovero. Se si confrontanoi posti letto che erano ipotiz-zati in molti progetti (adesempio Mestre) si confermache le modalità di stima delfabbisogno e lo studio deitrend di durata di degenza dialtri paesi, attività indubbia-mente complessa, non eranostate neanche oggetto di ri-flessione. Tale fenomeno hacomportato riduzioni di postiletto in corso d’opera, favo-rendo così una tendenza allaconcentrazione di moltepliciattività nell’ambito dell’areae dello stesso edificio ospe-daliero per conversione di

spazi destinati alla degenzaverso altre funzioni. Nell’o-spedale si collocano pertantonon solo servizi di caratteregenerale, che gli ospedali lo-calizzati in centri storici ten-dono ad esternalizzare (la-vanderia, cucine, magazzini,farmacie, etc.), comprensi-bilmente e utilmente in talirealtà, ma anche attivitàprettamente non ospedalie-re, quali l’hospice o il centrodi riabilitazione intensivaextraospedaliera, con unacontraddizione anche seman-tica! La gestione di tali atti-vità può trarne vantaggi sot-to il profilo gestionale edeconomico, ma la localizza-zione rischia di cambiare lecaratteristiche del servizioerogato.

Le ristrutturazioniGli interventi di ristruttura-zione tendono ovviamente arealizzare nuovi complessinelle aree libere, anche inambito di centri storici (vediVenezia). Negli ospedali di

valenza storico-monumentalesi tende pertanto a destinarele aree di maggior pregio enon ristrutturabili a funzioninon sanitarie e ad inserire,anche in complessi monu-mentali interi nuovi blocchi(Picchi, 2002). Risultano or-mai più rari interventi di ra-dicale trasformazione di partidi edifici preesistenti, con latrasformazione, ad esempio,di padiglioni in stanze peruno o due letti.

Gli interventi negli ospedali apadiglione.In tali complessi la sostitu-zione di un intero fabbricatoappare più facilmente realiz-zabile; è infatti quanto è sta-to attuato anche negli annisettanta con la realizzazionedi monoblocchi fra i padiglio-ni esistenti. Ad esempio:ospedale S. Martino di Geno-va, già negli anni ottanta;ospedale Borgo Trento di Ve-rona, in cui è presente unmonoblocco ai margini dell’a-rea ed in cui è previsto un

nuovo edificio centrale conpronto soccorso e chirurgie.La novità consiste pertantonella totale trasformazionedel polo ospedaliero, con iltrasferimento di tutte le atti-vità in nuovi edifici, l’abbat-timento, ove possibile, dellepreesistenze o la destinazio-ne di edifici vincolati a fun-zioni non assistenziali. Talemetodologia di intervento èquella proposta per il Policli-nico Umberto I di Roma, mapresenta criticità.In particolare si tratta di lavo-rare per almeno un decennio inun’area ospedaliera e di unacapacità non solo di program-mazione, ma di coerente rea-lizzazione progressiva, di ungenerale piano, che deve ave-re una sua omogeneità, sia sa-nitaria che architettonica. Gliesempi in fase avanzata sonorari e citiamo a tale propositoquanto si sta realizzando aCareggi in coerente attuazionecon il progetto generaleCareggi 2000, predisposto cir-ca un decennio fa.

N. 139 - 2003 219Edilizia ospedaliera

Bibliografia

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(segue a pag. 224)

19807 S&T 139_4B 5-02-2004 11:07 Pagina 219

Page 28: l'errore in medicina

220 N. 139 - 2003Spazio Toscana

Centri aventi funzionidi riferimento nella

Regione ToscanaRisultati di un’indagine conoscitiva

Eva BuiattiElena MarchiniAlberto Dolara

Agenzia regionale sanità -Regione Toscana

Gli obiettivi generali del-le istituzioni sanitariesono quelli di assicurare

un livello quantitativo e qua-litativo adeguato delle presta-zioni, ma anche di valorizzaree potenziare “centri di riferi-mento” e/o di eccellenza tra-mite i quali promuovere e ga-rantire metodi innovativi diassistenza e nel contempo e-vitare dispersioni di risorse e-conomiche e di esperienze pro-fessionali.La definizione di centro aven-te “funzioni di riferimento” o“centro di eccellenza” è dina-mica per l’evoluzione conti-nua delle conoscenze medi-che: l’assistenza ad una con-dizione morbosa scarsamentenota o la messa a punto di u-na determinata tecnica inno-vativa può nascere in una sin-gola istituzione sanitaria, mapoi diffondersi proprio per e-vitare concentrazioni non van-taggiose per il paziente; op-pure può rimanere circoscrittaad un determinato centro o i-stituzione proprio perché l’af-fezione morbosa richiede unatecnica altamente sofisticatae/o costosa o perché la raritàdell’affezione non permette-

rebbe comunque agli operato-ri sanitari di acquisire una suf-ficiente esperienza specifica;un centro infine può avere an-che funzioni di riferimentoculturale indicando linee gui-da, promuovendo aggiorna-menti e proposte organizzati-ve generali.Per un corretto funzionamen-to di un centro di riferimentoè indispensabile un’adeguatastruttura organizzativa chepermetta al paziente un’ade-guata assistenza.Infine è indispensabile che glioperatori sanitari, i pazientied i loro familiari abbianoun’informazione corretta deicentri cui rivolgersi.

Delibere della Regione To-

scana istitutive dei Centri

aventi funzioni di riferi-

mento

La Regione Toscana con unadelibera del 19.04.1999 prov-vedeva ad attivare il procedi-mento di riconoscimento dellefunzioni regionali di riferi-mento attenendosi ai criteri diseguito indicati: “verifica difunzionalità: la funzione re-gionale dovrà erogare servizila cui carenza penalizzerebbe

strutturalmente il sistema; ve-rifica di qualità, avendo a rife-rimento: numero e complessitàdella casistica annualmentetrattata; indice di attrazioneinfra ed extraregionali; produ-zione scientifica del personaledella struttura; tempi presentinelle liste di attesa; qualitàdelle attrezzature e delle tec-nologie; idoneità dell’organiz-zazione”.Sulla base di tali criteri veni-vano riconosciuti, con delibe-re successive n° 1036, 1276,411 e 600 del 1999 e del 2000,131 centri aventi funzioni diriferimento, cosi suddivisi: 31all’AO Meyer, 44 all’AO Careggi,3 nell’Azienda sanitaria fio-rentina, 3 al CNR di Pisa, 41nell’AO pisana, 1 nell’Aziendasanitaria di Lucca e 18 nell’AOsenese; con una delibera n°216 del marzo 2002 venivano i-stituiti 32 nuovi centri di cui26 all’AO Careggi e 6 all’AO se-nese.

Indagine conoscitiva della

Agenzia regionale sanità

toscana

Nel giugno 2002 veniva inizia-ta, da parte dell’Agenzia re-gionale toscana un’indagine

conoscitiva, mediante que-stionario, per rilevare l’atti-vità dei centri con funzionedi riferimento svolta nel bien-nio 2000-2001; sono stati con-siderati i centri deliberati nel1999-2000 e non quelli deli-berati nel 2002 perché la bre-vità del periodo intercorrentedalla delibera all’inizio dell’in-dagine non avrebbe permessodi valutare le risposte in modoadeguato.Al dicembre successivo aveva-no risposto al questionario edai successivi solleciti 130/131centri; per quanto riguarda leAO di Firenze, Pisa e Siena in65 di essi l’istituzione in cui sisvolge l’attività è risultata a di-rezione universitaria ed in 56ospedaliera; i centri sono rag-gruppabili in “aree omogenee”:6 di genetica, 7 di pediatria, 5di area materno-infantile, 21 dimedicina interna, 15 di chi-rurgia, 7 di cardiologia clinica,7 di pneumologia, 3 di neuro-logia, 6 di ortopedia, 2 di me-dicina sportiva, 15 di anatomiapatologica, radiologia, medi-cina nucleare, laboratorio non-ché 11 di aree di attività noninquadrabili in quelle prece-denti *.

* L’elenco dei centri di riferimento ed i risultati dell’indagine sono disponibili presso l’Agenzia regionale di sanità.

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Page 29: l'errore in medicina

N. 139 - 2003 221Spazio Toscana

È stata valutata l’attività clini-ca complessiva per 128 centri(due di essi non svolgono atti-vità clinica) riguardante l’os-servazione dei casi ed il lorofollow-up nel biennio 2000-2001. Vi sono alcune incertez-ze sulla valutazione dei datiforniti: infatti si ritiene pro-babile che la massima partedei centri abbiano incluso nel-la casistica dell’anno 2000 icasi osservati in precedenza;per ottenere una stima ap-prossimativa dei casi osservatiper anno dal singolo centro(carico di lavoro) è quindi ne-cessario sottrarre dai casi os-servati nel 2001 quelli osser-vati nell’anno precedente.L’analisi dei dati ha comun-que evidenziato una notevoledispersione della casistica os-servata: vi sono 28 centri chehanno osservato nell’anno2001 meno di 100 casi, quasisempre in rapporto alla raritàdella casistica in esame; 7centri che ne hanno osserva-ti oltre 5.000, che operanoprevalentemente nell’area didiagnostica di laboratorio.La valutazione dell’attivitàscientifica, suddivisa in rela-zioni, comunicazioni e posterai congressi nazionali ed in-ternazionali e numero dipubblicazioni recensite daMedline ha mostrato, comeper l’attività assistenziale,una dispersione notevole didati; per le pubblicazioni suMedline per esempio il 17%

dei centri non aveva alcunapubblicazione, il 14% un nu-mero uguale o inferiore a cin-que pubblicazioni, mentre il31% aveva oltre 40 pubblica-zioni nel periodo considerato.Alla richiesta specifica di co-me la delibera regionale aves-se influenzato l’attività deicentri per circa la metà di es-si non è risultata modificata,in oltre un terzo dei centri èstata definita come più facileo molto più facile; hanno di-chiarato un aumento delledifficoltà circa l’8% dei cen-tri; nessun commento da par-te del rimanente 12%.Nei commenti liberi vi sonostate richieste di fondi e per-sonale, sanitario o ammini-strativo da parte di circa 1/3dei centri; in particolare èstato richiesto il ripristinodella destinazione dei fondiassegnati dalla Regione alleaziende sanitarie per i centridi riferimento ed autonomiadi budget e/o scorporo delleattività; sono state avanzateinoltre proposte di collega-menti con altri centri ed au-mento della visibilità.

Conclusioni

I dati sovraesposti sono statipresentati ad un convegnoorganizzato a Firenze dall’A-genzia regionale di sanità il14.04.03; i partecipanti sonostati oltre 100 da tutta la Re-gione Toscana con numerosiinterventi; ha concluso il

convegno l’assessore EnricoRossi del dipartimento salutee sicurezza della Regione To-scana.Dal convegno sono emerse leseguenti considerazioni:• La definizione di un centro

dovrebbe avere una conno-tazione dinamica dato l’e-volversi delle conoscenzemediche.

• L’attività di un centro di ri-ferimento dovrebbe esseredefinita: a) dall’epidemio-logia della malattia, b) dal-lo sviluppo di tecniche spe-cifiche ed innovative; c) dal-la produzione culturale.

• Dal punto di vista assisten-ziale le funzioni di un cen-tro di riferimento dovreb-bero essere definite: a) dal-la capacità di valutazionedei casi che hanno rarità e-pidemiologica; b) essere ingrado di eseguire metodi-che che richiedono espe-rienza particolare; c) esseredotati di strumentazionecomplessa e costosa.

• L’elevato numero dei centrinella Regione Toscana po-trebbe comportare una di-spersione delle competen-ze e delle risorse.

• È quindi indispensabile uncollegamento tra centri chehanno funzioni affini costi-tuendo una rete di servizi.

• Può essere utile la distin-zione tra centri di riferi-mento per l’area vasta ecentri di eccellenza che

hanno una valenza regio-nale o addirittura extrare-gionale; in tal modo il nu-mero complessivo di questicentri potrebbe essere ri-dotto a 20-40.

• Si potrebbe prevedere per icentri di eccellenza unavalutazione da parte di os-servatori “esterni”.

• È necessario sviluppareun’informazione adeguatatra i vari centri, verso imedici di famiglia, gli spe-cialisti e soprattutto la cit-tadinanza.

• La gestione da parte dei cen-tri di un sito a curadell’Agenzia regionale di sa-nità e del dipartimento si-curezza sociale potrebbepermettere una maggioreinformazione sull’attività delsingolo centro ed essere a di-sposizione degli addetti ailavori e degli utenti delServizio sanitario nazionale.

L’organizzazione adeguata deicentri di riferimento, indi-spensabile per qualificare l’as-sistenza sanitaria, promuove-re e garantire metodi innova-tivi di assistenza, evitando di-spersioni di risorse economi-che ed esperienze professio-nali, è un problema complessoche richiede disponibilità edimpegno da parte delle isti-tuzioni sanitarie. L’iniziativadell’Agenzia regionale tsosca-na si è mossa in questa dire-zione e porterà avanti ulte-riori iniziative in proposito.

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Page 30: l'errore in medicina

La gestione del rischiodi procurare un dannoalla salute del paziente

L’ERRORE IN MEDICINA

I princìpi giuridici sulle responsabilità individualio delle strutture sanitarie.Le strategie, i progetti di prevenzione e le esperienzecondotte in strutture ospedaliere regionali

Monografia a cura di Riccardo Tartaglia e Tommaso [email protected]

I contributi di questa monografia sono stati tratti dal Seminario nazionale “La sicurezza del paziente e l’errore inmedicina”, organizzato a Campi Bisenzio (Fi) nell’anno 2003

19807 S&T 139_4B 5-02-2004 11:07 Pagina 222

Page 31: l'errore in medicina

N. 139 - 2003 223L’errore in medicina

Il tema della malasanità edell’errore in medicina èdiventato un argomento

quasi quotidiano sui media enon viene mai controbilan-ciato dai ringraziamenti chepure ci giungono dai cittadi-ni per il buon funzionamentodella sanità pubblica toscana.Al di là della volontà di at-taccare complessivamente ilservizio pubblico, dandonecomunque un’immagine ne-gativa, per affrontare il pro-blema bisogna anche prende-re atto di una diffusa dispo-nibilità a recepire acritica-mente questo giudizio.Oggi la nostra società è nonsolo più ricca, ma anche cul-turalmente più preparata, piùinformata rispetto alla gene-razione che oggi è giunta al-la terza età; i cittadini vo-gliono essere riconosciuti co-me portatori di diritti e nonsono più disposti a tollerareun rapporto di sudditanza, disubordinazione verso le isti-tuzioni che dovrebbero tute-lare la salute pubblica.A questo proposito dobbiamoprendere atto che non si èdato sufficiente peso alla ne-cessità di alimentare unainformazione corretta sulfunzionamento del serviziopubblico, per cui nell’even-tualità di un errore, che pureè umano, avviene che lastampa lo amplifica, determi-nando sfiducia e rancore,

creando un circuito che si au-toalimenta.Bisogna poi sottolineare latendenza della medicina arappresentarsi come onnipo-tente, per cui ogni scoperta,ma anche ogni intervento,deve essere finalizzato sem-pre e soltanto al successo.La stampa, che dedica semprepiù spazio ai temi della salu-te, ma è anche influenzata dainteressi di parte, rafforzaquesta immagine, mettendoin atto una competizione frale strutture sanitarie indica-te, a torto o a ragione, comedi “serie A” o di “serie B”, in-dirizzando di conseguenza lerichieste di analisi e di inter-venti in maniera del tuttoimpropria. Il ministro Sirchia,per fare un esempio, ha fattouna classifica dei centri tra-pianto operanti nel nostropaese, un elenco che secondola mia opinione di politico edi governatore è francamenteavulso da ogni considerazio-ne di tempo, di luogo e so-prattutto di casistica.Detto questo, bisogna ricono-scere che sempre più spessoveniamo a conoscenza di er-rori commessi da medici, in-fermieri, personale sanitario.Errori che provocano danni,invalidità, e in qualche casoanche la morte dei pazienti.Sulla stampa arrivano solo icasi più clamorosi: per unoche viene alla luce, tanti altri

restano sconosciuti. Daglistudi internazionali condottifinora ci giungono dati im-pressionanti: negli Stati Uni-ti ne muoiono più per erroridei medici che per incidentistradali o sul lavoro, un erro-re su tre è dovuto a imperi-zia, almeno la metà dei cosid-detti “eventi avversi” sareb-bero prevenibili. In Europanon esistono ancora ricercheanaloghe, e anche in Italia lefonti di informazione dispo-nibili non consentono diquantificare l’entità del feno-meno nelle nostre realtà sani-tarie. Quello che è certo è chele segnalazioni e le denuncedi cui si viene a conoscenzanon sono che la classica pun-ta dell’iceberg, il grosso rima-ne sommerso.L’errore è insito nella natura u-mana, e qualche volta a sba-gliare sono anche le macchine.Per chi lavora nella sanità, il ri-schio di sbagliare è sempre inagguato. Un rischio che, anzi-ché diminuire, paradossal-mente cresce con il progrediredella medicina e della tecno-logia. Medici e infermieri la-vorano spesso in situazioni distress, fisico ed emotivo; sonosempre di più gli atti medici e-seguiti su un paziente duran-

te il ricovero; sono sempremaggiori le possibilità di dia-gnosi e terapia; c’è la tenden-za a ridurre la permanenza delmalato in ospedale: tutto que-sto crea un ambiente più ri-schioso per la sicurezza del pa-ziente e più stressante per glioperatori.Tutti gli esperti concordanonel considerare lo studio de-gli errori come uno dei temidi rilevanza primaria in ambi-to sanitario. Non serve occul-tare o negare gli errori: perevitare clamori, pubblicitànegativa, conseguenze legali,ed essere considerati menobravi. Molto meglio, invece,riconoscerli e prenderne atto:per analizzarli, studiarli, eimparare, proprio dagli errorifatti, a non ripeterli, o a nonfarne altri diversi.In questo scenario, prendereatto del problema dell’erroremedico e farne uno strumen-to di conoscenza significa ri-vedere i percorsi terapeutici,le scelte sanitarie in una lucecritica che può solo giovare alsistema nel suo complesso.Nel momento in cui ammettedi aver commesso un errore,il medico dovrebbe autode-nunciarsi, e quindi mettere inmoto un’azione penale nei

