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romanzo

Traduzione dall’inglese di Vincenzo Urso

nessuna via di fuga

MaYa banks

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Della stessa autrice abbiamo pubblicato:

Estasi infinita

Serie KGI

L’ora della verità

Prima edizione: giugno 2014Titolo originale: No Place to Run© 2010 by Maya Banks© 2014 by Sergio Fanucci Communications S.r.l.Il marchio Leggereditore è di proprietàdella Sergio Fanucci Communications S.r.l.via delle Fornaci, 66 – 00165 Romatel. 06.39366384 – email: [email protected] internet: www.leggereditore.itAll rights reserved including the right of reproduction in whole or in part in any form. This edition is published by arrangement with The Berkley Publishing Group, a member of Penguin Group (USA) LLC, A Penguin Random House Company. Proprietà letteraria e artistica riservataStampato in Italia – Printed in ItalyTutti i diritti riservatiProgetto grafico: Grafica Effe

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nessuna via di fuga

MaYa banks

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Un grande ringraziamento va aKim Whalen, la mia più grande sostenitrice

e il mio avvocato difensore;Cindy Hwang, per avermi sempre sostenuta

e per aver creduto che potessi farcelaanche quando pensavo di non riuscirci;

Valerie e Lillie, per essere sempre state dispostea mollare tutto per me, anche all’ultimo momento.

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La stava aspettando quando la vide entrare dalla porta della stanza d’albergo. Sophie si voltò e Sam Kelly notò la fiamma del desiderio guizzarle negli ardenti occhi azzurri non appena lo vide.

Non le diede nemmeno il tempo di slacciarsi il grembiule che già la teneva stretta fra le braccia, le labbra premute sulle sue in quel primo, dolce assaggio.

«Sam.»Il nome risuonò come un sospiro ansimante che gli per­

corse il corpo e scese giù, fino ai testicoli.Lui allungò una mano, prese i lacci e li tirò fino a toglierle

il grembiule.«Qualche seccatura stasera?»Sophie fece di no con la testa mentre Sam si avventava

nuovamente sulle sue labbra.«Odio il tuo lavoro.»Lei si soffermò in quel bacio e, per un lungo istante, en­

trambi restarono immobili a fissarsi, le labbra talmente vicine da sentire i respiri l’uno dell’altra. La bocca si incurvò in una smorfia triste e lui si sentì in colpa per aver rovinato quel mo­mento dicendo di essere insoddisfatto del lavoro che faceva.

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Chi era lui per dirlo? Sophie lavorava in Messico in una bettola, in un posto dimenticato da dio, un posto a cui di cer­to non apparteneva una ragazza come lei, ma forse era tutto quello che poteva permettersi per sbarcare il lunario. Non poteva mica pretendere di sbucare fuori dal nulla e farle per­dere la testa per lui.

«Dimentica quello che ho detto» le sussurrò. «Vieni qui.»Le accarezzò il mento con un dito e le riportò la bocca sulla

sua. La desiderava, la voleva. I fratelli di Sam e i loro team stavano svolgendo il compito per cui si trovava lì, ma aveva voluto passare alcuni momenti clandestini con una donna alla quale non aveva saputo resistere, una donna che aveva capito doveva essere sua dal momento in cui l’aveva vista nel bar dove lavorava come cameriera.

Una donna con la quale era fin troppo facile dimenticarsi dei propri doveri.

Calda e malferma, si lasciò cadere tra le sue braccia. La sollevò un po’ in modo che lei gli mettesse le braccia attorno al collo, e la ragazza gli sorrise.

«Così va meglio» sussurrò lei.«E andrà ancora meglio quando sarai nuda.»La portò sul letto, la fece stendere sul materasso e la tenne

intrappolata sotto di lui. Le portò la bocca sul ventre, alzò gli occhi e incontrò il suo sguardo.

«Sei bellissima» sussurrò.Con movimenti lenti e metodici che celavano una certa

premura, le sollevò la maglietta, lasciandole scoperta la vita sottile.

Poi la tirò su sopra i seni, mentre le leccava la cavità dell’ombelico. Al contatto con le sue labbra, lei si sentì scossa da un brivido e piccoli fremiti le percorsero il ventre.

Inarcò la schiena, come se volesse toglierselo di dosso, ma lui lasciò perdere la maglietta e la prese per i fianchi, costrin­gendola a restare lì dov’era.

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«Sei mia.»Sophie ebbe un sussulto ed emise un piccolo gemito quan­

do le leccò la pelle sopra l’ombelico e le afferrò con i denti la fascia del reggiseno. Sam fece un ampio sorriso e si portò più su in modo da mettersi con le ginocchia lungo i fianchi di lei, per tenerla finalmente del tutto bloccata.

Non vedeva l’ora di spogliarla, così prese il bordo della ma­glietta e gliela strappò a metà, facendola ricadere penzoloni lungo i fianchi. La sfilò dalle braccia e gliela tolse di dosso.

Si intravedevano i capezzoli compressi e schiacciati sotto le coppe merlettate del reggiseno. La stoffa non nasconde­va nulla di quelle due macchioline scure. Giocherellò con le sporgenze che affioravano nel satin, toccandole e modellan­dole finché non diventarono due punti duri che implorava­no di essere liberati.

Lungo il bordo delle coppe, i seni si arrotondavano e lui, con un colpo rapido, le abbassò il reggiseno facendole spun­tare i capezzoli.

Sophie fece strisciare le mani sui fianchi di lui, scivolan­do sulla stoffa ruvida dei jeans, ma Sam le prese i polsi e li allontanò.

