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Senato della Repubblica 195 — Camera dei Deputati LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI CAPITOLO TERZO LA MAFIA URBANA SEZIONE PRIMA L'INSERIMENTO DELLA MAFIA NELLA SOCIETÀ URBANA 1. — La fase di transizione. Intorno agli anni 1954-1955 (che sul piano nazionale segnano l'avvio di una nuova fase di espansione economica, culminata nel co- siddetto miiracdlo), si assiste in Sicilia ad una sensibile accentuazione dell trasferimen- to verso le città {e soprattutto verso Paler- mo) dei principalli interessi mafiosi. In quegli anni, come prima si è detto, si da finalmente attuazione, sia pure in forma limitata, alla legge di riforma agraria, con la assegnazione ai contadini delle tenre scor- porate. Ili vecchio blocco dei ceti dominanti riceve un duro colpo e di riflesso l'evoluzio- ne economica e sociale delle campagne sici- liane spinge i mafiosi a sperimentare nuove e (diverse forme di potere, non più legate sol- tanto al mondo .rurale, ma proiettate, con una 'decisione maggiore che nel passato, ver- so i grandi centri urbani. Con questo naturalmente non si vudl dire che ned periodo accennato la mafia abbia cer- cato di realizzare un disegno ordinato e pre- stabilito. Si è già più volte spiegato come non sia accettabile una concezione schematica della mafia, che individui nel fenomeno una potente e compatta organizzazione unitaria, i cui affiliati partecipano, ciascuno nel setto- re di propria competenza, all'attuazione di fini predeterminati. Al contrario, la storia della mafia è fatta di episodi specifici e spes- so disarticolati, in sostanza delle 'vicende 'dici singoli capi, del modo in cui ciascuno di loro ha saputo mescolare, in un intricato tessuto di potere personale, attività delittuose e af- fari leciti, collegamenti con persone influenti e pressioni di ogni tipo sull'ambiente esterno. Resta tuttavia il fatto che, nell'ultimo ven- tennio, il fenomeno mafioso esce in misura massiccia dall'ambiente chiuso dell'agricoltu- ra (latifondista, che ne aveva costituito l'idea- le terreno di cultura, per trasferirsi in forze nel cuore stesso delle città siciliane. Il pas- saggio, però, non è affatto lineare, ma si svi- luppa al contrario in una sorta di rapporto circolare, che finisce con l'incìdere profon- damente sul modo di essere della « nuova mafia ». Certo i mafiosi, entrati in città, si impadroniscono rapidamente delle tecniche e dei moduli operativi di una società assai più ©voluta di quella che ne vide le origini, tanto da riuscire a primeggiare nel sottobo- sco delinquenziale dei grandi agglomerati ur- bani siciliani (e non sol tanto siciliani); ma al fondo le caratteristiche peculiari delle ma- nifestazioni mafiose rimangono quelle di sempre, sia pure con le modifiche e con gli aggiornamenti necessari, continuano cioè ad esprimere, anche nei nuovi contesti sociali, i tratti tipici di una subcultura di stampo prettamente agricolo. La stessa sopravviven- za della mafia si ipuò dire in definitiva condi- zionata a questo trasferimento in un inondo diverso di una mentalità antica, caratterizza- ta da rapporti particolari con l'ambiente esterno, con coloro che sono costretti a su- bire la presenza mafiosa. La cronistoria degli avvenimenti, in cui si concreta questa fase di transizione, chiarisce, con l'evidenza dei fatti, come la nuova mafia non sia altro che una diffusione di quella agri- cola, spesso anche per quanto riguarda la provenienza degli uomini che la rappresenta-

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CAPITOLO TERZO

LA MAFIA URBANA

SEZIONE PRIMA

L'INSERIMENTO DELLA MAFIANELLA SOCIETÀ URBANA

1. — La fase di transizione.

Intorno agli anni 1954-1955 (che sul pianonazionale segnano l'avvio di una nuova fasedi espansione economica, culminata nel co-siddetto miiracdlo), si assiste in Sicilia aduna sensibile accentuazione dell trasferimen-to verso le città {e soprattutto verso Paler-mo) dei principalli interessi mafiosi.

In quegli anni, come prima si è detto, sida finalmente attuazione, sia pure in formalimitata, alla legge di riforma agraria, con laassegnazione ai contadini delle tenre scor-porate. Ili vecchio blocco dei ceti dominantiriceve un duro colpo e di riflesso l'evoluzio-ne economica e sociale delle campagne sici-liane spinge i mafiosi a sperimentare nuovee (diverse forme di potere, non più legate sol-tanto al mondo .rurale, ma proiettate, conuna 'decisione maggiore che nel passato, ver-so i grandi centri urbani.

Con questo naturalmente non si vudl direche ned periodo accennato la mafia abbia cer-cato di realizzare un disegno ordinato e pre-stabilito. Si è già più volte spiegato come nonsia accettabile una concezione schematicadella mafia, che individui nel fenomeno unapotente e compatta organizzazione unitaria,i cui affiliati partecipano, ciascuno nel setto-re di propria competenza, all'attuazione difini predeterminati. Al contrario, la storiadella mafia è fatta di episodi specifici e spes-so disarticolati, in sostanza delle 'vicende 'dicisingoli capi, del modo in cui ciascuno di loro

ha saputo mescolare, in un intricato tessutodi potere personale, attività delittuose e af-fari leciti, collegamenti con persone influentie pressioni di ogni tipo sull'ambiente esterno.

Resta tuttavia il fatto che, nell'ultimo ven-tennio, il fenomeno mafioso esce in misuramassiccia dall'ambiente chiuso dell'agricoltu-ra (latifondista, che ne aveva costituito l'idea-le terreno di cultura, per trasferirsi in forzenel cuore stesso delle città siciliane. Il pas-saggio, però, non è affatto lineare, ma si svi-luppa al contrario in una sorta di rapportocircolare, che finisce con l'incìdere profon-damente sul modo di essere della « nuovamafia ». Certo i mafiosi, entrati in città, siimpadroniscono rapidamente delle tecnichee dei moduli operativi di una società assaipiù ©voluta di quella che ne vide le origini,tanto da riuscire a primeggiare nel sottobo-sco delinquenziale dei grandi agglomerati ur-bani siciliani (e non sol tanto siciliani); maal fondo le caratteristiche peculiari delle ma-nifestazioni mafiose rimangono quelle disempre, sia pure con le modifiche e con gliaggiornamenti necessari, continuano cioè adesprimere, anche nei nuovi contesti sociali,i tratti tipici di una subcultura di stampoprettamente agricolo. La stessa sopravviven-za della mafia si ipuò dire in definitiva condi-zionata a questo trasferimento in un inondodiverso di una mentalità antica, caratterizza-ta da rapporti particolari con l'ambienteesterno, con coloro che sono costretti a su-bire la presenza mafiosa.

La cronistoria degli avvenimenti, in cui siconcreta questa fase di transizione, chiarisce,con l'evidenza dei fatti, come la nuova mafianon sia altro che una diffusione di quella agri-cola, spesso anche per quanto riguarda laprovenienza degli uomini che la rappresenta-

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no e come la sua affermazione nel nuovo con-testo urbano sia diventata possibile, da unlato per la difettosa soluzione dei problemiconnessi ai rapporti tra città e campagne, edall'altro per il mancato sviluppo in Siciliadi una società moderna.

Non è in primo (luogo senza significato chel'esplosione della mafia urbana coincida inpratica con la soppressione a Corleone di Mi-chele Navarca, il grande avversario di Lucia-no Leggio, crivellato di colpi di arma da fuo-co, mentre tornava in paese insieme ad unignaro compagno di viaggio. La 'fine di Na-varca segna come uno spartiacque. In cittàdiventa sempre più prepotente e aggressivala voce della nuova mafia gangsteristica deitraffici illeciti. Il 7 settembre 1959, viene eli-minato Filippo Drago, il 9 maggio 1960 Vin-cenzo Maniscalco, il 2 ottobre 1960 GiulioPisciotta e Natale Carolilo. Sono tutti episo-di che si ricollegano alle mosse di grandi as-sociazioni mafiose, i cui interessi non semprecollimano e nelle quali cominciano ad assu-mere prestigio, accanto ai capi già noti, comeLuciano Leggio, Tommaso Buscetta, RosarioMancino, Vincenzo e Filippo Rimi, nuovi espieiati personaggi che presto assurgerannoa notorietà nazionale, e che subito si schie-rano in opposte fazioni, da una parte Angeloe Salvatore La Barbera, dall'altra Nicola,Paolo e Salvatore Greco. Questa nuova levadi capi irrompe sulla scena con violenza inu-sitata, adottando i metodi e ile tecniche delgangsterismo nordamericano. Palermo diven-ta la città di incontro e di scontro delle vec-chie e delle nuove attività della mafia. Unalotta sanguinosa si accende tra le varie co-sche mafiose, per la ripartizione delle zone diinfluenza e per Ha ricerca di nuove fonti diillecito guadagno.

Le ostilità vennero aperte il 26 dicembre1962 con l'omicidio di Calcedonio Di Pisa,vice capo della gang dei Greco di Ciaculli,che venendo meno alle ferree leggi dalla ma-fia si era appropriato del denaro ricavato daun'operazione di traffico di stupefacenti por-tata a termine insieme con un'altra gang.

Il 17 gennaio 1963, fu ucciso Salvatore LaBarbera. Il 19 aprile, in piena Palermo, di-nanzi all'affollatissima pescheria Impero,venne eseguito un attentato contro Angelo La

Barbera, durante il quale rimasero feriti Ste-fano Giaconia, Salvatore Crivello e Gioacchi-no Cusenza. Il 21 aprile, fu soppresso Vin-cenzo D'Accardo, il 24 aprile fu ila volta diRosolino GuJizzi, il 26 aprile a Cinisi su unaautomobile « Giulietta » esplose un conge-gno, che provocò la morte di Cesare Manzel-la e Filippo Vitalle, il 23 maggio fu uccisoSalvatore Gambino, il 19 giugno venneroassassinati Pietro Garofalo e Girolamo Co-nigldaro, il 22 giugno Bernardo Diana, il 27giugno Emanuele Leonforte. Nella notte sul30 giugno 1963, a Villlabate, esplose un or-digno su un'automobile che era stata abban-donata davanti all'autorimessa del mafiosoGiovanni Di Peri e nell'attentato morironoPietro Cannizzaro e Giuseppe Tesauro. Lostesso giorno, nella borgata Ciaculli di Pa-lermo, l'esplosione di un altro ordigno postosu un'altra macchina abbandonata nel fondoSirena, provocò la morte dei militari che era-no accorsi al primo allarme: il,tenente deiCarabinieri Mario Malausa, il maresciallo deiCarabinieri Calogero Vaccaro, il maresciallodi Pubblica sicurezza Silvio Corrao, i carabi-nieri Marino Faindella ed Eugenio Altomare,il maresciallo artificiere Pasquale Nuccio e ilsoldato Giorgio Ciacci.

Fu il punto d'arrivo di una escalation cri-minosa che aveva alle sue spalle la lenta ope-ra di penetrazione nel tessuto sociale dellacittà. Per un'organizzazione, che provenivadalla campagna, la via, o quanto meno unadelle vie scelte per portare a termine questaopera, fu quella dei mercati all'ingrosso. Erain questo settore infatti che si incontravanocittà e campagna, ed era qui che l'intrinsecadebolezza del ceto produttivo più efficiente,affiorato dalla demolizione delle vecchiestrutture agrarie, consentiva ancora l'eserci-zio di una lucrosa attività di intermediazione.

2. — / mercati all'ingrosso. L'erogazione delcredito.

Fu appunto per le ragioni ora accennate,che la Commissione ritenne subito necessa-rio portare il suo esame sull settore dei mer-cati all'ingrosso; per tranne le opportune in-dicazioni circa i metodi operativi della mafia,

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nel momento dell'introduzione in città deiprodotti agricoli, occorrenti al vettovaglia-mento della popolazione.

In questa prospettiva la Commissione fer-mò innanzitutto la propria attenzione sugliepisodi criminali verificatisi nell'ambito deimercati e sui precedenti penali degli opera-tori economici del settore. Ne risultò (comepuò più specificamente desumersi dalla re-lazione settoriale sui mercati già pubblicatadalla Commissione — Doc. XXIII n. 2/bis -V Legislatura) uri quadro eloquente, carat-terizzato dalla forte incidenza di individuipregiudicati sull'insieme degli operatori, dal-la presenza di cosche rivali, dalla conse-guente esplosione di determinati periodi disanguinosi episodi di delinquenza.

Si accertò, poi, in riferimento ai singoli tipidi mercato, che all'epoca della indagine, ilmercato ortofrutticolo di Palermo non eraubicato (così come avviene tuttora) nel modomigliore possibile per un grande aggregatourbano come il capoluogo siciliano, che man-cava all'ingresso ogni forma di controllosulle persone e sulle merci, che all'internodei mercati la vigilanza veniva effettuata daun numero insufficiente di agenti municipalie che l'area disponibile appariva piuttostoristretta per il numero degli stands e deimagazzini. Risultò pure che in occasione deltrasferimento del mercato dalla vecchia sedeal nuovo spazio approntato dal Comune, laassegnazione dei 42 stands, con le inevitabiliesclusioni e le constatate disparità di istal-lazione, era stata lasciata nelle mani dei com-missionari, senza nessuna intromissione del-l'ente gestore, era stata cioè in pratica la-sciata nelle mani del più forte, e quindi ten-denzialmente nelle mani dei mafiosi.

In questo modo il Comune aveva perdutoun'utile occasione per svolgere -un'adeguatocontrollo sul possesso da parte degli operato-ri dei prescritti requisiti di legge, in primoluogo di quello della buona condotta. Glistands invece erano sitati concessi anche apersone con precedenti penali e in seguitoalla scadenza delle (licenze non si era nem-meno provveduto ad eliminare gli indiziatidi appartenenza alla mafia. Per la verità conla gestione Ganazzolo e Agnello erano statieffettuati allcuni tentativi di risanamento del-

l'ambiente, ma l'iniziativa era stata frustra-ta dall'atteggiamento degli stessi rappresen-tanti dei commissionari, par respingere laproposta di considerare scadute le licenzeal termine di due anni. Inoltre, quando siera deciso di depennare dall'albo dei grossi-sti i commercianti pregiudicati o che nonavessero il requisito della buona condotta, inun primo tempo vi erano state caviliose re-sistenze da parte del sindaco al rilascio delrelativo certificato; e poi, allorché moltigrossisti erano stati effettivamente cancella-ti dall'albo, l'ente gestore del mercato avevaomesso idi estrometterli, per attendere la de-cisione sul ricorso presentato dagli interes-sati.

Si accertò ancora che gli spazi riservatiai produttori e alle cooperative agricole era-no stati anche essi assegnati ai' grossisti con-cessionari delle licenze e che questi li ave-vano trasferiti ai produttori, dietro compen-so del dieci o dodici per cento sul prodottocommerciato. Infine, per i rilevamenti stati-stici e fiscali, il Comune si era sempre rimes-so alle dichiarazioni degli interessati, con laconseguenza che ne erano derivate una to-tale falsità della documentazione e una co-lossale truffa nel pagamento delle imposte,specie dell'IGE., La Commissione portò, peraltro, il suoesame anche .sul più itipico dei mercati vici-ni a Palermo, quello di Villabate, e sui mer-cati all'ingrosso della carne e del .pesce..

Dalle indagini risultò che il mercato dellecarni era fortemente inquinato dalla pre-senza di numerosi pregiudicati fra gli opera-tori e i macellai di Palermo e dagli evidentied accertati collegamenti con le cosche ma-fiose che ancora praticavano l'abigeato. Perdi più una serie di episodi confermavano laesistenza di un vero e proprio monopolio ma-fioso sul mercato delle carni e sul controllodei più grossi centri di utilizzazione dei pro-dotti, quali gli alberghi e in genere le comu-nità di ogni tipo.

Anche nel mercato all'ingrosso del pescela presenza mafiosa era denunciata dal piùassoluto monopolio, che detenevano nel set-tore pochi concessionairi e da altre anoma-lie parimenti gravi, rappresentate dalla man-

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cata realizzazione degli impianti di conser-vazione e immagazzinamento del pesce e dal-la mancata caratterizzazione dei vari tipi dioperatori presenti sul mercato, non esisten-do una netta distinzione fra grossisti e com-missionari ed essendovi altresì un'identitàpersonale fra i coneesskmairi e gli stessi pro-duttori, cioè gli armatori di gran parte dellaflottiglia peschereccia di Mazara del Vallo.

Gli accennati rilievi indussero la Commis-sione a formulare nella relazione, di cui si èprima parlato, le seguenti proposte, che al-meno in parte sono tuttora valide, e in questamisura saranno perciò di nuovo sottoposteall'attenzione del Parlamento:

« a) una riforma della legge sui mercatiall'ingrosso che dia strumenti legali per im-pedire l'inserimento di elementi adusati allasopraffazione ed al profitto parassitario eper eMminadi .dall'attività di operatori;

b) un ampliamento del mercato orto-frutticolo, con trasferimento in area perife-rica o con esproprio di aree adiacenti, chedia la 'possibilità di istituire nuovi posteggie di riservare ai produttori, singoli o asso-ciati, spazi sufficienti e tali da assicurare equacompetitivita nei confronti dei commissio-nar i;

e) un provvedimento di carattere solo inparte straordinario, per cui, nell'imminentescadenza delle concessioni (o amene dopo),tutte le precedenti assegnazioni vengano di-chiarate di fatto prive di valore anche ai finidi titolo preferenziale precostituito.

Nelle nuove assegnazioni, titolo preferen-ziale dovrebbe essere ritenuta solo l'assenzadi ogni precedente penale (anche se seguitoda riabilitazione) e di ogni precedente in ma-teria di prevenzione. La selezione delle do-mande di concessione dovrebbe anche tenerconto, come elemento di carattere negativo,dell'appartenenza di due o più elementi allostesso nucleo familiare o alla stessa società(anche di fatto). La selezione dovrebbe peral-tro operare in profondità nell'accertamentodei passaggi di titolarità in qualsiasi formaconsacrati, al fine di eliminare qualsiasi for-ma di subconeessione;

d) criteri di massimo rigore, dal puntodi vista dei precedenti penali, dovrebbero

essere applicati anche nella ricostituzionedella Commissione di mercato, potendo pe-raltro agiire l'autorità prefettizia sulle ternedesignate dalla categoria e dallo stesso ge-store;

e) incoraggiamento alle forme associa-tive di produttori attraverso d'applicazionedi tutti i possibili incentivi e facilitazioni edaccertamento delle non rare forme di camuf-famento della speculazione intermediariasotto forma di pseudo<:ooperatrve;

/) impianto di idonee attrezzature di con-servazione dei prodotti, sia a'1 mercato orto-frutticolo che al mercato ittico. Severa ap-plicazione delle norme di mercato per quantoriguarda il tesseramento degli operatori, ilcontrollo degli stessi, l'accertamento dellaquantità delle merci introdotte, sia ai finistatistici che ai fini fiscali;

g) normalizzazione dei mercati finitimialle città, come quelli di Villabate e di Por-ticello;

h) istituzione di un regolare mercato al-l'ingrosso delle carni, a lato del mattatoiocomunale;

i) di una gestione straordinaria di suffi-ciente durata che si sostituisca con la mas-sima energia e decisione ad un ente gestoreche non si è rivelato all'altezza dei compitiassegnatigli ».

A seguito di queste indicazioni, delle inda-gini disposte dalla Prefettura e delle propo-ste avanzate dalla Camera di commercio, il13 febbraio 1970, l'Assessore regionale all'in-dustria e al commercio, procedette alla no-mina di un Commissario al mercato ortofrut-ticolo di Palermo, che rimase in carica finoal 14 agosto 1970. Durante il suo mandato,il Commissario presentò all'Autorità giudizia-ria una dettagliata denuncia circa i fatti ac-certati nei mercati all'ingrosso di Palermo:dopo di che la Magistratura palermitana ini-ziò un procedimento penale contro cento per-sone, tra amministratori comunali, funziona-ri e concesskmari degli stands del mercatoortofrutticolo, per interesse privato in atti•di ufficio, corruzione e peculato.

Veniva così confermato anche in sede giu-diziaria quanto la Commissione aveva con

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chiarezza accertato durante le sue indagini,che cioè — come si legge nella relazione set-toriale, già richiamata — « la carenza nel-l'esercizio dell'attività amministrativa e divigilanza da parte dell'ente gestore (Comunedi Palermo) aveva contribuito notevolmentea determinare un clima e un ambiente favo-revoli al prodursi di una situazione dove hadominato la legge del più forte, estrinsecan-dosi in atti di potere monopolistico, di inter-mediazione parassitarla, di attività extrale-gali, di pressioni di ogni sorta, di indebitiprofitti, di delitti veri e propri. In una paro-la: della mafia dei mercati ».

Di fronte ad una situazione del genere, laCommissione non può fare a meno di rileva-re che anche in questo settore la presenzamanosa si affermò, secondo un dato ricorren-te nella sua storia, per il contemporaneo con-corso di due fattori; da una parte l'intrinse-ca debo'lezza (economica, politica e in gene-re sociale) dell'ambiente considerato, dall'al-tro la mancanza di un'efficace resistenza del-l'apparato pubblico alle pressioni e ai tenta-tivi di infiltrazione mafiosa. La Pubblica am-ministrazione denunciò rispetto alla gestio-ne dei mercati carenze e cedimenti inspie-gabili e i suoi interventi finirono così col fa-vorire la mafia e col creare un inammissibi-le intreccio itra l'azione amministrativa e lasituazione di predominio mafioso che ha ca-ratterizzato, nel corso di questi anni, il set-tore idei commercio all'ingrosso della cittàdi Palermo e del suo retroterra.

Le stesse note, gli identici caratteri, le me-desime condizioni di cultura si ritrovano, siapure in forme e con dimensioni diverse, intutti gli altri campi dell'attività economica,in cui la mafia urbana è riuscita, negli ultimilustri, a far sentire la propria presenza. Nel-l'accaparramento delle aree fabbricabilicome nello sfruttamento dei suoli, nella ri-cerca di appalti e di concessioni vantaggiosee particolarmente lucrative, come nel collo-camento della marno d'opera, o nella solleci-tazione di crediti, la mafia è stata favoritaanche in città, come già era avvenuto nellecampagne dell'interno della Sicilia occiden-tale, dal lassismo, dall'inefficienza, se nondalla compiacente accondiscendenza dei pub-blici poteri, e sull'altro versante, dalla man-

canza idi un tessuto sociale, che fosse in gra-do, per forza propria, di opporle la necessa-ria resistenza e di non subirne le insidiosevessazioni.

La Commissione ha seguito con attenzionein ognuno dei suddetti settori, i tentativicompiuti dalla mafia per imporre la sua leg-ge, o almeno per conseguire o mantenere po-sizioni di favore; ma sarebbe ora difficile e indefinitiva superfluo esporre in tutti i parti^colari i risultati del lavoro compiuto, essen-do già un dato di rilievo avere identificato(nei termini generali che si sono indicati) lecaratteristiche peculiari che ebbe, nei primianni della sua ascesa (e che sono in sostanzaquelle di sempre), la mafia urbana. Natural-mente, per dare di ciò una dimostrazioneconvincente, sarà necessario soffermarsi inun esame più approfondito di talune inizia-tive mafiose, specialmente nel campo dellaspeculazione edilizia e in genere dell'urbani-stica. Così come è utile accennare brevemen-te a quanto si è potuto accertare a propositodegli interventi della mafia in altri due deisettori prima menzionati: quello del collo-camento della 'mano d'opera e quello delcredito.

Nel primo dei due settori, lo sviluppo in-dustriale della Sicilia ha in un certo sensofavorito i mafiosi, perché anche le grosse im-prese industriali del settore chimico e elet-tronico, calate nell'Isola nel dopoguerra, nonhanno esitato ad utilizzare i loro servizi. Gliepisodi della Montecatini nelle province diCaltanissetta e di Agrigento e quello dellaElettronica sicula a Palermo sono tropponoti perché sia necessario farne menzione.Non si può tuttavia fare a meno di ricordareil caso, veramente scandaloso, del Cantierenavale di Palermo, dove alcuni personaggimafiosi riuscirono ad ottenere il controllodelia mensa aziendale e del subappalto per ilavori nei bacini di carenaggio.

Per quanto riguarda poi l'erogazione delcredito, la Commissione si è preoccupata diconfrontare le tendenze e le caratteristichedell'intero sistema bancario italiano conquelle specifiche del corrispondente settoresiciliano. In particolare, la Commissione haacquistato i dati completi sulla situazionedegli sportelli, dei depositi e degli impieghi.

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Per un opportuno esame comparativo, i datisono 'Stati raccolti in modo da esprimere lasituazione dell'intero territorio nazionale epiù analiticamente quella della Sicilia occi-dentale, della Sicilia orientale e delle provin-ce di Palermo, Napoli, Firenze, Bologna, Ge-nova, Tonino e Milano; inoltre sono stati re-periti i dati riguardanti, non solo il comples-so dell'attività bancaria, ma anche quella diciascuni istituto di credito di diritto pub-blico, delle banche di interesse nazionale,delle banche di credito ordinario, delle ban-che popolari cooperative, delle casse di ri-sparmio e dei monti di prima categoria, dellecasse rurali ed artigiane.

La Commissione ha anche rivolto la suaattenzione all'attività di vigilanza esercitatadalla Banca d'Italia sul Banco .di Sicilia e ingenere su tutti gli istituti di credito sicilia-ni; ciò al fine di accertare in che misura eper quali finalità la gestione bancaria in Si-cilia tenda a sottrarsi ad un effettivo control-lo degli organi centrali. È stato peraltro cu-rato l'invio di un questionario a tutti gli isti-tuti bancari dell'Isola, alle Camere di com- ;mercio e alle organizzazioni di categoria, alloscopo di individuare le eventuali disfunzio-ni della gestione bancaria in Sicilia rispettoalle norme e alle prassi vigenti. Si è infineesaminata la struttura dell'organizzazionebancaria siciliana e si è potuto rilevare cheessa è .dominata da due grandi istituti, il Ban-co di Sicilia e la Cassa di Risparmio « Vitto-rio Emainuele » ed è caratterizzata da una va-sta diffusione, in numero superiore alla me-dia nazionale, delle casse irurali e artigiane.

Purtroppo, lo svolgimento delle indaginiha incontrato molte difficoltà soprattutto inrelazione alla necessità di procurarsi dati edinformazioni su taluni aspetti dell'organiz-zazione e dell'attività creditizia che sono ri-sultati difesi da un particolare riserbo, spes-so giustificato più che dal dovere professio-nale, dalla tendenziale reticenza degli am-bienti siciliani. Un simile atteggiamento hareso difficile il lavoro della Commissione, cheprima di potere avere le informazioni richie-ste, ha dovuto spesso superane numerosiostacoli, non riuscendo talora a raggiungerelo scopo che si era prefisso.

Così, per esempio, non è stato possibile co-noscere quanti dirigenti e funzionari degliistituti bancari siciliani siano di estrazioneesclusivamente politica o siano utilizzati fuo-ri degli uffici, che provvedono a pagarne glistipendi, in quanto si è sostenuto, specie negliambienti più sospetti, che la richiesta com-portava un controllo inammissibile.

La Commissione tuttavia ha avuto la pos-sibilità di individuare una serie di disfunzio-ni e di carenze relative alla gestione del cre-dito in Sicilia. Si è potuto tra l'altro accerta-re che gli organi di vigilanza non sempreesercitano col dovuto rigore e con la neces-saria ' costanza le loro funzioni di indirizzoe di assistenza; che il credito agrario è statodistribuito in taluni casi in difformità delledisposizioni legislative; che i fondi specialisono stati spesso utilizzati in settori diversida quelli nei quali sono stati creati; che piùdi una volta è stato concesso credito a grup-pi o società finanziarie che se ne sono avval-si per effettuare prestiti usurari.

Si è inoltre rilevato che esiste un enormedivario tra le richieste e le assegnazioni dicredito, con la conseguenza che in questospazio finiscono con l'operare amicizie, rac-comandazioni, favoritismi e in definitiva in-terventi di natura mafiosa. Non sono infattimancati casi di concessione di credito su ga-ranzie generiche a persone notoriamente ma-nose, come Mariano Licari. Più in generale,la gestione bancaria è sembrata svolgersi, inaltre occasioni, in contrasto con l'interessedegli istituti di credito ed in deroga alle di-sposizioni vigenti, legittimando il sospettodi illeciti favoritismi nei confronti di notipersonaggi mafiosi, così come ad esempioè avvenuto riguardo a Francesco Vassallo, lacui fortuna cominciò proprio con la conces-sione, probabilmente irregolare, di una co-spicua apertura di credito.

Ma al di là di singoli episodi, un costumetipicamente mafioso ha caratterizzato tuttoil sistema del credito. Sono stati frequenti icasi di finanziamenti concessi con la media-zione di personaggi in qualche modo colle-gati al mondo della mafia, così come non so-no mancate le ingenti fortune patrimonialicostruite sulla degenerazione e sui difetti delsistema bancario. Una legge bancaria, nata

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in un clima e in tempi diversi e diretta a so-stenere certi gruppi di pressione, si è rive-lata inadeguata nel dopoguerra alle esigenzedel mercato creditizio e ha favorito la for-mazione in Sicilia di una costellazione inve-rosìmile di istituti bancari, non dissimile,pur nella diversità delle dimensioni, da quel-la sulla quale, negli ultimi anni, ha costruitoil suo impero personale Michele Sindona.

La Commissione ha anche accertato chei fondi versati annualmente dallo Stato allaRegione, a norma dell'articolo 38 dello Sta-tuto, rimangono di solito inutilizzati per lun-ghi periodi di tempo, mentre sarebbe augu-rabile che essi fossero subito destinati alloro naturale impiego nel 'settore dei lavoripubblici. Al riguardo nulla è emerso chepossa far pensare all'illecita presenza di in-teressi mafiosi, ma non è dubbio che la ritar-data utilizzazione dei fondi determina unaanomala giacenza di liquidità, pregiudica ilfunzionamento del sistema bancario, e com-promette in definitiva lo sviluppo dell'econo-mia siciliana. Secondo dati attendibili le gia-cenze di cassa per i fondi (previsti dall'arti-colo 38 dello Statuto regionale ammontava-no, alla fine del 1973, a circa 450 miliardi dilire. Si tratta, come si vede, di una sommaingente, che rimane a disposizione di istitutibancari, i quali pagano alla Regione il mo-desto interesse dei 4,25 per cento e ohe po-trebbe, invece, qualora fosse opportunamen-te e tempestivamente impiegata, contribuire,in modo notevole, al successo di convenientiiniziative produttive.

La lentezza della spesa è stata indubbia-mente uno dei fattori di compressione del-l'economia isolana; d'altra parte nel corsodelle indagini relative alla gestione del cre-dito, è anche risultato che il sistema con ilquale si era tentato di promuovere un'attivi-tà industriale è in pratica naufragato in unacongerie di imprese spesso affidate a personesprovviste di ogni qualificazione.

L'uno e l'altro dato sembrano in superfi-cie non avere nessuna attinenza, col proble-ma della mafia, ma a ben guardare è proprio•nelle accennate circostanze che si trova unodei fattori, e non certo il meno importante,dell'espansione che ha avuto dal 1955 in poiil fenomeno mafioso urbano. Se è stata, come

già si è detto, l'in tiri nseca debolezza del tes-suto sociale a favorire o almeno a non im-pedire 'l'infiltrazione manosa nelle città, èsegno evidentemente che una delle cause diquanto è accaduto va appunto ricercata nel-la mancata evoluzione, in senso moderno edeuropeo, della vita economica e della strut-tura sociale della popolazione della Siciliaoccidentale.

3. — // processo di industrializzazione in Si-cilia. Distorsioni e limiti.

Nessuno può certo negare che nelle pro-vince della Sicilia occidentale si sia regi-strata, specie negli anni passati, una sensi-bile e positiva accelerazione del processo.diindustrializzazione; ma è anche innegabileche lo sviluppo industriale non è stato parialle speranze, e che in particolare non è statoin grado di far fronte al massiccio esodo dal-le campagne e di costituire quindi per le nuo-ve leve della popolazione locale una fontesicura di occupazione e di lavoro. Infatti, peril periodo che va dal 1954 al 1971, in tutta laregione, il 43 per cento dei suoi 909,2 mi-liardi di capitale investito è stato destinatoalle attività petrolifere e petrolchimiche, conuna occupazione complessiva di 5.408 per-sone; mentre il 57 per cento residuo è sitatodestinato ad altare iniziative che comportanol'occupazione di 61.121 unità.

Sono, come si vede, cifre altamente signi-ficative, anche se certo non basta aver messoin evidenza la modesta entità dello sviluppoindustriale siciliano, per dedurne che se mag-giori e più incisive fossero state le iniziativeindustriali, sarebbe mancata alla mafia l'oc-casione favorevole per la sua estensione, so-prattutto territoriale. I fatti, per la verità,dimostrano con chiarezza (per dirla col so-ciologo Franco Ferrarotti), come « le attivi-tà industriali, anziché modificare ài costu-me, possono essere inglobate in una rete divalori tradizionali e anacronistici » in quan-to esiste « una maniera maliosa di dirigerele imprese economiche ».

Non si può negare che uno sviluppo piùaccentuato delle attività industriali avrebbefavorito di riflesso una crescita economica

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e sociale della popolazione; mentre, per con-verso, i ritardi e le carenze del processo diindustrializzazione hanno ostacolato e fre-nato l'elevazione di vastissimi strati dellepopolazioni dei ceetri urbani della Sicilia,specie occidentale. Ed è proprio qui — lo siè visto prima — uno dei fattori più signifi-cativi delle infiltrazioni mafiose nelle città.

Lo conferma un'analisi più approfonditadell'evoluzione ohe ha avuto in Sicilia, negliultimi anni, la struttura della 'popolazione. Aquesto proposito, il primo dato da tenere pre-sente è il dato relativo alla percentuale dellapopolazione attiva rispetto a quella residen-te. Secondo i risultati dei censimenti nazio-nali nel 1961, le province di Agrigento e diTrapani erano all'incirca attestate sui livelladi occupazione della Sicilia orientale, men-tre al contrario Caltanissetta e ancora di piùPalermo denunciavano percentuali più basse.Nel corso degli anni e fino al 1971, l'accen-nato divario rispetto alla Sicilia orientalee all'aggregato nazionale si è andato accen-tuando, tanto che nel 1971, Ja popolazioneattiva, che in Italia era del 34,9 per cento enella Sicilia orientale del 29 per cento diquella residente, arrivava ad Agrigento al27,4 per cento, a Palermo al 26,8 per cento ea Caltanissetta soltanto al. 25,16 (per cento.