Le responsabilitàdell’informazione

Enrico RossiAssessore regionale per il diritto

alla salute

I possibili interventi strutturali per prevenire

o limitare il rischio di sbagliare

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224 L’errore in medicina N. 139 - 2003

suoi confronti; questo, com-prensibilmente, può creareun freno all’ammissione diavere sbagliato. È quindi ne-cessario individuare una me-todologia per arrivare ad unaanalisi, su pochissimi puntipertinenti al problema, delServizio sanitario regionale.In questo modo introdurrem-mo un sistema di interventoper la riduzione del rischio dierrore, dando un importantecontributo al cambiamentodella cultura medica.Nello stesso tempo bisognastudiare i mezzi per rendere ilcittadino più consapevoledella possibilità che un erro-re possa accadere, magari di-stribuendo, sia negli ospedaliche negli ambulatori medici,degli stampati che, pur am-mettendo un eventuale falli-mento dell’intervento, lo ras-sicurano sull’impegno dellastruttura per evitarlo e gliconsigliano come comportarsiper essere maggiormente tu-telato. Io credo che i cittadi-

ni, di fronte ad una messag-gio di questo tipo, si senti-rebbero onorati e consideraticome persone, stabilendo congli operatori un rapporto diempatia.A livello regionale ritengoutile e urgente creare unacommissione composta darappresentanti dell’aziendaospedaliera di Careggi, delConsiglio sanitario, dell’uni-versità e dell’agenzia sanita-ria, con l’obiettivo di indivi-duare un sistema per rilevarenon più di due punti critici,che non comportino penalitàper i medici e gli infermieridel sistema sanitario, solleci-tandone nello stesso tempola partecipazione. Questo po-trebbe portarci a rilevamentisui quali sarebbe poi possibi-le intervenire a livello strut-turale per evitare o ridurre ilrischio di errore.Prendere atto che il problemaesiste, è già un primo impor-tante e coraggioso passo peraffrontarlo, con la comune

volontà di capirne i meccani-smi e di cercare insieme comeporvi rimedio.È questo l’impegno che la Re-gione intende assumersi neiconfronti dei cittadini: unimpegno che del resto è nellospirito della Carta dei servizi,una sorta di ‘patto’ stretto tral’ente pubblico e i cittadini,proprio allo scopo di tutelarei diritti delle persone rispettoai servizi offerti.Sul fronte della lotta all’erro-re in medicina, in Italia sistanno muovendo ora i primipassi. Al San Filippo Neri diRoma funziona la prima ban-ca degli errori nella sanità,un sistema di monitoraggio èin funzione al San Raffaele diMilano, il Tribunale per i di-ritti del malato ha lanciato ilprogetto “Impariamo dall’er-rore”.La Regione Toscana è l’unica,per ora, ad aver attivato unosservatorio per il monitorag-gio dei reclami. E la Asl di Fi-renze, tra le prime in Italia,

ha adottato un modello di ap-proccio per l’analisi degli in-cidenti in campo medico, percapire le criticità organizzati-ve che possono essere causadi eventi avversi, e poterlecosì eliminare, migliorando lecondizioni di sicurezza per ipazienti.Ma siamo appena agli inizi,c’è ancora tanto da fare. Èmia intenzione investire delproblema il Consiglio sanita-rio regionale, e destinare unmiliardo di vecchie lire per-ché nelle tre aziende ospeda-liere-universitarie si costitui-scano altrettante équipe tec-niche con il compito di stu-diare le esperienze già realiz-zate, monitorare gli errorifatti e prevenire quelli futuri.Lavorare per una sanità mi-gliore e più efficiente significacertamente valorizzare ciò chefunziona bene, ma anche cer-care di migliorare sempre dipiù quello che invece funzionameno bene: e quindi anche e-liminare i rischi e gli errori.

(segue da pag. 219): Strategie di adeguamento della rete ospedaliera nazionale

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N. 139 - 2003 225L’errore in medicina

Il tema e i problemi chestiamo studiando ormai daparecchio tempo riguarda-

no gli errori o le omissioni, oalmeno quelle più gravi chenel campo dell’organizzazionesanitaria hanno dato luogo ainterventi giurisprudenziali sianel campo civile che nel cam-po penale.Soltanto per chi non è giuri-sta, vorrei premettere chel’errore nel nostro ordina-mento è considerato come unvizio della volontà; nel dirit-to civile l’errore dà luogo aun contratto invalido, nel di-ritto penale l’errore esclude ildolo, cioè esclude la volontàdi un determinato fatto.Quindi porta alla non punibi-lità, cioè a discriminare i fat-ti che sono puniti solo perdolo, ma non porta ad esclu-dere la punibilità dei fattiche sono puniti per colpa.È evidente quindi che l’erroreè un’indicazione di colpa;l’errore coincide con la colpastessa se questa com’è defini-ta dal nostro ordinamentopenale, coincide con negli-genza, imprudenza e imperi-zia. Di conseguenza l’ipotesiche noi definiamo spesso co-me errore, tecnicamente èun’ipotesi di colpa, se ovvia-mente manifesta di per sénon un caso fortuito ma unadisattenzione, un’impruden-za o un’impreparazione sulcaso concreto.

Ma l’errore non è solo valuta-bile come elemento di colpa èanche indicativo di un ele-mento di causalità. Gli eventi acui ci riferiamo non sono sol-tanto quelli che attengono al-la persona (per esempio un o-micidio colposo), ma anchequelli che riguardano beni ma-teriali (come per esempio l’in-cendio colposo) o ancora pos-sono attenere ad una sicurez-za più ampia riguardante lacollettività (si faccia l’esem-pio del disastro colposo aereo,ferroviario, navale ecc.).È evidente quindi che l’erro-re, per l’ordinamento giuridi-co, si colloca come una dellecause che possono provocareun determinato evento. Ognicausa può essere accompa-gnata da altre concause, maper il principio di equivalen-za causale, ogni causa è cau-sa dell’evento. Di conseguen-za è sufficiente, per rispon-dere di un determinato even-to, porre in essere una solacausa quindi un solo errore,anche se questo errore è con-catenato con altre cause, conaltre concause, che possonoessere precedenti, concomi-tanti oppure successive ri-spetto alla causa che stiamoesaminando.

Nel campo della sanità

Questo nel campo della sanitàporta subito ad evidenziare idiversi piani esistenti in

un’organizzazione complessache deve offrire un’assisten-za, una cura ed un servizioattraverso una moltitudine dibeni, di persone, di attrezza-ture. Quindi occorre distin-guere – e queste distinzionicorrispondono a diversi mo-menti storici degli studi edella giurisprudenza in que-sto campo – il piano medicoinnanzi tutto da quello para-medico, da quello ammini-strativo, e soprattutto daquello gestionale; all’internodel piano gestionale dobbia-mo distinguere una gestionedi vertice, da una gestione diprofilo più basso, un piano fi-nanziario per finire ad unpiano organizzativo struttu-rale di tutto il servizio.Proviamo a distinguere traquesti piani due grandi ambi-ti. Innanzi tutto il piano me-dico e paramedico, cioè glierrori umani, gli errori delprofessionista che costitui-scono ormai il tema di parec-chie centinaia di sentenzeche si sono occupate dellacolpa professionale medica.È un argomento spinosissimoche ha riguardato sia i profilidella causalità sia i profilidella colpevolezza, ed è tantocentrale che non più di due

mesi fa è dovuto intervenireil massimo collegio giurispru-denziale, la Cassazione a se-zioni unite, per porre deiprincipi in materia di colpaprofessionale medica. Quindianche per noi giuristi il temadella colpa medica si incentrasulla responsabilità per colpae in particolare sui principiche riguardano la causalità.

I principi sulla

responsabilità del medico

e/o del personale

paramedico

Studiando questi casi la giu-risprudenza incidentalmenteha indicato delle responsabi-lità che andavano ben oltre lasfera della responsabilità per-sonale del primario, del me-dico, del chirurgo, del gine-cologo, del paramedico, ecc.Per esempio le due note sen-tenze che si sono occupatedei danni da parto. Una pri-ma sentenza ha indicato ilmomento colposo di questaresponsabilità in una omis-sione dell’ostetrica, ma altempo stesso ha individuatola responsabilità del primarioper avere emesso un ordine diservizio che spostava il medi-co dalla sala parto. La deci-sione ha anche indicato uno

Il punto di vistagiuridico

Bruno GiordanoMagistrato, Ufficio Gip presso il

Tribunale di Milano

Omissioni, colpe individuali e responsabilità

delle organizzazioni sanitarie

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dei fattori colposi nella man-canza della disponibilità diun’attrezzatura. Una secondasentenza sempre in materiadi danno da parto ha fotogra-fato un caso diverso ma conprincipi simili.Si pensi ancora al caso delsuicidio occorso in un ospe-dale psichiatrico, dove è sta-ta evidenziata la responsabi-lità non di chi doveva curaresul piano medico la ricovera-ta che ha realizzato questosuicidio, ma di chi doveva as-sicurare la chiusura della fi-nestra con un sistema dichiusura adatto, e questo ov-viamente non è un problematerapeutico ma un problemastrutturale, di organizzazionedella struttura. Altra senten-za si è occupata di un medicoche ha assicurato l’idoneitàsportiva di un ragazzo, chedurante un incontro sportivoha incontrato la morte; il me-dico aveva omesso di diagno-sticare una determinata pato-logia cardiaca per mancanzadi una apposita attrezzatura.Le sentenze sono parecchiecentinaia; citiamo soltantoquelle che si riferiscono al-l’anno 2001-2002: una in par-ticolare che riguarda un com-plicato intervento chirurgicoindividua la responsabilità delprimario con queste parole cherichiamano l’articolo 7 comma5 del DPR 128 del ’69, “spettaal primario l’obbligo di gestirele urgenze e di organizzare ilcorretto funzionamento del re-parto anche in sua assenza, ri-spondendo di quanto in talestruttura accada anche in suaassenza”. Questo è uno dei pas-saggi che delineano la respon-sabilità al di là della presenzafisica per la organizzazione diun reparto, ma lo stesso prin-

cipio potrebbe valere per altrisettori. Il caso della tragediadel Galeazzi ad esempio è sta-to provocato, come è stato ac-certato da tre sentenze e di-verse perizie, anche per un di-fetto organizzativo.Una serie di altre sentenzehanno messo a fuoco, invece,la necessità che il medico siatenuto ad intervenire, e quin-di ad evitare l’omesso inter-vento, a favore del pazienteanche nel caso in cui ci sianopoche probabilità di succes-so, cioè anche nel caso in cuil’intervento chirurgico o unaltro intervento terapeuticonon sia necessario, o non sial’intervento risolutivo. Co-munque la Cassazione ha ri-petuto per parecchi anni enell’ultima sentenza ha ritoc-cato questo principio, l’obbli-go del sanitario e del profes-sionista sanitario di interve-nire anche se vi sono pocheprobabilità di successo per-ché è in gioco il bene vita, ilbene salute. La sentenza del-le sezioni unite Franzese, ciha fatto e ci farà discutereperché incentra sulla respon-sabilità del medico tutta unaquestione più ampia in temadi nesso di causalità. E laguerra di campo sul pianoscientifico è stabilire dove fi-nisce la causalità, dove noipossiamo provare scientifica-mente che un fatto è causa diun determinato evento e do-ve inizia invece la casualitàdi questo. Il limite cioè fral’aver causato ed il caso for-tuito è il limite fra la respon-sabilità e la non responsabi-lità. È un limite scientificoche però ci impone di osser-vare non solo la causa sog-gettiva, cioè la causa posta inessere da un essere umano,

ma anche delle cause oggetti-ve, strutturali, organizzative.

La responsabilità della

struttura sanitaria

È necessario quindi guardarein un secondo campo: quellodella responsabilità dellastruttura sanitaria, dove ne-gli ultimi anni si sono soffer-mate le sentenze dei giudicicivili che hanno riconosciutola responsabilità civile diistituti pubblici e di istitutiprivati per danno da parto,per danno da morte e ancheper danno esistenziale ri-spetto al paziente per gli er-rori occorsi.Quindi già civilmente lastruttura sanitaria è statachiamata a rispondere per ildanno del singolo professio-nista, del proprio medico, ca-gionato al paziente. Al ri-guardo è stato individuatoinnanzi tutto un rapporto tri-laterale costituito dal pazien-te, dal medico e dalla strut-tura sanitaria.L’intuizione di fondo, che co-stringe i giuristi a non poter-si allontanare da questa re-sponsabilità, ci deriva dallalegge di riforma sanitaria n.833 del 1978 perché espres-samente ha definito il dirittoalla salute non soltanto comediritto del cittadino, ma co-me interesse della colletti-vità. E questo è un principioche viene ribadito anche ne-gli ultimi DPR del 1999 e del2000. L’idea che la salute siaun fatto non individuale, maun interesse collettivo ha po-stulato nell’ambito dellariforma sanitaria e di tuttociò che poi ne è seguito, lanecessità che ci fosse unastruttura che si occupasse diquesto, di tutta la sanità, ap-

punto la struttura sanitaria,costituita, come dice espres-samente la 833, da funzioni,strutture, servizi e attività.Allora guardiamo in che mi-sura, come e quando la strut-tura sanitaria può causare undanno. Questa entità com-plessa è impersonale e ogget-tivizzata nella struttura. Sap-piamo che la struttura nonoffre soltanto cura, offre dia-gnosi, assistenza, usa delleattrezzature, usa dei macchi-nari, ha dei compiti di vigi-lanza all’interno e all’esternodei propri edifici individuatiper materia; si pensi al cam-po veterinario, alla medicinasociale, alla medicina del la-voro, alla sicurezza del lavoroecc. La struttura sanitaria of-fre anche vitto, alloggio e ri-scaldamento, cioè un servizioche richiama più quello al-berghiero che non quellostrettamente sanitario, per-ché questi sono i connotati.Ecco quindi che abbiamo di-stinto un danno, il danno damedico che è poi diventato ildanno da colpa medica daquesto danno che è da strut-tura sanitaria, e che chiara-mente occorre distingueredall’errore diagnostico o dalmero errore terapeutico. Inquesto, oggi, i nuovi decretidella fine degli anni ’90 e del2000, indicano ed indirizzanofermamente nella strutturasanitaria dei compiti a favoredella collettività. Sappiamoin cosa consiste il sistemadell’accreditamento, degli at-ti di indirizzo per i requisitistrutturali, tecnologici e or-ganizzativi per l’eserciziodelle attività sanitarie, dellestrutture pubbliche e private,per le cure trasfusionali, perle cure palliative ecc.

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L’organizzazione sanitaria

È costituita da tantissimi pro-fili.Più conosciamo questa orga-nizzazione, più siamo in gradodi liberarci della struttura del-le colpe dell’organizzazione sa-nitaria che possono ricadereinvece sulle responsabilità in-dividuali. Diceva Lucrezio qual-che millennio fa “l’uomo peressere libero deve conoscerela causa delle cose”.Allora l’organizzazione sani-taria è costituita da una seriedi aspetti, di cui abbiamo uncatalogo normativo per la lo-ro prevenzione. Quali sono gliaspetti organizzativi che pos-sono dar luogo nella lorocomplessità a dei momentieziologici, a causare un erro-re complessivamente?Innanzi tutto la disponibilitàdi personale qualificato neimomenti in cui è necessario.La sorveglianza nei servizi. Ilocali salubri, idonei e sicuri.Il coordinamento dei servizi.Le attrezzature a norma. Iprodotti sicuri.Abbiamo visto il rapporto pa-ziente-medico, e l’organizza-zione della sanità, ma abbia-mo da considerare i soggettinon legati alla struttura sani-taria da un rapporto di tera-pia, di cura o di diagnosi: ilavoratori delle strutture sa-nitarie presenti all’internodelle strutture stesse unita-mente ai pazienti. A differen-za di altri luoghi di lavoro,non si può distinguere l’uti-lizzo di una scala antincendioo di un piano di evacuazione,se lo usi l’infermiere o il pa-ziente che deve scappare. Lemisure di prevenzione sono lestesse e ovviamente vannoadattate a quella strutturasanitaria, per la presenza di

questi personaggi particolariche sono i pazienti.Quindi abbiamo due campi nor-mativi che trovano sicuramen-te diretta applicazione. Il pri-mo è quello delle norme in te-ma di sicurezza del lavoro, po-sto che parliamo di luoghi dilavoro, le cui norme funziona-no e valgono anche per i pa-zienti. Qui ovviamente occorrerichiamare non soltanto tuttala legislazione degli anni ’50,ma la più recente legislazionedi derivazione comunitaria co-stituita dal decreto 626 del’94, che è incentrato già dal-l’articolo 1 e dall’articolo 3 sulrispetto di alcuni principi chevalgono per tutte le attivitàprivate e pubbliche. Uno diquesti, è il rispetto dei princi-pi ergonomici, previsto dal-l’articolo 3 lettera F, sia nellascelta delle attrezzature, sianei metodi di lavoro, nei pro-cessi produttivi e nell’organiz-zazione del lavoro stesso. È e-vidente quindi che questi prin-cipi ergonomici implicano an-che il dovere di prevenzioneculturale, cioè di sapere di es-sere formati ed informati maanche di informare altri sullecondizioni organizzative e sul-la scelta di attrezzature. Malo stesso articolo 3 prevede unaltro principio fondamentale,che già il legislatore comuni-tario ha voluto distinguere daiprincipi ergonomici per esal-tarne la funzione, e cioè l’ob-bligo di informazione, di for-mazione, di consultazione e dipartecipazione: sono quattrosostantivi che si riferiscono aquattro principi diversi.La partecipazione non è lastessa cosa della consultazio-ne né tanto meno della for-mazione o dell’informazione,concetti diversi che comples-

sivamente attengono comun-que ad un ruolo attivo di tut-ti i soggetti che partecipanoal momento lavorativo, maanche dei soggetti che nonpartecipano al momento la-vorativo, ma che comunque siimbattono in questo, comepossono essere i pazienti.Una scala antincendio di cuinon viene resa nota la pre-senza ai pazienti, cioè allepersone che malaugurata-mente dovrebbero essere iprimi ad utilizzarla e i primiad essere aiutati nell’utiliz-zarla è una scala antincendioche non esiste dal punto divista dei principi giuridici,perché la presenza della scalaantincendio deve essere par-tecipata, deve essere oggettodi informazione e quindi chideve far usare quella scalaantincendio deve essere con-sultato, formato e informato.