La ragazza iniziò a protestare, ma lui le prese una mano, se la portò alla bocca e la baciò sul palmo prima di sollevarle le braccia sulla testa e schiacciargliele sul materasso. Ancora una volta, Sophie si ritrovò prigioniera.

L’eccitazione lo spinse a raccogliere i brandelli della ma­glietta e legarle un polso alla testata del letto. Lei ansimò, gli occhi spalancati mentre le prendeva l’altra mano e legava anche quella.

Il respiro accelerò e il petto fu scosso dai palpiti. Si leccò nervosamente le labbra, mentre gli occhi si facevano di un azzurro scuro. Sam fece un sorriso lento e rapace: Sophie era come una droga, l’effetto di una sostanza che non voleva gli passasse mai, qualcosa che lo faceva sentire forte e invincibile.

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«E ora che si fa con te?»Ficcò una mano nei jeans e tirò fuori il coltellino. Lei spa­

lancò gli occhi, ma senza paura. Sam aprì la lama e la infilò sotto la fascia del reggiseno. Il tessuto cadde e rivelò i seni al suo sguardo affamato.

Richiuse il coltello e lo gettò via, poi rivolse l’attenzione al bottone dei jeans di lei. Voleva strapparglieli di dosso, ma si sforzò di farlo con calma per assaporare ogni centimetro di pelle che scopriva.

Glieli abbassò sui fianchi e poi lungo le gambe, in modo da toglierglieli del tutto. Si sentì attratto da quelle gambe si­nuose. Con il dito tracciò morbide linee e poi, con la bocca, si mise a baciarla e leccarla fino ad arrivare alla biancheria di seta che le copriva la fica.

Infilò un dito dietro il pizzo, facendosi strada tra i riccioli e le umide labbra vaginali. Irrequieta, Sophie gemette e si contorse quando le trovò il clitoride. Lo stimolò per un po’, colpendolo ripetutamente con la punta del dito. Poi scivolò giù fino al pertugio, stuzzicandolo senza pietà.

Spinse dentro un dito e lo sentì risucchiato da liquido vel­luto. Chiuse gli occhi per immaginare il suo cazzo lì dentro che scivolava nella stretta e carnosa fessura.

«Sam!»Quell’urlo angosciante lo fece improvvisamente riscuote­

re. Le vide il viso accaldato, gli occhi luccicanti dalla voglia.«Dài» lo implorò lei.Sam le strappò le mutandine, ormai impaziente, preso

dalla voglia di estendere all’infinito quel momento. La vole­va, doveva essere sua, adesso.

Si tolse la camicia, gettandola da qualche parte nella stan­za. Si mise su un fianco e si abbassò con forza i jeans, impre­cando sottovoce quando si impigliarono alle caviglie.

Dove cazzo aveva messo il preservativo? In tasca, merda. Si allungò sul letto per raccogliere i pantaloni e ne tirò fuori

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diversi pacchetti. Mentre tornava alla posizione di prima, si sparpagliarono sul letto. Ne prese uno e lo aprì mentre si rimetteva a cavalcioni su di lei.

Lei continuava a fissargli l’inguine. Gli occhi le si illumi­narono in segno di gratitudine e, di rimando, lui si portò una mano in basso e la avvolse intorno al cazzo.

Sophie cercò di liberarsi le mani, ma non fece altro che ec­citarlo di più e fargli venire ancora più voglia di possederla.

Con una mano tremante, si mise il preservativo e poi di­stese le braccia per aprirle le gambe.

Oh, dio, era morbida e bellissima, così delicata e femmi­nile. I riccioli biondi setosi erano umidi e impregnati di un desiderio incontrollabile. Le passò il pollice lungo i contorni della fica prima di spalancarle le gambe.

Era tutta aperta per lui, aperta e scoperta. Pronta per esse­re posseduta, essere soddisfatta. Assaporata e toccata.

Si sollevò su di lei, il cazzo che premeva contro il piccolo pertugio. Era troppo bello il primo affondo, quando il cor­po di lei lottava contro le sue dimensioni, e la fica, come una morsa, si chiudeva su di lui. Sudava e tremava come un ra­gazzino e non l’aveva ancora penetrata.

«Sei pronta per me, Sophie?»Spinse quel tanto che bastava per allargare la fessura e

sentirne il calore.«Dài, Sam. Ho bisogno di te.»Quelle parole pronunciate con tanta dolcezza lo manda­

rono in estasi. La prese per i fianchi e la penetrò più a fondo. Lei rimase senza fiato; tutta l’aria stava abbandonando il cor­po in un gemito di intensa agonia.

Si dimenò sotto di lui, intrappolata. La bocca si apriva e si chiudeva mentre le braccia cercavano di strappare i nodi ai polsi. Gli avvolse il cazzo come miele caldo, dolce e ardente. Sam non aveva mai provato niente di simile alla sensazione di starle dentro.

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Quando lei inarcò la schiena per incitarlo a continuare, lui si tirò indietro con i fianchi ed entrambi gemettero.

«Oh dio, piccola, sei bellissima. Mi piace così.»«Stiamo bene insieme» disse lei con un gemito. «Tu sei

perfetto per me.»«È vero» grugnì mentre le si avventava sulla bocca per di­

vorarla.Piegò i fianchi e affondò un’altra volta. Ingoiò il suo ran­

tolo di piacere, lo assaporò per poi restituirglielo con il respi­ro successivo mentre le loro lingue imitavano l’atto dei loro corpi.

Non c’era spazio per pensare. Solo la sensazione scivolosa e calda di lei intorno al suo cazzo. La mente gli si offuscò e si sentì perso. Sempre più a fondo, sempre più duro.