Al regresso degli indici della popolazioneattiva corrisponde peraltro un aumento no-tevole delle percentuali relative alle liste deidisoccupati già occupati e dei disoccupati incerca di prima occupazione; ciò soprattuttoper quanto coneeime Palermo, che passa dal2,03 al 3,43 per cento del totale nazionale.

Ancora più significative sono le cifre asso-lute. Da esse risulta che in provincia di Cal-tanissetta la popolazione non attiva è passa-ta da 210.831 unità nel 1971 a 208.773 nel1971, in provincia di Trapani da 291.477 a286.615, in quella di Agrigento da 317.604 a322.291, in provincia di Palermo da 794.306a 824.721.

A Palermo inoltre si è andata concentran-do una parte notevole di tutti i disoccupatidella Sicilia, in quanto quelli delle classi,prima accennate, sono passati, nel decennio1961-1971, dal 19,02 al 26,01 dei totali regio-nali.

D'altra parte in Sicilia, e specie a Calta-nissetta, il rapporto tra coloro che sono ad-detti alla Pubblica amministrazione e il com-plesso della popolazione attiva è stato sem-pre molto più alto che nel resto d'Italia,così come risulta dalla tabella che segue:

Italia . . . .Sicilia . . .Sicilia orientaleCaltanissetta .Agrigento .Trapani . . .Palermo . . .

1961

22,11 %27,10 %28,00 %30,73 %25,08 %26,02 %27,23 %

1971

24,15 %35,04 %35,22 %39,3.1 %35.09 %

32,03 %

35.10 %

A fronte di questi dati, si riscontra unadiminuizione relativa delle attrezzature civi-li. Così, il numero dei posti-letto negli isti-tuti di cura pubblici e privati di Palermo èpassato, dal 1959 al 1969, dal 2,09 all'1,52 percento del totale nazionale, e dal 35 al 30,06del totale regionale. Nel complesso della Si-cilia occidentale le cose non sono andatemeglio, tranne che per Agrigento (Trapani:dallo 0,44 allo 0,43 per cento del totale na-zionale e dal 7,24 al 7,04 del totale regionale;Caltanissetta dallo 0,30 allo 0,24 per centodel totale nazionale e dal 5,01 al 4,09 per cen-to del totale regionale).

Anche le abitazioni hanno subito lo stessoandamento: a Palermo, dal 2 all'I,17 per cen-to del totale inazionale e dal 21,12 al 23,06per cento del totale regionale; a Trapani, dal-lo 0,81 allo 0,70 per cento del totale naziona-le e dal 9,06 all'8,12 per cento del totale re-gionale; ad Agrigento, dallo 0,90 allo 0,80 percento del totale nazionale e dal 10,02 al 9,08per cento del totale regionale; a Caltanisset-ta, dallo 0,51 allo 0,50 per cento del totalenazionale e dal 6,02 al 6,01 del totale regio-nale.

Parimenti, negli anni dal 1959 al 1970, nel-le province della Sicilia occidentale, la cifradegli iscritti alla scuola d'obbligo e alla scuo-la media superiore ha registrato, in genera-le, una relativa caduta: a Palermo, mentrela percentuale relativa alla scuola d'obbligosi è stabilizzata negli anni considerati sul2,31 per cento del totale nazionale, si è pas-

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sali dal 25,1 al 25,2 per cento del totale re-gionale, e per la scuola media superiore dal2,27 al 2,52 per cento e dal 25 al 23,02 percento; a Trapani, dallo 0,83 allo 0,75 per cen-to del totale nazionale e dall'8,26 al 7,64 percento del totale regionale per la scuola d'ob-bligo, e dallo 0,81 allo 0,71 per cento del to-tale nazionale, e dall'8,37 all'8,05 per centodel totale regionale per la scuola media su-periore; ad Agrigento, dall'I,01 allo 0,9 percento del totale nazionale e dal 10,09 al 9,23per cento del totale regionale per la scuolad'obbligo, e dallo 0,65 allo 0,01 per cento deltotale nazionale e dal 7,03 allo 8,4 del to-tale regionale per la scuola superiore; a Cai-tanissetta (stabilizzato l'indice sullo 0,6 percento del totale nazionale) dal 6,5 al 7,06 percento del totale regionale per la scuola d'ob-bligo, e dallo 0,35 allo 0,41 per cento del to-tale nazionale e dal 3,59 al 5,02 per centodel totale regionale per la scuola media su-periore.

Il quadro che emerge da questa breve ana-lisi mostra una società urbana burocratica ecaratterizzata da attività terziarie e poco pro-duttive, nella quale per di più la spesa pub-blica per le attrezzature civili è stata di granlunga inferiore ai bisogni. Le scarse possi-bilità di un lavoro sicuro, la difficoltà di in-serirsi in un processo produttivo di tipomoderno e la conseguente, disperata ricercadi occupazioni burocratiche o comunque ter-ziarie, la formazione che ne è derivata di unceto parassitario sempre più esteso e infinel'incapacità di spendere m impieghi produt-tivi 'le risorse che provengono dai fondi na-zionali e regionali sono stati tutti fattori chehanno dato nuova linfa a quel fenomeno diintermediazione, che è sempre stata la mafiae che le hanno consentito di impiantar-si, in modo più stabile che nel passato,nelle città della Sicilia occidentale. Traendoappunto alimento da queste condizioni isocio-economiche, la mafia ha trovato in Sicilia•la forza di far sentire la sua presenza in mol-ti settori dell'attività sociale, perfino nellascuola, così come la Commissione ha messoin evidenza nella relazione dedicata a questoparticolare problema, specificamente rilevan-do che « la mafia tende a radicarsi nellestesse strutture scolastiche, dalle cattedre ai

patronati scolastici, ovunque cerca di incu-nearsi, valendosi del potere che già riescead esercitare ».

4. — Gli Enti pubblici e le assunzioni di per-sonale.

Accanto a quelli indicati, gli altri elementiohe hanno contribuito, come prima si accen-nava, a rendere possibile l'espansione urba-na della mafia sono stati l'organizzazione e imodi di Intervento dell'apparato pubblico inSicilia.

Una delle iniziative più rilevanti tra quel-le prese dalla Regione 'siciliana fu indubbia-mente l'istituzione di tulita una serie di Entipubblici economici, dotati in alcuni casi an-che di notevoli risorse, i quali avrebbero do-vuto agire con prontezza ed efficacia nei varicampi della vita economica, finanziaria e so-ciale dell'Isola per creare nuovi posti di la-voro, per aumentare il reddito individuale eglobale delle popolazioni siciliane, in una pa-rola per dare l'avvio alla rinascita della Si-cilia.

Non si può negare, a trenta anni di distan-za, che il tentativo non ha avuto la sortesperata, ma sarebbe un grave errore attri-buire l'insuccesso alla posizione costituzio-nale di cui gode la Regione siciliana. Al con-trario, l'autonomia regionale resta tuttoraun fattore potente di impulso per lo svilup-po e l'evoluzione civile dell'Isola, mentre so-no ben altre — e spesso legate proprio ad al-cune inopportune limitazioni dell'autonomia— le cause che hanno inciso negativamentesu un'iniziativa, che tante speranze aveva su-scitato per un effettivo rinnovamento dellestrutture sociali ed economiche siciliane.

Tra queste.cause, la prima e non certo lameno rilevante, è stata appunto l'eccessivaestensione dei controlli a cui sono soggettigli Enti pubblici economici in Sicilia. Questicontrolli, oltre a costituire una lesione delprincipio dell'autonomia regionale, finisconocon l'appesantire inutilmente le proceduree col rendere estremamente lento, come pri-ma si è visto, l'impiego del pubblico denaronelle iniziative produttive. È fuori dubbiod'altra parte che la molteplicità dei campi di

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intervento in cui si esercita l'attività deglienti ha provocato difetti consistenti di indi-Tizzo e di coordinamento e che col tempogli enti creati dalla Regione sono diventatieccessivamente numerosi, jn pratica una verae propria selva.

Su queste disfunzioni degli enti economi-ci ha portato 'la propria attenzione anche laAssemblea regionale siciliana che nella se-conda metà del 1967 decise di nominare unaspeciale commissione, incaricata di « censi-re i predetti enti e di raccogliere dati sullastruttura, l'attività, gli organici e i bilancidi ciascuno di essi ». La Commissione regio-nale non ha mai completato l'indagine, ancheperché molti enti, fra cui i più importanti,hanno frapposto rifiuti e ostacoli di ogni ge-nere alla richiesta di notizie. Si è accertatotuttavia che il numero degli enti era mag-giore del previsto, ben novantacinque, di cuiventicinque consorzi di bonifica e quindiciconsorzi anticoccidici. Come si vede, unavera pletora, che ha comportato una molti-plicazione ingiustificata del personale, unimpegno ingente di denaro per le spese rela-tive, e conseguentemente fenomeni di clien-telismo e di trasformismo, che almeno inparte sono alla base della potenza mafiosa.

Infatti, la creazione di un apparato buro-cratico così esteso, che si è andato ad aggiun-gere a quello degli altri Enti locali territoria-li (Regione, Province, Comuni), ha determina-to la necessità di un massiccio reclutamentodi dipendenti che, sia per quanto attiene aglienti economici e sia riguardo agli enti di al-tro tipo, non sempre si è svolto in modo daescludere irregolarità e illeciti connessi conil mondo della mafia.

Più in generale, si può dire che la Commis-sione ha sempre considerato quello delle as-sunzioni come uno dei settori maggiormentecaratterizzato da interferenze estranee, dadisfunzioni, in una parola da illegalità di so-spetto stampo mafioso.

Non a caso, quasi sempre alla radice dideliberazioni irregolari, altrimenti non spie-gabili, si trovano questioni inerenti a perso-nale assunto .precariamente. Il fenomeno del-le assunzioni in massa senza concorso pressola Regione, presso gli Enti regionali, pressole Province, presso i Comuni, presso gli enti

dipendenti dalle Province e dai Comuni, haraggiunto livelli incredibilmente alti, e nonha rappresentato soltanto un fatto di mal-costume, ma una grave deformazione del tes-suto sociale.

Così, in occasione delle inchieste e dei di-battiti sulla frana di Agrigento si potetteaccertare che lo sviluppo urbanistico, tumul-tuoso e irregolare, della città trovava la suaradice nella richiesta di case avanzata da unostuolo di centinaia di nuovi immigrati, as-sunti presso gli Enti locali e presso le lorofiliazioni o dipendenze.

Gran parte dei bilanci della Regione, delleProvince e dei Comuni sono ipotecati per i'1pagamento degli stipendi di dipendenti as-sunti senza riferimento non solo alle possi-bilità economiohe degli enti, ma alle stesseesigenze del loro funzionamento. A tutto que-sto si aggiunge la scarsità, se non la mancan-za, di personale qualificato ed efficiente a di-sposizione degli Enti pubblici, e ciò segnata-mente ad Agrigento, dove numerosi dipen-denti degli Enti locali esercitavano altre at-tività anche in settori direttamente connes-si col loro ufficio, specialmente nel campodelle rappresentanze commerciali e delle at-tività commerciali in genere. Centinaia dialtri impiegati e funzionar! sono distaccatia svolgere funzioni che nulla hanno a chevedere con il loro rapporto di impiego. Perdeterminati posti di notevole rilievo, i con-corsi sono stati spesso effettuati secondo nor-me che prestabilivano il vincitore e si sonoavuti casi di concorrenti unici per la asse-gnazione di un determinato posto.

L'impiego presso gli Enti locali è conside-rato con tanto favore che perfino esponentiqualificati del mondo politico, nel corso delloro mandato parlamentare, sono risultativincitori di concorsi presso gli Enti locali peil'esercizio delle funzioni di consulente o persimili attività. Le relative delibere hanno su-bito vicissitudini non sempre rettilinee, at-traverso i vari organismi di controllo, comenel caso delle assunzioni di consulenti legalida parte del Comune di Palermo e dell'au-mento del loro trattamento economico.

La vita stessa dell'organizzazione sindaca-le dei dipendenti degli Enti locali è stata pro-fondamente influenzata dalle caratteristiche

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del sistema di assunzione, di promozione e diutilizzazione dei dipendenti. Così come è av-venuto che uomini politici sono diventatifunzionati di Enti locala nel corso del loromandato, è pure accaduto che individui, en-trati senza qualifica nelle amministrazionilocali, abbiano percorso rapidissime carrie-re, utilizzando poi le posizioni di potere rag-giunte, fino ad inserirsi clamorosamente neicorpi elettivi della Regione, delle Province edei Comuni. .

Se questo che si è delineato è il quadrod'insieme di un fenomeno, che suscita gravipreoccupazioni per le sue possibili implica-zioni di carattere mafioso, meritano una piùspecifica segnalazione gli episodi e le prassirelative all'assunzione di personale alle di-pendenze degli Enti pubblici economici e del-la Regione.

Per quanto attiene ai primi, non è natu-ralmente possibile una dettagliata elenca-zione di tutte le anomalie riscontrate e delledisfunzioni accertate. Ma basta un saggioper campione delle suddette anomalie, ri-guardo a qualcuno degli enti in questione,per farsi una idea abbastanza precisa dellasituazione.

A questo fine si possono citare i casi par-ticolarmente significativi dei seguenti enti:Ente siciliano elettricità (ESE): oltre il 90per cento dei suoi dipendenti fu assunto sen-za concorso.

Azienda siciliana trasporti (AST): tutti isuoi dipendenti furono assunti senza con-corso. Tra gli altri, il suo direttore generale,che è fratello di un notissimo capomafia, fuassunto in modo piuttosto singolare, e cioèil giorno stesso della presentazione della do-manda di impiego.

Ente siciliano per le case ai lavoratori(ESCAL) : anche i suoi dipendenti ebbero tut-ti il posto, senza partecipare a concorsi. Ildirettore generale e gli amministratori del-l'Ente sono stati sottoposti a procedimentopenale per peculato e per interesse privatoin atti di ufficio.

Società finanziaria siciliana (So.Fi.S): II95 per cento dei suoi dipendenti fu sceltoal di fuori di ogni prova selettiva. Il diret-tore generale invece fu assunto per concor-

so, ma si trattava di un concorso che preve-deva, per parteciparvi, condizioni particolari.

Azienda foreste demaniali della Regionesiciliana: oltre il 90 per cento dei suoi di-pendenti ebbe il posto senza concorso.

Consorzio di bonifica alto e medio Belice:tutti i suoi funzionali di ogni grado e livellofurono assunti senza concorso.

Ente riforma agraria siciliana (ERAS):uno soltanto dei suoi 1884 dipendenti fu as-sunto per concorso.

Gli esempi potrebbero continuare a lungo,ma quelli fatti appaiono sufficienti, se siconsidera che le irregolarità accennate sonoin 'molti casi ricorrenti e che è stato generale,per tutti gli enti considerati, il metodo del-l'assunzione del personale senza la prova diun concorso, per esami o per titoli.

Quest'ultima anomalia è stata peraltro ri-scontrata, e in proporzioni altrettanto mas-sicce, anche per quanto riguarda dipenden-ti della Regione.

Si è detto in altra parte della relazione cheall'inizio la necessità di assumere il perso-nale per chiamata diretta fu determinatadall'ostinato e ingiustificato rifiuto delloStato di trasferire i suoi funzionari al servi-zio della Regione.

In seguito però questa pratica non ebbenessuna giustificazione. Eppure è continua-to ad accadere che a ondate successive e fre-quenti, dipendenti della Regione sono statiassunti, nella grande maggioranza, per chia-mata diretta.

Più specificamente, si è potuto accertareche nel periodo di tempo che va dal 1946 al1963, nello spazio cioè di diciassette anni,405 dei 431 dipendenti della Presidenza dellaRegione sono stati assunti senza concorso.Nello stesso tempo, su 2627 funzionari, im-piegati e salariati dell'amministrazione cen-trale della Regione, ben 2138 hanno avuto ilposto senza dover partecipare a una provaselettiva. Infine, dei 6260 dipendenti delleamministrazioni regionali periferiche, 6100circa sono stati assunti per chiamata diretta.

In conclusione, perciò, 8236 delle 8887 per-sone che sono entrate alle dipendenze dellaRegione nei diciassette anni che vanno dal1946 al 1963 (con una percentuale quindi di

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elitre il 90 per cento) sono state assunte sen-za concorso, e cioè, si deve ritenere, sullabase di segnalazioni e di rapporti di amiciziae di favore.

È inoltre significativo rilevare che il 73,23per cento del suddetto personale provenivadalle province mafiose della Sicilia occiden-tale, mentre soltanto il 16,08 per cento pro-veniva dalla Sicilia orientale, e il 10 per cen-to circa da regioni diverse dalla Sicilia; ciò,nonostante che le province occidentali eorientali dell'Isola abbiano una popolazionepraticamente eguale per numero. In partico-lare poi è risultato che i dipendenti degli uf-fici periferici dell'Assessorato per l'agricol-tura provenivano per il 63,14 per cento dallaSicilia occidentale e per il 31,1 per cento daquella orientale, mentre, nell'ambito dell'am-ministrazione centrale, il 54,05 per cento pro-veniva dalla provincia di Palermo, malgradoche la sua popolazione rappresenti soltantoil 23 per cento dell'intera popolazione dellaSicilia.

L'accennato metodo di assunzione ha con-sentito che divenissero dipendenti della Re-gione persone prive di ogni qualificazione esenza specifiche capacità, con la conseguen-za che molte di esse sono state stipendiatesenza poter rendere un-adeguato servizio. Èaccaduto inoltre (ed è questo il fatto più gra-ve ai fini che qui interessano) che sono stateassunte persone condannate per reati di ognigenere, parenti di mafiosi, o addirittura indi-vidui sospettati di appartenere essi stessi al-la mafia.

Si creò così, è innegabile, un nuovo e piùcospicuo spazio, non solo alla pratica dell'il-legalità, ma in definitiva alla forza della pe-netrazione mafiosa e ciò anche attraversoil deprecabile sistema delle raccomandazioni,a cui è pure necessario porre fine una voltaper tutte, mediante gli opportuni rimedi.Quale che possa essere il giudizio da daresui singoli episodi che costituiscono il tessu-to del fenomeno ora descritto, non sembradubbio tuttavia che il sistema dell'assunzio-ne per chiamata diretta, il rifiuto di criteriselettivi che non fossero l'amicizia e il favore,la provenienza infine della maggior partedegli assunti proprio dalle province tradi-

zionalmente mafiose sono tutti elementi cheinducono a ritenere per fermo che questodelle assunzioni fu uno degli strumenti piùefficaci mediante i quali la mafia riuscì a in-filtrarsi nell'apparato pubblico e a consoli-dare di riflesso la propria forza nelle cittàsiciliane. In questo modo, la Pubblica am-ministrazione dimostrò ancora una volta lasua incapacità di opporre un'adeguata resi-stenza alla pressione mafiosa, soprattutto al-la sua pretesa di esercitare in forme mediatelo stesso legittimo potere dell'organizzazionestatale. Una situazione questa che si è ripe-tuta, in termini analoghi, in molti altri setto-ri dell'attività della Regione. « Sono centi-naia di migliaia » dichiarò alla Commissioneun funzionario della Regione, Amindore Am-brosetti « i provvedimenti illegittimi del-l'Amministrazione regionale, e tutti questiprovvedimenti recano il timbro della Cortedei conti. Ci si chiede se quésto timbro nonfinisca con l'essere un passaporto per rende-re formalmente legale ciò che sostanzialmen-te è illegittimo ». E fece alcuni esempi scot-tanti, come quello dell'ordine di demolizionedi un attico costruito da Vassallo, ma chenon fu possibile eseguire, perché andaronodeserte tutte le gare indette per trovare unaditta disposta ad abbattere l'immobile; co-sì ancora quello del provvedimento votatodall'Assemblea regionale con cui si stabilivache non spettassero gettoni a funzionatimembri di Commissioni, ma che fu interpre-tato dalla Corte dei conti nel senso cheavrebbe avuto valore solo per coloro che sa-rebbero stati nominati in futuro e non an-che per quelli già nominati; così infine quel-lo dei danni arrecati alle Terme di Sciacca« con la connivenza di un presidente di se-zione della Corte dei conti, che era presiden-te del collegio dei revisori ».

5. — L'amministrazione regionale e gli inter-venti nell'economia.

Non si può concludere l'indagine sulle di-sfunzioni e le carenze dell'amministrazioneregionale siciliana e sui fenomeni di parassi-tismo che ne hanno caratterizzato l'attività

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in tanti settori, senza accennare, sia puresommariamente, alle vicende connesse a ta-luni dei più significativi interventi svolti dal-la Regione nella vita economica siciliana.

Tra queste iniziative, assume primaria im-portanza, e non solo in ordine di tempo, lacostituzione della So.Fi.S. La So.Fi.S. (Socie-tà finanziaria siciliana) venne costituita dallaRegione nel 1958 ed ebbe lo scopo di pro-muovere lo sviluppo industriale della Sici-lia e più in particolare di agevolare le pic-cole e medie industrie, con opportune sov-venzioni. La Regione volle dare alla So.Fi.S.una struttura privatistica, per assicurarle unmaggior dinamismo imprenditoriale e con-trattuale, ma la società si dimostrò una pana-cea di affaristico ricovero d'imprese andatein coma, col solo risultato di riversare sullaRegione le perdite aziendali, salvando pro-prietari ed amministratori.

La nuova società, pur avendo carattere pri-vatistico, si avvaleva di finanziamenti e del-l'apporto della Regione, che provvide tral'altro a nominarne i dirigenti.

Secondo le previsioni, il presidente dellanuova società sarebbe dovuto essere l'inge-gner Domenico La Caverà.

A quel tempo La Caverà era un personag-gio già noto nella vita economica e politicasiciliana. Alle elezioni amministrative del1946, era stato eletto consigliere comunaledi Palermo nelle liste del Partito liberale edera stato quindi nominato Assessore ai lavo-ri pubblici, conservando l'incarico fino al1949, per un periodo di tempo che fu di par-ticolare importanza per il futuro sviluppoedilizio di Palermo, perché fu allora che lacittà cominciò ad espandersi verso occidentee cioè verso la zona in cui si sarebbero verifi-cate le sanguinose speculazioni edilizie deglianni sessanta.

Fu inoltre in quel periodo che ebbe iniziola pratica, diventata poi abituale, di violarei vincoli dell'espansione urbanistica previstidal piano di ricostruzione della città.

Tra l'altro, in molte zone periferiche sisviluppò l'edilizia sovvenzionata, mentre inaltre si ampliò l'area riservata agli insedia-menti industriali. L'ingegner La Caverà nonfu certo estraneo a queste vicende, che costi-

tuirono in un certo senso i prodromi dellaspeculazione edilizia palermitana.

È un dato di fatto, ad esempio, che il « Co-tonificio siciliano », una società di cui La Ca-verà era amministratore, ebbe la possibilitàdi costruire un complesso industriale in unadelle zone, che inizialmente non erano riser-vate ad insediamenti del genere; così come ècerto che durante il tempo in cui fu Assesso-re ai lavori pubblici vennero limitati i vinco-li a verde pubblico e privato lungo una stra-da di nuova costruzione.

È anche risultato che nella qualità di am-ministratore della società AIR, costituitaper lo studio di problemi edilizi e la proget-tazione ed esecuzione di costruzioni, l'inge-gner La Caverà effettuò diverse operazioniper l'acquisto di lotti di terreno in quelle chesarebbero state le zone del futuro sviluppoedilizio della città.

Nel 1948, inoltre, l'AIR cedette al Comunedi Palermo un terreno, confinante con la pro-prietà del padre di La Caverà, in permuta diun altro lotto di terreno.

Cessato dalla carica di Assessore ai lavoripubblici, La Caverà si dedicò a un'intensaattività economica, impegnandosi in molteiniziative industriali e nell'amministrazionedi numerose società.

L'ingegner La Caverà, inoltre, nel 1949,venne eletto presidente dell'Associazione in-dustriali della provincia di Palermo e in talequalità fu membro della Confindustria finoal 1959 e partecipò, come esperto, a vari in-contri internazionali, per la soluzione di pro-blemi economici.

La Caverà tuttavia non riuscì a diventarepresidente della So.Fi.S., per l'opposizione diGiuseppe La Loggia, che allora era a capo delGoverno regionale; anzi fu probabilmente laopposizione di La Loggia che in seguitoavrebbe spinto La Caverà ad appoggiare ilGoverno regionale di Silvio Milazzo.

Il compenso non si fece attendere. Sottola gestione di Milazzo, La Caverà fu nomina-to nel 1959 direttore generale della So.Fi.S. equindi venne assunto nel giugno successivocon un contratto della durata di sette annie con uno stipendio mensile di 703.151 lireper 17 mensilità.

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Con il nuovo incarico La Caverà raggiunseuna posizione di vertice nell'intricato pano-rama delle strutture industriali siciliane, di-ventando, tra l'altro, amministratore, per ef-fetto della carica che gli era stata conferita,di altre società, oltre a quelle in cui era in-teressato in proprio; coisì che, complessiva-mente, La Caverà risulta essere stato in epo-che diverse e per determinati periodi ditempo:

1) socio fondatore della SES, « Societàeditrice siciliana »;

2) socio fondatore e poi procuratore spe-ciale e consigliere delegato della « Societàcotonificio siciliano », costituita per la pro-duzione e il commercio di articoli tessili;

3) presidente, vicepresidente e ammini-stratore della società « Willeys mediterra-nea », costituita per il montaggio, la costru-zione e la riparazione d'autoveicoli;

4) amministratore della società ISPE, in-teressata alla produzione di elementi prefab-bricati per l'edilizia;

5) socio fondatore e consigliere di ammi-nistrazione della « Società mineraria sicilia-na », interessata alla ricerca, estrazione e la-vorazione minerali;

6) consigliere di amministrazione dellasocietà CISAP, impegnata in iniziative diret-te alla formazione e all'addestramento e per-fezionamento professionali;

7) socio fondatore e consigliere d'ammi-nistrazione della società « Colli », costituitaper trasformare e collocare i prodotti delsottosuolo.

La So.Fi.S. intanto aveva deciso di sostitui-re il sistema del finanziamento con quellodella partecipazione azionaria e di acquistarein conseguenza i pacchetti azionari di mag-gioranza di numerose imprese, che non sem-pre versavano in floride condizioni econo-miche.

Pertanto nel 1965 la Presidenza della Re-gione nominò una Commissione d'inchiesta,perché indagasse sull'attività della Società,ma l'iniziativa non ebbe fortuna perché larelazione conclusiva della Commissione nonvenne mai pubblicata e all'Assemblea regio-nale fu comunicato un insignificante docu-mento di poche pagine. Ciò tuttavia non ha

impedito che venissero a galla i metodi in-credibili che hanno caratterizzato la gestio-ne So.Fi.S. Per rappresentarli in tutta la lo-ro evidenza basta leggere taluni documentiche il senatore Alessi cita nella sua relazionesugli Enti locali svolta nella seduta del 29febbraio 1968. Il primo è una lettera scrittada un membro del Comitato consultivo dellaSo.Fi.S. all'atto del suo inopinato licenzia-mento.

« Dalla Gazzetta. Ufficiale della RegioneSiciliana del 1° aprile 1961 apprendo che, no-nostante non sia incorso il termine per ilquale io ero stato chiamato a far parte delComitato tecnico consultivo della So.Fi.S., siè provveduto alla nomina di un nuovo mem-bro per i due esercizi ancora da cominciare ».

« Questo decreto, bassamente politico edaltamente offensivo, emanato da una autori-tà carente di poteri, ha voluto innanzi tem-po preordinare una successione per il timo-re che la volontà del testatore, al momentodella scadenza del Comitato tecnico consul-tivo, " potesse mutare "».

« Da questo momento, naturalmente, nonposso più partecipare ai lavori del Comita-to, sicuro di aver sempre operato nell'inte-resse della Società anche se, purtroppo, hodovuto sottolineare la signoria in seno allaSocietà stessa del Banco di Sicilia e dellaCassa di Risparmio che, presenti e dirigentinegli uffici, nel Comitato tecnico consultivo,nel Consiglio di amministrazione, spesso han-no dovuto conciliare gli interessi dei loro en-ti con quelli della Società, con grave dannodi questa;

iniziative il cui naturale sviluppo può im-pegnare l'intero capitale della Società ed av-versare ancora il desiderio di inserirsi nellegrandi iniziative, con la sola esperienza del-le relazioni degli esperti e degli studi e conla sola autorità del capitale sociale, massic-cio, inoperoso e triste, come bue che si avviaal macello;

l'arrendevolezza di tutti gli organi dellaSocietà alle pressioni politiche, la preoccu-pazione di non dispiacere ai « grandi », e so-prattutto il desiderio di piacere agli stessi,hanno fatto sì che una teoria di aziende dis-sestate e spesso senza alcuna speranza di vi-ta sono state rilevale, finanziate e comunque

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inserite nell'attività della Società con delleragioni tecniche che, talvolta, non mancanodi sapere ».

« Mi auguro soprattutto che questa espe-rienza serva a qualcosa, 'soprattutto consigli

•a dire "no" alle note autorità che soillecìta-no l'intervento della Società in uno zuccheri-ficio dissestato ».

« Consiglio infine una migliore formazio-ne dei dirigenti onde neutralizzare i disegnidi infeudamento della So.Fi.S. da parte dellegrandi società private ».

Il secondo documento è, poi, la seguenterelazione al bilancio della Società, che reca ladata del 31 dicembre 1961;

« La relazione predisposta dagli uffici nonpuò essere sottoscritta; è mancato il materia-le per un esame analitico e per la redazionedi una relazione che avrebbe dovuto esserel'esperienza di questo primo anno di eser-cizio e che avrebbe dovuto fornire agli am-ministratori della Società osservazioni di ri-lievo che, a parer mio, dovrebbero consi-gliare:

1). una revisione dello Statuto con par-ticolare modifica dei poteri;

2) un esame delle incompatibilità;3) direttive per le imprese collegato ».

« La So.Fi.S. ha ereditato le operazione delfondo; nessun confine tra quella amministra-zione e la nostra Società, sicché non sarannomai precisati i promotori delle singole ini-ziative, tutto ciò non è sicuramente avvenuto"pour cause", ma naturalmente per il susse-guirsi di avvenimenti politici, economici efinanziari.

1) Sulla revisione dello statuto, con par-ticolare modifica dei poteri, gli amministra-tori della società e gli autorevoli azionistiavranno sicuramente il loro schema; la vitasociale di questi due esercizi ha rilevato leremore allo sviluppo della società ed il peri-colo di coltivare delle grosse iniziative chepotrebbero portare lontano. Tutto ciò fa par-te dell'oggetto sociale "industrializzazione"della Sicilia che, auspicato da tutti e nelcuore di tutti, nella realizzazione pratica nonha trovato uomini, ma "studi economici" •"piani" - "relazioni".

2) L'esame delle incompatibilità è inde-rogabile ed urgente: amministratori dellaSocietà non possono essere i rappresentantidel Banco di Sicilia e della Cassa di Rispar-mio; in due operazioni hanno dimostratouna fedeltà agli enti che rappresentano conevidente danno della nostra società, dannoche può essere tradotto in cifre.

« La Cassa di Risparmio, creditrice del-la SIMENS, ha subordinato una soluzioneextra fallimentare, proposta dalla So.Fi.S.,solo se avesse ottenuto la maggior parte delsuo credilo traballante tramutato in nuoveazioni della nuova SIMENS; la So.Fi.S. (nelcui Consiglio siede il presidente della Cassadi Risparmio) ha aderito, ha aumentato ilcapitale sociale e si è così accollata l'oneredell'operazione.

« II Banco di Sicilia, creditore della CISAS,società in situazione fallimentare, che pocoo niente prometteva ai creditori chirografari,ha preteso una sistemazione del suo creditoper aderire ad una sistemazione extra falli-mentare proposta dalla So.Fi.S. Gli uffici nonhanno precisato ancora i termi™ di questasistemazione.

« La So.Fi.S. (nel cui Consiglio siede ilPresidente del Banco di Sicilia) ha aderitoalla proposta.

« Per i due grandi istituti di credito sici-liani la So.Fi.S. rappresenta la più compia-cente assicurazione dei loro crediti.

3) Le persone preposte alle imprese colle-gate, dal fondo prima e dalla So.Fi.S. dopo,nelle società in cui sono assegnate, finisconocon l'essere dei veri e propri funzionari; si èvisto ancora che ove si è trattato di liquidareo abbandonare queste imprese, preoccupa-zione costante è stata quella di non mandareallo sbaraglio amministratori, che solo for-malmente sono stati nominati dall'Assem-blea ».

L'esposizione così efficace di simili sistemidi amministrazione non implica naturalmen-te nessun giudizio sulle personali responsa-bilità di La Caverà. Di lui si può solo aggiun-gere che nel 1966, alla scadenza del contratto,rifiutò di abbandonare la carica, eccependoche secondo la legge il rapporto di lavoro do-veva considerarsi a tempo indeterminato. Masubito dopo la sua fortuna cominciò a decli-

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nare, e il 21 novembre 1968, durante l'assem-blea degli azionisti della So.Fi.S., che intantoera stata assorbita dall'« Ente siciliano dipromozione industriale », l'ingegnere Umber-to Di Cristina ne propone e ne ottenne il li-cenziamento.

La Caverà .tentò ancora qualche resistenza,ma poi dovette rassegnarsi ad uscire di sce-na. Gli restavano una notevole liquidazione,superiore ai cento milioni, un patrimonio co-spicuo e la soddisfazione di essere stato unprotagonista della vita pubblica siciliana, inpiù di un settore, da quello iniziale dell'edi-lizia a quello della promozione industriale edello sfruttamento delle miniere siciliane.

Come prima si è visto, infatti, La Caverà èstato anche amministratore di società interes-sate alla ricerca e all'estrazione di minerali,ed in particolare della « Società mineraria si-ciliana ». Ed è significativo ricordare al ri-guardo che nel periodo del governo Milazzo,l'Assemblea regionale approvò una legge cheprevedeva un finanziamento di dodici mi-liardi agli industriali minerari.