La valutazione del rischio

Ma vi è un terzo principiofondamentale in materia disicurezza del lavoro, da cuidobbiamo prendere le mosse,per entrare nelle responsabi-lità della struttura sanitaria:il documento di valutazionedel rischio. È un documentoin cui occorre fotografare ilrischio presente, come vuolel’articolo 4 lettera a, in cuioccorre fotografare, descrive-re e sottoscrivere da parte deldatore di lavoro, dal verticedella struttura sanitaria cheha un obbligo non delegabile,quindi strettamente persona-le, di prevenire, identificare etrascrivere le misure di pre-venzione su questo.Quindi bisogna fotografare ilrischio e bisogna anche indi-care come stiamo prevenendoquel rischio. Ma la lettera c

impone un terzo obbligo,quello di indicare le misureopportune che si intendonoadottare per migliorare neltempo questo tipo di misuredi prevenzione. Qui è succes-so un grave errore, anche tranoi magistrati: quello diidentificare questa lettera ccome una sorta di auto de-nuncia; se si scrive nel docu-mento di valutazione del ri-schio quello che ancora dob-biamo fare, sostanzialmentestiamo scrivendo quello cheancora non abbiamo potutofare, quindi ci stiamo autodenunciando, mettendo periscritto le misure che non ab-biamo ancora adottato. Lalegge non dice questo, la leg-ge prevede nella lettera a enella lettera b, il dovere diidentificare il rischio e di di-re come lo ha già prevenuto,nella lettera c quali sono lemisure opportune, non quellenecessarie, per migliorare lasicurezza in quel luogo di la-voro. Quindi quello che non ènecessario, ma in base all’e-voluzione tecnologica o aduna certa priorità, è possibileadottare nel tempo.In un processo portato allamia competenza riguardanteil direttore generale di unospedale di Milano, pur inpresenza di centinaia di con-travvenzioni, di centinaia direati, si è giunti alla assolu-zione, perché questo sogget-to come organo di verticedell’ospedale ha dimostratodi aver bandito tutti gli ap-palti secondo un regime co-munitario, di aver iniziatoma di non aver potuto chiu-dere le diciotto sale partoperché questo avrebbe signi-ficato l’interruzione di unpubblico servizio, di non po-

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ter chiudere tutte le sale chi-rurgiche perché anche questosarebbe stato un interventotraumatico per l’esistenzastessa del servizio, ma di ave-re scalettato delle priorità inmodo tale da aver consentito,progressivamente nel tempo,di mettere a norma tutte lesale operatorie, ma per tempiche certo non dipendevanodalla sua capacità organizza-tiva o dalla sua stretta re-sponsabilità.Infine lo stesso decreto legi-slativo 626 del 1994, obbliganella valutazione del rischioad identificare il rischio per lasalute della popolazione e latutela della collettività. È evi-dente quindi che c’è un ambi-to da coprire che riguarda nonsolo i singoli lavoratori: art.4, comma quinto, lettera n.

Formazione e informazione

Per ultimo quello che più ciriguarda è l’obbligo di forma-zione e di informazioneespressamente previsto dagliarticoli 21 e seguenti. È ovvioche l’obbligo di formazioneed informazione unitamentea quello della consultazione e

della partecipazione, non puòtrascurare l’obbligo di venirea conoscenza degli errori,delle distorsioni, delle scon-nessioni che possono esserci,e quindi anche l’obbligo diportarli a conoscenza. Questanon è una forma di comuni-cazione di cui aver paura, mafa parte dei contenuti del-l’obbligo di formazione, chechiaramente presuppone unoscambio reciproco di informa-zione e formazione tra chi hala formazione e chi la deve ri-cevere. Tra chi ha l’informa-zione e chi la deve ricevereper farne a sua volta altraformazione o altra informa-zione.Passando al campo normativoche riguarda più specifica-mente la sanità dettato dalDPR 229 del 1999, che indivi-dua nel dipartimento di pre-venzione anche questo tipodi competenze, leggiamo peresempio “tutela della collet-tività e dei singoli dai rischiinfortunistici e sanitari con-nessi comunque agli ambien-ti di lavoro”. Vi è un riferi-mento ancora più importantealla formazione, che è dettato

dall’articolo 16 bis, che e-spressamente è rubricato “for-mazione continua”, distintotra l’aggiornamento profes-sionale e la formazione per-manente. Quest’ultima vieneesattamente identificata comequell’attività finalizzata a mi-gliorare le competenze e le a-bilità cliniche, tecniche e ma-nageriali e di comportamentodegli operatori sanitari ri-spetto al progresso scientificoe tecnologico, con l’obiettivodi garantire efficacia, appro-priatezza, sicurezza ed effi-cienza dell’assistenza presta-ta. Vi sono quindi dei precisiobblighi che cadono in capoalla struttura sanitaria.Infine, una recentissima sen-tenza di un tribunale italia-no, a proposito di un infortu-nio sul lavoro, si è occupatadi verificare quale fosse lapunibilità o la non punibilitàper un infortunio occorso al-l’interno dello stabilimento diuna casa farmaceutica, quin-di non una struttura sanita-ria, ma uno stabilimento in-dustriale, che ha ricevuto lacertificazione ISO14001. Inquesto caso il giudice ha rite-

nuto di assolvere l’imputatoperché l’adeguamento pieno aquella certificazione integra-va pienamente l’esimentedell’assenza di colpa perchédava la dimostrazione chetutte le misure erano stateadottate. Questa è per ora laprima ed unica sentenza inItalia che si è occupata diquesto profilo di colpa di chiè dotato di questa certifica-zione.Infine: il confine che c’è trala causalità, quindi la re-sponsabilità, e la casualità èdovuto alla nostra scienza,la nostra preparazione, allanostra conoscenza dei fatti.Laplace scrisse che il caso èla somma delle nostre igno-ranze. Infatti quando ci ap-pelliamo al caso fortuito èperché non ci spieghiamo undeterminato fatto; forse mol-ti dei casi che hanno riguar-dato i medici con la respon-sabilità delle strutture sani-tarie, sicuramente potevanogià essere evitate se ci fos-se stata una maggiore cono-scenza delle condizioni incui gli stessi soggetti opera-vano.

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N. 139 - 2003 229L’errore in medicina

Una quota di errori inmedicina è inevitabilee, anche alla luce di

tale consapevolezza, del tut-to recentemente l’attenzioneper gli aspetti metodologicidell’errore in sanità è aumen-tata notevolmente. Moltefonti indicano consensual-mente che gli errori sono dif-fusi e comuni a tutte le disci-pline ed aree mediche, che laloro gestione tramite la valu-tazione della frequenza e lapromozione di interventi diprevenzione e contenimentoè di fatto possibile, che è al-trettanto possibile – ed anzinecessario – apprendere daglierrori pregressi anche al finedi evitarne la ripetizione, eche è essenziale allestire si-stemi di sorveglianza deglierrori fondati su informazio-ni aggiornate ed affidabili.La genesi degli errori mediciè complessa, e ad essa con-corrono difetti organizzativi,carenze strutturali, carichi dilavoro eccessivi, scarsa co-municazione tra i diversioperatori. Gli eventi avversi egli incidenti scaturisconopertanto da tutta una seriedi passaggi che vedono coin-volte le cause remote (caren-za di risorse, scarsa organiz-zazione dei servizi), le condi-

zioni di lavoro (deficit di su-pervisione, conoscenza edabilità tecnica), le cause im-mediate (omissioni, difetticognitivi) ed infine i mecca-nismi di controllo. Varie e di-verse sono le tipologie di er-rore in sanità, ma probabil-mente le più comuni ricono-scono gli errori di violazione,quelli di esecuzione, quelli dicomunicazione, quelli di ca-pacità ed esperienza, e gli er-rori decisionali 1.Proprio nella prospettiva del-la riduzione della frequenza egravità di quest’ultima tipo-logia di errore sono stati ela-borati in molti paesi i cosid-detti “critical pathway” (CP),denominati in Italia “profilidi cura” o “percorsi diagno-stico-terapeutici”, che sono“piani di gestione che dichia-rano gli obiettivi per il pa-ziente e forniscono la se-quenza temporale delle azio-ni necessarie per raggiungerlicon efficienza ottimale” 2. Ta-li strumenti di cura non han-no avuto origine in medicina,ma in ambito industriale, co-me mezzi per identificare egestire le tappe limitanti larapidità dei processi di pro-duzione 3.L’interesse per questi stru-menti in medicina è nato nel

campo dei sistemi sanitari le-gati al pagamento prospetti-co, in quanto essi sono statiritenuti in grado di ottimiz-zare l’efficienza ospedalieratramite la riduzione della va-riabilità nella pratica clinica,la razionalizzazione nell’uti-lizzazione delle risorse e ilmiglioramento della qualitàdi cura 4 5. I primi CP adottatiin ambito sanitario sono sta-ti sviluppati dal personale in-fermieristico 6, ma ben prestolo sviluppo e l’applicazionepratica di questi strumentisono diventati prerogative diteam multidisciplinari così daabbracciare tutti gli aspettidella cura dei pazienti ospe-dalizzati 7.

Disegno dei criticalpathwayLe principali componenti di o-gni CP possono essere consi-derate la tempistica, le cate-gorie di cura e i loro interven-ti, gli outcome intermedi equelli a lungo termine, la do-cumentazione della varianza 8.

Il formato di presentazionepiù frequente dei CP è rap-presentato dalla cosiddettacarta di Gantt, che delinea ilprocesso di cura suggerito ba-sandosi su una matrice di“incarichi a tempo” enume-rante i componenti del pro-cesso in una colonna, affian-cata da altre colonne che fan-no riferimento alla tempisticae contenenti gli interventi daeseguire. I componenti delteam multidisciplinare sonoquindi in lista nella prima co-lonna mentre nelle contigue,definite dalla tempistica chepuò essere scandita in giornio in ore, vengono definite leazioni da compiere da partedi ogni componente del teamstesso. All’interno della cartadi Gantt sono esplicitati an-che i “passaggi di transizio-ne” relativi al percorso delpaziente ovvero gli outcomeintermedi che si progetta diottenere e che indicano lacorretta progressione del pa-ziente stesso all’interno delCP. Qualora questi outcome

Il “critical pathway”Gian Franco Gensini* **

Andrea A. Conti* **

Raffaele Rasoini*Carlo Rostagno*

* Dipartimento di Area criticamedico chirurgica, Università

degli Studi di Firenze** Fondazione Don CarloGnocchi, IRCCS Firenze

I percorsi diagnostico-terapeutici come stru-

menti di valutazione e di riorganizzazione de-

gli interventi

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intermedi non vengano perqualche ragione ottenuti, en-tra a far parte del CP la va-rianza, definita come una de-viazione da una o più attivitàoppure obiettivi elencati nelCP, varianza che potrebbe in-terferire con gli esiti attesi 8.

Obiettivi dei criticalpathwayI principali obiettivi dei CPsono i seguenti:1. Selezionare la migliore pra-

tica clinica possibile quandoesistono inutili disomoge-neità nella gestione di unadeterminata condizione.

2. Definire gli standard per ladurata attesa della degenzae per l’utilizzo dei saggi dia-gnostici e dei trattamenti.

3. Analizzare le relazioni tra idifferenti passaggi nelprocesso di cura con la fi-nalità di individuare mo-dalità per coordinare e ri-durre il tempo impiegatonelle tappe limitanti la ra-pidità del processo stesso.

4. Fornire a tutto il personalesanitario un piano comunedal quale sia possibile evin-cere i vari ruoli specifici nel-l’ambito del processo di cura.

5. Ridurre il carico di erroretramite procedure comuni,standardizzate e condivise.

6. Fornire un modello perraccogliere i dati riguar-danti il processo di cura alfine di valutare quantospesso e perché i pazientisi discostano dal percorsoatteso durante il ricovero.

7. Snellire l’imponente docu-mentazione relativa al pa-ziente sia per il personalemedico che per quello in-fermieristico.

8. Migliorare la soddisfazionedel paziente attraverso l’e-

ducazione del medesimo edei familiari circa il pianodi cura 2.

I CP possono, inoltre, essereutilizzati come strumenti peruna valutazione della appro-priatezza degli interventidiagnostico-terapeutici, an-che in considerazione dellaloro struttura, che richiede lacompilazione di tutti i campipresenti da parte di ognicomponente del gruppo mul-tidisciplinare coinvolto, cosìda rendere facilmente ricava-bili a posteriori i dati che te-stimoniano gli atti svolti 5.Questa loro funzione indicachiaramente le loro potenzia-lità in termini di prevenzionedel verificarsi dell’errore e digestione dello stesso una vol-ta che si è verificato.

Preparazione ed

implementazione dei

critical pathwayLo sviluppo e la successivaapplicazione di un CP nellapratica clinica richiedono unaserie di passaggi.

Selezione di un’area sanitariaI CP vengono elaborati per mi-gliorare la cura di patologieassociate con procedure dia-gnostiche e interventi tera-peutici di costo elevato, inparticolare per le malattie ri-guardo alle quali si ritiene visia notevole variabilità tragruppi diversi di medici inmerito alla scelta degli inter-venti da eseguire 4. Anche al-cune procedure chirurgichequali il by-pass aorto-corona-rico si prestano bene allo svi-luppo di questi strumenti inquanto il processo di cura dif-ferisce relativamente poco trapaziente e paziente. In ambi-to cardiologico le procedure

coronarografiche, l’angiopla-stica primaria, la gestione del-l’infarto miocardico acuto edell’angina instabile rappre-sentano situazioni in cui ilcorso degli eventi durante l’o-spedalizzazione risulta rela-tivamente prevedibile e nellequali d’altra parte è stata do-cumentata un’estrema varia-bilità di azione. Fra diversi o-peratori, infatti, esistono da-ti a favore di una non adesio-ne alle raccomandazioni con-tenute nelle linee guida e inquesto senso i CP potrebberomigliorare la qualità di curaconsentendo una maggiore a-derenza alle stesse 5.

Valutazione del processo assi-stenzialeDurante tale fase è necessarioidentificare le disomogeneitàdi azione evidenti tra i medicinonché il ruolo di ogni com-ponente coinvolto nel proces-so di cura. Altro obiettivo èquello di individuare, tramiteun’analisi dettagliata delletappe della gestione ospeda-liera relative alla patologia inquestione, gli outcome inter-medi e finali che si rendononecessari per documentare l’a-derenza agli obiettivi del CPda parte del paziente e delpersonale sanitario 2.

Valutazione delle evidenze di-sponibili e della loro applica-zione praticaAttualmente la letteraturamedica fornisce un buon nu-mero di informazioni circal’efficacia dimostrata di saggidiagnostici ed interventi te-rapeutici. Purtroppo, in molticasi, la letteratura ha finoraavuto un’importanza limitatanello sviluppo di un CP. Difatto, numerose domande che

il team deve porsi e alle qua-li deve cercare di rispondere,come quelle relative alla mi-gliore evidenza cui fare riferi-mento per l’implementazionedella cura, alla durata idealedella degenza, agli outcomeintermedi da definire e allasoddisfazione del paziente,raramente sono state oggettodi studi ben condotti 9. Consi-derata quindi in molti casi lacarenza di prove di efficaciain letteratura, una metodolo-gia utilizzabile per coadiuva-re il team nello sviluppo diun CP è quella del “bench-marking”, ovvero il confrontocon altre istituzioni che han-no costruito e messo in operaun pathway relativo alla stes-sa condizione patologica 10.

Documentazione e analisi del-la varianzaLa varianza riguarda gli esiticlinici del paziente o le azionidel team che discordano dalleaspettative del pathway. Levarianze legate ad azioni dellostaff sono spesso da attribuiread omissioni nei confronti diciò che è suggerito nel CP.D’altra parte, poiché i primi CPsi sono focalizzati essenzial-mente sull’accelerazione dellasequenza di attività da com-piere, molti sistemi di analisidella varianza hanno indagatoesclusivamente interventi ooutcome che non si verificanonei tempi stabiliti. Comunque,dal momento che ogni azionedi un CP può essere considera-ta una fonte di varianza senon eseguita in assoluto o neitempi stabiliti, molte istitu-zioni hanno incontrato duran-te la messa in opera di questistrumenti un “sovraccarico divarianze”, molte delle qualiperaltro non significative nel

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modificare gli outcome clinici,la soddisfazione del paziente el’utilizzazione delle risorse 10.Un approccio per risolvere que-sto problema potrebbe esserequello di concentrarsi su pochiargomenti critici del CP iden-tificati a priori, che rappre-sentino outcome intermedi, al-la costituzione dei quali con-corrono definiti determinantisignificativi 2.

Applicazione pratica dei criti-cal pathwayMolti studi non controllatieseguiti in ambiti differentihanno riportato riduzionidella degenza dal 5% al 40%,riduzioni dei costi fino al

33%, significative diminuzio-ni nelle percentuali di riam-missione e aumento dellacompliance da parte dei pa-zienti 6. Al contrario, datiemersi da altri studi non han-no mostrato benefici signifi-cativi riguardo la riduzionedei costi e gli outcome dei pa-zienti 11 12. Al di là dell’even-tuale successo o insuccessodel CP è comunque essenzialela formazione di tutto il per-sonale coinvolto. Risulta fon-damentale, infatti, la defini-zione dei ruoli e delle respon-sabilità secondo aspetti tem-porali critici 10, e l’ampia spe-rimentazione di tali modelliassistenziali al fine di valu-

tarne in modo sempre più do-cumentato l’affidabilità “sulcampo”.

Considerazioni conclusive

La “epidemiologia” dell’erro-re in medicina è particolar-mente articolata. L’errore amonte del CP è naturalmentemolto pericoloso, in quantoqualunque percorso imbocca-to a valle di esso, per quantocorrettamente seguito e ap-propriatamente applicato,non può condurre alla solu-zione del quesito clinico. Lapreparazione e la sensibilitàdel singolo clinico sono quin-di sempre (e sempre più) im-portanti nell’indirizzare i

comportamenti appropriatinella sanità attuale. Nell’ot-tica del miglioramento del li-vello di attenzione di tuttigli operatori sanitari nei con-fronti dell’intero iter diagno-stico-terapeutico, lo stru-mento critical pathway appa-re promettente e merita ulte-riori sperimentazioni. Leesperienze già in corso, tracui in ambito nazionale unacondotta dal nostro grupposullo scompenso cardiaco,potranno gettare luce sull’ef-ficienza clinico-gestionaledei critical pathway, e sullaloro efficienza nel ridurre glierrori organizzativi, gestio-nali e decisionali.