Il resto scomparve d’un lampo: niente più missioni, niente più stronzi da uccidere, niente più frustrazione per gli sforzi del kgi che non portavano ad alcun risultato.

Adesso esistevano soltanto loro due. E quel piacere irra­zionale, perfetto.

Si spostò più in basso per sollevarle le ginocchia con gli avambracci. La tirò su con forza e la posizione gli permise di penetrarla al punto da avere le palle schiacciate contro la fica.

Alzò gli occhi e incontrò il suo sguardo per accertarsi che fosse lì con lui e che non le avesse fatto male. A ricambiare lo sguardo c’era solo il suo bisogno disperato di essere liberata.

Con un urlo selvaggio, si tirò indietro per poi martellarla ripetutamente, facendo sobbalzare il letto a ogni affondo. Gli occhi di lei si spalancarono ed emise un urlo che squarciò l’aria. Si fece sempre più rigida, i muscoli del corpo si tesero e improvvisamente si sciolse tutta intorno a lui, immergen­dolo in un calore intenso.

Lui portò la testa all’indietro, chiuse gli occhi e diede un ultimo colpo in avanti prima che il suo seme si raccogliesse nelle palle e schizzasse su per il cazzo. Esplose in un urlo

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tormentoso, il piacere così incredibilmente intenso da farlo sentire smarrito per un breve attimo.

I fianchi continuarono a contrarsi in forti spasmi mentre si lasciava ricadere lentamente su di lei, già esausta. Sophie tremò al contatto dei loro corpi e, quando sentì che lui si ap­poggiava sulla sua spalla, gli diede un piccolo bacio sotto la guancia.

Lo sentiva ancora dentro e non aveva intenzione di spo­starsi. Era bello avvolgerlo e tenerlo nel proprio corpo. Lui fece un ultimo movimento con i fianchi; un brivido gli scese lungo la schiena e gli giunse al pene, procurandogli quasi dolore.

«Ti ho fatto male?» le chiese sulla pelle.Sophie rispose con un leggero bisbiglio, un dolce mormo­

rio di soddisfazione che gli diceva di no. Gli parlò con dol­cezza tra i capelli, rassicurandolo che le aveva dato lo stesso piacere che aveva provato lui.

Sam, per quanto non gli andasse di spostarsi, sapeva che la stava schiacciando. Lentamente si tirò su. Era ancora ec­citato.

La slegò e poi rotolò di lato per sfilarsi il preservativo. Quando le tornò vicino, lei si raggomitolò subito tra le sue braccia, morbida e flessuosa. Gli toccò tutto il corpo con le mani in maniera frenetica, come se, avendole negato prima la possibilità di farlo, adesso ne sentisse un disperato bisogno.

Lui le prese una mano e se la portò giù fino ad avvolgere il membro ancora eretto.

«Lo vedi cosa mi fai? Non mi dovrebbe tornare duro per altre due settimane, e invece qui con te mi sento ancora ec­citato.»

Lei fece un dolce sorriso e passò un dito su e giù lungo il pene, esplorandone ogni centimetro.

«Pensi che mi darà il tempo di farmi una doccia? Ti spia­ce?» Arricciò il naso per il disgusto. «Puzzo di birra.»

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Le annusò il collo e le diede una leccata. «Hai un ottimo odore, ma sei hai voglia di una doccia, va’ pure.» Si sentì un po’ in colpa per esserle saltato addosso non appena era en­trata nella stanza. Avrebbe dovuto darle il tempo di lavarsi e riposare, era stata in piedi tutta la sera.

Sophie gli diede un bacio e sgusciò via. Lui la guardò diri­gersi verso il bagno, godendosi lo spettacolo di quei fianchi e quel sedere che oscillavano nudi.

Era una donna al cento percento. Morbida e femminile, con le curve tutte al posto giusto. Era tutto quello che il lavo­ro non riusciva a dargli, e forse era questa la ragione per cui gli piaceva tanto.

Rimase steso per un po’ e, dopo cinque minuti, pensò di averle concesso abbastanza tempo per lavarsi. Se così non fosse stato, avrebbe finito lui il lavoro.

Si alzò dal letto e andò in bagno, dove il vapore della doc­cia aveva già appannato il vetro. Lei era ferma nella cabina, una figura indistinta oltre il vetro.

Gli bastò per eccitarlo di nuovo. Dio, se riusciva a spiegare l’effetto che gli faceva! Era una cosa da pazzi e lo faceva sen­tire fuori di sé.

Aprì la porta e, senza darle il tempo di voltarsi, entrò nella doccia stringendosi a lei. Sophie fece come per girarsi, ma lui glielo impedì e la tenne ferma.

Portò la bocca sul collo, sul quale scorrevano goccioline d’acqua. Le cedettero le ginocchia e stava quasi per cadere quando lui le affondò i denti nel collo sottile. La prese e la strinse forte.

«Poggia le mani al muro.»Sophie mise i palmi sulle piastrelle e li fece scivolare verso

l’alto fino ad avere le braccia al di sopra della testa. Lui si sporse in avanti e con la mano le piegò la gamba destra. Si alzò e la sollevò tenendola ferma con l’altro braccio.

Mentre l’acqua scorreva sui loro corpi, la penetrò, ritro­

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vandone il calore. Non ne aveva mai abbastanza. Non ne avrebbe mai avuto abbastanza.

In un angolo remoto del cervello, suonò l’allarme: non a­veva messo il preservativo. Razionalmente si diede dell’im­becille, ma era ormai perso in quel calore setoso, e il maschio in lui ruggiva che lei era sua ed era giusto prendersi quello che gli spettava.

Lei si irrigidì tutta. Le dita si chiusero a pugno sulla parete della doccia. Spinse la testa indietro, inarcandosi verso di lui mentre si sentiva mordicchiare il collo.