Ma questa provvidenza, più che un benefi-cio per La Caverà, rappresentò il risultatodelle iniziative prese dall'avvocato Vito Guar-rasi, per trasformare le esauste miniere dizolfo della Sicilia in una fonte di guadagnoa carico dell'erario pubblico.

Come quella di La Caverà, anche l'attivitàpublica di Guarrasi è stata caratterizzata darapidi successi e dalla ricerca costante di po-sizioni di potere.

L'armistizio dell'8 settembre 1943 trovòGuarrasi, che era un semplice ufficiale dicomplemento del Servizio automobilistico,impegnato in una missione segreta ad Algericon la Commissione italiana presso il Coman-do in capo delle forze alleate. Con moltaprobabilità, egli partecipò alle trattative, inquanto legato da profondi vincoli di amiciziacon il principe Galvano Lanza Branciforti diIrabia, allora ufficiale di ordinanza del gene-rale Castellano.

Anche dopo la fine della guerra, Guarrasimantenne i suoi rapporti con Lanza, inizian-do quindi un'intensa attività imprenditorialee di consulenza economica, nei sattori più di-versi. In particolare, secondo le infooimaziordraccolte, si è accertato che l'avvocato Guar-

rasi è stato in epoche varie e per determinatiperiodi di tempo:

1. — consigliere di amministrazione dal 7luglio 1948 al 19 ottobre 1964 della società« Val Salso - società mineraria » costituitaper la coltivazione di miniere in Sicilia e perl'industria e il commercio di prodotti e sotto-prodotti dello zolfo;

2. — consigliere di amministrazione dellasocietà per azioni « L'Ora », proprietaria del-l'omonimo giornale di Palermo, e della socie-tà immobiliare « L'Ora » interessata alla co-struzione e attivazione d'uno stabilimento ti-pografico;

3. — azionista della società « A. Zagara »,costituita per promuovere ed incrementareil turismo in Sicilia;

4 — socio fondatore e consigliere di ammi-nistrazione della società « Palumberi e Scia-labba », interessata al commercio di medici-nali ed affini;

5. — azionista della società « Val Naro »,costituita per la coltivazione di nuove minie-re di zolfo nell'amministrazione della Regio-ne siciliana;

6. — socio fondatore e poi presidente delconsiglio di amministrazione della società« Megar », interessata ad operazioni di inve-stimento e di commercio mobiliare e immo-biliare;

7. — consigliere di amministrazione dellasocietà « Friigor-Sicuila », costituita per la co-struzione e la gestione di uno stabilimentofrigorifero;

8. — presidente del consiglio di ammini-strazione della società « Capo Zafferano », perl'esercizio di attività turistiche e affini;

9. — azionista della società « Adelkam »,costituita per l'impianto in Sicilia di uno sta-bilimento per la produzione e la lavorazionenel campo della viticoltura;

10 — consigliere di amministrazione dellasocietà « Copresa », interessata all'impiantoe all'esercizio di stabilimenti industriali perla produzione di manufatti, cementi ecc.;

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11. — presidente del consiglio di amministra-zione della società « Butera », costituita perla costruzione di case;

12. — consigliere di amministrazione dellasocietà « Astera », diretta a promuovere edincrementare il turismo in Sicilia;

13. — consigliere di amministrazione dellasocietà « Anic-Gela », costituita per la (lavora-zione in Sicilia degli idrocarburi e dei deri-vati;

14. — presidente del consiglio di ammini-strazione della società « SO.S.MI. » (Societàsiciliana mineraria), interessata alla costru-zione e all'esercizio di impianti e stabilimentiper l'estrazione e la trasformazione di sostan-ze minerali;

15. — consigliere di amministrazione dellasocietà « RASPEME », costituita per l'as-sunzione di rappresentanze per la vendita dimedicinali e affini;

16. — azionista della società immobiliare« Adelkam »;

17. — socio fondatore e poi presidente delconsiglio di amministrazione della società as-sicuratrice « Compagnia mediterranea di si-curtà »;

18. — vicepresidente e membro del comi-tato esecutivo della società « Immobiliaremediterranea » e vicepresidente della società« Garboli », anch'essa interessata a iniziativeedilizie;

19. — consigliere di amministrazione dellasocietà « SOMIS », interessata alla ricerca eallo sfruttamento in Sicilia di giacimenti diidrocarburi liquidi e gassosi;

20. — consigliere di amministrazione dellasocietà « SOIS », anch'essa costituita per laricerca e la coltivazione in Sicilia di giaci-menti di idrocarburi liquidi e gassosi;

21. — azionista e consigliere di amministra-zione fino al 23 settembre 1952 della società« Palermo Calcio », messa in liquidazione nel1960;

22. — socio fondatore della società « SO-CHIMISI », costituita per la riorganizzazio-

ne e la verticalizzazione dell'industria zolfi-fera siciliana;

23. — socio fondatore della società « Aeoli-ca », costituita per promuovere e incremen-tare il turismo in Sicilia;

24. — consigliere di amministrazione dellasocietà « SAGET », interessata alla gestionedi tonnare, all'esercizio della pesca e al com-mercio del pesce;

25. — consigliere di amministrazione dellasocietà « La Voce di Sicilia », diretta a pro-muovere e sostenere iniziative culturali e ri-creative;

26. — consigliere di amministrazione e vi-cepresidente della società per l'acquisto e lavendita di terreni e fabbricati « Siviere diLentini »;

27. — consigliere di amministrazione dellesocietà immobiliari « Leonforte », « Benso »e « Piraino ».

Come si vede, non c'è stato settore di qual-che importanza della vita economica sicilianache non ha visto impegnato in prima personal'avvocato Guarrasi. Tra le altre iniziative, so-no degne di menzione quelle edilizie, che sirealizzarono nella costruzione in Palermo digrossi fabbricati utilizzati anche come sededi pubblici uffici. Non sempre però questeiniziative andarono a buon fine. Così ad esem-pio, la Mediterranea immobiliare e la Compa-gnia mediterranea assicurazioni, chiusero laloro attività col fallimento e l'avvocato Guar-rasi, nella sua qualità di amministratore del-la Compagnia mediterranea assicurazioni, fusottoposto a procedimento penale per il de-litto di bancarotta fraudolenta, ed assolto inappello per non aver commesso il fatto, dopoessere stato condannato in primo grado aquattro anni di reclusione.

Ma fu indubbiamente nel settore'dell'indu-stria mineraria che meglio si manifestarono,anche se non sempre a vantaggio del contri-buente siciliano, le qualità e Io spirito di ini-ziativa di Guarrasi. Impegnato com'era in al-cune imprese per lo sfruttamento delle risor-se minerarie siciliane, Guarrasi si rese contodella necessità di risolvere, con interventi

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straordinari, la gravissima crisi in cui si di-battevano le preistoriche miniere siciliane,che erano state fino allora dominio incontra-stato dei baroni siciliani e dei capimafia.

Sarebbe nato proprio da questa esigenzal'interesse dimostrato da Guarrasi per la for-mazione del governo Mila/zo. Si è detto dapiù parti che egli avrebbe avuto una funzionedeterminante, anche se indiretta, nella crisiche portò alla costituzione della giurata pre-sieduta da Silvio Milazzo. Certo è che Milaz-zo lo nominò segretario generale del pianoquinquennale per la ricostruzione della Sici-lia e che nel periodo del suo governo Guar-rasi fu delegato ad occuparsi dei rapporti trala Presidenza della Regione e gli enti finan-ziari siciliani. Inoltre, come prima si è accen-nato, fu sempre il governo Milazzo che feceapprovare la legge regionale 13 marzo 1959,n. 4, che istituì un fondo per le industrie delsettore minerario, con una dotazione inizialedi dodici miliardi di lire e che in pratica ser-vì a trasferire sulla Regione tutti gli oneri chegravavano sulle miniere e sul Banco di Sici-lia, per i crediti concessi alle imprese di ge-stione.

Ma nel 1963 la Regione istituì l'Ente mine-rario siciliano (EMS) allo scopo di promuo-vere la ricerca, la coltivazione, la trasforma-zione ed il collocamento commerciale dellerisorse minerarie esistenti nel territorio dellaregione siciliana, mediante società per azioninelle quali l'ente doveva riservarsi, a normadi legge, una quota di capitale non inferioreal 51 per cento.

Senonchè, dopo poco tempo, l'EMS deter-minò e favorì la creazione di numerose socie-tà con scopi che esorbitavano dalle ragioniche ne avevano consigliato l'istituzione, de-terminando così una proliferazione di azien-de proiettate nei più vari settori economici.Anche in questo caso, peraltro, nella costitu-zione degli organi societari si badò ad accon-tentare i vari gruppi politici e queste opera-zioni, talora particolarmente difficili, hannofatto passare in secondo piano la gestionestessa delle società. Nel corso degli anni, in-fatti, le varie aziende hanno in sostanza fini-to col produrre stipendi per il personale, tan-to che i bilanci di numerose collegate presen-tano un forte deficit di fronte ad un attivo

che spesso non consente nemmeno di farfronte alle spese correnti.

Tra le società di questo tipo, ha avuto unaposizione di spicco la SOCHIMISI (Societàchimica mineraria siciliana) di cui, come siè visto, anche Guarrasi fu uno dei soci fonda-tori.

Costituita per la gestione delle miniere dizolfo in Sicilia, la SOCHIMISI è talora venu-ta alla ribalta della cronaca, per episodi inqualche modo collegati alla mafia.

Il caso più clamoroso è quello che riguardail noto mafioso Giuseppe Di Cristina, imputa-to nel processo contro la nuova mafia e co-me mandante dell'omicidio di Candido Ciuni.Nonostante i suoi precedenti e malgrado chefosse stato licenziato dalla Cassa di Rispar-mio, perché sottoposto a una misura di pre-venzione, Di Cristina venne assunto alle di-pendenze della SOCHIMISI; così come fuassunto nello stesso periodo di tempo un al-tro mafioso, tale Tano Lo Grasso.

Si è accertato peraltro che molte opera-zioni finanziarie della SOCHIMISI furonoconcepite ed attuate proprio dall'avvocatoGuarrasi. Tra le più spregiudicate, meritadi essere segnalata quella che portò alla fu-sione con la SOCHIMISI di una società, la« COZZO-DISI », titolare di una vecchia con-cessione mineraria,, con la conseguenza che laSOCHIMISI, 'Secondo calcoli approssimativa,si è dovuta accollare le sopravvenienze pas-sive dell'altra società, ammontanti a qual-che miliardo di lire.

Un'altra società, pur essa collegata al-l'EMS, la società SCAI, costituita per la ver-ticalizzazione dello zolfo per l'agricoltura, ac-quistò un terreno da privati, al prezzo cor-rente di mercato, nonostante che il Comunedi Mazara del Vallo le avesse offerto gratuita-mente una parte del terreno che le occorreva,così come aveva fatto con altri enti di svilup-po e di promozione industriale operanti inSicilia. La stessa società inoltre affidò i la-vori per la costruzione di uno stabilimentoad un'industria palermitana, la « SicilianaKeller », che non aveva nessuna esperienzanel settore e che pretese, a quanto sembra,un prezzo maggiore di quello richiesto daun'industria milanese, specializzata in im-pianti chimici, con la conseguenza che lo

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stabilimento non è mai entrato in funzioneproprio per deficienze tecnico-costruttive.

Episodi come questi hanno messo in evi-denza il sistema di parassitismo e di cliente-lismo che ha caratterizzato le vicende connes-se alla gestione delle miniere siciliane e han-no alla fine provocato lo scandalo, che hacoinvolto lo stesso Ente minerario e tuttala costellazione delle società collegate.

L'Autorità giudiziaria si sta direttamenteoccupando di queste vicende e dell'ammini-strazione dei fondi dell'EMS, e al centrodelle indagini si trovano i dirigenti dell'Ente,in primo luogo il suo presidente GrazianoVerzotto, anche lui legato da vincoli di affarie di amicizia con l'avvocato Guarrasi, e poiil direttore generale Pietro Giordano.

Graziano Verzotto, nato a Padova nel 1923,negli anni 1944-45 comandò la brigata parti-giana « Damiano Chiesa » che operava nel pa-dovano; dal 1945 al 1948 dimorò a Roma,esplicando le mansioni di funzionario pressola segreteria nazionale della Democrazia cri-stiana. Nel 1948 fu trasferito alla Federazio-ne provinciale della Democrazia cristiana diCatania ove svolse attività organizzativa perle elezioni politiche, sostenendo con impegnola candidata Maria Nicotra Fiorini, che poisposò il 19 luglio 1949; nel 1950, a seguitodi interventi della moglie e con l'aiuto delpartito, fu assunto dall'AGIP; nel 1955 fu de-stinato, quale commissario straordinario, al-la Federazione provinciale della Democraziacristiana di Siracusa, divenendone successiva-mente segretario; nel 1958 si presentò candi-dato alla Camera dei deputati, ma non venneeletto; nel 1960 fu nominato vice segretarioregionale del partito e fu durante questo pe-riodo che fece da testimone alle nozze delmafioso Giuseppe Di Cristina; nel 1962 fueletto segretario, carica mantenuta fino al 30febbraio 1966, quando si dimise a seguito dicritiche della CISL che Io accusava di averedeterminato l'immobilismo del governo re-gionale di centro-sinistra, per soddisfare am-bizioni ed interessi clientelari nell'attribuzio-ne degli incarichi di « sottogoverno »; nel1961 fu nominato capo ufficio Pubbliche re-lazioni dell'ENI in Sicilia, per l'interessa-mento dell'ingegner Enrico Mattei; nel 1967fu nominato presidente dell'EMS (Ente mine-

rario siciliano); nel 1968 fu eletto senatorenel collegio di Noto, ma si dimise per in-compatibilità con la carica di presidentedell'EMS, che ha ricoperto ininterrottamen-te dal 1967 fino al 17 gennaio 1975, quando siè dimesso a seguito delle indagini giudiziarieiniziate a suo carico. Dai primi accertamenticompiuti dalla Magistratura palermitana eda quella milanese, è risultato che l'EMS, vio-lando la norma statutaria che lo impegnavaa depositare il suo denaro presso il Bancodi Sicilia o presso banche comunque operan-ti in Sicilia, aveva depositato somme ingenti(sette miliardi) sulla Banca Privata Italianae sul Banco di Milano, operanti entrambenel capoluogo lombardo. È poi risultato chele due banche hanno pagato interessi-extrarispetto a quelli pattuiti e che tali interessivenivano versati non all'EMS, ma ad alcunisuoi dirigenti, tra cui il Giordano e il Verzot-to. Si è inoltre appurato che i compensi aiconsiglieri di amministrazone del Banco diMilano venivano liquidati in percentuale su-gli affari compiuti. Pertanto, Graziano Ver-zotto, essendo consigliere di amministrazio-ne del Banco di Milano, è stato imputato deldelitto di interesse privato in atti di ufficio,nel presupposto che egli avesse versato il de-naro sulle due banche milanesi per fini pro-pri ed in particolare per lucrare compensimaggiori, come amministratore della citatabanca.

A seguito dell'istruzione, l'Autorità giudi-ziaria di Milano ha rinviato a giudizio Ver-zotto, Giordano ed altri dirigenti dell'EMSper tale reato e per il delitto di peculato, re-lativamente all'illegittima appropriazione deldenaro pagato dalle banche milanesi comeinteresse extracartello.

Le vicende e gli episodi ora narrati nonsembrano collegati col mondo della mafia,ma resta il fatto che è stato proprio nel paras-sitismo e nel clientelismo programmatico, inuna parola nel sistema di malgoverno, disprechi, di strumentalizzazione delle stesseistituzioni, e quindi in definitiva nel compor-tamento di certe persone che hanno trovatoterreno favorevole e nuovo alimento il co-stume e la presenza mafiose.

Se è vero che lo Stato accentratore e poli-ziesco ha avuto la sua parte nelle origini della

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mafia, è altrettanto certo che uno Stato, chemostra talora di tollerare la dilapidazionedel patrimonio nazionale a favore di ceti pri-vilegiati, e che si presenta a una popolazione,che vive ancora in pesanti ristrettezze econo-miche, con le ricchezze sfacciate e di incertaprovenienza di alcuni suoi rappresentanti,non è meno colpevole della sopravvivenzadella mafia, appunto perché, mentre favori-sce pericolose collusioni e illecite conniven-ze, dissuade i cittadini da quell'attiva colla-borazione con l'apparato pubblico, che po-trebbe essere un fattore decisivo per la libe-razione e il riscatto del popolo siciliano.

SEZIONE SECONDA

LA MAFIA E IL POTERE PUBBLICO

1. — La mafia e i Comuni dell'Isola. Gli abusiedilizi.

Sempre nel settore dei rapporti tra mafiae pubblici poteri, la Commissione si è tral'altro occupata con particolare attenzionedel comportamento tenuto, tra gli anni cin-quanta e sessanta, dagli organi degli Entiterritoriali locali, soprattutto dei Comuni del-la Sicilia occidentale. L'indagine ha avuto adoggetto gli interventi di questi Enti nei varicampi dell'attività sociale, e per ciò che ri-guarda i Comuni, specialmente quelli svoltinel settore edilizio. Si è cercato, in questomodo, di accertare gli eventuali rapporti tragli organi della Pubblica amministrazione ela mafia, di analizzare il funzionamento degliorgani amministrativi per porre in risalto laloro possibile permeabilità ad azioni di ma-fia, di valutare infine l'opera ed il com-portamento degli amministratori per stabili-re, indipendentemente dai legami con la ma-fia organizzata, se essi rientrassero nel qua-dro del costume mafioso.

A conclusione dell'indagine e in via gene-rale si può dire senz'altro che le ricerchecompiute hanno messo in luce molteplici ano-malie di funzionamento dei vari organi dellaPubblica amministrazione, che hanno causa-

to alla comunità gravi pregiudizi di ordinesociale, igienico, urbanistico ed economico,sotto le frequenti spinte di forze extra-legali,che indubbiamente portano un'impronta dinatura mafiosa. Si è trattato ovviamente dianomalie che hanno avuto, nei diversi casi,una diversa intensità ed estensione. Ma laCommissione, più ohe limitarsi ad un'analisicomparativa dei risultati conseguiti in rela-zione all'attività dei singoli Enti considerati,reputa opportuno esporre nel modo più pre-ciso possibile gli elementi di giudizio acquisi-ti in uno dei settori più scottanti, e quindipiù significativi, della indagine, quello degliinterventi comunali in materie di alto interes-se sociale, in primo luogo in ordine allo svi-luppo edilizio ed urbanistico delle città e deicentri più importanti della Sicilia occiden-tale.

Gli accertamenti compiuti infatti non so-no stati limitati ai quattro capoluoghi delleProvince occidentali, ma sono stati estesi aiComuni minori, anche se per questi casi, sisono esauriti nell'esame della documentazio-ne raccolta dagli ispettori regionali, in occa-sione dei controlli eseguiti, per conto dell'As-sessorato agli Enti locali, sulla gestione dellevarie amministrazioni comunali.

Si è trattato comunque di un materiale diestremo interesse, sintetizzato nelle relazioniconclusive delle ispezioni, che hanno permes-so alla Commissione di avere a disposizioneun quadro globale e sufficientemente antico-lato dell'attività svolta in Sicilia dalle ammi-nistrazione dei Comuni minori durante glianni sessanta.

Ovviamente il giudizio che se ne trae nonpuò essere generalizzato, in quanto gli esem-pi di Comuni caraitterizzati dalla regolaritàed efficienza dell'amministrazione si alterna-no a quelli dei Comuni nei quali invece l'inos-servanza della legge è stata la norma. AllaCommissione, però, non interessano i parago-ni, e nemmeno il quadro di insieme. Importasoltanto sottolineare come in moltissimi ca-si, e si tratta della maggioranza dei casi, lagestione dei Comuni di qualche importanzadella Sicilia occidentale è stata connotatada una serie frequente, anzi continua, di irre-golarità amministrative di ogni genere. Sonostate tutte irregolarità che, per la natura,

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più che per la quantità, e soprattutto per ilcontesto in cui si sono verificate, denuncianochiaramente, se non un'origine maliosa, cer-tamente il pericolo di un cedimento della |Pubblica amministrazione alle insidie, alle lu-singhe, in una parola alla capacità di infiltra-zione e di ricatto del potere mafioso, in que-gli anni presente, in tutta la sua forza, neicentri urbani presi in esame. Per renderseneconto, bastano le citazioni di alcuni giudiziespressi nelle relazioni ispettive (prima men-zionate) sul comportamento degli organi am-ministrativi di questi Comuni.

« Non vi è dubbio » si legge ad esempio inuna di queste relazioni « che esista nei con-fronti degli amministratori passati e recentiuna responsabilità civile e anche penale ».

Così -ancora, per un altro Comune, la rela-zione conclude « che le numerose irregolaritàe manchevolezze amministrative e finanziarieemerse nel corso dell'ispezione, oltre a costi-tuire gravi infrazioni alle norme che regola-no l'amministrazione della cosa pubblica, im-portano in alcuni casi la responsabilità degliamministratori che hanno trascurato di cu-rare ed assicurare il buon andamento dei piùimportanti servizi, specie quelli che hannoattinenza alla finanza comunale ».

Parimenti duro è il giudizio espresso inuna terza relazione nella quale si afferma, aproposito di uno dei campi tradizionali dellaspeculazione mafiosa, quello delle aree fab-bricabili, che « le concessioni del suolo comu-nale non solo non hanno seguito l'iter proce-durale normale, ma sono state elargite aprezzi molto bassi, che potevano essere tri-plicati... Il funzionamento della Commissio-ne edilizia fu viziato in continuità dalla suainiziale composizioTie, anche perché di essafacevano parte due fratelli, che spesso nonottemperavano alle norme vigenti in occasio-ne della presentazione dei progetti da loroelaborati ».

Per un quarto Comune infine « devesi con-cludere » dice la relazione ispettiva « chel'attività dell'amministrazione sia consape-volmente orientata nel senso di continuare,anche per l'avvenire, ad espletare in manierairregolare il servizio di nettezza urbana. L'ap-paltatore violerebbe il capitolato, riguardoal numero degli operai, riguardo alle attrez-

zature necessarie, riguardo al rispetto deicontratti di lavoro e riguardo alla continuitàdel servizio ».

Sono, come si vede, irregolarità di variogenere, ma che hanno tutte il comune deno-minatore di mettere a nudo una cronica de-bolezza degli organi amministrativi di frontealle pressioni esterne e quindi una disponi-bilità al comportamento illegale, che è carat-teristica del costume mafioso.

Non si sottraggono peraltro a questo stessotipo di giudizio i moduli operativi dei Comu-ni capoluoghi di provincia, della Sicilia oc-cidentale, Trapani, Caltanissetta, Agrigentoe Palermo.

Per quanto riguarda Trapani, la Commis-sione ha avuto modo di accertare che nelperiodo compreso tra gli ultimi anni cin-quanta e i primi anni sessanta furono com-messe dagli organi comunali molte e varieirregolarità, relative al rilascio di licenze edi-lizie, alla concessione di appalti, al rilasciodi licenze di commercio.

In particolare, è risultato che almeno tren-ta licenze edilizie furono concesse dal Sinda-co di Trapani, in deroga alle norme di legge,tanto che in sede amministrativa vennerotutte considerate illegittime, « essendosi con-cretate in provvedimenti di favore ». Allostesso modo, in materia di appalti, nell'arcodi tempo 1958-1963, furono commesse decinedi irregolarità e non mancarono casi di appal-ti in opere e di forniture concessi a personecondannate per reati anche gravi, tra l'altropeculato, sfruttamento di prostitute e furtoaggravato. Al riguardo, l'amministrazione co-munale di Trapani rispose ai rilievi che leerano stati mossi in sede ispettiva che « nonriusciva ad individuare per quali motivi esotto quali profili tali condanne potessero in-ficiare la legittimità » degli appalti; ma la ri-sposta, risolvendosi in una considerazione diordine formale, anziché rappresentare unavalida giustificazione, meglio sottolinea comel'assuefazione a un costume possa far perderedi vista la linea di demarcazione tra lecito eillecito e possa quindi favorire pericolosi ce-dimenti della pubblica autorità.

Anche per ciò che attiene al rilascio dellelicenze di commercio, furono riscontrate nu-merose irregolarità e gravi responsabilità do-

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vute a negligenza, impreparazione ed inca-pacità del personale, tanto che tra l'altro 311licenze risultarono concesse senza che fosse-ro stati acquisiti dal Comune i documenti in-dispensabili al loro rilascio.

Analoghe anomalie, anche se forse menogravi e frequenti, furono accertate relativa-mente alla gestione del Comune di Caltanis-setta, specie con riguardo alla concessione dilicenze edilizie.

Ad Agrigento invece, l'esame di 986 prati-che per il rilascio di licenze di costruzionemise in evidenza come ben più rilevanti fos-sero state le irregolarità commesse in questamateria nel periodo che va fino ai primi me-si del 1964. In proposito, si legge tra l'altro,nella relazione conclusiva di un'ispezione am-ministrativa, ohe « nel complesso, l'esecuzio-ne di costruzioni abusive in Agrigento ha as-sunto un aspetto veramente eccezionale, per-ché ogni persona a qualsiasi categoria socia-le appartenga, insofferente a qualsiasi tipodi .disciplina, si è sentita autorizzata a co-struire la sua casa ».

In particolare, furono costruiti, in quel pe-riodo, moltissimi edifici senza licenza, oppu-re in difformità delle prescrizioni, oppure aldi là dei limiti e dei criteri fissati dalla So-vrintendenza ai monumenti e dalla Sovxin-tendenza alle antichità. Di fronte a questoscempio urbanistico, di proporzioni insolite,e che sarebbe stato all'origine della frana del1966, l'opera del Comune fu per più versa cri-ticabile. In molti casi gli organi comunaliesorbitarono dalla sfera delle loro attribuzio-ni e non mancò nemmeno il sospetto che il ri-lascio delle licenze, specie di quelle relativea'ila zona archeologica, fosse « il frutto di fa-voritismi ». In altri casi, invece, l'amministra-zione comunale si rivelò incapace di preten-dere il rispetto della legge, inadeguata in so-stanza al compito che l'ordinamento le asse-gnava: il Sindaco, infatti, anche se emise inpiù di una occasione provvedimenti di so-spensione e atti di diffida, trovò remore mag-giori, e quasi sempre insuperabili, di frontealla necessità di giungere alla demolizione,e quella sola volta che gli riuscì di dare ese-cuzione all'ordine di demolire una costruzio-ne abusiva fu costretto a dimettersi insiemealla Giunta comunale, appena tre giorniidopo.

La conseguenza (obiettiva) di questa poli-tica dissennata fu la frana che il 19 luglio1966 colpì tragicamente la città di Agrigento.A seguito del disastro, il Ministero dei lavoripubblici nominò una Commissione d'inchie-sta, presieduta dal dottor Michele Martuscel-li, direttore generale dell'urbanistica, alloscopo di indagare in merito alla situazioneedilizia della città, mentre a sua volta la Re-gione incaricò una propria Commissione disvolgere gli opportuni accertamenti sull'ope-rato degli amministratori di Agrigento.

I risultati delle inchieste autorizzarono ungiudizio nettamente negativo. « Gli uominidi Agrigento » scrissero i componenti del-la Commissione ministeriale « hanno erratofortemente e pervicacemente, sotto il profilodella condotta amministrativa e delle pre-stazioni tecniche, nella veste di responsabilidella cosa pubblica e come privati operatori.Il danno di questa condotta, interamente ecoscientemente voluta, di atti di prevaricazio-ne compiuti o subiti, di arrogante eserciziodel potere discrezionale, di spregio della con-dotta democratica, è incalcolabile per la cittàdi Agrigento ».

Era un'accusa che non ammetteva atte-nuanti e che avrebbe avuto un seguito in Tri-bunale. Infatti i tre sindaci di Agrigento,succedutisi in carica tra il 1956 e il 1966, An-tonino Di Giovanna, Vincenzo Poti e Anto-nino Ginex, furono condannati, in primo gra-do e in appello, per il delitto di interesse pri-vato in atti di ufficio, in relazione alla con-dotta da loro tenuta in merito allo sviluppourbanistico ed edilizio della città.

Si trattò, dunque, di tutta una serie di ir-regolarità, di favoritismi, di abusi, di veri epropri illeciti penali che, se pure non furonotali di rivelare una vera e propria collusionetra mafiosi e Pubblica amministrazione, eb-bero tuttavia tale estensione e furono di cosìelevata virulenza, da mettere almeno in lucecome fosse sempre ampia la zona di permea-bilità dei pubblici poteri alle azioni e ai ten-tativi di infiltrazione della mafia.

Non si può infatti dimenticare che nel pe-riodo considerato i tre capoluoghi della Sici-lia occidentale, al pari degli altri Comuni pri-ma esaminati, erano zeppi di mafiosi, tantoè vero che tra il 1957 e il 1968 furono adottati

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4188 provvedimenti di diffida nella provin-cia di Trapani, 1623 in quella di Agnigento,1359 in quella di Caltanissetta. Molti di que-sti mafiosi non vivevano ai margini della vi-ta sociale, ma parecchi di loro si erano impe-gnati in prima persona nelle attività econo-miche allora più redditizie, e in primo luogoin quella della speculazione edile.

Per di più la Commissione ha potuto accer-tare, non solo attraverso le informazioni de-gli organi di pubblica sicurezza, ma altresìmediante indagini documentali, che figli enipoti e in genere parenti di noti personaggimafiosi si erano via via inseriti a vari livellinelle amministrazioni locali e negli Enti dipubblico interesse. Così, in particolare, l'am-ministrazione comunale di Trapani contava15 parenti di mafiosi, quella di Caltanissetta16, quella di Agrigento 20.

Non ci vuole di più, per dedurne, nei ter-mini di un giudizio politico, che non ha biso-gno per essere espresso della puntualità e del-la precisione delle prove che sono richiestein sede giudiziaria, che tutto quello che av-venne, negli anni presi in considerazione, aTrapani, a Caltanissetta e ad Agrigento nonpuò essere spiegato, se non ammettendo chesul comportamento degli organi pubblici, ab-bia in qualche modo esercitato la sua influen-za il potere della mafia.

Ma fu in particolare a Palermo che l'ac-cennato fenomeno assunse dimensioni percosì dire visive, di tale evidenza cioè da nonlasciare dubbi sull'insidiosa penetrazionemafiosa all'interno dell'apparato pubblico.La gestione amministrativa del Comune diPalermo raggiunse, negli anni intorno al1960, vertici sconosciuti nell'inosservanzaspregiudicata della legge, lasciandosi dietroirregolarità di ogni genere che il Consiglio digiustizia amministrativa, nella seduta del 25giugno 1964, così tentava di riassumere: « laesistenza di costruzioni sprovviste di licenzao abusive, la precipitosa approvazione di pro-getti e il rilascio altrettanto precipitoso dilicenze edilizie nel periodo di carenza dellasalvaguardia e, soprattutto, la distorsione eJa falsa applicazione di' vecchie norme rego-lamentari (del 1889) richiedenti l'interventonelle licenze edilizie e nelle conseguenti co-struzioni " di un capotmastro od impresario

capace ed abile ". Si è preteso di dare appli-cazione a tali norme (i cui fini originari era-no ormai esauriti e superati dalla normazio-ne sulle professioni di ingegnere, geometra edanaloghe, in relazione alla compilazione diprogetti e alla direzione di lavori edili), attra-verso l'istituzione ed il mantenimento di unalbo di costruttori " per canto terzi " nelquale, per disposizione dell'Assessore, sonostate iscritte persone delle quali non risulta-no chiari i 'titoli e Je benemerenze professio-nali e che, negli ultimi anni, hanno monopo-lizzato quasi per intero il settore delle licen-ze edilizie, fungendo evidentemente da pre-stanome degli effettivi costruttori rimastinell'ombra ».

Sarebbe naturalmente impossibile e ai fi-ni della Commissione in pratica inutile esa-minare paratamente i singoli abusi, a cuidiede luogo la gestione del Comune di Paler-mo e che formarono oggetto tra l'altro dellaindagine della cosiddetta Commissione Bevi-vino, incaricata dalla Regióne di svolgere inproposito un'ispezione straordinaria. Non èperò possibile non fare menzione, fra quellericordate nella relazione Bevivino, delle se-guenti vicende che appaiono tra le più signifi-cative, nell'ambito di un'inchiesta sulla ma-fia:

a) « Convenzione tra il Comune e i signo-ri Terrasi e Consorti per l'approvazione diun piano di zona di iniziativa privata riguar-dante l'appezzamento di terreno in localitàGirato delle Rose.

Con delibera n. 133 del 12 ottobre 1955,il commissario del Comune di Palermo ap-provò un compromesso .tra il Comune e i si-gnori Terrasi e Consorti, stipulato tra l'alio-ra sindaco Scaduto e i predetti.

La Giunta provinciale amministrativa, nel-la seduta del 9 dicembre dello stesso anno,rinviò la delibera commissariale in considera-zione dell'eccessiva ed ingiustificata onero-sità del compromesso nei confronti dell'am-ministrazione comunale.

li Comune in data 29 febbraio 1956, con-trodedusse e la Giunta provinciale ammini-strativa accogliendo le osservazioni approvòla delibera nella seduta del 23 marzo 1956(n. 24975 Div. 4).

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Tuttavia, nell'agosto del 1957, l'ufficio co-munale dei lavori pubblici propose la revocadi tale delibera, ritenendola superata dal pia-no regolatore generale del 1956; la Giuntamunicipale, in accoglimento di tale proposta,con sua delibera n. 4983 del 14 novembre1957, revocò la delibera commissariale nu-mero .133. La Commissione provinciale dicontrollo non riscontrò in tale provvedimen-to vizi di legittimità.

Il provvedimento di revoca adottato, comesopra detto, dalla Giunta municipale fu rati-ficato dal Consiglio comunale oon deliberan. 486 del 23 novembre 1959. Il provvedimen-to di revoca era ispirato alla necessità di sal-vaguardare il piano regolatore generale.

Ma nel 1962, e precisamente il 30 aprile, ilConsiglio comunale, con delibera n. 290, deci-se inopinatamente di approvare la conven-zione Terrasi.

La Commissione provinciale di controllo,peraltro, in data 25 luglio 1962 pronunciòl'annullamento della delibera ed il segreta-rio .generale del Comune, con sua lettera del22 aprile 1963 diretta all'Assessore ai lavoripubblici, comunicò che Io schema di conven-zione Terrasi, dopo l'annullamento da partedella Commissione provinciale di controllo,doveva essere riproposto ex nova.