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La sicurezza è una com-ponente fondamentaledella qualità dell’assi-

stenza socio-sanitaria. L’In-stitute of Medicine americanola definisce come “assenza didanni o lesioni accidentali”o ancora come “evitare ai pa-zienti danni derivanti da at-tività sanitarie che hanno loscopo di aiutarli”. Questa se-conda definizione esprime inmodo efficace la responsabi-lità del tutto peculiare che,sul fronte della sicurezza, di-stingue un’organizzazionesanitaria da qualunque altraorganizzazione: un’organiz-zazione sanitaria che procuridanni o lesioni accidentaliattraverso la propria atti-vità, la cui ragion d’essereconsiste invece nel portareaiuto, tradisce il propriomandato di fronte alla so-cietà. La sicurezza di cittadi-ni e pazienti è dunque parteintegrante della realizzazio-ne di un mandato che consi-ste nel mantenimento e nelmiglioramento della salute.In quanto tale, la sicurezzadeve rappresentare un obiet-tivo prioritario e un risulta-to (misurabile) di ogni orga-nizzazione sanitaria, laddovecon tale termine si intendenon solo un’azienda, unospedale, un’unità operativao un servizio, ma anche unintero sistema sanitario, re-gionale o nazionale.

I problemi di sicurezza perpazienti e cittadini possonogeneralmente considerarsi laconseguenza di un utilizzoscorretto dei servizi e/o diuna inadeguata organizzazio-ne degli stessi. La definizionedi sicurezza è strettamenteconnessa a quella di “errore”,inteso sia come “mancata at-tuazione di un piano secondole tappe previste” (errore diesecuzione) sia come “messain atto di un piano sbagliatoper raggiungere un obiettivo”(errore di pianificazione).Non tutti gli errori si tradu-cono in un danno, ma quan-do questo accade si verificaun “evento indesiderato pre-venibile”, cioè un danno evi-tabile causato (o non impedi-to) dall’intervento sanitariopiuttosto che dalla condizio-ne clinica del paziente. Rien-trano in questa definizione dierrore, ad esempio, errori ditrasfusione, errori di tratta-mento farmacologico, inter-venti chirurgici in sedi sba-gliate, errori di identificazio-ne del paziente. L’errore, inassenza o in presenza di dan-ni, può essere rilevato comeevento critico dei processi as-sistenziali. I danni possonoessere rappresentati da com-plicanze chirurgiche, da inci-denti (ad esempio cadute,ustioni) o da patologie medi-che (ad esempio infezioni no-socomiali, ulcere da pressio-

ne, patologie da farmaci) esono rilevabili attraversoflussi informativi correnti oattraverso rilevazioni ad hoc.La difesa della sicurezza ri-chiede la messa in atto diazioni efficaci per la preven-zione degli errori e per il con-tenimento delle rispettiveconseguenze. Gli sforzi perl’attivazione di tali program-mi nelle organizzazioni sani-tarie si scontrano spesso conla mancanza di una tassono-mia condivisa e di processiinformativi appropriati perl’identificazione e la rileva-zione degli eventi indesidera-ti. Gli stessi processi di auto-rizzazione e di accreditamen-to, che intervengono soprat-tutto sulla creazione e sulmantenimento di condizionistrutturali, tecnologiche e or-ganizzative adeguate a pro-durre buona assistenza, nonsempre fanno riferimentoesplicito a obiettivi di sicu-rezza e non sempre rappre-sentano quindi una garanziasufficiente o, addirittura, inalcuni casi possono fornireuna falsa rassicurazione allacomunità.Ma sono soprattutto le diffi-coltà culturali ad ostacolarela crescita di iniziative effica-

ci su questo fronte. Difficoltàculturali che fanno capo so-stanzialmente a tre impor-tanti fattori:1. La visione di sistema.2. L’attenzione alla manuten-

zione.3. L’uso appropriato dell’infor-

mazione e della comunica-zione.

Visione di sistema

Consente di leggere l’organiz-zazione come un insieme difattori tra loro correlati, fina-lizzati al raggiungimento diun obiettivo comune. In unaprospettiva sistemica ognioperatore, ogni gruppo dioperatori, è in continuo col-legamento con altri anelli diuna catena e nello svolgi-mento della sua attività con-temporaneamente influenzae viene influenzato, producee subisce effetti. In questaprospettiva l’errore non è ilrisultato di un comportamen-to aberrante di pochi indivi-dui, ma un evento atteso, chefa parte della condizioneumana di fallibilità e la cuiprobabilità viene continua-mente modificata dalle inte-razioni che si svolgono den-tro l’organizzazione. Il siste-ma (l’organizzazione) può e

La cultura dellasicurezza

Stefania RodellaCoordinatore Osservatorio

qualità, Agenzia regionale disanità della Toscana, Firenze

La gestione del rischio nelle organizzazioni

sanitarie

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deve attrezzarsi per preveniree contenere l’errore, può edeve costruire, dentro i suoiprocessi, nel cuore del suofunzionamento, meccanismiadatti a difendersi. Come diceReason, “non possiamo cam-biare la natura umana, mapossiamo cambiare le condi-zioni in cui gli esseri umanilavorano”. Nelle nostre orga-nizzazioni sanitarie purtrop-po prevalgono ancora da unlato una visione del lavoro“verticale”, poco favorevoleal gioco di squadra, dall’altrouna concezione individuale,morale e punitiva dell’errore.

Attenzione alla

manutenzione

Gioca nella vita delle nostreorganizzazioni (ma anche nel-le nostre vite individuali) unruolo conflittuale. In generaleviene considerata un peso an-ziché un aumento del valoreaggiunto. Per manutenzionenon si intende soltanto un in-sieme di operazioni su attrez-zature, locali, muri o infissi,ma anche cura e conservazionedei gesti e della loro precisio-ne. La manutenzione richiedetempo e concentrazione ed èscarsamente compatibile conquella che James Hillman chia-ma “una visione eroica” dellaproduzione, in cui i ritmi sonoin accelerazione continua, leattività si moltiplicano e si so-vrappongono (anche a causadella visione “verticale” del la-voro, cui si accennava poco fa)e l’entropia è in continuo au-mento. Girare molte volte algiorno un paziente allettatoper prevenire un’ulcera da pres-sione, scrivere in modo leggi-bile un diario clinico per evi-tare errori di lettura da parte dialtri medici, lavare le mani per

un tempo sufficiente dopo o-gni visita, controllare in modosempre uguale il nome del far-maco e del paziente prima del-la terapia: sono tutte opera-zioni di manutenzione, ripeti-tive, modeste, tutt’altro che“eroiche”, la cui accurata ese-cuzione si traduce non in un e-vento visibile (e quindi poten-zialmente gratificante perchériconosciuto dalla comunità),ma in un’assenza di eventi equindi in un effetto “invisibi-le”. È forse questa mancanza divisibilità che rende così diffi-cile talvolta, nelle nostre or-ganizzazioni, dare il peso ne-cessario (obiettivi, tempo, ri-sorse, formazione) a queste at-tività? Esiste un aspetto co-gnitivo da superare, così comeavviene per tutte le attivitàvolte a prevenire? Ma qual è ilcosto, a conti fatti, di una ma-nutenzione non riuscita?

Uso appropriato

dell’informazione e della

comunicazione

Le nostre organizzazioni pro-ducono continuamente masseenormi di informazioni. Alcunesi traducono in flussi informa-tivi strutturati, altre vanno adaccrescere un patrimonio diconoscenza stabile e accessibilesecondo varie necessità, altrevengono scambiate continua-mente nell’esercizio delle atti-vità, moltissime vengono rias-sorbite o perdute. Qual è l’usoappropriato dell’informazione edella comunicazione nella di-fesa della sicurezza? Lo scien-ziato sociale americano RonWestrum ha definito tre tipo-logie di ‘cultura della sicurez-za’ in base al modo in cuiun’organizzazione utilizza leinformazioni ad essa correlate.Un’organizzazione cosiddetta

‘generativa’ o ‘ad alta affidabi-lità’ ‘incoraggia gli individui ei gruppi ad osservare, indaga-re, trarre conclusioni e farleconoscere e, laddove le osser-vazioni riguardano aspetti im-portanti del sistema, portarlein modo attivo all’attenzionedel management. Al contrario,un’organizzazione “patologi-ca” punisce o insabbia le man-chevolezze e scoraggia le ideenuove. In breve, non vuole sa-pere. Infine, un’organizzazione“burocratica” (la tipologia piùdiffusa) reagisce ad un livellointermedio, nella convinzioneche le nuove idee possano co-munque creare problemi. Lagestione della sicurezza e del-la qualità viene “recintata” e iproblemi vengono risolti coninterventi locali e delimitatipiuttosto che con riforme di si-stema. La costruzione di unsistema informativo realmenteorientato alla qualità e alla si-curezza non passa quindi soloattraverso flussi informativiben disegnati e correttamentegestiti, ma anche attraverso i-niziative che incoraggiano se-riamente attività ad elevatavalenza informativa, come ilreporting, l’audit, il bench-marking, in stretto collega-mento all’esplicitazione di o-biettivi misurabili, piuttostoche alla semplice, seppure au-spicabile, visibilità di approccimetodologici più o meno in-novativi. Esiste inoltre l’infor-mazione e la comunicazionecon il paziente. La sicurezzadel paziente deve essere ga-rantita ma anche comunicata.Oltre ad essere sicuro il pa-ziente o il cittadino deve “sen-tirsi” sicuro. E questa perce-zione positiva si annida in tan-ti dettagli diversi: l’ordine ela pulizia degli oggetti, la cal-

ma degli operatori, la chiarez-za nelle informazioni fornite,segni verbali e non verbali diattenzione, la “messa in scena”di un clima disteso anche incondizioni organizzative dif-ficili.In sintesi, un intervento effi-cace per la difesa della sicu-rezza nelle organizzazioni so-cio-sanitarie dovrebbe fon-darsi soprattutto su due ele-menti di grande rilevanzaprogettuale:1. Un obiettivo generale: co-

struire e rafforzare gradual-mente una “cultura della si-curezza”, che consenta dipassare da una posizioneautoreferenziale (“va tuttobene, siamo bravi, gli erro-ri sono rari”) a una posi-zione “generativa” (“esisto-no possibilità di migliora-mento, l’errore è un eventoatteso ma controllabile, o-gnuno di noi può compiereerrori”) e da una cultura del“colpevole” a una culturadella “ricerca delle cause disistema”. Tali cambiamentisono raggiungibili solo at-traverso interventi forma-tivi mirati, prolungati, stret-tamente connessi a proget-ti di cambiamento organiz-zativo e tali da favorire, congradualità ma con conti-nuità, un vero e propriocambiamento di modello co-gnitivo.

2. Una scelta di prorità: iden-tificare alcune aree assi-stenziali nelle quali attiva-re un processo ad elevatafattibilità e con valenza diprototipo, con il coinvolgi-mento dei professionisti econ il sostegno delle dire-zioni sanitarie. I critericon cui identificare taliaree possono essere quelli

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del maggior rischio e com-plessità delle attività assi-stenziali che vi si svolgo-no, ma anche di una mag-giore sensibilità e disponi-bilità degli operatori.

Sulla guida di tali elementifondanti è possibile alloraelencare alcuni obiettivi spe-cifici e concreti per l’organiz-zazione sanitaria (ospedale,azienda, sistema sanitario re-gionale) che voglia attuareun progetto realistico per ladifesa della sicurezza:1. Inserire obiettivi di sicu-

rezza misurabili nei propripiani strategici (e piani sa-nitari).

2. Costruire/condividere/adot-

tare un glossario comune perla definizione degli eventiavversi.

3. Attivare specifici progettidi rilevazione degli eventiavversi, con particolare ri-ferimento ad alcune areeassistenziali critiche e conl’eventuale adozione di si-stemi di incentivazione le-gati alla rilevazione stessa,base di partenza per suc-cessivi progetti di riduzio-ne degli eventi.

4. Attivare specifici program-mi mirati alla diffusione dipratiche efficaci per la si-curezza nella somministra-zione di farmaci.

5. Scegliere alcuni indicatori

generali a “basso costo”,ricavabili dai flussi corren-ti, a cui collegare iniziati-ve di audit.

6. Sostenere queste iniziativecon adeguati “rinforzi” for-mativi, utili sul piano me-todologico ma, soprattutto,sul piano culturale e cogni-tivo.

È importante inoltre sottoli-neare, ed è questo un datosegnalato ampiamente inletteratura, come l’efficaciae l’utilità decisionale dellarilevazione di dati e della de-finizione e adozione di indi-catori di sicurezza sia stret-tamente legata all’esistenzadi un progetto complessivo

dell’organizzazione, costrui-to dentro il sistema, estesogradualmente a tutti i suoilivelli organizzativi, soste-nuto dalla direzione. Infineè bene ricordare: la “sicurez-za” è l’obiettivo, la “gestio-ne del rischio” è lo strumen-to. L’attivazione e il finan-ziamento di unità operativeo gruppi di lavoro per la ge-stione del rischio sarà vera-mente efficace solo se l’orga-nizzazione nel suo comples-so investirà su obiettivi disicurezza e qualità, anche li-mitati, anche non “eroici”,ma fattibili, misurabili e co-municabili a cittadini e pa-zienti.

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N. 139 - 2003 235L’errore in medicina

Per poter parlare in modoconcreto di sicurezzadel paziente, è necessa-

rio che si prendano in consi-derazione tutti gli aspetti cheriguardano la gestione del ri-schio clinico:• L’errore come una realtà

ineludibile all’interno deisistemi complessi.

• La filosofia dell’errore co-me mezzo d’apprendimen-to.

• La tecnologia come porta-trice di soluzioni all’inter-no del sistema.

Il CeSREM (Centro studi SanRaffaele rischi errori in medi-cina) si propone come un or-ganismo di sviluppo dei di-versi poli sopra citati, in gra-do di analizzarli e prendernein considerazione gli aspettisalienti; con l’obiettivo di

creare i presupposti organiz-zativi ed istituzionali che ga-rantiscano al cittadino unservizio sanitario nel qualedominino sempre più gli ele-menti di qualità e sicurezza.Il primo compito del CeSREMè l’analisi degli eventi avversiche viene effettuata utiliz-zando un approccio completomirato ad individuare i fatto-ri di rischio che si nascondo-no nell’organizzazione, unitoallo studio e sintesi dei lavo-ri tratti dalla letteratura in-ternazionale e da indaginistatistiche.L’analisi di rischio viene ef-fettuata attraverso un pro-cesso per stadi che va ad in-dividuare le attività e a de-scrivere i processi cognitivi,ad identificare i modi di erro-re e a valutarne i percorsi

causali che hanno permessoche si verificassero, infine siprocede ad una valutazionedel rischio collegato ad ogniattività.Dal 2000 sono state istituiteall’interno dell’Ospedale SanRaffaele 6 unità di gestionedel rischio (UGR), seguendole indicazioni inserite nel do-cumento “Imparare dall’erro-re. Le unità di gestione del ri-schio” proposto dal Tribunaleper i diritti del malato. All’in-terno di queste 6 unità, 2delle quali dell’area dei servi-zi (laboratorio e radiologia)

altre 2 dell’area medica (2 re-parti di medicina interna) e 2dell’area chirurgica (chirurgiavascolare e neurochirurgia),dovrebbero essere segnalatitutti i possibili errori o rischidi errori attraverso una sche-da di segnalazione che rias-suma l’accaduto. Ciò viene ef-fettuato attraverso l’indica-zione di campi che descriva-no e identifichino l’evento,come la gravità di esso, lepersone coinvolte, il tipo diprestazione, il luogo di origi-ne dell’evento avverso e chil’ha identificato.Schede che poi serviranno perandare ad individuare i fattoriche hanno permesso che l’e-vento avverso si verificasse atutti i livelli, umano, organiz-zativo, tecnologico, infra-strutturale.Gli errori rilevati più di fre-quente attraverso le UGR ri-guardano l’area diagnostica,seguita dall’identificazione delpaziente, le informazioni, ilfarmaco e segnalazioni che ri-guardano in generale il pa-ziente

La sicurezza delpaziente

Pierangelo BoniniFrancesca Rubboli*

Direttore del servizio integratodi Medicina di laboratorio

dell’Ospedale IRCCS San Raffaeledi Milano

* Ricercatrice CeSREM (Centrostudi San Raffaele rischi ed

errori in medicina)

Una visione integrata a partire dall’analisi

dell’errore. La sperimentazione di soluzioni

tecnologiche

Grafico 1

LA REALTÀ LA FILOSOFIA LA TECNOLOGIA

Errare è umano Imparare dall’errore Le soluzioni

Approccio formale, completo,ingegneristicoalla Safety ed allaPrivacy

Dati di letteratura,indagini statisticheUGR

✔ ✔

✔✗

CeSREM

Soluzionitecnologiche edorganizzative

Innovazione eStrategia

FormazioneAttività istituzionali

❍❑

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236 L’errore in medicina N. 139 - 2003

Inoltre, con rilevanza minore,sono presenti anche altri tipidi incidente: problemi di tra-sporto, ritardi in diagnosi edesami e nella sicurezza delleapparecchiature.Attraverso il CeSREM si vuolecercare di indurre un cambia-mento culturale; si vorrebbeprodurre una cultura della si-curezza all’interno del siste-ma, una cultura che si basi sul-l’incidente come fonte di ap-prendimento per migliorare ilsistema attraverso l’individua-zione e l’eliminazione dellecause che lo hanno prodotto.Al fine di attuare questo cam-biamento culturale vengonotenuti dei corsi accreditatidall’ECM per dirigenti ospeda-lieri ed operatori sanitari, chehanno come obiettivo, quellodi fornire una visione integra-ta del problema attraverso glistrumenti di gestione e di a-nalisi e tecnologie per la ridu-zione del rischio di errore. Icorsi si strutturano attorno adiverse tematiche: cultura del-la sicurezza in ambiente ospe-daliero, fattori di contesto edevoluzione del sistema sani-tario, dimensione organizza-tiva e tecnologica, aspetti o-perativi di presidio e riduzionedei rischi.Ultima prospettiva del CeSREMriguarda l’applicazione delle le-zioni imparate dall’analisi deglierrori attraverso la sperimen-tazione delle soluzioni tecno-logiche, prima tra tutte quelladel carrello intelligente.Studiato per abbattere l’inci-denza dei rischi di errore di i-dentificazione del paziente enella gestione del farmaco tro-va utili applicazioni per il mo-nitoraggio dei parametri vitalie per gli esami di laboratorio.

Il dispositivo consiste in uncarrello dotato di un computercon software specifici, di un

monitor per i parametri vitali,di un lettore ottico bidimen-sionale, di una cassettiera au-

Fig. 1

Il carrello intelligente.

Fig. 2

Il braccialetto di identificazione.