Sam la sentì sua.Era una sensazione primordiale che superava ogni limi­

te. Ne era disorientato sebbene sapesse che una spiegazione non c’era.

«Mia» sussurrò.Quando venne fu come un lampo. Una scarica intensa e

dolorosa che lo fece inarcare sulla punta dei piedi nel tenta­tivo sfrenato di penetrarla più a fondo.

Lei emise un suono leggero e le mani scivolarono dalla parete come se il corpo avesse esaurito tutte le forze. Si ac­casciò e lui la prese tra le braccia. Fu pervaso da un’insoli­ta tenerezza mentre si sporgeva per chiudere l’acqua e poi stringerla a sé.

Uscì dalla doccia e le mise un asciugamano addosso. Re­starono così a lungo, lei con la fronte appoggiata sul suo pet­to nel tentativo di riprendere fiato.

Sophie si rannicchiò con aria assonnata tra le sue braccia e il senso di colpa tornò ad assalirlo al pensiero di quanto dovesse sentirsi stanca. Le diede un bacio sulla testa.

«Andiamo a farci una dormita. Sarai esausta.»Lei lo guardò in viso e gli sorrise, con le palpebre socchiuse.«Portami a letto» gli sussurrò.

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Sam si svegliò con Sophie nell’incavo del braccio, la testa appoggiata sulla clavicola. Gli venne voglia di salirle sopra tra le gambe e svegliare entrambi con un rapido orgasmo, ma lei aveva l’aria stanca e un po’ fragile, come se al lavoro avesse passato una brutta serata.

La strinse a sé e le accarezzò il braccio. A ogni respiro, le ciocche di capelli a lui più vicine si sollevavano e Sam, con un dito, cercò di allontanargliele dalla guancia.

Le ciglia sbatterono e si aprirono, svelando due occhi blu assonnati.

«Buongiorno» le sussurrò.Lei gli rispose rannicchiandosi al suo fianco e cingendolo

forte alla vita con il braccio. Sam riuscì a sentire solo il suo respiro.

Ridacchiò e le diede un bacio sulla testa. «Soddisfatta?»«Mmm.»Era facile in una camera d’albergo. Tutto il resto sembrava

appartenere a un altro mondo, loro due erano lontani dalla realtà. Non che quella fosse la situazione ottimale, ma era una sensazione stupenda sapere che, anche solo per un po’, l’unica cosa che importava era il qui e l’ora.

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«Ti va di mangiare qualcosa?» le chiese.Lei sollevò la testa. «Che ore sono?»«Le sette.»Prima che potesse rispondergli, bussarono alla porta. Ma

che diavolo... Sam era contrariato, ma dovette scivolare via da Sophie per andare ad aprire.

«Resta qui e non farti vedere.»Si mise i jeans in fretta e furia e andò alla porta, aprendo

solo uno spiraglio. Era il tipo della reception con in mano una lettera chiusa.

«Per lei, señor. C’è scritto urgente.»Sam la prese. «Grazie.» Chiuse la porta e si rigirò la busta

in mano. Non era indirizzata a qualcuno in particolare, ma del resto in quell’hotel non si era registrato usando il suo vero nome. C’era scritto solo ‘304 urgente’, sottolineato tre volte.

Gettò uno sguardo a Sophie, seduta sul letto, le coperte tirate fino al mento. Poi tolse il sigillo ed estrasse un foglio di carta.

All’inizio non riuscì a capire il breve messaggio. Quando tornò in sé, la prima reazione fu di incredulità. Qualcuno voleva prenderlo per il culo? Doveva tornare dai suoi uo­mini. Magari erano solo stronzate, ma poteva essere che si trattasse del primo colpo di fortuna del kgi nella missione sulle tracce di Alex Mouton e del suo ampio traffico d’armi.

Per due settimane Sam e i suoi fratelli si erano spaccia­ti per acquirenti, nel tentativo di mettersi in contatto con Mouton, ma invano. Poteva essere che quell’uomo fosse un bastardo diffidente o non avesse alcun interesse ad attirare nuovi clienti. Il che voleva dire che con la sua attuale cliente­la doveva fare soldi a palate.

Un brivido gli corse lungo la schiena. Perché quell’infor­mazione anonima? Chi sapeva a cosa stesse lavorando il Kel­ly Group? Erano stati attenti, avevano fatto tutto perbene, si erano mimetizzati tra gli abitanti del posto, non avevano

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dato alcun motivo per far credere agli altri che tutto erano fuorché chi dicevano di essere. Persino la relazione illecita con Sophie era andata ben oltre una semplice copertura. Per­ché quale razza di idiota si sarebbe immischiato in un’opera­zione segreta per poi distrarsi con una cameriera del posto?

«Sam, qualcosa non va?»La voce gli giunse dolce, allentandogli un po’ la tensione.

Memorizzò il messaggio e accartocciò la busta, ficcandosela in tasca. Poi tornò da Sophie. Quella Sophie che se ne stava nuda a letto. Quella Sophie che non avrebbe più rivisto.

Attraversò la stanza e scivolò sul bordo del letto accanto a lei che lo stava fissando, con lo sguardo perplesso; ma c’era anche traccia di qualcos’altro. Paura?

Le sfiorò la guancia per tranquillizzarla. «Devo andare. Un imprevisto. È importante.»

Sophie si morse il labbro inferiore. «Okay.»Lui inspirò, odiando quello che stava per dire.«Non so quando, o se, tornerò.»Il viso di lei divenne impassibile. Gli occhi, di solito e­

spressivi, erano freddi e distanti.«Capisco.»Prima che Sam potesse dire altro, si tirò su e gli mise le

braccia intorno al collo. Le cadde il lenzuolo di dosso, sco­prendole i seni. Gli diede un bacio, solo uno, con tutta la dol­cezza che gli aveva regalato in così poco tempo.