Ciò non pertanto, il piano regolatore gene-rale del 1959, come risulta dall'elaborato al1:2000, foglio 19, riporta una zona convenzio-nata sui terreni di Terrasi e Consorti.

Non risulta, a tutt'oggi, stipulata, con attopubblico, alcuna regolare convenzione. In-fatti la nuova convenzione non è stata ancoraapprovata dal Consiglio comunale ».

b) « Vassallo Francesco - Edificio in viaQuarto dei Mille, n. 9.

jL'impresa Francesco Vassallo, il giorno 18

aprile 1961, presentò un progetto per la co-struzione di un edificio in via. Quarto deiMille, comprendente uno scantinato, un pia-no terra, sei piani elevati ed un piano attico.

L'edificio ricadeva in zona a densità fon-diaria in 14 metri cubi/metri quadrati dellaclasse F3, secondo il piano regolatore gene-rale del 1959. La costruzione doveva sorgerein zona già edificata.

La sezione III-B dell'ufficio tecnico espres-se il parere che il progetto doveva essereesaminato secondo le norme del regolamentoedilizio ordinario; secondo tali norme il pro-getto risultava regolare.

In data 16 maggio 1961, la Commissioneedilizia espresse parere favorevole, e vennerilasciata la licenza di costruzione n. 856per un piano scantinato, un piano terra, seipiani elevati ed un piano attico.

La ditta Vassallo ripresentò, peraltro, unnuovo progetto il 4 febbraio 1963, con unavariante consistente nella aggiunta di un su-perattico ed in modifiche planimetriche alpiano terreno e al primo piano. Con questavariante, inoltre, venivamo ridotti i cortiliin corrispondenza del piano terreno e delprimo piano e ciò allo scopo di poter am-pliare l'edificio.

La Commissione edilizia, in data 12 feb-braio 1963, espresse parere favorevole allavariante.

La Commissione ispettiva ha ritenuto di di-sporre un sopralluogo, dal quale è risultatoche la costruzione eseguita è difforme dalprogetto approvato. E precisamente:

a) il piano superattico non è arretratonel retroprospetto, come era previsto nelprogetto di variante;

b) sono stati eseguiti nel retroprospettopiccoli corpi aggiunti lungo i corpi di fabbri-ca fino al confine e per l'altezza del solo pri-mo piano.

I rapporti per 'l'abitabilità ed il certificatodi fine lavori compilati dall'ufficio tecnicorispettivamente il 3 ottobre 1962 ed il 1° di-cembre 1962 dichiarano invece che la costru-zione è conforme al progetto approvato.

Su quest'ultima circostanza, il capo dell'uf-ficio tecnico — a richiesta della Commissioneispettiva — ha fornito alcuni chiarimenti, se-condo i quali i corpi abusivi risultano tecni-camente costruiti dopo il rilascio del certi-ficato, che non è " coperto " da licenza e percui non è stato rilasciato il rapporto di abi-tabilità »;

e) « Natoli Anna in Cataliotti - Costruzio-ne in corso Calatafimi angolo via Marinuzzi.

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II progetto di costruzione venne presentatoil 2 febbraio 1960. Secondo quanto osservatonella sezione V dell'ufficio tecnico, l'edificioricadeva in zona di espansione a densità 3,5metri cubi/metri quadrati - classe RIO, se-condo il piano regolatore generale del 1959.

La sezione III-B, per quanto di sua compe-tenza, osservò che l'edificio aveva una cuba-tura in 16.734 metri cubi, mentre la cubaturacalcolata secondo le norme dello stesso pia-no regolatore generale era di 5.000 metri cu-bi. Esaminato con il regolamento edilizio, ilprogetto sarebbe risultato conforme; mentre,come si è detto, per il piano regolatore gene-rale la cubatura risultava molto superiore aquella consentita.

La Commissione edilizia diede parere favo-revole il 22 febbraio stesso anno senza porrealcuna condizione, per un piano terra, settepiani ed un piano attico.

Si osserva che la Commissione edilizia nonritenne di doversi adeguare ai rilievi dellasezione III-B dell'ufficio tecnico e non riten-ne di applicare le norme del piano regolatoregenerale che, nel periodo in esame, eranosalvaguardate.

Inoltre, in data 24 ottobre 1960, venne pre-sentato, questa volta a nome di VassalloFrancesco, un progetto .di variante per la co-struzione di un ottavo piano sul corso Ca-latafimi.

La sezione III-B e lo stesso dirigente del-l'ufficio tecnico confermarono che tanto ilprogetto quanto la variante non rispettavano,per cubatura ed altezza, le norme del pianoregolatore generale.

La Commissione edilizia, tuttavia, non te-nendo conto, ancora una volta, del parere de-gli uffici tecnici, espresse il voto favorevolealla variante.

In sostanza, la Commissione edilizia e, suc-cessivamente, gli amministratori non hannoritenuto, per il progetto in esame e per glialtri casi analoghi, di avvalersi delle normedi salvaguardia, perché — a loro avviso —le soluzioni dei progetti in esame non " scon-volgevano " il piano regolatore generale.

Al contrario, secondo questa Commissioneispettiva, una notevole diversa densità fon-diaria in un dato lotto turba gravementel'equilibrio urbanistico della zona.

Nel caso in esame, il volume è stato più chetriplicato (16.734 metri cubi), oltre l'ottavopiano della variante, in confronto ai 5.000metri cubi previsti e concessi dal piano rego-da lore generale.

Mentre, sia nel certificato di fine lavori sianel rapporto di abitabilità viene affermatoche la costruzione è conforme ai progetti ap-provati, da un sopralluogo disposto da questaCommissione ispettiva è risultato che l'im-presa:

a) ha unificato gli ingressi;b) ha costruito dei corpi bassi;e) ha aumentato lo spessore dei corpi

di fabbrica;d) ha ridotto la terrazza del piano at-

tico; tutto ciò senza che, dal fascicolo, risultialcuna approvazione da parte degli organicomunali.

Il capo dell'ufficio tecnico, a richiesta del-la Commissione ispettiva, ha fornito in meri-to alcuni chiarimenti, dai quali risulterebbeche i coi pi abusivi sarebbero stati costruitiin epoca posteriore agli accertamenti degliuffici ;>.

d) « Moncada Girolarrio e Messina Euge-nio - Costruzione di due fabbricati in via Ni-no Bixio.

Il progetto venne presentato il 14 ottobre1959.

La costruzione, secondo il parere espressodalla sezione V dell'ufficio tecnico, rientravain zona di espansione a densità edilizia urba-na 'fino a 2,5 metri cubi/metri quadrati, se-condo il piano regolatore del 1956.

La sezione III-B, osservato che l'edificiorientrava nella lottizzazione D'Arpa e fratelli,approvata dalla Commissione edilizia nellaseduta del 1° dicembre 1958, rilevava che ilprogetto non si uniformava a detto piano dilottizzazione per la maggiore lunghezza previ-sta negli edifici: tre metri per l'edificio B edue metri per l'edificio C, con conseguenteaumento di 1.000 metri cubi di volume. Nonsi uniformava inoltre allo stesso piano di lot-tizzazione per il minore distacco dagli edificistessi in corrispondenza del collegamento aterrazza (metri 4,70 anziché metri 6).

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II progetto prevedeva, inoltre, un pianorientrante che non risultava arretrato in ma-niera regolamentare. Entrambi i piani atticirisultavano arretrati, su tre fronti, di metri2 anziché di metri 3,40; in corrispondenza delquarto fronte erano a filo del fabbricato.

La Commissione edilizia, il 9 novembre1959, espresse parere favorevole alla unicacondizione che venisse eliminato il piano at-tico.

Successivamente, in data 23 marzo 1960, ilsignor Moncada presentò un progetto di va-riante.

La sezione III-B, esaminato il progetto divariante, osservò che la planimetria non cor-rispondeva alle previsioni del progetto e cheera prevista una maggiore altezza di quellaindicata nel piano di lottizzazione D'Arpa efratelli (metri 25,40 anziché metri 21).

La Commissione edilizia, il 31 gennaio1961, espresse parere favorevole, a condizioneche il piano attico venisse arretrato su tutti ifronti in misura regolamentare e che fosserorispettati i distacchi e gli arretramenti previ-sti nel piano di lottizzazione.

Venne ancora presentata altra variante, indata 1° luglio 1961, consistente nella costru-zione di un piano attico nei due edifici e diulteriori ambienti sopra il piano attico (giàescluso, come si è detto sopra, dalla Commis-sione edilizia).

La sezione III-B osservò che la variantenon era regolamentare, perché non solo nonvenivano arretrate le fabbriche, come avevaprescritto la Commissione edilizia, ma ancheperché venivano ulteriormente ridotti gli ar-retramenti e l'interpiano (ridotto a metri2,90).

La Commissione edilizia espresse, peraltro,parere favorevole alla variante il 4 luglio1961, senza porre alcuna condizione.

La licenza di costruzione (n. 1006) venneconcessa il 25 luglio 1961 ».

e) « Vassallo Francesco - Edifici A, B, Ce D in via Lazio.

Il progetto di costruzione degli edifici so-pra indicati fu presentato all'ufficio tecnicoil 27 gennaio 1961. Faceva parte di un pianodi lottizzazione a nome Lipari e Citarda, ap-provato dalla Commissione edilizia il 13 giu-

gno 1960. Comprendeva uno scantinato, unpiano terra, un ammezzato, sei piani elevatied un attico. Rientrava, secondo la relazionedella competente sezione V, in zona ediliziaa densità fondiaria di 9 metri-cubi/metriquadrati della classe E7, secondo il piano re-golatore generale del 1959.

Secondo le osservazioni della sezione III-B,la superficie coperta con corpi bassi superavaquella ammessa dalle norme di attuazione dimetri quadrati 1,50, su metri quadrati 680.

La Commissione edilizia, nella seduta de]30 stesso mese (tre giorni dopo la presenta-zione del progetto), si espresse favorevolmen-te senza porre alcuna condizione.

Il 3 giugno 1962, l'impresa presentò una va-riante relativa a tutti e quattro gli edifici,consistente nella creazione di uno scantinato,di un seminterrato e di un piano rialzatofacente parte dei corpi accessori.

Con tale variante, si superava di circa me-tri quadrati 200 la superficie, e di centimetri80 l'altezza ammissibile.

La Commissione edilizia il giorno 5 succes-sivo (due giorni dopo la presentazione dellavariante) diede parere favorevole senza porrealcuna condizione.

Si osserva che l'impresa, con i corpi bassidi metri 4,80 di altezza, anziché di metri 4,ha potuto realizzare due elevazioni (piani) alposto di una.

In data 17 novembre 1962 l'impresa presen-tò un'altra variante per gli edifici B e C, con-sistente in una diversa distribuzione interna;la Commissione edilizia espresse parere favo-revole il 20 stesso mese.

Si rileva che l'amministrazione comunaleha concesso la licenza al progetto originarioe alle successive varianti nelle more dellastipulazione delle convenzioni.

Questa procedura è stata seguita dall'am-ministrazione nella maggior parte dei casiesaminati dalla Commissione ispettiva.

Per quanto riguarda il progetto delle co-struzioni in esame, si osserva che esso pre-vedeva un fronte di metri 115. Tale fronteera regolarmentare nel momento della pre-sentazione del progetto (gennaio 1961). Ma,nelle more del rilascio della licenza, era sta-to approvato dal Presidente della Regione il

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nuovo piano regolatore generale, nel qualeveniva tra l'altro determinato in non più di100 metri (articolo 72 delle noume di attua-zione) il ironie degli edifici del tipo di quel-lo in esame.

Da ciò, la perplessità, che si evince dallalettura degli atti del fascicolo, delle sezionitecniche competenti, circa il rilascio dellalicenza con la detta norma della lunghezzainfinita e con quella successiva, che limitavaa 100 metri la lunghezza infinita (115 metri).

In questo modo, è stato possibile all'im-presa edificare con una volumetria superio-re a quella stabilita dal decreto presiden-ziale ».

Tutti quelli riassunti sono episodi partico-lari, ma non per questo meno illuminanti,non solo per il tipo neon-ente degli abusi edelle irregolarità riscontrate, che chiaramen-te denunciano un cedimento, se non una con-nivenza degli organi pubblici con gli ambien-ti mafiosi, quanto per i nomi che si ritrova-no nelle vicende narrate e quindi per le de-duzioni che se ne possono ricavare. In pri-mo luogo, la certezza, desunta anche da altrielementi di giudizio, che in quegli anni, inconnessione con lo sviluppo dell'attività edi-lizia, emersero a Palermo personaggi di di-scutibile provenienza, che si arricchirono ra-pidamente in modo perlomeno sospetto, pro-va che molte irregolarità, soprattutto nelcampo delle licenze edilizie, furono commes-se a beneficio di persone già allora indicatecome mafiose o che tali si sarebbero rivela-te nel corso di avvenimenti successivi.

Ma accanto a questi episodi specifici, siaccertò anche che nello stesso periodo ditempo furono iscritti nell'albo dei costrutto-ri e ottennero numerose licenze personesprovviste di mezzi finanziari e di ogni capa-cità imprenditoriale, tra i quali SalvatoreMilazzo, Michele Caggegi e Lorenzo Ferrante.Secondo la Prefettura di Palermo, il Milazzo,padre di quattro figli, di cui uno sposato,« esercitava il mestiere di muratore giorna-liero », non aveva mai svolto attività di. co-struttore edile, non aveva beni immobili;anche il Caggegi era un muratore, pensiona-to della previdenza sociale, non aveva beni di

sorta e non esercitava neppure l'attività dimuratore, perché di salute malferma.

Di fronte a fatti del genere, non si puòpensare che alla mafia, una mafia che si eraimpadronita, con i suoi tentacoli, del setto-re della speculazione edilizia e che non eradisposta a indietreggiare dalle posizioni con-quistate, anche a costo, come in effetti avven-ne, di ricorrere alla violenza più spietata. Leaccennate irregolarità amministrative offri-rono un terreno propizio al successo dellamafia e alla forza che essa esercitava, attra-verso gruppi di pressione organizzati, per ot-tenere ogni forma di favoritismi e per lucra-re i vantaggi dell'intermediazione parassita-ria, connessa all'attività edilizia e all'acqui-sto delle aree fabbricabili. D'altra parte, laparticolare intensità che ebbe in quegli an-ni il fenomeno della delinquenza nella cittàdi Palermo fu certamente l'effetto delle lotteche si scatenarono tra le cosche mafiose perassicurarsi il predominio nelle varie zone del-la città, ma nemmeno può essere senza signi-ficato il parallelismo che si venne obiettiva-mente a creare tra la sequela delle manife-stazioni delittuose e le ricorrenti anomaliee carenze della gestione amministrativa delComune di Palermo.

Ma tutti questi fatti, pur così significativi,perderebbero parte del loro rilievo, se nonfossero valutati nel quadro delle vicende per-sonali di colui che, se non fu l'unico respon-sabile della situazione determinatasi in que-gli anni a Palermo, ne fu certo uno dei pro-tagonisti: Vito Ciancimino.

2. — Vito Ciancimino.

A) Notizie sulla vita. — Vito Cianciminoè nato il 2 aprile 1924 a Corleone, dove tra-scorse gli anni dell'adolescenza. Iniziò glistudi a Corleone e frequentò presso quel li-ceo statale il 2° liceo classico; conseguì poila maturità nella sessione estiva del 1941presso il liceo « Meli » di Palermo.

Nell'anno accademico 1942-1943 si iscrissealla facoltà di ingegneria dell'Università diPalermo, proseguendo gli studi sino al 1946e sostenendo 19 esami. Nell'anno accademico

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1953-1954 cambiò facoltà ed ottenne l'iscri-zione al secondo anno di giurisprudenza sen-za, però, conseguire la laurea.

Il padre di Ciancimino, Giovanni, ultimodi sette figli, nato a Corleone il 1° agosto1894 e deceduto a Palermo il 12 luglio 1968,emigrò a New York nel settembre del 1910.Ritornato a Corleone, aprì un negozio di bar-biere dove — come ricordano diversi corleo-nesi — il giovane Vito si recava ad aiutarlo.La madre, Pietra Mantovana, è nata a Corleo-ne nel 1905, è pensionata e risiede a-Palermoin via Rudinì 42. L'unica sorella di Ciancimi-no, Maria Concetta, è nata anch'essa a Cor-leone nel 1928 e non svolge nessuna attivitàlavorativa. È coniugata con il dottor FilippoRubino, insegnante di scienze dell'alimenta-zione presso l'Università di Palermo, elettonel 1963 presidente dell'ordine dei medici delcapoluogo siciliano. Il Rubino è stato ancheesponente e consigliere provinciale della De-mocrazia cristiana e nel 1967 venne elettoassessore ai lavori pubblici della Provinciadi Palermo. I coniugi Rubino abitano a Pa-lermo in un appartamento di loro proprietàin via Scaduto, 10.

Tra gli altri congiunti di Ciancimino meri-tano di essere menzionati:

a) la zia paterna, Marianna Ciancimino,nata a Corleone nel 1881 ed ivi deceduta,coniugata con Vincenzo Zanchi, coltivatorediretto, residente a Corleone e membro delConsiglio di amministrazione dell'ospedalecivile di quel paese.

Una figlia degli Zanchi, cugina pertanto diVito Ciancimino, sposò Ciro Maiuri, fratellodi Giovanna ed Antonino Maiuri già legati aMichele Navarra. A seguito delle lotte trale cosche di Navarra e di Leggio in data 6settembre 1958, rimase ucciso un figlio diCiro Maiuri, di venti anni, e il delitto venneimputato ai leggiani che lo avrebbero com-piuto per vendetta.

Un'altra figlia degli Zanchi andò sposa adAntonino Lisotta, nato a Corleone nel 1892ed ivi residente, e che ha un figlio, Giuseppe,nato nel 1935 a Corleone e dal 1962 residen-te a Palermo;

fc) lo zio materno, Carmelo Martorana,nato a Corleone nel 1912, celibe, titolare dal

1964 di un negozio per la vendita di armi emunizioni;

e) un altro zio materno, Leoluca Marto-rana, è nato a Corleone nel 1926; da qualcheanno è di fatto emigrato per Vercelli;

d) lo zio materno acquisito, Paolo Jan-nazzo, nato a Corleone nel 1913, è stato collo-catore comunale e consigliere della Pia unio-ne braccianti dal 1961 al 1963.

Tutta la famiglia di origine di Cianciminoha sempre vissuto in modeste condizioni eco-nomiche. Entrambi i genitori erano nullate-nenti. Durante la sua permanenza a Corleo-ne, Vito Ciancimino ebbe la possibilità difrequentare parenti ed amici, che avrebberitrovato in seguito a Palermo e. con i qualiavrebbe avuto rapporti di vario genere.

Uno di essi è Giuseppe Lisotta di Antonino,già ricordato, cugino di secondo grado diCiancimino, essendo sua nonna sorella delpadre di Vito. È laureato in medicina e nel-la consultazione elettorale del 1964 fu elettoconsigliere al Comune di Corleone nella listadella Democrazia cristiana. Già sanitariopresso la clinica medica dell'Università diPalermo, è stato assistente presso l'Assesso-rato provinciale alla sanità. Tale incarico,che si fa datare dal 1963-1964, sembra sia do-vuto all'interessamento del Ciancimino.

Un altro degli amici di Corleone è Salva-tore Castro fu Antonino e di Giovanna DiGregorio, nato a Corleone il 10 dicembre1929, residente a Palermo in via Principe diPaterno, 102, coniugato, impiegato d'ordinedella Cassa di Risparmio V.E. di Palermo.Proviene dall'Azione cattolica di Corleone eda sempre ha militato in quella sezione DC.Nel 1956 entrò, quale vice presidente, nel di-rettivo della Pia unione braccianti agricoli diCorleone, conservando poi l'incarico sino al1961. Sempre nel 1956 risultò tra i primi elet-ti nella lista DC per il Comune di Corleonee nel 1960 divenne segretario di quella sezio-ne del Partito democristiano, mantenendo lacarica sino al 6 giugno 1970. Già assessoreprovinciale al personale (1964-1967) e all'assi-stenza psichiatrica (1967-1969), il 7 giugno1970 fu eletto consigliere per la DC al Comu-ne di Palermo.

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In Corleone ha retto, a fasi alterne, le filadell'amministrazione comunale, anche valen-dosi del prestigio che gli veniva dall'esserecognato di Matteo Vintaloro, fratello delnoto mafioso Angelo Vintaloro, già luogote-nente del capo mafia Michele Navarra.

Ma la permanenza di Ciancimino a Corleo-ne non fu molto lunga. Negli anni dell'im-mediato dopoguerra, egli e i genitori si al-lontanarono dal paese di ergine e si trasfe-rirono a Palermo. Tuttavia Ciancimino trasfe-rì la propria residenza anagrafica nel capo-luogo siciliano solo il 2 novembre 1953; an-zi l'anno dopo, per ragioni non accertate,tornò ad iscriversi nell'anagrafe di Corleone,per registrarsi definitivamente a Palermosoltanto il 22 novembre 1963.

È certo, comunque, che di fatto Ciancimi-no abitava da vari anni a Palermo, in corsodei Mille, 276, quando, il 21 marzo 1955, con-trasse matrimonio in Pompei con EpifaniaScardino, insegnante elementare, figlia di At-tilio Scardino, maresciallo dell'esercito inpensione.

La famiglia originaria della Scardino eracomposta dal padre, Attilio, nato a Messinanel 1901, dalla madre, Adele La Mantia, na-ta a Palermo pure nel 1901, casalinga, e dalfratello Salvatore, nato a Palermo nel 1936,praticante procuratore legale.

Lo Scardino era nullatenente, mentre Ade-le La Mantia possedeva, per eredità, due ap-pczzamenti di terreno ed un villino nel su-burbio della città.

Subito dopo il matrimonio, i coniugi Cian-cimino (che hanno avuto cinque figli) anda-rono ad abitare in una casa di via CarmeloTrasselli, 32, e alcuni anni dopo si trasferi-rono in un appartamento di via Sciuti, 85-R.In questo stesso stabile abitano anche i suo-ceri di Ciancimino.

Per quanto riguarda l'attività professiona-le di Vito Ciancimino, non si hanno molte no-tizie per i primi anni della sua permanenzaa Palermo. Si sa solo che in quegli anni fusocio dell'impresa edile di Rosario Maniglia.Ma Ciancimino trovò la sua sistemazioneeconomica soltanto quando riuscì ad entrarein rapporti con le ferrovie dello Stato, grazieai buoni uffici dell'onorevole Bernardo Mat-

tarella, allora Sottosegretario di Stato alMinistero dei trasporti. In proposito, i fat-ti si svolsero nel modo che segue.

B) L'attività professionale. — In data 24aprile 1950, Vito Ciancimino presentò allaSezione commerciale e del traffico delle Fer-rovie statali di Palermo un'istanza volta adottenere la concessione del trasporto di carriferroviari a mezzo di carrelli stradali nellacittà di Palermo. La Sezione commerciale edel traffico assunse informazioni e la Questu-ra di Palermo, con nota del 12 giugno 1950,n. 37469-24, rispose che Vito Ciancimino erapersona di buona condotta morale, civile epolitica, senza precedenti o pendenze penali,che era laureato in ingegneria, che era sociodell'impresa di Rosario Maniglia e che lesue condizioni economiche e finanziarie era-no « ottime ».

Pertanto, con nota del 20 giugno 1950, laSezione commerciale e del traffico di Paler-mo comunicò al Ministero dei trasporti (Ser-vizio commerciale e ''del traffico) che VitoCiancimino aveva presentato istanza per laconcessione del trasporto di carri ferroviari,che dalle informazioni assunte era risultatotrattarsi di una « ditta seria e di ottime con-dizioni finanziarie » e che non vi erano diffi-coltà di affidare il servizio di trasporti aprivati.

Successivamente, sul foglio disposizionin. 118 del 31 luglio 1950 del Compartimentodelle Ferrovie dello Stato di Palermo, fu pub-blicato un bando per « l'appalto a licitazioneprivata del servizio di trasporto a domiciliodei carri ferroviari a mezzo carrelli stra-dali nella stazione di Trapani e nelle sta-zioni di Palermo Centrale, Lolli-Maritti-ma e S. Erasmo ». Nel bando si stabi-liva, tra l'altro, che sarebbero stati am-messi a partecipare alla gara « soltanto que-gli aspiratiti che l'amministrazione delle Fer-rovie dello Stato — a suo giudizio esclusi-vo e insindacabile — avrebbe giudicato op-portuno ammettere, tenuto anche conto del-l'attrezzatura per la manutenzione e ripara-zione delle trattrici e dei carrelli di cui pos-sono disporre gli aspiranti, nonché delle ca-pacità finanziarie e personali ad esercitare ilservizio ». Si stabiliva inoltre nel bando che

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l'Amministrazione delle Ferrovie si riservavala facoltà di « procedere in modo diverso al-l'assegnazione della concessione, senza chegli aspiranti potessero accampare diritti disorta o pretendere rimborsi di spese di qual-siasi genere ».

In data 29 agosto 1950, Vito Cianciminopresentò alla Sezione commerciale e del traf-fico di Palermo un'istanza con cui chiedevadi essere ammesso alla gara per la concessio-ne del servizio negli scali ferroviari di Paler-mo. Con successiva domanda del 12 settem-bre 1950, Ciancimino chiede alla Amministra-zione delle Ferrovie il noleggio di tre carrelli,per il caso che gli venisse accordata la con-cessione. Intanto, la Questura di Palermo,con nota del 4 settembre 1950, aveva comuni-cato alla Sezione commerciale e del trafficodi Palermo che Ciancimino era « in condizio-ni finanziarie tali da garantire l'acquisto didue trattrici e tre carrelli stradali, per il va-lore di lire 16 milioni » e che quindi era ido-neo « ad assumere la gestione del servizio ».

Al termine delle operazioni di verifica deirequisiti finanziari e tecnici delle ditte aspi-ranti, la Sezione commerciale e del trafficodi Palermo, con nota del 14 settembre 1950,comunicò al Ministero dei trasporti che ave-vano chiesto di partecipare alla gara di lici-tazione le ditte di Vito Ciancimino, AntonioTrio,. Enrico Silvestri e Giuseppe Monti. Men-tre la pratica era in corso di svolgimento, Vi-to Ciancimino fece pervenire alla Direzionegenerale delle Ferrovie — a mezzo del Sotto-segretario dell'epoca, onorevole BernandoMattarella — un esposto col quale rivendica-va il diritto ad ottenere la concessione, peressere stato il primo a presentare la relativadomanda e per avere nel frattempo proce-duto all'acquisto di due trattrici, sostenen-do così una spesa non indifferente.

Il Ministero, con nota del 31 ottobre 1950,inviò l'esposto alla Sezione commerciale edel traffico di Palermo, invitandola a consi-derare se la ditta Ciancimino possedesse « ef-fettivamente dei requisiti tali (migliore at-trezzatura, capacità tecnica e finanziaria,possibilità di maggior sviluppo del servi-zio, eccetera) » da renderla preferibile ri-spetto agli altri aspiranti alla concessione.

« In tal caso — concludeva la lettera mini-steriale — potrebbe essere esaminata la pos-sibilità di affidare il servizio, a trattativaprivata, alla predetta ditta Ciancimino ».

La Sezione commerciale e del traffico diPalermo rispose al Ministero con lettera del7 novembre 1950, facendo presente che leinformazioni di polizia erano state favore-voli per tutte e quattro le ditte che avevanochiesto di partecipare alla gara, ma aggiun-gendo che la ditta Ciancimino aveva « unaconsistenza finanziaria maggiore delle altreditte » e che perciò tale elemento poteva co-stituire « ragione di preferenza ».

Successivamente, in data 29 novembre1950, l'ingegnere Giuseppe Criscione dellaSezione trazione, in concorso col signor Pao-lo Palmigiano della Sezione commerciale edel traffico, eseguì una visita nell'officina« Lo Porto », al fine di accertare la consisten-za delle attrezzature meccaniche della dittaCiancimino. Il risultato della visita fu cosìattestato nel relativo verbale:

« 1) L'officina è idonea alla manutenzio-ne di autoveicoli, in particolare di trattrici,essendo dotata della normale attrezzaturautensile;

2) il gerente l'officina è elemento capacea dirigere i lavori di manutenzione ed even-tualmente piccole riparazioni;

3) si è notata la presenza di un trattore" Pavesi " a benzina con motore della poten-za di HP.60, che potrebbe essere adibito alservizio dei carrelli stradali se munito digancio di trazione, di verricello e di ruotecon semipneumatici. L'esistenza di un tratto-re similare in contrada Baucina (prov. Pa-lermo) è stata, altresì, fatta presente dalCiancimino e dal Lo Porto;

4) fatta notare al Ciancimino l'inesisten-za di carrelli stradali e l'insufficienza numeri-ca dei due « Pavesi », il Ciancimino ha fattoconoscere di essere già in trattative con laSocietà Panini — impresa trasporti con sedein Verona — per l'acquisto di n. 2 trattrici adoppio differenziale per trazione su quattroruote, portanti motori Diesel tipo Lancia3.RO (a nafta), con consegna a trenta giornidalla commissione.

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I

Tali trattori soddisferebbero, a giudizio delsottoscritto, alle condizioni necessarie perl'espletamento del servizio dei carrelli stra-dali.

In quanto ai carrelli stradali il Cianciminosi è dichiarato pronto a fornirsene di due, edentro sei mesi, ordinandoli alla ditta " Mon-cenisio " o facendoli costruire presso qual-che ditta locale ».

In data 7 dicembre 1950, la Sezione com-merciale e del traffico di Palermo trasmiseal Ministero copia del suddetto verbale, re-stando in attesa di disposizioni. Con nota del24 dicembre 1950, n. 123/806.19 il Ministero(Servizio commerciale e traffico) rispose nelmodo che segue:

« Visti gli atti e le informazioni fornitecon le note suddistinte, si ritiene che dallagara di appalto per il servizio dei carrelli aPalermo, debbano essere escluse le ditte:

Trio — in quanto la domanda avanzata,in proprio nome, dalla filiale di Palermo nonpuò impiegare la Casa-madre di Roma, laquale non ha svolto nessuna pratica per otte-nere il servizio. La ditta stessa, per il modocon cui svolge il lavoro di delegazione INTnon offre garanzie di ben condurre il servi-zio dei carrelli stradali;

Silvestri — trattandosi di una società aresponsabilità limitata, senza alcuna attrez-zatura di mezzi;

Monti — in quanto non è chiaro se l'im-pegno dovrebbe essere assunto dal solo Mon-ti o dalla Società Monti e Compagni. Si ri-tiene inoltre che la ditta Monti, distratta daaltre occupazioni non aventi alcuna attinen-za col traffico ferroviario, non sia la piùindicata ad assumere il servizio ».

« Per i motivi suddetti si può ritenere chela sola ditta Vito Ciancimino abbia tutti inecessari requisiti ed offra le dovute garan-zie per un buon incremento del delicato la-voro di acquisizione del traffico strettamen-te connesso al servizio dei carrelli stradali.Valendosi quindi delle facoltà di giudizioesclusivo ed insindancabile richiamate nelbando di gara, si prega invitare la sola dittaCiancimino a presentare una offerta defini-tiva per il lavoro in oggetto.

15.

Si restituiscono i documenti trasmessi conle note " a riferimento "».

A seguito della suddetta nota, con un'istan-za del 15 febbraio 1951, Vito Ciancimino, in-

| vitato alla trattativa privala, concretò la pro-pria offerta in un ribasso del 2, 50 per centosulle tariffe di trasporto stradale. La Sezionecommerciale e del traffico di Palermo comu-nicò l'offerta a Roma, facendo altresì pre-sente che Ciancimino aveva chiesto di no-leggiare provvisoriamente, a determinatecondizioni, tre carrelli stradali. Con nota delmarzo 1951, il Ministero comunicò il propriobenestare per l'affidamento alla ditta Cianci-mino del servizio di trasporto e per il noleg-gio di tre carrelli, alle condizioni propostedall'offerente.

In data 31 agosto 1951, quindi, Vito Cian-cimino stipulò con l'Amministrazione delleFerrovie una convenzione con la quale venivaautorizzato ad effettuare i trasporti di carriferroviari, per conto terzi, per un periodo dianni cinque, a partire dal 21 aprile 1951, econ la clausola che in mancanza di disdettala concessione sarebbe stata rinnovata taci-tamente, per un'eguale durata. Contempora-neamente le Ferrovie noleggiarono a Cianci-mino due trattori e cinque carrelli stradalia sedici ruote. Il contratto venne quindi mo-dificato con due appendici del 31 agosto 1951e del 14 aprile 1954, con le quali Cianciminofu autorizzato ad effettuare il trasporto dicarri ferroviari, anche per conto dell'Am-ministrazione delle Ferrovie, in base ai nor-mali prezzi di tariffa, ridotti prima del 20per cento e poi del 17 per cento. In data 11ottobre 1954, l'iniziale convenzione venne so-stituita con un nuovo contratto, valido dal1° settembre 1954 al 20 aprile 1956 e tacita-mente prorogabile di anno in anno fino al20 aprile 1961.

Col nuovo contratto la ditta Cianciminovenne autorizzata ad effettuare il trasportodi carri ferroviari, per conto terzi, a condizio-ni analoghe a quelle previste in precedenza.Si stabilì, invece, che i trasporti per contodell'Amministrazione ferroviaria, nella cittàdi Palermo, sarebbero stati « di volta in vol-ta regolarizzati con atti separati ».

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Dopo l'aprile 1956, il contratto fu taci-tamente prorogato di anno in anno, fino al22 dicembre 1960, quando venne stipulatoun altro contratto valido per cinque anni etacitamente prorogabile fino al 20 aprile1970. Col nuovo contratto il concessionariosi impegnò ad effettuare i trasporti ai prezzie alle condizioni fissate dalle Ferrovie, senzaalcun ribasso sulle voci di tariffa. Dopo lascadenza del termine fissato nel contratto, laconcessione fu tacitamente rinnovata fino al1970.