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N. 139 - 2003 237L’errore in medicina

tomatica per la somministra-zione dei farmaci e di unastampante di etichette per leprovette di laboratorio.Accessorio fondamentale per ilfunzionamento del carrello èil braccialetto di identificazio-ne, di cui deve essere dotato o-gni paziente. Questo è caratte-rizzato da un codice a barrebidimensionale che, una voltaletto dal lettore ottico, per-mette di identificare con cer-tezza il paziente ed i dati che loriguardano: i suoi dati personalie clinici, l’intervento clinico

da cui il paziente è interessato,il reparto dove questo si trova,ed anche altre informazioni adhoc.Attraverso l’uso combinato delcarrello e del braccialetto èquindi possibile tenere sottocontrollo tutto ciò che riguar-da la somministrazione farma-cologica, il monitoraggio deiparametri vitali, e gli esami dilaboratorio.Per quanto riguarda la sommi-nistrazione dei farmaci il di-spositivo è molto efficiente, inquanto permette di archiviare

le terapie farmacologiche rela-tive ad ogni paziente, di pre-parare i farmaci in base ad es-se. Al letto del paziente, tra-mite la lettura del codice a bar-re, viene dispensato solo il far-maco prescritto attraverso l’a-pertura dei cassetti automaticidella cassettiera che rispondo-no alle informazioni acquisiteattraverso il braccialetto.Il monitoraggio dei parametrivitali avviene attraverso unsoftware denominato MobyVitalche permette di rilevare ap-punto i parametri vitali del pa-

ziente edi valutarne i risultatianche tenendo conto della te-rapia in corso di esecuzione.Il MobyLab è invece preposto alcontrollo degli esami di labo-ratorio, eseguiti al letto del pa-ziente, che consente di non a-vere problemi nel riconosci-mento dei campioni prelevati;infatti il carrello è in grado difornire per ogni prelievo effet-tuato 2 etichette una relativa alcampione, l’altra relativa ai da-ti del paziente che fornisconosenza alcun dubbio l’identifi-cazione del campione stesso.

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Page 46: l'errore in medicina

238 L’errore in medicina N. 139 - 2003

Il clima organizzativo è unconcetto molto interessan-te ai fini della definizione

di un sistema di miglioramen-to continuo della qualità al-l’interno di una struttura sa-nitaria. Lo studio e la valuta-zione del clima organizzativocostituisce altresì una precon-dizione per realizzare un pianoefficace per la gestione del ri-schio clinico. Avere un qua-dro di dati sulla percezionedella qualità globale delle con-dizioni di lavoro da parte deglioperatori è infatti il punto dipartenza per organizzare le at-tività di revisione degli eventiavversi e miglioramento dellasicurezza dei pazienti in modoche tali attività riescano a col-locarsi all’interno del contestodi lavoro rispondendo adegua-tamente alle caratteristiche delclima interno.Dal punto di vista ergonomi-co, quindi, lo studio del climaorganizzativo risponde all’e-sigenza di valutare l’impattodi azioni organizzative suiprocessi di lavoro quotidianioltre che essere un modo permisurare lo stato di salute diun’organizzazione.Il clima organizzativo è una“qualità” relativamente sta-bile dell’ambiente interno diuna organizzazione che:

• È percepita dai membri.• Influenza il loro comporta-

mento.• Può essere descritta sulla

base di una serie di fattoriche fanno riferimento adelementi strutturali, inter-personali, individuali.

Rispetto alla cultura organiz-zativa, il clima è la manife-stazione nelle pratiche di la-voro quotidiane delle norme,dei valori, dei significaticondivisi che costituisconola prospettiva culturale difondo di un’organizzazione.Se confrontato con la cultu-ra, il clima è quindi più sog-getto a mutamenti provocatida cambiamenti nelle prati-che o da modificazioni del-l’ambiente circostante. Diconseguenza il clima orga-nizzativo è un concetto mi-surabile e gestibile dal mana-gement aziendale, a differen-za della cultura che non puòessere quantificata e modifi-cata in tempi brevi dalleazioni organizzative (Schein,1985; Schneider, 1990).

Il legame tra clima organizza-tivo e cultura aziendale• Trattano entrambi dei modi

con cui i membri di un’or-ganizzazione attribuisconosenso al loro ambiente.

• Clima e cultura sono en-trambi appresi attraversoprocessi di socializzazionee interazione tra i membridi un gruppo.

• Il clima si sviluppa da al-cuni elementi stessi dellacultura.

• Il clima interseca le formedella cultura che sono espe-rite in modo più immediato.Clima e cultura sono due co-strutti complementari.

La ricerca all’interno

degli ospedali

dell’azienda sanitaria di

Firenze

La ricerca condotta all’inter-no delle strutture ospedalieredell’azienda sanitaria di Fi-renze qui presentata costitui-sce la prima fase di un’inda-gine epidemiologica di tipolongitudinale finalizzata avalutare gli effetti della ri-strutturazione degli ambientidell’ospedale di Santa MariaNuova sul clima organizzativoed il benessere degli operato-ri sanitari. Lo studio consistenella somministrazione diuna serie di questionari di ti-

po psico-sociale ad un cam-pione rappresentativo dei di-pendenti dell’ospedale, cheandrà incontro alle ristruttu-razioni previste dal pianostraordinario di riqualifica-zione delle strutture sanita-rie nell’area metropolitanafiorentina.L’obiettivo specifico che ci siè posti in questa prima faseè l’individuazione di alcunecriticità rispetto al livello distress occupazionale e disa-gio psichico, alla soddisfa-zione lavorativa e al coinvol-gimento in un campione dilavoratori che operano in 4presidi ospedalieri della ASF(Santa Maria Nuova, SantaMaria Annunziata, Serristo-ri, Mugello). L’individuazio-ne delle situazioni più criti-che rispetto all’esposizioneallo stress ed al disagio ver-ranno poi prese in conside-razione per gli approfondi-menti previsti nella secondafase dell’indagine.Il campione di soggetti da sot-toporre all’indagine è stato co-struito estraendo casualmentedal database dell’intera popo-

Il clima organizzativoospedaliero

Tommaso BellandiRiccardo TartagliaPaola De SimoneCarlo Tomassini

Veronica Casotto*

Centro ricerche in ergonomia,Azienda sanitaria di Firenze

* Agenzia regionale della sanitàtoscana

Risultati della prima fase dell’indagine

condotta nell’azienda sanitaria di Firenze

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N. 139 - 2003 239L’errore in medicina

lazione lavorativa (n° 6.830lavoratori) 200 dipendenti (Me F), 100 dell’ospedale SantaMaria Nuova (SMN) che rap-presentano il gruppo d’inda-gine e 100 degli ospedali SantaMaria Annunziata (OSMA),Serristori e dell’ospedale delMugello che costituiscono ilgruppo di controllo, in quantotali ospedali non rientrano nelpiano di ristrutturazione e rior-ganizzazione che cambieràcompletamente la struttura ar-chitettonica ed organizzativadell’ospedale Santa MariaNuova nel corso dei prossimianni. Il campione è stato stra-tificato solo per dipendenti ap-partenenti all’area medica edipendenti di area non-medica,fissando il rapporto di uno a treper avere un numero minimo dimedici utile per effettuare al-cuni confronti in fase di anali-si dei dati.In 191 su 200 hanno rispostoalla convocazione ed hannopartecipato all’indagine. Sol-tanto un dipendente si è ri-fiutato di partecipare dichia-rando di non volersi prestarealla ricerca, mentre gli altri 8non si sono presentati a cau-sa di prolungate assenze permalattia, gravidanza o pen-sionamento. Dei 191 che han-no risposto 93 appartengonoall’ospedale di Santa MariaNuova e 98 agli altri ospedali(OSMA, Serristori, Mugello).Particolare attenzione è statadedicata alle modalità di som-ministrazione dei questiona-ri: tutti i soggetti sono staticonvocati con una lettera deldirettore sanitario aziendale,che spiegava le ragioni e le fi-nalità della ricerca, presso ledirezioni sanitarie dei presidicoinvolti ed invitati a compi-lare in modo anonimo una se-

rie di questionari informatiz-zati su pc, in una sala apposi-tamente predisposta per l’in-dagine. La compilazione è av-venuta sotto la supervisionedi un membro del team di ri-cerca che è rimasto a disposi-zione degli intervistati perqualsiasi chiarimento.

Descrizione degli

strumenti

1. Scheda socio-anagrafica(preliminare)Si tratta di un questionarioper la raccolta di informazio-ni relative a ruoli, compiti,mansioni dei dipendenti. Nel-lo specifico saranno raccolteinformazioni su:• Dati anagrafici (età, sesso,

residenza vicina o lontanadal luogo di lavoro etc.)

• Ruolo• Qualifica professionale• Livello• Anzianità sul lavoro• Titolo di studio

2. Job Content Questionnaire(stress occupazionale)Il questionario trae le sue ori-gini nel 1979 quando RobertA. Karasek ha pubblicato ilsuo primo studio sullo stresslavorativo percepito. Il suomodello suggerisce fonda-mentalmente che la relazionetra elevata domanda lavorati-va (JD = Job Demand) e bassalibertà decisionale (DL = Deci-sion Latitude) definisca unacondizione di job strain o per-ceived job stress (stress lavo-rativo percepito), in grado dispiegare i livelli di stress cro-nico e l’incremento del ri-schio cardiovascolare.Le due principali dimensionilavorative (domanda e con-trollo) sono considerate va-

riabili indipendenti e postesu assi ortogonali. La JD si ri-ferisce all’impegno lavorativorichiesto, ovvero i ritmi di la-voro, la natura impositivadell’organizzazione, il nume-ro di ore lavorative e le even-tuali richieste incongruenti.La DL è definita da due com-ponenti: la skill discretion ela decision authority: la primaidentifica condizioni conno-tate dalla possibilità di impa-rare cose nuove, dal grado diripetitività dei compiti e dal-l’opportunità di valorizzare leproprie competenze; la se-conda individua fondamen-talmente il livello di control-lo dell’individuo sulla pro-grammazione ed organizza-zione del lavoro.Il modello di job strain è sta-to poi approfondito negli an-ni ’80 da J.V. Johnson che hasostanzialmente aggiunto u-na terza dimensione: il workplace social support o socialnetwork. In accordo con que-sto modello, il più elevato ri-schio di malattie cardiova-scolari si è rilevato nei grup-pi connotati da un’elevatadomanda lavorativa, da unabassa possibilità decisionale(DL) e da un basso supportosociale da parte di colleghi ecapi.Con il JCQ è possibile indivi-duare quattro differenti con-dizioni di lavoro:1. High strain, elevata doman-

da con bassa capacità di de-cisione (ad esempio opera-tori ai videoterminali e ad-detti all’assemblaggio).

2. Passive, bassa domandacon bassa decisione (tipicadi mansioni che non in-centivano le capacità indi-viduali, con marcati livellidi insoddisfazione).

3. Active, elevata domandacon elevata decisione (oc-cupazioni caratterizzateda un elevato grado di ap-prendimento e che impon-gono all’individuo un in-tervento in tempi rapidi econ elevata responsabi-lità).

4. Low strain, bassa domandacon elevata decisione (si-tuazione lavorativa otti-male, in cui l’individuopuò gestire in autonomia ilsuo tempo lavorativo).

3. Work Involvment Measu-ring Scale (Warr, Cook e Wall,1979)Scala di coinvolgimento neiconfronti del lavoro che inda-ga il livello di coinvolgimentoe di “appartenenza” all’atti-vità professionale inteso neitermini della rappresentazio-ne e del significato personaleattribuito al lavoro stesso.È una scala situazionale co-stituita da 5 items, ogni ri-sposta presenta 7 possibili ri-sposte, il punteggio va da 1 a6: maggiore è il punteggio fi-nale ottenuto, maggiore è ilcoinvolgimento nei confrontidel lavoro.

4. Questionario sull’opinionerispetto alla situazione lavo-rativa nei suoi diversi aspettiSi tratta di un questionariocomposto di items in cui sichiede un’opinione riguardoal lavoro; ogni persona èquindi pregata di risponderepensando alla propria situa-zione lavorativa. Le domandeincludono tutti gli aspettiprincipali relativi alla condi-zione professionale e rappre-sentano dei “vissuti” valutaticon la scala Likert di giudi-zio.

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240 L’errore in medicina N. 139 - 2003

Le affermazioni del questio-nario si riferiscono principal-mente alle seguenti aree:• Lavoro nei termini di dina-

miche interne e condizioniorganizzative e logistiche(monotonia, professiona-lità, fatica, specializzazio-ne, retribuzione, possibi-lità di carriera, valutazio-ne del proprio rendimentoda parte dei superiori, pos-sibilità di addestramento eaggiornamento professio-nale, margini di autonomiadecisionale, assunzione diresponsabilità).

• Ambiente fisico di lavoro(temperatura, illuminazio-ne, rumorosità, sporcizia,posture ecc.).

• Ambiente sociale di lavoro(rapporti con i superiori di-retti, rapporti con laDirezione, relazioni inter-personali instaurate con ipropri colleghi e i colleghi dialtre Unità operative alloscopo di evidenziare pro-blemi di efficienza, di con-flittualità e collaborazione).

• Sicurezza fisica (incolu-mità) e sicurezza del “po-sto di lavoro” (stabilità, ti-mori di perdita del posto).

5. General Health Question-naire (Goldberg, 1972)È una scala che serve peridentificare i pazienti con di-sturbi psichici e non psicoticiche non siano mai venuti acontatto con i servizi psichia-

trici. Le malattie che il que-stionario vuole identificaresono state descritte come“non psicotiche”.Questa scala non dà informa-zioni sullo stato mentale pas-sato né futuro, ma solo suquello presente. Gli item delGHQ valutano infatti la situa-zione hic et nunc e non fannoattenzione a come l’individuosi è sentito o comportato nelpassato (scala situazionale).L’attenzione è quindi postasu quanto lo stato presente dichi risponde differisce dallostato usuale.Gli item della scala esploranoalcuni settori di stato psicofi-sico del soggetto come perce-piti negli ultimi giorni: lasensazione di essere sottopressione, di non riuscire aprendere decisioni, di non es-sere concentrato, di non po-ter dormire ecc.La versione utilizzata della sca-la è quella più breve a 12 items,scelti all’interno di 30 già con-siderati equivalenti per effica-cia alla forma completa di 60 i-tems. Le risposte sono date suuna scala qualitativa ordinalecon quattro possibilità chevanno da un’assenza completadel sintomo ad una presenzamarcata.Originariamente validato peruso clinico questo strumentosi è in seguito dimostrato ap-propriato per l’uso in settingdiversi tra cui anche quellolavorativo, essendo il que-

stionario sensibile alle condi-zioni occupazionali sia aglieffetti, ad esempio, della di-soccupazione. In Italia è sta-to validato e standardizzatosia nella versione a 30 chenella 12 dal gruppo del Prof.Tansella dell’Università di Ve-rona, presso l’Istituto di psi-chiatria sia in setting di pa-zienti di ambulatori di medi-cina di base che in contestodi indagine di popolazione.

Elaborazione

Per quanto riguarda l’elabora-zione statistica e psicometri-ca dei dati sono stati utiliz-zate due tecniche di analisi.Per indagare le relazioni cau-sali tra l’esposizione allostress misurata con il JCQ e lapercezione di disagio psichicomisurata con il GHQ è stataeffettuata una valutazionedegli Odds Ratio, classica mi-sura di associazione neglistudi epidemiologici di tipocaso-controllo, per rilevare ilrischio di presenza di disagiopsichico in relazione ai diver-si livelli di esposizione allostress.Sulle due parti del questiona-rio sull’opinione rispetto allacondizione lavorativa si è ado-perata l’analisi fattoriale, fi-nalizzata all’individuazionedelle dimensioni latenti di cli-ma che emergono dalle varia-bili osservate, nonché allastandardizzazione del questio-nario frutto della rielaborazio-

ne del tema di ricerca sullostrumento originale prodottodall’Istituto superiore della sa-nità.

Risultati

Caratteristiche generali delcampioneIl campione si divide omoge-neamente rispetto al ruoloprofessionale: area medica(90 soggetti) e area non me-dica (101 soggetti) (Tab. 1).Gli operatori sanitari di SMNnon presentano differenzestatisticamente significativedi età e anzianità lavorativarispetto al gruppo di control-lo (altri ospedali); la distri-buzione per sesso è omoge-nea nei due gruppi a con-fronto. La sostanziale omoge-neità sulle variabili socio-anagrafiche dei soggetti ap-partenenti ai due gruppi ciconforta rispetto all’ipotesi diconfronto nel tempo dellemisure del clima organizzati-vo tra i due gruppi.

Differenti livelli di stress occu-pazionale nei presidi ospeda-lieri dell’Asl 10Il livello di stress occupazio-nale nell’ospedale di SMN nonpresenta differenze significa-tive rispetto al gruppo dicontrollo, anche se questi da-ti ci suggeriscono che all’in-terno dell’ospedale SMN po-trebbe esserci un numeromaggiore di soggetti che vi-

passive low strain high strain active totale

SMN 18 18,4% 28 28,6% 27 27,6% 25 25,5% 98 100%Altri 26 28,8% 27 29,0% 18 20,4% 21 22,6% 93 100%Totale 44 23,0% 55 28,8% 46 24,1% 46 24,1% 191 100%

Test q2 3.08 p 3, 379

Tab. 2 - L’esposizione

professionale allo stress nei due

gruppi ospedalieri.

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N. 139 - 2003 241L’errore in medicina

vono una condizione lavora-tiva di high strain, che secon-do il modello di Karasek è lasituazione più a rischio per lasalute dei lavoratori (Tab. 2).

La distribuzione degli opera-tori di area medica e non-me-dica sul modello di KarasekOsservando le distribuzionidei soggetti intervistati sulle4 condizioni lavorative delmodello di Karasek, si evi-denzia una tendenza dei me-dici a collocarsi nelle catego-

rie a minor stress (active e lowstrain) (Fig. 1) rispetto ai nonmedici che sembrano mag-giormente esposti (passive ehigh strain) a situazioni stres-santi (Fig. 2). Questi dati so-no coerenti con le caratteri-stiche del ruolo di maggiorresponsabilità che i medici ri-vestono all’interno delle strut-ture ospedaliere rispetto ainon-medici e che li mette nel-le condizioni di avere unamaggiore autonomia decisio-nale nel proprio lavoro.

Rischio di disagio psichico nel-le 4 condizioni lavorative in re-lazione alla percezione di un al-to o un basso supporto socialeIl rischio di disagio psichico èsignificativamente elevatonella condizione di highstrain e basso supporto socia-le dei colleghi. Questo dato egli altri presentati in tabella3 ci suggeriscono che per glioperatori sanitari intervistatiil supporto sociale può atte-nuare notevolmente il rischiodi trovarsi in una condizione

lavorativa di alta esposizioneallo stress.