Lui assaporò fino in fondo quella sensazione, sapendo che non l’avrebbe mai più provata. Avvertì al petto la morsa del rimpianto.

«Fa’ attenzione» gli sussurrò.Lui le sfiorò la guancia e la baciò. «Sì, sempre.»

Sophie aspettò il tempo giusto per assicurarsi che Sam non sarebbe tornato prima di rivestirsi in tutta fretta, facen­do molta attenzione a non lasciare niente in giro. In bagno si

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raccolse frettolosamente i capelli e li fissò con un bastoncino preso dalla borsa.

La donna che la guardava dallo specchio era giovane, il volto fresco di una ragazzina ingannevolmente innocente. Non è che si sentisse così, ma sapeva che la gente vedeva quello che voleva vedere; nessuno la prendeva mai sul serio o l’aveva mai considerata una minaccia.

Ma tutto ciò sarebbe finito quel giorno.Compiendo un’ultima perlustrazione alla stanza, per ter­

ra notò il coltello con cui Sam le aveva tagliato il reggiseno. Si chinò per raccoglierlo e se lo mise in tasca. Non doveva esserci traccia di lui in quella camera, cosa che le sarebbe ser­vita successivamente.

Con un profondo respiro, aprì la porta e sbirciò nel cor­ridoio. Sicura che non ci fosse nessuno, si precipitò verso le scale, evitando l’ascensore.

Al pianoterra, c’erano due porte, una che conduceva all’ingresso e un’altra che dava sul vialetto di fronte all’hotel. Si coprì il viso e si diresse fuori, dove vide la macchina che la stava aspettando.

Raddrizzando le spalle, procedette a grandi passi verso la Mercedes scura. Uscì l’autista, dall’aria tenebrosa, con un vestito scuro e gli occhiali da sole che gli nascondevano gli oc­chi. Era senza nome e senza volto, come tutti gli altri nell’or­ganizzazione di suo padre. Proprio come lei.

L’uomo le aprì la portiera posteriore e lei fu inghiottita dal veicolo blindato.

La portò fuori città, su strade sterrate e dissestate, alcune delle quali avevano buche enormi dove si andavano a de­positare sabbia e rocce. La macchina non attirava sguardi curiosi. Gli abitanti della zona erano abituati alla presenza di suo padre e avevano imparato a non fare domande.

Abbandonarono le file di case logore e svoltarono in una strada sterrata e tortuosa che portava alle colline intorno alla

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città. Quando arrivarono in prossimità delle austere guglie che difendevano il complesso recintato del padre, l’autista rallentò e inserì una serie di comandi nel dispositivo instal­lato sul cruscotto.

Il pesante portone di ferro si aprì per farli entrare e l’auto si inoltrò lungo il vialetto lastricato. Una fitta fila di alberi nascondeva la vista dell’enorme casa. C’era un solo pertugio nel folto fogliame, da dove la macchina sembrava scompari­re all’interno del bosco e riapparire dall’altra parte di fronte a una vista ingannevolmente idilliaca.

A una ragazzina poteva anche sembrare un posto incanta­to, ma Sophie non era più quella ragazzina da molto tempo.

Invece di fare il giro e arrivare di fronte alla casa, dove il viale passava attorno a un’enorme fontana, l’autista parcheg­giò su un lato dell’edificio, sotto un tendone dove sostavano altri tre veicoli blindati.

Le aprì la portiera e Sophie strizzò gli occhi per l’onda di luce che la colpì. Uscì e gettò uno sguardo al conducente.

«È sicura di volerlo fare?» le chiese lui a voce bassa.Sophie annuì appena, per paura di farsi sentire.«Aspetterò.»Stavolta non rispose. Si allontanò dall’autista e inserì la

propria security card nella fessura accanto alla porta d’in­gresso della casa. Il padre sapeva già della sua presenza e la stava aspettando. Non le andava mai incontro. Spettava a lei andare da lui e fare rapporto, come tutti gli altri dipendenti.

In corridoio, fuori dalla stanza di suo padre, Sophie incon­trò una domestica. Ne evitò lo sguardo. La cameriera guar­dava di fronte a sé, ma non appena Sophie le passò accanto, frugò sotto il grembiule e le passò una borsetta.

Era una borsetta firmata, un accessorio che suo padre si aspettava dovesse portare sempre con sé. Probabilmente l’a­veva comprata lui stesso. Se la mise sottobraccio e si fermò davanti alla porta a due battenti alla fine del corridoio.

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Sollevò una mano per bussare, ma si fermò. Si sentiva tre­mare dalla testa ai piedi e il sudore le imperlava la fronte. Re­spirava a fatica, con un ritmo lento e pesante. Il cuore le batte­va a mille e le pareva che, in quel silenzio, chiunque lo potesse sentire.

Soffocando la paura, raddrizzò le spalle e bussò. Le servi­va tutta la calma e compostezza di cui era capace. Suo padre riusciva a individuare ogni minima debolezza in un attimo.

Le porte si aprirono automaticamente e lei si fece avanti. Come per miracolo, la paura si attenuò quando diede uno sguardo nella stanza e vide il padre in piedi di fronte alla fi­nestra che dava sul panorama. Anche quella finestra era un inganno, come tutto del resto: quella che sembrava una scon­siderata stravaganza per un uomo così ricercato come lui, in realtà era un falso pannello riflettente del materiale antipro­iettile più all’avanguardia. Non era nemmeno ancora arriva­to sul mercato.