Nel 1-970, con nota del 18 febbraio, la Se-zione commerciale e del traffico di Palermocomunicò al Ministero che l'Antimafia si in-teressava della questione relativa a VitoCiancimino e che la Questura di Palermo, ri-chiesta di dare le informazioni di rito sulconto del concessionario, aveva fatto inten-dere di non poter fornire nessun elementodato che erano in corso le indagini dellaCommissione di inchiesta parlamentare. Per-tanto, l'ufficio sezionale di Palermo propo-neva di confermare la concessione per un so-lo anno, tacitamente prorogabile per un al-tro anno. Il Ministero, con nota del 9 mar-zo 1970, autorizzò il rinnovo del contratto,ma intanto il Commissariato compartimenta-le di Pubblica sicurezza, con rapporto del 3marzo 1970, aveva comunicato che Vito Cian-cimino era imputato di interesse privato inatti di ufficio, che era anche sospettato dicollusioni con elementi mafiosi, e che si eraarricchito con molta rapidità, traendo presu-mibilmente vantaggio dai suoi rapporti conla mafia. Di conseguenza, con lettera del 25marzo 1970, il Ministero comunicò alla Sezio-ne di Palermo che non era il caso di rinno-vare la concessione alla ditta Ciancimino eche occorreva ricercare un nuovo concessio-nario idoneo. La Sezione commerciale e deltraffico di Palermo si adeguò alle disposizio-ni ministeriali, ma poiché non fu possibiletrovare subito un'altra ditta, la concessionea favore di Ciancimino venne prorogata perdue volte, tre mesi alla volta, fino al 21 ot-tobre 1970.

Prima di questa scadenza, in data 29 set-tembre, la ditta Carmelo La Barba presentòistanza per la concessione del servizio; gli or-

gani competenti si accingevano ad aggiudi-care la concessione all'aspirante, quandol'Antimafia comunicò al Ministero che il LaBarba, pur non essendo mai nominato negliatti di concessione, era socio di fatto di VitoCiancimino e che di conseguenza affidargliil servizio significava lasciare sostanzialmen-te immutata la situazione.

Pertanto, l'Amministrazione ferroviariastipulò con Carmelo La Barba un contrattodi concessione limitato al periodo dal 21 ot-tobre al 31 dicembre 1970. Il contratto, tut-tavia, fu provvisoriamente prorogato, finquando il servizio fu attribuito alla ditta Ci-ro Butitta, con convenzione del 1° giugno1971.

Risulta già da quanto si è detto che negliatti relativi alla concessione del servizio ditrasporto dei carri ferroviari per la città diPalermo, non figura mai il nome di CarmeloLa Barba. È certo tuttavia, per sua stessaammissione, che La Barba lavorò in societàdi fatto con Ciancimino fin dall'aprile 1951,e cioè fin dall'inizio della gestione del servi-zio di trasporto dei carri ferroviari. Tuttaviala società tra Ciancimino e La Barba fuiscritta presso la Camera di commercio diPalermo al n/4922n/3346n del registro delleditte, con la ragione sociale « Autotrasportidi merci per conto terzi » soltanto in data29 gennaio 1965, a seguito di una denunziadi esistenza presentata il 27 ottobre 1964. Inprecedenza, alla Camera di commercio figu-ravano iscritte solamente le ditte individualiVito Ciancimino e Carmelo La Barba, la pri-ma dal 3 aprile 1951 (pochi giorni prima del-la stipula della convenzione con le Ferrovie)e la seconda dal 25 febbraio 1964.

Si è peraltro accertato che Carmelo LaBarba, proprietario di un appartamento inPaterno, di una casa di abitazione e di al-cuni appezzamenti di terreno in Corleone, èfratello del mafioso Giovanni La Barba, con-dannato alla misura della sorveglianza spe-ciale con obbligo di soggiorno per la duratadi tre anni.

Risulta inoltre da quanto si è detto cheinizialmente Ciancimino non possedeva nes-suna attrezzatura e non doveva nemmenoavere grandi disponibilità economiche, se

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fu costretto a prendere in noleggio dall'Am-ministrazione ferroviaria due trattori e cin-que carrelli. Alla fine del rapporto però lasocietà era proprietaria di sei trattrici e didodici carrelli, sette dei quali furono acqui-stati tra il 1953 ed il 1957 dall'Amministra-zione ferroviaria con pagamento dilazionato,in media, in trentasei rate. Per acquistarequeste macchine, Ciancimino si servì di dueprestiti concessigli dal Banco di Sicilia, il pri-mo per 7.200.000 lire il 28 gennaio 1953 e ilsecondo per otto milioni di lire il 7 luglio1959. Si è peraltro accertato che in base al-le fatture emesse nel periodo dal 1961 al1970, la società incassò complessivamente li-re 306.125.415. La ditta, inoltre, nel periodosuddetto, eseguì anche dei trasporti, per iquali non rilasciò fatture. Sulla scorta deidati forniti dall'Amministrazione ferroviaria,si è calcolato in via presuntiva che per que-sti trasporti la società avrebbe riscosso al-tre 209.376.426 lire. In altri termini, gli in-cassi effettuati dalla società negli anni dal1961 al 1970 sarebbero stati in tutto di515.501.841 lire, di cui 53.567.682 lire nel 1968,51.304.205 lire nel 1969 e 51.413.751 lire nel1970.

Di conseguenza, tenuto conto dei costi edei ricavi, negli ultimi tre anni la società,a giudizio della Guardia di finanza, avrebbeconseguito utili di 18.801.307 lire nel 1968,di 19.243.524 lire nel 1969 e di 13.840.718lire nel 1970. Gli organi di polizia tributariacomunicarono agli uffici finanziari le cifresuddette, ai fini della determinazione dell'im-ponibile della società e dei due soci, che erastato concordato per il 1967 (come poi sidirà) in misura molto inferiore.

Si è anche accertato che la società nel pe-riodo dal 1961 al 1970 omise di corrisponde-re l'IGE su una parte dei trasporti effettuatie non presentò nei termini la prescritta di-chiarazione degli incassi conseguiti; inoltredal ]° marzo 1966 al 31 dicembre 1970 corri-spose irregolarmente una parte del tributodovuto; infine, omise, in relazione ad atti divario genere, il pagamento dell'imposta dibollo.

Si desume da tutto ciò che i guadagni diCiancimino furono fin dall'inizio abbastanzarilevanti. Assicuratasi così la tranquillità eco-

nomica, Ciancimino potette dedicarsi conmaggiore impegno all'attività politica e rag-giungere il successo anche in questo settore,nel corso degli anni '50.

C) La carriera politica. Le origini, — VitoCiancimino si iscrisse fin da giovane nellefile della Democrazia cristiana e dopo un bre-ve periodo trascorso a Roma (ove pare abbialavorato nella segreteria dell'onorevole Ber-nardo Mattarella) si dedicò — appena stabi-litosi a Palermo — a un'intensa attività dipartito.

Forte, quindi, di una reale o millantata vi-cinanza alla sfera politica di un parlamenta-re membro del Governo, Ciancimino ebbe unesordio politico abbastanza rapido. Anzi, ilsuo temperamento vivace ed intraprendentelo portò ben presto a fianco della correnteche in opposizione ai notabili nazionali e re-gionali avrebbe portato uomini nuovi allaribalta della PC palermitana. Ciancimino di-mostrò così notevole abilità nella scelta degliuomini e un sicuro acume nello sfruttare si-tuazioni favorevoli, perché, offrendo il pro-prio appoggio elettorale ai nuovi dirigenti,finì per divenire, egli stesso, una figurapolitica di un certo rilievo, tanto da ottenereuna prima personale affermazione politica,con la nomina a commissario comunale perla Democrazia cristiana di Palermo (caricache mantenne per sedici anni).

Inoltre, per l'attività svolta, fu eletto con-sigliere comunale e quando venne eletto sin-daco di Palermo Salvatore Lima, Ciaciminogli subentrò nella carica di assessore ai la-vori pubblici, che mantenne dal luglio 1959al giugno 1964.

In conclusione, la prima parte della carrie-ra politica di Vito Ciancimino può esserecosì riassunta:

fu nominato commissario comunale del-la Democrazia cristiana di Palermo nel 1954e mantenne questa carica fino al 1970;

fu consigliere comunale per lo stessopartito dal 1956 in poi;

fu assessore comunale all'Azienda muni-cipalizzata dal giugno 1956 al luglio 1959;

fu nominato assessore comunale ai la-vori pubblici nel luglio 1959, in sostituzione

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di Lima, eletto sindaco, e mantenne l'incaricofino al luglio 1964.

Si può anche aggiungere che in questo pe-riodo Ciancimino, pur non avendo tenutocomizi riè in Palermo, né in provincia, ripor-tò, nelle consultazioni amministrative 685voti di preferenza nel 1956, 11088 nel 1957,9305 nel 1964.

Evidentemente, Ciancimino, se non si pre-sentò pubblicamente all'elettorato come nor-malmente usavano fare gli altri canditati,dovette avere la possibilità di condurre altri-menti la propria campagna elettorale. È co-munque certo che egli partecipò a numeroseriunioni indette dalle sezioni rionali dellaDemocrazia cristiana, alcune delle quali gliassicurarono numerosi suffragi. Una dellesezioni più attive si dimostrò (in questo pe-riodo e anche successivamente) quella diPalermo « Greto », della quale fu segretariasin dal 1958 la sorella di Ciancimino, MariaConcetta, sezione che di norma rimanevaaperta solamente durante le campagne elet-torali, politiche ed amministrative, e che an-noverava tra gli iscritti gli elettori più fedelia Vito Ciancimino e alla sua politica.

Nel periodo preso in esame, e cioè dal1956 (anno della prima elezione del Ciancimi-no) al 1964, l'amministrazione comunale diPalermo fu formata dalla DC e da altripartiti. Più precisamente dal 27 maggio 1956al 6 novembre 1960, la Giunta fu costituitadalla DC, dal PLI, dal PSDI, dal PNM e dalPMP e fu presieduta dai sindaci LucianoMaugeri (deceduto il 23 maggio 1958), e Sal-vatore Lima.

Dal 6 novembre 1960 al 30 aprile 1964, in-vece, parteciparono alla Giunta la DC, ilPSDI, il PDIUM, e indipendenti; furono sin-daci Lima e Francesco Saverio Di Liberto,pure democristiano. Nel 1964, fu eletto sin-daco Paolo Bevilacqua e Ciancimino non en-trò nella Giunta.

D) Vito Ciancimino e il Comune di Paler-mo. — Durante i cinque anni (1959-1964) incui Vito Ciancimino fu assessore ai lavoripubblici, la speculazione edilizia a Palermoraggiunse punte particolarmente elevate, co-

me risulta da quanto prima si è detto. Perrendersene conto, basta ricordare che delle4.000 licenze edilizie rilasciate nel suddettoperiodo, 1.600 figurano intestate a SalvatoreMilazzo, 700 a Michele Caggegi e 200 a Lo-renzo Ferrante, e cioè (come già si è accenna-to) a tre pensionati, di modeste condizionieconomiche, che non avevano nulla a che fa-re con l'edilizia e che, evidentemente, eranoi prestanomi di costruttori edili.

Gli organi comunali inoltre (come pure siè detto) presero anche dei provvedimenti afavore di iniziative urbanistiche (non semprelecite) di personaggi mafiosi o comunque le-gati alla mafia. Tali provvedimenti furonopresi per decisione o con la partecipazionedi Vito Ciancimino: così come risulta dallastoria di alcuni episodi (di cui si parleràqui di seguito) e così come si desume anchedalle deposizioni di alcune persone, che di-chiararono alla Commissione che Ciancimi-no era stato il principale responsabile delcaos edilizio palermitano e che egli svolseuna parte predominante in seno alla Com-missione edilizia.

1) II primo degli accennati episodi riguar-da Nicolo Di Trapani, capo delle famiglie DiTrapani e Citarda, pregiudicato per associa-zione a delinquere, legato da stretti vincolidi amicizia con i mafiosi Vincenzo Di Mariae Gerardo Namio, esponente di prestigiodella borgata Malaspina, sottoposto alla sor-veglianza di pubblica sicurezza.

Il 2 febbraio 1960, Nicolo Di Trapani pre-sentò al Comune una richiesta di variante alpiano regolatore, relativamente a un terrenodi proprietà della sua famiglia, sito nellaborgata Malaspina tra le vie Ciléa, Tramon-tana e Malaspina. Con delibera dell'I 1 luglio1960, n. 270 alla quale partecipò Ciancimino,il Consiglio comunale approvò in parte la ri-chiesta variante, consentendo, tra l'altro, chela zona di proprietà dei Di Trapani fossequasi per intero destinata ad edilizia privata,anziché a verde pubblico, così come era sta-bilito nel piano regolatore. In questo modo,i Di Trapani potettero vendere alla societàimmobiliare « La Favorita » un'area edifi-cabilc al prezzo di 324 milioni di lire. I pro-getti di costruzione dei fabbricati furono pre-

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sentati al Comune il 7 marzo 1962 e appro-vati dalla Commissione edilizia il 25 maggio1962, in periodo di vacanza delle norme disalvaguardia. I titolari dell'impresa che co-struì i fabbricati erano Giuseppe e Bernar-do Campione, legati ai Di Trapani.

Per quanto riguarda i suoi rapporti colDi Trapani, Vito Ciancimino, nel corso di unprocedimento penale a suo carico, non hapotuto negare di conoscerlo e di averlo vistoqualche volta nel proprio ufficio. È risultatoinoltre che l'automobile 1100/E targataPA 24029, intestata al socio di Ciancimino,Carmelo La Barba, e in uso alla società, futrasferita a Di Trapani nel 1955.

2) L'impresa di costruzioni « GirolamoMoncada », di cui era titolare il noto mafio-so Girolamo Moncada, implicato nei fatti divia Lazio, costruì (tra gli altri) nel periodoconsiderato un edificio a via Lazio e due edi-fici a via Cilea. Per il primo di questi fab-bricati, che sorge su un'area della lottizzazio-ne Lipari-Taormina, il progetto venne presen-tato il 1.2 giugno 1961 e approvato con qual-che modifica il 20 giugno 1961, e cioè solootto giorni dopo. L'edificio per di più vennecostruito in difformità della licenza. Per idue fabbricati di via Cilea, che sorgono suun'area della lottizzazione di via Sperlinga,il progetto presentato il 5 ottobre 1959 erain contrasto con il piano di lottizzazione, mal'irregolarità fu sanata con la delibera giàcitata dell'I 1 luglio 1960, n. 270. A seguitodi che, Moncada potette presentare, in data1° luglio 1961, una richiesta di variante perla costruzione di altri vani, ottenendo la re-lativa licenza solo tre giorni dopo, il 4 lu-glio 1961.

3) L'impresa edile « Matranga Domenico »,costituita il 17 febbraio 1963 con la parteci-pazione di Domenico, Salvatore e Pietro Ma-tranga, nel settembre 1963, ottenne dalla so-cietà immobiliare SACI l'appalto della co-struzione di un fabbricato in piazza Politea-ma. Il progetto di costruzione del suddettofabbricato fu inizialmente presentato il 15giugno 1957 da Italo Bazan, ma fu accanto-nato perché in contrasto con il vigente pianoregolatore. Successivamente, in data 4 otto-

bre 1960, lo stesso progetto fu nuovamentepresentato al Comune e fu approvato il gior-no dopo, 5 ottobre 1960, dalla Commissio-ne, di cui facevano parte Lima e Ciancimino.In seguito, nel 1961, fu costituita la SACI,rappresentata dall'ing. Bazan e quindi, nelsettembre 1963, i lavori di costruzione furo-no dati in appalto alla « Matranga ». In pre-cedenza l'Assessore regionale dei lavori pub-blici aveva ordinato la sospensione della de-molizione degli immobili, che dovevano esse-re sostituiti dai nuovi fabbricati, ma l'inter-vento risultò inutile; tuttavia, con una deci-sione del 4 marzo 1963, il Consiglio di giu-stizia amministrativa riconobbe la palese vio-lazione del piano regolatore.

L'appartamento che i Ciancimino andaro-no ad abitare nel 1955 a via Trasselli 32, eradi proprietà di Pietro Matranga. Costui e ilfratello Domenico non risultano sottopostia provvedimenti di polizia e non sono statimai imputati in procedimenti con implica-zioni mafiose.

4) Sempre nel periodo che interessa, mol-te costruzioni furono realizzate dalla societàSICIL-CASA (già ITAL-CASA), costituita l'ilfebbraio 1961, da Paolo Zanelli, BaldassarreMeola, Giuseppa Terranova, Pietro Genovese,Vittorio Matranga e Nicolo Cacace. Di questepersone, Pietro Genovese è l'unico ad esserestato diffidato, ai sensi della legge del 1956,perché soleva associarsi con pregiudicati emanosi. È stato anche coimputato con NicoloDi Trapani in un procedimento con implica-zioni mafiose, ma è stato prosciolto per nonaver commesso il fatto. È sposato con Anto-nina Matranga, sorella di Pietro e SalvatoreMatranga. Anche Paolo Zanelli e Nicolo Ca-cace sono cognati dei Matranga, il secondoper averne sposato la sorella Vittoria. Giu-seppa Terranova è la moglie di Pietro Ma-tranga. A sua volta Baldassarre Meola è ge-nero di Paolo Zanelli e fu lui che insieme conCacace e Genovese costituì la ITAL-CASA dacui poi ebbe origine la SICIL-CASA.

Tra il 1960 ed il 1962, in epoca non esatta-mente precisata, la SICIL-CASA acquistò dal-l'Istituto religioso delle Sorelle di Carità delPrincipe di Palagonia, rappresentato da suor

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Beatrice Catti, una parte del fondo Palago-nia. Altre zone dolio stesso fondo furono ven-dute, più o meno nello stesso periodo, a Giu-seppa Terranova, moglie di Pietro Matranga,a Nunzia Crescimanno Aiello (moglie del ca-po divisione regionale all'assessorato Entilocali), a P'ierina La Rosa Martorana (mogliedell'assessore al traffico e membro dellaCommissione edilizia), all'impresa edile Aver-sa e all'impresa Seidita.

La zona venduta alla SiICIL-CASA confina-va con due aree, di proprietà l'una ideila fa-miglia Di Trapani, l'altra della famiglia D'Ar-pa. Si è detto prima ohe i Di Trapani chieserouna variante al piano regolatore, per quantoriguardava la zona di loro proprietà; lo stes-so fecero i D'Arpa e l'Istituto religioso rap-presentato da suor Beatrice Catti. Tutte levarianti, compresa quella proposta dall'Isti-tuto religioso, vennero approvate, con van-taggio -per tutta i richiedenti, e quindi ancheper la SICIL-CASA che, come si è detto, 'di-venne proprietaria della zona appartenenteall'Istituto religioso. Successivamente, il 3,4 e 7 agosto 1961, la SICIL-CASA presentòquattro, istanze volte ad ottenere altrettantelicenze per la costruzione di fabbricati nellazona acquistata dall'Istituto religioso. 'Le li-cenze vennero rilasciate pochi giorni dopo,il 12 e 18 agosto 1961, dall'ufficio (tecnico mu-nicipale, i cui poteri deliberativi erano mmano dell'assessore Cianciamolo e del diretto-re tecnico dell'ufficio, ingegner Giuseppe Dra-go. Autorizzata da queste licenze, la SiICIL-CASA costruì quattro fabbricati a via Gior-dano 116 e 152 e a via Cilea 43 e 45.

Alle vicende ohe portarono ala costruzio-ne dei suddetti fabbricati, risultano collegativari episodi di stampo mafioso a cui figuraassociato il nome dei Di Trapani. In partico-lare Nicolo Di Trapani fu imputato (e poiassolto) del delitto di violenza privata peraver costretto i coloni che occupavano ilfondo comprato dalla SICIL-CASA a lasciarela terra. Quest'azione dei Di Trapani di ap-poggio alla SICIL-CASA fu ostacolata da unaltro mafioso, Agostino Caviglia, e dai suoiaccoliti. Lo scontro culminò in una sparato-ria nella quale trovò la morte Agostino Cavi-glia e rimase ferito il mafioso Vincenzo DiMaria, amico del Di Trapani. A seguito della

morte del Caviglia, i fratelli Salvatore, Alfon-so e Giuseppe D'Arpa, anche essi mafiosi, in-timamente legati ai Di Trapani, subirono di-versi attentati, in quanto sospettati dell'omi-cidio. Subito dopo furono uccisi Luigi e Fran-cesco Gucciardi, cognati di Caviglia, e dellaloro uccisione 'furono sospettati anche i fra-telli D'Arpa, senza che però venissero' rag-giunti al riguardo da sufficienti indizi.

5) Negli anni dal 1959 al 1965 l'impresa dicostruzione di Gaetano e Vincenzo Randazzocostruì vari uffici e tra .gli altri tre fabbricatisulle aree acquistate dai Di Trapani. Proget-tista dei lavori di costruzione di questi treedifici fu l'ingegner Franco Mastrorilli, amicodi Ciancimino, autore dei piani di lottizzazio-ne « Guglielmo Inglese » e « Lipari-Taormi-na », nell'ambito dei quali furono costruititutti i fabbricati che si sono fin qui menzio-nati.

Sempre nella stessa epoca, come già si èvisto, Francesco Vassallo costruì, in contra-sto con il piano regolatore e valendosi delleautorizzazioni accordategli dal Comune, unfabbricato a via Sardegna, quattro fabbricatia via Lazio e uno a corso Calataiìmi'.

Infine, il 28 novembre 1959 il proprietariodi Villa Deliella, già vincolata per il suopanticolare interesse artistico, presentò al Co-mune un'istanza di autorizzazione alla demo-lizione. Il permesso gli 'fu accordato lo stessogiorno, e la villa fu demolita .tra da sera del28 novembre e il giorno dopo.

E) La vicenda della SICIL-CASA. Duranteil periodo in cui si svolsero le vicende oranarrate, Ciancimino entrò 'in rapporti di va-rio genere con alcune società, tutte interessa-te all'edilizia.

Con atto di compravendita del 9 dicembre1961, acquistò dalla SICIL-CASA, per il prez-zo di quattordici milioni di lire, due apparta-menti a via Scruti 85/R, composti uno .di unsalone, tre stanze ed accessori e l'altro diquattro stanze ed accessori. Il prezzo, pagatonon sembrò adeguato al valore degli immo-bili. D'altra parte a vendere gli appartamentiera stata quella stessa società SICIL-CASA,che nel 1963 avrebbe ottenuto alcune (licenzein contrasto col piano regolatore. La cosasuscitò qualche sospetto e il 15 agosto 1963

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l'avvocalo Lorenzo Pecoraro, nella sua qua-lità di amministratore della società edileAversa, presentò una denuncia al Procurato-re della Repubblica contro Ciancimino e con-tro M direttore dell'ufficio urbanistico comu-nale Giuseppe Drago.

Secondo la denunzia, Cianeimino e Dragosi erano resi .responsabili di una iserie di ille-citi penalmente rilevanti. In particolare Cian-cimino: a) aveva fatto deliberare due varian-ti al piano regolatore di Palermo, ali'ionicoscopo di favorire la società SICIL-CASA;b) aveva concesso più licenze alla suddettasocietà per la costruzione di alcuni fabbricatisull'area acquistata dall'Istituto religioso, disuor Beatrice Catti, mentre aveva accanto-nato una richiesta di licenza presentata dallasocietà Aversa e relativa alla stessa zona; e)dopo vari mesi aveva alla fine concesso talelicenza, ma lo aveva fatto soltanto a seguitodi un intervento del mafioso Nicolo Di Tra-pani; d) per uno sciopero del personale, la li-cenza non era stata ritirata a tempo ed eraquindi divenuta inutilizzabile, dato che ilPresidente della Regione siciliana non avevaapprovato le varianti al piano (regolatore,inerenti alla zona interessata. Questa (deci-sione aveva danneggiato sia pure manginal-mente anche la SICIL-CASA e pertanto Cian-cimino aveva subordinato il rilascio di unanuova licenza a favore della società Aversa alristoro dei danni che erano derivati alla SI-CIL-CASA dall'accennato provvedimento delPresidente della Regione; è) la richiesta erastata respinta e Ciancimino allora avevaemesso un'ordinanza di demolizione delleopere nel frattempo eseguite dalla societàAversa; successivamente, nonostante un in-tervento del Consiglio di giustizia ammini-stirativa, Ciancimino si -era rifiutato idi prov-vedere sull'istanza di rilascio della licenza.

A seguito di sommarie indagini, il Giudiceistnittorc di Palermo, con provvedimento del31 ottobre 1963, dispose l'archiviazione degliatti.

Successivamente, l'avvocato Pecoraro, conuna lettera del 4 giugno 1964, 'ritrattò tuttele sue accuse, attestando ila conrettezza delcomportamento tenuto da 'Ciancimino. Macionostante nel giugno 1965 l'istruzione furiaperta e si procedette col rito formiate con-

tro Ciancimino e Drago. Al termine dell'istru-zione, con sentenza del 21 maggio 1966, ilGiudice istnittorc prosciolse i due imputaticon formula ampia. Contro questa decisionepropose appello il Procuratore generale dellaRepubblica, e la Sezione istruttoria, con sen-tenza del 4 aprile 1969, irinviò a giudizio VitoCiancimino per rispondere del delitto con-tinuato di interesse privato in atti di ufficio.

•Nel corso dell'istruzione si accertò in mo-do non dubbio che la SICIL-CASA in data 3,4, e 7 agosto 1961 aveva chiesto quattro licen-ze edilizie e le aveva ottenute alcuni giorni do-po, il 12 e il 13 agosto 1961; invece la societàAversa, proprietaria di un altro terreno del-la stessa zona e che pure si trovava media me-desima posizione giuridica della SICIL-CASA,aveva chiesto una licenza, in data 28 novem-bre 1961, ma non l'aveva ottenuta se non l'8giugno 1962, dopo che in un primo tempol'ingegnere Drago aveva dispoto il tempora-neo accantonamento della richiesta. Inoltre,sempre durante l'istruzione, l'avvocato Peco-raro affermò di aver ritrattato le sue accuse

| iniziali, perché era questa la condizione im-postagli per un benevolo riesame della ri-chiesta di licenza; licenza che effettivamen-te gli venne concessa il 26 maggio 1964.

Le accennate circostanze tuttavia non sem-brarono sufficienti per una condanna di Ciian-cimino. I giudici esclusero ogni intento difavoritismo, in quanto ritennero che Cian-cimino non fosse a conoscenza della doman-da presentata dalla società Aversa e perciò10 assolsero con una sentenza divenuta defi-nitiva, perché confermata in appello e inCassazione.

F) Le iniziative economiche di Vito Cian-cimino. Nel 1963, la moglie di Vito Ciancimi-no, Epifania Silvia Scardino', divenne sociadalla società per azioni ISEP (Istituto sov-venzioni e prestiti), che nel 1968 assunse ladenominazione di COFISI (Compagnia finan-ziaria siciliana).

La ISEP venne costituita a Roma, comesocietà a responsabilità limitata, 41 24 gen-naio 1951, da David Boselli, Giovanni Bosel-11 e Salvatore Cappadonna. Nel 1953 entra-rono a far parte della società Angelo Di Carloe Antonino Sorci e poi anche le loro mogli

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Luisa Castro e Susanna Di Bella. Nel dicem-bre 1961, il capitale sociale venne portatoda 300.000 lire a un milione e la I SEP i£u .tra-sformata in società per azioni. Quindi fu elet-to un nuovo consiglio di amministrazione,nelle persone di Gaetano Garofalo, VincenzoFerrino, Salvatore Satta, Susanoa Di Bella(moglie di Sorci) e Antonia Passalacqua. Ilnuovo consiglio, in data 14 luglio 1962, dopocirca un mese dall'approvazione da parte delPresidente della Regione del nuovo piano re-golatore della città di Palermo, deliberò diaumentare il capitale sociale da uno a 200 mi-lioni. Fu in questa occasione che entrò a farparte della società per ama partecipazione di11.538.000 lire, la moglie di Ciancimino, Epi-fania Scardino. Divennero inoltre soci AngelaRiaria Guceiardi, moglie di Vincenzo Penino,Gioacchino Nuccio, Mairianna Giallombardo,Salvatore Levantino e Eduardo De Filippis;invece Angelo Di Carlo e la moglie Luisa Ca-stro cedettero iturtte le loro azioni alla mogliedi Sorci, Susanna Di Bella.

Successivamente, nel 1965, Gaetano Garo-falo si dimise da presidente del consiglio diamministrazione e fu sostituito dall'avvocatoFilippo Seminara. Il consiglio fu rinnovatoanche in altri suoi componenti, tanto che nel1966 ne divenne membro Filippo Moncada, fi-glio di Salvatore Moncada. Nel biennio se-guente (1967-68) gli amiminis,traitori (tentaro-no iuna politica di risanamento della societàe favorirono perciò la cessione di una partedelle azioni a favore di Salvatore Moncada,di Antonina Di Gregorio (moglie di France-sco Sorci), e degli eredi di Mariano Capizzi.Ma poiché le cose non cambiarono, ili data30 maggio 1968, l'assemblea dei soci ridusseil capitale (che era allora di lire 131.821.000)a lire 98.693.000, mutò in COFISI la denomi-nazione della società e elesse un nuovo con-siglio di amministrazione nelle persone diFilippo Seminara, Andrea Romeo, MatildeRestivo, Antonio Collura, Marianna Giallon-bardo, Salvatore Levantino, Filippo Monca-da. Quindi, in data 7 giugno 1969, il capitalefu nuovamente aumentato a 150 milioni dilire. In seguito, oltre a Epifania Scandirlo,che vi partecipò con azioni per 5 milioni dilire, divennero soci della COFISI AntoninaDi Gregorio, Angela Maria Gucciardii, Giovan-

na Velia, Flavia Conti, Provvidenza Pasta,Tommaso Granozzi, Maria Pace, Carme-la Cottone, Olimpia, Anna Maria, Filippo,Giuseppe Salvatore Moncada, Matilde, Ma-ria e Andrea Restivo, e Andrea Romeo.

Due persone, che hanno fatto parte dellasocietà, sono ben note al mondo mafioso: An-gelo Di Carlo (morto il 12 novembre 1967),che è stato uno dei più autorevoli 'mafiosi diCorleone pregiudicato e diffidato dalla Poli-zia, e Antonino Sorci, che fa parte della ma-fia di Palermo, è pregiudicato ed è stato diffi-dato dalla Polizia. D'altra parte, VincenzoPerrino è 'nipote di Angelo Da Carlo, ©d è inrelazione di affari con i noti mafiosi Giovan-ni e Francesco Sorci e Antonino Collura; iMoncada sono tutti parenti di Girolamo Mon-cada, titolare dell'ufficio in cui avvenne lasparatoria di viale Lazio; Antonina Di Grego-rio è moglie di Francesco Sorci, appartenen-te a famiglia mafiosa; Antonino Collura ècontitolare di una società imprenditorialeche viene considerata di estrazione mafiosa.

La moglie di Ciancimino si è dunque trova-ta nella stessa società insieme con personenon proprio raccomandabili. Solo i coniugiDi Carlo cessarono di far parte dell'ISEP, nel-lo stesso momento in cui la Scardino ne di-venne socia. Non risulta, peraltro, in che mo-do e per quali ragioni la Scardino sia divenu-ta socia dell'ISEP; né risulta che la Scardinoabbia preso parte attiva alla vita della socie-tà. Si è solo accertato che nell'assemblea del13 dicembre 1963 la Scardino dìu rappresen-tata dalla socia Angela Gucciardi, moglie diVincenzo Perrino: ciò si spiega col fatto chei coniugi Perrino sono amici dei Ciancimino.

In ordine alle operazioni compiute dallasocietà è risultato quanto segue:

a) in data precedente al 1961, l'ISBP ri-cevette una somma di denaro da FrancescoGarofalo, cittadino statunitense, noto espo-nente del'la malavita 'internazionale, montonel 1969;

b) la società inoltre durante gli anni del-la sua vita concesse vari finanziamenti, ver-sando: 1) quindici milioni di lire a GiuseppeSpina; 2) dieci milioni di lire a tale EduardoDe Filippo, verosimilmente identificabile nel

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socio Eduardo De Filippis; 3) trenta milionidi lire alla società cooperativa ;S. Quikino,fondata tra gli altri dai mafiosi Antonino Sor-ci e Angelo di Carlo, dalla moglie di Sorci,Susanna Di Bella e dal nipote di Di Cado, Vi-cenzo Ferrino; 4) venticinque milioni di lirealla S.r.l. ISAR (Immobiliare S. Rosalia), co-stituita TU luglio 1965 da Antonio Sorci natonel 1904, Antonio Sorci nato nel 1924 e Giu-seppe Spina, con lo scopo della « progetta-zione, esecuzione e manutenzione di lavoristradali, edili, marittimi e ferroviari ». Il fi-nanziamento fu concesso alla ISAR il 6 no-vembre 1963, quando la società era igià in li-quidazione dal 2 gennaio 1963. In precedenza,nel 1960, era stato nominato amxninisrtjratoiredella società Vincenzo Ferrino.

Amici e parenti di Ciancimino fecero par-te anche di un'altra società, la SIR (Societàimmobiliare regionale).

La 'società fu costituita in Palermo l'il ot-tobre 1962, all'indomani dell'approvazionedel piano regolatore, con .finalità imprendito-riali nel 'settore edilizio, da Giuseppe Lisotta,Salvatore Mazzara e Marcellb Dominoci.

Giuseppe Lisotta è la persona idi cui si èparlato in precedenza ed è parente ,di 'sospettimafiosi.

Salvatore Mazzara, nato a Palermo il 18maggio 1929, è impiegato presso l'Aziendamunicipalizzata dell'acquedotto «di Palermo.Tuttavia fin dal 1962 è stato .distaccato perlunghi periodi di tempo presso l'Assessoratoai lavori pubblici idi Palermo, ohe, come siè detto, fu tenuto fino al 1964 da iCianciminoe successivamente dal fratello del Mazzara,Francesco Paolo, eletto consigliere comunalenelle liste democristiane. Il Mazzara ha unasolida posizione patrimoniale.

Marcelle Dominici, nato a Palermo <nel1926, avvocato, possiede insieme con la mo-glie due appartamenti in Palermo, via delleCroci, n. 47, comprati nel 1966 dalla società« S tassi e Albeggiani ». È strettamente legatoa Vito Ciancimino.

Nel 1969, il 1° aprile, Salvatore Mazzaravendette il proprio pacchetto azionario aSalvatore Buscemi. Il Buscemi, nato a Paler-mo il 28 maggio 1938, è costruttore edile edè tra l'altro possessore della immobiliare LU-RANO, costituita dai fratelli Francesco e Gio-

vanni Bonura, parenti del mafioso PietroTorretta.