Analisi fattorialeDall’analisi fattoriale del que-stionario sull’opinione lavo-rativa emergono le seguentidimensioni, intorno alle qua-li si concentrano i relativiitems indicati nello schema 1.Le medie dei valori degliitems riferiti alle 4 dimensio-ni emergenti mostrano un li-vello pressoché analogo diclima tra SMN e il gruppo dicontrollo su tutte le scale.I valori riportati in Tabella 4sono stati normalizzati suuna scala da 1 a 10. Per ladimensione individuale e re-lazionale il valore 1 è il polonegativo mentre il valore 10è il polo positivo della qua-lità del clima interno. Per lescale del carico di lavoro edell’organizzazione del lavo-

Fig. 1 1 - Distribuzione dei

medici tra le quattro condizioni

lavorative.

DL LOW STRAIN ACTIVE

PASSIVE JD HIGH STRAIN

1 Nel grafico di dispersione molti soggetti si sovrappongono nello stesso punto in quanto presentano gli stessivalori di decision latitude e job demand.

N° *Età (DS) Anzianità (DS)

soggetti Media Media

SMN M 44 46,8 (9,09) 11,9 (8,1)F 49 42,2 (8,2) 10,1 (7,1)

Altri M 38 46,4 (8,09) 12,5 (7,9)F 60 43,2 (8,1) 11,5 (7,04)

Totale 191 44,4 (8,5) 11,3 (8,5)

Tab. 1 - Caratteristiche socio-

anagrafiche del campione.

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242 L’errore in medicina N. 139 - 2003

ro il valore 1 è il polo positi-vo ed il valore 10 è il polonegativo.

Valutazione del coinvolgimentoIn 81 casi su 191 del campio-ne totale il coinvolgimento

risulta basso. L’analisi delcoinvolgimento in base agliospedali rivela che al Santa

Maria Nuova il 64,5% delcampione dell’ospedale ha unalto livello di coinvolgimento

LOW STRAIN PASSIVE ACTIVE HIGH STRAIN

Alto 1 3,67 2,13 3,14supporto LC LC LC

(0,23-110,32) (0,14-62,67) (0,20-93,85)

Basso 1,65 6,60 9,90 17,6supporto LC LC LC LC

(0,00-64,75) (0,61-166,78) (0,76-278,7) (1,89-410,2)

Dalla condizione low strain alla condizione high strain i valori di Odds Ratio au-mentano in maniera più che proporzionale OR da 1,65 a 17,6.

Tab. 3 - Valori di ODDS RATIO

relativi alla presenza di disagio

psichico in relazione al supporto

sociale dei colleghi per ognuna

delle quattro condizioni

lavorative.

Scale S. M. Nuova Altri ospedali

Media (Dev. Std.) Media (Dev. Std.)

Dimensione individuale del clima 4,6 (2,07) 4,6 (1,84)Dimensione relazionale 5,9 (1,90) 6,0 (1,76)Carico di lavoro 6,0 (2,36) 6,4 (2,26)Organizzazione del lavoro 4,4 (3,05) 4,4 (3,47)

Tab. 4 - Scale ottenute

dall’analisi fattoriale (rotazione

Varimax).

Fig. 2 - Distribuzione degli

operatori non-medici tra le

quattro condizioni lavorative.

DL LOW STRAIN ACTIVE

PASSIVE JD HIGH STRAIN

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N. 139 - 2003 243L’errore in medicina

contro il 35,5% che invece sicolloca a un livello basso. Ilcoinvolgimento e l’aspettati-va negli altri ospedali sonoun po’ più bassi, infatti, il51% del campione si collocasu livelli alti contro un 49%

che invece riporta un bassocoinvolgimento (Tab. 5).

Soddisfazione, senso di appar-tenenza e “mobbing”All’interno del questionariosull’opinione rispetto alla

condizione lavorativa ci sonoalcuni items rimasti al di fuo-ri dell’analisi fattoriale per-ché è stata presa la decisionedi valutarli come indicatori asé stanti di concetti che rien-trano nell’ambito della ricer-

ca. Limitandoci ad un’analisidescrittiva, presentiamo quiquelli che hanno dato dei ri-sultati piuttosto interessanti,che danno uno spunto per ul-teriori riflessioni ed ap-profondimenti da svolgerenella seconda fase della ricer-ca.La percentuale di soggettimolto insoddisfatti del pro-prio lavoro è del 14,6%, quel-la dei molto soddisfattidell’11%. Se valutato nelcomplesso, il grafico mostracomunque una netta tenden-

Schema 1

Dimensione Dimensione Carico di Organizzazione

individuale relazionale lavoro del lavoro

Possibilità di Aiuto e sostegno checarriera riceve dai colleghi Ritmi particolarmente Turni

veloci e pesantiPossibilità di Rapporti di collaborazioneimparare cose coi colleghinuove

Eccesso di quantità Lavoro notturno o Possibilità di frequentare Conoscenza dei contenuti di lavoro festivocorsi e altre iniziative di del suo lavoro da parte deiformazione colleghi

Possibilità di spazio periniziative personali Fatica fisica

Rapporti personali coiPartecipazione alle decisioni colleghiche riguardano il suo lavoro

Chiarezza dei ruoli eSenso di utilità responsabilità

Responsabilitàinsita del ruolo

RichiesteEquità e giustizia negli compatibiliavanzamenti di carriera

Aiuto e sostegno dei superiori

Coinvolgimento

Alto Basso Totale

SMN 60 33 93Altri 50 48 98Totale 110 81 191

Tab. 5 - Livello di coinvolgimento.

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za dei soggetti a collocarsi aldi sopra del livello della suf-ficienza rispetto alla soddi-sfazione sul lavoro (Fig. 3).Il 25,1% del campione dichia-ra di provare un senso di ap-partenenza all’azienda pessi-mo o scarso. Nessun soggettoha dichiarato di provare unsenso di appartenenza ottimoall’azienda sanitaria. Questidati meritano sicuramentel’interesse del management

che ha il compito di diffonde-re tra tutti gli operatori lamission e la vision aziendale,cercando di adoperarsi affin-ché gli operatori condividanoalmeno in parte i valori del-l’azienda (Fig. 4).Ben il 6,8% dei soggetti di-chiara di essere stato vittima diviolenza o persecuzione nelcorso dell’ultimo mese ed intotale, il 29,3% dichiara di es-sere stato oggetto di discrimi-

nazione o persecuzione. Purnon esaurendo il significatodel concetto di mobbing, que-sti dati rappresentano una spiadi allarme rispetto alle violen-ze psicologiche che subisconogli operatori all’interno degli o-spedali (Fig. 5).

Discussione

I risultati ottenuti al terminedi questa prima fase dell’in-dagine sul clima organizzati-

vo nelle strutture ospedalieredell’azienda sanitaria di Fi-renze offrono l’opportunitàper una prima serie di consi-derazioni sulla metodologia esui risultati preliminari.Partendo dai limiti e dai di-fetti fin qui riscontrati, il cam-pione risulta esiguo per anali-si statistiche approfondite. Lanumerosità dei soggetti è suf-ficiente per consentire un con-fronto tra l’ospedale di SMN

244 L’errore in medicina N. 139 - 2003

Fig. 4 - Il senso di

appartenenza.

Fig. 3 - La soddisfazione.

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N. 139 - 2003 245L’errore in medicina

(gruppo dei dipendenti ogget-to dell’indagine) e gli altri(gruppo di controllo). Soltantoin alcune elaborazioni si rag-giunge infatti la significati-vità statistica nelle compara-zioni tra gruppi di soggetti.Di conseguenza i risultati nonpossono essere generalizzati atutta la popolazione lavorativadegli ospedali. Emergono co-munque alcuni risultati di in-teresse per ulteriori approfon-dimenti.A fronte della complessità diun concetto come quello di cli-ma organizzativo si sono poi ri-scontrati i limiti dell’analisi

quantitativa, che restituisceuna visione piuttosto superfi-ciale di una realtà lavorativacomplessa e dinamica, densa direlazioni sociali e di processiorganizzativi com’è quella de-gli ospedali. La rappresenta-zione dello stato del clima or-ganizzativo ottenuta ha la for-ma di una fotografia a fronte diuna realtà in continuo muta-mento.Per quanto riguarda i pregi diquesta prima esperienza di ri-cerca sul clima, possiamo dir-ci soddisfatti nel fornire unavisione globale dell’esposizio-ne allo stress degli operatori sa-

nitari secondo il modello diKarasek, che è oggi uno deimodelli di valutazione dellostress più accreditato a livellointernazionale (Levi, 2000).Grazie all’analisi fattoriale so-no poi state individuate le sca-le del clima organizzativo e gliitems rilevanti per l’indagine,che corrispondono alle ipotesidi partenza secondo cui il cli-ma è opportuno studiarlo an-dando ad indagare le dimen-sioni individuale, relazionale estrutturale della qualità glo-bale della condizioni di lavoro.Rispetto all’obbiettivo gene-rale, cioè la definizione dello

stato attuale del clima orga-nizzativo all’interno dell’o-spedale Santa Maria Nuova invista delle ristrutturazioni, idati ottenuti sono validi. Lasostanziale omogeneità delgruppo d’indagine e del grup-po di controllo ci garantisceuna buona prospettiva per lavalutazione longitudinale de-gli eventuali cambiamenti diclima a seguito delle ristrut-turazioni nell’ospedale diSanta Maria Nuova, nonchéper valutarne l’efficacia ri-spetto ai mutamenti nellaqualità delle condizioni di la-voro.

Fig. 5 - Il “mobbing”.

Bibliografia

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Levi L. Guida allo stress legato all’attività lavorativa. Bruxell: UE2000.

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Ringraziamenti

Si ringrazia per il contributo dato all’elaborazione dei dati ilDott. Alberto Baldasseroni, UO Epidemiologia della aziendasanitaria di Firenze e la Dott.ssa Casotto Veronica, Agenziaregionale della sanità toscana. Per la disponibilità data allosvolgimento dell’indagine si ringraziano le direzioni sanita-rie degli ospedali dell’Azienda sanitaria di Firenze (ospeda-le della SS. Annunziata, di Santa Maria Nuova, di Borgo SanLorenzo).

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Negli ultimi anni la sicu-rezza del paziente è di-ventata una questione

centrale per le strutture sani-tarie di molti paesi e rappre-senta oggi una primariapreoccupazione degli utenti,degli operatori sanitari e de-gli amministratori dei servizisanitari nazionali. Questapreoccupazione è cresciutacol crescere della consapevo-lezza dei cittadini rispetto al-le loro condizioni di salute edi cura e con la diffusione didati relativi agli incidentiprovocati da errori clinici. Dapiù parti viene sottolineatoche il numero dei reclami e ledenuncie di malpractice sonoin continuo aumento, cosìcome i costi assicurativi perle strutture sanitarie.Nella nostra Regione non esi-stono dati di riferimento sul-l’incidenza del problema ‘er-rore’ in ambito sanitario,mancando anche strumentiche rilevino le evenienze, inmodo da rendere possibili laraccolta ed analisi dei dati inmaniera coerente con un ap-proccio complessivo alla ge-stione del rischio. Esistonoviceversa, nelle strutture sa-nitarie, fonti informative cheattengono più o meno diret-

tamente al tema, affrontandosolo specifici aspetti non col-legati tra loro (es.: segnala-zioni per la farmacovigilanza,studi di sorveglianza delle in-fezioni ospedaliere, delle le-sioni da decubito, delle cadu-te, reclami dei cittadini, ri-chieste di risarcimento) ovve-ro fonti informative non uti-lizzate a questo scopo (es.:cartelle cliniche, SDO, registridelle malattie professionali)In relazione al tema della ge-stione del rischio per i pa-zienti che si configura princi-palmente come rischio clini-co, si pone la forte esigenzadi cominciare ad integrare,almeno concettualmente, i”sistemi qualità e sicurezza”.Dalla gestione separata diaree problematiche, pertanto,è indispensabile oggi ragio-nare in termini di ‘sistemi in-tegrati di gestione’, sistemicioè che condividono gli stru-menti, pur nella differenzia-zione delle responsabilità.Il Piano sanitario regionale1999-2001 dell’Emilia Roma-gna, ha posto la gestione delrischio fra gli elementi carat-terizzanti l’approccio del ‘go-verno clinico’ della attivitàsanitaria: “il governo clinico… si esercita attraverso l’uso

corrente e sistematico di ido-nei strumenti operativi-ge-stionali tesi ad evitare i ri-schi, ad individuare tempesti-vamente e apertamente glieventi indesiderati, a trarreinsegnamento dagli errori, adisseminare la buona praticaclinica, a garantire che sianoin opera adeguati strumentiper il miglioramento continuodella qualità”.Fin dal 1999, perciò è statoattivo presso l’Agenzia sani-taria un gruppo “istruttorio”sul tema del rischio in strut-ture sanitarie, i cui risultatisono stati la predisposizionedi un progetto che la RegioneEmilia Romagna ha presenta-to nell’anno 2001 al Ministe-ro della salute, per il finan-ziamento ai sensi del D. Lgs.502/92 art. 12, comma 2, let-tera b), avente ad oggetto larealizzazione di un approcciointegrato alla gestione del ri-schio nelle strutture sanita-rie, che è stato approvato. Ilprogramma, di durata bien-nale, ha avuto inizio formalenel febbraio 2002 ed è stato

affidato all’Area accredita-mento dell’Agenzia sanitariaregionale, quale sede del Co-mitato di coordinamento esupporto metodologico e lo-gistico per lo sviluppo com-plessivo del programma.Al programma hanno aderito5 Aziende sanitarie della Re-gione: Azienda USL di Mode-na, Azienda USL di ReggioEmilia, Azienda ospedalieradi Bologna, Azienda ospeda-liera di Reggio Emilia, Azien-da ospedaliera di Ferrara, chesono state individuate in mo-do da sviluppare un tema cia-scuna; ad esse si sono ag-giunte altre aziende sanita-rie, che pur non partecipandoformalmente al programma,portano contributi alla suarealizzazione (Fig. 1).

Obiettivo finale del

programma

Gestione integrata del rischiosignifica, prima di tutto, in-dividuare come ‘sistema’ gliaspetti da trattare:• rischi per i ricoverati/assi-

stiti collegabili direttamen-

246 L’errore in medicina N. 139 - 2003

Approccio integrato allagestione del rischio

Renata Cinotti*Vania Basini**

Patrizio Di Denia**

* Responsabile dell’Areaaccreditamento dell’Agenzia

sanitaria regionale dell’EmiliaRomagna

** Collaboratore dell’Areaaccreditamento dell’Agenzia

sanitaria regionale dell’EmiliaRomagna

Il progetto dell’Agenzia sanitaria regionale

della Regione Emilia Romagna

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Page 55: l'errore in medicina

te od indirettamente allaattività assistenziale e cli-nica svolta all’interno dellastruttura (rischio clinico);

• sicurezza ambientale (strut-tura, impianti, impatto sul-l’ambiente, rischi di incen-dio, esplosione, esposizionea radiazioni ecc.);

• sicurezza del personale(specifici collegati all’atti-vità svolta: rischio biologi-co, infortuni, malattieprofessionali ecc.);

• aspetti legati ad emergen-ze esterne o a fattori “in-controllabili” (interruzionidi servizi essenziali, im-provviso aumento di do-manda esterna: terremoti,sciagure ecc.);

• rischi economico-finanziariin conseguenza dello svol-gimento della attività ca-ratteristica.

L’obiettivo del programma èquindi la realizzazione di unapproccio integrato alla ge-stione del rischio in strutturesanitarie, nei diversi aspettidella sicurezza all’interno del-le strutture sanitarie, attra-verso lo sviluppo di una cultu-ra condivisa del rischio fra iprofessionisti afferenti ad a-ree tecnico-gestionali diverse.Il sistema, da una parte potrà

essere utilizzato dinamica-mente in modo da conseguireobiettivi di miglioramentocomplessivo delle attività eprestazioni sanitarie, dall’al-tra può presentarsi come ele-mento di affidabilità delle a-ziende sanitarie in sede di ge-stione del contenzioso e con-trattazione con le assicurazio-ni.Nell’ambito del progetto sonostate quindi individuate trearee tematiche di interesse:1. Rischio clinico, legato alla

sicurezza delle pratiche as-sistenziali, diagnostiche eterapeutiche.

2. Rischio legato alla sicurez-za degli ambienti, degliimpianti e dei lavoratori.

3. Aspetti giuridico-ammini-strativi, legati alla gestio-ne del contenzioso e allatutela degli operatori e deipazienti.

Metodologia utilizzata

Nel primo anno del progettosi è insediato, presso l’Agen-zia sanitaria regionale, ungruppo di coordinamento re-gionale per la “Gestione delrischio”, costituito da refe-renti e responsabili aziendalidi servizi ed uffici coinvoltidal tema del rischio nelle

strutture sanitarie (Direzionisanitarie, Direzioni ammini-strative, Settori qualità, URP,Uffici legali, Medicina legale,Servizi di prevenzione e pro-tezione) con l’obiettivo di de-finire il problema in manierasistemica integrando tutte lefigure professionali e le com-petenze coinvolte. Si è deci-so, inoltre, di definire 3 grup-pi di lavoro specifici per areatematica di interesse (giuri-dico-amministrativo, rischioclinico, sicurezza ambientalee dei lavoratori) che si incon-treranno per tutta la duratadel progetto in momenti se-parati per discutere le proble-matiche inerenti gli specificiambiti di attività e, periodi-camente, in incontri plenariper il confronto. Compito delgruppo di coordinamento è dimantenere e garantire l’ag-gregazione ed omogeneizza-zione degli aspetti sviluppati.Il gruppo di coordinamento èla sede di regia complessivadel progetto, mentre le UOaziendali sono le sedi per lasperimentazione degli stru-menti specifici e “settoriali”,ciascuna in riferimento agliobiettivi assegnati. Il metodoutilizzato è quello della “ri-cerca ed intervento”, cioè nel

momento in cui si costruisceuno strumento, contestual-mente se ne effettua l’appli-cazione nella specifica UO de-dicata ed eventualmente inaltre realtà che volontaria-mente si dichiarino interessa-te. Tale metodo consente siadi approfondire ed eventual-mente adattare gli strumentiman mano che nascono, siadi allargare, su base volonta-ria, il consenso e l’utilizzo adaree più ampie rispetto alleiniziali sedi di sviluppo.La metodologia di sviluppodel progetto è già essa stessasperimentazione della trasfe-ribilità dei risultati consegui-ti. Infatti, se nella prima fasedel progetto è prevalente l’e-laborazione di strumenti emetodi nelle UO coinvolte,nel corso del periodo succes-sivo la sperimentazione deiprodotti elaborati verrà este-sa all’ambito regionale.Sia gli strumenti che i metodisaranno resi disponibili conapposite “istruzioni d’uso”.Le attività sviluppate duran-te il progetto saranno reso-contate e diffuse attraversoapposite pubblicazioni, siaconcernenti i metodi speri-mentali, sia come descrizionied istruzioni per l’applicazio-ne degli strumenti.Alla conclusione del progettosarà compito del gruppo dicoordinamento predisporre undocumento orientativo/lineaguida da diffondere alle azien-de, redatto in modo da essereimmediatamente applicabile.