Lui poteva vedere fuori, ma dall’esterno nessuno poteva vedere all’interno.

«Sophie, qualche informazione?»Il modo indifferente in cui le aveva posto la domanda non

gliela diede a bere. Suo padre non era mai una persona indif­ferente. Era un calcolatore freddo e distaccato. Non esigeva obbedienza, la richiedeva e riusciva sempre ad averla.

Diede un’occhiata alla stanza, in cerca delle guardie. Ce n’erano due all’interno, almeno una dozzina all’esterno. Tut­te disposte a dare la propria vita per quella dell’uomo che le comandava. Quel giorno lei era ben felice di assecondarle.

«In effetti ho qualcosa che può interessarti» mormorò.Lui sollevò un sopracciglio con fare meditativo, come se non

gli sembrasse vero che si fosse rivelata utile. Con un gesto tea­trale, Sophie aprì la borsetta come se avesse qualcosa da dargli.

Le dita scivolarono sull’impugnatura gommata della pi­stola e si piegarono sul freddo grilletto di metallo. Con una

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mossa fulminea, si girò e sparò attraverso la borsetta, fred­dando la prima guardia. Prima che la seconda avesse tempo di reagire, sparò di nuovo, e nella stanza il solo rumore che si sentì fu quello metallico del proiettile che si conficcava nel collo dell’uomo.

La borsa le cadde dalle mani, mostrando la lunga canna del silenziatore. Il padre la fissò con fare risoluto.

«Che significa, Sophie?»A quel bastardo non avrebbe detto nemmeno una paro­

la. Non era uno stupido gioco. Aveva pochi secondi preziosi per scappare prima che un ordine del padre potesse scate­nare l’inferno.

Sollevò la pistola e vide la paura negli occhi di lui. Sparò; l’uomo cadde riverso a terra e il sangue si sparse sulle assi di legno levigato del pavimento.

Sophie prese il coltello dalla tasca e gli si avvicinò. Allar­gandogli il colletto della camicia, cercò il laccio in cuoio che portava al collo e lo tagliò.

Il pezzettino cilindrico di metallo cadde sulla pelle, mac­chiandosi di sangue. Lo prese, si mise alla scrivania e a tasto­ni cercò il pulsante.

Sul pavimento della stanza si aprì un pannello, rivelando una scala che conduceva alla rete di percorsi sotterranei.

Senza guardarsi alle spalle, fece di corsa le scale. Aveva passato mesi a imparare a memoria lo schema. Ne conosce­va ogni passaggio, ogni svolta, anche se non c’era mai stata prima. Grazie alle tante ore passate a studiare la mappa al computer, non ebbe difficoltà a trovare l’uscita dove la stava aspettando la macchina.

Ci vollero dieci minuti, ma quando uscì alla luce del sole tirò un sospiro di sollievo al vedere l’autista in attesa. Non l’aveva tradita.

L’uomo la fece entrare e, quando lei si sistemò sui sedili posteriori, la guardò dallo specchietto retrovisore.

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«Fatto?»Sophie deglutì e annuì. «Grazie per avermi aiutata.»L’unico segno di conferma che le fece fu quello di piegare

leggermente la bocca, mentre accendeva il motore e romba­va via. Sophie non si guardò alle spalle. Non c’era più niente per lei.

I chilometri correvano e lei provò a distendersi. E provò a sognare l’impossibile.

La libertà.Finalmente era libera.

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Cinque mesi dopo

Sophie rallentò e la barca si arrestò quasi del tutto sulle ac­que del Kentucky Lake. Intorno a lei soltanto l’oscurità, il cie­lo nuvoloso e la luna nuova. Solo una o due stelle spuntavano dalla coltre di nubi. Guidava a luci spente e si teneva lontana dalla costa in modo da avvicinarsi rapidamente a riva una volta sicura di trovarsi in prossimità della destinazione.

Studiò il gps portatile e poi sollevò lo sguardo verso la co­sta, in direzione nord. Stando alle coordinate, doveva per­correre ancora un altro chilometro e mezzo lungo il lago.

Cercò di contenere la paura e la tensione, e automatica­mente massaggiò la pancia, per trovare sollievo. Ci sarebbe stato anche Sam? Come avrebbe reagito al rivederla? Cosa avrebbe detto una volta saputa la verità su di lei?

Si guardò intorno nell’oscurità. Il lago era un gorgoglio di inchiostro nero come la notte. L’unico suono che si sentiva era il flebile frangersi delle onde sullo scafo della nave.

Aveva i nervi a pezzi. Sapeva che stava correndo un ri­schio, ma non le restavano altre opzioni. Gli uomini di suo zio le erano ormai alle costole, riusciva a fiutarli, li sentiva in

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ogni parte del corpo. Troppo spesso, nelle settimane prece­denti, se l’era cavata per miracolo.

Una donna intelligente doveva essere in grado di ammet­tere quando non sapeva più sbrigarsela da sola. Sophie si considerava una donna perspicace ed era per questo che si trovava lì: in una dannata barca su un dannato lago alla ri­cerca del padre del suo bambino a cui chiedere protezione.

Dopo cinque mesi in fuga, l’idea di ritrovarsi in un posto così esposto la spaventava a morte. Certo, non era come an­dare tranquillamente fino a Dover, chiedere di Sam Kelly e parcheggiare davanti a casa sua, ne era consapevole. Suo zio si aspettava che sarebbe scappata subito da Sam, per questo era stata via così a lungo.

Ma c’era anche il fatto che né lei né Sam erano stati onesti tra loro. Entrambi avevano fatto finta di essere altre persone. L’unica cosa vera era stata la passione sfrenata. Era rimasta stregata, aveva perso la testa per lui.