La società ha avuto come aimmiinii'Strato.refino al 1° agosto 1963 Salvatore Mazzara e fi-no al 17 marzo 1969 Marcelo Dominici; daallora è amministratore unico Salvatore Bu-scemi.

Per quanto riguarda gli affari compiuti dal-la SIR, è risultato che la isocietà il 9 mag-gio 1963 comprò da Rosa Biondo, per quindi-ci milioni, un appczzamento di terreno poi ri-venduto, il 26 marzo 1969, per cinquantaseimilioni di lire; e il 20 gennaio 1966 dalla SI-CIL-CASA tre appartamenti in Palermo, alprezzo dichiarato di 30.000.000 di lire. La so-cietà, inoltre, acquistò in due riprese, il 25agosto 1966 e il 12 dicembre 1966, dalla so-'cietà di « Stassi e Albeggiani », per il prezzodichiarato di 194 milioni di lire, quattordi-ci appartamenti in via Don Orione 18.

Riguardo a questo ultimo acquisto, il Que-store di Palermo ha riferito che inel 1963 lasocietà « Stassi e Albeggiarli » pattuì con ifratelli De Gregorio l'acquisto di un lotto diterreno promettendo in pennuta 28 apparta-menti, sedici 'dei quali sarebbero staiti trasfe-riti 'direttamente ai De Gregorio e 12 alla SIR.

Subito dopo questo compromesso, che sa-rebbe stato stipulato per scrittura privata,furono 'iniziati i lavori di costruzione del fab-bricato; tali lavori erano stati autorizzaticon licenza rilasciata dal Comune il 29 no-vembre. 1963 (quando Ciancimino era asses-sore ai lavori pubblici).

Successivamente, come già si è accennato,la « Stassi e Albeggiani » cedette alla SIR14 appartamenti, mediante due atti pubbli-ci stipulati dal notaio Angilella. Uno dei socidella « Stassi e Albeggiani », l'ingegnere Ser-gio Albeggiani, riferì al commissario di Pub-blica sicurezza Romolo Urcioli che alla sti-pula del secondo contratto, avvenuto il 12dicembre 1966, era stato presente anche Vi-to Ciancimino, ma la dichiarazione è statasmentita dall'avvocato Dino Abruzzese, liqui-datore della società.

In data 7 febbraio 1966, la società « Stassi eAJìbeggiani » fu dichiarata fallita. Il curatorenon trovò traccia nella contabilità della fal-lita del pagamento del prezzo degli apparta-menti ceduti alla SIR e, pertanto, promosse

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azione irevocatoria e di simulazione nei con-fronti della SIR; nel 'relativo giudizio, paureche sarebbero stati esibiti dalla SIR i tron-coni di alcuni assegni versati alla « Stassi eAlbeggiani » in corrispettivo dei 14 apparta-menti.

Nelle pagine precedenti si sono fatti i no-mi di alcuni mafiosi (tra gli alitai .di Nicolo DiTrapani) con i quali Qancimino ha avutorapporti diretti e indiretti,. Alla lista va ag-giunto Giuseppe Marsala, capomafia 'di Vi-cari, sottoposto al soggiorno obbligato perquattro anni. Giuseppe Marsala è assegna-tario di un quartino dell'Istituto autonomocase popolari, ottenuto su segnalazione diCiancimino. D'altra parte il figlio di Marsala,Salvatore, è dipendente comunale, è stato au-tista di Cianeimino ed è anche lui assegna-tario di un appartamento delle Case popolari.A sua volta, il genero di Marsala, iCarìo Fari-na, è impiegato all'Azienda municipalizzatadell'acquedotto e vi fu assunto per chiama-ta diretta. Ciancimino, nel corso di un pro-cedimento .penale, non negò 'di conoscereMarsala e non negò che costui si fosse occu-pato delle sue elezioni.

G) // patrimonio di Vita Ciancimino. Nel1970, i Ciamcimino erano proprietari dei se-guenti beni:

a) due appartamenti a via Scinti, 85/iR,di cui Ciancimino è usufruttuario e la moglieEpifania Scardino nuda proprietaria;

b) un appartamento in nuda proprietà,intestato alla Scardino e sito a 'Palermo a viaAntonio di Rudinì. Usufruttuario è il padredi Ciancimino, Giovanni;

e) azioni per cinque milioni di ilare inte-state alla Scardino nella società COFISI;

d) due automobili (una Lancia Fulvia euna Fiat 124);

e) tre trattrici e sei canrelli .stradali, insocietà con Carmelo La Barba.

Secondo la Guardia di finanza, Ciancimi-no con la sua attività imprenditoriale e coni proventi che gli derivavano dalla carica dipubblico amministratore, conseguì nel 1968 e1969 utili netti di circa otto milioni di lire, enel 1970 di circa sei milioni di ilare, più o me-no ipari a quelli ottenuti negli' anni preceden-

ti. Ciononostante, Ciancimino per gli anni1968 Q 1969 figurava iscritto mei .ruoli del-l'imposta di famiglia per un imponibile di1.360.000 lire e, nel 1967, fu dichiarato nontassabile ai fini dell'imposta complementare,avendo famiglia numerosa e un reddito nonsuperiore a 2.500.000 di lire. D'altra parte,nel 1967, Ciancimino e La Barba, ai fini dellaricchezza mobile relativa alla gestione delservizio di trasporto dei carri ferroviari,concordarono un reddito netto imponibiledi 3 milioni e 400.00 lire.

H) Le ultime vicende. Dopo l'uscita dal-la Giunta municipale, Ciancimino rimase con-sigliere comunale. Nel 1966 fu nominato ca-pogruppo della Democrazia cristiana nelConsiglio comunale di Palermo e tenne que-sto incarico fino al 1970. Nel frattempo, nel1969 era stato addetto all'ufficio Enti localidella sezione provinciale della Democraziacristiana.

Nel 1970, fu rieletto consigliere comunalecon 11.193 preferenze. Anche questa volta,come già nel 1964, ottenne il maggior numerodi preferenze (4.000 su 9.305 nel 1964 e oltre5.000 su 11.193 nel 1970) nei sei mandamenti(su 22') 'corrispondenti ala zona (compresafra corso Calatafimi, i Torrazzi, viale dellaRegione siciliana, Cruillas, viale Lazio) domi-nata dalle famiglie mafiose Di Trapani, Ci-tarda e D'Arpa.

Dopo le elezioni, nell'ottobre 1970, fu elet-to sindaco di Palermo, ma nel dicembresuccessivo, la Giunta da lui presieduta fucostretta a dimettersi. Tuttavia, il nuovosindaco fu eletto solo il 6 aprile 1971 nellapersona di Giacomo Manchiello e Cianci-mino rimase in carica fino al 24 aprile, quan-do avvenne lo scambio di consegne. In que-st'ulltimo periodo Ciancimino firmò, in data14 aprile 1971, due mandati di pagamentoper complessive lire 3.433.762.645 a favoredella ditta Cassina, per maggiori oneri re-lativi alla manutenzione del sistema di fo-gnature della città di Palermo. I due man-dati costituivano l'attuazione di una delibe-ra, per più versi discutibile sia nella sostan-za che nella forma, che era stata adottatadalla Giunta municipale il 30 dicembre 1970,quando l'amministrazione Ciancimino era

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già dimissionaria per motivi di necessità ecioè per evitare che il Comune non potesseutilizzare il finanziamento avuto per farfronte all'onere assunto nei confronti delladitta Cassina.

Attualmente Ciancimino non fa nemmenoparte del consiglio comunale di Palermo. Asuo carico sono stati iniziati tre procedi-menti penali. Nel primo procedimento a ca-rico di Ciancimino e di altre 22 persone (tracui Francesco Vassalllo) che riguarda unaserie di irregolarità commesse nel rilasciodi licenze edilìzie a favore del Vassallo, ilGiudice istruttore ha emesso mandato dicoirijparizioiie per interesse privato in attidi ufficio e altri- reati. L'istruttoria peraltroè tuttora in corso, come quella del secondoprocedimento, pendente a carico di Cianci-mino e di altre 33 persone e riguardante ir-regolarità edilizie verificatesi nella lottizza-zione del fondo « Inglese »; infine, il terzoprocedimento riguarda le irregolari assun-zioni alle dipendenze del Comune di con-giunti di membri della Commissione provin-ciale di controllo, ed attualmente è pendentepresso la II Sezione penale del Tribunale diPalermo.

I fatti narrati non hanno bisogno di inter-pretazioni. Basta commentarli con le osser-vazioni che il Tribunale di Genova ha dedi-cato a Ciancimino, nel definire, con senten-za del 15 giugno 1974, il procedimento pe-nale per diffamazione intentato dall'ex sin-daco di Palermo ai giornalisti siciliani Bru:

no Caruso e Etrio Fidora.« L'articolo e la vignetta del Caruso, uni-

tariamente considerati, contengono infattinumerosi apprezzamenti ed accostamenti checostituiscono non sollo acerba critica delmodo nel quale la città di Palermo ebbe re-centemente a svilupparsi dal punto di vistaedilizio, ma anche amara constatazione de-gli ingenti arricchimenti che il potere ma-fioso seppe trame, ricorrendo a sanguinarieviolenze e mettendo a profitto una serie dicompiacenze, di tolleranze e di illeciti am-ministrativi.

« Posto che il Ciancimino ebbe a ricoprireininterrottamente o quasi, la carica di asses-sore all'urbanistica e di capogruppo consi-liare del maggior partito nel periodo di tem-

po durante il quale ebbe luogo lale sviluppo,è chiaro che il Caruso praticameli le additail querelante alla pubblica disistima, inte-grando così tulli gli estremi del delillo alui contestalo.

« A riguardo, è sufficiente riportare testual-mente alcuni brani dell'articolo incrimina-to: "Ha prosperato solo l'edilizia abbatten-do tutto quello ohe c'era di gentile e piace-vole nella città, comprese le ville di Basileed altri monumenti, per edificare una speciedi Caracas zeppa di lugubri casermoni, se-condo un piano regolatore a base di clienteleche ha prodotto una disfunzione urbanaestesa non proprio, come si suoi dire, amacchia d'olio, ma a macchia di sangue, per-ché il tributo dei sacrifici umani a questoaltare del denaro e della speculazione è sta-to altissimo".

« E poi: "La speculazione edilizia gestitadalla mafia è stata l'unica cosa che è real-mente cresciuta a dismisura secondo un pia-no rapido ed efficiente".

« L'accusa al pubblico amministratoreCiancimino di aver colluso con il poteremafioso è quindi, pur se indiretta, di mani-festa evidenza e nella vignetta trova ulte-riore conferma mediante la collocazionedella figura di costui affiancata a quella delnoto — e molto discusso — costruttoreVassallo.

« La sussistenza dell'antigiuridicità del fat-to è però esclusa dall'esistenza di causedi giustificazione, prima tra le quali èquella rappresentata dall'esercizio di un di-ritto o dall'adempimento di un dovere (ar-ticolo 51 C.P.). Invero Ja legge 3 febbraio1973, n. 69, in adempimento del dettato co-stituzionale, all'articolo 2 attribuisce al gior-nalista — qual è il Caruso — il diritto in-sopprimibile, nel rispetto delle norme di-rette alla tutela della personalità altrui, allalibertà d'informazione e di critica, osserva-ta la verità sostanziale dei fatti.

« Nella stpecie, la dignità del Cianoiminoè stata lesa negli stretti limiti necessari perla pura espressione della critica, mentre laverità sostanziale dei fatti è indiscutibile nelsenso: 1) che il Ciancimino è stato, per unamplissimo lasso di tempo, il dominus del-lo sviluppo edilizio palermitano, sia quale

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capogruppo dei consiglieri comunali iscrittial partito della D.C., sia qualle assessore ad-l'urbanistica; 2) che lo sviluppo edilizio diPalermo ha portato ingentissimi arricchi-menti di persone molto discusse ed ha datoluogo ad una infinita serie di sanguinosiscontri tra cosche mafiose rivali; tra gli al-tri quello determinante la strage di eiaculili,avvenuta nel 1963, e la sparatoria di vialeLazio, verificatasi nel dicembre 1969.

« II .Collegio ritiene ohe in una situazionedel genere — e, cioè, quando una lunga se-rie di enormi speculazioni edilizie, consen-tita e' favorita da innumerevoli irregolaritàamministrative, si sia svolta tra fiumi di san-gue versati da partecipi di opposte coschemafiose e da appartenenti a forze dell'ordi-ne, degne di ogni elogio e malauguratamen-te trovatesi tra i due fuochi (vedasi l'omici-dio del tenente Malausa a Ciaculli) — siadovere civico e professionale di ogni gior-nalista additare alla pubblica opinione, qua-le manifesto connivente del potere mafioso,il pubblico ammini'stratore che, nella cittàinteressata da tali fenomeni delinquenziali,abbia avuto, per il periodo in questione, lasostanziale veste di assoluto dominus in ma-teria urbanistica ed edilizia e sia quindi re-sponsabile o corresponsabile delle irregola-rità e dei favoritismi persistentemente veri-ficatisi; sicché, per essere del tutto chiari,si possa concludere che, mentre le diversecosche mafiose afflavano le armi, l'assessoreCiancimino predisponeva, a vantaggio di unao dell'altra parte, ma sempre in completooblio del pubblico interesse, varianti al pia-no regolatore o licenze edilizie in deroga.

« II Tribunale non ritiene certamente cheil Ciancimino sia stato l'unico responsabiledella caotica situazione urbanistica di Pa-lermo, datila quale il potere manoso seppeabilmente trarre profitto; ritiene però ohenel suddetto caos, derivato da atti illegit-timi, viziati da favoritismi e risultisi a fa-vore del potere mafioso, l'odierno querelan-te sia stato, non per semplice insipienza maper voluta adesione, uno dei maggiori arte-fici.

« E del fatto ohe il Ciancimino sia perso-na adusa, non già per sprowedutezza, ma, adir poco, per inveterato abito mentale, a

trarre personali profitti dall'attività politicasvolta, il Collegio ha avuto esauriente provaper bocca del Ciancimino stesso.

« Questi, nel corso del proprio interroga-torio, ha dimostrato infatti di ritenere cosadel tutto lecita e normale quella di intavo-lare private trattative con la P.A. (nella spe-cie con l'azienda delle FF.SS.) senza neppu-re lontanamente disporre dei mezzi neces-sari per l'esecuzione dell'agognato appalto,quella di reclamare contro la decisione del-la P.A. di procedere invece ad una pubblicagara, e di fare poi presentare direttamenteagli organi periferici dell'Amministrazioneil reclamo — ovviamente accolto — da par-te di un compagno di fede politica che sitrovava ad essere investito di funzioni alivello ministeriale (on. Mattarella) proprioal vertice dell'Amministrazione interessata.E tutto ciò il Ciancimino ha fatto ed ha sere-namente ammesso.

« II Collegio ritiene che la natura dei fat-ti avvenuti in Palermo in correlazione conlo «viluppo urbanistico, unita al comporta-mento ed alla mentalità del Ciancimino, au-torizzano pienamente il Caruso a ritenere— ed a criticare — il querelante quale con-corrente del saccheggio edilizio avvenuto inPalermo, in violazione delle leggi ed a preci-puo vantaggio del potere mafioso ».

In appello, la sentenza del Tribunale cheaveva assolto i due giornalisti per insussi-stenza di reato, è stata riformata e i dueimputati sono stati assolti per insufficienzadi prove sul dolo, ma nemmeno questo do-cumento giudiziario libera completamenteCiancimino dalle accuse ohe gli sono staterivolte durante gli anni del suo potere.

« II Ciancimino » si legge infatti nellasentenza della Corte di Appello di Genovadel 1° luglio 1975 « eletto consigliere co-munale di Palermo per il Partito democra-tico cristiano il 27 maggio 1956, fu dal 28giugno 1956 al 18 luglio 1959 assessore alleaziende municipalizzate e poi dal 19 luglio1959 al 12 luglio 1964 assessore ai lavoripubblici, venendo quindi eletto sindaco delcapoluogo siciliano. Orbene, lo stesso Cian-cimino, che aveva dato luogo a varie criti-che durante il lungo periodo in cui era statoamministratore del Comune di Palermo, edin particolare assessore ai lavori pubblici,

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è stalo oggetto di rilievi per irregolarità re-lative prqprio al caotico sviluppo urbani-stico della città ed in specie all'irregolarerilascio di licenze edilizie destinate ad ele-menti indicati come mafiosi dai rapportidella Polizia, rilievi contenuti nella relazio-ne redatta dal dottor Bevivino ed in quelladelllla Commissione parlamentare d'inchiesta,che ha considerato la elezione del Ciancimi-no a sindaco come "significativo episodioche sarebbe stato anche possibile interpre-tare come una sorta di sfida nei confrontidell'opinione pubblica e dei poteri dello Sta-to, e ciò per la esistenza di .specifici prece-denti ohe si sapeva già da tempo essereall'esame della stessa Commissione anti-mafia " (v. pag. 91 relazione Commissioneantimafia).

« Inoltre il Ciancimino, che dal 1951 al 1970aveva ottenuto dailila Direzione delle Ferro-vie dello Stato la concessione del serviziodei carrelli stradali, come si evince dallarelazione della Direzione generale di dettoEnte fu segnalato dal Commissariato com-partimentale di P.S. di Palermo quale im-putato di vari reati ai danni del Comune epersona modto discussa, tanto da essere so-spettato di collusione con elementi mafiosied arricchitosi rapidamente in seguito aisuoi rapporti con la mafia, ragione per cuigli fu revocata ila concessione.

« Vi è poi da aggiungere che lo stesso Cian-cimino fu effettivamente più volte denun-ciato, proprio nella sua qualità di pubblicoamministratore, alla Procura della Repub-blica di Palermo per interesse privato inatti di ufficio, fallso ideologico ed altri reatiin concorso con numerose person'e, tra cuiil noto e malto discusso costruttore Vas-sallo.

« In tale situazione, pertanto, a parere dellaCorte, il Caruso ed il Fiderà nel pubblicarela più volte richiamata vignetta, in cui èeffigiato anche il Ciancimino affiancato alLeggio, al Vassallo ed al Buttafuoco, nonchél'articolo dal titolo "questa mia città", incui il Caruso attribuisce evidentemente alCiancimino "la speculazione edilizia gestitadalla mafia" che "è l'unica cosa che è real-mente cresciuta a dismisura" e lo scempiodella città, riferendosi poi alla "classe di-

rigente mafiosa e corrotta" potevano al-l'epoca possibilmente ritenere, anche in pen-denza delle numerose procedure giudiziariea carico dell'ex sindaco, seppure ancora inistruttoria e tuttora pendenti, che il Cian-cimino medesimo fosse effettivamente re-sponsabile delle irregolarità nel settore ur-banistico verificatesi in Palermo durantela sua gestione, e colludesse con il poteremafioso. Apparendo, quindi, e per le ragio-ni anzidette, incerto l'elemento psicologicodel delitto di diffamazione, la Corte ritienedi assolvere il Caruso ed il Fidora da talereato in danno dal Cianchnino per insuf-ficienza di prove sul dolo ».

Il caso Ciancimino è stato l'espressioneemblematica di un più vasto fenomeno cheinquinò negli anni sessanta la vita politicae amministrativa siciliana, per effetto delleinteressate confluenze e aggregazioni dellecosche maliose e dei tentativi di recupero,ai fini elettorali o per giochi interni di par-tito, delle vecchie forze del blocco agrarioo d'uomini politici logorati dalla consuetu-dine col mondo mafioso; il successo di Cian-cimino perciò non si spiega coirne un fattocasuale, indipendente dalle circostanze am-bientali e dalle forze politiche che gli ave-vano assicurato il loro sostegno, ma si com-prende solo se visto nel quadro d'una situa-zione ampiamente compromessa da perico-lose collusioni o da cedimenti non semprecomprensibili. Niente meglio di ciò che è ac-caduto negli anni di Ciancimino rivela inol-tre come la mafia sia 'stata favorita dall'in-capacità di partiti politici di liberarsi intempo di uomini discussi nella speranza dimantenere o di accrescere la propria sferadi influenza o magari col solo effetto di raf-forzare il peso elettorale delle varie cor-renti interne.

Un fenomeno analogo si è manifestato peraltro nella subordinazione a interessi o aalleanze contingenti della superiore neces-sità di denunciare, con coerenza e senza im-provvisi e inopinati ripensamenti, ogni so-spetta collusione, con la conseguenza chespesso 'sono mutati, nel corso degli anni, igiudizi circa le persone accusate di conni-venze maliose; ciò che ha fatalmente affie-volito la lotta contro la mafia.

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SEZIONE TERZA

LA QUARTA ONDATA MAFIOSA

1. La strage di viale Lazio. Il rapimento diMauro De Mauro. L'omicidio di PietroScaglione.

L'elezione di Vito Ciancimino a sindacodi Palermo fu interpretata in moliti ambien-ti come una sorta di sfida nei confronti del-l'opinione pubblica e dei poteri dello Stato;ma nel volgere di pochi mesi Cianciminofu costretto a dimettersi, e così l'inizio de-gli anni sessanta vedeva il tramonto defi-nitivo di un uomo che precedentemente ave-va dominato la scena del caos edilizio edurbanistico di Palermo.

Più o meno nello stesso periodo esplode-va, con la strage di viale Lazio, la quartaondata mafiosa.

Dai tempi della carneficina di eiaculili, erala prima volta che un grave fatto di sangueriproponeva all'attenzione dell'opinione pub-blica l'estrema pericolosità della delinquen-za mafiosa.

Nei primi anni di vita della Commissione,dal 1963 ali 1968, le organizzazioni mafiosefurono scardinate e disperse per effetto diuna energica azione condotta sia dalla Po-lizia e sia dalla Magistratura, che preserospunto dalla cruenta lotta scatenatasi tradue opposte cosche mafiose, culminata ap-punto nella strage di Ciaoulli del 30 giugno1963. Fu un periodo emblematico, perchéfu proprio allora che cominciò a verificarsdun deciso mutamento dell'opinione pubbli-ca verso la mafia e in cui crollarono certimiti collegati al fenomeno mafioso, comequello dell'impunità. Fu il periodo in cui aPalazzo dei Normanni si discusse dell'op-portunità di sciogliere il Consiglio comu-nale di Palermo, proprio in relazione allevicende della speculazione edilizia ed allepesanti infiltrazioni mafiose in quella vicen-da. Fu il periodo in cui la tranquillità e l'or-dine pubblico sembrarono nuovamente ri-stabiliti, in cui i reati di tipo mafioso subi-

rono .una contrazione mai prima registrata,in cui in paesi come Corleone la gente ri-prese l'abitudine, quasi dimenticata, di usci-re la sera per le strade.

Questa azione fu certo agevolata ed in-coraggiata dal semplice fatto ohe esistevauna Commissione parlamentare d'inchiestache rappresentava il simbolo autorevole del-la volontà politica di perseguire e stroncareil fenomeno mafioso. Senonchè, anche inquesta occasione, come in tante altre, ven-nero a mancare quegli Interventi idonei asradicare il 'malcostume .mafioso, che sareb-bero stati necessari, mentre le deludenti etalora sorprendenti conclusioni di gravi pro-cessi contro i boss di potenti organizzazio-ni mafiose annullarono praticamente gli sfor-zi e 1 sacrifici degli anni precedenti, o die-dero agli imputati rimessi in libertà un pre-stigio accresciuto dall'ennesima vittoria con-tro lo Stato.

Il delitto di viale Lazio trovava la suapremessa nella sentenza pronunciata il 28dicembre 1968 dalla Corte di Assise di Ca-tamzaro. Quel giorno, i giudici calabresi ave-vano giudicato i presunti maggiori respon-sabili dell'organizzazione criminale, arresta-ti o denunciati dopo i fatti di Ciaoulli; male loro conclusioni non avevano rispostoalle espettative; alcune condanne per asso-ciazione per delinquere, poche condanne peromicidio e per sequestro di persona, unasfilza di assoluzioni per insufficienza diprove.

Tra gli altri, era stato giudicato MicheleCavata] o.

Da modesto autista di piazza, in pochianni Cavatajo era riuscito ad accumulareun considerevole patrimonio immobiliare,ed insieme, come agni mafioso che isi ri-spetti, una serie di assoluzioni. Denunciatouna prima volta per omicidio nel 1964, edassolto per insufficienza di prove, era statoancora assolto con formula dubitativa daun'imputazione di rapina aggravata, dal de-litto di associazione per delinquere, dal ten-tato omicidio di Salvatore Carello, dagliomicidi di Carmine Calatolo, Giuseppe DiGirolamo e Roberto Di Girolamo. I giudicidi Catanzaro invece lo avevano, condannatoper il solo delitto di associazione a delin-

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quere a quattro anni di reclusione, ritenendoohe egli avesse partecipato, come luogote-nente di Pietro Torretta, alla lunga e san-guinosa lotta della mafia dell'edilizia e dellearee fabbricabili. La Corte d'Assise, peraltro,gli aveva condonato due anni di pena e neaveva disposto la scarcerazione per decor-renza dei termini di custodia. Subito dopo,Cavataj o si era ufficialmente stabilito a Ro-ma, ma soltanto a distanza di nove mesi gliorgani di polizia avevano proposto l'appli-cazione a suo carico di una misura di pre-venzione, richiedendone anche la custodiaprecauzionale, « ridila certezza che, avutosentore del procedimento in corso, egli (po-tesse) rendersi irreperibile •». La propostaperò non era stata accolta dall'Autorità giu-diziaria palermitana, sul presupposto appun-to che Cavatajo aveva altrove la sua resi-denza ufficiale.

Il Cavatajo, pertanto, era tonnato a Pa-lermo per riprendere il posto di colui cheera stato il suo capo; e così, i killers man-dati ad ucciderlo ebbero modo di trovarlonegli uffici della ditta Moncada, a vialeLazio, la sera del 10 dicembre 1969.

Alile 19 circa di quella sera, un'automo-bile blu si fermò vicino agli uffici delladitta, nei quali si trovavano in quel momen-to Michele Cavatajo, Salvatore Bevilacqua,Francesco luminello e i-due figli di Giro-lamo Moncada, Filippo e Angelo. Dalla mac-china discesero 5 individui, vestiti uno indivisa di capitano di Pubblica sicurezza, glialtri in divisa di agenti di polizia. Entratinegli uffici, con i mitra in mano, i 5 killersaprirono il fuoco, uccidendo Cavatajo, Tu-minello e Bevilacqua e ferendo i due Mon-cada. Ma, prima di cadere, Cavatajo e glialtri fecero fuoco a loro volta, ferendo amorte uno degli aggressori. Ma i banditiriuscirono ugualmente a dileguarsi portan-do con loro il compagno ferito e fuggendouccisero anche un ignaro guardiano deiMoncada, Giovanni Donè, accorso ad fragoi-edegli spari.

Ili processo, cominciato dopo i fatti, a ca-rico di Gerlando Alberti e di altri mafiosi,è stato definito in primo grado con l'assolu-zione di tutti gli imputati; ma al di là dellaconclusione giudiziaria, la strage di viale

Lazio serve a ribadire con la sua classicaevidenza come almeno in quel periodo neigrandi centri urbani della Sicilia occiden-tale il settore dell'edilizia e delle relativespeculazioni fosse certamente tra i più con-taminati dalla attività manosa; e ciò so-prattutto perché la mafia poteva giovarsi,in questo settore, come condizione determi-nante ed operativa, dell'appoggio o del las-sismo compiacente di alcuni rappresentan-ti dei pubblici poteri.

Risultava d'altra parte confermato che,nonostante i periodi di quiescenza ancheprolungati della delinquenza maliosa, la pe-ricolosità ddlla mafia non conosce soste edè comunque tale da poter dar luogo a mani-festazioni improvvise e gravi di violenza, al-meno fino a quando non siano individuati espezzati i suoi legami con alcuni ambientipubblici che, soprattutto a livello di am-ministrazione locale, non ponendo in attoi necessari controlli, finiscono con il con-sentire ad esponenti mafiosi di continuarenella loro attività parassitarla in importan-ti campi della vita economica e sociale.

•La strage di viale Lazio mette inoltre be-ne in evidenza i limiti e le carenze del si-stema delle misure di prevenzione: da unlato infatti la normativa in vigore deve con-siderarsi lacunosa e mal congegnata, se nel1968 aveva consentito, in coincidenza conil processo di Catanzaro, 'la scadenza con-temporanea di numerosi provvedimenti pre-si negli anni precedenti, e se aveva impe-dito l'immediata applicazione di una misu-ra a carico di un pericoloso personaggio co-me Cavatajo; dall'altra, è significativa e in-sieme preoccupante la scarsa sorveglianzache l'autorità di Polizia era riuscita ad at-tuare, al di fuori di ogni provvedimento for-male, sugli esponenti particolarmente qua-lificati del mondo mafioso. L'azione crimi-nosa, che portò al delitto di viale Lazio,covava da tempo e da lunga data erano notii contrasti tra le cosche che facevano capoai protagonisti della vicenda; eppure le for-ze dell'ordine non avevano preso nessunainiziativa che evitasse uno scontro armatoe una nuova esplosione delle antiche lottetra le opposte fazioni, ma sembrarono anzi

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come colte di sorpresa dalla sanguinosa ag-gressione del Gommando di viale Lazio.

D'alltra parte, come spesso è avvenuto nelpassato, le successive indagini giudiziarienon hanno portato, nemmeno questa volta,alla punizione dei responsabili; e pertanto,malgrado l'impegno e la tenacia dimostratinegli anni più recenti dalla Magistratura, èrimasta confermata l'impressione che i piùtemibili esponenti della mafia riescono adusufruire spesso di una vera e propria im-punità, attraverso un diabolico meccanismoche sfugge al controllo della legge, del Par-lamento e di tutti gli organi e poteri delloStato.

Un'impressione questa ohe ha trovato ul-teriore alimento nelle vicende giudiziarieriguardanti gli episodi delittuosi, o alcunidegli episodi delittuosi, òhe hanno seguitola strage di viale Lazio. Specialmente nel1970 e nel 1971, ma, come si vedrà, anchepiù recentemente, si sono susseguiti in Si-cilia, soprattutto nelle città, una serie diclamorosi delitti, che hanno determinatovivo allarme nell'opinione pubblica e tra iquali spiccano, per il significato quasi em-blematico ohe hanno, il rapimento del gior-nalista Mauro De Mauro e l'omicidio delProcuratore della Repubblica di Palermo,Pietro Scaglione.

Alle 20,30 circa del 16 settembre 1970,Mauro De Mauro lasciava la sede del gior-nale L'Ora e alla guida della sua macchinaraggiungeva il bar Spatola, locale ohe abi-tualmente frequentava prima di recarsi acasa. Dopo aver consumato una bibita eacquistato caffè, vino e sigarette, arrivavaa viale delle Magnolie, dove abitava, e la-sciava l'automobile parcheggiata vicino a'1marciapiede di fronte all'ingresso della pro-pria abitazione. In quello stesso momento,la figlia di De Mauro, Franca, e il suo fidan-zato, Salvo Mirto, stavano tornando a casae avevano così modo di notare una personaclaudicante (probabilmente lo stesso DeMauro) sedersi al posto di guida della <mac-dhina, mentre due .o tre persone già si tro-vavano a bordo e un altro sconosciuto vientrava dallo 'sportello destro. La De Mauroe il fidanzato sentivano anche che uno degli

sconosciuti diceva « amuninni » (andiamo-cene) .

La giovane, peraltro, credendo di ricono-scere in colui ohe aveva pronunciato la pa-rola Antonino Spatola, coinquilino dei DeMauro, non dava nessun peso all'episodio,anche se istintivamente, e in tono scherzoso,diceva al fidanzato: « vuoi vedere ohe stan-no rapendo mio padre? ».

Si recava perciò a casa e ne usciva pocodopo per farvi ritorno verso l'una del gior-no successivo. Solo allora riferiva ciò chesapeva alla madre e costei la mattina dopo,intorno alle 6, si rivolgeva alla redazione deL'Ora per avere notizie del marito e versole 7,30 informava dell'accaduto la Squadramobile di Palermo, ove si recava personal-mente alle ore 9 per sporgere denunzia.

Alle ore 22 del giorno 17, nella via PietroD'Asaro, veniva rinvenuta l'autovettura diDe Mauro che presentava un leggero stratodi polvere sulla carrozzeria ed aveva il ve-tro della portiera, lato guida, abbassato.Risultavano mancanti le chiavi e una rubri-ca tascabile.

Dall'esame dei fatti risultò subito eviden-te che si trattava di un sequestro di personareso possibile dalla partecipazione di alme-no un individuo noto a De Mauro, individuoohe poteva averlo indotto ad aderire all'in-vito di seguirlo con qualsiasi pretesto. Senon fosse stato così, il giornalista avrebbequanto meno tentato una reazione, non es-sendo pensabile che si sarebbe rassegnatoad allontanarsi in compagnia di sconosciu-ti. D'altra parte, l'abbandono della macchi-na nel centro abitato di Palermo lasciavapresumere ohe il De Mauro fosse stato tra-sbordato su un altro automezzo o accompa-gnato in un luogo non molto lontano, inmodo che la persona incaricata di abbando-nare l'autovettura non dovesse rischiare difarsi notare alla sua guida per un lungo per-corso e per parecchio tempo.

Infine, il fatto ohe i due o tre sconosciutisi fossero presentati non mascherati lascia-va temere che era stata preventivamentedecisa l'uccisione dell'ostaggio. La gravitadell'episodio impegnava tutte le forze di Po-lizia di Palermo che organizzavano servizi

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di ricerca, controllo e battute in città e nel-la provincia.

Le pronte indagini iniziate dai Carabinierie dalla Pubblica sicurezza venivano ben pre-sto orientate su piste e canali diversi; e an-che se tutti pensavano che De Mauro do-veva essere stato vittima di un sequestro, lerispettive indagini si sviluppavano e prose-guivano autonomamente, tanto che ciascunaforza di Polizia inoltrava propri rapporti al-l'Autorità giudiziaria, la quale a sua voltane trasmetteva copia alla Commissione.