Attività realizzate e primi

output

Area rischio clinicoPer quanto attiene agli aspet-ti relativi al “rischio clinico”

N. 139 - 2003 247L’errore in medicina

Fig. 1

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il programma si propone la ri-levazione degli “eventi” si-gnificativi o dei “quasi-even-ti” attraverso la definizione esperimentazione degli stru-menti da utilizzare (incidentreporting, revisione cartellecliniche, utilizzo delle SDO,altri sistemi di screening) apartire dalla costruzione diun glossario condiviso.1. Glossario di riferimento epacchetto formativo prope-deutico. È stato definito unGlossario del rischio, condivi-so con le unità aziendali par-tecipanti al progetto, conte-nente le definizioni di tipogenerale che dovranno essereutilizzate dagli operatori du-rante l’effettuazione dellesperimentazioni ed in mododa poter essere utilizzato daidiversi ambiti professionaliinteressati al tema (clinico,giuridico-amministrativo,tecnico-gestionale).Il glossario fa parte di unpacchetto formativo che è giàstato somministrato agli ope-ratori delle unità in speri-mentazione. Infatti, il pro-getto prevede la realizzazionedi percorsi formativi, da atti-vare in tutte le unità aderen-ti al programma, finalizzatida una parte all’acquisizionedi una maggiore consapevo-lezza e sensibilizzazione delpersonale sui temi della sicu-rezza del paziente e degli inci-denti nelle strutture sanitariee, dall’altra, a supportare l’u-tilizzo degli strumenti speri-mentali. Il percorso formativostandardizzato è un’ulterioregaranzia dell’estensione dellasperimentazione e della dif-fusione a regime degli stru-menti operativi. È intenzionedell’Agenzia sanitaria, predi-sporre e rendere disponibile

alle aziende aderenti, percor-si formativi di tipo modularebasati anche sulle nuove me-todologie multimediali per laformazione a distanza (FAD).2. Sistema di individuazionedegli eventi attraverso la se-gnalazione spontanea di even-to (Incident reporting). Il si-stema è basato sulla segnala-zione spontanea di “evento”inteso come accadimentoconnesso ad un insuccessopotenziale (i quasi-eventi), ocausativo di danni (l’eventoavverso). Un approccio diquesto tipo è stato già speri-mentato in alcune unità ope-rative aderenti al progetto edin altre sarà a breve speri-mentato. Il sistema di Inci-dent reporting, permetterà lacostruzione di una banca da-ti empirica degli incidenti alivello locale e regionale el’individuazione delle aree dicriticità, sulle quali interve-nire per la riduzione dei ri-schi.È stata utilizzata una schedadi segnalazione spontanea dievento che è attualmente infase di semplificazione e mi-glioramento sulla base delleconsiderazioni apportate dal-le prime sperimentazioni; ciòrenderà lo strumento più“fruibile” dagli operatori edalle aziende.È stato predisposto e fornitoalle aziende, un software inAccess, per la registrazioneautomatica dei dati delleschede, anch’esso in fase diulteriore sviluppo e perfezio-namento.3. Selezione e revisione di car-telle cliniche. Per l’identifica-zione di “eventi avversi” e lasuccessiva valutazione rispet-to alla loro prevenibilità èstato ipotizzato l’utilizzo di

strumenti di revisione retro-spettiva dell’attività clinicaattraverso la selezione dellecartelle cliniche e delle SDO.È stata avviata una sperimen-tazione sulla base di modalitàdi prima selezione delle car-telle (limited screening se-condo i criteri del metodo diWolff) da sottoporre a succes-siva revisione manuale edeventuali audit clinici, utiliz-zando procedure di interroga-zione automatica della bancadati regionale SDO.4. Sistema informativo regio-nale per la gestione dei recla-mi. È stato realizzato un pro-gramma informatico per lagestione dei reclami a livellolocale che permette di trasfe-rire i dati di sintesi a livelloregionale; esso consente diregistrare gli eventi con na-tura di “incidente” per i cit-tadini (percezione di un dan-no subito dal paziente, indi-pendentemente dal fatto chetale danno sia oggettivo, oche per tale danno richiedaun risarcimento). Il sistema,sperimentato nel corso del2002, è entrato a regime conl’inizio del 2003. Esso per-mette l’elaborazione di unareportistica degli incidentisegnalati dai cittadini; ciòpotrà essere utilizzato sia peril confronto delle informazio-ni a livello regionale, sia, a li-vello locale, per l’individua-zione di aree di debolezza or-ganizzativa, sulle quali effet-tuare percorsi di migliora-mento.5. Metodi proattivi di indivi-duazione/analisi/trattamentodel rischio. In due situazionisono stati sperimentati meto-di di analisi qualitativa equantitativa dei rischi per ilpaziente, connessi all’attività

clinica, quali la FMEA-FMECA.Ciò ha permesso di validarequeste metodologie comestrumenti di valutazione deirischi in specifiche realtà as-sistenziali (per la loro indivi-duazione, analisi e tratta-mento dopo aver graduato lapriorità di intervento).6. Attivazione di pagine web 1.La pubblicazione sul web deirisultati conseguiti nellosvolgimento del programma èapparsa la forma più semplicee rapida per la loro diffusio-ne. Sul sito dell’Agenzia sani-taria regionale, sono statequindi attivate alcune pagineinternet dedicate alla presen-tazione del programma, alleattività svolte ed ai prodottielaborati dalle sperimenta-zioni.

Area sicurezza ambientale edel lavoroSono stati sviluppati strumentidi valutazione e monitoraggiodei rischi collegati ad aspettidi sicurezza (ambiente e la-voratori) che integrano gli a-spetti della sicurezza ai sensidel Dlgs 626/94 (verifiche e-lettriche degli impianti, rile-vazioni su dispositivi di pro-tezione individuali), con i re-quisiti di autorizzazione distruttura previsti dalla nor-mativa nazionale e regionale(DPR del 14.1.97; Legge Re-gionale 34/98). Questi temisono stati scelti fra i molti diinteresse, confrontando gli ap-procci in un gruppo ristrettodedicato all’area sicurezza, peril loro carattere di confine frale competenze dei servizi perla sicurezza aziendali (SPP) el’area di competenza clinico-assistenziale.La sicurezza elettrica, infatti,si rapporta alle destinazioni

248 L’errore in medicina N. 139 - 2003

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d’uso degli ambienti a finiclinici, mentre la scelta deidispositivi di protezione indi-viduale si correla alle “buonepratiche” per il controllo delrischio biologico sui lavorato-ri, ma anche sui pazienti.Il metodo adottato per tale a-rea è stato di comunicare i ri-sultati attraverso la promozio-ne di seminari di approfondi-mento, coinvolgenti le diverseprofessionalità istituzional-mente deputate all’analisi del-le migliori pratiche di tutte leaziende della Regione, con ciòfavorendone la diffusione.

Area giuridico-amministrativaAll’interno delle Aziende ade-renti al programma, sono sta-ti prodotti strumenti per la ge-stione delle controversie/con-tenzioso (intendendo anche laprevenzione di esse), quali pro-cedure aziendali per il con-senso informato, linee guidaper la corretta compilazione

della cartella clinica, modelligestionali di tipo amministra-tivo-legale per il trattamentodelle segnalazioni da parte deicittadini e delle richieste dirisarcimento dei danni.

Criticità rilevate

Per quanto finora rilevato inquesta prima fase, sono parti-colarmente critici gli aspettirelativi all’affronto delle pro-blematiche “giuridico-ammi-nistrative” sul tema “rischio”sia per i timori e le resisten-ze rispetto all’oggetto speci-fico, sia per i differenti asset-ti organizzativi e funzionalidelle aziende.Per quanto riguarda l’area delrischio clinico, in alcune si-tuazioni, oltre che per il ti-more di punizioni e sanzioni,si è rivelato difficoltoso l’uti-lizzo del sistema di segnala-zione spontanea di evento daparte degli operatori soprat-tutto per i seguenti aspetti:

• Interpretazioni e percezio-ni diverse rispetto alla ne-cessità di segnalazionedell’evento, con tendenzaa non riconoscere l’eventoinatteso come “incident”,bensì come ‘normale’ con-seguenza delle attività dicura, soprattutto – ma nonsolo – nelle UO chirurgi-che; talvolta, viceversa, èstato segnalato un eventopotenziale per tutti i pa-zienti, ma che non ha vi-sto situazione di pericoloper alcun paziente.

• In alcune situazioni, la se-gnalazione è stata percepi-ta come un appesantimen-to burocratico rispetto allenormali attività clinico-as-sistenziali.

Prospettive di sviluppo e

innovatività del

programma

Dopo questo primo anno diattuazione del programma, è

intenzione dell’Agenzia sani-taria, così come avvenuto fi-no ad ora, allargare e diffon-dere la sperimentazione dimetodologie e strumenti perla gestione e la riduzione delrischio anche ad altre aziende(oltre a quelle già aderentiformalmente al programma),anche al fine di pervenire avalutazioni di praticabilitàdegli stessi in contesti di“normalità” organizzativa.Al termine del programma,potranno essere messe a di-sposizione delle strutture sa-nitarie regionali metodologiee strumenti validati per la ge-stione del rischio, da utiliz-zarsi all’interno di programmistrutturati. Il programma del-l’Agenzia sanitaria consiste,in sostanza, in un esperimen-to di gestione integrata delproblema rischio. In tale “in-tegrazione” fra gestori, tecni-ci e professionisti sta il po-tenziale innovativo.

N. 139 - 2003 249L’errore in medicina

Riferimenti bibliografici

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1 Pagine del sito web dell’Agenzia sanitaria regionale dell’Emilia Romagna dedicate al programma a finanziamento del Ministe-ro della salute. “Gestione del rischio in strutture sanitarie: approccio integrato alla definizione, trattamento ed utilizzo delleinformazioni”: http://www.regione.emilia-romagna.it/agenziasan/aree/accred/gest_rischio/index.htm

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Quando calavano le tenebre,lo scarso numero degli uominidi guardia non bastava più aimpedire che la notte si impa-dronisse della Fortezza. Vastisettori di mura erano incusto-diti e di là penetravano i pen-sieri del buio, la tristezza diessere soli. Come una sperdu-ta isola era infatti il vecchioforte, attorniato da territorivuoti: a destra e a sinistra lemontagne, a sud la lunga val-le disabitata e dall’altra partela pianura dei Tartari.

(Il deserto dei Tartari, D.Buzzati)

Questo articolo nasce daun’esperienza di forma-zione sul triage ospeda-

liero, durata un anno e mez-zo e diretta a tutti gli infer-mieri di Pronto Soccorso (PS)dell’Azienda ospedaliera Ca-reggi di Firenze.Il modulo formativo da noicondotto sul tema della co-municazione interpersonale,si è rivelato un osservatorioprivilegiato sul contesto or-ganizzativo del PS, su comeesso si colloca all’interno del-l’ospedale e sulle sue relazio-ni con il territorio.Obiettivo dell’articolo è proprioquello di proporre sguardi suivari mondi che si incrocianoall’ingresso dell’ospedale, mon-

di spesso tenuti separati tra lo-ro, per aprire ad una riflessionesul rapporto tra formazione edorganizzazioni sanitarie.La parola triage deriva dal fran-cese trier (scegliere, selezionare).Il triage, come metodo di se-lezione dei feriti sui campi dibattaglia, fu utilizzato per laprima volta dagli ufficiali me-dici delle armate napoleoni-che alla fine del 1700. Veni-vano individuati e quindisoccorsi i soldati con maggio-ri possibilità di sopravviven-za, che dovevano poi essereprontamente rinviati a com-battere. Questo sistema di se-lezione e di soccorso è statopoi affinato ed applicato nelcorso dei grandi conflitti chesi sono succeduti nella storia:le due grandi guerre mondia-li, la guerra del Vietnam, iconflitti in Libano, Golfo Per-sico, Balcani e Medio Oriente.Sono stati messi a punto deiveri e propri sistemi organiz-zativi e di procedure, indivi-duati dei codici-colore checorrispondono a criteri dipriorità di intervento.Tra i protocolli di triage mili-tare più conosciuti ed utiliz-zati vi sono il sistema START(Simple Triage And RapidTreatment), di origine ameri-cana e il sistema NATO, cheprevedono, per i pazienti più

gravi e con scarse possibilitàdi successo, anche una cate-goria “non salvabile”.Da questa impostazione diorigine militare, si passa all’u-tilizzo in campo sanitario, re-lativamente all’area di emer-genza-urgenza (PS e 118) eall’intervento in caso di cala-mità.Ovviamente l’intento, in que-sti ultimi contesti, è l’esattocontrario del precedente, da-to che lo sforzo maggiore èrivolto proprio verso i pazien-ti in condizioni più critiche.Ricordiamo i sistemi messi apunto dalla Associazione ita-liana di medicina delle cata-strofi (CESIRA, PhAST), utiliz-zati in caso di gravi calamità,che non prevedono pazientinon salvabili e che possonoessere applicati anche da per-sonale non sanitario (si pensial grande numero di volontariimpiegati nelle alluvioni, neiterremoti ecc.) 1.In ambito sanitario, il triageviene introdotto in ProntoSoccorso in seguito ad una se-rie di leggi (D.P.R. 27/03/92,D.M. Sanità 17/05/96) con l’o-biettivo di offrire un “primomomento di accoglienza e va-lutazione dei pazienti in base acriteri definiti che consentanodi stabilire le priorità d’inter-vento”.

In altre parole si tratta di at-tribuire un codice di prioritàd’accesso alle prestazioni sa-nitarie, basato su 4 o 5 codi-ci-colore. Al PS di Careggi èstata adottata la formula dei5 codici: dai più gravi, rossoe giallo (“funzioni vitali gra-vemente compromesse”), aimeno gravi, azzurro (“proble-ma acuto, ma non di rilevan-za vitale”) e bianco (“nond’urgenza, con problemi insor-ti da più giorni, gestibile am-bulatorialmente”), passandoper un codice intermedio, ilverde (“problema acuto, madi minima rilevanza vitale”).“Tale funzione è svolta da per-sonale infermieristico adegua-tamente formato che operasecondo protocolli prestabilitidal dirigente del servizio”.Per attivare questo nuovostrumento di lavoro, è quindirichiesta una formazione de-stinata agli operatori che do-vranno mettere in atto in pri-ma persona i nuovi protocol-li: gli infermieri.

Una cittadella fortificata

Il triage ci introduce in un’or-ganizzazione, quella sanita-ria, che ha tratti in comunecon quella militare e dove, nona caso, si utilizzano terminicome “montare di guardia”,“darsi le consegne”, “combat-

Il triage di Prontosoccorso

Giovanna CangianoRoberta Paleani*

Medico, specialista in psicologiaclinica

* Psicologo, specialista inpsicologia clinica

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tere la malattia”, “dominare isintomi”.A prima vista il PS appare co-me una vera e propria “portadell’ospedale”, un tramite traospedale ed esterno, ma an-che come una cittadella forti-ficata, con garitte e vedette,quotidianamente assediatada un esercito di individuiche sostano fuori della porta.In particolare si ha l’impres-sione di un’organizzazionedentro l’organizzazione, qua-si un ospedale nell’ospedale,dove gli operatori funzionanocome “un sol uomo”.“Nella sala rossa la notte du-ra dodici ore, ma tutto succe-de in un minuto. Perciò è im-portante che in quel minuto lepersone che vi lavorano simuovano con la massima ra-pidità e la massima coordina-zione” 2.Infatti in PS, così come più ingenerale in tutta l’area criti-ca, l’oggetto di lavoro non èla malattia cronica, ma piut-tosto tutte quelle condizionipatologiche che mettono arepentaglio la vita nell’imme-diato. Si gioca cioè una parti-ta tra la vita e la morte, chesolo un assetto organizzativoe mentale finemente struttu-rato permette di affrontare etalvolta di vincere.Gli infermieri scelgono di la-vorare in PS proprio in virtùdi questi aspetti eroici, chesono fondanti per la rappre-sentazione del proprio lavo-ro. Un lavoro sempre in emer-genza, in un costante climadi allarme, vissuto spesso insolitudine, dove gli unici sucui poter contare sono i col-leghi del proprio turno.Il curriculum professionaledegli operatori, l’organizza-zione degli spazi e del perso-

nale mostrano chiaramentecome al centro del PS ci sia iltrattamento dei “codici rossi”e come la struttura ruoti in-torno a questo compito.Il codice rosso è funzionaleall’azione: di fronte all’ur-genza, ognuno ritrova il pro-prio ruolo, si placano i con-flitti, ci si sente tutti uniti eciò permette il miglior fun-zionamento del gruppo e delservizio.Ma la realtà del PS non è co-sì lineare. Accanto ai codicirossi, si rileva la presenza diun numero molto consistentedi codici bianchi e azzurri,ovvero di persone che risulta-no non avere un problemaclinico grave.Nel 2001 a Careggi su 37.562prestazioni, circa il 30% è co-stituito da questi ultimi casicontro il 2% di codici rossi, il20% di codici gialli e il 48%di codici verdi.C’è quindi un PS “intasato im-propriamente” 3 da personeche non presentano altera-zioni delle funzioni vitali eche quindi accedono al servi-zio per i motivi più vari, conl’aspettativa, comunque, diavere risposte efficaci, intempi rapidi e gratuitamente.In altre parole il vero sintomoche il “cittadino-codice nongrave” porta al servizio è lasua stessa domanda. Porta bi-sogni che, a ben guardare,stanno su piani diversi daquello strettamente sanitarioe che spesso attengono a fe-nomeni quali solitudine, in-vecchiamento, emarginazio-ne, immigrazione e, più ingenerale, disagio sociale.Da ciò deriva la definizione diaccessi impropri, comune-mente usata dagli infermieriper questi utenti, contraddi-

zione in termini che denun-cia le contraddizioni sotto-stanti al servizio.Infatti, da una parte gliorientamenti metodologicidel PS impongono di “prende-re tutti” coloro che vi accedo-no, con l’obiettivo di offrireaccoglienza e risposte ade-guate, dall’altra parte il PS,come indica il suo stesso no-me, assume il mandato socia-le di fornire interventi diemergenza-urgenza.Tali finalità sono contraddit-torie, quindi sono spesso nonpraticabili, cioè non traduci-bili in operatività competentie coerenti con esse 4.Gli infermieri, lavorando a di-retto contatto con gli utenti,rilevano tale incongruenzama la leggono con le stessecategorie dell’organizzazioned’appartenenza. Gli accessiimpropri sono perciò conside-rati, come scarti dal modelloideale, come errori, attribuitiai cittadini stessi che, inqualche modo, “sbagliano po-sto”.Il PS attende così, pronto al“combattimento”, utenti chein realtà, per una quota im-portante, richiedono soprat-tutto accoglienza e ascolto.Ciò mette in crisi il lavoro de-gli operatori che si trovanoad adempiere, contempora-neamente, a due diversi man-dati.Se approfondiamo lo sguardo,ci accorgiamo allora che, ac-canto a situazioni di pericoloper la vita, si manifesta in PSuna realtà percepita, per altriversi, altrettanto difficile: èla realtà rappresentata daquell’“esercito” di individuiche affolla la sala d’aspetto,come una massa informe edincombente.