Un uomo che l’avrebbe disprezzata una volta venuto a co­noscenza della verità.

Proseguì con cautela, seguendo la traiettoria del gps. Con un po’ di fortuna, avrebbe attraccato direttamente nel giar­dino sul retro della casa di Sam senza beccarsi una pallottola per l’intrusione.

Un rumore la mise in guardia. Sollevò la testa e scrutò, le narici infuocate dall’aria fredda della notte.

Un improvviso bagliore di luce la accecò. Alzò un braccio per proteggersi gli occhi, ma invano.

Il rombo di un motore in accelerazione mise in moto il suo istinto di sopravvivenza. Senza esitare, si gettò nel lago e l’im­patto con l’acqua fredda la scosse fino alle punte dei piedi.

La barca più grande andò a sbattere contro la sua con un forte schianto. I detriti si sparsero in aria e ricaddero nell’ac­qua intorno a lei. Un grosso pezzo le piombò davanti solle­vando un’onda che la sommerse.

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L’acqua le riempì la bocca. La sputò, poi si mise a nuotare verso la costa. Non aveva respirato abbastanza e i polmoni necessitavano di altra aria.

Tornò in superficie e fece un profondo respiro. D’un tratto sentì dolore a un braccio e bevve altra acqua. Lo shock di­vampò con una sensazione acuta. Si toccò e sentì qualcosa di caldo. Calore liquido.

Sangue.Quel figlio di puttana le aveva sparato! Il terrore la investì

in pieno, ma cercò di non farsi prendere dal panico. Doveva mantenere il controllo. Perché diavolo le aveva sparato?

Una mano la sollevò per i capelli, la prese per il collo e la tirò fuori dall’acqua. Sophie urtò contro il fianco della barca ed eb­be la prontezza di spirito di portarsi le braccia intorno alla vita.

Il bambino, doveva proteggere il suo bambino.Atterrò con violenza sulla barca e cercò di tenere gli occhi

aperti di fronte al raggio di luce puntato su di lei.«Alzati.»Riuscì ad aprire a stento un occhio e guardò in alto verso

l’uomo che la sovrastava. Diede uno sguardo intorno e non vide nessuno.

«Fottiti.»Lui le tirò un calcio sul braccio e il dolore le si diffuse in

tutto il corpo. Poi si chinò, le infilò una mano tra i capelli e la trascinò su.

Se non ci fosse stato lui a tirarla fuori dall’acqua, sarebbe si­curamente andata a fondo. Le gambe si rifiutavano di collabo­rare. Il braccio le faceva molto male e non riusciva a muoverlo.

«Dov’è la chiave, Sophie?»«Senti, non so nemmeno chi sei» disse rabbiosa. «E non ti

permettere di rivolgerti a me chiamandomi per nome o in qual­siasi altro modo. Pensi sia tanto stupida da portarmela dietro?»

Un riflesso argenteo catturò il suo sguardo. Spalancò gli occhi quando notò la lama ricurva di un coltello affilato. Poi

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guardò più in alto e vide la fredda determinazione sul volto del sicario.

Cercando di assumere un tono sfrontato, disse: «Se mi uc­cidi, sei fottuto.»

«E scommetto che lo vuoi» replicò lui in tono piatto. «Mi hanno ordinato di farti parlare e ti assicuro che lo farai. Cre­dimi, parlerai.»

Sophie deglutì e tirò su con il naso. Oh dio, cosa doveva fare? Era a tanto così da Sam, diamine.

In tutti quei mesi, in tutto quel tempo, era stata nell’ombra, sempre al sicuro dalle grinfie del padre. Adesso, anche da morto, era lui a tenerla per la gola. Suo zio mandava avan­ti la macchina della morte che una volta era appartenuta al padre. C’era sempre qualcuno disposto a prendere le redini.

Ma senza accesso alla ricchezza e alle risorse di suo padre, Tomas era pur sempre limitato, e Sophie non aveva intenzio­ne di aiutarlo.

L’uomo la trascinò più vicino a sé, facendole sentire il re­spiro caldo sul viso. Lei sentì la lama del coltello sulla pancia e la collera le risalì in gola.

«Non morirai, almeno non ora, ma il tuo bambino sì. Dim­mi quello che voglio sapere o ti apro in due e te lo tiro fuori dalla pancia.»

Le venne un conato di vomito e cercò di ricacciarlo dentro, rischiando quasi di soffocare. Le lacrime le sgorgarono dagli occhi e la rabbia esplose con una forza impetuosa.

«Figlio di puttana» urlò furiosa.Ne aveva abbastanza. Si era sempre sentita sottovalutata,

il che di solito giocava a suo favore, ma quel tizio sembrava più scaltro rispetto a tutti gli altri stronzi alle dipendenze del padre. Era di certo più furbo del padre stesso, il quale aveva creduto che Sophie non fosse capace di premere il grilletto contro la sua stessa carne, contro il suo stesso sangue.

Quel bastardo non aveva intenzione di lasciarla andare

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solo perché era una bella ragazza dall’aria innocente. Il che voleva dire che doveva fare ricorso al proprio coraggio e alla propria determinazione se voleva tenere vivo il bambino.

«Va bene, ti dirò tutto» disse con affanno. «Ma metti via il coltello.»

«No che non lo metto via.»Non sarebbe stato facile.Fece molta attenzione a non spostare lo sguardo, a non

fare nessun movimento brusco. Non voleva dargli nessun preavviso sulla sua prossima mossa. Attese fin quasi a sen­tirsi in preda agli spasmi. Ecco il momento: il coltello allentò per un attimo la pressione sulla pelle.