Secondo i Carabinieri, le ipotesi più pro-babili circa la scomparsa di De Mauro era-no in pratica due: la prima muoveva dallapremessa che De Mauro potesse essere ve-nuto a conoscenza di notizie sul traffico de-gli stupefacenti tra la Sicilia e gli StatiUniti, notizie tali da costringere i capi delcontrabbando a modificare i sistemi usatifino allora per ricevere e smistare la mercé,e quindi a subire ingenti danni economici.Si sarebbe così reso necessario prendereDe Mauro vivo, per sapere coinè fosse ve-nuto in possesso delle informazioni, a chi. leavesse comunicate, quali potevano ©ssere leprove di cui disponeva. Era ovvio natural-mente che il giornalista, una volta ohe aves-se confessato, sarebbe stato ucciso^ Secondol'altra ipotesi, invece, De Mauro poteva es-sere venuto a conoscenza di notizie relativea qualche grave delitto, colsi da indurre gliinteressati a sequestrarlo, per le stesse ra-gioni prima indicate.

Luna e l'altra ipotesi, ma specialmentela prima, erano fondate sulle seguenti con-siderazioni.

Già da qualche mese prima della sua scom-parsa. De Mauro doveva essere in possessodi notizie che lo avevano indotto a interes-sarsi nella zona di Terrasini, e dei pos-sibili sbarchi su quella costa di mercé dicontrabbando; ciò è tanto vero che, essen-dosi recato in quella località, per fare unservizio su un complesso alberghiero sortoda poco, aveva dato al fotografo che lo ac-compagnava una serie di fotografie (in ne-gativo) ohe riproducevano vari punti dellacosta che nulla avevano a che fare con l'og-getto del servizio tgiornalistico. Inoltre, nel-l'agosto del 1970, De Mauro era andato a

16.

Raguisa, Gela e Vittoria e al ritorno da quelviaggio aveva detto al collega Enzo Perroneche aveva in mano il filo del traffico deglistupefacenti che si svolge tra la Sicilia, Mar-siglia e il Canada, che la zona di sbarcodella droga si trovava tra Punta Raisi e Vil-lagrazia di Carini, che nel traffico erano im-plicati alcuni grossi personaggi e che chie-deva la sua collaborazione per pubblicareuna serie di articoli sull'argomento. Nei gior-ni precedenti alla scomparsa, De Mauro ave-va accennato di nuovo con amici e familiaria'1 « colipo grosso » che stava per fare, conchiaro riferimento a un episodio connessoal commercio degli stupefacenti.

Senonchè il giornalista, sempre a pareredei Carabinieri, doveva essersi tradito ba-nalmente, o mettendosi troppo in mostranelle indagini personalmente condotte, op-pure chiedendo notizie proprio a qualcheaffiliato dell'organizzazione criminosa. Sa-rebbe nata di qui l'idea del sequestro e icriminali avevano potuto attuare con faci-lità il piano, in quanto De Mauro conoscevapersonalmente qualcuno di loro e aveva per-tanto aderito, senza difficoltà, all'invito diseguirli.

Sulla base di questi e altri elementi diprova, i Carabinieri denunciarono trentunopersone, come responsabili del sequestro edell'omicidio del giornalista.

La Pubblica sicurezza, invece, seguiva nelfrattempo una pista del tutto diversa, cer-cando di collegare la scomparsa del giorna-lista ad altri moventi, in qualche modoconnessi con la sua vita privata e il suo la-voro. In particolare, a un certo punto del-l'inchiesta, l'attenzione della Polizia si con-centrò sul commercialista Antonino Butta-fuoco. Risultò al riguardo che, dopo il se-questro, il Buttafuoco aveva avuto frequen-ti abboccamenti con i familiari di De Mauroe che nel corso degli incontri aveva cercatodi avere notizie sullo stato, sullo sviluppoe sull'indirizzo delle indagini, e aveva inol-tre scandagliato la moglie e la figlia del gior-nalista circa ciò che sapevano in merito allascomparsa del loro congiunto: il Buttafuo-co, quindi, dopo aver promesso il propriointeressamento alle ricerche del giornalista,aveva all'improvviso interrotto i suoi rap-

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I

porti con la moglie e la figlia di De Mauro,suscitando così il sospetto di essere in qual-che modo implicato nella vicenda.

La Polizia perciò lo denunziò in stato diarresto come responsabile insieAie con al-tri del sequestro di De Mauro, e nei giorniimmediatamente successivi un magistratodella Procura della Repubblica di Palermodichiarò ai giornalisti: « Nel sequestro diDe Mauro il Buttafuoco ci si è infilato finoal collo. Manca però la causale. Non sap-piamo perché De Mauro è stato preso. Ri-peto che non ci sono dubbi che l'arrestatoc'entri ».

Senonchè, dopo breve tempo, a Buttafuo-co fu concessa la libertà provvisoria e ilprocessò per il rapimento di De Mauro ètuttora in corso di istruzione, senza che leindagini abbiano fatto sostanziali passi avan-ti. Non ha avuto risultati concreti neppurel'inchiesta relativa all'omicidio del Procu-ratore della Repubblica di Palermo.

La mattina del 5 maggio 1971, Pietro Sca-glione, dopo essersi recato ai cimitero deiCappuccini, a Palermo, si dirigeva verso ilPalazzo di giustizia a bordo dell'automo-bile di servizio, guidata dall'agente di cu-stodia Antonino Lo Russo, quando in viadei Cipressi era stato bloccato da un'altramacchina; da essa erano uscite due o trepersone, che con repentina prontezza ave-vano fatto fuoco, freddando all'istante Sca-glione e il suo autista.

Le indagini per il grave delitto sono at-tualmente dirette dal Giudice istruttore diGenova, a cui la Corte di Cassazione ha ri-messo il iprocedimento, ma malgrado l'im-pegno della Magistratura e degli organi dipolizia, jnon è stato finora possibile identi-ficare gli autori del duplice omicidio. Ancheper quanto riguarda il movente del delitto,gli inquirenti si muovono in più direzioni,secondo un quadruplice orientamento oheprevede: a) una causale di carattere priva-to; b) una causale inerente alla legittimaattività funzionale dell'alto magistrato pa-lermitano; e) una causale inerente ad abu-si o deviazioni dall'attività funzionale, e in-fine d) una causale fondata sull'erronea sup-posizione ('da parte degli autori del delitto)di abusi o deviazioni nell'attività funzionale.

Sembra comunque fuori discussione, aldi là di queste ipotesi e nei limiti in cui ilsegreto istnittorio permette di conoscerelo stato delle indagini, che il delitto abbiaavuto una matrice mafiosa, così come è di-mostrato non solo dalle tipiche modalitàdell'attentato, ma anche dalle diverse pisteche nel corso degli anni si sono presentatealla sagacia degli inquirenti.

Allo stesso modo, è certo che i delitti DeMauro e Scaglione richiamano l'attenzioneuna volta di più sulla difficoltà (e quasi sidirebbe l'impossibilità) di individuare gli au-tori dei più gravi delitti di mafia. Le causedel fenomeno (di cui si è già ampiamentetrattato in altra parte di questa relazione)sono varie e molteplici e con ogni verosimi-glianza non sono gran che diverse da quelleche rendono difficile anche in altri settorid'opera della giustizia; ma tuttavia non sipuò fare a meno di rilevare, a proposito deldelitto De Mauro, come il deprecabile con-trasto degli organi di polizia in ordine allosvolgimento delle indagini e il ritardo concui la Magistratura diede credito, nello svi-luppo dell'istruttoria, a una delle (possibi-li) spiegazioni del delitto non abbiano certofavorito una positiva conclusione dell'inchie-sta. Così come sembra innegabile ohe ri-guardo all'omicidio Scaglione hanno avutopeso negativo -il silenzio e la reticenza di co-loro che pure dovettero assistere all'efferatoomicidio, nella popolosa via dei Cipressi.

Ma è un'altra circostanza quella che dav-vero caratterizza i delitti De Mauro e Sca-glione rispetto ai soliti crimini di stampomafioso. Ammesso infatti che i due delittiabbiano avuto una matrice mafiosa e che•nessun lecito rapporto sia mai esistito trale vittime e i loro assassini, i casi De Mauroe Scaglione rappresentano una novità, prò-,prio perché a subire l'aggressione della ma-fia sono stati questa volta un giornalista e•un magistrato. In precedenza, ad eccezionedell'omicidio di Petrosino, la mafia non ave-va mai osato colpire in simili direzioni; siera anzi sempre ritenuto che i mafiosi aves-sero una particolare considerazione per imagistrati, per i poliziotti, appunto perchéigli stessi sono obbligati, ciascuno nella sfe-ra delle proprie competenze, a svolgere le

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loro funzioni. I delitti De Mauro e Scaglio-ne segnano una svolta e concorrono a sot-tolineare come, nel periodo della sua evo-luzione urbana, .la delinquenza mafiosa ab-bia mano a mano perduto o abbia visto al-meno attenuarsi i caratteri specifici chel'hanno connotata nel contesto della societàagricola. Certo, non è dubbio ohe la vio-lenza costituisca ancora la nota dominantedella delinquenza mafiosa, è dubbio inveceche le sue manifestazioni continuino a pre-sentare, almeno nella normalità dei casi,quei requisiti tipici che l'hanno sempre con-traddistinta in passato e che valevano a se-pararla da altre forme di delinquenza.

In realtà, dopo essersi insediata nella so-cietà urbana e industriale, la mafia ha sem-pre più indirizzato la sua attività delittuosaverso scopi diversi da quelli di una volta,alla ricerca non più di posizioni di prestigioo di potere, ma di un diretto e gangsteri-stico sfruttamento di illecite fonti di gua-dagno. In questo senso, assume particolaresignificato la circostanza che proprio nel pe-riodo della sua urbanizzazione si è andatoprogressivamente accentuando — come ri-sulta da quanto ora si dirà — l'interesse del-la mafia ,per il contrabbando dei tabacchi eil traffico degli stupefacenti.

2. — La mafia, il contrabbando e il trafficodi stupefaccenti.

Particolare impegno ha dedicato la Com-missione all'indagine sui rapporti tra mafia,contrabbando di tabacchi (soprattutto este-ri) e traffico di stupefacenti, ciò sul presup-posto che questi illeciti commerci fosserodivenuti, còl passare degli anni e specie ne-gli ultimi tempi, uno dei settori più impor-tanti e redditizi dell'attività mafiosa. Piùspecificamente, la Commissione ha svoltosull'argomento un'autonoma ricerca che,sulla base degli elementi di giudizio ad essaforniti dalle forze di Polizia o da essa di-rettamente acquisiti, servisse a dare una ri-sposta agli interrogativi più attuali, così daoffrire alla vallutazione del Parlamento, de-gli altri poteri dello Stato e della stessa opi-nione pubblica gli strumenti necessari, non

solo e non tanto per un approfondimentoulteriore del problema, quanto per l'adozio-ne delle opportune misure di salvaguardiada parte degli organi competenti.

A questo fine, si è provveduto anzituttoad acquisire tutta la documentazione neces-saria, per puntualizzare (anche alla luce deifatti successivi) alcuni degli episodi più si-gnificativi delle infiltrazioni mafiose nei set-tori del contrabbando e nel traffico delladroga; si è cercato inoltre di dedicare par-ticolare attenzione ad alcuni personaggimafiosi, che avevano già operato nei sud-detti settori e che, nonostante le apparenze,si pensava che potessero continuare nell'at-tività illecita; è stata svolta infine una spe-cifica indagine per verificare l'eventualeestrazione mafiosa di quanti erano stati con-dannati o denunciati negli ultimi anni percontrabbando di tabacchi e per traffico didroga e per individuare i legami esistentitra le principali cosche mafiose e le orga-nizzazioni delittuose operanti nei due settoriin Sicilia e nel resto d'Italia.

La Commissione ha tenuto altresì fruttuo-si rapporti con tutti gli organi di polizia (inparicolare con la Guardia di finanza), im-pegnati nei settori della droga e del con-trabbando di tabacchi. Sono stati in questomodo acquisiti tutti i dati relativi alle pro-porzioni e all'estensione territoriale che han-no, assunto i suddetti fenomeni negli annipiù recenti; mentre si è cercato di approfon-dire con ogni mezzo gli spinosi, spesso inde-cifrabili problemi del finanziamento deitraffici illeciti, della provenienza dei mezzi,tailora apparentemente leciti, attraverso iquali si provvede al pagamento delle partitedi droga e di tabacchi, e della distribuzionedegli utili ricavati dal relativo commercio.

Le pagine che seguono si limiteranno co-munque ad illustrare a grandi linee i risul-tati delle indagini compiute dalla Commis-sione, in quanto una approfondita analisi euna dettagliata descrizione dello specificofenomeno riguardante il ruolo e le dimen-sioni della presenza mafiosa nel contrab-bando dei tabacchi e nel traffico degli stu-pefacenti, ' formano oggetto della relazionesettoriale, redatta dal senatore Michele Zuc-caia, e a cui si rinvia.

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3. — La mafia e il contrabbando di tabacchi.

I dati statistici (1) comunicati alla Com-missione dal Comando generale della Guar-dia di finanza dimostrano che nell'ulti-mo ventennio il fenomeno del contrabbandoha assunto in tutto il Paese proporzioni note-voli ed è stato caratterizzato, specie dal1955 in poi, dall'aumento quasi costante delnumero delle denunzie, dall'entità crescentedi sequestri di tabacchi esteri, dall'impo-nenza dei tributi evasi.

Risulta in particolare da una recente va-lutazione, sufficientemente attendibile, degliorgani tecnici della Guardia di finanza, chesu 80 miliardi circa di sigarette (pari a 80mila tonnellate) consumate annualmente inItalia, circa 10 miliardi di sigarette (jpari a

10 mila tonnellate) possono essere conside-rate di contrabbando, ciò che ha provocatoall'Erario, per l'evasione dei tributi, unaperdita ragguardevole, calcolabile, tenutoconto dei prezzi del tabacco estero sul mer-cato nazionale, nella somma di circa 250miliardi di lire.

Lo Stato, peraltro, oltre a subire un dannoconseguente alla frode tributaria, ha dovutosopportare e tuttora sopporta una spesa no-tevole per mantenere e potenziare di conti-nuo le costose attrezzature ed i mezzi dicontrasto aerei, navali e terrestri òhe im-piega la Guardia di finanza nella lotta alcontrabbando nelle acque doganali, lungo lecoste e nell'interno defl territorio nazionale.

Le cause del fenomeno, ohe è sempre sta-to, dal dopoguerra ad oggi, di notevoli di-mensioni, .sono individuabili in fatti di variogenere, ma è indubbio ohe almeno tre ele-menti concorrono a favorirne l'estensione;in primo luogo gli ingenti profitti che leorganizzazioni contrabbandiere ricavano da1!-l'attività illecita, poi l'elevata entità dell'one-re fiscale, pari mediamente all'80 per centodel costo totale del prodotto, che se da unlato assicura all'Erario un gettito di impostacostituente una delle più cospicue fonti d'en-

fi) I dati statìstici relativi al traffico di stupefa-centi e al contrabbando di tabacchi sono ampia-mente riportati nella relazione settoriale dal sena-tore Zuccaia (v. ali. 4).

trata, determina, in contrapposto, una note-vole spinta all'incremento della multiformeattività contrabbandiera nel settore; infine,la posizione geografica della Penisola che haun territorio caratterizzato da uno sviluppocostiero pari a chilometri 6.621 di litorale,e quindi senza riscontro in Europa, da unaestensione del mare territoriale e della zonacontigua pari a 43.498 miglia quadrate, in ul-timo dall'andamento del confine terrestre,pari a chilometri 1.871, con i profondi salien-ti svizzeri che si incuneano nel cuore delleregioni lombarda e piemontese.

Un'attività illecita di queste caratteristichee dimensioni non poteva non incontrarsi conla mafia. Ed infatti, il contrabbando ha offer-to alla mafia non solo una allettante fonte dilucro ma anche la disponibilità di mezzi co-spicui, collaudate strutture di comando esoprattutto sperimentate possibilità di mi-metismo, mentre a sua volta il contrabban-do ha trovato nella mafia i necessari finan-ziamenti e una valida protezione.

La mafia, in particolare, pretende che leoperazioni di contrabbando eseguite in Si-cilia si svolgano, al pari di altre attività de-littuose, sotto il suo controllo diretto; ciòper evitare di rimanere coinvolta nell'azionedi 'repressione degli organi di vigilanza. Per-ciò, i contrabbandieri che sbarcano in Sici-lia debbono ottenere l'autorizzazione pre-ventiva dei capomafia presenti nelle zoneprescelte; ma una volta dato il proprio con-senso, i mafiosi si prodigano nell'aiuto aicontrabbandieri, mettendo in moto tutta lafitta rete di amicizie e di aderenze di cuidispongono, segnalando le zone più adatte,i depositi più sicuri, le persone più fidate,affiraohè le operazioni siano portate a sicurosuccesso.

Gli organizzatori del contrabbando san-no d'altra parte di poter contare sull'omer-tà e sull'appoggio della mafia, per poterreagire alle eventuali reazioni dei gruppi ri-vali, ma sanno anche che, se non si procu-rassero la protezione dei mafiosi, si espor-rebbero al rischio di pericolose rappresaglie.

Si ricostruisce, così, in tutta la nettezzadei suoi contorni il quadro dei rapporti tramafia e contrabbandieri, che trova peraltroriscontro in una serie di fatti specifici;, inparticolare i rapporti fra potenti capi di

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organizzazioni contrabbandiere (quali Forni,Falciai, Scarabelli e Molinelli da una parte,e i Mancino, i Davi, i Greco dall'altra), mo-strano come la mafia, dall'immediato do-poguerra, abbia trovato nel contrabbandouna Eonte di guadagni particolarmente ele-vati.

È vero che nel 1959 si verificò una note-vole flessione del volume del contrabbandoin conseguenza del mutamento del regimepolitico nella città di Tangeri, base impor-tantissima del contrabbando internazionale,passata nel 1957 sotto la sovranità del Ma-rocco, ma è altrettanto certo che ben prestosi ebbe una ripresa su vasta scala del con-trabbando controllato dalla mafia nel terri-torio nazionale.

Taluni episodi mostrano infatti come al-l'inizio degli anni sessanta la mafia penetrinel mercato napoletano, si associ stretta-mente ai bigs del contrabbando della Lom-bardia e della Liguria fino ad estendere intutto il Paese l'attività contrabbandiera inse-rendosi nelle fila dei massimi esponenti del-l'illecito traffico. A questa conclusione laGuardia di finanza pervenne attraverso laraccolta di un copioso materiale informa-tivo coordinato in un rapporto del 5 dicem-bre 1963, trasmesso all'Autorità giudiziariadi Palermo nel quadro degli accertamentiistruttori allora in atto sugli omicidi, feri-menti ed attentati dinamitardi verificatisiin Sicilia ed a Milano ad opera di mafiosi.

Dal 1964 inoltre anche le coste della Si-cilia orientale divennero teatro di semprepiù frequenti attività di contrabbando che,in Sicilia, vive e prospera necessariamente,come si è rilevato, all'ombra della mafia.

Per la verità, secondo le più recenti sta-tistiche, tra i 1.050 individui denunziati inSicilia per contrabbando negli anni dal 1968al 1972 soltanto 37, e cioè il 3,53 per cento,sarebbero mafiosi, mentre ancora più bassaè la percentuale di presunti mafiosi (319 pa-ri allo 0,30 per cento) sul numero comples-sivo delle denunziie (108.019) presentate al-l'Autorità giudiziaria nel restante territorionazionale, ma si cadrebbe certo in errore sesi assegnasse all'influenza mafiosa nel set-tore del contrabbando un peso corrispon-dente a quello delle insignificanti percentua-li ora riportate.

Le cifre indicate riguardano le personedenunziate alla Magistratura, ma è fuoridiscussione che sono soltanto i contrabban-dieri di rango inferiore a cadere almeno disolito nella rete della Polizia. I mafiosi, in-vece, hanno nella gerarchla del contrabban-do un ruolo e una posizione molto più ele-vata, sì che è ben più difficile che essi ven-gano individuati come i sicuri autori di sin-goli episodi del traffico illecito. Ciò che importa, ,per percepire le dimensioni della pre-senza mafiosa, è che in tutte le principalioperazioni di contrabbando ricorrano confrequenza, e talora costantemente, i nomidi noti mafio'si siciliani, Salvatore Greco co-me Rosario Mancino, Vincenzo e TommasoSpadaro, Pietro Davi, Tommaso Buseetta,Antonio Camporeale, Vincenzo Buccafusca,Salvatore Adelifio, Gerlando Alberti. Salva-tore Greco, anzi, può essere davvero consi-derato, tante sono le imprese che si deb-bono alla sua iniziativa, come una speciedi padrino del contrabbando siciliano, men-tre anche gli altri personaggi ora nominatihanno tutti avuto, ciascuno nel proprio tem-po e secondo le fortune del momento, unaparte di primo piano nella organizzazione,direzione e finanziamento del traffico illecitodei tabacchi esteri.

Naturalmente, anche in questo settore,come in tutti quelli che la interessano, lamafia ha importato i suoi metodi tradizio-nali, esasperando le divisioni e i contrastitra le cosche rivali, ricorrendo spesso a in-terventi punitivi, strumentalizzando infine,a scopi ulteriori, le posizioni di prestigioe di forza raggiunte nell'ambiente dei con-trabbandieri.

Tra l'altro, la mafia si è servita dei rap-porti stabiliti con i trafficanti di tabacco(e più ancora di stupefacenti) per estendereall'estero la propria influenza, per prenderecontatti con la malavita internazionale eper continuare a dirigere, da posizioni direlativa sicurezza, i traffici illeciti all'inter-no del nostro Paese. Per di più, la mafiaha trovato nel contrabbando l'occasione pro-pizia per agganciarsi ad altri ambienti dellamalavita nazionale e soprattutto per tra-sferirsi, con vere e proprie squadre, in altre

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regioni d'Italia, e soprattutto in quelle me-ridionali.

Risulta da taluni degli episodi documen-tati dagli atti in .possesso della Commissio-ne che fin dal 1967 gli organizzatori del con-trabbando siciliano pensarono di spostarele zone di sbarco del tabacco sulle coste del-la Calabria e della Campania.

Da allora divennero sempre più frequen-ti le operazioni di contrabbando organizzateda siciliani che ebbero come punto di ap-prodo le coste calabre e campane. Una seriedi fattori spiega questa evoluzione delfenomeno: anzitutto l'intensificazione in Si-cilia dell'attività di repressione, poi lo svi-luppo stesso del traffico illecito, che ha resonecessario, nel corso del tempo, un piùstretto collegamento tra le varie organizza-zioni regionali e, infine, cause minori manon insignificanti, come i buoni fondali del-le coste calabresi e napoletane, spesso ac-cessibili anche a natanti di una certa stazza,la relativa vicinanza dei centri di più vastoconsumo, come Napoli e Roma, le numeroserotabili che dalle strade litoranee si irra-diano verso .l'interno delle due regioni.

In Calabria, peraltro, i gruppi sicilianinon sono riusciti a costituire stabili rappor-ti con le cosche locali, che hanno pre-ferito mantenere inalterate le proprie posi-zioni di influenza, limitandosi a svolgerefunzioni di protezione e quindi a pretende-re che i contrabbandieri versassero tangen-ti spesso onerose per ogni quantità idi ta-tacchi sbarcata con successo.

Invece a Napoli e più in generale in Cam-pania si è potuto assistere negli ultimi anni(come lo speciale Comitato della Commis-sione ha potuto accertare mediante indaginicondotte sul posto) a un vero e proprio in-nesto della mafia (o idi alcuni suoi settori)nella delinquenza locale, una volta organiz-zata come camorra e in atto non più esi-stente come fenomeno associativo, ma al piùcome un fatto di clan. Le cause che hannofavorito questo innesto trovano le loro ori-gini lontane nei soliti agganci esistenti trala malavita napoletana e quella siciliana inrelazione allo smercio di prodotti ortofrut-ticoli presso i mercati di Napoli e dei centripiù importanti della provincia, e sono poi in-

dividuabili in altri fattori più immediati, trai quaii i più incisivi sono stati da una partei collegamenti che tanto i 'siciliani quantoi napoletani avevano con i contrabbandierifrancesi e, dall'altra, la lunga permanenzanel Napoletano di personaggi di primo pianodella mafia. Negli ultimi anni, infatti, moltimafiosi sono stati inviati al soggiorno ob-bligato proprio nei grossi centri del Napole-tano, mentre altri siciliani si sono anche es-si trasferiti in Campania, per sfuggire a in-dagini di polizia o a provvedimenti restrit-tivi della libertà personale. Nel 1971, inol-tre, Gerlando Alberti, dopo una intensa at-tività svolta in Lombardia, decise di trasfe-rirsi a Napoli e nei paesi vicini, infiltran-dosi immediatamente nel mondo del con-trabbando e continuando contemporanea-mente a mantenere i suoi rapporti con al-tri esponenti della mafia in Lombardia e inSicilia. Si spiega perciò come questa con-centrazione di mafiosi in Campania non soloabbia aperto la strada ai contrabbandierisiciliani (arruolati o protetti! dalla mafia),ma abbia anche favorito o addirittura provo-cato quella sorta di immedesimazione, dicui prima si parlava, tra mafia e malavitalocale.

Correlativamente, però, si sono moltipli-cate in Campania le organizzazioni contrab-bandiere, con la conseguenza che ne sono de-rivate lotte di potere, spesso sanguinose, perl'accaparramento dei punti di sbarco e ilcontrollo dei depositi di tabacco.

L'infiltrazione della mafia in Campania hainoltre provocato la penetrazione dei •meto-di mafiosi nelle fila stesse della delinquenzalocale, che oggi infatti non esita a ricorrere,nell'esecuzione delle operazioni di contrab-bando, all'impiego di strumenti e di moda-lità di azioni che una volta sembravanopropri soltanto della mafia.

Nella misura in cui organizza o dirige ilcontrabbando di tabacchi esteri, la delin-quenza manosa non presenta, salvo per quan-to riguarda i sistemi operativi, differenze si-gnificative rispetto alla delinquenza comune.La mafia si inserisce nel settore del contrab-bando come una delle tante organizzazioni.che finanziano, preparano ed eseguono, a li-vello internazionale e nazionale, il traffico

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illecito dei tabacchi esteri. Ciò non toglietuttavia che anche in questo settore sia op-portuna rispetto alle iniziative mafiose unaparticolare vigilanza dell'apparato statale esoprattutto degli organi di Polizia e giudi-ziari addetti alila repressione del fenomeno,in quanto maggiori e più insidiose sono lecapacità di azione della mafia e talora im-prevedibili risultano ila rapidità e l'efficaciacon cui essa riesce a sfruttare a fini ulte-riori i successi conseguiti e le posizioni diprestigio dovunque raggiunte. Perciò, peirendere possibile l'adesione di opportuni ri-medi, conviene procedere ad una sommariaricognizione delle deficienze applicative oheha avuto la normativa vigente fino al 31 di-cembre 1975, che possono lasciare aperto unvarco all'estensione della penetrazione ma-fiosa nel settore specifico del contrabbando.

In proposito, la Commissione ha potutorilevare che il contrabbando di tabacchi nonsempre è stato perseguito con da severità chele leggi consentivano e ciò per la diffusa opi-nione che si trattasse di un fenomeno chenon meritasse la stessa decisa reazione che laopinione pubblica esige contro fatti delit-tuosi d'altro tipo. Eppure è innegabile cheil contrabbando presenta oggi, con frequen-za notevole e certamente nei casi in cui èriconducibile alle iniziative della mafia,aspetti estremamente pericolosi, non diver-si da quelli propri della criminalità orga-nizzata, sì che sarebbe auspicabile l'impegnodi un rigore più deciso nella repressionedelle sue manifestazioni più allarmanti.

La Commissione invece ha potuto rileva-re .che Je persone arrestate per contrabban-do venivano di solito rimesse in libertà do-po brevi periodi di detenzione e che anchei cittadini stranieri venivano sollecitamenteliberati previo pagamento di cauzioni irri-sorie, nemmeno pari alla millesima partedella multa irrogabile, con la conseguenzache in questa ipotesi lo straniero una voltascarcerato si rende irreperibile e può quin-di facilmente sottrarsi alla giustizia.

"A loro volta i natanti contrabbandieri ven-gono frequentemente dissequestrati, previopagamento di esigue cauzioni, e questo per-ché non sempre si riesce a provare che i loroproprietari sono anche essi coinvolti nel con-

trabbando e in casi del genere la legge nonconsente la confisca del mezzo di trasporto.

4. — La mafia e il traffico degli stupefacenti.

Le indagini relative a questo settore han-no avuto come punto di partenza una rico-gnizione del fenomeno che servisse ad illu-strare, sia pure sommariamente, da un latol'evoluzione che ha avuto nel nostro Paeseil traffico degli stupefacenti e, dall'altro, lemodalità esecutive che ora lo caratterizza-no in relazione ai singoli tipi di droga. Inquesta prospettiva, si è avuta anzitutto laconferma che l'Italia è interessata al traf-fico di sostanze stupefacenti sia come Paesedi transito, sia, in misura .minore, come mer-cato di assorbimento.

Per la sua posizione geografica, che la col-loca quasi a mezza via tra i paesi dell'Orien-te Mediterraneo ed il Nord-Europa, l'Italiarappresenta la naturale zona di transito lun-go gli itinerari che la droga segue nel tra-sferimento dai luoghi di produzione a quel-li 'di trasformazione e di consumo.

Alimentano precipuamente questa (mas-siccia corrente l'oppio e la morfina base chedalla Turchia (Istanbul, Izmir, Ankara), dalLibano (Beirouth) e dall'Afganistan (Ka-bul) vengono trasferiti, per la trasformazio-ne in eroina, ai laboratori clandestini euro-pei (fin qui localizzati nelle regioni meridio-nali francesi), seguendo itinerari marittimi,che toccano i porti italiani dell'Adriatico, oterrestri, con punti di accesso lungo il con-fine orientale del Paese.

L'eroina prodotta raggiunge poi i mercatidi consumo statunitensi attraverso itinerariche, ancora una volta, investono il territorionazionale tanto nell'arco occidentale terre-stre, per l'entrata dalla Francia, quanto, perl'uscita dallo Stato, nel confine marittimo,con particolare riguardo ai porti di Genova,Napoli e Palermo dai quali muovono i na-tanti diretti nel Nord-America.

In questa fase di « transito » e per que-sto tipo di droga l'Italia è dunque percorsada due distinte correnti, una ascendente, ali-mentata da materiale grezzo e semilavorato

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(oppio, morfina base), l'altra discendente co-stituita da prodotto finito (eroina).

Sono del pari consistenti le partite di ca-napa indiana, marijuana e hashish che, pro-venendo dalle regioni del Medio Oriente edal Nord-Africa, affluiscono, attraverso ilterritorio nazionale, verso i mercati di as-sorbimento nord-europei.

In questa fase sono .più da vicino interes-sati i porti di Bari, Brindisi, Venezia e Trie-ste per l'entrata ed in generale tutto l'arcodel confine alpestre per l'uscita del Paese.La frontiera terrestre, peraltro, segnatamen-te nella sua fascia occidentale, è attraver-sata da quel filone dei traffici che, dalle giàindicate zone di produzione della droga, ri-sale la penisola balcanica per raggiungerei mercati di consumo attraverso itinerariterrestri.

Assume invece .dimensioni notevolmentepiù ridotte il transito di cocaina .che, dallezone di produzione (Bolivia, Cile, Perù), per-viene direttamente ai diversi centri europeidi assorbimento, generalmente per mezzodi corrieri che viaggiano con gli aerei.

L'altro aspetto del fenomeno, quello ine-rente al consumo in Italia, da luogo a cor-renti sicuramente meno imponenti che, intailuni casi, costituiscono una derivazione delflusso principale in transito ma che, piùspesso, hanno un significato e un meccani-smo autonomi rispetto al primo.

Il filone è alimentato per la maggior par-te dagli stupefacenti cosiddetti « teneri »(canapa indiana, marjiuana, hashish, reperi-bili con irelativa facilità ed a buon prezzo)ed in minore misura della cocaina.

Ancora più limitato è il consumo di LSD25 e >di altri allucinogeni, mentre recentiepisodi indicano un incremento dell'uso dianfetaminici ed un nascente problema di tos-sicomania da eroina.

Più specificamente, con riferimento allacocaina, si è accertato che il traffico di que-sta droga, che costituisce certamente l'atti-vità maggiormente remunerativa, fa capo,in misura preponderante, a cittadini sud-americani, soprattutto cileni, che curano sial'incetta dello stupefacente prodotto in Bo-livia, Cile e Perù (in questi paesi sono statiscoperti, nel giro di un anno, 21 Jaboratori

clandestini), .sia il suo linoltro verso i mer-cati di consumo nord-americani ed europei.Per quanto riguarda quest'ultimo punto, siè registrato negli ultimi tempi un aumentodella domanda di cocaina nel mercato clan-destino nord-americano, mentre è diminui-to in quelle nazioni (Stati Uniti e Canada)il consumo di oppiacei, aio in conseguenzadella severa azione di controllo che i Paesiproduttori esercitano in .materia sulla basedi accordi internazionali. Nel mercato euro-peo, peraltro, il traffico della droga è pra-ticamente monopolizzato da organizzazionifrancesi, formate .speciaihnente da corsi eda marsigliesi.

Per quanto poi attiene al nostro Paese, leinformazioni raccdke dalla 'Commissione, odirettamente o tramite 'gli organi di polizia,permettono di ritenere che gli insediamen-ti più consìstenti di trafficanti si trovanoa .Milano, Roma, Genova e Napoli giacchétali città, oltre a costituire centri di assor-bimento della -droga, consentono, per la pre-senza di scali, aeroportuali intemazionali,rapidi collegamenti con i Paesi produttoried offrono ai trafficanti — quasi sempre do-tarti di più documenti falsi di identificazio-ne — la possibilità di eludere e rendere dif-fiicoltose ile indagini di polizia.

Tuttavia, nonostante queste obiettive dif-ficoltà, gli accertamenti compiuti dai variorganismi di polizia hanno permesso di in-dividuare e di scompaginare alcune orga-nizzazioni intemazionali che agivano per ladistribuzione della cocaina in collegamentocon cittadini italiani. Si è avuto modo inqueste occasioni di notare che i trafficantisud-americani che operano nel settore dellacocaina risultano interessati non soltanto aquesta particolare forma di delinquenza maanche ad altre iniziative delittuose, quali ilfavoreggiamento della prostituzione, il tac-cheggio, eccetera.