Il paziente codice rosso ogiallo è ciò che gli operatorisi aspettano e per il quale sisentono attrezzati. I pazien-ti codici bianchi ed azzurrirappresentano qualcosa diestraneo: chi sono? cosa vo-gliono? perché vengono?Da qui si sviluppa quella di-mensione difensiva che con-ferisce al PS, insieme al ca-rattere di porta dell’ospeda-le, quello di cittadella forti-ficata e che sposta l’atten-zione degli operatori sull’ap-parato organizzativo internolasciando sullo sfondo ciòche in quel momento si rea-lizza: l’incontro tra cittadinoe istituzione.La realtà di quest’incontroviene oscurata dalla struttu-ra stessa del servizio, dallasua “ossatura”, che si reificain termini di differenziazio-ne di mansioni, di prescri-zioni normative e di proce-dure.In questo caso, la strutturaorganizzativa rischia di pre-valere sulle finalità del ser-vizio.Così, accanto agli obiettividichiarati del triage, chestanno su un piano raziona-le, incontriamo processi im-materiali: un universo diemozioni, valori, atteggia-menti, modi di fare e di pen-sare che stanno su un livel-lo implicito ma che tanto in-fluenzano l’azione 5.Su questo livello, d’altronde,si intessono le identificazio-ni che le persone che lavora-no in PS costruiscono tra lo-ro e con l’organizzazione esono proprio la gerarchia ela rigida maglia delle proce-dure a mantenere questeidentificazioni.

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La formazione come

intervento

sull’organizzazione

Attualmente, la formazione èlo strumento strategico piùutilizzato in campo sanitarioper affrontare i continui cam-biamenti introdotti nel fun-zionamento organizzativo.Sotto questo termine sonocomprese le iniziative più va-rie, con obiettivi e modelli diriferimento molto diversi traloro, ma con in comune l’ideadi intervenire sulla capacitàdell’organizzazione di rispon-dere alle sfide sollecitate daun contesto sociale semprepiù pressante, mutevole econflittuale. Alla formazioneviene attribuito il compitospecifico di promuovere, neisingoli e nei gruppi professio-nali, l’interiorizzazione dinuove prescrizioni di ruolo edi nuove procedure organiz-zative 6.Ma la formazione non portaautomaticamente a questi ri-sultati.Piuttosto, se non si pone ilproblema del cambiamento,rischia di assumere solo fun-zioni di controllo e di mante-nimento del funzionamentoin atto nel sistema.Non a caso, quelli a cui assi-stiamo comunemente sonointerventi formativi in cui iprogrammi sono rigidamentepredefiniti ed in cui i conte-nuti ed i modelli di compor-tamento da trasmettere sonosempre più dettagliati. Inquesto modo vengono impli-citamente sostenuti valori,relazioni, atteggiamenti in li-nea con la cultura meccanici-stica dell’organizzazione: laformazione assume funzionidi manutenzione e potenzia-mento di un sistema rappre-

sentato come una macchina,che via via richiede l’inter-vento di esperti sulle sue par-ti disfunzionanti.In quest’ottica non è previ-sto, dunque, che i singoli e igruppi operanti nelle specifi-che realtà possano apportareun contributo alle decisionisu strutture, programmi e in-dicatori di risultato.Sia gli operatori che gli utentidevono piuttosto conformarsi aprescrizioni prestabilite.Si può invece pensare ad unaformazione che si ponga ilproblema del cambiamento,che non venga solo eseguitaper adempiere ad una legge oad un obbligo istituzionale,ma promuova e sostenga unreale processo mutativo.Si tratta di progettare inter-venti formativi intesi, innan-zitutto, come spazi perché lepersone possano vedere i pro-blemi e rappresentarsi i cam-biamenti, quale unico modoper comprendere ed influen-zare gli avvenimenti 7.I processi innovativi implica-no, infatti, una riconfigura-zione non tanto o non solodei propri saperi, ma del mo-do di rappresentarsi quel cer-to problema o aspetto delproprio lavoro.Questi processi, data la lorocomplessità, non possono ri-guardare solo gli operatori adiretto contatto con l’utente,con l’idea implicita che stia aloro ricomporre le contraddi-zioni del sistema.Gli “altri” interlocutori, chedi solito sono attori muti perla formazione, possono essereinterpellati e coinvolti attra-verso un percorso di verifichee delucidazioni 8.In altre parole, è necessariocreare luoghi di comparteci-

pazione tra tutti i livelli,compresi quelli dirigenziali,intorno ai problemi, per attri-buire significati condivisi alleazioni e mettere a puntoobiettivi realistici.In quest’ottica un risultatodella formazione è proprio lacostruzione di collegamentitra elementi lontani dell’or-ganizzazione, per favorireazioni di ritorno a modificadell’organizzazione stessa. Ivertici hanno visuali ampie,ma proprio per questo sfuma-te, mentre gli operatori, acontatto con le realtà specifi-che, hanno orizzonti più li-mitati ma più nitidi.La formazione deve tenerconto della necessità di inte-grare questi diversi punti divista, piuttosto che mantene-re le scissioni, come accade seci si rivolge separatamente aciascuna componente.In questo senso l’esperienzadella formazione al triage ap-pare paradigmatica.Gli accessi impropri, se nonconsiderati solo come un er-rore degli utenti o un proble-ma degli operatori, possonodiventare un’occasione di svi-luppo professionale ed orga-nizzativo.Compito della formazione èproprio quello di accompa-gnare le persone coinvolte inprocessi di ri-organizzazionedel proprio lavoro, suppor-tando la competenza a legge-re e interpretare i fenomeniche si manifestano nel conte-sto organizzativo per ricollo-carsi più realisticamente inesso.Queste molteplici riconnes-sioni interne all’organizza-zione costituiscono infatti lapremessa per una apertura

verso l’esterno più adeguataalla realtà.Il triage può rappresentareallora la possibilità di avvici-nare le richieste dell’utente el’offerta del servizio, svolgen-do un ruolo cerniera tra den-tro e fuori l’organizzazione.In quanto “zona di confine”,il PS rappresenta un esempioconcreto del difficile rapportoche le organizzazioni sanita-rie stanno attraversando conil contesto sociale ma, allostesso tempo, può diventareuna preziosa fonte d’informa-zione sull’esterno.Ciò eviterebbe che il PS ven-ga identificato come il depo-sitario degli aspetti più inso-stenibili della comunità loca-le, il ricettacolo di tutto ciòche non è gestito dai serviziintermedi e potrebbe invecefarne il motore propulsore diconoscenza e di azione a li-vello locale.“In realtà il territorio non è u-no spazio affollato da individuiche si possono ammalare, ben-sì una società con la sua cul-tura, le sue abitudini, le suetradizioni, aspetti indispensa-bili anche alla comprensionedei problemi sanitari” 9.In questo momento, che vedele aziende sanitarie impegna-te in un’opera di risanamentodelle finanze, in cui le risorsesono “finite” nel senso chenon sono illimitate, è più chemai importante fornire rispo-ste differenziate e mirate ri-spetto ai vari bisogni.La conoscenza del territorioda parte dell’organizzazionepuò così divenire lo strumen-to per produrre servizi 10 real-mente fruibili dai cittadini,riposizionando più adeguata-mente il sistema sanitario nelcontesto sociale.

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Bibliografia

1 Becattini G, Lumini E. Il triage in situazioni di guerra o di at-tacco terroristico: aspetti storici, organizzativi, etici. Janus2002;5.

2 Messina S. Meglio di E. R. la rianimazione della sala rossa. LaRepubblica 05-02-03.

3 Triage: il senso di una ”scelta”. A cura del gruppo “Triage” delgruppo interaziendale “Qualità e Pronto Soccorso” in L’infer-miere marzo-aprile, 2/2000.

4 Paniccia RM, Salvatore S. Il colloquio: dalla tecnica all’interven-to. In: Montesarchio G, ed. Colloquio da manuale. Milano: Giuf-frè Editore 1998.

5 Guerra G. Psicosociologia dell’ospedale. Roma: NIS 1992.

6 Olivetti Manoukian F. Formazione e organizzazione. In: Ambro-siano R, Milano L, eds. Esperienze di Psicosociologia. Franco An-geli Editore 1982.

7 Olivetti Manoukian F. I fattori strategici per un organizzazionedi qualità: i modelli organizzativi, la dirigenza, la formazione.Atti 7° Congresso Nazionale Firenze del Coordinamento Nazio-nale Caposala, 7-8-9 novembre 2001.

8 Manoukian A. Formazione e organizzazione: un’interpretazionestorica. Arch Psicol Neurol Psichiatr 1976;fasc. I-II.

9 Olivetti Manoukian F.,La formazione del personale delle USL.Appunti dello Studio APS 1982.

10 Normann R. Service Management, Strategy and Leadership inservice Business. New York: Wiley & Sons 1994. Trad. it. La ge-stione strategica dei servizi. Milano: Etas Libri 1985.

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“ATTIVEcomeprima” nasce a Milano nel 1973, come prima associazione italiana a sostegno delle donne colpite dal cancro al seno.

In questi trent’anni, Ada Burrone, la sua fondatrice, dopo l’esperienza personale della malattia, é riuscita a concretizzare la suavolontà di aiuto, facendo crescere un’équipe di lavoro composta da psicologi, medici, ex-pazienti ed esperti nel campo della crea-tività e della armonizzazione mente-corpo.L’esperienza maturata attraverso l’ascolto dei bisogni espressi dalle persone incontrate, ha dato origine a una metodologia opera-tiva, sistematica e trasmissibile. Pur mantenendo un’unica sede a Milano, questi strumenti rappresentano una risorsa non soloper i pazienti ma anche per gli specialisti di altre organizzazioni che in Italia e all’estero hanno scelto e scelgono di utilizzarli.

In concreto, accanto ai servizi di consulenza, al sostegno medico generale durante le terapie oncologiche, ai pareri di specialisti, “AT-TIVE” propone una metodologia originale per un percorso di sostegno psicologico, articolato in tre fasi: “Riprogettiamo l’esistenza”,“Decido di vivere”, “La terapia degli affetti”.Durante il percorso sono suggerite attività psicocorporee e creative e corsi sulla alimentazione.Al termine del percorso e anche a distanza di tempo, le donne possono accedere a una quarta fase finalizzata a mantenere e svi-luppare le risorse interne: “Il tesoro nascosto”, quel tesoro dentro di noi di cui tutti abbiamo un profondo bisogno: la speranza.

Attivecomeprima svolge costantemente studi e ricerche sui cambiamenti indotti dalle attività di gruppo (minore depressione, mi-nore fragilità, più equilibrio e maggiore capacità di esprimersi per quello che si é) e sulla qualità della vita. Trasferisce il suoknow-how agli specialisti mediante incontri e seminari. Per la sua capacità di interfaccia tra malati e medici collabora con Isti-tuti oncologici, università e Centri di ricerca. Tra le ricerche: Progetto Diana (prevenzione del cancro mammario attraverso l’a-limentazione) e la partecipazione alla ricerca nazionale sulla Fatigue, realizzata in collaborazione con il CERGAS dell’universitàBocconi di Milano, che ha messo in luce quanto questa sindrome, associata alla malattia tumorale e alle terapie, pregiudichi laqualità della vita del paziente.

* Onlus

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Attivecomeprima*

La cura della persona colpita dal cancro e la cura della malattia:due aspetti inscindibili di un’azione con un solo fine“AIUTARE A VIVERE”

Per informazioni:

“ATTIVEcomeprima”

Via Livigno, 3 - 20158 MilanoTel. 0266889647; fax: 026887898; e-mail: [email protected]; www.attivecomeprima.org

Conto Corrente Postale n°11705209

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Daniele Dionisio (ed.), Text-book-Atlas of intestinal infec-tion in AIDS, Springer-Vergal,Milano, 2003

Daniele Dionisio raccoglie inquesto volume i contributi di58 studiosi rappresentanti dimolteplici discipline e operan-ti in diversi continenti, of-frendoci un quadro completodelle diverse parassitosi inte-stinali che colpiscono i pa-zienti affetti da immunodefi-cienza acquisita.

Le infezioni intestinali hannorappresentato infatti uno deiproblemi più rilevanti dei ma-lati di Aids, un problema at-tenuatosi solo negli ultimianni a seguito della diffusio-ne della terapia antiretrovira-le. Resta tuttavia un proble-ma fondamentale nei paesi invia di sviluppo in cui la tera-pia è meno accessibile.

Il dr. Dionisio, a cui si devonodue capitoli fondamentali delvolume (Gut Infections: etio-pathogenetic and clinical re-marks; Parassites commonlyassociated with recognized a-gents of Aids-related chronicdiarrea in developing coun-tries), ci offre, in una puntua-le e sintetica introduzione, ilquadro complessivo della dif-fusione dell’Aids nel mondo.Si tratta di 42 milioni di per-sone affette da HIV/Aids; 5milioni sono state contagiatenel 2002 e i decessi nello stes-so anno sono stimati in 3.1milioni. La patologia è ormaiappannaggio essenzialmentedei paesi in via di sviluppo euna parte consistente della po-polazione contagiata è rappre-sentata da bambini di età in-feriore ai 15 anni.

I primi capitoli ripercorronol’evolversi delle conoscenze

sulle parassitosi intestinali,sia in periodo pre-microscopi-co che nella fase avviata daFrancesco Redi e LazzaroSpallanzani con l’inizio del-l’uso dei microscopi. Vienepoi esaminata la storia natu-rale dell’infezione da HIV conalcuni capitoli specifici sullarelazione fra infezione HIV ele funzioni gastrointestinali.

Ai vari gruppi di agenti infet-tivi è dedicato un singolo ca-pitolo: batteri, micobatteri,macrosporidi, funghi, virusenterici, Herpesvirus etc.,con i fondamentali elementidiagnostici e terapeutici. Al-tri capitoli illustrano i repertianatomopatologici e le imma-gini ecografiche e radiologi-che proprie della compromis-sione del tratto intestinale

Il volume (prezzo sul catalo-go telematico della casa edi-

trice 129 euro), si caratteriz-za, come indicato anche neltitolo (Textbook-Atlas), perla ricchezza delle immagini,che intendono offrire, accan-to alla puntuale descrizione,uno strumento fondamentaledi orientamento diagnosticoper gli operatori. Il libro è ar-ricchito da numerose tavolenelle quali, con una icono-grafia semplice ed efficace,sono sintetizzate le diversevie di trasmissione degliagenti infettivi.

L’apparato iconografico rendeil volume un supporto idealeper i programmi di formazio-ne degli operatori sanitari deipaesi in via di sviluppo e il li-bro è un punto di riferimentoper clinici e laboratoristi, difronte ad un problema checoinvolge tuttora un gran nu-mero di pazienti.

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Recensioni

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TestoSi invitano gli autori a rimanere nell’ampiezza massima delle 10 cartelle (30 righe per 60 battute circa) o 18.000 battutespazi inclusi, comprese figure, tabelle e bibliografia. Eccezionalmente e solo per contributi di carattere generale possono es-sere concordate lunghezze superiori.Software: preferibilmente Microsoft Word versione 6:0 e successive. Non utilizzare in nessun caso programmi di impagina-zione grafica quali Publisher, Aldus Pagemaker o Quark X-press.Non formattare il testo in alcun modo.Testo e singole tabelle e/o grafici devono essere salvati in file separati. Le tabelle e/o grafici non devono superare il n° di 3per contributo; sono richiamate nel testo, numerate nell’ordine della citazione e corredate di una breve didascalia.

Illustrazioni Dischetti: inviare le immagini in file separati dal testo e dalle tabelle che devono essere numerate nell’ordine della citazione.Software e formato: inviare immagini esclusivamente in formato TIFF o EPS, con risoluzione minima di 300 ppi e formatodi 100x150 mm.

AutoriCognomi e nomi per esteso devono essere indicati sotto il titolo, e seguiti dalla qualifica e/o indicazione dell’istituzione(nome, città, stato) di appartenenza e dall’indirizzo al quale si desidera sia inviata la corrispondenza, con recapito telefo-nico e eventualmente dalla propria e-mail, precisando se si vuole che sia pubblicata.

BibliografiaPer la compilazione delle singole voci si rispettino le seguenti norme:- Articoli: cognome e iniziale del nome degli autori(se non sono più di sei); se più di sei citare i primi tre e aggiungere

et al., anno di pubblicazione tra ( ), titolo in lingua originale, nome del periodico (secondo la nomenclatura interna-zionale abbreviata dall’Index Medicus), volume, prima e ultima pagina dell’articolo;

- Libri: cognome e iniziale del nome, anno di pubblicazione tra ( ), titolo in lingua originale, editore ( nome e città), nu-mero del volume e la pagina iniziale e finale del capitolo o articolo.

Conflitti di interesseGli autori devono dichiarare eventuali presenze di conflitti di interesse (per esempio le consulenze per un’azienda i cui pro-dotti o attività siano pertinenti allo studio).Queste informazioni non influenzeranno il giudizio dei revisori e della Direzione, ma verranno segnalate ai lettori se l’arti-colo sarà accettato per la pubblicazione

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NORME REDAZIONALI

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