Sophie diede all’aggressore una ginocchiata nelle palle e una gomitata sul polso. Il coltello rimbalzò contro un fianco della barca e lei lo allontanò con un calcio.

L’uomo la prese per il collo con una mano, piantandole le dita nella carne mentre, ripiegato su sé stesso, con l’altra si teneva i testicoli.

Stringeva senza pietà, togliendole l’aria.Sarebbe morta.Lì, su una barca, probabilmente non molto lontano da

Sam. In un lago, così sarebbe stato più facile far sparire il cor­po. Per mano di uno stronzo per il quale compiere un omici­dio era una cosa del tutto naturale.

Rabbia rovente e sfrenata le scorse nelle vene come furia vulcanica.

Finse di arrendersi e fece per rilassare ogni muscolo del corpo. L’uomo, forse colto di sorpresa perché certo che si sa­rebbe messa a lottare, allentò la presa.

Sophie si scagliò sullo stronzo, convogliando nell’attacco tutta l’ira che possedeva. Lo caricò sul petto con gli avam­bracci, con tutta la forza che le restava.

L’uomo barcollò all’indietro, levando le mani in aria nel tentativo di afferrarsi al bordo.

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Lei gli piombò addosso e insieme caddero nel lago.L’acqua gelida si abbatté su di lei come una valanga di

mattoni.Immersa nell’oscurità, non si fece prendere dal panico e

si mise a nuotare, allontanandosi dalla barca. Dopo qualche metro, riemerse in superficie per riprendere fiato.

Il sicario era lì, da qualche parte, ma gli ci sarebbe voluto un po’ per tornare alla barca e cercarla. Tempo che lei avreb­be potuto sfruttare a suo vantaggio.

Si immerse un’altra volta, prendendo più aria, e si costrin­se a restare sott’acqua finché non cominciarono a calare su di lei le ombre dell’incoscienza. Riaffiorò quindi in superficie, tenendosi al pelo dell’acqua, alla ricerca spasmodica di aria.

Gettò un’occhiata alle spalle e notò il faretto della barca fluttuare sopra il livello dell’acqua.

Respirò e tornò immediatamente sotto. Trascurando il dolore intenso, nuotò a grandi bracciate. Pian piano il corpo si fece sempre più intirizzito dal freddo tanto che il dolore iniziò a diminuire. Ringraziò il cielo e continuò a nuotare.

Non avrebbe saputo dire quante volte tornò in superficie, prese aria e poi si ributtò di nuovo giù, sott’acqua. Sembra­rono ore. Nella mente non le era rimasto più nulla, solo il bisogno di sopravvivere.

Quando alla fine le forze le vennero meno e l’adrenalina le abbandonò il corpo, ritornò in superficie e si guardò indie­tro. Fu un grande sollievo per lei non vedere la barca, niente luci, soltanto fitte tenebre.

Quando iniziò a toccare il fondo con i piedi, l’acqua le ar­rivava già al mento e improvvisamente il dolore tornò con l’intensità di uno schianto in automobile.

A malapena cosciente, senza forze, cercò di nuotare verso la riva, che però sembrava lontanissima. La corrente impe­diva alle gambe di muoversi e, invece di spingerla verso la sponda, la risucchiava nel flusso.

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Stremata, smise di andare controcorrente e si girò sul­la schiena per nuotare meglio. Doveva uscire dall’acqua, quell’uomo la stava cercando.

Con la testa colpì qualcosa di duro ed emise un urlo di spa­vento. In preda al panico, fu sommersa dall’acqua. Tornata in superficie, vide un grosso tronco d’albero fluttuarle davanti.

Grata per aver trovato qualcosa a cui aggrapparsi, si tra­scinò sul tronco e vi si appoggiò sopra. Il ceppo bagnato le raschiava la guancia, ma era esausta e non gliene fregava più di tanto ormai.

Si portò la mano del braccio illeso sulla pancia. Il bambino doveva stare bene, ma anche lei. Chiuse gli occhi in attesa di una risposta interna, anche solo un calcio, anche solo un col­petto, quel tanto che bastava per farle sapere che era salvo.

Niente.Si portò la mano sull’altro braccio per controllare quanto

fosse grave la ferita. Ma era impossibile capirlo in acqua. Pre­gò dentro di sé con tutto il cuore che gli eventi di quella notte non avessero fatto del male al bambino.

Si portò nuovamente la mano sul ventre, sperando di sen­tire un movimento.

Cercò di non farsi prendere dal panico. Era normale per un bambino restare fermo dopo che la madre aveva subìto uno shock, l’aveva letto in qualche libro sulla gravidanza.

Era diventata un’esperta di automedicazione, perché non si arrischiava ad andare dal dottore: Tomas l’avrebbe trovata subito, per questo divorava qualunque libro trovasse, pren­deva vitamine comprate sotto banco, beveva latte e faceva attività fisica. Per essere pronta quando gli uomini di suo pa­dre l’avrebbero trovata.

C’era una sola stella in cielo, ma sembrava lontana e indi­stinta. Tremolava, ma Sophie non sapeva dire se fosse per l’acqua mossa o perché lei stava battendo violentemente i denti.

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Tenendosi salda al tronco, premette una guancia sul cep­po bagnato. Poteva restare lì sopra per un po’, il tempo per allontanarsi dalla corrente e dirigersi verso le acque calme del lago.

Sbatté le palpebre per restare sveglia. Qualcosa di caldo e umido le colò lungo il braccio. Sangue. Aveva l’odore del sangue.

Sam.Con la mente, vide la sua immagine nitida. L’ultimo pen­

siero chiaro fu che doveva andare da Sam.