Per rendersi canto idei truolo che ha svol-to e che svolge la mafia nel settore del traf-fico degli -stupefacenti, ile cui dimensioni suscala nazionale sono illustrate dalle tavolestatistiche pubblicate in allegato alla rela-zione settoriale del senatore Zuccaia, biso-gna muovere anche qui dalla premessa,come già si è fatto a proposito del con-

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Gabbando, che una così vasta irete di traf-fici, destinata a rifornire con assiduita i mer-cati clandestini mondiali ed a soddisfareuna folla di acquirenti dalle tendenze e daigusta più disparati e, soprattutto, in vertigi-noso aumento 'numerico, 'presuppone l'esi-stenza di organizzazioni ben strutturate edeconomicamente dotate, capaci di alimenta-re l'intero circuito illecito della droga: dal-l'incetta delle materie prime alla preparazio-ne 'di prodotti finiti, al collocamento di que-sti attraverso fasi di commercio all'ingrossoed al dettaglio.

È chiaro peraltro che un 'Siffatto schemaoperativo si attaglia precipuamente se nonesclusivamente a quei traffici che hanno peroggetto sostanze .stupefacenti, quali gli op-piacei e la cocaina, che consentono, per lapiù larga diffusione e per l'elevato costo fi-nale, sensibili margini di utili nei diversimomenti e giustificano, quindi, organizza-zioni complesse ed onerose. Invece nel com-mercio clandestino di altri tipi di droga lestrutture .innanzi indicate non sono riscon-trabili, se no» in presenza delle poche ope-razioni che possono comportare on rilevan-te impegno economico, ciò perché in questioasi la relativa facilità di reperimento deiprodotti ed il loro minore costo danno luo-go ad iniziative singole, propiziando il fra-zionamento del traffico in una serie di epiL

sodi di modesto significato singolo.Risulta perciò evidente come sia possibi-

le rinvenire la presenza della mafia, alme-no come fatto associativo, soltanto nel traf-fico della cocaina, dell'oppio e dei suoi de-rivati (morfina e soprattutto eroina). Anchein questi settori, naturalmente, è particolar-mente difficile documentare le infiltrazionimafiose, e ciò non soltanto per quanto si èdetto, a proposito del contrabbando, circala posizione e il (ruolo che assume la mafiain operazioni del genere, ma anche perchéle indagini di polizia in .materia di stupefa-centi trovano un ostacolo naturale e taiorainsuperabile nella stessa facilità con cui ilprodotto può essere .nascosto e taiora tra-sportato anche da corrieri ignari. Non è dub-bio tuttavia che la mafia abbia certamenteavuto nel passato ed abbia tuttora una par-te di primo piano nel traffico degli stupefa-

centi, in primo luogo se non esclusivamentedall'eroina e della cocaina.

In effetti, nel 1956-57 d'inasprimento negliStati Uniti dolile sanzioni contro i traffican-ti di droga e la crisi politica di Cuba, cheaveva costituito fino allora un importantecentro di raccolta dei narcotici destinati alNord-America, indussero i capimafia statu-nitensi a valorizzare ancora di più la Sici-lia come canale del passaggio della droga,e ciò non tanto per la favorevole posizionegeografica dell'Isola e per la presenza nelsuo territorio di contrabbandieri di tabaccosiculo-francesi, tra i quali Pascal Molinelli,Pietro Davi, Rosario Mancino, eccetera, ca-paci di assicurare collegamenti clandestini,quanto proprio per la possibilità di con-tare sull'appoggio e sull'aiuto incondizio-nati della mafia siciliana, alla quale la ma-fia americana era stata collegata per unrapporto di filiazione diretta.

Pertanto i mafiosi siciliani e i gangstersitalo-americani originari delila provincia diTrapani 'assunsero il compito di /risolvere iproblemi che assillavano allora i grandi or-ganizzatori del traffico idi stupefacenti, quel-lo di approntare una rete efficiente di col-legamenti per assicurare il trasporto delladroga dal Medio Oriente ai mercati degliStati Uniti e del Canada e quello di difen-dersi dalla Polizia e dai terzi aggressori contutti gli espedienti possibili.

Puntualmente, infatti, nel luglio 1957, siistabilì in Sicilia Frank Garofalo, noto ele-mento della malavita statunitense legato davincoli di antica amicizia ai capi della ma-fia .di Castellammare del Golfo, Gaspare Mag-gadino e Diego Plaja, e a distanza di qual-che mese giunsero nella stessa zona anchei notissimi Joe Banamas, CamiMo Galante,Giovanni Bionventre e Santo Sorge. Tutti,quindi, nell'ottobre del 1957, si riunirononell'albergo delle Palme di Pallermo con Giu-seppe Genco Russo, allora leader riconosciu-to della mafia siciliana ed amico di Sorge,e con altri gangsters americani, che da tem-po .sii erano stabiliti in Sicilia, come LuckyLuciano, Jon Di Bella e Vito Vitale, que-st'ultimo amico e compare di Frank Coppo-la, un boss mafioso che la Commissione ha

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incontrato più volte nei lunghi anni dellasua attività. Una riunione questa che dove-va precedere di poco il più celebre conve-gno ideila malavita americana tenutosi suimonta di Apalachin nello Stato di New York,nella villa del gangster Joseph Barbara pereleggere il successore di Albert Anastasia,assassinato alcuni giorni prima, .nominare icapi famìglia e ratificarle le decisioni presedai singoli gruppi della delinquenza associa-ta al di là e al di qua dell'Oceano; ma unariunione altrettanto importante, perché conogni verosimiglianza fu durante l'incontrodi Palermo che si diede vita in Sicilia ad unnuovo sodalizio criminoso di carattere in-ternazionale, invisibile, eppure temibilmen-te vivo e presente diretto proprio da questiboss siciliani e americani, nati a Castellam-mare del Golfo, Alcamo e Salerai, i tre pae-si che hanno visto nascere i maggiori traf-ficanti 'di droga di fama mondiale.

•Certo è comunque che d'incontro dell'al-bergo delle Palme diede luogo a complesseindagini giudiziarie, che sfociarono in unprocesso contro numerosi capomafia, tuttichiamati a rispondere di associazione perdelinquere per essersi associati al fine diesercitare il traffico degli stupefacenti, mapoi assolti dal Tribunale, sia pure per insuf-ficienza di prove.

Ebbero invece maggiore .successo le ope-razioni compiute dalla Guardia di finanzanel 1960-1961, tra ile quali ila più importantee significativa fu quella conosciuta comeoperazione Caneba (dal nome dei due fratel-li palermitani, Ugo e Salvatore, riconosciu-ti come i principali responsabili di ingentitraffici di eroina). In quegli anni, la Guar-dia di finanza, agendo di concerto con l'Uf-ficio narcotici americano, riuscì a dare unduro colpo a due potenti organizzazioni in-ternazionali, composte di .siciliani, ameri-cani, canadesi e francesi, e che avevano inItalia ila loro base proprio nella zona di Sa-lemi, dove operavano noti mafiosi come Sal-vatore Zizzo, Giuseppe Palmari, Vito Ague-ci, Alberto Agueci (collegati in Canada), Be-nedetto Zizzo, fratello di Salvatore, ed aifratelli Cutrone, noti esponenti della mala-vita italo-canadese.

Le indagini della Guardia di finanza per-misero ai giudici di infliggere agli imputatisevere condanne, e consentirono inoltre didimostrare i saldi legami esistenti tra ma-fia americana e 'mafia siciliana e di ricosttrui-re il mosaico dell'illegale commercio di eroi-na, tra Francia, Italia e Stati Uniti, per tut-ti gli anni cinquanta, fino al 1961.

Si accertò così che i trafficanti francesivendevano gran parte dell'eroina prodottanei laboratori clandestini ad elementi ma-fiosi siciliani, trasportandola neH'Isola amezzo di autovetture munite di doppi fondi.Dopo laboriose trattative, condotte secon-do .precise modalità, la mercé veniva scam-biata col denaro, ed ogni cosa veniva im-prontata alla massima cautela e prudenza,poiché entrambe le parti contraenti si pre-muravano di non suscitare i sospetti dellaPolizia, né di favorire truffe sulla bontà del-la mercé o sulla sicurezza dei pagamenti.

Successivamente l'eroina veniva traspor-tata nel Nord-America talora in bauli affi-dati ad ignari emigranti che partivano, pergli Stati Uniti e il Canada, dai porti di Pa-lermo e di Napoli.

Spedizioni e amivi erano esattamente con-cordati; negli aeroporti o mei porti degliStati Uniti o dal Canada i fiduciari provve-devano al ritiro della mercé ed al suo reca-pito in sicuri posti di deposito. I bosserano tenuti costantemente informati sul-l'andamento dei trasporti e delle spedizio-ni, pronti ad impartire ondimi ed istruzioniper superare difficoltà, contrattempi e perdirimere, talvolta, contrasti o dissensi. Nelqual caso essi stessi, all'oocorrenza, si muo-vevano da un continente all'altro, e, se chia-mati a giustificare questi viaggi in sede diinvestigazioni, adducevano motivi familiario turistici apparentemente verosimili. La re-gola dell'omertà, infine, disciplinava ogniazione, qualsiasi atteggiamento di ogni mem-bro mafioso, dai capi all'ultimo gregario.

Per finanziare tutte queste operazioni, oc-correvano naturalmente ingenti capitali, mala mafia riuscì sempre a procurarseli, river-sando in questa attività .gli utili che traevada altre imprese, e ricorrendo, tatara anchein Sicilia, allo strumento delle società fi-nanziarie, per sostenetne, sotto l'apparenza

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di falsi scopi, gli impegni pecuniali connes-si all'illecito traffico di 'Stupefacenti. I ma-fiosi siciliani del .resto traevano dal loro ruo-lo di intermedi ari fra francesi e mafia ame-ricana notevoli profitti, se si pensa che ilprezzo di rivendita all'ingrosso dell'eroinasupera di norma di cinque o sei volte quel-lo di acquisto e che perciò ogni chilo dieroina acquistato dai francesi, per due mi-lioni e mezzo di lire veniva iriivenduto al gros-sista americano per 12-15 milioni di lire.

Le accennate conclusioni sulla via seguitadall'eroina per giungere negli Stati Uniti ein Canada trovarono sostanziale confermanelle indagini condotte dalla Sottocommis-sione di inchiesta sull'organizzazione crimi-nale e sul traffico illecito di stupefacenti no-minata quailche anno dopo dal Governo de-gli Stati Uniti d'America e presieduta dal se-natore McClellan. « La' Sottocoonmissioneritiene » scrisse infatti McClellan nel suorapporto reso pubblico il 4 marzo 1965« che i gangsters corsi, dopo aver prodottol'eroina, la vendono ai tossicomani degli Sta-ti Uniti attraverso due vie. La principale rot-ta del traffico ha luogo attraverso le ven-dite effettuate agli elementi della mafia inItalia e in Sicilia che hanno accordi di col-laborazione con i gruppi di Cosa Nostra ne-gli Stati Uniti, che si occupano della spedi-zione e dal contrabbando attraverso il por-to di New York o per gli itkierari del Ca-nada e del Massico. Il secondo canale di que-sto traffico, sviluppatosi di recente, consi-ste nella vendita diretta di eroina da partedei .ricettatori corsi ai colleghi di linguafrancese; questi a loro volta spacciano l'eroi-na ai gangsters della mafia delle zone metro-politane degli Stati Uniti, perché questi so-no i centri dove abbondano gli individui de-diti al vizio degli stupefacenti ».

Negli anni seguenti, però, il rapporto esi-stente .tra le due vie della 'droga si è percosì dire rovesciato, in quanto recenti os-servazioni eseguite suMa base dei sequestrioperati in Nord-America e in Francia auto-rizzano l'ipotesi secondo cui gran parte del-l'eroina destinata al mercato statunitensenon viene più inoltrata, come per il passato,attraverso l'Italia, ma proviene direttamen-te dal! territorio francese; ciò che conferme-

rebbe un lento mutamento inedia fisionomiadei traffici degli oppiacei e starebbe a si-gnificare un progressivo inserimento di ele-menti marsigliesi nella fase commerciale im-mediatamente successiva alila produzionedella droga.

Queste circostanze però non escludonoche le organizzazioni mafiose abbiano con-tinuato ad 'interessarsi del traffico degli stu-pefacenti, anche se forse hanno dovuto cir-coscrivere la propria attività al controlloidei canali di rifornimento e di distribuzionedella mercé nel continente nord-americano.

Non sono tuttavia mancati specifici epi-sodi, che documentano, in modo non equivo-co, come siano tuttora massicoe le infiltra-zioni della mafia nel settore del traffico de-gli stupefacenti, sia per quanto riguarda illoro trasporto nel Nord-America, sia per ciòche attiene agli spostamenti della droga tral'Italia e la Francia.

In primo (luogo, si è calcolato che nel pe-riodo 1966-1972, su 43 persone che i Carabi-nieri hanno denunciato iin Sicilia per traf-fico di stupefacenti, 34 (e cioè il 79 per cen-to) erano presunti mafiosi; e che nel mede-simo periodo, su 20 denunzie presentate inSicilia dalla Guardia di finanza, 3 (pari al 15per cento) riguardavano mafiosi. Inoltre ne-gli stessi anni su 581 persone denunzìate daiCarabinieri nel resto del territorio naziona-le, 111 (e cioè il 19;1 per cento) erano mafio-se. Si tratta, come si vede, di 'dati statisti-ci che non sembrano di per sé indicativi diuna massiccia presenza mafiosa, ma che han-no in realtà un significato che va moltoal di Jà di valori numerici, posto che se giàè difficile, per .quanto prima si è detto, met-tere ile mani sulla droga che viaggia da uncontinente all'altro, è ancora più difficile (esi deve certe volte al caso) l'individuazione,quali responsabili dell'illecito traffico, di co-loro che coinè mafiosi ne itiirano ile fila e neorganizzano le modalità di preparazione edi esecuzione.

D'altra parte, alcune delle vicende più si-gnificative, tra quelle accadute negli ultimitempi, documentano, senza ombra di equivo-ci, come il ruolo e la posizione della mafiasia rimasta anche negli anni più recenti benpiù importante ed incisiva di quella che

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sembra apparire dalle cifre delle 'Statistiche.L'unico mutamento di qualche (rilievo ve-

rifiicatosi negli ultimi anni sui rapporti esi-stenti tra la mafia e il 'traffico degli stupe-facenti .riguarda .gli aspetti operativi. Oggicioè, mentre la zona di reclutamento dei cor-rieri internazionali della droga da parte del-la mafia italo-americana resta la Sicilia, icentri di organizzazione del traffico, per laparte che interessa l'Italia, ,non sono più sol-tanto nell'Isola, ma si sono spostati almenoin prevalenza .in Campania e -soprattutto aNapoli.

Al riguardo, lo speciale Comitato dellaCommissione ha potuto accertare, median-te indagini condotte direttamente sul luo-go, che a Napoli si va configurando l'esi-stenza di una associazione che si serve dielementi partenopei e siciliani e che man-tiene costanti stretti contatti con Milano,soprattutto per dirottare la droga verso l'Eu-ropa centrale (oltre che verso l'America).Per avere .inoltre un quadro chiaro, anchese sommario, defila situazione, occorre tenerpresente che alcuni di coloro che sono in-diziati come tra i più grossi esponenti del-la suddetta organizzazione hanno stabile di-mora a Napoli dove svolgono la propina at-tività e che dalla fine del 1972 hanno avutoinizio, a Napoli e 'provincia, rapine a manoarmata per rilevanti importi, di diverse cen-tinaia di milioni; che nella totalità 'di talispecifici episodi criminosi sono state usatearmi particolari (lupara e pistola a tambu-ro); che le testimoniainze raccolte nelle di-verse occupazioni riferiscono di [rapinatoricon accento « siciliano o calabrese » e che,dalla fine del 1972, è stata segnalata, a Na-poli, a Marano e Giugliano, la presenza delnoto mafioso Stefano Giaconia.

È risultato pure che nella prima metà del1973 si trasferì a Sa'lemo tale Carlo Zippo,noto corriere della droga (eroina) -tra il Mes-sico e gli Stati Uniti. Era espatriato perchécolpito da mandato di cattura dall'Autoritàgiudiziaria nord-americana e si stabilì a Sa-lerno, dove aprì conti bancari per circa due-cento milioni; ma prima di proseguire perSafarno aveva fatto sosta a Napoli, doveaveva .soggiornato, nello stesso periodo, Vi-to Adamo, successivamente ucciso a Napoli.

Per quanto poi concerne i sistemi di pa-gamento de/lle partite di stupefacenti, si puòsenz'altro affermare che esse continuano adessere pagate in contanti e normalmente invaluta estera. Non è peraltro raro il casoche le stesse persone, specie ìgli organizza-tori, risultino contemporaneamente interes-sate (basta pensare al caso di 'Salvatore .Gre-co) al traffico degli stupefacenti ed al con-trabbando del tabacco. Ma le modalità ese-cutive delle due forme di contrabbando so-no rimaste sostanzialmente diverse: mai so-no stati rinvenuti colli' contenenti stupefa-centi fra le casse di .sigarette sbarcate clan-destinamente in Sicilia o nelle coste dellaPenisola; mai si è rilevato che i camionistio altri elementi (reclutati per lo smistamen-to a terra dei tabacchi esteri fossero ancheconrieri della droga. L'elevato valore e il li-mitato ingombro di questa mercé induce glioperatori ad occultarla in doppi fondi dibagagli al seguito di viaggiatori, in nascon-digli ricavati malie carrozzerie delle autovet-ture o in tasche appositamente confeziona-te nelle fodere di capì vestiario. Più raro ap-pare il sistema, attuato solo per quantitativiingenti, di introdurla dn manufatti industria-li o artigianali per poi affidarli a ditte ditrasporto internazionali, ignare del loro con-tenuto.

Le stesse considerazioni che si sono fat-te a proposito del contrabbando di tabac-chi valgono in sostanza anche per il traffi-co degli stupefacenti. Anche in questo set-tore la delinquenza mafiosa non presentanote specifiche rispetto a quella comune.

La lotta alle sue iniziative ideve essere per-ciò .inserita nel quadro più generale degliinterventi statali di repressione delle varieforme di delinquenza associata, sia pure congli opportuni accorgimenti, che sono consi-gliati 'dalle particolari insidie connesse allapresenza mafiosa.

Tn questa prospettiva, bisogna muovereda ailcune premesse.

La prima è che la lotta al traffico inter-nazionale di stupefacenti è, tra le attivitàdi polizia, la .più difficile. L'efficienza deitrafficanti e delle loro organizzazioni, le re-gole ferree di fedeltà ed omertà che ne di-

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sciplinano l'azione, la rapidità e d'intensitàdai colilegaraeniti e degli' spostamenti a gran-di distanze, favorite dal progresso dei mez-zi di comunicazione, la prudenza costanteseguita nel mimetizzare movimenti ed in-contri, l'abilitò di occultamento della mer-cé, l'impenetrabilità di ambiente frappongo-no notevoli difficoltà aill'aziane [repressiva.

A queste difficoltà si aggiungono poi laparticolare solidità ed efficienza delle or-ganizzazioni mafiose e dei loro metodi, talida [richiedere 'interventi diretti più che a col-pire i singoli a smantellare la stessa asso-ciazione delittuosa.

La lotta al contrabbando degli stupefacen-ti richiede inoltre una stabile cooperazionecon ile polizie degli altri Paesi che sia im-prontata alla massima tempestività, al paridei perfetti collegamenti che esistono tra itrafficanti da una nazione all'altra, da uncontinente all'altro.

La recente legge 22 dicembre 1975, ai. 685,sulla disciplina degli stupefacenti e sostan-ze psicotrope dovrebbe -rappresentare nelsettore un efficace strumento a disposizio-ne delle autorità statali.

È in particolare degno di nota che la leg-ge abbia previsto la costituzione alle dipen-denze del Ministero 'dell'interno di un uffi-cio di direzione e coordinamento dell'atti-vità di polizia, che dovrebbe ovviare agli in-convenienti finora verificatisi per la contem-poranea azione delle due forze di Polizia digoverno nel Paese.

5. — Gli ultimi avvenimenti.

I fatti, le cifre, gli episodi esposti nellepagine precedenti e le considerazioni svoltesembrano dimostrare come quello della dro-ga e del contrabbando sia diventato negliultimi tempi uno dei settori in cui è più in-tensa la presenza dell'attività delittuosa del-la mafia.

Questo (naturalmente non significa che nonvi siano state manifestazioni criminali dialtro 'tipo. Al contrario, specie negli anni piùrecenti, le città siciliane, e soprattutto Pa-lermo, sono state teatro di un'insolita, preoc-cupante esplosione di criminalità. Una par-

te di questi delitti, come i danneggiamentie le estorsioni, appartengono alila casisticadella delinquenza mafiosa tradizionale; al-tri invece, co-me i sequestri di persona, rin-novano una tendenza che la mafia aveva datempo abbandonato e che si inserisce nelquadro di un fenomeno, esteso attualmentea (tutto il territorio nazionale e non semprericonducibile ad iniziative mafiose. In 'tuttii casi, comunque, nelle città siciliane, e co-me si vedrà anche nel resto del Paese, sem-bra procedere sempre più nettamente secon-do moduli gangsteristici, attraverso un ri-corso indiscriminato alla violenza ed unasfida aperta ai poteri dello Stato.

Tra te forme di delinquenza, il iricaitto re-sta la più frequente; esercitato con mezzidiversi, e spesso mediante attentati dinami-tardi, viene messo in atto per piegare la re-sistenza del proprietario dell'area edifica-bilc che ne rifiuti la vendita, deH'dmprendi-tore edile, costretto ad accettare la guardia-nia di persone gradite all'organizzazione, in-fine, del commerciante, e in genere del pic-colo operatore economico, piagato all'obbli-go di pagare anche periodiicamente una de-terminata 'tangente. Sono tutti risultala, chesi conseguono ancora con relativa facilità,ma che non sempre si1 ottengono, come unavolta, con la semplice presenza, o soltantocon ilo sguardo; risulta invece dalle deposi-zioni che la Commissione ha raccolto in Si-cilia durante l'ultimo suo sopralluogo nel-l'Isola che è diventata più frequente la ne-cessità di fare ricorso aille minacce esplici-te, o addirittura .alla violenza, per piegarealila propria l'altrui, volontà: segno non dub-bio di una maggiore resistenza dell'ambientealla prevaricazione mafiosa e .insieme del-l'accennato cambiamento di rotta della ma-fia verso forme di delinquenza di tipo gang-steristico.

Si inseriscono in questo quadro anzituttoi quattro .sequestri di persona eseguiti inSicilia negli ultimi anni iin pregiudizio diAntonino Caruso, Luciano Cassina, Giusep-pe Vassallo e Francesco 'Madonia. Tutti isequestri sono stati commessi a scopo di ri-catto e per \i primi due è stato anche pos-sibile pervenire all'identificazione degli au-tori e all'accertamento dei collegamenti esi-

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stenti tra alcuni di loro, in particolare il sa-cerdote Agostino Coppola, ed altre organiz-zazioni criminali operanti in parti diversedel territorio nazionale.

Nello stesiso periodo di tempo, e cioè dadprimi mesi del 1970 alla fine del 1974, sonostati commessi melle città siciliane, a Tra-pani ma soprattutto a Palermo, numerossi-mi omicìdi e tentati omicidi di stampo ma-fioso.

In particolare a Palermo, negli ultimi tem-pi, sono stati commessi i seguenti gravi de-litti di sangue:

1) omicidio in persona di Giovanni Gali-lina, avvenuto il 26 maggio 1974 in Villagra-zìa di Carini ad opera 'di ignoti, a mezzo diarmi ;da fuoco; si tratta di un delitto chesembra collegabile con l'altro in pregiudiziodel fratello Vito Gallina, consumato in Fa-briano il 5 febbraio 1974. Entrambi i delittisi inquadrano nell'attività di Agostino Cop-pola ed altri e cioè della cosiddetta « Ano-nima Sequestri »;

2) omicidio volontario in pregiudizio daDomenico Bruno, sorvegliato .speciale diP.S., avvenuto in Palermo in data 4 giugno1974, mediante sei colpi di arnia da fuocoesplosi al suo indirizzo da persona rimastasconosciuta;

3) omicidio in persona di Vittorio Man-ne, pregiudicato, gestore .di una officina, uc-ciso il 10 settembre 1974, con vari colpi diarma da fuoco corta, in via della Regionesiciliana. Per questo delitto si procede allostato contro G. Battista D'Agostino ed altriin atto ignoti;

4) omicidio in persona di Angelo Sgoroi,pregiudicato e sorvegliato speciale di P.S.che esercitava l'attività di camionista, ucci-so il 10 settembre 1974, con vari colpi diarma da fuoco, ad opera 'di ignoti in loca-lità « Ballavilla » del territorio di Partinico;

5) duplice tentato omicidio, commessoin Palermo, in località Pallavicimo, il 15 set-tembre 1974 ad opera di due sconosciuti ar-mati di pistola, in persona di Vincenzo Nioo-letti, nato a Palermo il 7 febbraio 1904, giàsottoposto a misura di prevenzione perché

mafioso e di Vincenzo Messina, nato a Pa-lermo il 18 ottobre 1943;

6) omicidio volontario, avvenuto in Pa-lermo il 20 settembre 1974, in pregiudizio diSpiridione Candiotta, ad opera di tre per-sone rimaste sconosciute mediante esplosio-ne di numerosi colpi di lupara e rivoltella;

7) omicidio volontario, avvenuto in Pa-lermo il 7 ottobre 1974, in pregiudizio di Giu-seppe Naimo, guardiano in un cantiere edile,ad opera di ignoti che gli esplodevano con-tro numerosi colpi di arma da fuoco;

8) omicidio in persona di Angelo' Mina-fò, commesso iin località Borgonuovo di Pa-lermo il 21 novembre 1974, ad opera di igno-ti, mediante vari colpi di arma da fuococorta. Il Minafò, pregiudicato e già sotto-posto a misura di prevenzione, era impu-tato di favoreggiamento nel procedimentopenale contro Giovanni Pitarresi, presun-to responsabile degli omicidi idi Cesare Ro-mano Monaohelli e Pietro Ciresi. Le inda-gini di polizia giudiziaria in corso tendonoad accertare se l'uccisione del Minafò siada ricondursi ad altri possibili aspetti del-la multiforme attività criminosa dell'ucciso;

9) omicidio commesso di 7 dicembre1974 ad opera di ignota, mediante vari col-pi di arma da fuoco corta, in persona delmafioso Antonino Taormina, già sottopostoa soggiorno obbligato che aveva terminatodi scontare nello scorso settembre. Il Taor-mina era cognato 'del noto mafioso MicheleCavatajo, ucciso nella strage di viale La-zio. L'omicidio è accaduto in pieno giornonel popolare rione dell'Acquasanta, verosi-milmente in presenzia di numerosi testimoni;

10) omicidio avvenuto fin Palermo il 19dicembre 1974 in pregiudizio di FilippoCioè Imperiale, ucciso da quattro scono-sciuti;

11) tentato omicidio, commesso in Paler-mo il 18 marzo 1975, in pregiudizio di Simo-nie Mansueto mediante colpi di pistola e dilupara, ad opera di sconosciuti;

12) omicidio in pregiudizio idi GiuseppeMessina, avvenuto in Palermo il 28 marzo1975, mediante colpi di lupara esplosi al suoindirizzo da quattro sconosciuti;

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13) omicidio in persona idi Pasquale Ma-rino, ucciso in Palermo il 10 maggio 1975,mediante colpii di airma da fuoco corta. Perquesto delitto è in corso una perizia balisti-ca comparativa con colpi esplosi da rivol-tella, sequestrata in Napoli, 'all'indiziato ma-fioso -Stefano Giaconia;

14) omicidio volontario in pregiudiziodi Cosimo Filippone, ucciso in Palermo il12 maggio 1975 mediante colpi di fucile. Gliautori del delitto sono stati identificati da-gli organi di polizìa;

15) omicidio in persona di bazzone Fi-lippo, ucciso din Palermo il 25 maggio 1975da sconosciuti, mediante colpi di rivoltella.11 Nucleo investigativo dei Carabinieri di Pa-lermo ha presentato rapporto giudiziario cheè al vaglio della locale Procura. Ili delittosi .ritiene connesso con il rinvenimento aPalermo del cadavere carbonizzato di unapersona probabilmente identificata con Do-menico Mancini;

16) omicidio avvenuto in iRoccamena il18 giugno 1975 in pregiudizio di CalogeroMorreale, ucciso da sconosciuti mediantecolpi idi 'rivoltella e lupara;

17) omicidio in persona della guardiadi Pubblica sicurezza Gaetano Cappiello etentato omicidio in pregiudizio di AngeloRandazzo, commessi im Palermo il 2 luglio1975, mediante colpi di lupara, da personeidentificate, nel corso di un tentativo diestorsione;

18) omicidio commesso in Palermo il7 luglio 1975, in pregiudizio di Antonino Pe-done, ucciso mediante colpi di lupara da per-sone identificate;

19) omicidio in persona di Giuseppe Ca-stellammare, ucciso in Palermo il 5 settem-bre 1975, da sconosciuti, mediante colpi diarma corta da fuoco;

20) omicidio, commesso ita Palermo il16 settembre 1975, in pregiudizio di Dome-nico Montalto, ucciso da tre 'sconosciuti, me-diante colpi di rivoltella e di lupara;

21) omicidio in pregiudizio idi GiacomoCosta, ucciso in Palermo il 23 ottobre 1975da due sconosciuti armati di lupara.

La maggior parte delle volte si è trattatodi delitti commessi da killers, sempre scono-sciuti alla vittima e diretti per lo più a ga-rantire all'organizzazione criminale il con-trollo totale su ogni impresa, su ogni ini-ziativa, per la creazione di nuovi equilibri ein vista di una pacificazione tra i vecchiboss e le nuove leve.

Il luogo elenco dei delitti commessi a Pa-lermo rivela per altro come parecchie voltele indagini non abbiano portato all'identifi-cazione degli assassini. Si ripete anche neitempi più ireceoti quella che può ben dirsiuna costante della delinquenza mafiosa. Ma'anche a voler sostenere che per il passatole cause del fenomeno siano state in qual-che misura connesse al tipo di criminalitàespresso dalla mafia, è senz'altro da esclu-dere che oggi avvenga qualcosa del genere.

La Commissione ha potuto direttamenteconstatare, nel suo ultimo viaggio in Sicilia,che la Magistratura e le forze dell'ordine inSicilia sono impegnate, con tutto il loro vi-gore ed al massimo delle proprie possibili-tà, .in una dotta decisa e senza quartiere adogni forma della delinquenza mafiosa. LaCommissione anzi 'ha avuto modo di notarecome questo sforzo sia reso più alacre e piùcombattivo dalla raggiunta consapevolezzache per vincere occorre unità di intenti e diazione fra gli organi di polizia e tra la Po-lizia e la Magistratura, e che la mafia, aven-do radici sociali, richiede, per essere effi-cacemente combattuta, l'impiego di stru-menti entro certi limiti diversi' e più moder-ni di quelli adottati nelle comuni operazio-ni di repressione poliziesca. Sta di fatto inol-tre che sull'altro versante tende ad atte-nuarsi, almeno nelle sue motivazioni, il fe-nomeno dell'omertà. Soprattutto in città, èdiventato più intenso e si va estendendo atutti gli strati della popolazione un nettoatteggiamento di rifiuto della prevaricazio-ne mafiosa e perciò i testimoni, se non par-lano, lo fanno non tanto per la rassegnataacquiescenza o per una generica solidarietàai criminali, ma o per paura di vendette edi rappresaglie o per ragioni non diverseda quelle che possono consigliare ai silen-

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zio anche -in relazione ad inchieste che anulilahanno a ohe fare con da mafia.

D'altra parte, come già si è accennato, lastessa delinquenza mafiosa tende a trasfor-marsi lentamente, -ma in modo mano a ma-no più accentuato, in una comune forma didelinquenza organizzata, non più connota-ta da requisiti tipici, pur .priva di propriecaratterizzazioni, ma .improntata soltanto ametodi di spietata violenza e di spregiudi-cata decisione.

Correlativamente, gli insuccessi della giu-stizia nei confronti della delinquenza rnafio-sa non sono più in nessun modo riconduci-biili, se pure Io furono nel passato, a causeparticolari o comunque ad anomalie chetrovìimo nella mafia la loro 'Spiegazione, madebbano al contrario inserirsi nel quadrodella più generale incapacità, che il siste-ma sta in questi ultimi tempi dimostrando,di dare un'adeguata, efficace risposta allasfida di una nuova e più agguerrita crimi-nalità.

Di fronte ailia mafia, in alitane parole, lagiustizia fallisce per cause analoghe a quel-le ohe ne determinano l'ikisuccesso riguar-do ad altri settori della delinquenza ed è.perciò in questa prospettiva che vanno cer-cati opportuni rimedi1 alile attuali disfunzioni.

Allo stesso modo, l'inserimento della ma-fia nella società urbana e industria/le, la mag-giore e più incisiva compressione che que-

sta società necessariamente esercita sullepossibilità di aggregazione di un potere in-formale, infine la conseguente, lenta tra-sformazione delia mafia verso forme vere eproprie di gangsterismo, hanno prodotto (ostanno producendo) una sensibile modifica-zione dei suoi rapporti con i poteri pubbli-ci. Si è più voke ribadito in questa relazio-ne che la mafia è nata ed ha avuto succes-so, in campagna come àn città, occupandolo spazio lasciato vuoto dal potere costitui-to e intrecciando col potere, nei settori sedi-ti per la propria attività, un viluppo di in-teressi e di connivenze inconfessabili. Ma seoggi la mafia tende ad abbandonare i set-tori tradizionali della sua presenza, o se con-tinua ad esservi presente, con metodi e for-me nuove rispetto al passato, riconducibiliunicamente all'imposizione esplicita dellapropria forza, tende per converso ad allen-tarsi (se non a scomparire) la presa che pertanto tempo la mafia ha avuto sull'apparatodel potere formale.

Non è senza significato che gii 'ultimi an-ni, a 'differenza di quelli fino 'al 1970, nonabbiano fatto registrare, nelle città sicilia-ne, nessuno scandalo di qualche dimensione,che coinvolgesse insieme mafia e pubblicipoteri. È un segno in più di un'evoluzionenel senso indicato del fenomeno mafioso. Lecaratteristiche che esso ha assunto nelle al-tre parti d'Italia, in cui è stato importato,ne rappresentano una prova 'ulteriore.